Formazioni economico-sociali
di Luciano Gallino
www.treccani.it
Enciclopedia delle scienze sociali (1994)
Sommario: 1. Significato, origini ed evoluzione del concetto di
formazione economico-sociale. 2. Ridefinizione del concetto di
formazione economico-sociale come insieme coerente di modi di
organizzare le specie fondamentali d'azione sociale. 3. Principali
varietà dei modi di organizzare la produzione e
l'attività politica. 4. I differenti modi di organizzare la
riproduzione socioculturale e la riproduzione biopsichica. 5.
Pluralità di formazioni economico-sociali presenti in ogni
società. 6. Le formazioni economico-sociali presenti nelle
società contemporanee. 7. Conflitto e cooperazione tra
formazioni economico-sociali. □ Bibliografia.
SIGNIFICATO, ORIGINI ED EVOLUZIONE DEL CONCETTO DI FORMAZIONE
ECONOMICO-SOCIALE
Al concetto di 'formazione economico-sociale' è sotteso fin
dalle origini, quali si rintracciano nell'opera di Karl Marx, un
duplice intento (benché, come si dirà, non il solo):
costruire una tipologia, una sistematica di tipi di società
in cui sia possibile far rientrare il maggior numero di casi storici
reali; e inoltre scoprire le leggi che provocano il passaggio d'una
società, nel quadro di tale sistematica, da un tipo
all'altro. Ciò significa, all'evidenza, proporsi nulla meno
che elaborare una teoria generale della storia. Ambizione innumeri
volte denunciata come smodata - e non dai critici minori di Marx -,
che pone la teoria della società (per la quale useremo talora
per sinonimo 'macrosociologia') dinanzi a un bivio ingrato. Di fatto
ignorare o ripudiare totalmente un simile intento equivarrebbe a
ridurre il concetto di formazione economico-sociale, di certo uno
dei più potenti mai costruiti dal pensiero sociale, allo
stato di mero reperto della storia di tale pensiero, del tutto
inutilizzabile per la scienza sociale contemporanea. D'altra parte
le indagini sociologiche compiute su di esso, gli sviluppi della
ricerca storica, non meno che la storia contemporanea, sino agli
eventi susseguitisi nell'Est europeo a partire dal 1989, mostrano
che un simile intento non può più venir perseguito
lungo le linee originarie. Troppe sono le società del passato
e del presente non suscettibili di venir ricondotte alla tipologia
marxiana, mentre l'inedito passaggio dal socialismo al capitalismo,
avvenuto nelle società dell'Europa orientale, è stato
un vulnus empirico d'estrema gravità per una teoria costruita
al fine di dimostrare la inevitabilità del suo contrario.
Ciò premesso, l'approccio qui seguito consiste nel trattare
il concetto di formazione economico-sociale come un abbozzo,
un'ipotesi in divenire, un edificio teorico che presenta innumeri
elementi provvisori, contraddittori e disparati; ma che per la
potenziale fecondità dei suoi apporti alla teoria
macrosociologica, alla teoria della società, merita che
attorno a esso si continui a lavorare.
Quanto alle origini, la definizione più esplicita di
formazione economico-sociale si trova nella prefazione d'un testo
marxiano del 1859, Per la critica dell'economia politica: "Nella
produzione sociale della loro esistenza, gli uomini entrano in
rapporti determinati, necessari, indipendenti dalla loro
volontà, in rapporti di produzione che corrispondono a un
determinato grado di sviluppo delle loro forze produttive materiali.
L'insieme di questi rapporti di produzione costituisce la struttura
economica della società, ossia la base reale sulla quale si
eleva una sovrastruttura giuridica e politica e alla quale
corrispondono forme determinate della coscienza sociale. Il modo di
produzione della vita materiale condiziona, in generale, il processo
sociale, politico e spirituale della vita [...]. A un dato punto del
loro sviluppo, le forze produttive materiali della società
entrano in contraddizione con i rapporti di produzione esistenti,
cioè con i rapporti di proprietà (che ne sono soltanto
l'espressione giuridica) dentro i quali tali forze per l'innanzi
s'erano mosse. E allora subentra un'epoca di rivoluzione sociale.
Con il cambiamento della base economica si sconvolge più o
meno rapidamente tutta la gigantesca sovrastruttura [...]. A grandi
linee, i modi di produzione asiatico, antico, feudale e borghese
possono essere designati come epoche che marcano il progresso della
formazione economica della società" (v. Marx, 1859; tr. it.,
pp. 10-11).
Si noti, nel brano citato, che 'formazione economica della
società' è una versione più fedele
dell'originale ökonomische Gesellschaftsformation che non
l'espressione 'formazione economico-sociale'; ma questa e non quella
si è affermata in quasi tutti i lavori italiani dedicati a
tale concetto.
Tra gli studiosi marxisti della prima generazione il concetto di
formazione economico-sociale quale rappresentazione d'un tipo di
società storicamente determinato, totalità organica di
rapporti economici, politici e giuridici, e di forme di cultura e di
coscienza sociale a essi corrispondenti, non ebbe in verità
largo corso. Il dibattito fu piuttosto incentrato sulla definizione
dei singoli blocchi costitutivi d'una formazione economico-sociale,
ossia su che cosa si dovesse realmente intendere per 'base
economica', 'rapporti di produzione', 'forze produttive',
'sovrastruttura', e su quali elementi economici o tecnologici,
giuridici, sociali o culturali fosse corretto includere in ciascuno
di essi. Fu Lenin, in un articolo del 1894, a insistere
sull'importanza per la sociologia del concetto globale di formazione
economico-sociale: il solo capace, a suo dire, di elevare tale
disciplina al livello di una vera scienza, ponendola finalmente in
grado di rappresentare l'evoluzione delle società umane come
un processo storico naturale (v. Lenin, 1894). La letteratura
ufficiale sovietica, e con essa quella dei paesi caduti sotto il
controllo dell'URSS tra il 1945 e il 1989 (con la parziale eccezione
della Polonia, dove la presenza di importanti scuole sociologiche,
storiche e metodologiche portò a opporre maggior resistenza
al dogmatismo), ha in effetti riproposto innumerevoli volte, in
opere sempre più estese, ma con innovazioni puramente
marginali, non altro che la definizione di formazione
economicosociale introdotta dalla citata Prefazione marxiana e dalla
sua interpretazione leniniana del 1894.
Più critica, e sicuramente più efficace al fine di
assicurare sino ai nostri giorni la sopravvivenza scientifica del
concetto di formazione economico-sociale, è stata la
discussione intervenuta nel campo marxista d'Occidente. Essa si
è particolarmente giovata tanto d'una rivisitazione
teorico-metodologica delle opere 'storiche' di Marx (attributo
peraltro non felice se riferito a un autore in cui, come nota P.
Vilar, la storia è trama e ordito d'ogni suo testo), quanto,
in epoca più tarda, della pubblicazione (avvenuta soltanto
nel 1939) dei Grundrisse, i quaderni preparatori del Capitale.
Austriaci eterodossi, se non anzi revisionisti, come Karl Kautsky;
comunisti italiani, da Antonio Gramsci a Rodolfo Mondolfo, a Cesare
Luporini; marxisti francesi, quali Charles Bettelheim, Maurice
Godelier, Louis Althusser, hanno gradualmente introdotto nuove
flessibilità nella definizione di formazione
economico-sociale alquanto meccanica della vulgata sovietica, dei
suoi elementi costitutivi, delle leggi che li collegano.
In tale contesto pregno di autonome letture hegeliane, premessa
d'una accezione della dialettica rimessa sì sui piedi, ma non
priva di testa, il primato di già inflessibile delle forze
produttive venne gradualmente circoscritto, sottolineando che il
bisogno economico che ne sospinge lo sviluppo "non è
separabile - con le parole di Mondolfo - dal suo oggetto, l'uomo, in
cui tutte le esigenze, tendenze e manifestazioni della vita si
unificano in inscindibile rapporto di azioni e reazioni" (v.
Mondolfo, 1968, p. 225). Alla nozione di sovrastruttura come mero
rispecchiamento dei rapporti di produzione quale prospettava il
Diamat, la versione del materialismo dialettico codificata
dall'Accademia delle Scienze dell'URSS, si oppose e anzi antepose,
stando alle date, la concezione gramsciana che, criticando Croce,
non vuol staccare "la struttura dalle superstrutture", ma "invece
concepisce il loro sviluppo come intimamente connesso e
necessariamente interrelativo e reciproco" (v. Gramsci, 1975, p.
1300). Quanto al processo di transizione da una formazione
economico-sociale alla successiva, lungi dall'essere tenuto per
definitivamente spiegato nell'opera di Marx, fu dimostrato che esso
sbocca in una miriade di problemi aperti, posta l'estrema
difficoltà di conciliare, sulla base dei frammenti sparsi in
tale opera, le leggi di funzionamento d'una formazione
economico-sociale, cioè le sue leggi strutturali, con le
leggi della sua genesi (cfr. E. Balibar, in Althusser e altri,
1965).
