Enciclopedia delle Scienze Sociali (1997)
di Piero Tani
Produzione
sommario: 1. Introduzione. 2. Organizzazione
sociale della produzione, divisione del lavoro e scambio. 3. La
valutazione aggregata della produzione. a) Risorse primarie,
beni intermedi, beni finali. b) Il Prodotto Interno
Lordo. c) Il valore aggiunto. d) Valutazione
per singoli settori produttivi. 4. Gli elementi
fondamentali del fenomeno della produzione. a) La natura.
b) Il lavoro umano. c) Gli strumenti prodotti
dall'uomo per rendere più efficiente il lavoro. d) La
tecnologia. e) Il tempo di produzione. f) L'organizzazione
dell'attività produttiva. 5. L'efficienza. a) Frontiera
delle possibilità di produzione. b) Condizioni per
l'efficienza allocativa. c) Esternalità. d) Critiche
al concetto di efficienza allocativa. e) Efficienza e
determinanti della produzione a livello macroeconomico. 6. La
rappresentazione analitica della produzione. a) Funzione di
produzione. b) Critiche alla funzione di produzione.
c) Analisi delle attività. d) Insieme di
produzione. e) Rappresentazioni duali. f) Teorie
moderne del sovrappiù. □ Bibliografia.
1. Introduzione
La trasformazione sempre più complessa e articolata di
risorse naturali, al fine di renderle più adatte a soddisfare
le esigenze di vita dell'uomo, è un fenomeno che ha segnato
profondamente l'evoluzione dell'umanità: tale trasformazione,
consapevolmente gestita dall'uomo, che vi impiega la propria energia
fisica e intellettuale (lavoro) e anche strumenti a loro volta
prodotti, costituisce la sostanza del fenomeno della produzione,
nell'accezione di questo termine più comunemente usata in
economia e nelle scienze sociali in genere.
Perché si possa parlare di produzione non è necessario
che si verifichi una trasformazione di tipo fisico-chimico.
Poiché si può avere vantaggio per l'utilizzatore anche
solo dal trasferimento nello spazio o dalla conservazione nel tempo
o dal rendere disponibile un bene in dimensioni e confezioni
più adeguate al consumo del bene medesimo, tutte le
operazioni corrispondenti sono considerate atti di
produzione.Soprattutto con riferimento al fatto che la produzione
richiede tempo (v. § 4e), essa viene interpretata come un
processo. Nell'analisi economica, tale processo è solitamente
rappresentato con il criterio della scatola nera, ossia come una
entità della quale interessa osservare e misurare ciò
che entra (input) e ciò che esce (output), in quanto si
ritiene che i fenomeni interni alla scatola nera medesima non siano
di competenza di un'analisi economica della produzione, ma soltanto
di un'analisi strettamente tecnica.
2. Organizzazione sociale della produzione,
divisione del lavoro e scambio
Fenomeno sociale in quanto fenomeno umano, la produzione ha visto
accentuato il suo collegamento con l'organizzazione della
società man mano che è aumentata la complessità
delle trasformazioni e, conseguentemente, man mano che si è
sviluppata la divisione del lavoro, intesa come divisione tecnica
(ossia la specializzazione dei lavoratori in specifiche parti o
operazioni del processo di produzione) e come divisione sociale
(ossia la situazione per cui non vi è coincidenza fra i beni
che un soggetto produce o contribuisce a produrre e quelli che
consuma). La divisione del lavoro richiede che si istituisca un
qualche meccanismo che consenta a ciascun individuo di non godere
solo dei beni e servizi alla cui produzione ha direttamente
contribuito, ma di avere accesso anche a beni e servizi prodotti da
altri. Tale meccanismo può essere gestito collettivamente,
ovvero può avvenire attraverso la libera contrattazione degli
individui in mercati più o meno organizzati e strutturati.I
sistemi produttivi contemporanei sono sistemi complessi, con molte
unità di produzione (fattorie, fabbriche, stabilimenti
industriali), ciascuna delle quali produce uno o, più spesso,
molti tipi di beni o servizi; queste unità sono collegate tra
loro da passaggi di beni e servizi che le une producono e le altre
impiegano. Peraltro, ragioni tecniche, ragioni economiche e anche
ragioni sociali possono essere alla base di differenti gradi di
integrazione verticale dei processi produttivi che si svolgono
all'interno di una stessa unità, con situazioni in cui una
sola fase del processo è svolta in una singola unità e
situazioni in cui vi si svolge invece la maggior parte del processo
integrato di produzione, dalle risorse naturali al prodotto finito.
3. La valutazione aggregata della produzione
Di un sistema produttivo di grandi dimensioni, che può
coincidere con l'intero sistema economico di una nazione e, al
limite, con l'intero sistema economico mondiale, non è facile
determinare - e ancor meno misurare - quale sia la produzione
complessiva in un certo arco temporale. La principale ragione della
difficoltà sta proprio nel fatto che una parte dei beni
prodotti è destinata a essere impiegata nella produzione di
altri beni: anche la semplice elencazione dei beni prodotti, con le
rispettive quantità, ha perciò in sé un vizio
di duplicazione.
a) Risorse primarie, beni intermedi, beni finali
Una prima sistemazione del problema si ha con la classificazione
dei beni in risorse primarie, beni intermedi e beni finali: risorsa
primaria è qualunque input di un processo di produzione che
non sia a sua volta il risultato (output) di un altro processo; bene
finale è un output che non sia impiegato come input in alcun
processo (beni destinati direttamente al soddisfacimento di bisogni
dei consumatori); sono beni intermedi i beni prodotti che vengono
utilizzati come inputs in altri processi di produzione (v. Koopmans
e altri, 1951, pp. 115 ss.). Queste definizioni sono tuttavia
incomplete e potenzialmente contraddittorie a causa della natura
ambivalente di alcuni beni (il pane è bene finale in quanto
acquistato e utilizzato da una famiglia, ma è input di un
processo di produzione di servizi di ristorazione in quanto
acquistato da un albergo) e a causa della dimensione temporale della
produzione. È allora necessario fare riferimento a un dato
intervallo di tempo: bene finale sarà quello che,
nell'intervallo di tempo considerato, non sia stato impiegato come
input in alcun processo; analogamente per le altre due definizioni.
b) Il Prodotto Interno Lordo
Utilizzando questa classificazione, la produzione complessiva di
un dato sistema produttivo può essere fatta coincidere, senza
sostanziali vizi di duplicazione, con l'output di beni finali. Se si
stabilisce un sistema di valutazione (i prezzi ai quali questi beni
sono stati venduti agli utilizzatori finali; il costo di produzione
per i beni e servizi che non transitano per il mercato), il valore
complessivo dei beni e servizi finali prodotti può costituire
una misura aggregata del risultato produttivo del sistema
considerato: con riferimento all'intero sistema economico, entro i
confini di un dato territorio (Stato, Regione), è questa la
definizione di Prodotto Interno Lordo (PIL), dove l'aggettivo
'lordo' indica che non si è tenuto conto del deperimento dei
beni strumentali durevoli (costruzioni, macchinari, impianti)
impiegati nella produzione.
c) Il valore aggiunto
La definizione di PIL appena indicata non è agevole da
applicare direttamente per il calcolo. In ciascuna unità di
produzione è però possibile calcolare il valore
aggiunto, definito come differenza tra il valore di tutti i beni e
servizi prodotti e il valore dei beni intermedi impiegati. A livello
di ciascuna unità produttiva non vi è nessuna
corrispondenza tra valore dei beni finali prodotti e valore
aggiunto; a livello dell'intero sistema produttivo, invece
(purché si tenga conto in modo opportuno dei beni importati
da altri sistemi produttivi), il PIL coincide con la somma dei
valori aggiunti delle singole unità.
d) Valutazione per singoli settori produttivi
È utile misurare anche il contributo (valore aggiunto)
proveniente da singoli settori produttivi, costituiti dall'insieme
delle unità che producono uno stesso tipo di beni. La
classificazione per settori può essere più o meno
fine; la disaggregazione più semplice considera i settori
Agricoltura, Industria e Servizi (distinguendo eventualmente i
servizi destinati alla vendita da quelli che non passano attraverso
il mercato).
