Sistema

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Complesso organizzato di dottrine, di teorie, scientifiche o filosofiche, in coerente relazione l’una con l’altra secondo un principio unificatore.

L’idea di s. come organizzazione, come insieme di elementi interconnessi, appare già nella filosofia antica. Nella filosofia moderna la nozione è ripresa in un senso vicino a quest’ultimo da G.W. Leibniz e da C. Wolff; I. Kant qualificò ulteriormente il concetto indicando come s. «l’unità di molteplici conoscenze raccolte sotto un’unica idea». La tesi kantiana dell’unicità del principio da cui derivano tutte le conoscenze sarà privilegiata nei s. idealistici di J.G. Fichte, F.W.J. Schelling e G.W.F. Hegel, rivendicando peraltro alla filosofia come «s. unico e perfetto dello spirito umano» l’ideale di sistematicità e di scientificità. Un significato più specifico è rintracciabile nell’espressione settecentesca s. del mondo, con cui venivano indicate le teorie cosmologiche del tempo. Analogamente si indicava con il termine s. un certo insieme di tesi metafisiche o filosofiche. Gli illuministi, proprio in relazione a quest’uso, parlarono spregiativamente di esprit de système, a indicare le arbitrarie e aprioristiche costruzioni dei filosofi.

 

5. Teoria dei sistemi

La teoria dei s. (detta anche scienza dei s.) studia il comportamento di insieme di elementi interconnessi (funzionali o concreti), detti entità; ogni entità è caratterizzata da: a) grandezze (dette anche variabili) di ingresso provenienti da altre entità del s. o dall’esterno; b) grandezze di stato che descrivono la situazione in cui si trova l’entità; c) grandezze di uscita, il cui valore dipende da ingressi e stato, indirizzate verso altre entità del s. o verso l’esterno. Le grandezze di ingresso provenienti dall’esterno sono dette anche esogene, quelle interne al sistema endogene. Le grandezze esogene possono essere di vario tipo: grandezze controllate da una o più entità decisionali esterne che cercano di influenzare l’evoluzione del s. (grandezze di controllo); uscite di altri s. che evolvono indipendentemente o la cui evoluzione è legata a quella del s. in esame, disturbi dovuti generalmente a effetti combinati di entità esterne non facilmente caratterizzabili in termini di sistema. Le grandezze di ingresso provenienti dall’esterno sono dette ingressi del s., quelle di uscita dirette verso l’esterno sono dette uscite del sistema. La suddivisione delle grandezze che interagiscono con l’esterno in ingressi e uscite corrisponde generalmente a relazioni causa-effetto e viene detta orientamento del sistema. Gli elementi che formano il s. possono corrispondere a funzioni svolte (operazioni di trasformazione di materiali e/o informazioni) e/o a componenti fisici.

I s. vengono detti aperti se vi sono interazioni con l’esterno (attraverso ingressi e uscite), si dicono chiusi se la loro evoluzione non dipende da grandezze esterne (ovvero non vi sono ingressi, possono invece esservi uscite in quanto alcune grandezze possono essere misurate e tale misura essere portata all’esterno). Se le uscite di alcune entità del s. vengono misurate da un sottosistema di misura e, dopo opportune elaborazioni e trasformazioni, vengono utilizzate come ingressi in modo da formare cicli (il caso più semplice è quando una uscita di una entità viene riportata in ingresso della stessa entità), si dice che vi è una retroazione (feedback); l’evoluzione temporale di un s. con controreazione è un problema largamente studiato nella tecnica, in particolare nell’analisi della stabilità.

In un s. l’evoluzione dello stato delle varie entità dipende dallo stato iniziale e dagli ingressi del s., quella delle uscite del s. dallo stato e dagli ingressi. Se le funzioni che legano lo stato a un certo istante a stato iniziale e ingressi, e le uscite a ingressi e stato, sono lineari, il s. è detto lineare, in caso contrario è detto non lineare; se le funzioni sono lineari rispetto allo stato e lineari rispetto all’ingresso ma non lineari rispetto a entrambi (ovvero se compaiono dei prodotti fra variabili di stato e di ingresso), il s. è detto bilineare; se il tempo è discretizzato e le grandezze in esame sono considerate solo in particolari istanti o intervalli temporali (sia per l’introduzione di una approssimazione, sia perché ciò corrisponde alla situazione reale), il s. è detto a tempo discreto; se anche i valori che possono assumere le grandezze del s. sono discretizzati o appartenenti a un insieme finito, il s. è detto discreto; se alcune grandezze del s. sono variabili aleatorie, il s. è detto stocastico; se le funzioni che legano ingressi, stato e uscite sono equazioni differenziali alle derivate parziali, il s. è detto a parametri distribuiti; se la struttura delle funzioni che legano ingressi, stato e uscite può essere modificata (o comunque varia nel tempo), il s. è detto a struttura variabile (ed è generalmente non lineare).