Simili problematizzazioni del concetto di formazione
economico-sociale, oltre a ristabilire il suo carattere di
costruzione aperta, di cui nessuna versione del marxismo può
dire di possedere il piano autentico, hanno posto in luce l'esigenza
d'integrare la ricerca storica con ricerche sociologiche ed
economiche, non necessariamente ancorate al materialismo dialettico,
al fine di addivenire a una teoria comprensiva delle società
contemporanee (v. Topolski, 1973). Pare pertanto lecito asserire che
tali sviluppi, nell'insieme, abbiano posto le premesse per un
recupero del concetto di formazione economico-sociale in differenti
ambiti teorici i quali, pur non ignorandone gli intenti originari,
siano ampiamente svincolati da ipoteche metodologiche e ideologiche
discendenti dall'una o dall'altra scuola del pensiero marxista.
2. RIDEFINIZIONE DEL CONCETTO DI FORMAZIONE ECONOMICO-SOCIALE COME
INSIEME COERENTE DI MODI DI ORGANIZZARE LE SPECIE FONDAMENTALI
D'AZIONE SOCIALE
Nella prospettiva di una teoria macrosociologica delle
società contemporanee, cui l'esposizione verrà qui per
necessità circoscritta, una formazione economico-sociale
può essere a questo punto provvisoriamente ridefinita come un
insieme di modi di organizzare i tipi fondamentali d'azione sociale
- detti fondamentali perché tutti necessari ad assicurare la
vita d'una società - funzionalmente coerenti tra di loro.
Definizione che si preciserà e articolerà nel
prosieguo del testo, ma che obbliga a stabilire innanzitutto che
cosa si intenda per 'modo di organizzare' un determinato tipo
d'azione sociale, e quali siano le sue specie fondamentali.
Tra i presupposti impliciti del concetto originario di formazione
economico-sociale v'è il criterio 'prima di tutto occorre
sopravvivere'. Sulla base di tale criterio, tra le principali specie
d'azione e di relazione sociale osservabili in una società il
primato venne assegnato, da Marx e dai marxisti, pur con
innumerevoli cautele e qualificazioni (sintetizzate nel continuo
ricorso all'espressione 'in ultima analisi'), alle azioni e alle
relazioni economiche. Che una società non sopravviva se non
produce gli alimenti, il vestiario, le case necessarie a chi la
popola è condizione ch'è sempre stato arduo negare,
non che per il materialismo storico, perfino per il suo opposto,
l'idealismo storico (v. Muhs, 1956). Ciò ammesso, sembra
parimenti innegabile che la medesima società difficilmente
sopravviverà ove non riesca a riprodurre con
regolarità, mediante procreazione o immigrazione, la propria
popolazione, o gli individui che ne fan parte siano di continuo
sottoposti a tensioni psichiche insopportabili. Ancora, una
società non sopravvive nemmeno se non arriva a mantenere
entro limiti accettabili i conflitti d'interesse, di motivazione, di
cultura, tra i differenti gruppi, strati, classi, comunità,
etnie che la compongono; ovvero, in positivo, se non riesce a
realizzare e mantenere un grado adeguato di cooperazione tra la
maggior parte di queste collettività.
Un'ultima funzione che deve comunque essere svolta per assicurare la
sopravvivenza d'una società è la trasmissione di
informazioni tra i suoi membri, e della cultura da una generazione
all'altra. Se non si riesce a far sapere in tempo utile ciò
che succede in un punto della società ad altri punti; se i
figli non imparano a comunicare, a lavorare, a cooperare tra loro
come fecero i loro genitori, il declino o la scomparsa d'una
società sono inevitabili. In sintesi, entro una
società non esiste soltanto il bisogno di economia; esiste
anche il bisogno di riproduzione biopsichica, il bisogno di
politica, e il bisogno di riproduzione socioculturale, nell'ordine
casuale in cui sono stati sin qui richiamati. La storia mostra che
le azioni individuali e collettive orientate a soddisfare
regolarmente tali insiemi di bisogni d'una qualsiasi società
sono suscettibili di venir organizzate in molti modi differenti; in
altri termini, ogni tipo d'azione può venire svolto con
modalità strutturalmente diverse, pur perseguendo scopi
analoghi, così come sono diverse le relazioni che vengono a
stabilirsi tra le azioni stesse e tra gli individui che le compiono.
Di epoca in epoca, di società in società, si osservano
pertanto modi differenti di organizzare la produzione economica, la
politica, la riproduzione socioculturale e la riproduzione
biopsichica. Organizzare significa essenzialmente decidere in quale
maniera, e su quali basi, sono distribuiti tra individui e
collettività di vario genere il controllo e la trasformazione
delle risorse di caso in caso pertinenti per soddisfare i
fondamentali bisogni sociali in questione. Controllare una risorsa
equivale a poter disporre di essa - soprattutto della sua
destinazione, modalità di utilizzo, collocazione - entro
limiti più o meno ampi, socialmente definiti. Trasformare una
risorsa vuol dire invece intervenire su di essa con mezzi naturali o
artificiali per modificarne o regolarne gli stati, ovvero i
parametri quantitativi e qualitativi. Il lavoro è una tipica
attività di trasformazione di risorse, ma non la sola, salvo
procedere a una generalizzazione insostenibile del concetto di
lavoro.
Anche le risorse, per quanto grandi siano le loro differenze
concrete, sono riconducibili da un punto di vista analitico a poche
classi. Per soddisfare il bisogno di economia come il bisogno di
politica d'una società, il bisogno di riproduzione
biopsichica come il bisogno di riproduzione socioculturale, è
necessario di volta in volta disporre di energia (umana e non), di
spazio fisico, di informazioni, di tecnologia; nonché d'un
mezzo di scambio utilizzabile per tramutare rapidamente, quando e
dove sia utile, determinate quantità d'una risorsa in una
certa quantità di altre risorse - un 'equivalente universale'
che storicamente ha assunto veste di denaro. Queste risorse
generiche prenderanno quindi forma specifica, in relazione al grado
di sviluppo d'una società, di forza lavoro, terra, dati
economici, mezzi di produzione, capitali finanziari per quanto
attiene all'economia; di aule parlamentari, apparati burocratici,
sezioni di partito, consenso elettorale, mezzi di comunicazione di
massa per quanto concerne la politica; insegnanti e scuole,
quotidiani e centri di ricerca, biblioteche e beni culturali se ci
si riferisce alla riproduzione socioculturale; di famiglie e
abitazioni, asili nido e comunità alloggio, ospedali e centri
d'assistenza sociale, medici e psicologi in ordine alla riproduzione
biopsichica.
Assumendo come riferimento un campione sufficientemente esteso nello
spazio e nel tempo di gruppi organizzati, si osserva che il
controllo su quantità più o meno grandi d'un dato tipo
di risorsa è accentrato, entro certi gruppi, in pochi ruoli,
laddove in altri gruppi il controllo è distribuito tra molti
ruoli. Inoltre, a uno stesso ruolo viene talora affidato il
controllo su insiemi compositi di risorse; in altri casi per ogni
risorsa si strutturano ruoli specializzati. A sua volta la
trasformazione d'un dato tipo di risorsa disponibile per un gruppo
risulta, a un estremo, affidata a un singolo ruolo, mentre
all'estremo opposto appare suddivisa tra un gran numero di ruoli
differenti entro lo stesso gruppo. Si osservano anche ruoli sociali
che trasformano parecchi tipi di risorse, e ruoli specializzati nel
trattare un solo tipo di esse.
Di gruppo in gruppo, la base su cui avviene simile suddivisione, tra
diversi ruoli e posizioni sociali, del controllo e della
trasformazione delle risorse di cui un gruppo dispone appare quanto
mai varia: comprende infatti investiture divine e colpi di Stato,
vittorie o sconfitte militari, capacità professionali e norme
istituzionali, forme di contratto e di scambio, atti di imperio e
meccanismi elettivi. Benché diversissime tra loro, le basi
della divisione e assegnazione delle attività di controllo e
trasformazione si distribuiscono lungo un continuum che va da un
massimo di accentramento (un solo individuo decide tra quali membri
della popolazione, nonché come, quando, dove le
attività di controllo e trasformazione sono distribuite) a un
massimo di decentramento (tutta la popolazione interviene nel
decidere tale suddivisione). A questo riguardo la teoria delle
formazioni economico-sociali non prevede un caso trattato invece
dalla teoria politica, quello di un sistema - economico, politico, o
altro - completamente acentrato, ossia privo di basi per la
divisione del controllo e della trasformazione tra i suoi membri. Al
di là della varietà delle basi su cui poggia la
divisione del controllo e della trasformazione tra i componenti
d'una società, in qualunque punto del predetto continuum
opera un solo processo: maggiore la quantità di risorse
controllate da un individuo o da un gruppo, e maggiore la
possibilità di acquisire il controllo di quantità
addizionali di risorse.
