Nazione
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Il complesso delle persone che hanno comunanza di origine, di
lingua, di storia e che di tale unità hanno coscienza, anche
indipendentemente dalla sua realizzazione in unità politica.
1. N., nazionalità, nazionalismo
Il termine n. ricorre fin dall’antichità con molteplici significati.
Nell’antica Roma, natio indicò, in generale, un gruppo di persone
legate da nascita o discendenza comune; designava popolazioni, tribù
o stirpi legate da vincoli di origine, di sangue o di lingua, senza
che ciò implicasse un significato di appartenenza a comunità in
senso politico. Anzi, in molti casi, il termine ricorreva in
opposizione a populus e civitas, proprio per indicare gruppi di
individui privi di istituzioni comuni e collocati a un livello di
civiltà inferiore a quello del populus romano. In epoca medievale e
rinascimentale-umanistica il termine fece riferimento, di preferenza
e salvo eccezioni, a una dimensione regionale o cittadina, di
corporazione, di ceto sociale.
La n. in senso moderno assume una specifica e necessaria accezione
politica, entrando direttamente in relazione, sebbene in maniera non
univoca, con l’idea di Stato. Sull’iniziale determinazione semantica
operata dalla cultura settecentesca (G.B. Vico, Voltaire, J.G.
Herder) si innestò la concezione, divenuta operativa nella
Rivoluzione francese, che identificava la n. con un’entità
collettiva, il popolo, dotata di autocoscienza politica e
contrapposta al monarca o ai ceti privilegiati in quanto titolare
della sovranità e unica fonte di legittimazione dello Stato. Il
giacobinismo, in particolare, pose un nesso inscindibile tra popolo
e n., eliminando ogni realtà intermedia. Queste idee furono
esportate con le guerre della Francia rivoluzionaria e napoleonica.
Il travaglio intellettuale dell’età romantica (G.J. Fichte, M.me de
Staël, A. Manzoni, G. Mazzini) – contrassegnato da una ridefinizione
dei caratteri costitutivi della n., tra i quali venne attribuito un
ruolo preminente al fattore linguistico – si collegò in modo più
organico con la coeva cultura politica, d’impronta liberale,
democratica e anche conservatrice, e alimentò ideologicamente i
cosiddetti movimenti nazionali. Si profilò allora, specie in area
germanica, la distinzione tra un’accezione di n. prevalentemente
culturale (Kulturnation) e un’accezione prevalentemente
politico-statale (Staatsnation).
Il principio di nazionalità , per il quale ogni n. dovrebbe essere
organizzata in uno Stato politico indipendente, costituì l’idea
centrale del 19° sec., trovando in Italia in G. Mazzini il suo
apostolo. La proliferazione, tra il 19° sec. e la fine della Prima
guerra mondiale, di nuovi Stati su base nazionale (e la
consacrazione della nazionalità come principio costitutivo degli
Stati, riflessa anche nella denominazione di Società delle Nazioni
attribuita all’organizzazione internazionale creata nel 1919) fu
accompagnata da ulteriori e contrastanti sviluppi dell’idea di n.;
l’avvenuta saldatura ideale e pratica tra n. e Stato fu peraltro
ragione primaria dell’emergere e della diffusione dei nazionalismi.
Il nazionalismo , inteso come tendenza politico-culturale o
movimento politico mirante ad affermare il prestigio e la
superiorità della propria n. sul piano internazionale, iniziò a
configurarsi come ideologia della politica di potenza da parte di
uno Stato dagli anni 1870; con la seconda rivoluzione industriale,
l’ingresso delle masse nella vita economica implicò la ricerca di
una strategia di integrazione politica che condusse alla piena
identificazione tra n. e Stato, con il fine di realizzare una
solidarietà nazionale che superasse le divisioni di classe. Sul
piano internazionale il nazionalismo fu alla radice (tra 19° e 20°
sec.) della competizione tra le n. europee e dello scontro
imperialistico tra le grandi potenze. All’inizio del 20° sec.
sorsero movimenti nazionalisti (per es. l’Action française, la Lega
pangermanica, l’Associazione nazionalista italiana) volti a
contrastare i regimi democratici e a disinnescare i conflitti
sociali (e la minaccia socialista). Teso a esaltare l’identità
nazionale e la politica di potenza, contribuì in modo decisivo allo
scoppio della Prima guerra mondiale.
In Italia il nazionalismo fu una delle componenti essenziali del
fascismo e diede luogo all’esaltazione dello Stato; in Germania,
invece, si legò al concetto di razza e alimentò, in questa veste,
l’ideologia nazista. Con la Seconda guerra mondiale questi tipi di
nazionalismi caddero in discredito. La versione del nazionalismo
fondata sull’autodeterminazione dei popoli continuò invece ad avere
un ruolo storico, alimentando i movimenti di liberazione dal
colonialismo nei paesi del Terzo Mondo; forme di nazionalismo
fortemente identitario si sono sviluppate nei paesi ex comunisti
dopo la caduta dei regimi totalitari.
2. Il dibattito teorico sul concetto di nazione
Uno dei punti più critici e controversi del dibattito sulla n.
concerne il processo di costruzione e i successivi sviluppi dello
Stato nazionale, o Stato-N., come modello ideal-tipico, o dei
singoli Stati nazionali considerati nella specificità della loro
storia particolare. Gli approcci storicistici all’argomento (L. von
Ranke, F. Meinecke, B. Croce) si erano attestati su
un’interpretazione finalistica di tale processo come era stata
enucleata dai movimenti nazionali ottocenteschi: nel senso di
considerare la n. come una costante storica permanente e
preesistente allo Stato nazionale. In seguito ci si è interrogati
con maggiore insistenza sul ruolo esercitato dallo Stato, e in
genere dalle istituzioni pubbliche, nel ‘produrre’ la n., sino a
invertire, per certi aspetti, l’ordine logico e storico dello stesso
processo.
In primo luogo, si è posto in maggior rilievo come le cosiddette
monarchie nazionali, cioè i grandi Stati territoriali d’ancien
régime, abbiano creato nell’Occidente europeo (Francia, Spagna,
Inghilterra) le condizioni preliminari di unificazione – giuridica,
militare, linguistica, economica, amministrativa – da cui è derivato
il senso dell’identità nazionale dei loro sudditi.
