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    Carattere di ciò che appartiene ai tempi più recenti. Riferito a
    persone o a manifestazioni, indica adesione allo spirito e al gusto
    dei tempi, e quindi originalità ed emancipazione dalla tradizione.
    Lo spirito della m. spesso connotato da un carattere utopico (nella
    consapevolezza che un'era si sta aprendo), dalla ricerca del nuovo e
    dall'interesse per lo specialismo e l'avanguardismo.
    
moderno e postmoderno
Nella riflessione contemporanea viene spesso usato il termine postmoderno, per indicare la crisi e il tramonto della m. nelle società del capitalismo maturo, entrate, a partire dagli anni Sessanta del Novecento, in una fase caratterizzata dalle dimensioni planetarie dell'economia e dei mercati finanziari, dall'aggressività dei messaggi pubblicitari, dall'invadenza della televisione, dal flusso ininterrotto delle informazioni sulle reti telematiche. In contrasto con i caratteri tipici dell'ideologia modernista, la condizione culturale postmoderna si caratterizza soprattutto per una disincantata rilettura della storia, definitivamente sottratta a ogni finalismo, e per l'abbandono dei grandi progetti per l'uomo, elaborati a partire dall'Iluminismo e fatti propri dalla m., dando luogo, sul versante creativo, più che a un nuovo stile, a una sorta di estetica della citazione e del riuso, ironico e spegiudicato, del repertorio di forme del passato, in cui è abolita ogni distinzione tra i prodotti 'alti' della cultura e quelli della cultura di massa.
modernità - approfondimentodi Gianluca Sadun Bordoni
Il termine 'modernità' deriva dall'aggettivo 'moderno', con il quale si può intendere: un'epoca della storia; un tipo di società; una forma dell'esperienza estetica.
Un'epoca della storia
Etimologicamente, 'moderno' significa semplicemente 'ciò che appartiene al presente' (analogamente a 'odierno') ed è in questa accezione che compare per la prima volta nelle Epistulae pontificum di Gelasio, alla fine del 5° secolo. Solo in età carolingia l'espressione seculum modernum comincia ad assumere il senso proprio di un distacco dall'antico, senza tuttavia una chiara distinzione tra antichità pagana e cristiana: nonostante la contrapposizione di S. Paolo tra le "cose vecchie" e le "cose nuove", sorte con la venuta di Cristo, la distinzione tra antiquus e modernus non corrisponde, nel Medioevo, a quella tra 'pagano' e 'cristiano'. Con la cd. rinascita del 12° sec. si afferma l'idea di una possibile superiorità dei moderni, come nella celebre immagine di Bernardo di Chartres, che li indica come nani sulle spalle dei giganti (gli antichi), capaci dunque di vedere almeno un poco più lontano. L'orientamento all'emulazione degli antichi, proprio dell'Umanesimo rinascimentale, mostra bene la complessa gestazione della modernità: esso infatti, mentre ripristina l'idea della superiorità dell'antico, favorisce la genesi del concetto di medium evum, come parentesi negativa, destinato a uno sviluppo determinante in età illuministica. È comunque proprio dalla reazione nei confronti di tale orientamento verso l'esemplarità del mondo antico che si verifica una fondamentale maturazione del problema, all'epoca della disputa letteraria nota come Querelle des anciens e des modernes, sviluppatasi in Francia sul finire del Seicento, e nell'ambito della quale si affermò l'idea della superiorità dei moderni nelle scienze, nelle lettere e nelle arti. L'idea di una perfettibilità nelle arti, analoga a quella delle scienze, non trova tuttavia seguito: Voltaire, nella voce Anciens et modernes del Dictionnaire (1764), afferma la superiorità degli antichi nella letteratura e dei moderni nelle scienze. Si viene così definendo quell'idea di una differenziazione degli ambiti dell'esperienza, ciascuno recante una propria logica di sviluppo e propri schemi di valutazione, che è al centro della voce Moderne dell'Encyclopédie di D. Diderot e J.-B. d'Alambert e che, assieme alla nascente secolarizzazione del potere politico e all'incipiente differenziazione dello Stato dalla società nell'età dell'assolutismo, annuncia la genesi di un nuovo tipo di sistema sociale, dopo quello dell'età feudale. È in questo stesso periodo, tra la fine delle guerre di religione e l'età illuministica, che l'autonomia storica dell'epoca moderna diviene oggetto di una definizione più compiuta, attraverso la determinazione di essa rispetto al passato e al futuro: da un lato, la cultura illuministica elabora il concetto di Medioevo come parentesi negativa, il che implica la comprensione del tempo successivo come una fase nuova e superiore; dall'altro, l'indebolirsi dell'attesa cristiana della fine dei tempi rende possibile l'apertura di un orizzonte del futuro illimitatamente aperto alla novità. Solo così diventa poi possibile distinguere un'età 'moderna' da una 'contemporanea', concetto che sin dall'inizio del 19° sec. viene introdotto, con riferimento prevalente alla cesura rappresentata dalla Rivoluzione francese, e che per la prima volta indica un tempo che si apre davanti a noi, mostrando una crescente accelerazione del mutamento storico e della sua registrazione. Da allora, la modernità come concetto epocale si riferisce a un tempo inteso strutturalmente come transitorio, cioè destinato a essere superato. I tentativi di fissare una cronologia della modernità intesa come epoca, indicandone l'inizio (o magari annunciandone la fine), al di là dell'uso convenzionale, appaiono in tal senso problematici, rispetto a questa consapevolezza ormai acquisita della modernità come presente sempre in mutamento.
Un tipo di società
La consapevolezza di vivere in un'età segnata da profondi cambiamenti determinò d'altro canto, già a partire dalla fine del 18° sec., l'esigenza di chiarire il carattere di novità proprio della società moderna, favorendo la nascita della sociologia, che cerca di radicare l'autodescrizione della modernità sul terreno di una comprensione della sua struttura sociale. A tal fine, il pensiero sociologico ha cercato di misurare la nuova società industriale rispetto a quelle passate facendo leva sul modo di produzione capitalistico (K. Marx), segnato da una rivoluzione incessante dei rapporti sociali, in virtù della quale "tutto ciò che è solido si scioglie nell'aria" (come si dice nel Manifesto), ovvero sul prevalere di una razionalità strumentale in tutti gli ambiti della vita sociale (M. Weber), su un processo di razionalizzazione che si accompagna a un progressivo 'disincanto' del mondo e all'emergere di un irriducibile 'politeismo' dei valori, in perenne conflitto tra loro.
Una forma dell'esperienza estetica
Il carattere di novità permanente proprio della modernità è stato colto anche nell'esperienza soggettiva individuale, divenendo dalla metà del 19° sec. il centro di gravità di una nuova sensibilità artistica e di una nuova estetica: "la modernità è il transitorio, il fuggitivo, il contingente, la metà dell'arte, di cui l'altra metà è l'eterno e l'immutabile", dice C. Baudelaire in Il pittore della vita moderna (1863). La modernità si presenta così come una qualità o una forma dell'esperienza, che l'arte è chiamata a registrare, e che trova nei luoghi tipici della vita moderna, come la città, l'ambito privilegiato della sua rappresentazione. Tra la fine del 19° e l'inizio del 20° sec. i fenomeni artistici da tale esperienza suscitati verranno indicati come arte d'avanguardia. Da allora è anche attiva una tendenza a vedere nella modernità estetica il luogo privilegiato per una comprensione della modernità in generale. Il cd. postmoderno non è probabilmente altro che un'accentuazione dell'esperienza della frammentazione propria della modernità estetica sin dal tardo Ottocento, contrapposta all'idea classica che indicava ottimisticamente la modernità come certezza del progresso, profondamente scossa dalle tragedie del Novecento.
di David Frisby
    