Sebbene sia oneroso per l'esposizione, e non sempre possibile per
ragioni di spazio, l'effettiva divisione delle attività di
controllo e trasformazione entro una popolazione, da un lato, e le
basi di simile suddivisione, dall'altro, vanno sempre tenute
concettualmente distinte ai fini della presente analisi; ragione non
ultima essendo che la correlazione tra le due dimensioni, che in
superficie potrebbe apparire ovvia (a chi mai un despota giunto al
potere con la violenza penserebbe di assegnare il controllo sulle
ricchezze della nazione, se non a se stesso?), è in
realtà assai debole. Il presidente degli Stati Uniti detiene
un grande potere, e il pontefice della Chiesa cattolica esercita una
immensa influenza, dando così corpo a due forme di controllo
marcatamente accentrato su risorse materiali (specie nel primo caso)
e simboliche (specie nel secondo); ma tanto il potere del primo
quanto l'influenza del secondo hanno alla base un diffuso consenso
popolare, correlato qui a credenze religiose, là a una
costituzione democratica e ai connessi meccanismi elettivi.
Alla divisione e alla correlativa distribuzione su determinate basi,
tra ruoli, soggetti, gruppi differenti, delle attività di
controllo e trasformazione di tipi e quantità variabili di
risorse societarie - economiche, politiche, culturali, umane - va
aggiunta, tra i criteri che distinguono le diverse modalità
storiche di organizzare la soddisfazione dei bisogni fondamentali
d'una società, la differenziazione osservabile nei rapporti
tra i rispettivi gruppi di attività. In una comunità
primitiva essa è minima: produzione economica e regolazione
dei conflitti sociali, riproduzione socioculturale e riproduzione
biopsichica sono strettamente intrecciate, in specie nel gruppo
familiare. Per contro, in una società industriale la
differenziazione di codeste attività è avanzatissima:
l'attività economica e l'attività politica, al pari
dei due tipi di riproduzione, sono svolte da ruoli e organizzazioni
nettamente distinti, quali che siano i rapporti di scambio che si
stabiliscono tra le due.
3. PRINCIPALI VARIETÀ DEI MODI DI ORGANIZZARE LA PRODUZIONE E
L'ATTIVITÀ POLITICA
I principali modi sinora affermatisi nella storia delle
società umane di produrre beni e servizi; di strutturare
l'attività di regolazione dei conflitti e il perseguimento di
scopi collettivi in cui consiste - anche in assenza di Stato - la
politica; di organizzare la riproduzione della memoria sociale;
infine di regolare la riproduzione d'una popolazione sotto il
profilo biopsichico, sono altrettante combinazioni specifiche di
divisione delle azioni di controllo e di trasformazione delle
risorse societarie, di basi su cui tale divisione si fonda, e di
differenziazione strutturale tra i sistemi sociali in cui i diversi
'modi' si concretano. Ove si consideri il modo di produzione d'una
società, occorrerà di conseguenza stabilire, per
definirne la forma storica, chi detiene il controllo sulle
unità produttive, e al loro interno; su quali basi poggia
tale controllo; tra quali soggetti sono suddivise le attività
di trasformazione di quali risorse. Parafrasando il detto marxiano
"il mulino ad acqua ci ha dato il signore feudale; il mulino a
vapore ci ha dato l'imprenditore capitalista", si potrà
quindi dire: il controllo assegnato a un solo individuo, in base
all'investitura d'un potere superiore, o come effetto d'una
conquista militare - investitura che implica un elevato grado di
fusione tra agire politico e agire economico - su tutte le risorse
materiali (in particolare la terra e i suoi prodotti) di un dato
territorio, che sono però trasformate individualmente dagli
abitanti sparsi su di esso, in piccole unità produttive
funzionalmente fuse con la famiglia (gruppo portante del sistema di
riproduzione biopsichica), con l'obbligo di conferire una quota
rilevante delle risorse trasformate a chi detiene il controllo,
definisce storicamente il modo di produzione feudale. Per contro, il
controllo assegnato a un solo individuo, in base a un titolo di
proprietà acquistato per denaro, su una singola unità
produttiva di dimensioni ridotte - al più con poche decine di
addetti - e su tutte le risorse che la compongono, a cominciare
dalla forza lavoro, definisce il modo di produzione del capitalismo
imprenditoriale o concorrenziale. In questo quadro lo stesso
individuo, l'imprenditore, combina nel proprio ruolo anche un'ampia
attività di trasformazione di alcune risorse, in primo luogo
l'informazione di rilevanza economica, mentre la trasformazione
delle risorse materiali è compiuta sotto il suo diretto
controllo da lavoratori che cedono forza lavoro in cambio di denaro.
Se invece il controllo è distribuito tra un certo numero di
individui in base alla qualifica professionale, senza che nessuno di
essi si configuri come proprietario dell'unità produttiva in
cui opera, e questa occupa non poche decine ma migliaia di
lavoratori, tra i quali la trasformazione delle risorse è
distribuita per mezzo d'una avanzatissima divisione sociale e
tecnica del lavoro, si avrà il modo di produzione del
capitalismo oligopolistico.
A loro volta i modi principali di organizzazione politica si
definiscono: a) per l'ampiezza del controllo che un dato soggetto -
un individuo, un'élite, una classe sociale - detiene sulle
risorse politiche, a cominciare dal governo e dagli apparati
burocratici dello Stato, e, tramite queste, sulle altre specie e
modi di organizzare l'azione sociale nell'insieme della
società; b) per la base su cui tale controllo si fonda; e di
nuovo c) per il grado di differenziazione strutturale rispetto alle
altre specie di agire. Se si assume a riferimento il prodotto
economico complessivo d'una società (grandezza che nelle
società contemporanee prende nome di prodotto interno lordo,
PIL), si possono collocare a un estremo le società in cui il
soggetto centrale del sistema politico controlla non più del
10-20% di tale prodotto (come si stima che accadesse nelle
società capitalistiche dell'Ottocento), mentre all'estremo
opposto si collocano le società in cui il centro politico ne
controlla o controllava oltre il 90%, come avveniva in URSS e in
altre società socialiste. Sia il controllo sulle risorse
nazionali limitato o esteso, la base di esso varia per conto suo da
un'elevata concentrazione, come accade nei casi in cui il soggetto
centrale del sistema politico giunge a occupare tale posizione
grazie a un atto di forza di un numero ridotto di altri soggetti, o
di lui stesso, a un elevato decentramento, quando esso riceve il
mandato da una parte considerevole della popolazione mediante
elezione. Nel primo caso la base del controllo viene detta
oligarchica; nel secondo poliarchica.Sull'asse
fusione/organizzazione con altre specie di agire sociale e altri
modi d'organizzarle, il modo di organizzazione politica appare esser
stato spesso intrecciato, nelle società moderne e
contemporanee, tanto con il modo di produzione quanto con il modo di
riproduzione socioculturale, trovandosi a volte nella posizione di
controllore del primo, a volte di controllato per mano del secondo.
Le società del socialismo reale dell'Europa orientale erano
riconducibili in prevalenza al primo caso; l'Iran, dopo la conquista
del potere da parte dei fondamentalisti islamici, piuttosto al
secondo.
4. I DIFFERENTI MODI DI ORGANIZZARE LA RIPRODUZIONE SOCIOCULTURALE E
LA RIPRODUZIONE BIOPSICHICA
Il grado di concentrazione del controllo e della trasformazione
delle risorse di caso in caso rilevanti, oltre che delle basi su cui
tali funzioni sono suddivise, e la misura in cui essi risultano fusi
o differenziati tanto l'uno rispetto all'altro, quanto con gli altri
modi d'organizzare le specie fondamentali dell'agire sociale, sono
atti a definire anche la struttura del modo di riproduzione
socioculturale e del modo di riproduzione biopsichica. Nel
determinare le modalità della riproduzione socioculturale
è evidentemente cruciale il controllo cui sono assoggettati
il sistema scolastico, i mezzi di informazione (quotidiani, radio,
TV), i sistemi di comunicazione (dalla posta tradizionale ai
telefoni, alle reti di trasmissione dati). A un estremo, lo Stato
pretende di essere sia l'unico controllore di tutti e tre questi
sottosistemi del sistema di riproduzione socioculturale, sia l'unico
ente a svolgere materialmente le attività di cui essi
constano. Si avranno così la scuola di Stato, la TV di Stato,
i telefoni di Stato, e nessun tipo di scuola, di TV o di azienda
telefonica al di fuori di quelle controllate dallo Stato stesso.