In secondo luogo, si è osservato come la costruzione delle
rispettive n. si sia posta più come un obiettivo che come un dato
acquisito per gli Stati nazionali, specie se di recente formazione,
in rapporto alla relativa esiguità dei gruppi sociali effettivamente
partecipi di un sentire e di una cultura nazionali. In questo senso
è entrata nel lessico storiografico l’espressione nazionalizzazione
delle masse (G.L. Mosse; ma è già in A. Gramsci), con la quale si è
inteso definire il processo di integrazione nazionale, operata
mediante un largo ricorso a elementi simbolici, da parte delle
élitepolitiche nei riguardi dei ceti popolari. Si è così attribuita
la genesi della n. moderna all’esigenza, propria dei sistemi
economici industriali, di agire in spazi geografici e umani più ampi
e omogenei (i cosiddetti mercati nazionali), scorgendo nella n. il
prodotto assai recente dell’incontro fra un messaggio ideologico e
gli interessi di élite economico-sociali che in condizioni non
nazionali avrebbero stentato a emergere. Viceversa, hanno trovato
spazio le analisi che potremmo definire neoetniche, individuanti
comunque all’origine della n. il prevalere di un nucleo etnico, via
via ridisegnato, manipolato e reso più complesso da successivi e
variabili apporti.
Altri studi sulla n. si sono focalizzati sulle due questioni –
peraltro già ampiamente dibattute nel passato – del rapporto tra
élite nazionali e masse popolari e del nesso d’integrazione tra n. e
democrazia. È stato osservato come il risveglio delle n. dell’Europa
dell’Est – e la conseguente spinta alla creazione di Stati nazionali
– abbia seguito delle fasi relativamente costanti in un’area
caratterizzata da una forte mescolanza etnica, e dalla presenza di
éliteintellettuali e sociali allogene, insediate nei centri urbani
in posizione preminente. La scoperta e la rivalutazione di un
patrimonio etnico conservato e tramandato dal mondo contadino, la
formazione sul finire dell’Ottocento di un’élitenazionale abbastanza
consistente in seguito all’avvio dello sviluppo economico, nonché la
progressiva conquista delle città da parte di gruppi sociali
provenienti dal retroterra agricolo, sono state individuate come le
precondizioni del revival delle n. dell’Europa dell’Est, sempre
accompagnato da conflitti di notevole intensità tra diverse entità
etniche.
La questione è tornata d’attualità in relazione alla ripresa di
spinte e fermenti nazionali su base etnica dopo una fase storica
seguita alla Seconda guerra mondiale in cui la n. sembrò aver perso
o ridotto, in Europa, il suo ruolo di generatrice di identità
politica, a vantaggio di sistemi ideologici e istituzionali
tendenzialmente universalistici (democrazia liberale, comunismo) o
comunque sovranazionali (europeismo). Nella congiuntura determinata
dal dissolvimento dell’amalgama ideologico e dei sistemi di potere
costituiti dal comunismo, dal ripresentarsi di spinte
etno-nazionaliste e di conflitti interetnici, dall’afflusso di
immigrati extraeuropei, ci si interroga sulla possibilità, o
addirittura sulla necessità, di recupero di un concetto di n.,
eventualmente ridefinito, che, facendo salvo il bisogno di identità
e di lealtà collettive, non si traduca in particolarismi esclusivi
in perenne competizione tra loro. Un passo in tale direzione può
essere compiuto, sul piano teorico, facendo perno sulla distinzione
tra n. intesa come èthnos, definita cioè dall’appartenenza
culturale, linguistica ecc., e n. intesa come dèmos, vale a dire
identificata dalla sfera della cittadinanza e dei conseguenti
diritti-doveri, e fondata sul principio di lealismo alla
Costituzione democratica. È facile però notare come i modi di
mettere in rapporto le due accezioni risultino altamente
controversi. Da un lato si colloca chi concepisce come
sostanzialmente estranei, se non incompatibili, i sistemi di valore
sottesi all’èthnos e quelli sottesi al dèmos, attribuendo al dèmos
il compito di consentire l’abbandono di ogni riferimento politico ai
contenuti etnici radicati nell’idea di Stato nazionale. Di altra
opinione è chi ritiene che non possa considerarsi esaurita la
funzione integratrice e produttrice di lealtà collettiva della n.
etnica. Tale dibattito coinvolge in maniera evidente le ipotesi di
integrazione politica europea e il ruolo delle n. – per quanto
ridefinite dal punto di vista concettuale – nella costruzione di
un’entità federale di dimensioni continentali.
3. Aspetti giuridici
Dal punto di vista giuridico-costituzionale, la n. è la grande
‘invenzione’ della Rivoluzione francese: essa, infatti, è il
soggetto che consente, da un lato, di superare definitivamente la
distinzione in ordini propria dell’ancien régime, fondando un nuovo
ordine politico, e, dall’altro, di superare il dualismo tra
sovranità del monarca e sovranità popolare. Tale concezione si lega,
in particolare, alle teorie politico-costituzionali dell’abate E.-J.
Sieyès, il quale, con i suoi celebri pamphlets del biennio
1788-1789, edificò una nuova nozione di cittadinanza, sostenendo che
la n. è l’unico soggetto sovrano, in quanto titolare del potere
costituente, e promosse inoltre la trasformazione degli Stati
Generali in Assemblea costituente, con il conseguente annullamento
dei mandati imperativi conferiti ai delegati. Fu sempre Sieyès a
teorizzare il legame tra rappresentanza politica e n., nel suo
intervento all’Assemblea costituente del settembre 1789 sul veto
reale e nell’opuscolo Observations sur le rapport du Comité de
Constitution. La Déclaration des droits de l’homme et du citoyen del
1789 e la successiva Costituzione del 1791 non sono altro che
l’attuazione di questa grande costruzione teorica: in questi testi,
infatti, la n., unico soggetto a cui appartiene la sovranità, delega
l’esercizio del potere legislativo a una Assemblea monocamerale
(l’Assemblea legislativa), il potere esecutivo al re e ai suoi
ministri, e il potere giudiziario a dei giudici elettivi (art.
