Materialismo

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Teoria filosofica che nell’interpretare gli eventi del mondo naturale e il corso della storia umana assume la materia come unico principio esplicativo.

1. La filosofia greca

All’interno delle mitologie antichissime il concetto di una materia corposa, resistente al tatto, che sta alla base di tutte le cose, è onnipresente. Il caos delle cosmologie babilonesi ed egizie, l’immagine della Terra salda e immobile al centro di uno spazio indeterminato, comune a tutte le figurazioni primitive, forniscono un primo embrione dell’idea di materia: una massa che si addensa a partire da uno stato originario di confusione. Simmetrico a questo è il concetto dell’intelligenza ordinatrice, commisto alle più svariate proiezioni antropomorfe prima della rigorosa formulazione monoteistica degli Ebrei. Controversa resterà invece, nel sincretismo di racconto mosaico e sistemi filosofici greci, la questione concernente lo status della materia prima, preesistente e increata, oppure creata dal libero atto divino. Egualmente controverso, nell’interpretazione dei grandi filosofi dell’antichità, rimase il concetto di ἀρχή – materia originaria o primordio del mondo fisico – escogitato dai primi ‘fisiologi’ ionici.

Sottoponendo a una critica serrata le dottrine dei predecessori, Aristotele elaborò il concetto di sostanza destinato a restare alla base del pensiero occidentale per quasi duemila anni: nell’ambito della sostanza, la ὕλη, il sostrato ultimo del mondo fisico, è per Aristotele e i suoi seguaci ortodossi un concetto-limite, l’elemento passivo, potenziale, che riceve tutte le forme dalla gerarchia della scala naturae che lo sovrasta. Egualmente, il demiurgo del Timeo platonico non crea, ma dispone la materia prima nello spazio, modellando e formando con essa la struttura del cosmo, al quale infonde l’anima, l’armonia, la bellezza. A parte la definizione dello status metafisico della materia, Platone e Aristotele accolsero, sul piano fisico, la dottrina empedoclea delle quattro ‘radici’ e la rielaborarono nella fisica delle qualità, anch’essa destinata a dominare a lungo il pensiero occidentale. Terra, acqua, aria, fuoco erano, in concreto, i quattro elementi originari, disposti nelle quattro sfere concentriche dello schema cosmologico geostatico, al di là delle quali si trovava l’etere o quinta essenza.

La dottrina fisica di Aristotele, postulante il plenum e la divisibilità indefinita della materia, si fondava su una serrata critica dell’atomismo, formulato daLeucippo e Democrito pochi decenni prima. Nell’atomismo – sia nella versione originaria, sia in quella più tarda di Epicuro e Lucrezio – è ravvisabile la forma più coerente di m. elaborata nell’antichità. Dal punto di vista strettamente fisico, Democrito ed Epicuro postularono particelle qualitativamente omogenee, differenti soltanto per grandezza e forma, mobili o cadenti nello spazio vuoto e aggregantisi in vortici. L’ipotesi degli atomi era completata da una cosmologia e da una psicologia meccaniciste, da una teoria della conoscenza che distingueva le qualità oggettive (peso, grandezza, forma) da quelle puramente soggettive (il colore e le altre risultanti dal gusto e dall’olfatto), dall’etica della voluptas e dell’amicizia.

2. Dal mondo romano all’aristotelismo latino

I sistemi di Aristotele e di Epicuro e le scuole dell’età ellenistica offrirono i termini di riferimento essenziali a tutte le dispute fisico-teologiche che si svolsero intorno al concetto di materia e alle sue implicazioni. Nel mondo romano, il modulo esemplare della confutazione dei materialisti è fornito da Cicerone con i dialoghi De natura deorum e con le Tusculanae: per lungo tempo, la culturapatristica e scolastica adottò lo schema ciceroniano nella polemica contro gli empi atomisti. Fu il recupero della fisica aristotelica, dovuto ai maestri arabi, a riproporre su nuove basi il problema complessivo della conoscenza della natura. Così la questione della ‘materia prima’ aristotelica fu al centro delle dispute dottrinali sorte intorno all’interpretazione averroistica di Aristotele, fedele alle tesi dell’eternità del mondo e dell’esclusione della provvidenza.

Alla posizione di Averroè si oppose la concezione della materia dell’aristotelismo latino: nella sintesi di Tommaso d’Aquino, la distinzione tra la materia intesa come pura potenza e la materia signata da una forma che la individualizza. Adottando la fisica aristotelica all’interno della summa dottrinale cristiana, Tommaso tentò di neutralizzare le possibili implicazioni materialistiche.

3. Dal Cinquecento a Galilei

Nel 16° sec. l’operazione inversa sarà compiuta da Pietro Pomponazzi e dal naturalismo aristotelico padovano: A. Cesalpino, G.C. L. Vanini, C. Cremoninigiungeranno, commentando Aristotele, assai prossimi a posizioni materialistiche. Il concetto aristotelico di materia entrò tuttavia in crisi soltanto quando fu infranto l’involucro cosmologico tolemaico che lo aveva conservato e protetto per secoli. Non si devono tanto a N. Copernico, quanto a G. Bruno e a G. Galilei, la critica radicale della fisica dei quattro corpi e delle qualità e la reimpostazione su nuove basi del problema della materia. La distruzione del cosmo chiuso, la caduta della distinzione tra cielo e terra, la creazione di una meccanica razionale unitaria, valida per tutti i moti dell’universo, giovarono al recupero dell’antica filosofia corpuscolare di Epicuro e Lucrezio. Gli atomi e il vacuum, la materia prima omogenea costituita di particelle dure e insecabili che si aggregano nello spazio, fornivano l’immagine più adeguata del mondo fisico, dopo che la terra era stata rimossa dal suo luogo privilegiato e proiettata nei cieli: consentivano, cioè, di fondare una fisica integralmente meccanicistica e libera da ogni ipoteca metafisica. Tuttavia non si trattò di un processo lineare. I sostenitori e i teorici della nuova scienza attinsero a varie fonti le loro argomentazioni antiaristoteliche. Riguardo al concetto di materia, Bruno riprese dalla tradizione ermetica e stoico-neoplatonica la nozione di un’attività originaria insita nelle porzioni infinitesime della natura, entro una prospettiva decisamente immanentistica. Alle stesse fonti s’ispirarono il naturalismo di T. Campanella e quello di B. Telesio, profondamente venati di residui animistici e platonizzanti.

Galilei, il grande artefice della nuova meccanica, fu invece singolarmente cauto di fronte al problema della struttura della materia; le sue pagine più chiare, in proposito, sono quelle del Saggiatore, dove è enunciata la classica distinzione tra qualità primarie e secondarie, e la spiegazione anche di queste ultime (odori, sapori ecc.) in termini corpuscolari. Comunque, lo sviluppo della meccanica e la riduzione a problemi meccanici sia dei moti degli astri, sia dei fenomeni terrestri, sia delle funzioni fisiologiche, imposero con sempre maggiore precisione la scomposizione del mondo naturale secondo il peso, il numero, la misura.