L'evoluzione dei sistemi economici, a partire da una prima fase di
netta prevalenza del settore agricolo, passa attraverso una sua
progressiva perdita di peso, mentre aumenta quello del settore
industriale, che diventa prevalente. In una terza fase
dell'evoluzione, anche il settore industriale vede ridurre il
proprio peso, essendo sopravanzato dal settore terziario (servizi).
Il succedersi di queste tre fasi è spesso indicato come
'legge dei tre settori' o di Colin Clark.
4. Gli elementi fondamentali del fenomeno della
produzione
Nel fenomeno della produzione, intesa in senso economico, possiamo
individuare alcuni elementi fondamentali: la natura; il lavoro
umano; gli strumenti prodotti dall'uomo per rendere più
efficiente il lavoro (capitale); la tecnologia; il tempo di
produzione; l'organizzazione dell'attività produttiva.
a) La natura
Finché la produzione agricola è stata prevalente,
il contributo della natura al risultato dell'attività di
trasformazione è apparso determinante. Nella concezione della
scuola fisiocratica - che si affermò nel XVIII secolo
soprattutto ad opera di François
Quesnay (1694-1774) - solo l'attività agricola è
capace di dar luogo a un prodotto netto. Nella visione dei
fisiocratici, è il lavoro umano ad attivare questa
potenzialità, e per questo la classe degli agricoltori
è la sola classe produttiva.Anche nei classici (Smith,
Ricardo, Malthus) è ben presente la limitazione che la natura
impone a ciò che può essere prodotto e quindi allo
sviluppo stesso della ricchezza, anche se lavoro umano e
accumulazione del capitale acquistano un peso prevalente.
David
Ricardo (1772-1823) prevedeva che il sistema economico dovesse
convergere verso una situazione di tipo stazionario, in
corrispondenza della completa utilizzazione di tutta la terra adatta
all'agricoltura. Questo non può essere evitato neppure
applicando alla produzione agricola tecniche con intensità
crescente di lavoro e capitale; anche in questo caso, la legge dei
rendimenti decrescenti comporta che, in presenza di un input fisso
(la terra, nella fattispecie), l'incremento di produzione dovuto
all'impiego di successive unità di inputs variabili è
decrescente.
Per Thomas
Robert Malthus (1766-1834) la limitazione nella
possibilità di crescita della produzione dovuta a fattori
naturali è destinata a entrare in conflitto con una crescita
della popolazione potenzialmente molto più rapida.
Ma la crescita della produzione industriale, con le grandi
innovazioni tecnologiche che l'hanno accompagnata e la
corrispondente continua crescita della produttività del
lavoro, ha portato a una progressiva perdita di rilievo, nella
teoria economica, del problema della limitazione dovuta alle risorse
naturali. Anche la teoria neoclassica, nonostante la sua attenzione
al problema della 'scarsità', ha prodotto modelli di sviluppo
del sistema economico caratterizzati da una crescita indefinita nel
tempo.
Dagli anni sessanta, il manifestarsi di particolari emergenze
(questione ambientale, crisi energetica) ha riproposto la questione
dei limiti allo sviluppo (v. MIT-Club di Roma, 1972) e il dibattito
tra ottimisti e pessimisti si è fatto acceso (v. Bresso,
1993), con esplicito ritorno a ipotesi di 'crescita zero' (stato
stazionario) (v. Daly, 1977).
Un'impostazione generale del problema di grande profondità
è stata proposta da Nicholas Georgescu-Roegen (1906-1994), in
particolare attraverso l'introduzione del concetto di entropia
nell'analisi economica (v. Georgescu-Roegen, 1971).
b) Il lavoro umano
L'energia fisica e mentale dell'uomo e la sua capacità di
sovrintendere ai processi di trasformazione hanno portato a
considerare il lavoro umano, nelle sue varie forme, come la
determinante essenziale della trasformazione produttiva, fino a
giungere, con David Ricardo e Karl Marx (1818-1883), alla individuazione del valore di scambio dei beni
nella quantità di lavoro impiegata, direttamente o
indirettamente nella loro produzione (teoria del valore-lavoro). In
Marx, in particolare, se il lavoro umano è l'unica fonte di
valori economici, il fatto che questo valore si trasmetta al
prodotto, in parte attraverso il lavoro che è direttamente
impiegato in un certo processo e in parte attraverso il valore
già incorporato nei mezzi di produzione prodotti (i beni
intermedi), è la condizione per cui, in un sistema
capitalistico, i lavoratori sono 'espropriati' di una parte del
valore prodotto. L'analisi economica è stata particolarmente
interessata a studiare come accada che la stessa quantità
fisica di lavoro sia in grado, in tempi e condizioni diversi, di
produrre differenti quantità di beni e servizi. Adam Smith
(1723-1790), nella sua opera principale, pubblicata nel 1776,
individua le "cause dei miglioramenti del potere produttivo del
lavoro" principalmente nella divisione del lavoro, a sua volta resa
possibile in sempre maggior misura dall'ampliamento delle dimensioni
del mercato.
La stessa divisione del lavoro è d'altra parte alla base sia
di differenti possibili organizzazioni del lavoro stesso, sia della
utilizzazione di strumenti che aumentano la produttività del
lavoro, fino a sostituirlo quasi completamente.
Ma, con l'accrescersi della complessità dei processi
produttivi, hanno acquistato sempre maggior importanza la
qualificazione del lavoro, le conoscenze di base, ottenute
attraverso il sistema formativo, e quelle acquisibili attraverso la
stessa attività produttiva (learning by doing). Per
l'importanza di questo aspetto, si parla di capitale umano con
riferimento all'insieme delle conoscenze acquisite dai lavoratori
(v. Becker, 1975).
c) Gli strumenti prodotti dall'uomo per rendere più
efficiente il lavoro
Fin dalle 'innovazioni' primordiali, l'uomo ha utilizzato
strumenti per potenziare il proprio lavoro. Poiché gli
strumenti sono a loro volta prodotti, si pone il problema di
dedicare una parte delle risorse disponibili (e in particolare il
lavoro stesso) per produrre strumenti anziché per produrre
beni direttamente e immediatamente consumabili.
