Criminologia
di Jean Pinatel
sommario: 1. Introduzione: a) origini e sviluppo; b) criminologia e
scienze penali; c) criminologia e scienze umane. 2. Problemi
fondamentali: a) epistemologia; b) teoria; c) metodologia. 3.
Criminografia: a) descrizione statistica della criminalità;
b) forme del crimine. 4. Eziologia e dinamica del crimine: a)
determinismo diretto; b) formazione della personalità; c)
formazione della situazione; d) passaggio all'atto; e) influenze
della società globale. 5. Criminologia clinica: a)
principî; b) metodi; c) applicazioni; d) risultati; e)
prospettive future. 6. Prevenzione del crimine: a) prevenzione
generale; b) prevenzione specifica. 7. Conclusione. □ Bibliografia.
1. Introduzione
a) Origini e sviluppo
Un lungo periodo prescientifico precede la nascita della
criminologia e la sua organizzazione in quanto disciplina a
sé stante. Anche se la storia del pensiero criminologico
comincia con i filosofi e i tragici greci, è solo con la
filosofia dei lumi, con Montesquieu, Voltaire, Rousseau e con
l'italiano Beccaria, che si comincia a preparare un modo nuovo di
studiare il fenomeno criminale attraverso il metodo sperimentale e
l'osservazione. Questa rivoluzione epistemologica avviene
soprattutto grazie a un medico italiano, Cesare Lombroso, che nel
1876 pubblica L'uomo delinquente, un'opera - centrata sulla
descrizione del tipo criminale - che segna la nascita della
criminologia scientifica. L'opera lombrosiana doveva essere
completata poi da quelle di Enrico Ferri, professore di diritto e
sociologo, autore di una celebre Sociologia criminale (1881), e di
Raffaele Garofalo, magistrato, il cui libro, dal titolo Criminologia
(1885), ha dato il nome alla nuova scienza.Le origini della
criminologia sono quindi italiane e da allora non è diminuito
in Italia l'interesse rivolto a questa disciplina. I congressi
internazionali di antropologia criminale - Roma (1885), Parigi
(1889), Bruxelles (1892), Ginevra (1896), Amsterdam (1901), Torino
(1906), Colonia (1911) - hanno avuto come protagonisti gli
scienziati italiani. In anni più recenti Benigno Di Tullio,
medico romano, ha fondato la Società Internazionale di
Criminologia (1934) che organizza regolarmente congressi
internazionali (Roma 1938, Parigi 1950, Londra 1955, L'Aia 1960,
Montréal 1965, Madrid 1970, Belgrado 1973, Lisbona 1978,
Vienna 1983), ed è attualmente presieduta da Giacomo Canepa,
medico di Genova.Il fatto che Di Tullio e Canepa siano dei medici
non deve far dimenticare che la criminologia è stata, dalla
sua nascita, una scienza complessa, pluridisciplinare, che si
è andata elaborando a partire dall'antropologia medica, dalla
sociologia e dalla pratica giudiziaria, e conserva tuttora legami
assai stretti con le scienze penali e le scienze umane.
b) Criminologia e scienze penali
Ferri aveva sviluppato una concezione 'imperialistica' della
criminologia rifiutando ogni autonomia al diritto penale e
assorbendolo nella criminologia.
Oggi, invece, si riconosce che la criminologia si differenzia dalla
scienza giuridica penalistica in quanto si occupa dei fatti e delle
persone ai quali si riferiscono le norme giuridiche penali.Questa
distinzione non esclude naturalmente l'esistenza di rapporti tra le
due discipline sul terreno della politica del crimine, che si sforza
di formulare delle regole preventive e repressive alla luce dei dati
scientifici della criminologia e degli insegnamenti filosofici,
collocandosi nella prospettiva del rispetto dei diritti umani.
Il diritto penale utilizza diverse scienze applicate nella pratica
giudiziaria. In Austria sono stati particolarmente studiati le
procedure, la medicina legale, i metodi della polizia scientifica, o
criminalistica, e la psicologia giudiziaria. In Gran Bretagna
l'accento è stato messo soprattutto sulla psichiatria
medico-legale. In Francia sono state approfondite in modo
particolare la scienza penitenziaria e la penalistica, discipline
che negli Stati Uniti hanno finito per essere integrate nel campo
della criminologia.Di fatto, in una concezione ampia ed
enciclopedica, è possibile completare lo studio del fenomeno
criminale mediante queste scienze applicate. Esse costituiscono
campi di investigazione definiti e specifici, ma non hanno il
carattere di scienza complessa che ha la criminologia rispetto alle
altre scienze umane.
c) Criminologia e scienze umane
Durante il periodo lombrosiano, che va dal 1876 al 1914 (si conclude
di fatto con la pubblicazione, nel 1913, di The English convict di
Charles Goring, in cui il concetto lombrosiano del tipo criminale
viene respinto), lo studio del fenomeno criminale è stato
condotto attraverso un triplice approccio: biologico, psichiatrico e
sociologico. Nel periodo tra le due guerre si è costituita
come disciplina a sé stante, e si è inserita nel
settore delle scienze criminologiche, la criminologia psicanalitica.
Lo stesso è avvenuto in Italia e in Belgio per la psicologia
criminale, che è stata elevata al rango di disciplina
fondamentale della criminologia.
Alla vigilia del II Congresso internazionale di criminologia (Parigi
1950) si riconosceva l'esistenza di scienze criminologiche (biologia
criminale, psichiatria criminale, criminologia psicanalitica,
psicologia criminale, sociologia criminale), ma si manifestava un
forte scetticismo sull'esistenza della criminologia in quanto tale.
Il programma del Congresso di Parigi (v. Actes..., 1951, pp. 2-20)
si è opposto a questa opinione prevalente e ha constatato che
la criminologia, nata dall'applicazione delle scienze umane, tende a
divenire una scienza autonoma, nettamente differenziata. Il punto di
partenza è di tipo analitico: occorre sforzarsi di scoprire e
di definire, nel quadro di ciascuna delle scienze fondamentali, i
fattori specificamente criminogeni e i loro caratteri, per passare
poi a un approccio di tipo sintetico, allo scopo di individuare una
causalità specifica del delitto, in funzione dello sviluppo
della personalità del delinquente. Ma questa sintesi
eziologica non è sufficiente: dev'essere completata da uno
studio dinamico. Il problema, a questo punto, diventa quello di
sapere quali sono e come si possono scoprire le correlazioni tra i
diversi fattori criminogeni nella genesi, nell'evoluzione e nello
sviluppo dell'idea e della possibilità del crimine (problema
della criminogenesi).
Come si può vedere, il programma del congresso esprimeva
un'aspirazione alla sintesi. Il grande merito di Étienne de
Greeff è di aver concretizzato questa aspirazione nella sua
relazione, intitolata Criminogénèse (v. Actes...,
1955, pp. 267-306), dalla quale risulta che la criminologia utilizza
per i suoi scopi specifici le discipline fondamentali. Con questo
congresso, in cui de Greeff è stato il trionfatore, comincia
un periodo di aggiustamenti e di sintesi centrati sulla
personalità del delinquente. In un certo senso si trattava
dell'inizio di una nuova rivoluzione epistemologica: gli approcci
settoriali (biologico, psichiatrico, psicanalitico, psicologico,
sociologico) si dimostravano superati; quello che diventava ormai
necessario era cogliere le interazioni tra i fattori che essi
mettevano in evidenza e collegare queste interazioni ai processi
attraverso i quali si esprimono, vale a dire 'al vissuto' del
delinquente.Da allora, certo, lo sviluppo di questa impostazione non
è stato costante. Vi sono stati molti passi indietro, in
quanto il carattere multidisciplinare è estraneo alla
ricerca, ma ciò non impedisce che tale impostazione resti la
sola strada da seguire per il progresso della criminologia.
