Sionismo
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Movimento politico e ideologia volti alla creazione di uno Stato
ebraico in Palestina (da Sion, nome della collina di Gerusalemme).
Sviluppatosi alla fine del 19° sec., in seguito all’inasprirsi
dell’antisemitismo in Europa orientale e alla crisi seguita al
cosiddetto affare Dreyfus, il s. avanzò le proprie rivendicazioni
nel Congresso di Basilea (1897), organizzato da T. Herzl. Furono
allora tracciate le linee del futuro programma d’azione del s., in
cui si fondevano tre tendenze: la prima, pratica, vedeva nella
colonizzazione agricola della Palestina il mezzo per restituire agli
Ebrei la loro dignità umana e per far valere in futuro effettivi
diritti sul territorio, e trovò il suo strumento nel Qeren qayyemeth
le Yiśrā’ĕl («Fondo permanente per Israele», noto come Fondo
nazionale ebraico), creato nel 1901 allo scopo di acquistare terreni
in Palestina; la seconda tendenza, etico-religiosa, si batteva per
un ritorno alla tradizione e la rinascita di uno spirito nazionale e
dei valori culturali e religiosi dell’ebraismo; infine la tendenza
politica mirava a ottenere la concessione di una ‘carta’
internazionale che autorizzasse e tutelasse l’immigrazione ebraica
in Palestina.
Un decisivo passo in avanti fu compiuto con la dichiarazione Balfour
(novembre 1917), con cui il governo britannico si impegnava a
facilitare la creazione in Palestina di una sede nazionale per il
popolo ebraico, e con la sua successiva incorporazione nello statuto
del mandato sulla Palestina affidato alla Gran Bretagna dalla
Società delle Nazioni, che costituì il punto di partenza di quella
vasta azione politica, economica, colonizzatrice, e poi militare,
che portò alla costituzione dello Stato d’Israele. Dopo la ratifica
del mandato (1922), fu costituito un esecutivo sionista in
Palestina; il Qeren ha-yesōd («Fondo della base», noto come Fondo
per l’edificazione della Palestina), creato nel 1920, iniziò la sua
attività; nel 1925 s’inaugurava a Gerusalemme l’università ebraica;
dal 1919 al 1929 si conclusero la terza e la quarta aliya («flusso
migratorio»), che condussero in Palestina circa 100.000 Ebrei.
Determinante fu la Jewish Agency, che iniziò la sua attività nel
1929 e, favorendo l’afflusso d’ingenti investimenti, soprattutto di
capitale americano, contribuì ad avviare l’industrializzazione del
paese. La nuova società assunse progressivamente la fisionomia di
un’entità statale in formazione: un’assemblea elettiva e un
esecutivo dirigevano la politica dell’Ishuv (cioè la comunità
ebraica della Palestina); a tutela del lavoro ebraico era sorta
un’organizzazione sindacale, la Histadrut; i problemi della difesa
delle comunità erano stati affidati alla Hagānāh, corpo di
pionieri-soldati trasformatosi poi nell’esercito d’Israele; sanità,
istruzione, servizi pubblici avevano trovato le loro strutture. A
tale evoluzione si accompagnò un progressivo inasprimento dei
contrasti con la popolazione arabo-palestinese, fino alla grave
crisi del 1936-39 (➔ Palestina).
Negli anni successivi la situazione drammatica creata dallo
sterminio di milioni di Ebrei in Europa rese sempre più forte la
spinta verso la costituzione di uno Stato ebraico in Palestina,
mentre il movimento sionista otteneva un crescente sostegno
internazionale, in primo luogo dagli USA. Dopo la decisione
britannica (febbraio 1947) di deferire il problema palestinese alle
Nazioni Unite e l’insuccesso della soluzione prospettata da queste
ultime, la vittoria delle forze sioniste nel conflitto militare con
quelle arabe portò infine alla costituzione dello Stato d’Israele
(maggio 1948).
Enciclopedia delle Scienze Sociali (1998)
di Vittorio Dan Segre
Sommario: 1. Terminologia. 2. Le componenti del movimento nazionale
ebraico: a) la natura colonial-nazionale e rivoluzionaria; b) la
struttura socioeconomica; c) la dimensione religiosa. 3. Lo sviluppo
storico. 4. Le correnti ideologiche. □ Bibliografia.
1. Terminologia
Il termine 'sionismo', coniato da Nathan Birnbaum, si ricollega con
Sion, uno dei nomi biblici di Gerusalemme. Dal punto di vista
religioso e letterario esso indica l'attrazione - politica e ideale
- esercitata dalla 'Terra Promessa' tanto sugli Ebrei quanto sui non
Ebrei. Per questo si può parlare anche di sionismo cristiano o
africano per indicare alcuni movimenti messianici e chiese
sincretiste, intendendolo come volontà di ritorno alle origini,
siano esse geografiche, storiche o immaginarie.
