Abolizionismo
www.treccani.it
Nome di due movimenti sorti negli USA: il primo s’impegnò
per la soppressione della schiavitù, il secondo per la
cancellazione del XVIII emendamento (1917), che proibiva lo
spaccio di alcolici.
Il primo, di gran lunga più significativo,
contribuì alla ristrutturazione della nazione. Alla vigilia
della guerra d’indipendenza la popolazione nera era di circa
500.000 individui, poi il nuovo clima politico e la crisi del
tabacco fecero intravedere l’estinzione del fenomeno. Tra il 1777
e il 1804 la schiavitù fu abolita in tutti gli Stati a N
del Maryland e fu minacciata anche nel Sud dalla proibizione della
tratta nel 1808. Tuttavia lo sviluppo della coltura del cotone le
ridette vita. Mentre il numero degli schiavi si moltiplicava,
giungendo a circa 4.000.000 nel 1860, gli Stati meridionali
vararono provvedimenti per assicurarne l’assoluta sottomissione.
Nutrito di spinte divergenti (politiche, religiose e sociali), il
movimento ebbe le sue prime tappe nella fondazione del giornale
The Liberator (1831) e della Società americana
antischiavista a Filadelfia (1833), trovando i suoi leader in W.L.
Garrison e a W. Phillips. In seguito si diffuse in tutto il Nord
senza riuscire veramente a consolidarsi, poiché molti
conservatori temevano le possibili conseguenze. Il fronte
abolizionista inoltre fu travagliato da scissioni e lotte sul
problema se restare un semplice movimento o trasformarsi in
partito politico. Tuttavia esso ebbe battaglia vinta con la guerra
di Secessione e la sconfitta degli Stati schiavisti del Sud
(1861-65).
Movimenti
Enciclopedia italiana
di Howard R. Marraro
LIBERTY PARTY. - Partito politico nordamericano, organizzatosi
negli stati del Nord nel 1839, e scioltosi nel 1848. Suo scopo
principale fu di combattere la schiavitù con mezzi
politici.
Malcontenti dei risultati ottenuti dai seguaci delle dottrine di
William Lloyd Garrison, gli antischiavisti più pratici, a
capo dei quali era Myron Holley, ritennero che solo per mezzo di
un nuovo partito si potesse ottenere un esito più
favorevole. Il primo aprile 1840, si decise di adottare il nome di
partito della libertà (Liberty Party). Il 12 maggio 1841 si
tenne a New York la prima vera assemblea nazionale, alla quale
erano rappresentati tutti gli stati della Nuova Inghilterra, New
York, Pennsylvania, New Jersey, Ohio e Indiana, e alla quale si
decise di porre la candidatura di J.G. Birney e Thomas Morris per
le elezioni presidenziali del 1844. Questa scelta fu confermata
alla convenzione tenuta a Buffalo il 3 agosto 1844. Alle elezioni,
su un totale di 2.500.000 voti, il partito ne ottenne solo 62.300,
dei quali 15.812 da New York. All'ultima assemblea nazionale del
partito tenuta a Buffalo il 20 ottobre 1847, si scelsero come
candidati alla presidenza e alla vice presidenza, John P. Hale e
Leicester King, ma ormai si parlava di fondere il partito col
nuovo partito abolizionista (Free Soil Party). I due candidati si
ritirarono dopo la scelta del Van Buren e all'infuori
dell'attività di un piccolo gruppo che ancora sosteneva che
la schiavitù potesse essere abolita mediante un semplice
atto del Congresso, il partito della libertà cessò
di esistere.
Enciclopedie on line
Free-soil party
Partito politico, organizzato negli Stati Uniti nel 1847-48 per
opporsi all’estendersi della schiavitù ai nuovi territori
acquistati dal Messico.
Personaggi
Enciclopedie on line
Lincoln Abraham. - Statista statunitense (Hodgensville, Kentucky,
1809 - Washington 1865), sedicesimo presidente degli Stati Uniti
d'America. Avvocato autodidatta, convinto antischiavista, fu
deputato per i whig dal 1834 al 1842 al parlamento dell'Illinois e
successivamente al Congresso (1846-49), mentre dal 1856
aderì al nuovo partito repubblicano. La sua elezione a
presidente nel 1860 provocò una sollevazione degli stati
schiavisti, cui seguì la creazione di una confederazione
indipendente e la guerra di secessione. Nel 1863 L. emanò
il proclama di emancipazione dei neri, che aboliva la
schiavitù limitatamente, però, agli Stati
scissionisti. Riconfermato presidente nel 1864, l'anno successivo
fece approvare al Congresso l'emendamento alla Costituzione che
sanciva l'abolizione della schiavitù in tutta l'Unione
americana. Fu ucciso poco dopo la resa definitiva dei sudisti.
