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di Vittorio Strada, Boris Dubin, Lev Gudkov
Sommario: 1. Introduzione. Impostazione del problema. 2. Il ruolo
sociale della letteratura: i diversi approcci. 3. Società e
letteratura: trasformazione storica dei concetti. 4. L'idea e la
funzione del 'classico'. 5. La forma del romanzo e la dinamica della
società. 6. L'istituto sociale della letteratura: aspetti generali.
7. Conclusione. Problemi e prospettive. Bibliografia.
1. Introduzione
Impostazione del problema.
Il rapporto tra letteratura e società è suscettibile di varie
interpretazioni non soltanto perché la sua natura è complessa ed è
possibile far prevalere l'uno o l'altro dei due momenti, affermando
una dipendenza meccanica della letteratura dalla società o una sua
assoluta autonomia (negando così addirittura il problema), oppure
ancora stabilendo tra esse vari tipi di azione reciproca - ma anche
perché i due termini del rapporto sono tutt'altro che univoci e
possono essere, anzi sono e sono stati, variamente definiti. Tale
rapporto inoltre, nella sua astrattezza, cioè a prescindere da ogni
concretizzazione che ne specifichi la natura e precisi il senso dei
due concetti che esso collega, è tutt'altro che ovvio e 'naturale',
come invece può apparire a chi abbia consuetudine con gli studi di
sociologia della letteratura. La questione del rapporto tra
letteratura e società nasce, infatti, in un preciso e piuttosto
recente momento storico di una particolare parte dell'umanità, e
nasce quasi simultaneamente alla riflessione critica sulla società e
sulla letteratura, anzi al formarsi stesso della società e della
letteratura così come oggi le viviamo e conosciamo: tale momento
storico è, grosso modo, quello della formazione del mondo moderno,
tra XVIII e XIX secolo, e la parte di mondo in cui tale questione
emerge alla coscienza e si propone alla conoscenza è, naturalmente,
l'Europa occidentale. Ciò implica che, quando si parla del rapporto
letteratura/società per epoche e aree diverse da queste, si proietta
una problematica cronotopicamente determinata al di là del suo
ambito originario. Estrapolazione legittima, se controllata da un
adeguato senso storico e critico. Del resto, anche per quel che
riguarda il mondo moderno ed europeo (o, se si vuole, 'occidentale')
le connessioni tra letteratura e società hanno subito, nel corso
degli ultimi due secoli, mutamenti profondi col mutare stesso della
società e della letteratura, mutamenti che proprio ora, alla fine
del XX secolo e in una situazione socioculturale che si è soliti
chiamare 'postmoderna', sono particolarmente forti, se non decisivi.
Sembrerebbe ovvio, inoltre, pensare che il rapporto tra letteratura
e società, comunque lo si definisca, costituisca lo specifico ed
esclusivo campo di analisi di una precisa disciplina, la sociologia
della letteratura, la cui costituzione è tuttavia molto più recente
della riflessione sul rapporto stesso. In realtà, anche oggi la
sociologia della letteratura non può vantare il monopolio del
problema. Non c'è, infatti, riflessione sulla letteratura (e, si può
dire, sulla società) che possa ignorare il rapporto in questione,
anche quando, come in alcune poetiche di singoli scrittori o di
determinate correnti, si afferma l'indipendenza della letteratura:
si tratta, infatti, di una rivendicazione polemica della
'letteratura per la letteratura', la quale presuppone come termine
negativo la tesi della 'letteratura per la società', giungendo a
sostenere un paradossale primato della letteratura rispetto alla
società, senza poter però annullare il problema.
Il rapporto che qui ci interessa è, d'altra parte, nella
formulazione che finora se ne è data, troppo schematico e nudo e,
come tale, valido soltanto per una prima e preliminare sua
considerazione. Non si danno, infatti, la 'letteratura' da una parte
e la 'società' dall'altra, qualunque sia poi la definizione che si
fornisce dei due termini. Il rapporto si può riproporre con una
infinità di altri concetti, nessuno dei quali è indifferente per la
comprensione della diade letteratura/società. Si può, infatti, porre
la questione del rapporto letteratura/religione o
letteratura/politica e così via, da una parte, e, dall'altra,
religione/società, ecc. Si crea allora una rete praticamente
illimitata di relazioni, il cui insieme dinamico costituisce quella
che possiamo chiamare 'cultura', e da questo punto di vista una
'società' in sé che si rapporti a 'letteratura', 'religione',
'politica', ecc. diventa una pura astrazione, poiché essa è
letteratura, religione, politica e un'infinità di altre sfere
interconnesse di attività material-spirituale, compresa naturalmente
la sfera economica e giuridica. Il marxismo, ispiratore di tanta
sociologia della letteratura, ha creato un ordine illusorio nella
complessità del mondo socioculturale, stabilendo una gerarchia tra
'base' e 'sovrastruttura' che è stata variamente interpretata (come
interazione dialettica tra esse o come determinazione meccanica
della prima rispetto alla seconda), ma che costituisce pur sempre
una semplificazione, modellata su un particolare tipo di realtà:
quella del primo capitalismo europeo-occidentale (ma anche questa
realtà si presta a essere interpretata altrimenti). D'altra parte
non sembra che, in antitesi allo schema marxista
base-sovrastruttura, si possa sostenere una confusa e amorfa
interdipendenza di tutte le sfere della cultura, le quali al
contrario si ordinano secondo gerarchie dinamiche, al cui interno,
in varie fasi e in varie situazioni, può prevalere, per riprendere i
termini marxisti, la 'base' o la 'sovrastruttura', o una determinata
sfera di quest'ultima, con la precisazione che il sistema della
cultura è un tutto inscindibile, in cui non si dà 'base' senza
'sovrastruttura' e viceversa.
La riflessione su letteratura e società, si è detto, nasce e si
sviluppa insieme al mondo moderno, il che vuol dire che essa non si
pone nelle società premoderne o tradizionali, anche se poi si
proietta su di esse e si estende a esse, col pericolo di
'modernizzarne' concettualmente lo studio. Questo avviene perché
solo nel mondo moderno da una parte si costituisce la 'società
civile' e, dall'altra, la letteratura diventa un istituto sociale
accanto a vari altri, dalla religione alla scienza, formando con
essi la rete delle relazioni socioculturali. Una rete acentrica,
poiché nessun istituto ha una posizione privilegiata, neppure la
religione che nelle società tradizionali costituiva il monocentro,
contendendo la preminenza al potere politico. E neppure la scienza,
la quale, nonostante il peso decisivo che ha acquistato in quanto
apparato scientifico-tecnologico, trova un limite nel potere
politico che, pur essendone condizionato, la 'usa'. Anche
quest'ultimo, del resto, nella realtà moderna ha perso la
sostanzialità centralistica che aveva nelle società tradizionali e,
pur concentrandosi simbolicamente nello Stato, è diffuso in una
serie di micropoteri che rendono il macropotere statale se non
inessenziale, certo relativo e parziale. Solo il totalitarismo, nel
nostro secolo, ha tentato di costituire un nuovo assolutismo, dotato
però di una sua peculiarità che lo rende del tutto nuovo rispetto
agli autoritarismi tradizionali. Se nelle società post-tradizionali,
in cui il potere è diffuso e mobile, quella sfera della cultura che
è la letteratura stabilisce un vario e libero rapporto con la
società di cui è parte, e sente come sempre meno attuale la
questione del suo rapporto col potere centrale (censura, ecc.),
nelle società totalitarie la letteratura, come l'intera società,
viene sottomessa a un potere infinitamente più forte che non è più
solo di Stato, ma anche di partito, anzi più del secondo che del
primo, e rivive, in forme grottescamente e tragicamente peggiorate,
un rapporto di dipendenza diretta che la 'rivoluzione moderna' aveva
superato - come sembrava, almeno, all'inizio del nostro secolo -
definitivamente. Ma in altre realtà, che non possono essere definite
totalitarie nel senso preciso che questo termine ha assunto per
l'Europa centrale e orientale nei decenni fra la fine della prima
guerra mondiale e la fine della 'guerra fredda', cioè ad esempio
nella realtà semitradizionale di alcuni paesi islamici, il rapporto
letteratura/società e letteratura/potere si ripresenta in termini
premoderni e quasi totalitari (teocratici), come il 'caso Rushdie'
insegna.
Nel mondo moderno, ma in vario modo nel corso del suo sviluppo, il
rapporto letteratura/potere, come parte essenziale di quello
letteratura/società, si trasforma nel rapporto letteratura/poteri.
Rispetto alle società tradizionali lo scrittore supera il rapporto
di dipendenza da un signore e si professionalizza in modo evidente.
Si tratta, però, di due processi ambigui, poiché da una parte la
perdita della dipendenza diretta da un potere personalizzato si
accompagna alla dipendenza indiretta da una serie di centri di
poteri impersonali, che possiamo chiamare globalmente 'mercato',
intendendo con questo termine non solo gli editori e il pubblico, ma
l'insieme della 'società letteraria' (salotti, movimenti, critica,
gusto, ecc.); dall'altra, la professionalizzazione comporta sì
un'attività lavorativa condizionata da uno specifico mercato e da
una specifica società (l'uno e l'altra definibili come letterari),
ma implica nello stesso tempo una stratificazione all'interno dei
'produttori letterari' e, ciò che più conta, una sacralizzazione o
aristocratizzazione di una parte ristretta di questi, i quali così
diventano non più 'produttori', bensì 'creatori'. Si tratta di un
processo complesso che riguarda non solo lo scrittore e la
letteratura, ma l'intera attività spirituale, per cui si forma un
particolare uomo di lettere o di cultura o di pensiero, che prenderà
il nome generico di 'intellettuale'. In questa nuova realtà,
caratterizzata dalla democraticità del mercato e
dall'aristocraticità dello 'Spirito', la letteratura pensa al suo
rapporto con la società e viceversa la società, per usare sempre
questo concetto così astratto, reagisce alla letteratura, ossia ne
decreta valore e disvalore, attualità ed estraneità, successo e
solitudine. A sua volta la letteratura, reagendo alla moderna
società, riflette soprattutto su se stessa, sulle sue possibilità e
sulla sua vitalità, 'studiando' la non letteratura, ossia il mondo,
in funzione di quel patrimonio di valori, un tempo sacri e ora
secolarizzati, dei quali essa si sente depositaria.
Nasce, su questa base, una particolare dialettica di nostalgia e di
speranza, di tradizione e di rivoluzione, di arcaismo e di
novatorismo, che spinge la letteratura a variare infinitamente i
suoi rapporti con la società, non solo - come è chiaro -
diacronicamente, ma anche all'interno di uno stesso orizzonte
sincronico e in un medesimo contesto sociale. Per questo la tesi non
solo marxista della letteratura che 'riflette' la società è
semplicistica: non si tratta, infatti, soltanto di una troppo
elementare accezione del concetto di 'rispecchiamento', ma
soprattutto del fatto che i vari rispecchiamenti simultanei e
contraddittori sono tutti veri, per cui la società 'rispecchiata'
contemporaneamente da Dostoevskij, Tolstoj, Turgenev, ecc. sarebbe,
semmai, quella risultante da un rispecchiamento dei rispecchiamenti
capace di ordinare i vari 'riflessi'. In realtà, il 'mondo di
Dostoevskij', il 'mondo di Tolstoj', il 'mondo di Turgenev', ecc.
sono parti di un cosmo in continuo divenire, che non è tanto quello
della Russia di una determinata fase del XIX secolo, quanto quello
della storia dell'uomo in un tempo lungo che trascende ogni tempo
breve e sfocia nell'eterno. Il rapporto letteratura/società si fa
adeguatamente complesso, assumendo una dimensione storica e
metastorica e centrandosi sui 'costruttori di mondi', cioè sui
singoli scrittori col loro orientarsi soggettivo su una realtà. Ogni
mondo letterario è una definizione della realtà (quindi della
società) e delle sue categorie (spazialità, causalità, ecc.) e,
insieme, un particolare atteggiamento valutativo nei riguardi della
realtà così definita e vissuta.
