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L'Italia sotto il dominio napoleonico
Verso la fine Settecento sulla scena politica italiana si
affacciò Napoleone Bonaparte. Questi nel 1796,
comandò, come generale, la campagna italiana, al fine di far
abbandonare al Regno di Sardegna la Prima coalizione, creata contro
lo stato francese, e per far arretrare gli austriaci. Gli scontri
iniziarono il 9 aprile, contro i piemontesi e nel breve volgere di
due settimane Vittorio Amedeo III di Savoia fu costretto a firmare
l'armistizio. Il 15 maggio poi il generale francese entrò a
Milano, venendo accolto come un liberatore. Successivamente respinse
le controffensive austriache e continuò ad avanzare, fino ad
arrivare in Veneto nel 1797. Qui si verificò anche un
episodio di ribellione a causa dell'oppressione francese chiamato
Pasque Veronesi, che tenne occupato Napoleone per circa una
settimana. Con il diretto intento di danneggiare il pontefice fu
proclamata nel 1797 la Repubblica Anconitana con capitale Ancona che
fu poi unita alla Repubblica Romana: il tutto ebbe però breve
durata, poiché nel 1800 lo Stato Pontificio fu ripristinato.
A ottobre del 1797 venne firmato il Trattato di Campoformio con il
quale la Repubblica di Venezia fu annessa allo stato austriaco. Il
trattato riconobbe anche l'esistenza della Repubblica Cisalpina, la
quale comprendeva Lombardia, Emilia-Romagna oltre a piccole parti di
Toscana e Veneto, mentre il Piemonte venne annesso alla Francia
provocando qualche moto di ribellione. Nel 1802 venne poi denominata
Repubblica Italiana, con Napoleone Bonaparte, già Primo
Console della Francia, in qualità di Presidente.
Il 2 dicembre 1804 Napoleone fu incoronato Imperatore dei francesi.
In conformità col nuovo assetto monarchico francese Napoleone
divenne anche Re d'Italia, tramutando la Repubblica italiana in
Regno d'Italia. Questa decisione lo mise in contrasto con
l'Imperatore del neonato Impero austriaco Francesco I che, essendo
prima di tutto Imperatore dei Romani, risultava de iure pure Re
d'Italia. La situazione si risolse con la guerra contro la Terza
coalizione: l'Austria venne sconfitta (2 dicembre 1805) e il
trattato di Presburgo (26 dicembre 1805) pose di fatto fine al Sacro
Romano Impero che verrà però sciolto solo nel 1807.
L'anno successivo Bonaparte riuscì a conquistare il Regno di
Napoli affidandolo al fratello e consegnandolo nel 1808 a Gioacchino
Murat. Inoltre Napoleone riservò alle sorelle Elisa e Paolina
i principati di Massa, Carrara e Guastalla. Proprio nel 1808 il
Regno d'Italia subì un ampliamento con le annessioni di
Toscana e Marche.
Nel 1809, Bonaparte occupò Roma, in seguito a contrasti con
il papa, che l'aveva scomunicato, e per mantenere in efficienza il
proprio stato[43], relegandolo prima a Savona e poi in Francia.
Nella campagna di Russia, che Napoleone intraprese nel 1812, fu
determinante l'appoggio degli abitanti della penisola italiana, ma
questa si risolse con una sconfitta e molti italiani trovarono la
morte. Dopo la fallimentare campagna di Russia gli altri stati
europei si riorganizzarono, coalizzandosi tra loro e sconfiggendo
Bonaparte a Lipsia. I suoi stessi alleati, primo tra tutti Murat, lo
abbandonarono alleandosi con l'Austria.[44] Ormai abbandonato dagli
alleati e sconfitto a Parigi il 6 aprile 1814 Napoleone fu costretto
ad abdicare e venne mandato in esilio all'Isola d'Elba. Sfuggito
alla sorveglianza riuscì a ritornare in Francia e a
riprendere il potere. Guadagnò nuovamente l'appoggio di
Murat, il quale tentò di esortare, senza successo, gli
italiani a combattere con il Proclama di Rimini. Sconfitto
Bonaparte, anche Murat venne vinto e ucciso. I regni creati in
Italia scomparvero ed iniziò quindi il periodo storico della
Restaurazione.
La Restaurazione (1815-48)
Con la Restaurazione ritornarono sul trono gran parte dei sovrani
precedenti al periodo napoleonico. Il regno di Sardegna che durante
l'invasione napoleonica era rientrato nei confini insulari,
riottenne tutti gli Stati di terraferma ed in più s'ingrandi
con l'annessione della Repubblica di Genova, mentre Lombardia,
Veneto, Istria e Dalmazia andarono all'Austria. Si ricostituirono i
ducati di Parma e Modena, lo Stato della Chiesa, mentre il Regno di
Napoli tornò ai Borbone.
Il Regno di Sardegna
La storia d'Italia è indissolubilmente legata alla storia
dello Stato che la unificò sotto un'unica guida, il Regno di
Sardegna. Fu creato sulla carta da Papa Bonifacio VIII nel 1297, con
la denominazione di Regno di Sardegna e Corsica[45] per risolvere la
crisi politica e diplomatica tra corona d'Aragona e ducato
d'Angiò sulla Sicilia (la guerra del vespro). La
realizzazione concreta del Regno di Sardegna vedrà dapprima
la guerra dei catalano-aragonesi contro i pisani, poi contro il
Regno di Arborea. Per oltre cento anni l'Isola fu teatro di una
sanguinosa guerra prima di essere unificata definitivamente nel
1420.
Con il matrimonio tra Ferdinando II di Aragona con Isabella di
Castiglia a Valladolid il 17 ottobre 1469, il Regno di Sardegna fu
aggregato alla corona di Spagna e con il matrimonio della loro
figlia Giovanna con Filippo d'Asburgo e la nascita di Carlo V,
passò agli Asburgo, prima di Spagna, poi da quelli d'Austria
(1708). A seguito della guerra di successione spagnola e del
trattato dell'Aia (20 febbraio 1720), il Regno fu ceduto a Vittorio
Amedeo II di Savoia, che ne divenne il diciassettesimo sovrano. Il
29 novembre 1847 gli Stati che componevano la corona di Casa Savoia
si fusero insieme (Fusione perfetta) mantenendo la denominazione di
Regno di Sardegna. Il 4 marzo 1848 Carlo Alberto promulgò lo
Statuto fondamentale del Regno che ha retto lo Stato italiano fino
al 1º gennaio 1948, quando entrò in vigore l'attuale
Costituzione[46].
I Savoia
Umberto Biancamano nel 1032 ottenne dall'imperatore Corrado II la
signoria della Savoia, della Moriana e d'Aosta. Attraverso varie
successioni ereditarie, i Savoia ingrandirono nel tempo i loro
territori a cavallo tra le Alpi Occidentali. Prima conti, poi duchi,
nel 1416 ottennero pure il titolo nominale (senza territori) di re
di Gerusalemme lasciato in eredità da Carlotta di Lusignano.
Riuscirono abilmente nel XVII e nel XVIII secolo a difendersi dalle
mire espansionistiche della Francia mantenendo tenacemente la loro
autonomia. Da quando poi Emanuele Filiberto I di Savoia
spostò la capitale da Chambéry a Torino per meglio
difendersi dagli attacchi nemici, la dinastia prese le redini della
storia italiana mantenendo il dominio sul ducato prima e sul Regno
di Sardegna poi, fino alla unità d'Italia.
Nel 1720 Vittorio Amedeo II di Savoia assunse il titolo regio,
divenendo il diciassettesimo sovrano del Regno di Sardegna. I Savoia
vennero allora a pieno titolo annoverati fra le grandi casate
d'Europa, fregiandosi dei titoli nominali di Re di Cipro, di
Gerusalemme, d'Armenia, e dei titoli effettivi di duchi di Savoia,
di Monferrato, Chiablese, Aosta e Genova; principi di Piemonte ed
Oneglia; marchesi di Saluzzo, Susa, Ivrea, Ceva, Maro, Oristano,
Sezana; conti di Moriana, Genova, Nice, Tenda, Asti, Alessandria,
Goceano; baroni di Vaud e di Faucigny; signori di Vercelli,
Pinerolo, Tarantasia, Lumellino, Val di Sesia; principi e vicari
perpetui del Sacro Romano Impero in Italia. Il 17 marzo 1861
ottennero la corona di Re d'Italia. Nel 1936 Vittorio Emanuele III
di Savoia fu proclamato Imperatore d'Etiopia, e nel 1939 Re
d'Albania.
I moti carbonari
Con la Restaurazione, che aveva portato al ritorno degli antichi
sovrani e alla cessione di regioni italiane all'Austria, si
svilupparono forti ideali patriottici. Nacque così la
Carboneria e si diffuse proprio nelle regioni cedute agli austriaci
e in Romagna, grazie anche a Piero Maroncelli. I primi moti
carbonari nella penisola italiana vi furono nel 1820-21 e colpirono
il Regno di Napoli nel luglio 1820 e il Piemonte nel marzo 1821. A
Napoli il sovrano fu costretto a cedere la costituzione, obiettivo
dei carbonari, ma l'intervento degli austriaci riportò tutto
come prima, e stessa cosa nel Regno di Sardegna. Contemporaneamente
nel Regno lombardo-veneto vi furono molti processi, i più
famosi al conte Federico Confalonieri, a Silvio Pellico e Piero
Maroncelli.
Nonostante le sconfitte subite la carboneria non si sciolse e si
ripresentò sulla scena politica nel 1830, in particolare nel
Ducato di Modena e nello Stato Pontificio, venendo per la seconda
volta repressa. Il risultato fu il decadimento della carboneria e la
nascita della Giovine Italia, movimento anch'esso segreto fondato da
Giuseppe Mazzini nel 1831. Dopo aver trovato una discreta adesione
Mazzini decise di organizzare i primi moti in terra sabauda, ma
questi vennero scoperti ancor prima di iniziare e fallirono.
Nonostante ciò il Re Carlo Alberto di Savoia cambiò la
sua linea politica e alcuni anni dopo, nel 1848 concesse la
costituzione, nota come Statuto Albertino, temendo reazioni
pericolose alla monarchia. Prima di questo si verificarono altri
tentativi. Il più noto è quello dei Fratelli Bandiera,
italiani appartenenti alla marina austriaca che tentarono di
sollevare il sud, ma vennero catturati, anche grazie alla
popolazione che li riteneva briganti, e fucilati.
Risorgimento
Dopo le guerre napoleoniche, spinte nazionali e nazionalistiche
appoggiate dai Savoia, che videro in queste l'opportunità di
allargare il proprio Regno di Sardegna, portarono ad una serie di
guerre di indipendenza contro l'Impero austro-ungarico. Nel 1848 si
verificarono varie insurrezioni nei domini sottoposti agli
austro-ungarici, in particolare a Venezia e Milano (famose appunto
le cinque giornate di Milano, che si conclusero il 22 marzo con la
vittoria della popolazione locale e l'abbandono da parte del
maresciallo austriaco Josef Radetzky della città). Visti i
successi ottenuti dalle due città Carlo Alberto di Savoia
decise, con l'appoggio bellico di altri stati italiani (Stato della
Chiesa, il Granducato di Toscana e il Regno delle Due Sicilie), di
entrare in azione il 23 marzo dando inizio alla prima guerra di
indipendenza italiana. L'inizio del conflitto fu favorevole agli
stati italici, con varie vittorie, a Pastrengo, la Battaglia di
Santa Lucia a Verona, poi Peschiera e Goito. Il ritiro dalla guerra
del papa, che temeva una reazione religiosa austriaca che avrebbe
potuto provocare uno scisma, e di Ferdinando II di Borbone
decretò però l'insuccesso della guerra, che si risolse
con un nulla di fatto: gli austriaci recuperarono le città
perse (l'ultima a cadere fu Venezia nell'agosto 1849) e il 4 agosto
Carlo Alberto firmò l'armistizio; fu quindi costretto ad
abdicare in favore del figlio Vittorio Emanuele II.
Vittorio Emanuele II di Savoia, il primo Re d'Italia di casa Savoia
Seconda guerra d'indipendenza
Nel 1852 divenne primo ministro del Regno Sabaudo Camillo Benso
Conte di Cavour, il quale attuò numerose riforme economiche
al fine di rendere il regno di Sardegna più moderno,
aumentando le ferrovie, ampliando il porto di Genova e favorendo la
nascita dell'industria, fino ad allora inesistente nel Paese. Nel
1855 il Regno di Sardegna, sotto indicazione di Cavour,
partecipò alla guerra di Crimea, inviando 18.000 uomini.
Questa partecipazione permise al regno sabaudo di essere presente al
congresso di Parigi l'anno seguente dove il primo ministro
attaccò il comportamento austriaco e si creò simpatie
tra inglesi, francesi e prussiani. Ricevuti pareri favorevoli
all'azione da Napoleone III, nel 1858 i due strinsero un accordo
segreto a Plombières, con il quale i francesi avrebbero
sostenuto i Savoia in caso di attacco austriaco a patto che fossero
gli austriaci ad attaccare: se i Piemontesi avessero conquistato
Lombardia e Veneto, in cambio avrebbero ceduto alla Francia la
Savoia e Nizza. Adottando un comportamento provocatorio nei
confronti degli austriaci Cavour riuscì nell'intento di farsi
dichiarare guerra, dando inizio alla seconda guerra di indipendenza
italiana, che iniziò il 29 aprile 1859. Dopo alcuni iniziali
successi austriaci, la guerra volse in favore del Piemonte, che fu
vittorioso, grazie al sostegno di Napoleone III, a Montebello (20
maggio), Palestro (30 maggio), Turbigo, Magenta e Milano (5 giugno),
occupando così la Lombardia. Proprio quando il Piemonte si
stava accingendo a occupare il Veneto, tuttavia, Napoleone III
cominciò le trattative, a insaputa dei piemontesi, che
terminarono con la cessione della Lombardia. Gli accordi di
Plombières prevedevano però la conquista del Veneto e
Cavour deluso dovette comunque cedere, provocando varie proteste,
Savoia e Nizza. Terminata la seconda guerra di indipendenza alcuni
ducati (Modena, Parma, Emilia, Romagna e Toscana) vollero unirsi
allo stato sabaudo. Il Regno di Sardegna comprendeva a questo punto
i territori delle attuali regioni Valle d'Aosta, Piemonte, Sardegna,
Lombardia, Emilia-Romagna, Liguria e Toscana, mentre rimanevano
esclusi quelli di Umbria, Marche e Lazio, sottoposti al dominio
pontificio, oltre al sud.