2. Problemi fondamentali
a) Epistemologia
L'epistemologia pone, sul piano della conoscenza scientifica, un
certo numero di questioni preliminari. La prima consiste nel sapere
se l'oggetto della criminologia sia suscettibile di un approccio
scientifico. Un luogo comune duro a morire nega questa
possibilità, sottolineando che il fenomeno criminale, essendo
variabile nel tempo e nello spazio, è essenzialmente
relativo. Nella sua relazione Psychocriminogénèse,
presentata al Congresso internazionale di Parigi nel 1950 (v.
Actes..., 1955, pp. 129-155), Daniel Lagache ha definitivamente
respinto questo luogo comune, precisando che per crimine si intende
sempre un'azione, commessa da uno o più membri di un gruppo,
contraria ai valori del gruppo stesso. Ma partendo dal concetto di
'valore' non si ricade nell'incertezza? Di fatto, il concetto di
valore è difficile da precisare, ma la stessa cosa avviene in
medicina con il concetto di salute. Così come la medicina non
può fare a meno del concetto di salute, la criminologia non
può fare a meno di quello di valore. Del resto, si sa che il
riconoscimento dell'altro e dei suoi diritti rappresenta il valore
essenziale, senza il quale la società non potrebbe esistere.
Un altro problema è stato recentemente sollevato da Christian
Debuyst, dell'Università di Lovanio. Nella linea del pensiero
filosofico di Karl Popper, egli ha suggerito che la cosa importante
da fare sia precisare il 'come conosciamo' piuttosto che il 'cosa
conosciamo'. A suo giudizio, il fenomeno criminale viene conosciuto
attraverso la reazione sociale. Ora, tale reazione determina "il
fatto nel modo di viverlo, di temerlo, e nella sua stessa
esistenza". Pertanto il comportamento criminale "viene così
ridotto agli elementi che scatenano questa reazione, vale a dire a
tutti gli elementi percepiti come socialmente negativi e
inquietanti, che hanno suscitato una reazione di paura o di collera
in base alla quale si è costruita tutta la situazione" (v.
Debuyst, 1985, pp. 74 e 77). L'obiezione sarebbe convincente se de
Greeff, che fu il maestro di Debuyst, non vi avesse già
risposto, dimostrando che l'atto criminale, che si presenta
oggettivamente come un mancato adattamento, è però
vissuto dal criminale come un adattamento riuscito, che si colloca
nell'ambito della ricerca di un suo migliore equilibrio. Proprio per
questo de Greeff ha insistito sul fatto che "il criminale deve
essere avvicinato come un malato, come un uomo al quale ci si
interessa in uno slancio di totale simpatia, che permette a noi,
senza che peraltro lo approviamo, di fargli ritrovare la sua strada,
e permette a lui di stabilire con noi una certa comunione". Ma se si
deve evitare di approvare il criminale, questo non dipende dal fatto
che egli è oggetto di una reazione sociale, ma piuttosto dal
fatto che quanto ha commesso è veramente una colpa. "L'uomo
che vuole studiare il furto può farlo solo se ritiene che il
furto sia realmente una colpa" (v. Actes..., 1955, p. 272). In
questo modo il secondo problema epistemologico ci riconduce al
primo, cioè al concetto di valore. Di qui la
possibilità di una nuova critica rivolta ai processi in base
ai quali si considerano crimini gli atti commessi contro un valore
il cui rispetto assicura la sopravvivenza della società.
Questi processi non sono forse, in definitiva, caratterizzati
dall'intervento decisivo dei gruppi di pressione e del potere
politico? Si tratta, in realtà, di un problema molte volte
evocato in criminologia. Garofalo (v., 1885) aveva distinto i
delitti naturali dai delitti convenzionali. Anche se si possono
contestare le basi della sua analisi, questa distinzione è
tuttavia conforme alla realtà. Le definizioni di crimini
politici, amministrativi, economici e quelle connesse a
comportamenti devianti o disadattati (alcolismo, tossicomania,
prostituzione, vagabondaggio, delitti sessuali) dipendono da un
intervento arbitrario. Al contrario, le incriminazioni connesse a
omicidi, infanticidi, avvelenamenti, incendi, furti, truffe, abusi
di fiducia pongono invece problemi specificamente criminologici.
Muovendo da queste constatazioni, è possibile definire
l'oggetto della criminologia. Esso deve rispondere a tre condizioni:
1) essere stato considerato un delitto lungo tutta la storia del
diritto penale; 2) essere riconosciuto come crimine dai gruppi che
costituiscono lo Stato moderno; 3) essere stato vissuto dal suo
autore come un'aggressione contro il riconoscimento dell'altro e dei
suoi diritti. In questa prospettiva la criminologia sembra essere
per la morale quello che la psicopatologia è per la
psicologia.
b) Teoria
In criminologia, come in ogni altra scienza, la teoria rappresenta
un fattore di progresso e uno stimolo per la ricerca. In effetti una
teoria deve necessariamente comportare delle ricerche destinate a
verificarla: si dà così inizio a un processo
scientifico, poiché i risultati delle ricerche dovranno
condurre all'elaborazione di nuove teorie le quali, a loro volta,
dovranno essere controllate, e così via.In criminologia una
teoria viene elaborata sulla base dei dati reperiti dai suoi settori
specializzati. La sua funzione consiste nel sistematizzarli colmando
i vuoti tra i diversi dati. Una teoria criminologica è quindi
un insieme di fatti e di ipotesi, e rappresenta soltanto uno
strumento di lavoro destinato a dar vita a nuove ricerche. Ogni
teoria è destinata a essere sostituita da un'altra,
più vicina alla realtà, quando le conoscenze saranno
progredite.
La storia della criminologia dimostra che, durante ogni grande
periodo del suo sviluppo, sono emerse delle teorie secondo un
processo che si svolge in due fasi. Nella prima vengono elaborate
teorie specifiche nel quadro delle criminologie specialistiche.
Durante il periodo lombrosiano, per esempio, Lombroso costruisce la
teoria antropologica del tipo criminale facendo riferimento al
principio dell'evoluzione. Nello stesso tempo, però, si
vengono elaborando teorie sociologiche fondate sulle teorie di Marx
ed Engels, sulle idee di Durkheim o di Gabriel Tarde, o anche
facendo riferimento alle condizioni igieniche e sociali, secondo il
pensiero di Alexandre Lacassagne.