Per gli Ebrei la vocazione al ritorno alla Terra dei Padri è una
costante religiosa, poetica, mistica e messianica. Fa parte della
liturgia quotidiana e ha ispirato la cultura della diaspora sino
all'epoca moderna.
È considerata elemento legittimante della creazione dello Stato
d'Israele e, come tale, è stata inserita nel testo della sua
Dichiarazione d'indipendenza nel 1948. Anche dopo la fondazione
dello Stato d'Israele il sionismo rimane un'aspirazione spirituale
permanente dell'ebraismo.In senso stretto il termine si riferisce
alla moderna rinascita nazionale e politica ebraica. Nato come
reazione all'antisemitismo, il sionismo si è identificato con il
movimento fondato nel 1897 da Theodor Herzl (1860-1904), mirante
alla costituzione di uno Stato sovrano in Palestina. La
realizzazione dello Stato d'Israele, nel 1948, ha suscitato grandi
emozioni e risvegliato l'interesse ebraico per il sionismo, ma il
movimento è rimasto ancora una tendenza minoritaria e contestata
all'interno e all'esterno dell'ebraismo. Contrariamente all'opinione
corrente, la diaspora ebraica non aveva accolto l'appello di Herzl
nemmeno nei paesi dove gli Ebrei erano vittime dell'antisemitismo.
D'altra parte, lo sterminio degli Ebrei d'Europa non è stato un
fattore determinante nella creazione dello Stato d'Israele, e lo ha
privato delle sue maggiori riserve demografiche e intellettuali.
2. Le componenti del movimento nazionale ebraico
La rinascita politica ebraica ha le sue radici nell'illuminismo, nel
romanticismo, nel nazionalismo europeo, nel marxismo, nel moralismo
tolstojano. Sotto l'etichetta del sionismo sono coesistiti e
continuano a coesistere correnti di pensiero e interessi molto
diversi fra loro, che ne spiegano la vitalità e le contraddizioni.
Le sue tre principali caratteristiche sono: la natura
colonial-nazionale e al tempo stesso rivoluzionaria del movimento
herzliano; la struttura socioeconomica, condizionata dai molteplici
luoghi geografici e dalle diverse culture in cui il sionismo si è
sviluppato; la dimensione religiosa.
a) La natura colonial-nazionale e rivoluzionaria
Il termine 'coloniale' è qui usato per indicare quella condizione di
dipendenza individuale e collettiva che comporta un meccanismo di
obbligata coesistenza e collaborazione fra gruppi di disuguale
capacità giuridica, economica, militare e politica. In un contesto
così definito emergono notevoli somiglianze fra la situazione delle
masse ebraiche dell'Europa centrale e orientale all'inizio del XX
secolo e quella di molte popolazioni delle colonie degli Stati
europei. Somiglianze spesso nascoste dalle persecuzioni religiose e
razziali di cui gli Ebrei sono stati oggetto, nonché dalla pelle
bianca della maggioranza di essi.
Le più evidenti fra queste somiglianze - ugualmente denunciate dal
sionismo e dai movimenti di liberazione coloniale afroasiatici -
sono l'alienazione delle rispettive élites, la discriminazione
legale, economica e sociale, il divario delle forze politiche e
militari. Esse aiutano a comprendere la paradossale situazione del
sionismo: accusato dagli Arabi di rappresentare una forma di
colonialismo, è stato contemporaneamente preso a modello da
movimenti anticolonialisti, specie africani. Ad esempio il braccio
destro di Herzl, Max Nordau (1849-1923), psicologo ebreo francese di
origine ungherese e famoso scrittore, dichiarava al I Congresso
sionista del 1897: "La miseria ebraica ha due forme, materiale e
morale. Nell'Europa orientale, nell'Africa settentrionale e
nell'Asia occidentale va intesa letteralmente come lotta giornaliera
per la sopravvivenza fisica. Nell'Europa occidentale la miseria è
invece morale [...] L'ebreo ha perduto la casa del ghetto ma la
terra in cui è nato gli è vietata [...] è insicuro nei confronti dei
suoi simili, timido verso gli stranieri, sospettoso dei sentimenti
segreti dei suoi correligionari [...]. Si è trasformato in un
minorato spirituale". Concetti del genere saranno sviluppati
cinquant'anni più tardi da Frantz Fanon - francese di origine
antillese, lui pure medico, psicologo, teorico dell'anticolonialismo
africano. Gli Africani - sosteneva - sono, come gli Ebrei, "uomini
oggetto". Hanno abbandonato i valori della propria cultura per la
perdita della propria identità e per "la disperazione di chi si
annega nella cultura che gli viene imposta".