Poco più in là, lungo il continuum massimo
accentramento/massimo decentramento, il controllo sulle stesse
attività è distribuito tra un ristretto numero di enti
economici privati; al monopolio dello Stato si sostituiscono
oligopoli capitalistici. Nella zona intermedia dello spettro del
controllo appaiono coesistere scuole, enti, aziende statali con
scuole, mezzi d'informazione e sistemi di comunicazione il cui
controllo è distribuito tra un gran numero di privati, e
altri controllati invece da forme di oligopolio. Infine, all'estremo
che coincide con il massimo decentramento, il controllo e la
trasformazione delle medesime attività volte alla
riproduzione socioculturale sono interamente distribuiti tra un gran
numero di piccole organizzazioni imprenditoriali o autogestite.
Uno schema analogo può esser replicato nel caso del sistema
della riproduzione biopsichica, benché si debba qui tener
conto della peculiare 'resilienza' della famiglia - concrezione
sociale specifica, s'è già notato, di tale sistema
analitico - a forme di controllo esterno, che pure si osservano in
molte società. La massima concentrazione del controllo su
tale sistema si avrebbe sotto un regime politico che pretendesse di
sottoporre la popolazione a uno stretto controllo demografico; di
stabilire quali dimensioni massime una famiglia debba avere, quando
si possa costituire e quando sciogliere, dove debba risiedere; di
sorvegliare tutto ciò che accade dentro di essa; di gestire
in proprio, imponendone in dettaglio le caratteristiche, tanto
l'assistenza sanitaria quanto le pratiche psicoterapeutiche; di
determinare mediante norme rigide e propri rappresentanti la vita di
ogni comunità locale e di ogni associazione. Nell'età
contemporanea forse soltanto il nazismo e lo stalinismo, e in parte
la Cina della rivoluzione culturale, si avvicinarono a tale estremo.
Al polo opposto, i vincoli istituzionali sull'esistenza della
famiglia, delle comunità locali, delle associazioni sono
minimi o inesistenti; l'assistenza sanitaria si fonda esclusivamente
su un rapporto individuale tra medico e paziente; nessun intervento
viene effettuato per modificare la dinamica naturale della
popolazione.
La massima differenziazione del modo di organizzare il sistema della
riproduzione biopsichica è palesemente osservabile nelle
società industriali. Entro la famiglia, la produzione
economica ha un peso irrilevante. Il ripristino dello stato di
salute fisico e mentale dei suoi membri si svolge soltanto a opera
di enti e ruoli specializzati. Altri enti specializzati provvedono,
sin dai primissimi anni di età e per quasi tutto il corso
della vita, alla formazione e all'aggiornamento delle competenze
socioculturali degli individui. Il fatto che una simile
differenziazione sia osservabile nelle società industriali
avanzate non deve però far ignorare il fatto che in gran
parte dell'Africa, del subcontinente indiano, dell'Asia
sudorientale, dell'America Latina, la riproduzione biopsichica
è tuttora strettamente intrecciata con la produzione
economica e con la riproduzione socioculturale, in modo
strutturalmente non dissimile rispetto a quanto accadeva nella
famiglia contadina in Europa e negli Stati Uniti sino ai primi
decenni del XX secolo.
5. PLURALITÀ DI FORMAZIONI ECONOMICO-SOCIALI PRESENTI IN OGNI
SOCIETÀ
Nel mondo contemporaneo coesistono differenti modi di organizzare i
tipi fondamentali dell'azione sociale, la cui reciproca coerenza
funzionale è sufficientemente avanzata da far concludere che
si è in presenza di altrettante formazioni economico-sociali.
Alcune sono in sviluppo, altre in declino; alcune occupano una
posizione dominante, altre sono palesemente subordinate. Alcune,
inoltre, sono incomplete: manca loro, perché lo hanno perso
sotto la spinta di altre formazioni economico-sociali o ancora non
sono riuscite a svilupparlo, un modo sufficientemente strutturato di
organizzare questo o quel tipo di azione. Come forme di
organizzazione sociale, la loro età - misurata dall'epoca in
cui comparvero sulla scena del mondo, che può esser
tutt'altra cosa rispetto all'epoca in cui si svilupparono in una
determinata società - va da pochi decenni ad alcuni millenni.
In ordine discendente di età - certo non più che
presumibile data la scarsità di ricerche specifiche - le
maggiori formazioni economico-sociali individuabili nel mondo d'oggi
sono la comunità di villaggio; la formazione
economico-sociale latifondista; la formazione economico-sociale
contadina; la formazione economico-sociale capitalistica
imprenditoriale; la formazione economico-sociale capitalistica
oligopolistica; la formazione economico-sociale statuale
collettivista o socialista; infine la formazione economico-sociale
statuale dirigista. Un simile elenco fa emergere un'ovvia
discrepanza: l'entità 'società' e l'entità
'formazione economicosociale' non sembrano affatto coincidere. Non
si vede quale società possa essere oggi definita in modo
corretto con un predicato implicante che essa sia nell'interezza
delle sue strutture sociali esclusivamente latifondista, contadina,
o dirigista, e nemmeno capitalistica o collettivistica.
Un assunto da porre in discussione ai fini d'un recupero del
concetto di formazione economico-sociale alla macroteoria
sociologica riguarda precisamente la coincidenza tra formazione
economico-sociale e società. Le molte e contrastanti versioni
del concetto di formazione economico-sociale individuabili nella
letteratura marxista coincidono su almeno un punto: per quanto
grande possa essere il peso del passato, una determinata
società appare sempre improntata nella totalità dei
suoi rapporti sociali da una determinata formazione
economico-sociale e coincide in sostanza con essa. Dire
'società europea del XII secolo' equivale a dire,
conformemente a tale assunto, formazione economico-sociale del
feudalesimo, così come 'società inglese di metà
Ottocento' vuol dire formazione economico-sociale borghese o
capitalistica. Rimane da stabilire se il peso del passato non possa
risultare, per la maggior parte delle società, talmente
grande da costringere infine il ricercatore ad accoglierlo come
componente strutturale del presente; se, in altri termini, l'ipotesi
d'una coesistenza di formazioni economico-sociali differenti entro
una medesima società, che pur ammetta il dominio di una di
esse e il conflitto tra tutte, non sia più efficace, al fine
di spiegare la struttura e la storia di quella società, che
non l'enunciato ortodosso 'una società, una formazione
economico-sociale'.
A questo proposito vi sono pagine di Marx che lo fanno apparire
più aperto a una interpretazione pluralistica del concetto di
formazione economico-sociale di quasi tutti i suoi commentatori.
Secondo Marx, nel presente di ogni formazione economico-sociale si
ritrovano innanzitutto molteplici condizioni materiali trasmesse da
formazioni economico-sociali del passato. I mezzi di produzione e le
capacità tecniche, le forze produttive, non nascono con una
nuova formazione economico-sociale, ma sono ereditati dalle
formazioni economico-sociali precedenti. Lo stesso avviene per il
grado prevalente di divisione del lavoro, la morfologia del
territorio (in quanto lavorato da più generazioni), la
composizione della popolazione, le grandi vie di comunicazione. Dal
passato discendono ugualmente rapporti politici, giuridici,
economici, comunitari che marcano in profondità, a diversi
livelli, lo sviluppo d'una nuova formazione economico-sociale.
Precedenti modi di produzione contendono spazio, forza lavoro,
capitali al modo di produzione emergente. La stessa manifattura,
epitome per Marx del nuovissimo modo di produzione capitalistico,
gli appariva formata da lavoratori le cui capacità
professionali (i mestieri da loro portati in fabbrica) si erano
formate per generazioni durante le epoche precedenti. Non meno che
sui rapporti economici, politici e giuridici, sottolinea Marx in un
famoso brano di Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte, il passato "pesa
come un incubo sul cervello dei vivi", sotto forma di
mentalità e linguaggi, costumi e rituali, dottrine religiose
e sistemi filosofici.
L'alternativa scelta dagli studiosi marxisti è consistita,
con rare eccezioni, nel giudicare le condizioni materiali,
economiche, politiche e culturali trasmesse dal passato a una nuova
formazione economicosociale come sopravvivenze destinate alla
scomparsa dinanzi all'irresistibile sviluppo di tale formazione, o
reperti d'archeologia del sociale privi di rilevanza. In ciò
cedendo a quell'idea di una evoluzione perennemente progressiva e
unilineare delle società umane che fu, tra le categorie
esplicative della realtà presenti nell'opera di Marx, una
delle più rozze rispetto alle sue implicazioni storiografiche
e metodologiche, tale da accomunarlo paradossalmente ai suoi ben
meno provveduti - quanto a sensibilità storica - antipodi
positivistici, in primo luogo Auguste Comte e Herbert Spencer.
