da
Dizionario di Storia moderna e contemporanea
http://www.pbmstoria.it/dizionari/storia_mod/index.htm
RIVOLUZIONE
FRANCESE
LE CAUSE.
Ebbe origine da processi di medio-lungo periodo e da fattori di
crisi congiunturale che investirono l'economia e la società,
la politica e la cultura, le istituzioni e la mentalità.
La fase di prosperità apertasi negli anni venti del XVIII
secolo aveva favorito lo sviluppo di una borghesia imprenditoriale
urbana e rurale insofferente ai vincoli feudali e corporativi e a
una borghesia intellettuale e delle professioni decisa a far
prevalere i meriti individuali sui privilegi di ceto. Con gli
esponenti più illuminati del clero e della nobiltà,
questa borghesia si proponeva come nuova classe dirigente, capace di
rappresentare gli interessi di tutta la nazione (vedi Sieyès). Ma la
crescita settecentesca, peraltro già arrestatasi negli anni
settanta, provocò effetti socialmente differenziati e
contraddittori, penalizzando i gruppi sociali più numerosi e
più poveri.
Nella seconda metà degli anni ottanta, poi, una grave crisi
produttiva e di mercato colpì settori cruciali come la
viticoltura e le manifatture tessili, rendendo esplosiva la crisi di
sussistenza seguita al pessimo raccolto cerealicolo del 1788. Nelle
campagne l'aumento di lungo periodo della rendita feudale e
fondiaria aveva aggravato le croniche difficoltà della
piccola azienda contadina e alimentava una diffusa resistenza tanto
al prelievo signorile quanto alle spinte verso il liberismo
economico e lo sviluppo capitalistico cui erano, invece, sensibili
grandi affittuari e proprietari fondiari.
Intanto la crisi cronica della finanza statale, aggravata dagli
sprechi e dai costi della guerra contro la Gran Bretagna
(1778-1783), imponeva misure di perequazione fiscale, cui si
opponevano gli ordini privilegiati, che acuivano la tradizionale
opposizione dei parlamenti all'assolutismo regio. Al "dispotismo
ministeriale" si opponevano anche i fautori della monarchia
costituzionale di tipo inglese, guidati dal marchese di La Fayette.
Infine la diffusione delle idee illuministiche metteva in crisi,
presso vasti strati di opinione pubblica colta, l'ideologia
dell'assolutismo e la legittimità delle distinzioni di ceto
fondate sul privilegio di nascita o di status. Una fitta rete di
accademie, "società di pensiero" e logge massoniche
alimentava forme inedite di sociabilità politica e culturale
che, saldandosi con una crescente alfabetizzazione dei ceti popolari
e una diffusa secolarizzazione di valori e comportamenti, agevolava
la diffusione di idee-forza potenzialmente destabilizzanti quali
l'uguaglianza dei diritti e la sovranità popolare.
GLI STATI GENERALI E LA COSTITUENTE.
Il fallimento dei progetti di riforma di J.
Necker, di C.A. de
Calonne e di E. C. Loménie de Brienne rese inevitabile
nell'estate 1788 la convocazione degli Stati
generali. La consultazione che ne preparò l'elezione
coincise (marzo-aprile 1789) con un'acutissima crisi di sussistenza
che rese incandescente lo scontro politico sulla composizione e sui
poteri degli Stati generali; la compilazione di circa 60.000 cahiers de doléances fu
un'occasione straordinaria di mobilitazione politica di massa.
Fin dall'apertura degli Stati generali (5 maggio 1789) una netta
frattura si produsse tra il re e i primi due ordini da un lato e,
dall'altro, i rappresentanti del Terzo
stato su questioni procedurali di grande rilievo politico come
la vexata quaestio del voto per testa o per ordine. Attraverso
passaggi drammatici (tra cui il giuramento, pronunciato nella sala
della Pallacorda, di non separarsi finché la Francia non
avesse avuto una costituzione), i deputati del Terzo stato,
appoggiati da un'intensa campagna di stampa e da una parte dei
deputati degli altri due ordini, si costituivano in Assemblea nazionale, che il 9
luglio si proclamò costituente.
La minaccia regia di sciogliere con la forza l'Assemblea e il timore
del complotto aristocratico spinsero il popolo di Parigi
all'insurrezione armata come strumento di difesa preventiva (assalto alla Bastiglia, 13-14 luglio 1789).