Vita e attività
Figlio primogenito di modesti coloni quaccheri, ebbe una
giovinezza stentata, prima mozzo sulle zattere per il trasporto
del legname a New Orleans, poi carpentiere, garzone di negozio
nell'Illinois (1831). L'anno dopo partecipò valorosamente,
col grado di capitano, alla guerra contro la tribù indiana
di Black Hawk; candidato whig all'assemblea legislativa
dell'Illinois (1832), fu battuto nelle elezioni dai democratici,
ma riuscì per la legislatura del 1834, e da quell'anno fino
al 1842 fu deputato per il partito whig, segnalandosi soprattutto
per una prima coraggiosa presa di posizione contro lo schiavismo.
Dal 1837 esercitò l'avvocatura (L. non aveva seguito studi
regolari e si era preparato da solo per superare gli esami di
abilitazione alla pratica forense), ottenendo largo successo
professionale e acquistando una posizione dominante nella
direzione del suo partito, che nel 1846 rappresentò al
Congresso federale, dove assunse posizione contraria alla guerra
che il governo degli USA aveva iniziato contro il Messico;
presentò anche (1849) un importante schema di legge per
impedire l'introduzione della schiavitù nei territori
messicani annessi all'Unione. Scaduto quell'anno il mandato
parlamentare, L. si ritirò a vita privata.
La questione della schiavitù, resa improvvisamente acuta
nel paese dalla presentazione, da parte di S. A. Douglas, del
Kansas-Nebraska Act (1854), che apriva tutto il territorio di
nord-ovest allo sfruttamento dei neri, provocò il suo
repentino ritorno sulla scena pubblica; e il discorso di Peoria
del 16 ott. 1854, col quale fondava la sua tesi antischiavista sul
principio, umanitario e democratico, che "i nuovi stati liberi
sono le terre dove possono andare i poveri per migliorare la loro
condizione", lo rendeva celebre. Nelle elezioni senatoriali del
1858, L. soccombette di fronte a Douglas, suo diretto avversario,
ma dopo averlo battuto presso l'opinione pubblica nazionale con
una serie di discorsi che contribuirono in modo decisivo alla
crisi politica dei democratici e alla affermazione del nuovo
grande partito repubblicano. Di questa formazione L. era entrato a
far parte nel 1856 e, negli anni successivi, ne fu l'organizzatore
infaticabile, nella convinzione che la battaglia antischiavista
contro gli stati del Sud potesse essere vinta solo mediante la
realizzazione di quel più organico accentrato potere
statale, che costituiva la base programmatica della nuova
formazione politica.
Nella National Convention del partito, riunitosi a Chicago nel
maggio 1860, L. fu scelto come candidato alla presidenza degli
USA. Il risultato favorevole delle elezioni provocava di riflesso,
non appena conosciuto, l'insurrezione degli schiavisti, e
già un mese prima che L. potesse essere insediato come
presidente degli USA (4 marzo 1861), il movimento di secessione
del Sud si concludeva con la formazione di una confederazione
indipendente. Neppure l'appello rivolto da L. in spirito di
tollerante moderazione nel discorso inaugurale della sua
presidenza al popolo americano del Sud, perché non
distruggesse l'Unione, poté impedire lo scoppio della
guerra di secessione.
Nella condotta politica della guerra, L. mostrò grande
abilità: prudente all'inizio, quando attese che il nemico
sferrasse il primo colpo (come effettivamente avvenne, il 12 apr.
1861, a Charleston) per chiamare alle armi il popolo del Nord, che
solo al principio del 1862 fu da lui impegnato con la parola
d'ordine della lotta antischiavista, allorché si accorse
che il radicalismo di una siffatta impostazione era la migliore
garanzia contro il minacciato riconoscimento della Confederazione
del Sud da parte delle potenze europee, e la migliore arma per
mettere in crisi il sistema economico del nemico.
Il 1º genn. 1863 L. emanò il proclama di
emancipazione della popolazione negra, limitatamente però
ai territorî controllati dai Confederati (il provvedimento
non si applicava agli stati schiavisti dell'Unione, né alle
zone sottratte ai Confederati dalle truppe federali; l'abolizione
totale fu sancita dal 13º emendamento alla Costituzione,
votato dal Congresso il 31 genn. 1865).