      Sommario: 1. Introduzione. a) Differenze concettuali:
      modernità, modernizzazione e modernismo. b) Problemi
      analitici e metodologici. 2. Le teorie classiche della
    modernità da Baudelaire a Weber. a) Baudelaire e il concetto di
      'modernité'. b) Modernità e capitalismo in Marx. c)
      Le concezioni di Tönnies e di Durkheim. d) Simmel:
      denaro, metropoli e modernità. e) Razionalità e modernità
      in Weber. 3. La Teoria critica. a) La 'preistoria
      della modernità' di Benjamin; b) La Dialettica
      dell'illuminismo di Horkheimer e Adorno. c) Habermas e la
      modernità come progetto. 4. Nuovi sviluppi del dibattito sulla
    modernità. 5. La modernità in una prospettiva postmoderna. 6.
    Conclusioni. □ Bibliografia. 
    
    1. Introduzione
    
    Sebbene il concetto di 'modernità' abbia fatto la sua prima comparsa
    nel discorso sociologico solo alla fine del XIX secolo, lo studio
    delle caratteristiche, della struttura e dei processi della società
    moderna ha inizio assai prima nell'ambito delle indagini sulla
    società civile. In diversi stadi del loro sviluppo le singole
    discipline umanistiche si sono poste il problema di individuare ciò
    che è nuovo nella società moderna. Ciò vale per l'economia politica
    di Adam Smith nel XVIII secolo, per la storiografia di Vico e per la
    sociologia di fine Ottocento. In particolare, gli sforzi della
    sociologia per imporsi come una disciplina autonoma spesso hanno
    coinciso con la sua pretesa di offrire un'analisi del presente
    (Gegenwartsanalyse), un'esplorazione e una diagnosi dei tratti
    distintivi e nuovi della società moderna. Così come è accaduto in
    altre discipline che si proponevano anch'esse di investigare gli
    aspetti, i processi o l'esperienza della società moderna, tale
    diagnosi ha assunto spesso la forma della proclamazione di uno stato
    di crisi. Il dibattito sulla modernità sembra dunque destinato a
    riaccendersi in periodi di crisi sociale e intellettuale, diventando
    particolarmente vivace in quei momenti storici in cui si crede di
    ravvisarne l'emergere oppure il declino. Di 'fine della modernità'
    parlano appunto alcune delle teorie più recenti, secondo le quali a
    essa sarebbe subentrata una condizione postmoderna. 
    
    a) Differenze concettuali: modernità, modernizzazione e
      modernismo
  
Tutte le scienze sociali hanno elaborato, sia pure in tempi diversi,
    una propria teoria della modernizzazione: un'analisi ai vari livelli
    - sociale, economico, politico, psicologico e culturale - delle
    modalità e dei processi attraverso i quali è emersa quella che viene
    definita 'società moderna'. Si è trattato spesso di analisi
    formulate in termini etnocentrici, in quanto si proponevano di
    indicare il percorso che le altre società avrebbero dovuto seguire
    per modernizzarsi, portandosi al livello delle società 'avanzate'
    già modernizzate e proposte quindi come modello. Queste teorie
    etnocentriche si basavano su una contrapposizione tra società
    moderne e tradizionali, tra formazioni economico-sociali statiche e
    dinamiche, e ricercavano i fattori storici di cambiamento
    responsabili della transizione alla modernità. Spesso, inoltre, vi è
    stata la tendenza a considerare lo stadio attuale della società come
    una condizione finale e definitiva, come il punto d'arrivo di un
    processo di sviluppo o di un progresso la cui dinamica era confinata
    esclusivamente nel passato. Una concezione di questo tipo ignora
    inevitabilmente la natura transitoria del presente attuale e della
    società moderna.
    Ogni teoria della modernità in cui questa è intesa come
    configurazione radicalmente nuova dell'esperienza analizza anch'essa
    i processi di transizione alla società moderna, senza peraltro
    ridursi a una teoria della modernizzazione. Così, le teorie
    estetiche della transizione alla società moderna e alla modernità
    sviluppatesi a partire dalla seconda metà del XIX secolo hanno dato
    luogo a una serie di modernismi estetici, spesso accompagnati da
    manifesti delle avanguardie artistiche che annunciavano la comparsa
    di movimenti modernisti radicalmente nuovi e miravano a esplorare
    sul piano estetico lo 'shock del nuovo'. Quelle teorie che indagano
    la modernità intesa come nuova configurazione dell'esperienza,
    anziché studiare la società moderna in generale nel complesso dei
    suoi rapporti economici, sociali e politici, privilegiano in genere
    la dimensione estetica.
    
