Integrazione sociale
di Richard Münch
www.treccani.it
Enciclopedia delle scienze sociali (1994)
Sommario: 1. Introduzione. 2. Società tribali, tradizionali e
moderne. 3. Integrazione economica. 4. Integrazione politica. 5.
Integrazione culturale. 6. Integrazione sistemica. 7. Integrazione
solidaristica. 8. Integrazione sociale e integrazione sistemica nel
sistema internazionale.
1. Introduzione
L'integrazione sociale è uno stato della società in
cui tutte le sue parti sono saldamente collegate tra loro e formano
una totalità delimitata rispetto all'esterno. Parti della
società sono i singoli individui in quanto membri della
comunità sociale, le famiglie, i ceti, i gruppi, le classi,
gli strati, le associazioni, le unioni e i partiti nonché i
sottosistemi specializzati nello svolgimento di determinate
funzioni, come ad esempio i sistemi dell'economia, della politica,
del diritto, della scienza, della medicina, dei mass media e della
religione.
2. Società tribali, tradizionali e moderne
Nelle società tribali più semplici il vincolo di
sangue della parentela rappresenta il principale fattore di coesione
della società. Il tabù dell'incesto impone unioni
matrimoniali al di fuori della cerchia familiare e contribuisce a
creare sistemi di parentela più estesi. Con lo sviluppo degli
scambi economici tra diverse società tribali e con
l'espansione del dominio tribale oltre il territorio originario,
attraverso la sottomissione di altre tribù alla
sovranità di un'unica tribù dominante, nascono
unità sociali più ampie. I confini e la coesione
interna di tali unità non sono più determinati
unicamente dal vincolo di sangue della parentela. A questo livello
solo quelle società che hanno trovato nuove forme di
integrazione sociale possono conservarsi più a lungo. La
divisione del lavoro crea una nuova forma di integrazione economica
che supera i confini del gruppo parentale. Come ha messo in rilievo
Herbert Spencer (v., 1857 e 1862), l'omogeneità incoerente
del clan familiare, caratterizzato da una differenziazione
segmentaria, lascia il posto all'eterogeneità coerente di
artigiani e commercianti specializzati. La costituzione di un potere
centrale con un sistema amministrativo esteso a tutto il territorio
assicura l'integrazione politica della società. Quando
l'apparato amministrativo è l'organo esecutivo di
disposizioni emanate dal centro si ha, secondo la definizione di Max
Weber (v., 1922, pp. 133-134), un sistema di dominio patrimoniale.
Quando l'apparato amministrativo ha propri diritti di signoria che
esercita autonomamente in via fiduciaria si ha - sempre secondo la
tipologia weberiana (ibid., pp. 134-135 e 148-155) - un dominio
patrimoniale di ceto, mentre la concessione di feudi per l'esercizio
autonomo del potere caratterizza il sistema di dominio feudale. Le
interpretazioni religiose del mondo - che superano il culto degli
antenati e la venerazione di divinità tribali, intronizzando
dei e santi funzionalmente specializzati i quali trascendono la
sfera tribale - favoriscono l'integrazione culturale della
società. L'integrazione attraverso la parentela viene
sostituita da un ordinamento sociale organico basato su una
gerarchia di ceti, ognuno dei quali è chiamato a svolgere una
funzione specifica nel sistema di divisione del lavoro e
contribuisce così alla conservazione della società nel
suo complesso. La differenziazione funzionale della divisione del
lavoro coincide con la differenziazione gerarchica dei ceti. I
diritti e i doveri nonché i rapporti reciproci di questi
ultimi sono fissati in modo vincolante dal diritto corporativo.
L'obbligo dei ceti di dare il proprio contributo alla conservazione
della società globale e il loro dovere di mutua assistenza
creano una integrazione solidaristica della società che
trascende i confini del sistema parentale.
In questo modo la società tradizionale raggiunge una forma di
integrazione sociale superiore rispetto a quella delle
società tribali più semplici. I limiti della
capacità di integrazione della società tradizionale
tuttavia diventano evidenti man mano che progrediscono la divisione
del lavoro, l'espansione politica e la riflessione culturale.
L'illuminismo, la rivoluzione industriale e la rivoluzione
democratica della fine del XVIII secolo e la loro diffusione nel
corso del XIX secolo in Europa e in Nordamerica hanno disgregato
l'ordinamento sociale tradizionale. La Riforma protestante del XVI
secolo aveva sostituito alla differenziazione dei doveri religiosi
sulla base del ceto un'etica universalmente vincolante, alla tutela
esercitata dalla Chiesa sugli uomini e agli obblighi legati al ceto
la responsabilità personale dell'individuo libero di fronte a
Dio, all'accettazione passiva del mondo e dell'ordinamento sociale
come prodotto della volontà divina l'attiva trasformazione
del mondo e della società per la gloria di Dio.
L'illuminismo ha radicalizzato la Riforma trasformandola in una
rivoluzione culturale. Esso ha messo la ragione universale al posto
di Dio, ha riconosciuto a tutti gli uomini la libertà ed
eguali diritti all'autorealizzazione responsabile, ha proclamato la
fratellanza di tutti gli uomini e ha elevato a fine programmatico il
progresso dell'umanità verso una vita migliore. In questo
modo l'ordinamento cetuale venne delegittimato e si crearono nello
stesso tempo i presupposti per una integrazione culturale ancora
più ampia. I diritti civili costituiscono il fulcro di una
comunità solidale di cittadini liberi ed eguali. Si tratta di
diritti individuali che uniscono i singoli in una società
civile indipendentemente dalla loro origine e dagli altri legami di
appartenenza. Oltre ai diritti civili, i diritti universali
dell'uomo creano un potenziale che, adeguatamente sfruttato in un
discorso globale, può condurre a una integrazione culturale
di tutta l'umanità. In questo processo la fede illuministica
in una ragione e in una verità universali e accessibili a
tutti gli uomini, nella libertà e nella responsabilità
personale dell'individuo, nell'eguaglianza di diritti e nel
progresso dell'umanità si diffonde sempre più in tutto
il mondo. Vengono definiti in questo modo dei valori universali che
consentono un accordo di tutti gli uomini sulla 'vita giusta'.
Questi valori universali diventano i media dell'integrazione
culturale della società moderna, la cui prospettiva ultima
è l'unità culturale di un'unica società
mondiale.
La rivoluzione industriale ha dissolto il vecchio ordinamento
corporativo dei mestieri, affidando la creazione del benessere
sociale al libero sviluppo della produzione, della distribuzione e
del consumo, basato unicamente sulle leggi del mercato e della
valorizzazione del capitale. In questo modo la divisione del lavoro
è stata ulteriormente sviluppata ed estesa. Sia la divisione
del lavoro che lo scambio delle merci superano sempre più i
confini dei mercati locali, ed estendendosi via via dai mercati
regionali a quelli nazionali e internazionali tendono alla
costituzione di un mercato unificato globale. La costituzione di
mercati su vasta scala, lo sviluppo dell'economia monetaria e
l'introduzione di sistemi valutari unificati in spazi economici
sempre più ampi accelerano il processo di integrazione
economica della società caratterizzata dalla divisione del
lavoro. Il denaro diventa un mezzo potentissimo di integrazione
economica. Esso consente una valutazione comparata secondo un metro
unitario di tutte le merci presenti sul mercato, separa lo scambio
dal baratto e attraverso la formazione del capitale permette un
accumulo e una conservazione di valori economici senza più
limiti materiali. La rivoluzione industriale e lo sviluppo del
capitalismo moderno hanno posto fine inoltre alla convergenza tra la
divisione del lavoro nella sfera economica e la gerarchia dei ceti.