Il sionismo non combatteva, dunque, soltanto l'oppressione
antisemita ma anche l'assimilazione degli Ebrei nella società
occidentale, in quanto perdita dell'identità collettiva. Riteneva
l'integrazione impossibile perché il 'paese legale' offriva loro
un'eguaglianza che il 'paese reale' negava. C'era tuttavia una
differenza fondamentale tra la richiesta d'indipendenza politica
degli Ebrei e quella dei nazionalisti europei e dei popoli
coloniali. In ambedue i casi si trattava di un rifiuto
dell'oppressione politica, di un'aspirazione all'uguaglianza e al
riconoscimento della propria identità politica, ma Italiani,
Ungheresi, Polacchi o Algerini volevano governarsi da soli perché
rifiutavano di identificarsi con i popoli che li dominavano, mentre
i sionisti chiedevano la sovranità perché avevano perduto la
speranza di potersi identificare con i popoli presso cui
risiedevano. L'insicurezza che nasceva da questa impossibilità di
integrazione era il punto di partenza del programma di Herzl.
Egli considerava l'antisemitismo non solo come la causa prima della
questione ebraica ma anche come una 'malattia congenita' della
civiltà europea. Creando un proprio Stato, gli Ebrei si sarebbero
sottratti alla persecuzione e nello stesso tempo avrebbero
contribuito a guarire l'Europa dalla sua giudeofobia. Era un aspetto
'positivo' dell'antisemitismo su cui Herzl faceva leva per ottenere
l'appoggio dei governi - e in particolare di quello zarista, il più
antisemita di tutti - al suo programma. Quanto alla scelta della
Palestina, essa era dettata dall'attaccamento emotivo, religioso,
storico degli Ebrei alla Terra Promessa che aveva oltre tutto,
secondo Herzl, il vantaggio di essere una delle più povere regioni
dell'Impero ottomano: il sultano avrebbe potuto essere indotto a
cederla agli Ebrei in cambio di vantaggi economici, permettendo così
"a un popolo senza terra di far fiorire una terra senza popolo".
Idea demograficamente inesatta, che in seguito si sarebbe
trasformata in una delle costanti accuse arabe contro il sionismo.
La natura 'rivoluzionaria' del sionismo si ispirava alla Rivoluzione
francese e all'illuminismo, che presso gli Ebrei trovò espressione,
a partire dal XIX secolo, in una corrente intellettuale chiamata
haskālāh. Essa rappresentava la volontà di rinnovamento della
cultura ebraica tradizionale e di emancipazione dalla religione, che
- nel caso sionista - avrebbe condotto alla creazione di uno Stato
laico e democratico. Per i religiosi ciò equivaleva a una rivolta
contro la sovranità divina e, in questo senso, rappresentava una
trasformazione rivoluzionaria dell'essenza stessa del popolo
d'Israele.
b) La struttura socioeconomica
La struttura socioeconomica del sionismo ha le sue radici nel
contesto culturale e politico d'Europa e della Palestina ottomana e
britannica. L'Europa orientale, dove all'epoca di Herzl vivevano
grandi masse ebraiche, era una regione agricola, agli albori
dell'industrializzazione, con un sottile strato di borghesia
nazionalista, antisemita e in fase di emergenza politica. L'ostilità
delle classi medie verso gli Ebrei non era soltanto dovuta a una
radicata giudeofobia di tradizione religiosa cattolica o protoslava.
Era l'odio verso lo straniero che s'infiltrava nelle loro file e che
doveva essere espulso per salvaguardare interessi economici, unità
nazionale e purezza razziale. Per di più la posizione sociale degli
Ebrei in queste regioni era paradossale: poverissimi, privati dei
diritti politici e del possesso della terra, vivevano in strutture
comunitarie di tipo medievale che lo Stato nazionale stava ovunque
assorbendo o cancellando. Invisi alla popolazione per la diversità
religiosa - e l'accusa di deicidio -, per la differenza nel vestire,
nel mangiare, nel parlare (yiddish), si distinguevano anche per un
più alto livello culturale che li faceva ricercare come agenti dei
grandi proprietari terrieri, russi o polacchi, di cui generalmente
seguivano le alterne sorti politiche. Inoltre, questo popolo,
emarginato e pauperizzato, si moltiplicava - grazie alle norme
igieniche imposte dalla religione e a una migliore conoscenza della
medicina moderna - a un tasso molto superiore a quello dei paesi
europei e asiatici.