4. I filosofi scienziati e la nuova scienza

Due alternative teoriche fondamentali, destinate a dividere per alcuni decenni l’opinione, furono disegnate da filosofi scienziati come Descartes e P. Gassendi. Al primo si deve la ‘geometrizzazione a oltranza’ del mondo fisico e la connessa edificazione di un rigoroso schema meccanico, nel quale la materia e il movimento apparivano sufficienti a una ricostruzione integrale di tutti i fenomeni, inclusi quelli fisiologici e nervosi: il plenum, l’etere, i vortici, la materia sottile divisibile all’infinito, la teoria corpuscolare della luce, gli spiriti animali e le altre dottrine fisiche concepite da Descartes si articolavano nel quadro di una res extensamateriale, sottratta alle cause finali e ai miracoli. Gassendi invece condusse a fondo l’attacco contro i residui della fisica peripatetica, alla quale oppose la sua grande ricostruzione erudita delle dottrine atomistiche di Epicuro e di Lucrezio: gli atomi insecabili, il vacuum, la riduzione della qualità a quantità si ricollocavano al centro dell’‘ipotesi corpuscolare’ moderna in un’impeccabile prospettiva storica.

La seconda generazione dei protagonisti della nuova scienza – da R. Boyle a C. Huygens, da E. Mariotte a von Guericke, da M. Malpighi a F. Redi, da G.A. Borellia I. Newton – fu profondamente influenzata dall’alternativa fra le due immagini del mondo fisico e dal loro conflitto. In Inghilterra e in Italia, la ricerca sperimentale rifiutò sostanzialmente il concetto cartesiano di res extensa e si attenne a ipotesi corpuscolari di tipo epicureo-gassendiano; nei Paesi Bassi e inFrancia, l’ortodossia cartesiana si affermò e resse più a lungo. Tuttavia, entrambe le alternative e le loro interazioni reciproche favorirono l’incubazione di formule materialistiche estreme, implicitamente o esplicitamente ateistiche. T. Hobbesunificò l’esplicazione meccanica dell’universo fisico con una radicale interpretazione materialista del mondo umano, morale e politico. Il convergere dei diversi piani – scienza, politica, religione – fu essenzialmente dovuto, nel 17° sec., alla funzione egemonica che la scienza esercitò in ogni campo del pensiero. Ciò non significa tuttavia che nel suo complesso il movimento scientifico si avviasse verso posizioni irreligiose o ateistiche. Tra i più strenui assertori di una conciliazione tra l’ipotesi corpuscolare e la provvidenza divina si trovano uomini sinceramente religiosi, come i platonici di Cambridge, Boyle, i ‘virtuosi’ dellaRoyal Society, e soprattutto Newton. Anche Gassendi e Descartes, nell’ambito culturale cattolico, avevano proposto un compromesso nuovo tra fisica corpuscolare e metafisica cristiana. D’altra parte non pochi dei loro seguaci trassero conseguenze materialistiche in senso proprio dalla res extensa o dall’ipotesi corpuscolare. Anche in questo caso, decisiva appare la componente etico-politica.

5. Il 18° secolo

Pur appellandosi alla meccanica, alla fisica, alla dottrina iatromeccanica, i materialisti del tardo Seicento e del primo Settecento fecero le loro scelte sul terreno dei grandi conflitti politici e religiosi contemporanei. Si trattò dunque di un’ideologia di opposizione, connessa a un profondo rivolgimento sociale, antifeudale, anticattolico. Gli ingredienti della nuova ideologia materialista furono molteplici: in Inghilterra, C. Blount e J. Toland accolsero spunti bruniani e hobbesiani, e impressero alle discussioni deistiche una decisiva svolta in senso materialista; in Francia, l’aristocratico H. de Boulainvillier, gli anonimi compilatori dei manoscritti clandestini (diffusi tra il 1720 e il 1760), il curato J. Meslier, rielaborarono massicci sistemi materialistici, in margine all’Ethica diSpinoza, alle varianti del panteismo e dell’epicureismo libertino; in Italia, i cartesiani napoletani dettero vita a un largo sincretismo, destinato ad assumere una decisa fisionomia materialista nel Triregno di P. Giannone. Lo stato di semi-clandestinità o di persecuzione nel quale operarono questi scrittori ha fatto misconoscere per lungo tempo la loro vastissima attività.

Più nota, e storicamente più efficace, è invece la diffusione dell’ideologia materialista dovuta alla seconda generazione dei philosophes illuministi. L’ateismo e il m., coltivati come una sorta di credo laico dai compilatori di manoscritti clandestini, da autori di utopie quali il barone di La Hontan, Vairasse,Morelly, fu adottato da una piccola cerchia di collaboratori dell’Encyclopédie, dapprima in forma prudente e dissimulata, poi in modo esplicito (Diderot, Buffon,La Mettrie, C.-A. Helvétius). Il gruppo di philosophes operò come una vera e propria ‘centrale’ di proselitismo ideologico, in un’epoca che vedeva accentuarsi sempre più il conflitto tra l’antico regime e i portavoce intellettuali del Terzo stato. L’originalità del movimento non era più tanto nei temi – che rifluivano dalle più varie tradizioni antiche e recenti – quanto nel fatto che il m. si presentava ormai come una vera e propria ideologia di ‘classe’, anche se non sovversiva. Nel 18° sec. il giudizio sull’ideologia materialista fu dunque anzitutto un giudizio politico.

6. I secoli 19° e 20°

La reazione idealistica in Germania e lo spiritualismo in Francia accentuarono la condanna ‘filosofica’ del m. che, con la Restaurazione, fu rinnegato e ricollocato ai margini della filosofia accademica. In quanto ipotesi di lavoro, la fisica, la chimica, la biologia del 19° sec. continuarono a riferirsi al concetto di materia come a un dato ‘neutro’, ormai acquisito al pensiero scientifico. Emancipata ormai da qualunque soggezione alla tradizione teologica, la scienza della natura poteva prescindere dall’ideologia militante. L’elemento ormai inerte, nei dibattiti sul m. scientifico e più tardi sul positivismo, era quello propriamente politico; l’avvento della borghesia al potere, il trionfo della scienza sperimentale, avevano in certo senso esaurito la sua carica pragmatica e rivoluzionaria. La stessa definizione di ‘m. volgare’, usata da K. Marx, rispecchia tale situazione. Storicamente, essa non rendeva piena giustizia all’effettiva funzione politica svolta dall’ideologia materialista. Era una definizione soprattutto polemica, intesa a mettere in luce i limiti d’una vecchia dottrina nei confronti dei suoi nuovi avversari. L’idealismo hegeliano rappresentò una nuova sfida filosofica per gli ‘eredi della filosofia classica tedesca’. Feuerbach, Marx, Engels e i loro seguaci si posero sul terreno stesso dell’avversario e risposero alla sfida con un nuovo m., ‘storico’ e ‘dialettico’, che del m. sei-settecentesco rinnovava soprattutto la spinta ideologica militante.