3 DÉCLARATION
1789; art. 1-5, Titolo III, Cost. 1791); i deputati non
rappresentano il loro collegio elettorale, ma la n. intera (Titolo
III, Cap. I, Sez. III, art. 7 Cost. 1791).
Nella Costituzione italiana, il termine assume diversi significati;
secondo V. Crisafulli, esso è utilizzato prevalentemente come
sinonimo di Stato, e, più precisamente, di Stato-comunità o di
Stato-ordinamento (art. 9, 16, 49, 87, 98, 120), in un caso come
equivalente di popolo (art. 67). Al di fuori da questa summa divisio
si colloca l’art. 51, che, parlando di «Italiani non appartenenti
alla Repubblica» distingue necessariamente tra n. e Stato.
Enciclopedia delle Scienze Sociali (1996)
di Anthony D. Smith
Sommario: 1. Introduzione. 2. Nazione e nazionalismo. 3. Etnia e
nazione: analogie e differenze. 4. Modernismo ed etnosimbolismo. 5.
Nazionalismo e politica. 6. Identità nazionale e unità europea. 7.
Superamento delle nazioni?
1. Introduzione
Il termine 'nazione' compare per la prima volta nella lingua latina:
i Romani designavano come 'nationes' le tribù distanti e selvagge,
ma riservavano per sé l'appellativo prestigioso di 'populus'. Il
termine 'natio' perse in seguito le sue connotazioni di barbarie
primitiva, ma conservò il riferimento all'origine e alla lontananza
geografiche. Nel Medioevo lo stesso vocabolo veniva impiegato per
indicare sia le divisioni geografiche del clero nei concili della
Chiesa, sia quelle degli studenti nelle università. Solo nel XVI e
nel XVII secolo natio passò a designare la nazione di appartenenza,
sebbene di solito limitatamente alle classi sociali superiori. Di
fatto, fu solo quando l'intero popolo cominciò a essere identificato
con la nazione che il termine acquistò il medesimo prestigio
dell'antico populus romano.
Nel XVIII secolo i concetti di nazione, genio nazionale, carattere
nazionale e volontà nazionale verranno ampiamente accettati a
seguito della diffusione delle idee di lord Shaftesbury,
Bolingbroke, Burke, Vico, Zimmerman, Rousseau, Moser e Herder. In
Francia il concetto di nazione fu largamente utilizzato nella lotta
tra i Parlamenti e la Corona. Tuttavia solo negli anni ottanta del
secolo - con la rivoluzione olandese dopo la guerra di indipendenza
americana, seguita ben presto dalle rivoluzioni francesi del 1789 e
del 1792 - all'ideale della 'nazione' fu data piena espressione
politica. Sebbene tale nozione ricorresse già nelle prime
rivoluzioni puritane in Inghilterra e in Olanda (formulata peraltro
nei termini del linguaggio e delle credenze religiose) è solo con le
rivoluzioni francesi che emerge una chiara ideologia della nazione,
ovvero il nazionalismo, propagata in tutta Europa in un clima di
fervore rivoluzionario e con un seguito di massa e, successivamente,
consolidata dalle armate napoleoniche.
2. Nazione e nazionalismo
L'ideologia del nazionalismo va distinta dal 'sentimento nazionale',
ossia un sentimento collettivo di appartenenza alla nazione
associato al desiderio di garantirne il benessere, la forza e la
sicurezza. In sintesi, l'ideologia del nazionalismo si basa sui
seguenti assunti: che il mondo si divide in diverse nazioni,
ciascuna delle quali ha un proprio carattere e un proprio destino;
che all'origine del potere politico vi è la nazione e che il primo
obbligo di fedeltà del cittadino è nei confronti della nazione; che
per essere liberi, gli individui devono appartenere a una nazione;
che per essere effettivamente tali, le nazioni devono essere
autonome; e infine, che solo una società di nazioni libere può
assicurare la pace e la giustizia nel mondo.
Queste proposizioni formano la dottrina centrale del nazionalismo,
cui peraltro ogni movimento nazionalista ha aggiunto una serie di
teorie e tematiche collaterali, che vanno dall'idea di autarchia o
autosufficienza economica alla convinzione che la nazione
rappresenti una comunità restaurata o fatta rivivere. Inoltre, dato
il carattere schematico di questa dottrina centrale, il nazionalismo
di solito si mescola con altre ideologie o sistemi di credenze quali
il liberalismo, il conservatorismo, il comunismo, il razzismo,
nonché con differenti tradizioni religiose. Ciò conferisce al
nazionalismo una peculiare flessibilità ed elasticità, e spiega
altresì la sua natura elusiva e proteiforme.Dalla dottrina centrale
del nazionalismo testé descritta scaturiscono i tre principali
ideali dei movimenti nazionalistici di tutto il mondo: l'ideale
dell'autonomia, quello dell'unità e quello dell'identità nazionali.
1. Autonomia. Poiché ogni nazione possiede propri ritmi e
caratteristiche che la differenziano da tutte le altre, per poter
esprimere la propria intima, autentica essenza essa deve essere
completamente libera e non ostacolata da alcuna autorità esterna.
Ciò significa che nella nazione deve esservi piena autonomia della
volontà generale; si tratta di una dottrina che deve molto a
Rousseau e a Kant, ma che fu compiutamente elaborata dai seguaci
romantici di tali autori. L'autonomia non implica necessariamente
l'esistenza di uno Stato sovrano per ogni nazione: sinora, per
esempio, la maggioranza degli Scozzesi e dei Catalani, nonostante lo
spiccato sentimento nazionale e i forti movimenti nazionalistici,
non ha perseguito l'indipendenza totale rispettivamente dalla Gran
Bretagna e dalla Spagna. D'altro canto, Weber era nel giusto
allorché affermava che nelle condizioni politiche moderne una
nazione di regola cerca di avere un proprio Stato, in quanto solo
uno Stato territoriale sovrano può garantire l'autonomia e soltanto
questa a sua volta può salvaguardare gli insostituibili valori
culturali propri di ogni nazione e preservare così la sua autentica
esistenza.
