Riflessione

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L’azione di considerare pensando e ripensando con attenzione e scrupolo. Nel linguaggio filosofico, il termine è andato storicamente caratterizzandosi in accezioni più specifiche. In J. Locke la r. designa una delle due fonti della conoscenza (l’altra è la sensazione, che le fornisce il materiale); essa dà origine alle cosiddette idee di r., non ottenibili mediante i sensi (percezione, pensiero, dubbio, credenza ecc.). Per I. Kant la r. è quel particolare stato dello spirito che permette di «scoprire le condizioni soggettive nelle quali possiamo arrivare ai concetti», è «la coscienza della relazione tra le rappresentazioni date e le nostre varie fonti di conoscenza», grazie alla quale può essere colto il loro scambievole rapporto. G.W.F. Hegel, sottolineando il carattere creativo della r. in una prospettiva gnoseologica che rifiuta alcuni dei presupposti fondamentali della posizione kantiana, la vede come attività che caratterizza la libertà del soggetto pensante in quanto non si limita a cogliere una natura delle cose come natura preesistente, ma la produce nel momento stesso in cui la coglie. Di qui la radicale svalutazione di una filosofia della r. in cui l’intelletto umano proceda per astrazione, cioè per separazioni e opposizioni che tiene fisse e insuperabili, rimanendo perciò sostanzialmente legato alla realtà sensibile, incapace di elevarsi al grado della ‘ragione’.

Dizionario di Filosofia (2009)

Dal lat. tardo reflexio, propr. «ripiegamento». Operazione con cui l’intelletto, in possesso di un contenuto qualsiasi, ottiene conoscenza di sé e delle proprie funzioni. Il termine acquista una prima rilevanza filosofica nella tarda scolastica, e in partic. negli scritti di Tommaso d’Aquino, il quale osserva come l’intelletto «secundum eandem reflexionem intelligit et suum intelligere et speciem qua intelligit» (Summa theologiae, I, q. 85, a. 2), ossia intenda, mediante la r., tanto il proprio intendere quanto la specie attraverso la quale intende. Già in questa definizione si avverte peraltro l’eco dell’antico motivo platonico-aristotelico del «sapere di sapere», del «pensiero che pensa sé stesso»; motivo che risuona peraltro nel termine reditio, usato da Tommaso come sinonimo di reflexio, e già impiegato dai traduttori medievali per rendere la nozione di ἐπιστροφή, con cui i neoplatonici (Proclo) avevano inteso il movimento dell’Uno che torna in sé stesso dalla dispersione nella materia. Il concetto di r. assume tuttavia importanza specifica nella filosofia moderna, quando viene adoperato per designare l’attività interiore con cui lo spirito integra, dal punto di vista conoscitivo, la percezione del mondo esterno. Decisivo è il contributo apportato in questo senso da Locke, che nella reflection indica una delle due fonti della conoscenza, ponendo l’altra nella sensazione; mentre la seconda apporta il materiale dall’esterno, la prima interviene nella formazione delle cosiddette idee di r., non ottenibili mediante i sensi (percezione, pensiero, dubbio, credenza, ecc.). La questione del rapporto tra r. e sensazione, che Locke aveva posto ma non chiaramente risolto, sarà affrontata dai principali esponenti della tradizione empiristica (Hume, Condillac), che tenderanno a riassorbire la funzione del riflettere in quella del sentire. Distaccandosi parzialmente da questa tradizione, sarà Kant a proporre (Critica della ragion pura, 1781, B 316-346) una nuova concezione della r., definendola come «la coscienza della relazione tra le rappresentazioni date e le nostre varie fonti di conoscenza», grazie alla quale può essere colto il loro scambievole rapporto. Nella sua forma «trascendentale», distinta da quella logica che si limita al confronto delle sole rappresentazioni fra loro, essa ha per oggetto le coppie concettuali di identità-diversità, concordanza-opposizione, interno-esterno, materia-forma, cioè quei concetti generali che rendono appunto possibile il confronto tra le rappresentazioni. Necessaria all’esercizio critico della facoltà di giudizio, la r. interviene specialmente nelle inferenze del giudizio riflettente (➔ riflettente/determinante, giudizio), laddove si tratta di arrivare a concetti universali partendo da concetti particolari; e in questo senso Kant ne approfondisce l’analisi nella Critica del giudizio (1790), sempre rimarcandone il carattere soggettivo e la fondamentale sua dipendenza, per il contenuto, dalla sensibilità. La tendenza a svalutare la r., il suo procedere per astrazioni, cioè per separazioni e opposizioni ritenute fisse e insuperabili, il suo rimanere sostanzialmente legata alla realtà sensibile e incapace di elevarsi al grado della «ragione», sarà invece uno dei motivi peculiari dell’idealismo postkantiano. Tale tendenza culminerà nell’intensiva reinterpretazione di Hegel, che nella r. vede incarnato l’atteggiamento intellettualistico della filosofia kantiana, ma anche quello del senso comune, della scienza e della metafisica tradizionale, e si propone quindi di risolverne i dualismi nel movimento del sapere assoluto, attraverso lo svolgimento dialettico del concetto di «essenza» (Wesen), concepita come grado dell’idea logica in cui l’essere, superata la sua originaria immediatezza, diviene mera «apparenza», sicché «tutto si sdoppia […]: una volta c’è un immediato, un essente, e una seconda volta c’è lo stesso immediato come mediato, come posto» (Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio, 1817, § 112, aggiunta). In seguito, il tema della r. sarà ripreso in vario modo, e specialmente in chiave spiritualistica (Maine de Biran), fenomenologica (Husserl, Scheler) ed esistenzialistica (Marcel, Sartre).