Lo stesso pullulare di teorie si ritrova in periodi a noi più
vicini. Così, tra le due guerre, la teoria psicanalitica
insiste sulla componente nevrotica della personalità del
criminale, mentre negli Stati Uniti si moltiplicano le teorie
sociologiche. È la Scuola di Chicago che, con Clifford Shaw,
dimostra l'esistenza di subculture criminali nelle aree di
delinquenza, mentre Edwin Sutherland sottolinea l'importanza del
modello culturale e Thorsten Sellin mette in evidenza il ruolo dei
conflitti culturali.Ma ognuno di questi periodi è stato anche
caratterizzato da una seconda fase, l'elaborazione di sintesi. Il
periodo lombrosiano trova il suo coronamento nella teoria di Ferri,
il quale sottolinea che il delitto è un fenomeno di origine
complessa, tanto biologico quanto fisico-sociale, che si sviluppa
con modalità e gradi diversi, al variare delle circostanze
relative a persone, cose, tempi e luoghi (v. Ferri, 1929⁵). Questa
complessità si ritrova anche a livello dei criminali, che
Ferri distingue in criminali per nascita, alienati, abituali,
occasionali, passionali, sottolineando che i tipi 'puri' sono rari,
mentre quelli intermedi sono la maggioranza. Lo stesso processo si
ripete in epoca a noi più vicina. De Greeff supera le teorie
parziali, abbozza la sistematizzazione di una teoria della
personalità criminale e apre la strada all'approfondimento
del 'passaggio all'atto' mediante il concetto di processo
criminogeno. In tal modo egli introduce il concetto di durata nello
studio dell'evoluzione del soggetto verso il crimine.
Dopo il 1960 si delinea una nuova tappa. La sociologia accademica
contrappone alla criminologia del passaggio all'atto la criminologia
della reazione sociale. Questa ha origine nella teoria
interazionista, che si è sviluppata con lo studio dei
meccanismi sociali di rifiuto. Essa ha sottolineato quanta
importanza assuma l''etichettamento' del delinquente operato dalla
reazione sociale. Alla delinquenza primaria si sovrappone una
delinquenza secondaria che finisce per dominare la
personalità del soggetto. Questi utilizza il suo
comportamento o un ruolo a esso collegato sia per difendersi dalle
conseguenze della reazione sociale, sia per affrontare i problemi
così creati, sia ancora per adattarsi alle nuove condizioni
di vita che la reazione sociale implica.
Dalla teoria interazionista, che si è sviluppata in una
prospettiva scientifica, doveva nascere la criminologia radicale,
che si è basata su quella teoria per dar vita a una tribuna
di critica sociale attiva a senso unico contro le 'agenzie di
controllo' (nella terminologia della criminologia radicale esse sono
tutte quelle istituzioni politiche, giudiziarie, penitenziarie e
anche sociali, che collaborano al controllo del comportamento dei
cittadini). Essa ha sviluppato in tal modo un'ideologia politica che
giudica la società capitalistica postindustriale alienante e
ingiusta: pertanto tutto ciò che si collega direttamente o
indirettamente a tale società dev'essere respinto. La
criminologia radicale ritiene che l'etichettamento poliziesco e
giudiziario avvenga a danno delle classi lavoratrici. I rapporti tra
marxismo e teoria radicale della devianza sono tuttora in
discussione, ma comunque la criminologia radicale si è
diffusa e ha fatto proseliti soprattutto nei paesi anglosassoni,
mentre in Francia si riallaccia al pensiero dei criminologi radicali
Michel Foucault.Questo snaturamento del procedimento scientifico ha
determinato delle reazioni, in particolare negli Stati Uniti, dove
la ricerca comincia a scoprire nuovamente il problema della
personalità criminale. Vi sono quindi le condizioni per una
nuova sintesi criminologica. Una possibile via per arrivare a tale
sintesi può consistere nella ricerca dei legami tra
personalità criminale e società criminogena. Il
problema consiste nel sapere se la nostra società possa
favorire lo sviluppo delle personalità criminali producendo
stimoli che fanno esplodere in una parte della popolazione tendenze
latenti e incerte. A questo legame tra personalità criminale
e società criminogena se ne può aggiungere un altro,
quello tra società criminogena e società repressiva.
Certamente i fattori che danno alla nostra società un
carattere criminogeno esercitano poi la loro influenza sulla
reazione sociale suscitata dal fenomeno criminale. Resta da chiarire
se la metodologia di cui disponiamo sia all'altezza di obiettivi
così ambiziosi.
c) Metodologia
La criminologia utilizza i metodi (di carattere documentario,
psicosociale, etnologico, clinico, sperimentale) e le tecniche
(organizzative e di trattamento statistico dei dati) che vengono
comunemente usati dalla ricerca nell'ambito delle scienze umane.
Quello che invece la caratterizza specificamente è la
determinazione dei concetti operativi richiesti dall'approccio al
fenomeno criminale nonché delle regole fondamentali che
devono guidare questo approccio.
Per determinare i concetti operativi della criminologia occorre
anzitutto avere un'idea precisa dell'eziologia (fattori) e della
dinamica (processi) del fenomeno criminale. A questo proposito
può essere utile fare riferimento a un esempio tratto dalla
geometria e suggerito da Mendes Correa (v., 1932). Immaginiamo un
cono e collochiamo al vertice l'atto criminale. I fattori biologici
(terreno organico) e sociali (ambiente personale) occuperanno la
circonferenza di base, la personalità del delinquente
sarà al centro della base e la situazione precriminale in cui
egli si trova sarà situata lungo l'asse del cono. Questo cono
però non si muove liberamente nell'aria, ma è immerso
nell'ambiente generale (la società globale). Questa metafora
geometrica permette quindi di mettere in evidenza i concetti
operativi della criminologia e cioè il terreno organico,
l'ambiente (personale e generale), la personalità, la
situazione e l'atto, e permette anche di enumerare le diverse fasi
dell'eziologia e della dinamica del crimine.
Al primo posto si trova il determinismo diretto, nei casi
eccezionali in cui le generatrici del cono collegano il terreno
organico e l'ambiente personale all'asse del cono stesso. Vengono
poi la formazione della personalità e quella della
situazione, che derivano dall'azione e dall'interazione del terreno
e dell'ambiente personale. Ecco quindi, a questo punto, determinate
la personalità e la situazione: il passaggio all'atto
criminale dipenderà dai loro rapporti reciproci. Infine,
l'ambiente generale può esercitare delle influenze durante le
fasi precedenti (determinismo diretto, funzione della
personalità, formazione della situazione), ma può
influenzare soprattutto il passaggio all'atto, attraverso gli
stimoli e le occasioni che genera. Ciò implica la
possibilità che l'ambiente svolga un'azione capace di
favorire o inibire il passaggio all'atto.
Dopo i concetti operativi occorre precisare le regole metodologiche
fondamentali, che sono sostanzialmente quattro. La prima, quella dei
livelli interpretativi, distingue nel fenomeno criminale tre
entità: la criminalità, fenomeno globale che comprende
l'insieme dei crimini commessi in un determinato momento e in un
determinato luogo; il criminale, l'individuo particolare; il
crimine, l'atto commesso da questo individuo. La regola dei livelli
interpretativi richiede una cernita dei dati a disposizione in modo
tale che ciascuno di essi possa essere collocato nel settore
pertinente. La seconda regola, il primato della descrizione,
prescrive di anteporre la criminografia all'eziologia e alla
dinamica del crimine, in modo da evitare spiegazioni affrettate. La
terza regola (eliminazione dei tipi psichiatricamente definiti) fa
tenere ben distinto ciò che appartiene alla psichiatria da
ciò che appartiene al campo della criminologia. Scopo della
quarta regola, quella dell'approccio differenziale, è il
raffronto: raffronto tra criminalità e altri fenomeni
sociali, raffronto tra delinquenti e non delinquenti (gruppi di
controllo), raffronto, infine, tra i diversi tipi di passaggio
all'atto secondo i diversi delinquenti.