Difficoltà economiche, emancipazione o speranza di emancipazione
provocavano un costante movimento migratorio ebraico dalle campagne
verso le città, dall'est all'ovest europeo e poi alle Americhe.
Vienna, ad esempio, che nel 1850 contava 2.000 Ebrei, ne registrava
200.000 nel 1900. Ciò rendeva il processo di integrazione degli
Ebrei ancora più difficile, incrementando l'ostilità antisemita
delle classi medie locali.
I sionisti consideravano il fenomeno irreversibile, anche perché
erano convinti che la struttura socioeconomica ebraica fosse
anormale. Diversamente da quella locale, essa si presentava sotto
forma di 'piramide rovesciata', con nessun contadino e pochi operai
alla base, e una massa di piccoli commercianti e di intellettuali
'sfaccendati' all'apice. Anche per l'influenza delle teorie
tolstojane, i sionisti miravano a 'normalizzare' questa struttura
capovolgendola, senza rendersi conto che, ciò facendo, sarebbero
andati contro il processo di modernizzazione già in atto nei paesi
industrializzati europei e d'oltreoceano. Un errore ottico
comprensibile, che si sarebbe dimostrato in seguito un ostacolo allo
sviluppo economico di Israele.
c) La dimensione religiosa
La dimensione religiosa è l'aspetto più critico del sionismo.
L'identità ebraica non è determinata, come per altri popoli, dal
luogo di residenza, dalla lingua o dall'esperienza storica comune. È
determinata da una religione nazional-tribale a vocazione
universale, teocratica e priva di gerarchia centrale. La tradizione
sacra operava - e continua a operare - come elemento legittimante e
unitario del popolo ebraico e rifiutava, come già ricordato, il
carattere nazionale, laico e democratico del sionismo. Questa non
era però la posizione di tutti i rabbini. Quelli italiani, ad
esempio, furono accesi sostenitori del sionismo, proprio perché
vedevano in esso un rimedio alla perdita di identità e di cultura
tradizionale dovuta all'assimilazione. Ma la maggioranza dei rabbini
tedeschi osteggiarono il movimento nazionale e ancora di più lo
combatterono i rabbini dell'Europa orientale, che vedevano in esso -
come continuano a vedere gli ortodossi in Israele - una rivolta
contro Dio. Atteggiamento che ha contribuito, unitamente alla
fiducia riposta dagli Ebrei nell'emancipazione, a determinare la
loro passività di fronte allo sterminio nazista. Da qui la posizione
ambigua attuale degli ortodossi che, pur negando la legittimità
dello Stato d'Israele, partecipano - salvo qualche piccolo gruppo
estremista - alle sue istituzioni e ai suoi governi.
3. Lo sviluppo storico
Fra i precursori del sionismo politico va annoverato Moshe Hess
(1812-1875) che, nel suo libro Rom und Jerusalem, vede il ritorno
degli Ebrei in Palestina come una parte del movimento di liberazione
nazionale dei popoli europei. Un altro precursore è lo scrittore
Perez Smolenski (1842-1885) che, con la fondazione, nel 1865, della
rivista "Ha-Shahar" (l'Alba), uno strumento per il risveglio della
coscienza nazionale fra gli Ebrei, e la pubblicazione dei suoi
libri, dà inizio a un periodo nuovo nelle lettere ebraiche. Una data
significativa è quella della pubblicazione, nel 1882, di un libro in
lingua tedesca, Autoemanzipation, di un medico ebreo di
Odessa, Yehuda Leib Pinsker (1821-1891). Scritto per reazione alle
ondate di antisemitismo scatenatesi nell'Impero russo a seguito
dell'assassinio dello zar Alessandro II, il libro apparteneva a un
nuovo tipo di letteratura politica e sociale in lingua yiddish,
ebraica e russa, promossa da un vivace giornalismo ebraico.
Si trattava di un pamphlet, considerato in seguito come il primo
'manifesto' del sionismo, che conteneva un programma d'azione
piuttosto vago e una crudele analisi della situazione degli Ebrei in
Russia alla fine del XIX secolo. Pinsker lanciava un grido di rabbia
e di orgoglio contro la timidezza delle dirigenze ebraiche e i
tentativi di un'assimilazione diventata, secondo lui, ormai
impossibile in Russia. "Quando siamo sfruttati, derubati,
disonorati, non abbiamo il coraggio di difenderci e, peggio,
accettiamo questa situazione come naturale [...]. Siamo caduti così
in basso da gioire quando, in Occidente, una piccola frazione del
nostro popolo è equiparata ai non Ebrei".
