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Equilibrio
Enciclopedia online
1. E. economico
Ogni configurazione economica che rappresenta una situazione dalla quale non vi è incentivo a muoversi. Tipico è l’incontro sul mercato della domanda e dell’offerta, che stabilisce il al quale le merci verranno scambiate. Dal punto di vista dell’e. economico generale, questo si definisce come posizione nella quale, date determinate condizioni iniziali, un individuo o una collettività agenti come enti economici possono realizzare il massimo di utilità soggettiva (e che quindi l’individuo e la collettività tendono a raggiungere o a ripristinare). L’ analizza posizioni di e. in un dato mercato, date le condizioni che vigono sui restanti mercati. Quando invece tutti i mercati vengono presi simultaneamente in considerazione, si parla di e. economico generale , la cui formulazione risale a L. Walras e V. Pareto. Premessa di queste teorie è l’invariabilità delle condizioni iniziali (gusti individuali formalizzati dalle ‘curve di indifferenza’, disponibilità dei beni, stato della tecnica produttiva); si tratta quindi sempre di un e. statico , relativo a un dato momento, mentre la realtà è essenzialmente dinamica anche nelle società più semplici e meno mutevoli. Per questo, e per l’intervento di impulsi e forze extraeconomiche nel determinare le azioni umane, la nozione teorica di e. economico, pur non trovando corrispondenza precisa nella realtà concreta, ha costituito uno strumento concettuale che ha svolto una funzione cruciale nello sviluppo rigoroso dell’analisi economica.
1.1 E. parzialeI problemi di e. parziale più frequentemente studiati dalla scuola classica sono quelli relativi al valore e prezzo dei beni, al valore e distribuzione della moneta, ai rapporti di scambio internazionale, al livello dei salari, al tasso dei profitti, salvo poche eccezioni (F. Ferrara, T. Martello), senza rilevarne le mutue dipendenze. È infatti soltanto con la scuola matematica che i rapporti di interdipendenza dei fenomeni economici trovano la loro rigorosa espressione (in particolare con A. Cournot, per il monopolio, e con H.H. Gossen, per il rapporto tra sacrificio e utilità del lavoro). A opera di questa scuola e, contemporaneamente, ma indipendentemente, di W.S. Jevons, di L. Walras e di K. Menger, l’indagine si polarizza sulla ricerca di un sistema di equazioni in cui i prezzi dei beni e le quantità scambiate figurano come incognite, mentre le utilità soggettive dei beni scambiati e le quantità inizialmente possedute dagli scambisti si considerano note. In tale indagine assume importanza essenziale l’utilità marginale, e il teorema dell’uguaglianza delle utilità marginali ponderate diviene la chiave della scienza economica. A una successiva e sempre maggiore estensione della teoria degli e. parziali hanno contribuito, tra gli altri: E. Barone e M. Pantaleoni, in Italia; F.Y. Edgeworth e A. Marshall, in Inghilterra; R. Auspitz e R. Lieben, in Austria; I. Fisher in America.
1.2 E. statico generaleL’unità del processo economico e la tendenza a un solo e., che sia insieme e. del produttore, del consumatore, del risparmiatore, del lavoratore ecc., è stata studiata da Walras, che ne ha fissato le equazioni nell’ipotesi di libera concorrenza, dimostrando come il numero delle condizioni sia uguale al numero delle incognite e l’e. sia quindi determinato. La formulazione definitiva dell’e. statico generale è però quella data da Pareto, sulla base della rappresentazione di Walras ampliata in modo da considerare anche l’ipotesi del monopolio e i fenomeni di rendita o di passaggio da un e. all’altro; con essa, superate le distinzioni tra produzione, distribuzione, consumo e scambio, l’economia pura si riduce allo studio sintetico dei gusti da cui sono mosse le azioni umane (determinabili in via induttiva con l’analisi delle scelte) e degli ostacoli che vincolano le azioni stesse (limitazione dei beni, costi di produzione, stato della tecnica, regime giuridico). Tra i contributi all’analisi dell’e. generale vanno segnalati quelli di K. Wicksell, J.B. Clark, H.L. Moore, gli apporti di matematici ed economisti quali A. Wald, J.L. von Neumann, L. Amoroso, R. Frisch ecc.
