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Enciclopedia delle scienze sociali (1992)
Sommario: 1. L'origine e i primi impieghi del concetto. 2. Il
controllo sociale secondo E. A. Ross. 3. Controllo sociale ed
equilibrio sociale dinamico. 4. Il controllo sociale come meccanismo
sociale. 5. Talcott Parsons e l'analisi del comportamento
quotidiano. 6. Le funzioni della devianza: da Merton a Gurvitch. 7.
Gli orientamenti attuali. 8. Controllo sociale e opinione pubblica.
□ Bibliografia.
1. L'origine e i primi impieghi del concetto
Quello di 'controllo sociale' è stato uno dei concetti
principali per la prima sociologia americana, e in assoluto il
più importante negli anni tra il 1905 e il 1925. Coniato da
E. A. Ross nel 1896, esso fu in seguito ripreso, dal volgere del
secolo fin verso la fine degli anni trenta, dalla maggior parte dei
sociologi americani più importanti, e se non fu utilizzato
come termine tecnico, fu assunto però come principale oggetto
d'indagine. Forse proprio per questo motivo esiste oggi una grande
disomogeneità nelle formulazioni del concetto, anche se il
Leitmotiv presente in Ross è rimasto sempre come elemento
vincolante.
Nella società post-tradizionale il controllo sociale, secondo
Ross, è il principale dei vari meccanismi destinati a
provocare la conformità dell'individuo a un comportamento che
consegue dall'interiore concordanza con i valori della
collettività. Quando si tratta di condizionamenti
presuntivamente spontanei e non intenzionali, Ross usa la
denominazione "influsso sociale", mentre il controllo sociale
è per lo più il controllo intenzionale della
collettività sull'individuo: "[...] dominio sociale che si
propone di adempiere, e adempie, una funzione nella vita della
società" (v. Ross, 1901, p. VIII). In questo modo si
risponde, secondo Ross, all'interrogativo sul modo in cui diventa
possibile l'ordine in una società non tradizionale.
La delimitazione del significato di controllo sociale a costrizione
intenzionale alla conformità, così come Ross l'aveva
configurato programmaticamente, non fu adottata né dai suoi
contemporanei né dai suoi successori. Si giunse invece a una
considerevole differenziazione nella terminologia, ma anche nella
comprensione della cosa, ferma restando la rilevanza della
problematica relativa. È quanto osservano, tra l'altro, anche
gli americani Park e Burgess (v., 1921) negli anni venti. In
un'analisi della letteratura sull'argomento, Russel G. Smith
individua sette diverse concezioni di quello che si deve intendere
per controllo sociale (v. Smith, 1930, pp. 23 ss.). Infine Landis
(v., 1939) può affermare nel suo testo - che utilizza nel
titolo il concetto di controllo sociale - che quest'ultimo si
riferisce sia all'influenza intenzionale che a quella non
intenzionale di altre persone sull'individuo. Ben oltre l'importanza
attribuitagli da Ross, il controllo sociale diviene quindi per
alcuni autori sinonimo di imprinting sociale e di controllo
sull'uomo in generale (v. Meier, 1982, p. 36).
Una delle definizioni più diffuse è quella di
Gurvitch: "Il controllo sociale può essere definito come la
somma totale o piuttosto come il complesso di modelli culturali,
simboli sociali, aspirazioni spirituali collettive, valori, idee e
ideali, come anche di atti e processi a questi direttamente
collegati, per mezzo dei quali la società complessiva, ogni
gruppo particolare e ogni singolo membro partecipante superano le
tensioni e i conflitti al proprio interno attraverso equilibri
temporanei, e muovono verso nuovi sforzi creativi" (v. Gurvitch,
1945, p. 291).
Lo studio del controllo sociale sarebbe stato dunque quasi sinonimo
di sociologia. E infatti il controllo sociale fu il tema principale
della prima sociologia americana. Veniva ripresa negli Stati Uniti
la classica problematica posta dai filosofi della morale scozzesi:
com'è possibile l'ordine? com'è spiegabile l'esistenza
della cultura considerando la natura animale dell'uomo? a che cosa
può essere ricondotta l'adesione a norme universalmente
vincolanti? (v. Wiebe, 1967).
Anche nel periodo successivo la sociologia americana ha interpretato
la società, nella sua sostanza, come una comunità di
norme e di valori nella quale i singoli individui devono inserirsi.
Ciò accade ad esempio nelle opere di Sumner (v., 1906) e di
Cooley (v., 1909). Per questo tipo di interpretazione diffuso nella
sociologia americana al tempo del predominio del Mid West è
caratteristica la seguente definizione di Coser e Rosenberg: "Il
controllo sociale si riferisce a quei meccanismi tramite i quali la
società esercita la sua autorità sugli individui che
la compongono, e fa rispettare la conformità alle sue norme".
Tra i sociologi che ebbero maggiore influenza sulla disciplina nel
periodo successivo alla seconda guerra mondiale, solamente George
Homans concepiva il controllo sociale con quell'ampiezza che era
stata attribuita al concetto dai classici americani. Homans infatti,
interpretando il comportamento secondo il modello 'stimolo-risposta'
del comportamentismo, e quindi come guidato dall'attesa della
ricompensa e della punizione, considera il controllo sociale come un
meccanismo di regolazione sul piano individuale. Ne deriva che il
controllo sociale è "il processo tramite il quale, se un uomo
deroga dal suo attuale grado di obbedienza a una norma, il suo
comportamento viene riportato verso quel grado o vi verrebbe
riportato qualora derogasse" (v. Homans, 1950, p. 301). Il controllo
sociale è dunque il processo - ogni processo - per mezzo del
quale un comportamento deviante viene nuovamente reso conforme. Un
concetto certo più ampio di quello di sanzione, che tematizza
invece solo un aspetto del controllo sociale, e cioè il
procedimento interpretato dall'individuo come determinata reazione a
un determinato comportamento. Un comportamento deviante - oppure
considerato generalmente insolito - provoca tutto un intreccio di
reazioni, delle quali le sanzioni sono di solito soltanto un aspetto
percepito in modo particolarmente vivido.
L'universalità del concetto di controllo sociale iniziava
però a disgregarsi, già all'inizio degli anni trenta,
secondo due direzioni: una differenziazione secondo i vari settori
della sociologia, l'altra secondo le tassonomie, con una filigrana
di sottoconcetti. A quel tempo negli Stati Uniti la sociologia si
evolveva a scienza dei problemi della società contemporanea,
per cui il problema del controllo sociale divenne quello della
differenziazione delle società moderne. In una società
poco differenziata non si presentano difficoltà di principio
nello spiegare il comportamento uniforme con il controllo sociale
esercitato dalla collettività. Come spiega
Lévi-Strauss in Tristi tropici, in una società poco
differenziata la pressione della conformità è
straordinariamente elevata. La conformità fa parte dei doveri
fondati religiosamente, e non ha bisogno di essere imposta con uno
specifico apparato di potere. Nelle società differenziate,
invece, si differenziano anche le aspettative e deve
conseguentemente essere abbandonata l'immagine dell'individuo che si
contrappone alla società. Le società moderne sono
costituite da un intreccio di istituzioni e di rapporti che
sottostanno alle aspettative generali e a quelle specifiche per
l'istituzione o per la situazione interne alla compagine sociale.
L'idea di un controllo sociale che raggiunge tutti immediatamente e
nello stesso modo, quindi, non si presenta qui come paradigma
adeguato. Nel processo di differenziazione della società
anche il controllo sociale si differenzia e viene esercitato da
persone e istituzioni diverse, secondo la specificità della
situazione (v. Scheuch, 1989).
Per reazione a questo stato di cose alcuni sociologi americani,
più orientati verso le scienze morali, proposero delle
tassonomie, all'interno delle quali le distinzioni si effettuavano
in relazione alle istituzioni, alle tecniche, oppure ai tipi di
controllo sociale. Una delle tassonomie più dettagliate
veniva proposta circa cinquant'anni fa da Eubank (v., 1931, cap.
11). Simili tassonomie non si sono però dimostrate, fino a
oggi, particolarmente feconde.Sarebbe stato forse più
proficuo il tentativo di comprendere gli aspetti del controllo
sociale in modo concettualmente differenziato. È da
menzionare, ad esempio, la compattezza del controllo sociale come
qualità importante per una collettività, ma non ci
sono ancora molti tentativi in questa direzione.