Pinsker auspicava una soluzione territoriale della questione
ebraica, ma non pensava alla Palestina come sola possibile sede per
uno Stato ebraico. Cercava una terra che fosse un rifugio contro la
persecuzione e con il suo libro diede impulso al movimento dei
Ḥovevei Zion (Amanti di Sion), formato da gruppi di giovani decisi a
emigrare in Palestina per darsi al lavoro della terra. Il centesimo
compleanno del grande mecenate ebreo inglese, protettore degli Ebrei
dei paesi arabi, sir Moses Montefiore, offrì l'occasione di
istituzionalizzare il movimento, nel 1894, a Katowice, nella Polonia
meridionale. Vi parteciparono una trentina di delegati e Pinsker ne
divenne il presidente. I risultati pratici di queste iniziative per
il ritorno in Palestina furono modesti - portarono solo alla
creazione di una mezza dozzina di villaggi agricoli - ma ebbero un
impatto psicologico importante. Nel 1887 esistevano decine di gruppi
di sostenitori dei Ḥovevei Zion, con 14.000 iscritti e significative
contribuzioni finanziarie. Inoltre dalla critica del movimento fatta
da uno dei suoi inviati in Palestina, Asher Zvi Ginzberg
(1856-1927), meglio noto con il suo pseudonimo di scrittore, Ạhad
ha-Am (Uno del popolo), nasceva un'importante corrente
intellettuale, il 'sionismo spirituale'. Essa illustrava le
contraddizioni di un movimento nato nella diaspora, che aveva nella
religione l'unica base comune di identità, e metteva in guardia
contro i pericoli dello scontro fra la cultura tradizionalista
teocratica ed elitista e la cultura modernista, laica e populista.
Il popolo ebraico - sosteneva Ginzberg - non era preparato a far
fronte alle sfide della sovranità. Aveva bisogno, prima di
accedervi, di temprarsi in un 'centro spirituale' in Terra
d'Israele, con l'aiuto di maestri capaci di far evolvere "il popolo
del Libro in popolo dei libri".
Le idee di Ginzberg non si concretizzarono, ma ebbero un impatto
diretto sull'insegnamento nelle scuole ebraiche della Palestina e
contribuirono alla fondazione, nel 1925, dell'Università ebraica di
Gerusalemme, istituzione che è stata a lungo un centro di formazione
delle dirigenze ebraiche prima e dopo la costituzione dello Stato.
Il punto debole del sionismo spirituale erano i lunghi tempi
necessari alla sua realizzazione, e il tempo faceva tragicamente
difetto agli Ebrei d'Europa. Tuttavia la convinzione di Ginzberg che
il popolo d'Israele dovesse rimanere 'diverso' anche nell'uso della
sua sovranità è rimasta una costante dell'immaginario collettivo
ebraico e non ebraico.
Una seconda data, più determinante per l'evoluzione del movimento
nazionale ebraico, fu la convocazione a Basilea, il 29 agosto 1897,
del I Congresso sionista da parte di Theodor Herzl. Il Congresso
fissò gli scopi e la natura del movimento sionista nella formula
nota come 'Programma di Basilea': "Il sionismo aspira alla creazione
in Palestina di una sede nazionale per il popolo ebraico garantita
dal diritto pubblico".
Herzl era un giornalista e scrittore di teatro viennese, di origine
ungherese, assimilato al punto da affidare ai suoi diari l'idea che
la questione ebraica avrebbe potuto risolversi con la conversione in
massa dei rabbini al cristianesimo, in cambio di una 'garanzia'
internazionale contro l'antisemitismo.
Personaggio straordinario per determinazione e immaginazione
politica, dotato di portamento regale e di incrollabile fiducia
nella bontà delle sue idee, fu alternativamente considerato dai suoi
contemporanei, Ebrei e non Ebrei, come un invasato, un santo, un
profeta e un grande uomo di Stato. La scintilla che accese il fuoco
sionista herzliano fu la pubblica degradazione di Dreyfuss, il
capitano di Stato Maggiore francese ingiustamente coinvolto in un
affare di alto tradimento perché ebreo. Herzl vi assistette come
corrispondente a Parigi della "Neue Freie Presse", di Vienna, senza
prendere una chiara posizione sull'affaire, ma lo scoppio di
antisemitismo che lo accompagnò in Francia - la nazione antesignana
dell'emancipazione ebraica e custode dei diritti dell'uomo - lo
convinse della necessità di cercare "una soluzione moderna alla
questione ebraica" (frase messa a sottotitolo del libretto
intitolato Der Judenstaat, in cui espose il suo programma). Herzl
non si proponeva di salvare l'ebraismo ma gli Ebrei da una
catastrofe che riteneva inevitabile. Mirava a ottenere dalle grandi
potenze una 'Carta' che garantisse loro il diritto a uno Stato
rifugio da lui immaginato come una versione ebraica della Vienna
'fin de siècle'. La lingua sarebbe stata il tedesco, i rabbini
sarebbero rimasti "nelle sinagoghe come i militari nelle caserme",
la scienza avrebbe contribuito a risolvere i problemi tecnici ed
economici, la neutralità quelli politici. Il suo libro di profetica
fantascienza, Altneuland, in cui descrive questo futuro Stato fa
pensare a Jules Verne. In ambedue i casi la realtà si sarebbe
dimostrata, alla fine, superiore all'immaginazione.
