Congiuntura
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In economia, sull’esempio della parola tedesca Konjunktur, la fase del ciclo economico che
l’attività economica attraversa in un dato periodo di breve
durata. Si parla, talvolta, di per la fase di massima espansione
dell’attività economica, di per la fase di depressione. Lo
studio della c. per la previsione del probabile andamento futuro
del quadro macroeconomico si è largamente sviluppato, prima
negli Stati Uniti e poi in Europa,
per opera d’istituti privati, enti pubblici e istituzioni
scientifiche. È condotto mediante elaborazioni sulle serie
storiche delle principali variabili macroeconomiche, filtrate con
raffinate tecniche statistiche per isolare i movimenti
congiunturali di breve periodo da quelli accidentali o stagionali
(di brevissimo periodo) e dal trend di lungo periodo. Richiede la
costruzione di modelli econometrici, di varia complessità,
che simulano la struttura dell’economia di cui s’intende prevedere
l’andamento a breve termine.
Enciclopedia delle Scienze Sociali (1992)
di Innocenzo Cipolletta
Congiuntura economica
sommario: 1. L'analisi congiunturale: a) definizione
della congiuntura economica; b) la teoria del ciclo
economico. 2. Metodi e strumenti dell'analisi congiunturale:
a) il metodo degli indicatori; b) la misura del reddito
potenziale; c) le inchieste congiunturali; d) i
modelli econometrici. 3. La politica economica congiunturale:
a) gli obiettivi di una politica economica congiunturale; b) gli stabilizzatori automatici; c) le politiche
anticicliche discrezionali; d) la trasmissione
internazionale del ciclo economico; e) il coordinamento
internazionale delle politiche congiunturali. □ Bibliografia.
1. L'analisi congiunturale
a) Definizione della congiuntura economica
Il termine 'congiuntura economica' si è talmente esteso nelle
sue accezioni da assumere connotati generici, fino a rappresentare
una sorta di sinonimo della situazione economica di un paese. Questa
ambiguità di definizione non ne ha certo favorito la
comprensione, causando spesso malintesi. In effetti, il termine
congiuntura indica la coesistenza, in ogni momento, di diversi
elementi, la cui composizione dà luogo a un'evoluzione o a
un'azione specifica. La congiuntura economica può quindi
essere definita come il combinarsi di fenomeni socioeconomici che
determina, in ogni momento, una particolare evoluzione del sistema
economico.Da questa definizione derivano immediatamente due
caratteristiche specifiche della congiuntura economica: l'essere
sintesi di diversi elementi e la sua peculiarità temporale.
In effetti l'analisi della congiuntura economica è la
formulazione di un giudizio di sintesi sul sistema economico in un
dato momento, avendo come riferimento il passato recente e il futuro
prossimo. Essa ha per oggetto quel passaggio temporale indefinito
che è il presente, punto di congiunzione mobile tra il
passato e il futuro. È quindi, al tempo stesso, analisi del
passato e previsione del futuro, perché solo la sintesi di
queste due operazioni consente di formulare un giudizio sulla
situazione presente.Il carattere prevalentemente temporale
dell'analisi congiunturale implica che il sistema economico sia
dinamico e non statico e che i fenomeni economici, di cui si studia
il combinarsi, siano suscettibili di variare in un tempo
relativamente breve. Ne discende che la congiuntura economica non
è la fotografia di un sistema economico in un dato momento,
ma ne è il 'filmato', vale a dire una sequenza di
osservazioni a tempi ravvicinati, in base alla quale non è
mai possibile dire se il sistema economico 'sta bene' o 'sta male',
ma solo se esso 'va meglio' o 'va peggio'. Una peculiarità
che è spesso all'origine di malintesi, perché
contrappone quanti formulano una valutazione sullo stato
dell'economia a quanti invece esprimono un'opinione circa
l'andamento della congiuntura economica. Infatti non v'è
necessariamente incoerenza fra il giudizio (negativo) di chi
afferma, in un dato momento, che il tasso di inflazione è
alto, la disoccupazione elevata, il ritmo di crescita della
produzione insufficiente e, quindi, che lo stato dell'economia
è deludente, e l'ottimismo 'congiunturale' di chi osserva
invece che l'inflazione sta comunque calando, l'occupazione, pur se
bassa, va aumentando e la crescita del sistema va accelerando mese
dopo mese.
Nel complesso gioco di interazioni fra struttura, congiuntura e
sviluppo, l'analisi congiunturale si rivolge dunque essenzialmente
all'osservazione dei flussi anziché a quella delle
consistenze (anche se le seconde non sono certo prive di effetti sui
primi) e i fenomeni da osservare e misurare sono soprattutto quelli
suscettibili di movimenti a breve termine. Un 'breve termine' che,
nell'accezione più comune, si esplicita nell'arco di 12-18
mesi, ma che deve essere più propriamente inteso come quel
periodo durante il quale si può considerare costante la
struttura economica e in cui l'evoluzione è largamente
determinata da azioni, eventi e comportamenti già avvenuti
pur se non esauriti, mentre ogni azione, evento o comportamento che
debba ancora manifestarsi, se non traumatico, influenzerà
piuttosto un periodo successivo. Una sorta di predeterminazione, non
certamente da prendere alla lettera, che può aiutare a
individuare il discrimine fra chi elabora diagnosi congiunturali e
chi fa analisi di medio termine.
b) La teoria del ciclo economico
Se la congiuntura economica è il combinarsi di diversi
elementi che genera una particolare evoluzione del sistema
economico, l'analisi della congiuntura economica è lo studio
del modo in cui si combinano tali elementi dando luogo alle
fluttuazioni del sistema economico.Per fluttuazioni cicliche (o
congiunturali) si intendono sequenze ove a periodi di
prosperità o espansione succedono periodi di ristagno o
recessione che sboccano poi in nuovi periodi di prosperità.
Ciascuna fluttuazione ciclica di un sistema economico o 'ciclo
economico' procede, partendo da un punto di svolta inferiore (o
minimo del ciclo), con una fase di espansione di durata e ampiezza
mutevole, che culmina in un punto di svolta superiore (o massimo del
ciclo) ed è seguita da una fase di recessione, al cui termine
c'è un nuovo punto di svolta inferiore, da cui inizia un
nuovo ciclo. Caratteristica del ciclo economico è la
ricorrenza, ma non la periodicità: una "regolarità
irregolare", come l'ha definita J.A. Schumpeter. In definitiva il
ciclo economico, secondo la definizione di W.C. Mitchell, "consiste
in espansioni che avvengono quasi contemporaneamente in molte
attività economiche, seguite da recessioni e contrazioni
egualmente generali e da riprese che confluiscono poi nella fase di
espansione del ciclo successivo". Secondo la terminologia proposta
da Schumpeter i cicli si distinguono per la loro durata in tre tipi:
a) cicli brevi (cicli Kitchin), aventi una lunghezza non superiore
ai quaranta mesi; b) cicli medi (cicli Juglar), di durata compresa
tra i sette e gli undici anni; c) cicli lunghi (cicli
Kondrat´ev), di durata secolare. Solo i cicli brevi rientrano,
secondo la definizione di F. Di Fenizio, nell'ambito della
congiuntura economica. Questa definizione del ciclo non spiega le
cause del suo manifestarsi. Su di esse si è svolto - e si
svolge ancora - un ampio dibattito. I primi studiosi del ciclo
economico hanno creduto di individuarle in fattori meccanici o
fisiologici. Si deve al medico ed economista Clément Juglar
(1860) l'osservazione delle fasi ricorrenti di espansione e
recessione e l'analogia con lo sviluppo fisiologico delle persone.