Ove non bastasse un secolo di ricerca antropologica, sociologica e
storica a confutare il modello di una evoluzione unilineare delle
società umane (il cui nucleo è la previsione che una
formazione economicosociale emergente sotto l'impulso di nuove forze
produttive sia destinata a spazzar via inevitabilmente i residui
delle formazioni economico-sociali precedenti), sono state proprio
le 'rivoluzioni di velluto' del 1989-1990 nell'Est europeo, nelle
società del socialismo reale, a rafforzare l'ipotesi che in
ogni società, quale che sia la forza del dominio esercitato
da una formazione economico-sociale, siano contemporaneamente
presenti formazioni economico-sociali sviluppatesi in passato. In
tali società, la formazione economico-sociale socialista,
primo stadio della formazione economico-sociale comunista, è
entrata in crisi a causa, non meno che delle sue intrinseche
inefficienze, del logoramento cui è stata sottoposta da parte
di elementi sociali e culturali propri di formazioni
economico-sociali precedenti per origine, ma ancora ben attivi nella
società sovietica, nella DDR, in Cecoslovacchia, in Ungheria.
Inoltre le rispettive rivoluzioni sono risultate non sanguinose per
due ragioni solo apparentemente contraddittorie: a) perché al
crollo della formazione economico-sociale socialista non è
subentrato il vuoto, bensì modi di organizzare la produzione
come la politica, la riproduzione dei corpi come delle menti e della
cultura, che in realtà erano rimasti in funzione, e in certi
casi si erano sviluppati, negli interstizi della formazione
economicosociale socialista; b) perché in realtà la
formazione economico-sociale socialista non è crollata
completamente, ma è passata in gran parte in posizione di
latenza, negli interstizi delle formazioni economico-sociali
capitalistiche che l'hanno sostituita in posizione dominante,
diventando a sua volta, con una inversione di ruolo caratteristica
della dinamica delle formazioni economico-sociali, un supporto di
esse.
Ammettendo la compresenza di una pluralità di formazioni
economico-sociali entro una stessa società, si viene
naturalmente a modificare la concezione della storia e dell'intera
evoluzione socioculturale insita nel concetto originario di
formazione economicosociale. Stando a quest'ultimo, storia ed
evoluzione in sostanza coincidevano; la seconda era soltanto la
prima scritta più in grande. Di contro, ove si accolga in suo
luogo il concetto di formazione economicosociale ridefinito dalla
teoria macrosociologica, le due si dissociano, mentre il loro
oggetto si trasforma. La storia d'una determinata società non
è più la storia di forze produttive in sviluppo che
premono, in presenza di particolari condizioni locali, per spezzare
i rapporti economici e giuridici che tale sviluppo ostacolano, le
une e gli altri rappresentati da classi nitidamente e oggettivamente
contrapposte. Piuttosto è la storia risultante da due
processi concomitanti: 1) la ricerca di coerenza funzionale, da
parte di soggetti individuali e collettivi, tra modi affini di
organizzare l'economia e la politica, la riproduzione socioculturale
e quella biopsichica; 2) le alterne vicende del conflitto, che
può durare per generazioni, tra le formazioni
economico-sociali coesistenti in quella società, ovvero tra i
soggetti individuali e collettivi che ne incorporano le istanze di
ordine metastrutturale. In riferimento sia a (1) che a (2) i
soggetti che perseguono lo scopo di sviluppare o difendere una data
formazione economico-sociale rappresentano, o affermano di
rappresentare, gli interessi di élites e classi sociali, e in
taluni casi si identificano con l'una o l'altra di esse, ma rispetto
al modello originario il conflitto tra queste segue linee
spezzettate, cangianti, talora indecifrabili.
1. Quando in una società si sviluppa un nuovo modo di
organizzazione politica, è certo che si manifesteranno forze
orientate a sviluppare un modo di produrre che appaia coerente con
esso, ovvero che faciliti il suo funzionamento piuttosto che
ostacolarlo; inversamente, se è il modo di produzione a
svilupparsi per primo, sarà esso a chiedere un modo coerente
di soddisfare il bisogno di politica. La democrazia rappresentativa
pretende il capitalismo imprenditoriale, e questo quella: 'niente
imposte senza rappresentanza' è, da secoli, il motto che
riassume tale richiesta. Sebbene la ricerca di coerenza funzionale
si riscontri in maniera più evidente, nelle società
contemporanee, nell'ambito dei rapporti tra politica ed economia,
non va ignorato tuttavia che la ricerca di coerenza può aver
inizio anche dal sistema di riproduzione socioculturale, e talora
perfino da quello biopsichico. Un esempio di ciò può
vedersi, ai nostri giorni, nei paesi dove il fondamentalismo
islamico ha preso il potere, imponendo anzitutto alla politica -
oltre che all'intera riproduzione socioculturale - un modo di
organizzazione coerente con la cultura che esso rappresenta, mentre
ha mostrato di sapersi adattare senza gravi tensioni a varie forme
di capitalismo.
Il richiamo all'adattamento del fondamentalismo islamico al
capitalismo (ma vi sono casi ancor più innovativi rispetto al
concetto originario di formazione economico-sociale, come il
capillare adattamento, in Estremo Oriente, della cultura buddhista e
taoista, nata quindici-venti secoli addietro, al capitalismo
oligopolistico del XX secolo) permette di precisare ulteriormente la
nozione di coerenza funzionale. Parlare di coerenza funzionale
anziché organica, com'era quella predicata dal concetto
originario di formazione economico-sociale, postula infatti che
ciascun modo d'organizzare una data specie d'azioni sociali di base
sia disposto a stabilire rapporti strutturali con qualsiasi altro
modo d'organizzare le restanti specie di azioni, purché esso
appaia tangibilmente giovare alla sua sopravvivenza e riproduzione;
ciò anche nel caso di modi che in passato rappresentavano
parti di formazione economico-sociale in conflitto con il modo
d'organizzazione interessato.
La ricerca d'una coerenza funzionale sufficientemente avanzata si
estende di norma a tutti i modi di organizzare i sistemi sociali
fondamentali. Il capitalismo imprenditoriale non richiede soltanto
un sistema politico fondato sulle regole della democrazia
rappresentativa; né il modo di produzione statuale
collettivistico richiede soltanto un'economia fondata sul controllo
centrale del piano invece che sul controllo diffuso esercitato dal
mercato. L'uno e l'altro richiedono pure tipi diversi, a sé
coerenti, di istruzione, di mezzi di informazione, di famiglia, di
associativismo, di organizzazione della ricerca scientifica, di
pratica religiosa, di previdenza, ecc. Ciascuna formazione
economico-sociale è pertanto assimilabile a un progetto di
società che mira a realizzarsi perseguendo tenacemente lo
sviluppo di modi a esso adeguati, e intercoerenti, d'organizzare la
soddisfazione dei principali bisogni collettivi. Le strategie
seguite dalle differenti formazioni economico-sociali coesistenti in
una società, i loro successi e insuccessi nel realizzare il
proprio progetto, formano l'ordito profondo della storia di quella
società.
2. Nel tendere a realizzare un grado sufficiente di coerenza
funzionale tra i diversi modi che la compongono, una formazione
economico-sociale, o il modo di essa che anticipa gli altri in tale
ricerca, entra inevitabilmente in conflitto con le altre formazioni
economico-sociali compresenti entro la stessa società. Le
risorse materiali, biologiche, psicologiche, culturali di cui
dispone una società sono scarse per definizione.
Perciò le risorse che una data formazione economico-sociale
pretende od ottiene sono sottratte alle altre, che attueranno quindi
strategie di difesa e di contrattacco. La grande distribuzione
controllata dal capitale oligopolistico, ad esempio, toglie clienti
e reddito ai piccoli negozi del capitalismo microimprenditoriale, i
cui titolari premono allora sulle amministrazioni locali, non di
rado riuscendovi, per bloccare la costruzione di nuovi supermercati.
L'industria della Comunità Europea ha sottratto per decenni
lavoratori, capitali e terra alle campagne, a danno della formazione
economico-sociale contadina, che per rivalsa è riuscita a
dirottare, a sostegno dell'agricoltura, fondi comunitari assai
superiori a quelli destinati alla ricerca scientifica, con grave
danno per la competitività dell'industria. In Italia lo Stato
sociale, che costituisce un particolare modo di organizzare parte
della riproduzione socioculturale, e gran parte di quella
biopsichica, coerente con i bisogni di una formazione
economico-sociale statuale dirigista, ha sottratto a lungo enormi
flussi di capitale e di risparmio alle due formazioni
economico-sociali capitalistiche, sino a innescare da parte di
queste una controffensiva che all'inizio degli anni novanta ha
portato a una sua rilevante contrazione. Se le strategie attuate da
differenti soggetti collettivi per realizzare un'adeguata coerenza
funzionale tra i modi d'organizzare le specie fondamentali d'azione
sociale formano l'ordito della storia d'una società, le
azioni da ciascuna parte intraprese nel conflitto che oppone una
formazione economico-sociale a un'altra ne sono la trama. Ma
né la trama né l'ordito seguono un disegno predisposto
una volta per tutte dalle leggi profonde di movimento delle
società, di cui il concetto marxiano di formazioni
economico-sociali pretendeva d'aver disvelato il segreto.