Il successo delle operazioni confortò la sua politica e la
crescente popolarità gli assicurò la vittoria quasi
plebiscitaria nelle elezioni presidenziali del 1864, nonostante
l'opposizione all'interno del suo proprio partito. Ma il discorso
dell'11 apr. 1865, in cui all'indomani della resa di Lee egli
esaltò l'avvenuto ristabilimento dell'autorità
nazionale nel trionfo dei principî di democrazia
repubblicana, fu anche il suo testamento politico: tre giorni
dopo, in un palco del teatro di Washington, era assassinato da G.
W. Booth, fanatico partigiano della secessione.
Brown John. - Agitatore politico (Torrington, Conn., 1800 -
Charlestown, Va., 1859), condotta una vita irrequieta, solo dopo il
1840 prese vivo interesse alla questione della schiavitù,
schierandosi per l'abolizionismo. Recatosi a Osawatomie nel Kansas
(1854), vi compì un eccidio di bianchi schiavisti. Nel
1856-57 raccolse fondi per creare nelle montagne della Virginia un
rifugio per schiavi fuggiaschi. E svolse in quegli anni
un'attività febbrile finché nel 1859, presso Harper's
Ferry (Virginia), mentre tentava un colpo di mano sull'arsenale,
ferito, fu fatto prigioniero e, malgrado le proteste del Nord,
condannato all'impiccagione.
Parker Theodore. - Predicatore (Lexington, Massachusetts, 1810 -
Firenze 1860). Membro della Chiesa unitariana, oratore vigoroso ed
essenziale, dal 1840 P. sviluppò una concezione antiteologica
del cristianesimo (The transient and permanent in Christianity,
1841; A discourse on matters pertaining to religion, 1842) nella
quale si spingeva a negare la speciale autorità della Bibbia
e l'origine soprannaturale di Gesù. Da allora in poi,
predicatore indipendente, si dedicò con fervore appassionato
a problemi di riforma sociale, soprattutto nella campagna
antischiavista.
Sumner Charles. - Uomo politico statunitense (Boston 1811 -
Washington 1874). Avvocato, nel 1842 uscì dai whigs, fondando
il partito antischiavista Free Soil e nel 1851 fu eletto senatore
per il Massachusetts. Presidente della commissione affari esteri del
Senato (dal 1860), durante la guerra di Secessione continuò a
sostenere la completa emancipazione dei Neri, battendosi in seguito
affinché venisse loro concesso il suffragio. Appoggiò
l'impeachment del presidente Johnson (1868) e si oppose al progetto
di annessione di Santo Domingo del presidente Grant, che
riuscì a estrometterlo dalla carica.
Andrew John Albion. - Filantropo e uomo politico statunitense
(Windham, Maine, 1818 - Boston 1867), membro della Chiesa
unitariana; antischiavista, dapprima moderato, ma in prima linea
dopo l'impiccagione di John Brown (1859). Sostenne la candidatura di
Lincoln; governatore del Massachusetts (1860-66), organizzò
rapidamente il suo stato per la guerra civile, e fu tra coloro che
spinsero Lincoln a emancipare subito gli schiavi e a condurre la
guerra con energia (1862), armando anche i Neri. A guerra finita,
sostenne finché poté la politica di conciliazione.
Wikipedia
L'abolizionismo è un movimento politico, determinato anche da
motivazioni d'ordine economico legate alla prima rivoluzione
industriale, e un'istanza morale, basata su considerazioni
umanitarie che emergono nella cultura illuministica, per
l'abolizione del commercio degli schiavi e la soppressione della
schiavitù che nasce e si sviluppa in Europa e in America tra
la fine del secolo XVIII e il secolo XIX.
L'abolizionismo teorico
Nel mondo antico, che definiva giuridicamente lo schiavo neppure un
animale ma un "istrumentum vocale", un utensile provvisto di voce,
la volontà di trattare umanamente gli schiavi o addirittura
di abolire la schiavitù era presente in filosofi come Seneca
che riteneva essere la schiavitù una istituzione priva di
ogni base giuridica, naturale e razionale. Per questo, diceva, gli
schiavi vanno trattati come tutti gli altri esseri umani
(«servi sunt, immo homines» sono servi anzi uomini) e
così per le differenze sociali: "Che significa cavaliere,
liberto, schiavo. Sono parole nate dall'ingiustizia." (Epistole,
31).
Ma in fondo, aggiungeva, la vera schiavitù è quella
che assoggetta gli uomini alle passioni e ai vizi. Tutti noi siamo
schiavi spiritualmente e solo la filosofia può liberarci.
Quindi vi è nel mondo un'ingiustizia di fondo verso cui
è inutile ribellarsi.