Fu merito di Juglar aver spostato l'attenzione dalle cause
accidentali ai fattori che provocano la crisi: fattori che non
potevano che essere individuati nelle fasi precedenti a quelle di
crisi, quindi durante l'espansione. Più meccanicistica
è l'interpretazione (W.S.Jevons) che attribuisce le crisi
alla "periodica variazione climatica che interessa tutte le parti
del mondo", come conseguenza dell'influenza delle macchie solari, e
ai suoi riflessi sulla produzione agricola.
Le spiegazioni meccaniche o analogiche non potevano però
bastare e presto l'attenzione si spostò dall'esame delle
cause esterne delle fluttuazioni al funzionamento del sistema
economico, sicché teoria del ciclo e teoria economica
finirono in molti casi per coincidere. In effetti l'analisi della
congiuntura, secondo l'impostazione datale da E. Wagemann che
avviò in Germania i primi studi congiunturali tra le due
guerre mondiali, riguarda due diversi campi: gli 'stimoli' e
l"organismo economico'. L'attenzione deve essere concentrata sul
secondo, giacché è il funzionamento dell'organismo
economico che spiega le reazioni agli stimoli. Con questa premessa
si possono distinguere le teorie che attribuiscono a una componente
specifica del sistema economico la causa principale (mai esclusiva)
delle fluttuazioni cicliche da quelle, invece, che fanno piuttosto
riferimento all'interagire di più componenti e
comportamenti.Fra le prime si trovano quelle che hanno attribuito un
ruolo rilevante al fattore demografico (per i suoi riflessi sulla
domanda e sulla capacità produttiva), indicandolo come causa
dei cicli relativamente lunghi (S. Kuznets) e come fattore di
trasmissione internazionale dei cicli, attraverso i movimenti
migratori (A. Spiethoff). Le aspettative degli imprenditori, i loro
errori di valutazione e, più in particolare, le ondate di
ottimismo e di pessimismo (A.C. Pigou) sono stati considerati a loro
volta cause delle fluttuazioni, non solo perché amplificano
specifici movimenti, ma anche perché determinano
comportamenti ed errori che sono alla base delle inversioni cicliche
(J.M. Keynes). Così, un'ondata di ottimismo in fase di
espansione attiva una forte domanda di investimento e un processo di
sovracapacità di produzione, che poi è causa di un
calo dei prezzi e dei profitti culminante in una riduzione di
attività e in un ridimensionamento della capacità
produttiva.
Più complesse e più articolate sono le teorie che si
rifanno a singole componenti della domanda. Fra di esse si trova
quella che attribuisce alla domanda di consumo un ruolo
fondamentale: con la teoria del sottoconsumo si sostiene che
processi di riduzione del potere d'acquisto dei consumatori causati
da operazioni di consolidamento del debito pubblico (lord
Lauderdale) o dall'ineguale distribuzione del reddito (T.R. Malthus)
generano depressioni con fenomeni di sovrapproduzione, di calo del
saggio di profitto e, quindi, di riduzione della capacità
produttiva. Solo una più equilibrata distribuzione del
reddito (J.A. Hobson ed E. Lederer) può consentire, secondo
questa impostazione, una successiva ripresa ed espansione. Invece
per altri è piuttosto la domanda di investimento a causare le
oscillazioni congiunturali. Infatti nella fase di espansione cresce
la domanda di beni di investimento e il sistema del credito agevola
la formazione del capitale fino a determinare una
sovracapitalizzazione che provoca un calo dei prezzi e dei profitti,
e quindi una crisi recessiva (M.I. Tugan-Baranovskij). Molte possono
essere - in tale contesto - le cause specifiche che determinano la
crisi, e diversi autori hanno espresso in proposito opinioni
diverse: dall'insufficienza del credito (K. Wicksell) alla
limitazione dei fattori produttivi (A. Spiethoff), alle ondate di
innovazione (J. Schumpeter), alle discontinuità temporali (A.
Aftalion), alla riduzione del saggio di profitto (K. Marx), agli
errori delle aspettative (Keynes). In effetti, la teoria degli
investimenti è quella da cui sono derivate le costruzioni
teoriche più complesse e, come si vede anche dagli autori
citati, le teorie più generali sul funzionamento del sistema
economico.
Altrettanto generale è la teoria monetaria del ciclo
economico, che attribuisce al credito un ruolo principale nelle
fluttuazioni economiche. Le crisi, in questa accezione, sono
essenzialmente un fenomeno commerciale e finanziario: in fase di
espansione l'aumento del credito favorisce la speculazione e
l'ampliamento delle capacità produttive, ma questa
sovrapproduzione genera una caduta dei prezzi, crisi di
solvibilità e conseguenti timori del mondo finanziario che,
riducendo il credito, fa precipitare il sistema in una depressione.
Sono in definitiva le interrelazioni tra la sfera monetaria e la
sfera reale quelle che determinano il ciclo (Wicksell): nella sfera
reale si determina un saggio 'naturale' di interesse, cui si
contrappone il saggio 'effettivo' o 'monetario' nella sfera
monetaria. Il primo è determinato dalla crescita della
popolazione, del progresso tecnico e dell'offerta di capitale,
mentre il secondo è determinato da fattori finanziari. Quando
i due saggi non coincidono v'è fluttuazione ciclica come
conseguenza di uno squilibrio. Non mancano teorie puramente
monetarie (R.G. Hawtrey) che hanno attribuito più
specificamente agli errori di politica monetaria le fluttuazioni
cicliche: le accelerazioni o decelerazioni del credito generate da
timori sull'andamento degli affari determinano brusche e
ingiustificate fluttuazioni cicliche. Una teoria, questa, che ha
avuto un recupero molto importante nel secondo dopoguerra con la
scuola dei monetaristi (M. Friedman e A. Schwartz).
Più complesse, invece, sono le teorie che si rifanno ai
meccanismi di funzionamento del sistema economico, così come
più ardua diviene una loro classificazione per i molti punti
in comune che esse hanno. Così, le fluttuazioni cicliche sono
state viste come la risultante del modo in cui è organizzata
la produzione in un sistema capitalistico (Marx), ove la vita
tecnica degli investimenti e il forzato processo di accumulazione
generano fatalmente un calo del saggio di profitto e un
ridimensionamento degli investimenti stessi. A loro volta tali
oscillazioni sono rese possibili dall'esistenza di una quota di
lavoratori precari e marginali (l'esercito di riserva) che si
ingrossa o si riduce in funzione della fase ciclica. I meccanismi
più propriamente ciclici dell'impostazione di Marx sono stati
poi sviluppati facendo ricorso anche al concetto di 'egoismo' delle
imprese in un sistema capitalistico (E. Mandel): le imprese
capitalistiche perseguono il massimo profitto individuale e non
quello generale, attraverso un continuo aumento della
capacità produttiva che genera crisi in altre imprese e nel
sistema economico, tanto che ogni aggiustamento deve passare per una
crisi. Per altro verso, si è tentato un approccio
formalizzato alla lotta per la distribuzione del reddito (R.M.