Se è questo il rapporto fondamentale tra letteratura e società, al
di fuori dell'opera letteraria tale rapporto si articola in una
serie di relazioni tutt'altro che inessenziali. C'è il problema del
mercato letterario, cioè delle case editrici, dei diritti d'autore,
delle librerie, della pubblicità, problema che s'intreccia a quello
dell'estetica (v. Woodmansee, 1994). Se questo problema precede, per
così dire, l'opera letteraria, una volta che l'opera è edita e si
offre alla lettura il problema diventa non più di produzione ma di
consumo, articolandosi su un duplice piano: quello del successo e
della diffusione presso il lettore comune, cioè il pubblico, e
quello dell'interpretazione e della valutazione presso il lettore
professionale, cioè il critico. Tra questi 'prima' e 'poi' rispetto
all'opera c'è quello che i formalisti russi chiamavano la
"tecnologia letteraria", cioè 'come è fatta' un'opera e come il
'fare opere' muta nel tempo, ossia il problema della struttura e
dell'evoluzione letteraria.
Si tratta di problemi e temi che, come si è detto, non sono di
esclusiva pertinenza della sociologia della letteratura, ma si
presentano necessariamente in ogni riflessione teorica e storica
sulla letteratura e, si può dire, in ogni ricerca socioculturale che
non faccia della letteratura una semplice appendice illustrativa
rispetto a qualcosa d'altro visto arbitrariamente come 'centrale'
(religione, economia, ecc.). Fondamentale è la ricerca sul concetto
stesso di letteratura e lo studio del variare del suo rapporto con
quello che si chiama 'società'. Nella società antica, in quella
medievale dell'Occidente e nelle società orientali tradizionali il
concetto di letteratura e soprattutto la prassi letteraria, nonché
il posto che questa occupava nell'insieme sociale, non possedevano
quell''autonomia' che è frutto di una particolare situazione storica
e che permette specifici legami funzionali con le altre sfere,
anch'esse autonome, della realtà socioculturale moderna. A maggior
ragione ciò vale per la letteratura popolare folklorica, dotata di
una sua esclusiva poetica e di una sua particolare funzione, e
indebitamente 'modernizzata' quando la si vuole trasferire nel
processo letterario post-tradizionale. Improprio è quindi l'uso del
termine 'folklore' per definire la letteratura popolare delle
società moderne e ancor più improprio se lo si applica ad aspetti di
quella letteratura di massa che è un fenomeno nuovo, e relativamente
recente, diverso dalla 'letteratura bassa' delle società
protomoderne. La diade letteratura/società dovrebbe tradursi in
quella letteratura/non letteratura, dando a questi concetti,
naturalmente, non un significato normativo, quasi si trattasse di
definire ciò che è 'vera' letteratura e di distinguerla da quella
'falsa'. Il rapporto da analizzare è tra ciò che decidiamo di
definire 'letteratura' in senso istituzionale e descrittivo e tutto
ciò che resta fuori da tale definizione, precisando che il concetto
di letteratura, e quindi il confine tra essa e il 'resto' (non
letteratura) è mobile, cioè storico, e che se non possiamo
rinunziare né al nostro concetto di letteratura (e di società) né
alla sua più o meno parziale proiezione sul passato, dobbiamo però,
alla luce di questo passato, essere consapevoli del significato
relativo della nostra letteratura e della nostra società e del loro
rapporto.
2. Il ruolo sociale della letteratura: i diversi approcci
L'impostazione del problema 'letteratura e società' si basa
sull'idea della letteratura come espressione o riflesso dello
spirito del tempo, ossia della vita sociale contemporanea, idea
elaborata in Francia verso l'inizio del XIX secolo da L. de Bonald e
G. de Staël e applicata poi da H. Taine, O.-J. Proudhon, J.-M.
Guyot, C. Lalo, ecc. (v. Leenhardt, 1967; v. Clark, 1978). In
Germania lo stimolo per lo sviluppo di questa tematica fu dato
dall'estetica hegeliana, che ha avuto un significato fondamentale
per tutta la teoria e la critica letteraria marxista e postmarxista,
neomarxismo compreso (v. Adorno, 1958-1974).La critica letteraria
successiva e poi anche la teoria letteraria accolsero tali
concezioni come base di partenza del proprio lavoro e se ne
servirono per dare un fondamento ideologico alle proprie pretese a
un particolare status. Partendo dal presupposto che l'opera
letteraria avesse un unico senso (la sua 'idea') e che quindi ci
fosse un'unica sua interpretazione adeguata, il critico difendeva la
rilevanza del proprio ruolo come mediatore tra l'opera e il
pubblico, in quanto interpretava il senso dell'opera - sempre intesa
come raffigurazione letteraria della realtà - nei termini degli
orientamenti di vita del lettore (v. Iser, 1976). Verso la metà del
XIX secolo circolavano ormai strutture retoriche o relitti
metaforici anonimi e banali di questa tradizione: la letteratura
come 'specchio', l'autore - nella fraseologia romantica - come
'lampada' o 'profeta' e - nella concezione positivistica - come
storico e descrittore dei costumi. Queste 'cifre simboliche'
indicavano determinate regole di valutazione della realtà
raffigurata e prescrivevano i canoni dell'interpretazione del testo.
La razionalizzazione o schematizzazione di queste idee portò, verso
la metà degli anni trenta del nostro secolo, a tre concezioni
sociali della letteratura: 1) la letteratura come rispecchiamento
della società; 2) la letteratura come strumento di azione sulla vita
sociale; 3) la letteratura come mezzo di controllo sociale.
Per i fondatori del metodo marxista il condizionamento dei fenomeni
spirituali da parte del sistema di produzione era ancora un
complesso insieme di mediazioni tra fattori interagenti, diversi per
natura e portata. I loro seguaci trattarono, invece, il rapporto tra
la sovrastruttura (la sfera dell'arte e della letteratura) e la
struttura (l'economia) nei termini di un rigido e univoco
determinismo. E se Plechanov riconosceva l'importanza delle
strutture ideologico-culturali intermedie (mitologia, religione,
consuetudini) per l'interpretazione dei fenomeni artistici, i
critici marxisti ortodossi come P. Lafargue, F. Mehring, A.
Lunačarskij, V. Friče, ecc. nell'opera d'arte vedevano l'espressione
immediata dell'ideologia e degli interessi di determinati gruppi
sociali e nello scrittore il portavoce di una classe e delle sue
forze politiche.Forme più complesse di interpretazioni della
letteratura come insieme di sistemi 'ideali' e ideologici mediati di
rispecchiamento della realtà sociale si possono trovare in G. Lukács
e nei suoi seguaci, da M. Lifšic in URSS a L. Goldmann e alla
sociocritica in Francia (v. Zima, 1985), a E. Köhler in Germania,
ecc. Le difficoltà cui va incontro una trattazione di questo tipo
sono state rilevate più volte. La principale consiste
nell'impossibilità di stabilire connessioni adeguate tra la dinamica
della letteratura, la varietà dei suoi stili e delle sue tendenze,
la polisemanticità dell'opera letteraria, da una parte, e il
meccanismo causale dei processi socioeconomici dall'altra. Tuttavia
la teoria e la critica letteraria hanno continuato ad attenersi alle
idee del rispecchiamento della realtà sociale nella letteratura: a
seconda degli interessi dello studioso, la letteratura, intesa come
qualcosa di compiuto e univoco, spiegava gli eventi della realtà
oppure, al contrario, i processi e i fenomeni sociali diventavano
fattori esplicativi per interpretare i testi e la posizione
dell'autore. I tentativi di unire lo studio delle funzioni sociali
della letteratura con una più rigorosa analisi del testo e della sua
influenza hanno portato alla problematica del gusto del pubblico (v.
Schücking, 1961). Oggetto d'attenzione di questi studi sono le norme
storicamente documentate o empiricamente rilevabili del gusto dei
vari gruppi di lettori, nonché i meccanismi che ne determinano la
dinamica e la diffusione in strati sociali diversi da quelli in cui
si sono formate.
Le prime ricerche sociologiche sulla letteratura non sono state che
un'applicazione degli strumenti concettuali della sociologia alla
soluzione di problemi di pura pertinenza della teoria e critica
letteraria. Si trattava di compensare la debolezza delle spiegazioni
causali dei fenomeni letterari, portando dati sull'ambiente nel
quale si era formato e aveva lavorato uno scrittore, sull'influsso
che tale ambiente aveva esercitato sulla sua scelta di una
determinata tematica e sulle peculiarità della sua maniera creativa.
L'idea del rispecchiamento della realtà nella letteratura permetteva
di interpretare il materiale letterario, soprattutto degli scrittori
realisti o dei rappresentanti del naturalismo, come 'manifestazione
tipica' di determinate leggi o situazioni sociali. Se si eccettuano
i lavori di L. von Wiese e dei suoi allievi che, passando
praticamente inosservati, negli anni venti cercavano di descrivere
le forme di interazione sociale nell'opera letteraria, la
schiacciante maggioranza delle ricerche su 'letteratura e società'
era caratterizzata dall'assoluta assenza di attenzione per tutto un
complesso di questioni legate alle diverse trattazioni della
letteratura nei vari gruppi e nelle varie circostanze storiche (i
tipi di "letterarietà", per usare l'espressione di R. Jakobson),
alla tecnica propriamente letteraria della raffigurazione simbolica
e della creazione della realtà testuale, anche nella resa dei
fenomeni sociali, e infine alle teorie sulla problematica della
società elaborate nella stessa sociologia ad opera dei suoi
fondatori.
La realtà letteraria veniva confusamente identificata con quella
sociale e si postulava un'omogeneità di valori, motivi,
comportamenti degli eroi letterari, degli scrittori e della società
nel suo complesso. Avevano corso due versioni equivalenti. Secondo
la prima, lo scrittore è tanto più geniale e grande quanto più
pienamente esprime le caratteristiche tipiche del suo ambiente e
della sua epoca (in termini marxisti, l'ideologia e gli interessi
dei gruppi sociali in ascesa). Secondo l'altra, opposta, soltanto la
letteratura di massa, e quindi epigonica (dal punto di vista dei
classici o dell'avanguardia), stereotipata per linguaggio, tematica
e struttura, può costituire una fonte sicura per la conoscenza della
vita sociale. La mancanza di individualizzazione della produzione e
del destinatario di tale letteratura induceva a fare di essa una
sorta di moderno folklore o mito e ad applicarle automaticamente i
corrispondenti procedimenti di analisi.Le differenze nei modi di
considerare la letteratura, all'interno della comune premessa che ne
fa un riflesso dei problemi sociali, sono legate alla diversità
degli schemi interpretativi. Una variante è quella dei critici
letterari per i quali l'analisi letteraria serve ai fini della
critica sociale. Un'altra è quella dei filosofi, degli storici e dei
sociologi, per i quali la letteratura offre un materiale
generalizzato, utile nei rispettivi campi professionali. Al confine
tra critica letteraria e storia sociale si è formata così e cresce
di continuo una massa di ricerche sulla problematica
socioletteraria, che va dal 'tema del denaro' o del 'comportamento
sessuale' nell'opera di Dreiser e Lawrence al 'tema della guerra' in
Remarque e Hemingway, dal problema della marginalità sociale in una
determinata letteratura nazionale (la figura dell''estraneo') al
tipo di organizzazione burocratica rilevabile nei romanzi di Kafka o
di Heller.