Interesse particolare, non disgiunto da critiche, ha suscitato la teoria di J.M. Keynes che, sulla base di un sistema essenzialmente statico di tre equazioni e una identità, contesta le conclusioni delle scuole precedenti e, implicitamente, anche di Walras e Pareto circa gli e. economici e la loro tendenza, in caso di perturbazione, a ripristinarsi con spontanei aggiustamenti dei prezzi, delle retribuzioni ai fattori produttivi e della loro allocazione, senza che si produca la disoccupazione dei fattori stessi. Secondo J.M. Keynes, il sistema economico, una volta allontanatosi sensibilmente da una posizione d’e., tende a distaccarsene sempre di più e a raggiungere, soprattutto attraverso mutamenti del reddito sociale, una nuova posizione di e. ‘di sottoccupazione’, accompagnata cioè da una persistente inutilizzazione dei fattori produttivi (risorse umane e materiali). Gli e. di piena occupazione sono anzi per la scuola keynesiana l’eccezione e non la regola e tocca allo Stato intervenire, promuovendo gli investimen;ti o i consumi, per far ritornare il sistema a un e. di piena occupazione o per mantenervelo.
Conseguenze assai rilevanti per la teoria dell’e. economico generale ha avuto, d’altra parte, la critica di P. Sraffa all’ipotesi concorrenziale (il mercato omogeneo di libera concorrenza finisce per avere un suo mercato particolare, il prezzo quindi non è più un dato per le singole imprese ma una funzione decrescente delle loro vendite) e su questa base J. Robinson ed E.H. Chamberlin hanno tentato di dimostrare la possibilità di un e. per forme di mercato intermedie tra la concorrenza perfetta e il monopolio.
Il largo impiego dello strumento matematico che caratterizza l’analisi economica degli anni successivi ha permesso poi a J.R. Hicks di riprendere e perfezionare la teoria di Walras e di Pareto, preoccupandosi soprattutto di risolvere il problema della stabilità dell’e. economico generale, e O. Lange e P.A. Samuelson ne hanno proseguito la ricerca.
1.3 E. dinamicoIl crescente interesse per i problemi di sviluppo ha indotto contemporaneamente a uscire dall’impostazione walrasiana e a occuparsi, anziché del mantenimento della configurazione raggiunta da un sistema, della sua evoluzione nel tempo e ne è derivata un’abbondante varietà di modelli macroeconomici, di derivazione keynesiana, in cui si mira alla soluzione di problemi di e. dinamico di breve e di lungo periodo. Un tentativo per applicare la teoria dell’e. generale allo studio empirico delle correlazioni esistenti tra i vari settori dell’economia nazionale è stato poi fatto da W. Leontief con il suo schema (input-output analysis) che ha pure suscitato fervore di teoriche e di pratiche attuazioni. Negli sviluppi successivi, la teoria dell’e., mentre da un lato ha trovato formulazioni matematiche sempre più complesse (A. Wald, K.J. Arrow, G. Debreu ecc.) volte a dare una formulazione dinamica dell’e. e a considerare le decisioni degli operatori economici in condizioni di incertezza sul futuro, ha, nel contempo, formato oggetto di nuove insorgenze critiche, soprattutto da parte di coloro (come J. Kornai in Anti-Equilibrium, 1971) che sottolineano i sistemi di informazione, di reazioni e di adattamento del meccanismo economico, che non si manifestano nell’operare dei prezzi, ma con regole, messaggi e controlli di tipo diverso, da cui si prescinde nelle concezioni generali di equilibrio.
La letteratura economica ha posto particolare attenzione ai cosiddetti modelli monetari di e. economico generale (D. Patinkin, R.W. Clower, F. Hahn e A. Leijonhufvud). Proprio partendo da alcuni spunti dell’analisi teorica di questi economisti, nella quale l’esistenza della moneta quale mezzo di scambio altera alcuni postulati essenziali del modello di e. economico generale, sono stati sviluppati nuovi modelli detti di disequilibrio , nei quali la rigidità di alcune variabili (prezzi, salari) fa sì che gli scambi e i processi di aggiustamento nei mercati si realizzino anche in situazioni diverse da quelle dell’e. economico previsto dalla teoria di Walras.
2. E. e modelli matematici
Lo sviluppo della modellistica
matematica applicata all’economia ha arricchito il concetto di
e., e in particolare di e. dinamico . I contributi enfatizzano
infatti la presenza di una molteplicità di e. economici
caratterizzati da diverse condizioni iniziali dell’economia.
Negli sviluppi più complessi, tale molteplicità di
e. non consente di determinare, a priori, verso quale e.
l’economia stia convergendo (indeterminatezza degli e. ).
Enciclopedia Italiana (1932)
Equilibrio economico.