La scienza dei s. offre una metodologia generale per la rappresentazione e l’analisi di situazioni in diversi ambiti applicativi, e per lo studio di possibili modalità di intervento per ottenere comportamenti desiderati del s., anche se le difficoltà di analisi ed elaborazione diventano spesso troppo elevate per utilizzazioni pratiche. Applicazioni significative sono state sviluppate in quasi tutti i settori della tecnica.

Politologia e scienze sociali

Modo in cui è organizzato un settore della vita di una collettività, di una nazione, o anche una sua istituzione, una sua struttura.
[...]

2. S. politico

Insieme delle interrelazioni fra unità politicamente significative (individui, gruppi, strutture) e fra processi attraverso i quali si producono decisioni che riguardano una determinata collettività. Nella sua accezione più estesa, il concetto di s. politico è venuto a sovrapporsi alla nozione di Stato, propria della tradizione giuspubblicistica e filosofica e ritenuta inadeguata a descrivere e spiegare la molteplicità delle dimensioni e dei fenomeni che caratterizzano la politica nel mondo contemporaneo. Il s. politico funziona sostanzialmente come un meccanismo complesso che risponde alle sfide del proprio ambiente (sociale, economico, internazionale), vi si adatta attraverso equilibri omeostatici e cerca di modificarlo attraverso ‘allocazioni autoritative di valori’, cioè decisioni vincolanti per l’intera collettività, che distribuiscono risorse simboliche e materiali con una buona probabilità che queste vengano accettate e attuate dai membri della comunità politica. I processi attraverso i quali si realizza questa attività consistono nell’immissione di domande e sostegno (input), nella loro conversione in decisioni (output), nella valutazione di queste attuazioni (outcome) e negli effetti di retroazione che esercitano sulle nuove domande e sulle immissioni di sostegno (feedback). Ogni s. comunica dunque con l’ambiente cui è esposto e da cui riceve stimoli, mantenendo propri confini che delimitano la sfera politica dalle altre sfere della vita sociale: e la misura di questi confini segna il grado di rilevanza e di penetrazione del s. politico nella società, nel mercato o nell’arena internazionale (per es., in regimi a tutti gli effetti ‘interventisti’, i confini del s. politico saranno massimamente dilatati; viceversa, in regimi di tipo liberista gli stessi confini tenderanno a restringersi nella configurazione di uno ‘Stato minimo’). Infine, ogni s. politico comprende al suo interno più sottosistemi (per es., partitico, parlamentare, giudiziario ecc.) che interagiscono fra loro e con il s. politico cui appartengono, assumendone le stesse modalità di funzionamento, ma non anche la stessa cogenza e lo stesso ambito di efficacia per quanto riguarda gli output decisionali, di fatto destinati ai propri membri e non a tutti i membri della comunità politica.

I s. politici hanno un proprio ciclo di sviluppo durante il quale si consolidano, si modificano – fino ad assumere nuove configurazioni morfogenetiche (come avviene, per es., in seguito a processi anche radicali di cambiamento) – o possono estinguersi per effetto, per es., di rivolgimenti rivoluzionari. In conclusione, la prospettiva sistemica ha fornito contributi teorici importanti alla scienza politica, soprattutto per quanto riguarda l’analisi comparata orientata empiricamente, anche se presenta rischi di degenerazione in senso olistico quando se ne perda di vista la valenza essenzialmente euristica per assumere il s. politico non come modello ma, impropriamente, come realtà a sé stante.

3. S. sociale

Nella tradizione analitica delle scienze sociali, l’organizzazione complessiva dei rapporti e delle istituzioni collettive e le interazioni che in questa si stabiliscono secondo la logica compositiva che lega le parti al tutto. Nell’analisi sistemica della società si distingue un modello di riferimento di tipo analogico da uno di tipo logico e formale. Il s. analogico consiste nel rappresentare una realtà complessa attraverso il confronto con una realtà più semplice, descritte entrambe in termini di s., che si presume possa avere alcune proprietà simili a quelle che sono state scelte come oggetto di studio. In questo senso, l’idea di società elaborata dalla ‘protosociologia’ (da autori come A. Comte, H. Spencer, É. Durkheim) è spesso basata sul ricorso alla metafora dell’organismo vivente o alla similitudine con i s. meccanici (la piramide, la scala, la bilancia, l’orologio). A differenza di quello analogico, il s. formale è una costruzione logica e simbolica di una situazione reale, elaborata mentalmente, che non ricorre al paragone con realtà di altra natura né presume di valere essa stessa come realtà distinta. La ricostruzione teoricamente più sofisticata in questo senso si deve a T. Parsons e alla scuola struttural-funzionalista americana degli anni 1950, secondo cui il punto di partenza di ogni analisi della società è dato dallo studio dell’azione sociale, considerata appunto come s. nel contesto delle interdipendenze che la legano ad altri s. sottordinati attraverso un ordine di controllo cibernetico che procede, in linea ascendente, per contenuto di informazione e, in linea discendente, per contenuto di energia. L’analisi sistemica della società costituisce, in questa chiave, un modello di astrazione logica che serve a organizzare il dato empirico in proposizioni generali, che abbiano a loro volta la proprietà di essere connesse secondo relazioni di interdipendenza funzionale.