Meno avvertita nel 20° sec. la problematica del m., anche perché è ormai demandato alla ricerca scientifica il compito di determinare la correttezza delle sue ipotesi e la struttura della materia. Ciò nonostante, molto vivace è apparso il dibattito sul fisicalismo, originariamente sorto nel Circolo di Vienna per poi trovare sostenitori negli sviluppi statunitensi dell’empirismo contemporaneo (segnatamente W.V.O. Quine). In quanto forma di m., ma con l’avvertenza che della materia possono darci nozione soltanto le scienze naturali, il fisicalismo ha avuto come obiettivo la riduzione delle varie scienze alla fisica, considerata la prima e fondamentale scienza della natura ( riduzionismo). Particolare rilevanza in questa prospettiva, almeno a partire dalla seconda metà del secolo, ha avuto la discussione sulla riducibilità delle nozioni mentali, e quindi della psicologia, a nozioni di tipo fisico ( mente).

Dizionario di Filosofia (2009)

Ogni dottrina che consideri la realtà come derivata dalla materia e risolventesi totalmente in essa. Il termine designa nell’uso corrente una teoria filosofica monistica che, nell’interpretare gli eventi del mondo della natura e il corso della storia umana, si attiene all’unico principio esplicativo della materia, rinunciando all’intervento divino, alla spiritualità dell’anima (e alla sua immortalità), al concetto di una provvidenza. In tal senso è sinonimo di ateismo e presuppone un’opposizione polemica a ogni costruzione dottrinale teologica. Sebbene largamente presente nelle dispute filosofiche del mondo greco-romano, negli scritti dei padri della Chiesa e degli apologisti cristiani, nella cultura scolastica medievale, questa nozione di m. si precisa ovviamente soltanto con l’affermazione della rivoluzione scientifica dei secc. 17° e 18°, quando le scienze esatte, offrendo un’interpretazione dell’Universo fisico sempre più fondata sul concetto di quantità materiale (peso, numero, misura), sull’esclusione delle qualità o entità occulte, fornirono un saldo fondamento teorico all’opera di scristianizzazione e secolarizzazione intrapresa dal pensiero laico. Tuttavia, accanto all’accezione più netta ed estrema del termine, si deve tener presente una larga gamma di sfumature dottrinali intermedie, che vanno dalla formula scientista, puramente agnostica sul piano metafisico (meccanismo omeccanicismo è il sinonimo più prossimo in tal senso), che fa del continuo materiale una mera ipotesi di lavoro, alla reintroduzione di entità o qualità non materiali, sotto forma di dualismo metafisico, occasionalismo, idealismo, slancio vitale e simili. L’aspetto «scientifico» del m. e lo sviluppo storico delle scienze offrono dunque un criterio essenziale, ma non esclusivo, per fissare l’ambito semantico del termine. Il criterio sussidiario, ma forse decisivo, è fornito dai contesti metafisici, ideologici, politici, etico-religiosi, che hanno accompagnato la disputa sul concetto di materia .

Tendenze materialistiche nel pensiero greco. 

In certa misura, all’interno delle mitologie antichissime circa il caos, l’origine dell’Universo, la struttura della Terra, il concetto di una materia, corposa, resistente al tatto, che è alla base di tutte le cose, è ovvio e onnipresente. Il caos delle cosmologie babilonesi ed egizie, l’immagine della Terra salda e immobile al centro di uno spazio indeterminato, comune a tutte le figurazioni primitive, forniscono un primo embrione dell’idea di materia: una massa che si addensa a partire da uno stato originario di confusione. Simmetrico a questo è il concetto dell’intelligenza ordinatrice, commisto alle più svariate proiezioni antropomorfe prima della rigorosa formulazione monoteistica degli Ebrei. Sono note le interminabili dispute cui hanno dato luogo le traduzioni dei termini biblici con «spirito» e «anima». Più volte l’esegesi laica ha sostenuto la tesi di una falsificazione, in senso spiritualistico e dualistico, dell’originario m. del Genesi. Tuttavia, l’intervento del creatore nella separazione della luce dalle tenebre e nelle successive giornate esclude la nozione di una materia semovente e autonoma. Sempre controversa resterà invece, nel sincretismo di racconto mosaico e sistemi filosofici greci, la questione concernente lo status della materia prima, preesistente e increata, oppure creata dal libero atto divino. Egualmente controverso, nell’interpretazione dei grandi filosofi dell’antichità e poi nella tradizione teologica, rimase il concetto di ἀρχή – materia originaria o primordio del mondo fisico – escogitato dai primi «fisiologi» ionici: l’acqua di Talete, l’infinito di Anassimandro, l’aria di Anassimene, ponevano il quesito dell’origine delle cose sul terreno delle analogie con gli oggetti dei sensi; mentre il fuoco di Eraclito, le quattro radici di Empedocle e le omeomerie di Anassagora si riferivano a complessi contesti etico-religiosi. Sottoponendo a una critica serrata le dottrine dei predecessori, nel primo libro della Metafisica Aristotele elaborò il concetto di sostanza destinato a restare alla base del pensiero occidentale per quasi duemila anni: nell’ambito della sostanza, la ὕλη, il sostrato ultimo del mondo fisico, è, per Aristotele e i suoi seguaci ortodossi, un concetto-limite, l’elemento puramente passivo, potenziale, che riceve tutte le forme dalla gerarchia della scala naturae che lo sovrasta. Peraltro, nel sistema metafisico peripatetico, il puro atto – il Dio immateriale collocato al sommo della scala, cioè esterno al mondo fisico – è del tutto estraneo alla materia originaria, preesistente al mondo. Egualmente, il demiurgo del Timeo platonico non crea, ma dispone la materia prima nello spazio, modellando e formando con essa la struttura del cosmo, al quale infonde l’anima, l’armonia, la bellezza. A parte la definizione dellostatus metafisico della materia, Platone e Aristotele accolsero, sul piano fisico, la dottrina empedoclea delle quattro «radici», e la rielaborarono nella fisica delle qualità, anch’essa destinata a dominare a lungo il pensiero occidentale. Terra, acqua, aria, fuoco erano, in concreto, i quattro elementi originari, risultanti dalla combinazione delle coppie freddo-secco, freddo-umido, caldo-umido, caldo-secco, e disposti nelle quattro sfere concentriche dello schema cosmologico geostatico, al di là delle quali si trovava l’etere o quinta essenza. Proprio su questo sfondo concettuale Aristotele postulava il plenum e la divisibilità indefinita della materia. La sua dottrina fisica si fondava su una serrata critica dell’atomismo, formulato da Leucippo e Democrito pochi decenni prima. Nell’atomismo, appunto – sia nella versione originaria, sia in quella più tarda di Epicuro e Lucrezio – si deve ravvisare la forma più schietta di m. elaborata nell’antichità. Dal punto di vista strettamente fisico Democrito ed Epicuro postularono particelle qualitativamente omogenee, differenti soltanto per grandezza e forma (secondo Epicuro anche per peso), mobili o cadenti nello spazio vuoto e aggregantisi in vortici. Riprendendo in sede di ipotesi fisica i paradossi di Zenone sulla divisibilità all’infinito, gli atomisti negavano la possibilità di risolvere questi corpuscoli originari in particelle più piccole. Le cose del mondo fisico, differenti per «qualità» o per «natura», dovevano tale diversità soltanto al fatto di essere aggregati di atomi di forma e grandezza diverse, e al numero e alla posizione degli atomi stessi nel composto. L’ipotesi degli atomi era completata da una cosmologia e da una psicologia meccaniciste, da una teoria della conoscenza che distingueva le qualità oggettive (peso, grandezza, forma) da quelle puramente soggettive (il colore e le altre risultanti dal gusto e dall’olfatto), dall’etica dellavoluptas e dell’amicizia. Gli dei, esclusi dalle vicissitudini del mondo materiale, erano relegati nei remoti intermundia. Le massime della morale epicurea, la riduzione della psiche ad atomi sottilissimi, la vigorosa polemica contro le divinità olimpiche della πόλις e l’insistenza sull’emancipazione dal timore degli dei, caratterizzano il ruolo di ideologia attiva che l’atomismo assunse nel mondo antico, soprattutto grazie al De rerum natura di Lucrezio. Epicuro e i suoi seguaci non rifiutarono soltanto i sistemi metafisici di Platone e Aristotele, ma anche la fisica degli stoici, che in età ellenistica rielaborarono in una completa cosmologia la dottrina dei quattro elementi. I concetti stoici di materia, forma, forza generatrice, fuoco, simpatia universale, rinnovavano e precisavano la dottrina platonica dell’anima mundi, destinata a essere accolta con tanta fortuna in alcune scuole medievali e nel sincretismo platonizzante del Rinascimento. Né, considerando il concetto stoico di provvidenza divina e il connesso riconoscimento della divinazione e degli influssi astrali, sembra corretto definire «materialistica» la fisica elaborata dalla scuola.

