Sistemi, teoria dei
di Francesco Pardi
SOMMARIO
1. Introduzione. 2. Entropia e organizzazione. 3. Definizioni di
sistema. 4. Sistema e ambiente. 5. Sistemi chiusi-sistemi aperti. 6.
Sistemi sociali. 7. Superamento della doppia contingenza e ordine
sociale. 8. Sistemi di senso. 9. Codici comunicativi. 10.
Differenziazione. 11. Osservazione e auto-osservazione.
INTRODUZIONE
Il termine sistema rientra negli usi tradizionali sia del linguaggio
ordinario che di quello di molte discipline, quali la matematica e la
filosofia. Tuttavia una definizione rigorosa del termine è stata
tentata soltanto recentemente, allorché gli sviluppi tecnologici e
scientifici hanno posto la necessità di una definizione esplicita e
consapevole, in grado di sottrarre la parola a un uso indebito sul
piano ideologico, e a una fuorviante interpretazione sul piano
semantico.
La nascita per così dire ufficiale di una teoria
esplicitamente dedicata allo studio dei sistemi deve essere fatta
risalire al 1954, anno in cui a Palo Alto un gruppo di studiosi europei
e americani di differente origine disciplinare - come l'economista
Kenneth Boulding, il biomatematico Anatol Rapoport, il fisiologo Ralph
Gerard e il padre delle teorie sistemiche, il biologo Ludwig von
Bertalanffy - fondarono la Society for general system research. Il loro
scopo originario era quello di sviluppare una teoria in grado di
isomorfizzare tra loro settori conoscitivi tradizionalmente separati.
Il concetto di sistema offriva infatti la possibilità di porre in
relazione tra loro ambiti tradizionalmente studiati secondo modalità
esclusivamente specialistiche. Un'impostazione globalizzante, orientata
cioè a elaborare le regole della totalità empirica, definita come
wholeness, era alla base del progetto, la cui vocazione
interdisciplinare fu sicuramente influenzata dagli studi biologici di
von Bertalanffy.
Dalla sua idea di totalità organismica, ove operano
non causalità singole ma interi complessi causali interdipendenti,
deriva infatti il cosiddetto principio di equifinalità, secondo il
quale un sistema è in grado di raggiungere lo stesso stato finale di
omeostasi, ovvero di equilibrio dinamico, a prescindere dall'intervento
di singoli fattori causali. Tale principio fu elaborato da von
Bertalanffy proprio per dimostrare quanto fossero insufficienti le
spiegazioni deterministiche nell'analisi dei fenomeni complessi: non
più singole causalità, ma interi complessi causali tra di loro
interrelati determinano l'evoluzione dei sistemi. La metafora
dell'organismo, come totalità autonoma e capace di auto-organizzarsi in
vista del raggiungimento di uno stato finale caratterizzato da
equilibrio dinamico, si costituisce come modello fondamentale da
utilizzare per altre forme di pensiero, soprattutto per le scienze
sociali.
I successivi progressi dell'informatica e delle scienze cognitive hanno
fornito alla teoria generale dei sistemi ulteriori occasioni di
sviluppo, consentendole di trasformare l'intuizione
organismico-totalizzante bertalanffyana in una praticabile via di
accesso alla soluzione di problemi conoscitivi e operativi
particolarmente caotici, irriducibili a imputazioni esplicative
monocausali. Il destino della teoria generale dei sistemi sarà dagli
anni sessanta in poi non tanto quello di fornire un metalinguaggio
isomorfo per le scienze iperspecializzate, quanto quello di affrontare
la complessità, l'emergenza cioè di fenomeni che, conoscitivamente e
operativamente, presentano gradi elevati di incertezza e di
indecidibilità. Tale teoria si confronta in tal modo non solo con
alcuni tra i più ardui problemi della conoscenza, ma anche con l'ansia
crescente del mondo contemporaneo, incapace di controllare quella
complessità che esso stesso produce.Prima di addentrarci nei problemi
specificamente sociali incontrati dalla teoria, occorre chiarire un
concetto fondamentale per accedere a quello di sistema: l'entropia.
ENTROPIA E ORGANIZZAZIONE
In forma sintetica e discorsiva l'entropia può essere definita come la
misura del disordine elementare cui necessariamente, e cioè
deterministicamente, tendono tutti i processi naturali. Il secondo
principio della termodinamica descrive, com'è noto, il destino di tutti
i sistemi naturali, compresi quelli organici, i quali tendono ad
assestarsi in stati equiprobabili di caos e cioè di disordine
elementare, ove l'organizzazione e le differenze vengono
irreversibilmente distrutte. La natura meccanica e deterministica del
processo entropico trova un suo correlato nel concetto di entropia
negativa, inteso come misura dell'ordine che viene a formarsi in un
sistema già caratterizzato da stati di disordine elementare.
L'informazione, intesa nel senso etimologico del termine, è appunto un
processo di entropia negativa, che pone un qualche ordine tra segni o
segnali altrimenti irrelati tra loro. In quanto tale essa
rappresenterebbe quindi una deviazione dal secondo principio della
termodinamica e cioè dalla curva universale crescente dell'entropia.