L'evoluzione subita dal concetto di equilibrio nell'economia
politica riassume lo sviluppo e i progressi essenziali di questa
disciplina come scienza. Con maggiore o minore precisione, tale
concetto si è generalmente desunto dalla meccanica, per
quanto il parallelismo fra economia e meccanica sia stato messo
in rilievo solo da autori recenti. Equilibrio economico
può genericamente definirsi "la posizione alla quale
tende un individuo o un complesso d'individui che agiscono in
modo economico, razionale; nella quale si arresterebbe
indefinitamente se nessuna delle condizioni e forze che
sull'individuo (o sul complesso) agiscono, si modificasse; verso
la quale cercherebbe di ritornare se ne fosse allontanato da una
qualche causa speciale o temporanea, che in seguito si
eliminasse". L'equilibrio economico viene altrimenti definito
con l'enunciazione delle condizioni che assicurano, dati certi
punti di partenza (disponibilità di beni, stato della
tecnica, gusti individuali, ecc.), il massimo di utilità
soggettiva a un individuo o complesso d'individui che agiscano
conformemente al postulato edonistico.
Non sempre eli economisti hanno enunciato in modo chiaro questo
concetto; e ad ogni modo hanno dato ad esso contenuto diverso.
Il fenomeno che ha originariamente portato all'idea di
equilibrio è quello dello scamhio; punto di partenza
delle teorie dell'economia pura è stata l'ipotesi del
baratto fra due soggetti economici: la posizione di equilibrio
è raggiunta quando si verifica un rapporto di scambio
tale da rendere eguali la domanda e l'offerta di un bene, e gli
scambisti non hanno convenienza a modificare ulteriormente il
prezzo, le quantità domandate e offerte, fino a che non
si modificano i bisogni o i costi di produzione. Questa nozione
è già implicita in A. Smith (An Inquiry into the
Nature and Causes of the Wealth of Nations. I, cap. 7° e IV,
cap. 3°): nel primo punto indica la situazione di equilibrio
cui, data libertà di produzione e scambio, tende il
prezzo di un bene economico (prezzo naturale eguale al prezzo di
mercato) e le circostanze (aumento dell'offerta sulla domanda o
viceversa) che possono allontanare il prezzo di mercato da
questa situazione. Nel secondo, accenna all'equilibrio (balance)
fra prodotto nazionale e consumo, e alle conseguenze che gli
squilibrî in questo campo hanno sulla prosperità o
decadenza economica di una nazione. La nozione di equilibrio vi
si delinea in modo abbastanza preciso, per quanto il contenuto
oggettivo sia diverso da quello che lo Smith le attribuiva (la
situazione di equilibrio non è data dal coincidere del
prezzo di mercato col prezzo naturale, ma dalla proprietà
che il prezzo di mercato ha di rendere eguali la quantità
domandata e la quantità offerta). La stessa nozione
è, in modo più nebuloso, al fondo di altre teorie
dello Smith; per cui può dirsi che nella sua opera
incominci a delinearsi quella che si è poi definita la
teoria degli equibri parziali (determinazione delle condizioni
di equilibrio per singoli gruppi di fattori economici,
trascurando i rapporti che legano fra loro tutti i gruppi del
mercato). Nel successivo sviluppo della scienza, le teorie degli
equilibrî parziali predominano, fino a L. Walras e v.
Pareto, in due correnti dottrinali: quella degli economisti i
quali considerano i rapporti economici come rapporti semplici di
causa ed effetto, e prescindono dall'uso di strumenti matematici
di espressione e deduzione; e quella degli economisti i quali
vedono in essi un sistema più o meno esteso di mutue
dipendenze o interdipendenze, e ricorrono al linguaggio
matematico che solo consente di esprimere con maggiore
approssimazione e rigore questo tipo di rapporti.
Ambedue le correnti e a maggior ragione la successiva teoria
dell'equilibrio economico generale, partono da un presupposto
fondamentale: che le azioni di cui si considerano o ipotetizzano
i risultati siano rigorosamente logico-economiche, cioè
"logicamente indirizzate a soddisfare il massimo dei gusti o
bisogni soggettivi compatibile con gli ostacoli e le condizioni
dell'ambiente, in modo che scopi economici soggettivi e
risultati concreti approssimativamente concordino". Questa forza
o proprietà economica delle azioni umane è uno dei
fattori che concorrono a determinare la vita sociale concreta;
ma è stata, per un processo di astrazione comune a tutte
le scienze logico-sperimentali, separata dagli altri fattori per
poterla più rigorosamente studiare nelle sue leggi.
È un modello teorico dell'attività umana, pur
contribuendo, in diverse proporzioni, a determinare tutti i
fenomeni economici, nel senso che non è quasi mai l'unica
determinante dei fatti economici concreti.