Goodwin): nella fase di ripresa crescono i profitti e gli
investimenti che inducono a maggiore occupazione e maggiori salari.
Da qui una riduzione del saggio di profitto che genera un calo degli
investimenti e, quindi, una riduzione dell'occupazione.In maniera
più meccanica il modo di produrre è stato visto come
causa delle fluttuazioni cicliche anche da chi attribuisce al tempo
(e in particolare ai ritardi) una funzione di rilievo nel
determinarle. Posto che le diverse azioni economiche hanno tempi
diversi, il loro combinarsi tende a produrre oscillazioni cicliche.
In particolare ciò è vero per gli investimenti, la cui
domanda sostiene il ciclo nella fase di espansione, ma il cui
riflesso sulla capacità produttiva è ritardato e
permanente, sì da determinare crisi per eccessi (o difetti)
di capacità produttiva. Famoso è l'esempio della stufa
(Aftalion) con i suoi ritardi nel riscaldare più ambienti e
la conseguente necessità di aumentare o ridurre il calore
continuamente per mantenere la temperatura a un livello accettabile.
Così come gli investimenti, anche i consumi durevoli, le
scorte e le importazioni possono generare fluttuazioni cicliche,
combinandosi con dinamiche e tempi diversi. In un sistema economico,
infatti, la domanda di un dato momento genera l'offerta del momento
successivo: nell'intervallo che intercorre possono tuttavia
determinarsi prezzi che si allontanano dal punto di equilibrio,
originando oscillazioni (teoria della ragnatela, J. Tinbergen).
Legata al progresso tecnico è invece la teoria del ciclo
derivante dall'innovazione (Schumpeter). Le innovazioni "non
rimangono effetti isolati e non sono distribuite in modo uniforme
nel tempo, ma tendono al contrario ad ammassarsi, a sorgere in
grappoli, semplicemente perché prima alcune imprese e dopo la
maggior parte di esse seguono la scia dell'innovazione riuscita".
Queste ondate di innovazione generano cicli perché, nel
momento in cui si diffonde l'innovazione, aumenta la domanda di beni
capitali, si allarga la base produttiva, cresce il saggio di
profitto, fino a che le successive imitazioni e gli errori di
calcolo e di aspettative non provocano una riduzione del saggio di
profitto e un'evoluzione recessiva, destinata a esaurirsi al sorgere
di un nuovo processo innovativo.
Più organica è l'interpretazione del ciclo nell'ambito
delle teorie che studiano il funzionamento di un sistema economico e
il ruolo della politica economica. La costruzione di uno schema
sintetico di funzionamento di un sistema economico (Keynes) ha
consentito di mettere in relazione le diverse variabili e osservare
le reciproche interazioni con i rispettivi sfasamenti temporali. Non
è più necessario, in questo caso, individuare quale
fattore genera una fluttuazione, ma rendersi conto che un sistema
economico è continuamente sottoposto a spinte diversificate
che generano scosse che si propagano con tempi diversi in tutto il
sistema. Se nella teoria di Keynes il ruolo degli investimenti resta
fondamentale nello spiegare le fluttuazioni, le costruzioni
successive sono più generali. Attraverso la costruzione di un
modello che accoppia moltiplicatore e acceleratore (R.F. Harrod) e
le sue successive elaborazioni (J.M. Kalecki, N. Kaldor, J.R. Hicks,
P. Samuelson) si arriva a spiegare il meccanismo di ogni
oscillazione economica. La costruzione di modelli econometrici (L.
Klein) che rappresentano in maniera sempre più sofisticata i
meccanismi di interrelazione consente poi di generalizzare la teoria
del ciclo, riconducendola a quella più ampia del
funzionamento del sistema economico.
2. Metodi e strumenti dell'analisi congiunturale
a) Il metodo degli indicatori
Accertata l'esistenza delle fluttuazioni economiche e ammesso il
loro susseguirsi attraverso onde cicliche ricorrenti ma non
periodiche, il primo problema dell'analisi congiunturale è
stato quello di trovare idonei strumenti di misura per poter
definire in ogni momento la posizione congiunturale del sistema
economico. Già si è detto che un sistema economico
è caratterizzato da un alternarsi di fasi di espansione e
fasi di recessione. Tali fasi sono caratterizzate (Mitchell) da una
prevalenza di attività in espansione (o in recessione). Una
prima misura del ciclo, dunque, può essere fatta - secondo
questa definizione - individuando in ogni intervallo temporale le
attività in espansione e quelle in recessione: dal prevalere
delle prime o delle seconde se ne potrà dedurre che il
sistema economico è in espansione o in recessione.
Un simile metodo non si pone l'obiettivo di conoscere le cause del
ciclo né di offrire strumenti per individuare eventuali spazi
per interventi di politica economica. Esso vuole solo osservare e
misurare la congiuntura e pertanto può essere avvicinato alla
teoria meccanicistica del ciclo, cioè a quella che ne ha
messo in risalto più le regolarità che le cause. Esso
presuppone la disponibilità di un numero il più ampio
possibile di indicatori statistici relativi ad attività
diverse (settori produttivi, ad esempio). Per ognuno di essi si
determinano le sequenze cicliche specifiche, per conoscere se
quell'attività è, in un dato momento, in espansione o
in recessione. Identificati questi cicli specifici (industrie
tessili, meccaniche, chimiche, siderurgiche, ecc.), è
possibile costruire un indicatore ciclico generale - secondo la
metodologia di G.H. Moore, introdotta al National Bureau of Economic
Research di New York (NBER) - come percentuale, in ogni unità
di tempo, delle attività in espansione rispetto al totale
delle attività considerate (detto indice di diffusione). La
formula e i concetti di tale metodo sono molto semplici, ma la messa
a punto è complessa perché è necessario
disporre di molti indicatori mensili che devono essere continuamente
trattati statisticamente per eliminare le componenti stagionali e
accidentali.
Il metodo consente tuttavia di disporre di misure accurate e di
costruire anche indicatori che possono anticipare o confermare i
movimenti ciclici. Infatti, una volta identificato il ciclo generale
del sistema economico attraverso gli indici di diffusione dianzi
detti, è possibile classificare i diversi indicatori
utilizzati a seconda che il loro andamento anticipi il ciclo
generale, sia cadenzato o lo posticipi. Indicatori anticipatori sono
generalmente le statistiche degli ordinativi alle imprese, quelle
delle importazioni di materie prime, gli indicatori della
quantità di moneta, le statistiche sui permessi di
costruzione, alcuni indici di specifiche produzioni intermedie o
strumentali, ecc. Indicatori cadenzati sono invece quelli della
produzione, delle vendite, delle esportazioni. Posticipatori sono,
generalmente, gli indici dei prezzi e quelli dell'occupazione.In
Italia il metodo degli indicatori è stato sviluppato
dall'ISCO (Istituto Nazionale per lo Studio della Congiuntura) che
sin dagli anni cinquanta ha provveduto alla 'datazione' dei cicli
congiunturali italiani. Secondo gli studi dell'ISCO l'Italia del
dopoguerra, fino alla fine degli anni ottanta, ha conosciuto ben
otto cicli economici completi, la cui durata e ampiezza è
variata nel tempo. Mentre negli anni cinquanta e sessanta, in
presenza di una forte crescita economica, i cicli tendevano a essere
caratterizzati da fasi di espansione relativamente lunghe e
più pronunciate rispetto alle fasi di recessione (brevi e di
intensità limitata), negli anni settanta e ottanta i cicli si
sono fatti più irregolari, la fase di espansione meno
pronunciata e la fase di recessione più lunga (v. tab. I). Tuttavia a partire dal giugno 1983
è iniziata una lunga fase di espansione che non era ancora
terminata nel 1990.