Quando con 'modernità' ci si riferisce a un percorso temporale e
    strutturale che occorre seguire per acquisire le caratteristiche
    delle società 'moderne', ossia quelle del mondo occidentale
    industrializzato, il significato del concetto viene a coincidere con
    quello di 'modernizzazione'. Quando invece il concetto di modernità
    viene riferito al complesso delle modalità o delle qualità
    dell'esperienza sociale moderna, il suo significato viene a
    coincidere con quello di 'modernismo' estetico. Un terzo, più
    recente significato del concetto di modernità è quello di 'progetto
    storico' proposto da Habermas. Tutte queste accezioni della nozione
    di modernità - modernizzazione, modernismo e progetto storico -
    pongono problemi di ordine analitico e metodologico (v. Osborne,
    1992). 
    
    b) Problemi analitici e metodologici
    
L'analisi dell'etimologia e dell'uso storico del concetto di
    modernità (v. Gumbrecht, 1978) dimostra la notevole incertezza che
    circonda i concetti di moderno, modernità, modernizzazione,
    modernismo applicati a determinate epoche storiche, come ad esempio
    'il fine secolo'; tale incertezza ha forse raggiunto il culmine
    negli ultimi decenni, in cui la nozione di modernità è arrivata a
    includere tutti questi concetti correlati o a confondersi con
    essi.La tendenza ad associare la modernità a un cambiamento nella
    coscienza storica, a porre l'accento su un processo di mutamento
    accelerato e a identificare la modernità col presente pone in
    effetti la questione di una periodizzazione storica.
    
La periodizzazione storica della modernità spesso si basa su
    cronologie e suddivisioni temporali astratte, nonché su una
    decontestualizzazione del presente. Fissare una cronologia della
    modernità - collocandone la data d'inizio nel tardo Rinascimento,
    intorno al 1500 (v. Berman, 1982), e indicando poi quali cesure
    successive il 1789 e il 1900 - significa basarsi su una concezione
    astratta delle epoche storiche. Far coincidere la modernità con lo
    sviluppo del modo di produzione capitalistico è accettabile solo se
    si possono indicare i processi attraverso i quali la formazione
    economico-sociale capitalistica trasforma i rapporti e le esperienze
    sociali nel senso della modernità. Affermare, come fa Habermas, che
    la modernità intesa come progetto ha avuto inizio con l'illuminismo
    e con l'autonomia della ragione presuppone che si possa dimostrare
    la continuità di tale progetto intellettuale da Kant in poi. Anche
    la 'preistoria della modernità' di Walter Benjamin, che può essere
    considerata il tentativo più ambizioso di abbandonare ogni
    connessione con una periodizzazione storica per esplorare la
    modernità come processo nel passato e nel presente, conserva
    nondimeno alcuni elementi di una periodizzazione del capitalismo
    (Baudelaire viene definito come un poeta del 'capitalismo
    avanzato').
    
Se è vero che la sociologia alla fine del XIX secolo identificava il
    proprio compito nello spiegare, in modi diversi, la transizione alla
    modernità e nel delineare i processi chiave di tale transizione, è
    vero altresì che le teorie della modernità e le analisi del mondo
    contemporaneo elaborate nell'ambito delle scienze sociali sono
    sempre state associate a una critica piuttosto che a una
    celebrazione del presente. Tuttavia, soprattutto nei primi decenni
    del XX secolo, ciò non ha impedito la comparsa di teorie della
    modernità 'antimoderne' (v. Herf, 1984), nonché di progetti politici
    e mitologici post-storici associati al fascismo.
    Le teorie che istituiscono una correlazione tra modernità e
    disgregazione di totalità preesistenti e postulano una radicale
    frattura tra il passato e il presente, estendendo tale disgregazione
    e tale discontinuità alle forme precedenti di analisi sociale,
    impongono l'abbandono del ricorso acritico a tradizioni, certezze e
    concezioni totalitarie. Se, come molti sostengono, la condizione
    moderna comporta una radicale frammentazione dell'esperienza, è
    necessario analizzare la modernità a partire da questi frammenti. 
    
    2. Le teorie classiche della modernità da
      Baudelaire a Weber
    
    a) Baudelaire e il concetto di 'modernité
    
Introducendo il nuovo concetto di 'modernité' nel suo saggio del
    1863, Le peintre de la vie moderne, Baudelaire la definì come ciò
    che è "transitorio, fugace, fortuito, la metà dell'arte di cui
    l'altra metà è l'eterno e l'immutabile", accentuando in tal modo la
    contrapposizione di vecchia data tra antico e moderno. È la grande
    metropoli, secondo Baudelaire, il luogo per eccellenza in cui
    l'esperienza moderna si presenta in queste nuove dimensioni. La
    modernità è concepita sia come una 'qualità' della vita
    contemporanea che come un nuovo oggetto estetico, fondato sulla
    novità contingente ed effimera del presente, sulla metamorfosi
    costante delle cose alla superficie dell'esistenza quotidiana.
    
Sebbene Baudelaire fosse interessato preminentemente alle forme di
    rappresentazione estetica della modernità, il suo discorso sulla
    dimensione transitoria, fugace e fortuita dell'esistenza moderna può
    essere ampliato e trasposto a un livello più generale di rilevanza
    sociologica. Se la modernità viene concepita come esperienza
    discontinua e disgregatrice di un tempo transitorio (momenti di
    presente), di uno spazio fugace (mobile, frammentato), e di
    costellazioni fortuite o arbitrarie di eventi non più legati da
    nessi causali, tale concezione ha delle implicazioni significative
    anche per quanto attiene alla sfera dell'individualità, del
    soggetto; il rapporto tra modernità e identità soggettiva è appunto
    uno dei temi dominanti del recente dibattito sulla modernità (v.
    Giddens, 1992; v. Lash e Friedman, 1992). In questa lettura
    ampliata, la concezione baudelairiana della modernità trascende i
    confini di quello che Habermas ha definito 'modernismo estetico' e
    può costituire un quadro di riferimento all'interno del quale
    analizzare il rapporto tra modernità e coscienza storica, le
    trasformazioni dello spazio sociale, la fusione dello spazio e del
    tempo, nonché la messa in discussione delle categorie tradizionali
    di causalità, necessità storica e necessità naturale. 
    
    b) Modernità e capitalismo in Marx
    
L'identificazione tra modernità e capitalismo (v. Sayer, 1991) è
    stata attuata forse nella forma più coerente da Karl Marx. Nel
    Manifesto del Partito comunista, che è stato definito il primo
    manifesto modernista (v. Berman, 1982), egli mette in luce la
    dinamica e gli aspetti distruttivi del capitalismo che plasmano la
    modernità. Qui come in altri scritti Marx incentra l'attenzione
    sull'incessante processo di 'rivoluzionamento della produzione'
    all'interno delle formazioni economico-sociali capitalistiche, cui
    si accompagna il costante sconvolgimento di tutti i rapporti
    sociali, uno stato permanente di incertezza e di agitazione. A
    questa distruzione rivoluzionaria del passato (che implica una
    distruzione della specificità storica) si accompagna un'altra
    caratteristica della modernità, l'incessante distruzione del
    presente (tutti i rapporti sociali appena formati "diventano
    obsoleti prima che si possano cristallizzare"). 
    