In altri casi la letteratura è considerata come espressione della
'coscienza collettiva'. La premessa da cui si parte è che la
letteratura esiste nello stesso spazio intellettuale dei suoi
lettori, cioè riflette le consuetudini e le norme dominanti (v.
Inglis, 1938): ciò ha autorizzato a studiare il contenuto delle
opere letterarie secondo il modello delle comunicazioni di massa,
trascurando la specificità propriamente letteraria dei testi (v.
Berelson, 1957). La forma estrema di questo positivismo nei riguardi
della letteratura è l'applicazione della cosiddetta tecnica della
content analysis di P. Lazarsfeld e del suo gruppo. Si presume che
le procedure quantitative eliminino l'ideologicità delle
interpretazioni critico-letterarie: il confronto dei personaggi del
mondo letterario con la popolazione reale di un paese o di un'epoca,
composta da gruppi caratterizzati in base alla posizione sociale e
professionale, e il confronto della tematica narrativa di una
determinata corrente o di un determinato periodo con i dati
statistici (numero e tipo di delitti, dinamica dei divorzi, flussi
migratori, ecc.) dovrebbero fornire le basi 'oggettive' per
giudicare la pienezza del rispecchiamento della società nell'opera
di uno scrittore e il carattere della trasformazione letteraria
della realtà.I fondamenti teorici della scelta e della
formalizzazione delle unità significative d'analisi restavano però
indeterminati e i seguaci di questo metodo erano costretti a
ricorrere a criteri intuitivi e a controllarli con l'ausilio di
storici e critici letterari. Altrettanto indeterminato era il
carattere dell'azione esercitata dalla letteratura sulla società,
intesa nello spirito di un banale normativismo pedagogico. Tutto ciò
induceva nuovamente ad avanzare seri dubbi sull'affidabilità delle
metodiche puramente positivistiche di analisi dei fatti letterari.
Come reazione si distinse il significato culturale (simbolico) e
quello puramente sociale della realtà raffigurata nella letteratura,
il che introdusse nel lavoro dello storico o del sociologo della
letteratura l'esperienza di discipline quali l'ermeneutica, la
semiotica e l'antropologia culturale d'orientamento fenomenologico.
A partire dagli anni cinquanta le costruzioni letterarie
(situazioni, caratteri, strutture narrative, ecc.), sotto l'influsso
delle idee di J. Mead, E. Cassirer, S. Langer, K. Burke,
cominciarono a essere considerate come paradigmi simbolici di
interazione sociale, meccanismi culturali atti ad assicurare
l'integrazione della complessa società moderna e degli individui che
la compongono. Secondo N. Duncan, R. Caillois, e poi H. Fugen, A.
Silbermann, J. Duvignaud, E. Burns, C. Geertz, S. Lyman, M. Scott,
la letteratura elabora modelli drammatici, schemi di collisioni e
conflitti reali, che si diffondono in modo differenziato nei vari
gruppi della società per formare le idee sui ruoli sociali e quindi
sull'ordinamento sociale nel suo complesso. Mediante questi schemi o
modelli l'individuo, in una forma simbolica e quindi controllabile,
'riceve' idee sull'organizzazione della società, sui suoi principali
gruppi costitutivi e sui simboli che li rappresentano, sul carattere
delle sanzioni sociali per la violazione delle norme, sulle figure
rilevanti e autorevoli, che non sempre egli può incontrare nella
realtà, ma che svolgono un ruolo importante nelle sue costruzioni
generali di senso della realtà.
Questo approccio, basato sulle concezioni sociologiche del
funzionalismo strutturale e dell'interazionismo simbolico, ha
permesso di studiare empiricamente il 'mercato dei beni simbolici'
(v. per esempio Bourdieu, 1979; v. Grivel, 1973), compresi i
meccanismi di distribuzione e riproduzione dei 'capitali simbolici'
dei vari gruppi e la dinamica sociale dei gusti artistici (Kavolis -
v., 1972 - ha sviluppato qui le idee di P. Sorokin). Divennero
oggetto di analisi particolare il carattere normativo
dell'insegnamento della letteratura nella scuola, la lettura come
meccanismo di socializzazione dell'individuo nell'ambito di
determinate istituzioni e comunità, e quindi anche il consumo
librario alternativo a quello della scuola e delle biblioteche, cioè
il contenuto, la poetica e l'influsso dei fumetti, della letteratura
di propaganda, della 'paraletteratura' (v. Escarpit, 1958).È stato
inoltre analizzato il carattere dell'azione esercitata dalla
letteratura sulle concezioni sociali. Un catalogo tipologico di
simili azioni ha elencato le funzioni svolte dalla letteratura nella
società: ricettiva, riflessiva, ideologica, comunicativa, normativa,
attivistica, rivoluzionaria (v. Otto, 1968). Ma un'analisi
metodologica rileva che qui ha luogo un'arbitraria limitazione del
ruolo della letteratura, la quale viene reificata in un tutto a sé
oppure identificata di fatto con la cultura in generale.
Più produttivo è l'approccio che sintetizza la poetica storica e
l'interpretazione sociologica. J. Cawelti (v., 1976) ha introdotto
l'idea delle formula stories: ognuna di queste formule sarebbe uno
specifico mezzo atto a smorzare e mediare le tensioni che sorgono
nella società o in suoi gruppi determinati, i conflitti di valori,
norme, interessi collettivi e individuali. Questi conflitti
sarebbero superati mediante la loro proiezione in costruzioni
simboliche, fantasie morali, finzioni narrative, ossia in 'eroi'
letterari (o artistici, cinematografici ad esempio) e nei loro
rapporti. L'elenco delle formule non può essere 'chiuso', anche se
si può parlare di un nucleo di 'intrecci' fondamentali: l'avventura,
la storia d'amore, il mistero, esseri e situazioni al limite della
realtà consueta o a essa estranei. I generi più popolari sono il
melodramma e il 'giallo', nonché la fantascienza, l'utopia e il
Bodensroman, cioè il romanzo 'populista' legato ai valori del
'suolo' nazionale.
La comparsa delle prime due formule contrassegna la nascita della
letteratura moderna. In esse si rappresentano simbolicamente i
problemi propri delle trasformazioni radicali dell'ordine sociale:
il passaggio dal sistema gerarchico basato sui ceti alla società
aperta basata sul successo (achieving society), il cui valore
fondamentale è l'individualismo autosufficiente. La fissazione
estetica dei due imperativi limite - la norma e il desiderio, il
successo personale e il codice d'onore - concentra in sé lo scontro
delle più diverse forze e tendenze sociali. In ognuna delle formule
domina una determinata linea tematica o narrativa, ma ogni testo è
costruito come unione di più formule che riflettono vari aspetti dei
ruoli e delle visioni sociali.Il melodramma, formula che include i
momenti critici del ciclo vitale (morte, catastrofi, cataclismi
sociali), raccontando la storia d'amore di due giovani collocati su
diversi livelli della scala sociale o il conflitto tra
l'aristocratico scellerato, incarnazione dell'ancien régime, e il
giovane eroe, dotato delle virtù borghesi di razionalità,
moderatezza, operosità e tenacia, non è semplicemente portatore
dell'idea della carriera individuale e del matrimonio come suo
coronamento, ma anche dei nuovi principî dell'ordine sociale. Anche
il romanzo poliziesco introduce una struttura razionalizzata di
motivazione dell'agire che non solo può essere condivisa
emotivamente, ma si presta a spiegazione e persino a calcolo, come è
proprio del tipo storicamente nuovo di comportamento apparso nella
vita delle grandi città. Il delitto non è più oggetto di valutazione
morale o religiosa, come avveniva nella tragedia classica o nel
romanzo gotico, ma diventa devianza sociale, violazione delle norme
comuni nel conseguimento di uno scopo o di un valore universalmente
riconosciuto (ad esempio, la ricchezza).
Nel Bodensroman si costruisce l'esposizione di una biografia
individuale o di un destino collettivo come ascesa dell'eroe da una
posizione sociale all'altra, per cui una totalità sociale diventa
visibile e comprensibile nel suo funzionamento. Il fatto che l'eroe
sia dotato dei tratti salienti di un carattere nazionale fa sì che
l'opera sia vista come l'epopea di una nazione, mito
dell'affermazione trionfale di una comunità nazionale e del suo
riconoscimento da parte degli altri popoli. La science fiction,
invece, fa uso, nel suo sviluppo, di alcune formule. Introduce, ad
esempio, l'immagine utopica di un ordine sociale razionale e
perspicuo (la città ideale, l'isola perfetta, un altro pianeta),
permettendo di confrontarlo con la realtà attuale. Oppure opera una
sorta di 'shock culturale' mettendo gli eroi a confronto con esseri
di un'altra natura o descrivendo una guerra tra mondi diversi, nel
corso della quale essi dimostrano la superiorità dei propri
ordinamenti sociali, conseguimenti tecnici e simboli culturali. In
ogni caso è estremamente importante lo 'sfondo' della vicenda, cioè
l'insieme dei rapporti sociali 'naturali', basilari. Si tratta dei
ruoli sessuali e delle forme di comportamento sessuale comunemente
accettate, della famiglia, della casa, dell'esistenza garantita di
un piccolo gruppo o comunità organica (Gemeinschaft), il cui valore
non fa che potenziarsi in seguito alle prove cui è sottoposto l'eroe
nelle varie fasi critiche della sua storia.
Tuttavia anche questo tipo di analisi del contenuto sociale dei
testi trascura le peculiarità estetiche e letterarie delle opere,
mentre in molti casi sono proprio queste peculiarità gli elementi
costruttivi di una formula o di un genere. Si pensi, ad esempio, ai
modi di organizzare il tempo in un testo, ai procedimenti adottati
per creare l'illusoria 'verosimiglianza' degli eventi e degli eroi,
alle immagini create dal narratore, alle 'cornici' della storia
raccontata che ne assicurano la veridicità (ricordi, diario,
manoscritto dimenticato). Tutti elementi di grande importanza
soprattutto nell'analisi della letteratura alta o innovatrice. Essa,
in modo particolare la poesia, è concentrata soprattutto sui
problemi e sui simboli dell'identità personale. Il suo campo
d'attenzione è costituito dalle più raffinate collisioni di valori
sociali e culturali, dalle tensioni dell'autodeterminazione
soggettiva, dai sentimenti di 'immotivato' sconforto esistenziale,
di abbandono, angoscia, colpa o, al contrario, dalla scoperta del
senso della vita e della pienezza delle esperienze vissute. Essa
prende le mosse dalla molteplicità di rapporti che l'individuo
intrattiene con i partners sociali e sintetizza costantemente gli
orizzonti della vita quotidiana con le proiezioni fantastiche e la
realtà mentale della storia, della memoria, dell'immaginazione.
