da Dizionario di Storia moderna e contemporanea


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RIVOLUZIONE FRANCESE


LE CAUSE.

Ebbe origine da processi di medio-lungo periodo e da fattori di crisi congiunturale che investirono l'economia e la società, la politica e la cultura, le istituzioni e la mentalità.

La fase di prosperità apertasi negli anni venti del XVIII secolo aveva favorito lo sviluppo di una borghesia imprenditoriale urbana e rurale insofferente ai vincoli feudali e corporativi e a una borghesia intellettuale e delle professioni decisa a far prevalere i meriti individuali sui privilegi di ceto. Con gli esponenti più illuminati del clero e della nobiltà, questa borghesia si proponeva come nuova classe dirigente, capace di rappresentare gli interessi di tutta la nazione (vedi Sieyès). Ma la crescita settecentesca, peraltro già arrestatasi negli anni settanta, provocò effetti socialmente differenziati e contraddittori, penalizzando i gruppi sociali più numerosi e più poveri.

Nella seconda metà degli anni ottanta, poi, una grave crisi produttiva e di mercato colpì settori cruciali come la viticoltura e le manifatture tessili, rendendo esplosiva la crisi di sussistenza seguita al pessimo raccolto cerealicolo del 1788. Nelle campagne l'aumento di lungo periodo della rendita feudale e fondiaria aveva aggravato le croniche difficoltà della piccola azienda contadina e alimentava una diffusa resistenza tanto al prelievo signorile quanto alle spinte verso il liberismo economico e lo sviluppo capitalistico cui erano, invece, sensibili grandi affittuari e proprietari fondiari.

Intanto la crisi cronica della finanza statale, aggravata dagli sprechi e dai costi della guerra contro la Gran Bretagna (1778-1783), imponeva misure di perequazione fiscale, cui si opponevano gli ordini privilegiati, che acuivano la tradizionale opposizione dei parlamenti all'assolutismo regio. Al "dispotismo ministeriale" si opponevano anche i fautori della monarchia costituzionale di tipo inglese, guidati dal marchese di La Fayette.

Infine la diffusione delle idee illuministiche metteva in crisi, presso vasti strati di opinione pubblica colta, l'ideologia dell'assolutismo e la legittimità delle distinzioni di ceto fondate sul privilegio di nascita o di status. Una fitta rete di accademie, "società di pensiero" e logge massoniche alimentava forme inedite di sociabilità politica e culturale che, saldandosi con una crescente alfabetizzazione dei ceti popolari e una diffusa secolarizzazione di valori e comportamenti, agevolava la diffusione di idee-forza potenzialmente destabilizzanti quali l'uguaglianza dei diritti e la sovranità popolare.


GLI STATI GENERALI E LA COSTITUENTE.

Il fallimento dei progetti di riforma di J. Necker, di C.A. de Calonne e di E. C. Loménie de Brienne rese inevitabile nell'estate 1788 la convocazione degli Stati generali. La consultazione che ne preparò l'elezione coincise (marzo-aprile 1789) con un'acutissima crisi di sussistenza che rese incandescente lo scontro politico sulla composizione e sui poteri degli Stati generali; la compilazione di circa 60.000 cahiers de doléances fu un'occasione straordinaria di mobilitazione politica di massa.

Fin dall'apertura degli Stati generali (5 maggio 1789) una netta frattura si produsse tra il re e i primi due ordini da un lato e, dall'altro, i rappresentanti del Terzo stato su questioni procedurali di grande rilievo politico come la vexata quaestio del voto per testa o per ordine. Attraverso passaggi drammatici (tra cui il giuramento, pronunciato nella sala della Pallacorda, di non separarsi finché la Francia non avesse avuto una costituzione), i deputati del Terzo stato, appoggiati da un'intensa campagna di stampa e da una parte dei deputati degli altri due ordini, si costituivano in Assemblea nazionale, che il 9 luglio si proclamò costituente.

La minaccia regia di sciogliere con la forza l'Assemblea e il timore del complotto aristocratico spinsero il popolo di Parigi all'insurrezione armata come strumento di difesa preventiva (assalto alla Bastiglia, 13-14 luglio 1789). Tra la metà di luglio e i primi giorni di agosto in tutta la Francia dilagò la "rivoluzione municipale" e le campagne furono sconvolte dalla Grande paura, che spinse la costituente a proclamare l'abolizione della feudalità (4 agosto).

Il 26 agosto, con la Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino, l'Assemblea fondava solennemente i nuovi ordinamenti su principi che sarebbero stati alla base delle moderne costituzioni liberali e democratiche.

Fino all'estate del 1791 preoccupazioni dominanti dell'Assemblea furono l'elaborazione di una nuova costituzione, la riforma delle amministrazioni locali (istituzione dei dipartimenti, cantoni e comuni retti da organi di governo elettivi) e giudiziaria, il risanamento finanziario. La crescita esponenziale del disavanzo pubblico spinse i costituenti a confiscare e mettere in vendita i beni della Chiesa per rimborsare titoli di debito pubblico emessi in quantità crescente e che rapidamente si svalutarono. La Costituzione civile del clero (12 luglio 1790), condannata dal papa, provocò una grave frattura tra il clero "costituzionale" e quello "refrattario", che rafforzò il fronte controrivoluzionario.

Intanto nelle campagne i contadini si rifiutavano di pagare i diritti signorili sulle terre o di riscattarli; l'incapacità del governo e dell'Assemblea di tutelare gli interessi dei nobili spingeva questi ultimi a schierarsi sempre più numerosi contro la rivoluzione, e spesso a emigrare all'estero. La fuga di Varennes (20 giugno 1791) svelò definitivamente i propositi controrivoluzionari del re e della corte e provocò una dura contrapposizione fra quanti tentavano di negarne le responsabilità, per non compromettere una soluzione monarchico-costituzionale della crisi, e i rivoluzionari più radicali.

L'eccidio di Campo di Marte (17 luglio 1791), la secessione dei foglianti dal club dei giacobini, la dichiarazione di Pillnitz (con cui nell'agosto 1791 Austria e Prussia invitavano i monarchi d'Europa a unirsi per ristabilire l'ordine in Francia) accentuarono incertezze e tensioni che il varo della prima costituzione francese (4 settembre) non bastò a placare.

Nell'Assemblea legislativa, che sostituì (1° ottobre 1791) la costituente, pur prevalendo numericamente la destra fogliante (un terzo dei deputati) e il centro moderato, dominarono la scena i girondini, guidati da J.P. Brissot, che fecero leva sull'intransigente difesa della rivoluzione contro i nemici esterni e interni. Con lo strumentale appoggio del re e della corte e l'opposizione di Robespierre, ostile a un conflitto di esito incerto per la Francia, i girondini trascinarono l'Assemblea a dichiarare guerra all'Austria (20 aprile 1792).

LA PRIMA REPUBBLICA E IL TERRORE.

Ma gli insuccessi militari, la sensazione diffusa che un nuovo "complotto aristocratico" mirasse a stroncare la rivoluzione con l'appoggio degli eserciti stranieri e una violenta ripresa delle sommosse popolari contro il carovita mobilitarono nuovamente i sanculotti, che il 10 agosto sostituirono la municipalità di Parigi con una Comune insurrezionale e costrinsero la Legislativa a votare la deposizione del re e a convocare nuove elezioni, a suffragio universale.

La nuova assemblea (vedi Convenzione nazionale), insediatasi lo stesso giorno (21 settembre) in cui un esercito di volontari fermò a Valmy l'avanzata austro-prussiana su Parigi, il 21 settembre proclamò la repubblica una e indivisibile.

Sui rapporti con il movimento sanculotto e le sue istanze di democrazia diretta e di radicalismo sociale (maximum dei prezzi, diritto al lavoro e all'istruzione ecc.), sulla conduzione della guerra e sulla sorte del re si aprì nella Convenzione un aspro e lungo scontro politico fra i girondini e i deputati montagnardi, i cui principali leader (Robespierre e Danton) rivendicarono e ottennero, con l'appoggio di una parte dei deputati di centro (Palude), la condanna a morte, senza possibilità di appello al popolo, e l'esecuzione del re (21 gennaio 1793).

Il regicidio e l'annessione alla Francia dei territori alla sinistra del Reno, del Belgio e della Savoia portarono alla guerra contro la prima coalizione (Austria, Prussia, Gran Bretagna, Paesi bassi, Spagna e quasi tutti gli stati italiani). Una serie di sconfitte militari e lo scoppio della rivolta in Vandea e in altri dipartimenti dell'Ovest spinsero a adottare misure eccezionali (istituzione del Tribunale rivoluzionario, del Comitato di salute pubblica e di comitati di sorveglianza rivoluzionaria in tutti i comuni) che indebolirono i girondini.

Nelle "giornate rivoluzionarie" del 31 maggio e del 2 giugno 1793 i sanculotti parigini, sostenitori dei montagnardi, imposero l'epurazione dei principali leader girondini dal governo e dalla Convenzione. Tra la capitale e i dipartimenti del Mezzogiorno e dell'Ovest, insofferenti dell'egemonia di Parigi e del radicalismo politico delle sue folle rivoluzionarie, si creò una frattura che sfociò in una vasta sollevazione antigiacobina ("insurrezione federalista").

Sotto la direzione dei giacobini, la Convenzione recuperò temporaneamente il controllo del movimento sanculotto accettandone in parte le rivendicazioni nella Costituzione dell'anno I (25 giugno 1793). L'accentramento del potere nelle mani del Comitato di salute pubblica e dei "rappresentanti in missione", protagonisti di una spietata repressione contro i federalisti e i rivoltosi vandeani; le misure da economia di guerra tendenti ad approvvigionare le città affamate e un poderoso esercito di oltre 700.000 uomini, ma che irritavano contadini e mercanti senza bloccare il mercato nero; l'imposizione del maximum generale dei prezzi e dei salari, che faceva emergere gravi divergenze anche nel movimento sanculotto; un'intransigente campagna di scristianizzazione, che lacerò ulteriormente le coscienze alimentando la resistenza controrivoluzionaria; la tendenza del Terrore a perpetuarsi oltre l'emergenza che ne aveva giustificato la nascita e a trasformarsi in strumento di lotta politica interna allo schieramento rivoluzionario (arresto ed esecuzione di J.R. Hebert e Danton e di molti loro seguaci, marzo-aprile 1794): questi e altri fattori erosero progressivamente il consenso intorno al Comitato di salute pubblica e al triumvirato (Robespierre, Saint-Just e G.A. Couthon) che sembrava dominarlo.

Una composita coalizione di deputati che se ne sentivano colpiti o minacciati provocò l'arresto e l'esecuzione di Robespierre e dei suoi seguaci il 9-10 termidoro (27-28 luglio) 1794.

LA NORMALIZZAZIONE.

La svolta di termidoro avviò un rapido processo di "normalizzazione" politico-istituzionale. Riammessi alla Convenzione i deputati girondini superstiti, in tutta la Francia giacobini e sanculotti diventarono oggetto di persecuzione (Terrore bianco). Il disorientamento e la debolezza del movimento popolare parigino si rivelarono appieno nel fallimento dei tentativi insurrezionali di germinale e di pratile anno III (1° aprile e 20-22 maggio 1795), provocati dall'esasperazione per il carovita, giunto a livelli insostenibili dopo l'abolizione del calmiere sui prezzi (dicembre 1794).

La Costituzione dell'anno III (22 agosto 1795) sanzionò il nuovo corso politico e sociale della rivoluzione. Stabilendo una rigida divisione dei poteri (l'esecutivo al Direttorio e il legislativo a due Consigli, degli Anziani e dei Cinquecento, rinnovabili ogni anno per un terzo) e ripristinando il suffragio elettorale con sbarramento censitario e a doppio grado, proponeva un modello costituzionale cui si sarebbero ispirati nell'Ottocento ideologie e movimenti politici interessati a conciliare libertà civili, partecipazione politica e predominio delle classi abbienti, della borghesia intellettuale e delle professioni.

L'evoluzione in senso filomonarchico dell'opinione pubblica, soprattutto delle campagne, e i sussulti insurrezionali della sinistra, sempre più deboli ed elitari, ma che ossessionavano l'immaginario collettivo dei termidoriani (vedi congiura degli eguali), crearono uno stato di permanente instabilità politica che il Direttorio fronteggiò a fatica con repressioni e colpi di stato, come quello di fruttidoro (4 settembre 1797), al cui successo contribuì in modo decisivo l'esercito, istituzione dal crescente prestigio e di sicura fede repubblicana.

Un generale vittorioso, Napoleone Bonaparte, fu il protagonista e principale beneficiario del colpo di stato del diciotto brumaio (9 novembre 1799), che segnò il passaggio al Consolato e, poi, all'Impero.

A. Massafra

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SIEYÈS, EMMANUEL-JOSEPH (Fréjus 1748 - Parigi 1836)

Politico francese. Ecclesiastico, alla vigilia della rivoluzione partecipò attivamente, pubblicando il celebre Che cosa è il terzo stato?, al dibattito per la convocazione degli Stati generali, di cui ottenne la trasformazione in Assemblea nazionale, e redasse la formula del giuramento (detto della Pallacorda) dei deputati del Terzo stato. Giacobino, contribuì alla Dichiarazione dei diritti e alla Costituzione del 1791. Membro della Convenzione nazionale, fu vicino ai girondini pur votando la condanna del re. Rimasto in ombra fino al colpo di stato del nove termidoro, ritornò poi alla politica e fu membro nel Consiglio dei cinquecento, ambasciatore a Berlino (1798) e infine membro del Direttorio (1799). Desiderando una revisione della costituzione a vantaggio dell'esecutivo, si avvicinò a Napoleone e organizzò il colpo di stato del diciotto brumaio. Console provvisorio, elaborò un progetto costituzionale (1799) che Bonaparte modificò a proprio vantaggio prima di sottoporlo a plebiscito. Presidente del Senato, non condivise l'impostazione della politica napoleonica e abbandonò la vita pubblica. Nominato conte dell'impero (1809), alla Restaurazione dovette lasciare la Francia dove poté rientrare solo nel 1830.

 LA FAYETTE, MARIE-JOSEPH-PAUL DE MOTIER DE  (Saint-Roch de Chavagnac 1757 - Parigi 1834).

Militare e politico francese. Distintosi nella guerra d'indipendenza americana, allo scoppio della rivoluzione francese ebbe il comando della guardia nazionale. Membro del club dei foglianti e fautore di una monarchia costituzionale, fu imprigionato dagli austriaci (1792-1797). Restò in disparte durante l'impero e dopo la Restaurazione guidò l'opposizione liberale, favorendo l'ascesa di Luigi Filippo d'Orléans (1830).

NECKER, JACQUES (Ginevra 1732 - Coppet 1804).

Finanziere svizzero. Chiamato a dirigere le finanze francesi (1777-1781), tentò di riordinare le entrate e di ridurre le spese. Acquistò popolarità pubblicando, in un Compte rendu au Roi (1781), il bilancio statale. Inviso agli ambienti di corte, fu costretto a dimettersi. Reintegrato nel 1788, in seguito all'aggravamento della situazione finanziaria e allo scoppio della rivoluzione nel 1790 lasciò il governo.

CALONNE, CHARLES-ALEXANDRE DE (Douai 1734 - Parigi 1802).

Controllore generale delle finanze del regno di Francia (1783-1787), cercò di pareggiare il bilancio istituendo una tassa, la sovvenzione territoriale, che rinnovava il sistema fiscale, perché dovuta da tutti, anche da chi fino allora esente, in proporzione ai redditi. Entrato per questo in conflitto con il parlamento di Parigi e la nobiltà, venne licenziato da Luigi XVI.   

STATI GENERALI

Antica assemblea straordinaria dei rappresentanti di nobiltà, clero e Terzo stato in Francia e nelle Fiandre. Derivati dalle assemblee plenarie dei re capetingi, gli Stati generali francesi furono convocati la prima volta durante il conflitto tra papa Bonifacio VIII e Filippo IV (1301-1302). Nel 1317 Filippo V dispose che le città del regno scegliessero i propri rappresentanti all'assemblea, introducendo il principio dell'elettività dei deputati. Organo puramente consultivo, non avevano funzioni definite ed erano convocati saltuariamente per richiedere l'espresso consenso all'operato del sovrano. In alcune circostanze tentarono di accrescere le proprie prerogative assumendo iniziative politiche, ma la corona reagì evitando di convocarli. Nel secondo Cinquecento aumentò la loro importanza specie in materia fiscale e finanziaria, ma crebbe anche la conflittualità fra le tre componenti. Tali contrasti fecero fallire la riunione del 1614-1615. Dopo quella data non furono più convocati fino al 1789, quando la loro pretesa di costituirsi in Assemblea nazionale costituente segnò l'inizio della rivoluzione francese. Nelle Fiandre gli Stati generali, delegati di quelli provinciali, furono convocati sotto la dominazione borgognona e asburgica (secoli XV-XVI) con funzioni consultive specie in ambito fiscale. Alla secessione dalla Spagna delle sette province settentrionali (1579), il nome fu trasferito al principale organo collegiale di governo, che fu abolito nel 1796, dopo l'arrivo delle truppe rivoluzionarie francesi.

CAHIERS DE DOLÉANCE

Raccolte di lagnanze e di richieste agli Stati generali francesi, provenienti dalle assemblee locali. Per il loro numero (ca. 60.000) e la loro capillarità quelli del 1789 costituiscono un'importantissima fonte sull'ancien régime e sull'opinione pubblica alla vigilia della rivoluzione francese.