A partire dagli anni trenta il tema del controllo sociale si era
sempre più frammentato nei diversi rami della sociologia. Le
problematiche che questi proponevano erano più concrete del
concetto generale di controllo sociale e potevano collegarsi
più strettamente con l'empiria. Questi settori della
sociologia sono: il comportamento deviante, la sociologia del
diritto, la sociologia della medicina, le norme, i valori, le
sanzioni. Con Talcott Parsons questo sviluppo raggiunse la sua
formulazione ancora oggi efficace (v. Parsons, 1951, in particolare
il cap. 7). Su questo argomento Jesse R. Pitts constatava:
"C'è oggi meno interesse per un tema che, se deve essere
trattato come qualcosa di diverso da un sommario delle varie
specialità, richiede un livello di generalità
teoretica che può sembrare al di là delle nostre
possibilità attuali" (v. Pitts, 1968, p. 394). Un'analisi
condotta sulla principale fonte bibliografica degli studi
sociologici, i "Sociological abstracts", dava come risultato che
negli anni ottanta la nozione di controllo sociale equivaleva a
quelle di ostacolo e di reazione al comportamento deviante. Come
tale essa è diventata un concetto fondamentale solo nella
sociologia criminale; questo concetto è, inoltre, ancora in
uso nella sociologia della medicina e della politica.
L'interesse circa i motivi e i processi che rendono naturale il
comportamento conforme non si attenuò quando venne meno
quello per un concetto generale di controllo sociale estensibile a
più situazioni, ma semplicemente trovò altre
espressioni. Negli anni cinquanta e sessanta fu il concetto di ruolo
a diventare il paradigma unificatore, proprio come lo era stato il
concetto di controllo sociale nella prima sociologia americana. Con
i ruoli, interpretati quali aspettative legate a una posizione, si
riusciva ugualmente a spiegare il comportamento conforme a una
regola, come conseguenza sia delle aspettative di un ambiente verso
un attore, sia delle aspettative dell'attore nei confronti di se
stesso. Il vantaggio della nozione di ruolo era la
possibilità di esprimere queste aspettative, correlandole
alla posizione assunta di volta in volta all'interno di una
struttura sociale differenziata.
2. Il controllo sociale secondo E. A. Ross
Questa suddivisione del concetto, le tassonomie e a maggior ragione
la successiva limitazione del controllo sociale a controllo del
comportamento deviante (in connessione con l'insegnamento di Talcott
Parsons) esauriscono le ragioni da cui era nato il concetto e la
problematica per la quale esso era stato pensato originariamente.
Per i sociologi americani tra il 1890 e gli anni trenta era stato
fondamentale il problema di come sia possibile un nuovo ordine dopo
la dissoluzione dei vincoli tradizionali. L'evidente onnipresenza
dei problemi sociali doveva forse considerarsi una tappa del
decadimento finale di ogni ordine? Secondo Ross i problemi sociali
seguono necessariamente dai mutamenti sociali solo quando manca il
controllo sociale.
Ross muoveva in modo esplicito dall'idea di un ordine naturale
(natural order) che deriverebbe dal concorso spontaneo delle
personalità di uomini incorrotti. A questi uomini incorrotti
Ross contrappone poi, nella sua opera Social control, gli "idioti
morali" della società industriale urbanizzata: "coloro che
non si immedesimano in un altro più di quanto la bestia
s'immedesimi nell'angoscia della sua preda" (v. Ross, 1901, p. 50).
Alla base del concetto di controllo sociale di Ross c'è un
assunto antropologico circa l'essenza dell'uomo, secondo il quale
egli è condotto allo stato "incorrotto" da una sorta di
imperativo kantiano. Allo stato naturale questi uomini non hanno
bisogno di istituzioni formali, ma sono legati tra loro in un ordine
sociale dai vincoli primari immediati - di tipo familiare, religioso
e di vicinato. Come esempio di ordine naturale Ross cita le
società senza scrittura e anche la vita comunitaria, in
condizioni di uguaglianza sociale ed economica.
Secondo un'opinione fino a oggi diffusa in sociologia, questo ordine
naturale degli uomini viene distrutto con la trasformazione della
società apportata dalla modernizzazione. Una trasformazione
distruttrice, le cui forze agenti erano individuate
nell'urbanizzazione, nell'emigrazione e nell'annullamento della
selezione naturale in senso darwiniano. Proprio perché
quest'ultima non adempie più alla sua funzione cresce,
secondo Ross, il numero degli "idioti morali". In seguito a questo
mutamento e a un'immigrazione costituita prevalentemente da
avventurieri e da sradicati provenienti da tutte le parti del mondo,
l'ordine naturale dei primi immigrati negli Stati Uniti dovette
essere sostituito con un ordine razionale (ibid., p. 43). In queste
analisi generali di Ross il controllo sociale risulta raggiunto
grazie a istituzioni finalizzate, concepite razionalmente. Questo
ordine sociale, se attuato tempestivamente dagli uomini rimasti
ancora incorrotti, sostituisce l'ordine naturale distrutto.
Nel successivo svolgimento della sua opera Ross riconosce che
l'ordine sociale progettato deve prendere in considerazione anche i
lati non razionali dell'esistere sociale. L'accento si sposta quindi
dal primato del controllo esterno - il cui presupposto è
individuato come in Rousseau in un patto razionale tra gli uomini,
in una sorta di contratto sociale - alle influenze meno esplicite e,
in seguito, soprattutto agli impulsi interiori, che portano a
scegliere il proprio comportamento in conformità alle
aspettative.Questo sviluppo del pensiero di Ross può anche
essere interpretato come un sempre maggiore distacco dalla sua
disciplina accademica originaria: l'economia politica. L'economia
politica appresa da Ross portava l'impronta dell'utilitarismo
inglese e concepiva la condotta dell'uomo come guidata
dall'interesse individuale, mentre la somma degli egoismi
individuali, grazie a una "mano invisibile", si sarebbe trasformata
nel massimo bene comune che si possa raggiungere. Ross in un primo
momento concepiva il comportamento come una condotta troppo
responsabilizzante dal punto di vista morale, che deve essere scelta
per motivi diversi da quelli egoistici affinché in generale
si formi una società.
Nei lavori successivi di Ross, in cui trova spazio anche la
trattazione empirica dei problemi sociali, l'accento si sposta verso
gli impulsi meno coscienti del comportamento umano. Quando menziona
le diverse istituzioni che producono un controllo del comportamento
naturale disturbato in favore dell'ordine sociale, Ross non fa
praticamente che descrivere la dottrina delle istituzioni della
sociologia dell'epoca. In un primo tempo egli compilò un
elenco di 33 differenti tipi di controllo sociale esercitato dalla
società sui suoi membri. In seguito ne ricavò un
elenco più breve con 23 forze capaci di esercitare influenza
sociale, che divise in due gruppi: controllo esterno e influsso
sociale (persuasion). Le istituzioni più importanti per il
controllo esterno sono le religioni organizzate in Chiese e il
diritto, che sostituisce nella società moderna l'ordinamento
tradizionale basato sulla consuetudine. Le forze più
significative che esercitano un influsso sociale sono l'opinione
pubblica, l'educazione, l'esempio morale e la creazione artistica.
Secondo gli sviluppi successivi del pensiero di Ross, il progresso
morale consiste nella graduale sostituzione (in realtà:
risostituzione) della coercizione esterna con la disciplina interna:
"Più una comunità è democratica, più
è in grado di passare dai controlli repressivi all'educazione
e alla persuasione. L'educazione, riteneva Ross, aiuta a rendere
consapevole la gente delle origini sociali del proprio essere
morale, e dei propri obblighi sociali quali membri di una
comunità democratica" (v. Coser, 1978, pp. 302-303). Nello
stesso Ross non si trova tuttavia alcun chiarimento circa il modo in
cui il controllo esterno diventa controllo interiorizzato; questo
punto sarà tematizzato solo più tardi, da Mead e da
altri, negli anni trenta.