Ma laddove in questi primi scritti Marx parte dall'assunto che tale
    dinamica distruttiva, in cui "tutto ciò che è solido si dissolve in
    aria", svelerebbe le "condizioni reali" della vita sociale, nelle
    sue opere più mature (i Grundrisse, il primo volume de Il capitale),
    con la teoria del feticismo delle merci egli introduce una terza
    caratteristica della modernità, l'eterno riprodursi di quella
    "illusione socialmente necessaria" che è la forma di merce, la quale
    costituisce il principale ostacolo a un futuro qualitativamente
    diverso.Mentre Max Weber mette l'accento sul 'disincanto'
    (Entzauberung) del mondo come una delle caratteristiche della
    modernità, la teoria marxiana del feticismo delle merci e delle
    illusioni della forma di merce nella sfera della circolazione e
    dello scambio suggerisce l'idea del costante riprodursi di un
    incantesimo, che assume la forma di un processo di reificazione del
    "movimento che si svolge alla superficie del mondo borghese". Ciò
    implica la creazione di nuove illusioni, all'interno "del traffico
    quotidiano della vita borghese" quale si manifesta nella
    circolazione delle merci. La dinamica rivoluzionaria della
    formazione economico-sociale capitalistica e la sua dimensione
    costantemente distruttiva possono essere considerate funzionali alla
    sopravvivenza dei rapporti sociali capitalistici (v. Berman, 1982) e
    delle caratteristiche della modernità a essi associate.
    Analogamente, le illusioni socialmente necessarie nell'ambito delle
    forme fenomeniche in cui la società capitalistica si manifesta ai
    suoi membri fanno sì che il suo presente appaia eterno anziché
    transitorio, la sua economia naturale anziché storicamente data, i
    suoi rapporti sociali armoniosi anziché contraddittori. 
    
Tuttavia Marx non dedica eccessiva attenzione all'esperienza
    quotidiana della modernità nella società capitalistica; egli è
    interessato piuttosto a individuare le 'leggi del movimento' del
    modo capitalistico di produzione, incentrando la sua analisi su
    questa formazione economico-sociale. Il rapporto tra modernità e
    società capitalistica (o società comunista) è raramente tematizzato
    da Marx, e solo la transizione alla modernità capitalistica viene da
    lui esaminata in modo approfondito. 
    
    c) Le concezioni di Tönnies e di Durkheim
    
Le analisi della transizione alla modernità sviluppate negli scritti
    sociologici di Ferdinand Tönnies e di Émile Durkheim mettono in luce
    un'importante caratteristica della riflessione sociologica su queste
    tematiche alla fine del XIX secolo. I tentativi di individuare ciò
    che è nuovo e moderno nella società contemporanea sono strutturati
    nei termini di una contrapposizione tra la modernità e il suo
    contrario. In questo senso Durkheim contrappone la solidarietà
    meccanica alla solidarietà organica, Tönnies la Gemeinschaft alla
    Gesellschaft. Introducendo questi ultimi concetti Tönnies mira a
    mettere in luce gli elementi costitutivi dell'esperienza moderna,
    presentando il passaggio dalla Gemeinschaft alla Gesellschaft come
    un passaggio a rapporti sociali di tipo contrattuale e
    convenzionale, che trovano espressione nei rapporti di scambio
    capitalistici e nella vita nella grande città. 
    
La Gesellschaft viene vista da Tönnies come 'un paese sconosciuto',
    come un fenomeno di transizione cui egli contrappone la Gemeinschaft
    quale centro di forze creative e formative. Sebbene ciò non fosse
    affatto nelle intenzioni di Tönnies, le implicazioni ideologiche e
    normative contenute in questi due concetti ne favorirono
    l'appropriazione da parte di movimenti reazionari che denunciavano
    la società moderna. La disgregazione della Gemeinschaft e della
    coscienza collettiva costituiscono un tema centrale nell'analisi
    durkheimiana dell'ordine morale della modernità nel contesto delle
    società basate su una divisione del lavoro avanzata e delle sue
    forme anormali. Col progredire della divisione specializzata del
    lavoro l'individuo acquista un'importanza crescente; la coscienza
    collettiva nelle società basate sulla solidarietà meccanica
    (caratterizzate da una struttura segmentaria, da una scarsa
    interdipendenza, da sentimenti e credenze comuni) lascia il posto a
    una coscienza collettiva più complessa e problematica, fondata
    sull'individualismo, tipica delle società moderne complesse basate
    sulla solidarietà organica (caratterizzate da una struttura
    differenziata, da un alto grado di interdipendenza, dal culto
    dell'individuo).
    
L'indebolirsi della coscienza collettiva nonché dell'integrazione e
    della regolamentazione dell'individuo determina una crisi nel
    rapporto tra individuo e gruppo e porta all'affermarsi di una
    società caratterizzata dal predominio dell'egoismo (indebolirsi
    dell'integrazione) e dall'anomia (indebolirsi della
    regolamentazione). L'egoismo dà luogo a un'intelligenza
    ipercoltivata, a un pensiero privo di oggetto, a un mondo di
    sentimenti e di rappresentazioni del tutto individuale; l'anomia dal
    canto suo è causa di un'emotività incontrollata, di passioni senza
    scopo e di desideri sfrenati. Tali patologie dell'individuo, secondo
    Durkheim, sono da mettere in relazione con un crollo del sistema di
    regole morali determinato da perturbazioni di ordine economico e
    sociale, oppure dalla disintegrazione dei rapporti sociali. Nella
    misura in cui la società capitalistica moderna favorisce un eccesso
    di consumismo per mantenere in moto la propria economia e un eccesso
    di individualismo, le tendenze negative scorte da Durkheim diventano
    endemiche e non costituiscono più mere deviazioni patologiche. In
    questo tipo di società, inoltre, gli individui tendono a investire
    parte della loro identità almeno in acquisizioni, ma si tratta di un
    investimento che non sarà mai realizzato. L'individualismo, e a
    maggior ragione l'eccessivo individualismo, non possono garantire
    l'identità personale. In questa visione della modernità, dunque,
    acquista un carattere problematico il rapporto tra identità
    personale, individualità e società moderna. 
    