TERZO STATO

Nella società dell'ancien régime si indicavano con questo termine coloro che non appartenevano né al clero né alla nobiltà. Ne facevano quindi parte sia gli esponenti della borghesia delle professioni, di quella mercantile e manifatturiera, sia gli artigiani, i piccoli commercianti e coloro che erano collocati ai gradini più bassi della società. L'espressione implicava quindi una connotazione in senso negativo, in quanto gli appartenenti al Terzo stato non godevano dei privilegi riservati agli altri due ordini o stati (società di ordini). Tuttavia all'interno dell'ordine esisteva una gerarchia ben delineata che vedeva in primo piano gli officiers, i grandi burocrati, i professori, gli avvocati e poi gli uomini d'affari e i mercanti, tutti gerarchizzati secondo la funzione sociale svolta all'interno della società. Le istituzioni rappresentative del tempo (parlamenti, stati generali, diete) prevedevano generalmente la presenza di rappresentanti del Terzo stato al proprio interno, anche se questi tendevano a presentarsi esclusivamente come il ceto dei funzionari, dei giuristi e degli uomini di legge. La rivoluzione francese, distruggendo la vecchia struttura per ceti della società e le forme di organizzazione politica che ne erano espressione, fece del Terzo stato il rappresentante dell'intera nazione.

ASSEMBLEA NAZIONALE (Francia, 1789-1791).

Organismo formato, durante la rivoluzione francese, dai delegati del Terzo stato agli Stati generali, proclamatisi nella Sala della pallacorda rappresentanti della nazione (17 giugno 1789) per elaborare una costituzione. Trasformatasi in Assemblea nazionale costituente dopo che vi si furono congiunti anche i membri della nobiltà e del clero (9 luglio), si sciolse il 30 settembre 1791. I suoi membri, pur non essendo organizzati in partiti, assunsero posizioni diverse, su cui si sviluppò una nuova terminologia politica. A destra del presidente sedevano i monarchici intransigenti. Successivamente in questo gruppo confluì anche il centro, costituito dai monarchici bicameralisti che, sul modello inglese, riconoscevano al re il diritto di nominare una seconda camera. Fatta eccezione per qualche estremista, a sinistra erano i fautori del parlamentarismo, prevalentemente del Terzo stato, integrati da aristocratici liberali ed esponenti del basso clero. I rappresentanti degli interessi della medio-alta borghesia (vedi foglianti) desiderosa di partecipare alla vita politica ma intenzionata a difendere l'ordine e la proprietà, riuscirono a imporre la propria linea. Furono così varate riforme fondamentali quali l'abolizione del regime feudale, la Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino, l'incameramento dei beni ecclesiastici e degli emigrati, la Costituzione civile del clero e, infine, la Costituzione del 1791.

BASTIGLIA

Fortezza parigina utilizzata dal XVII secolo come prigione di stato. Assurta a simbolo dell'arbitrio regio, il 13-14 luglio 1789 fu assalita dal popolo per bloccare un colpo di mano di Luigi XVI contro l'Assemblea nazionale. L'episodio ebbe un'eco straordinaria e contribuì ad alimentare nelle province la "grande paura" della rivoluzione. Dal 1880 il 14 luglio è diventato festa nazionale.

COSTITUZIONI FRANCESI (1791-1814).

Costituzioni varate e abrogate in stretta successione in sintonia con gli eventi tumultuosi della rivoluzione, dell'età napoleonica e della restaurazione. Ciascuna di esse costituì un modello di assetto dello stato ispirato a concezioni ideologico-politiche ben distinte.

Nel 1791 fu varata la prima costituzione scritta della Francia. Sanciva solennemente i principi ispiratori dei provvedimenti legislativi emanati dal 1789 in poi, sotto l'incalzare degli eventi rivoluzionari. Nel preambolo riportava la Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino votata dall'Assemblea costituente il 26 agosto 1789. In essa, oltre a rivendicare i diritti naturali dell'individuo (diritto alla libertà personale, di pensiero, di opinione, d'espressione; alla proprietà; alla resistenza all'oppressione) e l'uguaglianza dei cittadini davanti alla legge, si affermava il principio della sovranità nazionale e si definiva la legge come espressione della volontà generale. La costituzione conservava l'ordinamento monarchico del paese, ma limitava le prerogative del re dei francesi e subordinava alla legge il suo volere. Attribuiva al sovrano il potere esecutivo e il diritto di veto sospensivo nonché la facoltà di nominare e revocare i ministri, i capi militari, gli ambasciatori e i principali amministratori. Demandava il potere legislativo a un corpo permanente, composto da una sola camera, eletta a suffragio censitario a doppio grado. Stabiliva che i giudici, designati dal popolo, esercitassero le loro funzioni sotto la sorveglianza di un tribunale di cassazione. Fissava inoltre il nuovo assetto territoriale del paese che sostituiva alle circoscrizioni dell'ancien régime dipartimenti, distretti, cantoni e municipi.

Ben più avanzata sul terreno politico e sociale fu la Costituzione dell'anno primo (1793). Voluta dai montagnardi al potere, fu adottata per acclamazione dalla Convenzione e approvata, come la successiva costituzione del 1795, da un referendum popolare. Pur non essendo mai entrata in vigore a causa dell'emergenza imposta dalla guerra contro la prima coalizione, divenne punto di riferimento per il pensiero democratico del secolo successivo. Nella preliminare Dichiarazione dei diritti si affermavano nuovi principi quali la fraternità tra i popoli e il diritto dei singoli al lavoro, all'istruzione, all'assistenza, alla felicità, all'insurrezione. Sfavorevole alle prerogative del potere esecutivo (esercitato da un Consiglio di ventiquattro membri) di cui limitava pesantemente le competenze, privilegiava il corpo legislativo composto da una sola Camera, i cui membri erano eletti annualmente a suffragio universale. I cittadini potevano intervenire direttamente nell'attività legislativa attraverso referendum richiesti da almeno un decimo degli elettori delle assemblee primarie in metà dei dipartimenti.

Assai più moderata fu la Costituzione dell'anno terzo (1795) che rifletteva la preoccupazione di contenere gli eccessi della precedente e di consolidare la preminenza della borghesia. Nella Dichiarazione introduttiva si rifaceva largamente al testo del 1791 ma, per reazione alla dittatura montagnarda, specificava che nessun individuo o gruppo di cittadini poteva ritenersi depositario della sovranità. Per la prima volta menzionava, oltre i diritti dell'uomo, anche i doveri che consistevano essenzialmente nell'obbligo di rispettare la legge e le autorità costituite. Sanciva la separazione dei poteri, delegando quello esecutivo a un Direttorio composto di cinque membri e quello legislativo a due assemblee elette a suffragio censitario e indiretto: il Consiglio dei cinquecento, che proponeva ed elaborava le leggi, e quello degli anziani, che le varava o respingeva. Conservava nelle sue grandi linee l'organizzazione amministrativa del territorio nazionale, mantenendo la suddivisione in dipartimenti, cantoni e comuni, ma sopprimendo i distretti. Le costituzioni del periodo napoleonico gradualmente segnarono il riflusso delle idee rivoluzionarie e l'approdo a un nuovo dispotismo.

La Costituzione dell'anno ottavo (1799), la prima che non si aprisse con una dichiarazione dei diritti, affidava il governo del paese a tre consoli, il primo dei quali godeva di ampie prerogative e, oltre a promulgare le leggi, nominava i ministri, gran parte dei funzionari civili e militari e i componenti del Consiglio di stato. Quest'ultimo organo redigeva le leggi che erano discusse dai membri del Tribunato e votate dal Corpo legislativo. Il suffragio universale era ristabilito; perdeva tuttavia significato, poiché i cittadini non eleggevano i propri rappresentanti, ma alcuni notabili tra i quali il Senato designava i componenti delle assemblee legislative. I senatori, inamovibili e cooptati su liste presentate dal primo console, avevano il ruolo di custodi della costituzione. Essi, però, non adottarono mai linee di condotta autonome e tramite successivi "senatoconsulti" si prestarono a indebolire i corpi legislativi e a rafforzare la posizione del primo console (Napoleone), che venne proclamato console a vita nel 1802 e imperatore nel 1804.

Con la restaurazione borbonica (1814) una nuova carta costituzionale venne concessa ai francesi per grazia del sovrano (vedi costituzione octroyée) senza che fosse deliberata da un'Assemblea costituente come le precedenti. Pur ribadendo la teoria della sovranità per diritto divino, non sconfessava alcune importanti conquiste politiche e sociali della rivoluzione quali l'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, l'abolizione dei privilegi fiscali, la libertà di pensiero, di espressione, di religione. Riservava al re non solo il potere esecutivo, ma anche l'esclusivo diritto dell'iniziativa legislativa nonché la facoltà di emettere regolamenti e ordinanze per l'esecuzione delle leggi. Introduceva, inoltre, un sistema bicamerale composto da una Camera dei pari, di nomina regia, e da una dei deputati, eletti a suffragio assai ristretto. Garantiva una certa indipendenza della magistratura, poiché i giudici, pur essendo nominati dal re, erano inamovibili. La carta costituzionale del 1814 tracciò le linee secondo cui si resse lo stato francese fino alla rivoluzione del 1848.
E. Papagna

COSTITUZIONE CIVILE DEL CLERO (12 luglio 1790).

Promulgata durante la rivoluzione francese, rimodellò le circoscrizioni ecclesiastiche su quelle amministrative, i dipartimenti. Dispose che tutti i membri del clero, stipendiati dallo stato, fossero eletti dai cittadini e che l'investitura papale non fosse più necessaria per i vescovi. Condannata dal papa Pio VI (marzo 1791), divise il clero francese tra costituzionale e refrattario e suscitò opposizione alla rivoluzione fra i fedeli.

VARENNES, FUGA DI (20 giugno 1791).

Tentativo di Luigi XVI di Francia e della famiglia reale di lasciare nottetempo Parigi per unirsi agli aristocratici "emigrati" all'estero, nella speranza di poter bloccare la rivoluzione. Riconosciuti e bloccati nelle Argonne, furono ricondotti in stato d'arresto nella capitale. L'Assemblea legislativa, accreditando la versione secondo cui il sovrano era stato rapito contro la sua volontà, poté reintegrare il re nelle sue funzioni.
   
FOGLIANTI (1791-1792).

Associazione politica francese fondata nel luglio del 1791 dall'ala moderata dei giacobini (Barnave, Adrien Du Port e Théodore de Lameth), contrari a far decadere il re dopo la fuga di Varennes. Derivò il nome dal convento di monaci cistercensi in cui ebbe sede. Strenui difensori della costituzione censitaria del 1791, scomparvero alla caduta della monarchia.

GIACOBINI

Membri di un club creato durante la rivoluzione francese, a Versailles, nel maggio 1789, da alcuni parlamentari bretoni capeggiati da J.R. Chevalier, e che si trasferì in ottobre a Parigi, insieme con l'Assemblea. Sotto il nome di Società degli amici della costituzione i giacobini si insediarono nel refettorio dell'ex convento dei domenicani, detti anche jacobins, derivandone il nome. Ben presto, sotto la guida di un triumvirato composto da A. Du Port, A. Barnave e A. De Lameth, riuscirono a costituire una fitta rete di società affiliate in tutto il paese, divenendo centro propulsore e cassa di risonanza nazionale della politica rivoluzionaria. Il club, in questa prima fase aderente a una linea monarchico-costituzionale, escludeva i ceti popolari a causa dell'elevata quota d'iscrizione che rendeva loro proibitiva l'adesione. Il suo principale obiettivo era la promozione di progetti di legge da sottoporre all'Assemblea e l'attività di propaganda delle leggi già rese esecutive. Ma la crisi di regime aperta dalla fuga di Varennes (giugno 1791) e aggravata dall'eccidio di Campo di Marte (luglio 1791), creò nel club parigino una profonda spaccatura, determinando la fuoriuscita della maggioranza, riunita intorno a Barnave e La Fayette, che andò a costituire il gruppo dei foglianti.

Moderata fino ad allora, la politica giacobina assunse, da quel momento, un indirizzo più democratico, ma soprattutto più intransigente. Da luogo di discussione il club si trasformò in laboratorio di idee e forze rivoluzionarie volte alla conquista del potere. Mutato il suo nome dal settembre 1792 in quello di "Club dei giacobini", la società eliminò dal suo interno le residue frange moderate e, nel maggio 1793, riuscì a esautorare il governo dei girondini. Divenne così il gruppo più organizzato ed egemone nella Convenzione ed ebbe in Robespierre il capo indiscusso.

L'alleanza con i sanculotti parigini, pur non priva di momenti di tensione che si fecero particolarmente acuti nella primavera del 1794, spinse i giacobini a radicalizzare la lotta contro aristocratici e monarchici e ad appoggiare misure che limitavano la libertà economica (maximum dei prezzi e dei salari). Durante il terrore i giacobini sostennero il Comitato di salute pubblica. Il colpo di stato del termidoro e la conseguente svolta moderata determinarono la chiusura del club, nel novembre 1794.
A. Carrino

PILLNITZ, CONGRESSO DI (25-27 agosto 1791).

Incontro tra l'imperatore Leopoldo II, il re di Prussia Federico Guglielmo II e il futuro re di Francia Carlo X, in cui si decise la prima guerra di coalizione contro la Francia rivoluzionaria.

ASSEMBLEA LEGISLATIVA (Francia, 1791-1792).

Organismo rappresentativo legislativo della Francia rivoluzionaria, previsto dalla Costituzione del 1791 ed eletto, col sistema censitario, nel settembre dello stesso anno. Essendo stati dichiarati non rieleggibili i membri della disciolta Assemblea nazionale, fu composta da 745 deputati di prima nomina, suddivisi in diverse correnti: a destra i monarchici costituzionali, vicini al club dei foglianti; a sinistra i giacobini di tendenza repubblicana, che si sarebbero poi scissi in girondini e montagnardi; al centro il gruppo di maggioranza degli indipendenti o costituzionali. Luigi XVI scelse tra i foglianti i suoi ministri. I contrasti sul problema della guerra con l'Austria volsero la situazione a favore dei girondini (ministero Roland-Dumouriez, aprile 1792) che aprirono il conflitto; ma, ai primi rovesci militari, il potere tornò ai foglianti. Incapace di imporre la sua autorità al re e ai club, l'Assemblea legislativa, dopo la giornata insurrezionale del 10 agosto 1792, la caduta della monarchia e l'abbandono della scena politica da parte dei moderati, si sciolse volontariamente (20 settembre 1792) e venne sostituita dalla Convenzione nazionale, eletta a suffragio universale maschile.

GIRONDINI

Gruppo politico nato durante la rivoluzione francese. Riuniva i deputati all'Assemblea legislativa provenienti dal dipartimento della Gironda. Era capeggiato da J.P. Brissot de Warville e annoverava fra i suoi esponenti P.V. Vergniaud, A.N. Condorcet, M. Isard. In seno all'Assemblea i girondini assunsero un atteggiamento radicale e antimonarchico imponendo a Luigi XVI la dichiarazione di guerra all'Austria e alla Prussia (20 aprile 1792). Contrari all'ideologia egualitaria dei sanculotti parigini, i girondini perseguivano obiettivi ideali e politici favorevoli alla borghesia, soprattutto alle sue componenti provinciali e mercantili. Il loro prestigio e il loro potere furono progessivamente ridotti dall'emergere dei giacobini e dai moti di piazza del 10 agosto 1792 diretti da questi ultimi. La sconfitta divenne definitiva il 2 giugno 1793 quando i girondini furono costretti a cedere il potere sotto la spinta dei sanculotti parigini. L'arresto e la condanna a morte di molti di loro costituì il momento iniziale del terrore. Solamente dopo il 9 termidoro la frangia superstite del gruppo poté ritornare a sedere tra i banchi della Convenzione.

BRISSOT DE WARVILLE, JACQUES-PIERRE (Chartres 1754 - Parigi 1793).

Politico francese. Avvocato, studioso, amico di Robespierre, fu tra i protagonisti della rivoluzione francese. Eletto agli Stati generali nel 1789, fece poi parte della Assemblea legislativa e della Convenzione. Arrestato coi girondini nel maggio del 1793, fu processato e condannato a morte.  
   
ROBESPIERRE, MAXIMILIEN DE (Arras 1758 - Parigi 1794).

Politico francese. Avvocato, intellettuale illuminista seguace di Rousseau e critico nei confronti dell'assolutismo regio e del sistema giudiziario, fu eletto deputato agli Stati generali del 1789. Appassionato difensore della libertà e dell'uguaglianza tra gli uomini, esercitò la sua influenza nel club dei giacobini, divenendone leader indiscusso con le campagne a favore del suffragio universale e contro la monarchia dopo la fuga di Varennes. La vita austera e l'intransigenza morale gli valsero il soprannome di Incorruttibile. Ostile alla dichiarazione di guerra all'Austria, in cui identificava un pericolo per le sorti della rivoluzione, dopo lo scoppio del conflitto (aprile 1792) e i primi rovesci militari divenne strenuo sostenitore della difesa a oltranza.

Eletto membro della Comune di Parigi dopo la rivolta popolare del 10 agosto 1792, fu poi deputato alla Convenzione dove si schierò con i montagnardi contro i girondini. Disinteressato fino ad allora ai problemi dell'approvvigionamento, appoggiò il programma dei sanculotti che chiedevano il calmiere dei prezzi delle derrate nonché l'epurazione dei sospetti e il potenziamento delle sezioni popolari. Dopo che i montagnardi ebbero conquistato il controllo della Convenzione con l'aiuto dei sanculotti (giornate del 31 maggio e del 2 giugno 1793), si adoperò per contenere le spinte radicali di questi ultimi e sostenne la necessità di un potere dittatoriale.

Animatore del Comitato di salute pubblica, adottò misure straordinarie per fronteggiare le difficoltà del momento e salvare la rivoluzione dai nemici interni ed esterni, non esitando a instaurare il regime del Terrore. La sconfitta della controrivoluzione e i successi militari riportati dalla Francia sugli eserciti coalizzati resero sempre più inviso e meno giustificabile il Terrore e favorirono l'alleanza degli oppositori che il 9 termidoro posero sotto accusa Robespierre di fronte alla Convenzione. Arrestato insieme ai suoi più stretti collaboratori, fu giustiziato il giorno successivo.
E. Papagna
   
SANCULOTTI (sans-culottes).