3. Criminografia
a) Descrizione statistica della criminalità
La criminalità è conosciuta, almeno in parte,
attraverso le statistiche criminali, la cui finalità
essenziale consiste nell'informare sul funzionamento della giustizia
penale (attività dei pubblici ministeri, dei giudici
istruttori e dei tribunali). Esse permettono di osservare la
notevole differenza che esiste tra la criminalità palese e la
criminalità considerata dalla legge (in Francia, nel 1983,
soltanto il 15,5% dei furti sono stati puniti). Occorre anche
rilevare che la criminalità palese non coincide interamente
con la criminalità reale. In queste condizioni si pone il
problema delle 'cifre nere' della criminalità, problema che
può essere risolto solo tenendo conto che la statistica
"è soltanto un geroglifico da decifrare con l'aiuto delle
nostre conoscenze provenienti da altre fonti" (v. Tarde, 1903⁴, p.
359). Tra queste fonti ci sono le inchieste basate sulle autodenunce
e sulle testimonianze delle vittime. Le prime, adottate a partire
dal 1947, consistono nell'interrogare un gruppo di persone sulla
loro delinquenza nascosta e si basano sulle confessioni degli
autori, mentre le seconde, apparse in epoca successiva (1965), sono
basate appunto sulle testimonianze delle vittime e vengono
realizzate interrogando un certo campione di popolazione. Questi due
tipi di inchieste, nati negli Stati Uniti, si sono sviluppati in
seguito in Inghilterra e nei Paesi Scandinavi e sono stati adottati
in una certa misura anche in Francia. Il confronto tra i risultati
ottenuti non ha comunque portato elementi capaci di sconvolgere i
dati tradizionali ricavati dalle statistiche criminali (anche se con
alcune eccezioni, soprattutto in materia di delitti sessuali e
finanziari). Ma una contabilità, per quanto esatta,
può dare soltanto delle cifre. Ora, non tutti i delitti
contabilizzati hanno la stessa gravità. Per arrivare quindi a
valutare la realtà in modo più esatto è
necessario effettuare una 'ponderazione'. Questa può essere
realizzata attraverso un metodo intuitivo ed empirico (statistiche
di polizia), ma anche servendosi di una valutazione rigorosa, che
permetta di tradurre in termini quantitativi il grado di
gravità di ciascun crimine. Thorsten Sellin e Marvin Wolfgang
hanno aperto la strada in questa direzione mettendo a punto una
classificazione la cui preparazione ha richiesto operazioni assai
sofisticate. Resta comunque da sapere se un indice dei delitti
così definito presenti differenze significative rispetto a
quello risultante da una valutazione intuitiva ed empirica.
È quindi prudente, allo stato attuale delle cose, evitare di
annettere un'eccessiva importanza alla descrizione statistica della
criminalità, e in particolare è opportuno astenersi da
ogni confronto tra la situazione criminale dei diversi paesi.
b) Forme del crimine
Se l'estensione della criminalità non può essere
determinata con certezza, possono esserlo invece le forme del
crimine. Ci sono le forme collettive, come i crimini attuati dalle
folle (linciaggi, atrocità commesse durante cataclismi,
epidemie e guerre, violenze durante le manifestazioni sportive e le
rivolte studentesche) e come il terrorismo, che talvolta si esprime
in atti collettivi, specie durante le sommosse. Ci sono poi le
attività di gruppo (criminalità delle bande o
banditismo di professione, che occorre distinguere dal banditismo
spontaneo in continuo sviluppo; crimine organizzato, praticato da
organizzazioni criminali attraverso il racket e l'offerta al
pubblico di servizi illegali, come l'alcool, quando è
proibito, il gioco d'azzardo, la prostituzione e la droga; crimini
dei colletti bianchi, caratterizzati dalla violazione sistematica
delle leggi preposte alle attività delle società
commerciali e industriali). Ci sono, infine, le attività
individuali che si collocano sotto il segno del comportamento
primitivo (violenze, ingiurie, calunnie, rapine nei negozi,
aggressioni notturne), del comportamento utilitario (omicidi per
ricavarne un utile, personale di fiducia che sottrae dei fondi),
della pseudo-giustizia (omicidi passionali, crimini politici) e
dell'organizzazione (professionisti, non affiliati a una gang, che
praticano borseggi, furti di gioielli, furti negli alberghi, truffe,
falsi).
4. Eziologia e dinamica del crimine
a) Determinismo diretto
Il determinismo del crimine è dimostrato, sia nei suoi
fattori che nei suoi processi, in un solo caso: quello degli atti
compiuti all'improvviso e senza riflessione. Gli psicanalisti
anglosassoni hanno ritenuto che si potesse in questo caso fare
riferimento al concetto di 'passaggio all'atto' (acting out), in un
primo tempo preso in considerazione soltanto nel quadro della cura
(una scarica psicomotoria a motivazione inconscia viene a
sostituirsi all'espressione ideo-affettiva propria del rapporto di
transfert). Il passaggio a questi atti improvvisi e inconsulti
sarebbe caratterizzato da una parte dal ricordo, evocato dalla
situazione attuale, di una vecchia situazione conflittuale e,
dall'altra, da una reazione emotiva intensa che provoca un blocco
intellettuale e una regressione.
In generale il determinismo diretto è prodotto da fattori di
ordine fisiologico (collera) o patologico (alcolismo, debolezza
mentale, epilessia, psicosi), oppure da fattori sociali (stato di
necessità, situazione disperata o di miseria estrema). Da
questi fattori derivano reazioni esplosive, delle quali il crimine
primitivo rappresenta l'esempio tipo. De Greeff si è sforzato
di precisarne il processo in una prospettiva in cui le reazioni
esplosive sono sottese dalla collera, e lo ha chiarito evidenziando
due concetti: da un lato quello di 'zona di tolleranza', che
definisce l'ampiezza del campo degli adattamenti che non obbediscono
alle regole della vita sociale, e dall'altro quello di 'falsa
compensazione', che indica gli atteggiamenti acquisiti (ironia,
sarcasmo, certi sorrisi, certe forme di pietà, di disprezzo o
perfino di umiltà) che permettono, con sforzo, di vincere la
reazione primitiva.
Accanto alle reazioni esplosive occorre collocare le reazioni del
tipo 'corto-circuito'. Ernst Kretschmer ha dimostrato che esse
costituiscono un insieme logico e razionalmente organizzato, ma
dissociato dal resto della personalità, come un frammento
autonomo. L'azione è spesso, in questa ipotesi, di nessuna
utilità per il suo autore; essa gli serve semplicemente di
sfogo. Se ne trovano esempi in alcuni incendi dolosi e infanticidi,
legati alla debolezza di mente e, talvolta, provocati da uno stato
di disperazione o di panico.
b) Formazione della personalità
Studiare la formazione della personalità significa anzitutto
sforzarsi di cogliere l'azione e l'interazione dei fattori biologici
(terreno organico) e sociali (ambiente personale) che l'hanno
influenzata. Al primo posto tra i fattori biologici si trova il
patrimonio ereditario. Lo studio dei gemelli ha mostrato che i
monozigoti manifestano una maggiore analogia di comportamento,
soprattutto quando si tratta di recidivi. Pertanto, più il
comportamento criminale si dimostra cronico, più appare
legato all'ereditarietà: è una constatazione davanti
alla quale le ricerche citogenetiche sulle aberrazioni cromosomiche
assumono un interesse eccezionale.
