Nazionalsocialismo
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Complesso ideologico (comunemente noto nella forma abbreviata
nazismo ) elaborato in Germania soprattutto da A. Hitler in Mein
Kampf e divenuto sistema di governo dal 1933 al 1945. Principio
centrale di esso è il mito della superiorità della
razza ariana. L’individualismo democratico fu ripudiato in funzione
del nuovo principio della ‘comunità’, etnicamente e
biologicamente intesa come riunione di tutti i Tedeschi in una sola
grande Germania sotto la guida di un capo carismatico, il
Führer.
Come movimento politico si impose attraverso il Partito
nazionalsocialista , costituito ufficialmente a Monaco di Baviera
nell’aprile 1920; ebbe come animatori G. Feder, teorico del
movimento, il poeta razzista e populista D. Eckart, R. Hess, H.
Göring, A. Rosenberg e soprattutto Hitler, con la cui biografia
s’identifica in gran parte la storia del partito. Limitato dapprima
a un raggio d’azione puramente bavarese, il partito tentò nel
1923 a Monaco un fallito colpo di Stato (Putsch). Ricostituito nel
1925, fu da allora in continua ascesa, finché nel 1933 Hitler
fu nominato cancelliere e poi ottenne i pieni poteri. Da allora la
storia del Partito nazionalsocialista si confonde con quella stessa
della Germania. Fu disciolto in seguito alla sconfitta del 1945.
Enciclopedia del Novecento (1979)
di Hans Mommsen
Sommario: 1. Nazionalsocialismo e studio comparato del fascismo. 2.
Fase di movimento: a) origine e struttura sociale della NSDAP; b)
l'attività politica della NSDAP. 3. La presa del potere: a)
verso la legge sui pieni poteri; b) il ‛livellamento'
(Gleichschaltung) dello Stato e della società; c) seconda
rivoluzione: la Wehrmacht e le SA. 4. Il sistema di dominio
nazionalsocialista: a) la struttura del potere; b) disgregazione
dell'unità amministrativa; c) comunicazioni e processo
decisionale. 5. Società e nazionalsocialismo: a) politica
sociale ed economica; b) politica culturale e religiosa; c) politica
ebraica. 6. Politica estera nazista: a) continuità o rottura;
b) il crollo del Terzo Reich. □ Bibliografia.
1. Nazionalsocialismo e studio comparato del fascismo
Ai contemporanei il nazionalsocialismo è apparso come un
risultato specifico della storia tedesca. Ciò corrispondeva
all'immagine che amava dare di se stesso il regime
nazionaisocialista il quale, sotto l'insegna del Terzo Reich, si
spacciava per erede d'un millennio di storia nazionale germanica.
Ideologicamente, il nazismo si ricollegava all'imperialismo e al
nazionalismo integrale dell'epoca guglielmina. Fra i suoi precursori
annoverava sia antisemiti borghesi quali P. de Lagarde, H. von
Treitschke, Fr. Nietzsche, R. Wagner e A. Stoecker, sia sostenitori
d'una politica tedesca di portata mondiale, come P. Rohrbach, O.
Lenz e Th. von Bernhardi. Con l'Alldeutscher Verband (Lega
pangermanista) esistevano vincoli personali. Dopo la costituzione
del regime, la propaganda nazista cercò di usurpare la
tradizione prussiana e di far passare Adolf Hitler come colui che
recava a compimento l'opera di Federico il Grande e di Otto von
Bismarck. Facendo propria l'idea del grande Reich tedesco (H. von
Srbik), la propaganda nazista si studiò di ricollegarsi con
gli imperatori sassoni, gli Ottoni. Sebbene il nazionalsocialismo
facesse dell'eredità dello Stato autoritario tedesco il
presupposto del suo potere interno ed esterno e del suo sviluppo,
era evidente la sua contrapposizione frontale alla tradizione
nazional-conservatrice. Ben presto, quindi, si vide in esso un
pervertimento della tradizione nazionale tedesca. A. Bullock lo
definisce ‟una reductio ad absurdum della più possente
tradizione politica formatasi in Germania dai tempi della fondazione
dell'impero" (v. Bullock, 1962, p. 807).
Anche i nemici della Germania nella seconda guerra mondiale
interpretavano il nazionalsocialismo prevalentemente come un
risultato della storia tedesca. Numerosi autori sostennero
seriamente che la politica di violenza perseguita dal Terzo Reich
dovesse ricondursi in misura determinante a una presunta
propensione, insita nel carattere nazionale tedesco, verso la
bellicosità, l'aggressività e l'intolleranza. Costoro
mettevano Hitler sullo stesso piano di Martin Lutero, Federico
Guglielmo I, Federico il Grande, Bismarck e Guglielmo II. Il
nazionalsocialismo fu sostanzialmente interpretato come il risultato
del militarismo prussiano-tedesco, dell'ibrido nazionalismo borghese
e della soggezione protestantica all'autorità. È da
una siffatta concezione che, negli anni 1944-1945, gli Alleati
occidentali dedussero la necessità di una vasta opera di
rieducazione e riorientamento della popolazione tedesca. Nonostante
l'ascendente che aveva sul presidente Fr. D. Roosevelt, H.
Morgenthau non riuscì a imporre, contro le più
realistiche vedute degli ambienti militari, il suo radicale
programma di agrarizzazione della Germania, anche se nella
denazificazione, sostanzialmente fallita, ebbero comunque un certo
peso sia l'idea di una vasta congiura tedesca contro la pace, sia
l'idea d'una colpa collettiva dei Tedeschi e di una specifica
responsabilità dello Junkertum prussiano.
D'altro canto, nei primi anni del dopoguerra gli autori tedeschi
sottolineano il carattere nichilista e ‛machiavellico' del dominio
di Hitler, che aveva troncato i legami con tutte le tradizioni
tedesche e si era impadronito del potere col terrore. Fr. Meinecke
definisce la Germania hitleriana addirittura come un paese occupato
dal nazismo; H. Rothfels e G. Ritter vedono la tradizione nazionale
tedesca incarnata non nelle ‛orde brune', bensì nel movimento
di resistenza del 20 luglio 1944, che Winston Churchill aveva
squalificato come una sedizione reazionaria di generali e in un
primo momento fu considerato tabù dalle potenze occupanti. Ad
apologeti conservatori il nazionalsocialismo apparve in primo luogo
come hitlerismo (H. Buchheim) e come risultato della ‟democrazia
della scheda elettorale" (W. Martini).
Nel periodo della guerra fredda, con la teoria ‛totalitaristica', i
cui primi sostenitori furono H. Arendt e K. J. Friedrich, si
offrì una formula idonea a spiegare come la gran massa del
popolo tedesco avesse, in larga misura, sopportato passivamente la
dittatura nazista, nonché a giustificare il fatto che il
movimento di resistenza si era limitato ad azioni cospirative. La
teoria della dittatura totalitaria poneva l'accento sul dominio
completo della vita sociale e statale da parte del gruppo dirigente
nazista, e cercava di porre il nazionalsocialismo sullo stesso piano
del comunismo, commisurato soprattutto sul modello del tardo
stalinismo. Sia gli studiosi che l'opinione pubblica furono vittime
di una siffatta interpretazione (in cui tra l'altro si
sopravvalutava anche la razionalità dei sistemi comunisti),
che veniva ad avallare la finzione, consapevolmente alimentata dalla
propaganda nazista, d'una monolitica compattezza del
Führerstaat hitleriano. Fu sopravvalutato altresì il
ruolo del ‛partito di Stato' fascista, inteso in larga misura in
analogia col modello del partito comunista. La teoria
totalitaristica si basava su un insufficiente cognizione dei
complicati processi decisionali e delle rivalità di comando
dei sistemi di dominio sia fascisti sia comunisti, e si è
quindi rivelata inadeguata alla loro analisi (M. Greiffenhagen).
Come modello per spiegare il fenomeno nazista, tuttavia, la teoria
totalitaristica ebbe il merito d'attribuire un carattere strumentale
all'ideologia fascista, reagendo a certe interpretazioni in cui si
affermava un'origine meramente ideologica del nazionalsocialismo.
Ancora sotto l'influenza della teoria totalitaristica, ma con
l'ausilio delle analisi di E. Fraenkel e Fr. Neumann, K. D. Bracher
(insieme a G. Schulz e W. Sauer) ha dimostrato che fra il periodo
dei gabinetti presidenziali e la dittatura nazista sussistevano
forti elementi di continuità di politica interna: cadeva
quindi l'interpretazione, fino allora predominante, del 30 gennaio
1933 come una netta cesura storica, e si indicava il ruolo svolto da
certe élites conservatrici nella costituzione del regime
nazista. Ponendo in rilievo la tecnica del livellamento
(Gleichschaltung) totalitario si additava la duplice natura del
regime, che, mentre da un lato si puntellava sulle strutture
tradizionali dell'esercito, della burocrazia e dell'economia,
dall'altro lato imponeva anche il monopolio del potere politico
contro qualsiasi opposizione effettiva o potenziale. A partire dalla
fine degli anni cinquanta l'accesso agli atti ufficiali ha reso
possibile individuare le intrinseche contraddizioni del sistema di
dominio nazionalsocialista, che solo ricorrendo a formule di
compromesso poté celare i conflitti d'interessi in campo
sociale ed economico, come pure le rivalità di potere
emergenti negli apparati dello Stato e del partito; mentre d'altra
parte, fatta eccezione per la politica razziale, non riuscì
ad attuare i suoi programmi di politica interna. Questa analisi
differenziata della struttura del potere nel Terzo Reich
costituì uno dei due presupposti di un'analisi comparata dei
fascismi; l'altro fu il ravvivato interesse per le cause
dell'esplosione della NSDAP in movimento di massa.
In seguito al raffronto fenomenologico compiuto da E. Nolte tra
fascismo, nazionalsocialismo e Action française, impostato
prevalentemente su concordanze ideologiche, le recenti indagini sul
fascismo mirano a identificare gli elementi sociostrutturali comuni
a tutti i movimenti e regimi fascisti, distinguendoli quindi dai
regimi autoritari fortemente conservatori. Lo studio comparativo del
fascismo si pone sin dall'inizio in netta antitesi alla teoria
comunista del fascismo, la quale interpreta anche il nazismo come
dominio terroristico del capitale finanziario, senza peraltro
pronunciarsi sulla struttura dei movimenti fascisti. Fondamentale
per l'analisi comparata è la distinzione, introdotta da W.
Schieder, tra fase di movimento (Bewegungsphase) e fase di sistema
(Systemphase). Caratteristica dei movimenti fascisti è
l'accentuata inconsistenza ideologica del programma, che ha anzi
un'importanza esclusivamente strumentale, intesò com'è
a mobilitare i risentimenti sociali e politici esistenti nella
società. Altro contrassegno dei partiti fascisti consiste nel
rinunciare in larga misura alla libera formazione d'una
volontà politica all'interno del partito e nell'assolutizzare
a tutti i livelli dell'organizzazione il Führerprinzip. Accenni
iniziali al formarsi di una dialettica interna sono eliminati ben
presto (anche se in maniera diversa), e il partito viene trasformato
in un'organizzazione puramente propagandistica; a tale scopo servono
anche il culto di simboli irrazionali, l'uso delle uniformi e i
rituali osservati nei congressi del partito e in pubbliche
dimostrazioni. La funzione delle milizie fasciste e del terrore che
esse esercitano contro gli oppositori politici è diretta
all'intimidazione dell'avversano piuttosto che alla conquista
rivoluzionaria del potere con la violenza.
I partiti fascisti sono inoltre caratterizzati dalla capacità
di simulare la natura di ‛movimento' propria di quelli socialisti,
mentre in realtà l'insieme dei loro membri e seguaci è
contrassegnato da un'estrema fluttuazione ed è quindi
marcatamente instabile. L'esplosione in movimento di massa e la
monopolizzazione del potere politico, pertanto, possono riuscire
solo in condizioni di profonda crisi del sistema politico e solo
grazie all'alleanza con settori delle élites politiche e
sociali dominanti. Ne consegue che nella ‛fase di sistema' il
partito fascista ha un carattere prevalentemente sussidiario e non
è in grado, salvo eccezioni, d'imporsi come organizzazione
politica di massa nei confronti delle nuove élites al potere.
Dalla crescente inefficienza d'un partito fascista, per così
dire irrigidito nelle forme assunte durante la ‛fase di movimento',
e dalle energie politiche da esso non più imbrigliate,
emergono però i contrasti specifici tra organizzazioni
settoriali o apparati creati ad hoc, politicamente potenti grazie al
trasferimento o all'usurpazione di funzioni pubbliche. Sebbene gli
sforzi compiuti dall'ala radicale del movimento fascista, per
sostituirsi all'organizzazione statale, siano sventati con
interventi terroristici per ragioni di autoaffermazione del regime,
la dinamica, pur così arginata, si esplica nella progressiva
disgregazione della compagine interna di tutte le istituzioni
pubbliche, per risolversi quindi in una sorta di crescente
‛darwinismo burocratico', in accanite lotte per il potere a tutti i
livelli. In tutto questo processo, se resta pressoché intatto
il ruolo del dittatore quale istanza di legittimazione d'interessi
rivaleggianti tra di loro, si paga però il prezzo,
com'è ovvio, d'un crescente impelagarsi del regime in
antagonismi intestini, i cui attriti snaturano e distruggono
un'efficienza esteriore sulle prime impressionante. A meno che
élites di potere conservatrici e militari (come è
avvenuto precocemente nel regime di Franco, o nell'Italia fascista
all'insorgere d'una profonda crisi esterna e interna) non
interrompano tale processo con l'instaurazione d'una dittatura
militare, il crollo esterno e interno del sistema fascista è,
come in Germania, ineluttabile.
In questo generale quadro di riferimento va inserito anche il
nazionalsocialismo. La NSDAP (Nationalsozialistische Deutsche
Arbeiterpartei) sfruttò di proposito sia il risentimento
nazionale surriscaldato dalla leggenda della pugnalata alla schiena
e dal trattato di pace di Versailles, sentito come inaccettabile,
sia il risentimento sociale alimentato dall'inflazione, dalla
stagnazione economica e dai processi di mutamento sociale.
Ciò facendo, essa si poneva fin dall'inizio in nettissimo
contrasto col movimento operaio socialista, di cui bollava
l'ispirazione ‛ebraica'. Quale unica componente stabile
dell'ideologia nazista, l'antisemitismo servì, non da ultimo,
a superare il contrasto fra la propaganda apertamente antimarxista e
le idee anticapitalistiche latenti in una parte dei seguaci, e
quindi a creare, con l'immagine tenebrosa del complotto mondiale
giudaico-plutocratico ovvero bolscevico, un comune denominatore in
un programma che, nelle sue poche finalità concrete, si
presentava oltremodo irto di contraddizioni. La protesta contro la
modernizzazione, che i nazionalsocialisti fomentarono coi mezzi
più moderni, assicurò loro l'adesione di vasti gruppi
di simpatizzanti caratterizzati da insicurezza sociale di origine
prevalentemente medio-borghese e contadina, senza che peraltro
esistesse fra questi una reale identità di interessi. Nemmeno
così, tuttavia, il movimento nazionalsocialista di massa
riuscì ad arrivare al potere per forza propria: fu necessaria
l'alleanza con i ceti sociali sostenitori degli ultimi gabinetti
presidenziali, che speravano di imbrigliare Hitler, servendosene
come d'un partner provvisorio per la creazione di un sistema
autoritario monarchico.
Dal punto di vista dell'indagine comparata del fascismo, non hanno
una responsabilità diretta nell'ascesa di esso (anche se,
insieme al diffuso nazionalismo irrazionalistico, l'hanno favorita
in misura decisiva) le colpe specifiche della democrazia
parlamentare di Weimar, individuabili nell'arretratezza della
coscienza politica rispetto allo sviluppo sociale, nella diffusa
mentalità socialmente conservatrice - orientata verso
strutture preindustriali e predemocratiche - e nella debolezza della
tradizione liberale. Di portata determinante, invece, sono certi
fattori sociali, in particolare la grande insicurezza economica e la
decadenza sociale delle classi medie numericamente crescenti, il
dissolversi della società dei notabili liberali e gli effetti
distruttivi sulle tradizioni dovuti ai processi di razionalizzazione
sociale ed economica. Una volta al potere, il nazismo si
servì, per stabilizzare il regime, delle forti tradizioni
statalistiche e della burocrazia statale, la quale, dal canto suo,
riuscì a contenere temporaneamente la tendenza, insita nella
struttura del movimento nazista, alla radicalizzazione generalizzata
degli obiettivi politici, rendendo possibili per un limitato periodo
la stabilità e l'efficienza esteriori del regime. Qualcosa di
analogo si può affermare per la parte avuta dall'esercito, il
quale fino al 1938 poté salvaguardare quell'autonomia che poi
avrebbe progressivamente perduta nel corso della seconda guerra
mondiale. A dimostrare che il sistema nazista non può essere
spiegato adeguatamente come il risultato di crisi e sviluppi
specificamente tedeschi, sta il fatto che, se il sistema andò
progressivamente disgregandosi, arrivando all'assurdo sul piano
politico-militare, ciò fu dovuto alle stesse energie in esso
insite, le quali, sprigionatesi in misura sempre crescente, si
esplicarono in un'espansione senza limiti all'esterno e all'interno,
e nell'erosione delle strutture statali e sociali tradizionali. Lo
studio comparativo del fascismo, invece, consente un'adeguata
valutazione sia degli elementi di continuità storica sia dei
tratti specificamente innovativi delle dittature e dei movimenti di
massa fascisti. Garantisce inoltre un'esauriente descrizione delle
caratteristiche essenziali del sistema di potere nazista, come anche
il suo inquadramento nell'insieme dei tentativi fascisti che
contrassegnano l'epoca fra le due guerre mondiali.
2. Fase di movimento
a) Origine e struttura sociale della NSDAP
Per qualche tempo la Deutsche Arbeiterpartei (DAP, Partito Tedesco
dei Lavoratori), fondata con l'appoggio di organizzazioni popolari
(Thule-Gesellschaft) e della Reichswehr bavarese, rimase una setta
insignificante; ma nella scia del movimento nazionalista insorto
contro la repubblica dei Soviet di Monaco, poi rovesciata, e nel
clima controrivoluzionario instaurato nel capoluogo bavarese dalle
attività illegali dei corpi franchi (Freikorps) e delle
milizie popolari (Heimwehr), doveva acquisire un'importanza dapprima
locale e poi, dal 1922, regionale. Fu Hitler, che con le sue
formidabili qualità di propagandista era assurto, con
l'eliminazione del vertice guidato fin allora da A. Drexler, alla
carica di capo del partito con poteri dittatoriali, a conferire alla
NSDAP l'impronta autenticamente fascista. Ecco quindi formarsi il
culto del Führer, ecco le attività di partito
concentrarsi esclusivamente sulla propaganda, col risultato di una
crescente sterilità programmatica, ecco infine che vengono
impedite le elezioni nel partito, poi interamente abolite nel 1927.
Sostenuto da una piccola cerchia di fedelissimi seguaci, fra i quali
R. Hess, D. Eckart, H. Esser e A. Rosenberg, e assicuratasi la
supremazia nell'organizzazione monacense a lui devota, Hitler riusci
ad assoggettare completamente il partito alla sua influenza.
Nell'anno di crisi 1923 la NSDAP raggiungeva, con i suoi 55.000
iscritti, un primo grosso risultato e una rilevanza sovraregionale.
Poiché prima del 1926 nemmeno Hitler riteneva opportuna la
partecipazione della NSDAP alle elezioni, la strategia del partito
fu rivolta a conquistare una posizione politica chiave nel quadro
dei movimenti sovversivi di destra, apertamente appoggiati da
influenti personalità politiche bavaresi, soprattutto dal
Generalstatthalter G. von Kahr e dal comando della Reichswehr
bavarese. Con la trasformazione delle SA - fondate per svolgere
compiti di servizio d'ordine - in una formazione paramilitare, e con
lo stabilirsi di collegamenti fra esse e analoghe milizie
patriottiche, Hitler, quale capo nominale del Deutscher Kampfbund
(Associazione dei combattenti tedeschi), si trovò coinvolto
nei piani per un Putsch di destra, fomentato soprattutto da E.
Röhm e H. Göring, oltre che da esponenti dei Freikorps
(fra i quali il capitano Ehrhardt, E. Ludendorff e Fr. Ritter von
Epp). Mentre costoro intendevano ridurre il suo ruolo a una
copertura politica dell'azione militare progettata contro Berlino,
Hitler pretendeva la posizione chiave nel costituendo direttorio
nazionale. Il tentativo di raggiungere lo scopo con la violenza
(Putsch del Bürgerbraükeller) portò al fallimento
della marcia sulla Feldherrnhalle - un'impresa militarmente e
politicamente dilettantesca - che con la marcia su Roma di Mussolini
aveva in comune solo il nome. L'arresto di Hitler e la sua condanna
alla detenzione nel carcere di Landsberg, provocarono, nonostante
l'anticipata scarcerazione, una grave crisi del partito, ora
ufficialmente illegale. Organizzazioni sostitutive - come la
Grossdeutsche Volksgemeinschaft (Unione Nazionale della Grande
Germania) di Rosenberg, la DAP francona di J. Streicher e la NSDAP
nordtedesca di P. Volck, in origine autonoma - permisero d'arrestare
in parte l'emorragia di iscritti, ma non di neutralizzare la
concorrenza della Deutschvölkische Freiheitspartei (Partito
Popolare Tedesco della Libertà) di A. von Graefe, dalla cui
fusione con altre frazioni derivò la Nationalsozialistische
Freiheitspartei (Partito Nazionalsocialista della Libertà).
Nonostante il divieto di parlare in pubblico, Hitler riuscì a
isolare politicamente il suo rivale Ludendorff (facendolo designare
candidato alle elezioni presidenziali del 1925) e, con la
rifondazione ex novo della NSDAP, poté cementare la sua
leadership, pur concedendo una relativa autonomia ai Gaue
(distretti) settentrionali, che ormai avevano acquisito una notevole
importanza. Ma, sebbene avesse sconfessato, con l'aiuto di J.
Goebbels, l'alleanza costituita nel 1926 dai Gauleiter
(capidistretto) nordoccidentali contro il monopolio del potere
detenuto dal gruppo di Monaco, Hitler fu costretto a tollerare la
relativa autonomia della sinistra nazionalsocialista (R. Kuhnl),
appoggiata da Gr. e O. Strasser e dai loro organi di stampa; nel
1930, però, con l'espulsione di Strasser dal partito e con
l'inclusione di suo fratello nel vertice del partito stesso in
qualità di responsabile dell'organizzazione la sinistra fu
condannata a un ruolo insignificante, anche a causa della sua scarsa
consistenza ideologica. Solo i successi elettorali conseguiti a
partire dal 1928 spinsero l'organizzazione del partito, che ormai
copriva l'intero territorio nazionale, a concentrare la propaganda
elettorale non più prevalentemente nei grandi centri urbani,
ma nelle città medie e piccole, come pure nelle zone rurali
(D. Orlow). Una grande influenza sulle masse il partito la ottenne
soprattutto infiltrandosi nel Reichslandbund (Unione agricola del
Reich) e nel Deutschnationale Handlungsgehilfen-Verband (Federazione
dei commessi di negozio tedesco-nazionali) (L. Jones e H. Gies).
La base della NSDAP, originariamente settaria e limitata a gruppi
sociali marginali (ex combattenti non reinseriti, commercianti
economicamente insicuri, contadini medi, universitari nazionalisti),
doveva subire, soprattutto nella fase decisiva di crescita fra il
1925 e il 1928 (da 27.000 a 108.000 iscritti), una trasformazione
caratteristica. Diffondendosi nella Germania settentrionale e
occidentale, il partito beneficiò d'un notevole
svecchiamento; dopo il 1930 oltre la metà degli iscritti
è di età inferiore ai 23 anni. Non gli ex combattenti,
ma la generazione postbellica viene di preferenza arruolata dalla
NSDAP. Con una rappresentanza operaia nettamente inferiore alla
media nazionale (1930: 28% degli iscritti di fronte al 46% della
popolazione complessiva), il grosso del partito consiste di
appartenenti al ceto medio vecchio e nuovo e, nella fase di presa
del potere, d'una considerevole percentuale contadina, che subisce
un relativo calo dopo il 1933. In contrasto con la concezione di S.