b) La misura del reddito potenziale
Se il metodo degli indicatori è efficace e accurato in
termini di misura del ciclo economico, esso tuttavia è poco
soddisfacente in termini di analisi, in quanto il ciclo è
definito come movimento di indici senza che si possa sapere il
perché di certi andamenti o prevedere le tendenze al di
là dei ritardi sistematici tra indicatori.In effetti il
metodo del NBER è stato, non a torto, definito 'misura senza
teoria', perché prescinde dal funzionamento del sistema
economico ponendosi il solo obiettivo di osservare: è quindi
un metodo poco utile per quanti intendano valersi dell'analisi
congiunturale al fine di prevenire specifici andamenti del sistema
economico o di favorire il conseguimento di determinati obiettivi
(di crescita, di occupazione, di investimento, ecc.). In questi casi
la misura del ciclo economico è più spesso fatta non
in assoluto, ma in relazione a un obiettivo: il reddito potenziale o
reddito di piena occupazione. Lo scarto esistente tra il reddito
prodotto effettivamente a un dato momento e il reddito potenziale
è una misura del ciclo: un sistema economico è in
espansione se il reddito prodotto cresce e si avvicina al reddito
potenziale; viceversa è in recessione se il reddito prodotto
si allontana progressivamente dal reddito potenziale. Da questa
definizione consegue che un sistema economico può essere in
recessione pur in presenza di un reddito crescente, qualora tale
crescita avvenga a un ritmo inferiore a quella del reddito
potenziale. In questa accezione si cerca di cogliere lo spazio di
manovra disponibile per l'autorità di governo al fine di
conseguire specifici obiettivi di politica economica.
La definizione e la misura del ciclo congiunturale divengono,
allora, la definizione e la misura del reddito potenziale. Tre
possono essere le definizioni del reddito potenziale e a esse
corrispondono tre metodi di misura. Il reddito potenziale può
essere inteso come il massimo reddito conseguibile con l'utilizzo
pieno di tutti i fattori disponibili della produzione: è il
concetto più ovvio, ma ha l'inconveniente di trascurare la
realizzabilità economica di tale massimo. Infatti il
conseguimento del reddito potenziale potrebbe implicare ampi
squilibri nei conti con l'estero del paese o un forte processo
d'inflazione; non può essere preso, dunque, come riferimento
per una politica economica anticiclica perché sarebbe un
obiettivo non desiderabile. La seconda definizione fa riferimento al
livello ottimale di reddito: è reddito potenziale il massimo
della produzione conseguibile in presenza di un accettabile tasso
d'inflazione, un ragionevole equilibrio nei conti con l'estero, ecc.
Questa definizione è senz'altro migliore della precedente, ma
ha l'inconveniente di essere poco precisa e soggetta a giudizi di
valore (accettabilità dell'inflazione, ad esempio) che
possono variare nel tempo e nello spazio. Più concreta, ma
meno soddisfacente da un punto di vista teorico, è la terza
definizione, che fa riferimento non già a un reddito
potenziale, bensì a un reddito medio o massimo conseguito nel
passato. Per tale via si rinuncia a definire in assoluto un livello
di reddito potenziale, ma si assumono come termini di confronto
tendenze già osservate e considerate quali evoluzioni medie o
momenti di massima (non piena) utilizzazione dei fattori della
produzione. Le tre definizioni hanno dato luogo a tre diverse
metodologie di misura del reddito potenziale, e quindi del ciclo
economico valutato come scarto tra reddito effettivamente prodotto e
reddito conseguibile. La stima del reddito potenziale inteso come
utilizzo massimale dei fattori della produzione ha preso il via
considerando in primo luogo il fattore lavoro: è potenziale
quel reddito che comporta il più basso tasso di
disoccupazione (definito frizionale, quindi ineliminabile)
perché in questo caso l'occupazione è massima. Il
riferimento al solo fattore lavoro è stato giustificato non
solo dalla sua rilevanza politica, ma soprattutto perché
l'offerta di lavoro è relativamente rigida nel breve periodo,
tale da costituire effettivamente un limite fisico alla produzione.
La più conosciuta applicazione di tale concetto si deve ad
A.M. Okun che ha sviluppato, agli inizi degli anni sessanta, un
metodo di stima del reddito potenziale, ossia di quella produzione
che "l'economia può fornire in condizioni di pieno impiego
del lavoro". Altre misure fanno invece riferimento al capitale,
specie per quei paesi ove l'offerta di lavoro è abbondante
mentre la disponibilità di capitale è limitata
(è stato il caso dell'Italia specie negli anni cinquanta e
sessanta). Il rapporto capitale/prodotto può misurare le
fluttuazioni cicliche se si ammette che il primo è rigido nel
breve termine, mentre il secondo è flessibile. Più
complesse, ma più soddisfacenti, sono le misure del reddito
potenziale che fanno riferimento al complesso dei fattori della
produzione (lavoro, capitale, inputs intermedi). Troviamo su questa
linea le funzioni di produzione - fra cui, in particolare, quella di
Cobb-Douglas - che legano la produzione al combinarsi
dell'occupazione e del capitale (nella versione statica e in quella
dinamica). Sostituendo, nelle funzioni calcolate sulla base degli
andamenti osservati, i valori massimi di occupazione e capitale
disponibile, si ottiene una stima del reddito potenziale.Tali
metodi, come si è detto, trascurano il fatto che un sistema
economico può non essere in grado di conseguire il reddito
potenziale, se esso non è accompagnato da forti squilibri.
Ecco allora che alle misure classiche del reddito potenziale si sono
affiancate misure che tengono conto dell'esistenza di vincoli,
interni ed esterni, al conseguimento del reddito di pieno impiego.
Fra di esse si trova quella che lega il tasso di disoccupazione al
livello dell'inflazione al fine di individuare il livello di
disoccupazione minimo compatibile con l'assenza di tensioni sui
prezzi (NAIRU: Non Accelerating Inflationary Rate of Unemployment).
Determinato tale livello, esso può essere sostituito alla
disoccupazione frizionale per definire il reddito potenziale.