    d) Simmel: denaro, metropoli e modernità
    
A differenza delle teorie che individuano le principali
    caratteristiche della modernità nelle trasformazioni del modo di
    produzione e nell'industrializzazione, la riflessione di Simmel
    sulla modernità si focalizza su due contesti diversi eppure
    interrelati: la grande metropoli e l'economia monetaria matura. La
    transizione alla modernità viene ricollegata da Simmel - in modo
    peraltro non del tutto convincente - allo sviluppo dell'economia
    monetaria matura e alle sue ripercussioni sulle altre sfere della
    vita. I momenti più validi dell'analisi simmeliana della modernità
    si ritrovano comunque nella sua indagine sulle trasformazioni
    intervenute nei rapporti sociali e sulle loro ripercussioni nella
    sfera dei sentimenti e dell'esperienza soggettiva nei due contesti
    chiave della modernità. In modo diverso eppure correlato la
    metropoli (come luogo della concentrazione e dell'intensificazione
    della modernità) e l'economia monetaria matura (come luogo della sua
    diffusione ed estensione) hanno come centro focale le sfere della
    circolazione (di merci e di individui), dello scambio e del consumo,
    e sono caratterizzate da un aumento della differenziazione sociale
    (e nello stesso tempo della indifferenziazione, come conseguenza
    dell'azione livellatrice del denaro quale equivalente universale di
    tutti i valori), da un incremento della funzionalizzazione
    (astrazione) dei rapporti sociali e da un divario crescente tra
    quelle che Simmel definisce cultura soggettiva e cultura oggettiva.
    
L'esperienza del presente immediato nella società moderna secondo
    Simmel è differenziata e discontinua (frammentata). Sia nella grande
    metropoli che nell'economia monetaria matura la cultura tende a
    trasformarsi in cultura di cose o oggetti. Questo processo di
    reificazione è al centro della teoria simmeliana del rapporto
    dialettico tra cultura oggettiva e cultura soggettiva, ove la
    cultura oggettiva diventa una sfera autonoma governata da proprie
    leggi di sviluppo che si contrappone alla cultura soggettiva,
    individuale. Proprio nella grande metropoli l'individuo sperimenta
    in forma estrema questo processo di autonomizzazione e di
    reificazione dei prodotti del proprio spirito, al quale reagisce
    attraverso processi di dissociazione, di separazione o di
    distanziamento sociale. La tendenza all'isolamento, l'atteggiamento
    ostile e l'indifferenza nei confronti degli altri che caratterizzano
    l'esistenza metropolitana (rappresentati in modo drammatico
    nell'espressionismo tedesco) costituiscono inoltre, secondo Simmel,
    le forme elementari di socializzazione (Vergesellschaftung)
    nell'economia monetaria, attraverso le quali l'individuo reagisce
    alla reificazione delle relazioni sociali di scambio e al flusso
    astratto e dinamico della circolazione delle merci. Nella società
    moderna, così come viene presentata da Simmel nella sua Filosofia
    del denaro, il valore perde il suo carattere sostanziale
    trasformandosi in un concetto relazionale, la teleologia mezzi-fini
    diviene elevazione del denaro a mezzo assoluto, la qualità viene
    ridotta a quantità, l'aumento della libertà individuale ha come
    contropartita una crescente funzionalizzazione delle relazioni
    sociali, i valori personali vengono ridotti a valori monetari e lo
    stile di vita, pur presentandosi ai nostri occhi come una totalità
    oggettiva, è in realtà composto di elementi frammentari.
    In effetti, mettendo in rilievo la frammentazione dell'esperienza
    nella società moderna e analizzandone le ripercussioni sulla sfera
    psicologica, Simmel tra gli autori del suo tempo offre forse
    l'analisi più organica del mondo quotidiano della modernità,
    prestando attenzione ai "frammenti fortuiti di realtà", ai delicati,
    invisibili fili sociali che legano reciprocamente gli individui. La
    frammentazione e il flusso incessante del mondo delle apparenze che
    caratterizzano la modernità richiedono un approccio metodologico che
    focalizzi l'attenzione sulle relazioni tra individui, gruppi e cose.
    E difatti i concetti chiave della teoria di Simmel, quelli di
    interazione e di socializzazione, sono concetti relazionali. 
    
    e) Razionalità e modernità in Weber
    
Lo sviluppo del moderno razionalismo occidentale e le sue conseguenze, tra cui il capitalismo razionale, costituiscono il punto focale della teoria weberiana della modernizzazione e della modernità. La razionalità strumentale - le cui origini vengono individuate da Weber nell'applicazione e nella trasposizione sul piano pratico di alcuni aspetti della dottrina protestante, e che grazie alla sua dinamica interna domina tutte le principali sfere della vita: sociale, economica, artistica, giuridica, amministrativa e religiosa - ha affermato la propria superiorità in quanto si caratterizza come una razionalità puramente formale, basata su un preciso calcolo dei mezzi e dei metodi più efficaci per raggiungere un determinato fine.
L'organizzazione (formalmente) razionale del
    lavoro salariato, delle aziende, dell'amministrazione, dei sistemi
    giuridici e dei sistemi di legittimazione dello Stato, della
    religione, ecc., e il predominio dell'azione razionale orientata
    allo scopo sugli altri tipi di azione razionale (orientata al
    valore, all'affettività, alla tradizione) possono essere visti come
    un processo universale globalizzante.
    
La creazione di una serie di sistemi e di sottosistemi dell'azione
    razionale orientata allo scopo in tutti gli ambiti sociali si
    accompagna secondo Weber a un progressivo 'disincanto'
    (Entzauberung) del mondo, in cui la razionalità formale ha affermato
    la propria superiorità su altri tipi di attribuzione di senso, alla
    creazione della irrazionalità nella sfera assiologica e valutativa
    (con il conseguente, irriducibile conflitto tra diversi sistemi di
    valori), e a una perdita di libertà e di significato dell'individuo
    in quelle sfere (burocratica, economica, giuridica, politica) in cui
    domina l'organizzazione razionale. Allorché il dominio della
    razionalità formale produce una situazione in cui i processi del
    mondo 'accadono' o 'sono' in modo del tutto oggettivo e impersonale,
    l'individuo può reagire cercando rifugio in una visione del mondo
    rassicurante, ossia con un ritorno alla mitologia e
    all'irrazionalità. Allorché la razionalità formale minaccia di
    colonizzare tutti gli ambiti della vita, l'uomo può reagire alla
    'gabbia di ferro' della razionalizzazione e all'assenza di forze
    dinamiche facendo appello a una leadership carismatica in grado di
    superare questo stato di fossilizzazione. La teoria weberiana della
    modernità ipotizza il passaggio da una dinamica interna della nuova
    forma di razionalità a una situazione in cui il suo dominio è
    caratterizzato dalla costrizione e dalla compulsione esterne, nonché
    da una condizione di fossilizzazione. La dinamica della modernità
    porta a una situazione di crisi, che non può essere risolta
    attraverso formazioni sociali alternative.
     