Spedizione dei Mille e nascita del regno d'Italia
Nel 1860 venne organizzata la spedizione dei Mille, guidata da
Giuseppe Garibaldi. Partiti da Quarto il 5 maggio, sbarcarono l'11 a
Marsala. Mentre Garibaldi, insieme ai picciotti siciliani
conquistava l'isola, nella parte continentale del Regno delle due
Sicilie il Comitato per l'Unità Nazionale di Napoli preparava
la strada alla conquista della capitale: il 18 agosto dello stesso
anno, con l'insurrezione di Potenza, la Basilicata, guidata dal
governo prodittatoriale di Giacinto Albini, dichiarò la sua
annessione al Regno d'Italia. Il giorno seguente Garibaldi
passò lo stretto di Messina. Il 7 settembre Garibaldi
entrò trionfalmente a Napoli, abbandonata dal re Francesco II
di Borbone in favore di Gaeta. La sconfitta finale dei borbonici
avvenne sul Volturno il 1º ottobre 1860. Il 21 ottobre si
tennero i plebisciti che decretarono l'annessione dei territori
delle Due Sicilie al Regno Sabaudo.
Il parlamento sabaudo decise allora di proclamare il 17 marzo 1861
il Regno d'Italia, estendendo lo statuto albertino a tutto il Regno
e consegnando la corona a Vittorio Emanuele II e ai suoi eredi.
Nell'occasione Cavour scriveva:
« La legalità costituzionale ha consacrato l'opera di
giustizia e riparazione che ha restituito l'Italia a se stessa. A
partire da questo giorno, l'Italia afferma a voce alta di fronte al
mondo la propria esistenza. Il diritto che le apparteneva di essere
indipendente e libera [...] l'Italia lo proclama solennemente oggi.
»
(Cavour, da una lettera a Vittorio Emanuele
Taparelli d'Azeglio, 17 marzo 1861[47])
Per completare l'unità tuttavia mancavano ancora Veneto e
Friuli, Roma, Trentino-Alto Adige e Venezia Giulia.
Terza guerra d'indipendenza
Per conquistare Veneto e Friuli nel 1866 il Regno d'Italia
dichiarò guerra all'Austria alleandosi con la Prussia e dando
così inizio alla terza guerra di indipendenza. Le sconfitte
però furono molte, le più famose a Custoza e Lissa.
Gli unici successi vennero ottenuti da Garibaldi in Trentino. La
vittoria prussiana, però, fu d'aiuto all'Italia, che
ricevette dalla Francia (che, a sua volta, aveva ottenuto dalla
Prussia grazie alla vittoria di quest'ultima sull'Austria a Sadowa)
il Veneto e parte del Friuli-Venezia Giulia.
Mancava Roma e per due volte Giuseppe Garibaldi ne tentò la
conquista con i suoi volontari: nel 1862 e nel 1867, venendo fermato
nel primo caso dalle truppe italiane, nel secondo dall'esercito
francese, che anche nel 1862 aveva costretto l'esercito regio a
intervenire. La caduta del secondo impero francese, conseguenza
della vittoria prussiana nella guerra franco-prussiana, tolse al
papato la protezione di Napoleone III, detronizzato, e permise alle
forze italiane di espugnare Roma il 20 settembre 1870 in seguito
alla Breccia di Porta Pia. Ciò determinò tuttavia una
profonda frattura tra Stato italiano e Chiesa, formalmente sanatasi
poi con i Patti Lateranensi del 1929.
Storia d'Italia dall'unità a oggi
L'Italia liberale (1861-1914)
Il Regno d'Italia (1861-1946) nacque nel 1861 dopo l'esito della
seconda guerra di indipendenza e dopo i plebisciti degli altri
territori conquistati. Con la prima convocazione del Parlamento
italiano del 18 febbraio 1861 e la successiva proclamazione del 17
marzo, Vittorio Emanuele II fu il primo re d'Italia (1861-1878). La
popolazione, rispetto all'originario Regno di Sardegna,
quintuplicò. Istituzionalmente e giuridicamente, il Regno
d'Italia venne configurandosi come un ingrandimento del Regno di
Sardegna. Ciò, ed anche l'aver a modello la struttura della
Francia, comportò quella che viene chiamata la
piemontesizzazione del Paese ed un assetto fortemente accentrato,
tanto che lo stesso presidente Giorgio Napolitano ha dichiarato che
oggi occorre «superare il vizio di origine del centralismo
statale di impronta piemontese»[48].
Il neonato Stato, una monarchia costituzionale, si ritrovò,
fin dai primi tempi, a tentare di risolvere problemi di
standardizzazione delle leggi, di mancanza di risorse a causa delle
casse statali vuote per le spese belliche, di creazione di una
moneta unica per tutta la penisola e più in generale problemi
di gestione per tutte le terre improvvisamente acquisite. A questi
problemi, se ne aggiungevano altri, come ad esempio l'analfabetismo
e la povertà diffusa, nonché la mancanza di
infrastrutture. La questione che tenne banco nei primi anni della
riunificazione d'Italia fu la questione meridionale ed il
brigantaggio antisabaudo delle regioni meridionali (soprattutto tra
il 1861 e il 1869). Ulteriore elemento di fragilità era
costituito dall'ostilità della Chiesa cattolica e del clero
nei confronti del nuovo Stato, ostilità che si sarebbe
rafforzata dopo il 1870 e la presa di Roma (questione romana).
La destra storica
La Destra storica, composta principalmente dall'alta borghesia e dai
proprietari terrieri, formò il nuovo governo, che ebbe come
primi obiettivi il completamento dell'unificazione nazionale, la
costruzione del nuovo stato (per il quale si scelse un modello
centralista) e il risanamento finanziario mediante nuove tasse che
produssero scontento popolare e accentuarono il brigantaggio,
represso con la forza. In politica estera, la Destra storica
mantenne la tradizionale alleanza con la Francia, anche se le due
nazioni si scontrarono in diverse questioni, prime fra tutte
l'annessione del Veneto e la presa di Roma. Nel 1876 il governo
venne esautorato per la prima volta non per autorità regia,
bensì dal Parlamento (rivoluzione parlamentare). Ebbe
così inizio l'epoca della Sinistra storica, guidata da
Agostino Depretis. Finiva un'epoca: solo pochi anni dopo, Vittorio
Emanuele II morì, e sul trono gli successe Umberto I.
La sinistra storica
La Sinistra abbandonò l'obiettivo del pareggio di bilancio e
avviò delle politiche di democratizzazione e ammodernamento
del paese, investendo nell'istruzione pubblica e allargando il
suffragio, e avviando una politica protezionistica di investimenti
in infrastrutture e sviluppo dell'industria nazionale
coll'intervento diretto dello stato nell'economia. Per ciò
che concerne la politica estera Depretis abbandonò l'alleanza
con la Francia, a causa della conquista da parte dello stato
d'oltralpe della Tunisia. L'Italia entrò quindi nella
Triplice Alleanza, alleandosi con la Germania e l'Impero
austro-ungarico. Favorì lo sviluppo del colonialismo
italiano, innanzitutto con l'occupazione di Massaua in Eritrea.
Dal 1901 al 1914 la storia e la politica italiana fu fortemente
influenzata dai governi guidati da Giovanni Giolitti
L'epoca giolittiana
Come neo-presidente del Consiglio si trovò a dover
affrontare, prima di tutto, l'ondata di diffuso malcontento che la
politica Crispina aveva provocato con l'aumento dei prezzi. Ed
è con questo primo confronto con le parti sociali che si
evidenziò la ventata di novità che Giolitti
portò nel panorama politico a cavallo tra il XIX ed il XX
secolo. Non più repressione autoritaria, bensì
accettazione delle proteste e quindi degli scioperi, purché
non violenti né politici, con lo scopo (riuscito) di portare
i socialisti nell'arco parlamentare. Gli interventi più
importanti di Giolitti furono la legislazione sociale e sul lavoro,
il suffragio universale maschile, la nazionalizzazione delle
ferrovie e delle assicurazioni, la riduzione del debito statale, lo
sviluppo delle infrastrutture e dell'industria. In politica estera,
ci fu il riavvicinamento dell'Italia alla Triplice intesa di
Francia, Regno Unito e Russia. Fu continuata la politica coloniale
nel Corno d'Africa, e dopo la guerra italo-turca, furono occupate
Libia e Dodecaneso. Giolitti fallì nel suo tentativo di
arginare il nazionalismo come aveva costituzionalizzato i
socialisti, e non riuscì quindi a impedire l'entrata
dell'Italia nella prima guerra mondiale e quindi l'ascesa del
fascismo.
L'avventura coloniale
Il Corno d'Africa
L'inizio del regno vide l'Italia impegnata anche in una serie di
guerre di espansione coloniale. L'occupazione cominciò nel
novembre 1869 quando il padre lazzarista Giuseppe Sapeto
avviò le trattative per l'acquisto della Baia di Assab,
negoziazione appoggiata dai governi di Sinistra di Depretis e da una
compagnia privata guidata da Raffaele Rubattino, ma che si concluse
solo nel 1882 a causa delle contestazioni del governo egiziano, che
rivendicava anch'esso il possesso della baia.
Quando gli egiziani si ritirarono dal Corno d'Africa nel 1884, i
diplomatici italiani strinsero un accordo con la Gran Bretagna per
l'occupazione del porto di Massaua che assieme ad Assab formò
i cosiddetti possedimenti italiani nel mar Rosso. Dal 1890 assunsero
la denominazione ufficiale di Colonia Eritrea. L'interesse per la
fondazione di colonie italiane continuò anche durante i
governi di Francesco Crispi. La città di Massaua
diventò il punto di partenza per un progetto che sarebbe
dovuto sfociare nel controllo del Corno d'Africa.
Attraverso i commercianti e gli studiosi italiani che frequentavano
la zona, già dagli anni sessanta, l'Italia cercò di
penetrare all'interno dell'Etiopia (all'epoca retta dal Negus
Neghesti (Re dei Re, cioè Imperatore) Giovanni IV, ma con la
presenza di un stato relativamente autonomo nei territori del sud,
retto da Menelik II), cercando di dividere i due Negus. Nel 1889
l'Italia ottenne, tramite un accordo da parte del Console italiano
di Aden con i Sultani che governavano la zona, i protettorati su
Obbia e su Migiurtinia. Nel 1892 il Sultano di Zanzibar concesse in
affitto i porti del Benadir (fra cui Mogadiscio e Brava) alla
società commerciale "Filonardi". Il Benadir, sebbene gestito
da una società privata, fu sfruttato dal Regno d'Italia come
base di partenza per delle spedizioni esplorative verso le foci del
Giuba e dell'Omo, e per ottenere il protettorato sulla città
di Lugh.
A seguito della sconfitta e della morte dell'Imperatore Giovanni IV
in una guerra contro i dervisci sudanesi (1889), l'esercito italiano
occupò parte dell'altopiano etiopico, compresa la
città di Asmara, sulla base di precedenti accordi fatti con
Menelik il quale, con la morte del rivale, era riuscito a farsi
riconoscere Negus Neghesti. Con il trattato che seguì,
Menelik accettò la presenza degli italiani sull'altopiano
etiope e riconobbe nell'Italia l'interlocutore privilegiato con gli
altri paesi europei. Quest'ultimo riconoscimento fu interpretato
dagli italiani come l'accettazione di un protettorato e negli anni
seguenti sarà fonte di discordie fra i due paesi.
La politica di progressiva conquista dell'Etiopia si
concretizzò con la campagna d'Africa Orientale (1895-1896) e
terminò con la sconfitta nella battaglia di Adua (1º
marzo 1896). Fu uno dei pochi successi della resistenza africana al
colonialismo europeo del XIX secolo. Anche dopo questa cocente
sconfitta la politica coloniale nel Corno d'Africa continuò
con il protettorato sulla Somalia, dichiarata colonia nel 1905.
Altre colonie acquisite nel primo ventennio del novecento
Nel 1901, come a molte altre potenze straniere, fu garantito
all'Italia una concessione commerciale nell'area della città
di Tientsin (l'odierna Tianjin) in Cina. La concessione italiana, di
46 ettari, fu una delle minori concessioni concesse dall'Impero
cinese alle potenze europee e, alla fine della prima guerra
mondiale, si espanse inglobando la concessione austriaca nella
stessa città. I termini di tale concessione vennero
ridiscussi, e infine la stessa concessione venne di fatto sospesa, a
seguito di un accordo tra la Repubblica Sociale Italiana e il
governo filo-giapponese della Repubblica di Nanchino (che
inglobò la concessione) nel 1943. Dopo l'armistizio dell'8
settembre 1943, la guarnigione italiana a Tientsin combatté
contro i giapponesi, ma dovette poi arrendersi e pagare con la
prigionia in Corea. La concessione di Tientsin, così come i
quartieri commerciali italiani a Shanghai, Hankou e Pechino, furono
formalmente soppressi con il trattato di pace del 1947. Dopo una
breve guerra contro l'Impero ottomano nel 1911, l'Italia
acquisì il controllo della Tripolitania e della Cirenaica,
ottenendo il riconoscimento internazionale a seguito al Trattato di
Losanna (1912). Le mire italiane sulla Libia, vennero appoggiate
dalla Francia, che vedeva di buon occhio l'occupazione di quel
territorio in funzione anti-inglese. Con il fascismo, alla Libia
venne attribuito l'appellativo di quarta sponda, quando in
realtà per gran parte degli anni venti fu impegnata in una
sanguinosa pacificazione della colonia.