Orientamenti simili a quelli di Ross si ritrovano anche in pensatori
europei a lui contemporanei: ad esempio nell'idea di Durkheim della
rottura della solidarietà meccanica e del conseguente
disorientamento anomico degli uomini. Dal mutamento sociale non si
forma, spontaneamente, un nuovo ordine. Al contrario, secondo
Durkheim l'ordine economico moderno è un continuo generatore
di anomia, per cui le comunità naturali fondate sulla
solidarietà spontanea devono essere sostituite con nuove
comunità progettate razionalmente, la cui base può
essere solo quella dell'ordinamento professionale. Come strumento di
controllo sociale Durkheim indica poi la conscience collective (v.
Durkheim, 1893).
La distinzione tracciata da Tönnies tra comunità e
società è connessa allo stesso tipo di pensiero
evoluzionistico. In Tönnies manca tuttavia ogni riferimento al
darwinismo sociale, che si trova invece in Ross, e che con Spencer
diviene un topos dominante della sociologia inglese di fine secolo.
Anche Tönnies considera gli ordinamenti sociali nascenti dal
frantumarsi delle comunità come intimamente fragili, per cui
si pone anche per lui il problema di come sia possibile l'ordine
dopo tale frantumazione (v. Tönnies, 1887).
Con la Scuola di Chicago, che ebbe un'influenza predominante negli
anni venti, l'attenzione fu spostata dal controllo sociale alla
disorganizzazione sociale. Per W.E. Thomas la disorganizzazione
sociale (social disorganization) è definita dall'assenza di
controllo sociale. Lo stesso concetto si trova in Park e Burgess,
che trattarono questa assenza di controllo sociale come problema
soprattutto delle metropoli (v. Park e Burgess, 1921). Secondo la
Scuola di Chicago la città è una forma di convivenza
che senza dubbio amplifica la libertà, ma crea anche problemi
sociali per i quali non si intravede alcuna soluzione: "Il problema
sociale è fondamentalmente un problema urbano. È il
problema di ottenere, nella libertà della città, un
ordine sociale e un controllo equivalenti a quelli che si
sviluppavano naturalmente nella famiglia, nel clan e nella
tribù" (v. Park, 1952, p. 74).
Nel Chicago area project esponenti della Scuola di Chicago
cercarono, operando sul terreno dell'applicazione pratica, di
stabilire legami di gruppo primario nella metropoli, attraverso
l'azione sociale: "Tutti i problemi sociali risultano essere alla
fine problemi di controllo sociale" (v. Park e Burgess, 1921, p.
785). In quest'applicazione pratica il controllo sociale -
considerato nella prima formulazione del problema come controllo
esplicito ed esterno sull'individuo - si trasformava nei meccanismi
di un autocontrollo desiderato e accettato, rispetto al quale il
controllo sociale come costrizione esterna opera in modo dannoso.
Trattando il controllo sociale in stretta relazione con i problemi
sociali, come indicava la Scuola di Chicago, rimaneva irrisolto uno
degli aspetti più importanti della teoria del controllo
sociale. Su questo punto Herbert Mead offre un contributo decisivo.
Il comportamento sociale dipende, secondo Mead, dalla
capacità dell'individuo, in una società, di vedere se
stesso con gli occhi dell'altro. Si tratta, come è evidente,
di una psicologizzazione dell'imperativo etico kantiano. Un simile
'vedersi con gli occhi dell'altro' è soprattutto un
presupposto per l'agire collettivo (v. Mead, 1932, pp. 192-193).
In questo indirizzo della sociologia americana, che fu per lungo
tempo il più rilevante, è caratteristica una tendenza
alla Kulturkritik. Talvolta celata, ma facile da individuare invece
nell'opera di Ross, essa è legata a un concetto altamente
ideologizzato della virtù degli americani puritani, situati
ai confini della civiltà, e della corruzione delle metropoli
invase dagli immigrati. A questa avversione per la civiltà
urbana si univano sempre uno sfondo religioso e un fervore
missionario. Ross pubblicò più di 200 studi su
riviste, e i suoi libri raggiunsero tirature di 300.000 copie.
Lester Ward, che aveva con lui legami familiari, ebbe, quale
conferenziere, l'agenda completa per anni. Molti sociologi del Mid
West furono riformatori populisti oltre che giornalisti critici
della cultura (Lincoln Stevens, Upton Sinclair, Thornstein Veblen).
Accanto alle grandi strutture emergenti, già allora si
delineava il contro-progetto secondo il quale 'piccolo è
bello' (small is beautiful).I contenuti della Kulturkritik, e in
particolare la critica alla società industriale
burocratizzata, derivano in parte anche dall'adesione alle correnti
culturali europee. Ross e Park trascorsero anni importanti del
proprio sviluppo intellettuale in Germania, e al ritorno negli Stati
Uniti rifiutarono l'imbozzolatura speculativa di questa Kulturkritik
entro sistemi filosofici, ma associarono i suoi contenuti al fervore
religioso che animava i membri delle libere chiese evangeliche.In
particolare fu Ross che riscosse un enorme successo, e non solo
all'esterno, ma anche all'interno della sua disciplina. La sua opera
più importante, Social control (1901), che conteneva una
raccolta di studi pubblicati tra il 1896 e il 1898 sull'"American
journal of sociology", ebbe un successo immediato. Cooley, Park,
Thomas e Burgess ripresero questa tematica e l'interesse generale
che ne derivò indusse l'American Sociological Society a
dedicare il suo congresso del 1917 esclusivamente al tema del
controllo sociale.
3. Controllo sociale ed equilibrio sociale dinamico
Quello di controllo sociale divenne uno dei concetti principali nei
manuali adottati in America, e tale rimase sino alla fine degli anni
trenta. È quanto dimostra Kurt H. Wolff (v., 1958) in
un'analisi sistematica svolta appunto sui testi adottati.Un esempio
di come veniva inteso il controllo sociale è dato dalla
definizione che si trova nel diffuso manuale di MacIver e Page, nel
quale esso è definito come "la condizione grazie alla quale
l'ordine sociale permane coerente e si mantiene, il modo in cui esso
opera come un tutto, come un equilibrio dinamico" (v. MacIver e
Page, 1949, p. 137). Il controllo sociale diventava anche il tema di
manuali specifici. Nel primo di essi è lamentata la mancanza
di una definizione appropriata (v. Lumley, 1925). Nel secondo
invece, di Jerome Dowd (v., 1936), il controllo sociale diventa
storia dell'evoluzione della convivenza, dalle prime forme
paternalistiche fino al controllo democratico nel futuro. L.L.
Bernard (v., 1939), nel terzo testo, tenta di portare chiarezza
sviluppando dei sottoconcetti come quelli di motivazione e tecniche
del controllo, o di forme negative e costruttive. E anche nel quarto
testo, quello di Landis, che come quello di Bernard ebbe ampia
diffusione, si lamenta, proprio come agli inizi, che il concetto di
controllo sociale faccia riferimento sia ai controlli intenzionali
che a quelli non intenzionali. Quando si raccomanda di continuare a
utilizzare il concetto di controllo sociale, malgrado questa
confusione, viene addotta la giustificazione che proprio tale
concetto sia indispensabile per l'analisi dei problemi sociali (v.
Landis, 1939): fino ai tardi anni quaranta esso rimarrà
dunque un concetto fondamentale nei manuali della sociologia
americana.
Contemporaneamente si sviluppa tuttavia un'altra concezione del
controllo sociale. È in particolare nella letteratura
periodica che concetti come norme, integrazione e riferimento ai
valori vengono preferiti al concetto di controllo sociale, quando
sono tematizzati rispettivamente il comportamento conforme e la
devianza dalle aspettative. Gli anni trenta rappresentano il periodo
in cui negli Stati Uniti la sociologia generale si disgrega in tante
diverse sociologie applicate, all'interno delle quali ha luogo la
vera ricerca empirica, e il saggio su riviste viene favorito come
forma di comunicazione. Il manuale per gli studenti e la letteratura
periodica specializzata si allontanano sempre più l'uno
dall'altra.
La fine della concezione del controllo sociale quale nozione
principale e assolutamente generale della sociologia è legata
al successo di Talcott Parsons, per il quale il controllo sociale
è una reazione al comportamento deviante e come tale è
da mettere in stretta relazione con il concetto di sanzione (v.
Parsons, 1951). In seguito il controllo sociale sarà
utilizzato principalmente - con eccezioni ancora da menzionare -
dalla sociologia criminale.