    3. La Teoria critica
    
    Le critiche alla modernità contenute nelle teorie sociologiche di
    fine Ottocento sono state riformulate in forma più radicale ed
    estrema dagli esponenti della Teoria critica, che continua a
    influenzare in modo significativo il dibattito sulla modernità. Il
    primo e, sebbene incompiuto, il più coerente tentativo di sviluppare
    una teoria critica della modernità è quello offerto da Benjamin in
    Das Passagenwerk. 
    
    a) La 'preistoria della modernità' di Benjamin
    
Due delle 'definizioni' della modernità date da Benjamin - "il
    mondo dominato dalle sue fantasmagorie [...] questa è modernità", e
    "il nuovo nel contesto di ciò che è sempre stato" - suggeriscono una
    possibile affinità con il pensiero di due autori precedenti: Marx e
    Nietzsche. La prima definizione infatti sembrerebbe riecheggiare la
    nozione marxiana di 'illusione socialmente necessaria', di mondo
    illusorio creato dalla forma di merce e dal suo feticismo. La
    seconda definizione potrebbe essere ricollegata anch'essa al
    discorso marxiano del volto sempre nuovo della merce, ma richiama
    del pari la teoria nietzscheana dell'eterno ritorno dell'eguale.
    
Il tratto distintivo della 'preistoria della modernità' di Benjamin
    risiede nel fatto che la sua esplorazione di Parigi, capitale del
    XIX secolo - con le sue strutture architettoniche, immagini,
    rappresentazioni, mezzi di comunicazione, ecc. - intende gettare
    luce sulla modernità attuale. Benjamin si serve inoltre di una serie
    di figure dialettiche - moderno e antico, le masse e la città, il
    nuovo e il sempre eguale - al fine di costruire una costellazione di
    dimensioni interrelate della modernità. 
    
Egli rinuncia volutamente all'idea di uno sviluppo, di un progresso
    lineare, riconoscendo l'irruzione del passato nel presente,
    dell'antico nel seno della modernità stessa.Nel corso di questa
    ambiziosa ricostruzione della Parigi di metà Ottocento - dai
    passages ai panorami, ai grandi magazzini, alle stazioni
    ferroviarie, ai caffè, ecc. - Benjamin cerca di cogliere i mutamenti
    essenziali dell'esperienza e della percezione nella realtà urbana
    del capitalismo moderno, attraverso una ricognizione delle immagini
    e dei mezzi di rappresentazione della modernità (panorami, specchi,
    mode, ecc.), delle strutture architettoniche e delle strade della
    metropoli moderna, di certe figure - il flaneur, il giocatore
    d'azzardo, la prostituta, lo sfaccendato - che esemplificano alcune
    dimensioni chiave della modernità, e, infine, di ciò che egli
    definisce "il mondo estinto delle cose". L'esistenza fenomenica
    della merce come cosa avrebbe dovuto costituire il tema centrale
    dell'ultima parte, mai scritta, di quest'opera.
    Benjamin cerca di costruire la sua 'preistoria della modernità'
    partendo dai frammenti, dalle immagini, dalle rovine della
    modernità. Il mondo della grande città moderna è un testo non ancora
    decifrato, un testo che può essere un sogno (che richiede un
    risveglio), un puzzle (che richiede una soluzione), o un geroglifico
    (che richiede una decifrazione). La modernità è esplorata anche dal
    punto di vista delle tecniche di riproduzione del nuovo, del
    continuo shock del nuovo (che nasconde il vecchio, il
    sempre-eguale). La merce, che diventa via via il punto focale del
    discorso di Benjamin, esprime sia il carattere fantasmagorico della
    modernità (il suo effetto allegorico), sia il presentarsi del nuovo
    nel contesto del vecchio, di ciò che è sempre stato. 
    
    b) La Dialettica dell'illuminismo di Horkheimer e Adorno
    L'analisi critica della modernità venne sviluppata da altri
    esponenti della Teoria critica, quali ad esempio Theodor W. Adorno,
    Siegfrid Kracauer ed Ernst Bloch. La dialettica di razionalizzazione
    e mitologia è stata esplorata segnatamente in La massa come
    ornamento di Kracauer e in Eredità del nostro tempo di Bloch, opera,
    quest'ultima, che si presenta come un'interpretazione
    dell'esperienza non contemporanea e della contraddittoria eredità
    del passato nella Germania del primo nazismo.Il rapporto
    problematico tra razionalità, mitologia e modernità era stato messo
    in luce già in precedenza da alcuni pensatori all'interno della
    tradizione filosofica tedesca, in particolare da Kant, Hegel e
    Nietzsche, ma sono stati Max Horkheimer e Theodor W. Adorno nella
    Dialettica dell'illuminismo a offrirne l'analisi più devastante. In
    quest'opera, nel quadro di una filosofia discorsiva della storia e
    del soggetto, i due autori sottopongono a una critica radicale la
    natura 'totalitaria' della ragione illuministica, l'intreccio tra
    illuminismo e mitologia, la progressiva alienazione dell'uomo
    borghese (spesso presentato da una prospettiva esclusivamente
    maschile) e la natura assolutamente illusoria del progresso
    scientifico (positivista).
    