Le azioni economiche hanno la proprietà di essere
logiche; il che consente di dedurne, dati certi punti di
partenza, le leggi in via teorica, anche quando non è
possibile conoscerle e seguirle con l'osservazione. In questa
proprietà sta la ragione dell'uso della matematica
nell'economia, nonché dell'analogia di questa con la
meccanica. Il parallelo fra i due sistemi si conserva in tutto
lo sviluppo della teoria. Lo studio del fenomeno meccanico si
compie mediante due approssimazioni, che costituiscono la
meccanica razionale e la meccanica applicata; quello del
fenomeno economico si compie con l'economia pura, o razionale,
che studia le proprietà e le leggi generali
dell'attività economica logica, e con l'economia
applicata, che studia le approssimazioni mediante le quali il
modello teorico si adatta al fenomeno concreto; le
manifestazioni storiche alle quali la proprietà economica
(applicandosi a dati di fatto, a punti di partenza mutevoli;
combinandosi con le altre forze sociali) ha dato e dà
luogo. La meccanica razionale comprende la cinematica, la
statica e la dinamica; così l'economia pura (a
prescindere dalla cinematica economica che potrebbe limitarsi a
studiare le variazioni della ricchezza adoperando i soli
concetti di ricchezza e di tempo, ma che può
comprendersi, allo stato attuale della scienza, nella dinamica
economica) si scinde in statica economica (diretta a determinare
le condizioni generali che dànno luogo a una data
posizione di equilibrio stabile) e dinamica economica (che
studia le leggi generali delle variazioni o movimenti della
ricchezza).
Il postulato sovra enunciato delimita la nozione e i caratteri
dell'equilibrio economico: 1. l'equilibrio costituisce una
posizione teorica che solo una collettività di homines
œconomici raggiungerebbe, date certe condizioni iniziali e
costanti dei gusti; disponibilità di beni; tecnica
produttiva; regime giuridico; 2. ma nello stesso tempo
costituisce una posizione virtuale alla quale effettivamente
tendono, in ogni momento, i mercati concreti, in quanto e nei
limiti in cui in essi agisce la forza economica.
Ipotesi fondamentale nella teoria dell'equilibrio è che
le funzioni esprimenti le ofelimità individuali e i
vincoli (leggi della tecnica, ordinamento giuridico) non variino
col tempo. Nella realtà storica questi dati si
modificano, si può dire, continuamente; e così
pure i gusti, in quanto variano l'ammontare, la composizione
della popolazione, le quantità e specie dei suoi bisogni,
l'estensione e l'importanza che la proprietà economica ha
nel complesso dei fattori della vita sociale. Il fenomeno
concreto è perciò essenzialmente dinamico,
perché nessuna società storica, anche la
più semplice e meno mutevole, è esente da
variazioni in tutte o in parte delle condizioni determinanti la
vita della ricchezza. Anche se la proprietà economica
degli atti umani rimane rigorosamente uniforme, si verificano
continui movimenti nei prezzi dei beni, nelle quantità
prodotte, consumate, scambiate, nell'ammontare e nella
distribuzione dei redditi, nei saggi d'interesse. Ciò per
due gruppi di cause: 1. perché si modificano,
indipendentemente dal ragionamento economico, i dati di fatto
cui questo si applica; 2. perché intervengono nel
determinare le azioni umane impulsi e forze extraeconomiche, i
cui effetti obbligano in seguito a modificare l'attività
economica. I fenomeni della popolazione dipendono da cause
fisiologiche, morali, sociali, oltreché economiche; i
fenomeni della finanza pubblica e della politica economica, da
fattori e condizioni politiche estranee al ragionamento
edonistico; le variazioni della moda, le invenzioni, i
perfezionamenti tecnici, hanno origini e sono regolati da leggi
diverse da quelle economiche; ma tutti questi fenomeni si
ripercuotono direttamente sui rapporti fra l'uomo e la
rìcchezza, obbligando l'aggregato, mentre è in via
di raggiungere una data posizione di equilibrio, a cercare nuovi
adattamenti e a dirigersi verso una nuova posizione di massimo
utile. Si parla comunemente di progresso economico e decadenza
economica, mentre per sole cause economiche tali movimenti
sociali non si verificherebbero: se l'umanità fosse
costituita di puri homines oeconomici e le condizioni di fatto
(bisogni, tecnica) cui la proprietà economica si applica
si conservassero immutate, la società si manterrebbe
indefinitamente in una situazione di equilibrio statico.
La nozione teorica dell'equilibrio economico non trova
corrispondenza nella realtà storica, in cui la vita
economica appare soggetta a un continuo e generale dinamismo.