Tra l'aprile e l'agosto del 1912, durante la fase conclusiva della
guerra in Libia contro l'Impero ottomano, l'Italia decise di
occupare dodici isole del mar Egeo sottoposte al dominio turco: il
cosiddetto Dodecaneso. A seguito del Trattato di Losanna (1912),
l'Italia poté mantenere l'occupazione militare del Dodecaneso
fino a quando l'esercito turco non avesse abbandonato completamente
l'area libica. Questo processo avvenne lentamente, anche
perché alcuni ufficiali ottomani decisero di collaborare con
la resistenza libica, per cui l'occupazione del Dodecaneso venne
mantenuta nei fatti fino al 21 agosto 1915, giorno in cui l'Italia,
entrata nella prima guerra mondiale assieme le forze dell'Intesa,
riprese le ostilità contro l'Impero ottomano.
Durante la guerra e l'occupazione italiana di Adalia l'isola di Rodi
fu sede di un'importante base navale per le forze marine britanniche
e francesi. Dopo la vittoria nella prima guerra mondiale, il Regno
d'Italia intendeva consolidare formalmente la propria presenza
nell'area dell'Egeo e lungo le coste turche. Tramite un accordo con
il governo greco all'interno del Trattato di Sèvres del 1919,
si stabilì che Rodi diventasse italiana anche dal punto di
vista formale, mentre le altre undici isole sarebbero passate alla
Grecia, come la totalità delle altre isole del mar Egeo. In
cambio, l'Italia avrebbe ottenuto dallo stato greco il controllo
della parte sud-ovest dell'Anatolia (Occupazione italiana di
Adalia), che si estendeva da Konya fino ad Alanya e che comprendeva
il bacino carbonifero di Adalia. La sconfitta dei Greci nella guerra
contro la Repubblica di Turchia nel 1922, rese impossibile l'accordo
e l'Italia mantenne l'occupazione di fatto delle isole fino a
quando, con il Trattato di Losanna (1923), l'amministrazione
dell'arcipelago non le fu riconosciuto internazionalmente.
L'isola di Saseno fu occupata il 30 ottobre 1914 dal Regno d'Italia,
fino a quando, dopo la prima guerra mondiale, il 18 settembre 1920,
grazie ad un accordo italo-albanese (accordo di Tirana del 2 agosto
1920, in cambio delle pretese italiane su Valona) e ad un accordo
con la Grecia, entrò a far parte dell'Italia che la voleva
per la sua posizione strategica. Fece prima parte della provincia di
Zara (dal 1920 al 1941), poi nel 1941 entrò a far parte della
provincia di Cattaro (Dalmazia). Occupata dai tedeschi nel settembre
del 1943 e dai partigiani albanesi nel maggio del 1944, l'isola
venne restituita all'Albania per effetto del Trattato di Parigi del
10 febbraio (1947). Oggi sull'isola esiste un deposito e una caserma
della Guardia Costiera aperta nel 1997 per reprimere i traffici
illeciti tra l'Italia e l'Albania e restano le installazioni
(incluso un faro e varie fortificazioni) costruite durante la
precedente occupazione italiana.
Dalla Sirte al Ciad
Uno dei tentativi di creare un Impero coloniale oltre il Corno
d'Africa era quello di un'espansione che andasse dal mare
Mediterraneo al golfo di Guinea. Il progetto non venne mai
esplicitato pubblicamente, ma fu chiaro durante le trattative per il
Trattato di Versailles (1919), dopo la prima guerra mondiale, che
causò frizioni diplomatiche con la Francia. Per realizzare
questa intenzione, avendo già formale possesso della Libia,
il corpo diplomatico italiano chiese di avere la colonia tedesca del
Camerun e cercò di ottenere, come compenso per la
partecipazione alla guerra mondiale, il passaggio del Ciad dalla
Francia all'Italia. Il progetto fallì quando il Camerun venne
assegnato alla Francia e l'Italia ottenne solamente l'Oltregiuba,
oltre a una ridefinizione dei confini tra la Libia e ed il Ciad,
possedimento francese.
Una delle richieste italiane durante il Trattato di Versailles dopo
la prima guerra mondiale fu quella di annettere la Somalia Francese
e il Somaliland in cambio della rinuncia alla partecipazione nella
ripartizione delle colonie tedesche tra le forze dell'Intesa. Il
tentativo non ebbe seguito. Fu l'ultima manovra dello stato
liberale, prima del fascismo, relativa alla penetrazione nel Corno
d'Africa.
Fatti di sangue durante il dominio coloniale italiano
A seguito dell'uccisione di civili e militari italiani in Libia ed
Etiopia[49], durante il dominio coloniale italiano in Africa furono
commesse (anche se in misura inferiore a quanto fatto - ad esempio -
da inglesi e francesi[50]) alcune atrocità e crimini contro
l'umanità[51][52].
L'Italia nella prima guerra mondiale (1915-1918)
L'iniziale neutralità
Nella prima guerra mondiale l'Italia rimase inizialmente neutrale,
per poi scendere al fianco degli alleati il 23 maggio 1915 dopo la
firma del segreto Patto di Londra. L'accordo prevedeva che l'Italia
entrasse in guerra al fianco dell'Intesa entro un mese, ed in cambio
avrebbe ottenuto, in caso di vittoria, il Trentino, l'Alto Adige, la
Venezia Giulia, l'Istria, con l'esclusione di Fiume, parte della
Dalmazia.
Per quanto riguarda le colonie, l'Italia avrebbe conquistato
l'arcipelago del Dodecaneso (occupato, ma non annesso a colonia dopo
la guerra italo-turca), la base di Valona in Albania, il bacino
carbonifero di Adalia in Turchia, nonché un'espansione delle
colonie africane, a scapito della Germania (l'Italia in Africa
possedeva già Libia, Somalia ed Eritrea).
1915-1918
Lo stato italiano decise di entrare in guerra il 24 maggio 1915.
Il comando dell'esercito venne affidato al generale Luigi Cadorna,
che aveva come obiettivo il raggiungimento di Vienna passando per
Lubiana[53]. All'alba del 24 maggio il Regio Esercito sparò
il primo colpo di cannone contro le postazioni austro-ungariche
asserragliate a Cervignano del Friuli che, poche ore più
tardi, divenne la prima città conquistata. All'alba dello
stesso giorno la flotta austro-ungarica bombardò la stazione
ferroviaria di Manfredonia; alle 23:56, bombardò Ancona. Lo
stesso 24 maggio cadde il primo soldato italiano, Riccardo di
Giusto. Il fronte aperto dall'Italia ebbe come teatro le Alpi, dallo
Stelvio al mare Adriatico. Lo sforzo principale per sfondare il
fronte fu concentrato nella regione delle valli Isonzo, in direzione
di Lubiana. Dopo un'iniziale avanzata italiana, gli austro-ungarici
ricevettero l'ordine di trincerarsi e resistere. Si arrivò
così a una guerra di posizione simile a quella che si stava
svolgendo sul fronte occidentale. La guerra continuò con
pochi risultati e molte perdite nel corso del 1915, 1916, 1917.
Nell'ottobre 1917 la Russia abbandonò il conflitto a causa
della rivoluzione comunista. Le truppe degli Imperi Centrali furono
spostate dal fronte orientale a quello occidentale. Visti gli esiti
dell'ultima offensiva italiana e i rinforzi provenienti dal fronte
orientale, austro-ungarici e tedeschi decisero di tentare l'avanzata
e il 24 ottobre ruppero il fronte convergendo su Caporetto e
accerchiando la 2ª Armata comandata dal generale Luigi Capello.
L'unica armata resistita al disastro[54] fu la 3ª, guidata da
Emanuele Filiberto di Savoia, cugino di Re Vittorio Emanuele III.
La rottura del fronte di Caporetto provocò il crollo delle
postazioni italiane lungo l'Isonzo, con la ritirata delle armate
schierate dall'Adriatico fino alla Valsugana, in Trentino, mentre
gli austriaci avanzarono per 150 km in direzione sud-ovest
raggiungendo Udine in soli quattro giorni. La disfatta portò
alla destituzione di Capello, ritenuto il principale responsabile
della sconfitta, e di Cadorna, quest'ultimo sostituito dal
maresciallo Armando Diaz nel ruolo di capo di stato maggiore; ma fu
anche la cagione di un elevato malcontento nelle truppe, che
portò a frequenti disordini, molti dei quali terminati con
sommarie fucilazioni. Gli austro-ungarici fermarono gli attacchi in
attesa della primavera del 1918, preparando un'offensiva che li
avrebbe dovuti portare a penetrare nella pianura veneta. Tale
offensiva arrivò il 15 giugno: l'esercito dell'Impero
attaccò con 66 divisioni nella battaglia del solstizio (15-23
giugno 1918), che vide gli italiani resistere all'assalto. Gli
austro-ungarici persero le loro speranze, visto che il paese era
ormai a un passo dal tracollo, assillato dall'impossibilità
di continuare a sostenere lo sforzo bellico sul piano economico e su
quello sociale, data l'incapacità dello Stato di farsi
garante dell'integrità dello stato multinazionale asburgico.
Con i popoli dell'impero asburgico sull'orlo della rivoluzione,
l'Italia anticipò di un anno l'offensiva prevista per il 1919
per impegnare le riserve austro-ungariche ed impedire loro la
prosecuzione dell'offensiva sul fronte francese. Da Vittorio Veneto,
il 23 ottobre partì l'offensiva. Gli italiani avanzarono
rapidamente in Veneto, Friuli e Cadore e il 29 ottobre
l'Austria-Ungheria si arrese. Il 3 novembre, a Villa Giusti, presso
Padova l'esercito dell'Impero firmò l'armistizio.
Esito
L'Italia completò la sua riunificazione nazionale acquisendo
il Trentino-Alto Adige, la Venezia Giulia, l'Istria, alcuni
territori del Friuli ancora irredenti e la città di Trieste.
Queste regioni avevano fatto parte, fino ad allora, della
Cisleitania nell'ambito dell'Impero austro-ungarico (ad eccezione
della città di Fiume, incorporata nel Regno d'Italia nel 1924
e posta in Transleitania). Inoltre al Regno d'Italia furono
assegnate alcune compensazioni territoriali in Africa, come
l'Oltregiuba in Somalia. Ma il prezzo fu altissimo: 651.010 soldati,
589.000 civili per un totale di 1.240.000 morti su di una
popolazione di soli 36 milioni, con la più alta
mortalità nella fascia di età compresa tra 20 e 24
anni.[55][56][57]
Il ventennio fascista
Nascita del fascismo e marcia su Roma
Dopo la prima guerra mondiale la situazione interna italiana era
precaria: le casse statali erano quasi vuote anche perché la
lira durante il conflitto aveva perso buona parte del suo valore, a
fronte di un costo della vita aumentato di almeno il 450%.
Scarseggiavano le materie prime e le industrie faticavano a
convertire la produzione bellica in produzione di pace e ad
assorbire l'abbondanza di manodopera accresciuta dai soldati di
ritorno dal fronte. Inoltre, il paese, con la sua economia basata
sull'agricoltura, perse una grossa fetta della sua forza-lavoro
causando la rovina di moltissime famiglie. Per questi motivi nessun
ceto sociale era soddisfatto, e soprattutto tra i benestanti
s'insinuò il timore di una possibile rivoluzione comunista,
sull'esempio russo. L'estrema fragilità socio-economica
portò spesso a disordini, che il più delle volte
venivano stroncati con metodi sbrigativi e sanguinari dalle forze
armate.
Inoltre il Trattato di Versailles (1919) non aveva portato a nessun
vantaggio importante all'Italia: infatti il patto (memorandum) di
Londra, che prevedeva l'annessione all'Italia della Dalmazia, non
venne rispettato. In base al principio di autodeterminazione dei
popoli, propugnato dal presidente americano Woodrow Wilson, la
Dalmazia venne annessa al neocostituito Regno dei Serbi, dei Croati
e degli Sloveni, con l'eccezione di Zara (a maggioranza italiana) e
dell'isola di Lagosta, che con altre tre isole vennero annesse
all'Italia.
Tra gli strati sociali più scontenti e più soggetti
alle suggestioni ed alla propaganda nazionalista che, a seguito del
Trattato di Pace, si infiammò ed alimentò il mito
della vittoria mutilata, emersero le organizzazioni di reduci ed in
particolare quelle che raccoglievano gli ex-arditi (truppe scelte
d'assalto), presso le quali, al malcontento generalizzato, si
aggiungeva il risentimento causato dal non aver ottenuto un adeguato
riconoscimento per i sacrifici, il coraggio e lo sprezzo del
pericolo dimostrati in anni di duri combattimenti al fronte.