La borghesia industriale disgrega l'ordinamento cetuale, sconfigge
l'aristocrazia attraverso l'accumulo di ricchezza economica e non
è più disposta a sottomettersi alla sua tradizionale
rivendicazione del comando. La libertà di acquistare e
vendere la proprietà, di esercitare un mestiere e di
concludere contratti con chiunque per il reciproco tornaconto
costituiscono il fulcro di un nuovo ordinamento economico, dal quale
si sviluppa un sistema non più fondato sulla convergenza tra
divisione del lavoro e gerarchia dei ceti, ma esclusivamente sulla
libera circolazione del denaro. Secondo Niklas Luhmann (v., 1984,
pp. 37-39, 256-265, 551-593 e 624-631) è qui che si compie il
passaggio dalla differenziazione gerarchico-cetuale alla
differenziazione funzionale della società. A rigore si tratta
però di una separazione tra i due tipi di differenziazione,
che segna la fine del vecchio ordinamento cetuale.
La rivoluzione democratica ha eliminato il dominio della monarchia
affidando l'esercizio del potere alla libera competizione politica
per il voto. L'esercizio del potere non si fonda più sulle
dinastie e sulla loro legittimazione divina, bensì sulla
delega limitata nel tempo della responsabilità della guida
politica attraverso elezioni democratiche. I diritti di
partecipazione attivi e passivi sono stati sistematicamente ampliati
sino a essere riconosciuti a tutti i membri adulti della
società. In questo modo la partecipazione all'esercizio del
potere è stata estesa al maggior numero possibile di singoli
individui e gruppi. La democrazia moderna ha raggiunto così
il più grande potenziale di integrazione politica.
L'inserimento di tutti i membri e i gruppi della società nel
processo di formazione delle decisioni politiche dovrebbe garantire
nello stesso tempo il loro autovincolamento a tali decisioni.
L'effetto di divisione creato dalla decisione a maggioranza dovrebbe
essere mitigato dalla limitazione temporale dell'esercizio delle
cariche politiche, dalla possibilità di modificare le
decisioni prese e dalla tutela della minoranza mediante diritti
fondamentali inalienabili. Le rivoluzioni democratiche hanno
eliminato assieme alla monarchia anche l'amministrazione politica
affidata a funzionari legati al sovrano da vincoli personali; al suo
posto subentra un apparato burocratico vincolato solo alla legge e
alla costituzione, corrispondente al tipo ideale del dominio
burocratico razionale-legale quale è stato definito da Max
Weber (v., 1922). Sul piano dell'integrazione politica della
società ciò ha reso possibile una partecipazione
svincolata da ogni rapporto personale di tutti i singoli membri e
gruppi all'esercizio ordinario del potere attraverso
l'amministrazione. Si crea così un sistema politico
specializzato nella funzione sociale della selezione e
dell'attuazione di decisioni collettivamente vincolanti.
L'integrazione di tale sistema è assicurata da un potere
politico accessibile a tutti in egual misura e al quale tutti sono
assoggettati in egual misura. Tale potere viene delegato e
utilizzato per l'attuazione di decisioni collettivamente vincolanti
in base alle regole della costituzione. Nei sistemi democratici i
singoli membri e gruppi della società dovrebbero partecipare
alla formazione, alla delega, alla revoca e all'esercizio del potere
politico. Ciò garantisce che attraverso l'esercizio del
potere vi sia un'integrazione politica della società
altrettanto flessibile quanto l'integrazione economica consentita
dal denaro.Il dissolvimento dell'ordinamento cetuale ha comportato
una straordinaria libertà dei singoli individui e gruppi che
compongono la società, entro la quale non esiste più
alcuna gerarchia prefissata. Al posto dell'ordinamento fisso della
società divisa in ceti, ognuno dei quali ha un posto
immutabile, subentrano la società aperta e dinamica delle
classi, degli strati e dei gruppi, la libera concorrenza per risorse
scarse, la lotta per l'esercizio del potere e quella per la
verità. Sulla scorta di una distinzione concettuale operata
da David Lockwood (v., 1964) ci porremo i seguenti interrogativi: in
che modo una società di questo tipo può raggiungere,
oltre all'integrazione sistemica attraverso mezzi di comunicazione
quali i valori, il denaro e il potere politico, un'integrazione
sociale dei singoli individui e gruppi? È realmente
necessaria un'integrazione sociale oltre a quella sistemica? Se la
società moderna si compone di sottosistemi funzionalmente
differenziati, e se è questa la sua struttura fondamentale,
come è possibile l'integrazione reciproca di tali
sottosistemi e in che modo essi possono formare una totalità
sociale? A tali interrogativi la sociologia ha dato diverse risposte
(v. Münch, 1993).
3. Integrazione economica
Secondo le teorie dell'integrazione economica la società
moderna basata sulla divisione del lavoro è caratterizzata da
una pluralità di singoli processi di scambio e dai correlati
rapporti contrattuali. Nella moderna società di mercato
l'integrazione dei singoli e dei gruppi nella società
attraverso l'appartenenza a un ceto sociale immutabile lascia il
posto al contratto liberamente stipulato tra qualsivoglia coppia di
contraenti. Questo modello non vale solo per lo scambio delle merci,
ma anche per il rapporto professionale tra medico e paziente e tra
consulente legale e cliente, per il rapporto di potere tra elettori
ed eletti e tra governanti e cittadini, per il rapporto educativo
tra genitori e figli e tra insegnanti e allievi, nonché per
il matrimonio tra uomo e donna. I contratti rappresentano il fattore
di coesione della moderna società di mercato. In questa
prospettiva il passaggio dalla società tradizionale a quella
moderna appare un passaggio dallo status al contratto. Questa teoria
dell'integrazione economica è stata introdotta nella
sociologia da Herbert Spencer (v., 1857, 1862 e 1876-1896). Egli
sviluppò le idee del liberalismo e dell'utilitarismo
filosofico ed economico che nel mondo anglosassone, sull'onda dello
sviluppo della libera società di mercato, erano state
elaborate da John Locke, David Hume, Adam Smith, Jeremy Bentham e
John Stuart Mill. Secondo Spencer l'affermarsi della società
di mercato matura e dell'uomo autoresponsabile avrebbe lasciato
sempre meno spazio alla 'mano ordinatrice' dello Stato. Quest'ultimo
alla fine dovrebbe diventare del tutto superfluo, allorché
gli uomini in un processo di selezione evoluzionistica saranno
diventati sufficientemente maturi da associarsi liberamente e
autoresponsabilmente attraverso una molteplicità di
contratti.
Dall'utilitarismo universalistico di Bentham, Spencer mutuò
l'idea secondo la quale la società ha raggiunto il suo stadio
più maturo quando ogni individuo raggiunge la maggiore
felicità possibile. Vilfredo Pareto (v., 1906) ha introdotto
in seguito nella teoria economica il concetto che da lui prende il
nome di 'ottimo paretiano'. Si tratta di una situazione della
società in cui non è possibile migliorare le
condizioni di vita materiali di un individuo senza peggiorare quelle
degli altri. Una società di questo tipo può essere
caratterizzata da una notevole diseguaglianza delle condizioni di
vita materiali. Una società in cui anche gli individui che
stanno peggio hanno condizioni di vita migliori di quelle che
avrebbero in qualunque altra società - anche in una
società in cui vi siano minori diseguaglianze - è la
più vicina alla situazione di ottimo paretiano. Se, ad
esempio, nella società comunista tutti gli uomini stanno
peggio che nella società capitalistica, compresi i più
poveri, essa sarà più lontana della società
capitalistica dall'ottimo paretiano. La teoria dell'integrazione
economica vede pertanto nell'accrescimento del benessere attraverso
la società di mercato capitalistica l'elemento essenziale
dell'integrazione delle masse nella società. Questa idea non
è mai stata tradotta in pratica in maniera così
coerente come negli Stati Uniti. Henry Ford, con la produzione di
massa delle automobili, ha reso il consumo di massa l'elemento
principale dell'integrazione economica della società moderna.