Tale definizione di informazione, elaborata da Norbert Wiener, si
riferisce naturalmente alle proprietà di un messaggio ordinatore,
capace di 'mettere in forma' un sistema e quindi di far decrescere la
curva dell'entropia. Esiste - e ciò va detto per rendere giustizia alla
storia del concetto - anche una definizione di informazione secondo cui
la riduzione dell'entropia e cioè del disordine non è proprietà
dell'informazione stessa, ma della fonte del messaggio, e cioè della
possibilità, statisticamente definita per quella fonte, di trasmettere
ordine, come sostengono Claude E. Shannon e Warren Weaver.In termini
generalissimi quindi un sistema è un insieme organizzato di relazioni
tra oggetti, risultante da un processo di riduzione selettiva del
disordine. Detto in altre parole: il sistema è un ordine organizzato di
relazioni, la cui emergenza nella realtà risulta relativamente
improbabile in quanto la tendenza naturale e più probabile, stante il
principio di entropia, è quella del disordine.
Edgar Morin definisce in modo icastico e suggestivo l'improbabilità
dell'ordine e quindi dei sistemi: "Tutti gli oggetti della fisica,
della biologia, della sociologia, dell'astronomia, gli atomi, le
molecole, le cellule, gli organismi, le società, gli astri, le
galassie, costituiscono sistemi [...]. Il nostro mondo organizzato è un
arcipelago di sistemi nell'oceano del disordine. Tutto ciò che è
oggetto è divenuto sistema" (v. Morin, 1977, p. 99).
DEFINIZIONI DI SISTEMA
Nonostante il termine sistema sia entrato nell'uso comune e sia
divenuto da tempo sinonimo, spesso con connotazioni negative, di
apparato, di dominio tecnico, di prepostulazione concettuale, ecc., una
sua definizione rigorosa è difficilmente rintracciabile anche tra
coloro che ne hanno fatto oggetto delle loro critiche epistemologiche e
ideologiche.
La definizione di von Bertalanffy (v., 1968, p. 54) secondo cui "un
sistema è un complesso di elementi che stanno in interazione" risulta
intuitivamente comprensibile, ma non chiarisce sul piano formale quali
siano gli elementi stessi e soprattutto quale sia il criterio per la
loro identificazione. Resta escluso dalla definizione ogni riferimento
ai criteri di selezione degli elementi e del loro costituirsi come
entità sistemiche. Nella definizione di von Bertalanffy è presente
infatti una forte ipoteca organicista derivante dall'origine biologica
del concetto, che assume come suo modello quello della cellula. Tale
circostanza non ha impedito a Talcott Parsons e a Edward Shils di
riferirsi a von Bertalanffy per definire il sistema: "La proprietà più
generale e fondamentale di un sistema è l'interdipendenza delle parti o
variabili. L'interdipendenza consiste nell'esistenza di determinate
relazioni tra le parti o variabili" (v. Parsons e Shils, 1951, p. 107).
Una definizione più precisa è quella fornita da A.D. Hall e R.E. Fagen
(v., 1956, p. 18): "Un sistema è un insieme di oggetti e di relazioni
tra gli oggetti e tra i loro attributi".
A tutte le definizioni sopra citate è comune la carenza di un elemento
definitorio che l'attuale teoria sistemica ritiene fondamentale: è
infatti assente qualsiasi riferimento al criterio di scelta sia degli
oggetti sia delle relazioni cui viene conferito carattere sistemico,
ossia manca l'osservatore del sistema. Il criterio di scelta, proprio
dell'osservatore, pare invece comparire nella definizione di James
Grier Miller (v., 1971, p. 52), secondo cui il sistema è "una regione
delimitata nello spazio-tempo", ove il termine 'delimitata' rinvia
evidentemente a un osservatore che delimita e che quindi sceglie.
Questa dipendenza dalla prospettiva dell'osservatore,
observer-dependance, viene a sua volta definita da Alessandro Pizzorno
(v., 1973) come "incompletezza dei sistemi" e quindi presentata come un
inconveniente della teoria stessa, che non è in grado di
autodescriversi senza ricorrere a un osservatore esterno. Nella
contemporanea teoria sistemica nessuno rifiuta di introdurre
l'osservatore nelle argomentazioni della teoria stessa, e tale ormai
accettata observer-dependance viene considerata non tanto un difetto
quanto una 'virtù' costruttivistica.
SISTEMA E AMBIENTE
Nella tradizione culturale ottocentesca, imbevuta di organicismo e di
realismo ingenuo, poi divenuta una vera e propria vulgata a
disposizione di ideologi con etichette varie, l'ambiente era visto come
l'insieme dei fattori componenti il mondo esterno di un essere vivente
o di un sistema sociale, capaci di determinare sia le caratteristiche
dell'organismo individuale, sia quelle della società mediante il
cosiddetto 'condizionamento'. Tale condizionamento può essere definito,
in sintesi, come l'insieme delle sfide evolutive, in grado di
determinare non solo la possibilità di sopravvivenza individuale di
ogni organismo, ma anche la struttura della personalità umana e, per
analogia, dei rapporti sociali. Le scienze biologiche, ma soprattutto
quelle sociali, hanno attribuito in passato all'ambiente esterno ogni
responsabilità immaginabile, in quanto causa deterministica del
comportamento. Con l'apparire delle prime scoperte sul codice genetico
l'ambientalismo, di volta in volta teorizzato come determinismo o come
behaviorismo, ha iniziato a decadere quale criterio onnicomprensivo di
spiegazione. Sempre maggior peso hanno infatti assunto i fenomeni di
autonomia del vivente, centrati su processi interni di codificazione,
che relativizzano - senza peraltro annullarla - la portata dei
condizionamenti ambientali. Oggi il vivente e il sociale non sono più
considerati entità totalmente plastiche, condizionate ad libitum
dall'ambiente, ma sistemi dotati di una forte autonomia.