Tale era il contesto nel quale il 23 marzo 1919 Benito Mussolini
fondò a Milano il primo fascio di combattimento, un nuovo
movimento che espresse la volontà di «trasformare, se
sarà inevitabile anche con metodi rivoluzionari, la vita
italiana», autodefinendosi partito dell'ordine e riuscendo
così a guadagnarsi la fiducia dei ceti più ricchi e
conservatori, contrari a ogni agitazione e alle rivendicazioni
sindacali che caratterizzarono il cosiddetto biennio rosso. Il
momento pareva propizio per Mussolini, ed un forte contingente di
50.000 squadristi venne radunato nell'alto Lazio e mosse contro la
Capitale, il 26 ottobre 1922. Mentre l'Esercito si preparava a
fronteggiare il colpo di mano fascista (con Badoglio principale
sostenitore della linea dura) il re Vittorio Emanuele III si
rifiutò di firmare il decreto di stato d'emergenza,
costringendo alle dimissioni il presidente del consiglio Luigi Facta
ed il suo governo. Le camicie nere marciarono sulla Capitale il 28
ottobre, senza incontrare alcuna resistenza. Il 30 ottobre, dopo la
marcia su Roma, il re incaricò Mussolini di formare il nuovo
governo.
Il fascismo diventa dittatura
Una volta eletto Presidente del Consiglio, Mussolini decise di
rafforzare il proprio potere. In vista delle elezioni del 6 aprile
1924 Mussolini fece approvare una nuova legge elettorale (c.d. Legge
Acerbo) che avrebbe dato i tre quinti dei seggi alla lista che
avesse raccolto il 40% dei voti. Il listone guidato da Mussolini
ottenne il 64,9% dei voti. Il 30 maggio 1924 il deputato socialista
Giacomo Matteotti prese la parola alla Camera contestando i
risultati delle elezioni. Il 10 giugno 1924 Matteotti venne rapito e
ucciso. Il 3 gennaio 1925 alla Camera Mussolini recitò il
famoso discorso in cui si assunse ogni responsabilità per i
fatti avvenuti:
« Dichiaro qui, al cospetto di questa Assemblea e al cospetto
di tutto il popolo italiano, che io assumo, io solo, la
responsabilità politica, morale, storica di tutto quanto
è avvenuto. Se le frasi più o meno storpiate bastano
per impiccare un uomo, fuori il palo e fuori la corda! Se il
fascismo non è stato che olio di ricino e manganello, e non
invece una passione superba della migliore gioventù italiana,
a me la colpa! Se il fascismo è stato un'associazione a
delinquere, io sono il capo di questa associazione a delinquere! Se
tutte le violenze sono state il risultato di un determinato clima
storico, politico e morale, ebbene a me la responsabilità di
questo, perché questo clima storico, politico e morale io
l'ho creato con una propaganda che va dall'intervento ad oggi.
»
Con questo discorso Mussolini si era dichiarato dittatore. Nel
biennio 1925-1926 vennero emanati una serie di provvedimenti
liberticidi: furono sciolti tutti i partiti e le associazioni
sindacali non fasciste, venne soppressa ogni libertà di
stampa, di riunione o di parola, venne ripristinata la pena di morte
e venne creato un Tribunale speciale con amplissimi poteri, in grado
di mandare al confino con un semplice provvedimento amministrativo
le persone sgradite al regime.
Politica interna
Il fascismo in politica interna tentò di contrastare la
svalutazione della lira con misure quali la messa in commercio di
pane con meno farina, l'aggiunta di alcool alla benzina, l'aumento
delle ore di lavoro da 8 a 9 senza variazioni di salario,
l'istituzione della tassa sul celibato, la riduzione dei prezzi dei
giornali, dei biglietti e dei francobolli ecc. L'11 febbraio 1929
furono firmati i Patti lateranensi, che stabilirono il mutuo
riconoscimento tra il Regno d'Italia e lo Stato della Città
del Vaticano. Con la ratifica del concordato la religione cattolica
divenne la religione di stato in Italia, fu istituito l'insegnamento
della religione cattolica nelle scuole e fu riconosciuta la
sovranità e l'indipendenza della Santa Sede. Il fascismo
tentò inoltre di rendere "pura" la lingua italiana
italianizzando i prestiti linguistici[58] e i toponimi stranieri in
Valle d'Aosta e in Trentino Alto-Adige. Inoltre viene imposto l'uso
del voi al posto del lei, considerato straniero.
L'11 ottobre 1935 l'Italia venne sanzionata per l'invasione
dell'Etiopia. Le sanzioni in vigore dal 18 novembre consistono
essenzialmente nell'embargo. In realtà fu soltanto la Gran
Bretagna a osservare le regole imposte dalle sanzioni. In seguito
all'embargo, la propaganda politica spinse affinché si
consumassero solo prodotti italiani. Fu in pratica la nascita
dell'autarchia, secondo la quale tutto doveva essere prodotto e
consumato all'interno dello stato. Per esempio venne sostituito: la
lana con il lanital (la lana di caseina), la benzina con il
carburante nazionale (benzina con l'85% di alcool) mentre il
caffè venne sostituito con il "caffè" d'orzo. Le
sanzioni all'Italia avvicinarono Mussolini a Adolf Hitler, il
dittatore nazista tedesco. Ben presto i due dittatori strinsero
un'alleanza, che venne consolidata dalla promulgazione, nel 1938, da
parte di Mussolini delle leggi razziali che privarono di molti
diritti civili e politici gli Ebrei (e tutte le altre "razze
inferiori"): molti persero il lavoro solo perché Ebrei.
La politica estera e l'Impero
A seguito della completa conquista della Libia, avvenuta alla fine
degli anni venti, Mussolini manifestò l'intenzione di dare un
Impero all'Italia e l'unico territorio rimasto libero da ingerenze
straniere era l'Abissinia, nonostante fosse membro della
Società delle Nazioni. Il progetto d'invasione iniziò
all'indomani della conclusione degli accordi sul trattato di
amicizia e si concluse con l'ingresso dell'esercito italiano ad
Addis Abeba il 5 maggio 1936.
L'Impero coloniale italiano nel 1940, nel momento di massima
espansione.
Quattro giorni dopo venne proclamata la nascita dell'Impero italiano
e l'incoronazione di Vittorio Emanuele III come Imperatore d'Etiopia
(con il titolo di Qesar, anziché quello di Negus Neghesti).
Con la conquista di gran parte dell'Etiopia si procedette ad una
ristrutturazione delle colonie del Corno d'Africa. Somalia, Eritrea
ed Abissinia vennero riunite nel vicereame dell'Africa Orientale
Italiana (AOI). Il progetto coloniale terminò con
l'occupazione britannica dei territori soggetti al dominio italiano
nel 1941. Dal 1938 in Europa si iniziò a respirare aria di
guerra: Hitler aveva già annesso l'Austria e i Sudeti e con
la successiva Conferenza di Monaco gli venne dato il lasciapassare
per l'annessione di tutta la Cecoslovacchia mentre Mussolini, dopo
l'Etiopia, stava cercando nuovi obiettivi per non perdere il passo
dell'alleato tedesco. La vittima designata venne trovata
nell'Albania. In due soli giorni (7-8 aprile 1939), con l'ausilio di
22.000 uomini e 140 carri armati, Tirana fu conquistata. Vittorio
Emanuele III divenne anche re d'Albania. Il 22 maggio 1939 venne
firmato il Patto d'acciaio tra Germania e Italia.
*
Storia d'Italia (1861-1939)
Lo stato italiano nacque nel 1861 dopo l'esito della seconda guerra
di indipendenza e dopo i plebisciti nei diversi territori
conquistati o annessi. Con la prima convocazione del Parlamento
italiano del 18 febbraio 1861 e la successiva proclamazione del 17
marzo, Vittorio Emanuele II di Savoia divenne il primo re d'Italia
(1861-1878).
La popolazione, rispetto all'originario Regno di Sardegna,
quintuplicò. Istituzionalmente e giuridicamente, il Regno
d'Italia venne configurandosi come un ingrandimento del Regno di
Sardegna, esso fu infatti una monarchia costituzionale. Il neonato
Stato quindi si ritrovò, fin dai primi tempi, a tentare di
risolvere problemi di standardizzazione delle leggi, di mancanza di
risorse a causa delle casse statali vuote per le spese belliche, di
creazione di una moneta unica per tutta la penisola e, più in
generale, problemi di gestione per tutte le terre improvvisamente
acquisite. Difficoltà cui si aggiungevano altre carenze
strutturali, come ad esempio l'analfabetismo e la povertà
diffusa, nonché la mancanza di infrastrutture.
Le questioni che tennero banco nei primi anni dopo l'unificazione
d'Italia furono la disastrosa situazione economica del Mezzogiorno
ed il brigantaggio antisabaudo delle regioni meridionali
(soprattutto tra il 1861 e il 1869): il problema divenne noto come
la "questione meridionale". Ulteriore elemento di fragilità
per il giovane regno italiano fu l'ostilità della chiesa e
del clero cattolico nei suoi confronti, ostilità che si
sarebbe rafforzata dopo il 1870 e la presa di Roma assumendo anche
in questo caso la denominazione di "questione romana".
La destra storica
La Destra storica, composta principalmente dall'alta borghesia e dai
proprietari terrieri, formò il nuovo governo, che ebbe come
primi obiettivi il completamento dell'unificazione nazionale, la
costruzione del nuovo stato (per il quale si scelse un modello
centralista) e il risanamento finanziario mediante nuove tasse che
produssero scontento popolare e accentuarono il brigantaggio,
represso con la forza.
In politica estera, la Destra storica mantenne la tradizionale
alleanza con la Francia, anche se le due nazioni si scontrarono in
diverse questioni, prime fra tutte l'annessione del Veneto e la
presa di Roma.
Nel 1876 il governo venne esautorato per la prima volta non per
autorità regia, bensì dal Parlamento (rivoluzione
parlamentare). Ebbe così inizio l'epoca della Sinistra
storica, guidata da Agostino Depretis. Finiva un'epoca: solo pochi
anni dopo, Vittorio Emanuele II morì, e sul trono gli
successe Umberto I.
La sinistra storica
La Sinistra abbandonò l'obiettivo del pareggio di bilancio e
avviò delle politiche di democratizzazione e ammodernamento
del paese, investendo nell'istruzione pubblica e allargando il
suffragio, e avviando una politica protezionistica di investimenti
in infrastrutture e sviluppo dell'industria nazionale
coll'intervento diretto dello stato nell'economia.
Per ciò che concerne la politica estera Depretis
abbandonò l'alleanza con la Francia, a causa della conquista
da parte dello stato d'oltralpe della Tunisia. L'Italia entrò
quindi nella Triplice Alleanza, alleandosi con la Germania e
l'Impero austro-ungarico. Favorì lo sviluppo del colonialismo
italiano, innanzitutto con l'occupazione di Massaua in Eritrea.
L'epoca giolittiana
Dal 1901 al 1914 la storia e la politica italiana fu fortemente
influenzata dai governi guidati da Giovanni Giolitti.
Come neo-presidente del Consiglio si trovò a dover
affrontare, prima di tutto, l'ondata di diffuso malcontento che la
politica Crispina aveva provocato con l'aumento dei prezzi. Ed
è con questo primo confronto con le parti sociali che si
evidenziò la ventata di novità che Giolitti
portò nel panorama politico a cavallo tra il XIX ed il XX
secolo. Non più repressione autoritaria, bensì
accettazione delle proteste e quindi degli scioperi, purché
non violenti né politici, con lo scopo (riuscito) di portare
i socialisti nell'arco parlamentare.
Gli interventi più importanti di Giolitti furono la
legislazione sociale e sul lavoro, il suffragio universale maschile,
la nazionalizzazione delle ferrovie e delle assicurazioni, la
riduzione del debito statale, lo sviluppo delle infrastrutture e
dell'industria.
In politica estera, ci fu il riavvicinamento dell'Italia alla
Triplice intesa di Francia, Regno Unito e Russia. Fu continuata la
politica coloniale nel Corno d'Africa, e dopo la guerra italo-turca,
furono occupate Libia e Dodecaneso. Giolitti fallì nel suo
tentativo di arginare il nazionalismo come aveva costituzionalizzato
i socialisti, e non riuscì quindi a impedire l'entrata
dell'Italia nella prima guerra mondiale e quindi l'ascesa del
fascismo.
L'avventura coloniale
Il Corno d'Africa
L'inizio del regno vide l'Italia impegnata anche in una serie di
guerre di espansione coloniale. L'occupazione cominciò nel
novembre 1869 con il padre lazzarista Giuseppe Sapeto che
avviò le trattative per l'acquisto della Baia di Assab. Il
governo egiziano contestò tale acquisizione e
rivendicò il possesso della baia: da ciò seguì
una lunga controversia che si concluse solo nel 1882 dopo tre
tentativi. L'iniziativa fu appoggiata dai governi di sinistra di
Agostino Depretis e da una compagnia private guidata da Raffaele
Rubattino. Il 10 marzo 1882 il governo italiano acquistò il
possedimento di Assab, che il 5 luglio dello stesso anno
diventò ufficialmente italiano.
Oltre all'acquisizione di Assab da parte della società
Rubattino, lo stato italiano cercò di occupare il porto di
Zeila, a quel tempo controllato dagli egiziani, ma con esito
negativo. Quando gli egiziani si ritirarono dal Corno d'Africa nel
1884, i diplomatici italiani fecero un accordo con la Gran Bretagna
per l'occupazione del porto di Massaua che assieme ad Assab
formò i cosiddetti possedimenti italiani nel mar Rosso. Dal
1890 assunsero la denominazione ufficiale di Colonia Eritrea.
L'interesse per la fondazione di colonie italiane continuò
anche durante i governi di Francesco Crispi. La città di
Massaua diventò il punto di partenza per un progetto che
sarebbe dovuto sfociare nel controllo del Corno d'Africa. Agli inizi
degli anni ottanta questa zona era abitata da popolazioni etiopiche,
dancale, somale e oromo, autonome oppure soggette a dominatori.