Essa tuttavia rappresenta una necessità dell'indagine: il
pensiero umano, di fronte a una data situazione del mercato, si
pone anzitutto il problema: quali sono le cause, le leggi, i
rapporti che determinano e spiegano questa situazione? Problema
che attraverso l'analisi scientifica, si trasforma nel seguente:
date le condizioni di fatto esistenti nel momento osservato, a
quale posizione durevole giungerebbe il mercato, se non si
modificassero dette condizioni". A meno di limitarsi a
un'osservazione affatto empirica dei movimenti concreti degli
aggregati economici, senza analizzarne le determinanti e
relative uniformità generali, prima di stabilire le leggi
secondo le quali il mercato passa nei successivi momenti t0, t1,
t2,... tn dalla posizione E0 alla posizione E1, da questa a
E2,... En, (ossia determinare come variano in funzione del tempo
le condizioni di fatto cui si applica il criterio economico),
era necessario stabilire le leggi secondo le quali il mercato
giunge a una qualsiasi di queste posizioni, supponendo invariate
le condizioni suddette. Per un'altra ragione gli economisti
hanno approfondito e definito anzitutto la teoria
dell'equilibrio statico, mentre la dinamica è ai suoi
primi tentativi e sviluppi: per la assai minore
difficoltà tecnica della teoria statica e il maggior
rigore dei risultati che con essa si potevano ottenere. Gli
economisti hanno, esponendo la teoria dell'equilibrio, avvertito
il suo carattere ideale e di prima approssimazione: scrive A.
Marshall "La teoria statica dell'equilibrio è solo
un'introduzione agli studî economici"; "i problemi
economici sono presentati imperfettamente quando vengono
trattati come problemi di equilibrio statico e non d'incremento
organico". La teoria dell'equilibrio è però
riuscita a definire proprietà del fenomeno concreto (ad
es., interdipendenza dei suoi dati e delle loro variazioni)
indispensabili nell'interpretazione dei movimenti della
ricchezza e nella definizione delle leggi della dinamica. La
distinzione fra i problemi dell'equilibrio e quelli del
movimento economico è spesso imprecisa nelle teorie che
si sono limitate alla ricerca di rapporti di causa ed effetto, e
che investono gran parte della letteratura della scuola classica
e postclassica. In esse si alterna lo studio di problemi di
equilibrio statico, di equilibrî successivi, e della
dinamica economica propriamente detta, in genere senza
avvertirne di volta in volta la diversità di presupposti,
metodi e natura.
I problemi di equilibrio parziale più frequente oggetto
d'indagine, sono quelli relativi alla determinazione del valore
e prezzo dei beni, valore e distribuzione della moneta, rapporti
di scambio internazionale, determinazione del livello dei
salarî, del tasso dei profitti e interesse del capitale.
Si trattano questi problemi come problemi di equilibrio, senza
rilevare le mutue dipendenze che ne costituiscono il connotato
fondamentale. Così J. Stuart Mill, dopo aver avvertito
che il prezzo dipende dalla domanda e a sua volta la domanda
dipende dal prezzo, risolve il problema: "in tutte le cose che
ammettono un aumento indefinito, solo la domanda e l'offerta
determinano le alterazioni del valore durante un periodo che non
può sorpassare la lunghezza del tempo necessario a mutare
l'offerta.... La domanda e l'offerta tendono sempre ad
equilibrarsi, ma la condizione di equilibrio stabile è
che le cose si barattino reciprocamente in ragione della loro
spesa di produzione". L'esatto concetto di equilibrio si perde
nella ricerca di quale sia l'antecedente diretto e necessario
ossia la "causa" (se il costo di produzione, o la domanda, o
l'offerta, o il prezzo) in rapporti fra elementi che mutuamente
si determinano.
Dai problemi di equilibrio statico non si distinguono ancora
nettamente, in questa fase, quelli degli equilibrî
successivi (discontinui); tale il fenomeno della rendita, che
deriva dal passaggio da una situazione del mercato a una diversa
situazione (non si verificherebbe se restasse immutata la
posizione del mercato). Neppure è nettamente rilevata la
fondamentale differenza che con quella dell'equilibrio
presentano le teorie le quali riassumono certi movimenti
dell'aggregato sociale in forma generica ed empirica (tendenza
storica della rendita fondiaria ad aumentare, tendenza storica
dei profitti al minimo, ecc.). Nella teoria degli
equilibrî parziali le conclusioni costituiscono deduzioni
rigorose dalla premessa economica; nelle leggi dinamiche
suaccennate invece si raccolgono in modo sommario risultati
eterogenei di forze sociologiche in concreto prevalenti su
quella economica: il valore scientifico della teoria dipende in
questo caso esclusivamente dal rigore e dall'approssimazione
delle osservazioni induttive.