Non devono neppure essere trascurati i precedenti di carattere
personale, anteriori, concomitanti o posteriori alla nascita. Non si
deve trascurare alcun dettaglio, anche se non si può,
ovviamente, ricondurre la formazione della personalità a un
dettaglio. I fattori biologici interferiscono con i fattori
dell'ambiente personale, che può essere suddiviso in:
ambiente inevitabile, quello che comprende la famiglia d'origine e
il luogo di residenza; ambiente occasionale, che comprende la
scuola, l'apprendistato, il servizio militare; ambiente scelto,
comprendente la famiglia nata dal matrimonio, il lavoro, il tempo
libero; ambiente subito, costituito dalla polizia, dalla giustizia e
dalle prigioni. L'importanza dell'ambiente subito è decisiva:
su questo punto la teoria interazionista si ritrova d'accordo con le
ricerche precedenti. Ma studiare la formazione della
personalità significa anche delineare i processi attraverso
cui i diversi fattori agiscono e interagiscono. Nella concezione
psicanalitica il bambino è originariamente un essere
istintivo dominato dal principio del piacere. È soltanto
attraverso una lenta maturazione che egli tende ad adattarsi al
principio di realtà. Poiché questa maturazione avviene
all'interno della famiglia, i processi primari della formazione
della personalità sono di ordine familiare, mentre tutti gli
altri processi sono di carattere secondario. Partendo da questa
concezione psicanalitica, Noël Mailloux ha insistito sulla
crisi di identità che attraversa il giovane durante questa
formazione. Tale crisi ha per lo più un carattere episodico,
ma l'incomprensione dei genitori, collocando il fanciullo di fronte
all'alternativa 'servitore della società o pecora nera',
può condurlo a sentirsi rifiutato e spingerlo a
un'identificazione negativa che determinerà poi il suo
destino di paria. Questa nozione di identità negativa
presenta delle affinità con quella del 'processo di
etichettamento' elaborata dalla teoria interazionista per rendere
conto dei fattori dell'ambiente subito.In una prospettiva assai
diversa si collocano i processi socioculturali considerati dal punto
di vista del comportamentismo e descritti da E. H. Sutherland. Il
principio della sua teoria delle associazioni differenziali è
che ciascuna personalità assimila la cultura che la circonda,
a meno che - è il caso degli Stati Uniti - non vi siano altri
modelli in conflitto con essa. Pertanto un individuo diventa un
delinquente se l'apprendimento di definizioni favorevoli alla
violazione della legge è superiore all'apprendimento di
definizioni favorevoli all'osservanza della legge. Il
condizionamento socioculturale completa la formazione della
personalità delineata grazie alla psicanalisi. Di fatto,
questa ha dimostrato che se il processo di socializzazione di un
bambino uscito da un ambiente di criminali si è svolto
normalmente, egli diventerà conseguentemente un antisociale,
perché avrà fatto proprio il 'codice' dei genitori.
c) Formazione della situazione
La formazione della situazione è importante tanto quanto
quella della personalità. Olof Kinberg ha distinto le
situazioni specifiche o pericolose, all'interno delle quali
l'occasione non è stata ricercata, e le situazioni
aspecifiche o amorfe, all'interno delle quali l'occasione deve
essere ricercata. Nel primo caso la situazione può dipendere
dall'istigazione di un partner (coppia criminale) o dal ruolo della
vittima (coppia penale). Partendo da quest'ultimo punto di vista lo
studio delle vittime ha elaborato i concetti di vittima latente, di
criminale-vittima e di relazione specifica criminale-vittima
(convivenza di alcolisti). Tali concetti hanno consentito di
studiare i fattori biologici (età, sesso, stato
psicopatologico) e sociali (professione e situazione sociale:
immigrati, minoranze etniche e religiose) che favoriscono la
formazione di una situazione specifica: questo processo di
formazione genera tensioni psicologiche che si accumulano. Nel
secondo caso, quello della situazione aspecifica, deve essere
ricercata l'occasione, formulato un piano, reclutati dei complici,
preparati gli strumenti. In queste situazioni non specifiche assai
spesso le vittime vengono scelte a seconda delle circostanze. Quanto
ai processi che entrano in gioco, essi concernono i rapporti tra
criminali e pubblico (segregazione, conflitto progressivo e
competizione con la polizia) e i rapporti dei criminali tra loro
(modalità, organizzazione, professionalità).
d) Passaggio all'atto
La distinzione tra situazioni specifiche e non specifiche è
fondamentale quando si arriva a trattare il passaggio all'atto. Nel
caso della situazione non specifica è indubbio che sia la
personalità a dominare. In quello della situazione specifica,
invece, le cose sono più complesse. In una situazione
suscettibile di condurre a un atto grave (omicidio) la
personalità è ancora in primo piano. Ma se si tratta
di una situazione che può sfociare in forme di delinquenza
media o minore, allora l'importanza primaria spetta alle
circostanze. La nostra conoscenza, tuttavia, per quanto concerne
queste ultime è assai limitata, mentre l'esame del predominio
della personalità ha sollecitato molto di più
l'interesse dei clinici e dei ricercatori. Proprio per questo lo
studio del passaggio all'atto si è orientato prevalentemente
verso i fattori e i processi relativi alla personalità.
L'approccio alla personalità del soggetto, quale essa si
presenta al momento del passaggio all'atto, è assai delicato.
Per molto tempo si è creduto che un approccio tipologico,
ispirato a quello psichiatrico, potesse essere la soluzione
più adatta. Ora invece l'esperienza ha rivelato che nel
nostro caso occorre un approccio più sofisticato. Pertanto si
è fatto ricorso a una descrizione realizzata attraverso i
tratti psicologici e le ricerche si sono orientate in questa
direzione, ma il loro sviluppo è stato ostacolato da
contrasti di carattere generale.
La maggior parte degli ostacoli emersi sono stati enunciati, fin dal
1892, dall'antropologo Léonce Manouvrier. Nominato, dal II
Congresso internazionale di antropologia criminale svoltosi a Parigi
nel 1889, membro di una commissione incaricata di condurre uno
studio (auspicato da Garofalo) su cento criminali viventi e cento
persone incensurate, egli pubblicò una memoria nella quale
sosteneva che il confronto richiesto era impossibile. Lasciando da
parte gli assassini, in quanto la statistica non potrebbe rivelare
un assassino su cento uomini ritenuti onesti, egli chiamò in
causa la criminalità sconosciuta e affermò che i
detenuti costituiscono uno 'scarto', una categoria più
facilmente afferrabile da parte della legge e della polizia, che
rappresenta una specie di capro espiatorio in grado di assicurare
alla legge un'indispensabile convalida. Studiando i detenuti, non si
studia antropologicamente né il crimine né l'insieme
dei criminali.
Sono obiezioni riprese periodicamente, che devono essere però
relativizzate. Charles Andersen ha dimostrato, in effetti, che il
criminale che rimane sconosciuto differisce radicalmente dal
criminale conosciuto. Solo quest'ultimo è costretto a
prendere coscienza di essersi collocato al di fuori o in
contrapposizione rispetto alle norme sociali e morali. Questa presa
di coscienza avviene nel momento in cui l'apparato di polizia,
giudiziario o penitenziario si chiude su di lui, mentre prima egli
aveva conservato l'integrità della sua personalità di
fronte al mondo esterno. È quindi legittimo studiare i
delinquenti conclamati e accettare i dati ricavati da un confronto
tra loro e i non delinquenti (v. Colloque..., 1963, p. 9).
Questo confronto pone un nuovo problema: è necessario formare
il gruppo di controllo in modo da assicurarne l'omogeneità e
la rappresentatività. Si tratta di un compito difficile,
suscettibile di introdurre una serie di distorsioni, che solo gli
studi 'per coorti' consentono di evitare.