Termine coniato durante la rivoluzione francese per designare i popolani che portavano i pantaloni lunghi invece delle culottes, calzoni corti e aderenti preferiti dall'aristocrazia. Adoperato dapprima in senso spregiativo dalla pubblicistica ostile alla rivoluzione, con il radicalizzarsi della lotta politica l'appellativo divenne motivo di orgoglio per i militanti delle sezioni parigine. Quanto a provenienza sociale i sanculotti erano essenzialmente produttori indipendenti, piccoli commercianti e artigiani, ai quali si aggiungeva una modesta percentuale di salariati. Erano decisamente esclusi dalle loro fila sia i poveri e gli indigenti, sia la borghesia agiata dei grossi rentiers, dei mercanti e dei capitalisti. Protagonisti delle giornate rivoluzionarie e reclutati in massa nelle armate, i sanculotti si imposero sulla scena politica dall'estate 1792 fino alla primavera 1795. Sensibili alle difficoltà d'approvvigionamento, all'aumento dei prezzi e alla svalutazione degli assegnati, reclamarono la regolamentazione dell'economia e la fissazione del maximum dei prezzi. Sostenitori della democrazia diretta, tollerarono male il sistema rappresentativo e la concentrazione di potere nelle mani del governo rivoluzionario. Indifferenti alle vicende del nove termidoro, furono in momentanea ripresa dopo la caduta di Robespierre, ma si disgregarono in seguito al fallimento delle giornate insurrezionali di germinale e pratile (aprile-maggio 1795).

CONVENZIONE NAZIONALE (21 settembre 1792 - 26 ottobre 1795).

Parlamento eletto a suffragio universale durante la rivoluzione francese dopo la sospensione del re dalle sue funzioni. Subentrò all'Assemblea legislativa con il compito di elaborare una nuova costituzione. La proclamazione della Repubblica fu il suo primo atto (22 settembre). L'ala destra fu costituita dai girondini, la sinistra dai montagnardi, il centro dalla palude. La preponderanza dell'uno o dell'altro di questi gruppi consente di distinguere tre fasi nella storia della Convenzione. La prima fu caratterizzata dallo scontro tra girondini e montagnardi sul processo a Luigi XVI, sulla politica interna, sulle misure per fronteggiare la rivolta della Vandea e gli eserciti della prima coalizione. La seconda, che dalla sconfitta dei girondini (2 giugno 1793) arriva al 9 termidoro (27 luglio) 1793, fu segnata dal predominio dei giacobini, il club più agguerrito della Montagna, nel Comitato di salute pubblica e dallo scatenamento del Terrore tramite il Tribunale rivoluzionario. La terza fase va dall'eliminazione di Robespierre, con il colpo di stato termidoriano, allo scioglimento della Convenzione dopo l'insurrezione monarchica del 13 vendemmiaio (5 ottobre) 1795, attraverso l'azione dei giovani moscardini contro la Comune parigina, il Terrore bianco, la Costituzione dell'anno III e la creazione del Direttorio, moderato e debole, che aprì la strada a Napoleone.

VALMY, BATTAGLIA DI (20 settembre 1792).

Prima importante vittoria riportata dalla Francia rivoluzionaria nella guerra contro la prima coalizione. Le truppe dell'armata del Nord, guidate dai generali Dumouriez e Kellermann, arrestarono l'avanzata degli eserciti austro-prussiani che, al comando del duca di Brunswick, avevano occupato la Lorena e il Belgio, minacciando direttamente Parigi, e li costrinsero alla ritirata.

MONTAGNARDI

Membri di uno dei raggruppamenti politici che si formarono durante la rivoluzione francese, così chiamati perché occupavano i banchi posti più in alto (Montagna) della Convenzione (1792-1795). Ne facevano parte non solo i seguaci di Robespierre (giacobini), ma anche quelli di Danton e Marat e altri esponenti del fronte più radicalmente rivoluzionario. Non costituirono mai la maggioranza della Convenzione, che includeva anche i girondini e il composito gruppo della Pianura.   

DANTON, GEORGES-JACQUES (Arcis-sur-Aube 1759 - Parigi 1794).

Politico francese. Di modeste origini borghesi, studiò diritto e si trasferì a Parigi. Scoppiata la rivoluzione, vi aderì prontamente e, abile oratore, si distinse nella lotta contro le correnti più moderate. Leader del club dei cordiglieri e fervente repubblicano, ebbe un ruolo determinante nelle agitazioni che provocarono l'eccidio del Campo di Marte (1791) e nell'insurrezione del 10 agosto 1792 che portò alla caduta della monarchia. Nominato ministro della Giustizia, tollerò le stragi di settembre. Eletto alla Convenzione, tentò di mediare il contrasto tra girondini e montagnardi; infine si schierò con questi ultimi ed entrò nel Comitato di salute pubblica. Di fronte alle vicende della guerra del 1792-1793 si adoperò per reclutare un grande esercito e fronteggiare la coalizione austro-prussiana; tuttavia, mentre pubblicamente spingeva i francesi alla liberazione dei popoli e al raggiungimento dei confini naturali, intavolava trattative con gli avversari. Tale atteggiamento contraddittorio, gli arricchimenti illeciti e il coinvolgimento in alcuni scandali gli alienarono molti favori. Assunta la direzione dell'opposizione moderata a Robespierre, da quest'ultimo fu usato per sconfiggere gli oppositori di sinistra, ma poi venne egli stesso eliminato. Arrestato insieme ai suoi seguaci, gli "indulgenti", fu giudicato dal Tribunale rivoluzionario e condannato a morte.

PIANURA

Nomignolo di uno dei raggruppamenti politici esistenti all'interno della Convenzione francese (1792-1795), derivato dal fatto che i suoi membri sedevano nei banchi bassi dell'aula parlamentare, in opposizione alla Montagna. Chiamata anche con il nome dispregiativo di Palude, per la sua maggiore fluidità organizzativa e ideologica, determinò tuttavia le vicende della Convenzione, appoggiando prima i girondini e poi i montagnardi e dando infine il suo appoggio al colpo di stato del termidoro.

COALIZIONI ANTIFRANCESI (1792-1815).

Sistemi di alleanze militari internazionali diretti contro la Francia rivoluzionaria e successivamente contro quella napoleonica. Alle origini della prima coalizione vi fu la dichiarazione rilasciata a Pillnitz (27 agosto 1791) da Leopoldo d'Asburgo e Federico Guglielmo II di Prussia. A dare avvio al conflitto fu però la Francia, che il 20 aprile 1792 dichiarò guerra all'Austria (in aiuto della quale scattò subito il trattato di alleanza con la Prussia) e la estese il 1° febbraio 1793 all'Inghilterra e all'Olanda.

L'esecuzione di Luigi XVI fu l'evento che determinò la creazione di una più vasta alleanza controrivoluzionaria, alla quale aderirono i Borbone di Spagna, il Portogallo e i principi italiani e tedeschi. La pace di Basilea (1795) con la Prussia e la Spagna ottenuta dai termidoriani fu seguita dalla campagna d'Italia di Bonaparte, che condusse a imporre la pace al Piemonte e al papa, e soprattutto alla pace di Campoformio con l'Austria (ottobre 1797), che lasciò in guerra contro la Francia la sola Inghilterra.

La seconda coalizione fu provocata, nel marzo 1799, dalla campagna di Bonaparte in Egitto e, dopo l'alleanza fra Inghilterra e Turchia, vide la partecipazione dell'Austria, dei Borbone di Napoli e della Russia, alla quale si dovette il crollo delle repubbliche sorte in Italia nel 1797. La seconda campagna di Bonaparte in Italia condusse alla pace di Lunéville (febbraio 1801) con l'Austria, mentre già dall'ottobre 1799 lo zar Paolo aveva richiamato in Russia le sue truppe. La pace di Amiens con l'Inghilterra (marzo 1802) ristabilì infine la pace generale.

Questa durò quattordici mesi e venne rotta dalla dichiarazione di guerra dell'Inghilterra (maggio 1804), che riuscì a costituire una terza coalizione (1805) con l'Austria, la Russia, Napoli e la Svezia.

Dissolta di fatto dalla sconfitta austriaca ad Austerlitz (2 dicembre 1805), venne seguita da una quarta coalizione, che comprendeva l'Inghilterra, la Russia, la Svezia e la Prussia. La vittoria napoleonica sulla Prussia (a Jena, ottobre 1806) e la pace di Tilsit con la Russia (luglio 1807) lasciarono nuovamente sola l'Inghilterra.

L'ultimo tentativo asburgico di ribellarsi all'egemonia francese sulla Germania fu alle origini della quinta coalizione, fra Inghilterra e Austria, fallita in seguito alla vittoria di Napoleone a Wagram (luglio 1809) e alla pace di Schönbrunn (ottobre), che pose le basi dell'alleanza sancita dal matrimonio fra Napoleone e Maria Luisa d'Asburgo.

La campagna napoleonica di Russia del 1812-1813 provocò la sesta coalizione, sorta dall'alleanza fra lo zar e l'Inghilterra ed estesa poi a Prussia e Svezia; solo nel giugno 1813 vi aderì anche l'Austria. La coalizione ottenne la vittoria di Lipsia (ottobre) e procedette poi all'invasione della Francia e alla restaurazione dei Borbone.

La fuga di Napoleone dall'Elba e il suo ritorno in Francia determinarono nel marzo 1815 la settima coalizione, che includeva gli stati riunitisi già dal precedente settembre a Vienna per definire il nuovo assetto dell'Europa. La battaglia di Waterloo e la pace di Parigi del novembre 1815 chiusero l'età delle coalizioni antifrancesi.
S. Guarracino 
  
VANDEA, RIVOLTA DELLA (1793-1800).

Insurrezione (marzo 1793) dei contadini della Vandea, regione costiera della Francia occidentale, contro il regime rivoluzionario francese, scoppiata all'annuncio della leva di 300.000 uomini decisa dalla Convenzione nazionale. Il malcontento covava da tempo in quelle zone, prevalentemente rurali, a causa dell'attaccamento alla religione, dell'aggravarsi della pressione fiscale, dell'abolizione dei diritti di pascolo comune, della crisi della tessitura e dell'ostilità verso la borghesia cittadina, unica beneficiaria della vendita delle terre nazionalizzate. I ribelli, fanatizzati dal clero e guidati da capi plebei e da nobili realisti, conseguirono dapprima alcuni successi; poi, sconfitti a Nantes (giugno 1793), vennero annientati dalle truppe rivoluzionarie a Le Mans e Savernay (dicembre 1793). Nei mesi seguenti la Vandea fu devastata dalle "colonne infernali", organizzate per sedare gli ultimi focolai insurrezionali. La rivolta si infiammò a più riprese negli anni successivi sino alla definitiva pacificazione, ottenuta da Bonaparte nel 1800. Da allora Vandea è diventato per antonomasia il nome di qualsiasi covo o focolaio di tendenze reazionarie e antiprogressiste. 

TRIBUNALE RIVOLUZIONARIO (1792-1795).

Giurisdizione straordinaria istituita durante la rivoluzione francese per giudicare traditori e sospetti. Creata una prima volta il 17 agosto 1792, fu soppressa dopo le stragi di settembre. Riorganizzata nel marzo del 1793, fu potenziata durante il Terrore e il 30 ottobre assunse ufficialmente la denominazione di tribunale rivoluzionario. Giudicò e condannò a morte, tra gli altri, i capi girondini e la regina Maria Antonietta. Modificato dopo il 9 termidoro, il tribunale fu soppresso il 12 pratile (31 maggio 1795). Tribunali analoghi (talvolta detti "del popolo") furono istituiti anche nel corso di altre rivoluzioni successive.

COMITATO DI SALUTE PUBBLICA (1793-1795).

Organo di sorveglianza e poi di governo della Francia rivoluzionaria. Istituito il 6 aprile 1793 dalla Convenzione, in sostituzione del Comitato di difesa generale, e costituito da nove deputati (fra i quali sette rappresentanti del centro e i due montagnardi G.J. Danton ed E. Delacroix), ebbe il potere esecutivo. Dopo la sconfitta della Gironda e la presa del potere da parte della Montagna (2 giugno), fu riorganizzato e diviso in sei sezioni (Affari generali, Affari esteri, Guerra, Marina, Interni, Petizioni), diventando il principale organo del governo rivoluzionario. Modificato anche nella struttura, il nuovo organismo, composto da dodici e poi da quattordici membri, fu, dopo l'esclusione di Danton, dominato dalla figura di M. Robespierre.

Intervenendo in tutti i problemi sia di politica interna sia estera, il Comitato bandì la leva di massa generalizzata, prese provvedimenti di carattere economico quali l'istituzione di un calmiere dei prezzi, realizzò la centralizzazione amministrativa e iniziò l'opera di scristianizzazione attraverso l'adozione di un nuovo calendario e l'istituzione del culto della Ragione. Nel settembre 1793 ebbero luogo i primi grandi processi politici, mentre la Francia ottenne vari successi nella campagna di guerra allontanando la minaccia di una invasione del territorio nazionale e cogliendo alcune importanti vittorie.

Il rinnovarsi di conflitti interni fra il Comitato di salute pubblica e il Comitato di sicurezza generale e il contrasto, in seno al primo, fra Robespierre e Lazare-Nicolas Carnot portarono alla reazione dei moderati e al colpo di stato del 9 termidoro (27 luglio 1794). Pur rimanendo in vita ancora per un anno il Comitato di salute pubblica fu epurato degli elementi più vicini a Robespierre e perse il suo ruolo centrale, venendo affiancato da altri comitati e quindi sciolto definitivamente alla caduta della Convenzione (26 ottobre 1795).
F. De Luca

HÉBERT, JACQUES-RENÉ (Alençon 1757 - Parigi 1794).

Politico e giornalista francese. Acceso fautore della rivoluzione, fondò e diresse il giornale "Le Père Duchesne", sostenendo posizioni sempre più radicali con un linguaggio volutamente aggressivo. Sostenitore dell'étatisme, o socialismo di stato, fu in contrasto con Robespierre che, nel marzo 1794, lo fece arrestare e ghigliottinare insieme ad altri suoi seguaci.

SAINT-JUST, LOUIS ANTOINE-LÉON DE (Decize 1767 - Parigi 1794).

Politico francese. Deputato alla Convenzione, sostenne Robespierre contro i girondini. Eletto nel Comitato di salute pubblica nel 1793 per salvare la rivoluzione, divenne teorico e artefice del Terrore. Travolto nel crollo del regime il nove termidoro, fu ghigliottinato il giorno successivo. Nei Fragments sur les institutions républicaines espresse la sua concezione del governo rivoluzionario basata sul binomio terrore-virtù e il sogno di una democrazia di piccoli coltivatori e artigiani indipendenti.

TERMIDORO, COLPO DI STATO DEL (9 termidoro, 27 luglio 1794).

Rovesciamento del governo giacobino durante la rivoluzione francese. Il Comitato di salute pubblica fu privato dei suoi poteri e Robespierre e i suoi seguaci, accusati di ambizione e dispotismo di fronte alla Convenzione, furono arrestati e decapitati il giorno successivo. Al successo della congiura antigiacobina avevano contribuito le vittorie riportate sui nemici interni ed esterni della rivoluzione che avevano reso inutile il regime del Terrore. Inoltre si erano allentati i legami tra il governo rivoluzionario e i sanculotti, scontenti per il calmiere sui salari e per le esecuzioni dei seguaci di Hébert. Infine, il gruppo dirigente aveva perduto l'appoggio della Convenzione dopo l'alleanza tra i moderati della Palude e i cosiddetti "terroristi", rappresentanti in missione nelle province, richiamati da Robespierre a Parigi a causa dei loro misfatti.
   
TERRORE BIANCO (1794-1795)

Esecuzioni in massa di giacobini e sanculotti, seguite al colpo di stato del 9 termidoro a Parigi, come reazione al Terrore.

DIRETTORIO (1795-1799).

Organismo politico istituito nella Francia rivoluzionaria dopo lo scioglimento della Convenzione nazionale e durato dal 26 ottobre 1795 al 10 novembre 1799. Si fondò sulla Costituzione dell'anno terzo (costituzioni francesi), elaborata dal gruppo dirigente termidoriano, timoroso di una nuova dittatura, secondo principi di rigida divisione dei poteri. Il potere legislativo fu affidato a due Consigli, dei cinquecento e degli anziani, e quello esecutivo a cinque Direttori. Il Direttorio dovette affrontare serie difficoltà all'interno del paese per il grave dissesto economico e finanziario e per le minacce provenienti dalle opposizioni di destra e di sinistra. In politica estera, dopo una fase propizia che portò alla pace di Campoformio (1797) con l'Austria, promosse la spedizione di Napoleone in Egitto e fronteggiò la seconda coalizione antifrancese. I rovesci militari del 1799 fecero precipitare un equilibrio politico già instabile e spianarono la strada alla dittatura militare. Gli organi legislativi vennero infatti sciolti dai soldati di Bonaparte con il colpo di stato del diciotto brumaio.

CONGIURA DEGLI EGUALI (1796).

Cospirazione parigina per rovesciare il Direttorio, ristabilire la Costituzione dell'anno primo e instaurare il comunismo economico. Animata da F.N. Babeuf, che innovò la tecnica insurrezionale, sostituendo alla "giornata" popolare spontanea la rivolta accuratamente preparata da un piccolo gruppo, fu scoperta in seguito a una delazione: i capi vennero arrestati e condannati a morte o alla deportazione.

NAPOLEONE BONAPARTE (Ajaccio 1769 - Sant'Elena 1821).

Condottiero e statista francese, imperatore dei francesi (1804-1814 e 1815). Appartenente alla piccola nobiltà provinciale corsa, studiò nel collegio di Autun, poi nelle scuole militari di Brienne e di Parigi. Nominato sottotenente di artiglieria (1785), alternò la vita di guarnigione a lunghi soggiorni in Corsica dove si legò al partito di Pasquale Paoli. Quando però questi insorse contro la Convenzione rivendicando l'indipendenza dell'isola, Napoleone e la sua famiglia, ritenuta filofrancese, dovettero fuggire a Marsiglia (1793). Divenuto fervido sostenitore della causa giacobina, si distinse nell'assedio di Tolone, occupata dagli inglesi, e fu nominato generale di brigata.