Le istituzioni che Herzl aveva immaginato e creato per supplire al
rifiuto dei ricchi ebrei di sostenerlo - una Banca (Jewish Colonial
Trust) nel 1899, di cui gli Ebrei del mondo sarebbero diventati
azionisti; un Fondo Nazionale, nel 1901, per l'acquisto inalienabile
di terreni per il popolo ebraico in Palestina; un giornale "Die
Welt", per pubblicizzare il movimento; un congresso che servisse da
parlamento - sarebbero stati gli strumenti embrionali per la
creazione dello Stato d'Israele. Nonostante la sua frenetica
attività diplomatica, in cui perse la salute e le notevoli ricchezze
della sua famiglia, Herzl non ottenne né la Carta nazionale né una
base territoriale per il suo progetto. Riuscì tuttavia a porre
all'attenzione dei governi europei e delle masse ebraiche il
problema ebraico sotto una luce nuova. Il suo merito fu di aver
restituito agli Ebrei una coscienza politica e un senso di orgoglio
nazionale che ortodossia, assimilazione e antisemitismo sembravano
aver estinto. Il problema che lasciò in eredità ai suoi successori e
allo Stato d'Israele era quello del ruolo degli Ebrei nel mondo
moderno. Sino alla comparsa del sionismo politico questo ruolo era
rimasto quello definito nel 942 da Sa'adyāh al-Fayyūmi (Saadia
Gaon), filosofo, traduttore della Bibbia in arabo e capo della
comunità ebraica di Babilonia: gli Ebrei esistono come strumento del
giudaismo. Con l'emancipazione, il modernismo, il laicismo e il
sionismo politico c'era il rischio che essi restassero uniti e
caratterizzati solo dal loro comune interesse a sottrarsi alla
persecuzione antisemita. Da qui la fioritura di pensatori,
scrittori, educatori che cercavano, come Ginzberg, di dare un
compito storico nuovo agli Ebrei: il ritorno nella loro terra. C'era
tra essi gente dalle opinioni molto differenti: da coloro che, con
M.J. Berdyczewski (1865-1921), agognavano di liberare gli Ebrei
mediante il sionismo dal 'giogo dei rabbini', a Nahman Syrkin
(1867-1924) e Berl Borochov (1881-1917) che affidavano al sionismo
un compito esemplare all'interno del socialismo, fino al discepolo
di Tolstoj A.D. Gordon (1856-1922), che nel ritorno degli Ebrei al
lavoro fisico, nella loro terra, vedeva il mezzo per creare 'l'ebreo
dell'avvenire' in sostituzione di quello alienato della diaspora.
La terza data importante nella storia del sionismo è il 2 novembre
1917, giorno in cui il ministro degli Esteri britannico Arthur J.
Balfour (1848-1930) inviò a lord Rothschild una lettera con la quale
il governo di Londra riconosceva il diritto degli Ebrei alla
costituzione di una "sede nazionale" in Palestina. A questa
dichiarazione si associarono Francia e Italia nel febbraio del 1918.
La lettera, nota in seguito come 'Dichiarazione Balfour',
rappresenta la pietra angolare diplomatica su cui venne eretta la
costruzione politica ed economica del sionismo. Fu anche il suo
primo concreto successo internazionale, frutto dell'attività
diplomatica - ma anche scientifica - di Chaim Weizmann (1874-1952),
le cui scoperte in campo chimico erano state un contributo allo
sforzo bellico. Presidente dell'Organizzazione Sionista che, a causa
della guerra, aveva trasferito la sua sede da Berlino alla Danimarca
e poi a Londra, Weizmann, futuro presidente di Israele, era un
personaggio molto differente da Herzl. Educato nella cultura
tradizionale ebraica nell'Europa orientale - di cui, al contrario di
Herzl, conosceva intimamente i problemi economici e sociali -spostò
l'asse politico del movimento sionista dal mondo tedesco a quello
anglosassone, di cui preconizzava la vittoria nella grande guerra.