La problematica materialistica nella cultura latina e nel pensiero medievale. 

I sistemi di Aristotele e di Epicuro e le scuole dell’età ellenistica offrirono i termini di riferimento essenziali a tutte le dispute fisico-teologiche che si svolsero intorno al concetto di materia e alle sue implicazioni. Nel mondo romano il modulo esemplare della confutazione dei materialisti è fornito da Cicerone con i dialoghi De natura deorum e con le Tusculanae: per lungo tempo la cultura patristica e scolastica adottò lo schema ciceroniano nella polemica contro gli empi atomisti. La conoscenza delle dottrine riprovate fu spesso limitata agli stessi testi di Cicerone, o di Seneca, o a pochi versi di Lucrezio. L’accettazione acritica dell’astronomia tolemaica, il crescente disinteresse per la conoscenza del mondo fisico, l’esclusiva enfasi pedagogica e apologetica, segnano – da Agostino ai mistici vittorini, ai maestri francescani – lo scadimento della polemica antimaterialistica a pochi loci communes, annotati in margine ai commenti delGenesi. E quando certi temi lucreziani furono recuperati con rinnovato interesse «fisico» – già dai maestri di Chartres del sec. 12° – ebbe inizio il tentativo di ribattezzare cristiana l’ipotesi delle particelle elementari e di conciliarla con la narrazione biblica della creazione, con l’anima mundi stoico-neoplatonica, secondo lo schema suggerito dal Timeo platonico, dal Liber de causis, dal commento di Macrobio al Somnium Scipionis. D’altra parte, il recupero della fisica aristotelica, dovuto ai maestri arabi, consentì di riproporre su nuove basi il problema complessivo della conoscenza della natura. Così la questione della «materia prima» aristotelica fu al centro delle dispute dottrinali sorte intorno all’interpretazione averroistica di Aristotele, fedele alla tesi dell’eternità del mondo, della mortalità dell’anima individuale, dell’esclusione della provvidenza. Alla posizione «filosofica» – in quanto distinta dalla verità teologica – di Averroè, si oppose la concezione della materia dell’aristotelismo latino: la inchoatio formae di Alberto Magno, e, nella sintesi di Tommaso d’Aquino, la distinzione tra la materia intesa come pura potenza e la materia signata da una forma che la individualizza. Adottando la fisica aristotelica all’interno della summa dottrinale cristiana, Tommaso tentò di neutralizzare le possibili implicazioni materialistiche. Nel sec. 16° l’operazione inversa sarà compiuta da Pomponazzi, critico dell’immortalità dell’anima, e dal naturalismo aristotelico padovano: Cesalpino, Vanini, Cremonini giungeranno – commentando Aristotele – assai prossimi a posizioni materialistiche. Ma le dispute condotte all’interno della tradizione peripatetica restavano in gran parte dispute verbali.

Dal copernicanesimo al materialismo illuministico. 

