Oligarchia

www.treccani.it
Enciclopedie on line


Forma di regime politico in cui il potere è nelle mani di pochi, eminenti per forza economica e sociale.

Nell’antichità, i regimi oligarchici, le cui forme variavano da città a città, succedettero quasi dappertutto in Grecia alle aristocrazie o, particolarmente nel Pelopponeso, alle tirannidi. Considerata da Platone e Aristotele una forma di governo degenerata (perché fondata sulla ricchezza), l’o. ha conservato un significato negativo che permane nel linguaggio corrente (dove indica il dominio, in qualsiasi gruppo o istituzione, da parte di un gruppo ristretto di persone).

Nel Novecento il termine ha assunto, nella scienza politica, un significato neutrale, descrittivo: o., per i teorici delle élite (G. Mosca, V. Pareto, R. Michels), è la natura di ogni grande associazione (anche di tipo democratico), in quanto tende sempre a essere guidata da un piccolo gruppo di persone. Fu Michels a definire questa regolarità tendenziale nei termini di una vera e propria legge ferrea dell’o., in base alla quale «il formarsi dell’o. in seno a molteplici forme di democrazia è un fenomeno organico e perciò una tendenza a cui soggiace necessariamente ogni organizzazione, anche socialista, perfino quella liber­taria».

Per gli élitisti liberal-democratici (R. Aron), l’essenziale è che nel sistema politico le élite siano diverse, in competizione tra loro e costrette a sottoporsi regolarmente al giudizio dei cittadini nelle elezioni.

Dizionario di Storia (2010)

Forma di regime politico in cui il potere è detenuto da un gruppo ristretto di persone che esercita, generalmente a proprio vantaggio, un’influenza o una supremazia di istituzioni economiche, amministrative e culturali. Il termine o. (che in greco significa «governo dei pochi») ha tanto in Platone quanto in Aristotele una connotazione negativa: il primo, nella Repubblica (550 c), definisce l’o. «una costituzione fondata sul censo […], in cui i ricchi governano, mentre il povero non può partecipare al potere»; il secondo, nella Politica (1290 b), afferma che si ha o. «quando governano i ricchi» nel loro esclusivo interesse, e colloca l’o. nelle forme degenerate di governo (contrapponendola all’aristocrazia, che è il governo dei migliori). Altri scrittori greci parlano dell’o. in modo spregiativo: così Isocrate dice che «dalla maggioranza dei discorsi da me pronunciati risulterà che io biasimo le oligarchie e i regimi basati sulla soperchieria, mentre approvo quelli basati sull’eguaglianza e sulla democrazia» (Aeropagitico, 60).

In Età moderna J. Bodin (De la république, 1876, libro II, cap. 6) si richiama agli antichi e ribadisce il significato positivo di aristocrazia, contrapposto al significato negativo di o., essendo quest’ultima una «signoria esercitata da un piccolo numero di dominanti». «Per questo – egli dice – gli antichi usavano sempre il nome di o. con significato negativo, e aristocrazia invece con significato positivo».

Nel corso delle diverse epoche storiche si sono avuti vari esempi di Stati oligarchici, quasi sempre repubbliche. Regimi oligarchici sono stati considerati quello instaurato nell’antichità dal Consiglio dei 400 ad Atene (411 a.C.), nel Medioevo e in Età moderna quello che resse la Repubblica di Venezia, ma anche quello della Repubblica di Genova e di quasi tutte le città marinare e dei comuni italiani che assursero per un tempo più o meno lungo a uno status di indipendenza rispetto a un sovrano imperiale o regale che fosse.
Regime oligarchico fu anche quello delle Province Unite olandesi sottrattesi definitivamente alla dominazione spagnola nel 1648.

Ma sono considerate oligarchiche anche tutte quelle forme di governo amministrativo di città più o meno grandi che nel corso dell’età tardomedievale e di quella moderna, pur all’interno di strutture statali per lo più monarchiche di cui si riconosceva la piena sovranità politica, godevano tuttavia di particolari condizioni e privilegi amministrativi, giudiziari, economici, finanziari e fiscali, affidati a patriziati locali che il più delle volte effettuavano chiusure di ceto molto ristrette all’interno della stessa nobiltà. Tale fu per esempio la condizione non solo di grandi città come Messina o Barcellona o la stessa Milano, ma anche di numerose città minori d’Italia e d’Europa.

Dalla fine del Settecento l’avanzata a livello politico istituzionale di regimi liberali e democratici mise pesantemente in crisi i regimi politici oligarchici, mentre l’eliminazione del feudalesimo e dei regimi di privilegio di antico regime, sostituiti dai principi di uniformità amministrative di tipo franco-napoleonico, portarono alla scomparsa delle oligarchie amministrative locali, anche se forme molteplici di restrizione riservata di potere sono continuate successivamente a svariati livelli e dimensioni della vita sociale e civile.

Nell’Età contemporanea il concetto di o. ha un ruolo molto importante nell’ambito storico-politologico. Il termine non compare nelle opere di G. Mosca e di V. Pareto, ma il suo contenuto concettuale sì, ed è centrale nella loro concezione elitistica. Secondo questi autori, in ogni società la classe politica o governante è costituita da una minoranza organizzata, che si impone sulla massa disgregata e inerte. Ogni società, dunque, è caratterizzata dal potere oligarchico di una classe governante o élite.

La teoria elitistica è stata ripresa da R. Michels in rapporto ai partiti politici. Michels studiò il Partito socialdemocratico tedesco e giunse alla conclusione che questo partito, nonostante tutte le sue altisonanti rivendicazioni di «democrazia», era dominato e guidato da un ristretto numero di persone, ovvero di capi, di dirigenti, coalizzati tra loro. Ciò si verificava del resto, secondo Michels, in qualunque partito, ed egli enunciò quella che definì la «legge ferrea dell’o.», e cioè che «il formarsi di o. in seno alle molteplici forme di democrazia è un fenomeno organico e perciò una tendenza a cui soggiace necessariamente ogni organizzazione, anche socialista, persino quella libertaria» (Sociologia del partito politico, 1911).