Tra la metà di luglio e i primi giorni di agosto in tutta la
Francia dilagò la "rivoluzione municipale" e le campagne
furono sconvolte dalla Grande paura, che spinse la costituente a
proclamare l'abolizione della feudalità (4 agosto).
Il 26 agosto, con la Dichiarazione
dei diritti dell'uomo e del cittadino, l'Assemblea fondava
solennemente i nuovi ordinamenti su principi che sarebbero stati
alla base delle moderne costituzioni liberali e democratiche.
Fino all'estate del 1791 preoccupazioni dominanti dell'Assemblea
furono l'elaborazione di una nuova costituzione, la riforma delle
amministrazioni locali (istituzione dei dipartimenti, cantoni e
comuni retti da organi di governo elettivi) e giudiziaria, il
risanamento finanziario. La crescita esponenziale del disavanzo
pubblico spinse i costituenti a confiscare e mettere in vendita i
beni della Chiesa per rimborsare titoli di debito pubblico emessi in
quantità crescente e che rapidamente si svalutarono. La Costituzione civile del
clero (12 luglio 1790), condannata dal papa, provocò
una grave frattura tra il clero "costituzionale" e quello
"refrattario", che rafforzò il fronte controrivoluzionario.
Intanto nelle campagne i contadini si rifiutavano di pagare i
diritti signorili sulle terre o di riscattarli; l'incapacità
del governo e dell'Assemblea di tutelare gli interessi dei nobili
spingeva questi ultimi a schierarsi sempre più numerosi
contro la rivoluzione, e spesso a emigrare all'estero. La fuga di Varennes (20 giugno 1791)
svelò definitivamente i propositi controrivoluzionari del re
e della corte e provocò una dura contrapposizione fra quanti
tentavano di negarne le responsabilità, per non compromettere
una soluzione monarchico-costituzionale della crisi, e i
rivoluzionari più radicali.
L'eccidio di Campo di Marte (17 luglio 1791), la secessione dei foglianti dal club dei giacobini, la dichiarazione di Pillnitz (con
cui nell'agosto 1791 Austria e Prussia invitavano i monarchi
d'Europa a unirsi per ristabilire l'ordine in Francia) accentuarono
incertezze e tensioni che il varo della prima costituzione francese
(4 settembre) non bastò a placare.
Nell'Assemblea legislativa,
che sostituì (1° ottobre 1791) la costituente, pur
prevalendo numericamente la destra fogliante (un terzo dei deputati)
e il centro moderato, dominarono la scena i girondini,
guidati da J.P. Brissot, che
fecero leva sull'intransigente difesa della rivoluzione contro i
nemici esterni e interni. Con lo strumentale appoggio del re e della
corte e l'opposizione di Robespierre,
ostile a un conflitto di esito incerto per la Francia, i girondini
trascinarono l'Assemblea a dichiarare guerra all'Austria (20 aprile
1792).
LA PRIMA REPUBBLICA E IL TERRORE.
Ma gli insuccessi militari, la sensazione diffusa che un nuovo
"complotto aristocratico" mirasse a stroncare la rivoluzione con
l'appoggio degli eserciti stranieri e una violenta ripresa delle
sommosse popolari contro il carovita mobilitarono nuovamente i sanculotti, che il 10 agosto sostituirono
la municipalità di Parigi con una Comune insurrezionale e
costrinsero la Legislativa a votare la deposizione del re e a
convocare nuove elezioni, a suffragio universale.
La nuova assemblea (vedi Convenzione
nazionale), insediatasi lo stesso giorno (21 settembre) in cui
un esercito di volontari fermò a Valmy l'avanzata austro-prussiana
su Parigi, il 21 settembre proclamò la repubblica una e
indivisibile.
Sui rapporti con il movimento sanculotto e le sue istanze di
democrazia diretta e di radicalismo sociale (maximum dei prezzi,
diritto al lavoro e all'istruzione ecc.), sulla conduzione della
guerra e sulla sorte del re si aprì nella Convenzione un
aspro e lungo scontro politico fra i girondini e i deputati montagnardi, i cui principali leader
(Robespierre e Danton)
rivendicarono e ottennero, con l'appoggio di una parte dei deputati
di centro (Palude), la condanna a morte,
senza possibilità di appello al popolo, e l'esecuzione del re
(21 gennaio 1793).