La teoria dei sistemi ha immediatamente recepito l'importanza dei
fenomeni di autonomia e di codificazione genica e ha tentato di
riconsiderare in modalità non più riduttive il complesso tema dei
rapporti tra sistema e ambiente, i quali sono destinati a interagire in
una situazione assai complessa di "interdipendenza duale", come
sostiene Heinz von Foerster. È utile citare a questo punto lo stesso
von Foerster, biocibernetico di origine austriaca, emigrato negli Stati
Uniti, che ha fornito alla nostra teoria un contributo fondamentale:
"L'ambiente è riguardato sotto un duplice aspetto: come un insieme di
proprietà del mondo fisico che agiscono su di un organismo, e anche
come accumulo di soluzioni riuscite del problema della selezione di
quelle condizioni nel mondo fisico che siano per lo meno sufficienti
per la sopravvivenza. In questa discussione 'ambiente' implicherà
sempre la nozione relativa di environment of [ambiente di], dove
l'ambiente e l'organismo associato a esso risulteranno duali l'uno
rispetto all'altro nel senso che un particolare organismo O implica il
suo particolare ambiente E(O), e viceversa, che un particolare ambiente
E implica il suo organismo appropriato O(E)" (v. von Foerster, 1968, p.
171).
Non esiste quindi l'ambiente esterno di per sé, ma soltanto l'ambiente
specifico di uno specifico sistema. Ogni sistema, cioè, ha a che fare
soltanto con il suo particolare ambiente, ossia con quella particolare
porzione di mondo esterno che le sue codificazioni gli permettono di
includere nelle proprie rappresentazioni e quindi nelle proprie
operazioni. L'ambiente - e qui è doveroso richiamare anche il nome di
Jean Piaget - non è più una datità esterna del sistema, ma è
strettamente connesso all'effettuazione di determinate operazioni
interne, sulla cui base soltanto risulta possibile stabilizzare un
confine interno-esterno. Tale confine - che dipende anche, ma non solo,
dalle codificazioni interne e quindi dalle operazioni già previste
dalle codificazioni stesse - agisce come differenza tra esterno e
interno. Tuttavia, tale differenza pone a disposizione anche
possibilità di collegamento in termini di scambi di materia, energia e
informazione. Possiamo sostenere a questo punto che il rapporto tra
sistema e ambiente non è un gioco a somma zero, ma al contrario che a
una maggiore autonomia interna corrisponde un incremento e non una
diminuzione del condizionamento ambientale, poiché ogni sistema sarebbe
in tal modo posto nella condizione di incrementare le proprie
possibilità di interagire con i flussi provenienti dall'ambiente.
Detto in altre parole: è possibile per un sistema interagire con il
proprio ambiente soltanto in base a codici specifici, i quali
identifichino e organizzino le rilevanze del mondo esterno in modo da
separarle dal rumore di fondo, dal disordine equiprobabile, rendendole
quindi rilevanti per il sistema stesso. I codici permettono al sistema
di riconoscere come ambiente soltanto taluni elementi ed eventi, che i
codici stessi abilitano a prendere in considerazione. Uno dei meriti
della teoria dei sistemi è quello di aver messo in discussione molte
concezioni date per scontate come assolute verità. Una di queste è
sicuramente quella dell'ambiente esterno come già dato, che ignora
l'incidenza del sistema stesso sull'ambiente di riferimento. Nei suoi
più recenti sviluppi la teoria dei sistemi ha introdotto il concetto di
autoreferenza, con valenze che potremmo definire cognitive. In base a
tale concetto, che tratteremo oltre, l'identità di un sistema è
determinata da una chiusura organizzativa verso l'esterno, cioè a dire:
ogni ambiente è il prodotto di un'operazione osservativa, mediante la
quale un sistema 'decide' di considerare se stesso un sistema
tracciando un confine. Un sistema, scrivono J. Gougen e F. Varela,
origina attraverso una distinzione che "divide il mondo in due parti,
come quello e questo o ambiente e sistema" (v. Gougen e Varela, 1979).
Anche l'ambiente è l'effetto di un'operazione costruttrice, nel
significato mentale e cognitivo del termine. Con l'autoreferenza (lo
vedremo nel capitolo dedicato all'osservatore) la teoria dei sistemi
compie il suo definitivo distacco da ogni sia pur remoto retaggio
realistico-organicistico, per avvicinarsi, anche nelle modalità di
definire l'ambiente, alla prospettiva cognitiva.