La teoria degli equilibrî parziali incomincia a tener
conto delle mutue dipendenze negli scrittori dell'economia
matematica. Anche studiosi non matematici hanno intraveduto il
fatto dell'interdipendenza e si sono sforzati di tenerne conto
nella definizione dell'equilibrio (esempio: F. Ferrara e T.
Martello, con la teoria del prezzo determinato dal costo di
riproduzione o sostituzione); ma nell'economia matematica questi
rapporti trovano la loro naturale e più rigorosa
espressione. Naturalmente non tutta l'economia matematica
è teoria degli equilibrî parziali basata sulla
mutua dipendenza dei fattori: ad es., in due memorie di W.
Whewell, mentre si riconosce che i problemi del prezzo, del
salario, del profitto, della ripartizione del capitale nei
varî impieghi, sono problemi di equilibrio e che tale
equilibrio non si consegue in pratica giammai ("il postulato
dell'equilibrio è introdotto nei nostri calcoli
mercé il provvedimento di porre gli altri postulati in
forma di equazioni; i valori delle quantità implicatevi
sono, con questo mezzo, determinati secondo le condizioni di
equilibrio sopra stabilite") non si fa che ridurre in forma
algebrica nozioni allora correnti nell'economia classica.
La teoria scientifica degli equilibrî parziali si
definisce con A. Cournot per il caso di monopolio. La
quantità di una merce annualmente vendibile è una
funzione decrescente del prezzo (funzione continua in un mercato
molto numeroso) e può esprimersi con una curva continua
tracciata portando sull'asse orizzontale di un sistema
cartesiano i prezzi e su quello delle ordinate le
quantità. Data la curva della domanda, il punto di
equilibrio è perfettamente determinato: supponendo
inesistenti i costi, esso è definito dal punto in cui il
triangolo che con l'asse delle ascisse fanno il raggio vettore e
la tangente della curva, è isoscele (massimo utile netto
globale del monopolista). Il Cournot definiva le vicine
posizioni di equilibrio nelle ipotesi di un'imposta fissa e di
un'imposta proporzionale al prezzo di vendita. Detta teoria si
definisce poi con H. H. Gossen per quanto riguarda l'equilibrio
fra gl'impulsi cui dànno luogo i bisogni e i sacrifici
imposti dal lavoro: non si considerano prezzi e baratti di beni
e individui diversi, ma solo i fattori psicologici fondamentali
dell'attività economica. La decrescenza dei godimenti man
mano che questi si prolungano o si ripetono, l'incremento della
sofferenza del lavoro quanto più si protrae, portano
necessariamente a un rigoroso equilibrio che si esprime
graficamente per ogni bene con l'intersezione di una curva
decrescente (quella del piacere procurato dal consumo del bene)
e di una curva crescente (quella della pena del lavoro
occorrente a produrlo). Su questo equilibrio fondamentale si
potranno innestare quelli relativi agli scambî, ai prezzi
e loro mutue dipendenze con le utilità e i costi.
Alla vecchia ricerca della causa del valore dei beni si
sostituisce quindi quella di un sistema di equazioni in cui i
prezzi dei beni o le quantità scambiate figurano come
incognite, mentre le utilità soggettive dei beni
barattati e le quantità inizialmente possedute dagli
scambisti si considerano note. Questa nozione è
stabilita, a poca distanza di tempo e, secondo le loro
dichiarazioni, indipendentemente, da tre autori: J. S. Jevons,
L. Walras, K. Menger. Nelle condizioni determinanti l'equilibrio
assume importanza essenziale l'utilità marginale, il cui
andamento si riflette su quello della domanda; ma
l'utilità (come in passato la domanda) non deve
considerarsi causa del rapporto di scambio, ma solo un dato del
problema di cui il valore è un'incognita. Se due
individui o gruppi posseggono inizialmente, il primo la
quantità a del bene A, il secondo la quantità b
del bene B, scambiandosi i due prodotti, dopo lo scambio il
primo possiede a − x di A, e y di B; il secondo x di A, e b − y
di B. Supponendo che i due beni possano scambiarsi per
variazioni infinitesime e si indichino con f1 (a); f2 (a); F1
(b); F2 (b) le utilità marginali di A e di B per prim0 e
secondo, l'equilibrio è raggiunto quando si verificano le
due uguaglianze (sufficienti a definire le incognite y e x)
Questa legge regola non solo gli scambî dei beni
materiali, ma quelli del lavoro umano, dei capitali e la
distribuzione del reddito fra i diversi impieghi. Ogni individuo
tende a impiegare il proprio reddito in modo da ricavarne, dato
un certo sistema di bisogni e di prezzi, la maggior somma
possibile d'utilità soggettiva. Esprimendo con f1 (a), f1
(b)... f1 (m); f2 (a)... f2 (m)...; fu (m), le utilità
marginali dei beni a, b, c, ... m, per gli individui 1, 2,... n;
con pa, pb, ... pm i prezzi; la posizione di equilibrio nella
distribuzione dei redditi individuali è raggiunta quando
si verificano le seguenti uguaglianze:
I prezzi di tutte le merci vengono espressi nella merce m, e si
suppongono dati le utilità individuali, i prezzi (in
regime di concorrenza, identici, per ogni merce, in tutto il
mercato) e le quantità iniziali di moneta (m). Si
stabiliva in questo modo un sistema di mutue dipendenze fra
utilità soggettive, quantità consumate e prezzi di
tutte le merci; ma si trascurava il fatto che le utilità
marginali di ciascuna merce in ciascun individuo non dipendono
soltanto dalla quantità della merce cui si riferiscono,
ma anche da quella di tutte le altre.