Il regicidio e l'annessione alla Francia dei territori alla sinistra
del Reno, del Belgio e della Savoia portarono alla guerra contro la
prima coalizione (Austria,
Prussia, Gran Bretagna, Paesi bassi, Spagna e quasi tutti gli stati
italiani). Una serie di sconfitte militari e lo scoppio della rivolta in Vandea e in altri
dipartimenti dell'Ovest spinsero a adottare misure eccezionali
(istituzione del Tribunale
rivoluzionario, del Comitato
di salute pubblica e di comitati di sorveglianza
rivoluzionaria in tutti i comuni) che indebolirono i girondini.
Nelle "giornate rivoluzionarie" del 31 maggio e del 2 giugno 1793 i
sanculotti parigini, sostenitori dei montagnardi, imposero
l'epurazione dei principali leader girondini dal governo e dalla
Convenzione. Tra la capitale e i dipartimenti del Mezzogiorno e
dell'Ovest, insofferenti dell'egemonia di Parigi e del radicalismo
politico delle sue folle rivoluzionarie, si creò una frattura
che sfociò in una vasta sollevazione antigiacobina
("insurrezione federalista").
Sotto la direzione dei giacobini, la Convenzione recuperò
temporaneamente il controllo del movimento sanculotto accettandone
in parte le rivendicazioni nella Costituzione dell'anno I
(25 giugno 1793). L'accentramento del potere nelle mani del Comitato
di salute pubblica e dei "rappresentanti in missione", protagonisti
di una spietata repressione contro i federalisti e i rivoltosi
vandeani; le misure da economia di guerra tendenti ad
approvvigionare le città affamate e un poderoso esercito di
oltre 700.000 uomini, ma che irritavano contadini e mercanti senza
bloccare il mercato nero; l'imposizione del maximum generale dei
prezzi e dei salari, che faceva emergere gravi divergenze anche nel
movimento sanculotto; un'intransigente campagna di
scristianizzazione, che lacerò ulteriormente le coscienze
alimentando la resistenza controrivoluzionaria; la tendenza del
Terrore a perpetuarsi oltre l'emergenza che ne aveva giustificato la
nascita e a trasformarsi in strumento di lotta politica interna allo
schieramento rivoluzionario (arresto ed esecuzione di J.R. Hebert e Danton e di
molti loro seguaci, marzo-aprile 1794): questi e altri fattori
erosero progressivamente il consenso intorno al Comitato di salute
pubblica e al triumvirato (Robespierre, Saint-Just
e G.A. Couthon) che sembrava dominarlo.
Una composita coalizione di deputati che se ne sentivano colpiti o
minacciati provocò l'arresto e l'esecuzione di Robespierre e
dei suoi seguaci il 9-10 termidoro (27-28 luglio) 1794.
LA NORMALIZZAZIONE.
La svolta di termidoro
avviò un rapido processo di "normalizzazione"
politico-istituzionale. Riammessi alla Convenzione i deputati
girondini superstiti, in tutta la Francia giacobini e sanculotti
diventarono oggetto di persecuzione (Terrore bianco). Il
disorientamento e la debolezza del movimento popolare parigino si
rivelarono appieno nel fallimento dei tentativi insurrezionali di
germinale e di pratile anno III (1° aprile e 20-22 maggio 1795),
provocati dall'esasperazione per il carovita, giunto a livelli
insostenibili dopo l'abolizione del calmiere sui prezzi (dicembre
1794).
La Costituzione dell'anno
III (22 agosto 1795) sanzionò il nuovo corso politico e
sociale della rivoluzione. Stabilendo una rigida divisione dei
poteri (l'esecutivo al Direttorio e il
legislativo a due Consigli, degli Anziani e dei Cinquecento,
rinnovabili ogni anno per un terzo) e ripristinando il suffragio
elettorale con sbarramento censitario e a doppio grado, proponeva un
modello costituzionale cui si sarebbero ispirati nell'Ottocento
ideologie e movimenti politici interessati a conciliare
libertà civili, partecipazione politica e predominio delle
classi abbienti, della borghesia intellettuale e delle professioni.