SISTEMI CHIUSI-SISTEMI APERTI
Nella definizione di von Bertalanffy, citata in precedenza, emergeva
chiaramente il carattere aperto dei sistemi, come identità complesse di
unità in interazione, a loro volta impegnate in un continuo scambio di
energia e materia con l'ambiente. Secondo questa versione ancora
tradizionale della teoria, la continua interazione sistema-ambiente,
intesa come flusso ininterrotto di input-output, rende il sistema una
entità complessa in continua evoluzione, caratterizzata da equilibri
dinamici. Ciò che von Bertalanffy e i primi sistemisti hanno trascurato
sono proprio i fenomeni di costruzione e conservazione dell'identità
delle formazioni complesse. In altre parole, la teorizzazione di
un'apertura dei sistemi, come precondizione per il mantenimento
dell'equilibrio dinamico e come caratteristica fondamentale per la
definizione stessa del vivente, ha finito per sottovalutare non solo
gli aspetti relativi all'autonomia del vivente in termini di
codificazione, ma anche quelli relativi alla conservazione
dell'identità.
Con il concetto di chiusura autoreferenziale la teoria ha preso in
considerazione il problema della conservazione dei confini di un
sistema, sia vivente che sociale. Questo può avvenire solo attraverso
la formazione di un confine, che chiuda organizzativamente le
operazioni interne del sistema. Tuttavia, il fatto fondamentale è che
l'operazione di chiusura non viene effettuata dall'ambiente ma dal
sistema stesso, il quale 'decide' di tracciare un confine tra sé e
l'esterno. Tutte le operazioni di un sistema sono quindi
autoreferenziali, in quanto sono riferite a se stesse e non ad altre
entità esterne. Un sistema può riferirsi soltanto a ciò a cui i suoi
codici lo abilitano a riferirsi. Le operazioni che permettono a un uomo
di conservare la propria identità nel tempo e di non trasformarsi in
qualche cosa d'altro sono per l'appunto autoreferenziali, nel senso che
riproducono gli elementi, le loro relazioni, l'organizzazione delle
relazioni che costituiscono il sistema delle operazioni che a loro
volta costituiscono l'identità. L'autopoiesis di cui hanno parlato
Humberto Maturana e Francisco Varela è per l'appunto la riproduzione
delle strutture di mantenimento del sistema da parte del sistema stesso.
Ma chiusura non significa affatto esclusione di rapporti con
l'ambiente, ove operano altri sistemi; al contrario, la chiusura resa
possibile dall'autoreferenza rende possibile l'apertura, anche se
soltanto alle condizioni stabilite dalle codificazioni interne. Ad
esempio, un sistema sociale può comunicare con altri sistemi sociali
proprio in virtù della sua chiusura autoreferenziale, dato che soltanto
mantenendo stabile la riproduzione della propria identità può
interagire con l'esterno: solo la chiusura permette l'apertura, dato
che ciò che non è chiuso non può nemmeno venire aperto. Esemplificando
in termini di sistemi sociali, si può affermare che un sistema
giudiziario può comunicare con un sistema politico non in virtù di
un'apertura che porterebbe alla sua dissoluzione, ma proprio in virtù
della sua chiusura, e cioè del mantenimento autoreferenziale della
propria identità come sistema giudiziario. Quando i magistrati
affermano di riconoscere solo il codice, alludono all'autoreferenza che
chiude il sistema e lo riproduce di fronte a un ambiente di altri
sistemi.
SISTEMI SOCIALI
Durante una prima fase, che giunge fino alla metà degli anni settanta
circa, la teoria dei sistemi sociali venne identificata e talvolta
genericamente confusa con le impostazioni organicistiche che, assai
prima dello stesso von Bertalanffy, ma senza alcun consapevole utilizzo
delle virtù concettualmente isomorfizzanti del sistema, avevano
caratterizzato la sociologia di Auguste Comte, Herbert Spencer ed Émile
Durkheim.
Soprattutto la sociologia di Durkheim, con i suoi fondamentali concetti
di divisione del lavoro e di solidarietà, ha anticipato non solo i temi
parsonsiani del funzionalismo, ma anche quelli sistemici della
differenziazione. Al contrario di von Bertalanffy, tuttavia, per il
quale il concetto di sistema ha assunto un significato eminentemente ed
esplicitamente concettuale, sia pure ricavato a partire dal concetto di
cellula, in Durkheim l'aspetto sistemico rimane fondamentalmente
implicito. Esso è infatti ricavabile indirettamente attraverso il
concetto di solidarietà, intesa come legame obiettivo di elementi tra
loro differenziati in virtù della divisione del lavoro, e purtuttavia
connessi funzionalmente. Ed ecco che in Durkheim l'organicismo
ottocentesco già si coniuga con la cultura funzionalistica della
sociologia novecentesca di Parsons.