Il supremo valore dell'uguaglianza di tutti gli uomini per cui lo
schiavo è pari al suo padrone venne proclamato dal
cristianesimo, ma nella pratica il principio religioso venne a
scontrarsi con le strutture sociali che da secoli codificavano la
schiavitù, su cui si basava l'intero sistema economico, e
dové necessariamente adattarsi al compromesso per cui gli
schiavi rimasero tali di fatto e di diritto.
Del resto tutte le storture della società erano la
conseguenza del peccato originale. Scriveva l'abate Smaragdo di
Saint-Mihiel sotto Luigi il Pio «Non è la natura che ha
fatto gli schiavi è la colpa» e allo stesso modo nel VI
secolo Isidoro di Siviglia: «La schiavitù è un
castigo inflitto all'umanità dal peccato del primo
uomo», e
«Poiché la vita presente non è che un luogo di
passaggio transitorio e cattivo per definizione , poiché il
grande problema di quaggiù è di prepararsi alla Vita
Eterna, intraprendere una riforma da capo a fondo dell'ordine
sociale stabilito nella speranza di portare il trionfo di una
felicità di per se stessa impossibile, non potrebbe essere
che un'opera vana; assai di più uno sperpero sacrilego di
forze che dovevano essere riservate per un compito più
urgente e più alto...»
La Chiesa stessa quindi, diventata un'istituzione, possedeva un gran
numero di schiavi e se qualcuno, in aderenza alla parola evangelica,
voleva mettere in pratica il principio cristiano dell'eguaglianza in
Cristo di tutti gli uomini, questi andava severamente condannato.
Nel concilio di Granges (324) si affermava: «Se qualcuno sotto
il pretesto della pietà, spinge lo schiavo a disprezzare il
suo padrone, a sottrarsi alla schiavitù, a non servire con
buona volontà e rispetto, che egli sia scomunicato» Un
problema particolare si poneva poi alla Chiesa riguardo alla
possibilità degli schiavi di essere consacrati al sacerdozio:
cosa da tutti ritenuta impossibile poiché un uomo come lo
schiavo sottoposto secondo la legge al potere assoluto di un padrone
non avrebbe avuto l'indipendenza e la libertà necessaria a
chi dispensava i sacramenti.
La morale cristiana e l'abolizionismo
In questo modo la Chiesa confermava l'accettazione della
schiavitù ma nello stesso tempo introducendo validità
religiosa ai matrimoni contratti dagli schiavi e promuovendo la pia
pratica dell'affrancamento, non un dovere ma un atto raccomandabile,
contribuiva concretamente all'abolizione della schiavitù che
ad opera dei re cristiani sparì quasi del tutto in Europa
alla fine del X secolo pur sopravvivendo però quella forma di
transizione dalla condizione di schiavo a quella di libero
rappresentata dalla servitù della gleba[4] che permase in
Europa sino al XIX secolo quando fu abolita con l'emancipazione
decisa in Russia nel 1861 dallo zar Alessandro II.
La Chiesa con papa Gregorio XVI aveva già nel 1839 proclamato
l'abolizione dello schiavismo.
L'abolizionismo per l'Impero e la Chiesa nel Cinquecento
Si tornò in Europa a discutere di abolizione della
schiavitù con la scoperta del Nuovo Mondo che entrò a
far parte dell'Impero spagnolo. Carlo V nel decreto del 1526, su
parere del Consiglio Reale delle Indie, istituito per la protezione
degli Indios, proibiva la schiavitù in tutto l'Impero.
Il 2 giugno del 1537, papa Paolo III in una sua lettera Veritas ipsa
indirizzata al cardinale Jean de Tavera, arcivescovo di Toledo,
dichiarava che gli Amerindi sono esseri umani che hanno diritto alla
libertà e alla proprietà condannando decisamente la
pratica della schiavitù: argomenti questi ribaditi
ufficialmente, quasi con le stesse parole, con la bolla pontificia
Sublimis Deus pubblicata pochi giorni dopo.