Arrestato dopo il colpo di stato del termidoro e radiato dall'esercito, tornò rapidamente in auge allorché Barras gli affidò il compito di reprimere il colpo di stato realista del 13 vendemmiaio (1795). Avuto il comando dell'armata in Italia contro gli eserciti della prima coalizione, le vittorie conseguite (1796-1797) lo affrancarono progressivamente dalla subordinazione al Direttorio. Forte del prestigio conquistato sul campo, impose una linea diplomatica e scelte sull'assetto istituzionale dei territori conquistati che si discostavano dalla politica ufficiale. La successiva spedizione in Egitto (17981799), destinata a colpire l'Inghilterra nei suoi traffici in Oriente, non fu un completo successo. Ben più gravi furono, tuttavia, le sconfitte subite dalle armate francesi in Europa che screditarono completamente il Direttorio.

Il diciotto brumaio Napoleone volse la situazione a suo favore instaurando una dittatura militare nelle forme sancite dalla costituzione dell'anno VIII (1799) in base alla quale fu proclamato primo console. Successivi plebisciti popolari gli consentirono il passaggio al consolato a vita (1802) e, infine, all'impero (1804).

Strenuo fautore di una riorganizzazione dello stato fondata su un forte potere esecutivo e sull'accentramento amministrativo, Bonaparte sottopose l'intero territorio francese al controllo del governo centrale tramite l'azione dei prefetti e dei sindaci che erano di nomina governativa. In ambito giuridico realizzò un'imponente opera di omogeneizzazione degli ordinamenti legislativi, ponendo fine alla molteplicità delle fonti del diritto che aveva caratterizzato la Francia di antico regime. In particolare fu di grande importanza il Codice civile che, esteso a tutti gli stati annessi o vassalli, sancì i principi della libertà individuale, dell'uguaglianza giuridica e della proprietà privata. Napoleone si sforzò di riorganizzare le finanze pubbliche e istituì la Banca di Francia, liberando lo stato dalla dipendenza dai banchieri privati.

Per favorire la pace sociale riammise gli emigrati monarchici disposti a giurare fedeltà al regime e soddisfece le istanze dei cattolici stipulando un concordato con la Santa sede (1801) con il quale si riconosceva il cattolicesimo come religione della maggior parte dei francesi. La politica estera perseguita da Bonaparte gli consentì, con la forza delle armi (guerre napoleoniche), di riorganizzare temporaneamente l'Europa centroccidentale in modo conforme agli interessi francesi, introducendo tuttavia profonde riforme negli assetti istituzionali e sociali dei paesi assoggettati.
E. Papagna  

IMPERO NAPOLEONICO (1804-1815).

Forma costituzionale assunta dallo stato francese per volere di Napoleone Bonaparte. Il primo impero fu proclamato in Francia il 2 dicembre 1804. Uscita, con il consolato, da un decennio di forti tensioni politiche e sociali, la Francia era attraversata dall'ansia di ritrovare stabilità e ordine. Era il momento propizio perché emergessero sulla scena politica forti personalità capaci di selezionare le riforme e radicare le conquiste rivoluzionarie sconfiggendo, però, lo spirito "fazionario".

Napoleone si propose come garante di una nazione riunita intorno alla sua persona, rendendo possibile, con la sua incoronazione, un compromesso fra tradizione monarchica e spirito democratico, creando un impero che ricercava il consenso delle masse popolari, ma le riconduceva, dopo la fase dell'attivismo rivoluzionario, a una condizione di consenso passivo. La nuova Francia imperiale dava così al resto dell'Europa un'immagine rassicurante di sé, scongiurando la controrivoluzione, ma consolidando al tempo stesso le principali conquiste del riformismo settecentesco e della rivoluzione.

L'impero poggiava, all'interno, su una struttura amministrativa radicalmente innovata e razionalizzata, centrata sulla figura dei prefetti (eredi degli intendenti dell'ancien régime). In politica estera si fondava, invece, sull'impero coloniale, sul protezionismo economico e sull'espansionismo politico e militare. Fu travolto con le sconfitte napoleoniche in Russia, in Spagna (1812), a Lipsia (1813) e, infine, a Waterloo (1815).

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 RIVOLUZIONE FRANCESE

Enciclopedia Italiana (1932)

di Alberto Maria Ghisalberti

 La molteplicità delle cause, la complessità degli elementi, la varietà dei momenti e delle conseguenze hanno reso sempre difficile il giudizio e la valutazione del moto che, trasformando la Francia, ha contribuito al mutamento della società europea e della coscienza civile. Quanti scorsero nella rivoluzione solo distruzione e violenza, quanti espressero il loro rammarico per non potersi limitare alla narrazione delle guerre vittoriose e della propaganda fatta dai grognards della risorta Francia errarono, come errarono quelli che lamentarono di non potersi consacrare all'esaltazione di particolari periodi, uomini, istituzioni. Le dottrine sovvertitrici e le ideologie dannose, la brutalità e le profanazioni, le lotte civili e i delitti del Terrore s'accompagnano e s'alternano infatti con l'entusiasmo creatore e gli slanci appassionati di una società rinnovata, con la conquista dell'eguaglianza giuridica e dell'ordine amministrativo, con la sostituzione della legge all'arbitrio, con la liberazione dall'eredità del passato. Liberazione che è piuttosto superamento e trasformazione anziché sola distruzione materiale. Poiché la rivoluzione recò a termine con la sua violenza l'opera condotta nei secoli dalla monarchia dell'antico regime e abbatté le sopravvivenze feudali e le disparità sociali, consacrò l'importanza e la forza della borghesia, accentuò e unificò il governo e l'amministrazione, accelerò il già iniziato trapasso della proprietà, rese uguali gli uomini davanti alla legge.

Preparata dalle dottrine dell'illuminismo (v.) e dalle riforme della monarchia, la rivoluzione uscì dai confini del territorio dov'era nata e invase gli stati della vecchia Europa del diritto divino e del privilegio, ridestando sentimenti e aspirazioni nazionali, eccitando ribellioni contro gli ordinamenti sociali e le forme politiche. Gli eserciti della rivoluzione poterono essere sconfitti, ma le idee si propagarono e improntarono di sé tutta la storia del secolo XIX. (Per gli avvenimenti particolari, v. europa; francia: Storia).

Nella struttura della società francese dopo la morte di Luigi XIV si è sempre cercata una delle ragioni della rivoluzione. La monarchia dell'antico regime aveva assicurato alla Francia ordine, prosperità e potenza, ma non aveva saputo crearsi una propria solida base. Rimasta sempre una monarchia personale, non era riuscita a trasformarsi radicalmente con le riforme tentate, ma aveva indebolito istituzioni e ordinamenti nei quali avrebbe potuto trovare aiuto e forza. E più tardi l'alleanza stretta con le classi privilegiate a danno della borghesia, secolare compagna del re nella lotta antifeudale, finirà di alterare l'equilibrio politico e identificherà pericolosamente gl'interessi del monarca, ormai più assoluto in apparenza che in realtà, con quelli degli ordini privilegiati. Dal suo grandioso sviluppo del Sei-Settecento la borghesia fu tratta a invocare libertà economica ed eguaglianza civile, abolizione di privilegi e costituzione. Parola magica questa, ma che significava disciplina e norma certa, più che radicale innovazione di governo.

Se il regime di privilegio assicurava una situazione particolare ai 140.000 nobili e ai 130.000 ecclesiastici costituenti le due classi dominanti la massa di 20.500.000 Francesi, accanto a essi esisteva una borghesia ricca d'energie e di aspirazioni, alla quale la coscienza del proprio valore accresceva l'ambizione. E i ceti privilegiati sentivano invece diminuire la propria forza e mancavano nel loro interno di omogeneità e quindi di solidarietà di classe. La loro debolezza indeboliva il regime.

Al clero l'immunità fiscale, i benefici statali, il diritto d'asilo, i tribunali e cento altri privilegi creavano una posizione di particolare potenza, garantita da una ricchezza calcolata, nel 1789, a tre miliardi. Eppure questa classe su cui si avventava demolitore lo spirito del secolo, era in sé radicalmente divisa. Di fronte a un alto clero legato alla corte e alla nobiltà, esistevano una borghesia e un proletariato ecclesiastici, che non potevano guardare benevolmente ai veri privilegiati dalle grosse prebende e dovevano accogliere con simpatia le idee di critica e di rinnovamento, prima, la propaganda e l'azione rivoluzionaria, poi. L'atto d'accusa lanciato contro i privilegiati dal curato Jean Meslier restava apparentemente senza eco per mezzo secolo, ma i Talleyrand, i Grégoire, i Sieyès, i defroqués e i preti giurati, educati da Mably e dal Vicario Savoiardo, attesteranno la crisi profonda di quella società ecclesiastica.

Anche la nobiltà era immune da oneri e gravami, godeva di privilegi giuridici, riscuoteva dai proprî vassalli tributi e diritti, esigeva lavori e corvées. Sue erano le cariche pubbliche, suoi gli uffici militari, suoi i lauti benefici ecclesiastici, sua un'enorme porzione del suolo francese (clero e nobiltà possedevano insieme i ⅔, se non i 4/5 del territorio). Ma anche questa classe non costituiva un fronte unico, ché a fianco dell'alta nobiltà v'erano una media e piccola nobiltà rovinate dal mercantilismo, malcontente del proprio stato, confinate in provincia e nelle campagne. E anche sui nobili delle varie categorie agivano con l'antico spirito di fronda il movimento filosofico e le tendenze dissolvitrici. Liancourt, ClermontTonnerre, Lally-Tollendal, La Fayette saranno all'avanguardia dei liberali moderati; Mirabeau padre scriveva a mezzo il secolo un libro apparso rivoluzionario e il figlio si assiderà a Versailles tra i rappresentanti del Terzo Stato; nobiluccio di provincia, il conte di Barras voterà per la morte del re e preparerà la strada a un altro ci-devant, Napoleone.
Ma anche ces messieurs du Tiers mancano ormai di omogeneità. Il mercantilismo ha differenziato la classe. L'alta borghesia dei banchieri, degli armatori, dei commercianti e degli appaltatori ha ricavato dalla trasformazione economica grandi ricchezze e, con una più viva coscienza della propria forza e dei proprî diritti, l'aspirazione a una qualche attività politica. Assai vicina alla nobiltà, vi entra per mezzo di quelle cariche che la tramutano in noblesse de robe, ma non si separa del tutto dagli elementi della media e della piccola borghesia. Quella è istruita, colta, aperta alle nuove idee, animata da profonda avversione per i privilegiati; l'altra dei piccoli commercianti, dei bottegai, degl'impiegati, è numerosa, scontenta, irritata, e perciò facile alle idee estreme e alle speranze messianiche.

Anche meno bene sta il proletariato cittadino e rurale. E in questo quarto stato, che invano tenterà di affermarsi durante la rivoluzione borghese, la condizione dei contadini è inferiore a quella degli operai. Quindici milioni di abitanti delle campagne odiano il regime feudale (ma le paysan ha già cominciato a riscattare per sé la terra e il decadimento della piccola feudalità accelera il trapasso) e il loro odio avvampa anche contro il proletariato urbano, che appare loro particolarmente beneficato. E non è, ché la diversità delle industrie, la concorrenza straniera, la regolamentazione rigida, la clausura corporativa impediscono lo sviluppo industriale e quindi il benessere operaio. Il protezionismo non bastava a salvare l'economia nazionale. Le importazioni erano superiori alle esportazioni, e queste diminuivano ancor più e quelle aumentavano. La terra rendeva poco, ormai, e lo scarso reddito, che all'inizio della rivoluzione si aggirava su due miliardi e mezzo, era disperso fra troppi beneficiarî.

Questa disparità sociale e questa insufficienza economica, sulle quali agiscono le critiche corrosive degl'intellettuali, sono alla base dello sforzo di trasformazione statale e sociale, che s'iniziò nel 1789. La diversità di educazione accentua la diversità delle condizioni. Lo stato spende poco per l'istruzione pubblica: la cultura resta patrimonio d'una minoranza privilegiata. Il contrasto tra un popolo ignorante, ma assetato di fede e in attesa di miracolosi mutamenti, e una élite intellettuale imbevuta di un dogmatismo generalizzatore e di un classicismo di maniera dovrà dare amari frutti. E poiché lo stato ha abbandonato alla chiesa troppe funzioni e mansioni e si è fatto ufficialmente intollerante, un sentimento anticlericale, che diverrà anticattolico, s'impadronisce degli spiriti. E non si bada se, per abbattere la potenza della chiesa, si colpisce anche il trono, che trova in quella il suo puntello. L'ossequio per la regalità diviene puramente formale.
L'illegalità e l'arbitrio tenevan luogo di legge. Non difettavano i tribunali, ma il loro numero e la diversità del diritto e della procedura creavano confusione e disuguaglianza di trattamento. E tutta la macchina statale mostrava disparità e disordine: mancavano norme e regole comuni; i governi locali e quello centrale erano deboli per mancanza di unità e per l'instabilità degli uffici e delle magistrature. Il sistema finanziario e il regime fiscale aggravavano la situazione generale in quanto schiacciavano solo una parte, la più numerosa però, della società. I ministri, anche i migliori, non riuscivano con i tentati espedienti, cui era d'ostacolo la resistenza nobiliare, a frenare le spese e vedevano accrescersi paurosamente il deficit. Nel 1789 il debito pubblico ammontava a circa 1630 milioni.

Un paese siffatto non ha alcuna possibilità d'informazione sicura. I pochi giornali non servono che a diffondere notizie indifferenti alla massa e polemiche letterarie. La Gazette de France, il Journal de Paris, l'ormai vecchio Mercure e il gesuitico Journal de Trévoux, in armi contro Giansenio, non si compromettevano con critiche al governo o alla costituzione sociale. A dispetto della censura entravano dall'estero libri e pamphlets eterodossi (specie durante la guerra dei Sette anni), ma erano a un tempo troppo poco e troppo insieme per un'opinione pubblica male informata, impreparata alla discussione e alla critica. E che cosa potesse nascere da questa ignoranza di massa si vide al processo della collana.
Su questo mondo inquieto e diviso agisce una cultura di origine franco-inglese, permeata di filosofia, di spirito "libertino", di aspirazioni più o meno concrete a riforme, una cultura che intacca e corrode le tradizioni e gl'istituti su cui è poggiata la società e pone insieme le fondamenta di un novus ordo.

Il fine delle nuove tendenze è chiaramente espresso nella Histoire philosophique dell'abate Raynal (1772). La filosofia sola unisce, illumina e conforta gli uomini: essa sostituisce sulla terra la divinità. L'umanità sostituita a Dio, la filosofia alla religione: che altro invoca per l'umano ardir il Monti? Senza limiti è il potere della ragione, cui solo una mèta resta ormai da raggiungere, vincere la morte. Ai filosofi, il compito di dettare la legge, che gli uomini adotteranno. E la legge è dal Raynal concepita come un'ideale spada uguagliatrice. Saint-Just ha solo tre anni, ma Fouquier-Tinville è già sui trenta. Mezzo secolo di dogmatismo ideologico prepara il dogmatismo democratico dei giacobini.

Verso la metà del Settecento, allorché la pace di Aquisgrana pareva promettere un'era di quiete e di felicità, usciva l'Esprit des lois del Montesquieu (1748), che smosse potentemente le vecchie idee e suscitò con il desiderio di nuove istituzioni l'aspirazione all'attività politica. E se la dottrina della relatività delle forme istituzionali e giuridiche in rapporto all'ambiente non ebbe fortuna presso i contemporanei, la concezione della divisione dei poteri e l'acuta esposizione dei principî di un liberalismo costituzionale ispireranno invece la futura azione rivoluzionaria. Alla critica della religione aveva contribuito anche il Montesquieu con le Lettres persanes, ma ben più efficace appare in questo campo il Voltaire. Inquieto e aulico, onorato dai contemporanei, sarà adorato dagli uomini della prima fase della rivoluzione. Imbevuto anch'egli di spirito inglese, coopera al lavoro di demolizione degli ordinamenti e delle istituzioni, pur non essendo affatto, aristocratico del pensiero, un rivoluzionario. Convinto della bontà e della necessità della sua missione trascina l'opinione pubblica verso un radicale anticlericalismo. L'irreligiosità di cui fanno pompa, sull'esempio dei maggiori, gli uomini del tempo, è spesso prova d'uno scarso contenuto spirituale, più spesso dell'insofferenza dei vincoli e degl'inciampi di cui si accusava la chiesa. Nella seconda metà del secolo la diffusione di scritti anticattolici si accentua e l'ateismo invade ugualmente le classi dirigenti e la borghesia; c'è una religione dell'irreligiosità. Nell'alto clero, sebbene in maggioranza fedele al proprio dovere, non mancano prelati mondani e qualche scettico, come il Talleyrand e il Loménie de Brienne. Abbondano poi opere gianseniste, ricercate soprattutto, forse, per l'affinità loro con le nuove dottrine giurisdizionaliste. Se Voltaire professa un deismo razionalistico, che avrà un apostolo in Robespierre, e Rousseau divinizza l'umanità e la natura, Naigeon sogna già di strangolare l'ultimo re con le budella dell'ultimo prete.