In sintesi, nella formulazione contemporanea della teoria dei sistemi
sociali confluiscono sia la tradizione organicista ottocentesca, sia la
tradizione funzionalista, sia quella propriamente sistemica
bertalanffyana. Eppure nessuna delle tre tradizioni sopra richiamate
può sic et simpliciter essere inglobata nella teoria senza profonde
trasformazioni, che riguardano aspetti epistemologicamente
determinanti. Nella teoria dei sistemi, infatti, il sistema è
soprattutto una descrizione della realtà che può assumere sia i
connotati realistici propri della proposta bertalanffyana, sia quelli
prospettici (observer-dependance), sia quelli costruttivistici e
autoreferenziali dell'attuale formulazione dominante. Nel secondo e nel
terzo caso il sistema è visto non come un semplice oggetto della
teoria, ma come il modo mediante cui l'osservatore argomenta e descrive
gli oggetti per lui stesso rilevanti. Il sistema non è qui un costrutto
concettuale di stampo organicistico né una rappresentazione obiettiva e
realistica dell'esistente, ma un modo di osservare. Torneremo su tale
fondamentale tema al momento delle conclusioni.
Occorre ora affrontare gli aspetti propriamente sociologici della
teoria, cercando di mostrare quale sia stata finora la sua influenza e
soprattutto quali siano stati i suoi risultati.
Mentre sul piano epistemologico esistono ancora non colmate divergenze
circa i rapporti tra teoria sistemica, organicismo e funzionalismo
sociologico, sul piano della continuità della ricerca e dei suoi
risultati è possibile tracciare già oggi un bilancio, che conduce
direttamente dalle originarie formulazioni durkheimiane sulla divisione
del lavoro alla teoria dei symbolic media of interchange di Parsons e
alla teoria luhmanniana dell'autoreferenza.
SUPERAMENTO DELLA DOPPIA CONTINGENZA E ORDINE SOCIALE
"I sistemi sociali originano soltanto sotto la condizione della doppia
contingenza" (v. Luhmann, 1988, p. 273). Questa proposizione di Niklas
Luhmann è contenuta in un libro pubblicato nel 1988, ma il suo
significato e la sua portata per la sociologia sono apprezzabili a
pieno soltanto se, per l'appunto, partiamo da Durkheim e poi,
attraverso Parsons e Bertalanffy, giungiamo all'attuale teoria
dell'autoreferenza.
Il problema dell'ordine sociale, che fu già affrontato da Thomas Hobbes
e successivamente dagli utilitaristi inglesi, è stato, come è noto, uno
dei problemi principali anche per Durkheim, il quale rifiutò ogni
soluzione psicologica o individualista: l'ordine della società non
deriva, secondo Durkheim, da alcuna automatica confluenza degli egoismi
individuali - come volevano gli utilitaristi - e nemmeno da un
contratto tra individui che liberamente negoziano in ordine alle
reciproche attese sulla base del diritto naturale. Al contrario, per
Durkheim l'ordine della società è basato sulle cosiddette "condizioni
precontrattuali di ogni contratto", come dire su una serie di regole
sociali indipendenti dagli individui, dalle loro intenzioni, passioni e
interessi. Tali regole potrebbero oggi dirsi sistemiche, nel senso che,
rendendo possibile l'ordinato e continuativo incontro delle prospettive
d'azione dei vari individui in competizione, fanno in tal modo
decrescere il disordine e con ciò conducono la società verso stati di
organizzazione e differenziazione. La divisione del lavoro non è altro
che la forma assunta dalla solidarietà, e cioè dall'ordine sociale, in
una fase avanzata dell'evoluzione sociale. Le premesse dell'ordine,
quelle regole di fondo che riducono il disordine, ossia l'hobbesiano
conflitto egoistico di tutti contro tutti, appartengono alla sfera dei
prerequisiti stessi della società.
Quando non si realizza l'ordine significa che gli attori della società
non sono riusciti a trovare forme stabili di incontro o di
comunicazione capaci di rendere confrontabili le attese reciproche. E
quando non si realizzano forme di incontro o di comunicazione significa
che ogni attore rimane prigioniero delle proprie attese, le quali
dipendono dalla contingenza del momento temporale, o psicologico, o
politico, o semplicemente casuale. Il superamento della "doppia
contingenza", come lo chiama Parsons, è il meccanismo sistemico di base
che permette alla società di esistere e di funzionare come tale. La
teoria parsonsiana del sistema di azione sociale è esplicitamente
debitrice nei confronti di Durkheim, in quanto sottrae la realizzazione
dell'ordine al condizionamento delle contingenze individuali, ma allo
stesso tempo è debitrice nei confronti del nuovo concetto di sistema,
inteso come ordine, come processo di entropia negativa e cioè come
organizzazione. Il sistema sociale emerge quindi come superamento della
doppia contingenza in cui gli attori sono, per così dire, caduti
allorché sono apparsi sulla scena sociale.
Talcott Parsons, come è noto, affida a particolari meccanismi sistemici
- "i media comunicativi di interscambio simbolico" - il compito di
ridurre la doppia contingenza. I media simbolici, tra cui Parsons
colloca il denaro, l'influenza, il potere, l'affettività, svolgono la
funzione di ordinatori mediante la costituzione e codificazione delle
attese, che possono in tal modo divenire reciproche.