Analoghe metodologie possono essere costruite per altri fattori
(capitale) o per una combinazione degli stessi.Infine, meno
soddisfacente dal punto di vista teorico-esplicativo ma più
agevole da applicare è il metodo di stima tendenziale, ossia
per estrapolazione delle tendenze passate o, come è stato
proposto dalla Warthon School of Finance and Commerce di
Philadelphia, attraverso la linea tendenziale che unisce i punti di
massimo del ciclo osservati nel passato ed estrapolati nel futuro
(nel presupposto che nei punti di massimo del ciclo la produzione
effettiva si accosti a quella potenziale).Metodi di stima del ciclo
attraverso il reddito potenziale sono stati sviluppati in
particolare dall'OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo
Sviluppo Economico) con riferimento a tutti i paesi membri. Le stime
sono state effettuate per valutare quali politiche economiche
dovessero perseguire i diversi paesi al fine di ridurre gli
squilibri 'fondamentali' nelle bilance dei pagamenti o conseguire un
migliore equilibrio nella finanza pubblica (bilancio di pieno
impiego).
c) Le inchieste congiunturali
Il ricorso alle inchieste congiunturali si ricollega al filone delle
componenti psicologiche nella determinazione delle fluttuazioni
economiche. Le attese e le anticipazioni degli operatori economici
(imprese, famiglie, intermediari, ecc.) possono generare
fluttuazioni congiunturali nella misura in cui esaltano certi
andamenti, inducono a errori che poi implicano correzioni di
comportamento, si influenzano reciprocamente con i propri
atteggiamenti. Posto che modifiche di opinioni (maggiore o minore
ottimismo) possono portare a modifiche di azioni (maggiore o minore
propensione a consumare, investire, modificare i prezzi, ecc.), lo
studio delle opinioni diviene interessante ai fini dell'analisi
congiunturale.Il metodo delle inchieste consiste nell'individuare un
campione di operatori economici (imprese industriali, famiglie,
commercianti, ecc.) che viene intervistato periodicamente (ogni mese
o ogni trimestre) per averne opinioni su una serie di variabili tra
loro collegate. Ad esempio, alle imprese industriali verrà
chiesto un giudizio sul livello degli ordini, della produzione,
delle scorte, sulle tendenze dei prezzi e dei costi, sulle
prospettive di vendita e di produzione, ecc. Alle famiglie
verrà chiesto un giudizio sull'andamento dei propri redditi,
sulla disponibilità e convenienza a spendere per specifici
acquisti, sulle possibilità di risparmio, sulle loro
percezioni dell'inflazione e della disoccupazione, ecc.
Generalmente le risposte a tali domande fanno riferimento a tre
modalità qualitative (alto-normale-basso, oppure
aumento-stazionarietà-diminuzione): le fluttuazioni delle
percentuali di risposte classificate nelle tre modalità
consentono di disegnare l'andamento congiunturale del fenomeno in
questione. La concatenazione delle risposte alle diverse domande
consente di valutare anche i motivi del variare delle opinioni degli
operatori e di intuire quali possono essere i loro comportamenti. Ad
esempio, se le famiglie si aspettano aumenti dell'inflazione possono
essere indotte ad accelerare i loro acquisti di beni durevoli; se le
imprese giudicano basso il livello delle scorte e si attendono una
crescita normale della domanda saranno propense ad aumentare la
produzione. Vantaggio delle inchieste è quello di poter
indagare non solo su fenomeni quantitativi (produzione, livello dei
prezzi, ecc.), ma anche sulle attese e sui giudizi soggettivi che
poi sono quelli che influenzano i comportamenti e, quindi, le
tendenze della congiuntura economica. Il loro principale
inconveniente sta proprio nell'eventuale eccessiva
soggettività delle risposte e nell'impossibilità di
verificare eventuali incompatibilità tra le aspettative dei
singoli componenti il campione.
Le inchieste congiunturali sono state sviluppate essenzialmente in
Europa, pur se il modello iniziale è americano: l'inchiesta
di "Fortune" condotta negli Stati Uniti dal 1947. Lo sviluppo
principale tuttavia si è avuto in Europa: in Francia l'INSEE
(Institut National de la Statistique et des Études
Économiques) ha varato la sua prima inchiesta nel 1951, ed
è stato seguito dalla Germania Federale (IFO di Monaco) e
dall'Italia (ISCO di Roma). A partire dagli anni sessanta le
inchieste di congiuntura sono state armonizzate in sede CEE ed
estese a tutti i paesi membri. Attualmente in Italia l'ISCO conduce
sei inchieste di congiuntura: sulle imprese industriali (mensile),
sulle esportazioni (trimestrale), sugli investimenti (semestrale),
sul commercio (mensile), sulle famiglie (mensile).
d) I modelli econometrici
Le oscillazioni congiunturali di un sistema economico possono
derivare, come si è visto, da una molteplicità di
fattori: da quelli esterni al sistema economico (la domanda estera,
ad esempio), a quelli interni ma discrezionali (modifica della
politica fiscale), o comportamentali (modifica nelle propensioni a
consumare per il variare delle attese), fino a quelli insiti nel
funzionamento del sistema economico stesso (esistenza di limiti
fisici alla crescita, squilibri nei conti con l'estero, azioni e
reazioni nella distribuzione del reddito, ecc.). Nasce allora
l'esigenza di elaborare uno schema di funzionamento del sistema
economico attraverso un modello ove le variabili rappresentino le
diverse quantificazioni di fenomeni economici (i prezzi, i consumi,
gli investimenti, l'occupazione, ecc.) e ove vengano esplicitate le
diverse interrelazioni esistenti. Modelli di questo genere sono
stati costruiti negli Stati Uniti a partire dagli anni cinquanta,
seguendo gli studi sulla dinamica combinata del
moltiplicatoreacceleratore. Essi si basano su uno schema contabile
di riferimento fornito dalla Contabilità nazionale e
quantificano le relazioni esistenti tra le diverse variabili
attraverso la costruzione di un sistema di equazioni. La soluzione
di tale sistema attraverso l'assegnazione di specifici valori ai
'termini noti'(variabili esogene o variabili discrezionali) consente
di valutare le cause delle fluttuazioni, i meccanismi di reazione,
lo spazio per eventuali manovre di politica economica, infine la
previsione dell'andamento del sistema economico sotto specifiche
ipotesi di comportamento. La costruzione di simili modelli, detti
econometrici, non è agevole per le difficoltà sia di
reperimento delle informazioni quantitative, sia di soluzione del
sistema di equazioni. Per le esigenze di analisi congiunturale i
modelli econometrici dovrebbero essere costruiti su variabili a
cadenza temporale ravvicinata: i modelli congiunturali più
noti sono costruiti infatti a cadenza trimestrale. In Italia modelli
trimestrali sono stati elaborati dall'Associazione Prometeia agli
inizi degli anni settanta e, a metà degli anni ottanta, dalla
Banca d'Italia. Esistono in Italia, e vengono comunemente
utilizzati, anche diversi modelli econometrici a cadenza annuale.
3. La politica economica congiunturale
a) Gli obiettivi di una politica economica congiunturale
Scopo dell'analisi congiunturale, si è detto, è
essenzialmente quello di indicare tempi e modalità di
intervento per correggere o attenuare le fluttuazioni. La
necessità di tali correzioni non è universalmente
accettata. Lasciando da parte quanti ritengono (o hanno ritenuto)
che le fluttuazioni cicliche sono una connotazione ineliminabile dei
sistemi economici organizzati in forma capitalistica, molti sono
coloro che ritengono in pratica impossibile intervenire per
contenere le fluttuazioni congiunturali, e anzi dannoso nella misura
in cui si sbagliano necessariamente i tempi e le modalità.