La scoperta del Nuovo Mondo aveva infatti posto nuovi problemi
teologici alla Chiesa. «Già la stessa esistenza della
popolazione americana su terre così lontane da ogni altro
continente conosciuto faceva sorgere la questione di spiegarne
l'origine e il passaggio sul Nuovo Mondo in maniera conforma al
racconto della Genesi...» e d'altra parte veniva a mancare
«...quella che era stata una convinzione unanime dei teologi
medioevali che cioè non esistesse alcun paese al mondo in cui
il Vangelo non fosse stato predicato» (R. Romeo, Le scoperte
americane nella coscienza italiana del Cinquecento, Ricciardi,
Milano-Napoli, 1959)
Si trattava di stabilire «quali possibilità di salvezza
avesse l'uomo virtuoso rimasto nell'ignoranza della religione»
(op.cit.ibidem)
La Chiesa rispose in maniera straordinariamente moderna sostenendo
che anche i popoli rimasti fuori della Chiesa potevano partecipare
della salvezza grazie all'assistenza diretta dell'Onnipotente. Il
che voleva dire affermare la fondamentale uguaglianza di tutti gli
uomini e di tutte le nazioni così come avrebbe sostenuto il
frate Bartolomeo de Las Casas che difendendo l'indigeno americano
difendeva l'uomo in quanto tale.
Il dibattito sull'abolizionismo
Nonostante le leggi protettive delle popolazioni d'America
continuò lo sfruttamento degli Indios al punto che fin dal
1516 il frate Las Casas per evitarne l'estinzione totale si era
fatto promotore del trasferimento in America dei negri dell'Africa e
ciò veniva auspicato anche per motivazioni economiche in
quanto i negri apparivano assai più idonei a resistere alle
fatiche.
Era chiaro anche che con i massacri degli Indios: «Vostra
Maestà e la sua reale corona perdono grandi tesori e
ricchezze che in tutta giustizia potrebbero ottenere , tanto dai
vassalli indiani, quanto dalla popolazione spagnola, che se
lasciasse vivere gli indiani, diverrebbe grande e potente, il che
non sarà possibile se gli indiani muoiono».
Si stabilì così che ad ogni colono spagnolo fosse
concesso il diritto di importare dodici negri africani con l'obbligo
di liberare e rimandare i suoi indiani ai loro villaggi e a quello
che rimaneva delle loro terre.
«Di questo consiglio il prete Las Casas si pentì
grandemente, poiché poté vedere e constatare che la
cattività dei Negri è altrettanto ingiusta che quella
degli Indiani...che l'ignoranza in cui si trovava e la sua buona
volontà lo facciano perdonare dal giudizio divino...»
(Istoria o Brevissima Relazione della Distruttione dell'Indie
Occidentali di Mons. Reverendissimo Don Bartolomeo Dalle Case,
Sivigliano dell'ordine dei Predicatori trad. di G.Castellani,
Venezia, 1643)
La Brevissima relazione sulla distruzione delle Indie occidentali
che il Las Casas inviò al re di Spagna nel 1542 denunciando
il genocidio degli Indios causò l'accesa reazione dei coloni
che, accusandolo di aver tradito la sua razza e la sua religione, lo
costrinsero a lasciare la sua diocesi di Chiapas e a ritornare in
Spagna.
Le tesi di Juan Ginés de Sepúlveda
Di fronte alla relazione di B. De Las Casas, la Spagna fu scossa da
un vasto dibattito tra i sostenitori della schiavitù e gli
"abolizionisti". A sostegno dei primi un alto funzionario, il
cronachista imperiale Juan Ginés de Sepúlveda scrisse
nel 1547 un Trattato sopra le giuste cause della guerra contro gli
indi (in G. Gliozzi, La scoperta dei selvaggi. Antropologia e
colonialismo da Colombo a Diderot, Principato, Milano, 1971)
Secondo Sepùlveda, rifacendosi anche all'autorità di
Aristotele, gli Indios non sono uomini ma omuncoli, servi per
natura. La loro essenza umana è tale da destinarli
inesorabilmente a divenire schiavi. Essi nascono come servi in
potenza che diverranno prima o poi schiavi in atto e che proprio
«...per la loro condizione naturale , sono tenuti
all'obbedienza, in quanto il perfetto deve dominare
sull'imperfetto.». Le prove di questa loro inferiorità
naturale risiedono nel fatto che essi sono privi di cultura e di
leggi scritte, che per loro ignavia si sono lasciati conquistare da
un così piccolo numero di spagnoli e che infine anche quelli
ritenuti i più civili tra loro, gli Aztechi eleggono i loro
re invece di più civilmente designarli per successione
ereditaria.
«Le idee esposte da Sepùlveda» scrisse Laurette
Séjourné, archeologa ed etnologa francese
«furono biasimate dalle autorità stesse che avevano
sollecitato l'aiuto del casista e il manoscritto fu successivamente
rifiutato dal Consiglio delle Indie e dal Consiglio Reale, dopo che
le venerabili Università di Salamanca e di Alcalà
ebbero dichiarato l'opera indesiderabile «per la sua dottrina
malsana» (in Antiguas culturas precolombinas, México,
Siglo XXI de España editores, 1976.)