SISTEMI DI SENSO
I sistemi sociali si differenziano dai sistemi biologici, con cui del
resto sono interrelati, in quanto sono costituiti e organizzati sulla
base del senso. Anche se gli attori individuali sono organismi
biologici, i sistemi sociali si presentano come entità prevalentemente
non organiche, in quanto tenute insieme da processi simbolici, capaci
di fornire indicazioni decisionali e criteri di orientamento reciproco.
In breve, il senso è una risorsa simbolica che rende possibile e
plausibile la comprensione reciproca e la comunicazione.
La teoria sistemica realizza qui un primo, significativo distacco
rispetto all'organicismo ottocentesco, in quanto i sistemi sociali
risultano fondamentalmente costituiti da una 'materia immateriale', da
una organizzazione di rinvii reciproci di senso tra attori e tra
sistemi, cioè da un ordine simbolicamente realizzato. La
differenziazione, ossia la divisione del lavoro, non solo tra individui
ma anche tra sistemi, tra diritto e politica, tra economia e scienza,
tra vita privata e vita pubblica, è basata su confini di senso, cioè
sull'attribuzione codificata di un riferimento condiviso al confine,
che appunto differenzia i sistemi sociali stessi. La codificazione del
confine non discende dalla natura delle cose, da una necessità
ineluttabile, ma solo dalle forme che il superamento della doppia
contingenza può di volta in volta assumere nel corso dell'evoluzione
storica, nelle particolari situazioni comunicative della società ove il
superamento stesso si renda necessario. Per tale ragione i confini di
senso, e cioè le modalità specifiche di superamento della doppia
contingenza nel diritto, nella politica, nell'economia, potrebbero di
volta in volta essere differenti da quelli esistenti. Niente è
necessario nell'evoluzione dei sistemi e ancor meno nell'evoluzione di
quelli sociali, le cui possibilità di pervenire a organizzazione e
ordine appartengono, come si è visto, alla sfera dell'improbabile. Un
improbabile che gli attori vivono e interpretano come assolutamente
normale, grazie proprio ai particolari sistemi di senso che sono le
società. Il senso fa apparire come normale l'improbabile, come
necessario ciò che potrebbe anche essere diverso, come plausibile ciò
che è altamente problematico. Il superamento della doppia contingenza,
il raggiungimento dell'ordine, non implica però che i sistemi si
assestino in stati immodificabili, che la loro organizzazione divenga
deterministicamente necessaria, che la sicurezza abbia ormai permeato
la società. Al contrario, il senso, il cui compito è quello di
assicurare l'ordine, rende anche possibile la rappresentazione della
limitatezza dei sistemi e talvolta utilizza la paura, come estremo
meccanismo di allarme di fronte a contingenze che paiono insuperabili.
CODICI COMUNICATIVI
Il senso è un'indicazione selettiva di orientamento che rende
accessibile agli attori la possibilità di superare la doppia
contingenza e con ciò di comunicare tra loro. Ma affinché il
superamento della doppia contingenza possa avvenire concretamente
occorre che le indicazioni selettive, poste a disposizione dal senso
stesso, assumano una forma simbolicamente codificata. I codici
simbolici, quelli che Parsons - come si è già accennato - ha chiamato
symbolic media of interchange, sono strutture che rendono possibile il
coordinamento delle attese nelle forme specializzate, richieste da ogni
sistema differenziato: l'economia, il diritto, la politica, la scienza,
la vita privata, ecc.
I codici comunicativi prestabiliscono quindi le condizioni per la
formazione dell'ordine sociale tra gli attori (Ego e Alter), in modo da
rendere loro accessibile un qualche rapporto comunicativo o di scambio
in situazioni determinate e specializzate. Attraverso i codici,
insomma, le attese vengono rese confrontabili e con ciò viene ridotta
l'improbabilità di pervenire a una qualche forma di ordine.In generale
i codici non contengono regole prescrittive che impongano condotte o
comportamenti determinati, ma soltanto alternative di scelta che
riducano la complessità della decisione per gli attori, i quali si
trovano a dover superare la doppia contingenza e cioè, come si è già
visto, a gettare un ponte tra le attese reciproche. Il modello di
codice per eccellenza, già trattato non solo da Parsons ma anche da
Luhmann, è quello del denaro, il quale predispone le alternative di
scelta tra compratore e venditore, mediante la possibilità di
determinare il prezzo di una merce. In tal modo viene assicurata la
possibilità di pervenire a uno scambio commerciale, senza che gli
attori debbano costruirsi autonomamente la procedura dello scambio
stesso e senza che per ogni nuova transazione debbano ogni volta
reinventarsi da capo il modo per confrontare le reciproche attese.
Analogamente, il potere assicura la comunicazione nel sistema politico,
creando la possibilità per gli attori di negoziare e competere secondo
alternative codificate: maggioranza-minoranza,
progressista-conservatore, governo-opposizione. La predisposizione
delle alternative riduce la complessità della decisione politica,
permettendo agli attori non solo di presentare aspettative
confrontabili, ma anche di accordarsi o eventualmente confliggere.
Anche il conflitto politico richiede il superamento della doppia
contingenza.