M. Lipset, che descrive il successo della NSDAP come una ‟reazione
disperata delle classi medie (originariamente liberali)", e come
‟estremismo di centro", in lavori più recenti (H.-A. Winkler)
si sottolinea il tradizionale conservatorismo sociale che
caratterizzava le fasce del ceto medio sostenitrici della NSDAP, e
in particolare il ceto medio artigiano. L'adesione di massa alla
NSDAP si basava non solo sulla mobilitazione di gruppi
specificamente piccolo-borghesi e piccolo-contadini, ma
altresì su strati della popolazione (fuori dei grandi
agglomerati Urbani) non pienamente raggiunti, e anzi minacciati nel
loro status dal processo d'industrializzazione. Altro fattore di
successo era infine la forte attrattiva che il partito esercitava su
laureati e impiegati disoccupati, come pure su giovani privi di
collocazione professionale. A onta dell'anomala stratificazione dei
suoi iscritti e del suo elettorato, la NSDAP poté presentarsi
come un partito popolare. L'interpretazione di E. Bloch, secondo cui
l'influenza del nazismo sulle masse si basava sull'attivazione
politica di settori residui non pienamente raggiunti dalla moderna
società industriale epperò condannati a uno stato di
arretratezza sociale, come anche la formula della ‟mobilitazione del
malessere" proposta da D. Schoenbaum, trovano una conferma nei dati
sulla composizione degli iscritti e dell'elettorato del partito e
nelle ricerche di storia locale finora pubblicate (W. S. Allen, H.
P. Görgen).
Fra le elezioni del settembre 1930 e quelle del luglio 1932, e pur
subendo una recessione nella tornata elettorale del novembre 1932 a
favore della Deutschnationale Volkspartei (Partito popolare
tedesco-nazionale), la NSDAP andò riducendo in gran parte
l'area dei partiti borghesi. Non si trattava però d'un
processo irreversibile. Ricerche su scala regionale (R. Heberle, O.
Stoltenberg) dimostrano che settori politicamente instabili
dell'elettorato continuavano a sparpagliarsi lungo tutto il
ventaglio dei partiti; il successo della NSDAP nel luglio 1932 si
basava su strati dell'elettorato non ancora toccati, mentre si erano
allontanati altri più vecchi. Da tutto questo risulta che il
movimento era alimentato in notevole misura da gruppi marginali e da
voltagabbana (e non da non elettori); se ne ha una conferma
dall'analisi del corpo degli iscritti alla NSDAP, che si distingue
dai partiti borghesi e dai socialdemocratici (ma non dai comunisti)
per un'altissima mobilità. Fino al settembre 1930 la NSDAP
poté legare stabilmente a sé solo il 44% dei suoi
iscritti, e perdette circa un terzo di quelli entrati
successivamente nelle sue file. Considerato il rapido aumento
numerico che si ha nello stesso volger di tempo (30.1.1933: 719.000
iscritti), questa fluttuazione, caratteristica dei movimenti
fascisti in genere, è sintomo d'una relativa
instabilità, che poté essere dissimulata solo grazie a
un'incessante mobilitazione di nuovi aderenti, all'organizzazione di
campagne elettorali e propagandistiche, a parate oceaniche e a un
ininterrotto attivismo. Eppure, nonostante il richiamo esercitato
dal partito ormai al potere e l'atmosfera terroristica in cui si
svolsero, le elezioni del marzo 1933 non diedero alla NSDAP
più del 43,9% dei suffragi.
b) L'attività politica della NSDAP
L'attività politica della NSDAP e delle SA, che stavano
diventando un'organizzazione di massa (circa 300.000 membri nel
gennaio 1933) consistette da una parte nel potenziamento
organizzativo, dall'altra in sempre più intensificate
campagne propagandistiche, grazie alle quali il partito simulava con
successo il carattere di ‛movimento'. Le finalità militari
delle SA, emerse prima del 1923 e poi durante il congedo puramente
formale di Hitler dalla carica di leader del partito con
l'istituzione del Frontbann, furono dopo il 1925 intenzionalmente
ostacolate da Hitler. Considerata l'esperienza del 9 novembre, egli
decise di adattarsi alla legalità, studiandosi in particolar
modo d'evitare un conflitto con la Reichswehr. Sforzi compiuti in
senso opposto dalle SA sotto la guida di Pfeffer von Salomon
indussero Hitler a richiamare Röhm dal Sudamerica, ove era
emigrato. Röhm però sfruttò subito l'offerta
fatta dalla Reichswehr, sotto il comando di Kurt von Schleicher, di
assumersi il carico dell'istruzione militare delle SA per riproporre
gli stessi vecchi obiettivi, e dal canto suo, dopo la presa del
potere, il comando della Reichswehr prese le distanze da ogni idea
di milizia popolare, preferendole la normale coscrizione
obbligatoria; poco dopo, infatti, appoggiava attivamente
l'eliminazione di Rbhm e le misure terroristiche del 30 giugno 1934.
Pur avendo considerato talvolta la possibilità di un Putsch
(si veda la documentazione Boxheim), Hitler mirò a una presa
pseudolegale del potere. Cercò l'appoggio della grande
industria, bloccò le agitazioni anticapitalistiche dell'ala
di Strasser, lasciò cadere le richieste di espropri contenute
nel programma del partito, accostandosi nel contempo alle
associazioni di destra. Nonostante gli sforzi di W. Keppler e Fr.
Thyssen, l'industria pesante, che allora appoggiava decisamente
l'indirizzo perseguito da von Papen, persisté nel suo
riserbo. La convergenza tattica con la DNVP e con lo Stahlelm (Elmi
d'acciaio) nel referendum contro il piano Young (1929) e nel fronte
di Harzburg (ottobre 1931) non fu disgiunta da un'accorta
salvaguardia della propria autonomia, e fece comunque della NSDAP un
partner accettabile in una coalizione per un gabinetto
nazionalistico di destra. Nonostante la partecipazione della NSDAP
ai governi della Turingia e del Braunschweig, la politica di
coalizione naufragò, tanto nel Reich quanto in Prussia, in
seguito alle pretese esagerate di Hitler. Gr. Strasser e Göring
consideravano l'orientamento hitleriano con crescente scetticismo,
il che destò negli ambienti conservatori la speranza di poter
guadagnare a una coalizione di destra Strasser, considerato il
leader nazionalsocialista più eminente e di maggior rilievo
politico dopo Hitler, tanto più dopo che Hitler era stato
sconfitto di stretta misura da Hindenburg nelle elezioni
presidenziali del marzo-aprile 1932. Allorché anche la
schiacciante vittoria nelle elezioni per la dieta prussiana
(vittoria che sulle prime sembrò compensare la sconfitta
precedente) restò senza conseguenze e allorché il 20
luglio dello stesso anno la Gleichschaltung della Prussia,
cioé la deposizione del governo prussiano a opera di von
Papen, pose fine alla ventilata coalizione fra il Centro e la NSDAP,
si ebbe l'impressione d'un totale isolamento politico di
quest'ultima.
Nonostante la crisi del partito provocata dalle elezioni del
novembre 1932, durante la quale Strasser diede le dimissioni dalle
sue cariche, Hitler pretese per i nazionalsocialisti il
cancellierato in un gabinetto munito di pieni poteri presidenziali
nonché i dicasteri degli Interni del Reich e della Prussia;
ma Hindenburg, adducendo le intenzioni dittatoriali della NSDAP,
oppose un rifiuto. La NSDAP uscì dall'isolamento politico
solo con la caduta di von Schleicher, dovuta alle voci messe in giro
da von Papen, secondo cui il generale preparava la guerra civile.
Dando a intendere di mirare alla costituzione di un gabinetto di
maggioranza parlamentare comprendente anche il Centro (il presidente
del Reich veniva quindi sollevato dalle sue responsabilità
per gli eventuali sviluppi autoritari della situazione), von Papen
ottenne l'assenso di Hindenburg alla formazione di un governo di
concentrazione nazionale con Hitler cancelliere. A. Hugenberg e von
Papen ritenevano d'aver efficacemente accerchiato Hitler in un
gabinetto a maggioranza conservatrice e, a lungo andare, di poter
imbrigliarlo politicamente, una speranza che doveva essere
contraddetta già nel momento in cui si costituiva il governo,
allorché Hugenberg, sia pur riluttante, acconsentì
allo scioglimento del Reichstag, il che significava un indebolimento
della componente conservatrice; dell'inserimento, dato a intendere
al presidente, del Centro in un gabinetto presidenziale di
minoranza, non si fece nulla. I contemporanei - i comunisti come i
socialdemocratici scorgevano non in Hitler, bensì nel
‛dittatore dell'economia' Hugenberg l'esponente determinante del
nuovo governo, sebbene il mito della ‛riscossa nazionale' e le
azioni terroristiche iniziate immediatamente dalle SA (già
nella notte del 30 gennaio) contro le forze repubblicane, rendessero
palese lo spostamento d'equilibrio a favore della NSDAP.
Contrariamente a quanto sostengono posteriori apologeti
conservatori, la NSDAP giunse al potere non attraverso le elezioni,
ma grazie al meccanismo d'un regime presidenziale autoritario,
manovrato da una camarilla annidata nell'ufficio del presidente del
Reich; non solo, ma vi giunse in un momento in cui aveva dovuto
incassare un netto calo elettorale e la tendenza espansionistica
stava subendo un'inversione di segno. La capacità di
resistenza del movimento operaio socialista era già stata
psicologicamente infranta con la deposizione del governo prussiano
compiuta da von Papen il 20 luglio 1932. Fu allora, se non prima,
che venne abbandonato il terreno della legalità; e tanto meno
si poteva parlare d'una legale ‛presa del potere', dato che fu
capovolto il rapporto fra composizione del governo e risultati
elettorali (K. D. Bracher). Gli elementi di continuità fra
l'epoca dei gabinetti presidenziali e la prima fase del
cancellierato di Hitler furono soprattutto i seguenti:
l'utilizzazione della facoltà presidenziale d'emanare decreti
d'emergenza al fine di scalzare progressivamente la costituzione
repubblicana; la tecnica dell'‛integrazione' (Gleichschaltung), di
cui von Papen aveva fornito un esempio nel caso della Prussia; e
infine l'assunzione massiccia di personale negli uffici pubblici,
effettuata col pretesto di necessità tecnico-amministrative.
3. La presa del potere
a) Verso la legge sui pieni poteri
Spacciando il 30 gennaio 1933 come l'inizio della ‛rivoluzione
nazionale', si mascherava la necessità di procurare al
governo una maggioranza assoluta nelle elezioni del 5 marzo, prima
che esso potesse chiedere al parlamento una legge sui pieni poteri
che lo rendesse del tutto indipendente dal presidente del Reich.
Sostenuto dalla neutralità della Reichswehr e ora da vasti
settori della grande industria, con l'aiuto di von Papen, la cui
carica di commissario del Reich per la Prussia veniva di fatto a
decadere, Hitler estorse mediante un decreto presidenziale
d'emergenza lo scioglimento della dieta prùssiana e
l'insediamento in Prussia di Göring quale ministro
dell'interno; poté quindi valersi, nella repressione dei
partiti di sinistra, dell'apparato poliziesco prussiano, rapidamente
allineato (gleichgesehaltet) e coadiuvato dalla polizia ausiliaria
delle SA. L'incendio del Reichstag, avvenuto il 27 febbraio, fu
impresa individuale dell'olandese M. van der Lubbe; ma il governo ne
addossò la colpa ai comunisti, cogliendo il destro per
sopprimere completamente, mediante decreto presidenziale, la
libertà d'azione politica delle sinistre: furono abrogati i
diritti fondamentali (sul modello dell'ordinanza emanata a suo tempo
da von Papen in Prussia), legalizzata l'ingerenza negli affari di
competenza delle autorità di polizia dei Länder, e
sottoposto a sistematica persecuzione il Partito comunista
(formalmente non fuori legge). Lo stato d'emergenza civile si
basò sul pronto e accorto sfruttamento dei sentimenti
anticomunisti, destinati a sopravvivere lungamente all'incendio, ma
altresì del timore che una situazione prossima alla guerra
civile mettesse in pericolo le elezioni e potesse condurre alla
proclamazione dello stato d'emergenza militare.
Le elezioni diedero alla coalizione una risicata maggio- ranza;
spacciate per un trionfo schiacciante, esse servirono come pretesto
per l'allineamento forzato (Gleichsehaltung) dei Länder, al
quale invano cercò d'opporsi la Baviera. Sottoposto a una
fortissima pressione politica lo schieramento di Centro (il Centro
cattolico e i residui dei partiti borghesi) votò a favore
della legge sui pieni poteri (Ermächtigungsgesetz), mentre le
trattative - che iniziavano proprio allora - per il concordato col
Vaticano aggravavano l'isolamento politico del partito cattolico.
L'anticostituzionale legge sui pieni poteri fu approvata, il 23
marzo 1933, solo grazie all'annullamento dei mandati dei
parlamentari comunisti e coi voti contrari dei socialdemocratici,
che perseverando nella loro tattica legalitaria, speravano,
nonostante tutto, di poter evitare la soppressione totale. Ormai
Hitler aveva mano libera per ricostruire lo Stato e la
società e per liquidare politicamente anche i suoi alleati
conservatori. L'opera di liquidazione si concluse con le forzate
dimissioni di Hugenberg, l'autoscioglimento della DNVP,
l'incorporazione dello Stahlhelm nelle SA e la legge del 14 luglio
1933 contro la fondazione di nuovi partiti politici. Ma già
prima Hitler era venuto meno all'impegno di non alterare la
composizione del gabinetto includendovi Goebbels, Göring, Hess
e Röhm.
Nonostante i progetti d'un nuovo testo costituzionale - che secondo
il suo propugnatore W. Frick avrebbe dovuto accompagnare la riforma
del Reich - la legge sui pieni poteri, definita da C. Schmitt
‟costituzione provvisoria della nuova Germania", restò sino
alla fine del regime il fonda- mento pseudolegale della dittatura
hitleriana; formalmente prorogata nel 1937 e nel 1939 dal Reichstag,
nel 1943 le fu conferita validità a tempo illimitato da un
decreto del Führer. Le garanzie costituzionali ancora contenute
nella legge furono violate con l'intromissione negli affari dei
Länder, l'unificazione delle cariche di cancelliere e
presidente del Reich (agosto 1934) e l'abolizione del Consiglio
federale (Reichsrat). L'importanza della legge sta nella pretesa
legalizzazione della ‛rivoluzione nazionalsocialista', grazie alla
quale il regime poté più agevolmente ottenere il
giuramento di fedelta dei corpi burocratici e assicurarsi il
riconoscimento internazionale.
b) Il ‛livellamento' (Gleichschaltung) dello Stato e della
società
Secondo il Bracher la presa del potere da parte dei nazisti si
attuò in tre stadi. Alla prima fase, che vede aumentare i
poteri dell'esecutivo grazie ai metodi del regime presidenziale e
che si conclude con la legge sui pieni poteri, ne succede una
seconda in cui lo Stato di diritto e l'opposizione politica vengono
liquidati mediante l'instaurazione del regime a partito unico; nel
terzo stadio, infine, s'instaura il regime totalitario per mezzo
dell'alleanza con l'esercito, la burocrazia e il vasto apparato
poliziesco accentrato nelle mani del Comando delle SS.
Contrariamente a una diffusa opinione, secondo cui la NSDAP avrebbe
imposto il suo monopolio di potere secondo un minuzioso programma
graduale, in realtà il processo fu spesso privo di
coordinazione ed ebbe di mira prevalentemente la neutralizzazione o
l'eliminazione politica degli avversari potenziali; in tale processo
s'integravano a vicenda l'azione ufficiale pseudolegale del regime e
l'oppressione terroristica. Nel Reich, in Prussia e negli altri
Länder, i direttori generali dei ministeri, in questo
appoggiati da loro funzionari (di mentalità
conservatrice-statalistica), si studiarono di assoggettare al loro
esclusivo controllo l'amministrazione rispettiva e di estenderne le
competenze; ne risultò un conflitto fra gli sforzi di
centralizzazione messi in atto dall'amministrazione del Reich, e i
Länder che, pur dopo il ‛livellamento' (Gleichschaltung),
miravano all'autonomia: il risultato fu un contrasto fra
amministrazione generale o nazionale e organi amministrativi
autonomi d'ogni grado. D'altro canto le organizzazioni del partito e
le SA cercano, per mezzo dell'insediamento di commissari,
d'acquisire un'influenza diretta sull'amministrazione, in
particolare sulla politica del personale; ciò si risolve in
un colossale favoritismo burocratico, osteggiato con esiti alterni
dai ministri (non fosse altro per considerazioni di carattere
finanziario). È vero che il Ministero degli Interni del Reich
impose l'abolizione del sistema commissariale e vietò
ulteriori intromissioni delle organizzazioni del partito
nell'apparato amministrativo; ma questo non impedì la
persistenza, soprattutto in sede comunale, di situazioni aperte
all'influenza del partito. Sulle prime la burocrazia riesce a
imporsi in larga misura, fra il crescente risentimento dei quadri
della NSDAP, ma in seguito la sua risulterà una vittoria di
Pirro.
Tra l'incudine e il martello degli interventi centrali e del terrore
locale si attua il ‛livellamento' della vita sociale. L'introduzione
del Führerprinzip in associazioni, federazioni, enti di diritto
pubblico e società scientifiche, l'estromissione di Ebrei e
repubblicani, e l'oppressione terroristica esercitata sulle
personalità ribelli assicurano e consolidano l'allineamento
della società con il Führerstaat. Un ruolo di
fiancheggiamento legalizzatore fu svolto in questo processo dalla
legislazione. Nello stesso tempo, usurpando prerogative statali, le
associazioni affiliate alla NSDAP fanno proprie nuove funzioni da
sostituire a quelle, sin allora prevalenti, di agenti elettorali.
È quanto fanno la Deutsche Arbeitsfront (DAF, Fronte Tedesco
dei Lavoratori), la Hitlerjugend, il Reichsnährstand
(Corporazione del Reich per l'alimentazione), i reparti propaganda
della NSDAP, che vengono subordinati direttamente al ministro del
Reich per la Propaganda e l'Educazione Popolare; altre
organizzazioni, quali la NS-Jago (Nationalsozialistische
Handwerks-Handels-und Gewerbeorganisation: organizzazione
nazionalistica dell'artigianato, del commercio e dell'industria) per
i ceti medi o la NSBO (Nationalsozialistische
Betriebszellenorganisation: organizzazione di cellule aziendali
nazionalsocialiste), non sono in grado di affermarsi. Si va
delineando fra partito e Stato un dualismo (ma ‛dualismo' è
solo l'etichetta sommaria di tutta una complessa rete di
rivalità e lotte di posizione) che già nell'estate
1933 minaccia di ridurre a valori minimi l'efficienza del regime.
La ‛rivoluzione di marzo' (così si volle denominare il
processo di ‛allineamento') viene accompagnata dallo scatenarsi
d'uno sfrenato terrore contro i nemici del regime e gli Ebrei, e
dall'istituzione, a opera delle SA, di campi di concentramento
‛selvaggi'. Il movimento operaio organizzato è esposto senza
difesa alcuna agli interventi terroristici. Nonostante i loro
tentativi di trovare un modus vivendi col regime grazie allo
sganciamento dei socialdemocratici, i sindacati liberi vengono
sciolti, con un'azione accuratamente preparata, il 2 maggio 1933; i
loro patrimoni sono confiscati, le loro sedi occupate e
saccheggiate; ne assume l'eredità la Deutsche Arbeitsfront
(DAF), guidata da R. Ley, all'insegna della ‛comunità
aziendale'. La legge sull'ordinamento del lavoro nazionale abolisce
la libera circolazione della manodopera, nega al lavoratore il
diritto di sciopero e annienta la rappresentanza sindacale in seno
all'azienda. I deboli tentativi, compiuti dalla DAF, di far valere
certi interessi sociali dei lavoratori naufragano contro la
resistenza opposta dal Ministero del Lavoro del Reich, che affida la
composizione delle controversie di lavoro a ‛fiduciari per il
lavoro'. Dato l'obbligo di iscrizione, la DAF era in realtà
una delle organizzazioni più grandi ed economicamente
più forti del Terzo Reich ; ma si limitò a organizzare
corsi d'istruzione e addestramento, ad attività
dopolavoristiche (Kraft durch Freude) e a coltivare una certa quale
cosmesi sociopolitica (‛bellezza del lavoro').
Nella misura in cui non si esaurivano nelle attività di
sottogoverno, le energie della NSDAP e delle SA furono rivolte
soprattutto contro gli Ebrei ; e tuttavia il boicottaggio
organizzato da J. Streicher il 1 aprile 1933 si risolse in un
fiasco. La speranza di farne l'avvio di pogrom spontanei a furor di
popolo si rivelò fallace. Considerazioni di politica estera e
interna costrinsero il regime a impedire sempre di più la
persecuzione ‛selvaggia' degli Ebrei e a percorrere, invece, la via
ritenuta più efficace da Heydrich: l'eliminazione ‛legale',
vale a dire effettuata sfruttando i sistemi propri di uno Stato di
polizia. La legge del 7 aprile 1933 sulla riorganizzazione della
burocrazia servì più che altro a legalizzare le misure
epurative prese contro i pubblici dipendenti ebrei e socialisti.
Già in precedenza numerosi giuristi, insegnanti universitari,
artisti e liberi professionisti erano stati costretti a emigrare.
Soprattutto nelle università, ampiamente nazificate
già prima del 1933, l'agitazione ‛contro lo spirito non
tedesco' portò a eccessi vergognosi. Eppure, sul finire della
primavera, intellettuali eminenti come G. Benn, M. Heidegger, E.
Bertram e K. A. von Müller esprimevano ancora il loro favore al
regime, col quale, ai primi di luglio, faceva definitivamente pace
l'episcopato tedesco.
c) Seconda rivoluzione: la Werhmacht e le SA
A onta delle sue dichiarazioni in contrario, la NSDAP giunse al
potere impreparata. Mancavano idee chiare sul da farsi. Sebbene
progetti legislativi fossero stati elaborati dalla Direzione
nazionale del partito ancor prima del 1933, essi rimasero
senz'alcuna influenza sulla burocrazia ministeriale. La formula di
Goebbels, secondo cui bisognava trasferire allo Stato ‟la
legalità del movimento" nazista, rispecchia l'imbarazzo
nascente dalla mancanza di progetti concreti ben definiti. Di fatto
l'iniziativa passò alle burocrazie ministeriali del Reich e
della Prussia, ambedue di mentalità conservatrice e ben
affiatate tra di loro. Nello stesso tempo, col massiccio afflusso
d'iscrizioni, l'apparato del partito risultava sproporzionato. Con
un milione e mezzo d'iscritti, la NSDAP non era più una
struttura politicamente efficiente, tanto più che nelle sfere
dirigenti cominciò ad aversi una mobilità
elevatissima. Lo stesso si dica delle SA, che con l'annessione delle
associazioni combattentistiche di destra arrivavano a due milioni di
membri (tre milioni e mezzo comprendendo la riserva), di cui meno di
un terzo era iscritto alla NSDAP. La trasformazione del movimento da
un'associazione combattentistica orientata verso la lotta politica
in un'organizzazione interessata esclusivamente all'indottrinamento
politico, alla preparazione di pubbliche adunate (WHW) e ad
attività dimostrative, sollevava problemi considerevoli. Non
più il fanatico combattente occorreva, d'ora in poi, ma il
funzionario amministrativo; di conseguenza il gruppo dei ‛vecchi
combattenti' perdette la posizione chiave detenuta fino allora, e
reagì con acre risentimento antiburocratico e, in parte,
antiborghese. Parimenti, dopo la presa del potere, il nerbo delle SA
si vide defraudato dei frutti della sua battaglia, tanto più
che, sotto la guida di H. Himmler e R. Heydrich, le rivali SS
monopolizzavano le funzioni di polizia politica. Lo scontento delle
SA, duramente colpite dalla persistente disoccupazione,
sfociò nell'oscura parola d'ordine della ‛seconda
rivoluzione', dietro la quale non c'era alcuna idea chiara. Una
qualche plausibilità politica avevano solo gli obiettivi di
Röhm: evitare la fusione delle SA con l'apparato statale e,
dopo la morte di Hindenburg, assumere il Ministero della Reichswehr,
per conferire alle SA una rilevanza militare determinante,
possibilmente sotto forma di una milizia popolare. Queste ambizioni
avverse alla Reichswehr offrirono agli esponenti delle SS - che,
come Göring, rivaleggiavano con Röhm - il destro per far
circolare, in perfetta malafede, le voci d'un imminente Putsch delle
SA; alla fine Hitler (il quale, dopo il discorso tenuto da von Papen
a Marburg, aveva fiutato il pericolo di mene sovversive dei
monarchico-conservatori) si convinse che le SA erano sul punto di
rendersi colpevoli d'alto tradimento. Le fucilazioni del gruppo
dirigente delle SA, effettuate dalle SS con l'attivo appoggio della
Reichswehr, e gli assassini immediatamente successivi di avversari
effettivi o potenziali del regime, avvennero in un clima di generale
isterismo, in cui soltanto le SS operarono razionalmente secondo i
propri interessi. Non si può parlare d'una programmata azione
epurativa, di cui avrebbe preso l'iniziativa lo stesso Hitler, ma
piuttosto d'un regolamento di vecchi conti all'interno del gruppo
dirigente nazista; ne furono vittime anche Gr. Strasser e K. von
Schleicher, senza che il comando della Reichswehr, allora affidato a
W. von Blomberg, elevasse la minima protesta; poco dopo, anzi,
allorché furono unificate le cariche di presidente e
cancelliere del Reich, il comando dispose che le truppe prestassero
giuramento di fedeltà al Führer Adolf Hitler, ripagando
così le azioni terroristiche che avevano assicurato alla
Reichswehr il monopolio del potere militare; il che doveva portare,
fra il 1938 e il 1939, all'‛allineamento' (Gleichschaltung) del
comando supremo. Il 20 giugno 1934 significò la fine di tutti
i piani fondati su Hindenburg, d'un rovesciamento della situazione
in senso monarchico-conservatore e collocò le SS al centro
del potere. Con la nomina di Himmler a capo della polizia tedesca
(solo formalmente soggetto al Ministero degli Interni del Reich),
nel 1935 era posta la prima pietra del futuro
Reichssicherheitshauptamt (Ufficio centrale per la sicurezza del
Reich, 1939) e si compiva il passo decisivo verso l'assoggettamento
di tutte le forze di polizia (Gestapo, Ordnungspolizei) al comando
delle SS.