Ma data la buona volontà del governo spagnolo per un umano
trattamento degli Indios cosa nella pratica lo impediva?
Innanzitutto era lo stesso sistema dell'encomienda, cioè
dell'assegnazione ai coloni spagnoli non solo della piena
disponibilità della terra ma anche degli indios che vi
risiedevano con l'obbligo teorico dell'assistenza e della
conversione al cristianesimo.
Inoltre data l'impossibilità di applicare il sistema feudale
alle popolazioni americane l'ipotetico diritto dell'indio, vittima
di angherie e crudeltà, di chiedere giustizia ad
un'autorità superiore a quella del colono suo padrone, era
possibile solo con un appello diretto al lontanissimo imperatore in
Spagna, al Consiglio reale e supremo delle Indie corte suprema di
giustizia per tutte le cause civili e penali dei regni americani.
Le tappe dell'abolizione nel mondo
Non a caso l'abolizionismo, come movimento politico comincia a
tradursi in concreti atti di legge a cominciare dal 1700
contemporaneamente alla diffusione delle idee illuministiche di
libertà e uguaglianza di tutti gli uomini.
Francia
In Francia, la voce "Tratta dei negri" dell'Encyclopédie
redatto da Louis de Jaucourt nel 1776 condanna la schiavitù e
il commercio degli schiavi che «viola la religione, la morale,
le leggi naturali, e tutti i diritti naturali dell'uomo».
Jacques Pierre Brissot fonda la Società degli amici dei Neri
nel 1788; ma, malgrado gli sforzi dei suoi importanti membri,
l'abate Henri Grégoire, Condorcet, non riesce ad ottenere
l'abolizione dello schiavismo dall'Assemblea costituente.
Solo il 4 febbraio del 1794 la Convenzione nazionale abolisce la
schiavitù convalidando e estendendo la decisione unilaterale
del commissario civile di San Domingo presa con il decreto
d'abolizione della schiavitù del 29 agosto 1793.
In questo modo la Convenzione si proponeva di conseguire due
risultati: sedare la rivolta degli schiavi in San Domingo e
contrastare le minacce che venivano dai sostenitori della monarchia
e una possibile invasione inglese.
E in vero il decreto abolizionista non fu applicato in tutte le
colonie francesi.
Sarà Napoleone a ristabilire con la legge del 30 floreale
dell'anno decimo (20 maggio 1802) lo schiavismo nei territori
d'oltremare. L'imperatore cedeva alle richieste della famiglia di
sua moglie Giuseppina di Beauharnais che discendeva dai primi coloni
di San Domingo e alle insistenze dei coloni bianchi che sostenevano
di non poter più assicurare la loro sopravvivenza e quella
delle loro piantagiani se non utilizzando una manodopera servile.
Sempre in età napoleonica furono proibiti i matrimoni misti.
La necessità di dare ai francesi una costituzione di tipo
liberale e un clima di pacificazione spinse Napoleone, dopo il
ritorno in Francia dall'isola d'Elba, a decretare l'abolizione
immediata della schiavitù che nel 1802 aveva causato una vera
guerra d'indipendenza a San Domingo con protagonista il celebre
Toussaint Louverture
Il decreto abolizionistico napoleonico sarà confermato dal
Congresso di Vienna con il Trattato di Parigi del 20 novembre 1815
ma in realtà non fu mai applicato durante l'età della
Restaurazione. Tant'è che ancora nel 1834 nasceva la
"Società francese per l'abolizione della schiavitù"
presieduta da Victor de Broglie.
Victor Schoelcher, sottosegretario per la Marina e per le colonie,
durante il governo provvisorio seguito in Francia alla Rivoluzione
del 1848 fece adottare il decreto del 27 aprile dello stesso anno,
sull'abolizione della schiavitù nelle colonie.
Medaglione ufficiale della Società Britannica contro lo
Schiavismo
Inghilterra
Fin dal 1772 il giudice britannico Granville Sharp stabilisce il
criterio che qualunque schiavo fuggito dalla colonie riesca a
calcare il suolo inglese diverrà automaticamente un uomo
libero.
Nel 1783 i quaccheri inglesi promuovono la prima associazione per la
liberazione degli schiavi(Abolition Society).
Nel 1789 viene fondata la Society for Effecting the Abolition of the
Slave Trade ("Società per l'abolizione della tratta"), un
movimento abolizionista organizzato voluto, tra gli altri, dal
deputato William Wilberforce e dall'attivista Thomas Clarkson, con
il sostegno del primo ministro William Pitt.