4. Il controllo sociale come meccanismo sociale
La teoria del controllo sociale, propria della sociologia americana
tra il 1890 e la fine degli anni trenta, è considerata oggi
per molti aspetti particolari ormai solo di interesse storico.
Ciò non vale naturalmente per le riflessioni generali sui
fondamenti dell'ordine tra gli uomini. La trattazione di questa
problematica si è però spostata sull'analisi delle
singole istituzioni sociali. Si può notare come si sia
modificata la comprensione del problema, a partire dalla concezione
di Parsons in poi, dal sottotitolo di due libri allora molto
diffusi, che avevano come titolo proprio il controllo sociale:
mentre il sottotitolo del libro di Ross del 1901 era ancora A survey
of the foundation of order, il sottotitolo della seconda edizione
(1956) del testo di Paul H. Landis recitava: Social organization and
disorganization in process.
Diverse furono le cause che provocarono la scomparsa del controllo
sociale quale concetto fondamentale della ricerca empirica, anche se
esso fu considerato tale ancora per due decenni nei manuali
americani. Il motivo più rilevante fu comunque il successo
della sociologia stessa. Quando Ross collegava la connotazione di
'sociale' con quella di 'controllo' del comportamento umano, la
scelta aveva un carattere programmatico. A quell'epoca prevaleva la
convinzione che il comportamento dell'uomo derivasse dall'istinto o
da predisposizioni biologiche, oppure da convinzioni ideali e
religiose. Un esempio del diverso significato attribuito al
controllo sociale, rispetto alla concezione consueta, si trova nel
manuale di Landis: "A differenza dalle altre creature, l'uomo nasce
senza modelli definiti in grado di garantire una vita ordinata
[...]. Il fatto che un qualche controllo abbia operato in tutte le
società è prova della sua necessità" (v.
Landis, 1939, 1956², p. 36). Il controllo sociale inizia quindi
a essere considerato come l'alternativa a un ordine predeterminato
dalla natura, mentre è palese che la società è
una forma di convivenza spiegabile socialmente e non biologicamente.
Il controllo sociale, inteso prevalentemente come meccanismo
sociale, non ha più bisogno quindi di essere contrapposto a
modi di vedere alternativi.
Una seconda causa della perdita di significato della nozione di
controllo sociale risultò dalla ricerca empirica relativa ai
fenomeni osservati con particolare attenzione dalla Scuola di
Chicago, cioè dallo studio della criminalità. Secondo
la concezione propria dei fondatori della sociologia americana, in
questo tipo di devianza si esprimeva il fallimento del controllo. Ma
ora E.H. Sutherland (v., 1924) e altri erano in grado di rilevare
che la criminalità non esprime sempre e solo una devianza
dell'individuo dalle attese del suo ambiente, ma può
significare anche conformità. Le bande giovanili sono il
contrario di un'addizione di individui anomicamente isolati; esse
sono invece comunità con una insolita intensità di
interazione. Nella tesi (propria della sociologia criminale) della
associazione differenziale è appunto teorizzato il fatto che
la criminalità può essere entrambe le cose: devianza
dei singoli dalle aspettative sociali, ma anche conformità
alle aspettative di una subcultura che si contrappone alla
società generale. Il conflitto che sfocia nella delinquenza
in questo caso non è espressione di una violazione
individuale delle norme, bensì di un contrasto di norme tra
una comunità e la collettività nel suo insieme.
La tesi dell'importanza delle comunità per spiegare l'elevata
criminalità, e in particolare quella giovanile, era solo un
aspetto di una concezione più generale, secondo la quale la
società industriale non è priva di strutture
comunitarie. E d'altra parte, attraverso studi su villaggi e
ricerche etnologiche, si giunse alla conclusione, peraltro ovvia,
che non esiste in generale alcun motivo per ritenere che le
comunità, nelle società tradizionali, siano libere da
conflitti (v. Shils, 1972). L'ipotesi evoluzionistica, che era
implicita nella concezione del controllo sociale nella fase di
fondazione della sociologia americana, si dimostrava insostenibile.
La rappresentazione dell'evoluzione come passaggio dalla
comunità alla società era un fraintendimento
intellettuale del presente e insieme del passato. Di conseguenza
veniva meno anche l'idea secondo cui un ordine esplicito codificato
del presente sarebbe l'equivalente di un ordine naturale del
passato.
La riduzione del concetto di controllo sociale a controllo del
comportamento deviante, a sua volta ridotto a controllo
dell'infrazione alle norme, può essere interpretata come
reazione della sociologia al processo della differenziazione
sociale. Ciò si accompagna alla crisi dell'idea di una legge
etica unitaria, che pervade tutti i settori della vita sociale. Il
controllo del comportamento viene avvertito dagli uomini di oggi in
relazione al proprio ruolo specifico. I contenuti del controllo, in
relazione ad esempio con il ruolo di lavoratore o di coniuge o di
artista, sono troppo eterogenei per poter essere considerati solo, o
principalmente, come espressioni concrete di un processo più
generale.
5. Talcott Parsons e l'analisi del comportamento quotidiano
In un prospetto sulla condizione della sociologia negli Stati Uniti,
preparato per l'UNESCO nel 1956, Hans L. Zetterberg ritenne
superfluo citare il controllo sociale come concetto o tema centrale
della sociologia americana (v. Zetterberg, 1956). Si riproduceva
così un errore allora diffuso, secondo il quale il concetto
di controllo sociale sarebbe stato importante solo in alcune branche
specifiche della sociologia, e in particolare nella sociologia
criminale. Indubbiamente è vero che in Parsons il controllo
sociale viene tematizzato solo in relazione ai fenomeni di devianza
sociale, ma il concetto di devianza comprende per lui qualsiasi
variazione del comportamento rispetto agli standard sociali.
Controllo sociale e devianza sono quindi in Parsons concetti della
sociologia generale e non di una sua branca specifica.
Quale funzionalista, Parsons presuppone l'esistenza di un ordine
sociale. Ciò costituisce, evidentemente, un rovesciamento
della prospettiva di Ross, secondo cui l'ordine sociale nasce solo
grazie a una sorta di contratto sociale. Per Parsons diviene un
problema fondamentale come questo ordine riesca a sopravvivere in
quanto sistema sociale, tenuto conto delle continue trasformazioni e
dei continui casi di comportamento deviante. Egli indica due
processi fondamentali: quello della socializzazione e quello del
controllo sociale. Il più efficace dei due dovrebbe essere il
primo, attraverso cui i valori del sistema culturale diventano
motivazioni dell'individuo. Nella maggior parte dei casi i membri di
un sistema sociale si comportano in modo conforme alle aspettative
degli altri. Il controllo sociale rappresenta, invece, un processo
equilibratore costante, che opera nei casi di socializzazione
imperfetta e/o di un mutamento sociale non previsto nel sistema
culturale. Il carattere della devianza (deviation) viene definito
come "tendenza a far emergere o un cambiamento nelle condizioni del
sistema interattivo, oppure un riequilibrio a opera di forze
contrarie: quest'ultimo è il meccanismo del controllo
sociale" (v. Parsons, 1951, p. 250). La devianza deriva allora dalla
frustrazione relativa ai ruoli, la quale genera nell'attore uno
stato d'animo designato come ambivalenza. Tale ambivalenza
può manifestarsi nei confronti del partner dell'interazione o
nei confronti della norma. L'idea che la devianza sia ambivalenza
nei confronti delle persone e delle norme, e non il loro rifiuto,
rappresenta un punto fondamentale del pensiero di Parsons - non
diversamente dall'idea guida di Simmel nell'analisi delle relazioni
tra stranieri e indigeni. Solo interpretando la devianza come
ambivalenza, il processo del controllo sociale può essere
indicato, come accade in Parsons, quale reazione sostanzialmente
terapeutica.
L'ambivalenza, secondo Parsons, può portare all'indifferenza,
per cui l'azione non ha luogo, oppure ad atteggiamenti di adesione e
insieme di rifiuto nei confronti delle aspettative, o infine
può sfociare in un agire coatto (compulsive). Viene
considerato coatto quell'agire nel corso del quale è
accentuato solo un lato dell'ambivalenza: se viene ammessa solo
l'adesione Parsons parla di "conformità", se viene
evidenziato solo il rifiuto, di "alienazione coatta" (compulsive
alienation). Un caso particolarmente significativo di questo genere
di comportamento è per Parsons la malattia mentale.