L'evoluzione in senso filomonarchico dell'opinione pubblica,
soprattutto delle campagne, e i sussulti insurrezionali della
sinistra, sempre più deboli ed elitari, ma che ossessionavano
l'immaginario collettivo dei termidoriani (vedi congiura degli eguali),
crearono uno stato di permanente instabilità politica che il
Direttorio fronteggiò a fatica con repressioni e colpi di
stato, come quello di fruttidoro (4 settembre 1797), al cui successo
contribuì in modo decisivo l'esercito, istituzione dal
crescente prestigio e di sicura fede repubblicana.
Un generale vittorioso, Napoleone
Bonaparte, fu il protagonista e principale beneficiario del
colpo di stato del diciotto brumaio (9 novembre 1799), che
segnò il passaggio al Consolato e, poi, all'Impero.
A. Massafra
***
SIEYÈS,
EMMANUEL-JOSEPH (Fréjus 1748 - Parigi 1836)
Politico francese. Ecclesiastico, alla vigilia della rivoluzione
partecipò attivamente, pubblicando il celebre Che cosa
è il terzo stato?, al dibattito per la convocazione degli
Stati generali, di cui ottenne la trasformazione in Assemblea
nazionale, e redasse la formula del giuramento (detto della
Pallacorda) dei deputati del Terzo stato. Giacobino,
contribuì alla Dichiarazione dei diritti e alla Costituzione
del 1791. Membro della Convenzione nazionale, fu vicino ai girondini
pur votando la condanna del re. Rimasto in ombra fino al colpo di
stato del nove termidoro, ritornò poi alla politica e fu
membro nel Consiglio dei cinquecento, ambasciatore a Berlino (1798)
e infine membro del Direttorio (1799). Desiderando una revisione
della costituzione a vantaggio dell'esecutivo, si avvicinò a
Napoleone e organizzò il colpo di stato del diciotto brumaio.
Console provvisorio, elaborò un progetto costituzionale
(1799) che Bonaparte modificò a proprio vantaggio prima di
sottoporlo a plebiscito. Presidente del Senato, non condivise
l'impostazione della politica napoleonica e abbandonò la vita
pubblica. Nominato conte dell'impero (1809), alla Restaurazione
dovette lasciare la Francia dove poté rientrare solo nel
1830.
LA FAYETTE,
MARIE-JOSEPH-PAUL DE MOTIER DE (Saint-Roch de Chavagnac 1757 -
Parigi 1834).
Militare e politico francese. Distintosi nella guerra d'indipendenza
americana, allo scoppio della rivoluzione francese ebbe il comando
della guardia nazionale. Membro del club dei foglianti e fautore di
una monarchia costituzionale, fu imprigionato dagli austriaci
(1792-1797). Restò in disparte durante l'impero e dopo la
Restaurazione guidò l'opposizione liberale, favorendo
l'ascesa di Luigi Filippo d'Orléans (1830).
NECKER, JACQUES (Ginevra 1732 - Coppet
1804).
Finanziere svizzero. Chiamato a dirigere le finanze francesi
(1777-1781), tentò di riordinare le entrate e di ridurre le
spese. Acquistò popolarità pubblicando, in un Compte
rendu au Roi (1781), il bilancio statale. Inviso agli ambienti di
corte, fu costretto a dimettersi. Reintegrato nel 1788, in seguito
all'aggravamento della situazione finanziaria e allo scoppio della
rivoluzione nel 1790 lasciò il governo.
CALONNE,
CHARLES-ALEXANDRE DE (Douai 1734 - Parigi 1802).
Controllore generale delle finanze del regno di Francia (1783-1787),
cercò di pareggiare il bilancio istituendo una tassa, la
sovvenzione territoriale, che rinnovava il sistema fiscale,
perché dovuta da tutti, anche da chi fino allora esente, in
proporzione ai redditi. Entrato per questo in conflitto con il
parlamento di Parigi e la nobiltà, venne licenziato da Luigi
XVI.