La Camera dei Comuni nel 1807 delibera il divieto di attracco nelle
navi negriere nei porti inglesi e nel 1815 sarà la marina
britannica, su mandato del Congresso di Vienna a fare applicare il
divieto internazionale della tratta degli schiavi.
Nel 1833 il Parlamento inglese decreta la liberazione degli schiavi
nelle colonie.
Paesi extraeuropei
1770: Le società quacchere della Nuova Inghilterra
proibiscono ogni pratica schiavistica.
1774: il Rhode Island abolisce la schiavitù.
1777: la schiavitù è abolita nel Vermont.
1789 (4 marzo): la Costituzione degli Stati Uniti entra in vigore e
legittima lo schiavismo in un gran numero di stati in particolar
modo del Sud. Uno dei suoi articoli permette ai proprietari di
schiavi di calcolare il numero dei voti a partire dall'equazione 1
nero= 3/5 di un bianco.
1807: Gli Stati Uniti vietano l'importazione di schiavi.
1820: la Female Anti-slavery Society americana denuncia lo
schiavismo come pratica immorale.
1822: per iniziativa di filantropi statunitensi viene fondata in
Africa una colonia di schiavi liberati chiamata Liberia che nel 1847
diviene uno dei primi stati africani indipendenti.
1832: viene fondata la "Società antischiavista americana"
1845: il governo federale degli Stati Uniti concede al Texas,
entrato nella Confederazione di mantenere la sua legislazione
schiavista: ne nasce un contrasto con gli Stati abolizionisti.
1847 (26 dicembre): l'Impero ottomano abolisce la schiavitù.
1852: viene pubblicato il romanzo di Harriet Beecher Stowe La
capanna dello zio Tom che vende un milione e mezzo di copie, cifra
notevolissima per l'epoca. Le tesi di un moderato abolizionismo
condite da un superficiale umanitarismo hanno successo e diffondono
l'abolizionismo presso l'opinione pubblica.
1854: il Venezuela sotto la presidenza di José Gregorio
Monagas, inserisce nella Costituzione l'abolizione definitiva della
schiavitù.
1859: in Virginia viene impiccato l'abolizionista bianco John Brown
reo di aver incitato alla rivolta gli schiavi neri delle
piantagioni. Diverrà il martire dell'ideale abolizionista.
1865: ormai conclusa la Guerra di secessione il governo USA decreta
la fine della schiavitù in tutta la nazione con il XIII
emendamento alla Costituzione voluto da Abraham Lincoln (1809–1865),
16º Presidente degli Stati Uniti d'America. Fu il presidente
che si adoperò per porre fine alla schiavitù, prima
con la Proclamazione dell'Emancipazione (1863), che liberò
gli schiavi negli Stati dell'Unione, e poi con la ratifica del
Tredicesimo Emendamento della Costituzione Americana.
La posizione di Lincoln riguardo alla liberazione dalla
schiavitù degli Afro-Americani è a tutt'oggi oggetto
di controversie, nonostante la frequenza e la chiarezza con cui la
sostenne sia prima della sua elezione come presidente (vedi
Controversie Lincoln-Douglas del 1858) sia dopo (vedi Primo discorso
inaugurale di Lincoln). Espose la sua posizione con forza e in brevi
parole in una lettera a Horace Greeley del 22agosto 1862:
Abraham Lincoln
«Io salverei l'Unione. La salverei nella maniera più
rapida al cospetto della Costituzione degli Stati Uniti. Prima
potrà essere ripristinata l'autorità nazionale,
più simile sarà l'Unione "all'Unione che fu". Se ci
fosse chi non desidera salvare l'Unione a meno di non poter al tempo
stesso sconfiggere la schiavitù, io non sarei d'accordo con
costoro. Il mio obiettivo supremo in questa battaglia è di
salvare l'Unione, e non se porre fine o salvare la schiavitù.
Se potessi salvare l'Unione senza liberare nessuno schiavo, io lo
farei; e se potessi salvarla liberando tutti gli schiavi, io lo
farei; e se potessi salvarla liberando alcuni e lasciandone altri
soli, io lo farei anche in questo caso. Quello che faccio riguardo
alla schiavitù, e alla razza di colore, lo faccio
perché credo che aiuti a salvare l'Unione; e ciò che
evito di fare, lo evito perché non credo possa aiutare a
salvare l'Unione. Dovrò fermarmi ogni volta che
crederò di star facendo qualcosa che rechi danno alla causa,
e dovrò impegnarmi di più ogni volta che
crederò che fare di più rechi giovamento alla causa.