2. Unità. L'autonomia e l'autenticità presuppongono però l'unità.
Questa può essere di due tipi: l'unificazione dei membri della
nazione all'interno della loro terra d'origine e l'unità dei
cittadini nella fraternità della nazione. Nel primo caso si richiede
che tutti i membri della nazione siano inclusi fisicamente nel
territorio nazionale e ne facciano parte; di conseguenza i membri
che si trovano al di fuori dei suoi confini sono ritenuti
'irredenti', e al pari dei territori che occupano devono essere
restituiti alla nazione. Questo tipo di rivendicazioni ha
caratterizzato i movimenti irredentisti greci, italiani e bulgari
del XIX secolo, o quelli nordirlandesi, somali e armeni (nel
Nagorno-Karabach) del XX. La nazione però deve essere unificata
anche socialmente; non possono esservi divisioni interne tra
regioni, classi, comunità religiose e via dicendo. Era questo il
senso del motto della Repubblica francese: la République, une et
indivisible. Tutti i cittadini difatti sono uniti da un rapporto di
fratellanza: come gli Orazi, raffigurati nel grande dipinto di
Jacques-Louis David, Il giuramento degli Orazi (1784), essi hanno
un'unica, indefettibile volontà e sono pronti a sacrificare la
propria vita per la comunità.
3. Identità. La nazione, infine, deve avere una sua personalità, una
propria, peculiare identità che la distingua da ogni altra nazione;
deve avere valori culturali distintivi e una particolare etnostoria.
Essa deve pertanto cominciare col riscoprire la sua autentica
esperienza collettiva e col riappropriarsi della sua originaria
individualità storica. I cittadini sono così portati a ricercare le
proprie radici in una serie di miti di origine e di discendenza, di
elezione etnica e di una 'età dell'oro' in cui la comunità era
grande e gloriosa, un'età alla quale essa deve far ritorno in forme
nuove, consone alle mutate condizioni. Senza questo standard o
modello, non può esservi alcuna guida per il futuro; senza un
autentico passato, non può esservi alcun destino sicuro. È questo il
motivo per cui intellettuali e artisti di ogni sorta - storici,
filologi, archeologi, etnologi, lessicografi, educatori, poeti,
compositori, scultori e pittori - hanno avuto un ruolo così
importante nelle prime fasi di gran parte dei nazionalismi; sono
stati loro a riscoprire e ricostruire una identità nazionale, e
devono continuare a farlo per ogni generazione.
Questi ideali mettono in luce alcune caratteristiche del concetto di
nazione così come è stato inteso dai nazionalisti e da altri. Tali
caratteristiche includono: un nome che esprima una identità
separata; l'esistenza di memorie, miti e simboli condivisi dai
membri della nazione ma estranei a chi non vi appartiene; un
territorio comune, o 'patria', in cui possa essere creata l'unità;
una cultura pubblica cui partecipino tutti i membri della nazione;
infine uno status politico di libertà per ciascuno di essi. A ciò
possiamo aggiungere la spinta verso l'unità economica e il controllo
delle risorse all'interno del territorio nazionale, e la convinzione
che i membri della nazione siano eguali di fronte alla legge e
abbiano eguali diritti e doveri. Nel loro insieme questi elementi
costituiscono un 'tipo ideale' della nazione, così come è stato
definito dai nazionalisti e da altri.
È in questo punto - ossia in rapporto al territorio, all'economia e
ai codici legislativi comuni - che il concetto di nazione si
sovrappone ad alcuni elementi della nozione di Stato. E tuttavia i
due concetti vanno tenuti distinti: con 'Stato' si intende un
insieme di istituzioni politiche e giuridiche autonome e
differenziate, cui spetta il monopolio della coercizione e della
forza in un determinato territorio, laddove il termine 'nazione'
indica una comunità di storia e di cultura che possiede un proprio
territorio e vive secondo proprie leggi.
Gli ideali del nazionalismo rappresentano una mescolanza di aspetti
'etnici' e 'civici'. La concezione civica della nazione, che venne
sviluppata in alcuni paesi occidentali, dà rilievo al territorio,
alle leggi comuni, alla cittadinanza, a una cultura pubblica di
massa e a una religione civile; la concezione etnica, che si è
affermata invece nell'Europa orientale e in alcune regioni
asiatiche, mette l'accento sui legami derivati dalla discendenza,
sulla cultura locale e sulla storia indigena, sulla mobilitazione di
massa del 'popolo' nella sua patria. Il tentativo attuale di operare
una distinzione radicale tra le due concezioni, tuttavia, si rivela
fallimentare sul piano pratico: la maggior parte delle nazioni
presenta un equilibrio spesso instabile tra questi elementi, oppure
oscilla tra le due concezioni, finendo per combinarle in nuove
configurazioni. Va osservato inoltre che le concezioni civiche del
nazionalismo possono essere altrettanto deleterie per le minoranze
quanto i modelli etnici, come attestano l'atteggiamento della
Francia repubblicana nei confronti delle élites ebraiche e nere in
Africa e le politiche territoriali nazionalistiche di numerosi nuovi
Stati in Africa e in Asia nei riguardi delle loro minoranze
etniche.Se si combinano le proposizioni della dottrina centrale con
i tre ideali basilari dei movimenti nazionalistici, si arriva alla
seguente definizione: il nazionalismo è un movimento ideologico che
mira a raggiungere e a preservare l'autonomia, l'unità e l'identità
di un gruppo sociale che alcuni dei suoi membri ritengono essere una
'nazione' effettiva o potenziale. In questa accezione il
nazionalismo può anche essere un movimento sostenuto solo da una
minoranza, e può esistere un nazionalismo senza che vi sia una
nazione. Sulla base dei tratti distintivi della nazione elencati in
precedenza si può proporre anche un'altra definizione: la nazione
può essere definita come un gruppo sociale dotato di un nome
specifico, legato a un determinato territorio e caratterizzato da
miti e memorie storiche comuni, da una cultura pubblica di massa,
dall'unità economica e da diritti e doveri eguali per tutti i suoi
membri.