Il concetto aristotelico di materia entrò davvero in crisi quando fu infranto l’involucro cosmologico tolemaico, che lo aveva conservato e protetto per secoli. Non si deve tanto a Copernico, quanto a Bruno e a Galilei, la critica radicale della fisica dei quattro corpi e delle qualità, e la reimpostazione su nuove basi del problema della materia. La distruzione del cosmo chiuso, la caduta della distinzione tra cielo e Terra, la creazione di una meccanica razionale unitaria, valida per tutti i moti dell’Universo, giovarono al recupero dell’antica filosofia corpuscolare di Epicuro e Lucrezio. Gli atomi e il vacuum, la materia prima omogenea suddivisa in particelle dure e insecabili che si aggregano nello spazio, fornivano l’immagine più adeguata del mondo fisico, dopo che la Terra era stata rimossa dal suo luogo privilegiato e proiettata nei cieli: consentivano, cioè, di fondare una fisicainerziale (il principio d’inerzia è l’idealizzazione di un moto lineare di un corpuscolo nello spazio euclideo) integralmente meccanicistica e libera da ogni ipoteca metafisica. Tuttavia il cammino delle idee in tale direzione non fu lineare. I sostenitori e i teorici della nuova scienza attinsero da varie parti le loro argomentazioni antiaristoteliche. Riguardo al concetto di materia, Bruno riprese dalla tradizione ermetica e stoico-neoplatonica la nozione di un’attività originaria insita nelle porzioni infinitesime della natura, entro una prospettiva decisamente immanentistica: nel suo pensiero la critica delle superstizioni, la visione di infiniti mondi dispersi nell’Universo infinito, l’esaltazione della natura divina, si fondevano con l’immagine panteistica dell’Uno-Tutto. Alle stesse fonti s’ispirò il naturalismo di Campanella e di Telesio, profondamente venato di residui animistici e platonizzanti. Galilei, il grande artefice della meccanica nuova, «platonico» riguardo alla struttura geometrica del cosmo, fu invece singolarmente cauto di fronte al problema della struttura della materia, che le «sensate esperienze» non gli consentivano di risolvere in modo definitivo. Le sue pagine più chiare, in proposito, sono quelle del Saggiatore (1623), ove è enunciata la classica distinzione tra qualità primarie e secondarie, e la spiegazione anche di queste ultime (odori, sapori, ecc.) in termini corpuscolari: i «minimi quanti» o «minimi ignei» componenti la materia più sottile, etere o fuoco. Comunque, lo sviluppo della meccanica e la riduzione a problemi meccanici sia dei moti degli astri, sia dei fenomeni terrestri, sia delle funzioni fisiologiche, imposero con sempre maggiore precisione la scomposizione del mondo naturale secondo il peso, il numero, la misura. La struttura corpuscolare della materia diventò un’esigenza teorica e sperimentale comune ai protagonisti della rivoluzione scientifica, Galilei e Bacone, Gilbert e Harvey. Anche in fisiologia e anatomia il superamento dei dogmi galenici conduceva all’adozione di modelli esplicativi meccanici (e, da tale punto di vista, il m. aristotelico dei grandi atomisti padovani del tardo Cinquecento confluì nell’alveo della rivoluzione scientifica). Il grande sviluppo teorico della filosofia corpuscolare nei decenni centrali del sec. 17° deve essere dunque considerato sullo sfondo della formazione delle scienze esatte: anzitutto, della chimica e della fisica. Non si deve credere tuttavia che il primato – nel proporre l’ipotesi corpuscolare – spettasse anzitutto ai fisici, se pure ha un senso distinguere tra sperimentatori, teorici, eruditi, filosofi, in un’età di crescita tumultuosa delle discipline scientifiche, coltivate indistintamente da uomini di varia formazione. Due alternative teoriche fondamentali, destinate a dividere per alcuni decenni l’opinione, furono disegnate da filosofi-scienziati come Descartes e Gassendi. Al primo si deve la «geometrizzazione a oltranza» del mondo fisico, e la connessa edificazione di un rigoroso schema meccanico, nel quale la materia e il movimento apparivano sufficienti a una ricostruzione integrale di tutti i fenomeni, inclusi quelli fisiologici e nervosi. Il plenum, l’etere, i vortici, la materia sottile divisibile all’infinito, la teoria corpuscolare della luce, gli spiriti animali e le altre dottrine fisiche concepite da Descartes si articolavano nel quadro di una res extensa materiale, perfettamente autonoma (salvo l’atto creatore di Dio e la legge della conservazione della quantità di moto), sottratta alle cause finali e ai miracoli. Gassendi invece condusse a fondo l’attacco contro i residui della fisica peripatetica, alla quale oppose la sua grande ricostruzione erudita delle dottrine atomistiche di Epicuro e di Lucrezio: gli atomi insecabili, il vacuum, la riduzione della qualità a quantità, si ricollocavano al centro dell’ipotesi corpuscolare moderna in un’impeccabile prospettiva storica. La seconda generazione dei protagonisti della nuova scienza – da Boyle a Chr. Huygens, da E. Mariotte a O. Von Guericke, da M. Malpighi a F. Redi, da G.A. Borelli a Newton – fu profondamente influenzata dall’alternativa tra le due immagini del mondo fisico e dal loro conflitto. In Inghilterra e in Italia la ricerca sperimentale rifiutò sostanzialmente il concetto cartesiano di res extensa e si attenne a ipotesi corpuscolari di tipo epicureo-gassendiano; in Olanda e in Francia l’ortodossia cartesiana si affermò e resse più a lungo, per sfaldarsi, sullo scorcio del secolo, in una sorta di compromesso. Tuttavia, entrambe le alternative e le loro interazioni reciproche favorirono l’incubazione di formule materialistiche estreme, implicitamente o esplicitamente ateistiche. Il sistema materialistico più coerente e conseguente si deve a Hobbes, che unificò l’esplicazione meccanica dell’Universo fisico con una radicale interpretazione meterialista del mondo umano, morale e politico. Come termine di confronto, sul piano storico, il sistema hobbesiano conferma che le scelte «materialiste» (e ateiste), in senso proprio, si sono precisate e si precisano essenzialmente sul terreno della morale, della politica, della visione generale del mondo, piuttosto che su quello delle scienze esatte. Il convergere dei diversi piani – scienza politica, religione – fu essenzialmente dovuto, nel sec. 17°, alla funzione egemonica che la scienza esercitò in ogni campo del pensiero. Se la Chiesa cattolica e gran parte delle confessioni riformate si ritrovarono alla retroguardia, e difesero sterilmente le tradizioni – non soltanto esegetiche e teologiche, ma anche la fisica scolastica – ciò non significa che, nel suo complesso, il movimento scientifico si avviasse verso posizioni irreligiose o ateistiche. Tra i più strenui assertori di una conciliazione tra l’ipotesi corpuscolare e la provvidenza divina si trovano uomini sinceramente religiosi, come i platonici di Cambridge, Boyle, i virtuosi della Royal Society, e soprattutto Newton. Il tentativo più vigoroso di opporsi alla marea crescente dell’ateismo e del libero pensiero materialista fu compiuto, intorno al 1690, dai teologi anglicani seguaci di Boyle e di Newton, ossia della sintesi scientifica più avanzata, che incorporava in un tutto gli atomi «degli antichi sapienti di Grecia e di Fenicia», il Dio biblico, lo spazio e il tempo infiniti del platonismo e della Cabbala, la meccanica galileiana e il sistema eliocentrico. Anche Gassendi e Descartes, nell’ambito culturale cattolico, avevano proposto un compromesso nuovo tra fisica corpuscolare e metafisica cristiana. Sospetti, proprio per questo, all’autorità religiosa romana, furono accusati di m. e di ateismo. Del resto non pochi dei loro seguaci – paradossalmente, non tanto i «fisici» cartesiani, tra i quali va annoverato Malebranche, quanto i libertini eruditi di estrazione epicureo-gassendista – trassero conseguenze materialistiche in senso proprio dalla res extensa o dall’ipotesi corpuscolare. Anche in questo caso decisiva appare la componente etico-politica. Pur appellandosi alla meccanica, alla fisica, alla dottrina iatromeccanica, i materialisti del tardo Seicento e del primo Settecento fecero le loro scelte sul terreno dei grandi conflitti politici e religiosi contemporanei. La scienza rappresentava, certo, un elemento essenziale della nuova ideologia; ma lo stimolo principale – specialmente nei paesi cattolici – fu la decisione di rivolgerla contro la Chiesa e la sua autorità religiosa, culturale, politica. Si trattò dunque di un’ideologia di opposizione, connessa a un profondo rivolgimento sociale, antifeudale, anticattolico, anche se non giova molto alla comprensione storica etichettare come «borghese» un movimento estremamente differenziato, al quale appartennero, nei diversi paesi, chierici e nobili, reietti, perseguitati e clandestini. Gli ingredienti della nuova ideologia materialista furono molteplici: in Inghilterra, Ch. Blount e Toland accolsero spunti bruniani e hobbesiani, e impressero alle discussioni deistiche una decisa svolta in senso materialista; in Francia, l’aristocratico H. de Boulainvillier, gli anonimi compilatori dei manoscritti clandestini (diffusi tra il 1720 e il 1760), il curato Meslier, rielaborarono massicci sistemi materialistici, in margine all’Ethica(post., 1677) di Spinoza, alle varianti del panteismo e dell’epicureismo libertino; in Italia, i cartesiani napoletani dettero vita a un largo sincretismo, destinato ad assumere una decisa fisionomia materialista nel Triregno (post., 1895) di Giannone. Comune a questi scrittori, operanti in diversi contesti storico-politici, è il nesso tra formulazioni ideologiche e critica politica. In Toland riaffioravano le richieste sociali e religiose «repubblicane» represse nell’età di O. Cromwell; in non pochi manoscritti clandestini – e soprattutto nel Testament di Meslier – il m. si associa all’idea dell’abolizione della proprietà, al comunismo, alla violenta critica del regime assolutistico; in Giannone l’interpretazione materialista della religione come instrumentum regni culmina in una grandiosa requisitoria contro la Chiesa romana. Lo stato di semiclandestinità o di persecuzione nel quale operarono questi scrittori ha fatto misconoscere per lungo tempo la loro vastissima attività. Più nota, e storicamente più efficace, è invece la diffusione dell’ideologia materialista dovuta alla seconda generazione dei philosophesilluministi. L’ateismo e il m., coltivati come una sorta di credo laico dai compilatori di manoscritti clandestini, da autori di utopie quali L.-A. de Lom d’Arce de La Hontan, Vairasse, Morelly, fu adottato da una piccola cerchia di collaboratori dell’Encyclopédie, dapprima in forma prudente e dissimulata, poi in modo esplicito. Diderot incorse nei rigori della censura per aver sostenuto una tesi cosmogonica «lucreziana» nel 1749; Buffon fu più volte minacciato; La Mettrie, che concludeva nel suo L’homme machine (1747) un secolo di dispute iatromeccaniche, dovette rifugiarsi alla corte di Federico di Prussia. L’opera di Helvétius De l’esprit (1758) provocò un grande scandalo. Pochi anni più tardi, tra il 1760 e il 1770, il progressivo sfacelo dell’antico regime permise una circolazione più attiva delle pubblicazioni materialistiche, curate su vasta scala da d’Holbach, Diderot, Naigeon. Questo gruppo di philosophes operò come una vera e propria «centrale» di proselitismo ideologico, in un’epoca che vedeva accentuarsi sempre più il conflitto tra l’antico regime e i portavoce intellettuali del terzo stato. L’originalità del movimento non era più tanto nei temi – che rifluivano dalle più varie tradizioni antiche e recenti – quanto nel fatto che il m. si presentava ormai come una vera e propria ideologia di «classe», anche se non sovversiva. NelSystème de la nature (1770) di d’Holbach, il vangelo del m. tardo-illuminista, la componente scientista (legata soprattutto alla chimica corpuscolare) cede d’importanza rispetto al credo deterministico, al pragmatismo riformatore, alla tensione politica. Né il m. holbachiano, così radicalmente anticlericale e anticristiano, conserva i suggerimenti circa l’abolizione della proprietà presenti nel Testament di Meslier e negli scritti dei comunisti utopisti. Sia nella sua forma comunistico-utopistica, sia in quella riformistico-borghese, il m. francese tardo-settecentesco ebbe una profonda influenza sulla maturazione della coscienza rivoluzionaria del terzo stato. Nel sec. 18° il giudizio sull’ideologia fu dunque anzitutto un giudizio politico. La reazione idealistica in Germania, lo spiritualismo in Francia, accentuarono la condanna «filosofica» del m. tenendo ben presenti gli eventi del 1789.