Già con William Petty (1623-1687) prende avvio un'analisi
della produzione che, accanto agli inputs primari (non prodotti),
terra e lavoro, considera il ruolo fondamentale svolto da beni
prodotti come inputs del processo di produzione. Questi possono
essere strumenti (beni durevoli), ma può anche trattarsi di
beni intermedi non durevoli. Prende così forma una
rappresentazione della produzione che la identifica con un processo
circolare che, a partire dai beni (intermedi) disponibili (durevoli
e non), attraverso l'impiego di risorse naturali e di lavoro,
ottiene beni in quantità superiore a quelli impiegati. Il
concetto di sovrappiù ottiene una formulazione più
precisa con l'individuazione dei settori produttivi e dei rapporti
di interdipendenza che li collegano. Attraverso questa formulazione,
che si traduce anche in una analisi empirica (il Tableau
économique), François Quesnay precorre la teoria
moderna delle interdipendenze settoriali e lo stesso concetto di
equilibrio generale del sistema.I classici sviluppano questa
impostazione, sempre più soffermandosi sul processo che porta
all'ottenimento del sovrappiù e sulle connesse condizioni che
ne determinano la distribuzione tra le classi sociali. La connessa
teoria del valore, pur differenziandosi nelle formulazioni dei
diversi autori, fa prevalente riferimento alle condizioni di
produzione (e in particolare alle quantità di lavoro
impiegate e ai costi) nella determinazione dei prezzi.
Nella formulazione ricardiana, e poi in quella marxiana, il
contributo delle risorse naturali (terra) non entra nella
determinazione di tali valori, anche se la quantità e la
qualità della terra disponibile li influenza attraverso le
quantità di lavoro richieste nelle diverse possibili
situazioni.La rivoluzione marginalista concentra inizialmente la sua
attenzione sul comportamento del consumatore, sulle sue preferenze e
quindi sull'utilità come prima determinante dei prezzi
relativi dei beni. L'analisi della produzione riacquista però
presto un peso rilevante: Alfred
Marshall (1842-1924), ricollegando l'analisi marginalista alla
tradizione classica, fa riferimento sia all'utilità sia alle
condizioni di produzione nella determinazione dei prezzi.
L'introduzione della funzione di produzione e l'importanza del
concetto di produttività marginale (v. sotto, § 6a) per
la teoria marginalista della distribuzione del reddito riportano
l'analisi della produzione in posizione significativa. Il problema
centrale diviene quello della utilizzazione efficiente di risorse
scarse, del quale Vilfredo Pareto (1848-1923) offre una sistemazione
rigorosa. Il modello di equilibrio generale di Arrow e Debreu
(1954), superando il concetto di funzione di produzione,
conterrà una rappresentazione insieme semplice e molto
generale del problema (v. Debreu, 1959; v. sotto, § 6d).Sulla
strada di questo modello vi erano stati contributi importantissimi,
di discussa collocazione rispetto alla teoria marginalista o
neoclassica: il modello input-output di Leontief, il modello di von
Neumann, il modello di analisi delle attività (v. sotto,
§ 6c).
Attraverso la reinterpretazione dell'opera di Ricardo proposta
nell'Introduzione a The works and correspondence, tramite la
tradizione orale sviluppata a Cambridge, e soprattutto con la
pubblicazione, nel 1960, di Produzione di merci a mezzo di merci,
Piero Sraffa (1898-1983) ha contribuito in modo determinante alla
ripresa, in epoca moderna, della teoria del sovrappiù, che si
è posta in forte contrapposizione critica con la teoria
prevalente, di impostazione neoclassica (v. Pasinetti, 1989).
d) La tecnologia
La trasformazione dei beni che costituisce l'essenza del
fenomeno produttivo richiede un insieme di conoscenze che l'uomo ha
via via acquisito, per ottenere di più in termini di prodotto
e per ottenere prodotti sempre più diversificati e complessi:
l'acquisizione di queste conoscenze ha seguito strade diverse e si
è manifestata, nelle varie epoche, con velocità molto
differenziate.In molti casi, l'innovazione tecnologica si incorpora
in nuovi tipi di beni strumentali e la sua introduzione si
accompagna a un aumento del grado di intensità capitalistica
dei processi.
Questa sostituzione di beni strumentali durevoli al lavoro ha dato
origine a un dibattito ricorrente sulla desiderabilità
sociale di tali innovazioni, soprattutto nella prospettiva delle
difficoltà che tale introduzione genera, almeno in una prima
fase, per l'occupazione di manodopera. La 'questione delle macchine'
ha visto contrapporsi visioni pessimistiche a visioni ottimistiche -
che, finora, nel lungo periodo, sembrano confermate dalla storia -
circa la possibilità che un aumento della quantità e,
soprattutto, della varietà dei beni prodotti dal sistema,
insieme a una progressiva riduzione dell'impegno di lavoro umano,
forniscano una soluzione ai problemi inizialmente creati dalla
sostituzione di capitale a lavoro.
e) Il tempo di produzione
Qualsiasi processo di produzione richiede tempo: nella
produzione agricola, questo tempo è ordinariamente scandito
anche dal calendario e dal succedersi delle stagioni. Nella
produzione artigianale, vi è ancora una possibilità di
identificare il tempo che intercorre tra il momento in cui si avvia
la produzione del singolo 'pezzo' e il termine del processo. Nella
produzione manifatturiera di massa, molti processi elementari
possono parzialmente sovrapporsi, così che la produzione
può apparire, nel suo complesso, quasi istantanea: con un
esempio famoso, nel trasporto di un liquido mediante tubazioni (rete
di distribuzione dell'acqua potabile, oleodotto), nello stesso
istante in cui si immette il liquido in una estremità della
tubazione, una uguale quantità del liquido esce all'altra
estremità.
Peraltro, a livello dell'intero sistema produttivo, al tempo di
produzione corrisponde un tempo di 'attesa': i lavoratori (ma
più in generale ogni persona impegnata nell'attività
produttiva) devono poter disporre di quanto serve per vivere e
lavorare durante lo svolgimento del processo di produzione; i beni
necessari a questo scopo, così come tutti i beni intermedi
impiegati nella produzione, devono perciò essere il frutto di
atti di produzione precedenti.
L'utilizzazione di macchine, impianti, costruzioni introduce un
ulteriore tipo di riferimento al tempo: si tratta infatti di beni
intermedi 'durevoli', i quali cioè possono essere usati in
più atti di produzione successivi, anche se i successivi
impieghi determinano un logoramento, ovvero rendono necessario
procedere a manutenzioni e rinnovi; al logoramento fisico si
accompagna poi quello derivante da innovazioni sopraggiunte, che
rende opportuno sostituire la macchina anche prima del suo completo
logoramento fisico (obsolescenza o logoramento economico).
Il collegamento tra tempo di produzione, concetto di 'capitale' e
sua misurazione costituisce uno dei nodi della teoria austriaca
(Carl Menger, 1840-1921; Eugen von Böhm-Bawerk, 1852-1914; Knut
Wicksell, 1851-1926), ripresa nella versione neoaustriaca di John R.
Hicks (1904-1989) (v. Screpanti e Zamagni, 1989, pp. 194 ss.; v.
Amendola, 1976). In queste teorie, si fa riferimento a processi di
produzione verticalmente integrati, ossia a processi che impiegano
solo risorse primarie per produrre beni finali. Il tempo (medio)
intercorrente tra l'input di lavoro e l'output di prodotto (periodo
medio di produzione) è interpretato come riconducibile alla
maggiore o minore presenza di passaggi intermedi, e quindi alla
produzione e utilizzazione di beni intermedi e quindi ancora alla
intensità capitalistica del processo.