3. Etnia e nazione: analogie e differenze
Per certi versi, la nazione è simile a quella formazione culturale
più fluida e diffusa costituita dalla comunità etnica o etnia. Anche
questa infatti è caratterizzata da un nome proprio collettivo, da
miti di discendenza, memorie storiche e simboli condivisi, da
elementi di una cultura comune, dall'associazione con un territorio
e da un certo grado di solidarietà. Le etnie sono esistite in ogni
epoca storica e in ogni continente, dai primordi della civiltà sino
ai nostri giorni, e si può affermare a buon diritto che esse
costituiscono il fondamento o il sostrato delle nazioni. Senza
dubbio le etnie hanno fornito determinati modelli ed elementi
culturali dai quali hanno tratto ispirazione i nazionalisti di tutto
il mondo nel loro sforzo di mobilitare il proprio popolo e di creare
nazioni moderne.
Tuttavia la nazione di tipo moderno a noi familiare deve essere
distinta anche dalla etnia premoderna per una serie di ragioni. In
primo luogo, la nazione moderna è una 'nazione di massa', cioè essa
tende a includere nella propria definizione l'intera popolazione, il
'popolo' inteso come totalità di coloro che partecipano alla vita
della nazione, laddove la vita culturale e politica delle etnie
premoderne era spesso circoscritta alle élites e alle classi urbane.
In secondo luogo, la nazione moderna è una comunità
politico-giuridica oltreché culturale: ha una identità politica e
una definizione giuridica, cosa assai rara nelle epoche precedenti.
In terzo luogo, la nazione moderna è legittimata da una nuova
ideologia onnicomprensiva - il nazionalismo - alla quale può fare
appello qualora sorgano controversie e problemi di qualsiasi tipo.
In quarto luogo, la nazione moderna esiste in un contesto di Stati
nazionali che formano nel loro insieme un ordinamento interstatale e
internazionale, cosa che si è verificata molto di rado in epoca
premoderna. Infine, la nazione moderna è un'entità di tipo
territoriale: è dotata di un territorio compatto e riconosciuto, una
'patria' alla quale appartiene, così come questa appartiene alla
nazione, e che è storicamente legata a una determinata comunità.
Anche ciò era piuttosto raro in passato, per quanto alcuni popoli
abbiano sviluppato un forte senso di appartenenza territoriale.
Naturalmente, nell'antichità e nel Medioevo esistevano identità
culturali collettive che presentano forti analogie con la nazione
moderna: gli Egizi, gli Ebrei e gli Armeni nell'antichità, e i
Giapponesi, gli Scozzesi e gli Svizzeri in epoca medievale, sebbene
in genere non avessero né unità economica né eguaglianza giuridica,
nondimeno possedevano un territorio compatto e riconosciuto, una
cultura pubblica ampiamente diffusa e formavano comunità politiche
ben definite. Ciò che mancava nelle epoche premoderne era sia un
contesto esterno costituito da un sistema interstatale, sia una
ideologia del nazionalismo globalmente legittimante.
La nazione moderna è contraddistinta inoltre dal fatto di possedere
non già uno o più elementi di una cultura comune, bensì una cultura
pubblica, di massa, attraverso la quale essa cerca di creare una
coesione sociale e valori condivisi tra i propri membri. Ciò viene
ottenuto grazie a quella istituzione caratteristica della nazione
moderna che è il sistema di istruzione pubblica standardizzato, di
massa, in cui l'insegnamento viene impartito spesso, ma non sempre,
in una lingua nazionale ufficiale. Qui, secondo Fichte e Mazzini,
l'ideologia del nazionalismo trova la sua vera vocazione: quella di
inculcare in ogni nuova generazione una coscienza e una volontà
nazionali adeguate. Ciò è assai diverso per molti aspetti
dall'istruzione a-sistematica e riservata alle élites che
caratterizzava le etnie premoderne, in quanto in questo caso si
trattava di forgiare una nazione attraverso un processo di
rieducazione collettiva, come è accaduto ad esempio in Giappone alla
fine del XIX secolo o in Turchia e Singapore nel corso del XX
secolo.
4. Modernismo ed etnosimbolismo
A cosa si possono attribuire il successo e l'onnipresenza della
nazione moderna? Alle condizioni della modernità e del capitalismo
moderno? È questa, per molti, l'ortodossia 'modernista' accettata
nella spiegazione del nazionalismo. Secondo la variante marxista la
nazione sarebbe una conseguenza della necessità del capitalismo
moderno, manifestatasi nel corso del XIX secolo, di disporre di
vasti mercati territoriali per la produzione e l'investimento; nelle
formulazioni più recenti il nazionalismo è considerato il prodotto
dello sviluppo ineguale del capitalismo, che espandendosi dai suoi
centri occidentali ha prodotto un senso di impotenza nelle élites
non occidentali, le quali possono rispondere solo mobilitando il
proprio 'popolo' attraverso il richiamo alla sua lingua e alla sua
cultura. Secondo la versione non marxista la nazione sarebbe frutto
degli scompensi creati da un processo di modernizzazione ineguale,
nonché dalla progressiva erosione della tradizione; ma soprattutto
essa risponderebbe alle esigenze di un sistema industriale moderno,
che richiede una forza lavoro mobile e istruita. In questa
prospettiva la nazione è essenzialmente espressione di una cultura
'alta', propria delle élites istruite, continuamente sostenuta e
rinnovata dal sistema di istruzione pubblica standardizzato, di
massa, il quale consente alla moderna società industriale di
funzionare e di prosperare.
Contro queste concezioni si può obiettare che le nazioni, se non il
nazionalismo, sono esistite in Europa sin dal tardo Medioevo, che il
nazionalismo spesso ha preceduto la nascita del capitalismo o
dell'industria in una determinata area, e che esso si è sviluppato
non già nelle zone periferiche del mondo, ma nei centri stessi del
capitalismo europeo, in genere assai prima della penetrazione del
capitalismo industriale. Cosa ancora più importante, molte nazioni
sono state costituite a partire da culture e legami etnici
preesistenti. Tutto ciò indica che le teorie 'moderniste' offrono
solo una spiegazione parziale del fenomeno. A prescindere dal fatto
che i nazionalismi etnici continuano a manifestarsi e a turbare la
stabilità anche degli Stati nazionali industriali e capitalistici
avanzati, gli approcci modernisti trascurano sia la persistente
importanza di culture, legami, tradizioni e sentimenti etnici
distintivi in molte parti del mondo, sia la forza d'impatto che essi
hanno ovunque su assai ampi segmenti degli strati sociali inferiori.