All'epoca i signori della zona erano gli egiziani (lungo le coste
del mar Rosso), alcuni sultanati (i più importanti furono gli
Harar, gli Obbia, e i Zanzibar), emiri o capi tribali. Diverso il
caso dell'Etiopia, allora retta dal Negus Neghesti (Re dei Re,
cioè Imperatore) Giovanni IV, ma con la presenza di uno stato
relativamente autonomo nei territori del sud, retto da Menelik II.
Attraverso i commercianti e gli studiosi italiani che frequentavano
la zona, già dagli anni sessanta, l'Italia cercò di
dividere i due Negus al fine di penetrare, prima politicamente e poi
militarmente, all'interno dell'Etiopia. Tra i progetti ci fu
l'occupazione della città santa di Harar, l'acquisto di Zeila
dai britannici e l'affitto del porto di Chisimaio, posto alla foce
del Giuba, in Somalia. Tutti e tre i progetti non si conclusero
positivamente.
Nel 1889 l'Italia ottenne, tramite un accordo da parte del Console
italiano di Aden con i Sultani che governavano la zona, i
protettorati su Obbia e su Migiurtinia. Nel 1892 il Sultano di
Zanzibar concesse in affitto i porti del Benadir (fra cui Mogadiscio
e Brava) alla società commerciale "Filonardi". Il Benadir,
sebbene gestito da una società privata, fu sfruttato dal
Regno d'Italia come base di partenza per delle spedizioni
esplorative verso le foci del Giuba e dell'Omo, e per ottenere il
protettorato sulla città di Lugh.
A seguito della sconfitta e della morte dell'Imperatore Giovanni IV
in una guerra contro i dervisci sudanesi (1889), l'esercito italiano
occupò una parte dell'altopiano etiopico, compresa la
città di Asmara, sulla base di precedenti accordi fatti con
Menelik il quale, con la morte del rivale, era riuscito a farsi
riconoscere Negus Neghesti, cioè “Re di Re” (“Imperatore”).
Con il trattato che seguì, Menelik accettò la presenza
degli italiani sull'altopiano etiope e riconobbe nell'Italia
l'interlocutore privilegiato con gli altri paesi europei.
Quest'ultimo riconoscimento fu interpretato dagli italiani come
l'accettazione di un protettorato e negli anni seguenti sarà
fonte di discordie fra i due paesi.
La politica di progressiva conquista dell'Etiopia si
concretizzò con la campagna d'Africa Orientale (1895-1896) e
terminò con la sconfitta di Adua (1º marzo 1896). Fu uno
dei pochi successi della resistenza africana al colonialismo europeo
del XIX secolo. Anche dopo questa cocente sconfitta la politica
coloniale nel Corno d'Africa continuò con il protettorato
sulla Somalia, dichiarata colonia nel 1905.
Dalla Sirte al Ciad
Uno dei tentativi di creare un Impero coloniale oltre il Corno
d'Africa era quello di un'espansione che andasse dal mare
Mediterraneo al golfo di Guinea. Il progetto non venne mai
esplicitato pubblicamente, ma fu chiaro durante le trattative per il
Trattato di Versailles (1919), dopo la prima guerra mondiale, che
causò frizioni diplomatiche con la Francia. Per realizzare
questa intenzione, avendo già formale possesso della Libia,
il corpo diplomatico italiano chiese di avere la colonia tedesca del
Camerun e cercò di ottenere, come compenso per la
partecipazione alla guerra mondiale, il passaggio del Ciad dalla
Francia all'Italia. Il progetto fallì quando il Camerun venne
assegnato alla Francia e l'Italia ottenne solamente l'Oltregiuba,
oltre a una ridefinizione dei confini tra la Libia e ed il Ciad,
possedimento francese.
Una delle richieste italiane durante il Trattato di Versailles dopo
la prima guerra mondiale fu quella di annettere la Somalia Francese
e il Somaliland in cambio della rinuncia alla partecipazione nella
ripartizione delle colonie tedesche tra le forze dell'Intesa. Il
tentativo non ebbe seguito. Fu l'ultima manovra dello “stato
liberale”, prima del fascismo, relativa alla penetrazione nel Corno
d'Africa.
Colonie italiane
Eritrea (1884 - 1941)
L'area del mar Rosso fu una delle zone che suscitò il maggior
interesse dei governi della Sinistra italiana.
Primo nucleo della futura colonia Eritrea fu l'area commerciale
stabilita dalla società Rubattino nel 1870 presso la baia di
Assab. Abbandonata per quasi dieci anni, fu poi acquistata dallo
stato italiano agli inizi degli anni ottanta e assieme al porto di
Massaua, occupato nel 1884, compose i possedimenti italiani del mar
Rosso.
Con il Trattato di Uccialli i possedimenti italiani vennero estesi
nell'entroterra fino alle sponde del fiume Mareb. Di conseguenza il
1º gennaio 1890 fu istituzionalizzato il possesso di quei
territori con la creazione di una colonia retta da un Governatore e
avente capoluogo la città di Asmara (climaticamente
più confortevole per gli italiani rispetto a Massaua).
La massima espansione dei suoi confini fu raggiunta agli inizi del
1896, quando il Governatore della colonia, Oreste Baratieri dovette
tramutare in realtà il progetto di occupazione
dell'entroterra etiopico. Nel 1894 aveva fatto occupare la
città sudanese di Cassala, allora possedimento derviscio,
mentre nel 1895 durante la campagna d'Africa Orientale,
occupò ampie zone del Tigray, comprendenti la città di
Axum. A seguito della sconfitta nella battaglia di Adua, i confini
della colonia ritornarono ad essere quelli stabiliti dal Trattato e
tali rimasero fino alla guerra d'Etiopia.
Primo governatore non militare fu Ferdinando Martini a quel tempo
convinto sostenitore della necessità per lo stato italiano di
possedere colonie. A costui toccò il compito di ristabilire
contatti pacifici con l'Etiopia, di migliorare i rapporti fra
italiani e popolazioni indigene e di creare un corpo di funzionari
che portasse avanti l'amministrazione della colonia. Fu grazie alla
sua politica che la colonia ebbe degli Ordinamenti Organici e dei
codici coloniali.
La Somalia (1890 - 1941)
La prima penetrazione italiana in Somalia fu stabilita nel sud del
paese africano tra il 1889 e il 1890 come protettorato. Fu
dichiarata colonia nel 1905. Nel giugno 1925 la sfera di influenza
italiana venne estesa fino ai territori dell'Oltregiuba e le isole
Giuba, fino ad allora parte del Kenya inglese e cedute come
ricompensa per l'entrata in guerra a fianco degli Alleati durante la
prima guerra mondiale.
Tientsin, Cina (1901 - 1943)
Nel 1901, come a molte altre potenze straniere, fu garantito
all'Italia una concessione commerciale nell'area della città
di Tientsin (l'odierna Tianjin) in Cina. La concessione italiana, di
46 ettari, fu una delle minori concessioni concesse dal Celeste
impero alle potenze europee. Dopo la fine della prima guerra
mondiale la concessione austriaca nella stessa città fu
inglobata in quella italiana. I termini di tale concessione vennero
ridiscussi, e infine la stessa concessione venne di fatto sospesa, a
seguito di un accordo tra la Repubblica Sociale Italiana e il
governo filo-giapponese della Repubblica di Nanchino (che
inglobò la concessione) nel 1943. Dopo l'armistizio dell'8
settembre 1943, la guarnigione italiana a Tientsin combatté
contro i giapponesi, ma dovette poi arrendersi e pagare con la
prigionia in Corea. La concessione di Tientsin, così come i
quartieri commerciali italiani a Shanghai, Hankow e Pechino, furono
formalmente soppressi con il trattato di pace del 1947.
Libia (1911 - 1943)
Dopo una breve guerra contro l'Impero ottomano nel 1911, l'Italia
acquisì il controllo della Tripolitania e della Cirenaica,
ottenendo il riconoscimento internazionale a seguito degli accordi
del Trattato di Losanna. Le mire italiane sulla Libia, vennero
appoggiate dalla Francia, che vedeva di buon occhio l'occupazione di
quel territorio in funzione anti-inglese. Con il fascismo, alla
Libia venne attribuito l'appellativo di quarta sponda, quando in
realtà per gran parte degli anni venti fu impegnata in una
sanguinosa pacificazione della colonia (durante la quale si fece
ricorso ai gas asfissianti e alle deportazioni di massa).
Il Dodecaneso (1912 - 1943)
Tra l'aprile e l'agosto del 1912, durante la fase conclusiva della
guerra in Libia contro l'Impero Ottomano, l'Italia decise di
occupare dodici isole del mar Egeo sottoposte al dominio turco: il
cosiddetto Dodecaneso. A seguito del Trattato di Losanna, l'Italia
poté mantenere l'occupazione militare delle dodici isole fino
a quando l'esercito turco non avesse abbandonato completamente
l'area libica. Questo processo avvenne lentamente, anche
perché alcuni ufficiali ottomani decisero di collaborare con
la resistenza libica, per cui l'occupazione dell'area nel mar Egeo
venne mantenuta nei fatti fino al 21 agosto 1915, giorno in cui
l'Italia, entrata nella prima guerra mondiale assieme le forze
dell'Intesa, riprese le ostilità contro l'Impero Ottomano.
Durante la guerra e l'occupazione italiana di Adalia l'isola di Rodi
fu sede di un'importante base navale per le forze marine britanniche
e francesi.
Dopo la vittoria nella prima guerra mondiale, il Regno d'Italia
intendeva consolidare formalmente la propria presenza nell'area
dell'Egeo e lungo le coste turche. Tramite un accordo con il governo
greco all'interno del Trattato di Sèvres del 1919, si
stabilì che Rodi diventasse italiana anche dal punto di vista
formale, mentre le altre undici isole sarebbero passate alla Grecia,
come la totalità delle altre isole del mar Egeo. In cambio,
l'Italia avrebbe ottenuto dallo stato greco il controllo della parte
sud-ovest dell'Anatolia (Occupazione italiana di Adalia), che si
estendeva da Konya fino ad Alanya e che comprendeva il bacino
carbonifero di Adalia. La sconfitta dei greci nella guerra contro la
Repubblica di Turchia nel 1922, rese impossibile l'accordo e
l'Italia mantenne l'occupazione di fatto delle isole fino a quando,
con il Trattato di Losanna del 1923, l'amministrazione
dell'arcipelago non le fu riconosciuto internazionalmente.
Saseno (1914-1920)
L'isola di Saseno fu occupata il 30 ottobre 1914 dal Regno d'Italia,
fino a quando, dopo la prima guerra mondiale, il 18 settembre 1920,
grazie ad un accordo italo-albanese (accordo di Tirana del 2 agosto
1920, in cambio delle pretese italiane su Valona) e ad un accordo
con la Grecia, entrò a far parte dell'Italia che la voleva
per la sua posizione strategica.
Fece prima parte della provincia di Zara (dal 1920 al 1941), poi nel
1941 entrò a far parte della provincia di Cattaro (Dalmazia).
Occupata dai tedeschi nel settembre del 1943 e dai partigiani
albanesi nel maggio del 1944, l'isola venne restituita all'Albania
per effetto del Trattato di Parigi del 10 febbraio (1947).
Oggi sull'isola esiste un deposito e una caserma della Guardia
Costiera aperta nel 1997 per reprimere i traffici illeciti tra
l'Italia e l'Albania e restano le installazioni (incluso un faro e
varie fortificazioni) costruite durante la precedente occupazione
italiana.
Fatti di sangue durante il dominio coloniale italiano
A seguito dell'uccisione di civili e militari italiani in Libia ed
Etiopia[1], durante il dominio coloniale italiano in Africa furono
commesse (anche se in misura inferiore a quanto fatto - ad esempio -
da inglesi e francesi[2]) alcune atrocità e crimini contro
l'umanità[3][4].
L'Italia nella prima guerra mondiale (1915-1918)
L'iniziale neutralità
Nella prima guerra mondiale l'Italia rimase inizialmente neutrale,
per poi scendere al fianco degli alleati il 23 maggio 1915 dopo la
firma del segreto Patto di Londra.
L'accordo prevedeva che l'Italia entrasse in guerra al fianco
dell'Intesa entro un mese, ed in cambio avrebbe ottenuto, in caso di
vittoria, il Trentino, il Tirolo fino al Brennero (Alto Adige), la
Venezia Giulia, l'intera penisola istriana, con l'esclusione di
Fiume, una parte della Dalmazia.
Per quanto riguarda i possedimenti coloniale l'Italia avrebbe
conquistato l'arcipelago del Dodecaneso (occupato, ma non annesso a
colonia dopo la guerra italo-turca), la base di Valona in Albania,
il bacino carbonifero di Adalia in Turchia, nonché
un'espansione delle colonie africane, a scapito della Germania
(l'Italia in Africa possedeva già Libia, Somalia ed Eritrea).
1915
Lo stato italiano decise di entrare in guerra il 24 maggio 1915.
L'Isonzo vicino a Caporetto
Il comando dell'esercito venne affidato al generale Luigi Cadorna,
che aveva come obiettivo il raggiungimento di Vienna passando per
Lubiana[5]. All'alba del 24 maggio il Regio Esercito sparò il
primo colpo di cannone contro le postazioni austro-ungariche
asserragliate a Cervignano del Friuli che, poche ore più
tardi, divenne la prima città conquistata. All'alba dello
stesso giorno la flotta austro-ungarica bombardò la stazione
ferroviaria di Manfredonia; alle 23:56, bombardò Ancona. Lo
stesso 24 maggio cadde il primo soldato italiano, Riccardo di
Giusto.