Nicholas Georgescu-Roegen (v., 1970) ha introdotto una
rappresentazione del processo di produzione che include, in modo
essenziale, l'analisi della successione temporale degli eventi
(inputs e outputs) che descrivono il processo. All'interno di tale
impostazione, questo autore ha anche proposto una classificazione
generale degli elementi che intervengono in un processo di
produzione che è direttamente collegata con la dimensione
temporale della produzione.Georgescu-Roegen distingue gli elementi
in flussi, fondi e stocks: l'elemento flusso, misurato con
riferimento a un intervallo di tempo, riguarda gli inputs non
durevoli e gli outputs in cui questi inputs si trasformano in
conseguenza del processo. Agenti di questa trasformazione sono gli
elementi-fondo (la terra, i lavoratori, i beni strumentali
durevoli), i quali operano attraverso la loro presenza all'interno
del processo, provvedendo un servizio che è misurato dal
tempo di tale presenza.
Gli stocks sono accumuli di flussi (materie prime e prodotti finiti
in magazzino) e hanno in comune con i fondi il riferimento temporale
a un istante anziché a un intervallo di tempo. Tuttavia,
mentre gli stocks sono decumulabili con una qualunque
velocità (uno stock di materie prime può essere
impiegato nel corso di un anno o di un giorno, se la produzione lo
richiede), i fondi possono cedere il loro servizio solo
condizionatamente al passare del tempo (secondo un illuminante
esempio di Georgescu-Roegen, una camera di albergo può
ospitare in un anno una persona al giorno per 365 giorni ma non 365
persone in un giorno solo).
L'utilizzazione efficiente dei fondi pone perciò dei problemi
di organizzazione della produzione (produzione in linea, produzione
congiunta) che hanno natura economica, oltre che tecnica. In questa
impostazione, trova anche una più corretta collocazione il
problema delle indivisibilità (v. Morroni, 1992, p. 25; v.
Tani, 1986).
f) L'organizzazione dell'attività produttiva
Le conoscenze tecnologiche condizionano ma non determinano
completamente la struttura organizzativa di un sistema produttivo
complesso, la sua suddivisione in unità produttive di varie
dimensioni, il grado di integrazione verticale realizzato
all'interno di ciascuna di queste unità, la loro differente
organizzazione interna della produzione, le relazioni e i meccanismi
di coordinamento delle decisioni relative all'attività svolta
da ciascuna unità produttiva.
D'altra parte, i risultati conseguibili, a parità di risorse,
dal sistema produttivo sono fortemente dipendenti da questi aspetti
organizzativi (v. Morroni, 1992, pp. 44 ss.). Può anche
verificarsi che il cambiamento organizzativo preceda e stimoli un
successivo cambiamento tecnologico. Quale che sia di volta in volta
la spinta iniziale, un circuito virtuoso di durata indefinita
può svilupparsi dal successivo verificarsi di: aumento delle
dimensioni del mercato, aumento della produzione, riorganizzazione
dell'attività produttiva basata su una maggior divisione del
lavoro, introduzione di strumenti specifici per singole fasi,
aumenti di produttività, aumenti di reddito.
Non sempre effetti del tipo descritto sono però destinati a
generare economie di scala a livello delle singole imprese e quindi
a incentivare la concentrazione della produzione in poche grandi
imprese, con potere monopolistico o oligopolistico. Se il processo
di produzione è tecnicamente scomponibile in fasi, è
possibile che l'aumento della quantità complessivamente
prodotta avvenga attraverso un numero anche molto grande di imprese
che svolgono solo una di queste fasi, collegate fra loro attraverso
un sistema di scambi. Situazioni di questo tipo possono più
facilmente ed efficacemente verificarsi quando le imprese tra loro
collegate godono di vantaggi (economie esterne) in conseguenza della
comune localizzazione su un dato territorio: per questo, l'analisi
dei distretti industriali, di origine marshalliana, ha contribuito
molto alla interpretazione delle condizioni di sviluppo della
piccola impresa (v. Becattini, 1987).
I sistemi di piccole imprese hanno spesso dimostrato anche una
maggiore capacità di reazione rispetto alle variazioni del
mercato. Questa capacità di realizzare una produzione
flessibile non è d'altra parte esclusiva di questi sistemi.
La crescente importanza di tale flessibilità e le
possibilità offerte dalla rivoluzione microelettronica hanno
indotto anche grandi imprese, soprattutto nei settori dei beni di
largo consumo, a introdurre tecnologie e strutture organizzative che
consentissero una produzione flessibile, superando le vecchie
concezioni della produzione di massa.
5. L'efficienza
Un concetto centrale nell'analisi della produzione è quello
di efficienza; la teoria neoclassica dedica una particolare
attenzione alla efficienza allocativa, con l'obiettivo di analizzare
i meccanismi attraverso i quali, in un sistema produttivo complesso,
le risorse disponibili possano essere utilizzate al meglio per
ottenere beni e servizi (finali), con particolare riferimento ai
meccanismi di mercato e alle scelte dei singoli produttori guidate
dal criterio della massimizzazione del profitto.L'efficienza
è raggiunta quando, a parità di risorse utilizzate, la
quantità prodotta di uno qualunque dei beni e servizi non
potrebbe essere aumentata se non diminuendo la quantità di
qualche altro prodotto: l'enfasi sulla condizione di parità
delle risorse utilizzate sembra opportuna, essendo viziata da errore
logico una versione molto popolare di questo concetto che vede
realizzata l'efficienza quando si ottiene il massimo di prodotto con
il minimo di risorse impiegate. Una definizione diversa, ma
corretta, anche se non completamente equivalente alla precedente,
è quella che definisce efficiente una situazione produttiva
quando, a parità di output, non sarebbe possibile ridurre la
quantità di alcun input senza contemporaneamente aumentare la
quantità impiegata di qualche altro input.
a) Frontiera delle possibilità di produzione
Il concetto di efficienza produttiva è ben illustrato
attraverso la frontiera delle possibilità di produzione. Nel
diagramma cartesiano della fig. 1 sono rappresentate, sui due assi,
le quantità di due beni nella cui produzione sono utilizzate
risorse date. Ciascuno dei punti della zona tratteggiata
corrisponde, in ipotesi, a una situazione ammissibile (ossia
tecnicamente possibile e compatibile con le risorse). Nella fig. 1
il punto B rappresenta una situazione inefficiente. Il punto A
rappresenta invece una situazione efficiente, e così è
per tutti i punti della linea che segna il confine di nord-est della
zona tratteggiata, linea che prende appunto il nome di frontiera
delle possibilità di produzione.
La frontiera è anche denominata curva di trasformazione: il
cambiamento nella utilizzazione delle risorse che dà luogo a
uno spostamento lungo la curva può essere interpretato
infatti come una trasformazione di un bene finale nell'altro. La
misura in cui ciò può verificarsi (nell'esempio della
figura, quanti spettacoli in più si possono produrre con le
risorse liberate dalla rinuncia a produrre un chilo di pane)
è detta saggio marginale di trasformazione: in una situazione
di equilibrio efficiente del sistema esso dovrà essere uguale
al rapporto esistente tra i prezzi dei due beni.Il concetto di
efficienza ha natura strumentale, essendo definito a partire da un
dato obiettivo. In questo senso può essere fuorviante
indicare l'efficienza come un obiettivo in sé, alternativo
rispetto ad altri possibili.