Un approccio alternativo, noto come 'etnosimbolismo storico', mette
l'accento per contro sulla necessità di prestare maggiore attenzione
alle memorie, ai miti, ai simboli e ai valori delle diverse etnie, e
di contrapporre ai modelli elitistici ortodossi, che adottano una
prospettiva 'dall'alto', un esame critico dei sentimenti e dei miti
popolari, nonché un'analisi dei reticoli sociali e delle culture
locali 'popolari' che i nazionalisti si propongono di mobilitare. In
questa prospettiva è l'individualità o il carattere distintivo di
ogni nazione e di ogni nazionalismo a costituire il punto di
partenza per ogni teoria globale, e non una qualche legge generale
della modernità; sono la presenza o assenza, la ricchezza o povertà,
la profondità o superficialità, il carattere religioso o laico,
conservatore o innovatore dell'etnostoria, nonché i miti, i simboli
e i rituali di ciascuna etnia a determinare la successiva evoluzione
del suo nazionalismo, il carattere e la forza di ogni nazione.
Se adottiamo questo approccio, di fronte al periodico erompere di
rivendicazioni e conflitti nazionalistici non saremo indotti a
concludere erroneamente che le nazioni e il nazionalismo sono meri
residui di un secolo passato, né che l'attuale rinascita del
nazionalismo è un fenomeno destinato a durare. Ciò che durerà,
probabilmente, non sarà questa o quella ondata di movimenti
nazionalistici, ma saranno i profili e i poteri di ogni nazione che
sia grande o piccola, centrale o periferica, arretrata o avanzata,
di tipo etnico o territoriale. Perché le nazioni moderne, se sono
destinate a durare, si fonderanno sui sentimenti popolari
preesistenti, sulle percezioni e sugli atteggiamenti di determinate
unità culturali di popolazione e sulle comunità e identità che essi
creano. Queste comunità e le relative identità derivano la propria
cultura e le proprie credenze dal patrimonio di simboli e leggende,
miti e memorie, rituali e tradizioni accumulatisi nel corso di
generazioni successive che hanno vissuto e lavorato insieme,
condividendo esperienze e vicissitudini in una terra comune. In
questa prospettiva la nazione non è solo una 'comunità immaginaria',
ma anche una comunità di cultura storica nel proprio territorio, una
comunità di storia e di destino che lega tra di loro e alla loro
terra le generazioni di un'unità culturale di popolazione, e
conferisce un'immortalità terrena attraverso il giudizio della
posterità. La nazione così diventa oggetto di una 'religione
surrogata' e la sua celebrazione regolare suscita emozioni religiose
attraverso manifestazioni rituali periodiche.
5. Nazionalismo e politica
Sul piano politico lo Stato nazionale resta l'attore principale
sulla scena internazionale. L'espressione 'Stato nazionale' indica
uno Stato dominato da una nazione 'centrale' e legittimato
dall'ideologia del nazionalismo. (Si può parlare di Stato-nazione
solo quando un'unica etnia risiede entro i confini di uno Stato,
quando nazione culturale e Stato territoriale sono coestensivi). La
maggior parte degli Stati sono dominati da una etnia principale o
strategica, sebbene alcuni nuovi Stati dell'Africa e dell'Asia (ad
esempio la Nigeria, il Kenya, l'Uganda, il Sudan, il Libano, l'Irak,
il Pakistan, la Malesia e l'Indonesia) derivino da colonie in cui
convivevano due o più etnie principali.Per molti teorici il
nazionalismo è principalmente una dottrina relativa al conseguimento
e alla conservazione del potere politico. Secondo questa dottrina,
l'unica forma legittima di governo è l'autogoverno nazionale; il
criterio per la creazione di uno Stato che essa indica è
fondamentalmente un criterio di ordine culturale: solo una cultura
omogenea e condivisa (di solito rappresentata dalla lingua, ma anche
dalla religione, dalle tradizioni e persino dai colori nazionali)
può giustificare la formazione di uno Stato; perciò i movimenti
separatisti devono dimostrare l'esistenza incontrovertibile di una
cultura specifica condivisa dalla maggior parte, se non da tutti,
gli abitanti del territorio secessionista. Analogamente, i movimenti
irredentisti, la diaspora e i pan-nazionalismi devono poter indicare
una cultura distintiva che tutti gli individui in questione hanno in
comune.
Naturalmente, come dimostra la storia della diaspora o dei movimenti
pan-nazionalistici, l'affinità culturale è relativa e in se stessa
non garantisce il successo politico. I nazionalisti devono passare
da un nazionalismo puramente culturale a uno di tipo politico, in
grado di mobilitare altri strati oltre agli intellettuali e ai
professionisti - i commercianti e i negozianti, gli impiegati e il
basso clero, gli artigiani e i soldati, persino i contadini e gli
operai - fornendo loro una cultura locale standard di cui potrebbero
essere privi. Questo processo di mobilitazione locale è spesso
accompagnato da una parallela tendenza alla purificazione della
cultura autoctona; tale purificazione può cominciare dai vocaboli e
dalle usanze straniere che vengono ritenuti una corruzione, ma può
finire per rivolgersi contro gli immigrati e le enclaves straniere.
È noto il percorso del nazionalismo tedesco, partito
dall'opposizione alla penetrazione della cultura francese per
approdare allo sterminio degli Ebrei; ma una strada analoga è stata
seguita da altri nazionalismi, anche se non sono arrivati sino
all'orrore finale. Questo atteggiamento è all'origine di numerosi
flussi di sventurati profughi - greci e turchi, indu e musulmani,
gitani, palestinesi, curdi, tamil, sudanesi meridionali, serbi,
croati, ecc. -, costante testimonianza del 'lato oscuro' del
nazionalismo.