Il comando delle forze armate italiane fu affidato al generale Luigi
Cadorna. Il fronte aperto dall'Italia ebbe come teatro le Alpi,
dallo Stelvio al mare Adriatico. Lo sforzo principale per sfondare
il fronte fu concentrato nella regione delle valli Isonzo, in
direzione di Lubiana. Dopo un'iniziale avanzata italiana, gli
austro-ungarici ricevettero l'ordine di trincerarsi e resistere. Si
arrivò così a una guerra posizione simile a quella che
si stava svolgendo sul fronte occidentale: l'unica differenza
consisteva nel fatto che, mentre sul fronte occidentale le trincee
erano scavate nel fango, sul fronte italiano erano scavate nelle
rocce e nei ghiacciai delle Alpi fino ed oltre i 3.000 metri di
altitudine. Nelle ultime battaglie dell'Isonzo, combattute alla fine
del 1915, le perdite italiane ammontarono a oltre 60.000 morti e
più di 150.000 feriti, equivalenti a circa un quarto delle
forze mobilitate.
1916
L'inizio del 1916 fu caratterizzato dalla quinta battaglia
dell'Isonzo che non portò ad nessun risultato. In scontri che
seguirono gli austro-ungarici sfondarono in Trentino, occupando
l'altopiano di Asiago. Questa offensiva fu fermata a fatica
dall'Esercito italiano che reagì con una controffensiva
respingendo il nemico fino all'altopiano del Carso. Lo scontro fu
chiamato battaglia degli Altipiani.
Il 4 agosto 1916 fu conquistata Gorizia che, pur non essendo di
importanza strategica, fu presa a caro prezzo (20.000 morti e 50.000
feriti). Anche le ultime tre battaglie combattute nell'anno non
portarono a nessun guadagno strategico a fronte però di
37.000 morti e 88.000 feriti.
Oltre la conquista di Gorizia, l'unico guadagno territoriale fu
l'avanzamento del fronte di qualche chilometro in Trentino.
1917
Il 18 agosto 1917 iniziò la più imponente offensiva
italiana nel conflitto, con 600 battaglioni e 5.200 pezzi
d'artiglieria (a fronte, rispettivamente dei 250 e 2.200 austriaci).
Nonostante lo sforzo la battaglia non portò a nessun acquisto
territoriale né tantomeno alla conquista di postazioni
strategie. Ingente fu il prezzo pagato con il sangue (30.000 morti,
110.000 feriti e 20.000 tra dispersi o prigionieri).
Nell'ottobre 1917 la Russia abbandonò il conflitto a causa
della rivoluzione comunista. Le truppe degli Imperi Centrali furono
spostate dal fronte orientale a quello occidentale.
Visti gli esiti dell'ultima offensiva italiana e i rinforzi
provenienti dal fronte orientale, austro-ungarici e tedeschi
decisero di tentare l'avanzata.
Il 24 ottobre gli austro-ungarici e i tedeschi ruppero il fronte
convergendo su Caporetto e accerchiarono la 2a Armata comandato dal
generale Luigi Capello. Il generale Capello e Luigi Cadorna da tempo
avevano il sospetto di un probabile attacco, ma sottovalutarono le
notizie e l'effettiva capacità offensiva delle forze nemiche.
Gli austriaci avanzarono per 150 km in direzione sud-ovest
raggiungendo Udine in soli quattro giorni. L'unica armata che
resistette al disastro[6] fu la 3a, guidata da Emanuele Filiberto di
Savoia, cugino di Re Vittorio Emanuele III.
La rottura del fronte di Caporetto provocò il crollo delle
postazioni italiane lungo l'Isonzo, con la ritirata delle armate
schierate dall'Adriatico fino alla Valsugana, in Trentino. I 350.000
soldati dislocati lungo il fronte si diedero a una ritirata
disordinata assieme a 400.000 civili che scappavano dalle zone
invase. Ingenti furono le perdite di materiale bellico. Inizialmente
si tentò di fermare il ripiegamento portando il nuovo fronte
lungo il fiume Tagliamento, con scarso successo, poi al fiume Piave,
dove, l'11 novembre 1917, la ritirata ebbe fine anche grazie al
diniego di Re Vittorio Emanuele III alla proposta di indietreggiare
fino al Mincio.
A seguito della disfatta, il generale Cadorna, nel comunicato emesso
il 29 ottobre 1917, indicò, in modo errato e strumentale
«la mancata resistenza di reparti della II armata» come
la motivazione dello sfondamento del fronte da parte dell'esercito
austro-ungarico. In seguito Cadorna, invitato a far parte della
Conferenza interalleata a Versailles, venne sostituito dal generale
Armando Diaz, l'8 novembre 1917, dopo che la ritirata si
stabilizzò definitivamente sulla linea del Monte Grappa e del
Piave.
La disfatta portò alcune conseguenze: Cadorna venne rimosso
dall'incarico e sostituito dal maresciallo Armando Diaz nel ruolo di
capo di stato maggiore. Oltre a Cadorna perse il posto anche il
generale Luigi Capello, ritenuto principale responsabile della
sconfitta. Un altro effetto della disfatta l'elevato malcontento
nelle truppe. I disordini furono frequenti, e molti si concludevano
con sommarie fucilazioni.
1918
La severa disciplina di Cadorna, i lunghi mesi in trincea e il
disastro di Caporetto avevano fiaccato l'esercito. Per i militari
più religiosi furono anche determinanti le parole di papa
Benedetto XV sull'”inutile strage”. Diaz, per fronteggiare questi
problemi e per raggiungere la vittoria, cambiò completamente
strategia. Innanzitutto alleggerì la disciplina ferrea.
Secondariamente, essendo il nuovo fronte meglio difendibile di
quello lungo l'Isonzo, puntò ad azioni mirate alla difesa del
territorio nazionale, piuttosto che a sterili ma sanguinosi
contrattacchi. Ciò il compattamento delle truppe e della
nazione, presupposto per la vittoria finale. Già nel 1917
furono chiamata alle armi la classe dei nati nel 1899 (i cosiddetti
“Ragazzi del '99”).
Gli austro-ungarici fermarono gli attacchi in attesa della primavera
del 1918, preparando un'offensiva che li avrebbe dovuti portare a
penetrare nella pianura veneta.
L'offensiva austro-ungarica arrivò il 15 giugno: l'esercito
dell'Impero attaccò con 66 divisioni nella battaglia del
solstizio (15 - 23 giugno 1918), che vide gli italiani resistere
all'assalto. Gli austro-ungarici persero le loro speranze, visto che
il paese era ormai a un passo dal tracollo, assillato
dall'impossibilità di continuare a sostenere lo sforzo
bellico sul piano economico e su quello sociale, data
l'incapacità dello Stato di farsi garante
dell'integrità dello stato multinazionale asburgico. Con i
popoli dell'impero asburgico sull'orlo della rivoluzione, l'Italia
anticipò di un anno l'offensiva prevista per il 1919 per
impegnare le riserve austro-ungariche ed impedire loro la
prosecuzione dell'offensiva sul fronte francese.
« La guerra contro l'Austria-Ungheria che, sotto l'alta guida
di S. M. il Re Duce Supremo, l'Esercito italiano, inferiore per
numero e per mezzi, iniziò il 24 maggio 1915 e con fede
incrollabile e tenace valore condusse ininterrotta ed asprissima per
41 mesi, è vinta. [...]
I resti di quello che fu uno dei più potenti eserciti del
mondo, risalgono in disordine e senza speranza le valli che avevano
disceso con orgogliosa sicurezza. »
(comunicato del Comando Supremo ("Bollettino della Vittoria"))
Da Vittorio Veneto, il 23 ottobre partì l'offensiva, con
condizioni climatiche pessime. Gli italiani avanzarono rapidamente
in Veneto, Friuli e Cadore e il 29 ottobre l'Austria-Ungheria si
arrese. Il 3 novembre, a Villa Giusti, presso Padova l'esercito
dell'Impero firmò l'armistizio; i soldati italiani entrarono
a Trento mentre i bersaglieri sbarcarono a Trieste, chiamati dal
locale comitato di salute pubblica, che però aveva richiesto
lo sbarco di truppe dell'Intesa. Il giorno seguente, mentre il
generale Armando Diaz annunciava la vittoria, venivano occupate
Rovigno, Parenzo, Zara, Lissa e Fiume. Quest'ultima pur non prevista
tra i territori nei quali sarebbero state inviate forze italiane
venne occupata, come previsto da alcune clausole dell'Armistizio, in
seguito agli eventi del 30 ottobre 1918 quando il Consiglio
Nazionale, insediatosi nel municipio dopo la fuga degli ungheresi,
aveva proclamato, sulla base dei principi wilsoniani, l'unione della
città all'Italia.
L'esercito italiano forzò comunque la linea del Trattato di
Londra intendendo occupare anche Lubiana, ma fu fermato poco oltre
Postumia dalle truppe serbe. I cinque reparti della Marina entravano
a Pola. Il giorno seguente venivano inviati altri mezzi a Sebenico
che diventava la sede principale del Governo Militare della
Dalmazia.
L'ultimo caduto italiano è stato il caporalmaggiore Giuseppe
Pezzarossa di 19 anni appartenente alla 1º Sezione Mantova,
colpito da una pallottola in fronte alle ore 15 del 30 ottobre 1918
a sud di Udine.
L'esito del conflitto
L'Italia completò la sua riunificazione nazionale acquisendo
il Trentino-Alto Adige, la Venezia Giulia, l'Istria ed alcuni
territori del Friuli ancora irredenti. Queste regioni avevano fatto
parte, fino ad allora, della Cisleitania nell'ambito dell'Impero
austro-ungarico (ad eccezione della città di Fiume,
incorporata nel Regno d'Italia nel 1924 e posta in Transleitania).
L'Italia nel 1924, con le province di Fiume, di Pola e di Zara
Inoltre al Regno d'Italia furono assegnate alcune compensazioni
territoriali in Africa, come l'Oltregiuba in Somalia.
Ma il prezzo fu altissimo: 651.010 soldati, 589.000 civili per un
totale 1.240.000 morti su di una popolazione di soli 36 milioni, con
la più alta mortalità nella fascia di età
compresa tra 20 e 24 anni.[7][8][9]
Le conseguenze sociali ed economiche furono pesantissime: l'Italia
con la sua economia basata sull'agricoltura perse una grossa fetta
della sua forza-lavoro causando la rovina di moltissime famiglie.
Tuttavia, l'Italia non vide riconosciuti i diritti territoriali
acquisiti sulla Dalmazia con l'intervento a fianco degli alleati: in
base al Patto di Londra con cui aveva negoziato la propria entrata
in guerra, l'Italia avrebbe dovuto ottenere la Dalmazia
settentrionale incluse le città di Zara, Sebenico e Tenin.
Infatti, in base al principio della nazionalità propugnato
dal presidente americano Woodrow Wilson, la Dalmazia venne annessa
al neocostituito Regno dei Serbi, dei Croati e degli Sloveni, con
l'eccezione di Zara (a maggioranza italiana) e dell'isola di
Lagosta, che con altre tre isole vennero annesse all'Italia.
Questo rifiuto degli Alleati di mantenere gli impegni sottoscritti
nel Patto di Londra creò numerose tensioni nella politica
italiana del primo dopoguerra, ed uno dei maggiori beneficiati fu
Benito Mussolini con il suo "Fascismo".
Il Fascismo
Le origini
Dopo la Grande Guerra la situazione interna italiana era precaria:
il trattato di pace firmato a Versailles non aveva portato a nessun
vantaggio importante all'Italia. Non furono accolte nemmeno le
richieste più moderate.
Le casse statali erano quasi vuote anche perché la lira
durante il conflitto aveva perso buona parte del suo valore, a
fronte di un costo della vita aumentato di almeno il 450%.
Scarseggiavano le materie prime e le industrie faticavano a
convertire la produzione bellica in produzione di pace e ad
assorbire l'abbondanza di manodopera accresciuta dai soldati di
ritorno dal fronte.
Per questi motivi nessun ceto sociale era soddisfatto, e soprattutto
tra i benestanti s'insinuò il timore di una possibile
rivoluzione comunista, sull'esempio russo. L'estrema
fragilità socio-economica portò spesso a disordini,
che il più delle volte venivano stroncati con metodi
sbrigativi e sanguinari dalle forze armate.
Nascita del fascismo
Tra gli strati sociali più scontenti e più soggetti
alle suggestioni ed alla propaganda nazionalista che, a seguito del
Trattato di Pace, si infiammò ed alimentò il mito
della vittoria mutilata, emersero le organizzazioni di reduci ed in
particolare quelle che raccoglievano gli ex-arditi (truppe scelte
d'assalto), presso le quali, al malcontento generalizzato, si
aggiungeva il risentimento causato dal non aver ottenuto un adeguato
riconoscimento per i sacrifici, il coraggio e lo sprezzo del
pericolo dimostrati in anni di duri combattimenti al fronte.
Con la fine della Prima guerra mondiale ed essendo l'Italia
risultata vittoriosa nel conflitto, alla conferenza di pace di
Parigi richiese che venisse applicato alla lettera il patto
(memorandum) di Londra, che preveda l'annessione anche della
Dalmazia così non fu a causa del parere contrario del
presidente americano Wilson. La Francia inoltre non vedeva di buon
occhio una Dalmazia italiana poiché avrebbe consentito
all'Italia di controllare i traffici provenienti dal Danubio. Il
risultato fu che le potenze dell'Intesa alleate dell'Italia opposero
un rifiuto e ritrattarono quanto promesso nel 1915.
Incontro tra Benito Mussolini e Gabriele D'Annunzio, il poeta attivo
nella Prima guerra mondiale ed anche nella lotta per l'indipendenza
di Fiume
L'Italia fu divisa sul da farsi, e Vittorio Emanuele Orlando
abbandonò per protesta la conferenza di pace di Parigi. Le
potenze vincitrici furono così libere di disegnare il nuovo
confine orientale dell'Italia senza che essa presenziasse, e
applicarono il trattato di Londra secondo il loro giudizio; la
Dalmazia, che pure fu occupata militarmente dall'Italia dalla fine
della prima guerra mondiale alla prima conferenza di pace di Parigi,
fu assegnata al neonato regno dei Serbi, Croati, e Sloveni, la
Jugoslavia.