Quando l'Esprit des lois appare, è ormai viva nella mente del Diderot l'idea dell'Enciclopedia, la Bibbia dell'illuminismo. Spirito spregiudicato di borghese insoddisfatto, entusiasta e grossolano, l'ateo e materialista autore dell'Interprétation de la nature lancia con il D'Alembert la sua poderosa macchina di guerra contro l'antico spirito e l'antico regime. La sua influenza fu notevole sulla generazione rivoluzionaria. Brissot è del '54; Barras e Barère son dell'anno dopo; La Fayette del '57; Robespierre e Vergniaud del '58; Desmoulins e Babeuf del '60; Barnave del '61. La rivoluzione la faranno i giovani penetrati dalle idee dell'Enciclopedia. Condorcet, più vecchio (è coetaneo di Marat), ne sarà addirittura collaboratore. E l'umanitarismo, il cosmopolitismo, l'insofferenza dei vincoli e delle imposizioni dei culti ufficiali diffonde la Massoneria, non a torto definita la Compagnia di Gesù dell'illuminismo. Nelle sue logge i futuri attori della rivoluzione, carnefici e vittime, s'imbevono di quella cultura, si riconoscono uguali a dispetto delle differenze sociali e attuano il vangelo della fraternité e preparano il culto della Dea Ragione, dell'Essere supremo, della teofilantropia.
Un tale movimento culturale non è del tutto nuovo, perché idee di progresso e di tolleranza e aspirazioni a riforme civili serpeggiavano già nel classicheggiante secolo del Re Sole. Il Dictionnaire historique et critique del Bayle anticipa Voltaire e l'Enciclopedia. Ma i filosofi e gli scienziati del Settecento, convinti della propria infallibilità e animati da una salda e ingenua fede nel progresso, accentuano questo movimento. Le idee di una minoranza dottrinaria investono l'intera generazione e soffocano ogni rispetto per la tradizione e l'autorità.

Interprete della più inquieta anima popolare, fa parte per sé stesso Rousseau. Il secolo crede alla perfettibilità umana e alla potenza della ragione; egli le nega. La civiltà è male, ingiustizia, schiavitù, corruzione; l'uomo non vi si sottrae se non tornando alla natura. Osteggiato dalla cultura ufficiale, il pensiero di Rousseau penetra largamente nella società del suo tempo, che nel Contrat social sente affermato nella dottrina della volontà generale il diritto alla sovranità popolare, assoluta e inalienabile, della quale il governo è solo mandatario ed esecutore. E il Contrat indicava agli uomini che il massimo bene era costituito dalla libertà e dall'uguaglianza. La dottrina di Rousseau diede vita a una nuova coscienza giuridico-sociale e con l'affermazione di un diritto d'iniziativa rivoluzionaria diffuse il desiderio d'istituzioni democratiche.
La critica all'ordinamento sociale fondato sulla proprietà, causa d'ogni male, assume forma più audace in Morelly, in Restif de la Bretonne, in Mably, propugnatori di collettivismo, in Brissot, che anticipa Proudhon, in Linguet, il cui linguaggio ha accenti moderni. Ma alla maggioranza dei contemporanei apparvero quasi più rivoluzionarie le dottrine dei fisiocratici (v.), secondo i quali le forze produttive e l'interesse individuale debbono esser liberi da ogni imposizione innaturale. E le riforme proposte si allargavano dal campo puramente economico a quello amministrativo e tributario e investivano in pieno gli ordinamenti sociali.

Tutto questo fermento di idee, al quale contribuiscono differenti tendenze e uomini di origine diversa, penetra per mille guise nella società. La coscienza e la fede nei tradizionali diritti della classe si annebbia nei privilegiati, mentre la cultura accende le speranze e le ambizioni della borghesia e, attraverso questa, eccita e intorbida la passione popolare. Le future vittime non si accorgono di scavarsi la fossa. La mancanza d'una vera esperienza politica è pericolosa per questo mondo imbevuto d'ideologie. Qualcuno lancia il grido d'allarme o la parola profetica. A mezzo il secolo d'Argenson denuncia la neonata dottrina della superiorità della nazione sul re e crede possibile uno sconvolgimento; nell'Émile Rousseau sente prossima l'era delle rivoluzioni; e nel '64 Voltaire scrive che la rivoluzione è fatale. Casanova, è d'accordo con lui.
La coscienza che l'offensiva illuministica non sia solo rivolta contro l'"infame", ma possa anche investire il regime, si va facendo strada. Gli attacchi alla monarchia non mancano. L'anno prima dell'abolizione dei gesuiti già si proclama che i re son fatti per i popoli, non questi per quelli. Rousseau non è solo. Nessuno vuole veramente la repubblica nel 1789, ma tutti aspirano a modificare la monarchia. L'ideale repubblicano è per molto tempo letterario, ma Danton lo dice negli spiriti da vent'anni. Si studiano e si ammirano, spesso per motivi sentimentali, gli ordinamenti stranieri, della Svizzera e dell'Olanda, della Prussia federiciana, magari della Russia di Caterina, ma più quelli dell'Inghilterra. E la costituzione inglese si vuole adattare alla Francia, ove molti pensano a una monarchia temperata dalle camere. Altri preferisce il sovrano illuminato dai filosofi; qualcuno vuole un dispotismo vero; pochi ancora sono per gli autentici ordinamenti democratici; ma son troppi a voler cose diverse e il concetto che l'uomo debba governarsi da sé si fa strada. Intanto la rivoluzione d'America suscita altre idee e fornisce modelli d'azione; e La Fayette è a scuola di libertà oltre Oceano.
Il popolo non legge i libri dei filosofi e non conosce l'Enciclopedia, ma ha vivo il senso della propria inferiorità e della dissoluzione aristocratica: il giorno in cui la borghesia gli fornirà i capi per il movimento, scoppierà la crisi con mal preveduta violenza. Dogmatismo ideologico e classicismo libresco, sensiblerie e irreligiosità, cosmopolitismo e umanitarismo, desiderio di virtù e di giustizia e volontà di liberare l'uomo e di renderlo signore del suo destino faranno domani universale la rivoluzione. L'impossibilità di trasformazione dell'organismo politico-sociale, internamente minato, provoca il crollo del regime. I tentativi di riforma riescono inutili; gli atti dell'ultimo Luigi sono buoni, ma insufficienti. L'indisciplina e l'incoscienza nobiliare affrettano la crisi e Luigi XVI cadrà per le colpe degli antenati e gli errori del regime.

Vano ricorso quello agli Stati generali. La salvezza non può venire da questa eredità del Medioevo. Gli ordini esistono ancora, ma nel nome, non nella sostanza. Il Terzo Stato con i suoi cahiers ha, moderatamente ma inequivocabilmente, espressa la volontà nazionale: costituzione, garanzia dei diritti individuali, uguaglianza fiscale. Nobiltà e borghesia sono d'accordo nel chiedere libertà di stampa, tolleranza religiosa, limitazione delle manomorte; e il basso clero parla un linguaggio di riforma e chiede una diversa distribuzione dei beni ecclesiastici. In tutti è poi l'attesa del miracolo e, in fondo, una certa fede nel re. Ma la monarchia, che non saprà guidare il moto, è destinata a cadere.

Il Terzo Stato, già una prima volta vittorioso per la duplicazione dei suoi mandati e cosciente ormai del valore nuovo che l'antica assemblea ha assunto, impegna la lotta sulla questione della votazione. Il 17 giugno 1789, forte dell'apporto di membri degli altri ordini, la borghesia crea l'Assemblea nazionale. E la reazione della corte e dei privilegiati è vana: dal Jeu de paume alla seduta reale la forza del Terzo, guidato da Sieyès, Bailly, Mounier, Legrand, e fiancheggiato dall'opera di giornalisti, di pamphlétaires, di oratori popolari, si fa irresistibile. Mirabeau superbo e orrido interpreta nella risposta al Dreux-Brézé la nuova coscienza popolare: l'Assemblea è sovrana e inviolabile. La teoria di Rousseau della volontà generale dà vita alla Costituente. E il regime capitola. Qualcuno, di fronte all'immensa vittoria, crede la rivoluzione compiuta. Ma "le flambeau de la raison" dell'abate Jallet diventa nell'atmosfera sovreccitata di quei giorni la fiamma che alimenta l'incendio. E l'Assemblea non può che ratificare il 14 luglio, rivoluzione municipale e di plebe. La violenza sanguinaria si sovrappone alla legalità. Dalla presa della Bastiglia la commune democratica si accampa vittoriosa a fianco della borghesia dottrinaria. E anche quella interpreta Rousseau e, poiché rappresenta il popolo sovrano, si riterrà tra breve superiore alla stessa Assemblea. Questa intanto lavora: i pratici cercano di tradurre in realtà il pensiero degl'ideologi. Al di fuori, i clubs, organi di quei partiti che nell'Assemblea stentano a formarsi con caratteristiche definite, discutono, suggeriscono, impongono. E a poco per volta i clubs di sinistra, sorti dalla Società degli Amici della costituzione, predominano su quelli di destra. Il radicalismo accentuato dei Giacobini, un tempo monarchici liberali, provocherà più tardi la scissione dei Foglianti; per il momento i Cordiglieri sono tra i più arditi. Ma son sempre elementi borghesi che li compongono: il popolo si organizza nelle sections. L'esempio di Parigi agisce sulle provincie, ove cadono le minori bastiglie e si scatena la jacquerie. Crolla di fatto il regime feudale, e la notte del 4 agosto sanziona per sempre quanto è accaduto. La vecchia Francia rinuncia ai suoi diritti, ai suoi privilegi e crea la base dell'uguaglianza giuridica dei cittadini. Le conseguenze di fatto saranno anche più radicali.

L'Assemblea, intanto, più sotto l'influenza degli "americani" e delle idee dei fisiocratici, di Montesquieu e di Rousseau che dei cahiers, lancia la Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino, riepilogo delle conquiste compiute e avviamento alle future. Mirabeau, di fronte alla realtà preoccupante dell'ora, avrebbe voluto una dichiarazione dei doveri, ma il dottrinarismo dei deputati vagheggia una dichiarazione che possa servire d'esempio al mondo, per tutti i tempi. Di qui il suo difetto: l'umanità è anteposta alla Francia, l'individuo alla società. Democratico e quasi repubblicano, questo catéchisme national mancava, però, della dichiarazione della libertà di coscienza (C'est la faute à Rousseau...), e ideologico e umanitario si troverà in contrasto con la costituzione. L'assenza di una tradizione costituzionale, la pressione degli avvenimenti e l'astrattismo dottrinale dei più non potevano dar di meglio.

Altrettanto accadrà per la costituzione, che, aspirando a riedificare la Francia, disorganizzerà il paese; preoccupata di assicurare il predominio borghese, scatenerà l'anarchia; ispirata ad alti principî ideali, ne renderà impossibile l'applicazione concreta. L'uguaglianza giuridica è violata dal nuovo privilegio del censo (e i democratici protestarono dentro e fuori l'Assemblea contro la disparità creata a favore di poco più di 4 milioni di Francesi); la camera unica, imposta dal dogmatismo illuministico, rafforza la borghesia, ma mette in pericolo la moderazione del potere legislativo; la limitazione delle prerogative regie, che ha la sua giustificazione in Rousseau e nei borghesi che diffidano della monarchia alleata dei privilegiati, e la rigida divisione dei poteri, appresa in Montesquieu, finiranno con indebolire l'autorità del governo.
La costituzione apparve subito inapplicabile agli occhi di molti osservatori, che si preoccuparono dell'abisso scavato tra il potere legislativo e l'esecutivo. Ma, in realtà, la prevalenza assoluta del primo finì col ricostituire l'unità spezzata. La predilezione per le formule teoriche, per lo spirito sistematico ritarda, non impedisce il trionfo dell'idea unitaria. Le giornate di ottobre, intanto, feriscono il prestigio della monarchia e fanno questa e l'Assemblea prigioniere della capitale. Il riordinamento dello stato sovverte l'amministrazione e annienta la coscienza gerarchica; la confusione e l'incertezza, la prepotenza demagogica e la diffidenza tra Assemblea e sovrano impediscono di saldare il vecchio al nuovo. Solo a patto di ricondurre la fiducia tra il re e la borghesia, inducendo il primo ad accettare le conquiste vitali della rivoluzione e la seconda a rispettare in lui il capo effettivo del potere esecutivo, è possibile salvare la Francia e la rivoluzione. E a quest'opera gigantesca si consacra Mirabeau, illuso di poter creare sulle rovine del regime feudale l'edificio della monarchia rappresentativa. Ma Mirabeau, logorato dalla vita turbinosa e mal secondato dal re, che ne diffida, soccombe nell'impresa eroica e vana.

Il tentativo di risolvere il pauroso problema finanziario crea una nuova realtà economica e dà modo all'Assemblea di far trionfare le concezioni dell'illuminismo sui rapporti tra la chiesa e lo stato. La proposta di Talleyrand porta alla confisca e alla vendita dei beni del clero, secondo le aspirazioni dei cahiers, che quelli consideravano proprietà nazionale affidata alla chiesa per scopi di utilità pubblica. Il deficit non fu colmato, ma le conseguenze sociali e politiche del fatto furono enormi, perché si creò una classe di piccoli e medî proprietarî, base della potenza economica della nuova Francia, interessati a difendere la situazione creata dalla rivoluzione.

Le discussioni sull'alienazione dei beni ecclesiastici portarono la Costituente ad affrontare ardue questioni religiose. ll gallicanismo di un Grégoire, il giansenismo di un Camus, l'eredità volterriana, l'esempio di Giuseppe II, qualche reminiscenza febroniana agiscono sull'Assemblea. "La chiesa fa parte dello stato; noi siamo una Convenzione nazionale e abbiamo quindi la facoltà di modificare la religione", proclama Camus. Gallicani, giansenisti e protestanti si vogliono vendicare di Roma; qualcuno sogna una riforma religiosa, ma la maggioranza sente piuttosto l'aspetto giurisdizionale del problema. Il riordinamento unilaterale dell'organizzazione ecclesiastica, voluto dallo spirito semplificatore dell'Assemblea, portò alla tentata subordinazione della chiesa. L'inattesa opposizione ecclesiastica alla costituzione civile e il giuramento imposto ai preti, "funzionarî" dello stato, esasperarono il conflitto. La simpatia del clero per la rivoluzione diminuì e il rifiuto di giurare e la volontà dell'assemblea di creare un clero costituzionale provocarono una pericolosa lotta religiosa.
La diffusione e l'accentuazione d'idee estremiste in un paese privo di vera educazione politica è rapido e profondo. Si sentono risonare le voci di una propaganda repubblicana, scarsa e inefficace dapprima, limitata a qualche deputato, a giornalisti come Marat, a pensatori come Condorcet, ma destinata ad allargarsi a una più vasta cerchia, anche se non ancora veramente popolare. La fuga di Varennes, che dà modo alla Costituente di umiliare il monarca e di consacrare il diritto rivoluzionario con la temporanea istituzione di un governo d'assemblea, fa nascere un vero e proprio movimento repubblicano, che riceve sanguinoso battesimo il 17 luglio 1791 al Campo di Marte. Da allora, di fronte all'impossibilità di creare un partito monarchico vitale, l'idea repubblicana cammina. Quando la Costituente chiude i suoi lavori, l'antico regime, colpito nella sua forza, nelle sue forme, nel suo prestigio, agonizza. Ancora una volta si parlò di rivoluzione compiuta. Errore, certo; ma i principî affermati e fatti trionfare, se non permisero vita durevole all'organismo uscito dalla costituzione del '91, saranno domani la base dell'edificio a cui attenderà il Primo Console.

Diversa nella sua composizione dalla Costituente, l'Assemblea legislativa, composta per lo più di uomini nuovi, di borghesi oscuri e ambiziosi, malcontenti e moralisti, sarà spinta dalle difficoltà interne, dal pericolo esterno, dalla crescente pressione della piazza a risoluzioni estreme. E così gli uomini della Legislativa, in gran parte costituzionali delle varie tendenze, finiranno con l'affermazione radicale del diritto rivoluzionario. Plutarco e Marco Aurelio erano i padri spirituali del gruppo d'idealisti che a sinistra costituivano quella che sarà poi la Gironda. Fanatici di Rousseau ma atei convinti, i Romains de Bordeaux, privi di vere qualità di uomini di stato, avevano capi famosi in Brissot, quacchero e avventuroso, in Condorcet, oracolo dommatico e noioso, in Vergniaud dalla voce potente, dall'oratoria ciceroniana, ma irresoluto e bizantino. Meno celebri per allora i Giacobini, i Cordiglieri e i pochi Montagnardi, già repubblicani. Di fronte a questa sinistra, che gli eventi tramuteranno presto in repubblicana, la destra moderata dei Foglianti, costituzionali, ma incerti e senza seguito vero nel popolo. Al centro la massa amorfa degli Indipendenti, bons à tout faire.
Il momento grave (l'emigrazione appariva ed era un pericolo pauroso), la diffidenza del re per l'Assemblea e per gli uomini che potevano ancora aiutarlo, il prevalere in Parigi (dominatrice fino a Termidoro della rivoluzione) degli elementi estremisti, la sfiducia della sinistra nel potere esecutivo, la convinzione di dover schiacciare con ogni mezzo i nemici interni, ebbero per conseguenza la proclamazione di decreti e di leggi che violavano i principî di recente asseriti e portavano all'affermazione di un nuovo assolutismo.

Per salvare l'eguaglianza gli uomini della rivoluzione saranno costretti a rinunciare alla libertà. L'evoluzione democratica parigina e la generale eccitazione degli animi preoccupano chi, come Dumouriez, risognando il sogno di Mirabeau, aspira a frenare la rivoluzione.

Le prime disfatte della guerra, con ambiguo accordo voluta dalla Gironda e dal re, sono imputate a quest'ultimo dalla plebe, che demagoghi come Marat ed Hébert aizzano, e dai democratici, che Vergniaud, aquila della Gironda, ammalia. Gli attriti tra il re e il ministero girondino, che aveva la sua Ninfa Egeria in Madame Roland, isolano il primo e indeboliscono la Gironda, che, compromessa, inclina contro voglia a demagogia, mentre il popolo tributa la sua adorazione al nuovo idolo, Danton.