L'integrazione delle masse nella società capitalistica si
realizza attraverso l'incremento costante del benessere e del
consumo. Negli Stati Uniti questa filosofia dell'integrazione
economica ha subito un primo scacco negli anni trenta, con la grande
crisi mondiale seguita al crollo della borsa del 24 ottobre 1929. Il
presidente Franklin D. Roosevelt con il suo programma di riforme del
New Deal affidò allo Stato il compito di alleviare attraverso
misure sociali le condizioni di bisogno e di miseria di coloro che
non potevano tenere il passo con la concorrenza nel sistema
capitalistico, o che erano ridotti alla disoccupazione dalle crisi
di quest'ultimo. Anche negli Stati Uniti quindi si riconobbe che lo
Stato deve assolvere compiti perlomeno minimali di integrazione
quando fallisce l'integrazione economica attraverso l'incremento
capitalistico del benessere.
Nonostante la fiducia non più illimitata nella integrazione
meramente economica della società capitalistica, nelle
scienze sociali - soprattutto nell'area culturale anglo-americana -
sono ancora presenti quegli approcci teorici che vedono nello
scambio di mercato, nel libero contratto e nell'incremento del
benessere capitalistico l'elemento essenziale dell'integrazione
delle società moderne. Secondo l'approccio coerentemente
economico di Friedrich A. von Hayek (v., 1969) il mercato sviluppa
autonomamente, in un processo evoluzionistico di ricerca, un
ordinamento spontaneo della proprietà con relative regole
giuridiche in grado di provvedere a un'adeguata integrazione della
società di mercato. Robert Axelrod (v., 1984) ha dimostrato
sulla base di competizioni simulate al computer che i giocatori col
tempo imparano ad agire in modo affidabile e regolare e ad attenersi
agli accordi conclusi, poiché in questo modo alla distanza
realizzano le vincite maggiori. Essi agiscono in base al principio
del 'rendere pan per focaccia'. Da questi assunti teorici e da
questi risultati empirici vengono dedotti nella prassi politica
argomenti in favore della deregulation, ossia della rinuncia da
parte dello Stato a regolamentare i processi di mercato. Tali
argomenti partono dal presupposto che il mercato dispone di proprie
capacità di integrazione, quando non venga disturbato da
interventi esterni e abbia tempo sufficiente per trovare con un
processo evoluzionistico la regolamentazione migliore. In base alla
teoria dei diritti di proprietà di economisti quali Ronald
Coase (v., 1960) o Harold Demsetz (v., 1967), è sufficiente
che i diritti di proprietà siano chiaramente definiti
perché il processo del mercato produca da sé l'ottimo
paretiano e quindi l'integrazione economica della società. Lo
Stato deve assolvere solo il compito minimale di tutelare i diritti
di proprietà scaturiti dal processo evoluzionistico di
ricerca dell'ottimo oppure, in determinati casi, deve aiutare un
poco questo processo attraverso l'introduzione di diritti di
proprietà per risorse scarse (ad esempio le risorse
ambientali divenute scarse). Con questa concessione, tuttavia, gli
economisti si allontanano già da una teoria della
integrazione puramente economica della società per
avvicinarsi a una teoria dell'integrazione politica in cui lo Stato
svolge una funzione essenziale ai fini dell'integrazione. Il
precursore delle teorie dell'integrazione politico-economica
può essere considerato Thomas Hobbes, secondo il quale i
singoli individui egoisti dello stato di natura riconoscono che
potranno tutelarsi stabilmente dall'inganno e dalla violenza degli
altri soltanto stipulando un contratto vantaggioso per tutti con cui
delegano tutto il potere a un'autorità politica, alla quale
spetterà allora il compito di regolare attraverso leggi il
libero scambio tra gli individui. Dopo aver concluso questo
contratto gli uomini sono assoggettati senza alcun diritto di
opposizione all'autorità costituita, finché questa
è in grado di tutelare l'ordine.I limiti della teoria
dell'integrazione economica diventano evidenti se si intende
l'integrazione come qualcosa di più di una casuale e mutevole
complementarità di interessi. Non sorprende pertanto che
anche oggi, dopo una nuova ondata di sviluppo delle teorie
economiche, si cerchino delle vie d'uscita dal vicolo cieco del
paradigma economico. Una soluzione che ha destato molto interesse
è quella proposta da Jon Elster (v., 1989), il quale ha
introdotto la categoria dell'azione 'regolata normativamente'.
Elster ha riconosciuto che l'agire regolato normativamente non
può essere ridotto all'agire strategico, in quanto possiede
un carattere peculiare che non può essere né colto
né spiegato dalle teorie puramente economiche. Elster
ripropone in questo modo una via d'uscita dal vicolo cieco del
paradigma economico già indicata più di cinquant'anni
fa da Talcott Parsons (v., 1937).
4. Integrazione politica
Nell'ambito della teoria economica Arthur Pigou con il suo studio
The economics of welfare (1920) ha scosso la fede liberale nella
capacità di integrazione del mercato e ha messo in rilievo il
ruolo dello Stato. Secondo la sua analisi il mercato produce tutta
una serie di epifenomeni negativi e di distorsioni dell'ottimo
paretiano che lo Stato deve correggere attraverso misure sociali.
Assai prima di Pigou i socialisti francesi del primo Ottocento - ad
esempio Proudhon e Fourier - e in seguito Karl Marx (v., 1852,
1867-1894 e 1844; v. Marx ed Engels, 1845-1846 e 1848) avevano posto
al centro delle loro teorie la forza disgregatrice della
società propria del mercato, della divisione del lavoro e del
capitalismo, che creano un antagonismo sempre più aspro tra
la classe capitalista e la classe lavoratrice. Tale antagonismo
costringe la prima classe a far tutelare l'ordinamento capitalistico
da uno Stato forte, rendendo nel contempo la classe lavoratrice
sempre più propensa a eliminare il dominio di classe
attraverso un'azione rivoluzionaria per instaurare la società
senza classi del comunismo. In una società senza classi lo
Stato come strumento di integrazione forzata diventa superfluo,
perché l'integrazione sociale viene assicurata da una nuova
forma di comunità di eguali che regolano collettivamente
tutte le questioni. Il fatto che l'idea marxiana della
società comunista non fosse altro che una rievocazione
abbellita delle società più semplici, applicata senza
alcuna rielaborazione alla situazione di società più
ampie, altamente sviluppate sul piano tecnologico ed economico, ha
contribuito al fallimento dell'esperimento nei paesi del socialismo
reale. Questi hanno potuto compensare la povertà economica
dovuta a una produttività insufficiente solo con una forma
estrema di integrazione politica forzata. Nei paesi del socialismo
reale si è verificato ciò che Marx aveva previsto per
il capitalismo. Data la povertà economica, il dominio di
classe dell'apparato burocratico comunista dovette essere conservato
con tutti i mezzi. Esso ha spinto così all'estremo
l'antagonismo di classe ed è stato scalzato nel 1989 con
un'azione rivoluzionaria. Nel frattempo le società
capitalistiche sono riuscite a raggiungere un livello di benessere
che ha reso superfluo il dominio di classe attraverso
un'integrazione forzata da parte dello Stato. Le società
capitalistiche hanno superato l'antagonismo di classe sia mediante
l'integrazione economica determinata dal benessere e dal consumo di
massa, sia mediante l'integrazione politica attraverso il Welfare
State, utilizzando cioè entrambi gli strumenti, seppure in
diversa misura.
Dopo Marx la teoria dell'integrazione politica della società
è rimasta parte costitutiva delle scienze sociali, sebbene in
una forma più generalizzata. Il precursore delle teorie
dell'integrazione politica pura è stato Niccolò
Machiavelli, il cui influsso è evidente soprattutto
nell'opera di Vilfredo Pareto (v., 1901 e 1916). Secondo Pareto il
rapporto tra élite e masse costituisce la struttura
fondamentale della società, la cui integrazione si fonda
essenzialmente sulla capacità di comando dell'élite.