4. Il sistema di dominio nazionalsocialista
a) La struttura del potere
Anziché porre l'accento sul monolitico Führerstaat
invocato dalla propaganda nazista, negli studi recenti si sottolinea
la struttura antagonistica del regime, il quale si rivela come un
intrico assai complicato e disorientante di istituzioni e gruppi di
potere in contrasto fra loro. Controverse sono le cause di queste
lotte di potere, che andarono acuendosi continuamente durante la
guerra, risolvendosi nella disgregazione dell'apparato statale
prenazista, senza però che questo fosse sostituito da nuove e
durature istituzioni. Il Bracher fa risalire l'anarchia
istituzionale del regime all'atteggiamento mentale fondamentale
socialdarwinistico di Hitler, il quale si sarebbe servito
coscientemente del principio del divide et impera onde assicurarsi
il ruolo di supremus arbiter. È indubbio che le
rivalità interne alle élites direttive non intaccarono
la posizione del dittatore. Già come capo del partito Hitler,
per consolidare il suo ruolo di Führer, aveva indirettamente
favorito lotte di potere ai livelli inferiori. Da tutto questo il
Bracher trae le seguenti conclusioni: ‟L'antagonismo delle funzioni
di potere viene superato unicamente nell'onnipotente posizione
chiave del Führer. Ma è proprio in tale posizione e non
nell'efficienza dello Stato di per sé, che risiede
l'obiettivo più riposto del tutt'altro che perfetto
‛allineamento'. La posizione chiave del dittatore, infatti, è
basata appunto sul complicato e torbido giustapporsi e contrapporsi
di gruppi di potere e vincoli personali". Indipendentemente dal
fatto che la tendenza al conflitto di competenze dipendesse dalla
costituzione psichica irrazionalistica di Hitler (R. Bollmus) ovvero
da un modello socialdarwinistico programmaticamente perseguito (E.
Jäckel), è certo comunque che la struttura antagonistica
del regime è in gran parte il risultato della trasposizione
del Führerprinzip, proprio della ‛fase di movimento', al piano
delle decisioni statali. Anche come statista, Hitler agì
secondo le massime del propagandista provetto: concentrare tutto su
un obiettivo individuato di volta in volta, evitare d'impegnarsi su
contenuti precisi, simulare incrollabile tenacia di propositi e
impiegare strategie parallele senza curarsi delle conseguenze
politiche. Coerentemente con tali principi, la prassi abituale
consisteva nel trascurare quei problemi politici che,
temporaneamente o stabilmente, non fossero al centro dell'interesse;
nel raggiungere l'obiettivo auspicato col sistema delle doppie
competenze, anziché operando un avvicendamento dei quadri
dirigenti, inopportuno per ragioni di facciata; e infine nel
preferire sistematicamente soluzioni ad hoc.
Il Führerprinzip sortì effetti assolutamente non riduci-
bili al solo irrigidimento del processo decisionale: L'indi-
scriminata vastità delle competenze e una direzione
disinvoltamente aburocratica, unite a una cronica sottovalutazione
del parere di esperti, condussero su tutti i piani al dominio
incontrollato di clientele personali e al diffondersi di corruzioni,
delazioni e intrighi, oltre che a un'estesa segmentazione
dell'organizzazione del partito. I tentativi, compiuti da M.
Bormann, di assoggettare l'apparato del partito al vice-Führer,
cioè alla Cancelleria del partito, riuscirono solo in parte,
soprattutto a causa della posizione dei Gauleiter, direttamente
responsabili verso il Fùhrer. A buon diritto il Gauleiter K.
Röver così criticava i metodi di comando, risalenti
all'epoca della lotta: ‟Il principio della libera crescita,
finché il più forte non si sia imposto, è
indubbiamente il segreto dello sviluppo e delle realizzazioni
assolutamente sbalorditivi del movimento". Quel principio sortiva
però anche altri risultati: un completo frazionamento delle
competenze, un totale autonomizzarsi delle istanze del partito e
quindi l'assoluta mancanza di direzione nella politica interna
tedesca. L'accanita lotta di potere fra i potentati del regime,
condotta di solito a spese della burocrazia ministeriale, fu
esasperata in misura determinante dalla mancanza di chiare direttive
del Führer. Circa il progressivo consolidamento delle varie
aree di potere è significativo che fossero spesso stipulate
private convenzioni fra singoli potentati al fine di delimitare le
competenze rispettive.
L'irrazionalità dei processi decisionali nel Terzo Reich era
dovuta inoltre alla mancanza di meccanismi integrativi. Il Reichstag
era ridotto all'acclamazione; formalmente le decisioni spettavano al
gabinetto, che però, dopo avere svolto un'attività
relativamente continuata nel 1933, si riunì sempre più
di rado e dal 1938 non fu più convocato; le sue riunioni
furono surrogate da colloqui interministeriali o da circolari e
altre forme di corrispondenza scritta. Anche prima, d'altronde, si
era dato il caso di decisioni sottratte al gabinetto, che veniva
quindi ridotto a sanzionare formalmente misure già adottate.
Cessò del tutto, inoltre, ogni contatto fra i dirigenti
dell'amministrazione e il cancelliere del Reich. Il coordinamento
era affidato al segretario di Stato e capo della Cancelleria del
Reich (H. Lammers) che assurse bensì al rango di ministro, ma
in definitiva riuscì solo eccezionalmente a far valere contro
le mene di Bormann il diritto - di decisiva importanza - a essere
ricevuto dal Fuhrer. In tutto ciò, durante la guerra, ebbe la
sua parte la separazione geografica del quartier generale del
Führer dalla sede del governo.
Nemmeno nel partito era garantita la composizione degli interessi
divergenti. La direzione nazionale della NSDAP esisteva solo di
nome; le conferenze dei Gauleiter avevano luogo sempre più
raramente, quelle dei governatori dei Reichsstatthalter Länder
finirono col non essere più convocate. Hitler rifiutò
la proposta di affiancargli un organo consultivo, si trattasse d'un
senato con compiti legislativi o d'un senato di nomina del
Führer. Le riunioni del gruppo dirigente durante i congressi
del partito erano irrilevanti ai fini della formazione d'una
volontà e d'un consenso all'interno del partito. Non
esisteva, quindi, nessuna valvola istituzionale che regolasse gli
attriti e i contrasti d'interesse nel partito, la cui composizione
era perciò inevitabilmente affidata a intrighi, a intese
stipulate su una base esclusivamente personalistica. La
funzionalità del sistema era condizionata dal fatto che il
Führer fissasse per lo meno le linee direttive della politica,
decidendo di autorità i conflitti di maggior portata.
Ciò avvenne sempre più di rado. Al contrario, Hitler
diede disposizioni perché si ponesse fine a qualsiasi
discussione, come ad esempio quella sulla controversa riforma del
Reich. Per di più, nessuno dei gruppi di potere in lizza
poteva esser sicuro che le competenze riconosciutegli non gli
fossero strappate da rivali di maggior successo. Si venne
così a creare un'atmosfera di diffidenza, che rafforzò
negli apparati rivali - nel partito e nello Stato - la
determinazione di assicurarsi il favore del dittatore con iniziative
unilaterali. I pogrom antiebraici del 9 novembre 1938, inscenati da
Goebbels e durissimamente criticati da Heydrich e Göring,
ebbero origine dallo sforzo di ridare, sia a Goebbels che al
partito, una posizione di primo piano.
b) Disgregazione dell'unità amministrativa
Con la creazione, a ogni piè sospinto, di autorità
commissariali con incarichi speciali ma competenze non chiarite, si
ebbe una guerra di tutti contro tutti: fu scomodato il Ministero
degli Interni del Reich perché prendesse sotto controllo la
situazione. Dopo l'insediamento dei commissari del Reich nei
Länder e dopo che la composizione delle diete e dei consigli
comunali era stata uniformata d'autorità ai risultati delle
elezioni per il Reichstag, il 7 aprile 1933 fu promulgata la legge
sui governatori del Reich (Reichsstatthaltergesetz), che, fatta
eccezione per la Prussia, sostituiva nei Länder i ‛governatori'
ai ‛commissari'. Il 1° gennaio 1934 segui il Neuaufbaugesetz
(legge di ristrutturazione), definita da Frick un'‟estensione della
legge sui pieni poteri": il governo del Reich era autorizzato a
emanare un nuovo ordinamento dello Stato; venivano aboliti i
parlamenti regionali; i governi regionali e i governatori venivano
posti alle dipendenze e sotto il controllo del Ministero degli
Interni del Reich.
Fallì invece l'intento di Frick di superare, attraverso
un'autorità nazionale intermedia e in vista di un ordinamento
centralizzato, il particolarismo regionale, ormai rappresentato dai
Gauleiter. Dell'auspicata riforma costituzionale non poterono
salvarsi che la Deutsche Gemeindeordnung (Testo unico
sull'ordinamento dei comuni tedeschi, 1935) e il Deutsches
Beamtengesetz (Legge sullo stato giuridico degli impiegati statali
tedeschi, 1937), oltre che l'estesa unificazione dei ministeri
prussiani con quelli del Reich.
Le tendenze disgregatrici furono potenziate coll'annessione
dell'Austria, dei Sudeti e del bacino della Warta: tutti territori
in cui il partito entrò in azione più prontamente del
Ministero degli Interni; e dal dominio effettivo dei Gauleiter
orientali e sudorientali, che in Alsazia-Lorena fungevano anche da
commissari civili, derivò la pretesa, a livello del Reich,
che l'‛autorità nazionale intermedia' (Reichsmittelinstanz)
fosse resa immediatamente soggetta al Führer. Nella lotta fra
autorità centrali da una parte e Gauleiter dall'altra fu
largamente erosa l'autonomia amministrativa comunale e regionale, ma
non per questo si evitò la disgregazione dell'unità
amministrativa (caratteristica dello Stato moderno) la quale tanto
più s'indeboliva quanto più andava decadendo la
legalità amministrativa. Le dimissioni di Frick, richieste
nel 1941 e per volere di Hitler differite al 1943, suggellarono la
sua sconfitta nella battaglia contro l'usurpazione di competenze da
parte dei Gauleiter dei territori annessi e contro gli alti gradi
delle SS e della polizia, che Himmler, nella sua qualità di
responsabile del Reichskommissariat für die Festigung deutschen
Volkstums (Commissario del Reich per il consolidamento del carattere
nazionale tedesco: RKFDV), aveva associati alle autorità
amministrative.
I continui trasferimenti di potere investirono tutti gli ambiti
amministrativi, a eccezione del Ministero delle Finanze che
però il più delle volte era messo di fronte al fatto
compiuto. Il Ministero dell'Economia del Reich dovette cedere
competenze essenziali a Göring quale plenipotenziario per il
piano quadriennale; a sua volta Göring entrò in
conflitto con Fr. Sauckel (a lui soggetto solo formalmente),
commissano del Reich per la mobilitazione del lavoro e con l'Ufficio
per l'economia di guerra, fino a che la sfera di competenze di
quest'ultimo non fu rilevata da A. Speer, asceso alla carica di
ministro degli Armamenti. La DAF, che aveva usurpato in larga misura
le competenze proprie del ministro del Lavoro del Reich, si vide
costretta a passare per Sauckel. Apparati di partito e burocrazia
ministeriale si trovarono in aspro conflitto con le SS, le quali
apparivano sacre e inviolabili nel capillare impero che si erano
costruito in tutti i settori pubblici; in realtà era
anch'esso gravido di contrasti ed era tenuto insieme, a malapena e
solo esteriormente, dalle aspirazioni aristocratiche dei fautori
della Grande Germania. Il tentativo di rinsaldare il sistema creando
il Reichsverteidigungsrat (Consiglio per la difesa del Reich) e,
dopo il 20 luglio 1944, delegando i pieni poteri a Goebbels,
incaricato dell'applicazione della guerra totale, fallì del
tutto. Particolarmente nei territori occupati si svilupparono
strutture dispotiche di dominio, che si sottraevano interamente al
controllo delle autorità centrali del Reich.
Gli sforzi compiuti dall'ufficio del vice-Führer per
monopolizzare, contro gli uffici di partito subordinati, il
controllo della pubblica amministrazione - in specie in materia di
politica del personale - ottennero, è vero, che le alte sfere
burocratiche, collegate coi vertici governativi per il solo tramite
di Lammers, segretario di Stato alla Cancelleria del Reich,
dovessero passare per quel tramite; ma ebbero scarso successo nei
confronti dei Gauleiter (specialmente dopo la loro nomina a
commissari per la difesa del Reich) e delle influenti
amministrazioni speciali (Piano Quadriennale, RKFDV, Organizzazione
Todt, lo Einsatzstab di Speer, Ufficio della forza lavoro di
Sauckel) e, infine, nei confronti delle SS che erano diventate uno
Stato nello Stato. Solo grazie alla sua duplice veste di capo della
Cancelleria del partito (dopo il volo di Hess in Inghilterra) e di
segretario del Führer, e ricorrendo anche alla prassi degli
‛ordini del Führer' senza la controfirma di Hitler, Bormann fu
in grado di assicurarsi, come ‛eminenza grigia', un'influenza non
certo universale, ma comunque determinante; tanto più che, al
pari di Goebbels, egli non pretese alcuna posizione di vertice
allorché nel quartier generale del Führer si scatenarono
alla fine quelle lotte per la successione che portarono alla
destituzione di Göring e all'esclusione di Himmler.
Nonostante la sua parte determinante nell'assegnazione dei posti di
Gauleiter vacanti, e nonostante la massiccia pressione esercitata in
materia di politica del personale sull'amministrazione e la sua
estesa influenza sulla legislazione, dalla Cancelleria del partito -
anch'essa internamente scissa - non promanò alcun efficace
stimolo alla ristrutturazione del sistema politico. Benché in
origine fosse il più deciso sostenitore del principio
dell'unione di cariche di partito e cariche statali nella stessa
persona, Bormann mirò a render più autonomo e a
ripoliticizzare il partito, nel quale fece ammettere alti ufficiali
di fede nazista, cercando cosi di procurargli appoggi nel corpo
ufficiali d'un esercito destinato, ‛dopo la vittoria', a essere
ridimensionato. Nemmeno il trasferimento a Himmler del Ministero
degli Interni, che cedette competenze essenziali al RSHA,
poté evitare il decomporsi del sistema in aree di comando
senza comunicazione fra loro.
c) Comunicazioni e processo decisionale
La repressione dei quadri burocratici dirigenti, la frantumazione
delle competenze e l'erosione degli organi di coordinamento
produssero una crescente insicurezza decisionale ai vertici, tanto
più che Hitler, a quelli ufficiali, preferiva canali
d'informazione ufficiosi; egli inoltre prendeva abitualmente le sue
decisioni sulla base di resoconti orali, senza conoscere la relativa
documentazione, e subiva facilmente le influenze incontrollate e
arbitrarie della sua cerchia abituale. L'apriorismo nell'esercizio
del comando si concretava in resoconti falsati e in una selezione
dell'informazione: il risultato era una crescente perdita di presa
sulla realtà. In politica interna, rapporti della provenienza
più disparata e intonati allo stato d'animo del momento
surrogavano il pubblico dibattito (ormai soffocato) come anche il
collegamento (difettoso) fra partito e popolazione; il risultato
finale di questo filtraggio selettivo era un'accresciuta ignoranza
dello stato reale delle cose (M. G. Steinert). Questa situazione si
estese alla sfera della politica estera (vedi, per es., la
dichiarazione di guerra agli Stati Uniti) e al comando militare -
dal 1941 in poi monopolizzato da Hitler - provocando innumerevoli
errori strategici.
Il dispregio - tipico del regime - nei confronti della competenza
tecnica in campo burocratico, diplomatico e militare è
rintracciabile a tutti i livelli e si risolse nello svilimento della
burocrazia, nella soppressione dell'indipendenza del potere
giudiziario, e nell'esclusione dei diplomatici di carriera in favore
di incaricati speciali e dilettanti politici quali J. von
Ribbentrop. Si produsse così, nella sfera dell'economia e
degli armamenti, una perdita di razionalità a cui si pose
rimedio troppo tardi con il ricorso a tecnici apolitici. I pubblici
poteri furono surrogati da uno scoperto sistema di cricche
spadroneggianti e rivaleggianti tra di loro, che si servivano
parassitariamente delle istituzioni vigenti minandone così la
consistenza per aumentare il proprio potere. Il processo decisionale
politico era quindi influenzato in misura determinante dalle
ambizioni personali e dalla corruzione dei detentori delle varie
cariche, e si svolgeva inoltre irrazionalmente, sotto forma di lotte
per il potere fra clientele che si muovevano fuori di ogni canale
istituzionale. Perno della giostra delle alterne costellazioni e
alleanze di potere era il dittatore, prigioniero a sua volta d'una
politica che, incapace di conciliare gli interessi divergenti per
mezzo di compromessi prammatici, poteva farlo solo entro l'orizzonte
di utopistiche mete finali, promuovendo così una sorta di
‟selezione negativa dei fattori ideologici" (M. Broszat). Là
dove erano in gioco massicci interessi sociali, si addiveniva di
solito a una situazione di stallo. E tanto più sfrenatamente
i gruppi di potere rivali cercavano di dimostrare la propria
indispensabilità allorché erano chiamati
all'oppressione di gruppi razziali o etnici, o quando l'espansione
militare faceva balenare la prospettiva di facili razzie.
Conseguentemente, slogan come quelli del Lebensraum (spazio vitale)
e del Rassenkampf (battaglia per la razza), che in origine servirono
a mascherare una politica espansionistica di potenza priva di mete
precise, o a placare risentimenti sociali, divennero priorità
politiche che, almeno in apparenza, consentivano di legare in un
fascio gli interessi antagonistici di parte. La persecuzione degli
Ebrei, che dalla discriminazione sistematica passò alla
deportazione forzata e al genocidio ne è un esempio: il
progetto di un'emigrazione sistematica naufragò sullo scoglio
della situazione valutaria; quello della deportazione nel
Madagascar, temporaneamente preso in seria considerazione dal
Ministero degli Esteri, fu scartato per ragioni di politica estera ;
quello delle deportazioni in massa nel Generalgouvernement
(governatorato generale) non superò le resistenze opposte da
H. Frank, che voleva il suo governatorato ‛libero da ebrei' ; ecco
quindi che, sebbene considerata sulle prime politicamente
irrealizzabile, la ‛soluzione finale' s'impose come la ‛soluzione
sicura'.
Casi di conflitti risolti aggirando le priorità effettive
sono rintracciabili in tutti i settori della politica nazista. Per
quanto concerneva gli obiettivi immediati, una simile prassi
facilitò una tattica che, dando l'illusione di una
razionalità nei tempi lunghi, consentiva astuzia e giravolte
improvvise, che si pagavano poi con crescenti contraddizioni nella
programmazione a medio termine e con enormi perdite dovute agli
attriti. Tutto questo facilitò la stabilizzazione esteriore
del sistema, nel senso che di fronte al confuso giustapporsi e
contrapporsi d'interventi e alla frammentaria informazione fornita
dai funzionari al servizio del regime, si mantenne intatta la
finzione d'una razionalità sovrastante l'insieme - la
lungimiranza del dittatore - mentre gli inconvenienti del malgoverno
erano accollati ai subordinati e non al sistema in quanto tale;
ciò spiega il lealismo che vastissime cerchie serbarono nei
confronti di Hitler sino alla fine della guerra. Oltre a ciò,
accadde che, di fronte alla frantumazione dei centri decisionali e
alla difficoltà di individuare le responsabilità, i
gruppi d'opposizione si trovarono privi di un punto d'avvio per
un'azione cospirativa efficace. D'altro canto il vuoto esistente fra
governo e popolo impedì alle consortene naziste dominanti di
liberarsi del loro stato di patologica dipendenza da Hitler. Gravate
d'una corruzione personale spinta all'estremo e d'inimmaginabili
delitti, esse non seppero opporsi (con l'eccezione della cerchia di
Speer) agli irrealistici ordini di resistenza a oltranza che il
dittatore, fisicamente e psichicamente finito, lanciava dal bunker
in cui s'era recluso.
5. Società e nazionalsocialismo
a) Politica sociale ed economica
A parte gli interventi distruttivi - lo scioglimento del movimento
sindacale operaio e l'abolizione dei diritti dei lavoratori sanciti
dalla Legge sull'ordinamento del lavoro nazionale promulgata ai
primi del 1934 - i programmi socio- politici del nazismo fallirono
su tutta la linea. Invece del promesso rafforzamento del ceto medio
e dei contadini, la politica di riarmo provocò una subitanea
urbanizzazione e un'elevatissima concentrazione in campo economico a
spese del ceto medio artigiano la cui posizione economica era stata
solo transitoriamente migliorata dalla politica di arianizzazione.
Lo slogan della ‛comunità di popolo' (Volksgemeinschaft) non
conduceva certo al livellamento delle sperequazioni sociali, ma
simulava l'eguaglianza sociale per mezzo d'una fittizia
parificazione dei ruoli sociali e d'un artificioso indebolimento
delle aspettative di avanzamento sociale. Il pathos della propaganda
sociopolitica del Terzo Reich, con quel suo trasfigurare la figura
del lavoratore in ideale sociale e quei suoi appelli all'aumento
della produttività, lanciati per mezzo di ‛battaglie per la
produzione' e ‛gare professionali' su scala nazionale nascondeva il
progressivo ridursi della quota di prodotto nazionale lordo
spettante ai salari come anche un nettissimo calo dei consumi,
dovuto alle restrizioni imposte alle importazioni e alle industrie
produttrici di beni di consumo. Certo, con la penuria di forza
lavoro sopravvenuta negli anni 1938-1939, il sistema del blocco dei
salari non poté essere mantenuto, ma è innegabile che
l'ascesa economica avvenne a spese dei lavoratori, privati dei
diritti sociali e, soprattutto durante la guerra, stimolati a
continui straordinari; l'esperienza della grande crisi li induceva
tuttavia a preferire la sicurezza del posto di lavoro agli aumenti
salariali, ma in cuor loro erano contrari al regime.