Resta tuttavia evidente - e le esperienze degli anni settanta e
ottanta lo hanno ancora una volta dimostrato - che i sistemi
economici, se interessati da fenomeni di marcata oscillazione, non
assorbono automaticamente tali scosse, ma tendono ad amplificarle.
Inoltre le fluttuazioni congiunturali incidono sulle tendenze di
più lungo termine: negli anni settanta le forti fluttuazioni
economiche sono state accompagnate da un rallentamento della
crescita e da un'esplosione dei processi inflazionistici. In
effetti, una recessione prolungata ha riflessi negativi sul tasso di
investimento di un sistema economico, ritardando con ciò,
anche nel più lungo termine, la sua possibilità di
sviluppo e di miglioramento tecnologico. Ecco allora che la
stabilità della crescita è un requisito importante
quanto l'intensità della crescita stessa, perché
garantisce una maggiore occupazione nel lungo periodo.Se l'obiettivo
di una politica congiunturale (o anticiclica) è la
stabilità della crescita, tuttavia esso è
necessariamente associato a quello della piena (o massima)
occupazione in condizioni di stabilità dei prezzi (o bassa
inflazione) e di equilibrio nella bilancia dei pagamenti. Ritorna,
quindi, il concetto di reddito potenziale, inteso come reddito
ottimale di pieno impiego, quale obiettivo e, quindi, riferimento di
una politica economica congiunturale (o di breve termine). Gli
strumenti disponibili per conseguire tale obiettivo possono
distinguersi a seconda che siano automatici o discrezionali.
b) Gli stabilizzatori automatici
Al fine di conseguire una crescita stabile si è pensato di
inserire istituzionalmente nel sistema economico alcuni
stabilizzatori automatici in grado di intervenire senza
necessità di decisioni specifiche. Il vantaggio di tali
strumenti è essenzialmente legato alla rapidità della
loro entrata in azione. Gli stabilizzatori classici proposti sono
essenzialmente quelli della progressività delle imposte e
dell'assicurazione di disoccupazione. Con il primo si determina
un'accelerazione (o decelerazione) dell'imposizione più che
proporzionale al variare del reddito: ciò assicura un freno o
un sostegno nel caso di espansione o di recessione. Con il secondo
si regola il mercato del lavoro e la distribuzione del reddito: in
fase di espansione aumenta il prelievo contributivo, il che frena la
crescita, e in fase di recessione aumentano i trasferimenti ai
lavoratori, il che attenua il calo della domanda.
In realtà pochi paesi hanno istituito dei veri stabilizzatori
automatici del ciclo, ma un insieme di regole, comportamenti,
accordi e automatismi istituiti per diversi fini agiscono in
definitiva come stabilizzatori automatici. Un caso tipico è
quello della finanza pubblica: il sistema del prelievo fiscale
è, spesso, automatico e relativamente cadenzato con il ciclo
perché molte imposte gravano immediatamente sulla formazione
del reddito (imposte dirette, contributi sociali) o sulla spesa per
consumi (imposte indirette). Viceversa molte spese pubbliche sono
rigide perché decise con un certo anticipo e, spesso,
indicizzate con un certo ritardo, sicché risultano sfasate
rispetto al ciclo economico. In caso di recessione le entrate
pubbliche tendono a rallentare rapidamente mentre la spesa pubblica
segue le decisioni precedenti, sicché si forma un disavanzo
ciclico che attenua la portata della recessione (viceversa in caso
di espansione). Gli stabilizzatori possono però funzionare
anche in maniera perversa. Così è stato negli anni
settanta: in presenza di inflazione elevata e disoccupazione in
aumento, la progressività dell'imposta ha implicato una forte
e crescente pressione fiscale anche durante le fasi di recessione.
Analogamente i sistemi di indicizzazione dei salari ai prezzi, che
possono essere considerati degli stabilizzatori della ripartizione
del reddito, hanno amplificato l'inflazione in presenza dei forti
aumenti del prezzo del petrolio.
In effetti, gli stabilizzatori automatici possono essere efficaci
solo nelle fasi congiunturali relativamente lunghe e di debole
ampiezza, mentre sono inefficaci o peggio rischiano di cumulare e
amplificare le fluttuazioni nei casi di oscillazioni corte e di
ampia portata. È inoltre da tener presente che ogni
meccanismo automatico tende a logorarsi con il tempo, per i fenomeni
di adattamento che si producono.
c) Le politiche anticicliche discrezionali
La stabilizzazione del ciclo presuppone in effetti l'uso di
politiche discrezionali, ossia di interventi studiati e decisi di
volta in volta. L'armamentario delle politiche congiunturali
è vasto e, in linea di principio, comprende tutti gli
strumenti della politica economica. È possibile, comunque,
considerare tre categorie generali: a) politica di bilancio; b)
politica monetaria; c) politica dei redditi. La politica di bilancio
può agire per due principali vie: la redistribuzione del
reddito e la spesa pubblica in disavanzo. Con la prima si sposta il
reddito in favore di quanti hanno maggiore (o minore) propensione al
consumo al fine di attenuare i riflessi di una fase di recessione (o
eccessiva espansione). Tale manovra può prendere la forma di
una modifica delle aliquote fiscali o delle detrazioni d'imposta con
l'intento di favorire, ad esempio, i redditi più bassi che
hanno una propensione maggiore al consumo: per tale via si
smobilizza del risparmio. Analogamente si può agire operando
un maggior prelievo fiscale sui redditi elevati e aumentando i
trasferimenti per i redditi più bassi. L'efficacia di tale
manovra è dubbia nella misura in cui l'intervento è
macchinoso, lungo e presuppone reali differenze nelle propensioni al
consumo (cosa che è stata spesso contestata: S. Lubell,
J.Duesenberry, H.G. Johnson) e potrebbe portare addirittura a
effetti opposti nel caso in cui si modificasse la propensione al
risparmio e, quindi, gli investimenti del sistema. Criticando tale
impostazione, negli anni ottanta si è sviluppata la teoria
della politica dell'offerta che parte proprio da posizioni opposte:
la domanda globale può essere meglio stimolata riducendo
l'imposizione media e marginale (a parità di equilibrio di
finanza pubblica) nella misura in cui cresce la convenienza a
produrre (profitto e remunerazione) e si ampliano gli investimenti
(M. Feldstein, A. Laffer). Ma anche tale impostazione non sembra
aver avuto un'evidenza empirica neppure negli Stati Uniti dove
è stata adottata nella prima metà degli anni
ottanta.Più noto il secondo strumento di politica
anticiclica, quello della spesa in disavanzo: un aumento (o
riduzione) della spesa pubblica (possibilmente per investimenti)
coperta non da entrate fiscali ma da prestiti può sostenere
(o frenare) la congiuntura stabilizzando il ciclo. L'efficacia di
tale manovra varia se i titoli pubblici emessi a copertura del
disavanzo sono acquistati (o venduti) dalle famiglie, dalle banche o
dalla banca centrale: in quest'ultimo caso i riflessi sul sistema
economico sono maggiori perché non si alterano le propensioni
al risparmio degli operatori economici, ma cresce la quantità
di moneta.