La visita armata del popolo parigino al re (20 giugno 1792) è minaccioso avvertimento per tutti. Nell'esaltazione generale (l'Assemblea ha dichiarato la patria in pericolo) anche la Gironda è compromessa. E sebbene la Legislativa, legalitaria e impacciata dalle dottrine, non sia ancora repubblicana e Desmoulins e Robespierre sconfessino l'idea repubblicana, il breve mutamento dell'opinione pubblica a favore del re non ha vera efficacia. Il manifesto di Brunswick è tragicamente decisivo. I giornali attaccano la monarchia, Robespierre rinuncia al suo costituzionalismo, il discorso repubblicano di Billaud-Varennes del 18 luglio diviene il credo di molti. Mentre i deputati si dibattono ancora tra monarchia e repubblica, Danton provoca il 10 agosto. E l'Assemblea borghese depone il re, convoca una Convenzione Nazionale per dare una nuova costituzione alla Francia e affida la giustizia nel ricostituito ministero girondino a Danton, torbido e geniale "Mirabeau de la canaille".

Danton ha voluto tentare l'avventura di creare l'ordine e un governo con un colpo di forza, ricattando l'Europa con la monarchia prigioniera. Ma l'audacia del tentativo ha conseguenze diverse. Ormai il proletariato si riconosce più potente della borghesia che lo ha guidato finora; la sommossa vittoriosa favorisce gli estremisti come Marat, l'imboscato del 10 agosto. E per conservarsi il favore della folla, gli uomini della rivoluzione saranno costretti a una gara di violenza. L'Assemblea riconosce il trionfo dell'insurrezione, ma è ormai colpita ed esautorata. Il popolo si sente più forte: sua è la sovranità vera. E già accanto a Danton il proletariato parigino idolatra il puritano e dottrinario Robespierre.
Di fronte alla Comune che attua misure rivoluzionarie e riempie le prigioni, scarsa importanza ha il governo provvisorio del Comitato esecutivo. Il panico provocato dalle tristi nuove del fronte spinge a misure spietate di repressione. E l'Assemblea, che ha dato al paese lo stato civile e la ghigliottina, istituisce un tribunale straordinario per giudicare i difensori della monarchia, fa occupare i conventi, sopprime le congregazioni, vieta l'uso dell'abito ecclesiastico, confisca beni, espelle e incarcera sospetti, impone calmieri e provvedimenti d'imperio. Un'intensa attività politica s'accompagna a un vigoroso entusiasmo nazionale. Il patriottismo entra come elemento importante nella storia della rivoluzione. In questo clima di passione, di paura, di esaltazione nascono i massacri di settembre, che hanno il 10 agosto come prologo sanguinoso. Il 4 settembre l'Assemblea, vinta, giura di combattere il re e la monarchia. Danton, umanitario e sentimentale, assume la terribile responsabilità del sangue versato. Ma la Francia ha Valmy.

Eletta da una minoranza e convocatasi nel settembre delle stragi e di Valmy, la Convenzione inizia l'opera sua, che farà trionfare in un primo momento la repubblica democratica, soffocherà l'opposizione e libererà il territorio.

La mancanza di veri e proprî partiti tradizionali e organizzati, la violenza delle passioni, la pressione dei club, delle sezioni e dei postulanti, la lotta spietata tra i varî capi e le varie fazioni impediscono ogni collaborazione fattiva. Ora sono a destra i Girondini o brissottini, rappresentanti della Francia provinciale (e quindi facile bersaglio a chi li voglia accusare di pericoloso federalismo) e avversarî dei demagoghi. Ma il loro destino è simile a quello dei Foglianti, dei quali in certo senso prendono il posto: sono disorganizzati e hanno poco seguito. A sinistra i Giacobini montagnardi, democratici dichiarati, cari alla folla, logici, unitarî, accentratori. In mezzo, eterogeneo, timoroso, inquieto e profittatore, il marais. Nell'insieme erano uomini che avrebbero potuto lavorare efficacemente e da loro Napoleone trarrà ottimi elementi per la sua amministrazione.

L'esasperazione dell'ideologia rivoluzionaria, il desiderio e l'illusione di una rigenerazione da compiere, la necessità di difendere il posto e la vita determinano conflitti continui e portano a calpestare leggi e diritti, a violare i principî banditi nelle costituzioni, a governare con i colpi di stato. Danton consacra la repubblica una e indivisibile e aspira a conciliare in nome dell'interesse nazionale uomini e idee di fronte al duplice pericolo della guerra esterna e della rivoluzione interna. Marat invoca la dittatura proletaria. E gli estremisti si servono del medico sanguinario contro il tribuno; di questo contro quello.

I moderati, comunque si chiamino, son destinati al sacrificio. Le colpe e gli errori antichi fiaccano i Girondini, deboli di fronte all'energia dei Giacobini. Sul processo del re si accende un tragico duello, e la Gironda legalitaria è vinta. Vivo il re, la rivoluzione è in pericolo; spento quello, questa è salva. E in nome del diritto della rivoluzione Luigi Capeto sconta le colpe dei suoi maggiori.

Il popolo di Parigi appare arbitro dell'Assemblea e la spinge a misure estreme. Il diritto rivoluzionario ha il suo strumento di giustizia e di morte nel tribunale rivoluzionario, il suo difensore in Fouquier-Tinville. E la borghesia si sente minacciata nelle conquiste recenti dall'eccitata propaganda di un socialismo, che deriva da Rousseau. Il suo dominio sembra finito.
In lotta con la Gironda decentratrice, Danton impone il Comitato di salute pubblica. La teoria della divisione dei poteri è violata dalla necessità. Le autonomie locali scompaiono; i rappresentanti in missione, aiutati dalle società popolari, epurano energicamente l'amministrazione e abbattono le tendenze federalistiche, e così facendo aiutano il formarsi dell'accentramento statale. I Giacobini trionfano sui Girondini. Danton, respinto da questi, che non ne hanno compreso il valore e le aspirazioni, si getta con quelli. L'insurrezione del 2 giugno 1793 distrugge la fazione girondina, ma, come già le giornate d'ottobre e il 10 agosto per le altre assemblee, costituisce la Convenzione prigioniera del popolo di Parigi.
Il mutamento, che appare radicale, dell'opinione pubblica determina la costituzione democratica dell'anno I (1793), fondata sul suffragio universale diretto, su una sola camera, sul referendum popolare per l'approvazione delle leggi, sulla collegialità del potere esecutivo. Le provincie erano appagate dal riconosciuto diritto plebiscitario, ma le disposizioni ultra-democratiche (diritto d'insurrezione del popolo sovrano e misure contro la proprietà e la ricchezza) non potevano accontentare la borghesia, che aveva negli illuministi e nei fisiocratici i suoi maestri. La costituzione, destinata a non essere applicata, fu approvata con un plebiscito che diede forza agli elementi estremi. La rivoluzione continuò a logorare e a distruggere i suoi uomini.

Danton, cui la soppressione della Gironda toglie il contrappeso agli estremisti, non riesce a imporre la sua politica. Accusato dei disastri vandeani e di arrendevolezza verso i Girondini lascia libero campo a Robespierre e al suo gruppo. I Comitati onnipotenti dànno grande impulso ai tentativi di costruire l'ordine nuovo, e il tribunale rivoluzionario li aiuta attuando una giustizia di sangue.

Nella grande crisi del '93 la rivoluzione supera le sue più ardue prove. Partigiani della Gironda caduta, vandeani, realisti insorgono; la guerra è un seguito di disastri; la crisi economica e lo spettro della fame tormentano gli animi. Ma il terrore, che non fu già parola più che cosa, riesce a galvanizzare gli animi dei Parigini. La legge dei sospetti e la soppressione di ogni libertà, la distruzione sistematica degli avversarî violano le ideologie dell'89, ma risuscitano la fede nella rivoluzione e la salvano. Gli ultimi resti dell'antico regime cadono: la ghigliottina recide il capo all'ex-regina e a Bailly, a Custine e a Madame Roland, a Condorcet e a Filippo Égalité, mentre Hébert porta sugli altari la Dea Ragione.
Danton tenta un'ultima volta di fermare il torrente sanguinoso; ma fallisce. Hébert sanguinario e volgare cade, ma per preparargli la strada alla ghigliottina. L'incorruttibile Robespierre si è servito di Danton, "l'impuro", contro gl'indegni e i violenti; ora si rivolge contro di lui: in un simulacro di processo Danton è condannato.

Spento il grande tribuno, che aveva tentato di domare la rivoluzione, Robespierre, uomo di principî rigidi e dall'anima di inquisitore, senza la genialità e le qualità di uomo di stato che Danton aveva, ma caro al popolo per la sua incorruttibilità, si asside dittatore. Ma la sua è dittatura labile e apparente; non domina, è dominato: non può costruire neppur lui l'ordine nuovo, la necessità lo costringe ad atterrire i nemici con l'esasperazione del terrore. E il popolo, per il momento, segue chi non potendo dargli la felicità promessa lo inebria di virtù e di violenza. "Le verbe s'était fait sang". E in quel sangue ormai la rivoluzione si esaurisce. Robespierre, contro il quale l'opposizione è forte al centro della Convenzione, ha la sua apoteosi con l'istituzione del culto dell'Ente Supremo, ma è prossimo alla caduta. La guerra ora vittoriosa, la paura e la nausea della violenza dànno forza ai suoi avversarî. La Convenzione gli si ribella e abbatte con lui la Comune. Con Termidoro il regime democratico e la fede cieca nella rivoluzione sono finiti. Il popolo invoca con Chénier "des lois et non du sang". I moderati borghesi riprendono forza e terreno; un bisogno di reazione morale e materiale s'impone; la gloria militare fa nascere disgusto dell'eccitazione rivoluzionaria.

La Convenzione di Termidoro non trova subito il suo equilibrio. La lotta tra moderati ed estremisti copre l'altra tra realisti e democratici. E intanto paurosi conati socialisti minacciano altri pericoli: Gracchus Babeuf eccita la plebe. La Convenzione ricorre alla violenza: schiaccia i Giacobini e frena i moderati. Il rilassamento degli organismi rivoluzionarî, l'avvenuta trasformazione sociale (la borghesia in realtà si è consolidata e arricchita), l'aspirazione a una nuova vita portano ai 377 articoli della nuova costituzione dell'anno III, figlia della paura. Antidemocratica e borghese, vuol correggere gli errori delle due precedenti e, salvando alcuni acquisti della rivoluzione, rinuncia a molte delle ideologie del quadriennio 1791-1795. Quindi garantiti i beni nazionali e confermato il bando agli emigrati, ma diritto elettorale censitario, riconoscimento della proprietà individuale e separazione dei poteri e delle camere. La rivoluzione ha trovato la sua soluzione borghese e alla disuguaglianza del privilegio ha sostituito quella del censo, gettando così i germi di futuri conflitti sociali. Ma l'opinione pubblica ormai è indifferente; pochi si recano a votare per l'approvazione plebiscitaria della legge. E Bonaparte il 13 vendemmiale può riportare facile vittoria sulle sezioni insorte. La Convenzione finisce con un appel au soldat: violenza che prepara Brumaio.

La politica incerta della Convenzione termidoriana è continuata dal Direttorio, che si mantiene al potere con i colpi di stato, favoriti da una costituzione inefficace e tollerati da un'opinione pubblica indifferente. E il nuovo governo non riesce a organizzarsi durevolmente, né a crearsi un suo prestigio. Il quadro tracciato da Albert Vandal è eloquente. Regime di disordine e d'immoralità, non ha rispondenza nell'anima popolare. Bisognava rinascere: ai principî, alle grandi frasi era succeduta la nausea delle assemblee, dei club, della libertà stessa. Il Direttorio non riuscì nel suo compito di risolvere la crisi economica e di ridare fiducia al paese, ma non fu tutta colpa sua. E quanto riuscì a compiere non fu inutile. Soffocati i moti comunisti del Babeuf, tentata una ridevole trasformazione religiosa con l'ingenua teofilantropia di Lareveillère-Lépaux, d'ispirazione illuministico-massonica, domati con la violenza gli avversarî, il Direttorio preparò il trapasso dal governo rivoluzionario all'accentramento consolare e in materia finanziaria compì l'opera amministrativa delle assemblee rivoluzionarie, legalizzando con i mandati territoriali il fallimento. Ma ormai Bonaparte è pronto a raccogliere l'eredità della rivoluzione.

Dalla guerra vittoriosa la Francia riceve il suo capo. Hoche, Moreau, Joubert, Bernadotte, Augereau, "les sabres" per i colpi di stato del Direttorio, gli cedono il posto, ed egli dà alla Francia il governo nazionale che la terra della rivoluzione invocava. Unità e ordine; uguaglianza e concordia: "Accueillez tous les Français, quel que soit le parti auquel ils ont appartenu" dice ai prefetti il Primo Console, che nel suo primo proclama annuncia la fine della rivoluzione. E a tutti chiede che "chacun fasse des sacrifices à la paix". Arbitro e conciliatore, restaura l'autorità e la disciplina, ridà prestigio al governo, restituisce alla Francia con la fiducia in sé stessa l'orgoglio e la forza. Dispotismo, cesarismo, autocrazia militare, fu detto; ma la costituzione dell'anno VIII, che creò il consolato e quella dell'anno XII, che consacrò l'Impero, hanno salvato la Francia e quanto era vitale nell'opera della rivoluzione. Il concordato, il codice, il consiglio di stato, il riordinamento amministrativo e giuridico, il risanamento finanziario, l'onore reso all'ingegno, alla capacità, al valore hanno creata la nuova società francese e consacrato il trionfo della borghesia, le vittorie militari hanno diffuso i benefici della rivoluzione alla società europea.

Certo è che il gran moto di Francia, umanitario, cosmopolita, antinazionale, si diffonde con la guerra nell'Europa dell'ancien régime, preparata in gran parte ad accoglierlo dalla predicazione illuministica e dalla penetrazione culturale francese, dalla somiglianza delle forme sociali e del costume politico. Ma i primi rivoluzionarî, preoccupati dei problemi interni della Francia, non pensavano alla guerra. Furono le potenze europee, che aggiunsero alle questioni polacca, americana e orientale quella francese e, timorose del trionfo di paurosi principî di dissolvimento e illuse di poter fiaccare, umiliare, amputare la Francia, mossero guerra al paese della rivoluzione.

E questo reagì per difendersi e agli occhi della monarchia che agonizzava cercò a Valmy la rivincita di Rossbach. La politica estera negativa dell'ancien régime era riscattata dall'atto di forza del popolo, che si creò un esercito di soldati-cittadini, ne curò come mai prima era stato fatto il morale e lo lanciò contro l'Europa. Se l'atteggiamento ufficiale della Costituente pur apparendo diverso da quello della diplomazia tradizionale (annessione di Avignone, questione dei principi alsaziani), era favorevole alla pace, la pubblicistica democratica invocava fin d'allora un'energica azione fuor dei confini, mentre profughi di paesi diversi chiedevano che la Francia propagasse all'estero le nuove idee. Per la costituzione del '91 la nazione francese rinunciava a intraprendere guerre a scopo di conquista e di oppressione della libertà di altri popoli, ma la Legislativa interpretò quel principio nel senso che non escludesse la guerra di liberazione e di propaganda. E ricacciato lo straniero, la guerra difensiva diverrà appunto di liberazione e la Convenzione la condurrà contro i re per dar pace ai popoli. Siamo alla crociata per i diritti dell'uomo, alla dichiarazione di fratellanza e di soccorso alle nazioni che vorranno ricuperare la libertà, all'ordine dato ai generali di non far pace con i paesi che non abbiano istituito un governo libero e popolare. Ai soldati della repubblica "rigeneratori dell'universo" si fanno incontro esultanti i patrioti locali, e il Belgio è invaso e Magonza e Francoforte sono conquistate. Ma la reazione europea scatenatasi alla morte di Luigi XVI riprende il Belgio, assedia e invade la Francia e attenua l'entusiasmo della propaganda. "Unico e naturale alleato dei popoli liberi", il popolo francese - dichiara Danton - non s'ingerisce nelle faccende interne degli altri paesi, come a questi non permette d'ingerirsi nelle sue. Ma già nell'autunno del '93 i rivoluzionarî sono di nuovo vittoriosi e i confini della patria liberati; nel '94 il Belgio è conquistato, la riva sinistra del Reno raggiunta. E Belgio e Germania renana son democratizzate in vista dell'annessione, come l'anno dopo accadrà dell'Olanda e, dopo Loano, degli sbocchi alpini. La dottrina dei "confini naturali" fa della rivoluzione l'erede di Luigi XIV, la guerra di propaganda si chiarisce guerra di conquista. La politica estera unitaria e consequenziaria del Comitato di salute pubblica è continuata dal Direttorio, e le demi-brigades del Bonaparte sconvolgono l'Italia in nome della libertà. Al contatto delle armate rivoluzionarie si disgregano i vecchi ordinamenti, crollano gli antichi edifici politici, si alterano le compagini sociali. E le repubbliche e repubblichette del triennio 1796-1799, modellate sul figurino dell'anno III, conoscono l'avidità e l'iniquità dei proconsoli francesi, ma la coscienza politica dei loro cittadini, già in via di rinnovamento nel corso del Settecento, riceve ulteriore alimento, sia assorbendo idee e principî di Francia, sia reagendo a Francia. Agenti diplomatici ed emissarî di Parigi completano l'opera dei generali; Bonaparte, fallito il sogno di colpire l'Inghilterra attraverso l'Irlanda, tenta di ferirla attraverso l'Egitto; Sieyès cerca a Berlino di persuadere la Prussia a sconvolgere l'Europa orientale per assicurare alla Francia il dominio su quella occidentale.

Ma ai primi del '99, secondo la frase di Sieyès, Londra, Vienna e Pietroburgo suonano a martello per lo sterminio francese. La paura della propaganda repubblicana, la contropropaganda degli emigrati, la speranza di poter sfruttare gli errori dei conquistatori e l'irritazione dei popoli per gli eccessi sofferti danno la vittoria alla nuova coalizione antirivoluzionaria. A Novi il 15 agosto 1799 sembra crollare la fortuna militare del Direttorio; ma pochi mesi dopo la coalizione è di nuovo arrestata.