Quando questa non può più essere rinnovata attraverso
il reclutamento costante di quadri dirigenti dalle masse e si
esaurisce, la società si disgrega finché una nuova
élite in ascesa non riesce a ristabilire la coesione sociale
con la sua capacità di comando. Ralf Dahrendorf (v., 1958 e
1961) ha generalizzato la teoria marxiana del dominio di classe.
Secondo Dahrendorf la coesione della società moderna non
può essere ottenuta attraverso il consenso su valori comuni,
data l'onnipresenza di conflitti di valore e di interessi. In queste
condizioni solo la coercizione politica può garantire la
coesione della società. I conflitti si incentrano pertanto
sull'esercizio della coercizione politica attraverso il potere
statale. Si crea così una differenziazione fondamentale della
società tra dominanti e dominati; quanto più le due
parti sono organizzate in modo efficiente, tanto più aspra
sarà la lotta per la conservazione o il mutamento dello
status quo dell'esercizio del potere. Le società
democratiche-liberali consentono la composizione pacifica di questo
conflitto di fondo e rendono possibile un alternarsi regolamentato
dei dominanti nonché un avvicendamento delle parti. In questo
modo esse riescono ad associare un grado elevato di libera
espressione degli interessi e di ricomposizione dei conflitti con un
grado altrettanto elevato di integrazione politica.
5. Integrazione culturale
Nelle teorie dell'integrazione culturale sia l'integrazione
economica che quella politica appaiono di portata limitata e
inadatte a risolvere il problema dell'integrazione culturale. La
soluzione di tale problema va ricercata secondo queste teorie
nell'unità culturale della società e nel rapporto tra
generale e particolare. Al posto dello scambio economico e della
coercizione politica subentra l'intesa fondata su una ragione
universalmente condivisa. Le origini di questo approccio vanno
ricercate nel grandioso tentativo, fatto da Hegel nei Lineamenti
della filosofia del diritto, di superare la divisione della
società borghese, con la sua pluralità di interessi
particolaristici, attraverso uno Stato che rappresenti l'universale
in quanto è vincolato all'idea della eticità e
indirizzi in questo senso la propria attività normativa.
Nell'idea di eticità Hegel concilia la contrapposizione
postulata da Kant tra la moralità valida universalmente e la
legalità valida solo limitatamente. L'influsso della
filosofia hegeliana si estende dal pensiero marxiano alla teoria
critica di Max Horkheimer e T.W. Adorno (v., 1947) sino alla teoria
dell'agire comunicativo di Jürgen Habermas (v., 1981 e 1992),
che può essere considerata la teoria contemporanea
dell'integrazione culturale più pienamente sviluppata.
Habermas si ricollega alla distinzione operata da David Lockwood
(v., 1964) tra integrazione sociale e integrazione sistemica. Egli
sostiene che la società contemporanea funzionalmente
differenziata è integrata in modo prevalentemente sistemico
attraverso media quali il denaro, il potere politico e il diritto,
ma è caratterizzata da una carenza di integrazione sociale
che solo i processi dell'intesa linguistica consentirebbero di
ottenere. Secondo Habermas l'integrazione sistemica attraverso il
denaro, il potere e il diritto sarebbe addirittura arrivata al punto
di investire le sfere della vita sociale - come la famiglia e la
scuola - in cui si conservavano ancora forme residue di integrazione
sociale. Si giunge così a una colonizzazione del mondo della
vita da parte dei sistemi. Lo sviluppo sociale sfugge interamente al
controllo della riflessione attraverso l'intesa linguistica,
svolgendosi secondo le leggi di sistemi onnipervasivi che non
possono più essere controllati dall'uomo. Nel senso della
teoria marxiana dell'alienazione, i sistemi esercitano sugli uomini
un potere che questi non sanno donde venga né dove porti.
Conformemente alla teoria weberiana dei paradossi della
razionalizzazione della società moderna (v. Weber, 1920), ne
deriva una progressiva perdita di libertà e di significato.
Gli uomini sono sempre più dominati dai sistemi e hanno
sempre meno la possibilità di comprendere il senso
dell'accadere globale. La società moderna secondo la teoria
di Habermas può liberarsi dalle pastoie di un'integrazione
sistemica che si è resa autonoma solo se darà
nuovamente maggior spazio ai processi dell'intesa discorsiva
riconducendo i sistemi sotto il controllo dei processi comunicativi.
La soluzione del problema per Habermas sta dunque in un intreccio di
integrazione sociale e integrazione sistemica (v. Peters, 1993).
6. Integrazione sistemica
Secondo la teoria radicale dell'integrazione sistemica formulata da
Niklas Luhmann (v., 1981, 1984, 1986 e 1988), l'approccio di
Habermas è destinato a fallire in quanto cerca nell'intesa
discorsiva un centro che nella società caratterizzata da una
differenziazione funzionale e non gerarchica come in passato non
può più esistere. Tradotto nella prassi politica, un
tentativo di questo genere può sfociare solo nella
imposizione forzata della prospettiva di un determinato sottosistema
su tutte le altre, nella assolutizzazione del particolare in
universale e in un totalitarismo morale. Nella società
funzionalmente differenziata l'universo di discorso morale si riduce
al modesto rango di un sottosistema differenziato della
società, e i suoi esiti sono validi solo all'interno di tale
sottosistema. Per il sistema economico o per quello politico, che
hanno una propria prospettiva, i giudizi morali sono eventi
dell'ambiente esterno che essi possono percepire e assimilare al
loro interno solo secondo il proprio codice e le proprie regole
operative. I giudizi morali sono rilevanti per il sistema economico
solo dal punto di vista del costo comportato dalla loro
realizzazione, per quello politico solo dal punto di vista della
quantità di voti che la loro realizzazione può
apportare o far perdere. La società moderna ha raggiunto un
livello di differenziazione funzionale tale che i suoi sottosistemi
operano in modo autopoietico, e si autoriproducono quindi
costantemente. Essi raggiungono la massima apertura attraverso la
chiusura. In quanto chiusi dal punto di vista operativo, essi sono
in grado di tollerare un elevato livello di complessità
dell'ambiente assimilando ed elaborando al proprio interno una
complessità altrettanto elevata senza mettere in pericolo la
propria esistenza. L'integrazione della società, la quale si
compone di una molteplicità di sottosistemi autopoietici,
è frutto unicamente di questa concomitanza di chiusura e
apertura reciproche. Ogni sottosistema può accogliere tutto
ciò che viene prodotto dagli altri sottosistemi conservando
nondimeno la propria identità. La società associa
quindi a un'estrema differenziazione sistemica un alto grado di
integrazione reciproca tra i sottosistemi.
Si moltiplicano tuttavia le perplessità suscitate da questa
teoria dell'integrazione sistemica. Particolarmente problematica
appare l'integrazione reciproca tra i sottosistemi. Per risolvere
tale problema Luhmann stesso ricorre al concetto di abbinamento
strutturale, secondo il quale i sottosistemi dovrebbero essere
organizzati in modo da poter operare in un ambiente che sia loro
adatto. In altre parole, viene abbandonata la tesi secondo cui i
sottosistemi possono assimilare qualsivoglia livello di
complessità dell'ambiente; al contrario, per stabilizzarsi
essi hanno bisogno di un ambiente particolare. Il sistema economico
capitalistico, ad esempio, non può esistere senza un diritto
razionale, un'amministrazione affidabile e razionale, una politica
economica razionale, una scienza e una tecnologia razionali
nonché una condotta di vita metodica-razionale che
garantiscano la stabilità di tale sistema nel suo ambiente e
gli forniscano le risorse necessarie; si tratta di una tesi che
peraltro era già stata espressa da Max Weber (v., 1922).