La concezione non economico-deterministica e non sequenziale della
storia (o, per chi obietti che nemmeno la concezione marxiana era
tanto deterministica e sequenziale quanto fu dipinta dai suoi
critici: di certo meno deterministica e meno sequenziale) quale
emerge da una ridefinizione del concetto di formazione
economico-sociale tende inoltre a svuotare di senso un terzo intento
connesso alla definizione originaria, cui abbiamo alluso all'inizio.
Alle origini, e per un lungo tratto della sua vita nella sfera del
pensiero marxista, il concetto di formazione economico-sociale non
si proponeva soltanto come uno strumento atto a fornire una
spiegazione globale della storia, bensì anche come strumento
per fare la storia. Facendolo proprio, convincendosi per suo mezzo
del passaggio ineluttabile dal capitalismo al comunismo, le classi
lavoratrici potevano scorgere in esso il proprio destino, la
liberazione definitiva dei corpi e delle menti dalle catene del
lavoro mercificato. E da ciò dovevano trarre la spinta a
organizzarsi sempre più solidalmente come soggetto politico,
come classe per sé, affrettando il momento in cui, tramite un
moto rivoluzionario, il loro destino doveva compiersi. Un simile
intento non appare assolvibile dal concetto di formazione
economico-sociale qui ridefinito. Cionondimeno esso non può
non influire sul modo di pensare la storia e di orientare le proprie
azioni in essa con l'umiltà dell'individuo che conosce la
propria irrilevanza, ma sa quanto questa possa se sommata a mille
altre. Infatti, a fronte di tale concetto due modelli di storia non
sono oltre sostenibili: la storia come passato sostituito
inesorabilmente e integralmente dal presente, e la storia come lotta
d'una società per liberarsi dal dualismo tra settori avanzati
e settori arretrati. In luogo di questi modelli il concetto
ridefinito di formazione economico-sociale propone un modello di
storia come dialettica perenne di permanenza e di mutamento, nella
quale la negazione rigida di uno dei due termini significa schiudere
le porte alle peggiori tragedie.
Quanto all'evoluzione socioculturale, essa permane collegata alla
nozione sopra ridefinita di formazione economico-sociale quale
concetto compendiante l'ipotesi che la storia dell'umanità,
dopotutto, manifesti a livello planetario una direzione
riconoscibile verso forme di organizzazione sociale capaci di
conciliare per popolazioni sempre più ampie libertà
individuali e bisogni 'pubblici', contratto e mercato. Tuttavia,
quale sequenza concreta di accadimenti storici - fatto sempre
riferimento al modello originario - essa non è più
localizzabile in alcuna società o gruppo di società.
Localmente essa appare sempre ambigua, contraddittoria, di epoca in
epoca progressiva e regressiva.
6. LE FORMAZIONI ECONOMICO-SOCIALI PRESENTI NELLE SOCIETÀ
CONTEMPORANEE
Seguendo l'ordine già citato in cui si può ritenere
siano apparse originariamente in qualche luogo del pianeta (ordine
che nella storia delle singole società è stato
però interrotto e sovvertito innumerevoli volte), le
formazioni economico-sociali più comuni osservabili nelle
società contemporanee, e anzi in esse compresenti e
coesistenti in varie combinazioni, sono sinteticamente definibili
mediante un richiamo ai principali tratti dei loro modi di
organizzare (v. cap. 2) il soddisfacimento dei bisogni sociali di
base.
La comunità di villaggio. In questa formazione
economico-sociale il modo di organizzazione politica è
caratterizzato dall'autorità detenuta sugli abitanti del
villaggio, sovente appartenenti a un medesimo clan o tribù,
da un capo, assistito da un consiglio di capifamiglia o di anziani,
il quale svolge anche funzioni di giustizia e di amministrazione
collettiva. Il modo di produzione è organizzato sulla base
dello sfruttamento di boschi e pascoli liberi, sulla coltivazione di
campi comuni e sull'allevamento di animali di proprietà
collettiva. La riproduzione socioculturale è fusa con il modo
di produzione e con le attività di riproduzione biopsichica;
in molti casi essa avviene al di fuori di qualsiasi istituzione
scolastica. Considerevoli residui strutturali e culturali di questa
formazione economico-sociale sopravvivono in molte società
africane, nel Sudest asiatico, in Cina.
La formazione economico-sociale latifondista. Qui il modo di
produzione è controllato da una ristretta classe di grandi
proprietari terrieri, e organizzato al fine esclusivo di trarre il
massimo reddito dalle colture estensive o dagli allevamenti di
bestiame dei loro latifondi (i due tipi di attività essendo
non di rado accoppiati), nonché di assicurare la riproduzione
indefinita di questi. Nei latifondi stessi i lavoratori dipendenti
vivono, di fatto, di là dai diritti formali, in condizioni
assimilabili alla schiavitù. I grandi proprietari controllano
anche il modo di organizzazione politica, sia esercitando localmente
essi stessi, o per mezzo di politici al loro soldo, il potere su
coloro che vivono sui loro latifondi o attorno a essi, sia
controllando la formazione e l'attività del corpo
parlamentare. La riproduzione socioculturale è affidata a
forme locali di istruzione elementare, che peraltro raggiungono
soltanto una frazione della popolazione della relativa fascia di
età. Dominante nel XVIII e XIX secolo nel Sud degli Stati
Uniti, questa formazione economico-sociale sopravvive al presente
soprattutto in Brasile, dove circa 32.000 aziende di oltre 1.000
ettari ciascuna possiedono circa tre quarti dei terreni adibiti a
coltivazione o pascolo, e dove l'opposizione ai latifondisti si paga
spesso con la vita.
La formazione economico-sociale contadina. Il modo di produzione si
fonda su una proprietà agricola di pochi ettari, sulla quale
lavorano direttamente il proprietario e i suoi familiari, con un
apporto minimo o stagionale di lavoro salariato. Una quota
più o meno fissa del prodotto va all'autoconsumo, mentre una
quota variabile è destinata al mercato e permette alla
famiglia contadina di ottenere beni e servizi che essa non produce.
Carattere distintivo del modo di organizzazione politica è
l'antica forma di rapporto patrono-cliente, più di recente
denominata clientelismo, in forza della quale un notabile del luogo
- spesso un parlamentare uscito dalla borghesia d'una città
vicina - trasmette al centro politico richieste atte a soddisfare
particolari interessi locali, e riceve in cambio, oltre al voto,
azioni conformi a riprodurre e ad allargare il suo potere.
Riproduzione socioculturale e biopsichica sono fuse in notevole
grado con il modo di produzione, dato che questo domina in ogni
momento della giornata, dall'interno, le attività della
famiglia. La formazione economico-sociale contadina è al
tempo stesso la più antica, la più diffusa e la
più persistente delle formazioni sociali, giacché
è presente ancor oggi nella maggior parte delle
società contemporanee, pur con le sue tante varianti
osservabili nei cinque continenti.
La formazione economico-sociale capitalistica imprenditoriale. Come
sappiamo (v. cap. 3), questa formazione economico-sociale
diffusissima nelle società contemporanee, benché le
sue origini risalgano alla rivoluzione industriale, prende nome
dalla presenza centrale, nel modo di produrre, di un'impresa
controllata in base a un qualche titolo di proprietà da un
singolo individuo, il quale ne controlla altresì di persona
l'attività di trasformazione, assumendosi in proprio i rischi
derivanti da tale congiunzione di ruoli. Le dimensioni dell'impresa,
che occupa al massimo poche centinaia di lavoratori, non sono tali
da permetterle di influenzare, con le sue decisioni produttive,
l'andamento del mercato; essa opera quindi in un regime di effettiva
concorrenza. Il modo di organizzare la politica più coerente
con il capitalismo imprenditoriale è la democrazia liberale -
possibilmente fondata su maggioranze parlamentari formate da partiti
liberali o conservatori. Alla politica e allo Stato vengono avanzate
due richieste, di fatto convergenti benché apparentemente
contraddittorie: dare il massimo spazio, mediante una legislazione
appropriata, alla libera iniziativa, astenendosi da qualsiasi azione
che possa ostacolarla, come ad esempio l'istituzione o il
mantenimento di un'industria di Stato; e al tempo stesso intervenire
vigorosamente sulle regole del commercio internazionale, sul sistema
bancario, sul costo del lavoro, sui finanziamenti diretti e
indiretti alle aree sottosviluppate, allo scopo di limitare i rischi
che con la libera iniziativa si corrono.