Nonostante che nella NSDAP perdurassero certi risentimenti
anticapitalistici, il regime proseguì coerentemente la
politica d'intesa con la grande industria, perseguita fin dal 1927.
Dal canto suo la grande industria si organizzò in sei
associazioni nazionali, di cui erano obbligatoriamente membri tutti
gli industriali tedeschi: scomparvero quindi tutte le confederazioni
preesistenti. Dopo la parentesi di K. Schmitt ministro dell'Economia
del Reich, che favorì unilateralmente gli interessi dei
chimici, H. Schacht tornò a un sistema economico dirigistico
che privilegiava i gruppi dell'industria pesante e che, mediante
un'artificiosa creazione di credito (Mefo-Wechsel), il controllo
dell'interscambio con l'estero, il contingentamento delle materie
prime e le restrizioni valutarie, fu messo al servizio del riarmo
forzato. La nomina di rappresentanti della grande industria a
dirigenti dell'economia di guerra, la direzione statale imposta alle
camere d'industria e di commercio e le commesse statali in costante
aumento permisero a Schacht di superare la disoccupazione di massa
con misure dirigistiche di vasta portata, e di accrescere
notevolmente la produzione industriale. La politica degli accordi
commerciali bilaterali con l'estero, che assoggettarono
all'influenza economica tedesca non solo il Sudamerica, ma anche e
soprattutto i paesi dell'Europa sudorientale (K.-J. Wendt),
riuscì a contenere la carenza di divise e le ripercussioni
che il ricorso deflatorio al credito poteva avere sugli scambi
coll'estero.
Mentre il ‛nuovo piano' di Schacht mirava alla ricostruzione
dell'economia tedesca e non intendeva troncare definitivamente i
collegamenti della Germania col mercato mondiale, si profilò
un ben diverso orientamento. Dapprima in accordo con l'Ufficio per
l'economia di guerra e per il riarmo, Göring, quale ispettore
generale per l'economia petrolifera, e poi quale commissario per la
materie prime e le divise, impose il programma di autarchia radicale
propugnato dall'IG-Farben e questo nonostante che a parere di
Schacht esso eccedesse le capacità dell'economia tedesca. In
qualità di delegato per il piano quadriennale, Göring -
soprattutto dopo le dimissioni date per protesta da Schacht (1937)
sottrasse competenze fondamentali al Ministero dell'Economia per
trasferirle alla burocrazia del piano quadriennale, legata a filo
doppio colla IG-Farben. Contro l'opposizione dell'industria pesante
egli creò gli Hermann-Göring-Werke (officine H. G.), che
contribuirono a creare un considerevole eccesso di capacità
produttiva nel settore siderurgico, e inserì in tal modo nel
sistema dell'economia programmata un settore centralizzato statale
in continua espansione che operava senza alcun riguardo per i
criteri di economicità. A onta di tutto questo, Göring
non raggiunse nemmeno lontanamente la meta prefissa di un'autarchia
da economia di guerra. L'estrema tensione prodottasi nel mercato del
lavoro, la penuria di materie prime determinata dalla carenza di
divise e l'eccesso di capacità produttiva provocarono nel
1938 una preoccupante crisi economica, che fu superata solo grazie
ai preparativi per la guerra imminente.
A causa delle programmazioni sbagliate, della sopravalutazione delle
risorse nazionali e inoltre del contenimento imposto in misura
insufficiente (per considerazioni di politica interna) all'industria
dei beni di consumo, l'economia tedesca degli armamenti era
nettamente inferiore a quella inglese già dal 1939. La
strategia tedesca ne risultò costretta al Blitzkrieg
(guerra-lampo); la prosecuzione della guerra fu condizionata, sul
piano economico, dal saccheggio dei territori occupati, dallo
sfruttamento delle riserve di materie prime confiscate come preda di
guerra, dai rifornimenti di carburanti e derrate alimentari
provenienti dall'Unione Sovietica. Dopo il fallimento del Blitzkrieg
nel 1941-1942, Speer, ministro per gli armamenti e le munizioni,
rimpiazzò la burocrazia del piano quadriennale, che tuttavia
continuò a sussistere. Malgrado i bombardamenti alleati, egli
riuscì ad aumentare fortemente la produzione di materiale
bellico, ma non a rimuovere la decisiva strozzatura costituita
dall'insicuro approvvigionamento di carburante. La distruzione degli
impianti per l'idrogenazione del carbone portò nel 1944 allo
sfacelo definitivo dell'armamento tedesco. L'aumento della
produzione di materiale bellico, basato sull'impiego monodirezionale
dell'economia, sull'esclusione dei canali burocratici nel processo
decisionale e direttivo, e sulla sistematica improvvisazione, fu
accompagnato dal metodico sfruttamento dei paesi occupati, dalle
prestazioni coatte di lavoratori stranieri e prigionieri di guerra,
e da una progressiva inflazione pubblica. In settori tecnologici
decisivi per le sorti della guerra - e cioè le ricerche
atomiche e l'estrazione dell'uranio, la costruzione di bombardieri
pesanti e lo sviluppo della tecnica missilistica - le risorse
tedesche erano fin da principio insufficienti rispetto a quelle
delle forze armate anglosassoni
Se riguardo all'élite direttiva nazista e al corpo degli
ufficiali, il regime provocò qualche limitato spostamento,
esso sortì nel complesso effetti di conservazione sociale, in
quanto non fu intaccata la tradizionale influenza economica e
burocratica esercitata dalle élites della grande borghesia e
dei grandi agrari. Se si vuol parlare d'una rivoluzione sociale
prodotta dal nazismo, ci si può riferire soltanto alle
conseguenze sociali della guerra (in particolare alle conseguenze
dell'esodo forzato dai territori orientali), e all'accelerazione del
declino a cui, nello sviluppo industriale, i ceti alto-borghesi
vanno incontro a favore del nuovo ceto medio. Nella sfera economica
la composizione del management rimase pressoché immutata,
anche se é pur vero che, contrariamente alle interpretazioni
marxiste-leniniste, l'economia poté salvaguardare una
relativa integrità solo riconoscendo il ‟primato della
politica" (T. W. Mason) e assoggettandosi al sistema del dirigismo
economico statale, a cui si accompagnava il rafforzamento che la
posizione aziendale dell'imprenditore capitalista riceveva dal
Führerprinzip. Se si prescinde da alcuni gruppi che, come la
IG-Farben e la Banca di Dresda, trassero un particolare profitto
dall'arianizzazione e dalla spoliazione dei territori occupati,
l'economia rimase passiva beneficiaria del sistema, e i tagli
operati nella politica salariale furono ampiamente bilanciati da
maggiori prelievi fiscali e dalla caduta del valore delle azioni.
Tanto consistenti furono i profitti che, sulle prime, l'industria
trasse dalla politica di guerra, quanto scarse furono le sue
possibilità d'acquisire un'influenza determinante sul
processo decisionale politico. Gli interessi industriali favorirono
la politica d'espansione imperialistica, ma non furono in grado di
pilotarla; la smisuratezza degli obiettivi imperialistici
finì così col distruggere in misura crescente anche le
basi della riproduzione capitalistica. Era il prezzo che industrie e
banche dovevano pagare per il mantenimento formale del sistema
economico capitalistico.
b) Politica culturale e religiosa
Il livellamento (Gleichschaltung) della vita culturale sotto il
minuzioso controllo del Ministero per la Propaganda del Reich, la
creazione della Reichskulturkammer (Camera di cultura del Reich) e
dei corrispondenti apparati direttivi, le campagne contro la
letteratura moderna e contro l'arte contemporanea qualificata come
‛degenerata', la promozione d'un neoclassicismo sentimentaloide e
monumentale nell'architettura e nelle arti plastiche, il ripudio
della musica moderna, gli ostacoli frapposti agli scambi culturali
coll'estero e l'emigrazione coatta di numerosi intellettuali,
artisti e letterati, produssero un impoverimento culturale di
proporzioni colossali. La vessazione delle università,
l'estromissione di docenti ebrei e democratici, lo spostamento di
accento a favore delle scienze naturali, della tecnica e dello sport
a scapito delle scienze umane, l'istituzione del numero chiuso
(soggetto a manipolazioni politiche), l'incoraggiamento dato a
pseudoscienze negli studi razziali, nel folclore e nella geografia
antropica, l'impastoiamento della fisica atomica bollata come
‛ebraica' paralizzarono il progresso della scienza e della ricerca.
L'ostilità nutrita dal regime per gli intellettuali
conseguì il risultato di una considerevole e progressiva
diminuzione numerica di professori e studenti universitari. Nel
contempo l'organizzazione scolastica veniva quasi completamente
trascurata, se si eccettuano le Nationalpolitische
Erziehungsanstalten e le Adolf-Hitler-Schulen (concepite come scuole
d'élite).
Raccogliendo le associazioni giovanili nel Deutsches Jungvolk e
nella Hitlerjugend sotto la guida di B. von Schirach e ostacolando
ampiamente l'assistenza sociale prestata alla gioventù da
organizzazioni religiose, il regime cercò d'indottrinare
ideologicamente la giovane generazione e di darle un addestramento
premilitare; il Reichsarbeitsdienst (servizio di lavoro
obbligatorio), diretto da K. Hierl, contribuì a un ulteriore
allineamento ideologico, anche dopo che fu venuta meno la ragione
per cui lo si era fondato, cioè la necessità di un
intervento statale in materia di mobilitazione della forza lavoro.
Per quanto Hitler facesse del tutto per evitare un conflitto aperto
con le chiese, gli ostacoli frapposti in misura crescente al
movimento giovanile cattolico provocarono tensioni sempre più
acute. Ma poiché l'episcopato, dopo la stipulazione di un
concordato insolitamente accondiscendente, esitava a mettersi
apertamente contro il regime e poiché il cardinale Segretario
di Stato Pacelli (poi papa Pio XII) guardava di buon occhio la
funzione antibolscevica del Terzo Reich, nonostante l'enciclica Mit
brennender Sorge (1937), le tensioni non esplosero mai in rottura
formale. Sfruttando le aspirazioni a una chiesa nazionale coltivate
dai Deutsche Christen (Cristiani tedeschi), Hilter cercò di
creare una chiesa protestante del Reich fedele al regime; ma il suo
tentativo fallì per la resistenza della Bekennende Kirche
(Chiesa confessante) guidata dal pastore M. Niemöller. La
protesta di eminenti ecclesiastici luterani costrinse il regime a
sospendere il programma di eutanasia già avviato, programma
poi ripreso, in rigoroso segreto e solo parzialmente, durante la
guerra. Nondimeno i rapporti fra il regime e le chiese, che
evitarono assolutamente di proferir verbo sulla persecuzione degli
Ebrei e dei testimoni di Geova, furono caratterizzati da uno stato
di sospensione, giacché Hitler, in questo contro la tendenza
di Bormann, vietò azioni direttamente antiecclesiastiche
prima che avesse fine la guerra; il che non comportava però
l'interruzione delle agitazioni anticristiane, condotte soprattutto
dalle SS. A onta delle continue diffamazioni e vessazioni
poliziesche, la maggioranza degli ecclesiastici delle due
confessioni (di orientamento nazional-conservatore) tenne un
comportamento esteriormente leale nei confronti del regime; solo
singoli elementi presero parte attiva al movimento di resistenza del
20 luglio 1944. In politica estera l'atteggiamento conciliante del
Vaticano fu di valido sostegno al regime, soprattutto nella fase di
conquista del potere.
c) Politica ebraica
L'estromissione degli Ebrei dalla vita pubblica e, dopo le
dimissioni di Schacht, anche dalle attività economiche, fu
perseguita dapprima con azioni ‛selvagge' e poi sistematicamente per
via legislativa, con l'intento di segregare completamente la
minoranza ebraica dalla maggioranza della popolazione tedesca. Un
tale risultato fu facilitato dal fatto che, grazie all'intervento
della burocrazia ministeriale, dall'applicazione delle leggi di
Norimberga (settembre 1935) rimasero esclusi i mezzo-Ebrei e gli
Ebrei che avevano contratto matrimoni misti, altrimenti sarebbe
inspiegabile la mancanza di partecipazione della stragrande
maggioranza della popolazione al destino dei propri concittadini
ebrei. La fusione forzata di tutti gli enti associativi ebraici
consentì alla Jüdische Auswanderungszentrale (Centrale
per l'emigrazione ebraica) creata da K. A. Eichmann e al
Reichssicherheitshauptamt il pieno controllo di quella parte della
popolazione ebraica che restava in Germania. Malgrado il lavoro
d'assistenza svolto dallo Zentralverband der Juden in Deutschland
(Unione Centrale degli Ebrei in Germania), gli Ebrei rimasti in
patria caddero in uno stato di disagio sociale estremo, dal quale il
regime si attendeva la loro degradazione a deliquenti. La guerra
tolse le ultime remore derivanti da ragioni di politica estera; la
creazione di ghetti, le deportazioni, l'espansione del sistema dei
campi di concentramento, le Einsatzgruppen (gruppi d'azione) e il
blocco della migrazione, spianarono la via verso la ‛soluzione
finale' - portata avanti con la più rigorosa segretezza da
Himmler, d'accordo con Göring e con l'appoggio senza riserve di
Hitler - della quale furono vittime per lo meno cinque milioni e
mezzo di Ebrei europei. Il compito di organizzare questa barbarie,
che Himmler trasfigurava con ragioni pseudomorali, fu assolto con
impeccabile perfezione tecnica dalle Einsatzgruppen e dai
Totenkopfverbände (reparti ‛testa di morto') delle SS, spesso
con l'acquiescenza della Werhmacht, che non si oppose al
Kommissarbefehl (ordine riguardante i commissari politici
sovietici), contrario al diritto internazionale, accettando
l'illegale fucilazione o soppressione di prigionieri di guerra
russi; lo sterminio di Ebrei e di Slavi, ai cadaveri dei quali si
arrivò perfino a strappare le protesi dentarie in oro per
assicurarle al ‛patrimonio nazionale', è senza confronto
nella storia.
6. Politica estera nazista
a) Continuità o rottura
Fino a che punto la politica estera nazista sia stata la
prosecuzione di tendenze imperialistiche dell'anteguerra e degli
obiettivi nazionalistici degli anni venti (sia pure con espedienti
tattici diversi: patto di non aggressione tedesco-polacco, accordo
navale con l'Inghilterra, rinuncia al Sudtirolo), è un
problema vivacemente dibattuto. Alla tesi d'una predominante
continuità (K. Hildebrandt) si contrappone l'assunto di
quanti sostengono che la politica estera di Hitler comporterebbe una
rottura qualitativa con tutti i ‟criteri tradizionali" (F. Dickmann)
e, sia per le finalità sia per i metodi propri, presenterebbe
un carattere rivoluzionario (H.A. Jacobsen). Strettamente collegato
al precedente è l'interrogativo se Hitler avesse fin
dall'inizio un programma rigoroso e in sé coerente di
politica estera (E. Jäckel). A quanti rispondono
affermativamente, basandosi sulle iniziali prese di posizione in
politica estera contenute in Mein Kampf e nello Zweites Buch, va
ricordato il fattore d'incertezza che nei calcoli di Hitler
rappresentò sempre l'Inghilterra, e va ribadito che gli
obiettivi d'espansionismo globale non si possono affatto considerare
come la realizzazione d'un programma che, ‟con una formidabile
autominimizzazione" (H.-A. Jacobsen), Hitler avrebbe mimetizzato con
l'obiettivo della revisione di Versailles durante tutta la fase
d'aggressione dissimulata, cioè fino al 1937. In
realtà il regime perseguì in politica estera
più linee simultaneamente: quella tradizionale nazionalistica
della revisione di Versailles; quella imperialistica prebellica di
un'equiparazione all'Inghilterra tramite la fondazione d'un
circoscritto impero coloniale; e l'espansione verso oriente,
caldeggiata dal movimento pangermanista. Rispetto all'imperialismo
classico emergono evidenti divergenze: la preferenza pel dominio
continentale rispetto al dominio mondiale sui mari - che Hitler, in
verità, non escludeva, ma lasciava semplicemente da parte,
nello stesso modo tipico in cui Goebbels evitava l'uso
propagandistico dell'espressione Grossdeutsches Weltreich (Reich
universale della Grande Germania) e la peculiare motivazione in
termini razziali della politica d'espansione verso oriente. La
formula di ‟espansione senza oggetto" di J. Schumpeter coglie in
modo calzante la natura dei piani di conquista nazisti, nei quali si
evitava di fissare alcunché in termini definitivi. Nè
occorreva circondare del minimo segreto gli intenti di un gruppo
dirigente così stupefacentemente senza reticenze come quello
nazista: le palesi divergenze circa i vari obiettivi di volta in
volta perseguiti assolvevano la loro funzione ingannatrice assai
meglio di qualsiasi disciplina o astuzia verbale. La concezione di
un'espansione continentale, pervasa dall'idea del Lebensraum,
corrispondeva alle caratteristiche preindustriali dei programmi
nazisti. Tale concezione non fu ponderata sufficientemente nemmeno
in fatto di politica agraria e, durante la seconda guerra mondiale,
non si diede attuazione neppure approssimativamente al programma di
insediamenti di colonie agricole; per tacere poi dell'illusione,
coltivata da Himmler prescindendo completamente dai condizionamenti
industriali, di creare una rete di villaggi-presidi
(Werhdörfer) tedeschi nell'area russa. Quanto poco un tale
programma fosse aderente alle realtà politiche, risulta dal
fatto ch'esso poggiava sulla speranza, nutrita specialmente da
Ribbentrop, di un'alleanza con l'Inghilterra: un'alleanza da
infrangere non appena conquistata la base continentale, con la
conseguente revoca della rinuncia alla condizione di potenza
marittima. Mentre si abbozzavano piani così grandiosi che nel
1941, dopo la dichiarazione di guerra agli Stati Uniti e in analogia
con le concezioni giapponesi del ‛grande spazio', dovevano essere
arricchiti del sogno d'una futura Germania potenza atlantica
mondiale sostenuta da estesi possedimenti coloniali, la politica
estera tedesca operava in pratica in base alla concreta situazione
europea. Regolamento dei rapporti con Polonia e Inghilterra, voluto,
più che per preparare una guerra contro l'Unione Sovietica,
per ‛coprire' la vulnerabilità del riarmo tedesco; uscita
dalla Società delle Nazioni, dapprima senza idee precise, ma
poi, già nel 1935-1936, seguendo una linea concreta intesa a
tirarne fuori anche l'Italia fascista, sulle prime tutt'altro che
ben disposta verso la Germania; accantonamento del progetto, fallito
nel 1933-1934, di un'annessione forzata dell'Austria: queste furono
le tappe della prima fase revisionistica (tatticamente antitetica
alla tradizione tedesco-nazionale), la quale si concluse con
l'istituzione della coscrizione obbligatoria, la rimilitarizzazione
della Renania e il ritorno della Saar alla Germania. Con il piano
quadriennale e il patto anti Komintern (a cui l'Italia aderì
solo nel 1937 e che, prevedendo un semplice impegno di
neutralità in caso di conflitto coll'URSS, aveva una mera
importanza propagandistica) e poi con l'intervento nella guerra
civile spagnola (neanch'esso, al pari del patto anti Komintern,
frutto della politica perseguita dal Ministero degli Esteri),
s'imboccava consapevolmente la via dei preparativi bellici;
tuttavia, ancora nel 1937 (si veda il verbale Hossbach) la guerra
era prevista per un'epoca non anteriore al 1943-1946, a meno che un
conflitto anglo-italiano o una crisi interna francese non
consigliassero un intervento anticipato.
Coll'indebolirsi della Piccola Intesa la questione cecoslovacca
veniva a trovarsi all'ordine del giorno dei problemi europei: di qui
la speranza di Hitler, se si offriva l'occasione, di poter
intervenire prima ancora di quanto avesse previsto. La crisi interna
della Repubblica Cecoslovacca, acuita dalla Sudetendeutsche
Freiheitsbewegung (Movimento per la libertà dei Tedeschi dei
Sudeti) di K. Henlein, incoraggiava a pressioni più drastiche
su Praga, tanto più che la politica estera di N. Chamberlain
era improntata ad accondiscendenza verso la Germania e il riserbo
inglese faceva apparire privo di rischi il Blitzkrieg preparato sin
dalla fine del 1937. Il voltafaccia di Mussolini nella questione
austriaca, inatteso per Hitler, indusse a modificare la successione
degli interventi e consentì, dopo pesantissime pressioni
diplomatiche su K. von Schuschnigg l'annessione (Anschluss) della
Repubblica Austriaca. L'atteggiamento passivo delle potenze
occidentali confermò Hitler nella decisione di risolvere
militarmente la questione cecoslovacca; sennonché la
volontà di Mussolini di giungere a un accomodamento e la
politica inglese di appeasement nella Conferenza di Monaco
dell'autunno 1938 (oltremodo accondiscendente verso le pretese
tedesche) vennero a intralciare per il momento il già
progettato smembramento manu militari della Repubblica Cecoslovacca.
Questa, malgrado l'alleanza con la Francia e l'appoggio diplomatico
dell'URSS, fu costretta alla cessione dei Sudeti e praticamente
consegnata alla sfera d'influenza tedesca; e ciò avveniva
ancor prima che, istituendo nel marzo 1939 il protettorato di Boemia
e Moravia e lo Stato satellite slovacco, Hitler disattendesse le
garanzie tuttavia vigenti: atto con il quale veniva a cadere nella
sua politica estera la limitazione consistente nel rispettare
l'integrità degli Stati nazionali. Confermato da Ribbentrop
nell'illusione che la Gran Bretagna avrebbe alla fine indietreggiato
di fronte alla guerra, e dopo che, con una svolta tattica
sorprendente, gli era riuscito di sventare, per mezzo del patto di
non aggressione russo-tedesco (agosto 1939), le trattative alleate
con la Russia (che fallirono soprattutto per la questione degli
Stati baltici), Hitler decise il Blitzkrieg contro la Polonia.
L'apertura dell'Europa sud-orientale agli interessi sovietici, la
cessione della Polonia orientale all'URSS costituirono un pagamento
anticipato in cui era implicito il presupposto di una successiva
revisione.
Il vittorioso Blitzkrieg contro la Polonia, contro i paesi del
Benelux (di cui si violava la neutralità) e contro la
Francia, e, in più, la campagna di Norvegia ingannarono
Hitler sulla forza di resistenza dei suoi avversari, sebbene, ancor
prima dell'entrata in guerra degli Stati Uniti, l'Inghilterra
disponesse in misura pressoché illimitata degli aiuti
americani sia economici che militari. Il tentativo di acquisire nel
governo di Vichy un alleato contro l'Inghilterra (che, per bocca del
nuovo premier Churchill, rifiutò la sedicente ‛generosa
offerta di pace' di Hitler) fallì, così come fallirono
i sondaggi intesi a coinvolgere Franco nell'alleanza dell'Asse,
mentre l'Italia, non appena entrata in guerra nel 1940, già
si rivelava più che altro un fattore di aggravio militare ed
economico. Coinvolto a forza da Mussolini nelle campagne di
Iugoslavia e di Grecia (strategicamente discutibili e
dispendiosissime in perdite), e quindi costretto ad analogo
intervento nell'Africa del Nord, il regime disperse le sue forze
militari, e ciò dopo ch'era già fallita, per
l'inferiorità della Luftwaffe e della marina, l'operazione
Seelöwe (Leone marino), cioè il tentativo di sbarco in
Inghilterra. Parimenti, la guerra sottomarina non rappresentò
in nessun momento, neppure quando fu messo da parte ogni riguardo
diplomatico, una seria minaccia per il potenziale delle forze
anglosassoni. Per le forze dell'Asse, la guerra era già
perduta strategicamente con la battaglia d'Inghilterra; la svolta fu
segnata dall'operazione Barbarossa, cioè l'attacco a sorpresa
scatenato contro l'URSS il 22 giugno 1941. Infatti, nonostante gli
strepitosi successi iniziali, l'insuccesso alle porte di Mosca (fine
del 1941) significò il fallimento del Blitzkrieg che,
malgrado il sistematico sfruttamento dei territori occupati,
rappresentava per l'economia di guerra tedesca (per la
disponibilità di materie prime e la capacità
produttiva) l'unica risorsa possibile. Nondimeno nuove e gigantesche
conquiste territoriali, spinte fino al Caucaso, dissimularono la
sconfitta strategica, finché nel 1943 la battaglia di
Stalingrado non segnò agli occhi di tutti una svolta decisiva
nella campagna di Russia. Gli sbarchi alleati, prima nell'Africa
settentrionale, poi in Sicilia e nell'Italia meridionale, il crollo
del regime fascista in Italia e infine lo sbarco, decisivo per le
sorti della guerra, in Normandia (1944) incalzarono il Reich,
costringendolo su tutti i fronti a una disastrosa guerra difensiva,
tanto più che gli Stati Uniti attribuivano maggiore
importanza militare all'Europa rispetto all'Asia.