Qui l'analisi sociologica della tecnica letteraria di uno scrittore
si fonde con le più complesse forme delle ricerche fenomenologiche
sulla costituzione della Lebenswelt. Oggetti di studio diventano
l'identità dell'Io individuale e le forme della sua manifestazione,
i meccanismi di organizzazione di senso della vita quotidiana
('flusso di coscienza', narrazione in prima persona). Rientra qui
tutta la problematica dell'avanguardia, compreso lo shock
comunicativo, la distruzione provocatoria delle convenzioni morali o
linguistiche (la tematica degli stati limite, della catastrofe,
della malattia, della follia, del sogno, dell'afasia). Nella
letteratura 'triviale' queste situazioni sono date come stereotipi
convenzionali di un intreccio narrativo rigido, in cui le antinomie
di valore sono superate mediante un ritorno ai valori dei rapporti o
dei collettivi 'organici' primari (famiglia, amici), mentre nella
letteratura sperimentale è significante proprio l'insuperabilità di
simili ricerche umane, unica, benché negativa, testimonianza della
loro autenticità di senso.
Fino a tempi recenti le analisi del contenuto sociale della
letteratura ignoravano quasi sempre la dinamica della tecnica
letteraria e quindi del mutamento nelle abitudini e aspettative
letterarie del pubblico, nel tipo di percezione delle opere.
La divergenza tra le reazioni della larga cerchia dei lettori e le
valutazioni competenti della critica di solito era qualificata come
espressione di una inadeguata capacità percettiva del lettore, come
carenza o inferiorità del suo sviluppo estetico. Diversa è la
soluzione del problema proposta dalla scuola di Costanza di estetica
della ricezione, che ha in H.R. Jauss e W. Iser i suoi
rappresentanti maggiori: Jauss ha collegato i mutamenti delle
interpretazioni di un'opera col cambiamento della sua percezione da
parte del pubblico, con le diverse strutture di attese normative di
una determinata tematica e tecnica nelle varie categorie di lettori
e col loro periodico rinnovamento. Analoga analisi ha fatto Iser in
riferimento, però, allo scrittore e ai procedimenti letterari da lui
impiegati in vista di un determinato lettore. A Jauss questo metodo
ha permesso di fissare il succedersi degli orizzonti di percezione
di un'opera da parte del pubblico, a Iser di sistematizzare e
formalizzare le caratteristiche del destinatario intratestuale
('lettore implicito') e i tipi di strategie comunicative
dell''autore implicito'.
3. Società e letteratura: trasformazione storica dei concetti
Ogni volta che sorge il problema 'letteratura e società', si
presuppone tacitamente che la letteratura sia un tutto autonomo e
univoco al pari della società (per cui le si può correlare o
contrapporre). Questo problema, inoltre, viene posto per la Grecia
arcaica, le tribù dell'America centrale, il Medioevo giapponese,
dimenticando che, come si è detto, la possibilità stessa di
comprendere e correlare società e letteratura si è data in un tempo
relativamente recente. Entrambi questi concetti sono socialmente
condizionati, sono il prodotto caratteristico di certe circostanze
storiche e un momento specifico dello sviluppo di sistemi sociali di
un determinato tipo.Di fatto tutto il complesso delle questioni
legate ai rapporti tra letteratura e società si forma in una
situazione socioculturale del tutto concreta. Si tratta, in
sostanza, del momento in cui si diventa consapevoli e si ha una
nozione di ciò che si chiama 'società'. Per i fini che qui ci
poniamo possiamo convenzionalmente distinguere tre tipi di
comprensione della società o, per quel che riguarda l'Europa, tre
fasi dello sviluppo sociale.Il primo tipo è la società come
equivalente dell''alta' società dei circoli di corte,
dell'aristocrazia e dei rappresentanti colti del Terzo Stato. Il
secondo tipo è la società civile o borghese, della quale sono
caratteristiche la trasformazione dei rigidi rapporti gerarchici in
mobili strutture di posizioni sociali accessibili e aperte e le
ideologie di sviluppo di vario tipo (progresso, Lumi,
perfezionamento individuale, utopie sociali o culturali), nonché la
comparsa di uno strato di liberi intellettuali, la cui 'professione'
è quella di prospettare e razionalizzare simili concezioni (v.
Geiger, 1949; v. Parsons, 1969; v. Eisenstadt, 1972). In questa fase
la nobiltà di ceto (l'ethos dell'honnête homme) si trasforma nella
categoria psicologica della dignità e compitezza personale e lo
spirito aristocratico di stirpe diventa ideologia corporativa della
cultura nazionale, mentre l'idea della monarchia perfetta si sublima
in progetto di trasformazione della società, cioè in molteplici
forme di critica e utopia sociale che si avvicendano tra loro.
Infine, il terzo tipo incarna l'idea di società 'moderna'
(sviluppata, civilizzata) e 'di massa' (democratica, di mercato).
In questo senso la letteratura in tutta la pienezza della sua
rilevanza sociale e culturale ha i suoi limiti funzionali e
cronologici. Per l'Europa è il periodo della modernizzazione delle
società tradizionali, tra il XVIII secolo e il compimento del XIX,
l'epoca delle rivoluzioni borghesi, del crollo degli Imperi e della
'fine di secolo'. In questa situazione storica si formano specifici
e reciproci rapporti tra gli intellettuali, da una parte, e,
dall'altra, i centri di potere (critica della società e dei suoi
'vertici'), le strutture del mercato (l'istituzione dell'onorario
per l'opera) e gli istituti di riproduzione culturale della società
(stampa, università, scuola).
È in questo periodo che si cristallizza nei suoi parametri
fondamentali l'istituto sociale della letteratura e sorge una rete
di mediatori sociali e culturali tra i suoi ruoli costitutivi.
Soltanto in questo contesto si forma, propriamente parlando, il
nucleo della cultura libraria e della tradizione letteraria (il
programma di istruzione generale, l'ideologia del libro come mezzo
principale della comunicazione sociale, i classici come espressione
dello spirito di una società, di un popolo, di una comunità
nazionale). È in quest'ambito che si dà la 'grande' letteratura
nazionale (almeno al livello di aspirazione) con le figure che la
impersonano: gli scrittori-geni 'fondatori' e 'continuatori'.Queste
situazioni sono vissute con forza particolare nelle società di
'modernizzazione ritardata': Germania, Russia, Italia, Spagna. Là
dove i nessi e le strutture propriamente sociali sono deboli in
confronto allo Stato, si forma un gruppo di intellettuali che
pretendono di rappresentare la cultura nazionale e incarnano la sua
letteratura nazionale come sostituto dell'opinione pubblica. Compito
dello scrittore diventa la raffigurazione o l'espressione della
storia nazionale nei suoi momenti più significativi e, insieme,
nella pienezza della sua totalità. Così, ad esempio, intende se
stessa l'intelligencija russa del XIX secolo da Gogol´ a Herzen, a
Blok e Gor´kij.
Una situazione funzionalmente affine si costituisce in Germania dopo
la guerra franco-prussiana: si instaura il culto della letteratura
classica nazionale e i busti di Goethe e di Schiller ornano ogni
libreria così come i volumi delle loro opere ne affollano gli
scaffali (v. Grimm e Hermand, 1971). Si può fare anche l'esempio
della Spagna dopo il crollo definitivo dell'Impero, quando il
'modernismo' letterario respinge la società e la storia
contemporanea in nome di una 'intrastoria' autentica e profonda e di
un non ancora incarnato futuro (la figura e la missione di Don
Chisciotte nella saggistica di Unamuno, Azorín, Ortega y Gasset). In
tutti questi casi i gruppi intellettuali si basano su meccanismi
letterari che sono da tempo in azione e trasformazione, sui
risultati di una secolare razionalizzazione del concetto di
letteratura. Consideriamo le tappe fondamentali di queste
trasformazioni.La semantica della parola latina literatura (calco
dal greco), che è stata ereditata e reinterpretata dalla tradizione
europea dell'età moderna, comprendeva significati come 'scrittura'
(Cicerone), 'grammatica e filologia' (Quintiliano), 'alfabeto'
(Tacito), 'istruzione, erudizione, scienza' (Tertulliano). Fino al
XVIII secolo questo concetto era privo delle connotazioni, per noi
evidenti, di 'estetico' e 'artistico': era più importante l'elemento
comune che univa la letteratura come narrazione amena agli altri
tipi di comunicazione scritta: retorica, filosofia, storia,
ragionamenti didattici, saggistica, scienza (v. Escarpit, 1970; v.
Lotman, 1973; v. Kreuzer, 1975).
La formazione della cultura scritta, del cui significato risale a
Platone la razionalizzazione primaria, implica la fissazione dei
valori e delle norme chiave di una data cultura grazie all'attività
di gruppi specializzati (v. Riesman, 1956; v. Levada, 1993; v.
Eisenstein, 1979; v. Goody, 1986). La funzione di questi gruppi,
legati ai sottosistemi e agli istituti 'centrali' di una data
società, è di impostare e mantenere la struttura di un dato sistema
socioculturale sia nello spazio (la comunicazione scritta come
legame tra centro e periferia), sia nel tempo (la trasmissione di un
retaggio codificato di generazione in generazione). La definizione
della letteratura mediante questa funzione comunicativa indicava
soltanto il momento della registrazione e traslazione, poiché nel
contenuto non ancora differenziato della 'letteratura' rientrava
tutto ciò che era abbracciato dalla 'cultura'. Il destinatario di
questa comunicazione restava il gruppo dei portatori della cultura,
il cui contenuto era loro noto per definizione e non costituiva
quindi un problema né richiedeva un'ulteriore specificazione.
Per tutto il periodo in cui la cultura conserva la sua rilevanza
ideologica si può osservare un legame stabile tra i letterati e i
centri culturali, un reciproco compenetrarsi delle idee di
'letteratura' e 'istruzione'. Così in Germania in opposizione alle
università di tipo medievale a Wittenberg, Lipsia, ecc., sempre
orientate sui modelli scolastici, tra il XVII e il XVIII secolo
erano sorte a Halle e Gottinga nuove università, il cui insegnamento
era basato sulle idee della cultura 'neoumanistica' e della
'devozione pratica'. Come materiali per l'autoeducazione estetica e
storica erano usati i testi classici. Il retaggio dell'antichità era
inteso come la forma secondo cui veniva messa a punto la cultura
nazionale (i principî dell''emulazione' degli antichi in Lessing e
Herder contro l'idea dell''imitazione' in Winckelmann). È indicativo
che come punto di riferimento si prendessero i modelli greci della
cultura della πόλιϚ indipendente e non la statualità romana o
rinascimentale con la sua potenza politica e militare (quest'ultimo
orientamento era legato al modello francese di sviluppo culturale,
alla vicinanza della monarchia centralizzata, alle idee della
letteratura classica). Per la Germania, debole in senso politico, il
mondo ideale della filosofia e della letteratura, della scienza e
dell'arte poteva sorgere non come risultato dell'attività
civilizzatrice del potere mondano (come in Francia, dove il sovrano
e la sua corte erano i protettori della cultura e delle arti), ma
mediante la formazione individuale, il cui compito era assunto dalle
università di nuovo tipo. I principî della ϰαλοϰαγαθία, proclamati
dalla letteratura e dalle università come ideale educativo, si
fondavano non sulla vecchia eloquenza, ma sull'espressione
individuale, libera e naturale dell'anima umana e quindi dello
spirito nazionale. Di qui l'insistenza programmatica sulla lingua
materna e la priorità della letteratura nazionale come oggetto
principale d'attenzione e di studio dell'uomo colto.Nel XVIII secolo
il concetto di letteratura subisce una sostanziale differenziazione
e specializzazione semantica.