Sviluppi ottocenteschi del materialismo. 

Con la Restaurazione l’ideologia materialista fu rinnegata e ricollocata ai margini della filosofia accademica. In quanto ipotesi di lavoro, la fisica, la chimica, la biologia del sec. 19° continuarono a riferirsi al concetto di materia come a un dato «neutro», ormai acquisito al pensiero scientifico (si pensi, per es., ai concetti newtoniani di massa e di etere, allo sviluppo della chimica sperimentale da A. Lavoisier e D.I. Mendeleev). Emancipata ormai da qualunque soggezione alla tradizione teologica, la scienza della natura poteva anche prescindere dall’ideologia militante. I suoi cultori potevano attenersi a formule più o meno ingenue di m. «volgare», come a elaborate restaurazioni spiritualistiche, oppure a compromessi intermedi di tipo scettico-empirico e fenomenistico. Si può dire che la filosofia di Kant nel suo complesso fornì la base teoretica comune a tutte le varianti del concetto scientista di materia, che si succedettero in Germania, dai kantiani come Helmholtz ai materialisti «volgari» come Vogt e J. Moleschott, al neoempirismo scettico di Mach e Avenarius. L’opzione meccanicista di grandi scienziati come P.-S. Laplace e J.-B.-P.-A.M. Lamarck, Darwin e i suoi seguaci positivisti (Spencer, K. Laas, E.H. Haeckel), si attenne più strettamente – nell’area culturale franco-inglese – al modello del m. settecentesco. Il dibattito teologico-scientifico aperto dall’Origine delle specie per mezzo della selezione naturale (1859) si colloca, come una sorta di schermaglia di retroguardia, nella tradizione della battaglia ideologica settecentesca. L’elemento ormai inerte, nei dibattiti sul m. scientifico e più tardi nel positivismo, era quello propriamente politico; l’avvento della borghesia al potere, il trionfo della scienza sperimentale, avevano in certo senso esaurito la sua carica pragmatica e rivoluzionaria. La stessa definizione di «m. volgare», usata da Marx, rispecchia tale situazione. Storicamente essa non rendeva piena giustizia all’effettiva funzione politica svolta dall’ideologia materialista; le pagine dedicate da Marx al m. francese ne La sacra famiglia (1845) rivelano una conoscenza assai sommaria del movimento, sia pure con l’esatta percezione del suo significato. Era una definizione soprattutto polemica, intesa a mettere in luce i limiti di una vecchia dottrina nei confronti dei suoi nuovi avversari. Hegel e gli idealisti postkantiani non si erano limitati a reinterpretare le scienze esatte dal punto di vista del «concetto», a polemizzare contro la modestia filosofica di Locke, di Newton e degli empiristi; giustificavano anche, in certa misura, le formulazioni materialistiche come schemi intellettuali fittizi, storicamente contingenti e superati dal processo dell’«idea». L’idealismo hegeliano – con tutti i suoi contenuti di restaurazione politica e culturale – rappresentò dunque una nuova sfida filosofica per gli «eredi della filosofia classica tedesca». Feuerbach, Marx, Engels e i loro seguaci, in altro senso eredi dei philosophes, si posero sul terreno stesso dell’avversario, e risposero alla sfida con un nuovo m., un m. storico e dialettico , che del m. sei-settecentesco rinnovava soprattutto la spinta ideologica militante, al servizio di un’altra classe.