La Dichiarazione Balfour riconobbe il ruolo politico dell'ebraismo
americano a favore dell'entrata in guerra dell'America e quello del
sionismo nella ristrutturazione politica dei territori dell'Impero
ottomano.
Da quel momento, in trent'anni di alterne e drammatiche vicende, il
movimento sionista fu condizionato da quattro principali fattori:
antisemitismo, nazionalismo arabo, politica imperiale britannica e
apatia delle masse ebraiche nei confronti del ritorno degli Ebrei a
Sion, accompagnata spesso dall'ostilità delle loro dirigenze. Il
sionismo animato da grandi speranze fra il 1917 e il 1935 e segnato
dalla tragedia sino alla proclamazione dello Stato d'Israele nel
1948, riscosse notevoli successi nel primo di questi due periodi:
riconoscimento dei diritti nazionali ebraici sulla Palestina alla
Conferenza della pace di Parigi nel 1919; creazione dell'Agenzia
Ebraica - primo embrione di un governo sionista - all'interno del
mandato britannico sulla Palestina (che sino al 1922 comprendeva la
Transgiordania); nascita nel 1922 della Histadruth (Federazione dei
lavoratori ebrei di Palestina) con il suo dipartimento semilegale
per la difesa, la Hagānāh; fondazione, nel 1925, dell'Università
ebraica di Gerusalemme; estensione della partecipazione
all'Organizzazione Sionista dei gruppi ebraici non sionisti;
ufficializzazione dell'ebraico come lingua nazionale; incremento
della popolazione ebraica in Palestina fino a oltre 300.000 anime.Il
secondo periodo coincide con l'avvento al potere di Hitler in
Germania, la crescita dell'antisemitismo in Europa, la politica
antiebraica e antisionista nell'URSS, il graduale abbandono
dell'appoggio britannico alla sede nazionale ebraica in Palestina,
come conseguenza dell'evoluzione politica in Europa e della crescita
dell'opposizione araba al sionismo. Il periodo si conclude con la
rinuncia inglese al mandato in Palestina, dopo anni di sorda lotta
terroristica delle correnti nazionaliste ebraiche più radicali e di
scontri diplomatici con l'Agenzia Ebraica. Nel corso di questo
trentennio le componenti ideologiche del movimento sionista si sono
istituzionalizzate sia in difesa dei propri interessi e delle
proprie concezioni politico-sociali, sia in conseguenza degli
avvenimenti esterni.
4. Le correnti ideologiche
La corrente del sionismo sintetico era guidata da Weizmann, che con
il termine 'sintetico' voleva indicare una strategia, priva di una
forte carica ideologica, mirante a creare le basi materiali per il
ritorno degli Ebrei in Palestina, senza però che essi perdessero i
loro valori culturali e spirituali. A tale scopo Weizmann riteneva
indispensabile la cooperazione dell'Organizzazione Sionista con
l'Inghilterra, posizione che a partire dal 1942 lo mise in aperto
contrasto con David Ben Gurion (1886-1973), deciso a creare un
commonwealth ebraico con l'appoggio americano ('Programma di
Biltmore') contro Londra.
La corrente socialista, guidata da Ben Gurion e frazionata in vari
partiti marxisti, si poneva invece come primo scopo lo sviluppo di
una società ebraica 'normalizzata', laica, socialista, senza
tuttavia insistere, nell'immediato, sulla creazione di uno Stato
indipendente. Con il controllo dell'Organizzazione Sionista
Mondiale, dell'Agenzia Ebraica, della Federazione dei lavoratori
ebrei di Palestina, la Histadruth - vero Stato nello Stato -, delle
forze paramilitari della Hagānāh, delle principali istituzioni
finanziarie (Bank ha Poalim), industriali, agricole (il kibbutz),
questa corrente realizzerà - secondo la definizione di Golda Meir -
il "solo Stato menscevico riuscito" dell'epoca moderna. Saranno però
il suo stesso successo, la sua lunga permanenza al potere e lo
sviluppo tecnologico a far uscire dalle sue file una classe
imprenditoriale capitalista e antiburocratica. Con l'appoggio di
gran parte degli elettori di origine orientale, questa nuova classe
borghese di crescente tendenza nazionalista porterà, a partire dalla
guerra del Kippur (1973), all'indebolimento della sinistra
israeliana e alla sua sconfitta elettorale nel 1977.