Relativamente ampio è stato il ricorso a tale strumento dal
secondo dopoguerra in poi, pur se è stata spesso assimilata
alla spesa in disavanzo tutta una serie di comportamenti che non
avevano alcun fine congiunturale, ma traducevano spesso
l'incapacità (o la difficoltà) di gestire
correttamente una politica di bilancio. L'obiezione principale a
tale strumento sta nel rischio dello 'spiazzamento' che la spesa
pubblica opererebbe nei confronti di quella privata, in particolare
per investimenti: in tal caso risulta ridotto l'effetto sul ciclo
sia in termini quantitativi che qualitativi per la supposta minore
produttività ed efficacia della spesa pubblica rispetto agli
investimenti privati. Ma si può dimostrare che il fenomeno
dello spiazzamento (crowding out) non è necessario: dipende
dalla politica monetaria che accompagna quella fiscale. Resta
tuttavia la difficoltà di condurre una determinata
combinazione di politica fiscale e monetaria senza tener conto di
altri vincoli (la bilancia dei pagamenti in primo luogo). La
politica monetaria in funzione anticiclica può prendere varie
forme: variazione del saggio di sconto, operazioni di compravendita
di titoli pubblici, modifica della riserva obbligatoria, controllo
amministrativo del credito. Con la politica monetaria si tende a
influenzare la decisione di investimento agendo tanto sul tasso di
profitto quanto sulle modalità e possibilità di
finanziamento. In particolari condizioni, e l'Italia ci si è
trovata spesso negli anni settanta e ottanta, la politica monetaria
può prendere la forma di controlli amministrativi del credito
che regolano il livello massimo degli impieghi bancari e influenzano
le scelte di portafoglio fra i diversi titoli all'interno del paese
o anche fra mercato interno e mercato estero. La politica monetaria
è generalmente considerata efficace per frenare un'espansione
eccessiva, ma poco utile per sostenere il ciclo in fase recessiva.
Per tale motivo è sempre preferibile un'associazione tra
politica di bilancio e politica monetaria. Al ricorso indiscriminato
alla politica monetaria per sostenere una ripresa sono state
attribuite la forte inflazione e le vicissitudini congiunturali
degli anni settanta. Constatando una stretta relazione nel lungo
periodo tra quantità di moneta e inflazione e, nel breve
periodo, tra variazione nel tasso di crescita della moneta e reddito
reale, la scuola dei monetaristi (Friedman) ha sostenuto che ogni
variazione della quantità di moneta eccedente la crescita
tendenziale dell'economia genera fluttuazioni di breve periodo e si
traduce in aumenti dell'inflazione: donde il suggerimento di non
fare politica monetaria con obiettivi di breve termine, e
addirittura di sopprimere le banche centrali, sostituendole con
regole fisse di creazione della moneta che rispettino gli equilibri
di più lungo termine e stabilizzino le aspettative.Infine,
tra gli strumenti di politica congiunturale troviamo anche la
politica dei redditi. Nella sua versione originale essa mira a
prevenire le oscillazioni causate da spostamenti nella distribuzione
del reddito a favore o dei salari o dei profitti. Il suo principio
di base è la corrispondenza tra il saggio di incremento della
produttività e il saggio di incremento della remunerazione:
una corrispondenza da realizzarsi o caso per caso (settore per
settore) o nella media del sistema economico. Ancorando la crescita
della remunerazione a quella della produttività si
riuscirebbe a evitare tensioni inflazionistiche e a mantenere
inalterata la distribuzione del reddito, il che implica
necessariamente una relativa soddisfazione circa la distribuzione
del reddito esistente. Nella versione acquisita più di
recente, in presenza della forte inflazione degli anni settanta, la
politica dei redditi è stata piuttosto invocata (e spesso
utilizzata) quale politica atta a conseguire una disinflazione,
riducendo i rischi di una recessione. In una simile accezione la
politica dei redditi non mirava tanto a eguagliare il saggio di
remunerazione a quello della produttività, quanto piuttosto a
contenere o azzerare i saggi di incremento nominali delle
remunerazioni; spesso essa si è tradotta in tentativi di
blocco o controllo amministrativo dei prezzi e dei salari. Obiezioni
principali a tale strumento sono essenzialmente la difficoltà
(o impossibilità) di controllare tutti i redditi
(sicché spesso si finisce per controllare solo alcuni salari
e alcuni prezzi) e la forte rigidità che immette nel sistema,
favorendo la nascita di 'mercati neri' o altre forme di elusione dei
controlli.
L'uso di strumenti discrezionali per il controllo del ciclo
economico ha subito forti critiche nel corso degli anni settanta, a
fronte delle marcate oscillazioni e della forte inflazione. Il
fallimento del tentativo di stabilizzare ogni variazione
congiunturale con politiche ad hoc ha generato principalmente due
critiche. La prima proviene dai monetaristi che, oltre a negare la
possibilità di usare la politica monetaria quale strumento di
regolazione del ciclo breve, hanno insistito sull'esistenza di molti
e incontrollabili ritardi: tra il momento di inversione del ciclo e
quello della sua identificazione; tra quest'ultimo e quello della
definizione degli interventi; tra la definizione e gli effetti
sull'economia. Dalla considerazione che molti interventi - e in
particolare quelli di natura monetaria - hanno riflessi molteplici
di diversa lunghezza temporale, anche di lungo periodo, deriva
l'incontrollabilità di qualsiasi intervento, il cui effetto
sarebbe, in ultima analisi, sempre destabilizzante.
Più articolata la seconda critica che viene dai fautori delle
aspettative razionali (R. Lucas, T. Sargent, N. Wallace). Partendo
dal presupposto che i mercati sono sempre in equilibrio e che, date
le informazioni disponibili, salari e prezzi sono determinati sempre
in modo da conseguire il massimo profitto e la massima
utilità, se ne deduce che le autorità di governo
possono ottenere effetti reali sul sistema economico solo attraverso
politiche inattese, che però presuppongono per il governo
migliori informazioni. Ma, poiché tutto l'armamentario di
politica congiunturale è ormai noto, esso diviene inutile dal
momento che gli operatori percepiscono la temporaneità di
ogni intervento di breve termine e lo prevengono (se lo Stato
aumenta la spesa pubblica o genera una maggior crescita di moneta,
il sistema economico reagisce aumentando i prezzi perché
anticipa razionalmente i risultati attesi). Solo le politiche
permanenti hanno, in questa accezione, riflessi reali.