In Voltaire esso possiede un duplice significato: 1) comunità di
'veri' scrittori, mondo delle persone colte e 'degne'; 2) cultura
scritta, il cui padroneggiamento determina l'affiliazione e l'azione
in questo gruppo 'chiuso' di eletti.
Alla letteratura così intesa si contrapponeva il pubblico e in tal
modo si delineavano i confini di una comunità letteraria colta. Il
concetto di letteratura era il simbolo dell'identità collettiva di
un gruppo, di cui fondava l'autorità. In seguito l'accresciuta
importanza della letteratura si estende dal gruppo dei portatori
dell'autorità letteraria all'insieme dei testi da loro prodotti o
valutati. La semantica del concetto è sempre legata al gruppo dei
portatori della cultura letteraria, ma la letteratura è dotata ormai
dei significati estetici autonomi di arte (sistema di regole),
capace di creare opere destinate a durare nei secoli, e di corpus di
tali opere assunte come punto di riferimento.
Nel contenuto del concetto sono inclusi ora due significati: un
insieme empirico di opere e una loro valutazione dal punto di vista
del futuro, che ne perpetua il valore al di là del presente. La
doppia definizione di letteratura, che comprende le sue
caratteristiche formali e sostanziali, si conserva anche in seguito.
Questo permette di conservare nella semantica del concetto
connotazioni alte, aristocratiche, sinonimi di rarità e di
autenticità (in alcuni casi questo significato è conservato dal
concetto di poesia come equivalente di un particolare linguaggio
sacro).
L'universalismo dei Lumi, e poi del Romanticismo, con l'idea di
letteratura mondiale relativizza le componenti normative di tali
valutazioni. Questo processo si sviluppa impetuosamente col
rafforzamento delle posizioni della scuola storica nelle scienze
umane e poi con la comparsa del positivismo che rifiuta ogni
qualificazione a priori, non confermata dall'esperienza. Come
momento di sintesi di questi molteplici movimenti intellettuali, a
partire dalla metà del XIX secolo in Francia, Inghilterra e Germania
fanno la loro comparsa studi descrittivi sulla letteratura popolare,
bassa, triviale, ecc., ampliando i confini, che parevano
intangibili, delle idee sul contenuto, le forme e i principî di
funzionamento delle opere letterarie. A partire dalla fine del XIX
secolo la tradizionalistica unità normativa del modo di intendere la
letteratura viene sottoposta a una sistematica erosione e riduzione
nei manifesti e nella pratica dell'avanguardia letteraria. Ciò crea
una situazione di permanente crisi o fine della letteratura,
l'appellarsi alla quale diventa, in realtà, il meccanismo della
dinamica letteraria.
L'inizio dello sviluppo della letteratura nelle sue forme moderne
risale, dunque, al XVIII secolo.
L'erosione e la successiva disgregazione della società gerarchica e
il rafforzamento economico e poi anche politico del ceto urbano si
accompagnano alla distruzione del rigido tradizionalismo dei
meccanismi di regolazione sociale mediante la consuetudine. Ai
consolidati ordinamenti di vita e ai modelli integrali di condotta
si sostituiscono sistemi normativi e assiologici di regolazione del
comportamento. Il contenuto ideale di questi nuovi sistemi è
rappresentato da uno specifico concetto di cultura quale programma
di padroneggiamento pratico della realtà e di formazione della
personalità.I significati dell'ordinamento tradizionale del mondo
sono sottoposti a una universalizzazione intensiva: le antiche
prescrizioni di un determinato tipo di comportamento e, quindi, di
sentimento e di pensiero si trasformano radicalmente, liberandosi
dalla diretta pertinenza a un gruppo sociale. Nelle interpretazioni
dei pensatori del Terzo stato esse diventano modelli alti della
natura umana, norme naturali e generali della ragione e della
moralità. Adesso tutto ciò costituisce un insieme di esigenze e
concezioni ideali relative alla 'coltivazione' del genere umano,
alla formazione dell'individuo secondo i principî della
ragionevolezza e della nobiltà d'animo.
Alla base della cultura si pone la somma delle tradizioni del
passato, che ora hanno perso la loro diretta forza imperativa e sono
diventate 'costumanze storiche', 'storia naturale' dell'umanità. I
modelli dell'interazione sociale si trasformano così in strutture
simboliche, schemi generalizzati d'azione in quanto tale:
rappresentazioni, idee, valori. È proprio in un rapporto di
continuità con questi momenti 'storici' che si sintetizza e si
riempie di contenuto un presente indeterminato e perciò povero di
valore. Costruito com'è con blocchi di significati come 'antico',
'imperituro', 'originario', questo passato conserva un valore quasi
morale. Questo carattere quasi morale degli universali culturali,
inscindibile dal programma illuministico della cultura e, nel suo
ambito, della letteratura, si estende all'esempio raffigurato dallo
scrittore (azione, eroe, sentimento), che assume universalità di
significato, e alla conformità esemplare delle regole di tale
raffigurazione. Di qui l'importanza del concetto e delle norme del
'classico' nella letteratura e nella cultura scritta.
4. L'idea e la funzione del 'classico'
L'idea di un nucleo normativo della tradizione antica nella sua
forma fissata dalla scrittura risale all'Atene del IV secolo a.C.,
quando furono eretti monumenti agli ultimi grandi poeti tragici,
Sofocle ed Euripide, e fu preparato un esemplare statale
obbligatorio delle loro opere. Cominciava così una serie di
iniziative atte a fissare, ordinare e codificare il retaggio
letterario, la più rilevante delle quali è costituita dal lavoro dei
filologi della Biblioteca di Alessandria (i Canoni di Aristofane il
Bizantino).
Per la letteratura in via di formazione divennero paradigmi perfetti
sotto ogni riguardo certi frammenti del retaggio antico già
sistematizzato che da tempo costituivano oggetto di studio nelle
'classi'. L'aggettivo 'classico' era appunto usato nell'Europa
medievale col significato di 'scolastico', significato che conservò
fino all'inizio dell'età moderna (persino per Diderot
nell'Enciclopedia gli scrittori classici sono gli autori che si
spiegano nelle scuole). Gli umanisti rinascimentali
universalizzarono il significato che 'classico' ha in Aulo Gellio
(Le notti attiche, XIX, 8, 15) e in Cicerone, i quali usavano tale
termine in riferimento alle classi sociali superiori della società
romana, immettendovi la semantica astratta dell'esemplarità. Più
tardi i classicisti francesi interpretarono il 'classico' come ciò
che è caratteristico di tutta la civiltà antica, e prima di tutto di
quella romana. Del concetto, come della letteratura nel suo
complesso, si dà una duplice definizione. In esso si accoppiano i
criteri formali di un'astratta perfezione e le caratteristiche
sostanziali di un pantheon di autori e di un corpus di loro testi
rigorosamente scelti.
Verso il XVIII secolo i gruppi di élite, impegnati nella costruzione
ideologica delle tradizioni nazionali collegate da un rapporto di
continuità col mondo antico, sottopongono la semantica del concetto
di classico a un'ulteriore universalizzazione. Nasce l'idea di opere
'perfette' dell'età moderna, create secondo le regole e i modelli
antichi.
Nei conflitti dei gruppi letterari (le polemiche degli autori
'antichi' e 'moderni' in Francia, dei 'vecchi' e 'nuovi' libri in
Inghilterra) il predicato 'classico' inteso come 'perfetto' perde il
suo significato di 'antico', designa una esemplarità nel suo genere
e si estende agli autori moderni ("i nostri scrittori classici",
diceva Voltaire). Gli scrittori che nel processo di formazione degli
Stati nazionali e di elaborazione dei simboli dell'identità
culturale di una nazione aspirano a sintetizzare l'interesse per il
passato con le tendenze intellettuali contemporanee introducono il
concetto di 'classici nazionali' (Goethe).In seguito la semantica di
'classico' (e di 'classicistico') si definisce in un'opposizione di
valore a 'romantico', come 'imitativo' si contrappone a 'originale'
e 'forme vecchie' a 'forme nuove'. Il Romanticismo riconosce come
esemplare qualsiasi antichità, equiparando il classico a tutto ciò
che è naturale, nazionale, locale, popolare, ecc. L'antichità, prima
di tutto quella greca, è trattata come un fenomeno locale, storico,
della cultura. Nell'avanguardia postromantica questa opposizione
acquista la forma di antitesi tra il classico ovvero l''accademico'
(ciò che è comune, corretto e impersonale, ogni passato da
crestomazia, la tradizione come tale) e il 'moderno' (il concetto di
moderno, come metafora della soggettività 'aperta' dello scrittore,
introdotto da Baudelaire: v. Benjamin, 1969). "Paradigma della
modernità", secondo l'espressione di Jauss, diventa la lirica
'pura', soggettiva, meditativa, che distrugge sistematicamente i
generi letterari e i canoni stilistici della classicità.
Nell'evoluzione della semantica di 'classico' si possono individuare
le fasi della coerente costruzione di una tradizione culturale
universale. Questa tradizione si forma nel corso dei processi
attraverso i quali gli scrittori, i critici e, più tardi, gli
storici letterari elaborano la loro identità culturale. Mediante il
rimando al passato, inteso come alto ed esemplare, si stabiliscono i
confini spazio-temporali della storia della cultura e della
letteratura, le quali sono così sistemate nel loro sviluppo
progressivo e organico. La letteratura classica costituisce la base
di orientamento per la letteratura in via di formazione e per lo
scrittore in cerca di indipendenza, il criterio della produzione di
quest'ultimo, la fonte di temi, regole di costruzione del testo e
norme della sua percezione e interpretazione. In tal modo la
formazione dell'idea di classicità è di fatto il primo meccanismo
interno di integrazione della cultura letteraria che si va rendendo
autosufficiente, e quindi del sistema sociale della letteratura
nella sua rilevanza pubblica e nella sua autorevolezza culturale.
Naturalmente l'efficacia di un simile meccanismo tradizionalizzante
di autofondazione del ruolo di scrittore e di integrazione della
letteratura si conserva soltanto nell'ambito di una cultura
letteraria regolata normativamente e nei gruppi culturali più
conservatori. L'autorevolezza assiomatica della classicità si
mantiene più a lungo nei sistemi di socializzazione letteraria, cioè
nella scuola. In realtà anche la scuola letteraturocentrica, con la
sua pretesa di svolgere il ruolo di istituto unico di riproduzione
di tutta la società nella varietà dei suoi valori e delle sue
tradizioni, esiste e gode d'autorità soltanto entro dati limiti
sociali e cronologici. Al di là di essi una notevole parte delle sue
funzioni è assunta da altri istituti e meccanismi: i gruppi di
coetanei, la subcultura giovanile e, in particolare, i mass media.