Sulla base delle ricerche effettuate, e in considerazione dei loro
risultati, sono stati adottati fondamentalmente due approcci
metodologici, tra loro contrapposti: il primo considera inutile
tentare di costruire un modello della personalità criminale e
si accontenta di far ricorso ai modelli esistenti (antropologico,
psichiatrico, psicanalitico), anche a prezzo di un ritorno alla
tipologia e con la conseguenza di dover abbandonare la descrizione
per 'tratti'; il secondo invece considera opportuno definire un
modello della personalità criminale, pur sottolineando che
non vi sono differenze naturali tra criminale e non criminale, i
quali sarebbero separati soltanto da differenze di grado o di
struttura; inoltre il modello della personalità criminale non
sarebbe statico, ma evolutivo e dinamico, soprattutto in funzione
dell'età.
Vi sono formulazioni diverse del modello della personalità
criminale, nonostante i suoi elementi costitutivi siano costanti. Il
raggruppamento e il concatenamento di questi elementi variano
secondo i diversi autori: Marc Le Blanc e Marcel Frechette ne hanno
dato recentemente una nuova prova. Il modello che personalmente
ritengo valido raggruppa gli elementi della personalità in un
nucleo centrale (aggressività, egocentrismo, labilità,
indifferenza affettiva) e in alcune variabili (temperamento,
attitudini fisiche, intellettuali e professionali, bisogni legati
all'alimentazione e alla vita sessuale). Naturalmente il modello
completo esiste soltanto nei casi più gravi (grandi criminali
e recidivi definiti come 'criminali veri'), mentre negli altri casi
gli elementi del nucleo centrale si attenuano. Canepa e i suoi
collaboratori, in una ricerca sui detenuti recidivi di età
compresa tra i 18 e i 25 anni, hanno ottenuto i seguenti risultati:
nel 7,31% dei casi si sono potuti riscontrare quattro elementi della
personalità criminale; nel 16,24% tre elementi; solo due
elementi nel 32,7% dei casi; un elemento nel 34,5%; nessun elemento
nel 9,1%. Occorre anche rilevare che caratteri di labilità si
ritrovano nel 65,5% dei casi, di aggressività nel 58,2%, di
egocentrismo nel 38,2% e di indifferenza affettiva nel 26,24% (v.
Canepa e altri, 1974).
Da un punto di vista oggettivo vi è passaggio all'atto quando
la pulsione che spinge al crimine è superiore alla resistenza
che incontra. Questa pulsione, dalla quale è determinato il
passaggio all'atto, è l'aggressività, che può
essere fisiologica (aggredire nel senso di andare avanti) o
patologica (aggredire nel senso di attaccare). Essa viene
neutralizzata nella maggior parte degli uomini da una qualche
resistenza (timore della disapprovazione sociale, gravità
della minaccia penale, pietà verso le vittime). Ora, i
criminali di professione e i grandi criminali mancano di queste
inibizioni: non riescono a giudicare un problema morale da un punto
di vista diverso da quello personale, sono egocentrici, labili,
incapaci di evitare ciò che può portare loro danno,
indifferenti affettivamente, privi di emozioni e inclinazioni di
carattere altruista. Accanto a questi fattori della
personalità che determinano il passaggio all'atto, vi sono
quelli che ne regolano l'esecuzione. Pertanto la direzione della
condotta criminale è in funzione del temperamento, la sua
riuscita dipende dalle attitudini fisiche, intellettuali e
professionali, la sua motivazione sta nei bisogni alimentari e
sessuali.
I processi del passaggio all'atto si sviluppano a partire dalle
situazioni che ne sono alla base. Nella situazione non specifica
prevale il processo di maturazione criminale, descritto da
Sutherland, nel quale si combinano il possesso di tecniche criminali
e una tendenza generale verso la criminalità che fa sì
che il soggetto si consideri in un certo senso impegnato in una
carriera criminale. Un omicidio di carattere utilitario, dal canto
suo, deve essere inquadrato in una situazione specifica che
determina il processo di atto grave. Questo si compone - come ha
mostrato de Greeff - di fasi successive (consenso moderato, consenso
manifesto, crisi) e si colloca sotto il segno dell'inibizione
affettiva. Una varietà del processo di atto grave è
l'omicidio passionale, che passa anch'esso attraverso i tre stadi
dell'omicidio di carattere utilitario.
L'approccio al processo del passaggio all'atto è ancora oggi
al livello raggiunto da Sutherland per il processo di maturazione
criminale e da de Greef per il processo di atto grave. È
ancora a questo punto perché gli strumenti metodologici
necessari per questo tipo di approccio non sono stati perfezionati
dopo i lavori di questi illustri criminologi. Si è rimasti
ancora all'intervista clinica e al metodo documentario, che sono
strumenti insufficienti per affrontare una nuova dimensione della
ricerca: quella della microcriminologia.
e) Influenze della società globale
Il fenomeno criminale si svolge all'interno dell'ambiente generale:
si inscrive cioè in una determinata società. Occorre
quindi precisare l'influenza di questa società globale. Per
molto tempo essa è stata studiata in una prospettiva
atomistica e sono stati messi in rilievo fattori geografici (clima e
soprattutto urbanizzazione), economici (crisi, disoccupazione),
culturali (istruzione, religione, stampa, cinema, radio,
televisione), demografici (temperamento nazionale, età,
sesso), politici (guerra, rivoluzione, insufficiente prevenzione
dell'alcolismo e delle tossicodipendenze). Oggi, però,
è necessario un approccio più ampio, che consiste nel
ricercare se esistano fattori in scala con la società
globale, di natura analoga a quella dei fattori della
personalità e quindi suscettibili di stimolarli. Per esempio,
il moltiplicarsi delle frustrazioni nelle città, dove la
condizione di isolamento cresce in modo drammatico, è stato
messo in rapporto con l'aggressività. Allo stesso modo si
è sottolineato che la crescente confusione spirituale
determina uno stato di anomia che favorisce la generalizzazione
dell'egocentrismo; che la soddisfazione immediata, il piacere del
momento, la mancanza di organizzazione in una prospettiva a lunga
scadenza (legata all'assicurazione pubblica o privata) stimolano la
labilità; che la fragilità della famiglia e la
riduzione delle relazioni di solidarietà suscitano
l'indifferenza affettiva. Da ciò si può comprendere
l'attuale sfida della criminalità e l'insicurezza che essa
determina. È dunque possibile parlare di società
criminogena.
Diversi fattori entrano in gioco per far avanzare gli stimoli
criminogeni, attraverso il corpo sociale, fino all'ambiente
personale. C'è anzitutto l'indigenza economica e culturale,
che è alla base della criminalità da disadattamento e
ha come causa diretta le sottoculture, emanazione delle
società chiuse. Da una sottocultura si può, per
spostamenti impercettibili, passare a una controcultura che esprima
l'ideologia criminale. C'è poi il processo di comunicazione,
che permette di diffondere questa ideologia criminale (anche
attraverso opere di alto valore letterario). Essa si insinua, turba,
fa degli adepti, si banalizza: giustifica la criminalità
ludica come quella legata alla disoccupazione. C'è inoltre la
contestazione giovanile (dai teddy boys ai blousons noirs, ai
Provos, ai beatniks e agli hippies), che ha diffuso le idee dei
Provos in tutta la gioventù: gli avvenimenti del maggio 1968
a Parigi ne sono stati un immenso happening. La crisi economica non
fa che accentuare questa opposizione larvata o attiva, che
può condurre alla droga o alla violenza. C'è infine il
contagio gerarchico, che può spingere i disadattati a imitare
i gangsters, i delinquenti a burocratizzarsi secondo l'esempio della
struttura amministrativa, i piccoli truffatori a prendere come
modello i criminali in colletto bianco, i delinquenti comuni a
basarsi sull'esempio dei politici, i giovani drogati a ispirarsi
agli artisti e alle stars. Dopo tutto non c'è forse in atto
un processo di imitazione che viene dall'America del Nord e si
diffonde in Europa, nel campo della criminalità come in altri
campi?