Le obiezioni alla politica congiunturale degli anni settanta, se ne
hanno messo in evidenza i limiti correggendo talune semplificazioni
eccessive, non ne hanno dimostrato l'inopportunità,
perché la sola alternativa sarebbe subire qualsiasi
fluttuazione, cosa che di fatto è praticamente impossibile.
d) La trasmissione internazionale del ciclo economico
Quale che sia l'origine del ciclo economico in un determinato paese,
esso tende a trasmettersi da un paese all'altro attraverso gli
scambi commerciali, i mercati monetari e finanziari, nonché i
comportamenti degli operatori economici. Generalmente un ciclo
economico si trasmette tanto più da un paese a un altro
quanto più è prolungato e quanto più è
grande il paese (o i paesi) inizialmente coinvolti dalla
fluttuazione congiunturale.L'esperienza degli anni seguenti alla
seconda guerra mondiale ha evidenziato una netta prevalenza del
ciclo economico statunitense rispetto a quello degli altri paesi
industrializzati. Nei trent'anni che vanno dal 1958 al 1988 il ciclo
statunitense - identificato dal NBER di New York secondo la
definizione classica - ha sempre anticipato quello italiano -
anch'esso secondo la definizione classica utilizzata dall'ISCO - e
lo ha influenzato non solo come durata, ma anche come ampiezza e
intensità. In tale periodo l'Italia ha conosciuto un solo
ciclo economico di natura 'interna', quello culminato con la breve
recessione di dieci mesi tra il febbraio e il dicembre del 1977:
tale recessione venne indotta da una politica fiscale
particolarmente restrittiva, volta a ridurre la domanda interna e
favorire un riequilibrio nei conti con l'estero. Anche gli Stati
Uniti hanno conosciuto una sorta di ciclo 'nazionale' molto breve:
quello descritto da un'espansione limitata a dodici mesi (dal luglio
1980 al luglio 1981) e culminata con una recessione tra il luglio
1981 e il novembre 1982. Durante tutto questo periodo l'Italia
è stata coinvolta da una lunga recessione, nella cui forma,
tuttavia, è possibile ravvisare gli alti e bassi del ciclo
breve statunitense (v. tab. II).
Misure del ciclo economico elaborate dall'OCSE secondo la
metodologia dei cicli di sviluppo con riferimento a tutti i paesi
industrializzati confermano la predominanza del ciclo statunitense e
la complessiva solidarietà dei movimenti ciclici nei vari
paesi industrializzati.
Il principale strumento di trasmissione ciclica internazionale resta
il commercio mondiale. La crescita delle importazioni nel paese che
conosce una fase di espansione trascina produzione e domanda negli
altri paesi, generando spinte cumulative che si rinforzano fino a
condurre a un elevato livello di utilizzo delle capacità
produttive e a tensioni sui prezzi. Ne derivano squilibri nelle
bilance dei pagamenti in seguito alla diversa evoluzione della
domanda e alle modifiche nelle ragioni di scambio che generalmente
accompagnano la fase di espansione di un ciclo internazionale.
L'insieme di queste tensioni induce a modifiche nella politica
economica volte a ridurre la domanda interna, con riflessi diretti
sulle importazioni e, quindi, a catena, sul ciclo internazionale.Il
grado di sintonia dei cicli economici è andato aumentando nel
tempo a misura del crescere delle relazioni internazionali. La
ricerca di un grado di autonomia delle politiche economiche
nazionali attraverso la fluttuazione dei cambi si è di fatto
accompagnata a un aumento del grado di sincronia dei cicli economici
nei vari paesi. L'eccezionalità delle spinte derivanti dalle
variazioni del prezzo del petrolio, nonché la forte
integrazione dei mercati finanziari e commerciali, anche per la
presenza di imprese multinazionali, hanno infatti contribuito alla
generalizzazione delle spinte congiunturali e all'amplificazione dei
riflessi delle scelte di politica economica nazionale. Il grado di
trasmissione e, quindi, di sincronizzazione del ciclo internazionale
ne è risultato aumentato rendendo più gravi i riflessi
di una crisi e privando i paesi di margini di manovra nazionale.
e) Il coordinamento internazionale delle politiche congiunturali
Di fronte all'accresciuta sincronia congiunturale internazionale
è emersa la necessità di operare un maggiore
coordinamento delle politiche di breve termine. In un regime di
cambi fissi, quale quello prevalso negli anni cinquanta e sessanta,
le politiche economiche nazionali erano condizionate dal vincolo
della bilancia dei pagamenti e quindi di fatto coordinate. In tali
anni un'eventuale modifica del tasso di cambio, associata a
opportune politiche fiscali e monetarie interne, poteva essere
considerata una manovra congiunturale nazionale nella misura in cui
consentiva di frenare o allargare l'offerta e spostare la domanda a
favore o a sfavore di quella interna. In regime di cambi fissi la
trasmissione degli impulsi internazionali aveva, quindi, quasi
sempre connotazioni reali e si osservavano interdipendenze cicliche
con sfasature temporali relativamente marcate, che generalmente
andavano dal paese più grande a quello più piccolo,
con un processo di amplificazione.
Con gli anni settanta i paesi industrializzati sono entrati in un
regime di cambi flessibili, in un clima di forti oscillazioni di
prezzi delle materie prime. Le gravi e improvvise crisi petrolifere
(1973-1974 e 1979-1980) hanno comportato un'amplificazione delle
oscillazioni congiunturali (di cui sono un esempio la recessione
violenta del 1974 e quella lunga, durata oltre due anni, tra il 1980
e il 1982) e hanno reso estremamente difficile ogni politica
economica nazionale, nonché oltremodo gravose le
ripercussioni sulla struttura produttiva. In una simile congiuntura
sono cresciute le pressioni protezionistiche volte a compensare
vantaggi e svantaggi che derivano dalle variazioni dei cambi, si
è ridotta la crescita del commercio mondiale e le politiche
nazionali, rese 'indipendenti' dal regime di cambi flessibili, sono
state orientate verso obiettivi nazionali, pur se sono risultate
fortemente condizionate dal contesto esterno. È nata da qui
l'esigenza di un coordinamento delle politiche nazionali a livello
internazionale, anche a scopi congiunturali. Tale coordinamento
riguarda sia gli interventi sul mercato dei cambi da parte delle
banche centrali (per stabilizzare i cambi e contrastare la
speculazione), sia l'armonizzazione delle politiche monetarie (al
fine di consentire, con opportuni differenziali nei tassi di
interesse, di stabilizzare i cambi e contenere l'inflazione), sia il
coordinamento delle politiche fiscali (al fine di riequilibrare le
bilance dei pagamenti e di favorire una crescita più
elevata). Esempi di coordinamento delle politiche cicliche si sono
avuti nel 1978, con il rilancio concordato in Europa e in Giappone
al fine di favorire un riequilibrio nei pagamenti internazionali e
una crescita maggiore (l'esperimento ebbe breve durata perché
si infranse sulla seconda crisi petrolifera), e nel 1985-1987,
quando si è avviato un esperimento di coordinamento delle
politiche di cambio e monetarie, al fine di conseguire un assetto
più equilibrato e più stabile del mercato dei cambi,
con l'obiettivo, ancora una volta, di ridimensionare gli squilibri
delle bilance dei pagamenti.Malgrado le opinioni di alcuni liberisti
degli anni ottanta, che vedevano nella concorrenza tra le politiche
nazionali un elemento di efficienza e di crescita del sistema
economico internazionale, la stretta interdipendenza ciclica sembra
aver messo in luce la necessità di un coordinamento delle
politiche economiche dei vari paesi. È anche partendo da tale
esigenza che è stato dato il via, alla fine degli anni
ottanta, alla creazione di un mercato unico europeo e all'unione
monetaria europea, che ha come presupposto proprio un tale
coordinamento. È in questo contesto che vanno sottolineate
l'importanza e la validità dell'analisi congiunturale, quale
strumento per pervenire anche a un migliore coordinamento delle
politiche economiche.