La teoria degli equilibrî parziali ha assunto nella
successiva letteratura estensione sempre maggiore: a) in quanto
si definiscono le condizioni d'equilibrio per nuove categorie di
dati e si giunge a maggiori particolari sulla forma delle
funzioni che vi figurano; b) perché si mettono in rilievo
i vincoli di mutua dipendenza fra nuovi, più numerosi
gruppi di fattori, già trattati come indipendenti. Fra le
opere che maggiormente contribuirono al primo compito vanno
ricordate quelle di M. Pantaleoni, F. Y. Edgeworth, E. Barone,
R. Auspitz e R. Lieben (v. per tutte queste opere la
bibliografia).
Estendono invece l'indagine delle mutue dipendenze (trascurando
i contributi di minor importanza) I. Fisher e A. Marshall. Il
Fisher riespone le condizioni determinanti l'equilibrio dei
prezzi di m beni, prima supponendo che l'utilità d'ogni
bene dipenda solo dalla quantità di questo bene; poi, che
tale utilità sia in funzione delle quantità di
tutti i beni, servendosi, nel primo caso, d'un geniale modello
idrostatico e nel secondo, delle linee di indifferenza delle
scelte (linee che collegano le combinazioni fra due, o
più beni, egualmente utili per il consumatore) che,
introdotte dall'Edgeworth, sono state più tardi usate da
V. Pareto per rappresentare il sistema dei bisogni d'una
collettività, prescindendo dalla misurazione
dell'utilità soggettiva. Il Fisher ha poi analizzato
l'equilibrio degli scambî dei beni nel tempo e del mercato
capitalistico, le condizioni dell'equilibrio monetario,
riassumendole nella nota formula
e studiandone gli equilibrî dinamici in funzione del
tempo, con una ingegnosa esemplificazione meccanica.
La teoria degli equilibrî parziali acquista la massima
estensione nel Marshall che, rielaborando con grande finezza e
immensa cultura i problemi esaminati dalla scuola classica e
dagli edonisti-matematici, ha precisato le condizioni di molti
equilibrî particolari (domande di beni complementari,
succedanei; offerte di beni a costi congiunti; equilibrî
stabili e instabili negli scambî internazionali),
riavvicinando la teoria sintetica alla realtà
(equilibrî in lunghi e brevi periodi).
Già L. Walras aveva avvertito che le condizioni
dell'equilibrio non debbono limitarsi a stabilire i vincoli
reciproci fra utilità marginali, prezzi, quantità
domandate di tutti i beni; ma abbracciano il risparmio e quindi
il saggio d'interesse, le offerte, domande e prezzi dei servigi
produttori. Tutti i fattori del mercato sono fra loro legati; la
determinazione d'un gruppo avviene in funzione di quella degli
altri. Il Walras giungeva così alla concezione
dell'equilibrio generale, fissandone le equazioni nell'ip0tesi
di libera concorrenza. Le equazioni walrasiane indicavano,
sommariamente, le seguenti condizioni: 1. ogni individuo vende
servizî produttivi e compra beni di consumo; la somma di
numerario ricavata dalla vendita, meno la somma che spende,
è uguale al suo risparmio; 2. il massimo di soddisfazione
è da ogni individuo raggiunto quando la rarità
(utilità marginale) di ciascun bene di consumo, divisa
pel rispettivo prezzo, e la disutilità finale d'ogni
servizio produttivo costoso, divisa per il prezzo del rispettivo
servizio, dànno lo stesso quoziente. Supposti noti i
prezzi dei consumi e dei servizî produttivi, queste
equazioni consentono di determinare le domande individuali dei
servizî produttivi e di risparmio; 3. nei bilanci
dell'imprenditore, il prezzo di ogni prodotto è uguale al
costo di produzione. Note le quantità dei fattori
produttivi e i prezzi dei servizî, la spesa di produzione
resta perfettamente determinata; 4. queste ultime equazioni
consentono di esprimere i prezzi dei beni di consumo in funzione
dei prezzi dei servizî e del saggio d'interesse; e di
esprimere i prezzi dei servizî di capitali non prodotti e
il saggio d'interesse. Le domande collettive di servizî di
capitali non prodotti e di risparmio, si rappresentano in
funzione dei prezzi dei servizî di fattori non prodotti e
del saggio d'interesse. Supponendo noti e invariabili i
coefficienti di produzione, anche le domande di risparmio e di
servizî da parte degl'imprenditori si rappresentano in
funzione di tali prezzi. L'equilibrio sarà determinato
quando i prezzi risultano tali da uguagliare la domanda
collettiva di ciascun servizio e di risparmio con la rispettiva
offerta.