Helmut Willke (v., 1992) si è spinto ancora più in
là introducendo il concetto di controllo decentrato del
contesto. Secondo Willke, nei sottosistemi dovrebbero essere
introdotti elementi discorsivi dell'autoriflessione che consentano
di considerare le conseguenze delle azioni sull'ambiente anche nella
prospettiva di altri sottosistemi, e di interrompere eventualmente
determinate operazioni che producono effetti negativi indesiderati
nell'ambiente dei sottosistemi in questione. All'interno del sistema
economico, ad esempio, dovrebbero essere considerati anche gli
eventuali effetti negativi sul piano morale, politico o ecologico
dell'agire economico, e di conseguenza questo dovrebbe essere
regolato in modo da evitare tali effetti. Mentre in base alle teorie
economiche questa 'interiorizzazione' degli effetti esterni
dell'agire economico razionale può riuscire solo nella misura
in cui tali effetti vengono percepiti dall'agente stesso in termini
di costi, secondo la tesi del controllo decentrato del contesto la
razionalità economica stessa dovrebbe essere limitata nel suo
agire da altre forme di razionalità.Il concetto di
abbinamento strutturale e, in misura ancora maggiore, quello di
controllo decentrato del contesto segnano l'abbandono della teoria
dei sottosistemi autopoietici avvicinandosi a un modello
dell'integrazione già formulato da Talcott Parsons (v.,
1969). In base a questo modello l'integrazione dei sottosistemi
funzionalmente differenziati si realizza nella misura in cui i loro
mezzi di comunicazione specifici trasportano l'input e l'output dei
sottosistemi al di là dei loro confini. Secondo il modello di
integrazione di Parsons, ad esempio, l'istituzione del potere nel
sistema politico è mirata espressamente all'afflusso di
denaro, valori e influenza. Senza entrate fiscali sufficienti, senza
una legittimazione mediante valori universali e senza un'influenza
sociale fondata sulla reputazione, i governanti hanno scarse
possibilità di crearsi dei sostenitori e quindi dispongono di
un potere politico ridotto. Le entrate fiscali, i valori e
l'influenza costituiscono però dei mezzi attraverso i quali
essi possono accrescere il proprio potere. Al fine di realizzare
l'accumulazione di capitale l'economia ha bisogno di potere, di
valori e di influenza per imporre decisioni, per legittimare le
attività economiche e per ottenere la cooperazione tra una
pluralità di individui. La scienza ha bisogno di potere, di
denaro e di valori per realizzare il progresso della conoscenza. Le
classi, gli strati e i gruppi sociali si servono del potere, del
denaro e dei valori per accrescere la propria influenza e ottenere
la solidarietà e la cooperazione. Ciò non significa
che col denaro si possa comprare il potere o la verità; esso
tuttavia è necessario per produrre decisioni politiche o
verità. Le azioni destinate a svolgere una specifica funzione
sistemica per essere efficaci devono mobilitare l'afflusso di
risorse rispettando i criteri specifici dei vari sottosistemi per la
mobilitazione di tali risorse. Le entrate fiscali dello Stato sono
abbondanti solo se l'economia è fiorente, l'attività
del governo può essere legittimata solo nell'ambito del
discorso pubblico, il governo può acquisire influenza solo
creandosi una buona reputazione, le imprese possono legittimare il
proprio agire solo attraverso la partecipazione al discorso
pubblico. Esse sono libere di produrre danni ecologici per
conseguire profitti a breve termine, ma in questo caso devono
rinunciare a far valere come legittime le proprie azioni. Quanto
più il discorso pubblico agisce in questo senso e delegittima
l'economia, tanto più questa perdita di legittimità si
traduce in un'erosione dell'appoggio politico, in un intervento
dello Stato e in un deflusso di capitali, e quindi a lungo termine
in una perdita economica.
Secondo tale modello di integrazione sistemica, lo sviluppo delle
società moderne deve mirare a istituzionalizzare in forme
regolate l'input e l'output tra i diversi sottosistemi. I sistemi
specializzati in determinate funzioni acquistano la propria
unità e la propria identità attraverso codici
specifici quali l'efficienza economica, l'efficienza politica, la
verità scientifica e la solidarietà che supera i
confini dei singoli gruppi. Il processo sistemico si compie nei
ruoli sociali di imprenditori e lavoratori, produttori e
consumatori, eletti ed elettori, docenti e discenti, dirigenti e
membri di un'associazione. Se lo svolgimento del processo sistemico
deve includere un input e un output regolati, è necessario
che la comunicazione tra i rispettivi titolari di ruolo si realizzi
oltre i confini dei singoli sistemi entro canali stabili e regolati
e sia sufficientemente serrata. L'integrazione dei sottosistemi
funzionalmente differenziati si basa sul progressivo sviluppo di
questa comunicazione intersistemica. Tra l'economia, la scienza, la
religione e la politica vi deve essere una comunicazione costante
attraverso i rispettivi titolari di ruolo. Commissioni permanenti,
centri di discussione e associazioni di composizione mista devono
provvedere a tale intercomunicazione. Essa consente di mantenere un
linguaggio comune che non è legato ad alcun sottosistema
particolare, e contribuisce a sviluppare un senso di appartenenza e
di solidarietà che trascende i confini dei singoli sistemi e
gruppi favorendo una cooperazione intersistemica.
In questo modo si viene a creare una integrazione sociale che al di
là di tutte le differenziazioni funzionali garantisce la
coesione e l'unità dei sottosistemi (v. Münch, 1982, pp.
123-143, e 1991, pp. 303-308). Nello stesso tempo si realizza una
compenetrazione reciproca dei sottosistemi grazie alla quale i
rispettivi processi possono essere controllati anche attraverso
elementi che vengono inseriti in essi dall'esterno. All'interno del
sistema funzionale si costituiscono rappresentanti dei sistemi
appartenenti al suo ambiente. Le corti costituzionali, ad esempio,
sono i rappresentanti del discorso culturale all'interno del sistema
politico. Esse sono inserite nel sistema della delega del potere
politico in quanto i loro giudici vengono nominati o eletti da
autorità politiche (governo e/o parlamento), in quanto le
loro decisioni sono prese secondo la volontà della
maggioranza, hanno valore vincolante e in determinati casi vengono
attuate con gli strumenti del potere politico, incluso l'uso della
forza. Nello stesso tempo, però, attraverso il riferimento ai
principî generali e ai diritti fondamentali garantiti dalla
costituzione, il fondamento discorsivo delle decisioni svolge un
ruolo essenziale. Il fatto di rendere pubbliche le opinioni di
dissenso fa sì che il discorso resti aperto nonostante la
decisione della corte. Le opinioni di dissenso possono in seguito
essere riprese e diventare il punto di partenza di una nuova
decisione. Quanto più le corti costituzionali esercitano
attivamente il loro ruolo di controllori del processo politico,
tanto più diventa percepibile l'elemento discorsivo-culturale
inserito nel sistema politico e i processi decisionali si svincolano
da una pura logica di potere. In questo senso il moderno Stato
costituzionale non è affatto un sistema funzionalmente
differenziato che segue esclusivamente la logica politica
dell'acquisizione, della conservazione e dell'esercizio del potere,
ma è già il prodotto di una compenetrazione tra
discorso culturale e logica del potere politico. In modo analogo la
rappresentanza democratica fa sì che la politica sia regolata
dalle leggi dell'acquisizione di influenza attraverso la
reputazione. La partecipazione di determinate associazioni al
processo di formazione delle leggi apporta nel processo politico
ulteriori elementi dell'influenza esercitata sulla base della
reputazione. I comitati di esperti sono i rappresentanti della
ricerca della verità scientifica nel sistema politico. La
politica finanziaria dello Stato rappresenta senza dubbio un
elemento economico all'interno del sistema politico.La politica
concreta quindi è tanto più un prodotto della
compenetrazione tra la logica politica del potere e le regole del
discorso morale e scientifico, dell'acquisizione e dell'esercizio
dell'influenza capace di formare una comunità e della
gestione economica, quanto più le regole non politiche
vengono inserite nel processo politico attraverso rappresentanti. In
questo caso il concreto processo decisionale politico non è
ridotto nei limiti di un sistema funzionale autopoietico, ma diventa
un ambito in cui la logica politica del potere si associa a una
serie di elementi non politici formando una nuova unità. A
questa prospettiva si arriva operando una distinzione logica tra
sistemi 'empirici' e sistemi 'analitici'. Sul piano puramente
analitico la politica è una questione di acquisizione,
conservazione ed esercizio del potere. Sul piano empirico, tuttavia,
essa è pervasa e improntata da elementi non politici,
soprattutto quando questi dispongono di una rappresentanza
saldamente istituzionalizzata nel processo decisionale politico.