Nella fig. 2, la stessa situazione, rappresentata con il punto A,
verrebbe a essere rappresentata con il punto C qualora si decidesse
di considerare soltanto la produzione di prodotti agricoli e non
anche quella di 'aria pulita'. Ma mentre il punto A risulta
formalmente efficiente, non altrettanto può dirsi del punto
C.
b) Condizioni per l'efficienza allocativa
Se si suppongono date le risorse primarie per l'intero sistema
produttivo, affinché si realizzi una situazione efficiente
non basta che ciascuna delle unità produttive operi in modo
tecnicamente efficiente (ottenga cioè il massimo di prodotto
dalle risorse da essa impiegate); è necessario anche che si
realizzi una allocazione efficiente, ossia che le singole
unità produttive scelgano una specifica tecnica di produzione
corrispondente a certe proporzioni tra le risorse impiegate. A tale
scopo occorre (e basta) che le imprese realizzino anche l'efficienza
economica (minimizzazione del costo, massimizzazione del risultato
netto) e che questo avvenga a prezzi non condizionati dalle scelte
di singoli agenti economici e tali da uguagliare domanda e offerta,
quali sono i prezzi di equilibrio in mercati di concorrenza perfetta
(v. Tani, 1993, pp. 39 ss.).
La condizione di concorrenza perfetta risulta assai restrittiva; in
particolare, con riferimento alle condizioni relative alla
produzione, essa è incompatibile con l'esistenza di economie
di grande scala. Un tentativo interessante, anche se non
completamente riuscito, di estendere il risultato (teorema della
mano invisibile) a situazioni di mercato non concorrenziali, in cui
possono essere presenti anche imprese di grandi dimensioni, è
costituito dalla teoria dei mercati contendibili (contestable
markets), sviluppata a partire dalla seconda metà degli anni
settanta da un gruppo di studiosi americani, guidato da William Jack
Baumol (v. Baumol e altri, 1982). Riproponendo una definizione di
concorrenza centrata non sulla numerosità e le piccole
dimensioni delle imprese ma sulla possibilità di entrata nel
mercato, viene dimostrata la possibilità di raggiungimento
dell'efficienza come conseguenza della possibilità di entrata
ultralibera (ultra free entry), ossia della possibilità per
le imprese di entrare in un mercato, anche temporaneamente
(politiche hit and run), senza costi rilevanti di entrata e senza
perdite aggiuntive conseguenti all'uscita. L'entrata può
essere dovuta anche solo a differenziazione nella produzione di una
impresa multiprodotto già esistente. Per questo, l'analisi
dei mercati contendibili ha richiesto l'introduzione di nuovi
strumenti di analisi della produzione congiunta:
subadditività del costo, coefficiente di scala, costo medio
lungo il raggio, economie di varietà (economies of scope),
cross subsidization (v. Tani, 1993, pp. 48 ss.).
Anche in presenza di mercati contendibili, il raggiungimento
dell'efficienza richiede la presenza sul mercato di almeno due
imprese e quindi richiede che si escluda il caso del monopolio: il
monopolio naturale (v. Petretto, 1993, cap. 5), ossia il caso in cui
la situazione produttiva tecnicamente più efficiente in grado
di soddisfare la domanda di un prodotto è quella che prevede
una sola impresa (monopolista), resta una situazione in presenza
della quale il mercato non è in grado, senza interventi, di
raggiungere l'efficienza.
c) Esternalità
Per una parte considerevole dei risultati di efficienza sopra
ricordati è necessaria l'ipotesi che gli atti di produzione
realizzati dalle diverse unità siano fra loro tecnicamente
indipendenti. Quando ciò non avvenga (l'altezza della
ciminiera di una fabbrica può avere influenza sulla
produzione agricola della zona, attraverso l'emissione dei fumi a
più o meno alto livello) si parla di effetti esterni
(esternalità) che, anche quando siano di segno positivo (come
nel classico esempio dell'allevamento delle api e della coltivazione
di un frutteto), sono tra le cause di fallimento del mercato (v.
Arrow, 1969).
d) Critiche al concetto di efficienza allocativa
L'enfasi sul concetto di efficienza allocativa è stata
sottoposta a critiche. Da parte di studiosi che si richiamano alle
teorie del sovrappiù, la critica riguarda soprattutto l'idea
di scarsità delle risorse che vi è implicita:
l'ipotesi di scarsità non è applicabile ai beni
prodotti impiegati nella produzione, se non in una analisi di breve
periodo, nella quale d'altronde la sostituibilità è
assai limitata (v. Pasinetti, 1989, pp. 231 ss.).Un altro tipo di
critica proviene da impostazioni comportamentistiche, che mettono in
evidenza la maggiore importanza di altri aspetti del perseguimento
dell'efficienza e dell'attività di produzione in genere, la
quale non dipende solo dalla tecnologia, ma anche da procedure,
istituzioni, relazioni umane, e quindi da comportamenti e aspetti
organizzativi. Molti di questi aspetti sono conglobati da
Leibenstein (v., 1978) sotto l'etichetta di X-efficienza.
e) Efficienza e determinanti della produzione a livello
macroeconomico
Anche nella impostazione neoclassica, possibili rigidità
tecniche, che si traducono in effetti di complementarità tra
inputs, rendono compatibile l'efficienza produttiva con situazioni
in cui qualche risorsa disponibile risulta sottoutilizzata. In tali
casi, tuttavia, la risorsa, pur essendo limitata, non ha più
la qualifica di risorsa scarsa, non essendo imputabile alla sua
limitatezza alcuna restrizione nei livelli di produzione. Il prezzo
ombra di tale risorsa (v. § 6c) (e quindi anche il suo prezzo
di equilibrio generale) sarebbe nullo.Proprio per questo, una delle
principali difficoltà che si oppongono alla utilizzazione del
concetto di efficienza allocativa, e della interpretazione dei
prezzi che vi è connessa, è legata alla esistenza di
situazioni di persistente disoccupazione di manodopera, che
costringerebbero o a riconoscere il lavoro come risorsa non scarsa
(e quindi a non disporre più di una teoria in grado di
giustificare il livello di retribuzioni non nulle) o a ricercare le
ragioni, essenzialmente di tipo macroeconomico, per le quali il
sistema può persistere in una situazione di inefficienza, con
un livello effettivo della produzione inferiore a quello potenziale,
raggiungibile con la piena utilizzazione della manodopera
disponibile.
Questo secondo tipo di problema è stato oggetto di studio
soprattutto nell'ambito della teoria dei cicli economici e ha
ricevuto grande impulso, in questo secolo, soprattutto con l'opera
di John Maynard Keynes (1883-1946). Nonostante il recente forte
recupero di posizioni prekeynesiane, determinatosi soprattutto con
l'affermazione della nuova macroeconomia classica e della teoria
delle aspettative razionali, sono presenti diverse posizioni
teoriche che argomentano circa la possibilità che la
produzione aggregata tenda a permanere su livelli inferiori a quelli
compatibili con le risorse disponibili. Molte di queste spiegazioni,
come del resto quella keynesiana, sono strettamente collegate al
ruolo svolto dalla moneta nei sistemi economici complessi (v.