Fu questo il contesto nel quale il 23 marzo 1919 Benito Mussolini
fondò a Milano il primo fascio di combattimento, adottando
simboli che sino ad allora avevano contraddistinto gli arditi, come
le camicie nere e il teschio.
Il nuovo movimento espresse la volontà di "trasformare, se
sarà inevitabile anche con metodi rivoluzionari, la vita
italiana" autodefinendosi partito dell'ordine riuscendo così
a guadagnarsi la fiducia dei ceti più ricchi e conservatori,
contrari a ogni agitazione e alle rivendicazioni sindacali, nella
speranza che la massa d'urto dei "fasci di combattimento" si potesse
opporre alle agitazioni promosse dai socialisti e dai cattolici
popolari.
Al neonato movimento mancava inizialmente una base ideologica ben
delineata e lo stesso Mussolini non s'era in un primo tempo
schierato a favore di questa o quell'altra idea, ma semplicemente
contro tutte le altre. Nelle sue intenzioni il fascismo avrebbe
dovuto rappresentare la "terza via".
Gli anni dello squadrismo
Roma, devastazione di una sede sindacale con falò sulla
strada delle carte e suppellettili ivi rinvenute (1920)
Nel movimento, oltre agli arditi, confluirono anche futuristi,
nazionalisti, ex combattenti d'ogni arma ma anche elementi di dubbia
moralità. Appena 20 giorni dopo la fondazione dei Fasci le
neonate squadre d'azione si scontrarono con i socialisti e
assaltarono la sede del giornale socialista L'Avanti!, devastandola:
l'insegna del giornale fu divelta e portata a Mussolini come trofeo.
Era l'inizio della guerra civile.
Nel giro di qualche mese le squadre fasciste si diffusero in tutta
Italia dando al movimento una forza paramilitare. Per due anni
l'Italia fu percorsa da nord a sud dalle violenze dei movimenti
politici rivoluzionari contrapposti di fascismo e bolscevismo che
iniziarono a contendersi il campo, sotto lo sguardo di uno stato
pressoché incapace di reagire tanto agli scioperi e alle
occupazioni delle fabbriche da parte bolscevica, quanto alle
"spedizioni punitive" degli squadristi.
Il 12 novembre 1921 nasceva il Partito Nazionale Fascista (PNF),
trasformando il movimento in partito e accettando alcuni compromessi
legalitari e costituzionali con le forze moderate. In quel periodo
il PNF giunse ad avere ben 300.000 iscritti (nel momento di massima
espansione il PSI aveva superato di poco i 200.000 iscritti) forte
anche dell'appoggio dei latifondisti emiliani e toscani. Proprio in
queste regioni le squadre guidate dai ras furono più
determinate a colpire i sindacalisti e i socialisti, intimidendoli
con la famigerata pratica del manganello e dell'olio di ricino, o
addirittura commettendo omicidi che restavano il più delle
volte impuniti. In questo clima di violenze, alle elezioni del 15
maggio 1921 i fascisti ottennero a sorpresa 35 seggi.
Marcia su Roma e primi anni di governo
Dopo il Congresso di Napoli, in cui 40.000 camicie nere inneggiarono
a marciare su Roma, Mussolini diede seguito ai suoi piani
insurrezionali contro il debole governo italiano: il momento pareva
propizio, ed un forte contingente di 50.000 squadristi venne
radunato nell'alto Lazio e condotto da un quadrumvirato, composto da
Italo Balbo (uno dei ras più famosi), Emilio De Bono
(comandante della Milizia), Cesare Maria De Vecchi (un generale non
sgradito al Quirinale) e Michele Bianchi (segretario del partito
fedelissimo di Mussolini che, invece, rimase prudentemente a
Milano), mosse contro la Capitale, il 26 ottobre 1922. Mentre
l'Esercito si preparava a fronteggiare il colpo di mano fascista
(con Badoglio principale sostenitore della linea dura) il re
Vittorio Emanuele III si rifiutò di firmare il decreto di
stato d'emergenza, costringendo alle dimissioni il presidente del
consiglio Luigi Facta ed il suo governo. Le camicie nere marciarono
sulla Capitale il 28 ottobre, senza incontrare alcuna resistenza ed
effettuando anche qualche azione violenta contro i comunisti e i
socialisti della città.
Il 30 ottobre, dopo la marcia su Roma, il re incaricò Benito
Mussolini di formare il nuovo governo. Il capo del fascismo
lasciò Milano per Roma, ed immediatamente si mise all'opera.
A soli 39 anni Mussolini diveniva presidente del consiglio, il
più giovane nella storia dell'Italia unita.
Il nuovo governo comprendeva elementi dei partiti moderati di centro
e di destra e militari, e - ovviamente - molti fascisti.
Fra le prime iniziative intraprese dal nuovo corso politico vi fu il
tentativo di "normalizzazione" delle squadre fasciste - che in molti
casi continuavano a commettere violenze -, provvedimenti a favore
dei mutilati e degli invalidi di guerra, drastiche riduzioni della
spesa pubblica, la riforma della scuola (Riforma Gentile), la firma
degli accordi di Washington sul disarmo navale, e l'accettazione
dello status quo col regno di Iugoslavia circa le frontiere
orientali e la protezione della minoranza italiana in Dalmazia.
Il fascismo diventa dittatura
Giacomo Matteotti
In vista delle elezioni del 6 aprile 1924 Mussolini fece approvare
una nuova legge elettorale (c.d. "Legge Acerbo") che avrebbe dato i
tre quinti dei seggi alla lista che avesse raccolto il 40% dei voti.
La campagna elettorale si tenne in un clima di tensione senza
precedenti con intimidazioni e pestaggi. Il listone guidato da
Mussolini ottenne il 64,9% dei voti.
Il 30 maggio 1924 il deputato socialista Giacomo Matteotti prese la
parola alla Camera contestando i risultati delle elezioni. Il 10
giugno 1924 Matteotti venne rapito e ucciso.
L'opposizione rispose a questo avvenimento ritirandosi sull'Aventino
(Secessione aventiniana), ma la posizione di Mussolini tenne fino a
quando il 16 agosto il corpo decomposto di Matteotti fu ritrovato
nei pressi di Roma. Uomini quali Ivanoe Bonomi, Antonio Salandra e
Vittorio Emanuele Orlando esercitarono allora pressioni sul re
affinché Mussolini fosse destituito ma Vittorio Emanuele III
appellandosi allo Statuto Albertino replicò: «Io sono
sordo e cieco. I miei occhi e i miei orecchi sono la Camera e il
Senato» e quindi non intervenne.
Ciò che accadde esattamente la notte di San Silvestro del
1924 non sarà forse mai accertato. Il 3 gennaio 1925 alla
Camera Mussolini recitò il famoso discorso in cui si assunse
ogni responsabilità per i fatti avvenuti:
« Dichiaro qui, al cospetto di questa Assemblea e al cospetto
di tutto il popolo italiano, che io assumo, io solo, la
responsabilità politica, morale, storica di tutto quanto
è avvenuto. Se le frasi più o meno storpiate bastano
per impiccare un uomo, fuori il palo e fuori la corda! Se il
fascismo non è stato che olio di ricino e manganello, e non
invece una passione superba della migliore gioventù italiana,
a me la colpa! Se il fascismo è stato un'associazione a
delinquere, io sono il capo di questa associazione a delinquere! Se
tutte le violenze sono state il risultato di un determinato clima
storico, politico e morale, ebbene a me la responsabilità di
questo, perché questo clima storico, politico e morale io
l'ho creato con una propaganda che va dall'intervento ad oggi.
»
Con questo discorso Mussolini si era dichiarato dittatore. Nel
biennio 1925-1926 vennero emanati una serie di provvedimenti
liberticidi: vennero sciolti tutti i partiti e le associazioni
sindacali non fasciste, venne soppressa ogni libertà di
stampa, di riunione o di parola, venne ripristinata la pena di morte
e venne creato un Tribunale speciale con amplissimi poteri, in grado
di mandare al confino con un semplice provvedimento amministrativo
le persone sgradite al regime.
La crisi economica
Il primo grosso problema che la dittatura dovette affrontare fu la
pesante svalutazione della lira. La ripresa produttiva successiva
alla fine della prima guerra mondiale portò effetti negativi
quali la carenza di materie prime dovuta alla forte richiesta e ad
un'eccessiva produttività rapportata ai bisogni reali della
popolazione. Nell'immediato, i primi segni della crisi furono un
generale aumento dei prezzi, l'aumento della disoccupazione, una
diminuzione dei salari e la mancanza di investimenti in Italia e nei
prestiti allo stato.
Per risolvere il problema, come in Germania, venne deciso di
stampare ulteriore moneta per riuscire a ripagare i debiti di guerra
contratti con Stati Uniti e Gran Bretagna. Ovviamente questo non
fece altro che aumentare il tasso di inflazione e far perdere
credibilità alla lira, che si svalutò pesantemente nei
confronti di dollaro e sterlina.
Le mosse per contrastare la crisi non si fecero attendere: venne
messo in commercio un tipo di pane con meno farina, venne aggiunto
alcool alla benzina, vennero aumentate le ore di lavoro da 8 a 9
senza variazioni di salario, venne istituita la tassa sul celibato,
vennero aumentati tutti i possibili prelievi fiscali, venne vietata
la costruzione di case di lusso, vennero aumentati i controlli
tributari, vennero ridotti i prezzi dei giornali, bloccati gli
affitti e ridotti i prezzi dei biglietti ferroviari e dei
francobolli.
La conciliazione con la Chiesa
L'11 febbraio 1929 furono firmati i Patti lateranensi, che
stabilirono il mutuo riconoscimento tra il Regno d'Italia e lo Stato
della Città del Vaticano.
Il rapporto tra Stato e Chiesa era precedentemente disciplinato
dalla cosiddetta legge delle Guarentigie approvata unilateralmente
dal Parlamento italiano il 13 maggio 1871 dopo la presa di Roma,
questa legge non venne mai riconosciuta dai pontefici.
Tra fascismo e Chiesa ci fu sempre un rapporto ostico: Mussolini si
era sempre dichiarato ateo ma sapeva benissimo che per governare in
Italia non si poteva andare contro la Chiesa e i cattolici. La
Chiesa dal canto suo, pur non vedendo di buon occhio il fascismo, lo
preferiva di gran lunga all'ideologia comunista.
Alla soglia del potere Mussolini affermò (giugno 1921) che
«il fascismo non pratica l'anticlericalismo» e alla
vigilia della marcia su Roma informò la Santa Sede che non
avrebbe avuto nulla da temere da lui e dai suoi uomini.
Con la ratifica del concordato la religione cattolica divenne la
religione di stato in Italia, fu istituito l'insegnamento della
religione cattolica nelle scuole e fu riconosciuta la
sovranità e l'indipendenza della Santa Sede.
Imprese propagandistiche
Italo Balbo
All'inizio degli anni trenta la dittatura si era ormai stabilizzata
ed era fondata su radici solide. I bambini, così come tutto
il resto della popolazione, erano inquadrati in organizzazioni di
partito, ogni opposizione era stroncata sul nascere, la stampa era
profondamente asservita al fascismo.
Fu in questo clima che vennero organizzate diverse imprese
aeronautiche. Dopo le crociere di massa nel mediterraneo e la prima
trasvolata dell'Atlantico meridionale (1931), nel 1933 il
quadrumviro della marcia su Roma, Italo Balbo, organizzò la
seconda e più famosa trasvolata dell'Atlantico settentrionale
per commemorare il decennale dell'istituzione della Regia
Aeronautica (28 marzo 1923). A bordo di 25 idrovolanti
SIAI-Marchetti S.55X dal 1º luglio al 12 agosto 1933 Balbo e i
suoi uomini compirono la traversata fino a New York e ritorno
attraversando tutte le maggiori nazione europee e buona parte degli
Stati Uniti. Per l'epoca fu un'impresa epica che diede al giovane
ferrarese una fama addirittura superiore a quella di Mussolini.
Gli anni del consenso
Nel 1929 l'autarchia entrò anche nel linguaggio. Furono
infatti bandite tutte le parole straniere da ogni comunicazione
scritta ed orale: ad esempio chiave inglese diventò chiave
morsa, cognac diventò arzente, ferry-boat diventò
treno-battello pontone. Conseguentemente vennero rinominate tutte le
città con nome francofono dell'Italia nord-occidentale e con
nome tedescofono dell'Italia nord-orientale: secondo la
toponomastica fascista, per fare un paio di esempi, Courmayeur
diventò Cormaiore e Kaltern diventò Caldaro. Inoltre
si scoprì che anche l'uso del lei aveva origini straniere,
perciò venne inaugurata una campagna per la sostituzione del
lei con il voi, capeggiata dal segretario del partito Achille
Starace.
L'11 ottobre 1935 l'Italia venne sanzionata per l'invasione
dell'Etiopia. Le sanzioni in vigore dal 18 novembre consistevano in:
Embargo sulle armi e sulle munizioni
Divieto di dare prestiti o aprire crediti in
Italia
Divieto di importare merci italiane
Divieto di esportare in Italia merci o materie
prime indispensabili all'industria bellica
Paradossalmente, nell'elenco delle merci sottoposte ad embargo
mancano petrolio e i semilavorati.
In realtà fu soltanto la Gran Bretagna a osservare le regole
imposte dalle sanzioni. La Germania hitleriana così come gli
Stati Uniti furono i primi due paesi a schierarsi apertamente verso
l'Italia, garantendo la possibilità di acquistare qualunque
bene. La Russia rifornì di nafta l'esercito italiano per
tutta la durata del conflitto, ed anche la Polonia si
dimostrò piuttosto aperta.