Quello che definiamo sistema funzionale politico concreto, allora,
resta pur sempre distinto dagli altri sottosistemi funzionali
empirici, quali l'economia e la scienza, per la sua specializzazione
funzionale nella selezione, imposizione e attuazione di decisioni
collettivamente vincolanti e per la sua relativa struttura di ruolo,
e tuttavia non si tratta di un sistema perfettamente autopoietico,
che opera in base a una mera logica di potere. Lo stesso vale anche
per il moderno sistema economico capitalistico. Le banche centrali
sono dotate di un potere decisionale politico, mentre nel sistema
economico sono presenti influenti rappresentanti politici.
L'attività pubblica delle imprese è inserita in un
discorso pubblico dotato di proprie regole che decide la
legittimazione o delegittimazione delle attività economiche.
La ricerca in campo industriale introduce nel processo decisionale
economico elementi della ricerca della verità scientifica e
della soluzione tecnica dei problemi. La composizione dei conflitti
tra sindacati e imprenditori introduce un elemento politico nel
processo economico.
Le misure dello Stato sociale introducono elementi di
solidarietà nel ciclo economico. Anche nel sistema della
scienza empiricamente dato sono rappresentati elementi non
scientifici: le istituzioni di promozione della ricerca
rappresentano elementi politici, economici e morali nel processo
decisionale scientifico. Nello stesso tempo i rappresentanti
riportano determinati risultati del processo sistemico nel proprio
sistema d'origine. Le decisioni delle corti costituzionali
improntano in misura notevole il discorso culturale nel suo
complesso, le decisioni nell'ambito della politica finanziaria
improntano l'economia, le decisioni della banca centrale la
politica. Come dimostra la vicenda della teoria dei sottosistemi
autopoietici di Luhmann, trascurare la differenza tra sistemi
analitici e sistemi empirici comporta notevoli perdite sul piano
cognitivo. Luhmann (v., 1984, 1986 e 1988) concepisce i sistemi
empirici come totalmente differenziati in senso analitico, e di
conseguenza deve far ricorso a costrutti concettuali ausiliari quali
quello di 'abbinamento sistemico' per adattare a posteriori la
teoria a una realtà diversa. Lo stesso vale, e in misura
ancora maggiore, per la teoria del controllo decentrato del contesto
di Willke (v., 1992). L'integrazione di sottosistemi funzionalmente
differenziati sarebbe un problema irrisolvibile se la società
si componesse effettivamente di sottosistemi autopoietici,
perché l'autopoiesi non consente alcun controllo esterno di
tali sottosistemi. Tale controllo, tuttavia, si verifica nel
processo sistemico empirico attraverso la rappresentanza di elementi
esterni ai sottosistemi. Risolvere il problema dell'integrazione di
sottosistemi funzionalmente differenziati, per contro, è
più facile per una teoria la quale riconosca che i
sottosistemi empiricamente dati sono già il prodotto di
un'interpenetrazione. Qualora si presenti la necessità di
un'ulteriore integrazione, non occorre una trasformazione radicale
della società, ma è sufficiente sviluppare e adattare
a nuove problematiche la rappresentanza reciproca nei sistemi
funzionali empiricamente dati nonché i contatti e la
comunicazione intersistemica.
7. Integrazione solidaristica
Una grave carenza della teoria dell'integrazione sistemica, ma anche
della teoria economica, di quella politica e di quella comunicativa,
è data dal fatto che esse trascurano completamente la
solidarietà e l'appartenenza a determinati gruppi come
elemento essenziale dell'integrazione sociale anche nella
società moderna (v. Hondrich e Koch-Arzberger, 1992). Questo
limite si manifesta attualmente nell'incapacità di tali
teorie di fornire risposte adeguate alla questione etnica e al
problema della nazionalità e del nazionalismo. Per affrontare
in tutta la sua complessità il problema dell'integrazione
delle società moderne occorre far riferimento anche a
elementi di una teoria solidaristica dell'integrazione. Le origini
di tale teoria risalgono alla sociologia di Émile Durkheim,
il quale considerava lo sviluppo della società moderna
soprattutto come un mutamento strutturale della solidarietà.
La concezione di Durkheim risente dell'influsso di Rousseau,
Saint-Simon e Comte. Rousseau, nel Contratto sociale, individuava le
radici di tutti i mali della società nello sviluppo sfrenato
dell'individualismo e del progresso scientifico. La società
è destinata a disgregarsi se non ne viene garantita la
coesione attraverso un nuovo patto sociale dal quale nasce una
comunità di cittadini. Questi regolano tutte le proprie
questioni mediante la loro volontà generale, eliminando in
questo modo tutti i particolarismi di gruppo all'interno della
società civile. Una nuova religione civile crea una fede
comune dotata di una conseguente capacità di integrazione
culturale. Saint-Simon voleva reintrodurre la forza integrativa del
vecchio ordinamento corporativo nella nuova società
industriale, assegnando i ruoli guida ai dirigenti dell'industria.
Il pensiero di Saint-Simon venne sviluppato, nel Corso di filosofia
positiva, da Comte, il quale però poneva gli scienziati al
vertice della società integrata su basi gerarchiche
nell'epoca della scienza positiva.
Fu questo il clima culturale in cui si formò Durkheim (v.,
1893 e 1950), che riprese la teoria della progressiva divisione del
lavoro formulata da Herbert Spencer (v., 1857, 1862 e 1876-1896).
Egli condivideva la tesi di Spencer secondo la quale il passaggio
dalla mera coesistenza di gruppi tribali di eguali alla cooperazione
di categorie professionali diversificate in un'estesa rete di
rapporti di scambio segna un mutamento fondamentale nei rapporti
sociali. La divisione del lavoro riceve ulteriore impulso dalla
crescita della popolazione, che incrementa la densità
materiale e dinamica della società, cosicché un numero
sempre maggiore di individui si trova a competere in uno spazio
limitato per risorse scarse. In questa situazione la
specializzazione del lavoro è l'unica strategia vincente per
la sopravvivenza. Diversamente da Spencer, Durkheim ritiene che la
progressiva divisione del lavoro sia determinata non dai vantaggi
che essa comporta per l'uomo, bensì dalla costrizione esterna
rappresentata dalla concorrenza. Egli individua un mutamento
strutturale di fondo nel passaggio dalla solidarietà
meccanica a quella organica. Durkheim arriva così a formulare
una tipologia analoga a quella definita pochi anni prima da
Tönnies (v., 1887) con la distinzione tra Gemeinschaft e
Gesellschaft nell'opera così intitolata, che Durkheim stesso
analizzò in una recensione (v. Durkheim, 1889). Tuttavia
Tönnies e Durkheim usano in senso opposto i concetti di
'meccanico' e 'organico'. Per Tönnies la comunità - che
corrisponde al tipo durkheimiano della solidarietà meccanica
- è una totalità organica dotata di vita propria,
mentre la società - che per Durkheim si avvicina al tipo
della solidarietà organica - è una unione meccanica di
parti che hanno una molteplicità di rapporti reciproci senza
peraltro costituire una unità vera e propria. Questa
diversità tra le due concezioni indica come Durkheim assai
più di Tönnies attribuisse alla moderna società
basata sulla divisione del lavoro una capacità di
integrazione sociale.