Esecutore testamentario della rivoluzione, Napoleone porta per l'Europa i grandi principî di libertà, d'indipendenza, di uguaglianza. E la rivoluzione ("un'idea che ha trovato delle baionette") fattasi conquistatrice abbatté ovunque gli ultimi resti dell'assolutismo e della disuguaglianza e impose le norme e le forme delle istituzioni francesi. Belgio, Olanda, Italia, Germania, Svezia, Spagna si trasformarono; e anche là dove le armi francesi non giunsero e non ebbero fortuna, necessità di difesa e di contropropaganda aprirono la strada a riforme e a cambiamenti che risentivano dell'influenza francese. E. Burke aveva sulla fine del '90 lanciato il suo atto di accusa contro la Francia rivoluzionaria, ma pochi mesi dopo nella stessa Inghilterra le Vindiciae Gallicae di sir J. Mackintosh difendevano i principî essenziali della rivoluzione. E da allora in tutta l'Europa l'opinione pubblica si era divisa in due campi e la pubblicistica aveva rispecchiato le varie tendenze. Se l'Inghilterra rimaneva sostanzialmente ostile (ma molti mutamenti della vita interna inglese furono compiuti per effetto dell'influenza sia pure indiretta francese), se in Germania si rimpiangeva che la rivoluzione avesse distrutto i benefici dell'Aufklärung e Federico Gentz interpretava efficacemente la delusione della classe colta tedesca, se l'orrore per le violenze e i massacri determinavano ovunque un vivo senso di reazione, non per questo era arrestato l'influsso delle nuove idee nei varî paesi. La letteratura europea lo dimostra.

La rivoluzione conquistò spiritualmente l'Europa; ma presto l'inevitabile reazione alla conquista denuncierà il dissidio tra la libertà e l'indipendenza promesse e la realtà della dominazione straniera, diretta o indiretta, imposta. E i popoli, educati dai Francesi a lottare contro gli stranieri, riconosceranno anche nei Francesi gli stranieri e richiamati alla coscienza delle tradizioni storiche indigene inizieranno la lotta contro l'uomo e il dominio della Francia della rivoluzione.
Ma scomparso l'uomo e materialmente conchiusa a Waterloo l'era della rivoluzione, non caddero le idee seminate e diffuse. Joseph de Maistre vedeva giusto quando nel '14 diceva che Luigi XVIII non era già salito sul trono dei suoi avi, ma solo su quello del Bonaparte. La sconfitta militare non poteva cancellare quanto si era edificato, mentre quanto si era abbattuto non poteva tornare alla vita. L'idea della libertà diventava religione, il concetto della sovranità popolare si affermava pure attraverso ostacoli e difficoltà innumeri, l'aspirazione all'insurrezione nazionale acquistava valore di dogma agli occhi della generazione che era nata nei venticinque anni del grande sconvolgimento. L'anelito alla libertà, il desiderio di ordinamenti che fossero informati ai grandi principî sociali e umanitarî banditi dalla rivoluzione e il ridestarsi della coscienza nazionale di alcuni popoli suscitarono le lotte che nel sec. XIX scossero l'Europa. Superando le resistenze superstiti e le difficoltà del cammino lungo e doloroso, temperando e integrando le idee e gl'insegnamenti, la società europea liquidò l'assolutismo e rafforzò la borghesia, e con le minori rivoluzioni, generate idealmente dalla prima, accelerò il cammino verso l'indipendenza e l'unità in quei paesi che erano rimasti assenti o in ritardo rispetto al movimento unitario e nazionale.

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da Storia Contemporanea (http://www.storiacontemporanea.eu)

La rivoluzione francese

Cos'è una rivoluzione?

La rivoluzione francese riveste numerosi spunti di interesse per la storia contempo. Intanto introduce il concetto di rivoluzione nella storia moderna. Una “rivoluzione” che è ben diversa da quella trasformazione istituzionale conosciuta in Gran Bretagna, e ben diversa anche dalle vicende americane. Ecco quindi il primo quesito:

COS'E' UNA RIVOLUZIONE?

Fino al XVII secolo il termine rivoluzione significava il moto circolare intorno ad un punto fisso (“la rivoluzione della terra intorno al sole”). Gli avvenimenti americani e francesi danno alla parola rivoluzione un significato di sconvolgimento dell'assetto politico e sociale allo scopo di crearne uno nuovo. Tra le metafore più fortunate c'è quella del “mito solare”: il sole sorge su una nuova era. La storia viene concepita come un movimento in avanti, un continuo succedersi di progressi in tutti i campi.

Bisogna essere chiari sul fatto che ci sono due momenti che caratterizzano i processi rivoluzionari:

state breaking (distruzione). Un'azione di massa dal basso distrugge lo stato

state making (costruzione). Lo stato viene ricostruito in tutti i suoi aspetti: leggi, governo, esercito, ordine pubblico

Se si distrugge la vecchia classe dirigente e al suo posto troviamo una nuova forma di stato allora possiamo parlare di rivoluzione.

N.B. Il golpe si differenzia dalla rivoluzione perché cambiano solo i dirigenti, mentre il sistema rimane lo stesso. Inoltre non ha l'appoggio di una parte consistente della popolazione.

Le cause

Verso il precipizio 1770-1789

Alla fine del Settecento la Francia poteva contare circa 28 milioni di abitanti, uno degli eserciti più forti del mondo, una burocrazia e un sistema amministrativo centralizzato tra i più avanzati d'Europa. Tra i suoi cittadini c'erano le menti più in vista del continente, le sue élite culturali (i philosophes ) facevano scuola negli altri paesi; la sua aristocrazia, e ancor di più la corte di Versailles, erano un modello inarrivabile per i sovrani e i principi di tutti gli stati. Il francese era, infine, la lingua ufficiale della diplomazia internazionale. L'assolutismo sembrava ancora un sistema valido, vista anche la rovinosa sconfitta inglese nella guerra contro i coloni americani.

Le prime trasformazioni industriali (o protoindustriali) iniziavano a cambiare il volto della manifattura anche nelle tante fabbriche sparse nella campagna francese.

Quando Luigi XVI salì al trono (1774) una fase di declino e ristagno prese il posto alla lenta crescita registrata negli anni precedenti.

La crisi finanziaria precipitò nel volgere di pochi anni. Gli oneri delle guerre d'oltreoceano avevano svuotato le casse statali; i tentativi di riforma naufragarono tutti contro il veto incrociato dei vari gruppi di potere. Da una parte nobiltà e clero bloccarono qualunque tentativo di riforma fiscale che includesse le alte rendite; dall'altra le misure antiprotezionistiche del commercio trovò strenua resistenza nel potere di Parlamenti: organi locali che rappresentavano una vera e propria “falla” nel presunto assolutismo dei sovrani di Francia. Nel giro di pochi anni il dicastero delle finanze vive un via vai continuo di ministri “tecnici” che provano ricette diverse per uscire dalla crisi: prima Tourgot, poi Necker, quindi Joly de Fleury, per arrivare al 1787 a Charles Colonne.

I contrasti con aristocrazia (e clero) e Parlamenti indusse il re, nel luglio 1788, a convocare gli Stati Generali come “extrema ratio” per uscire dalla crisi. Nel decreto di convocazione venivano sollecitati “tutte le persone istruite del regno … a inviare suggerimenti o memorie relative alla prossima convocazione degli stati generali”.

La crisi, non risolvibile con compromessi parziali, richiedeva una soluzione definitiva. Anche il popolo – per la prima volta – era chiamato a dire la sua.

La situazione inedita fu la visibilità del dibattito pubblico. La politica usciva dal chiuso delle stanze di nobili o alto-borghesi per scendere in piazza, nelle strade, nelle affollate assemblee pubbliche. Una certa alfabetizzazione e la diffusione della stampa favorì questo processo di mobilitazione di massa intorno alle opinioni politiche.

Tra marzo e aprile 1789 in tutte le comunità e in tutti i quartieri cittadini i capifamiglia si riunirono per eleggere i delegati di zona che, a loro volta, avrebbero scelto i deputati per l'assemblea degli stati generali. Insieme alla nomina dei delegati furono compilati anche i cahiers de doléances (quaderni delle lamentele), ovvero rivendicazioni e richieste. I circa 60000 cahiers ci dicono di una diffusa insofferenza sia per i vecchi privilegi sia per alcune nuove misure di tipo “capitalistico”e, naturalmente, per le evidenti ingiustizie che ancora dominavano la società francese. Accanto ai chaiers ci fu un'esplosione di pubblicazioni, opuscoli, pamphlets. Il più celebre è il lavoro dell'abate Emmanuel-Joseph Sieyès Che cos'è il Terzo Stato? “che cos'è il terzo stato? Tutto! Che cos'ha rappresentato finora nell'ordinamento pubblico? Niente! Che cosa chiede? Di diventare qualcosa".

Sul banco degli imputati il principio di privilegio detenuto, senza niente in cambio, da nobiltà e clero, rispettivamente l'1,5% e lo 0.5% dell'intera popolazione.

Quali privilegi?

* Non pagavano la taglia, cioè l'imposta sul reddito;

* Il clero riscuoteva la decima su tutti i prodotti agricoli;

* I signori dei villaggi riscuotevano censi in denaro, parte dei raccolti, pedaggi, tasse sulla compravendita di terre, dazi sul passaggio di merci;

* La legge era magnanima con nobiltà ed esponenti dell'alto clero.


Il 1789

Scoppia la rivoluzione: il 1789

L'Assemblea generale

Il 5 maggio si aprì a Versailles l'assemblea degli stati generali. La composizione numerica sanciva queste proporzioni:

Terzo stato 578 deputati

Nobiltà 270

Clero 291

Ma in realtà molti esponenti del clero erano parroci di provincia che aderivano al programma del terzo stato; alcuni nobili erano anch'essi simpatizzanti con le idee anti-assolutistiche.

Il primo punto all'ordine del giorno, ossia il meccanismo di voto, paralizzò i lavori. Il terzo stato voleva il voto individuale, clero e aristocrazia il voto per ordine. A metà giugno una folta pattuglia di deputati, in maggioranza aderenti al terzo stato, si proclamò Assemblea Nazionale in quanto eletti dal basso e investiti del potere dalla volontà generale. L'assolutismo era finito.

La nuova assemblea, che si riuniva nella sala della Pallacorda, si diede come primo obiettivo la stesura di una costituzione. Il re invitò gli altri rappresentanti degli ordini ad aggregarsi al terzo stato per riscrivere insieme le nuove regole dello stato.

1° errore di Luigi XVI – Contemporaneamente alle aperture verso i riformatori, il sovrano complottava strane manovre: licenziò Necker (ministro delle finanze) e assembrò truppe a Parigi e a Versailles. Questi movimenti diffusero inquietudine e spinsero il popolo, alle prese con una difficile congiuntura economica, ad una serie di rimostranze in città. Il 14 luglio una folla di artigiani e bottegai andarono davanti alla Bastiglia per chiedere armi. La guarnigione aprì il fuoco lasciando sul terreno un centinaio di manifestanti. Ma la fortezza fu espugnata e il governatore ucciso. La violenza era entrata nella politica.

In seguito all'episodio il re tornò sui suoi passi; alcuni leader cittadini istituirono il potere locale tramite un Comitato e una Milizia (affidata a La Fayette ), Il rosso e il blu – i colori di Parigi – si unirono al bianco per formare la coccarda simbolo di unità nazionale. Con quella coccarda il re si affacciò dall'hotel de Ville, il 17 luglio, assieme al sindaco della città per simboleggiare una nuova unità.

La campagna

Molto si è discusso sul ruolo della campagna nelle calde giornate rivoluzionarie. È vero che nell'estate '89 molte sollevazioni contadine spinsero l'assemblea nazionale ad una serie di provvedimenti legislativi anti-feudali (rendendo così plausibile la tesi della concordia tra città e campagna); ma è altrettanto vero che molte delle rimostranze della massa di contadini braccianti e piccoli proprietari si addensavano intorno ai recenti provvedimenti “capitalistici”. La privatizzazione degli spazi comuni aveva causato l'impoverimento di molti contadini costretti a diventare braccianti; così come la coltivazione per il mercato e il conseguente abbassamento dei prezzi aveva arricchito i grandi e medi proprietari ma rovinato i piccoli. L'indigenza dilagante degli anni '80 del XVIII è da attribuire NON SOLO al perdurare di abusi e ingiustizie di matrice “feudale” ma anche all'effetto dirompente che le nuove pratiche economiche (improntate all'efficienza produttivistica) hanno avuto sulle società di antico regime.
Alcune regole non scritte – fissate nella consuetudine e nella tradizione – fornivano in realtà un bilanciamento alle ingiustizie delle società pre-industriali, consentendo a tutti gli appartenenti alla comunità (di villaggio o di quartiere) di sopravvivere in un qualche modo. Molti di questi veri e propri “paracaduti sociali” vennero meno con l'avvicinarsi del XIX secolo, aprendo pertanto una durissima crisi sociale.
Anna Maria Rao (La rivoluzione francese, in Storia Moderna, Manuali Donzelli) scrive: “la paura dei briganti, del complotto aristocratico o di nemici non meglio identificati fu all'origine delle sollevazioni che si diffusero per larga parte del paese.”  Quelle che per secoli furono jacquerie senza seguito, portarono – stavolta – alla abolizione di “tutti i privilegi feudali”, alla liberazione dei lavoratori della terra da decime, censi e tasse sulla persona.

Erano i frenetici giorni del 4 agosto, e poi del 7 e dell'11.

Il 26 fu presentata la Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino , “l'alfabeto politico del nuovo mondo” secondo il deputato Rabaut Saint-Etienne. Adesso non restava che promulgare la costituzione.

2° errore di Luigi XVI – il re non firmò i decreti di agosto contro i privilegi di ordine. Le proteste sfociarono in una marcia di 7000 parigini fino a Versailles (scortata dalla Guardia Nazionale di La Fayette ) per chiedere “il pane” e il trasferimento della corte in città. Ad ottobre corte reale e Assemblea nazionale erano a Parigi e non più nella isolata quiete della reggia.

La monarchia costituzionale

La monarchia costituzionale (1789-1791)

Nuove leggi – L'attività legislativa dell'assemblea proseguiva a pieno ritmo.

• Incameramento beni della chiesa;

• Tasse in proporzione alla ricchezza;

• Emissione di assegnati (buoni del tesoro);

• Libertà di stampa, di opinione e di riunione;

• Nuovo ordinamento amministrativo: 83 dipartimenti divisi in distretti, cantoni e comuni, tutti con consiglio eletto dai cittadini;

• Nuovo ordinamento giudiziario: fine venalità delle cariche e completa distinzione tra il potere giudiziario e quello esecutivo e legislativo. Giudici eletti e processi con giuria popolare. Distinzione tra processi civili e criminali.

• Chiesa di Francia basata sul principio della nomina per elezione. Parroci e vescovi dovevano essere retribuiti dallo stato come ogni altro funzionario pubblico.

A questo punto il corso degli eventi sembra aver raggiunto un appiglio sicuro. Il deputato Duport proclamò, il 17 maggio 1791, che la rivoluzione era finita, e che bisognava porre fine agli eccessi, consolidare il governo, limitare libertà e uguaglianza. Anche per Bernave il senso profondo della rivoluzione era già raggiunto e stava nella disfatta dell'aristocrazia e nella vittoria della classe media.

Perché non riesce la stabilizzazione?

• Pressioni esterne / 3° errore di Luigi XVI. Le corti dei principali stati europei considerarono la questione francese un affare internazionale e si mobilitarono per sostenere il re Luigi XVI. Il quale commise il terzo fatale errore: tentò una maldestra fuga nel giugno 1791 (fu riconosciuto e bloccato a Varennes), manifestando così il suo ambiguo ruolo di garante del nuovo stato. Pochi mesi dopo firmò la Costituzione solo perché costretto.

• Problemi economici. Le cose non vanno meglio per la gente comune. C'era inflazione, disoccupazione. Inoltre la legge Le Chapelier che proibiva le associazioni operaie aumentò lo scontento nelle classi popolari (rappresentate politicamente dai “sanculotti”, sempre più influenti).

• Divisione politica. La rivoluzione aveva innescato una passione politica molto forte: stampa, club, sezioni, petizioni e manifestazioni; feste, giornate insurrezionali, alberi della libertà…bandiere, inni. In questo clima molto intenso le posizioni politiche si radicalizzarono e si moltiplicarono. Si crearono – all'interno dell'assemblea – i “partiti” di destra (per fermare qui le riforme), di centro (cambiare ancora qualcosa) e di sinistra (cambiare la sostanza dei provvedimenti a cominciare dalla proclamazione della repubblica).

• Controrivoluzionari. Il fronte degli sconfitti iniziò a riorganizzarsi intorno ai molti esponenti del clero che rifiutarono il nuovo status assegnatogli dallo stato. Specialmente nelle regioni meno urbanizzate l'opposizione al nuovo stato fu molto forte. Divenne celebre nel 1793 la rivolta della Vandea. Ma non fu la prima, né l'unica.

Emersero figure molto carismatiche, capaci cioè di convogliare e guidare i sentimenti collettivi attraverso la retorica, la propaganda, l'abilità nel convincere gli altri. Una di queste, Maximilien Robespierre, guidava l'ala sinistra dell'assemblea, detta dei giacobini, in virtù del luogo di ritrovo dei fondatori del partito.

La repubblica giacobina (1792-1794)

Per uscire dallo stallo e per prevenire una possibile azione militare dei paesi confinanti (Austria, Prussia) l'assemblea si decise a giocare la carta della guerra.

Nell'aprile 1792 :

• GUERRA contro Austria e Prussia

• Giro di vite nella politica interna contro disfattisti e controrivoluzionari.

Ancora una volta l'assemblea si trovò ad un punto morto; incapace di decidere e di organizzare l'azione di governo. A prendere le redini del paese fu “di fatto” la COMUNE INSURREZIONALE , che aveva al suo interno rappresentanti degli stessi “partiti” dell'assemblea ma in proporzioni diverse. In pratica la guida passò in mano al gruppo giacobino che lo mantenne per quasi due anni, pur in forme e con interpreti diversi.