All'interno degli Stati nazionali, sia di tipo etnico che di tipo
civico, rimane il problema di armonizzare etnie caratterizzate da
standard di vita, attitudini, storie e culture differenti.
Nell'Occidente ricco e democratico sono state tentate, con maggiore
o minore successo, diverse forme di partecipazione al potere delle
minoranze; qui, perlomeno, esistono i mezzi pacifici di arbitrato e
di riconciliazione messi a disposizione dalle prassi e dalle
tradizioni democratiche, anche se non sempre questi sono stati
efficaci e i conflitti più aspri - ad esempio nei Paesi Baschi e
nell'Irlanda del Nord - si sono dimostrati sinora refrattari a ogni
soluzione. Tali forme di partecipazione al potere tuttavia non sono
estese agli immigrati, ai Gastarbeitern, ai profughi e agli
stranieri, con risultati spesso tragici, come testimoniano in modo
raccapricciante in Germania le bombe incendiarie contro i Turchi e
la rinascita dell'antisemitismo.
Al di fuori dell'Occidente, peraltro, i rischi di esclusione dal
potere delle minoranze sono assai maggiori. In Africa e in Asia,
così come nell'America Latina, le etnie più povere sono spesso
trascurate o oppresse; la fame e la povertà inaspriscono il pesante
retaggio di oppressione coloniale, discriminazione e addirittura
genocidio per motivi di razza e di diversità culturale. Gli
Aborigeni in Australia, i Mohawk e i Cree in Canada, i Maya in
Messico sono alcune delle numerose popolazioni indigene che hanno
recentemente riaffermato i propri diritti etnici all'insegna del
nazionalismo, contro la minaccia dell'estinzione fisica o culturale.
Altre minoranze etniche - i Curdi, i Sikh, i Tamil, i Karen, i Moro,
i Sudanesi meridionali e gli Zulu - sostengono le loro
rivendicazioni attraverso guerre endemiche e spesso sanguinose
contro i regimi di Stati dominati da maggioranze etniche. Poche di
esse hanno avuto un qualche successo, in parte a causa delle proprie
divisioni interne, in parte per l'assenza di un significativo
sostegno esterno da parte delle altre nazioni e delle superpotenze.
L'opinione pubblica internazionale inoltre è stata fortemente ostile
ai movimenti di secessione etnici, e tale continua a essere
nonostante una maggiore disponibilità ad ammettere la legittimità
delle secessioni nei casi in cui cessano di esistere imperi o Stati
- come l'Unione Sovietica o la Iugoslavia - e la separazione è
frutto del consenso. Tuttavia, sebbene la creazione di diciotto
nuovi Stati a partire dal 1991 debba essere considerata un evento
eccezionale, essa costituisce un precedente per altri movimenti
etnonazionalistici.
6. Identità nazionale e unità europea
Nel secondo dopoguerra alcuni degli Stati nazionali dell'Europa
occidentale coinvolti nel conflitto armato hanno cercato di
costituire una più ampia federazione in grado di scongiurare il
ripetersi delle guerre che hanno devastato il continente, e di
assicurare ai suoi abitanti maggiore sicurezza e prosperità. Il
fatto che nella metà occidentale dell'Europa alcuni Stati sono
pronti a unire ampie aree di sovranità in un 'condominio'
internazionale, mentre nella metà orientale e nei Balcani si assiste
a una rinascita del nazionalismo etnico, ha messo in evidenza
l'urgente bisogno di una federazione europea. L'unificazione
dell'Europa presenta però notevoli problemi. Il processo
dell'integrazione europea è stato fortemente centralistico e
burocratico; gli interessi economici ne hanno costituito la forza
propulsiva, e i principali beneficiari risultano essere le élites
affaristiche e amministrative. Oltre a ciò, la tesi secondo cui
questo approccio 'dall'alto' sarà in grado di fornire il necessario
quadro istituzionale, nello stesso modo in cui lo Zollverein del
1834 fornì le basi per l'unificazione tedesca, non tiene conto del
fatto che l'idea di 'Europa' non possiede la base popolare e
culturale sulla quale poteva contare invece l'idea di 'Germania' dei
nazionalisti tedeschi. Affinché possano emergere una identità e una
comunità europee autentiche, la massa della popolazione di ciascuno
Stato del continente dovrebbe aver sviluppato non soltanto un
atteggiamento favorevole nei confronti dell'idea di Europa, ma anche
un forte senso di identificazione con essa, tanto da essere pronta a
compiere sacrifici significativi e addirittura a dare la propria
vita per l'Europa.
Il fatto che sia difficile ravvisare uno sviluppo di questo genere è
riconducibile a due problemi tra loro connessi: il carattere
piuttosto evanescente e astratto del concetto di identità europea e,
per converso, la natura vivida e tangibile delle identità nazionali
esistenti. Si tratta, ovviamente, di due facce della stessa
medaglia: manca un patrimonio comune di miti, simboli, memorie e
valori in grado di unire tutti gli abitanti dell'Europa, mentre
esistono miti, simboli, memorie e valori che li dividono invece così
palesemente lungo linee nazionali. Vi sono, ovviamente, ideali e
tradizioni paneuropei, ma essi hanno coinvolto solo una minoranza, o
sono stati assimilati dalle singole comunità come movimenti, stili,
tradizioni, ecc. di tipo nazionale. Il fatto che si possa parlare di
classicismo francese, di romanticismo tedesco, di Rinascimento
italiano, di rivoluzione industriale inglese, di Rivoluzione
francese, di calvinismo olandese attesta la forza degli schemi
concettuali nazionalistici, ma è anche segno della forte influenza
esercitata in Europa dalle differenze etniche e dagli Stati
nazionali. Per quanto riguarda poi tradizioni più ampie, come ad
esempio il diritto romano, l'etica giudaico-cristiana o la
democrazia greca, si tratta di un patrimonio culturale che non è
circoscritto all'Europa, ed è stato recepito in modo ineguale nelle
varie aree del continente.