La concezione di Parsons, là dove analizza il comportamento
dell'attore, è fortemente influenzata dalla sua vicinanza
alla psicanalisi. Si comprende così il motivo per cui,
riguardo al controllo sociale, non parli in primo luogo di pena ma
piuttosto di una terapia che presuppone un'elevata misura di
reciproca dedizione, nel deviante e in coloro che si adoperano per
la sua correzione (ibid., cap. 7). È l'esatto contrario del
concetto di pena di Durkheim, che in essa vedeva un mezzo per
ristabilire nella collettività il senso della giustizia. Per
Parsons si tratta piuttosto della riconduzione del deviante a un
comportamento normale, e non di un procedimento con il quale il
controllore reagisce all'ambivalenza presente nel deviante.
Per quanto riguarda il malato mentale, è evidente che egli,
da una parte, accetta la 'moratoria sociale' della diminuzione delle
aspettative nei propri confronti, che deriva dalla definizione
stessa di malato mentale, ma nello stesso tempo aspira con il medico
a raggiungere la salute. Se il controllore accetta quest'ultimo
valore, si crea una motivazione comune tra il controllore e il
deviante. Per quanto strano tutto questo possa sembrare a un primo
esame, la teoria del controllo sociale di Parsons è alla base
della sociologia della malattia mentale e anche della sociologia
della pena (penology). "La teoria del controllo sociale è
l'inverso della teoria della genesi delle tendenze al comportamento
deviante. Essa è l'analisi di quei processi esistenti nel
sistema sociale che tendono a neutralizzare le tendenze devianti, e
delle condizioni alle quali tali pressioni opereranno" (ibid., p.
297).Parsons sostiene che la tendenza alla devianza è
presente ovunque ma che per lo più essa si traduce in atti
poco appariscenti e poco importanti nelle conseguenze. Allo stesso
modo non sono appariscenti per l'individuo neppure la maggior parte
dei meccanismi di controllo sociale. Parsons li distingue
così.
1. L'istituzionalizzazione. Con ciò si intende che le
aspettative vengono precisate. Nelle società moderne, con
valori pluralistici, si presentano spesso conflitti derivanti dalla
mancanza di chiarezza nelle aspettative reciproche.
2. Le sanzioni interpersonali, fra cui Parsons comprende soprattutto
gli atti informali, come il sorriso o l'aggrottamento della fronte,
oppure l'espressione di dissenso.
3. La ritualizzazione. Si intende con ciò la
possibilità di sviare lo stress derivante dall'ambivalenza,
ad esempio attraverso comportamenti particolarmente formali.
4. Le istituzioni secondarie. Sono le istituzioni al cui interno
è possibile un comportamento che al di fuori di questo ambito
verrebbe sanzionato negativamente come deviante. Parsons porta
l'esempio della cultura giovanile, che in parte impone una moratoria
sociale per il comportamento deviante. Altri esempi sarebbero un
casinò, un bordello, oppure il carnevale. Ciò che
è consentito all'interno di tali istituzioni non sarebbe
accettabile al di fuori delle stesse.
5. Le istituzioni reintegranti. Sono le persone e i tipi di
comportamento che nell'ambivalenza del deviante mettono in evidenza
il consenso ancora presente.
6. L'apparato coercitivo. Questo punto non viene ulteriormente
specificato da Parsons, perché nell'analisi delle devianze e
del controllo sociale egli considera prima di tutto un sistema che
si autoregola in modo non evidente per i suoi membri e tende sempre
a ritornare verso lo stato di equilibrio.
Come causa principale della devianza e come principale
necessità del controllo di essa, Parsons identifica i
conflitti di valore, riferendosi con ciò non a valori
reciprocamente contrastanti bensì alle differenze
nell'interpretazione dello stesso valore. Proprio i valori
universali sono quelli che lasciano maggior spazio
all'interpretazione. Interpretazioni contrastanti sono molto
difficili da conciliare, perché tutte le interpretazioni
contrapposte si considerano legittime. Il giovane che si appropria
di un'automobile per 'fare un giro', non definisce il suo
comportamento un furto, ma un prestito non autorizzato; per il
proprietario dell'auto il 'prestito' lede invece il suo diritto di
proprietà.
Come sottolinea Sutherland, questo tipo di conflitto è
particolarmente evidente nella criminalità che deriva
dall'appartenenza a subculture. In questo caso può sussistere
una completa concordanza con la cultura dominante nel ritenere
assolutamente inaccettabile il furto qualora la vittima non sia in
grado di difendersi, in quanto vecchia o debole, oppure addirittura
cieca. Il dissenso sull'interpretazione dei diritti derivanti dalla
proprietà viene così limitato nella sua portata. Per
quanto riguarda il dissenso religioso esiste, e in particolare negli
Stati Uniti, l'istituto sociale della setta. Come istituzione
secondaria, permette di praticarvi un tipo di religiosità
altrimenti considerato scandaloso.
La dottrina di Parsons non è un'analisi delle persone
devianti, ma del comportamento deviante. La maggior parte dei nostri
atti è conforme alle aspettative, ma la stragrande
maggioranza degli uomini che compongono una società moderna
si comporterà, anche soltanto una volta, in modo deviante.
Parsons non si occupa qui di una forma della sociologia criminale -
come frequentemente viene equivocato - ma di una dottrina del
controllo del comportamento nella quotidianità.
Nella specificazione della sua teoria Parsons sviluppa, com'è
solito fare, una complicata tipologia tramite la combinazione di
coppie di opposti. Egli distingue prima di tutto tra reazione attiva
e passiva all'esperienza dell'ambivalenza. Sostiene poi che questa
ambivalenza può rivolgersi principalmente contro oggetti
sociali (persone) oppure contro norme. A seconda della reazione,
l'ambivalenza può risolversi in conformismo oppure in
reazione alienata. Dalla combinazione dei vari fattori
risulterà una tipologia articolata in otto ambiti.
schema
Nell'ulteriore svolgimento della sua teoria Parsons giunge, come
spesso gli accade, a un vero barocchismo concettuale. Un esempio si
ha nell'analisi delle istituzioni secondarie, con la distinzione
della loro azione come insulation oppure isolation: qui la
differenziazione del concetto è fine a se stessa. Conserva
tuttavia il suo interesse la prospettiva fondamentale che consisteva
nella concezione della devianza e del controllo come parti di un
insieme di regole grazie alle quali è possibile analizzare un
sistema sociale, sia quando è in movimento, sia quando
è stabile. Non è la criminalità, ma il
comportamento nella quotidianità che viene tematizzato
"nell'integrazione istituzionale della motivazione e nel reciproco
sostegno degli atteggiamenti e delle azioni proprie dei diversi
attori individuali coinvolti in una struttura sociale
istituzionalizzata" (ibid., p. 302).
6. Le funzioni della devianza: da Merton a Gurvitch
Nello sviluppo delle intuizioni di Parsons l'accento si sposta dal
controllo sociale della devianza alle funzioni della devianza
stessa. La più vicina alle idee di Parsons è la teoria
di Robert K. Merton sulla spiegazione del comportamento deviante, e
in particolare della piccola criminalità. Merton prende le
mosse dall'assunto parsoniano, secondo il quale il comportamento
deviante è caratterizzato da un'ambivalenza nei confronti
delle norme. Come Parsons anche Merton distingue tra le risoluzioni
attive dell'ambivalenza (come la ribellione) e le forme passive
(come il vagabondaggio). Notevole è per Merton il fatto che
sia chi agisce in modo alienato, sia chi agisce in modo conforme
alle norme afferma in egual misura i valori fondamentali della
società. I due si diversificano soprattutto perché i
mezzi per il raggiungimento di questi valori sono per essi
diversamente accessibili. Così, la maggior parte dei ladri
è della stessa opinione dei derubati: per entrambi la
proprietà è un valore sociale fondamentale e positivo.
Tuttavia, poiché i mezzi per il conseguimento della
proprietà non sono solitamente accessibili ai ladri, questi
ultimi creano condizioni nelle quali quel valore, peraltro
accettato, non deve essere rispettato in modo incondizionato da
persone nella loro situazione (v. Merton, 1949).