5. Criminologia clinica
a) Principî
Gli studi di criminologia scientifica non possono disinteressarsi
dei problemi sociali e individuali che sono implicati dalla pratica
penale, ma anzi possono fornire i mezzi per una migliore
individualizzazione della reazione sociale. Di fatto, la
criminologia clinica (cioè l'applicazione della criminologia
scientifica alla pratica penale) ha come obiettivo quello di
formulare un parere sul delinquente, parere che comporta una
diagnosi di pericolosità, una prognosi sociale ed
eventualmente un trattamento destinato a prepararne il reinserimento
sociale. La sua finalità è quindi il recupero del
delinquente, ma per realizzare questa finalità nel quadro del
sistema penale era necessario che quest'ultimo fosse riformato sia
nei suoi orientamenti generali che nei suoi meccanismi procedurali.
La criminologia clinica si è quindi presentata fin
dall'inizio come una disciplina impegnata e riformista. Dopo la
seconda guerra mondiale è stata sostenuta particolarmente dai
giuristi vicini alle dottrine della 'difesa sociale' (Filippo
Gramatica, Marc Ancel).
Alla criminologia clinica sono state rivolte diverse critiche da
parte della criminologia radicale. Secondo quest'ultima la
criminologia clinica sarebbe dominata da un'ottica conservatrice e
le riforme che essa propone porterebbero soltanto a rafforzare la
società attuale senza cambiare l'ordine esistente. Ma
poiché il preteso conservatorismo della criminologia clinica
non poteva essere sostenuto di fronte alle sue finalità, i
criminologi radicali hanno orientato le loro critiche verso altri
settori. Hanno denunciato così il mito della medicina, che
servirebbe da base alla criminologia clinica, senza preoccuparsi del
principio metodologico dell'eliminazione dei tipi psichiatricamente
definiti. Hanno voluto credere che la criminologia clinica avesse
per principio l'assimilazione dei malati mentali e dei delinquenti:
cosa questa completamente falsa. La criminologia clinica non
è la medicina, ma si organizza metodologicamente come la
medicina. I criminologi radicali hanno insistito infine sull'idea
che non è possibile prendere come obiettivo il reinserimento
sociale del delinquente, poiché questo lo condurrebbe ad
accettare l'ordine stabilito, fondato sull'ingiustizia sociale. Si
tratta di una critica che non ha alcun fondamento: parlare di
reinserimento sociale in criminologia clinica significa
semplicemente riferirsi al fatto che conviene far prendere coscienza
al delinquente delle cause della sua condotta, in modo che egli
possa dominarle. La criminologia clinica non è una tecnica di
condizionamento politico: è una scienza della libertà.
b) Metodi
I metodi della criminologia clinica comprendono l'osservazione,
l'interpretazione e la terapia. Alla base dell'osservazione
c'è un esame medico-psicologico e sociale. Nei casi semplici
sono sufficienti un esame medico, un esame psichiatrico, un esame
psicologico (test d'intelligenza, test caratteriali di tipo
oggettivo, test di orientamento professionale), e un'indagine
sociale. Non vi è alcun vantaggio a trattenere il delinquente
in una istituzione per gli esami: la clinica criminologica non
può essere un pretesto per giustificare le detenzioni
provvisorie. Vi sono tuttavia dei casi in cui è auspicabile
un'osservazione diretta del soggetto all'interno dell'istituzione
carceraria. Possono essere necessari anche degli esami complementari
di tipo biologico (encefalogrammi, esami endocrinologici e
citogenetici) e psicologico (test proiettivi, prove della
sincerità).
È fondamentale, in clinica criminologica, l'interpretazione
dei dati ricavati dall'esame. Fin da Garofalo, si conosce il
criterio che deve presiedere a questa interpretazione. Si tratta di
determinare lo stato di pericolosità del delinquente, i cui
elementi sono la capacità criminale (temibilità) e
l'adattabilità (capacità di adattamento sociale), ma
questa determinazione è rimasta per lungo tempo allo stato
intuitivo ed empirico. Oggi la valutazione dello stato di
pericolosità può essere effettuata in rapporto a un
modello generale o più specificamente criminologico (per
esempio il modello della personalità criminale delineato a
proposito del passaggio all'atto). La diagnosi attuale dello stato
di pericolosità, effettuata a partire da uno di questi
modelli, deve essere completata da una prognosi sociale.
Quest'ultima è facilitata dalle tecniche di previsione
(schemi e tavole), che tuttavia, in campo clinico, occorre
utilizzare con una certa prudenza.
La terapia richiede un ambiente (all'interno dell'istituzione,
libero o semilibero) e dei metodi che si ispirano alle esperienze
effettuate in campo psichiatrico (azioni socioeducative di sostegno,
colloqui di gruppo) e alle tecniche sociologiche (sociodramma,
gruppo di lavoro). Anche in questo caso conviene essere prudenti nei
confronti delle tecniche comportamentali (token economy, per
esempio) che trascurano la personalità. Naturalmente i mezzi
classici, che sono l'insegnamento, l'educazione e il lavoro,
completano queste tecniche. È tuttavia necessario riconoscere
che in materia di terapia siamo ancora, per mancanza di
applicazioni, in una condizione di incertezza e senza una dottrina
sicura.
c) Applicazioni
Le applicazioni della criminologia clinica sono, in effetti, assai
poca cosa almeno per quanto concerne i delinquenti adulti. I
pionieri della criminologia clinica in campo penitenziario sono
stati José Ingenieros (Argentina) e Louis Vervaeck (Belgio).
Sotto l'impulso della loro azione sono stati creati in Europa dei
centri di osservazione per dividere i detenuti tra i diversi
stabilimenti di pena, e in America, in particolare negli Stati
Uniti, dei centri di classificazione per seguire l'applicazione
della pena, ma la clinica criminologica è rimasta, per quel
che riguarda gli adulti, nell'anticamera della giustizia, sempre
confinata nella perizia psichiatrica tradizionale. In Francia,
tuttavia, dal 1958 esiste la possibilità di un esame
medico-psicologico e di un'indagine sulla personalità
(quest'ultima è addirittura obbligatoria nel caso di un
crimine).In definitiva, è solo la legislazione dei minori
che, nella maggior parte dei paesi, ha tentato di integrare la
clinica criminologica nei suoi meccanismi procedurali e nelle sue
istituzioni educative.
d) Risultati
Per quanto fragili e talvolta forzate siano le applicazioni
cliniche, alcuni ricercatori hanno preteso di poterne valutare i
risultati. Hanno quindi effettuato dei confronti di gruppi omogenei
di delinquenti (dello stesso livello intellettuale, origine sociale,
età e comportamento antisociale). Questi confronti hanno
portato a buoni risultati, grazie a certe tecniche statistiche che
permettono di realizzare una sperimentazione indiretta. I
delinquenti sottoposti a un dato regime carcerario sono stati
classificati secondo un'equazione di previsione fissata per un altro
regime. Il confronto tra i risultati reali e quelli teorici ha
rivelato una mancanza di differenze rispetto alle prospettive di
recidività. Gli stessi risultati sono stati ottenuti sia che
si trattasse di un regime lungo sia breve, di un regime aperto
(condizionale) o chiuso (prigione), di una prigione di massima
sicurezza o normale.