STATI GENERALI
Antica assemblea straordinaria dei rappresentanti di nobiltà,
clero e Terzo stato in Francia e nelle Fiandre. Derivati dalle
assemblee plenarie dei re capetingi, gli Stati generali francesi
furono convocati la prima volta durante il conflitto tra papa
Bonifacio VIII e Filippo IV (1301-1302). Nel 1317 Filippo V dispose
che le città del regno scegliessero i propri rappresentanti
all'assemblea, introducendo il principio dell'elettività dei
deputati. Organo puramente consultivo, non avevano funzioni definite
ed erano convocati saltuariamente per richiedere l'espresso consenso
all'operato del sovrano. In alcune circostanze tentarono di
accrescere le proprie prerogative assumendo iniziative politiche, ma
la corona reagì evitando di convocarli. Nel secondo
Cinquecento aumentò la loro importanza specie in materia
fiscale e finanziaria, ma crebbe anche la conflittualità fra
le tre componenti. Tali contrasti fecero fallire la riunione del
1614-1615. Dopo quella data non furono più convocati fino al
1789, quando la loro pretesa di costituirsi in Assemblea nazionale
costituente segnò l'inizio della rivoluzione francese. Nelle
Fiandre gli Stati generali, delegati di quelli provinciali, furono
convocati sotto la dominazione borgognona e asburgica (secoli
XV-XVI) con funzioni consultive specie in ambito fiscale. Alla
secessione dalla Spagna delle sette province settentrionali (1579),
il nome fu trasferito al principale organo collegiale di governo,
che fu abolito nel 1796, dopo l'arrivo delle truppe rivoluzionarie
francesi.
CAHIERS DE DOLÉANCE
Raccolte di lagnanze e di richieste agli Stati generali francesi,
provenienti dalle assemblee locali. Per il loro numero (ca. 60.000)
e la loro capillarità quelli del 1789 costituiscono
un'importantissima fonte sull'ancien régime e sull'opinione
pubblica alla vigilia della rivoluzione francese.
TERZO STATO
Nella società dell'ancien régime si indicavano con
questo termine coloro che non appartenevano né al clero
né alla nobiltà. Ne facevano quindi parte sia gli
esponenti della borghesia delle professioni, di quella mercantile e
manifatturiera, sia gli artigiani, i piccoli commercianti e coloro
che erano collocati ai gradini più bassi della
società. L'espressione implicava quindi una connotazione in
senso negativo, in quanto gli appartenenti al Terzo stato non
godevano dei privilegi riservati agli altri due ordini o stati
(società di ordini). Tuttavia all'interno dell'ordine
esisteva una gerarchia ben delineata che vedeva in primo piano gli
officiers, i grandi burocrati, i professori, gli avvocati e poi gli
uomini d'affari e i mercanti, tutti gerarchizzati secondo la
funzione sociale svolta all'interno della società. Le
istituzioni rappresentative del tempo (parlamenti, stati generali,
diete) prevedevano generalmente la presenza di rappresentanti del
Terzo stato al proprio interno, anche se questi tendevano a
presentarsi esclusivamente come il ceto dei funzionari, dei giuristi
e degli uomini di legge. La rivoluzione francese, distruggendo la
vecchia struttura per ceti della società e le forme di
organizzazione politica che ne erano espressione, fece del Terzo
stato il rappresentante dell'intera nazione.
ASSEMBLEA NAZIONALE (Francia,
1789-1791).
Organismo formato, durante la rivoluzione francese, dai delegati del
Terzo stato agli Stati generali, proclamatisi nella Sala della
pallacorda rappresentanti della nazione (17 giugno 1789) per
elaborare una costituzione. Trasformatasi in Assemblea nazionale
costituente dopo che vi si furono congiunti anche i membri della
nobiltà e del clero (9 luglio), si sciolse il 30 settembre
1791. I suoi membri, pur non essendo organizzati in partiti,
assunsero posizioni diverse, su cui si sviluppò una nuova
terminologia politica. A destra del presidente sedevano i monarchici
intransigenti. Successivamente in questo gruppo confluì anche
il centro, costituito dai monarchici bicameralisti che, sul modello
inglese, riconoscevano al re il diritto di nominare una seconda
camera. Fatta eccezione per qualche estremista, a sinistra erano i
fautori del parlamentarismo, prevalentemente del Terzo stato,
integrati da aristocratici liberali ed esponenti del basso clero. I
rappresentanti degli interessi della medio-alta borghesia (vedi
foglianti) desiderosa di partecipare alla vita politica ma
intenzionata a difendere l'ordine e la proprietà, riuscirono
a imporre la propria linea. Furono così varate riforme
fondamentali quali l'abolizione del regime feudale, la Dichiarazione
dei diritti dell'uomo e del cittadino, l'incameramento dei beni
ecclesiastici e degli emigrati, la Costituzione civile del clero e,
infine, la Costituzione del 1791.