In Merton il concetto principale per la spiegazione della devianza
è l'anomia. Essa si ritrova in particolare tra quelle persone
di un sistema sociale che hanno un minore rispetto per la
legittimità di un valore, oppure - caso numericamente
più rilevante - tra quelle persone che hanno un minore
rispetto per le norme da osservare per ottenere un tale valore. Nel
caso del furto si tratta, secondo Merton, di una mancanza di
giustizia rispetto alle possibilità di avanzamento sociale.
Questo minore rispetto verso le norme trova dunque una spiegazione
nella struttura sociale stessa.
La teoria di Merton è applicabile in modo particolare alla
piccola criminalità giovanile, ma viene spesso estesa a tutto
il comportamento criminale, con intenti giustificatori, nella
sociologia con tendenze alla critica sociale.
Nadel (v., 1953) distingue tra controllo sociale e autoregolazione,
con l'intento di spiegare quello che è particolarmente
evidente nello studio delle società semplici. In queste
società la devianza è associata alle sanzioni
più lievi proprio quando riguarda i tipi di comportamento
più importanti. Il rispetto delle norme non può quindi
spiegarsi con l'aspettativa di controlli sociali in caso di
comportamento deviante. È a questo proposito che viene
introdotta come spiegazione l'autoregolazione. La sua azione
è una forma di controllo sociale, nel senso che l'osservanza
di una norma ne consolida la validità con più
efficacia di quanto ciò non riesca a un insegnamento pubblico
oppure a una dimostrazione di controllo. Tuttavia, se la norma in
qualche raro caso viene infranta, la reazione che ne segue ha un
effetto rafforzante, cosicché la trasgressione occasionale
delle norme possiede, secondo Nadel, un significato confermativo. Si
parla dunque di "funzione coesiva dell'infrazione delle norme". I
rapporti con Durkheim e Simmel sono qui evidenti (v. Coser, 1956).
Le conseguenze di un simile spostamento dell'attenzione verso le
funzioni della devianza in relazione al sistema sociale si ritrovano
in autori come Roger Nett e Harry M. Johnson. Per Nett (v., 1953)
è più il conformista che nuoce alla società,
che non chi viola le norme. Harry M. Johnson (v., 1960) motiva un
punto di vista analogo con l'osservazione che le norme sono spesso
disfunzionali. Una devianza è funzionale quando è
motivata (voluta), e solamente di quest'ultima Johnson si occupa in
seguito. È naturale allora che egli definisca il controllo
sociale nel modo seguente: "Il controllo sociale consiste
nell'azione di tutti i meccanismi che neutralizzano le tendenze
devianti, sia prevenendo gli atti devianti che - cosa ancora
più importante - controllando o rovesciando gli elementi
della motivazione che tendono a produrre il comportamento deviante"
(ibid., p. 553).
Considerando il controllo sociale quale mezzo per ripristinare
l'equilibrio - come fa Parsons -, l'analisi della devianza diventa
allora analisi delle esigenze di restaurare l'equilibrio interne a
un sistema sociale. Per questo motivo è comprensibile che la
tematica del comportamento deviante attragga soprattutto gli
studiosi orientati verso la critica sociale, e che l'ottica del
controllo sociale passi completamente in secondo piano di fronte al
tentativo di spiegare la devianza come indizio delle debolezze del
sistema sociale.
Lo stesso Ross non aveva chiarito se il controllo sociale fosse
un'azione esterna (external control) - come per Homans - oppure
comprendesse anche l'autocontrollo del comportamento (internal
control) da parte dell'attore (v. Homans, 1950, p. 284). Nei seguaci
di Parsons, in relazione all'accentuazione della devianza, il
controllo sociale diviene, soprattutto nei cosiddetti teorici del
conflitto, controllo di organizzazioni formali sul comportamento
individuale e costituisce quindi un particolare tipo di controllo
esterno. Con questo significato circoscritto il controllo sociale
costituisce un tema rilevante nella sociologia delle organizzazioni
e in particolare nella sociologia dell'industria (v. Bunke, 1965).
Nella sociologia criminale l'accento viene messo poi non solo sullo
studio della pena, ma anche sull'esame delle leggi (v. Reckless,
1973). Nel processo di politicizzazione della sociologia americana,
che ha inizio negli anni sessanta, ciò sfocia nell'analisi
delle cosiddette strutture di potere (v. Domhoff, 1967).
In una società pluralista lo studio di un comportamento
orientato verso le norme porta ben presto a porre il problema di
quali norme si tratti. Se, come nella teoria del conflitto, ci si
limita a considerare solo le organizzazioni formali come istanze di
controllo, allora si accentua il contrasto tra le norme di chi
è soggetto al controllo e le norme di chi lo esercita.
Secondo i sociologi marxisti americani - più corretta
è la definizione di neostalinisti - tale contrasto porta a
una rappresentazione della società come sistema di
repressione nell'interesse dell'élite, e all'affermazione che
il controllo sociale è prerogativa dello Stato per il
mantenimento del sistema di sfruttamento (v. Quinney, 1977).
Queste ultime analisi del controllo sociale già non
appartengono più alla sociologia come disciplina accademica.
Diverso è il caso di una seconda variante della teoria del
conflitto, che dominò la sociologia criminale degli anni
settanta: la teoria dell'etichettamento (labelling theory). Secondo
tale teoria una persona risulta criminale in seguito al
corrispondente etichettamento di un comportamento deviante.
Etichettamento che solitamente, a paragone con la devianza stessa,
è una iperreazione che subito assegna al deviante una
posizione particolare: "Questo studio rappresenta una grande svolta
rispetto alla sociologia meno recente, che tendeva a basarsi
acriticamente sull'idea che la devianza porti al controllo sociale.
Io sono giunto a credere che l'idea inversa (cioè che il
controllo sociale porta alla devianza) è ugualmente
sostenibile ed è la premessa potenzialmente più
fertile per studiare la devianza nella società moderna" (v.
Lemert, 1972, p. IX).
Anche in questo approccio, accanto all'applicazione delle norme,
è il loro sviluppo che diventa oggetto di ricerca di
fondamentale importanza per la comprensione del controllo sociale.
In America sono particolarmente conosciuti gli studi di Howard S.
Becker (v., 1973), che analizzò i "moral entrepreneurs"
(guardiani della virtù, autonominatisi tali). Sono queste le
persone che, in una situazione pluralista, impongono le proprie
norme agli altri.
Un approccio simile è presente nella scuola di
etnometodologia, dove si muove dall'assunto ontologico secondo cui
nulla al mondo ha un significato in sé, ma solamente nella
percezione di una persona esterna alla cosa. I contrasti sulla
corretta interpretazione di un oggetto fanno quindi parte della
quotidianità della vita sociale (v. Cicourel, 1974). La vita
sociale ha un significato solo se il nostro prossimo condivide la
nostra rappresentazione della realtà. Il controllo sociale,
di conseguenza, è "il processo di creazione del significato e
della condivisione di questo significato con i membri di un gruppo"
(v. Mitchell, 1978, p. 148). Tale processo solitamente si svolge al
di sotto della percezione cosciente.
Divennero ben presto famosi i tentativi di Garfinkel di mettere in
questione i comportamenti sociali che si danno per scontati,
invitando i suoi studenti a contraddire tutte le aspettative. Per
far luce su quei controlli sociali di cui gli attori non sono
consapevoli, gli studenti dovevano comportarsi, nella
quotidianità della conduzione di una casa oppure di un
negozio, in modo contrario a tutte le concezioni di ordine: "Il
processo attraverso il quale gli individui giungono a persuadere gli
altri della propria versione della realtà sociale è la
creazione dell'ordine sociale; questo processo può essere
chiamato controllo sociale. Poiché il processo è in
corso, la vita sociale può essere considerata poco più
di un continuo esercizio nel controllo sociale" (v. Meier, 1982, p.
50).
Mentre nella labelling theory il controllo è un processo che
avviene per lo più in modo inconsapevole per coloro che ne
sono coinvolti - pur rientrando ancora in quello che Homans
definisce controllo sociale esterno - nell'etnometodologia il
controllo sociale diventa un processo puramente interno. Viene
tematizzato unilateralmente quello che per Ross è solo un
aspetto del controllo sociale. Le ricerche empiriche svolte sulla
scia di Garfinkel e degli etnometodologi hanno rivelato che i
controlli del comportamento sono invece, nella maggior parte dei
casi, costituiti da comportamenti irriflessi, della cui azione di
controllo siamo normalmente inconsapevoli.