La funzione dei codici come il denaro, il potere, la verità
scientifica, l'amore, ecc. è quindi, lato sensu, tecnica, in quanto
essi rendono accessibile e disponibile la comunicazione e con ciò la
formazione di un non effimero ordine sociale nell'economia, nella
politica, nella vita accademica, nelle relazioni personali.
Le direttrici simbolicamente codificate quindi generalizzano il senso e
allo stesso tempo lo specializzano, a seconda delle specifiche
richieste di ciascun sistema differenziato.
Un'altra funzione dei codici comunicativi è quella di mantenere i
confini di senso tra sistemi e quindi la differenziazione, in modo che
non si realizzino le condizioni della de-differenziazione e quindi di
una diminuzione dell'ordine comunicativo. Nel rendere disponibile il
superamento della doppia contingenza nelle situazioni specializzate e
differenziate (economia, politica, diritto, ecc.), ogni codice
impedisce che vengano confusi i criteri e i linguaggi della
comunicazione: che la politica interferisca nel diritto, che la vita
personale interferisca in quella economica, e via dicendo. I codici
quindi, come vedremo meglio in seguito, chiudono organizzativamente i
sistemi, rendendo nello stesso tempo validi collettivamente i confini
per mezzo di sanzioni di carattere comunicativo.
Comunque non è in alcun modo ammissibile che il codice simbolico venga
messo in discussione e divenga dunque esso stesso contingente, in
quanto trasformato a sua volta in oggetto di scambio o di
comunicazione. In tali casi il codice, divenuto anch'esso contingente,
non permette più il superamento della doppia contingenza, ma deve
necessariamente ricorrere a un altro codice che funga da equivalente
funzionale. Ciò può accadere ad esempio allorché il codice della
politica - il potere - non sia più in grado di permettere la
comunicazione politica. Ecco allora che un altro codice può
intervenire, esponendo però il sistema al rischio della
de-differenziazione.
DIFFERENZIAZIONE
Abbiamo già accennato alla differenziazione come formazione di un
confine tra interno ed esterno del sistema, determinata dalle esigenze
del sistema stesso, il quale nel momento in cui assume la propria
identità necessariamente si distingue da ciò che lo circonda. Ogni
identità presuppone la formazione di una differenza che, come scrive
Niklas Luhmann (v., 1984, p. 244), "non è ontologica" ma dipendente
dalle operazioni mediante le quali il sistema mantiene e riproduce nel
tempo la propria struttura rispetto all'esterno.
Esiste anche una differenziazione interna, la quale può essere
brevemente definita come la riproduzione entro il sistema stesso della
differenza sistema-ambiente. Lo sviluppo di sottosistemi differenziati
corrisponde infatti alla formazione di differenze sistema-ambiente, in
cui ogni sistema opera come ambiente rispetto a ogni altro e viceversa.
La differenziazione insomma è la moltiplicazione della differenza, per
così dire originaria, tra sistema e ambiente all'interno del sistema.
Occorre tuttavia precisare in quale senso l'attuale teoria dei sistemi
parli di differenziazione, dopo che nel secolo scorso - a partire da
Comte e Spencer fino a Durkheim - il concetto in questione è stato
introdotto nella teoria sociologica come vero e proprio cardine
dell'organicismo. Il concetto di differenziazione, di cui abbiamo già
tentato una definizione, seguendo in parte l'impostazione di Luhmann, è
sostanzialmente diverso da quello proposto dall'organicismo, in quanto
non ha alcuna pretesa realistica e tantomeno ontologica.
Nella fase organicista che le scienze sociali hanno attraversato nel
secolo scorso, a partire da Comte fino a Durkheim, la differenziazione
era considerata fondamentalmente come incremento di complessità, e cioè
come proliferare di parti e organi. L'analogia con la scienza biologica
è evidente, ma meno evidente è l'ambizione profondamente ideologica di
tale analogia, con cui si nutriva la speranza di poter esportare le
leggi della materia nel territorio della società. In tal modo sarebbe
stato possibile non solo dare certezza nomologico-esplicativa alle
scienze della società, ma anche e soprattutto consegnare alle
turbolente società industriali dell'epoca una serie di leggi, fondate
non più sulle incerte volontà umane ma sulla natura stessa. La
divisione del lavoro sociale - terminologia con cui Durkheim designa la
differenziazione - è soprattutto il modo mediante il quale una società
diseguale organizza la propria solidarietà interna e cristallizza
quelli che Marx chiamava rapporti tra le classi. 'Differenziazione' ha
qui un significato profondamente realistico e rinvia allo spirito di
un'epoca, in cui il permanere della fiducia illuministica nei confronti
della ragione faceva ancora sperare in una soluzione scientifica del
conflitto industriale.
Al di là del richiamo alla rappresentazione della differenza come
sinonimo di ordine, nel concetto contemporaneo di differenziazione vi è
ben poco della vecchia impostazione organicista. Non solo sul piano
epistemologico, ma anche su quello ideologico la differenziazione come
stato empirico della società non corrisponde ad alcuna legge che
assesti in modo deterministico i sistemi: si tratta al contrario di una
modalità di autorappresentazione da parte di un sistema, il quale può
trovarsi nella condizione di scegliere una forma oppure un'altra della
differenziazione a seconda dei concreti imperativi imposti dalla
necessità di superare la doppia contingenza. La concreta divisione del
lavoro, ovvero per usare il linguaggio di Marx, i rapporti materiali di
produzione non sono la cristallizzazione di alcuna necessità naturale o
storica, ma dipendono dalla contingenza, dal modo che di volta in volta
si renderà utile per superarla. Così ogni sistema, che come abbiamo
visto nasce sotto la spinta della doppia contingenza, si trova a dover
'disegnare' al proprio interno determinate differenze invece di altre,
ma tutto potrebbe anche essere disegnato in un altro modo.