Enciclopedia Italiana - II Appendice (1949)

di Delio Cantimori


Materialismo storico (XXII, p. 563). - Nel periodo dal 1917-20 al 1948 si sono definite due principali linee di sviluppo del materialismo storico, distinte, e spesso contrapponentisi l'una all'altra. Esteriore è la coincidenza che il materialismo storico venga in esse considerato prevalentemente non per sé preso, ma come specificazione del materialismo dialettico, cioè, secondo alcuni scrittori della linea filosofico-speculativa, del pensiero di K. Marx e di F. Engels sui problemi filosofici fondamentali, come elaborato soprattutto negli scritti giovanili di Marx, oppure tanto in quegli scritti quanto, prevalentemente, nelle altre opere e specialmente nell'inedito Dialektik und Natur di Engels (prima ediz. 1935) secondo l'altra linea.

Quest'ultima è la concezione del materialismo storico che si distacca radicalmente e qualitativamente dalle trattazioni sociologiche e filosofiche, tradizionali (tanto fra gli studiosi, quanto fra i teorici del movimento socialista in genere) nei decennî precedenti la rivoluzione dell'ottobre 1917; e che fra essi riconosce validità (relativa) soltanto ad alcuni, come Antonio Labriola e G. Plechanov. Tale materialismo storico non si considera soltanto interprete esatto o applicatore del pensiero marxistico in varî campi di studio, o anche di attività pratica, isolati dal complesso storico, ma dichiara che è propria essenza l'attuare e "sviluppare concretamente" il "passaggio dalla teoria alla pratica", tanto mediante la "prassi rivoluzionaria" quanto con la teoria di essa, specificata via via nella storia. I problemi importanti qui non sono più quelli delle discipline filosofiche, storiografiche, sociologiche, ma quelli della "rivoluzione creatrice" nel suo complesso. I principî di quel materialismo storico sono stati sviluppati da N. Lenin e da G. Stalin sulla base del pensiero di Marx e di Engels, come presupposti generali e principî del metodo direttivo del Partito comunista che costituisce la specificazione storica attuale di esso, come "avanguardia rivoluzionaria cosciente del proletariato" nel periodo storico della rivoluzione socialista e comunista.

Primo presupposto del materialismo storico così inteso è a sua volta il materialismo dialettico, come "concezione del mondo del partito marxista-leninista" (per il significato della definizione "marxista-leninista", v. Stalin, Dalla conversazione con la prima delegazione operaia americana, in Marx, Engels,Scritti scelti, vol. I, trad. ital., Mosca 1943, p. 61 segg.). Esso parte dai principî: che il mondo è per sua natura materiale e si sviluppa secondo le leggi necessarie del movimento della materia; che "la materia, l'essere, la natura è una realtà oggettiva esistente al di fuori e indipendentemente dalla coscienza" ed è "il dato primo"; che non si può separare il pensiero dalla materia; che il mondo e le sue leggi sono perfettamente conoscibili e che "non esistono cose inconoscibili, ma solo cose ancora ignote che saranno scoperte e conosciute grazie alla scienza e alla pratica"; che ciò avviene secondo il metodo dialettico per il quale la natura è un tutto organico coerente, unico, nel quale i fenomeni sono interdipendenti e reciprocamente condizionati, in movimento e cambiamento, rinnovamento e sviluppo incessanti; onde l'accentuarsi dell'interesse per "ciò che nasce e si sviluppa" (intendendo lo sviluppo non come un semplice graduale incrementum in se ipsum, ma come svolgimento da cambiamenti quantitativi, insignificanti e latenti, a cambiamenti aperti e radicali, qualitativi, mediante salti da uno stato all'altro, secondo leggi oggettive, fondamento delle quali è la constatazione delle contraddizioni interne dei fenomeni e delle lotte fra gli opposti che le costituiscono e sono l'intimo contenuto del processo di sviluppo). L'estensione di questo metodo allo studio della vita sociale, cioè allo studio della storia della società umana e della sua vita nel momento storico della nostra azione e nostra vita in essa, costituisce il materialismo storico, il quale situa ogni movimento sociale, ogni regime economico, ogni fenomeno politico, e via dicendo, nelle sue condizioni storiche (viene sottolineata a questo proposito tanto la unità - non l'identificazione - delle scienze naturali con quelle sociali quanto il legame fra attività scientifica e attività pratica). Quanto all'origine delle idee e delle teorie, delle concezioni e delle istituzioni, la vita spirituale della società è riflesso delle condizioni della vita materiale. A parte questo momento originario, le idee, le istituzioni, ecc. hanno una grande importanza e una grande funzione nella storia, specialmente quando si presentano come teorie e concezioni nuove, che non soltanto esprimono la necessità di risolvere i nuovi compiti e problemi posti dallo sviluppo della vita materiale della società, ma sono necessarie esse stesse a organizzare, mobilizzare, trasformare la società secondo quella necessità, della quale costituiscono il riconoscimento realistico, critico, storico; così le idee nuove, ecc., agiscono a loro volta sulle condizioni materiali della società umana ("essere sociale") che le hanno determinate in ultima analisi, creando le condizioni necessarie al loro ulteriore sviluppo. Le condizioni materiali vanno qui intese largamente: ambiente naturale geografico; demografico nel senso dell'aumento naturale della popolazione, ecc. Ma determinanti fra esse sono leforze produttive (cioè gli strumenti di produzione, gli uomini che li producono e li muovono, le esperienze di lavoro e di produzione di questi uomini, variamente sistemate, così come le loro abitudini di lavoro e i beni materiali prodotti) e irapporti di produzione (rapporti, differenti radicalmente da periodo storico a periodo storico, fra gli uomini associati nella produzione dei beni materiali). Forze produttive e rapporti di produzione producono a loro volta istituzioni, concezioni, idee, dottrine della società, attraverso un processo di grande complessità. I cambiamenti e lo sviluppo della produzione (e quindi della società nei suoi varî aspetti storici) cominciano sempre con i cambiamenti e gli sviluppi delle forze produttive stesse e degli strumenti di produzione, e in funzione di tali sviluppi e cambiamenti si modificano i rapporti di produzione (i quali, a loro volta, influiscono sulle forze produttive). Allorché i rapporti di produzione si irrigidiscono e non si trasformano col trasformarsi delle forze produttive, che sono l'elemento determinante, più mobile e rivoluzionario, si spezza quella unità di svolgimento, si ha crisi del sistema. Essa è inerente a una contraddizione irreconciliabile, e quindi risolubile solo con un "salto", con una rivoluzione che cambi qualitativamente il regime dei rapporti di produzione. Essa si presenta in questa forma: le nuove forze produttive sorgono spontaneamente nel seno del vecchio sistema, ma incontrano una violenta resistenza al riconoscimento stesso della loro esistenza, nonché alla necessaria trasformazione dei rapporti di produzione che ne consegue, resistenza esercitata da parte delle classi dominanti, che personificano i vecchi rapporti di produzione. La rivoluzione che compie il salto a una nuova epoca storica è opera, oltre che di quelle condizioni, delle idee nuove, le quali, sulla base di quel conflitto riconosciuto irresolubile, organizzano e mobilitano le masse che, a loro volta, si riuniscono in una nuova organizzazione politica, creano un nuovo potere politico (rivoluzionario) e possono così distruggere il vecchio ordine, nel campo dei rapporti di produzione, e instaurarne uno nuovo: e non per generazione spontanea, ma per attività cosciente, (non certo arbitraria di pochi uomini, limitata a un breve periodo o a un gruppo secondario; ma, nell'epoca attuale, attraverso l'organizzazione del partito del proletariato, che traduce in maniera organica e consapevole la necessità e le idee della classe espressa dallo svolgimento materiale della società, e in particolare la necessità della sua liberazione dalla oppressione economica e sociale e l'idea della nuova società, comunista). I problemi ulteriori sono di edificazione: approfondimento, educazione, estensione, attuazione, elaborazione economica, sociale, politica, scientifica, e via dicendo.