La solidarietà 'meccanica' delle società primitive si
basa sulla omogeneità, sulla vicinanza, sulla comunanza di
vita e di rituali e su un diritto repressivo. La solidarietà
'organica' della società basata sulla divisione del lavoro si
fonda sulla differenziazione, sulla dipendenza reciproca e su un
diritto restitutivo. In contrasto con Spencer, tuttavia, Durkheim
non credeva che la coesione della società fosse assicurata
unicamente dalla complementarità di interessi tra i partners
degli scambi e da una molteplicità di contratti. Contro
l'utilitarismo di Spencer, egli sostiene che i contratti non hanno
alcuna validità se i contraenti non sono uniti da profondi
vincoli di solidarietà e non sono obbligati al rispetto dei
contratti. La solidarietà contrattuale si basa sui fondamenti
non contrattuali del contratto, ossia sui vincoli di
solidarietà che trascendono la momentanea
complementarità di interessi nell'atto dello scambio, e
trascendono le stesse parti contraenti. Queste possono fidarsi solo
in quanto membri di una comunità giuridica dotata di un
diritto contrattuale comune, la cui validità è
garantita da tutta la comunità e il cui rispetto in caso di
violazione viene imposto da autorità giuridiche all'uopo
designate. Solo così l'integrazione sociale fondata sui
contratti resta indipendente da un calcolo contingente della
convenienza a rispettare o meno gli accordi contrattuali.
In una moderna società basata sulla divisione del lavoro,
oltre alla complementarità di interessi delle parti
contraenti sono necessari rapporti di solidarietà efficaci e
duraturi. Nella sezione conclusiva della Divisione del lavoro
sociale Durkheim dimostra che questa rete di rapporti solidaristici
non nasce solo dallo scambio di mercato. Se la divisione del lavoro
non è accompagnata dallo sviluppo di nuovi rapporti di
solidarietà, essa diventa coercitiva oppure anomica, ossia
priva di regole. Nella prefazione alla seconda edizione dell'opera
Durkheim introduce a questo riguardo una teoria dei gruppi
professionali. Questi dovrebbero assolvere in forma nuova quella
funzione di regolamentazione degli scambi economici svolta nel
Medioevo dalle corporazioni. La famiglia è un'unità
troppo limitata e particolaristica, lo Stato troppo vasto e lontano,
la religione non abbastanza forte per assicurare l'integrazione
dell'individuo nella società. I gruppi professionali invece
sono ancora abbastanza vicini all'individuo, e a loro volta
pienamente integrati nel sistema della divisione del lavoro, per
poter assolvere efficacemente questa funzione di integrazione. La
cooperazione dei gruppi professionali nella regolamentazione
dell'economia e la loro partecipazione al processo decisionale
politico dovrebbero assicurare l'integrazione della società
basata sulla divisione del lavoro. In questo modo Durkheim, come
già avevano fatto Saint-Simon e Comte, ripropone certe
caratteristiche dell'ordinamento corporativo senza dubbio
anacronistiche e inadeguate al mutamento dinamico della
società moderna. Non è invece priva di fondamento
l'idea che le organizzazioni professionali, le associazioni, le
Chiese e le libere unioni di qualunque tipo assumano un ruolo
fondamentale nella costituzione di rapporti di solidarietà
nella società moderna. Esse sostituiscono le vecchie
organizzazioni corporative e rispecchiano nel loro pluralismo
l'accresciuta complessità delle società moderne.
Queste nuove associazioni sono trasversali rispetto alle primitive
solidarietà d'origine della famiglia, dei sistemi parentali e
dei gruppi etnici, e, parzialmente, anche rispetto ai gruppi
corporativi tradizionali. Man mano che cresce il loro peso nella
società, recedono in secondo piano le forme primordiali e
tradizionali di solidarietà. I gruppi professionali
costituiscono l'infrastruttura associativa di una libera
società civile basata su eguali diritti per tutti,
indipendentemente dalle origini. Solo lo sviluppo di una vita
associativa di questo tipo consente alla società moderna di
superare il particolarismo delle forme di solidarietà
primordiali e tradizionali, rimpiazzandole con l'universalismo
dell'eguaglianza di diritti senza peraltro cadere nella
disintegrazione di un individualismo concorrenziale senza regole.
Max Weber (v., 1923, pp. 303-304) interpretava tale processo come il
superamento della differenziazione originaria tra morale interna ed
esterna dei singoli gruppi, sostituita dall'etica unitaria e
universalmente valida di individui autoresponsabili. Senza un'etica
di questo tipo, che investe sia la vita familiare che quella
sociale, secondo Weber sarebbe impensabile l'attività
economica ordinata e regolata del capitalismo moderno. È
stato il protestantesimo a creare i presupposti essenziali per
l'affermarsi di questa etica universale. La nascita del capitalismo
moderno si può comprendere solo se si riconosce la funzione
integrativa del suo ordinamento etico e giuridico.La moderna
società civile si trova ad affrontare il difficile compito di
superare sia il conflitto tra i gruppi originari e tradizionali sia
il conflitto tra gli individui. L'unico mezzo per contrastare queste
tendenze è lo sviluppo di una libera vita associativa capace
di unire gli uomini al di là dei confini dei singoli gruppi.
Quando le associazioni stesse diventano gruppi di interesse devono
essere sostituite nuovamente da altre associazioni che trascendano
interessi specifici.
La teoria della integrazione solidaristica della società
delineata da Durkheim è stata sviluppata in particolar modo
da Talcott Parsons (v., 1937, 1966, 1967, 1971 e 1977). Il suo
studio sul sistema delle società moderne pone al centro
dell'analisi il mutamento strutturale della 'comunità
sociale'. Ciò che caratterizza la società moderna non
è la scomparsa totale di tale comunità sociale a
seguito della differenziazione di sistemi funzionali, bensì
lo sviluppo concomitante di una libera società civile che
costituisce il nucleo solidale di una società altamente
differenziata e pluralistica. La capacità integrativa della
comunità sociale costituisce per Parsons una caratteristica
fondamentale delle società altamente sviluppate. In
Inghilterra, Thomas H. Marshall (v., 1964) ha dato un importante
contributo allo studio del processo di integrazione attraverso lo
sviluppo progressivo dei diritti civili, politici e sociali.
Negli Stati Uniti, Robert N. Bellah, allievo di Talcott Parsons, in
collaborazione con Richard Madsen, William M. Sullivan, Ann Swidler
e Steven M. Tipton ha pubblicato importanti studi sulla
disgregazione della società civile determinata da un
eccessivo individualismo nonché sulle possibilità di
una sua rinascita (v. Bellah e altri, 1985 e 1991), dando un
contributo essenziale alla nascita del movimento intellettuale del
comunitarismo, che vede nel rinnovamento della società civile
il fulcro dell'integrazione della società moderna. Altri
significativi contributi a questo movimento si devono a Michael
Walzer (v., 1990), Charles Taylor (v., 1985) e Alasdair MacIntyre
(v., 1981).
Lo sviluppo della moderna società civile è
direttamente connesso alla nascita del moderno Stato nazionale. La
capacità di integrazione dello Stato nazionale non dovrebbe
essere sottovalutata, e a una considerazione imparziale risulta
evidente che esso ha contribuito a integrare in un'unità
nazionale regioni e gruppi etnici, religiosi, linguistici e
corporativi prima divisi. Per quanto riguarda l'analisi sociologica
di questo processo di integrazione si può far riferimento
alle teorie del conflitto elaborate da Georg Simmel (v., 1908),
Lewis A. Coser (v., 1956), Norbert Elias (v., 1939) e Reinhard
Bendix (v., 1964). All'integrazione del moderno Stato nazionale
hanno contribuito sia le guerre esterne con gli altri Stati sia i
processi interni di omogeneizzazione, integrazione e ricomposizione
dei conflitti. Dai conflitti armati sono nate nell'Europa moderna
strutture di potere più ampie, che hanno costituito il nucleo
politico degli Stati nazionali. La democratizzazione di queste
strutture di potere ha determinato la loro omogeneizzazione interna
e l'integrazione di regioni, classi e strati sociali in una nazione.