Il concetto di differenziazione quindi non introduce più la sicurezza
operativa, e tantomeno quella epistemologica, di un realismo
tranquillizzante. Si tratta, al contrario, di un ben fragile principio
di ordine, che rischia a ogni nuovo ciclo di autoriproduzione la
de-differenziazione e il disordine. La tranquilla rappresentazione di
una società differenziata in sistemi politici, economici, giuridici,
scientifici, personali, ecc. non corrisponde ad alcuna necessità
cogente ma è solo la risultante di un complesso gioco di rinvii
reciproci tra sistemi di senso. La differenziazione quindi perde ogni
connotazione ontologica assumendo valenze esclusivamente semantiche.
Sono confini di senso e non di materia a garantire l'ordinata
riproduzione sociale.
OSSERVAZIONE E AUTO-OSSERVAZIONE
"Tutto ciò che è detto è detto da un osservatore". Questa frase di
Humberto Maturana e Francisco Varela è divenuta celebre tra coloro che
si occupano di sistemi. Essa infatti per un verso appare come una
critica radicale di ogni positivistica dualità tra osservatore e
realtà, per un altro costituisce la premessa di un nuovo modo di
pensare che la teoria dei sistemi ha contribuito a elaborare in
esplicita polemica contro ogni idealismo tradizionale. Ma per
comprendere correttamente la frase di Maturana e Varela è bene prendere
le mosse dalla definizione di sistema che, come già abbiamo mostrato
nel cap. 3, richiede necessariamente il rinvio a un osservatore che
delimiti il sistema stesso, ovvero decida quale porzione di mondo
esterno debba venire considerata un sistema. Questa
observer-dependance, che per molti critici della teoria sistemica è una
insuperabile debolezza in quanto rende il concetto di sistema privo di
oggettività, è per altri una virtù epistemologica che introduce
l'osservatore stesso nell'osservato, ponendo con ciò le basi per una
impostazione costruttivistica della conoscenza.
Secondo la teoria dei sistemi l'osservatore non è né il depositario di
un linguaggio oggettivo, positivisticamente inteso, per la designazione
degli elementi costituenti la realtà, né il depositario di categorie
trascendentali, idealisticamente intese quali possibilità conoscitive a
priori. L'osservatore è un'entità empirica, e osservare significa
operare mediante distinzioni che differenzino gli oggetti, le relazioni
tra gli oggetti e i sistemi di relazioni. Distinguere e quindi
delimitare sistemi significa rendere il mondo disponibile sia
conoscitivamente sia operativamente, facendolo emergere dallo sfondo
indistinto e disordinato, rendendolo quindi dotato di senso per noi.
Il rifiuto sia del realismo sia dell'idealismo non conduce tuttavia ad
alcuna dissoluzione dell'oggetto, ma a una sua ridefinizione in termini
pragmatici. Se la realtà è da considerarsi in tutto e per tutto
observer-dependent, ciò non preclude affatto la possibilità di un
'accoppiamento strutturale' tra le differenti prospettive osservative.
L'uniformità e omogeneità sistemica con cui il mondo ci si presenta
quotidianamente deriva dall'accoppiamento ricursivo di differenti
osservazioni e quindi di diversi modi di distinguere. L'osservare
quindi ha un significato esclusivamente connesso ai problemi della
conoscenza ma, stante la definizione stessa di sistema, ha anche un
significato connesso ai problemi dell'operare. Osservare, ha scritto
Heinz von Foerster, è una forma di "managing cognitivo". Ma
l'osservatore non va inteso come individuo, bensì a sua volta come
sistema. Ogni osservatore è infatti un sistema che osserva, cioè che
distingue e delimita mediante le proprie operazioni. È qui che
interviene la nozione di autoreferenza sistemica: ogni osservazione
dipende dalla struttura cognitiva di chi osserva. Ciò che possiamo
osservare, lo osserviamo entro e attraverso la nostra mente. Ciò che la
nostra mente non è abilitata a osservare, o i nostri organi visivi a
vedere, è come se non esistesse. Per tale ragione non vi è differenza
tra osservazione ed auto-osservazione. Al sistema osservante si applica
lo stesso criterio di chiusura osservativa che viene applicato ai
sistemi osservati, come quelli sociali di cui abbiamo già parlato.
Heinz von Foerster, Gregory Bateson, Gordon Pask, Humberto Maturana
hanno sostenuto in forme diverse la circolarità di ogni osservazione,
la quale può uscire da se stessa, dalla propria organizzazione,
soltanto mediante l'autoreferenza, che sola può permettere
l'eteroreferenza: solo attraverso la chiusura è possibile l'apertura.