Ma anche nella scuola (o forse prima di tutto proprio qui) la
classicità perde ogni carattere di tradizione viva. Anche per i
portatori istruiti della cultura letteraria conservano la loro
importanza soltanto le caratteristiche più generalizzate e astratte
della classicità. Si tratta di 'forme culturali' sui generis, che
possono essere usate nella comunicazione letteraria in varie
circostanze e con varie finalità: nell'analisi letteraria per
generalizzare le proprie osservazioni e conclusioni, nel corso della
polemica letteraria, ecc.In questo senso si può vedere un analogo
funzionale delle costruzioni integrative della classicità in
categorie teorico-letterarie generalizzanti come quelle di 'genere',
'tipo letterario', 'linguaggio poetico', 'stile alto', ecc. È anzi
legittimo confrontare le funzioni della classicità nella cultura
letteraria col ruolo che, ad esempio, le idee sull'ereditarietà
hanno nelle scienze naturali e sociali, nell'opinione pubblica e nei
testi artistici dell'età moderna. I concetti di ereditarietà e di
classicità fissano un modello che si conserva e si riproduce nel
tempo, mentre le potenzialità del cambiamento vengono attribuite
all'ambiente esterno (v. Kermode, 1975).
Alcuni studiosi rilevano che per vari stadi dello sviluppo della
cultura letteraria risultano funzionalmente prossimi principî
integrativi tra loro contrapposti come classicità e modernità (v.
Jauss, 1965). In questo senso un esempio di uso della classicità
nazionale e persino antica, caratteristico per la letteratura del XX
secolo, è costituito dai programmi letterari e dalla poetica
testuale dei gruppi novatori del neoclassicismo (Valéry nella poesia
francese, Eliot e Pound nella letteratura angloamericana,
Mandel´štam e l'acmeismo in Russia, e infine il postmoderno come
neoconservatorismo post- e antiavanguardistico dopo l'esplosione di
arte astratta degli anni quaranta e cinquanta e la rivolta radicale
degli anni sessanta). Le insistenti aspettative e persino le
richieste imperative di classici sorgono paradossalmente in
situazioni specifiche di brusco mutamento sociale, di rivoluzione
culturale, di sviluppo forzato in aree periferiche della civiltà
(Russia sovietica, paesi del Terzo Mondo). In questi casi la
classicità si trasforma da mitologema di un''età dell'oro' perduta
in proiezione utopica di un 'mondo nuovo'.
Di fatto l'unico genere letterario non codificato dalla poetica
classica e non entrato nel sistema gerarchico dei generi, insomma
una sorta di parvenu letterario, è il romanzo. I processi di
razionalizzazione e secolarizzazione della cultura nell'età moderna
hanno gradualmente trasferito sull'individuo la problematica
dell'assetto vitale. Il principio soggettivo è diventato l'unico
punto di riferimento nell'attribuzione di senso all'esistenza, il
centro da cui partire per dare ordine a una realtà sempre più
complessa. La letteratura, in queste circostanze, ha preteso allo
status di cultura in generale proprio perché ha potuto - a
differenza della pittura o della musica - creare un analogo della
totalità della vita nel suo movimento reale. L'opera narrativa,
unificata dal progetto e dall'esecuzione dell'autore che si è
assunto le prerogative del creatore, costituisce un mondo
immaginario unico e a sé stante, dotato di durata temporale e di
struttura significativa: una storia individuale presentata come
'storia del genere umano'.
5. La forma del romanzo e la dinamica della società
Il concetto di romanzo, pur avendo una lunga 'preistoria', ha
acquistato l'insieme dei suoi significati moderni relativamente
tardi (e in parallelo con quello di letteratura). Nel Medioevo nelle
lingue europee l'aggettivo romanz designava il parlato 'popolare'
contrapposto al latino scritto. A partire dal XII secolo questo
termine si riferisce ai testi che registrano la narrativa orale e
alla lingua in cui sono scritti. Esso, quindi, al pari del termine
'letteratura', indica soltanto il carattere tecnico-linguistico
(orale e scritto) della comunicazione. La parola francese romancer,
di origine più tarda, aveva in quest'epoca valore verbale e
significava 'tradurre dal latino in francese' e, a partire dal XV
secolo, 'narrare in francese'. 'Romanzo' diventa dunque
l'equivalente: 1) della narrazione fatta in lingue popolari o
tradotta in queste lingue; 2) dello scritto contrapposto all'orale.
Agli inizi della sua forma moderna il romanzo, in quanto genere che
pretendeva all'autonomia e persino alla supremazia tra gli altri
generi narrativi, era avversato da determinati circoli religiosi
(giansenisti, gesuiti, calvinisti). A loro si affiancavano
legislatori letterari del gusto di orientamento classicista, e più
tardi illuministico (Boileau, Voltaire, Diderot), che squalificavano
il romanzo in base a due criteri. Entrambe le varietà di romanzo,
quella secentesco-aristocratica, erede delle tradizioni del romanzo
cortese (eroico e pastorale-amoroso) da una parte, e quella borghese
(basata su una raffigurazione comica della vita quotidiana)
dall'altra, erano accusate di corrompere i costumi, poiché
trattavano le sfere dell'eros e del crimine nonché il tema del
denaro, che erano tabù per i classicisti, e di corrompere il gusto
in quanto rappresentavano situazioni inusitate o grottesche e
ricorrevano a un linguaggio grossolano o, viceversa, manierato
(comunque fuori della norma). È da notare che anche più tardi, fino
ai primi decenni dell'Ottocento, nelle famiglie 'per bene' in Europa
non si usava parlare di romanzi in presenza dei figli e della
servitù. Culmine della lotta per la purezza e intangibilità del
gusto fu, in Francia, il decreto del 1737 che vietava la
pubblicazione di romanzi nazionali in quanto "lettura che corrompe
la morale della società".
Tuttavia le traduzioni di romanzi inglesi (S. Richardson, H.
Fielding, ecc.) venivano pubblicate. In Inghilterra avevano già
avuto luogo intensi movimenti sociali e culturali, ragion per cui i
modelli di romanzo di tipo nuovo furono elaborati per l'Europa
proprio da scrittori inglesi. Essi offrirono una poetica del romanzo
che per i letterati francesi, marginali appartenenti alla nuova
aristocrazia di funzionari di umile estrazione, era 'estranea' e,
come tale, autorevole. Il novel inglese (francese nouvelle), a
differenza dell'elucubrato romance in più volumi, era caratterizzato
da maggiore compattezza, densità d'intreccio, attualità,
riconoscibilità dell'ambiente d'azione. Vi si affrontavano problemi
sociali, si proponeva un nuovo tipo di eroe, ricondotto al livello
dell'uomo comune che agisce a proprio piacere e nel proprio
interesse, mediando posizioni sociali e norme di comportamento
diverse. Per la letteratura del futuro gli autori del novel
trovarono nuovi moduli narrativi quali lo 'psicologismo' e la
'sensibilità'.
La legittimazione del genere romanzesco nel sistema letterario - al
di là della ricerca di 'predecessori nobili' nel passato: la fiaba
orientale, l'epica antica, i racconti cavallereschi medievali -
prosegue in primo luogo con l'elaborazione di regole estetiche, la
fondazione di convenzioni realistiche, l'affinamento di tecniche di
verosimiglianza illusoria, e poi con l'accentuazione dell'utilità
morale dei romanzi e della loro lettura. Nella ricerca di un
principio di autodeterminazione romanzieri e teorici del romanzo
fanno appello ai risultati, sempre più autorevoli per l'età moderna,
delle scienze naturali, della filosofia, della storia
(dall'esperienza e dalle teorie di queste discipline vengono mutuati
concetti e principî come 'realismo', 'convenzione', 'finzione',
ecc.). Nello stesso tempo il romanzo, che per i gruppi in via di
secolarizzazione assume il ruolo di una sorta di mondana
'scrittura', gradualmente e attraverso vari anelli di mediazione
assimila e ripensa le nozioni cristiane di persona umana,
responsabilità personale e formazione morale all'interno di un ciclo
vitale che viene interpretato e valutato nella prospettiva finale
dei valori ultimi. Per l'Inghilterra si tratta dei principî
anglicani, per la Germania delle idee del protestantesimo, per la
Francia delle concezioni dei giansenisti che, riplasmate nella
saggistica dei moralisti, influenzano ad esempio i romanzi di A.-F.
Prevost.
Questi processi interni alla letteratura si svolgevano in un
contesto di intense trasformazioni sociali e culturali. Ricordiamo,
ad esempio, il crescente livello di alfabetizzazione che fa da leva
alla mobilità sociale, specie quella femminile. Fatto, quest'ultimo,
di particolare importanza per il romanzo, che all'interno dei
movimenti per l'emancipazione della donna diventa il genere
letterario prediletto dalle lettrici e dalle scrittrici.Inoltre, in
questo periodo cresce impetuosamente la stampa periodica di massa,
si intensifica la produzione di edizioni economiche, nasce la moda
della letteratura amena, il che, a sua volta, amplia l'attività
delle biblioteche pubbliche. Nel 1740 in Germania furono pubblicati
soltanto 10 romanzi, mentre verso la fine del secolo ne uscivano già
300-330 all'anno (il ritmo della produzione romanzesca è più o meno
lo stesso, nella seconda metà del Settecento, anche in altri paesi
europei). Il concetto di 'storia', che ancora per i narratori del
XVII secolo era sinonimo di remote e valorose gesta di personaggi di
rango regale e aristocratico, vede modificarsi i suoi significati
con lo sviluppo del romanzo. La 'storia' (spesso il termine compare
già nei titoli delle opere con epiteti come 'autentica', 'veridica')
perde il prestigio di una realtà normativa e autosufficiente, di un
passato lontano ed emblematico: attraverso una continua correlazione
con un convenzionale futuro, con lo sviluppo dell'intreccio, con la
totalità biografica dell'eroe che muta attraverso le peripezie della
vita, verso la fine del XVIII secolo essa passa, per i romanzieri e
il loro pubblico, nella sfera del contemporaneo, del privato e del
quotidiano, aperta alle più svariate definizioni e interpretazioni.
Si relativizza anche la categoria del 'morale', che sempre più
spesso viene intesa in senso descrittivo, riguarda cioè gli usi e i
costumi degli strati sociali di cui si parla nel romanzo. Si
razionalizza (si cronologicizza) la struttura spazio-temporale
dell'azione romanzesca. Al suo interno, sullo sfondo delle misure
universali del tempo calendariale e del tempo storico, sono
compresenti e interagenti i punti di vista e le prospettive
assiologiche di vari eroi e narratori. Ogni limitazione normativa
del romanzo, riguardante lo stato sociale dell'eroe o la sfera del
suo comportamento, viene superata (ad esempio la necessità di una
storia d'amore, per lungo tempo obbligatoria in un romanzo),
conservando rilevanza soltanto per gli scrittori di consumo oppure
per i generi di massa, come il melodramma o la narrativa
storico-avventurosa.