Graziani, 1994).
6. La rappresentazione analitica della produzione
Coerentemente con una visione del problema economico come problema
di scelta, la teoria neoclassica ha dato grande importanza alla
rappresentazione delle alternative tecniche; in relazione, poi, alle
condizioni per l'efficienza allocativa, le alternative tecniche
vengono prevalentemente rappresentate in termini di
sostituibilità tra inputs. Lo stesso concetto di
produttività marginale, così centrale nella teoria
neoclassica, può avere un'applicazione significativa e non
puramente formale solo se si ammetta questa sostituibilità.
a) Funzione di produzione
Anche se nella prima formulazione del modello di equilibrio
economico generale (v. Walras, 1874) la produzione fu rappresentata
con un modello lineare (v. § 6c), il concetto di funzione di
produzione, introdotto nel 1894 da Philip Henry Wicksteed
(1844-1927) trovò subito favorevole accoglienza. A
rafforzarne l'adozione fu poi soprattutto il concetto, strettamente
collegato, di produttività marginale e la sua utilizzazione
nell'ambito della teoria della distribuzione del reddito.La funzione
di produzione è definita come la relazione che lega
quantità disponibili di n inputs (x₁, x₂,...,xn) con la
massima quantità Q di prodotto che è possibile
ottenerne applicando la tecnologia a disposizione del sistema
produttivo considerato (unità produttiva, impresa, o sistema
produttivo complesso):
Nel caso di massima aggregazione degli inputs, si considerano solo
la quantità di capitale, K, la quantità di lavoro, L,
ed, eventualmente, la quantità di terra, T:
L'incremento di produzione che si ottiene aumentando di una
unità uno degli inputs (per esempio, il lavoro) e lasciando
invariata la quantità degli altri inputs definisce la
produttività marginale di quell'input (del lavoro);
produttività media di un input è invece il rapporto
tra la produzione complessiva e la quantità complessivamente
impiegata dell'input stesso.
Per il caso di due soli inputs, si possono rappresentare alcune
caratteristiche della funzione di produzione mediante le curve di
isoquanto (v. fig. 3). Ciascun isoquanto è il luogo dei punti
le cui coordinate rappresentano quantità dei due inputs che
consentono di ottenere, con tecniche alternative, una data
quantità di prodotto.La pendenza dell'isoquanto corrisponde a
una grandezza significativa per la teoria marginalista della
produzione, il saggio marginale di sostituzione tra due inputs
variabili, che è definibile come la minima quantità di
input necessaria a compensare la riduzione di una unità
dell'altro, il prodotto ottenuto dovendo rimanere invariato.In
termini di funzione di produzione, i vantaggi (o gli svantaggi) di
una produzione su larga scala vengono rappresentati attraverso i
rendimenti di scala. Se la funzione è tale che, per ogni
incremento proporzionale di tutti gli inputs, il prodotto ottenibile
subisce un incremento nella stessa proporzione (oppure,
rispettivamente, in proporzione maggiore o in proporzione minore),
si dice che la produzione è caratterizzata da rendimenti
costanti (o, rispettivamente, crescenti o decrescenti) di scala.
Alla funzione di produzione vengono comunemente attribuite
proprietà forti, prima fra tutte la differenziabilità.
Sotto tale ipotesi, la produttività marginale è
misurata dalla derivata parziale della funzione rispetto all'input
considerato.
Se la produttività marginale è riferita al valore del
prodotto, essa misura di quanto aumenta il ricavo per la vendita del
prodotto stesso se si aumenta di una unità l'impiego
dell'input considerato, ferme restando le quantità impiegate
degli altri inputs. Vi sarà perciò convenienza a
variare (in aumento o in diminuzione) la quantità impiegata
di un input fino a quando la sua produttività marginale in
valore non uguagli il suo prezzo (se l'input è acquistato sul
mercato).
Estendendo questa condizione a tutti gli inputs e a tutte le
produzioni, in una situazione di equilibrio di un sistema produttivo
complesso di tipo competitivo, la remunerazione di ciascun input
sarà uguale alla sua produttività marginale in valore,
la quale sarà perciò la stessa in tutte le produzioni,
garantendosi così una utilizzazione efficiente della
quantità complessivamente disponibile dell'input considerato.
L'uguaglianza tra produttività marginale in valore e prezzo
di ciascun input costituisce la base della prima versione analitica
della teoria marginalista della distribuzione del reddito.Il
successo della funzione di produzione è dovuto anche alle
applicazioni econometriche che essa ha consentito. Per questo tipo
di applicazioni sono state necessarie opportune specificazioni della
funzione medesima. La più famosa è quella utilizzata
nel 1928 dall'economista Paul Howard Douglas, con la collaborazione
del matematico Charles Wiggins Cobb. La funzione, a lungo conosciuta
e citata come Cobb-Douglas, era già stata introdotta da Knut
Wicksell, ed è oggi spesso più correttamente indicata
come funzione di Wicksell-Cobb-Douglas; essa ha la forma analitica
seguente: dove il parametro A dipende solo dalle unità di
misura utilizzate per le tre variabili e i parametri α e β esprimono
la variazione percentuale del prodotto che può essere
ottenuta variando dell'1% la quantità impiegata del
corrispondente input; la funzione può quindi presentare
rendimenti di scala decrescenti (α+β⟨1), costanti (α+β=1) o
crescenti (α+β>1).Molte altre importanti specificazioni della
funzione di produzione sono impiegate (v. Nadiri, 1982, pp. 456
ss.).
b) Critiche alla funzione di produzione
Il forte peso per molto tempo assunto dalla funzione di
produzione nella teoria neoclassica ha fatto sì che molte
critiche a tale teoria si siano accentrate sul concetto di funzione
di produzione e sulle grandezze che vi sono connesse, soprattutto
con riferimento a funzioni di produzione aggregate (riferite a
singoli settori produttivi o anche all'intero sistema economico).A
partire da un saggio di Joan Robinson (v., 1954), le critiche si
sono accentrate soprattutto sull'input 'capitale' e sul collegamento
fra funzione di produzione e teoria della distribuzione del reddito.
Negli anni sessanta e settanta molte critiche sono state basate
sulla possibilità del verificarsi del cosiddetto ritorno
delle tecniche, un risultato presente, anche se in forma non del
tutto esplicita, in Produzione di merci a mezzo di merci di Piero
Sraffa e sviluppato dagli economisti che si sono maggiormente
ricollegati a questo autore: in situazioni molto generali (sono
falliti diversi tentativi di ricondurre il fenomeno a casi
particolari) può accadere che la tecnica più
conveniente a un dato saggio di remunerazione del capitale non lo
sia più per saggi più alti (come ci si aspetta che
debba accadere), ma 'ritorni' a essere nuovamente conveniente quando
il saggio di remunerazione cresce ulteriormente. Il prezzo
dell'input 'capitale' non appare quindi più connesso con la
scarsità relativa della risorsa medesima; e, d'altra parte,
nessuna funzione di produzione aggregata può conformarsi a
questo comportamento (v. Garegnani, 1970).