L'eccessiva incessante tensione a cui furono sottoposte le forze
economiche e militari tedesche, l'esasperazione degli obiettivi
espansionistici, l'incapacità di raggiungere un'intesa
politicamente solida coi paesi assoggettati, la smoderata e
criminale politica di oppressione svolta nell'Oriente europeo, che
alienò ai Tedeschi le iniziali simpatie antisovietiche dei
popoli slavi, l'intrusione negli affari interni anche di Stati
alleati: tutto questo cospirò a far perdere la guerra sul
piano diplomatico, ancor prima che si profilasse inevitabile la
disfatta militare. La Carta atlantica e la richiesta di resa
incondizionata furono le pietre miliari d'una guerra condotta non
contro le potenze mondiali, ma contro il mondo intero; una guerra
cui non poteva metter fine il sistema nazista stesso - incapace
com'era di ogni autolimitazione - anche se non mancarono sondaggi
per una pace separata con Stalin e illusioni analoghe nei confronti
degli Alleati. La capitolazione dell'8 maggio 1945 non solo lasciava
all'Europa centrale un'eredità di ruderi e macerie, ma
sanciva altresì la distruzione d'ogni capacità
d'azione politica da parte di un Reich, territorialmente
assottigliato. Sotto la pressione delle necessità militari,
l'atavica politica hitleriana, politica dello spazio vitale, ne
aveva partorita un'altra, quella imperialistica del ‛grande spazio'
(Grossraumpolitik), che le SS si sforzavano di realizzare sognando
il Grossgermanisches Reich (Impero della Grande Germania), governato
da una élite di ‛dominatori' (Herren) superiori per razza, e
liquidando così il progetto di un'egemonia nazionale. Ma
erano chimere, come lo erano le fantasie d'uno Stato mondiale
nazista, da costituirsi dopo il vittorioso confronto finale con gli
Stati Uniti, votati allo sfacelo razziale e al decadimento della
civiltà. Di tutto questo non restava che miseria, dolore, la
morte di 35-45 milioni di uomini, e in più un risultato
finale diametralmente opposto a quello al quale, in tutte le sue
varianti, aveva mirato la politica estera nazista.
b) Il crollo del Terzo Reich
Furono totalmente privi di reale importanza politica gli avvenimenti
che si susseguirono nelle ultime settimane di vita del regime: le
lotte per la successione; la destituzione di Himmler e Göring;
il passaggio della presidenza del Reich al grandammiraglio
Dönitz (uomo fedele al regime, ma di scarso rilievo politico) e
del cancellierato a Goebbels che si sottrasse col suicidio
all'insensatezza della situazione, mentre Dònitz aveva
formato un governo, numericamente ridotto quanto effimero, nello
Schleswig-Holstein. Questi eventi rispecchiano però lo stadio
di disgregazione interna a cui era giunto lo Stato nazista, che era
crollato col tramonto di Hitler, anche se più tardi si
è voluto far valere una continuità giuridica fra i due
Stati tedeschi e il Terzo Reich. Il fallimento dell'attentato e del
rovesciamento che si tentò di compiere il 20 luglio 1944
consentì la dissennata prosecuzione d'una guerra che proprio
negli ultimi mesi fu causa di perdite immani. La politica della
‛terra bruciata', di cui Hitler ordinò l'estensione anche in
Germania e che Speer riuscì a sventare, il testamento di
Hitler, con la sua condanna della nazione tedesca giudicata indegna
di sopravvivere e l'obbligo imposto ai sopravvissuti di proseguire
l'annientamento degli Ebrei: tutto questo illumina la intrinseca
nequizia d'un regime banditesco che, oltre ad avere sconquassato le
strutture sociali e politiche preesistenti, non aveva prodotto altro
che corruzione, mediocrità piccolo-borghese e crimini
immensi, eroicizzati da una morale menzognera. Occorsero i processi
di Norimberga contro i criminali di guerra per svelare al popolo
tedesco nelle loro vere proporzioni lo sterminio degli Ebrei e il
terrore instaurato nei paesi europei occupati, come anche, a un
tempo, l'obiettivà insufficienza politica e morale delle
élites dirigenti naziste e le fatali conseguenze del culto
plebiscitario di Hitler. Date le condizioni descritte all'inizio,
occorreva un certo distanziamento nel tempo per individuare, dietro
le manipolazioni totalitarie e la predisposizione tedesca allo Stato
autoritario, le cause dell'ascesa del nazismo e del suo affermarsi
al potere. Ma già nel 1945, comunque, era sbarrato il passo a
ogni nuova leggenda di pugnalate alle spalle e, commisurato al
numero degli incondizionati sostenitori di Hitler nei primi anni del
regime, fu ridottissimo il gruppo degli eterni nostalgici e dei
neofascisti. Il Terzo Reich si era privato da se stesso della
possibilità d'un sia pur relativo rispetto da parte degli
storici, ben lungi come era stato dal possedere la capacità
sociorivoluzionaria (se si trascurano le negazioni velleitarie) di
eliminare le storiche passività del parlamentarismo
democratico e le sperequazioni sociali che ne sono alla base;
d'altro canto la catastrofe tedesca ed europea provocata dal nazismo
ha stimolato il formarsi di un certo consenso politico di fondo che
ha consentito la ricostruzione di una stabile collettività
democratica nella Repubblica Federale.
Enciclopedia delle Scienze Sociali (1996)
di Hans-Ulrich Thamer
Sommario: 1. Introduzione. 2. Teorie sul fascismo e sul
nazionalsocialismo. 3. Presupposti storici e inizi della NSDAP. 4.
Il movimento di massa nazionalsocialista nella crisi politica ed
economica del 1929-1933. 5. La presa del potere. 6. L'instaurazione
della dittatura. 7. Il Führerstaat. 8. Verso la guerra: la
politica estera nazionalsocialista. □ Bibliografia.
1. Introduzione
Il nazionalsocialismo come fenomeno storico ha una duplice
dimensione: specificamente tedesca da un lato, europea dall'altro.
L'ascesa del movimento nazionalsocialista e il suo dominio furono
una conseguenza delle tensioni politiche e sociali dello Stato
nazionale tedesco 'ritardatario', ulteriormente acuite dagli
sconvolgimenti politici e sociali provocati dalla prima guerra
mondiale e dalla sconfitta militare del Reich nel 1918, che pesarono
sulla Repubblica di Weimar sin dalla sua costituzione. La crisi
politica ed economica degli anni 1930-1933 sfociò nel crollo
della democrazia parlamentare e nell'affermazione del
nazionalsocialismo come movimento di massa. Ma la crisi della
democrazia liberale e l'ascesa della Nationalsozialistische Deutsche
Arbeiterpartei (NSDAP) ebbero anche una dimensione europea. Gli
sconvolgimenti provocati dalla 'catastrofe del secolo', la prima
guerra mondiale, e le nuove sfide poste dalla Rivoluzione bolscevica
costituiscono lo sfondo comune allo sviluppo del nazionalsocialismo
tedesco e dei movimenti fascisti in Italia e in altri paesi europei.
La NSDAP rappresentò la variante più radicale
nell'ampia gamma dei fascismi europei, e al pari di gruppi analoghi
nel resto d'Europa prese a modello sin nello stile e nelle forme
d'azione politica il fascismo italiano, al potere già dal
1922. Allorché il nazionalsocialismo prese il potere, il
movimento e lo Stato di Hitler divennero non solo il nuovo punto di
riferimento dei movimenti e dei regimi fascisti, ma anche il fulcro
della contrapposizione epocale tra forme di governo democratiche e
dittatoriali, che avrebbe improntato la politica del nostro secolo.
Oltre a essere divenuti paradigmatici del contrasto tra democrazia e
dittatura, il fallimento della prima democrazia tedesca e la
costituzione del 'Terzo Reich' hanno pesato sino ai nostri giorni
sulla memoria collettiva del popolo tedesco, e hanno segnato la
cultura politica della Germania del dopoguerra. Le due Germanie
hanno cercato entrambe, seppure con modalità molto diverse,
di definire la propria identità politica attraverso una presa
di distanza normativa dalla dittatura nazista e una contemporanea
identificazione con tradizioni meno compromesse.Non sono solo queste
connotazioni politico-ideologiche che caratterizzano il modo in cui
l'epoca nazista viene recepita sia dagli studiosi che dall'opinione
pubblica, e che spiegano la veemenza di certe controversie
interpretative. Le dimensioni peculiari e mostruose della politica
di conquista e di annientamento del Terzo Reich fanno sì che
il giudizio storico sui dodici anni della dittatura hitleriana
assuma anche una connotazione morale che pone dei limiti specifici a
ogni tentativo di differenziazione analitica e di storicizzazione.
Così l'aspetto morale si impone con particolare forza quando,
dalla prospettiva di una storia sociale del comportamento politico,
sfuma la linea di discrimine apparentemente così netta tra
responsabili e vittime, quando gran parte di ciò che accadeva
nella vita quotidiana del Terzo Reich appare del tutto normale nel
contesto dei contemporanei sviluppi sociali in altri Stati europei.
Poiché, per quanto riguarda il sistema totalitario del Terzo
Reich, anche i comportamenti sociali quotidiani potevano o dovevano
essere in sintonia con l'ideologia politica del regime, improntata
al disprezzo per l'uomo, che godette di un ampio consenso. Il
nazionalsocialismo e il suo sistema di dominio pertanto non sono
stati e non sono un "normale oggetto di investigazione storica"
(Broszat), per quanto le problematiche e i metodi dell'indagine
storica sull'epoca nazista non differiscano ormai molto da quelli
della ricerca su altri periodi storici. La peculiarità del
fenomeno e il fascino negativo che da esso promana sono attestati
dal posto di rilievo che le indagini sul Terzo Reich, sui suoi
presupposti, sulle sue strutture e sulle sue conseguenze continuano
a occupare nella letteratura storiografica, nonché dal
particolare interesse che le conclusioni di tali indagini e le
controversie cui danno luogo continuano a suscitare nell'opinione
pubblica. L'interesse per il nazismo si è intensificato al
crescere della distanza temporale che ci separa da esso; nessuna
epoca della storia tedesca è stata indagata tanto a fondo
quanto il periodo nazista.
L'ampliamento delle tematiche e l'affinamento dei metodi e degli
esiti della ricerca storiografica hanno dato luogo a un'immagine del
Terzo Reich sempre più complessa, e hanno messo in luce
l'ambiguità del suo sistema di dominio. Ciò ha offerto
la possibilità di un duplice approccio, che consente "una
spiegazione analitica obiettiva e distaccata, ma nello stesso tempo
l'immedesimazione e una comprensione soggettiva di azioni, debolezze
ed errori del passato" (Broszat). Questo tentativo di contemperare
comprensione e condanna ai fini di una storicizzazione del nazismo
non porta affatto a minimizzarne gli aspetti negativi, ma ci fa
piuttosto constatare con sgomento come in un sistema totalitario la
modernità e la normalità apparenti possano coesistere
e intrecciarsi con la barbarie e con una politica ideologica
distruttiva.
2. Teorie sul fascismo e sul nazionalsocialismo
I primi tentativi di fornire un'interpretazione storico-politica del
nazismo e del fascismo sono contemporanei allo sviluppo di questi
ultimi. A cinquant'anni di distanza dalla caduta della dittatura
nazista non si è ancora giunti a una interpretazione concorde
delle cause, della struttura e delle funzioni del movimento
nazionalsocialista e del suo sistema di dominio. Ciò vale per
la questione se il nazismo rientri nella categoria generale del
fascismo quale fenomeno storico specifico di una determinata epoca,
oppure se esso sia espressione di un sistema di dominio totalitario;
e vale anche per la questione se l'ascesa e il dominio del nazismo
siano stati principalmente la conseguenza di interessi e crisi di
tipo socioeconomico, oppure il frutto di una crisi di legittimazione
politica e di processi di mobilitazione autonomi.
Le principali teorie e controversie della ricerca storiografica
contemporanea si ricollegano per molti versi alle riflessioni degli
anni trenta e quaranta sulla struttura e le funzioni del nazismo,
sebbene nel frattempo si sia sviluppata un'intensa tradizione di
ricerca condotta su basi empiriche più ampie che ha portato a
un costante approfondimento e a una maggiore differenziazione del
giudizio storico, e ha contribuito al riaccendersi del dibattito sul
fascismo - presto peraltro degenerato - negli anni sessanta e
settanta. Nello stesso tempo non poche teorie sociologiche, in
particolare la teoria della modernizzazione, hanno dato un impulso
decisivo allo sviluppo di una storia sociale del nazismo.
Sin dalla nascita del fascismo in Italia e ancor di più a
partire dalla presa del potere dei nazionalsocialisti in Germania,
le diverse posizioni politiche all'interno di uno schieramento
antifascista alquanto eterogeneo, che comprendeva socialisti,
comunisti e liberali, hanno dato luogo a una gamma di teorie e di
interpretazioni altrettanto diversificate. In base alla tipologia
proposta da Ernst Nolte tali interpretazioni si distinguono sul
piano metodologico per il fatto che interpretano il fascismo ovvero
il nazismo come un fenomeno di tipo o autonomo o eteronomo, ossia
derivato da altri fenomeni storici; nel primo caso il fascismo viene
considerato un fenomeno specificamente nazionale, mentre nel secondo
caso è assimilato a un movimento politico generale, comune a
tutta l'Europa. Laddove l'interpretazione comunista, in un crescente
irrigidimento ortodosso, ha visto nel fascismo un mero episodio di
transizione antecedente il crollo imminente della società
capitalista e nello Stato fascista unicamente l'organo esecutivo del
cosiddetto capitalismo monopolistico, il dibattito sul fascismo di
orientamento socialista si è distinto per una
differenziazione analitica assai più articolata e quindi per
una maggiore aderenza alla realtà. Le principali questioni
sulle quali si è incentrato tale dibattito concernevano le
particolari condizioni che avevano reso possibile il fallimento
della democrazia liberale e l'ascesa al potere dei partiti fascisti,
le cui prospettive di successo nell'Europa scossa dalle crisi del
primo dopoguerra erano peraltro molto diverse da paese a paese.
Laddove Franz Borkenau vedeva nel fascismo italiano una dittatura
dello sviluppo economico "al fine di creare il capitalismo
industriale", e di conseguenza ancora nel 1932 escludeva la
possibilità di un successo del fascismo in Germania, August
Thalheimer e Otto Bauer ritenevano invece che il fascismo avrebbe
avuto possibilità di affermarsi solo nelle società
avanzate in cui si era creato un equilibrio di forze tra la classe
borghese e la classe operaia, con la conseguente, progressiva
paralisi del sistema di dominio borghese, che renderebbe possibile
l'ascesa al potere dei movimenti fascisti. Thalheimer inoltre,
richiamandosi alla categoria marxiana del bonapartismo, individuava
nell'autonomizzazione dell'esecutivo politico una delle
caratteristiche essenziali della dittatura fascista come risultato
dell'equilibrio di forze tra le classi. In un'ottica completamente
diversa Ernst Bloch, nel 1935, aveva cercato di spiegare il fascismo
come risultato delle "irregolarità dello sviluppo
capitalistico", ricollegando di conseguenza il suo successo in
Germania al notevole ritardo storico con cui tale sviluppo si era
verificato in questo paese.
Le interpretazioni liberaldemocratiche del fascismo si basavano su
due premesse: in primo luogo, l'idea di un'affinità di fondo
tra i due estremi politici del fascismo e del comunismo, visti
entrambi come una minaccia per la democrazia, e in secondo luogo
l'identificazione del fascismo con un movimento sociale del ceto
medio in crisi, che cercava una terza via tra capitalismo e
socialismo. Dalla prima premessa si sviluppò a partire dagli
anni trenta la teoria secondo la quale fascismo, nazismo e
bolscevismo in quanto regimi totalitari presenterebbero le stesse
caratteristiche strutturali, mentre dalla tesi secondo cui il
fascismo fu un movimento sociale autonomo del ceto medio
derivò un modello esplicativo applicabile sia al fascismo
italiano che al nazionalsocialismo tedesco.Il sociologo americano
S.M. Lipset ha definito il fascismo come 'estremismo di centro',
ossia dei ceti medi; questi normalmente sarebbero sostenitori del
liberalismo, ma in una situazione di crisi appoggiano i movimenti
antiparlamentari. Dacché gli studi nell'ambito della storia
sociale hanno dimostrato che il fascismo italiano e il nazismo
tedesco avevano un profilo sociale assai più differenziato,
ed erano in grado di mobilitare sia esponenti del ceto medio
superiore che operai e contadini, la teoria del ceto medio ha perso
parte della sua validità. La teoria totalitaristica, al
contrario, è stata sistematizzata nell'ambito della scienza
politica (soprattutto ad opera di H. Arendt, C.J. Friedrich e Z.
Brzezinski) ed è stata applicata sia al comunismo stalinista
che al nazismo. Tale teoria si è affermata nell'ambito del
dibattito scientifico - in particolare dopo che K.D. Bracher ha
sviluppato una "differenziazione di tipi o versioni del
totalitarismo" - soprattutto in quanto consentiva un approccio
comparato nell'analisi delle dittature moderne. Essa peraltro si
dimostra meno valida quando si tratta di spiegare la genesi dei
movimenti fascista e nazista, e può essere adottata per
analizzare le dittature di Hitler e di Mussolini solo "se si prende
sul serio il fascismo come tale, e il totalitarismo viene
considerato un suo aspetto possibile ma non necessario" (W.
Schieder).
La teoria del totalitarismo ha avuto un importante sviluppo nelle
ricerche di F. Neumann, che individua la componente totalitaria del
regime nazista non nella razionalità globale di un dominio
diretto delle masse attraverso diversi apparati, bensì in un
equilibrio tra apparati antagonisti, caratterizzati da un'intrinseca
tendenza all'anarchia e alla negazione dei principî e delle
strutture dello Stato. Un intento critico nei confronti della teoria
del totalitarismo e il tentativo di operare una differenziazione
storica sono stati alla base dell'interpretazione
storico-fenomenologica del fascismo di Ernst Nolte, il quale ha
cercato di ridare validità al concetto di fascismo come
categoria politica generale nell'ambito del filone di ricerca non
marxista degli anni sessanta. Nolte distingue il fascismo dai
sistemi politici che non appartengono né al tipo
democratico-parlamentare né a quello comunista, senza
peraltro identificarsi con le dittature militari o con i regimi
conservatori. Egli mette in luce il rapporto ambivalente tra
conservatorismo e fascismo, che ha definito in modo pregnante come
un rapporto "di identità non identica".Sebbene le riflessioni
sul fascismo di Nolte avessero scarsa risonanza per il carattere
idiosincratico della filosofia della storia che faceva loro da
sfondo, laddove la teoria sociologica della modernizzazione al di
fuori dello schieramento marxista influenzò profondamente la
ricerca successiva, con esse si offriva la possibilità di un
approccio sociologico differenziato.
La stessa definizione noltiana del fascismo come opposizione alla
trascendenza pratica aveva dei punti di contatto con la teoria
sociologica della modernizzazione; questa venne applicata in seguito
all'analisi del fascismo dal sociologo americano A.F.K. Organski,
che lo interpretò come un sistema politico mirato a
contrastare il processo di modernizzazione. Secondo Organski i
sistemi fascisti avrebbero le maggiori capacità di
mobilitazione in quelle società che si trovano "a metà
strada nel processo di modernizzazione". In esse le élites
tradizionali del "settore non moderno" avrebbero una posizione di
rifiuto nei confronti delle forze della mobilitazione primaria, ma
sarebbero ancora abbastanza potenti da "costringere le élites
moderne a un compromesso politico, che esprime il contenuto
più autentico del sistema fascista". Tuttavia se questo
modello interpretativo può essere valido per la situazione
politico-sociale dell'Italia, non si applica altrettanto bene alla
più avanzata Germania del periodo tra le due guerre. Per
questo motivo lo storico americano H.A. Turner ha sostenuto che si
potrebbe parlare del fascismo come categoria politica generale solo
se sia il fascismo italiano che il nazionalsocialismo tedesco
fossero interpretabili come manifestazioni di un "antimodernismo
utopico". Tuttavia, se questa componente è riscontrabile nel
nazionalsocialismo, non lo è altrettanto nel fascismo
italiano, del quale Turner mette anzi in evidenza gli effetti di
modernizzazione.
Nuove prospettive per la ricerca sul nazismo furono aperte dalle
riflessioni del sociologo tedesco R. Dahrendorf e dello storico
americano D. Schoenbaum; entrambi misero in luce le contraddizioni
interne del nazionalsocialismo, dovute a una "duplice rivoluzione,
dei fini reazionari e dei mezzi moderni"; in ciò, a loro
avviso, risiederebbe il carattere distintivo del nazismo. La
'rivoluzione dei mezzi' avrebbe obiettivamente portato alla
modernizzazione della Germania, ma a essa si sarebbe sovrapposta
alla fine una 'rivoluzione dei fini', con cui Hitler avrebbe
perseguito i suoi obiettivi antimodernisti. Questa tesi confermava
l'opinione condivisa da parecchi storici secondo cui la politica
nazista era contraddistinta da una peculiare sintesi di elementi
rivoluzionari e conservatori. Indagini empiriche più recenti
hanno tuttavia portato ulteriori argomenti a sostegno della tesi
della modernità del Terzo Reich, mettendo in discussione
l'idea secondo cui il processo di modernizzazione sarebbe stato
realizzato dal nazionalsocialismo suo malgrado. Tuttavia queste
ricerche di dettaglio trascurano il fatto che tutti i modelli
sociopolitici dei nazionalsocialisti, tutti gli sforzi di
adattamento agli sviluppi della civiltà moderna valevano solo
per i membri della 'comunità di popolo' tedesca, mentre ne
restavano esclusi quanti non erano di sangue tedesco, e che molti
dei progressi tecnico-scientifici servirono all'estromissione e
all'eliminazione di questi ultimi. Soprattutto, la natura del
sistema di dominio nazista contrasta con la nozione di
modernizzazione in quanto contraddice sostanzialmente i
principî di razionalità e democratizzazione che ne sono
alla base. L'ambivalenza rimane dunque uno dei caratteri distintivi
del nazionalsocialismo, che nei confronti della società
tradizionale si pose in un rapporto di conservazione e di
rivoluzione, di continuità e di rottura.
3. Presupposti storici e inizi della NSDAP
La nascita e l'espansione del nazionalsocialismo sino al 1933 sono
strettamente legate alle ripercussioni politiche, sociali e
psicologiche della sconfitta militare del 1918 e della rivoluzione
tedesca del 19181919, che pesarono sulla Repubblica di Weimar sin
dalla sua costituzione. La progressiva crisi della Repubblica di
Weimar, interrotta solo da una breve fase di stabilizzazione tra il
1924 e il 1929, e il crescente successo del nazionalsocialismo sono
fenomeni complementari. Dapprima una frazione insignificante
all'interno dello schieramento populista-antisemita, una volta
costituitasi ufficialmente in partito la NSDAP crebbe rapidamente
sino al tentato Putsch di Monaco del 1923, cui seguì una fase
di disgregazione e stagnazione; ma negli anni successivi, con la
crisi politica ed economica del 1929-1930, il partito riprese la sua
ascesa in un crescendo spettacolare, trasformandosi in un movimento
di massa. Il movimento di protesta e di fede nazionalsocialista
riuscì a politicizzare e a organizzare la profonda crisi di
legittimazione del sistema liberal-borghese e la diffusa aspirazione
a un cambiamento grazie alla sua capacità di mobilitazione
propagandistica delle masse, e integrò paure e aspettative
sociali, sogni di grandezza nazionale e aggressività della
più diversa natura, indirizzandoli verso la figura di leader
carismatico di Adolf Hitler, che prometteva salvezza e riscatto per
tutti.La NSDAP nacque dalla Deutsche Arbeiterpartei, uno dei tanti
gruppi di protesta dell'ambiente populista e antisemita di Monaco
fondato dal fabbro Anton Drexler il 5 gennaio 1919. Nel settembre
del 1919 il caporale Adolf Hitler aderì al partito.Il 24
febbraio 1920 Hitler annunciò i 25 punti del programma del
partito elaborati in collaborazione con Drexler; con
un'accentuazione degli elementi anticapitalistici, tale programma
costituiva una sintesi del miscuglio di idee nazionaliste e
populiste dell'epoca: vi si chiedeva l'annessione dell'Austria e la
concessione di colonie, il ripristino del ruolo di grande potenza
della Germania, l'attuazione di una riforma agraria e la
statalizzazione delle grandi imprese, l'emancipazione dei livellari
dai grandi latifondisti (Gottfried Feder), la confisca dei profitti
di guerra, la negazione dei diritti politici agli Ebrei.