BASTIGLIA
Fortezza parigina utilizzata dal XVII secolo come prigione di stato.
Assurta a simbolo dell'arbitrio regio, il 13-14 luglio 1789 fu
assalita dal popolo per bloccare un colpo di mano di Luigi XVI
contro l'Assemblea nazionale. L'episodio ebbe un'eco straordinaria e
contribuì ad alimentare nelle province la "grande paura"
della rivoluzione. Dal 1880 il 14 luglio è diventato festa
nazionale.
COSTITUZIONI FRANCESI
(1791-1814).
Costituzioni varate e abrogate in stretta successione in sintonia
con gli eventi tumultuosi della rivoluzione, dell'età
napoleonica e della restaurazione. Ciascuna di esse costituì
un modello di assetto dello stato ispirato a concezioni
ideologico-politiche ben distinte.
Nel 1791 fu varata la prima costituzione scritta della Francia.
Sanciva solennemente i principi ispiratori dei provvedimenti
legislativi emanati dal 1789 in poi, sotto l'incalzare degli eventi
rivoluzionari. Nel preambolo riportava la Dichiarazione dei diritti
dell'uomo e del cittadino votata dall'Assemblea costituente il 26
agosto 1789. In essa, oltre a rivendicare i diritti naturali
dell'individuo (diritto alla libertà personale, di pensiero,
di opinione, d'espressione; alla proprietà; alla resistenza
all'oppressione) e l'uguaglianza dei cittadini davanti alla legge,
si affermava il principio della sovranità nazionale e si
definiva la legge come espressione della volontà generale. La
costituzione conservava l'ordinamento monarchico del paese, ma
limitava le prerogative del re dei francesi e subordinava alla legge
il suo volere. Attribuiva al sovrano il potere esecutivo e il
diritto di veto sospensivo nonché la facoltà di
nominare e revocare i ministri, i capi militari, gli ambasciatori e
i principali amministratori. Demandava il potere legislativo a un
corpo permanente, composto da una sola camera, eletta a suffragio
censitario a doppio grado. Stabiliva che i giudici, designati dal
popolo, esercitassero le loro funzioni sotto la sorveglianza di un
tribunale di cassazione. Fissava inoltre il nuovo assetto
territoriale del paese che sostituiva alle circoscrizioni
dell'ancien régime dipartimenti, distretti, cantoni e
municipi.
Ben più avanzata sul terreno politico e sociale fu la Costituzione dell'anno
primo (1793). Voluta dai montagnardi al potere, fu adottata per
acclamazione dalla Convenzione e approvata, come la successiva
costituzione del 1795, da un referendum popolare. Pur non essendo
mai entrata in vigore a causa dell'emergenza imposta dalla guerra
contro la prima coalizione, divenne punto di riferimento per il
pensiero democratico del secolo successivo. Nella preliminare
Dichiarazione dei diritti si affermavano nuovi principi quali la
fraternità tra i popoli e il diritto dei singoli al lavoro,
all'istruzione, all'assistenza, alla felicità,
all'insurrezione. Sfavorevole alle prerogative del potere esecutivo
(esercitato da un Consiglio di ventiquattro membri) di cui limitava
pesantemente le competenze, privilegiava il corpo legislativo
composto da una sola Camera, i cui membri erano eletti annualmente a
suffragio universale. I cittadini potevano intervenire direttamente
nell'attività legislativa attraverso referendum richiesti da
almeno un decimo degli elettori delle assemblee primarie in
metà dei dipartimenti.
Assai più moderata fu la Costituzione dell'anno
terzo (1795) che rifletteva la preoccupazione di contenere gli
eccessi della precedente e di consolidare la preminenza della
borghesia. Nella Dichiarazione introduttiva si rifaceva largamente
al testo del 1791 ma, per reazione alla dittatura montagnarda,
specificava che nessun individuo o gruppo di cittadini poteva
ritenersi depositario della sovranità. Per la prima volta
menzionava, oltre i diritti dell'uomo, anche i doveri che
consistevano essenzialmente nell'obbligo di rispettare la legge e le
autorità costituite. Sanciva la separazione dei poteri,
delegando quello esecutivo a un Direttorio composto di cinque membri
e quello legislativo a due assemblee elette a suffragio censitario e
indiretto: il Consiglio dei cinquecento, che proponeva ed elaborava
le leggi, e quello degli anziani, che le varava o respingeva.