L'accoglimento di molte di tali critiche ha ridotto l'importanza
della funzione di produzione nei modelli teorici, dove è
stata sostituita da concetti più generali, quale quello di
insieme di produzione (v. § 6d). Nelle applicazioni
econometriche la funzione ha però mantenuto un peso
rilevante.
Un diverso tipo di critiche (che investono anche formulazioni
più moderne della teoria della produzione) riguarda il fatto
che la funzione di produzione è una rappresentazione statica
della tecnologia, vista come insieme di alternative tecniche che le
conoscenze raggiunte fino a un certo momento offrono alla scelta
delle singole unità produttive. Questa interpretazione della
scelta della tecnologia è imputata di deformare la
realtà in almeno due direzioni: da un lato, essa enfatizza in
modo ritenuto eccessivo le alternative tecniche offerte all'impresa
in un dato momento; dall'altro non offre alcuno spazio alla
rappresentazione dell'azione innovativa realizzata dalle imprese.
Attraverso la funzione di produzione, infatti, l'innovazione - e,
più in generale, la variazione della tecnologia disponibile -
è rappresentata come un fatto totalmente esogeno rispetto al
sistema produttivo, che amplia l'insieme delle scelte tecniche a
disposizione delle imprese e che, conseguentemente, determina una
modificazione della funzione di produzione. Di conseguenza, la
tecnica di produzione risulta totalmente definita da una 'ricetta di
fabbricazione', da cui sono assenti procedure, metodi ed esperienze
che possono aver condotto, anche attraverso errori e fallimenti, a
certi risultati e che si deve ritenere facciano parte della
tecnologia in quanto conoscenza (v. Dosi, 1984, pp. 13-14).
È evidente, d'altra parte, la difficoltà di fornire
una rappresentazione analitica di un fenomeno (l'innovazione) che
per definizione non può essere codificato in anticipo. Come
soluzione a questo difficile problema viene proposta una
rappresentazione di tipo essenzialmente evolutivo, nella quale sono
soprattutto oggetto di analisi le modalità con cui
l'innovazione si manifesta e nella quale trovano posto, insieme ai
cambiamenti tecnologici in senso stretto, anche fenomeni di natura
non tecnica, quali le modificazioni organizzative interne alle
imprese, l'attività di ricerca svolta dalle imprese stesse, i
collegamenti fra imprese e istituzioni di ricerca esterne,
l'apprendimento per esperienza (v. Morroni, 1992, cap. 2).
L'analisi più approfondita della tecnologia ha inoltre messo
in evidenza due diverse tipologie di cambiamenti. Quelli del primo
tipo hanno natura incrementale e si manifestano con sostanziale
continuità all'interno di quasi tutte le attività
produttive, attraverso innovazioni diffuse di limitata
entità, fenomeni imitativi, apprendimento per esperienza,
azioni di riorganizzazione della produzione che possono dar luogo a
cambiamenti tecnologici. Ai cambiamenti incrementali della
tecnologia si contrappongono i cambiamenti radicali, che si
manifestano saltuariamente e spesso inaspettatamente, determinando
una frattura rispetto alla situazione precedente, e che generano
anche un nuovo regime di cambiamenti di natura incrementale (v.
Nelson e Winter, 1982, pp. 258 ss.; v. Dosi, 1984, pp. 13 ss.).
c) Analisi delle attività
Il desiderio di produrre una teoria della produzione più
vicina alle modalità reali di decisione è all'origine
del modello di analisi delle attività (activity analysis),
nato e sviluppato, nella prima metà degli anni quaranta, dal
gruppo di ricercatori (matematici, statistici, economisti) che
operava alla Cowles Commission (presso l'Università di
Chicago e poi a Yale), sotto la guida di Tjalling C. Koopmans (v.
Introduzione all'ed. italiana di Koopmans, 1951).
La rappresentazione 'lineare' della produzione e delle
corrispondenti scelte che veniva proposta da questa impostazione
aveva dei precedenti: Léon Walras l'aveva utilizzata per la
prima edizione degli Éléments (1874), passando
successivamente a utilizzare la funzione di produzione. Maggiori
elementi di contatto, anche a livello di analisi, si ritrovano nel
modello di crescita di John von Neumann, pubblicato in tedesco nel
1937 e in traduzione inglese nel 1945. Infine, un modello di teoria
della produzione in larga parte corrispondente all'analisi delle
attività era stato sviluppato nell'Unione Sovietica da Leonid
Kantorovich, senza che Koopmans e il suo gruppo ne avessero avuto
conoscenza (nel 1975 il premio Nobel per l'economia fu conferito
congiuntamente a Koopmans e a Kantorovich).
Nel modello di analisi delle attività, dato un elenco di n
beni o servizi, ogni processo di produzione è rappresentato
da una n.pla ordinata: il cui elemento generico zi indica la
quantità in input (se zi⟨0) o in output (se zi>0)
dell'i.esimo bene nel processo considerato. Se vi è
più di una componente positiva, si ha produzione congiunta di
più beni o servizi; se vi è almeno una componente
positiva, dovrà esservene almeno una negativa ("Non siamo
nella Terra della Cuccagna"). Le diverse possibili alternative
tecniche sono rappresentate da altrettante n.ple. È anche
introdotto un postulato di "possibilità di distruzione senza
costo" (free disposal) di tutti i beni.Il modello di Koopmans
ipotizza rendimenti costanti di scala e additività (ossia la
possibilità di attivare insieme due processi qualsiasi). Un
numero finito di processi base può allora generare un numero
infinitamente grande di processi diversi, ottenuti sia alterando il
livello di attivazione di un processo base, sia combinando due
processi base differenti.
Nella fig. 4 sono rappresentati due isoquanti, in una ipotesi
semplificata di un solo output e due inputs. Ciascuna delle
semirette tratteggiate uscenti dall'origine corrisponde a uno dei
processi di base, attivato a livelli via via crescenti man mano che
ci si allontana dall'origine (per l'ipotesi di rendimenti costanti
di scala, la dimensione dell'output è proporzionale alla
distanza dall'origine). I segmenti dell'isoquanto compresi tra due
di tali semirette corrispondono a processi misti, ottenuti
attivando, in opportune proporzioni, due processi di base; il tratto
verticale e il tratto orizzontale di ciascun isoquanto derivano
dall'applicazione dell'ipotesi di free disposal.Più in
generale, l'insieme di tutti i processi ammissibili è
rappresentato da un cono poliedrale convesso e tutte le informazioni
che servono per individuarlo sono incluse in una matrice che
contiene i coefficienti di input e di output dei processi base.Le
proprietà attribuite ai processi (in particolare le ipotesi
di rendimenti costanti di scala e additività) fanno sì
che il problema della determinazione delle tecniche che debbono
essere attivate per una utilizzazione efficiente di date
quantità disponibili di risorse possa essere impostato e
risolto in termini di programmazione lineare, anche se Koopmans fece
scarso riferimento a questo metodo. La soluzione del corrispondente
problema duale fornisce inoltre una valutazione delle risorse
disponibili, attribuendo loro un prezzo ombra o prezzo implicito;
questi prezzi sono interpretabili sia come prezzi di equilibrio
generale competitivo, sia come strumenti di trasmissione di
informazioni in un sistema di produzione pianificato, con
decentramento delle decisioni.
d) Insieme di produzione
Una generalizzazione del modello di analisi delle
attività è stata proposta soprattutto all'interno
della teoria dell'equilibrio economico competitivo (v. Debreu, 1959;
v. Arrow e Hahn, 1971).In questa generalizzazione si mantiene la
rappresentazione di un processo di produzione mediante una n.pla di
numeri reali, ma si indeboliscono alcuni dei postulati del modello
di analisi delle attività. Non si impongono le ipotesi di
rendimenti di scala costanti, additività, numero finito di
processi base. La tecnologia è rappresentata attraverso un
insieme Z (insieme di produzione), sottoinsieme di Rn, i cui
elementi rappresentano tutti i processi tecnicamente possibili in un
certo contesto (uno stabilimento, un'impresa, un'industria, o,
più in generale, un qualunque sistema produttivo complesso in
cui ogni impresa, esistente o potenziale, abbia accesso alla stessa
tecnologia). Nella fig. 5 è rappresentato un ipotetico
insieme di produzione i cui elementi hanno due sole componenti:
ciascun punto della zona tratteggiata rappresenta un processo
possibile.