La corrente statalista si ispirava al programma politico herzliano
che aveva come scopo primo la creazione di uno Stato
indipendentemente dai suoi contenuti ideologici. La corrente è stata
guidata da Vladimir Zeev Jabotinsky (1880-1940), uno dei capi
storici del sionismo russo, e dopo la fine della seconda guerra
mondiale da Menachem Begin (1913-1988). Jabotinsky, uomo di lettere,
traduttore in ebraico di classici italiani, era stato politicamente
influenzato durante il suo soggiorno in Italia dalle idee di
Labriola. Ufficiale, per quanto cittadino straniero, dell'esercito
britannico, operò durante la prima guerra mondiale per la creazione
della Legione Ebraica unitamente a Josef Trumpeldor, uno dei pochi
ufficiali ebrei della Russia zarista, eroe della guerra
russo-giapponese e fondatore del movimento pionieristico sionista he
Halutz. Condannato a morte e poi graziato dagli Inglesi per il
tentativo di organizzare la difesa armata degli Ebrei in Palestina
durante i torbidi arabi del 1920, a partire dal 1925 Jabotinsky
guida l'opposizione contro la politica di Weizmann attraverso
l'Unione Mondiale dei Sionisti Revisionisti. Nel 1935 essa si
trasforma in una organizzazione autonoma - la Nuova Organizzazione
Sionista Revisionista - dalla forte connotazione nazionalista,
anticomunista e antinglese, da cui nasceranno in seguito le milizie
armate Ezel e Leḥi e il partito Ḥerut. Quest'ultimo, unitosi con
altri gruppi per dar vita sotto la guida di Begin al movimento di
centrodestra Likud, conquisterà il potere nel 1977.La corrente
religiosa si è sviluppata nelle due tendenze democratica sionista e
teocratica antisionista.La prima, Mizraḥi, fondata nel 1903, mirava
a realizzare il programma di Herzl mantenendo vive le tradizioni
religiose ebraiche. Sino alla fine degli anni sessanta partecipa
nelle nuove vesti di Partito religioso nazionale (Mafdal) a quasi
tutte le coalizioni dirette dai socialisti. Dopo la guerra del 1967
e la conquista da parte di Israele della Giudea e della Samaria, si
farà principale promotrice della colonizzazione delle zone occupate,
spostandosi sempre più verso destra, in concorrenza ideologica tanto
con i nazionalisti laici che con gli ortodossi antisionisti.
La seconda corrente, quella ortodossa, frazionata in vari partiti di
maggiore o minore tendenza antisionista, si è rafforzata nel corso
dell'ultimo ventennio grazie al crollo delle ideologie laiche,
all'alta prolificità dei suoi membri e al processo generalizzato di
radicalizzazione religioso-politica. I partiti ortodossi (come
Agudah, Shas, Deghel haTorah) hanno assunto un peso crescente nella
vita politica e sociale di Israele e hanno notevolmente aumentato la
loro influenza sul sistema scolastico. La congiunzione delle loro
tendenze teocratiche con quelle nazionaliste radicali ha portato
alla nascita di frange fondamentaliste antidemocratiche che hanno
avuto la loro drammatica espressione nell'assassinio di Izhak Rabin
nel novembre 1995.
Alle soglie del 2000 e del cinquantesimo anniversario della
fondazione dello Stato d'Israele, il sionismo politico continua a
essere attraversato da crisi dovute alla sua complessità e a quella
dei problemi da esso creati con l'apparizione di Israele nel cuore
del mondo arabo. La realizzazione dello Stato ha tolto il principale
scopo politico al sionismo; la sconfitta del nazismo, del comunismo,
il processo di crescente assimilazione degli israeliti della
diaspora, la diminuzione del pericolo antisemita lo hanno privato di
potenti motivazioni all'azione e all'unione. L'ostilità araba, che
per decenni ha rappresentato una forza unificatrice esterna per gli
Ebrei di Palestina e poi di Israele, ha perduto molto del suo
mordente con l'inizio del processo di pace, mentre è aumentato il
conflitto fra Stato (teocratico) ebraico e Stato (laico) degli
Ebrei. Quanto alla metamorfosi di un certo tipo di antisemitismo in
antisraelianismo, non sembra che quest'ultimo debba sostituire, in
virulenza, la giudeofobia sviluppatasi in Europa nel corso degli
ultimi due secoli, e pertanto non può continuare a rappresentare un
movente essenziale del nazionalismo ebraico. Questi sviluppi hanno
trasformato i compiti delle istituzioni sioniste, delle quali è
stata chiesta da più parti l'abolizione, in quanto ritenute incapaci
di mantenere vivi, fuori da un contesto storico irripetibile, il
senso di missione e lo spirito rivoluzionario dell'epoca
sionista.Epopea che ha permesso a uno dei più mistici e romantici
sogni politici di trasformarsi in realtà, e a un popolo disperso da
millenni di ripresentarsi sulla scena internazionale non più come
oggetto di oppressione ma come soggetto attivo e responsabile del
suo - per molti versi - misterioso destino.