In questo periodo l'Italia tutta si strinse intorno a Mussolini. La
Gran Bretagna venne etichettata col termine di perfida Albione, e le
altre potenze furono etichettate come nemiche perché
impedivano all'Italia il raggiungimento di un posto al sole.
Ritornò in voga il patriottismo e la propaganda politica
spinse affinché si consumassero solo prodotti italiani. Fu in
pratica la nascita dell'autarchia, secondo la quale tutto doveva
essere prodotto e consumato all'interno dello stato. Tutto
ciò che non poteva essere prodotto per mancanza di materie
prime venne sostituito: il tè con il carcadè, il
carbone con la lignite, la lana con il lanital (la lana di caseina),
la benzina con il carburante nazionale (benzina con l'85% di alcool)
mentre il caffè venne abolito perché «fa
male» e sostituito con il "caffè" d'orzo.
La guerra civile in Spagna.
Il 18 luglio 1936 scoppiò in Spagna la guerra civile fra le
sinistre del Fronte Popolare, al potere dalle elezioni del 1936, e
la Falange, una forza ideologicamente paragonabile al fascismo che
grazie all'appoggio della Chiesa cattolica spagnola, al contributo
militare della Germania e dell'Italia portò il potere nelle
mani di Francisco Franco.
Allo scoppio delle ostilità oltre 60.000 volontari accorsero
da 53 nazioni in aiuto dei repubblicani mentre Mussolini e Hitler
fornirono in via ufficiosa l'appoggio alla Falange. In questo
contesto non di rado italiani combattenti nelle due parti si
scontrarono in una vera e propria lotta fratricida. Gli italiani
accorsi a combattere per la Seconda Repubblica Spagnola erano fra i
più numerosi, per nazionalità superati solo da
tedeschi e francesi.
L'Italia si scopre francamente razzista
Il 14 luglio 1938 il fascismo scrisse una delle pagine più
vergognose della storia d'Italia: in quel giorno infatti fu
pubblicato sui maggiori quotidiani nazionali il "Manifesto della
razza". In questa sorta di tavola redatta da cinque cattedratici
(Arturo Donaggio, Franco Savorgnan, Edoardo Zavattari, Nicola Pende
e Sabato Visco) e da cinque assistenti universitari (Leone Franci,
Lino Businco, Lidio Cipriani, Guido Landra e Marcello Ricci) venne
fissata la «posizione del fascismo nei confronti dei problemi
della razza».
I dieci imperativi categorici erano:
Le razze umane esistono
Esistono grandi razze e piccole razze
Il concetto di razza è un concetto
puramente biologico
La popolazione dell'Italia attuale è nella
maggioranza ariana e la sua civiltà è ariana
È una leggenda l'apporto di masse ingenti
di uomini in tempi storici
Esiste ormai una pura "razza italiana"
È tempo che gli italiani si proclamino
francamente razzisti
È necessario fare una netta distinzione
fra i Mediterranei d'Europa (Occidentali) da una parte e gli
Orientali e gli Africani dall'altra
Gli ebrei non appartengono alla razza italiana
I caratteri fisici e psicologici puramente
europei degli Italiani non devono essere alterati in nessun modo
Con questo manifesto si dava il via a quel processo che portò
alla promulgazione delle leggi razziali.
L'alleanza con la Germania Nazista
Dal 1938 in Europa si iniziò a respirare aria di guerra:
Hitler aveva già annesso l'Austria e i Sudeti e con la
successiva Conferenza di Monaco gli venne dato il lasciapassare per
l'annessione di tutta la Cecoslovacchia, mentre Mussolini dopo
l'Etiopia stava cercando nuove prede per non perdere il passo
dell'alleato d'oltralpe.
La vittima designata venne trovata nell'Albania. In due soli giorni
(7-8 aprile 1939) con l'ausilio di 22.000 uomini e 140 carri armati
Tirana fu conquistata.
Il 22 maggio tra Germania e Italia venne firmato il Patto d'acciaio.
Tale patto assumeva che la guerra fosse imminente, e legava l'Italia
in un'alleanza stretta con la Germania. Alcuni membri del governo
italiano si opposero, e lo stesso Galeazzo Ciano, firmatario per
l'Italia, definì il patto una «vera e propria
dinamite»
L'Impero
A partire dal 1926-27 l'Albania entrò gradualmente nella
sfera d'influenza dell'Italia ma solo nell'aprile del 1939 fu
occupata militarmente da questo paese che le impose come sovrano
Vittorio Emanuele III.
Nel 1928, inoltre, gli italiani cominciarono a penetrare in Etiopia,
divenuta ormai il principale interesse del fascismo, e gli etiopi ad
attaccare il territorio italiano in Eritrea. L'incidente più
importante, però, avvenne a Ual Ual, nel 1934, e Mussolini lo
usò in seguito per giustificare la sua guerra contro lo stato
etiopico.
Mussolini, quindi, nel gennaio 1935 prese accordi con il ministro
degli esterni francese, Pierre Laval per assicurarsi un sostegno
diplomatico contro l'Etiopia.[10] Pochi mesi più tardi la
società delle nazioni riconobbe la buona fede di entrambi i
Paesi, ma prima l'Etiopia, che presentò ricorso a marzo dello
stesso anno, e l'Italia poi, con una dichiarazione del duce a
Cagliari non erano soddisfatti.
Il 2 ottobre del 1935, poi Mussolini dichiarò guerra
all'Etiopia (Guerra d'Etiopia) e il giorno successivo iniziarono le
operazioni, con un doppio attacco italiano proveniente sia dalle
basi eritree, sotto il comando di De Bono, che da quelle somale,
sotto al guida di Graziani. Contemporaneamente la Società
delle Nazioni decise di sanzionare l'Italia per aver attaccato uno
stato membro, con pesanti ripercussioni sull'economia italiana[11].
In poco tempo gli italiani avanzarono e sconfissero ripetutamente le
truppe abissine. A novembre Pietro Badoglio sostituì De Bono
e il 7 maggio 1936 l'Etiopia venne sconfitta ed entrò a fare
parte del Regno d'Italia, divenuto Impero. Vittorio Emanuele III
assunse infatti il titolo di “Imperatore d'Etiopia”.
La guerra d'Etiopia e la nascita dell'Impero
Il fascismo cercò innanzitutto di presentarsi in maniera
diversa nei confronti dell'Etiopia cercando di attuare un trattato
di amicizia con l'amministrazione del reggente Haile Selassie. Tale
accordo si concretizzò nel 1928. In questa fase la colonia
eritrea, sotto l'amministrazione del Governatore Jacopo Gasparini
cercò di ottenere un protettorato sullo Yemen e creare una
base per un impero coloniale sulla penisola araba, ma Mussolini non
volle inimicarsi la Gran Bretagna e fermò il progetto.
A seguito della completa conquista della Libia, avvenuta alla fine
degli anni venti, Mussolini manifestò l'intenzione di dare un
Impero all'Italia e l'unico territorio rimasto libero da ingerenze
straniere era l'Abissinia, nonostante fosse membro della
Società delle Nazioni. Il progetto d'invasione iniziò
all'indomani della conclusione degli accordi sul trattato di
amicizia e si concluse con l'ingresso dell'esercito italiano ad
Addis Abeba il 5 maggio 1936. Quattro giorni dopo venne proclamata
la nascita dell'Impero italiano e l'incoronazione di Vittorio
Emanuele III come Imperatore d'Etiopia (con il titolo di Qesar,
anziché quello di Negus Neghesti).
Con la conquista di gran parte dell'Etiopia si procedette ad una
ristrutturazione delle colonie del Corno d'Africa. Somalia, Eritrea
ed Abissinia vennero riunite nel vicereame dell'Africa Orientale
Italiana (AOI). Il progetto coloniale terminò con
l'occupazione britannica dei territori soggetti al dominio italiano
nel 1941.
Le colonie durante il fascismo
Durante il fascismo l'Eritrea fu oggetto di un ambizioso progetto di
modernizzazione, voluto dal Governatore Jacopo Gasparini, che
cercò di tramutarla in un importante centro per la
commercializzazione dei prodotti e materie prime. La colonia Eritrea
venne inglobata nell'Africa Orientale Italiana nel 1936, diventando
uno dei sei governi in cui era diviso il vicereame. Nel 1941 la
colonia venne occupata, insieme al resto dell'Africa Orientale
Italiana, dalle truppe britanniche.
All'inizio della seconda guerra mondiale, nel maggio 1940 le truppe
italiane occuparono la Somalia britannica (Somaliland), che fu
amministrativamente incorporata nella Somalia italiana. Nei primi
mesi del 1941 le truppe inglesi occuparono tutta la Somalia italiana
e riconquistarono anche il Somaliland. Dopo l'invasione da parte
delle truppe alleate nella seconda guerra mondiale la Somalia
Italiana fu consegnata all'Italia in amministrazione fiduciaria
decennale nel 1950.
Nel 1934, Tripolitania e Cirenaica vennero riunite per formare la
colonia di Libia, nome utilizzato 1.500 anni prima da Diocleziano
per indicare quei territori. L'Italia perse il controllo sulla
Libia, quando le forze italo-tedesche si ritirarono in Tunisia nel
1943. Dopo la fine della guerra, la Libia venne provvisoriamente
amministrata dalla Gran Bretagna fino al conseguimento definitivo
dell'indipendenza nel 1951.
Negli anni venti e trenta l'amministrazione del dodecaneso da un
lato portò degli ammodernamenti, come la costruzione di
ospedali e acquedotti, ma si distinse anche per il tentativo di
italianizzare con diversi provvedimenti le dodici isole, i cui
abitanti erano a maggioranza di lingua greca, con la presenza di una
minoranza turca ed ebraica. Nel settembre 1943 dopo l'Armistizio di
Cassibile, i soldati del Terzo Reich occuparono le isole. L'8 maggio
del 1945 le forze britanniche presero possesso dell'isola di Rodi e
tramutarono il Dodecaneso in un protettorato. Con il Trattato di
Parigi (1947), gli accordi fra Grecia e Italia stabilirono il
possesso formale delle isole da parte dello stato greco, che assunse
pieno controllo amministrativo solamente nel 1948.
Durante il regime fascista fu ampliati i possedimenti coloniali.
Oltre a Eritrea, Somalia, Libia, dodecaneso e la concessione di
Tientsin, entrarono nella sfera d'influenza italiana la già
citata Etiopia, l'Albania.
Etiopia (1936 - 1941)
L'Abissinia (l'odierna Etiopia) fu conquistata dalle truppe
italiane, comandate dal generale Pietro Badoglio dopo la guerra del
1935-1936. La vittoria fu annunciata il 9 maggio 1936, il Re
d'Italia Vittorio Emanuele III assunse il titolo di Imperatore
d'Etiopia, Mussolini quello di Fondatore dell'Impero, e a Badoglio
fu concesso il titolo di Duca di Addis Abeba.
Con la conquista dell'Etiopia, i possedimenti italiani in Africa
orientale (Etiopia, Somalia ed Eritrea) furono unificati sotto il
nome di Africa Orientale Italiana A.O. I., e posti sotto il governo
di un Viceré.
L'Etiopia fu la colonia italiana, insieme all'Eritrea, più
interessata dalla costruzione di nuove strade, grandi infrastrutture
(ponti, ecc.) e anche dalla sistemazione delle città, specie
della capitale Addis Abeba secondo un piano regolatore prestabilito
(nuovi quartieri, una nuova ferrovia). La breve presenza italiana,
di soli 5 anni, e le difficoltà di pacificazione della zona,
non permise la sistemazione totale della città, che sarebbe
dovuta essere il fiore all'occhiello del colonialismo italiano.
Tuttavia, quale membro della Lega delle Nazioni, l'Italia ricevette
la condanna internazionale per l'occupazione dell'Etiopia, che era
uno stato membro.
Nei primi mesi del 1941 le truppe inglesi sconfissero gli italiani
ed occuparono l'Etiopia, anche se alcuni focolai di resistenza
italiana si mantennero attivi a Gondar fino all'autunno del 1941.
Inoltre si ebbe anche una guerriglia italiana durata fino al 1943.
Gli inglesi reinsediarono il deposto Negus, Haile Selassie,
esattamente cinque anni dopo la sua cacciata.
Albania (1939 - 1943)
L'Albania era sotto la sfera di influenza italiana dagli anni venti,
e l'isola di Saseno davanti Valona era parte integrante del Regno
d'Italia dai tempi della Pace di Parigi (1919). Dopo alterne
vicende, l'Albania venne occupata militarmente da truppe italiane
nel 1939. Alla base di questa decisione, vi fu il tentativo di
Mussolini di controbilanciare l'alleanza con la sempre più
potente Germania nazista di Hitler, dopo l'occupazione dell'Austria
e della Cecoslovacchia. L'invasione dell'Albania, iniziata il 7
aprile 1939 fu completata in cinque giorni. Il re Zog si
rifugiò a Londra.
Vittorio Emanuele III ottenne la corona albanese, e venne insediato
un governo fascista guidato da Shefqet Verlaci. Le forze
dell'esercito albanese vennero incorporate in quello italiano.
Nel 1941 vennero uniti all'Albania il Kosovo, alcune piccole aree
del Montenegro ed una parte della Macedonia (territori già
iugoslavi).
La resistenza contro l'occupazione italiana inizió
nell'estate 1942 e si fece più violenta e organizzata nel
1943: nell'estate del 1943 le montagne interne erano difatti sotto
il controllo diretto della resistenza albanese guidata da Enver
Hoxha. Nel settembre 1943 dopo la caduta di Mussolini, il controllo
sull'Albania venne assunto dalla Germania nazista.