Questo approccio critico, in cui sono evidenti le influenze di Hegel
    e di Nietzsche, impronterà le successive riflessioni sulla modernità
    di Adorno e, più recentemente, le teorie di Jürgen Habermas.
    L'identificazione tra illuminismo e modernità si basa su una
    interpretazione della filosofia kantiana quale luogo in cui si
    compie la dissociazione formale della ragione. Già la distinzione
    tra la ragione pura (cognitiva, strumentale) che attiene alla sfera
    della verità scientifica, la ragione pratica (morale) che attiene
    alla sfera dell'etica, e il giudizio (estetico, espressivo) che
    attiene alla sfera dell'autenticità e della bellezza, preannuncia la
    frammentazione della ragione e la separazione e l'autonomizzazione
    delle sfere della scienza oggettiva, dei concetti morali e del
    giudizio estetico. Tale dissociazione è stata radicalizzata in
    seguito nella filosofia dei valori elaborata da alcuni esponenti
    della scuola neokantiana. Per Hegel, tuttavia, l'esistenza di queste
    sfere autonome non era semplicemente il sintomo della disgregazione
    della totalità, ma era connessa anche allo sviluppo del
    soggettivismo e a una crisi di identità dell'individuo.
    
La tesi della disintegrazione di ogni forma di totalità assume
    accenti più radicali nella critica della modernità espressa da
    Nietzsche. La distruzione di tutti i fondamenti, che si dissolvono
    in un flusso incessante, la disgregazione della società in un
    conglomerato di singoli componenti, la dissoluzione delle forme
    culturali, una decadenza pervasiva, un presente saturo di illusioni
    storicistiche, l'eterno ritorno dell'eguale: sono questi gli
    elementi di fondo della critica nietzscheana della modernità.
    Allorché afferma che "la vita non vive più nelle totalità",
    Nietzsche intende dire che occorre dar valore alle cose più
    insignificanti, ai frammenti più minuscoli, alle forme più modeste.
    A questi aspetti del pensiero nietzscheano - l'esplicito
    riconoscimento della fine di ogni forma di totalità, la dissoluzione
    dei fondamenti, l'attenzione per i frammenti - si rifanno i teorici
    del postmoderno, che li rivendicano come elementi distintivi della
    condizione postmoderna. 
    
    c) Habermas e la modernità come progetto
    
Una difesa critica della modernità definita come progetto è al
    centro del pensiero di Habermas, che ha illustrato il discorso
    filosofico sulla modernità (con riguardo al presente) e della
    modernità (con riguardo al compito della filosofia), nonché lo
    sviluppo storico di essa (visto in larga misura in termini di
    sviluppo di sistemi e sottosistemi dell'agire razionale orientato
    allo scopo). Sul piano sociologico l'analisi del ruolo della
    razionalizzazione nella modernità condotta da Habermas rivela una
    forte influenza weberiana, in quanto la razionalizzazione viene
    considerata un processo universale che finisce per trascendere i
    confini dell'organizzazione razionale della produzione,
    dell'amministrazione, della tecnologia e di altri sistemi dell'agire
    razionale orientato allo scopo - sistemi che sono essi stessi
    lontani dall'ermeneutica della comunicazione quotidiana nel mondo
    della vita (Lebenswelt). Il processo di autonomizzazione e di
    specializzazione della scienza, della morale e dell'arte è del tutto
    compatibile con il mancato verificarsi di una sufficiente
    differenziazione nello sviluppo di queste sfere. La colonizzazione
    del mondo della vita da parte della ragione strumentale minaccia
    inoltre di annullare la 'sfera pubblica' borghese e la sua funzione
    critica, in quanto gli accumulatori di capitale cercano anche di
    accumulare e di controllare le sfere di rilevanza culturale.
    
Per quanto riguarda ciò che Habermas definisce modernità estetica,
    la sua analisi si incentra sul mutamento della coscienza del tempo.
    Il nuovo, il futuro, il presente e il passato sono le quattro
    dimensioni fondamentali evidenziate da Habermas a questo proposito.
    Il moderno costituisce un'espressione di contemporaneità, una
    manifestazione di ciò che è nuovo (sebbene si tratti di una novità
    destinata a essere distrutta). La modernità implica anche la
    trasformazione della coscienza del tempo, specialmente nell'ambito
    delle avanguardie artistiche che si avventurano in universi ignoti
    orientandosi verso un futuro non ancora realizzato. Tuttavia, la
    sopravvalutazione di ciò che è fugace, contingente ed effimero,
    l'esaltazione del suo carattere dinamico sono anche espressione del
    desiderio di un presente coerente e integro. Questo anelito segreto
    a un presente armonioso coincide con una opposizione astratta alla
    storia e di conseguenza favorisce un presente non più ancorato al
    passato.
    
È stata comunque la connessione tra modernità e illuminismo
    istituita da Habermas nella sua teoria della modernità quella che ha
    suscitato le discussioni e le polemiche più vivaci (v. Bernstein,
    1985). In particolare, Lyotard ha affermato che Habermas si limita a
    creare un altro 'grand récit' storico, che però è stato reso
    obsoleto dalla impetuosa proliferazione dei giochi linguistici e
    dall'erosione di ogni forma di pensiero fondante. Questo è diventato
    uno dei temi centrali del dibattito tra i teorici della modernità e
    i teorici del postmoderno. 
    
    4. Nuovi sviluppi del dibattito sulla modernità
    
    Il dibattito sulla modernità nei suoi sviluppi più recenti spesso si
    è configurato come una ripresa e un ampliamento di temi già presenti
    in autori precedenti. Alcuni hanno messo in luce la natura
    fondamentalmente ambigua e contraddittoria della modernità come
    progetto (v. Bauman, 1989; v. Cascardi, 1992), illustrandone le
    importanti implicazioni per la possibilità di una sopravvivenza
    della funzione critica, nonché per la sfera del soggetto e
    dell'identità personale (v. ad esempio Giddens, 1992; v. Lash e
    Friedman, 1992). Altri hanno criticato le tendenze globalizzanti di
    alcune teorie della modernità (che insistono sulla razionalizzazione
    totale, sulla riduzione a un'unica dimensione, ecc.), respingendo
    tali generalizzazioni sul terreno della politica (esemplare al
    riguardo è la riformulazione della nozione di potere e delle sue
    strategie attuata in Francia da Foucault). Analogamente, è stato
    messo in discussione l'assunto del carattere universale e
    inevitabile della modernità e della modernizzazione che sta alla
    base di alcune di queste teorie della globalizzazione, che finiscono
    per ignorare la diversità dei percorsi verso la modernità, le
    differenti esperienze della modernizzazione anche all'interno delle
    formazioni economico-sociali capitalistiche (v. Wagner, 1993),
    nonché il divario che sussiste tra il 'Nord' e il 'Sud' del mondo
    per quanto attiene all'esperienza della modernità. La necessità di
    adottare un approccio più differenziato emerge in modo
    particolarmente evidente per quanto riguarda il rapporto tra
    modernità e differenze legate al sesso, all'appartenenza etnica e
    alla classe sociale, che richiederebbe un'indagine storica
    specifica.La transizione alla modernità e il divario o la frattura
    tra società moderne e società tradizionali è stato esplorato dalla
    sociologia sin dai suoi inizi. L'idea della modernità come
    esperienza discontinua del tempo, dello spazio e della causalità è
    stata sviluppata in nuove direzioni con riguardo al distanziamento
    spazio-temporale (v. Giddens, 1992; v. Friedland e Boden, 1994). 
    