Verso i primi decenni del XIX secolo il romanzo viene ormai pensato
come la forma più adeguata per narrare gli ampi processi di
mutamento sociale e culturale in atto in Europa, una sorta di
sinonimo di modernità. La nascita stessa del 'romanzo' è ora
collegata all'epoca dei grandi mutamenti nell'assetto sociale
("felice è la nazione che non conosce romanzi": A. Specht, 1834; "le
rivoluzioni sono le levatrici dei romanzi": F. Schahl, 1839). La
'genealogia' di questo genere letterario viene fatta risalire alle
opere di Richardson e Prevost, mentre le epoche precedenti sono
considerate solo 'preistoria'. Comincia l'età d'oro del romanzo,
compaiono i nomi più rilevanti (Balzac, Stendhal, Flaubert in
Francia; Dickens, Thackeray, Eliot in Inghilterra, ecc.), si creano
le reputazioni di 'classici' nuovi, i quali sono però anche
sovvertitori dei canoni letterari. Come genere dominante il romanzo
ora è per principio 'aperto' e assimila il più diverso materiale
tematico e le più svariate tradizioni letterarie nazionali,
modificandosi permanentemente, frantumandosi senza fine in
molteplici varietà e distruggendo ogni tipo di definizione 'ultima'.
Si può dire che proprio il romanzo è diventato la maggiore
acquisizione della cultura letteraria della modernità. È il romanzo
che, insieme alla lirica soggettiva, ha dato inizio a quella
disgregazione delle strutture canoniche e degli schemi normativi che
è propria di tale cultura. In questo senso la sua evoluzione ha
assorbito la storia della letteratura come istituto sociale
sviluppato, autonomo e universale.
6. L'istituto sociale della letteratura: aspetti generali
L'evolversi della letteratura in Europa come sistema sociale
autonomo è stato un momento di più ampi e lunghi processi di
differenziazione sociale e di formazione istituzionale nella fase di
passaggio dalle società gerarchiche a quelle moderne. Forse
sull'autonomizzazione della letteratura, sulla sua acquisizione di
prestigio sociale e di rilevanza culturale hanno influito in questo
periodo soprattutto i processi di avanzamento e di autoaffermazione
sociale di nuove élites secolari e colte non ereditarie e, quindi,
il costituirsi di una sfera pubblica, cioè di uno spazio di
comunicazione tra gruppi, di meccanismi di espressione e di
consolidamento degli interessi, di rappresentanza dei più ampi
strati sociali.
Tra il XVIII e il XIX secolo, in epoca postclassicistica e grazie
soprattutto ai letterati romantici che diedero vita a un'entità
sociale radicalmente nuova, la bohème (v. Graña, 1964), l'idea di
letteratura dei gruppi di elevato status sociale e poi di larghi
strati del pubblico colto subì una netta trasformazione. I confini
di ciò che è 'letterario' si allargarono e vennero sottoposti a un
ripensamento. Nello stesso tempo si crearono le premesse sociali per
l'indipendenza degli scrittori dal patrocinio del re e
dell'aristocrazia, dall'appoggio di salotti 'chiusi' e di circoli
ristretti. Nacque una rete di comunicazione letteraria (riviste,
abbonamenti, biblioteche circolanti). Comparve il mercato
letterario. Cominciò a formarsi un sistema di valutazione e
rimunerazione extrapersonale del lavoro dello scrittore, sistema
dotato di una propria misura dei risultati e dell'autorità di un
autore: l'onorario (per la Francia v. Clark, 1991; per la Germania
v. Engelsing, 1976; per l'Inghilterra v. Gross, 1969; per la Russia
v. Meynieux, 1966). Già la Convenzione, insieme ai diritti
dell'uomo, aveva proclamato in Francia i diritti d'autore, compreso
il diritto di rescindere il contratto con l'editore. Con le riforme
del sistema di istruzione nel corso del XIX secolo la struttura del
pubblico diventò più complessa e la cerchia dei lettori si allargò a
più riprese. Nel 1870 il parigino "Petit journal" superò per primo
la soglia della tiratura di un milione di copie.Il sistema della
letteratura acquistò una dimensione 'verticale' e dinamica. Divenne
possibile mettere a confronto gli autori sia sul piano sociale
(carriera, successo), sia su quello culturale (leadership
simbolica).
Per la prima volta compare un'avanguardia culturale: gruppi di
iniziatori di un rinnovamento letterario che si trovano sulla cresta
del cambiamento. Inizialmente si tratta dei romantici 'frenetici',
poi dei poeti 'maledetti' (Baudelaire, Verlaine, Rimbaud,
Lautréamont, Mallarmé) che professano il culto del 'genio' e
affermano l'idea di un'arte indipendente, autonoma, 'pura', nei
riguardi della quale non è pensabile alcun criterio generale o
sociale di misura, compreso quello del denaro. Gruppi d'avanguardia
di questo tipo hanno promosso le prime azioni pubbliche di
provocazione estetica e di sfida del gusto comune, compreso un modo
di vestire e di comportarsi che violava i canoni e le convenienze
borghesi. Al polo opposto degli epigoni del Romanticismo, che
divulgavano e così banalizzavano le sue conquiste e la sua poetica,
si enucleò il ruolo del 'mestierante letterario', creatore di
romanzi d'avventura di largo consumo come Alexandre Dumas, oppure
autore di romanzi d'appendice con elementi di critica sociale, come
Eugène Sue, le cui pubblicazioni sul giornale parigino
"Constitutionnel" ne duplicavano di colpo la tiratura (v. Minor,
1975). Anzi, ciò che era stato già sfruttato dall'avanguardia e
aveva perso problematicità, importanza e interesse nella cultura,
diventava una sfera a sé: la 'letteratura di massa'. I primi a
muovere una critica ideologica nei suoi riguardi furono proprio i
romantici (Constant, Joubert, Chateaubriand in Francia, Vjazemskij
in Russia).
Ma l'insieme dei ruoli sociali e la rete dei canali stabili di
comunicazione costituiscono soltanto un aspetto del sistema sociale
della letteratura: è l'aspetto che si può definire istituzionale,
strutturale.
L'altra dimensione dell'interazione letteraria in quanto sistema è
dinamica, processuale, e si basa sui gruppi. Si tratta dei fenomeni
della concorrenza e della lotta dei vari gruppi letterari - ognuno
dei quali ha una propria visione della realtà e una propria
concezione della letteratura - per il riconoscimento da parte del
pubblico, della critica, degli editori. I loro manifesti e la loro
pratica, l'interazione con gli altri gruppi già esistenti (l'organo
di questa comunicazione è la rivista letteraria con le rubriche
fisse di critica, di polemica, di recensioni) portano a mutamenti
nella disposizione di tutto il campo sociale delle lettere. Alcuni
raggruppamenti si spostano dalla 'periferia' della letteratura
(compresa la provincia geografica) al suo 'centro' e, viceversa, si
ha l'emarginazione di gruppi prima riconosciuti, il cambio dei capi
e delle generazioni letterarie e quindi anche dei canoni, dei generi
e delle poetiche dominanti, delle definizioni stesse del 'fatto
letterario'. I romantici sono stati pionieri anche in questo campo,
dando inizio alla lotta tra gruppi letterari, alla dinamica dei
raggruppamenti, e quindi affermando anche una critica letteraria:
non semplicemente una pratica normativa o una codificante
poetica-manifesto, bensì la polemica pubblica, lo scandalo, la
rivolta, la 'guerra letteraria' per il potere e l'autorità, il
cambio dei leaders del processo letterario, la moda letteraria, ecc.
Proponendo una valutazione specialistica della letteratura corrente
il critico non si limita a qualificare l'attività degli altri gruppi
letterari, a classificarne la produzione e a strutturare, in questo
senso, il processo delle comunicazioni letterarie. Egli mira non
soltanto a essere un'autorità all'interno della letteratura, ma
anche a godere di un ampio prestigio nella società in quanto i suoi
giudizi sulla letteratura contengono una valutazione della realtà
circostante, della 'vita stessa' nelle categorie della cultura.
Pertanto le definizioni della realtà il critico le attinge da quelle
predominanti nella pubblicistica d'attualità e nelle ideologie della
cultura e interpreta la letteratura mediante gli standard
teorico-letterari specializzati della corrente più autorevole del
momento. Inoltre i più progrediti gruppi di lettori si orientano
sulle valutazioni del critico e le reputazioni formatesi sotto
l'influsso della critica sono in una certa misura tenute in
considerazione dagli editori. Anche tra questi ultimi si formano
diversi ruoli e funzioni, da quelli dell'imprenditore puramente
commerciale, che lavora per il mercato, a quelli dell'amatore e
intenditore 'aristocratico' oppure del compagno di idee che sostiene
un determinato gruppo con la sua ideologia e la sua concezione della
letteratura. La struttura delle autorità intellettuali e dei
destinatari di un editore s'incarna nelle sue strategie comunicative
(bestsellers, varie collane, ecc.) e fa parte dell'immagine del
libro stampato: tiratura, formato, carattere tipografico,
impaginazione, prezzo, ecc., il che ne fa un significativo fatto
sociale, passibile di studio empirico da parte dello storico e del
sociologo (v. Dumazedier e Hassenforde, 1962; v. Bronson, 1968; v.
Lauterbach, 1979).
Nel periodo che ci interessa comincia quindi a formarsi un sistema
di trasmissione dei modelli letterari (e in senso più lato
culturali) all'interno della comunità colta, fatta di scrittori,
editori, lettori, da un ceto all'altro, dai gruppi di 'prima
lettura' alle fasce più conservatrici, da una generazione all'altra,
dal centro ai margini e agli strati bassi di una totalità
letteraria. Nello stesso tempo, sempre dai romantici, viene
riconosciuta l'importanza del retaggio preletterario come fonte di
innovazione.
Di qui la stilizzazione dell'arcaico, la rielaborazione del
materiale appartenente a culture diverse (orientale, scandinava,
nordamericana), dell''arte popolare', in singoli casi dei generi
'bassi' della letteratura, processi iniziati da Herder e Goethe e
continuati da Tieck, Arnim e Brentano in Germania, da Mérimée in
Francia, da Thomas Moore e Walter Scott in Inghilterra.
Simultaneamente veniva ripensata la funzione dello scrittore, si
rafforzava il suo ruolo nella società, crescevano le aspirazioni
sociali e le valenze culturali (v. Benichou, 1973; v. Viala,
1985).Il reddito, lo status, il peso sociale degli scrittori alla
moda (Balzac e più tardi Zola in Francia, Dickens in Inghilterra)
vanno rapidamente aumentando. L'attività nel campo delle lettere
diventa uno dei canali della mobilità sociale, il lavoro di
scrittore acquista un ruolo culturale di prestigio, la fama diventa
una forza sociale e persino un capitale politico. Questo porta a un
inasprimento, da una parte, della contrapposizione tra scrittore e
ambiente esterno (la 'società'), e, dall'altra, della concorrenza
per l'editore e il pubblico nella stessa comunità di scrittori. La
crudeltà dei costumi letterari, l'incomprensione, il fallimento
esistenziale, la sterilità creativa, l'inaridimento del talento
creativo diventano temi culturali significativi e intrecci di
romanzi (si veda l'articolo programmatico di Zola Il prezzo della
Roma letteraria, 1877). Si amplia il repertorio dei ruoli e delle
maschere culturali dello scrittore: il profeta e il mondano,
l''aristocratico dello spirito' e il letterato di professione, il
commentatore di giornale e il conferenziere, il declassato e
l'affermato, il legislatore dei gusti e delle mode e l'ospite
d'onore dei nuovi salotti mondani dell'alta borghesia che stilizzano
le forme di vita dell'aristocrazia ereditaria di un tempo. In
quest'ultimo ambito si hanno il patrocinio familiare (per esempio il
sostegno di Hugo da parte del fratello), la dedizione alle arti, la
protezione concessa ai poeti, agli artisti, ai musicisti (il
patrocinio di George Sand da parte dell'editore Buloz, di Flaubert
da parte della famiglia dell'editore Charpentier, ecc.).