Sino a quel momento Hitler era un personaggio del tutto oscuro sul
piano sia sociale che politico; a trent'anni si ritrovava ai margini
della società, privo di qualunque formazione professionale
specifica e senza avere alle spalle alcuna esperienza o
attività politica. Gli unici orientamenti in campo politico
gli erano stati forniti sino ad allora da un nazionalismo radicale
di stampo populista, dalla disciplina militare e dall'esperienza
della guerra. Eppure, nei successivi ventisei anni della sua vita
egli avrebbe segnato la storia tedesca ed europea con il suo potere
e la sua forza distruttiva - come agitatore e dittatore acclamato
dalle folle, come conquistatore e autore di una politica di
sterminio che avrebbe causato la morte di milioni di persone.
Per capire l'estensione e la natura del potere di Hitler occorre
tener conto sia delle circostanze che lo resero possibile, sia delle
sue doti di propagandista e di oratore, della sua personalità
monomaniaca e delle sue ossessioni ideologiche. Come agitatore di
popolo egli riuscì ad accentrare su di sé le speranze
di una nazione scossa dalla guerra, incarnando agli occhi di gran
parte del popolo tedesco quella figura di Führer d'eccezione e
di redentore cui esso anelava. I contenuti politici e ideologici di
questo potere carismatico erano determinati dalle tradizioni della
cultura politica tedesca e dalla particolare situazione di crisi in
cui versava la Germania nel periodo tra le due guerre. Nella figura
del Führer carismatico si intrecciavano valori e modelli di
comportamento di stampo militare-autoritario ed elementi di un
movimento di riforma della gioventù e della vita mirato al
rinnovamento e improntato al mito. Al Führer si richiedevano
eroismo e spirito missionario, il ripristino della grandezza
nazionale e l'azione liberatrice, un mutamento e nel contempo una
conservazione delle condizioni politiche e sociali esistenti.Ma non
furono né i tratti della personalità di Hitler
né la coerenza delle sue idee politiche le principali cause
del suo successo e della sua forza di attrazione che lo fecero
assurgere al ruolo di Führer onnipotente, bensì la
semplicità della sua visione dualistica del mondo e la
sicurezza con cui proclamava i suoi articoli di fede, la
capacità di organizzare le proprie ossessioni e angosce in
una personale visione del mondo diventando con ciò il punto
di riferimento di tutti coloro che erano o si proclamavano spinti e
angosciati da paure e aspettative analoghe.Gli elementi ideologici
della Weltanschauung di Hitler non erano né nuovi né
originali, ma lo erano la tenacia con cui egli vi si attenne sino
all'apice del suo potere e al crollo finale, la risolutezza
dogmatica con cui mise in pratica idee e opinioni che sino a quel
momento erano circolate solo in forma e in ambienti semiclandestini.
Nell'ideologia di Hitler non vi era nulla che non fosse già
stato espresso altrove; la specificità della sua visione del
mondo era legata alla combinazione di diversi elementi ideologici e
alla radicalità con cui egli li asserì, fondando su di
essi le sue pretese di dominio. Sino alla metà degli anni
venti Hitler aveva costruito, a partire dai più diversi
materiali tratti dalle concezioni socialdarwiniste, populiste,
antisemite, nazionaliste, imperialiste, antidemocratiche e
antimarxiste, una personale immagine del mondo dalla cui intrinseca
coerenza egli trasse la certezza di una fede che divenne la forza
propulsiva del suo attivismo e della sua politica.
Due erano gli elementi portanti della Weltanschauung hitleriana, che
costituirono il nucleo essenziale dell'ideologia nazionalsocialista:
un radicale, universale razzismo antisemita, e la dottrina dello
'spazio vitale'. Entrambi erano legati a una visione della storia
come lotta permanente tra i popoli per lo spazio vitale, lotta che
si sarebbe potuta vincere solo a condizione di preservare la
'purezza della razza'. Per la Germania ciò significava
impegnarsi in un programma imperialista che doveva andare ben oltre
la politica nazionalista di revisione della pace di Versailles, che
mirava alla mera riappropriazione di una posizione di grande
potenza. Tale programma aveva piuttosto come obiettivo la conquista
del cosiddetto 'spazio vitale' a Oriente e l'espulsione degli Ebrei.
Ciò avrebbe consentito nello stesso tempo di distruggere il
marxismo nella forma del 'bolscevismo giudaico' nell'Unione
Sovietica, salvando in tal modo il mondo germanico dal declino e da
uno snaturamento irreversibile. A questi obiettivi fondamentali e
tra loro collegati occorreva subordinare tutti gli altri ambiti
della politica.
La dottrina della presunta lotta universale tra razze superiori e
razze inferiori costituiva il fondamento dei dogmi di tutti gli
altri programmi politici nazisti, in particolare quelli di politica
estera. Attorno a questo nucleo dottrinale ruotavano altri contenuti
ideologici, comuni peraltro ad altri movimenti nazionalisti e
fascisti tra le due guerre: antimarxismo, antiliberalismo,
antiparlamentarismo, anticapitalismo e persino una forma di
anticonservatorismo. La controparte positiva di queste posizioni
espresse in termini di negazione era rappresentata da un
nazionalismo radicale di stampo populista, dall'idea di un
socialismo nazionale e di una 'comunità di popolo'
(Volksgemeinschaft) alla cui guida si sarebbe dovuta porre una nuova
élite che si distinguesse per fede, obbedienza e
volontà d'azione ovvero di lotta. Il Führerprinzip
rappresentava un altro elemento costitutivo dell'ideologia e della
struttura organizzativa del nazionalsocialismo, ponendosi come
modello alternativo rispetto al liberalismo e alla democrazia quale
strumento di legittimazione e di integrazione per il partito e per i
suoi elettori. Il Führer incarnava la visione del mondo
nazionalsocialista, che solo attraverso di lui acquistava
realtà e determinatezza, e costituiva altresì
l'elemento di coesione tra le componenti contraddittorie dei
programmi e della propaganda politico-sociale del nazismo. Il ruolo
di mediatore tra obiettivi antagonisti e di interprete
dell'autentica dottrina nazista fu alla base della posizione di
Führer assoluto che Hitler ebbe all'interno del
partito.L'ideologia nazionalsocialista con la sua pretesa alla
totalità non costituiva un programma di governo, né
gli obiettivi della politica estera hitleriana facevano parte di un
piano di conquista organico e dettagliato. Il carattere alquanto
vago e a volte contraddittorio dei programmi del partito, che
all'interno del gruppo dirigente conobbero notevoli variazioni, non
impediva peraltro l'azione tattica e consentì a Hitler di
realizzare le proprie idee sfruttando abilmente le circostanze sia
interne che esterne.Hitler cominciò la sua carriera politica
all'interno del partito come capo del reclutamento ('Trommler'), e
in questo ruolo divenne ben presto indispensabile. Le tematiche dei
suoi numerosi discorsi erano attinte senza eccezioni dal repertorio
del nazionalismo di destra: il rifiuto della 'pace vergognosa' di
Versailles e la lotta contro i nemici interni, che avevano
'pugnalato alle spalle' il paese compromettendo l'onore e l'ordine
nazionali, nonché contro 'l'opera sovversiva' del 'giudaismo
internazionale'. Ciò che distingueva Hitler dagli altri
agitatori della destra era il modo di comunicare tali idee. Egli
predicava l'odio, associando agli aspri attacchi contro i 'criminali
di novembre' e i 'nemici del popolo' patetici appelli all'orgoglio
nazionale e alle forze capaci di far rinascere la 'grande Germania'.
L'incessante attività propagandistica di Hitler mirava
soprattutto a suscitare scalpore. A questo scopo, oltre alle
manifestazioni di massa e alla pubblicità del
"Völkischer Beobachter" - il settimanale di Monaco divenuto
organo del partito - vennero utilizzati elementi del tutto nuovi: il
rosso sgargiante della bandiera con la croce uncinata, introdotta
nel 1920, manifesti e volantini aggressivi, e il corpo di volontari
con funzioni di servizio d'ordine che portavano come distintivo la
croce uncinata; essi costituirono il primo nucleo delle future SA
(Sturmabteilungen), che Hitler volle trasformare in
un'organizzazione paramilitare e propagandistica al fine di
evidenziare l'orientamento radicale del partito attraverso lo
sfoggio di una disciplina militare e la disponibilità all'uso
della violenza.
L'infaticabile attività e lo zelo missionario di Hitler ben
presto gli guadagnarono protettori e amici influenti nelle sfere
della burocrazia, dell'esercito e della grande borghesia, che
fornirono una legittimazione istituzionale e sociale all'esaltazione
dell'agitatore. Il successo della sua attività di
propagandista consentì a Hitler, nell'estate del 1921, di
approfittare della crisi della NSDAP per liquidare Drexler,
ottenendo la carica di capo del partito con poteri quasi
dittatoriali. Già in questa circostanza emergeva una delle
caratteristiche distintive dello stile d'azione di Hitler, che si
ripresenterà costantemente in tutte le successive situazioni
conflittuali e nei momenti cruciali della storia del nazismo: a
guidare le sue azioni non fu mai un piano strategico preciso per la
conquista di un potere dittatoriale, bensì unicamente la
volontà di non sottomettersi nonché la capacità
di sfruttare abilmente la situazione per raggiungere tale scopo.
Le manifestazioni di massa e le azioni spettacolari - come quella,
organizzata secondo il modello delle spedizioni punitive fasciste in
Italia, con cui Hitler il 14-15 ottobre 1922 fece irruzione con 800
uomini delle SA nella redazione del "Deutscher Tag" a Coburgo -
fecero ben presto della NSDAP il più rumoroso e popolare tra
i gruppi di agitazione antirepubblicana bavaresi e di Hitler il 're
di Monaco'. Il partito conquistò aderenti dapprima tra le
associazioni di ex combattenti e i disciolti corpi franchi
(Freicorps), soprattutto in Baviera ma anche nella Germania
orientale. Ciò contribuì a una rapida espansione delle
SA, che grazie all'afflusso di ufficiali e militari di professione
divennero sempre più un'organizzazione militare indipendente
dal partito, sebbene soggetta a Hitler. Da un lato ciò
costituiva un vantaggio in quanto le SA, al pari di altre
associazioni patriottiche, potevano beneficiare degli aiuti della
Reichswehr bavarese in termini di forniture di armi e di
addestramento; dall'altro costituiva uno svantaggio per Hitler e per
la NSDAP come movimento politico in quanto il comando militare delle
SA accrebbe il suo potere, minacciando costantemente il monopolio
del potere rivendicato da Hitler nel partito. La NSDAP fece poi
proseliti anche tra il ceto medio - colpito dall'inflazione e dalla
perdita di status sociale - che guardava con favore l'agitazione
radicale contro la pace di Versailles e la Repubblica di Weimar.
Nella sua fase iniziale la NSDAP non si proponeva tanto come un
partito, quanto come un movimento rivoluzionario che mirava ad
abbattere l'odiata Repubblica di Weimar a partire dalla Baviera
attraverso un colpo di Stato, seguendo il modello della 'marcia su
Roma' di Mussolini (1922). Nell'autunno del 1923 Hitler, a
conoscenza dei piani per un colpo di Stato organizzato dai
nazionalisti conservatori guidati dal generale Ludendorff, credette
di poter sfruttare il grave conflitto tra il governo bavarese,
capeggiato dal commissario di Stato Gustav von Kahr, e il potere
centrale per dare l'avvio a una 'sollevazione nazionale' contro il
governo centrale e all'istituzione di una 'dittatura nazionale'. Il
'Putsch di Hitler' dell'8 novembre fallì, e il giorno
successivo la polizia disperse nel sangue un corteo di dimostranti
armati. La NSDAP fu dichiarata illegale e il 1° aprile 1924
Hitler venne condannato per alto tradimento a cinque anni di
detenzione nel carcere di Landsberg, ma poté beneficiare del
condono dopo aver scontato solo sei mesi di pena. Mentre Hitler era
in carcere la NSDAP - che sebbene fosse passata nel 1923 da 15.000 a
55.000 aderenti era poco organizzata e si ritrovava ora priva di un
capo, e la cui coesione era legata unicamente alla speranza di un
colpo di Stato imminente - si frazionò in varie formazioni
populiste. Nelle elezioni del Reichstag del 4 maggio 1924 la lista
populista ottenne 1,9 milioni di voti, il 7 dicembre dello stesso
anno scese a 0,9 milioni.
4. Il movimento di massa nazionalsocialista nella crisi politica ed
economica del 1929-1933
Tenutosi al di fuori della lotta per il comando della formazione
populista, dopo la sua scarcerazione Hitler poté diventare il
principale punto di riferimento nel processo di rifondazione della
NSDAP, che assunse un nuovo profilo mutando la propria strategia
politica e la propria struttura. Dal fallimento del Putsch Hitler
aveva tratto tre insegnamenti: in primo luogo, che era necessario
mantenersi nella legalità abbandonando la tattica del colpo
di Stato, senza peraltro rinnegare il ricorso alla violenza
politica, e puntare esclusivamente sulla mobilitazione di massa; in
secondo luogo, che il nuovo partito (fondato il 27 febbraio 1925)
doveva ramificarsi a livello regionale e dotarsi di una più
solida organizzazione a livello nazionale, distinguendosi nettamente
da altri gruppi nazionalisti di stampo populista; l'organizzazione
paramilitare delle SA si sarebbe inoltre dovuta subordinare al
comando politico del partito; in terzo luogo, che la NSDAP doveva
diventare uno strumento assoggettato incondizionatamente alla
volontà del Führer. Hitler cercò di assicurarsi
il ruolo di Führer attraverso un esteso scritto programmatico,
Mein Kampf, di cui iniziò la stesura nel carcere di Landsberg
nell'estate del 1924 (il primo volume venne pubblicato nel 1925, il
secondo nel 1927).
All'inizio l'organizzazione della NSDAP si limitava al gruppo
direttivo di Monaco, a un certo numero di Gaue (circoscrizioni
politico-amministrative del partito, circa 30-36 tra il 1925 e il
1937) e a una serie di gruppi locali. Nel 1926 venne fondata
l'associazione giovanile Bund der deutschen Arbeiterjugend (Lega
della gioventù operaia), cui fecero seguito il
Nationalsozialistische deutsche Studentenbund (Lega
nazionalsocialista degli studenti) e la Hitlerjugend
(Gioventù hitleriana). Ben presto sorsero altre
organizzazioni speciali e associazioni professionali che miravano a
mobilitare la massa eterogenea dei membri e dei simpatizzanti del
partito rappresentando gli interessi specifici di diversi gruppi:
nel 1928 l'Associazione nazionalsocialista degli uomini di legge
(Bund nationalsozialistischer Juristen), nel 1929 quella dei medici
(Nationalsozialistische Arztebund) e la Lega di lotta per la cultura
tedesca (Kampfbund für die deutsche Kultur), nel 1930 l'ufficio
per la politica agraria del partito e l'Organizzazione di cellule
aziendali nazionalsocialiste (Nationalsozialistische
Betriebszellenorganisation).
Se durante il periodo di rifondazione del partito, tra il 1925 e
1926, l'organizzazione e la direzione politica dei Gaue erano ancora
instabili e alquanto eterogenee anche sul piano programmatico, il
gruppo monacense che faceva capo a Hitler riuscì gradatamente
a imporsi contro le tendenze centrifughe e a rivendicare la
rappresentanza esclusiva dell'ideologia e della propaganda della
NSDAP. Nel congresso tenutosi a Bamberga il 14 febbraio 1926 Hitler
poté affermare con successo la sua posizione di Führer
assoluto contro la comunità di Gaue della Germania
nordoccidentale - fondata con la sua iniziale approvazione e guidata
da Gregor Strasser -, fautrice di un vago 'socialismo tedesco' e
della partecipazione della NSDAP al referendum popolare contro le
indennità ai principi spodestati.La NSDAP assunse i connotati
di un partito guidato da un leader carismatico, in cui la formazione
della volontà si richiamava esclusivamente
all'autorità personale del Führer e avveniva dall'alto,
senza alcuna partecipazione democratica dei membri. Il potere
carismatico di Hitler era dovuto alle sue straordinarie
capacità retoriche e propagandistiche, nonché al
successo della sua opera di integrazione e di consolidamento della
NSDAP. Anziché coalizzarsi contro Hitler, le fazioni interne
al partito cercarono ciascuna il suo appoggio nella lotta per
imporsi sugli altri raggruppamenti. Per un certo tempo egli
tollerò e incoraggiò la formazione di tali fazioni,
che gli garantiva una posizione di arbitro supremo, intervenendo
nelle numerose lotte intestine solo quando la sua autorità
veniva messa in discussione. Questa tattica trovava la propria
giustificazione ideologica nel principio socialdarwinistico della
vittoria del più forte applicata alla lotta politica.
L'idea del Führer all'interno della NSDAP era ormai associata
in modo incontestato al potere personale carismatico di Adolf
Hitler, che compì in questo modo il primo passo verso la
conquista del potere. Adesso si trattava solo di raggiungere un
analogo consenso tra le masse.I successi politici della NSDAP negli
anni della (apparente) stabilizzazione della Repubblica di Weimar
rimasero tuttavia assai limitati. Nelle prime elezioni presidenziali
del 29 marzo 1925 l'eroe di guerra Ludendorff sostenuto dalla NSDAP
ricevette solo 285.000 consensi, ossia circa l'1% dei voti. Questo
insuccesso segnò la fine politica di un rivale all'epoca
ancora pericoloso per Hitler. Nelle elezioni per il Reichstag del
1928 la NSDAP ottenne il 2,6% dei voti e dodici deputati. Alla fine
del 1929 in 13 diete regionali sedevano complessivamente 48 deputati
della NSDAP. Maggior successo ebbe il partito nell'eliminazione di
tutti gli schieramenti populisti rivali, come la
Deutschvölkische Freiheitspartei (Partito Popolare Tedesco
della Libertà), i cui membri finirono per aderire alla NSDAP.
A questa fase di rifondazione della NSDAP seguì a partire dal
1929-1930, sullo sfondo della crisi economica e politica del paese,
la fase di trasformazione in partito di massa. Ancor prima della
crisi mondiale del 1929 il sistema partitico parlamentare si era
dimostrato sempre più incapace di realizzare l'integrazione
politica e di garantire una stabilizzazione duratura, e ciò
diede la possibilità ai conservatori, fautori di uno Stato
autoritario, di prepararsi a instaurare un governo presidenziale
senza la poco amata socialdemocrazia e al di fuori dei partiti e del
parlamento. Il netto orientamento di destra assunto dai partiti
borghesi rispecchiava il mutato umore politico dell'elettorato e
trovò riscontro in una radicalizzazione dell'opposizione di
destra e dei suoi gruppi tradizionali di sostegno nell'area del
Nordest prussiano; a ciò contribuì anche una grave
crisi agraria, che assieme a una recessione della produzione e
dell'occupazione nel settore artigianale e industriale rappresentava
una crisi nella crisi. Il processo di polarizzazione e di
radicalizzazione politica dunque si era verificato già prima
dei profondi traumi sociali causati dalla grande crisi del
1929-1930, e questo fu uno dei principali motivi per cui esso ebbe
in Germania proporzioni assai più vaste ed esiti ben
più letali per il sistema democratico-parlamentare che non in
altri paesi i quali, pur essendo anch'essi colpiti dalla crisi, non
assistettero a un crollo dei propri ordinamenti costituzionali.
Furono i nazionalsocialisti a trarre il maggior vantaggio dalla
crisi di legittimazione del sistema politico e sociale, non i gruppi
favorevoli a un governo presidenziale che volevano strumentalizzare
la crisi ai fini di una revisione autoritaria dell'ordinamento
politico-sociale. A partire dalle elezioni per il Reichstag del 14
settembre 1930, in cui ottenne 4,4 milioni di voti, ossia il 18,3%
dei consensi e 107 mandati, la NSDAP divenne una grande forza
politica, che con la sua agitazione radicale contribuì ad
accelerare la crisi finale della Repubblica di Weimar.Nelle elezioni
del 1930 la NSDAP ottenne i maggiori successi nei collegi elettorali
prevalentemente rurali e luterani (Schleswig-Holstein, Pomerania e
Südhannover-Braunschweig), e nelle circoscrizioni per
metà rurali e per metà piccolo-industriali (Bassa
Slesia-Breslau, Chemniz-Zwickau e Renania-Palatinato), con il 27-22%
dei voti. L'acuirsi della crisi economica e politica segnò
un'ulteriore, vistosa ascesa della NSDAP nelle successive elezioni
per il Reichstag e le diete regionali: a Brema, il 30 novembre 1930
essa ottenne il 25,6% dei voti, a Oldenburg nel maggio del 1931 il
37%, in Assia nel novembre dello stesso anno il 37%. Nelle elezioni
presidenziali del marzo-aprile 1932 il 36,8% dei voti andò al
partito di Hitler, che ottenne il 37,8% nelle elezioni prussiane del
12 aprile 1932. Il culmine del successo fu raggiunto dalla NSDAP
nelle elezioni per il Reichstag del 31 luglio 1932, con il 37,8% dei
voti.Nel giro di due anni la NSDAP si era trasformata da piccolo
partito radicale in un movimento di massa, che rivoluzionò la
configurazione politica della Germania e soprattutto riuscì
ad attirare i consensi degli elettori e degli iscritti dei partiti
borghesi (DNVP, DVP, DDP, partito degli industriali, partiti dei
contadini).
Contro questo fenomeno di 'risucchio' riuscirono ad affermarsi da un
lato l'ambiente cattolico e il partito di centro, dall'altro
l'elettorato socialdemocratico e comunista, che fino al 1933
costituirono un baluardo abbastanza stabile. La NSDAP riuscì
però a mobilitare in suo favore una quota cospicua di non
elettori. Il numero degli iscritti aumentò vistosamente,
passando da 27.000 alla fine del 1925 a oltre 150.000 nel settembre
del 1930, per raggiungere 1,4 milioni nel gennaio del 1933. Al
1° gennaio 1935 il 5,2% dei membri risultava iscritto prima del
14 settembre 1930, un altro 28,8% aveva aderito al partito prima del
30 gennaio 1933. Nel 1930 la NSDAP contava 1378 gruppi locali. Si
trattava di un partito 'giovane', sia rispetto agli altri
schieramenti consolidati sia per struttura d'età. Nel 1930
quasi il 70% degli iscritti alla NSDAP era al di sotto dei
quarant'anni, mentre il 35% aveva meno di 30 anni; il 60% dei
funzionari di partito era al di sotto dei 40 anni, e il 26% al di
sotto dei 30.
La base sociale del movimento di massa nazionalsocialista era
costituita soprattutto dal ceto medio borghese e contadino di
confessione luterana. I lavoratori autonomi - liberi professionisti,
artigiani e commercianti -, gli impiegati e i funzionari nella NSDAP
erano rappresentati in misura superiore alla media nazionale. Nello
stesso tempo però gli operai costituivano il gruppo sociale
numericamente più consistente tra gli aderenti al partito,
sebbene la rappresentanza operaia nella NSDAP fosse nettamente
inferiore alla media nazionale.
Erano soprattutto i lavoratori provenienti dalle piccole e medie
imprese, dall'industria domestica e dal pubblico impiego non
iscritti ad alcuna organizzazione sindacale a confluire nella NSDAP.