A questo punto ci si può chiedere, in linea di massima, se
siano tali comportamenti irriflessi a dover essere intesi come
controllo sociale o non piuttosto le reazioni che si producono in
seguito alla devianza rispetto a essi. Sono due concezioni per le
quali si possono addurre le opinioni di Ross e di altri classici
americani: poiché i comportamenti irriflessi sono il nucleo
dell'ordine sociale ma il controllo sociale tematizza l'effetto
dell'ordine sul comportamento del singolo, allora gli etnometodologi
avrebbero ragione a indicare le devianze volutamente provocate, e la
reazione a esse, come i veri oggetti dell'indagine sull'ordine
sociale. Ma si pone, a questo proposito, la questione della misura
in cui il procedimento empirico produca oggetti artificiali della
ricerca. A sfavore dell'applicazione del concetto di controllo
sociale ai comportamenti irriflessi della quotidianità,
interviene il normale significato della parola - il controllo
è appunto qualcosa che deve essere percepito e non qualcosa
di completamente inconsapevole. Inoltre una regola epistemologica
afferma che meno i concetti definiscono, più sono i fatti
denominabili con lo stesso concetto. Da Ross in poi la
contraddittorietà qui messa in luce fa purtroppo parte di
ogni analisi del controllo sociale e non può che essere
esposta nella sua irrisolta aporeticità.Gli approcci teorici
già ricordati non sono stati gli unici ad avere avuto nel
passato un valore considerevole riguardo al tema del controllo
sociale. Per il primo periodo è da ricordare ancora Roscoe
Pound, che esercitò una grande autorità sui suoi
contemporanei come sociologo del diritto (v. Pound, 1942). Un'ampia
diffusione ebbe anche l'opera di Davis e Barnes (v. Davis e altri,
1927). Più tardi operò lo psicologo behaviorista e
utopista sociale B.F. Skinner (v., 1953). Influenzato in gran misura
da Skinner è George C. Homans, le cui elaborazioni teoriche
si arrestarono per suo stesso giudizio alla delineazione di modelli
per i processi riguardanti i piccoli gruppi, e non si trovò
quindi nelle condizioni di convertire i concetti in procedimenti
operativi per le ricerche empiriche (v. Homans, 1950). Nei manuali
per studenti erano ampiamente diffuse le elaborazioni di La Piere
(v., 1954), non dissimili tuttavia da quelle di L.L. Bernard.
Farebbe parte di questi autori, importanti solo per un periodo
transitorio, anche Roger Nett (v., 1953). Si tratta tuttavia di
variazioni interne alla tradizione americana, che a volte sottolinea
con più intensità le concezioni socio-psicologiche e i
processi impliciti, altre volte va a soffermarsi nuovamente e con
maggiore intensità sui controlli esterni delle organizzazioni
formali. In un articolo che all'epoca ebbe una grande influenza
Gurvitch (v., 1945, p. 285) formula contro di esse una critica di
principio, valida anche per i successivi contributi statunitensi,
che si articola in quattro punti.
1. Il primo presupposto per un impiego produttivo del concetto di
controllo sociale è il rifiuto della idea secondo cui il
controllo sociale ha a che vedere con il progresso o l'evoluzione di
una società. "È impossibile trovare o immaginare una
società umana senza il controllo sociale di essa" (ibid., p.
286).
2. Il secondo presupposto è l'abbandono dell'idea secondo la
quale il controllo sociale servirebbe sempre al sostegno
dell'ordine. In una società pluralista ciò che
è ordine per l'uno è disordine per l'altro. Le
società, e in particolare le società moderne, sono
piene di tensioni. Un equilibrio delle tensioni sempre precario
è tutto quello che ci si può attendere dal controllo
sociale.
3. Per un'analisi scientifica del controllo sociale deve essere
abbandonata la contrapposizione fittizia tra società e
individuo. Il controllo sociale non ha assolutamente per oggetto un
individuo isolato, né è un mezzo che serve per riunire
gli individui isolati in una società. Sono realtà che
non esisterebbero l'una senza l'altra.
4. Deve essere accettato il fatto che, quale microcosmo, ogni
elemento della società ha, a sua volta, un proprio tipo di
sociabilità e quindi anche un proprio tipo di controllo
sociale.
Tra queste obiezioni mosse da Gurvitch, alcune riguardano tutti i
contributi americani sul tema del controllo sociale, altre solo una
parte di essi. Gurvitch avanza poi la propria analisi, che è
uno svolgimento del concetto di "fenomeno sociale totale" di Marcel
Mauss (v., 1934). Sebbene egli lo contesti, le sue argomentazioni
mostrano che la sua teoria del controllo sociale è una forma
di sociologia della cultura. Egli vuole spiegare il modo in cui tipi
di controllo sociale, intesi come fenomeni culturali (i più
importanti sono secondo lui la religione, la morale, l'arte e
l'educazione), cooperano con le istituzioni del controllo sociale
intese come fenomeni sociali. I tipi di controllo sociale sono
distinti da Gurvitch in: a) modelli simbolico-culturali; b) valori,
concetti, ideali; c) attività che portano a nuovi valori e a
nuove idee.
Benché Gurvitch ricoprisse un ruolo preponderante nella
Francia del suo tempo, in seguito alla sua scomparsa l'influenza che
aveva esercitato diminuì anche in quel paese e la sua
concezione del controllo sociale è rimasta senza seguito.
Quello che oggi viene pubblicato sotto la denominazione di controllo
sociale non ha infatti quasi più nulla in comune con i
tentativi descritti finora, diretti a identificare nel controllo
sociale una caratteristica sociale generale.
7. Gli orientamenti attuali
Per determinare l'uso effettivo del concetto e del termine
'controllo sociale' nella ricerca, sono state prese in esame le
annate dei "Sociological abstracts" dal 1981 al 1987. È stata
quindi eseguita un'analisi del contenuto di tutti i contributi
registrati sotto questo termine. In un secondo tempo, a prescindere
dal lemma sotto il quale figuravano, si sono valutati i contributi
in base all'impiego del concetto di 'controllo sociale'. Ne è
risultato, in primo luogo, che il lemma 'controllo sociale', con i
sottolemmi sociology in law e polity, penology and correctional
problems, non comprendeva in realtà più articoli in
cui era effettivamente impiegato il concetto di 'controllo sociale'
di quanti ne comprendessero i contributi classificati sotto altri
lemmi. Nell'insieme, 157 articoli sono stati considerati rilevanti
per formarsi un giudizio circa l'uso effettivo del concetto di
controllo sociale nella ricerca attuale.
Il controllo sociale, come concetto, non è sempre
problematizzato, né viene sempre attribuito a una delle
diverse scuole distinte nei manuali. Prevale la concezione del
controllo sociale come azione di un agente formale nei confronti di
individui da controllare. Ne deriva che obiettivo del controllo
sociale è l'affermazione delle norme per mezzo di controlli
esterni. I significati attribuiti al controllo sono dunque
molteplici. Così, viene descritta come controllo sociale la
reazione con mezzi coercitivi pubblici nei confronti del
comportamento deviante da parte della polizia o delle
autorità carcerarie, ma è considerato un tipo di
controllo sociale del personale medico sul paziente anche l'uso di
Valium o di altri psicofarmaci. Le istituzioni dell'opinione
pubblica sono analizzate quali strumenti per il controllo del
comportamento, in particolare nei riguardi della delinquenza: ne
è un esempio uno studio sul significato dei giornali per la
criminalità nel Far West, negli anni tra il 1887 e il 1889.
Il controllo del comportamento viene tematizzato anche a un
macrolivello, come ad esempio nell'esame del terrore quale mezzo di
dominio nel nazionalsocialismo e nello stalinismo.
Benché ci siano anche ricerche che prendono le mosse
dall'ipotesi di un uso illegittimo del controllo, e che giungono a
caratterizzare l'azione dello Stato come controllo sociale sui
cittadini, tuttavia raramente la realtà del controllo viene
problematizzata. Il problema, nella maggior parte degli articoli
presi in considerazione, è quello dell'efficienza del
controllo.