Nello stesso tempo il declino del classicismo (del tradizionalismo)
come principio guida nell'organizzazione dei significati culturali e
come orientamento dominante nella cultura non distrugge affatto il
valore delle tradizioni letterarie. Al contrario, la trasmissione
dei modelli classici (il pantheon degli scrittori e un complesso di
opere canoniche assieme alle regole e agli esempi della loro
interpretazione) nel corso del XIX secolo si istituzionalizza. Essa
fa parte del sistema di educazione scolastica pubblica,
rappresentando la base dell'apprendimento della lingua materna e
delle forme di costituzione linguistica della vita e della
comunicazione sociale (v. Thiesse e Mathieu, 1981; v. Balibar e
altri, 1974). Tramite i modelli classici si delinea lo spazio della
comprensione reciproca nella critica delle riviste ('memoria
comune'), con riferimenti obbligatori ai predecessori nelle
recensioni delle novità (la loro struttura e la dinamica cronologica
sono state studiate dettagliatamente con una metodica
scientometrica: v. Rosengren, 1968 e 1984).
In questo modo si è creato un sistema stabile e insieme dinamico di
comunicazione letteraria. Nel suo ambito si può parlare dei ruoli
istituzionali dello scrittore, dell'editore e del critico, della
loro appartenenza di gruppo e quindi dell'immagine e della
trattazione della letteratura proprie di un gruppo. Un importante
meccanismo sociale di conservazione e di riproduzione di tali
significati istituzionali è costituito da quella somma di simboli di
gruppo che sono le biblioteche di vario tipo, da quelle nazionali,
rappresentative e pubbliche, a quelle 'chiuse' di vari sodalizi e
associazioni di amatori. Il carattere di un'entità sociale -
un'istituzione o un gruppo con una propria identità e un proprio
sistema di riferimento all''altro' - che dà vita a una biblioteca si
incarna nella scelta e nel sistema di raccolta dei libri e delle
riviste di tale biblioteca, nella struttura dei suoi servizi di
informazione, nelle forme di supporto offerte ai lettori (v.
Karstedt, 1954; v. Wang, 1989). Uno sviluppato sistema di
biblioteche di vario tipo è un fenomeno proprio dell'epoca della
modernizzazione delle società europee.
7. Conclusione. Problemi e prospettive
L'ulteriore sviluppo dello studio del rapporto tra letteratura e
società è legato allo sviluppo stesso della società e della
letteratura. Alla fine del XX secolo è ancora in corso un processo,
iniziato nei decenni precedenti, di profonda trasformazione della
realtà sociale e culturale, e quindi anche letteraria, nella parte
economicamente più sviluppata del pianeta e, dato il ruolo globale
determinante di questa, nell'intera umanità, per quanto
differenziata questa sia dal punto di vista del grado di sviluppo o
del tipo di civiltà. Si è attuata una sostanziale unificazione
mondiale che ha trovato per ora il suo culmine nella recente fine
della divisione tra un mondo capitalistico o democratico e un mondo
comunista o totalitario, divisione che ha avuto ripercussioni
profonde anche nella sfera culturale e forse soprattutto in quella
artistico-letteraria, dando luogo a due tipi diversi di rapporto tra
letteratura e società (oltre che tra quest'ultima e l'organizzazione
del potere). D'altra parte nel mondo capitalistico democratico,
rimasto senza un antagonista ideologico, sono avvenute e stanno
avvenendo trasformazioni radicali che hanno fatto parlare di società
postindustriale e di società della comunicazione generalizzata o
multimediale e, per quel che riguarda la cultura, di postmodernità.
Pur senza analizzare i molti significati che a quest'ultimo termine
vengono attribuiti, si può usarlo qui nel senso generale e neutro
non di un particolare movimento, bensì di una particolare
situazione, nella quale l'età moderna, finora esaltata da ideologie
'futuriste' (a volte rivoluzionarie) o vituperata da ideologie
'passatiste' (a volte reazionarie), arriva a una riflessione critica
sul concetto di progresso e su se stessa, consapevole che tutto un
periodo storico del tempo moderno si è esaurito e se ne è aperto un
altro assai problematico e complesso, comunque poi si cerchi di
definirne la natura e di prevederne gli sviluppi.Per la letteratura
la nuova fase postmoderna non si manifesta in una cifra unica: essa
mantiene una grande varietà di forme e tendenze senza perdere le sue
differenziazioni nazionali di tradizioni e di civiltà, ma nello
stesso tempo entra in un processo unificatore che permette di
applicare in un senso nuovo il termine, risalente a Goethe, di
'letteratura mondiale'. Di fronte al mondo letterario, ossia al
triangolo scrittore-critico-lettore così come esso variamente si
inscrive nelle diverse aree socio-nazionali, è disponibile l'intero
patrimonio letterario universale come mai in passato, mentre,
d'altro lato, l'energia creativa che tale patrimonio ha generato
sembra, se non esaurirsi, certo pulsare con minore intensità o anche
essere, per così dire, incanalata in un sistema produttivo che ne
uniforma tendenzialmente i risultati: l'editoria, i premi, i mass
media, ecc.
Non si tratta di ripetere ancora una volta il lamento sulla 'morte
della letteratura': meglio parlare di trasformazione della
letteratura, la quale ora assolutizza un procedimento creativo che
in vario grado le è da sempre connaturato: quello di attingere a se
stessa, alla letteratura, intendendo questo termine nel senso più
ampio e includendo quindi tutte le forme di espressione
mitopoietica. Si crea una particolare connessione di testi, di loro
interpretazioni di ennesimo grado (interpretazione
dell'interpretazione), di gioco parodico con essi, di distanziamento
ironico nell'atto della loro interazione inventiva, ecc. Non è più
semplicemente la rete delle 'citazioni nascoste' di cui è ricca la
letteratura passata, ma una sorta di riscrittura permanente che si
accompagna a una riflessione orientata sulla letteratura e sulla
letterarietà, con la consapevolezza di venir 'dopo' (il 'post' di
tanti termini che vogliono definire il nostro presente) millenni di
grande creatività spirituale. Quel movimento anomalo del XX secolo
che è stato il 'realismo socialista', oggetto per lo più di ironia e
di deprecazione, è stato l'espressione, almeno a livello teorico,
della più totale illusione progettuale, quella marxista del
'comunismo reale', di aprirsi a un nuovo mondo creativo, a un
'grande stile' analogo a quello di epoche passate, ma potenziato da
un carattere di universalità e non più di classe (v. Strada, 1986).
Quali orrori abbia fatto nella realtà questo progetto utopico non è
il caso di ripeterlo ora. Ma vale la pena di ricordare la serietà,
se così si può dire, di questa disastrosa illusione, leggendo certe
opere del suo teorico letterario maggiore, György Lukács e, in
particolare, la discussione che nel 1933-1934 si svolse all'Istituto
di filosofia dell'Accademia comunista a Mosca intorno alla relazione
del filosofo comunista ungherese sul romanzo, in cui Lukács (v.,
1961) dava uno svolgimento marxista-leninista alla sua Teoria del
romanzo, scritta nel 1914-1915. Si delinea in essa, come già nelle
prime opere di questo pensatore, una particolare visione del
rapporto letteratura-società, rapporto che ormai, al tempo della
discussione all'Accademia comunista, era diventato soprattutto
letteratura/potere (totalitario, in questo caso).
Ma, a parte le idee di Lukács che tanto peso hanno avuto nella
riflessione marxista sia sovietica sia occidentale, la cosa più
rilevante è che simultaneamente a quel dibattito, e in
contrapposizione a esso, si andava delineando in Russia una visione
profondamente diversa della letteratura considerata nel suo aspetto
sociale: quella di Michail Bachtin, per decenni quasi ignoto e ora
universalmente apprezzato. Il nome di Bachtin non può non essere qui
fatto perché le sue idee hanno anticipato con straordinaria
profondità quella condizione della letteratura che si è definita
genericamente 'postmoderna'. Il concetto di 'dialogicità', da lui
sviluppato in una nuova teoria del linguaggio, definisce nel modo
migliore il sistema infinito di relazioni che si stabilisce tra i
testi letterari e che oggi si fa più complesso che mai. Il rapporto
letteratura/società trova in questa prospettiva nuove possibilità
analitiche non solo per quel che riguarda il presente, ma anche per
il passato, dato che la visione 'dialogica' elaborata da Bachtin è
profondamente storica e permette di seguire il variare del concetto
stesso di letteratura, nonché degli stili e dei generi letterari.
Uno studio sociale (storico) della letteratura si presenta oggi, con
un apparente paradosso, soprattutto come studio della lettura,
intendendo questo concetto nel senso più lato: lettore non è
soltanto il pubblico, oggetto di inchiesta e di analisi della
tradizionale sociologia della letteratura, ma in primo luogo lo
scrittore, la cui scrittura è nutrita e intessuta di testi altrui,
che egli interpreta e combina. E lettore è, naturalmente, il critico
(il teorico e lo storico della letteratura), che professionalmente
'decifra' un testo e lo colloca in una catena di altri testi,
all'interno di determinati contesti. Data la molteplicità
praticamente infinita di possibili letture di un testo da parte di
uno scrittore, di un critico e di un pubblico, nasce la questione
dell'identità di quel testo e dell'arbitrarietà delle sue letture,
questione che può risolversi solo nella prospettiva del rapporto
letteratura/società. L'identità accertabile di un testo è quella
filologica (ecdotica), base dell'identità dinamica e plurima di
senso del testo medesimo. Identità quest'ultima che trova i suoi
confini unicamente all'interno di una complessa tradizione di
lettura e di una determinata comunità di lettori e che si svolge
entro due dimensioni temporali: quella del tempo limitato del
momento e del luogo della creazione di un testo (il contesto, che
include tutto ciò che dal passato è entrato in esso) e quella del
tempo illimitato dei momenti e luoghi successivi di vita del testo
(l'intercontesto, insieme dei suoi ambiti di lettura). Tra tutte le
letture attuate e attuabili c'è una segreta connessione
logico-storica che dà la poli-identità incompiuta (perché aperta al
futuro) di un testo. Naturalmente la lettura che un autore può fare
di un suo testo e la sua stessa intenzione creativa, non sempre del
resto appurabile, non costituiscono un elemento privilegiato nella
vita di un testo, che è dotato di un suo proprio destino.La diade
letteratura-società diventa paradossalmente quella lettura-società,
la quale però non è altro che quella scrittura-società, pensando la
società non in modo ipostatizzato, ma secondo un criterio storico.
Quanto al futuro di questo insieme di rapporti
(letteratura-lettura-scrittura-società) bisogna non tanto pensare
alle nuove metodologie che l''industria sociologica' potrà fornire,
quanto alla società futura e alla futura letteratura.