Nessun altro partito al di fuori dei tradizionali partiti operai
riuscì ad attirare tanti lavoratori quanto la NSDAP. Dopo il
1930 anche i notabili cominciarono ad aderire al partito di Hitler,
che ebbe uno straordinario successo elettorale tra i ceti sociali
superiori e medio-alti. La NSDAP si trasformò così in
un 'partito di integrazione' di tutti gli strati sociali, nel
'partito popolare nazionalista' il cui profilo sociale mutò
costantemente nel corso della sua storia.
La conciliazione dei diversi interessi rappresentati dalla NSDAP e
dalle sue ramificazioni od organizzazioni collaterali rese Hitler
indispensabile come Führer e artefice dell'integrazione. Il suo
carisma e le sue doti di propagandista compensavano la scarsa
coerenza programmatica e organizzativa del partito. La forza di
attrazione della NSDAP non risiedeva infatti in programmi politici e
sociali concreti, ma nell'efficacia del culto di Hitler, atteso e
acclamato come redentore e come innovatore. In un momento di
profonda crisi sociale e psicologica il carattere radicale della
comparsa del partito di Hitler contribuì ad alimentare
l'ingenua fiducia nella possibilità di rinnovamento e di
superamento delle divisioni di partito e di classe in una nuova
'comunità di popolo'. Assieme al culto di Hitler lo slogan
della 'comunità di popolo' costituì l'elemento
più efficace della propaganda nazionalsocialista. In questo
modo la NSDAP si faceva interprete sia dell'aspirazione
conservatrice al mantenimento di ordinamenti sociali premoderni, sia
delle aspettative di mobilità sociale e di modernizzazione di
altri gruppi.Con le sue associazioni e organizzazioni collaterali la
NSDAP divenne una macchina propagandistica che si serviva degli
strumenti più diversi e in certa misura più moderni di
agitazione permanente e di regia delle folle: adunate di massa sia
regionali che nazionali (come i congressi del partito), manifesti,
giornali e film, bandiere, uniformi e marce, altoparlanti e aerei -
ma anche violenza (risse e scontri nelle riunioni politiche e nelle
piazze, tentativi di disperdere i cortei e le manifestazioni degli
avversari). Alla NSDAP come movimento di protesta e di fede era
sufficiente ripetere i suoi programmi ridotti a meri slogan,
nonché presentarsi come partito dinamico e 'deciso'.
La tesi del marxismo volgare secondo cui il movimento
nazionalsocialista poté affermarsi e conquistare il potere
grazie al sostegno fornitogli dalla grande industria si dimostra del
tutto insostenibile. Le imponenti campagne propagandistiche della
NSDAP furono finanziate principalmente con i contributi degli
aderenti al partito, e in seguito dei simpatizzanti, soprattutto
piccoli e medi imprenditori. Nulla attesta l'esistenza di aiuti
finanziari forniti regolarmente dalla grande industria alla NSDAP.
Quanto poco il denaro sia in grado di influenzare la politica
è dimostrato del resto dal fallimento cui andarono incontro i
tentativi della grande industria tra il 1930 e il 1932 di fondare un
partito borghese di destra o di rafforzare quello esistente. Per di
più l'atteggiamento della grande industria nei confronti
della NSDAP e dell'ingresso di Hitler al governo nel 1932-1933 fu
tutt'altro che omogeneo; solo una piccola frazione appoggiava i
nazisti. Più significativo fu invece il ruolo della grande
finanza e di altre élites di potere tradizionali nella
distruzione della democrazia parlamentare in vista dell'istituzione
di un governo autoritario, che però alla fine non
riuscì ad affermarsi di fronte all'irrompere del movimento di
massa nazionalsocialista.
5. La presa del potere
La dissoluzione dell'ordinamento costituzionale parlamentare e del
sistema partitico della Repubblica di Weimar non doveva sfociare
necessariamente nella presa del potere da parte di Hitler e
nell'istituzione di un regime totalitario, ma questa strada si
delineò chiaramente allorché divenne evidente che un
regime autoritario sostenuto dalla Reichswehr e dalla burocrazia non
era più possibile in una società politica altamente
differenziata e mobilitata, poiché tale sistema di dominio
delle élites tradizionali da solo non possedeva la necessaria
forza di integrazione politica e sociale, soprattutto in un momento
storico segnato da crisi e paure profonde. È quanto dovettero
constatare in particolare, tra il 1932 e il 1933, il cancelliere del
Reich Franz von Papen e il generale Kurt Schleicher; con i loro
modelli di Stato autoritario alla fine essi si trovarono costretti a
ricorrere ai decreti d'emergenza presidenziali quale unico strumento
di governo, dopo che il loro predecessore Heinrich Brüning, il
quale tra il 1930 e il 1932 poteva ancora contare sul sostegno di
una vasta coalizione di tolleranza dei partiti per la sua politica a
metà strada tra autoritarismo e parlamentarismo, alla fine
non era più riuscito a ottenere l'appoggio del presidente del
Reich e delle tradizionali élites dell'esercito, della
burocrazia e dell'economia.
Dopo il terremoto delle elezioni del settembre 1930 l'ingresso della
NSDAP nella coalizione di governo era all'ordine del giorno
politico. I partiti e i gruppi di potere della borghesia, nella loro
situazione di necessità, erano disposti a una coalizione con
il partito nazista nelle diete regionali, convinti di possedere nel
potere centrale e nelle forze che lo appoggiavano istanze di
controllo e barriere sufficienti per contrastare il movimento
populistico di massa guidato da Hitler. Un primo tentativo in questo
senso attuato in Turingia non ebbe esiti positivi per la NSDAP, e
naufragò principalmente a causa della politica
ostruzionistica di Hitler e del capo della propaganda del partito
Göbbels. I tentativi di addomesticare la NSDAP attraverso
coalizioni di questo tipo però continuarono a essere
perseguiti, anche perché si guardava all'esempio del
più moderato fascismo italiano, che all'epoca godeva della
massima considerazione nella Germania borghese e conservatrice.
Sebbene dopo le elezioni per i parlamenti regionali del 1931 la
NSDAP fosse diventata il partito più forte, l'ascesa di
Hitler al potere non fu un processo lineare né inarrestabile.
Il trasferimento del potere a Hitler non fu mai inevitabile sul
piano politico-costituzionale, e pressoché nessuno dei
rappresentanti dei gruppi di potere tradizionali considerava Hitler
la soluzione migliore. Solo quando sembrarono esaurite tutte le
altre possibilità di garantire le strutture autoritarie e di
evitare un ritorno all'indesiderato parlamentarismo crebbe la
disponibilità - soprattutto da parte dell'influente gruppo
dei grandi proprietari terrieri - a fare un tentativo con Hitler e
con il suo movimento di massa, a condizione però di disporre
di sufficienti meccanismi di controllo.
La duplice strategia di Hitler - mirata a creare un movimento di
massa di cui detenere il monopolio e nello stesso tempo a istituire
delle alleanze tattiche con i tradizionali gruppi di potere della
politica, della burocrazia, dell'esercito e dell'economia - non fu
del tutto incontrastata all'interno della NSDAP e subì
costantemente delle battute d'arresto a causa sia delle azioni
terroristiche delle SA, sia del rifiuto opposto dai conservatori a
una coalizione con la NSDAP. Espressione di questa strategia di
alleanza nella 'opposizione nazionale' e contemporaneamente di presa
di distanza dagli alleati fu il Fronte di Harzburg, istituito
nell'ottobre del 1931. Poiché le due parti davanti alla
crescente mobilitazione politica di massa e al disfacimento del
potere si trovavano a dipendere l'una dall'altra, si intensificarono
i legami strumentali tra Hitler e le élites di potere
tradizionali. Mentre le forze conservatrici - che a partire dal
1929-1930 avevano perso buona parte dei loro potenziali consensi in
favore della NSDAP - speravano di ottenere dalla coalizione con il
partito elettoralmente più forte una base di massa e una
legittimazione plebiscitaria del proprio programma politico-sociale
autoritario, confidando di poter imbrigliare Hitler e il suo
movimento radicale grazie al controllo sulla Reichswehr e
sull'apparato burocratico.
Hitler dal canto suo aveva bisogno del loro appoggio per poter
colmare la distanza che separava il suo partito di protesta (non
ancora consolidato nonostante i successi elettorali) dalla conquista
del potere, e che era causa di una crescente impazienza nella base
stessa del partito. Nello stesso tempo si andò via via
restringendo il margine d'azione politica delle forze
costituzionali, sinché nella fase finale il governo
presidenziale di Franz von Papen poté contare esclusivamente
sull'appoggio dei gruppi di estrema destra e, adottando una politica
di concessioni alla NSDAP, imboccò una strada sempre
più impervia. Dopo le elezioni del Reichstag del 1932
fallirono le trattative per l'ingresso della NSDAP nel governo di
von Papen. Hitler rifiutò la carica di vicecancelliere dopo
che Hindenburg gli aveva a sua volta negato il cancellierato.
L'irrigidimento di Hitler in questa politica del 'tutto o nulla'
cominciò a minare la sua posizione sia all'interno del
partito che sul piano della politica nazionale. Elettori e
simpatizzanti delusi abbandonarono la NSDAP (che nelle elezioni del
6 novembre 1932 ottenne 11,7 milioni di voti, pari al 33,1%), nelle
SA montava il fermento. Sull'opportunità della tattica
hitleriana le opinioni all'interno del partito erano divise. Il
cancelliere Schleicher cercò di sfruttare queste divisioni e
di staccare da Hitler l'ala sinistra della NSDAP guidata da Gregor
Strasser per inserirla in un fronte di governo che andasse dai
sindacati alla NSDAP.
Il progetto fallì perché Hitler conservò la
supremazia all'interno del partito e Strasser fu costretto a
dimettersi nel dicembre del 1932.Con l'abolizione delle regole e
delle garanzie costituzionali-democratiche aumentò non solo
il vuoto di potere politico, ma anche il peso degli intrighi e dei
contatti personali; furono questi elementi, assieme ai clamorosi
errori di valutazione politica, soprattutto per quanto concerne il
carattere rivoluzionario della NSDAP, a caratterizzare i mesi che
precedettero la presa del potere da parte di Hitler. Il 4 gennaio
1933 nella casa del banchiere Kurt von Schröder avvenne un
incontro tra von Papen e Hitler, in cui questi si vide offrire il
cancellierato. Nella confusa situazione del gennaio 1933, grazie
all'influenza esercitata da von Papen, uscito dal 'fronte
nazionale', sul presidente del Reich, questi alla fine, il 30
gennaio, acconsentì a nominare Hitler cancelliere di un
gabinetto presidenziale in cui i conservatori credevano di aver
efficacemente imbrigliato i nazionalsocialisti. Tra tutte le
possibili soluzioni per uscire dalla situazione in cui si erano
cacciati von Papen e i gruppi di potere intorno al presidente del
Reich, questa era sicuramente la peggiore; tra i numerosi errori di
valutazione che accompagnarono e facilitarono l'ascesa di Hitler,
questo fu il più fatale. La destra conservatrice e i gruppi
di potere che la sostenevano non avevano tenuto conto del fatto che
Hitler avrebbe potuto pretendere di più (ed era nelle
condizioni più favorevoli per farlo), anziché
appoggiare i loro interessi in una alleanza strumentale.
6. L'instaurazione della dittatura
All'apparente preponderanza dei ministri conservatori nel governo di
'concentrazione nazionale' istituito il 30 gennaio 1933 fece
riscontro l'esaltazione propagandistica di questa giornata come
momento della 'riscossa nazionale', dietro la quale si celarono in
un primo tempo le tecniche di dominio e le aspirazioni al potere
specificamente nazionalsocialiste. Hitler, il ministro degli Interni
Frick e Göring, cui era affidato il dicastero degli Interni
prussiano, detenevano però posizioni chiave nella polizia e
nell'amministrazione, e se ne servirono per preparare
progressivamente la presa del potere dei nazionalsocialisti
attraverso una duplice strategia di violenza e di legalità,
di spinta rivoluzionaria dal basso e di sanzione dell'esecutivo
dall'alto, accompagnata dal terrore e dalla propaganda. Ben presto
il vicecancelliere von Papen (che era anche commissario del Reich
per la Prussia) e Hugenberg (esponente della DNVP), apparente uomo
forte del gabinetto in qualità di ministro dell'Economia e
dell'Agricoltura (sino al giugno del 1933), vennero eliminati
politicamente in un processo i cui elementi essenziali furono
l'azione a sorpresa, l'adattamento e gli errori di valutazione.
Già il 1° febbraio 1933 Hitler liquidava Hugenberg e in
occasione delle nuove elezioni per il Reichstag poté far
valere pienamente la componente plebiscitaria del suo partito e
l'apparato statale. La campagna elettorale fu accompagnata dalle
azioni terroristiche delle SA che, lungi dall'essere tenute a freno
da un qualche potere statale, erano anzi spesso appoggiate dalla
prassi pseudolegale dei decreti presidenziali d'emergenza. La
conquista del potere ebbe inizio dalla Prussia dove Göring,
oltre che detenere il dicastero dell'Interno, controllava anche
l'apparato di polizia, cui aveva affiancato un corpo ausiliario
composto prevalentemente di membri delle SA e delle SS. La
repressione politica ebbe un ruolo centrale nella fase della presa
del potere, ma fu esercitata solo contro i gruppi più deboli
e malvisti della società, perseguitando i quali si era certi
di poter contare su un vasto consenso. Le azioni terroristiche
furono rivolte principalmente contro gli avversari politici,
soprattutto comunisti e socialisti, e furono appoggiate dai
conservatori alleati di governo e da ampi strati della borghesia,
concordi con la NSDAP nel programma di abolizione del
parlamentarismo e di lotta contro il marxismo. Queste forze tuttavia
non si rendevano conto che la repressione delle sinistre metteva
nelle mani della NSDAP lo strumento istituzionale delle leggi
eccezionali, che in un secondo tempo avrebbe potuto essere rivolto
anche contro i partiti e le organizzazioni borghesi. Di fatto
l'eliminazione dell'opposizione contribuì in misura decisiva
ad accrescere il potere di Hitler.Il principale strumento delle
persecuzioni, accompagnate da una violenta propaganda antimarxista,
fu la facoltà presidenziale di emanare decreti d'emergenza,
riconosciuta dall'art. 8 della Costituzione di Weimar, che
già ai primi di febbraio venne utilizzata per impedire le
attività degli altri partiti, per limitare la libertà
di stampa e per asservire l'apparato burocratico. Questi
provvedimenti vennero messi in atto dalla polizia di Stato,
rafforzata dall'inserimento di gruppi ausiliari di SA e SS, peraltro
formalmente ancora subordinate alla polizia.Il culmine della
repressione politica fu il decreto d'emergenza del 28 febbraio 1933
"per la protezione del popolo e del Reich", emanato subito dopo
l'incendio del Reichstag, che costituì il pretesto formale
per attuare persecuzioni sistematiche e per proclamare lo stato
d'emergenza permanente; esso divenne la vera e propria 'carta
costituzionale' del Terzo Reich. Tutti i diritti fondamentali
vennero abrogati, e nello stesso tempo venne legalizzata l'ingerenza
negli affari di competenza dei Länder.
Le elezioni del Reichstag del 5 marzo 1933, che si svolsero in un
clima di violenza legalizzata, diedero alla NSDAP (43,9% dei voti,
288 mandati) in coalizione con la Deutschnationale Volkspartei (8%
dei voti) una risicata maggioranza. Nonostante le gravissime
difficoltà, i socialdemocratici ottennero il 18,3% dei voti e
120 seggi, la KDP il 12,3%, il Centro l'11,2% e 73 mandati, la BVP
il 2,7% e 19 mandati. La NSDAP quindi non riportò mai la
maggioranza assoluta nelle elezioni.Il nuovo Reichstag venne
inaugurato il 21 marzo 1933 nella chiesa del presidio di Potsdam, al
fine di celebrare propagandisticamente l'alleanza simbolica tra
l'antica Germania imperiale e il nuovo Reich: tra Hindenburg,
rappresentante della tradizione prussiana, e Hitler, Führer
della giovane Germania nazista. Il nuovo Reichstag, in cui due
giorni dopo dominavano le camicie brune della NSDAP e il minaccioso
'servizio d'ordine' delle SA e delle SS, ebbe per Hitler l'unica
funzione di eliminare con il manto della legalità il
parlamento e le restanti istituzioni costituzionali attraverso una
legge sui pieni poteri (Ermächtigungsgesetz) approvata il 23
febbraio 1933, e di consolidare il proprio potere politico anche
indipendentemente dal presidente del Reich e dal gabinetto. Al
governo di Hitler venne riconosciuta la facoltà di emanare
leggi nazionali in deroga alla Costituzione, a patto però che
non venissero toccate le istituzioni del Reichstag e del Reichsrat,
né i poteri del presidente del Reich. Queste pseudogaranzie
si dimostrarono ben presto prive di qualunque efficacia. La legge
sui pieni poteri fu approvata con la maggioranza dei due terzi solo
grazie all'annullamento dei mandati di molti parlamentari comunisti
e socialdemocratici - parecchi dei quali erano già stati
condannati o costretti a espatriare - mentre i partiti al di fuori
della coalizione di governo avevano già perso ogni influenza.
Il Reichstag approvò la legge sui pieni poteri con 441 voti a
favore (tra cui i voti del centro e dei partiti borghesi) e 94 voti
contrari espressi dai socialdemocratici.
Con le elezioni di marzo iniziò la seconda fase della
conquista del potere: l'allineamento forzato (Gleichschaltung) dei
Länder e quindi del Reichsrat mediante la legge del 31 marzo,
che imponeva l'adeguamento della ripartizione dei mandati nei
parlamenti regionali ai rapporti di maggioranza nel Reichstag. Una
seconda legge del 7 aprile annullò la Costituzione federale e
insediò nei Länder i Gauleiter (capidistretto) della
NSDAP - di fatto già al potere - come governatori del Reich
(Reichsstatthalter) e quindi rappresentanti dello Stato unitario.
L''allineamento', che non seguì alcun piano preordinato,
poté essere realizzato in modo tanto rapido ed estensivo solo
grazie alla contemporanea integrazione dei più importanti
gruppi e organizzazioni sociali. Si cominciò con la legge del
7 aprile 1933 sulla riorganizzazione della burocrazia, che
introduceva la discriminazione razziale nel pubblico impiego e
legittimava le azioni antiebraiche della base del partito. La
debolezza sociopolitica e organizzativa dei sindacati, dovuta alla
crisi economica e alle vecchie divisioni tra orientamenti rivali,
nonché alla grave sottovalutazione del pericolo rappresentato
dalla NSDAP, consentì al regime di eliminare in brevissimo
tempo (2 maggio 1933), con una duplice strategia basata sulla
violenza e sulla propaganda, quello che era stato il più
potente movimento sindacale del mondo: i patrimoni dei sindacati
vennero confiscati e al loro posto venne istituita una nuova
organizzazione obbligatoria, la Deutsche Arbeitsfront (DAF).
Ciò segnò anche una nuova, decisiva tappa nel processo
di allineamento dei partiti, che tra il giugno e il luglio del 1933
vennero dichiarati illegali o si autosciolsero (compresa la DNVP),
vittime delle proprie illusioni, di un atteggiamento rinunciatario e
non da ultimo delle costanti intimidazioni da parte delle SA e delle
associazioni naziste. Questo processo senza precedenti fu
accompagnato e sostenuto dall'allineamento di associazioni e
organizzazioni e dai primi atti di persecuzione e di boicottaggio
contro i cittadini ebrei cui parteciparono soprattutto gli attivisti
radicali del partito, i quali si illudevano di essere rimasti
esclusi dall'assegnazione delle nuove cariche perché non si
erano messi sufficientemente in luce.Il vuoto politico, sociale e
organizzativo creato dall'integrazione forzata venne immediatamente
colmato con l'istituzione di nuove organizzazioni obbligatorie, che
miravano ad assicurare il controllo permanente e la mobilitazione
propagandistica dei gruppi sociali.
Sebbene avessero anche lo scopo di soddisfare le ambizioni delle
organizzazioni naziste e di legittimarne le attività, queste
misure di irreggimentazione e di penetrazione della società
mettevano a nudo la pretesa totalitaria del regime, anche se
all'inizio ebbero effetti alquanto asimmetrici e risparmiarono
ampiamente soprattutto i ceti borghesi e le vecchie élites.
Questo tipo di politica, per quanto attuata in modo imperfetto e
graduale, si distingueva nettamente dalla prassi dei governi
autoritari, che di norma non ricorrono a queste misure di
mobilitazione e di irreggimentazione della
società.Un'attenzione e un controllo speciali furono
riservati ai lavoratori, che il regime intendeva acquisire al
consenso o perlomeno tenere a bada attraverso la tattica 'del
bastone e della carota'. I sindacati vennero sostituiti dalla DAF
sotto la guida di Robert Ley, che avrebbe dovuto riunire tutti i
lavoratori; in un primo tempo la DAF si limitò a programmi di
assistenza e di propaganda e a organizzare attività
dopolavoristiche, per poi rafforzare la propria influenza
sociopolitica negli anni di crescita economica e di penuria di forza
lavoro. Le organizzazioni dei contadini vennero forzosamente
unificate nel Reichsnährstand capeggiato da Richard W.
Darré, che con una martellante propaganda all'insegna dello
slogan 'Blut und Boden' ('Sangue e suolo') avrebbe dovuto spingere i
contadini a una maggiore produttività distogliendo nel
contempo la loro attenzione dalla crescente regolamentazione del
mercato e dalla crisi di manodopera nel settore agricolo.
All'irreggimentazione della cultura e della stampa provvide il
neoministro della Propaganda Josef Göbbels con la
Reichskulturkammer (Camera di cultura del Reich). Nel giro di sei
mesi Hitler aveva spazzato via parlamento, federalismo e sistema
partitico, instaurando un regime a partito unico.
La conquista del potere venne portata a termine l'anno successivo.
Anche nella preparazione di quest'ultima fase Hitler in un primo
tempo non seguì un piano prestabilito, ma fu piuttosto spinto
dalle circostanze. Solo quando i contrasti interni divennero
insanabili egli, in combutta con il comando della Reichswehr e delle
SS, approfittò dell''affare Röhm', il 30 giugno 1934,
per eliminare in un colpo solo i rivali interni al partito e il
comandante delle SA, nonché esponenti dell'opposizione
conservatrice e altre persone politicamente invise. Una legge del 3
luglio giustificò a posteriori questo assassinio di Stato:
l'arbitrio politico - pur con l'ampio consenso della popolazione,
che aveva accolto con favore il deciso intervento del Führer
contro i presunti corrotti e le forze radicali - si sostituiva
dunque ai principî dello Stato di diritto.
Le SA furono in larga misura esautorate e, cosa più
importante, le SS - di cui H. Himmler fu nominato comandante supremo
(Reichsführer) - divennero indipendenti dalle SA; iniziò
così la loro trasformazione in un corpo direttamente soggetto
al Führer, che concentrava in sé tutti i poteri di
polizia e nello stesso tempo si poneva come rappresentante dei
valori ideologici fondamentali del partito. Al crescente potere
delle SS fu associato il decisivo processo di trasformazione del
sistema di dominio nazista in un regime dittatoriale, incarnato da
un corpo militare con poteri di polizia messi al servizio
dell'arbitrio ideologico e della realizzazione della dottrina
nazionalsocialista. L'espansione tentacolare delle SS avrebbe
determinato da allora in poi la natura e l'estensione del potere di
Hitler e del suo regime. Il controllo della polizia politica e dei
campi di concentramento erano stati alla base della posizione
speciale delle SS. Seguirono, nel 1936, l'assoggettamento di tutte
le forze di polizia e l'istituzione delle divisioni combattenti
delle SS (Waffen SS) in concorrenza con la Reichswehr. Quest'ultima
pagò a caro prezzo l'apparente vittoria sulle SA: dopo
essersi rese complici di un omicidio di Stato, alla morte del
presidente del Reich von Hindenburg, il 2 agosto 1934, le truppe
della Reichswehr prestarono giuramento di fedeltà a Hitler,
che violando la Costituzione aveva accentrato nella sua persona le
cariche di presidente e di cancelliere del Reich. Non esisteva
più, dunque, alcuna istituzione costituzionale in grado di
limitare il potere di Hitler, né uno spazio d'azione
costituzionale per un'opposizione.