Se la scelta del processo di produzione avviene a prezzi dati, se
(p₁, p₂, ..., pn) sono tali prezzi e se il criterio di scelta
è la massimizzazione del risultato netto (profitto), il
problema di scelta sarà espresso nella forma: sotto il
vincolo che (z₁, z₂,...,zn) rappresenti un processo possibile.Nella
figura, le rette rappresentano linee di isoprofitto ai prezzi dati
(in tutti i punti di una stessa linea il valore netto di output e
input è lo stesso), e per conseguenza il punto P rappresenta
il processo ottimale, le cui coordinate risolvono il problema (5).
Nell'analisi basata sull'insieme di produzione, si attribuiscono,
per assioma, a tale insieme alcune proprietà, che facilitano
l'analisi (Z non vuoto; Z chiuso in Rn, Z compatto, Z convesso) o
che sono intese a garantire il 'realismo' della rappresentazione
(irreversibilità, "non siamo nella Terra di Cuccagna"), o
ancora che sono utilizzate per rappresentare condizioni particolari
di produzione (rendimenti costanti o crescenti o decrescenti di
scala, additività, free disposal). Anche all'interno di
questa rappresentazione della tecnologia possono essere definiti,
per una data situazione produttivamente efficiente, i prezzi
impliciti nella situazione (ossia quelli che guiderebbero a
sceglierla). Tuttavia, non per tutte le situazioni efficienti
ciò è possibile. Il teorema dell'iperpiano separatore
garantisce che prezzi impliciti siano definibili per ogni situazione
efficiente purché l'insieme di produzione sia un insieme
convesso: per questo, l'ipotesi di convessità di Z ha un
ruolo centrale nell'analisi, anche se tale ipotesi introduce
limitazioni pesanti (in particolare, la sostanziale
impossibilità di trattare il caso di rendimenti crescenti di
scala).L'introduzione esplicita del tempo di produzione è
possibile, in questa rappresentazione, definendo le singole
componenti del vettore che rappresenta un processo di produzione
anche mediante la data alla quale il bene è considerato
disponibile. In questo caso, però, il problema (5) resta
significativo solo a condizione che sia possibile acquistare e
vendere beni e servizi per consegna futura (futures).
e) Rappresentazioni duali
Soprattutto le applicazioni econometriche hanno dato grande
impulso all'analisi della dualità, sviluppata da Ronald
Shephard (v., 1970), da Daniel McFadden (v., 1978), da Erwin Diewert
(v., 1981) e da altri autori.
Supponendo che la tecnologia sia data, attraverso una qualunque
rappresentazione della relazione tra input e output (funzione di
produzione, insieme di produzione: rappresentazioni dette principali
o primali), è possibile determinare la funzione di costo
C(y₁, y₂, ..., ym; w₁, w₂, ..., wn), ossia la relazione che lega le
quantità degli outputs y₁, y₂, ..., ym e i prezzi (positivi)
degli inputs w₁, w₂, ..., wn al minimo costo C necessario per
acquisire, ai prezzi dati, gli inputs necessari a produrre i dati
outputs. Sotto ipotesi molto deboli sulla tecnologia, la funzione di
costo è non decrescente, omogenea di primo grado e concava (e
quindi continua) rispetto ai prezzi degli inputs.
È possibile dimostrare (v. Tani, 1993, pp. 27 ss.) che una
funzione che goda di queste proprietà può sempre
essere interpretata come una rappresentazione alternativa
(rappresentazione duale) della tecnologia; la rappresentazione
è totalmente equivalente a una rappresentazione primale
purché si attribuiscano alla tecnologia alcune
caratteristiche, che corrispondono peraltro alle ipotesi normalmente
utilizzate per la funzione di produzione (tecnologia convenzionale).
Analoghe (anche se più deboli) proprietà ha anche la
funzione di profitto.
f) Teorie moderne del sovrappiù
Nel modello di Sraffa (v., 1960) la rappresentazione analitica
della produzione non riguarda una ipotetica 'tecnologia disponibile'
quanto piuttosto le interdipendenze di fatto esistenti, in un certo
momento, tra i settori produttivi di un dato sistema. Nel caso
più semplice in cui ogni settore produca un solo tipo di
merce, per ogni settore vengono date le quantità provenienti
da altri settori e utilizzate come input, la quantità
ottenuta come output, le quantità di lavoro utilizzate.
Facendo coincidere l'unità di misura di ciascuna merce con la
produzione totale del settore, una matrice A, ciascuna colonna della
quale contiene gli inputs del corrispondente settore, e un vettore l
degli inputs di lavoro esauriscono i dati del problema. Sotto le
ipotesi: che il periodo intercorrente tra l'istante di impiego (o,
più correttamente, di pagamento) degli inputs e l'istante di
ottenimento (del ricavo della vendita) degli outputs sia uniforme
per tutte le produzioni; che il saggio di rendimento (profitto) r
sul capitale investito sia uniforme; che il lavoro sia retribuito, a
un saggio di salario w uniforme, al momento dell'ottenimento (del
ricavo della vendita) degli outputs, il vettore p dei prezzi (prezzi
di produzione) che rispetta le condizioni suddette è definito
dall'equazione seguente:
Essendo per ipotesi A una matrice 'osservata', la (6) ammette
soluzione positiva per p, in funzione di w e r. Scelto un numerario,
il grado di libertà residuo dell'equazione (6) può
essere tradotto in una relazione (decrescente) tra w (saggio di
salario, espresso in termini del numerario prescelto) e r (saggio di
profitto) (v. Pasinetti, 1989, pp. 107 ss.).
Non è esclusa dal modello la possibilità di
cambiamento delle tecniche di produzione: il passaggio da una
tecnica all'altra è però valutato considerando gli
effetti che esso ha sull'intero sistema produttivo, mettendo
cioè a confronto due rappresentazioni del tipo di quelle
sopra indicate che differiscono per la tecnica utilizzata in uno dei
settori. A ciascuna di queste rappresentazioni corrisponde una
relazione tra r e w (avendo scelto lo stesso numerario): la scelta
della tecnica, per ogni possibile livello di saggio di profitto,
corrisponde alla scelta del sistema che dà luogo al
più alto saggio di salario reale (v. Pasinetti, 1989, pp. 195
ss.).