Al modo di riproduzione socioculturale si chiede anzitutto di
fornire alle imprese il personale avente l'istruzione adatta per
alimentare, in proporzioni adeguate, i principali strati di
posizioni lavorative in esse individuabili al di sotto
dell'imprenditore-proprietario: operai, impiegati, tecnici, quadri,
dirigenti. Con lo sviluppo dell'industria le rispettive quote sono
atte a variare grandemente da uno stadio all'altro: ad esempio gli
operai superano i quattro quinti del totale degli addetti nei primi
stadi dell'industrializzazione - che localmente è probabile
si realizzino in tempi diversi - per scendere a molto meno della
metà negli stadi più avanzati. A tali esigenze
variabili si deve provvedere con una scuola pubblica di massa, via
via adeguata, quanto a programmi e volumi produttivi, alle
trasformazioni tecnologiche e organizzative delle imprese.
La formazione economico-sociale capitalistica oligopolistica. In
questa formazione economico-sociale l'impronta essenziale al modo di
produrre è data dalla grande azienda privata, con migliaia di
dipendenti e un fatturato dell'ordine di miliardi di dollari. In
essa, le cui origini come specie risalgono all'Ottocento, ma la cui
crescita per numero e dimensioni ha avuto salti sostanziali dopo le
due guerre mondiali, il controllo operativo non è più
esercitato da un singolo imprenditore bensì da dirigenti
professionali, passibili di licenziamento come chiunque altro da
parte della proprietà, o, come capita spesso, dei loro
colleghi in posizioni più elevate. Date le sue dimensioni,
essa condiziona con le sue decisioni il mercato di un intero settore
produttivo, si tratti di computer, elettrodomestici o automobili. La
concorrenza da parte di aziende minori diventa impossibile o
insignificante. La concorrenza permane nel 'sistema mondo', il cui
sviluppo vede nell'impresa oligopolistica uno dei fattori di maggior
incidenza, ma anche a tale livello essa viene sovente limitata da
accordi di vario genere tra le aziende del settore e dal fatto che
molte di queste hanno carattere multinazionale, ovvero posseggono
unità produttive in differenti paesi che sono configurate
esse stesse come aziende, ma sono controllate in ultimo da un unico
centro.
Nel modo di organizzazione politica si affermano i partiti di massa,
declinano i poteri reali del parlamento, e la rappresentanza
diretta, personale, delle varie classi sociali nel sistema politico
che contraddistingue il capitalismo imprenditoriale viene sostituita
dalla rappresentanza mediata da larghi gruppi di politici di
professione. Lo Stato è spinto a intervenire in misura
crescente in ogni sottosistema dell'organizzazione sociale, al fine
di regolarne la struttura sempre più differenziata e
complessa. Nei modi di riproduzione socioculturale e biopsichica si
assiste ad una sorta di rivoluzione dei processi di socializzazione
primaria e secondaria. Essi sono condizionati dall'interazione tra
l'ingresso nel sistema scolastico, fino al livello universitario, di
una quota rilevante dei giovani delle relative fasce di età,
e la massiccia incidenza dei mezzi di comunicazione di massa nei
tempi della vita quotidiana. La famiglia nucleare rimane centrale
nel modo di riproduzione biopsichica, ma il suo monopolio è
parzialmente eroso dalla liberalizzazione dei rapporti sessuali e
dalla sperimentazione di nuove forme di vita: dalle coppie fisse, ma
non conviventi, ai matrimoni tra omosessuali, alla libera scelta di
vivere da single.
La formazione economico-sociale statuale: dirigista e collettivista.
Nata negli anni venti e trenta di questo secolo, in certi casi come
progetto di superamento radicale delle formazioni capitalistiche, in
altri per alleviare gli effetti delle loro ricorrenti crisi,
è caratterizzata da un modo di produzione in cui le
unità costitutive, di norma aziende di grandi dimensioni,
sono programmaticamente sottratte dallo Stato alle leggi del mercato
al fine di conseguire per loro mezzo scopi di natura politica o
sociale, prima che economici in senso stretto. Tra siffatti scopi
possono rientrare tanto la costruzione d'una nuova società -
come la società socialista o comunista - quanto, in un ambito
più limitato, lo sviluppo d'una particolare regione dove
l'iniziativa privata è carente, come il Mezzogiorno italiano
negli anni cinquanta e sessanta, oppure il potenziamento d'un
settore produttivo rilevante per la sicurezza o l'indipendenza
economica del paese, come fu un tempo la siderurgia e sono oggi
l'informatica o l'industria aerospaziale.
La formazione economico-sociale statuale si presenta in due varianti
principali. Nella prima, che chiameremo formazione economico-sociale
statuale dirigista, le aziende controllate dallo Stato - per quanto
attiene al modo di produzione - hanno una struttura
giuridico-finanziaria del tutto analoga a quella delle aziende
private: lo Stato le controlla garantendosi o acquisendo una
partecipazione azionaria di maggioranza, come farebbe un qualunque
capitalista. Inoltre prendono decisioni relative agli investimenti e
alla produzione, entro il quadro di finalità sociali loro
assegnate, liberamente conformi a una logica di mercato. Nella
seconda variante, per la quale è più adatto il nome di
formazione economico-sociale statuale collettivista, la
proprietà azionaria non esiste, lo Stato è l'unico
padrone e le aziende sono assoggettate alle regole più o meno
rigide di un piano centralizzato. Tale formazione economico-sociale
si è realizzata con particolare nitidezza nei paesi
socialisti dell'Europa orientale, prima nell'Unione Sovietica e poi
nei suoi satelliti dopo la seconda guerra mondiale, per cedere poi
alla fine degli anni ottanta al ritorno di vari tipi di formazioni
economico-sociali capitalistiche.In entrambe le varianti della
formazione economico-sociale statuale, due essenziali tratti comuni
sono che le aziende facenti parte del suo modo di produzione sono
subordinate al modo dominante di organizzazione politica, quindi
alle élites che lo controllano; inoltre non risultano
soggette alla sanzione negativa del fallimento, anche se per lunghi
periodi consumano più risorse economiche di quante non ne
producano. L'industria a partecipazione statale, in Italia, ha
incorporato in modo idealtipico codesto modo di produrre.
L'organizzazione politica della formazione economico-sociale
statuale s'incentra sul dominio di fatto, sia esso codificato o no
dalla costituzione, dei politici di professione sui partiti; dei
partiti, e spesso d'un solo partito, sul parlamento, quale che sia
la sua forma locale; dell'esecutivo (che comprende la burocrazia
statale) sul legislativo. Nel modo di organizzare la riproduzione
socioculturale, particolare attenzione viene dedicata al controllo
ideologico dei mezzi di comunicazione di massa, a partire da quelli
di proprietà dello Stato. Sulla scuola il controllo
può essere parimenti fermo, ma tende a diminuire via via che
si passa ai gradi più elevati anche perché ad essi
vengono ammessi in prevalenza - in particolare nella formazione
economico-sociale collettivista - studenti già selezionati in
base al grado di conformità all'ideologia propria della
formazione economico-sociale corrispondente. Nel modo di
riproduzione biopsichica viene estesa a gran parte della popolazione
l'allocazione di servizi gratuiti o semigratuiti, dai trasporti
all'assistenza sanitaria e alla previdenza sociale; i loro costi
reali sono sostenuti direttamente dal bilancio dello Stato, il quale
è peraltro alimentato da varie forme di prelievo fiscale
centralizzato sui redditi individuali e sulle aziende produttive.
7. CONFLITTO E COOPERAZIONE TRA FORMAZIONI ECONOMICO-SOCIALI
In posizione dominante o subordinata, come macrosistemi altamente
sviluppati o come residui, molte delle formazioni economico-sociali
sopra indicate sono simultaneamente presenti nelle società
contemporanee. Le loro particolari combinazioni e interazioni
influenzano sia lo stato e la dinamica attuale di ciascuna
società, sia la sua provvisoria collocazione nel variegato
percorso dell'evoluzione socioculturale. Un saggio eloquente di tale
influenza può vedersi nella storia recente delle maggiori
società dell'Europa occidentale. Da decenni in Italia, in
Germania, in Francia, nel Regno Unito, in Spagna, coesistono fianco
a fianco formazione economico-sociale contadina e formazione
economico-sociale capitalistico-imprenditoriale, formazione
economico-sociale capitalistica oligopolistica e formazione
economicosociale statuale dirigista. La dinamica politica, economica
e socioculturale di tali società è stata
contrassegnata per gran parte del XX secolo tanto dal conflitto
quanto dalla cooperazione tra le diverse formazioni
economico-sociali in esse compresenti.