7. Il Führerstaat
La dittatura di Hitler venne definitivamente consolidata nell'estate
del 1934. Rispetto allo Stato fascista di Mussolini, Hitler aveva
affermato il suo dominio con incredibile rapidità e
acquisendo poteri dittatoriali. Il regime nazionalsocialista,
inoltre, era spinto da una dinamica interna che escludeva ogni
bilanciamento in senso autoritario, e che scalzò via via
tutti i fondamenti di uno Stato autoritario - sul quale avevano
puntato nel 1933 i partners conservatori della coalizione - in
favore di un governo dittatoriale. All'interno della coalizione tra
il nazionalsocialismo e le élites tradizionali - la cui
collaborazione era indispensabile a Hitler per consolidare il regime
e per preparare e attuare la sua politica del riarmo - la
preponderanza politica venne assunta in misura crescente dal
nazionalsocialismo, che era penetrato ormai in tutte le sfere dello
Stato e della società, e dal suo Führer assoluto Adolf
Hitler.
La costruzione del Führerstaat poteva considerarsi virtualmente
conclusa nel 1938, dopo l'affare Blomberg-Fritsch, allorché
Hitler assunse il comando supremo della Wehrmacht, sostituì
il ministro degli Esteri conservatore von Neurath con il
nazionalsocialista von Ribbentrop, e liquidò definitivamente
il ministro dell'Economia nazionale Schacht, assicurandosi il
controllo degli ultimi centri di potere conservatori. L'eliminazione
della componente conservatrice con il suo orientamento moderato tra
il 1937 e il 1938 diede modo a Hitler - dotato di poteri
dittatoriali e sostenuto da un consenso di massa - di orientare il
corso degli eventi nei cinque anni successivi secondo le proprie
idee: il risultato fu lo scatenamento di una guerra ideologica
globale, l'attuazione di una politica di sterminio fondata sulla
dottrina razzista e la progressiva distruzione di ogni principio
dello Stato.
Hitler approfittò inoltre dei poteri assoluti riconosciuti al
Führer per tradurre in realtà la sua
ideologia.Nonostante il suo carattere dittatoriale il
Führerstaat non fu mai un blocco di potere monolitico
strutturato gerarchicamente dall'alto verso il basso, come affermava
infaticabilmente la propaganda nazista. Dietro la facciata della
volontà assoluta del Führer si nascondevano lotte
intestine tra la NSDAP e i suoi segmenti da un lato, e le
autorità statali sia nazionalsocialiste che conservatrici
dall'altro, nonché fenomeni di disgregazione della
tradizionale omogeneità della burocrazia statale in favore di
apparati di partito e di amministrazioni speciali soggetti
direttamente al Führer; questi a loro volta, si moltiplicavano
sottraendo all'amministrazione centrale un numero crescente di
competenze e di poteri - ad esempio nell'ambito della polizia e
della giustizia. Fallì anche il tentativo di creare
un'organizzazione burocratica unificata che integrasse Länder e
Gaue in una struttura amministrativa unitaria con una netta
delimitazione delle competenze, nonostante i tentativi in questo
senso del ministro degli Interni Frick e la propagandata riforma
dell'ordinamento del Reich. L'organizzazione amministrativa rimase
invece in uno stato ambiguo di coesistenza e antagonismo di poteri
centrali e particolari. Hitler evitò ogni decisione in
materia, la qual cosa era perfettamente coerente con la sua
concezione della politica e lasciava tanto più incontrollato
il suo potere assoluto.
La guerra contribuì ad acuire ulteriormente il caos
organizzato della struttura del potere. La centralizzazione imposta
dalla guerra sfociò per lo più in conflitti di
competenze e in una anarchia di autorità centrali e
amministrazioni speciali tra loro in concorrenza, cosa che
favorì lo sviluppo di nuovi poteri particolaristici. Le
autorità centrali persero sempre più il controllo su
quelle regionali, in particolare sui Gauleiter, i quali - spesso
investiti anche della funzione di commissari per la difesa del Reich
- durante la guerra accrebbero la loro influenza assumendo tutta una
serie di poteri straordinari.Tuttavia questa policrazia delle
competenze non portò al crollo del sistema di dominio, ma
accrebbe temporaneamente il potere e il potenziale distruttivo del
regime nazista, e consolidò la posizione di Führer
assoluto di Hitler, il quale sino alla fine del regime poté
farsi valere come indispensabile arbitro e punto di riferimento di
tutti i gruppi di potere rivali.All'esterno gli incessanti conflitti
di competenze che caratterizzavano la policrazia nazista erano
mascherati dal vertice monocratico attraverso il mito del
Führer. Il Führer carismatico divenne il punto di
riferimento di tutte le correnti interne al partito e di un
crescente consenso pubblico. Mentre il credito della NSDAP si
indeboliva sempre più e i principî tradizionali dello
Stato venivano sistematicamente erosi, il mito del Führer e il
suo potere dittatoriale garantirono la coesione del regime, che sino
alla fine godette di una notevole stabilità e poté
contare sul lealismo di larghissima parte della popolazione, pur
nell'intensificarsi del controllo e nel dilagare del terrore e della
distruzione.
Questa concentrazione del potere era assicurata da una combinazione
strategica di allettamenti e di violenza. Il rafforzamento della
polizia politica (la Gestapo), completamente indipendente dalle
autorità amministrative e giudiziarie e assoggettata al
comando delle SS quale strumento di potere del Führer,
comportò una sorveglianza sempre più stretta e
capillare della popolazione nonché la persecuzione di tutti
gli oppositori reali o potenziali del regime e il loro internamento
nei campi di concentramento, che come spazio sottratto a ogni
legalità erano anch'essi sotto la giurisdizione assoluta
delle SS. A ciò si accompagnò il progressivo
inasprirsi delle comminatorie e delle pene per i crimini politici e
in seguito per le violazioni dell'economia di guerra. Assieme alle
funzioni di controllo e di guida del partito e delle sue
organizzazioni collaterali, ciò portò a una
sorveglianza pressoché totale anche della sfera privata,
sebbene vi fosse una netta differenziazione sociale nell'attuazione
delle misure di controllo e di repressione. Anche l'efficacia di
questo sistema repressivo era strettamente legata al potere
carismatico del Führer.
Rispetto a un organico relativamente esiguo, la Gestapo poteva
contare per le sue attività di sorveglianza e di repressione
sulla collaborazione di una schiera innumerevole di delatori, che
spesso erano spinti da motivi personali oltreché politici, e
che attraverso le loro denunzie volevano nello stesso tempo
esprimere la loro 'fedeltà al Führer'.Repressione e
consenso si intrecciavano in vari modi, costituendo una
caratteristica essenziale del Führerstaat. Una volta
consolidatosi, il regime poté conquistare un notevole
consenso grazie alla sua efficace propaganda, alle sue iniziative
sociali e culturali volte a soddisfare le masse e al fatto che
centinaia di migliaia di persone dovevano al partito e al suo
apparato burocratico sempre più elefantiaco il posto di
lavoro e un miglioramento di status sociale. Il malcontento e le
critiche della popolazione inoltre erano diretti al partito, non
già a Hitler.
Più importanti della 'bella apparenza' della propaganda e
delle manifestazioni di massa per la nascita e la stabilità
del mito del Führer e del consenso di massa - che necessitavano
di un rinnovamento e di una conferma costanti - furono comunque gli
innegabili successi del regime in campo economico e sociopolitico, e
in misura ancora maggiore i successi in politica estera, di cui
Hitler poteva a buon diritto ascriversi il merito e che lasciarono
ammutoliti anche i critici delle cerchie conservatrici. La riduzione
della disoccupazione di massa e la rapida crescita economica dovuta
alla corsa al riarmo costituirono per Hitler solo il presupposto
dell'ascesa militare e della realizzazione dei suoi dogmi politici:
la conquista dello spazio vitale e l'annientamento delle razze
inferiori.
Sebbene il 'miracolo economico' nazista fosse in gran parte una
esagerazione e una invenzione della propaganda e delle azioni
dimostrative, e gli indicatori economici più importanti -
come ad esempio il livello dell'occupazione, i salari e il reddito
nazionale - raggiungessero i livelli del 1929 solo tra il 1937 e il
1938, il regime riuscì ad accumulare un capitale di credito e
di consenso che ignorava i segnali di una ripresa dell'inflazione -
e soprattutto il fatto che il boom economico era essenzialmente il
risultato della politica di riarmo - ed era sufficientemente forte
da sopportare gli impegni futuri.
Pur conservando fondamentalmente intatta la proprietà privata
dei beni e delle imprese, l'economia tedesca venne trasformata
progressivamente in un sistema dirigistico con il controllo
dell'interscambio con l'estero, il contingentamento delle materie
prime, la concessione di crediti e commesse statali, le restrizioni
valutarie, il controllo dei prezzi e in misura crescente del
potenziale di forza lavoro. La conversione all'economia di guerra in
tempo di pace fu introdotta nel 1936 con il piano quadriennale e
portò all'istituzione di nuove amministrazioni speciali sotto
la direzione di apparati burocratici sia statali che privati.
Nel campo della politica sociale e del lavoro l'abolizione dei
sindacati liberi e dell'autonomia tariffaria, il divieto di sciopero
e di serrata, l'introduzione di norme tariffarie statali, l'adozione
di un diritto del lavoro ispirato a criteri autoritaristici che
rafforzava la posizione dell'imprenditore rispetto ai lavoratori,
l'iscrizione obbligata di pressoché tutta la popolazione
attiva nella Deutsche Arbeitsfront contribuirono a creare un sistema
dirigista che determinò un temporaneo aumento della
produzione nell'ambito dei beni d'investimento e un calo dei
consumi. Per distrarre l'attenzione della popolazione dalla perdita
di autonomia politica e sociale e per allettarla con l'offerta di
attività ricreative e culturali venne istituita
l'organizzazione dopolavoristica Kraft durch Freude, che dava anche
la possibilità di esercitare una stretta sorveglianza sui
membri della 'comunità di popolo'. Le attività
assistenziali delle associazioni sia laiche che religiose vennero
ostacolate e limitate in favore delle organizzazioni naziste
(NS-Volkswohlfahrt und Winterhilfswerk, Opera di salute pubblica e
di soccorso invernale). Comunque il regime nazista, sotto la
direzione e il controllo delle organizzazioni di partito,
proseguì lo sviluppo dello Stato sociale, sia pure in senso
dirigista, e attraverso le iniziative della DAF intraprese nuove
strade con una politica sociale degli alloggi.
La politica culturale del regime perseguì l'allineamento
ideologico e il controllo totale sulla stampa, sulla radio,
sull'attività artistica e letteraria, sull'istruzione, sulla
ricerca scientifica e sul mondo accademico. L'irreggimentazione
della vita culturale venne attuata progressivamente attraverso una
combinazione di repressione e persecuzione, di allineamento forzato
e di incentivi finanziari, di adattamento e di opportunismo. Dopo la
repressione della cultura progressista e d'avanguardia, per un certo
tempo riuscirono tuttavia ad affermarsi vari indirizzi artistici e
culturali sulla base di una limitata autonomia della cultura
borghese, che però dopo gli anni di cesura 1937-1938 venne
sempre più controllata e limitata. Nonostante l'allineamento,
anche l'ambito della politica culturale ed educativa fu
caratterizzato dalla coesistenza di uffici e competenze tra loro in
conflitto, pur nel rispetto incondizionato della volontà del
Führer, che si proclamava patrono delle arti e si ammantava
volentieri del ruolo di artista-politico.
La concezione nazionalsocialista del 'diritto', secondo cui
occorreva estromettere dalla 'comunità di popolo' quanti non
erano di sangue tedesco, venne applicata in modo particolarmente
drastico nella politica ebraica. Dopo la presa del potere le
persecuzioni contro gli Ebrei si inasprirono ulteriormente. Tuttavia
anche in questo caso, come accadde in altri campi della politica sia
interna che estera, l'azione del regime non seguì un piano
coerente. I principî razzisti e antisemiti propugnati da
Hitler rimasero sempre i criteri guida, ma la loro attuazione in un
primo tempo fu subordinata a considerazioni tattiche. La
realizzazione del programma antisemita seguì lo stesso schema
del processo di radicalizzazione della politica in tutti gli altri
campi: propaganda e atti terroristici del partito dal basso,
sanzionamento legislativo a posteriori dall'alto. Così alle
azioni di boicottaggio dell'aprile 1933 fece seguito l'estromissione
degli Ebrei dalla vita pubblica; a una nuova ondata di propaganda
antisemita fecero seguito le leggi di Norimberga del 1935, che
privavano gli Ebrei della cittadinanza e dei relativi diritti e
proibivano i matrimoni misti, per i quali erano previste gravi
sanzioni; ai pogrom del 9-10 novembre 1938 fece seguito
l'estromissione dalla vita economica. Dopo la segregazione, la
guerra offrì la possibilità dell'annientamento fisico
di gran parte della popolazione ebraica sia tedesca che europea. Con
la preparazione e poi con l'inizio della guerra contro l'Unione
Sovietica vennero creati i presupposti politici, ideologici e
organizzativi per realizzare la visione hitleriana di una
'rivoluzione razziale' sotto forma di un genocidio condotto secondo
criteri scientifico-burocratici (la 'soluzione finale') soprattutto
nei campi di sterminio dei territori orientali.
8. Verso la guerra: la politica estera nazionalsocialista
Anche la politica estera nazionalsocialista si sviluppò per
gradi e in un primo tempo i suoi obiettivi radicali vennero celati
dietro le tradizionali richieste di revisione del Trattato di
Versailles e di ripristino della grandezza nazionale. Anche nella
politica estera dominò in un primo tempo una policrazia di
programmi e di centri decisionali. Le forze nazionalsocialiste sotto
il comando di Ribbentrop (nominato ministro degli Esteri nel 1938 ma
già capo dell'ufficio Esteri della NSDAP) si nascosero in un
primo tempo dietro il Ministero degli Esteri e la diplomazia, per
assumere un ruolo sempre più importante dopo la cesura
politica del 1938. Anche il programma graduale di politica estera di
Hitler, che assieme alla sua dottrina della razza divenne il
criterio direttivo dell'azione politica, sulle prime rimase
nascosto, sebbene egli come cancelliere del Reich influenzasse e
determinasse pressoché tutte le decisioni del regime in
materia di politica estera.
Nella prima fase i preparativi politici ed economici
dell'aggressione militare vennero mimetizzati attraverso una
strategia di autominimizzazione (ad esempio il 'discorso di pace' di
Hitler al Reichstag del 17 giugno 1933; il patto di non aggressione
con la Polonia del 26 gennaio 1934). Il primo atto di aggressione -
il tentativo di annessione dell'Austria dopo il fallito Putsch dei
filonazisti austriaci e l'assassinio del cancelliere austriaco
Dollfus, avvenuto il 25 luglio 1934 - non ebbe successo e
determinò un crescente isolamento diplomatico della Germania.
Solo il cambiamento della congiuntura internazionale (la guerra
d'Etiopia nel 1935, la guerra civile spagnola nel 1936), che
intensificò l'impegno della Gran Bretagna nel Mediterraneo
nonché nell'Asia orientale a seguito dell'attacco giapponese
alla Cina, permise a Hitler di passare gradatamente a una politica
offensiva, in un primo tempo però ancora dissimulata
dall'obiettivo della revisione del Trattato di Versailles. Il primo
passo in questa direzione fu l'istituzione della coscrizione
obbligatoria (16 marzo 1935) cui fece immediatamente seguito
l'ingresso di truppe tedesche nella Renania smilitarizzata, in
violazione dei Trattati di Versailles e di Locarno. Nell'attuazione
di questa politica Hitler sfruttò anche una serie di
circostanze favorevoli: il contrasto tra la politica europea
britannica e quella sovietica, nonché la politica di
appeasement dell'Inghilterra, che a fronte di svariati problemi sia
interni di ordine sociale che esterni di ordine politico mirava a
evitare conflitti armati nell'Europa centrale. A ciò si
aggiungeva il desiderio di pace diffuso nell'opinione pubblica
europea.
Dopo il fallimento della propagandata grande intesa con
l'Inghilterra, che nelle intenzioni di Hitler avrebbe dovuto
costituire la base della conquista continentale, Hitler
riuscì come 'seconda scelta' a coinvolgere l'Italia fascista
in un'alleanza (l'asse Roma-Berlino, ottobre 1936) e a stringere un
patto di cooperazione con il Giappone (patto anti-Komintern del 25
novembre 1936, al quale l'Italia aderì il 6 novembre del
1937). Dopo lo scoppio della guerra civile in Spagna la Germania si
impegnò assieme all'Italia ad appoggiare militarmente gli
insorti guidati dal generale Franco. L'asse Roma-Berlino venne
rafforzato da un patto di alleanza militare (patto d'acciaio del 22
maggio 1939). Sull'altro fronte crollava il sistema di alleanza
degli Stati europei sudorientali appoggiato dalla Francia. Alla fine
dell'autunno del 1937 Hitler sfruttò le divergenze
all'interno del comando militare e diplomatico per presentare i
propri piani di espansione armata, e servendosi senza scrupoli di
scandali e intrighi concertati (affare Blomberg-Fritsch,
gennaio-febbraio 1938) riuscì a liquidare i vertici
conservatori della Wehrmacht e del Ministero degli Esteri, contrari
alla sua politica estera. Ciò gli schiuse l'accesso alla
Wehrmacht e gli permise di avviare apertamente la sua politica
espansionistica alla prima occasione favorevole.
Tale occasione venne offerta dalla crisi politica dell'Austria
fomentata dai filonazisti e dalle aspettative di 'annessione'
(Anschluss) diffuse nell'opinione pubblica sia tedesca che
austriaca, che fornirono il pretesto per l'invasione militare
dell'Austria nel marzo del 1938. Un ultimo trionfo della politica di
riaffermazione della grande Germania fu costituito dall'accordo di
Monaco del 29 settembre 1938, raggiunto dietro forti pressioni
politico-militari, che sanciva la cessione alla Germania dei
territori dei Sudeti. Nel marzo del 1939 seguì l'occupazione
militare della Boemia e della Moravia, che comportò lo
smembramento della Repubblica Cecoslovacca. In questo modo Hitler
non solo violava l'accordo di Monaco, ma abbandonava anche
definitivamente la copertura degli obiettivi puramente
revisionistici dietro cui si era mimetizzata la sua politica
espansionistica.Quando la politica estera del Terzo Reich si rivolse
contro la Polonia, le potenze occidentali si dimostrarono decise a
contrastare le mire espansionistiche di Hitler sul piano sia
politico che militare. Il patto concluso con Stalin il 23 agosto
1939 lasciò tuttavia a Hitler mano libera per aprire una
guerra contro la Polonia (1° settembre 1939), che due giorni
dopo si trasformò in una guerra europea e nel 1941 mondiale.
Tuttavia con la sua politica di aggressione Hitler nell'immediato
aveva invalidato il colpo diplomatico messo a segno con il patto con
Stalin e a lungo termine aveva messo quest'ultimo in una posizione
tale da consentirgli di rivolgersi all'Occidente. In questa prima
fase Hitler, forte dei suoi successi militari (in particolare il
trionfo sulla Francia nell'estate del 1940), riuscì a
rafforzare ancora una volta il suo prestigio.
Dopo aver accantonato il piano di invasione dell'Inghilterra Hitler,
ormai all'apice del suo potere, diede inizio con l'attacco a
sorpresa dell'Unione Sovietica (22 giugno 1941) alla realizzazione
di quello che costituiva l'obiettivo centrale del suo programma di
politica estera: una guerra di conquista e di annientamento
dell'Unione Sovietica ispirata dall'ideologia razzista, con lo scopo
di eliminare o di respingere le popolazioni slave e di costruire su
basi durature un grande impero germanico dove l'utopia nazista
avrebbe trovato la sua realizzazione. Nello stesso tempo, con la
sconfitta del bolscevismo, si sarebbe inferto anche un colpo
decisivo agli Ebrei: con i piani per la campagna di Russia
iniziarono i preparativi dell'Olocausto, che a partire dall'autunno
del 1941 furono attuati dalle Einsatzgruppen (gruppi d'azione) nei
campi di sterminio costruiti a questo scopo in Polonia, conferendo
alla guerra una dimensione interamente nuova. Il nazismo e Hitler
avevano rivelato la loro vera natura in questa guerra di conquista e
di annientamento, trasformando la loro presunta opera di redentori
in opera di annientatori. Abbandonando gli adattamenti e le vie
traverse cui era stato costretto da necessità tattiche,
Hitler poteva realizzare il suo dogma. A ciò si accompagnava
una dogmatizzazione degli obiettivi della politica estera e della
guerra: questa doveva essere una guerra che non ammetteva
alternative tra il dominio mondiale e la rovina, e quindi escludeva
la possibilità di essere conclusa prima del tempo con
un'intesa pacifica motivata da considerazioni di opportunità
politica.
Con il fallimento della 'guerra lampo' (Blitzkrieg) e la
dichiarazione di guerra agli Stati Uniti nel dicembre 1941 il
conflitto subì una svolta decisiva, che nonostante i
ragguardevoli successi militari delle armate tedesche in Oriente
nell'estate del 1942, a partire dal 1943 (Stalingrado, El Alamein)
portò alla ritirata e infine alla disfatta militare e al
crollo del Reich tedesco, poiché Hitler si tenne fermo
ostinatamente alla sua politica del tutto o nulla.La guerra di
conquista e di annientamento fu accompagnata non solo dal genocidio
degli Ebrei europei, ma anche da una crescente radicalizzazione del
sistema nazista di dominio e di persecuzione all'interno della
Germania, da una intensificazione dell'economia di guerra attraverso
il ricorso alle prestazioni di lavoro coatte di milioni di
lavoratori stranieri e prigionieri di guerra, nonché da un
impegno allo stremo di tutte le risorse, cui si associavano pene
severissime (ad esempio per gli atti di disfattismo militare e per
le trasgressioni all'economia di guerra). Il fallito tentativo
dell'opposizione tedesca di abbattere il regime con un attentato a
Hitler (20 luglio 1944) portò a un'ulteriore concentrazione
di tutte le posizioni di potere nelle mani della cricca di dirigenti
nazisti e delle SS. A partire dal settembre del 1944, quando le
truppe alleate cominciarono l'avanzata nel territorio tedesco e
intrapresero l'ultima ondata di bombardamenti a tappeto delle
città tedesche, la disfatta totale si profilava imminente e
il prestigio e l'autorità di Hitler presso la popolazione
cominciarono a scemare. Sebbene le tendenze all'autoscioglimento del
regime si delineassero sempre più chiaramente, solo il
suicidio di Hitler, avvenuto il 30 aprile 1945 segnò il suo
crollo, dopo che l'Armata Rossa era già ammassata davanti al
bunker del Führer a Berlino.
L''impero millenario' durò solo dodici anni, e tuttavia ha
trasformato radicalmente la configurazione della Germania e
dell'Europa intera. Alla fine il nazismo, con le sue tendenze
distruttive manifestate sin dall'inizio e sfociate in una politica
di sterminio, ebbe effetti contrari a quelli che si era prefissato.
Il Terzo Reich non divenne il redentore, bensì l'aguzzino
della Germania e dell'Europa. Nell'esaltazione della sua politica di
potenza europea Hitler volle condurre il Terzo Reich al dominio
mondiale, ma così facendo cancellò per decenni
l'esistenza di uno Stato nazionale tedesco. Egli volle dominare e
organizzare il mondo a partire dall'Europa, e aprì invece
l'era della supremazia americana e sovietica e di una
internazionalizzazione o globalizzazione della politica. Il nazismo
volle frenare la dinamica del mondo moderno, ma ha invece
contribuito a intensificarla. Soprattutto attraverso la guerra di
cui fu responsabile e le sue conseguenze, il nazismo ha contribuito
a recidere i tradizionali vincoli nazionali, sociali e religiosi di
centinaia di migliaia di persone, ad annullare i privilegi, i
rapporti di potere e le differenze di ceto. Sebbene esso non abbia
mai realizzato la promessa di una eguaglianza sociale e psicologica
nella forma di una 'comunità di popolo', l'ha però
rafforzata e legittimata come aspettativa e come principio. Sebbene
non sia riuscito a creare un 'nuovo ordine' autentico e duraturo
né in campo politico né in campo sociale, la sua
politica di mobilitazione ha in ultima istanza stimolato il
mutamento sociale, in contrasto con la staticità dell''impero
millenario' cui aspirava.