Dizionario di Filosofia (2009)

Termine che indica: (1) un insieme di proposizioni, di cui quelle iniziali costituiscono le premesse e quelle finali le conclusioni e fra le quali vige un rigoroso nesso deduttivo; (2) insieme di entità o di concetti che costituiscono un tutto organico o, più semplicemente, fra i quali esiste una reciproca relazionalità. La filosofia antica non usa quasi mai tale termine, ma l’organizzazione deduttiva, o metodo assiomatico, secondo cui sono organizzati gli Elementi di Euclide, è prova che l’idea di un’organizzazione sistematica della conoscenza, avente come modello la scienza matematica, era ben presente anche al mondo classico. Largamente usato, sempre nello stesso senso, nel 17° sec., per es. da Leibniz, il termine nel 18° sec. è al centro dell’attenzione di d’Alembert e della sua famosa contrapposizione fra esprit de système «spirito di sistema», astratto, metafisico e improduttivo, e esprit systèmatique «spirito sistematico», concreto, basato sui fatti e produttivo di nuove conoscenze. Sempre nell’ambito della cultura dell’Encyclopédie, è Condillac a dedicare al concetto una sua opera fondamentale, il Trattato dei sistemi (1754), arricchendolo di un nuovo connotato, poiché alla caratteristica del rapporto deduttivo fra le parti aggiunge quella del loro nesso reciproco, realizzando così un nesso fra il significato (1) e il significato (2) che sono stati distinti: «Un sistema non è altro che la disposizione delle diverse parti di un’arte o di una scienza in un ordine in cui tutte si sorreggano a vicenda, e in cui le ultime si spieghino mediante le prime» (Trattato dei sistemi, cap. I). Questa visione organicistica del s. verrà ribadita da Kant, nella Critica della ragion pura (1781), e si accentuerà ancora di più con la filosofia idealistica, che (con Fichte, ma anche, per vie diverse, con Schelling e con Hegel) farà della deduzione di tutta la conoscenza da un unico principio e del suo costituire un unico s. uno degli aspetti più importanti della filosofia. A titolo di esempio, si potrà ricordare questo passo di Hegel tratto dalla Prefazione alla Fenomenologia dello spirito (1807): «soltanto come scienza o come s. il sapere è effettuale, e può venire presentato soltanto come scienza o come s.». Un altro settore della filosofia romantica, quello jenese (➔ Romanticismo), sviluppava nello stesso tempo una diversa visione del concetto, che implicava una critica al carattere compatto e univoco di s. come quelli di Hegel e di Fichte; specialmente Novalis e F. Schlegel contrapponevano a questi ultimi l’idea di frammento, che era pur sempre un’apprensione della totalità, ma che, data la distanza fra finito e infinito, non poteva che essere un’apprensione rotta, parziale e momentanea: una serie di infinite illuminazioni successive era l’unico modo per avere accesso alla totalità. L’idea di s. si sarebbe così portata accanto l’idea, nemica e insieme gemella, di frammento, prima nel corso del 19° sec., con Kierkegaard e la scrittura aforismatica di Nietzsche, e poi nel 20° sec., specie in esponenti della Scuola di Francoforte come Bloch, Benjamin e Adorno. La Dialettica negativa (1966) di Adorno, da lui stesso definita una «logica della disgregazione», rappresenta probabilmente il punto più alto in cui l’esposizione e la concezione dialettica sistematica viene vista non come l’opposto, ma piuttosto come l’altro lato della frammentarietà, del rifiuto di sottomettere tutta la diversità del reale alla logica di un s. unico. Il concetto di s. viene così profondamente trasformato, parallelamente a quello di dialettica: essenzialmente negativo, esso designa non la concatenazione rigida del tutto, ma il dispiegarsi eterogeneo e non univoco di un reale molteplice, che è un tessuto di relazioni dinamiche e storiche, e per nulla fisse e definibili in termini oggettivi. Nel campo della termodinamica e delle scienze biologiche, lo studio, sviluppatosi soprattutto nella seconda metà del Novecento, dei s. aperti, aleatori, dinamici e aperti al cambiamento, contrapposti ai s. chiusi, tautologici e ripetitivi, costituisce un mutamento del concetto di s. che, in campo scientifico, corrisponde all’evoluzione del concetto di s. in campo filosofico che è stata delineata.