La guerra

Inizialmente l'esercito prussiano avanzava minaccioso verso Parigi. Il nuovo organo dirigente (la comune di Parigi) rispose al “panico da sconfitta” con una serie di leggi eccezionali che smantellarono il sistema di potere appena introdotto.

• Tribunali speciali

• Repressione ai controrivoluzionari (considerati contro la patria)

• Abolizione della monarchia (21 settembre 1792); processo e condanna a Luigi XVI.

• Dichiarata la repubblica francese. Costituzione nel giugno 1793.

• Convenzione. Al posto dell'assemblea nazionale, una nuova assemblea costituente.

• Grande reclutamento di soldati tra la popolazione. Propaganda nazionalista (adottata al Marsigliese, dal canto di un battaglione dell'esercito).

• Nuovo calendario

Risultati?

Vittoria militare a Valmy il 20 settembre 1792.

Moltiplicazione dei fronti di guerra: entrano anche Gran Bretagna, Olanda, Spagna, Savoia e altri principati tedeschi. Le cose si mettono male per la Francia.

In risposta la Comune opta per la leva obbligatoria, ingrossando le fila dell'esercito fino a circa 700.000 unità.

L'arruolamento coatto provocò una resistenza fortissima. Nelle campagne (dove l'influenza della chiesa era molto profonda) le famiglie erano determinate a non mandare i giovani a combattere per la rivoluzione: in alcune zone si scatenò una vera e propria guerra civile. Tra le numerose aree di guerriglia la Vandea (zona a nord e sud della Loira) è la più celebre.

MARZO 1793

Le rivolte indussero il potere (sempre più stretto nelle mani di pochi) ad una nuova serie di misure repressive e coercitive:

• tribunale rivoluzionario

• comitato di salute pubblica

• comitati di sorveglianza

N.B.

E' la guerra che crea il meccanismo perverso per cui la paura della sconfitta legittima l'adozione di una serie di misure eccezionali anti-democratiche. Inoltre la necessità di autoritarismo accentra il potere nelle mani di pochi. In breve troviamo un potere autoritario e pressoché illimitato (esercitato da uno o da pochissimi) che, in nome della sicurezza e della patria, muove contro i nemici esterni e contro gli oppositori interni con tutti i mezzi. Il passo verso un regime di terrore è breve, perché di fronte alle sconfitte militari la principale arma a disposizione dei governi è la mobilitazione generale , l'esasperazione dei contrasti, la realizzazione di un mondo dove si è a favore o contro; e chi è contro deve essere eliminato!

Nel corso del 1793 le vicende belliche andavano male per i francesi; le rivolte interne non si placavano. Erano le condizioni ideali per accelerare la spirale funesta della guerra totale: nell'ottobre 1793 fu emanato l'obbligo di arruolamento per tutti i giovani tra i 18 e i 25 anni; fu requisito il grano nelle campagne; fu portato al massimo grado il regime poliziesco di repressione controrivoluzionaria. I tribunali speciali lavoravano a pieno ritmo condannando alla ghigliottina migliaia di persone (con processi sommari, spesso senza prove) per ragioni politiche. I leader delle varie fazioni si eliminarono tra sé, infatti chi raggiungeva il potere faceva condannare a morte i suoi avversari politici. Finirono così ghigliottinati tutti i principali protagonisti del Terrore: Danton, Herbert, Desmoulins ecc.

Nel luglio 1794 la svolta: l'esercito dopo alcune vittorie importanti (tra cui quella di Napoleone Bonaparte a Tolone) ottiene una vittoria fondamentale a Fleurus che sancisce in pratica il successo militare della repubblica francese. Nello stesso periodo le rivolte interne si placarono fino a rimanere solo casi sporadici. A questo punto non c'erano più ragioni di misure di emergenza. Anche Robespierre, “l'incorruttibile” il grande timoniere della repubblica giacobina, fu scalzato dal resto del comitato e condannato a morte; per il calendario rivoluzionario era il 9 termidoro, per il resto del mondo il 27 luglio 1794.

La repubblica conservatrice

La repubblica conservatrice (1794-1799)

Il potere tornò nelle mani dei moderati, che agirono attraverso il lavoro nella Convenzione (l'assemblea parlamentare).

La rivoluzione è finita?

Con l'uscita di scena di Maximilien Robespierre e la revoca delle misure di emergenza, l'epoca della rivoluzione sembrava destinata a concludersi. Ancora una volta ci fu chi dichiarò terminata la rivoluzione.

La Convenzione riprese la guida del paese e stilò una nuova costituzione (1795) , molto meno radicale ma comunque piuttosto avanzata, che confermava la natura repubblicana dello stato; le libertà civili (opinione, stampa, riunione); introduceva l'istruzione obbligatoria; confermava l'autonomia della magistratura e il sistema dei Dipartimenti e dei Municipi guidati da Consigli rappresentativi.

Perché non va tutto a posto?

• C'è la vendetta dei monarchici. Mentre la Convenzione e il nuovo organo esecutivo, il Direttorio , tentavano la pacificazione chiudendo i circoli giacobini, si scatenò il “terrore bianco”: a Parigi bande di giovani benestanti imperversavano alla caccia di giacobini e sanculotti da randellare; nel sud del paese la ritorsione era anche più violenta con arresti e omicidi politici.

• Crisi economica. Le nuove manifestazioni di protesta di sanculotti e popolani sono represse dalle forze dell'ordine. (I giacobini accolsero spesso le richieste degli strati popolari.)

• Le elezioni per la nuova assemblea furono vinte dai monarchici. In pratica il governo rimase nelle mani dei repubblicani grazie ad un escamotage (una quota di “diritto” per i rivoluzionari) ma il Direttorio (composto da 5 membri scelti dall'assemblea) si trovò stretto tra i monarchici a destra e i giacobini – sempre molto popolari nelle città – a sinistra.

La fine della Rivoluzione

Il Direttorio (in pratica il governo) si trovava sotto pressione da destra (DX) e da sinistra (SX) :

SX (Giacobini e non solo...)

Nel 1796 Filippo Buonarroti e Gracco Babuf organizzano al “Congiura degli Uguali” per rilanciare l'ideale rivoluzionario. Novità importante tra le rivendicazioni l'abolizione della proprietà privata. Il tentativo fallì.

DX (Monarchici)

Nel 1797 vinsero le elezioni. Ma il Direttorio, le considerò nulle e fece arrestare i leader politici.

L'esportazione della rivoluzione

In difficoltà crescenti (il Direttorio) ancora una volta ricorse alla guerra per trovare una via d'uscita dalla crisi. L'idea era quella di creare un “cuscinetto” tra la Francia e i paese antirivoluzionari per eccellenza: Austria, Prussia, Savoia. Sebbene nelle intenzioni la campagna d'Italia doveva essere un semplice diversivo, le vittorie del giovane generale Napoleone Bonaparte trasformarono nella sostanza il senso dell'iniziativa militare e, in breve tempo, anche l'esito della rivoluzione.

Le conquiste territoriali furono sancite dalla nascita di repubbliche sorelle: il 15 maggio 1796 Napoleone entrava trionfalmente a Milano (grande ammirazione degli illuministi lombardi per gli uomini della rivoluzione) e iniziò la sua gestione autarchica della guerra.

Anziché utilizzare i successi contro l'Austria al tavolo dei negoziati, Napoleone varò autonomamente una innovativa politica estera che “creava” stati “satelliti” con leggi e istituzioni mutuate dalla repubblica francese.

La nascita delle repubbliche filo-francesi si seguì a ritmo incalzante: la prima fu la repubblica Cispadana [1] , poi fu la volta della R. Cisalpina (1797) che inglobò i territori ex-pontifici con il Lombardo-Veneto. Successivamente nacquero la repubblica romana e la repubblica napoletana.

La discesa di Napoleone nella penisola alimentò entusiasmi patriottici – celebre a tal proposito l'opera di Ugo Foscolo – e diede avvio al movimento che andrà a confluire nel Risorgimento.

Ma cosa succede a Parigi?

Gli anni dei trionfi militari di Napoleone sono anni di difficoltà per il Direttorio sempre più in bilico tra la sinistra popolare e la destra reazionaria e monarchica. Approfittando dell'enorme prestigio del giovane generale, alcuni vecchi saggi della classe dirigente francese cercano di screditare il Direttorio e proporre una soluzione transitoria che si appoggiasse esplicitamente sulla conduzione di Napoleone. Quando il generale rientrò dalla sfortunata campagna in Egitto (celebre la sconfitta navale contro l'ammiraglio Nelson della flotta britannica) erano mature le condizioni per un cambiamento politico radicale.

Con il colpo di stato del novembre 1799 e la nascita del Triumvirato composto da Sieyès, Ducos e Napoleone Bonaparte la rivoluzione – come proclamò lo stesso Napoleone – era davvero finita.

Storiografia

La rivoluzione francese, una rivoluzione borghese?

E' Karl Marx che espone la teoria dello sviluppo lineare della storia sulla base della lotta di classe, che muta in conseguenza ai cambiamenti nella struttura economica

Società feudale (distrutta dalla borghesia)
società capitalistica (distrutta dal proletariato)
comunismo (fine della storia)

La rivoluzione secondo Marx è una trasformazione che abbraccia tutti i campi della vita pubblica: politica, sociale ed economica. Così la rivoluzione francese segnerebbe il primo passo di questo processo storico, diventando il modello classico di rivoluzione borghese.

Prima della rivoluzione francese:

stato aristocratico
aristocrazia classe dominante
modo di produzione feudale
struttura del privilegio
Dopo la rivoluzione francese:

stato borghese
borghesia alla guida dello stato
modo di produzione capitalistico
uguaglianza giuridica

Storiografia, marxisti e revisionisti

L'interpretazione di Marx e la propaganda dei rivoluzionari stessi ha creato una vera e propria ortodossia nell'interpretazione storica della rivoluzione francese. Una ortodossia che è giunta fino agli anni Cinquanta del secolo scorso.

La storiografia marxista ha quindi trattato la rivoluzione francese come il passaggio (violento) dal sistema feudale a quello capitalistico-borghese.

Jules Michelet, Jean Jaures, Albert Mathiez, Georges Lefebvre, Albert Soboul sostengono che la borghesia nel 1789 fosse giunta al culmine della “lotta di classe” con l'aristocrazia: una casta chiusa, arroccata nella conservazione del potere e nel mantenimento del sistema feudale. Il risultato della rivoluzione è uno stato più avanzato sotto il profilo economico, sociale e politico.

Nel 1954 uno studioso inglese, Alfred Cobban, rilegge la storia degli anni rivoluzionari negando la teoria marxista di “big ban” capitalistico. Cobban tiene un discorso alla University College di Londra nel 1954 dal titolo “il mito della rivoluzione francese” a cui farà seguire nel 1964 un testo monografico che approfondisce le varie questioni. Si tratta del libro in edizione italiana “La rivoluzione francese”, Bonacci Editore, 1994. Attraverso uno studio molto attento del materiale dell'epoca confuta tutti i punti sostenuti dalla storiografica “classica”:

1 – Non c'era il feudalesimo.

Nel 1789 solo un terzo delle terre apparteneva alla classe aristocratica e i tanto sbandierati privilegi non erano altro che rimasugli insignificanti per lo sviluppo economico.

2 – Non è la borghesia a fare la rivoluzione.

La miccia fu accesa dai nobili che contrastarono le riforme finanziarie proposte dal governo. Strano che LA RIVOLUZIONE BORGHESE sia innescata da un conflitto tra re e nobili!

Nell'assemblea nazionale non c'erano rappresentanti della fantomatica borghesia capitalistica (industriali, ricchi artigiani, imprenditori) bensì esponenti della categoria degli “Officiers” ossia i funzionari pubblici che si erano comprati le cariche dalla corona. Questo corpo, istruito ma non molto importante, voleva contare di più e avere maggiori compensi economici. Ma non sono certo loro a promuovere lo sviluppo capitalistico del paese.

3 – La rivoluzione danneggia l'economia.

I dati economici confermano l'effetto negativo dei fatti del 1789-1799 sullo sviluppo economico. La rivoluzione ha funzionato da freno e non da volano per il passaggio da una società protoindustriale a una società industriale moderna.

Le pubblicazioni di Cobban fanno scuola in Inghilterra. Dopo di lui altri storici rilanciano la teoria anti-marxista. Taylor sostiene che i rivoluzionari agiscono con l'intento di imitare lo stile di vita della nobiltà. Doyle dimostra come il processo rivoluzionario non si sia sviluppato secondo lo schema della lotta di classe: appartenenti agli ordini privilegiati erano tutt'altro che chiusi alle rimostranze dei borghesi. Infine R Forster sostenne che l'aristocrazia non viene assolutamente distrutta dalla rivoluzione: nel 1815 infatti le famiglie nobili sono praticamente le stesse del 1789.

La risposta dei marxisti

Le posizioni degli anglossassoni sono talmente convincenti che molti storici marxisti rivedono la propria lettura dei fatti alla luce delle nuove interpretazioni. Gli danno ragione sulla minimalia dei privilegi (ma sottolineano l'importanza simbolica di questi); accolgono l'analisi sugli officiers (ma sostengono l'importanza “in prospettiva” di questa classe sociale); assumono come giusta la posizione di una campagna francese spesso contraria alle istanze rivoluzionarie, quindi alla borghesia e al capitalismo. In generale però ribadiscono l'enorme importanza storica di “esempio” per tutto il mondo. In particolare François Furet, il maggiore storico della rivoluzione francese, riprese in mano tutta la questione arrivando, in un certo senso, ad un punto di sintesi.

Secondo Furet la rivoluzione francese va considerata attraverso tre processi distinti:

• LIVELLO ECONOMICO

Inizia la trasformazione capitalistica, ma non c'è un cambiamento positivo, non c'è crescita economica. Anzi, la rivoluzione è negativa per l'economia francese. Ha ragione Cobban.

• LIVELLO STORICO SOCIALE

Anche qui gli anglosassoni hanno ragione. Nel 1815 l'ordine sociale è pressoché identico. I borghesi sono dei conservatori simili agli aristocratici; vogliono mantenere i privilegi ottenuti e gli industriali innovatori non ci sono. Il risultato finale è un compromesso tra grande borghesia e aristocrazia.

• LIVELLO POLITICO

E' il campo delle grandi trasformazioni. Ricordiamoci di Sckocpol: state braking, state making.

Trionfano le idee illuministiche della libertà dell'individuo e della libertà del commercio. Vale la legge “uguale per tutti” e c'è una carta dei diritti del cittadino al di sopra dell'autorità del capo di stato. E' finito il potere “divino” e il “modello” feudale. Al suo posto la NAZIONE raccoglie la sovranità popolare e la realizza tramite un governo eletto liberamente.

Quindi c'è “rivoluzione borghese” o non c'è?

Nel 1989 la questione non è più dibattuta. La visione anglosassone ha vinto, anche se è solo una visione parziale.

Tra il 1770 e il 1870 c'è stato un doppio processo di trasformazione: economico e istituzionale.

ECONOMICO

Nel 1770 è un sistema che inizia il processo di modernizzazione. La società non era più organizzata secondo i parametri tipici dell'età feudale, ma restava qualche elemento fortemente simbolico (privilegi, status speciale) utile per ribadire la gerarchia di ceto.

Nel 1870 la Francia è un paese moderno, organizzato secondo il sistema capitalistico.

STATO

Nel 1770 c'è ancora una monarchia assoluta con un sistema di signorie locali più vicino al sistema feudale che al moderno stato. L'autorità centrale non ha un reale controllo del territorio.

Nel 1870 la Francia è una repubblica presidenziale con parlamento e libere elezioni (a suffragio ridotto). La legge tutela tutti i cittadini in modo ugualitario, esiste una carta dei diritti di cittadinanza, il fisco preleva dall'intero corpo produttivo.

Lo storico Thompson ha parlato di “grande arco della trasformazione”. Un processo che interessa tutti i paesi con tempi e modi differenti. E che interessa i vari campi in tempi e modi differenti. Come si vede dal grafico il progresso della politica non coincide con lo sviluppo dell'economia.

L'economia soffre le turbolenze della rivoluzione; sono le innovazioni del primo ottocento (treno, telaio meccanico) a far compiere il grande balzo. Viceversa la politica conosce un clamoroso avanzamento negli anni rivoluzionari, per poi tornare indietro (ma non al 1789) dopo il 1815 nel periodo della “restaurazione”.

La rivoluzione francese non può essere considerata rivoluzione borghese; è l'intero processo di trasformazione a rivoluzionare stato, economia e società.

È il processo, non il momento!

COSA CAMBIA IN CONCRETO LA RIVOLUZIONE?

Vediamo qual è il contributo della rivoluzione al processo di trasformazione.

Sotto il profilo economico hanno certamente segnato un passo in avanti le leggi di liberalizzazione degli scambi commerciali: furono abolite le dogane interne, furono aboliti i balzelli territoriali, come le decime e altri residui delle epoche precedenti. Molto controversa fu la legge LE CHAPELIER che abolì il sistema delle corporazioni. In pratica colpiva i lavoratori dipendenti togliendogli le garanzie e le protezioni tradizionali. Il vantaggio era per gli imprenditori che avevano meno spese e minori obblighi.

Nel complesso però la guerra civile che in pratica attanagliò il paese per oltre tre anni danneggiò il sistema economico, colpendo il commercio coloniale e l'attività portuale di città come Marsiglia e Bordeaux. La lenta penetrazione del sistema di fabbrica nelle campagne fu interrotto a causa della rivoluzione.

Dal punto di vista istituzionale la rivoluzione porta a grandi novità:

    Laicizzazione dello stato
    Pubblica amministrazione razionale ed efficiente
    Istruzione per tutti
    Uguaglianza giuridica
    Diritti civili
    Esercito di leva

Conclusione

Si può ritenere la rivoluzione francese come un momento nel processo di “rivoluzione borghese” che ha contribuito alla sua realizzazione in modo esiguo, anzi, negativo per l'aspetto economico e in modo fondamentale, nonché altamente positivo a livello politico, giuridico e istituzionale.