Questa rappresentazione dell'equilibrio generale nell'ipotesi di
libera concorrenza veniva ripresa e sviluppata da Vilfredo
Pareto anzitutto nel Corso di economia politica. In esso, oltre
a prospettare l'utilità marginale funzione della
quantità consumata di tutti i beni e a perfezionare le
ipotesi relative ai coefficienti di produzione, si stabilivano
le equazioni dell'equilibrio generale nell'ipotesi del monopolio
e di fenomeni di rendita (correttamente considerati effetto del
passaggio da un equilibrio a un altro). Nel Manuale di economia
politica (1906) l'intiera teoria dell'equilibrio veniva riveduta
ed espressa in forma più generale. Non hanno ragion
d'essere differenze sostanziali fra produzione, distribuzione,
consumo, scambio. I problemi economici possono ricondursi al
contrasto fra soggetti economici, ciascuno dei quali è
mosso dai proprî gusti. L'azione dei soggetti sotto
l'impulso dei gusti è sottoposta a vincoli (limitazione
dei beni, costo di produzione e stato della tecnica, regime
giuridico). L'economia pura è costituita dallo studio
sintetico dei gusti; degli ostacoli che ad essi si oppongono;
delle configurazioni d'equilibrio che nascono dal contrasto fra
le azioni derivanti dai gusti e le reazioni prodotte dagli
ostacoli. Il problema dell'equilibrio economico consiste nello
stabilire tante uguaglianze o equazioni quante sono le
incognite. I gusti (determinabili in via induttiva con lo studio
delle scelte e rappresentati con le linee d'indifferenza e
preferenza e le funzioni indici d'utilità od
ofelimità), gli ostacoli, le condizioni della tecnica,
l'ordinamento giuridico, si considerano come quantità
note. Sono incognite le quantità scambiate e i prezzi
(ipotesi della libera concorrenza e di prezzi costanti). La
formulazione definitiva è stata data nell'appendice del
Manuale e nell'articolo Économie mathématique
(1911). Il sistema economico può scindersi in due: un
sistema di equazioni, che lascia indeterminato un certo numero
di incognite (sistema dello scambio, relativamente al quale si
trattano i casi di libera concorrenza, a prezzi costanti o a
prezzi variabili; monopolio d'un individuo e una merce
monopolizzata; monopolio di due individui e una merce
monopolizzata; monopolio di due individui e due merci), un
secondo sistema, che lascia indeterminate altre incognite
(sistema della produzione, monopolio, regime collettivistico,
con prezzi costanti o variabili, con coefficienti di produzione
fissi e variabili). I due sistemi si considerano separatamente,
ma sono legati da equazioni che valgono solo al punto
d'equilibrio. In questa formulazione la teoria dell'equilibrio
statico raggiungeva il maggior grado di generalità,
definendo cioè le proprietà più generali
dell'attività umana dedotta dai due presupposti della
perfetta logica edonista e della stabilità delle
condizioni iniziali (gusti e ostacoli).
Nella recente letteratura scientifica la teoria dell'equilibrio
si ricollega a due ordini di ricerche: 1. lo studio
dell'equilibrio generale della società, di cui il
fenomeno economico è parte; 2. lo studio della dinamica
economica, tenendo conto, sia pure in modo limitato, del sistema
di mutue dipendenze. Fra i contributi più notevoli al
primo ordine d'indagini va rilevato il Trattato di sociologia
generale del Pareto; al secondo, i lavori di H. L. Moore, C. F.
Roos, L. Amoroso.