Per quanto riguarda le scuole attuali, il controllo sociale è
utilizzato nelle teorie sociologiche in modi diversi. Le più
importanti di queste teorie sono l'interazionismo simbolico, al
quale è collegata l'indagine sulle forme di controllo
più sottili, la teoria dei sistemi e l'approccio reticolare.I
settori della sociologia più importanti per l'applicazione
del concetto di controllo sociale sono la sociologia del diritto, la
sociologia della medicina, la sociologia delle religioni, la
sociologia dei giovani e la sociologia della comunicazione
(enumerati qui approssimativamente in ordine d'importanza
decrescente rispetto al concetto). Risulta evidente che oggetto
delle analisi sono in prevalenza minoranze e gruppi sociali
marginali. Il comportamento deviante è sì usato anche
come rivelatore delle colpe della società, ma ben più
frequentemente come campo d'osservazione nel quale sono evidenziati
i limiti del controllo sociale realizzato da agenti ufficiali.
Le analisi dei libri di testo offrono un altro criterio empirico per
un giudizio sull'attuale diffusione di determinati concetti in una
disciplina. Vi viene stabilito - almeno secondo il programma -
quello che è da considerare fondamentale in una disciplina.
Tali analisi sono disponibili, ormai, sia per manuali provenienti
dagli Stati Uniti che per quelli provenienti dalla Repubblica
Federale Tedesca. Dall'analisi di Herrick (v., 1980, p. 617), ad
esempio, si può concludere che, contrariamente al periodo che
arriva fino agli anni cinquanta, il controllo sociale non è
più un tema chiave neppure negli Stati Uniti.
8. Controllo sociale e opinione pubblica
Il concetto di controllo sociale nella ricerca attuale è
usato in modo più ristretto di quanto sia auspicabile, al
contrario di quanto accadeva nella fase della sua formazione, quando
veniva utilizzato in modo troppo ampio. D'altra parte, in qual
misura v'è bisogno di un simile concetto astratto?
Originariamente era stato inteso come concetto opposto ad altre
forze generatrici di ordine, oppure come stadio particolare di un
processo evolutivo: oggi tutto questo è privo di importanza.
Per prima cosa, è da abbandonare senza riserve l'idea di
un'essenza naturale dell'uomo, parte di un ordine naturale. Dalla
letteratura etnologica, ormai copiosa e metodologicamente
attendibile, non può in alcun modo essere dedotta una
condizione naturale dell'uomo. L'ultima grande sintesi sistematica
dei reperti etnologici, operata da G.P. Murdock nell'ambito della
Human relations area file, mostra solo deboli generalità, e
anche tra queste ci sono eccezioni (v. Murdock, 1949). Persino per
quanto riguarda il tabù dell'incesto, che dovrebbe essere
universale, o nel caso della costituzione di piccoli sistemi di
famiglie nucleari all'interno di ogni sistema di parentela (e
l'universalità della famiglia nucleare è attestata
quanto quella del tabù dell'incesto), persino in questi casi
le differenze sono più vistose delle universalità e
queste esercitano un'azione ordinatrice solo per alcune sfere
comportamentali.
La maggior parte degli ordinamenti sociali sono da considerare come
cultura anche nelle società senza scrittura, dove il
controllo sociale è un meccanismo centrale. La condizione
primitiva dell'umanità non è conosciuta, ma se lo
fosse sarebbe completamente priva di significato per la comprensione
delle società odierne.Il desiderio di interpretare la
fondazione dell'ordine sociale in modo naturalistico ha spostato
attualmente la ricerca dalla osservazione delle istituzioni
principali - come religione, luogo/territorio e parentela nei popoli
senza scrittura (che sono del resto risultato di sviluppi culturali)
- all'indagine sul comportamento degli animali superiori e in
particolare di quelli che vivono in gruppi. Tuttavia una maggiore
conoscenza dei sistemi familiari e parentali delle scimmie porta
anch'essa a concludere che il loro ordine non è assolutamente
determinato in modo biologico, ma anche in questo caso è
plasmato dalla cultura.
La sola conclusione certa è questa: quando animali superiori
con proprietà differenziate - l'età, il sesso, le
differenze di forza, di intelligenza e di aspetto fisico -
convivono, la convivenza ha bisogno dell'ordine. Ordine che è
onnicomprensivo nelle società poco differenziate,
perché le stesse norme restano rilevanti per tutti i settori
del comportamento. Corrisponde invece proprio alla differenziazione
di una società moderna il fatto che neppure il controllo
sociale potrebbe essere raffigurato come un principio ordinatore
universale dei contenuti di tutti gli ambiti del comportamento,
grazie al quale il singolo individuo, altrimenti asociale, diventa
membro di un gruppo sociale.
Per l'ordine prodotto in specifiche istituzioni da meccanismi propri
solo di queste istituzioni, un concetto specifico di controllo
sociale non è necessario, e non lo è soprattutto dove
il controllo sul comportamento può essere spiegato con i
concetti di diritto e di pena, oppure con il concetto più
generale di sanzione. Ci sono tuttavia alcuni processi che non sono
limitati a determinate istituzioni, ma che controllano con molta
efficacia il comportamento e per i quali il concetto di controllo
sociale non sarebbe superfluo.
Ognuno sa che, in uno scompartimento ferroviario, persone che non si
conoscono avviano una conversazione e si scambiano informazioni che
in parte nascondono alle persone con le quali vivono ogni giorno.
Tutti noi sappiamo di commessi viaggiatori che in un luogo diverso,
e in assenza di conoscenti, si comportano molto diversamente da come
invece richiede il loro ambiente. In un luogo di vacanza una timida
casalinga si trasforma in una donna di mondo, in uno stadio di
calcio un ragazzo mansueto diventa un tifoso violento. È
comune a queste situazioni il fatto che l'interazione sociale sia
limitata a una determinata situazione, e che quindi nell'opinione
dell'attore il comportamento assunto in quel momento non sia
destinato ad avere conseguenze nel futuro. Normalmente però
il comportamento sociale è influenzato proprio in senso
inverso: il comportamento del momento è importante per il
futuro e segue nel ricordo avvenimenti precedenti; non è
quindi un atto atemporale, ma parte di uno scorrere con un passato e
un futuro.
Il controllo sociale è stato finora interpretato soprattutto
come controllo di persone singole e in particolare, nella
prospettiva prima suggerita, come controllo tra persone a distanza
ravvicinata. A causa del carattere delle società di oggi,
sono però di maggiore rilevanza i controlli a distanza e
anche quelli effettuati dalle istituzioni, non solamente dagli
individui. Per una serie di meccanismi di controllo non c'è
bisogno di alcun concetto particolare - specialmente quando sono
istituzionalizzati; ne sono esempi le votazioni, la giurisdizione
civile e il potere normativo.
Riguardo all'azione dell'opinione pubblica e della stampa come parte
istituzionalizzata della stessa, non esiste invece alcun concetto
generale soddisfacente. Certo né l'opinione pubblica
né la stampa sono riducibili a ciò che qui intendiamo
con controllo sociale inteso come controllo non istituzionalizzato
dei comportamenti. Altrettanto sicuramente, però, questo tipo
di controllo costituisce un aspetto determinante dei sistemi
sociali.
L'azione omessa per timore dell'opinione pubblica oppure, viceversa,
l'avvenimento inscenato per suscitare una reazione favorevole, ad
esempio nella stampa, rappresentano naturalmente qualcosa di diverso
rispetto al comportamento omesso o inscenato per rafforzare
l'affetto di un coniuge oppure la stima di un amico. Nondimeno,
nella prospettiva dell'ordine sociale tutto questo è da
interpretare come meccanismo di controllo. Una sociologia che non
limiti il concetto di controllo sociale, come in Parsons, può
ugualmente mantenere la propria prospettiva incentrata sull'attore.
Questa però deve essere derivata dall'osservazione dei tanti
spazi parziali dove questi processi di controllo si compiono come
controlli non istituzionalizzati del comportamento.Nella prassi
della sociologia professionale americana il concetto di controllo
sociale è ancora importante. La sua utilizzazione nell'ambito
delle corrispondenti branche della sociologia sembra essere
avvertita come poco problematica. Queste utilizzazioni non hanno
comunque più nulla a che fare con gli approcci
evoluzionistici delle analisi classiche del concetto e non
tematizzano il controllo sociale come aspetto dell'esistenza sociale
in generale: la discussione teorica sul controllo sociale quale
concetto universale si è ampiamente distaccata dall'uso
pratico che ne viene fatto nella ricerca.