Lo sviluppo dei luoghi cruciali della modernità - la grande città,
    lo Stato, l'impresa - caratterizzati da un mutamento dei rapporti
    spazio-temporali e dalla loro trascendenza, continua nel contesto
    della globalizzazione. Ciò implica un ripensamento del concetto di
    territorialità e dell'idea della società come temporalmente
    condizionata che vada al di là delle riflessioni sulla trascendenza
    dello spazio e del tempo sviluppate da Marx e Simmel a proposito di
    media come il denaro (v. Harvey, 1985). 
    
    5. La modernità in una prospettiva postmoderna
    
    Il dibattito sulla modernità negli ultimi anni è stato
    caratterizzato dalla rivalutazione del pensiero dei sociologi di
    fine Ottocento, da una riscoperta e da una riappropriazione di
    alcune opere chiave degli esponenti della Teoria critica, in
    particolare di Benjamin, dalla discussione sviluppatasi intorno alla
    difesa della modernità come progetto incompiuto proposta da Habermas
    (v. Bernstein, 1985), e infine dallo sviluppo di varie teorie del
    postmoderno. Sebbene queste ultime non abbiano proposto alcuna seria
    'preistoria del postmoderno' nel senso di Benjamin, la storia della
    condizione postmoderna va collocata all'interno della modernità
    stessa. Secondo alcuni autori (v. ad esempio Calinescu, 1987), di
    fatto essa non sarebbe che un'altra, nuova 'faccia' della modernità,
    un'accentuazione o un'accelerazione di dimensioni dell'esistenza già
    presenti in essa. Questa tesi è stata rifiutata peraltro da quanti
    vedono nella condizione postmoderna una rottura radicale rispetto
    alla modernità.
    
Nella misura in cui vi è una stretta correlazione tra modernità e
    capitalismo, la tesi di una rottura radicale presuppone che
    nell'ultimo quarto del XX secolo la natura del capitalismo abbia
    subito sostanziali trasformazioni di ordine qualitativo. Tuttavia
    l'ipotesi di un passaggio a formazioni economico-sociali
    postcapitalistiche o postindustriali - o comunque di un passaggio
    dalla sfera della produzione a quelle della circolazione, dello
    scambio e del consumo - è in contrasto con la tesi della
    globalizzazione (inclusa l'idea della universalizzazione della forma
    di merce) che nei recenti dibattiti sulla modernità è risultata
    predominante (v. Giddens, 1990). Inoltre, poiché le teorie della
    modernità e del postmoderno si basano su una determinata concezione
    della natura e delle trasformazioni del capitalismo, diventa
    essenziale il modo in cui viene definita la sua evoluzione - come
    capitalismo maturo (Marx), come capitalismo avanzato (Benjamin) o
    come tardo capitalismo (Jameson). La fine della modernità potrebbe
    allora essere associata alla fine del tardo capitalismo. Se però si
    parte dall'assunto che la formazione economico-sociale capitalistica
    è appena ai suoi inizi, è legittimo considerare anche la modernità
    in questa prospettiva.Un analogo ripensamento sembra richiedere la
    tesi dell'avvento di una società postindustriale, che parte spesso
    da premesse etnocentriche, ignorando che il capitalismo come
    sistema-mondo (globale) è in grado di funzionare perfettamente
    quando la produzione delle merci avviene al di fuori del centro
    metropolitano.
    Comunque, sebbene questa connessione tra capitalismo e modernità
    resti problematica, le stesse caratteristiche che alcuni pensatori
    avevano considerato distintive della modernità - il ruolo
    privilegiato delle sfere della circolazione, dello scambio e del
    consumo, il passaggio dalla differenziazione alla indifferenziazione
    (soprattutto nella sfera culturale), il problematizzarsi del
    rapporto tra significante e significato, il prevalere dell'immagine
    sulla parola (e la proliferazione di immagini), il passaggio a
    sistemi autoreferenziali (giochi linguistici, ma anche la sfera
    della circolazione delle merci), la fine della storia e della
    società e la centralità della sfera estetica - sono considerate
    anche dimensioni chiave della condizione postmoderna. Alla tesi
    secondo cui questa rappresenta una condizione radicalmente 'nuova'
    si potrebbe rispondere, con Benjamin e Nietzsche, mettendo in
    evidenza il carattere illusorio dell'assolutamente nuovo, sotto cui
    si nasconde l'eterno ritorno dell'eguale. 
    
    6. Conclusioni
    
    Il concetto di modernità, ampiamente utilizzato nelle scienze
    sociali, non ha perso il carattere problematico che presentava già
    alla sua comparsa agli inizi del XX secolo. Entrata in crisi
    l'ideologia del 'moderno' assoluto (condivisa forse negli anni
    cinquanta e sessanta), basata sull'identificazione tra modernità e
    progresso, l'attenzione tende ora a incentrarsi sulla specificità
    storica della modernità. Poiché il concetto di modernità continua a
    essere associato a certe caratteristiche essenziali delle formazioni
    economico-sociali capitalistiche, molti ritengono che nelle società
    socialiste non esistano le condizioni della modernità. Il fatto che
    l'esperienza della modernità si svolga principalmente alla
    superficie quotidiana della vita sociale, e soprattutto la sua
    collocazione entro le sfere della circolazione, dello scambio e del
    consumo, finiscono per oscurare le differenze legate al sesso, alla
    classe sociale e all'appartenenza etnica, che devono invece essere
    recuperate. Una maggiore differenziazione del concetto di modernità
    si rende necessaria non solamente al fine di distinguerlo da quelli
    di modernizzazione e di modernismo, bensì anche per evitare che esso
    diventi una designazione di tutto ciò che è 'presente' e che finisca
    per dissolversi nella nozione assai più generale di 'moderno'.