All'infuori di questo approfondimento e svolgimento, è proseguita la riflessione e la ricerca sui problemi posti nel periodo precedente, seguendo le antiche impostazioni, e procedendo secondo i metodi delle filosofie tradizionali o della sociologia positivistica. O che si rifiuti o si cerchi di trasformare il materialismo dialettico, accettandone solo l'aspetto storico mediante un rinnovamento della distinzione fra scienze naturali e scienze storiche e morali che ora preferisce richiamarsi a G. B. Vico oltre che a H. Rickert e alla "filosofia dei valori" (St. Warynski), o che lo si faccia proprio, considerandolo come filosofia integrale dell'uomo integrale (H. Lefebvre), le questioni rimangono qui sul piano filosofico e dottrinale generale, con varî approfondimenti e esclusioni, secondo l'una o l'altra tendenza della varie scuole filosofiche o sociologiche, oppure delle varie correnti politiche, sociali, religiose. Gli studiosi e gli scrittori che hanno perseguito tali ricerche e riflessioni, tendono di solito, da K. Korsch (1920) al gruppo di Esprit (1948) - con l'eccezione del Lefebvre, ma soprattutto di A. Gramsci - a respingere o ad obliterare il materialismo dialettico, soffermandosi su alcuni temi isolati di esso (problema dell'alienazione umana, ecc.), e a fare oggetto di attenzione precipua il materialismo storico, facendone, a seconda delle tendenze, un canone di interpretazione della storia più o meno esclusivo o decisivo, un canone o il canone di comprensione sociologica, di indagine per la lotta politica immediata, e tendono inoltre a interpretare o ad elaborare più o meno il momento materialistico in senso razionalistico e immanentistico (Lefebvre), in senso naturalistico e meccanicistico (N. Bucharin), in senso critico-realistico-riformistico (R. Mondolfo), o il momento storico in senso relativistico (Korsch, e i "marxisti religiosi"), prammatistico (S. Hook), neokantiano (Vorländer, Baratono); oppure neoidealistico (U. Spirito); e via dicendo. Spesso qui la discussione si riallaccia alle indagini sul pensiero filosofico giovanile di Marx, o a questioni generali di filosofia della storia e della politica. Le discussioni più numerose sono state, in un primo tempo, quelle provocate dal libro di G. Lukács, Geschichte und Klassenbewustssein (1923) (con tendenza, non programmatica, ma di fatto, alla riduzione della validità del marxismo alla storia della società umana per sé presa), di cui un'eco si ha ancora nell'opera di St. Warynski, e, nell'ultimo periodo, quelle promosse dal movimento di Esprit, con la trattazione di problemi come quelli del marxismo e la visione cristiana (cattolica) della vita, marxismo ed etica, e via dicendo, oltre che i temi tradizionali: materialismo storico e coscienza di classe, ecc. Più concretamente feconda è stata l'efficacia del materialismo storico nel campo degli studî storici, specialmente nelle sfere culturali anglosassone e francese, le quali stanno compiendo una esperienza analoga in parte a quella della scuola storiografica "economico-giuridica" italiana, ma con una maggiore ampiezza di presupposti metodologici e di ricerche preliminari, specie in alcuni studiosi (p. es. Lefebvre in Francia, Chr. Hill in Inghilterra, ed altri); poiché si parte non dalla introduzione o dalla sopravalutazione della storia economica fra le discipline storiche, o dalla maggiore o minore importanza data all'elemento economico nella ricerca e nella esposizione storiografica, ma dallo sforzo di considerare il movimento della storia come opera della società umana nel suo complesso, con tutti i suoi elementi e momenti interdipendenti. In queste recenti discussioni le antiche questioni sulla sovrastruttura e sulla sottostruttura, sul rovesciamento della prassi e sulla prassi rovesciata, e via dicendo, non sono più in primo piano. Si nota invece uno sforzo di affrontare i problemi dei rapporti fra scienze esatte moderne e contemporanee e le concezioni del materialismo dialettico e storico.