Queste ricerche sono state presentate come una condanna delle
applicazioni cliniche, ma Canepa ha mostrato chiaramente che il
trattamento clinico dev'essere distinto dal regime penale e
penitenziario, il cui fallimento era già stato denunciato
dalla criminologia positivista. "Io penso - ha scritto - che nessun
sistema penale, passato o presente, abbia mai utilizzato e valutato
in modo sistematico l'apporto degli orientamenti clinici della
criminologia" (v. AA.VV., 1980, p. 185).
Queste pseudovalutazioni delle applicazioni cliniche conducono
tuttavia a domandarsi se sia possibile modificare la
personalità del delinquente nella prospettiva del suo
reinserimento sociale. Per rispondere a questa domanda occorre
partire dal fatto che la personalità e la situazione formano
una totalità funzionale e quindi i cambiamenti intervenuti
nella situazione influenzano l'insieme: si può pertanto
prevedere un trattamento della situazione realizzato con un lavoro
sociale idoneo. D'altra parte, l'età gioca un ruolo
importante: dopo la pubertà occorre attendere i 35 anni per
poter trovare nuove possibilità di evoluzione. È
dunque aperta la strada a un'azione sui delinquenti vicini a
quest'età, che favorisca tali possibilità. Infine,
nell'evoluzione di una personalità tra la pubertà e i
trentacinque anni esistono non soltanto momenti pericolosi, ma anche
momenti favorevoli alle emozioni morali. Trovare questi momenti,
utilizzarli e valorizzarli può essere l'obiettivo da
perseguire. Entro questi limiti è possibile influenzare la
personalità di un delinquente con un trattamento terapeutico
adeguato.
e) Prospettive future
Un'ultima precisazione sul futuro della criminologia clinica. In
presenza di una politica repressiva questo futuro appare confuso:
perché la criminologia clinica possa svilupparsi è
necessario, anzitutto, che il legislatore sia disposto ad adattare
alle sue raccomandazioni il regime giuridico e istituzionale. Ma
perché le applicazioni cliniche siano efficaci, è
anche necessario quanto segue: disporre di un personale addestrato e
inquadrato in una carriera, il che presuppone che la criminologia
clinica abbia un proprio statuto universitario; avere i mezzi
necessari per condurre a buon fine esperienze che non siano del
tutto irrilevanti; procedere a un numero limitato di esperienze
prima di decidere riforme istituzionali e legislative di ordine
generale; avere delle ambizioni 'modeste' e tenere sempre presente
che è necessario non nuocere (primum non nocere). L'avvenire
della criminologia clinica è subordinato a queste condizioni.
6. Prevenzione del crimine
a) Prevenzione generale
Nella prospettiva storica adottata dalla criminologia radicale la
nascita della criminologia sarebbe legata a un momento particolare
del capitalismo e al desiderio di legittimare, in nome della
scienza, l'intervento dello Stato contro i delinquenti, il cui
comportamento porterebbe danno alla vita economica. Questo punto di
vista è in contraddizione col fatto che Lombroso e Ferri
erano socialisti e che quest'ultimo ha anche preconizzato dei
"sostitutivi penali" di ordine economico, politico, scientifico,
civile, amministrativo, religioso, familiare, educativo. Tra le
riforme sociali auspicate da Ferri ve ne sono molte che sono
puramente e semplicemente ricavate dal programma socialista: egli ha
così aperto la strada alla prevenzione generale del crimine,
attraverso la quale la criminologia diventa una delle fonti della
scienza politica. Essa sollecita i criminologi a riflettere sulla
società postindustriale e sui suoi difetti: è qui che
il concetto di società criminogena può rivelarsi
utile.
Sulla base di questo concetto si possono cercare dei rimedi di
carattere generale per limitare gli elementi criminogeni che la
società produce. Dev'essere quindi ridotta l'inflazione
legislativa e amministrativa, se si vuole eliminare l'anomia fonte
di egocentrismo. Le leggi sociali (sicurezza sociale, assegni
familiari, aiuto sociale) richiedono una doppia valutazione. Da un
lato esse favoriscono l'imprevidenza e la mancanza di organizzazione
a lungo termine e stimolano la labilità; dall'altro, la
scomparsa pressoché totale del vagabondaggio e della
mendicità è legata proprio al loro sviluppo. La lotta
contro l'alcolismo, che rappresenta un fattore di
aggressività, deve essere messa al primo posto in una
politica di igiene sociale rivolta, altresì, alla prevenzione
dei disturbi mentali e delle malattie veneree (il che comporta il
controllo della prostituzione) e delle tossicodipendenze. Infine la
protezione della famiglia, la limitazione del divorzio (almeno
quando la coppia ha dei bambini), la dissuasione nei confronti
dell'aborto (soprattutto attraverso l'informazione e l'educazione)
sono tutti provvedimenti suscettibili di circoscrivere lo sviluppo
dell'indifferenza affettiva. La cellula familiare, infatti,
rappresenta il luogo privilegiato in cui si manifesta il calore
affettivo. Per cessare di essere criminogena una società deve
essere costruita sulla libertà, sull'amore, sul disinteresse,
sull'onore.
b) Prevenzione specifica
Accanto alla prevenzione generale, negli Stati Uniti sono stati
condotti dei tentativi di prevenzione specifica, che sono consistiti
in esperienze terapeutiche di massa organizzate a vantaggio di aree
geografiche limitate. Nonostante l'entità dei mezzi
impiegati, a Chicago e a New York, i risultati ottenuti non sono
stati significativi. A partire dal 1970 ci si è accontentati
di una prevenzione di natura poliziesca, definita difesa dello
spazio comune. In molti paesi diverse iniziative di polizia
(divisione delle città in 'isole') realizzano queste
aspirazioni di prevenzione.In Francia è stato istituito un
Consiglio nazionale per la prevenzione della delinquenza, che ha
ramificazioni dipartimentali e comunali. Circoli di prevenzione,
animati da educatori e assistenti sociali, sono spesso in grado di
realizzare con efficacia questa politica.
7. Conclusione
La conclusione che si può ricavare dagli sviluppi che abbiamo
sopra delineato è che la criminologia si trova oggi a una
svolta della sua storia. Il carattere specifico della situazione
attuale si manifesta nel disordine registrabile nei fatti, nelle
idee e nella reazione sociale. Il disordine nei fatti è
attestato dalla sfida della criminalità; nelle idee,
dall'apparizione di una anticriminologia ideologica; nella reazione
sociale, dallo sviluppo di una società repressiva e
dall'insufficienza della criminologia clinica.Quanto sappiamo del
passato ci induce tuttavia a non cadere in un pessimismo eccessivo.
Ai soprassalti della criminalità succedono periodi di calma,
alla frantumazione delle ricerche seguono le sintesi, ai periodi di
repressione succedono fasi dominate da un orientamento umanitario e
scientifico. Già adesso alcuni indizi consentono di sperare
che alla crisi attuale della criminologia si sostituirà, in
futuro, una ricerca scientificamente feconda e una pratica
arricchita dalla clinica.