Principato
www.treccani.it
enciclopedia online
Il governo esercitato da un principe; il territorio soggetto alla
giurisdizione di un principe o di un sovrano assoluto.
1. Il p. dell’antica Roma
Con riferimento all’esperienza giuridico-politica di Roma antica, il
termine p. indica la prima fase dell’età imperiale, sorta dal
compromesso che, alla fine del 1° sec. a.C., Augusto seppe attuare
fra l’assetto costituzionale tradizionale, proprio della Repubblica,
e le nuove istanze, di tipo monarchico, che ne avevano segnato la
crisi. Fino alla seconda metà del 3° sec. d.C. Roma fu, dunque,
retta da un princeps che, pur lasciando formalmente intatte le
strutture ereditate dal passato, si sovrappose progressivamente a
esse, fino quasi a svuotarle del loro contenuto di potere,
governando, di fatto, in prima persona e tramite i suoi funzionari,
l’intera compagine imperiale.
I mutamenti portati da Augusto alla Costituzione romana, e quindi
consolidati dai suoi successori, possono sintetizzarsi nei seguenti
punti: a) attribuzione a un’unica, carismatica figura, l’imperatore,
del potere militare (imperium), senza limiti spaziali, della potestà
tribunizia (e quindi del diritto di veto sull’attività di qualsiasi
altro organo), nonché della carica di pontefice massimo; b)
creazione di un apparato burocratico di funzionari (legati,
prefetti, procuratori, curatori), non soggetti in alcun modo al
Senato, per il controllo dell’amministrazione di Roma, dell’Italia e
di gran parte delle province (cosiddette provinciae Caesaris,
distinte dalle provinciae populi); c) istituzione, anche nell’Urbe,
di un corpus di milizie scelte, le coorti pretorie, guardia
personale dell’imperatore, con a capo un prefetto del pretorio; d)
affermazione, in campo civile e penale, di un nuovo tipo di
processo, la cognitio extra ordinem, destinato a prevalere, con il
passare del tempo, su quello ordinario. Problema mai completamente
risolto fu quello della successione imperiale, che formalmente si
attuava con una lex de imperio, ma che nella sostanza – per la
natura non dinastica, ma costituzionale delle prerogative
riconosciute al princeps – fu sempre sottoposta ai più imprevedibili
giochi di potere. Nonostante l’instabilità che questo comportava, i
tre secoli del p. furono tra i più prosperi nella storia
dell’impero: specialmente per le periferie, le cui realtà locali
vennero per lo più rispettate e non assoggettate a una fiscalità
esosa.
2. I p. dell’età medievale e moderna
Negli studi sul Medioevo, con il termine p. gli storici sono soliti
indicare due realtà molto differenti fra di loro. La prima concerne
le maggiori entità territoriali in cui si articolarono i regni di
Francia e Germania a partire dall’età postcarolingia; il rapporto
tra il ‘principe’ (nome generico dato a signori che in realtà erano
duchi, conti, marchesi, per indicare il loro ruolo, inferiore solo a
quello del sovrano) e il re era un rapporto complesso, in parte
pubblico, in parte di tipo feudo-vassallatico; la base del potere
dei principi, però, consisteva nella somma consistente di poteri
signorili che era radunata nelle loro mani. In particolar modo, il
termine p. è applicato alle formazioni politico-territoriali
createsi, a partire dal 9° sec., in seguito al frazionamento del
regno dei Franchi occidentali (poi regno di Francia), a sua volta
emerso come realtà politica dallo sbriciolamento dell’impero
carolingio. Tali realtà, a carattere regionale, furono a loro volta
colpite dal fenomeno della dispersione dei poteri centrali, tipico
di tutto il periodo dell’anarchia politica (9°-11° sec.): i
principi, di fatto indipendenti dal re, ebbero difficoltà a far
valere la propria autorità nei confronti dei loro vassalli e
castellani, perdendo così parte dei diritti di banno a favore della
minore aristocrazia dei castellani e dei milites. Grazie anche al
Movimento della pace di Dio, si mise però in moto (10°-11° sec.) un
processo di ricomposizione dei poteri centrali, che permise ai
principi di riassumere il potere nelle loro mani, strutturando delle
entità territoriali solide. Queste ultime furono, dal 12° sec. in
poi, inglobate nel regno di Francia, senza perdere però i loro
connotati regionali distintivi.
La seconda realtà, in relazione al Basso Medioevo e all’età moderna,
concerne la storia italiana e indica la costruzione, da parte delle
signorie cittadine, di organismi politici che andavano al di là del
semplice territorio cittadino. L’esigenza di coordinamenti
politico-territoriali più ampi del semplice comune cittadino e del
suo contado, si era fatta sentire acutamente già nel corso degli
intensi conflitti intercittadini che avevano caratterizzato il 13°
secolo. Tali coordinamenti si erano inizialmente realizzati mediante
la strutturazione di fazioni, allargate a più città. I vincoli di
alleanza e di schieramento fra le diverse città di aree territoriali
vicine divennero (14° sec.) la base per i primi tentativi di
costruzione di poteri sovracittadini, spesso con l’intervento di
signori stranieri.
Ma furono soprattutto i più grandi Comuni, insieme ai principali
Stati extracittadini già esistenti, che semplificarono la carta
politica italiana con un processo di selezione e riorganizzazione
territoriale che interessò tutto il 14° sec. e oltre. All’epoca
della Pace di Lodi del 1454, i grandi p. che si suddividevano
l’Italia erano ormai quelli che la caratterizzeranno poi durante
l’età moderna: Venezia, Milano, gli Estensi, i Savoia, Firenze, lo
Stato pontificio e il Regno di Napoli. Si designano come p. però
anche quegli Stati, come Venezia e Firenze, dove rimase formalmente
in piedi un apparato politico repubblicano. Dappertutto si verificò
un’accentuazione del peso del potere centrale in senso burocratico,
accompagnato dallo sviluppo di una corte. L’imposizione
dell’autorità del principe o della città dominante avvenne
attraverso una serie di concessioni che finirono per riconoscere
privilegi e autorità di città soggette, signori e comunità rurali,
ai quali furono concessi ampi poteri di governo su scala locale.