Seppur in varia misura, e con modalità scalate localmente su
tempi diversi, la formazione economicosociale capitalistica
oligopolistica sviluppatasi entro tali società, a partire dai
primi anni del Novecento, è entrata ben presto in conflitto
con la formazione economico-sociale contadina e con la formazione
economico-sociale capitalistico-imprenditoriale. La prima soffriva
per le forze di lavoro migranti in massa dalle campagne alla
città, per lo squilibrio tra prezzi dei prodotti agricoli e
prezzi dei prodotti industriali di cui l'agricoltura ha bisogno;
più in generale, per la distruzione delle comunità e
della cultura contadine causata dalle emigrazioni, dagli
insediamenti industriali, dalle nuove vie di comunicazione. Alla
seconda pesava la concorrenza schiacciante della grande impresa,
l'espulsione dal mercato dei piccoli imprenditori, dei commercianti,
dei lavoratori specializzati, degli impiegati fiduciari
dell'imprenditore, dei liberi professionisti, soppiantati da
lavoratori e impiegati generici e da dirigenti o professionisti
stipendiati. Molti movimenti e accadimenti politici, sociali e
culturali dei due decenni che precedono e seguono la prima guerra
mondiale ebbero in tale conflitto tra formazioni economico-sociali
le loro radici.
All'inizio degli anni trenta, la crisi economica mondiale colpisce
duramente tanto la formazione economico-sociale contadina, quanto le
formazioni economico-sociali capitalistiche in tutti i paesi
d'Europa. La risposta fu la rapida costruzione di una formazione
economico-sociale statuale dirigista. Era un progetto di
società nel quale convergevano, in differenti combinazioni a
seconda delle società coinvolte, le preoccupazioni dei
governi per le tensioni sociali indotte dalla crisi, con i suoi
drammatici effetti sui redditi da lavoro e sui livelli di
occupazione; le rivendicazioni a favore d'una maggior sicurezza
sociale avanzate dalle classi più colpite, là dove
potevano esprimersi, ma non ignorate nemmeno dai regimi autoritari;
le pressioni dei partiti di sinistra in Francia e in Inghilterra,
alla cui ideologia e azione politica la crisi successiva al 1929, da
molti interpretata come la preannunciata crisi definitiva della
formazione economico-sociale, aveva ridato peso; e, specie in Italia
e in Francia, vari tratti di cultura del solidarismo cristiano. In
Germania, un additivo specifico consistette nel concepire la
formazione economico-sociale statuale dirigista come il migliore
strumento per preparare materialmente e organizzativamente la
società tedesca alla guerra.
Il periodo intercorrente tra la crisi economica mondiale e lo
scoppio della guerra nel 1939 fu sufficiente per far comprendere a
politici, imprenditori e sindacalisti europei che sia la formazione
economico-sociale capitalistico-imprenditoriale, sia la formazione
economico-sociale capitalistica oligopolistica dei loro paesi erano
state di fatto salvate dalla nuova formazione economico-sociale, che
pure incorporava molti elementi strutturali e culturali a loro
ostili. Peraltro tale periodo fu troppo breve perché tra
quest'ultima e le due formazioni economico-sociali capitalistiche si
sviluppassero rapporti diffusi e articolati di cooperazione, posto
che ciò richiedeva, nonché decisioni di governo e di
orientamento politico da parte delle forze sociali, processi
comunque lenti di apprendimento organizzativo da parte delle
imprese. La crescita di tali rapporti nelle stesse società,
che soltanto per intensità e profondità vide alla
testa l'Italia, ha caratterizzato il dopoguerra sino agli anni
ottanta. Dalla formazione economico-sociale statuale dirigista la
formazione economico-sociale capitalistico-imprenditoriale e la
formazione economico-sociale oligopolistica ottennero anzitutto
decenni di pace sociale, grazie ai sistemi di previdenza e
assistenza pubblica da essa e in essa cresciuti, ai milioni di posti
di lavoro - ci riferiamo all'Europa comunitaria - creati e mantenuti
artificiosamente da aziende pubbliche le cui perdite erano
compensate dallo Stato, e all'intervento dell'industria a
partecipazione statale (o dello Stato stesso, a suon di sovvenzioni
a interessi minimi o a fondo perduto) in regioni sottosviluppate
dove l'industria privata delle regioni ricche riluttava da sempre a
insediarsi. Le due formazioni economico-sociali capitalistiche
ottennero anche dalla formazione economico-sociale statuale
dirigista milioni di miliardi (in lire 1994) di commesse, per
orientare le quali, sottraendole all'attrito della concorrenza,
furono intrecciate relazioni sempre più strette, in una vasta
area che andava da forme esplicite e pienamente legali di lobbying a
pratiche del tutto illegali, tra imprenditori, dirigenti delle tre
formazioni, e parlamentari e politici di professione di tutti i
partiti, compresi quelli di opposizione. Grazie a tali commesse e
alla sapiente regia metastrutturale con cui furono distribuite - una
metastruttura essendo un ordine di rapporti sociali che non vuol
riconoscere di esserlo - le imprese private costruirono direttamente
in tutta l'Europa comunitaria o parteciparono alla costruzione di un
immenso sistema di infrastrutture pubbliche, che contribuirono
all'espansione ulteriore dei loro mercati non meno che agli
interessi collettivi.
I rapporti di cooperazione tra formazioni economico-sociali
capitalistiche e formazione economicosociale dirigista, che nella
realtà dell'economia non meno che della politica avevano
svuotato di senso in tutte le società europee, seppur in
differente misura, la contrapposizione tra Stato e mercato che
taluni ancora agitavano sul piano ideologico come se fosse reale,
cominciano a incrinarsi al principio degli anni ottanta. Il processo
prende l'avvio dal Regno Unito, dove i governi di Margaret Thatcher
danno corpo con calcolata durezza alle istanze per un ritorno al
mercato. A fine decennio la ricca Germania scopre che non può
pagare le spese dell'unificazione e insieme conservare al precedente
livello le prestazioni dello Stato sociale. All'inizio degli anni
novanta esplode in Italia la crisi del sistema di rapporti
inter-formazioni economico-sociali, costruito da politici e
imprenditori con una metodicità e un'estensione superiori a
ogni altro paese europeo. Nel 1993 gli elettori francesi danno la
maggioranza a un governo di centro-destra il cui programma
preventivamente dichiarato, e di fatto avviato poche settimane dopo
le elezioni, consiste nel privatizzare tutto il possibile
dell'apparato pubblico.
Le differenze tra queste società sono immense, ma il modello
della crisi è analogo. Il peso del solo sistema di assistenza
pubblica - il modo dirigista di organizzare la sanità -,
avviato ad assorbire poco meno d'un quarto della spesa primaria
dello Stato, si rivela insostenibile. Una gran parte dell'industria
pubblica o sovvenzionata con pubblico denaro accumula debiti che
sarebbero temibili perfino per il bilancio d'uno Stato di medie
dimensioni. Il rapporto tra imposte pagate e servizi ottenuti dai
cittadini peggiora drasticamente. Il controllo esercitato dai
partiti politici su tutti gli snodi dei rapporti tra formazioni
economico-sociali capitalistiche e formazione economico-sociale
statuale dirigista, quasi fossero porte buone per esigere dazi a
ogni movimento in un senso o nell'altro, appare sempre più
rivolto primariamente alla loro sopravvivenza piuttosto che a quella
del sistema-paese. Il drogaggio del mercato nazionale fa trovare
molte delle maggiori imprese europee in grave ritardo tecnologico e
organizzativo a fronte della competizione internazionale e
intercontinentale.
Analoghi appaiono essere anche i tentativi di soluzione della crisi.
In maniera singolarmente conforme a quanto una teoria delle
formazioni economico-sociali lascerebbe prevedere, alla formazione
economico-sociale statuale dirigista sono attribuiti tutti i mali.
Il progetto di una società più solidale che essa
comprendeva viene ora rappresentato, perfino da alcuni che svolsero
un ruolo attivo nel suo sviluppo dopo la guerra e dai loro eredi
politici e intellettuali, come un piano di assistenzialismo
parassitario d'impronta sovietica, atto solamente a corrompere i
cittadini come le istituzioni. La soluzione non può dunque
consistere che nello smantellarne le strutture politiche, economiche
e sociali, combattendo altresì la cultura che le aveva
legittimate. Nel contempo le élites dirigenti delle
formazioni economico-sociali capitalistico-imprenditoriali e
capitalistico-oligopolistiche richiamano tutti i loro componenti a
operare al fine di recuperare la purezza delle origini, il rispetto
del mercato come tipo ideale, la necessaria separazione delle
prerogative dell'impresa e dello Stato. Tra il ritorno in forze
delle formazioni economico-sociali capitalistiche e l'indebolimento
programmato della formazione economico-sociale statuale dirigista,
il dominio di questa risulta essere negli anni novanta scosso o
abbattuto in tutte le società euroccidentali.