Dovrò provare a correggere gli errori quando dimostreranno
d'essere errori; e dovrò adottare nuove vedute non appena
mostreranno di essere vedute corrette...Ho sostenuto qui i miei
propositi in accordo con il punto di vista dei miei obblighi
ufficiali; e non ho intenzione di modificare la mia più volte
ribadita volontà personale che tutti gli uomini possano
essere liberi»
In ogni caso, al momento in cui scrive questa lettera, Lincoln stava
già andando verso l'emancipazione, cosa che avrebbe portato
alla Proclamazione dell'emancipazione.
È inoltre rivelatoria la sua lettera scritta un anno dopo a
James Conkling il 26 agosto 1863, che includeva il seguente
estratto:
«C'è voluto più di un anno e mezzo per
sopprimere la ribellione prima che fosse tenuta la proclamazione,
gli ultimi cento giorni dei quali passati con l'esplicita coscienza
che stava arrivando, senza essere avvertita da quelli in rivolta,
ritornando alle loro faccende. La guerra è progredita in modo
a noi favorevole dall'annuncio della proclamazione. So, per quanto
sia possibile conoscere le opinioni degli altri, che alcuni
comandanti delle nostre armate in campo, che ci hanno dato i
successi più importanti, credono nella politica
dell'emancipazione e l'uso delle truppe di colore costituisce il
colpo più pesante finora sferrato alla Ribellione, e che
almeno uno di questi importanti successi non sarebbe stato raggiunto
se non fosse stato per l'aiuto dei soldati neri. Tra i comandanti
che hanno queste opinioni ve ne sono alcuni che non hanno mai avuto
alcuna affinità con quello che viene chiamato abolizionismo o
con le politiche del partito repubblicano ma le sostengono dalla
prospettiva puramente militare. Sottometto queste opinioni come
intitolate ad una certa rilevanza contro le obiezioni spesso mosse
che emancipare ed armare i neri siano scelte militari poco sagge e
non siano state adottate come tali in buona fede.»
1888: l'imperatore del Brasile Pietro II abolisce lo schiavismo.
1926: la Società delle Nazioni stabilisce la fine della
tratta e della schiavitù per tutti i paesi aderenti.
1935: l'Italia abolisce la schiavitù in Abissinia.
1980: la Mauritania è l'ultimo paese ad avere ufficialmente
abolito la schiavitù.
Le motivazioni economiche dell'abolizionismo
Cause ideologiche ed economiche dell'abolizionismo possono essere
ben identificate nella Guerra di secessione americana. Qui ai motivi
religiosi e a quelli ideali umanitari, nati in Europa in epoca
illuminista e trasmigrati in America, della liberazione degli
schiavi si aggiunsero le motivazioni economiche che si svilupparono
con il progresso industriale che pretendeva che gli Stati Uniti
avessero un sistema unitario della produzione. Al protezionismo
degli stati industriali del nord che si avvalevano del lavoro di
operai salariati si contrapponeva il regime liberoscambista degli
stati agricoli schiavisti del Sud.
Tra le cause della guerra emerge infatti la necessità per gli
Stati del Nord di un'adeguata industrializzazione e modernizzazione
dell'agricoltura in tutto il territorio nazionale con l'introduzione
di macchine agricole e di un'agricoltura condotta con metodi
industriali.
Caricatura ottocentesca dell'abolizionismo
Non era tollerabile che l'agricoltura del Sud fosse incentrata
soprattutto sulla monocoltura del cotone e che si utilizzasse ancora
manodopera servile.
Lo schiavo era un cattivo affare, era l'illusione di un lavoro
gratuito mentre richiedeva spese per il suo mantenimento in vita e
per la sua sorveglianza; al contrario l'operaio salariato doveva
cavarsela da solo per il suo mantenimento legato alla paga ricevuta.
Numerosi economisti come Adam Smith, Sismondi avevano stimato che il
costo della manodopera servile era superiore a quello della
manodopera salariata: «L'esperienza di ogni tempo e luogo
dimostra che il lavoro degli schiavi è in fin dei conti il
più caro di tutti. Colui che non ha niente di proprio non
può avere altro interesse che di mangiare il più
possibile e di lavorare il meno possibile.»
La vittoria del Nord industriale e bancario non solo impose agli
Stati del sud la liberazione degli schiavi atterrando la sua
economia e estese a tutti gli Stati della confederazione la propria
politica protezionista ma procedette, facendo le prime prove di una
politica imperialistica interna, alla conquista dei mercati
meridionali con un regime di tipo coloniale. Gli sconfitti rivolsero
il loro risentimento sugli afroamericani che, pur legalmente
affrancati, subirono una rigorosa segregazione e un terrorismo
razzistico.