Tale processo di omogeneizzazione interna è stato
ulteriormente sviluppato da un diritto e da una lingua ufficiale
unitaria, da un'amministrazione centralizzata, da un sistema
educativo unitario che prevede l'istruzione obbligatoria e dalla
progressiva divisione del lavoro. In questo modo la coesistenza di
unità regionali ha lasciato il posto alla differenziazione e
all'intreccio tra centro e periferia. Lo sviluppo dei sistemi di
perequazione finanziaria regionale e di misure sociali ha mitigato
il conflitto tra regioni, classi e strati sociali rafforzando
l'unità nazionale. Non va dimenticato peraltro che la
formazione di un'unità nazionale era legata alla
colonizzazione di regioni, etnie, lingue e forme di vita periferiche
da parte di regioni, etnie, lingue e forme di vita del centro. I
movimenti separatistici nei Paesi Baschi e in Catalogna,
nonché nell'Irlanda del Nord ne sono ancor oggi una
testimonianza. Anche in Francia l'omogeneizzazione nazionale ha
comportato il dominio del centro rappresentato da Parigi sulla
periferia costituita da regioni originariamente differenziate per
lingua e cultura.
Là dove la nazione scaturita dalla rivoluzione democratica ha
assunto il carattere di una comunione di volontà
indipendentemente dall'origine e dagli altri legami di appartenenza
degli individui, come in Francia e in maniera meno clamorosa anche
in Inghilterra e negli Stati Uniti, essa è diventata
l'espressione della comunità civile. Quest'ultima costituisce
la migliore garanzia dell'integrazione sociale in una società
altamente differenziata e pluralistica anche sul piano etnico come
quella moderna. La comunità civile più avanzata
è quella degli Stati Uniti, dove l'appartenenza a tale
comunità è del tutto indipendente dall'origine degli
individui che la compongono. Anche qui però la realtà
è sempre in ritardo rispetto alle idee. Ci sono voluti quasi
180 anni dalla fondazione degli Stati Uniti perché ai neri
fossero riconosciuti formalmente diritti civili a pieno titolo, e un
tempo ancora più lungo per il pieno riconoscimento materiale
di tali diritti. Ciononostante la società statunitense, che
pure ha un'altissima percentuale di immigrati e di cittadini
naturalizzati, è caratterizzata da un livello di integrazione
straordinariamente elevato a paragone di quello delle altre nazioni.
Si tratta di una società che è riuscita a integrare
un'estrema eterogeneità etnica in una comunità
civile.Un tipo completamente diverso di nazione come comunione di
volontà è rappresentato dalla Svizzera. Qui la
comunità dei singoli cittadini si interseca con l'alleanza di
gruppi linguistici regionali. Gli svizzeri sono membri della nazione
sia come singoli individui che come appartenenti a uno dei gruppi
linguistici regionali riconosciuti. La coesione della nazione
è assicurata da un lato dalla reciproca tutela contro
l'assorbimento dei gruppi regionali da parte dei grandi Stati
nazionali confinanti, dall'altra dalle molteplici intersezioni dei
legami di appartenenza, oltre che da un alto grado di tutela
reciproca dell'autonomia e dei diritti di partecipazione alle
decisioni politiche collettive, che nella maggior parte dei casi
possono essere adottate solo sulla base di un ampio consenso. La
Svizzera rappresenta il tipo ideale di uno Stato nazionale integrato
e di una democrazia basata sul consenso (v. Francis, 1965; v.
Lepsius, 1990 e 1991; v. Lehmbruch, 1967 e 1974; v. Lijphart, 1969).
Il caso del Libano per contro esemplifica le conseguenze esplosive
della convivenza di una pluralità di etnie e/o gruppi
religiosi in uno Stato.
Gravi problemi di integrazione sorgono oggi anche a causa della
crescente immigrazione che si registra in Stati nazionali un tempo
omogenei. Quando l'identità nazionale di questi ultimi non si
fonda su una libera comunione di volontà ma sull'appartenenza
etnica e culturale, l'integrazione degli immigrati è un
problema difficilmente risolvibile. Nell'Ottocento la Germania e
l'Italia intrapresero la strada dell'unificazione nazionale sulla
base di una comunanza di origini etniche e culturali. Sinora i due
paesi hanno risolto il problema dell'immigrazione, che in Germania
ha avuto un incremento particolarmente sensibile, preferendo alla
strada dell'integrazione quella della separazione. I conflitti,
tuttavia, hanno assunto proporzioni minacciose. In queste condizioni
l'integrazione può riuscire solo se da parte degli autoctoni
vi sarà una ridefinizione della comunità in termini di
comunione di volontà anziché di origini etniche e
culturali, e se dal canto loro gli immigrati si adegueranno alla
forma di vita della società borghese-democratica.
L'integrazione sociale di gruppi etnici eterogenei si rivela
particolarmente difficile nell'Europa dell'Est, dove inestricabili
mescolanze di etnie diverse ostacolano la formazione di una
identità nazionale unitaria e dove nemmeno lo sviluppo di una
società civile individualistica è in grado di spezzare
le identità etniche. Ora come prima gli uomini si
identificano soprattutto con il proprio gruppo etnico e rivendicano
per esso il diritto all'autodeterminazione nazionale, ma data la
mescolanza etnica in molte regioni è assolutamente
impossibile creare degli Stati nazionali su basi puramente etniche.
Qui il bel principio dell'autodeterminazione è diventato una
pericolosa polveriera. I conflitti etnici, repressi per decenni dal
dominio comunista, sono riesplosi in tutta la loro violenza con la
democratizzazione e la libertà di autodeterminazione. Una
situazione analoga si ha in molti paesi in via di sviluppo
dell'Africa e dell'Asia, che dopo la fine del dominio coloniale
hanno avuto poche possibilità di intraprendere la strada
dell'unità nazionale e della costituzione di una
comunità civile percorsa a suo tempo dalle democrazie dei
paesi sviluppati occidentali. Nei paesi del Terzo Mondo la scarsa
integrazione sociale è una delle cause principali del loro
sottosviluppo. Il capitalismo e la democrazia non hanno apportato il
progresso sperato, ma conflitti sanguinosi tra etnie nemiche.
8. Integrazione sociale e integrazione sistemica nel sistema
internazionale
Nell'attuale sistema internazionale si delinea la costituzione di
nuove unità sociali che superano i confini degli Stati
nazionali. La Comunità Europea è diventata una
più ampia unità sociale sia a seguito della
costituzione del mercato comune, sia a seguito della concorrenza
sempre più aspra con gli Stati Uniti e il Giappone nel centro
tripolare del sistema internazionale. Resta da vedere se, seguendo
l'esempio degli Stati nazionali, essa riuscirà a raggiungere
in modo analogo e in eguale misura oltre all'integrazione sistemica
di tipo economico anche la necessaria integrazione sociale di una
comunità civile europea. Anche a questo livello di sviluppo
la differenziazione funzionale e l'integrazione sistemica non
rendono affatto superflua l'integrazione sociale. Le società
moderne, indipendentemente dalle loro dimensioni, non sono
costituite solo da sottosistemi funzionalmente differenziati, ma
anche da gruppi sociali che occorre integrare in una comunità
civile solidale. La teoria sistemica e la teoria comunicativa
sembrano aver fatto dimenticare per qualche tempo questo fatto.