La forza delle identità nazionali deriva anche dal fatto che i
confini tra le nazioni sono nettamente definiti. Tale chiara
delineazione dei confini ovviamente è più apparente che reale, data
la natura multietnica della maggior parte degli Stati nazionali
europei. Al confronto, infatti, i confini dell''Europa' appaiono
indeterminati e controversi, specialmente ad Est; sul piano
culturale, i criteri di delimitazione sono ambigui: problematico è
il caso dei paesi di religione ortodossa, per non parlare della
Turchia islamica o delle lingue tatare non indoeuropee. La mancanza
di una capitale concordemente designata per la 'patria' europea
riflette l'assenza di una storia comune, con i suoi centri
consacrati, i suoi monumenti, i suoi eroi, le sue cerimonie e i suoi
simboli. Questi ultimi sono stati essenziali per la nazione, perché
agli occhi dell'individuo la celebrazione della nazione è sempre
stata la chiave del potere del nazionalismo. Senza analoghe
celebrazioni, non può esservi un'Europa radicata nella fantasia e
nel cuore. Ciò peraltro non significa che, un giorno, l'Europa non
possa divenire oggetto di culto e non possa avere le sue feste e le
sue cerimonie, i suoi rituali e un seguito di massa. Nella
situazione attuale, comunque, ciò è ben lungi dal verificarsi. E se,
per uno strano caso, si verificasse, la celebrazione dell'Europa
assomiglierebbe a quello stesso nazionalismo che i paneuropeisti
speravano di cancellare, allo stesso modo in cui un'identità e una
comunità europee assumerebbero i caratteri di una 'supernazione' in
competizione con quelle altre grandi nazioni - America, Russia e
Giappone - che attualmente dominano il mondo diviso in nazioni.
7. Superamento delle nazioni?
L'ordinamento geopolitico basato sugli Stati nazionali non sembra
quindi in procinto di essere rimpiazzato da più ampie associazioni o
federazioni di Stati. E ciò nonostante la destabilizzazione che i
nazionalismi incoraggiano così spesso in differenti regioni del
mondo - o forse proprio a causa di essa. Per molti osservatori,
l'attuale ondata di nazionalismi è temporanea e superficiale;
allorché diverrà più evidente la globalizzazione dei nostri sistemi
economici, culturali e politici, assisteremo a una ridefinizione
degli Stati e a un superamento del nazionalismo. Le grandi società
transnazionali, con i loro enormi budgets, le loro operazioni su
vasta scala e il numeroso personale di cui dispongono hanno
sopravanzato la maggior parte degli Stati nazionali, mentre le poche
potenze restanti si vanno unendo in grandi blocchi
politico-economici. Fatto ancora più cruciale, i rapidi progressi
nella tecnologia informatica, nelle telecomunicazioni e nei media
elettronici indicano che lo Stato nazionale è diventato obsoleto, e
che le nazioni e il nazionalismo sono ridotti al livello di un
'folklore' i cui elementi forniscono il materiale per la cultura
globale 'postmoderna' che sta emergendo dalle molteplici culture
nazionali del passato.
Tuttavia l'attuale rinascita dei movimenti etnici o nazionalistici
non è affatto qualcosa di temporaneo o superficiale. Molti di essi
sono riemersi dopo anni di silenzio forzato, in particolare nell'ex
Unione Sovietica. I movimenti indipendentistici baschi e catalani,
scozzesi e fiamminghi, serbi e croati, curdi e armeni, ucraini e
lituani, risalgono alla fine del XIX secolo o all'inizio del XX
secolo. Anche movimenti postbellici come quelli dei Palestinesi, dei
Sikh, dei Karen, dei Tamil, dei Tibetani o degli Eritrei hanno avuto
un carattere durevole e globale. Può darsi che l'attuale fluidità
politica lasci il posto a un periodo di relativa stabilità, ma è
nella natura del nazionalismo, sin dalla sua prima irruzione sulla
scena del mondo con le Rivoluzioni americana e francese, 'reculer
pour mieux sauter', presentarsi a ondate, recedere e insorgere
nuovamente altrove. Non vi è dunque incompatibilità tra le tendenze
alla globalizzazione nella sfera economica e in quella politica e la
proliferazione di nazionalismi etnici o le riviviscenze
etnico-culturali. Al contrario, la comunicazione di massa e la
sofisticata tecnologia informatica possono contribuire a unire i
gruppi etnici, fornendo un supporto organizzativo per le loro
rivendicazioni.
Ancora una volta, tutti questi argomenti trascurano la resistenza
dello Stato nazionale e il persistente potere dei legami etnici in
ogni comunità nazionale. Le minacce a questo potere rappresentate
dalle ondate di immigrati e rifugiati, o dall'imperialismo dei mezzi
di comunicazione e dal consumismo di massa, oppure ancora dalle
grandi società capitalistiche transnazionali, contribuiscono solo a
rafforzare il richiamo esercitato dalle identità storiche e
nazionali. Con ciò non si vuole negare che tali identità cambino, e
che si siano per così dire 'sfilacciate' a contatto con le culture
degli immigrati; tuttavia la preponderanza sia storica che numerica
delle etnie dominanti in molti Stati nazionali pone dei limiti alle
possibili trasformazioni dei modelli nazionali di base. Altrove il
carattere 'situazionale' dell'identità nazionale è meno evidente. Si
tratta di una identità conferita agli individui in quanto cittadini
dello 'Stato nazionale' territoriale (ovvero uno Stato che aspira a
costituire una nazione in senso civico); in alternativa, tale
identità si basa sull'affiliazione etnica, che dipende a sua volta
dalla nascita e alla quale è impossibile sfuggire. Il conflitto tra
queste due forme di identità culturale collettiva, quella
territoriale-nazionale e quella etnico-nazionale, domina in molti
nuovi Stati dell'Africa e dell'Asia, e probabilmente continuerà nel
prossimo secolo, via via che una serie di etnie oppresse o sommerse
riaffermeranno i propri diritti collettivi e avanzeranno le loro
rivendicazioni politiche.Per il momento, quindi, e tenendo presenti
i conflitti etnici e le differenze nazionali in tante aree del mondo
(dalla Iugoslavia e dal Caucaso al Medio Oriente, all'India e al
Sudafrica), sarebbe azzardato affermare che l'epoca degli Stati
nazionali è finita, o parlare di un superamento della 'nazione' e
del 'nazionalismo'.