Libero arbitrio

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Espressione usata per indicare la libertà dell'uomo, i cui atti non sono determinati da forze superiori (di tipo soprannaturale o naturale), ma derivano da sue autonome scelte. L'espressione è nata sul terreno delle discussioni teologiche cristiane, in relazione alla conciliabilità tra onnipotenza e onniscienza divina e libertà umana. A sostenere la tesi del l.a. con particolare calore sono stati soprattutto i protagonisti dell'Umanesimo e del Rinascimento.

Dizionario di Filosofia (2009)

Capacità di scegliere liberamente, nell’operare e nel giudicare. L’espressione, usata a indicare la libertà del volere umano, nasce dapprima sul terreno della speculazione teologica, in connessione con i problemi della grazia, della predestinazione e dell’origine del male. Agostino, nella cui opera il concetto assume il massimo rilievo, distingue il l. a. dalla libertà perfetta, che l’uomo avrebbe perduto in seguito al peccato originale, e lo identifica come quel «posse non peccari» per cui esso diviene essenzialmente inclinazione al bene, pur potendo volgersi al male.

La dottrina della grazia, indispensabile all’uomo per il raggiungimento della salvezza, accentua, in polemica con il pelagianesimo, il carattere di gratuità di essa e della sua assoluta indipendenza dai meriti umani; di qui il problema della conciliazione tra predestinazione e l. a., necessario fondamento per la valutazione morale dell’azione. Nella scolastica il concetto di l. a. viene sviluppato in connessione al problema della volontà e della razionalità della scelta.

In Tommaso esso viene a identificarsi con la volontà, «essendo proprio della medesima potenza il volere e lo scegliere» (Summa theologiae, I, q. 83, a. 4); la volontà libera non può peraltro non attenersi ai dettami della ragione, in quanto una scelta d’altro genere nascerebbe da un difetto di libertà. Nell’ultima scolastica, in antitesi all’intellettualismo tomistico, si sviluppa invece una concezione volontaristica che tende a ritrovare la libertà del volere nella totale indipendenza della volontà rispetto ai motivi dell’agire.

Così in Duns Scoto la libertà è intesa come possibilità di determinarsi ad azioni opposte, mentre in Occam si accentua il carattere arbitrario della scelta, l’indifferenza rispetto a qualsiasi tipo di motivazione. Di qui l’identificazione dell’arbitrio con l’arbitrio dell’indifferenza (lat. arbitrium indifferentiae), ossia con lo stato d’animo di chi, di fronte all’esigenza della decisione volontaria, non propende: più per l’uno che per l’altro termine dell’alternativa; formula estrema della libertà del volere, concepita come assoluta indipendenza da ogni movente passionale e razionale, e quindi come puro arbitrio.

Da tale identificazione della volon­tà con l’arbitrium indifferentiae deriva l’impossibilità della stessa volizione nel caso della completa equivalenza dei motivi determinanti. La problematica agostiniana sarà invece ripresa da Lutero, che giungerà a negare qualsiasi possibilità di salvezza al di fuori della grazia, ponendo decisamente l’accento piuttosto sull’imperscrutabilità dell’aiuto divino che sui meriti umani, mentre il pensiero più maturo di Agostino aveva tentato di conciliare, mostrandone la reciproca necessità, i due contrastanti aspetti della predestinazione e del l. arbitrio. I motivi della predestinazione e della grazia costituiranno successivamente, sempre nel solco delle dottrine agostiniane, il nucleo problematico essenziale del giansenismo.