Conservava nelle sue grandi linee l'organizzazione amministrativa
del territorio nazionale, mantenendo la suddivisione in
dipartimenti, cantoni e comuni, ma sopprimendo i distretti. Le
costituzioni del periodo napoleonico gradualmente segnarono il
riflusso delle idee rivoluzionarie e l'approdo a un nuovo
dispotismo.
La Costituzione dell'anno ottavo (1799), la prima che non si aprisse
con una dichiarazione dei diritti, affidava il governo del paese a
tre consoli, il primo dei quali godeva di ampie prerogative e, oltre
a promulgare le leggi, nominava i ministri, gran parte dei
funzionari civili e militari e i componenti del Consiglio di stato.
Quest'ultimo organo redigeva le leggi che erano discusse dai membri
del Tribunato e votate dal Corpo legislativo. Il suffragio
universale era ristabilito; perdeva tuttavia significato,
poiché i cittadini non eleggevano i propri rappresentanti, ma
alcuni notabili tra i quali il Senato designava i componenti delle
assemblee legislative. I senatori, inamovibili e cooptati su liste
presentate dal primo console, avevano il ruolo di custodi della
costituzione. Essi, però, non adottarono mai linee di
condotta autonome e tramite successivi "senatoconsulti" si
prestarono a indebolire i corpi legislativi e a rafforzare la
posizione del primo console (Napoleone), che venne proclamato
console a vita nel 1802 e imperatore nel 1804.
Con la restaurazione borbonica (1814) una nuova carta costituzionale
venne concessa ai francesi per grazia del sovrano (vedi costituzione
octroyée) senza che fosse deliberata da un'Assemblea
costituente come le precedenti. Pur ribadendo la teoria della
sovranità per diritto divino, non sconfessava alcune
importanti conquiste politiche e sociali della rivoluzione quali
l'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, l'abolizione dei
privilegi fiscali, la libertà di pensiero, di espressione, di
religione. Riservava al re non solo il potere esecutivo, ma anche
l'esclusivo diritto dell'iniziativa legislativa nonché la
facoltà di emettere regolamenti e ordinanze per l'esecuzione
delle leggi. Introduceva, inoltre, un sistema bicamerale composto da
una Camera dei pari, di nomina regia, e da una dei deputati, eletti
a suffragio assai ristretto. Garantiva una certa indipendenza della
magistratura, poiché i giudici, pur essendo nominati dal re,
erano inamovibili. La carta costituzionale del 1814 tracciò
le linee secondo cui si resse lo stato francese fino alla
rivoluzione del 1848.
E. Papagna
COSTITUZIONE CIVILE DEL
CLERO (12 luglio 1790).
Promulgata durante la rivoluzione francese, rimodellò le
circoscrizioni ecclesiastiche su quelle amministrative, i
dipartimenti. Dispose che tutti i membri del clero, stipendiati
dallo stato, fossero eletti dai cittadini e che l'investitura papale
non fosse più necessaria per i vescovi. Condannata dal papa
Pio VI (marzo 1791), divise il clero francese tra costituzionale e
refrattario e suscitò opposizione alla rivoluzione fra i
fedeli.
VARENNES, FUGA DI (20 giugno 1791).
Tentativo di Luigi XVI di Francia e della famiglia reale di lasciare
nottetempo Parigi per unirsi agli aristocratici "emigrati"
all'estero, nella speranza di poter bloccare la rivoluzione.
Riconosciuti e bloccati nelle Argonne, furono ricondotti in stato
d'arresto nella capitale. L'Assemblea legislativa, accreditando la
versione secondo cui il sovrano era stato rapito contro la sua
volontà, poté reintegrare il re nelle sue funzioni.
FOGLIANTI (1791-1792).
Associazione politica francese fondata nel luglio del 1791 dall'ala
moderata dei giacobini (Barnave, Adrien Du Port e Théodore de
Lameth), contrari a far decadere il re dopo la fuga di Varennes.
Derivò il nome dal convento di monaci cistercensi in cui ebbe
sede. Strenui difensori della costituzione censitaria del 1791,
scomparvero alla caduta della monarchia.
GIACOBINI
Membri di un club creato durante la rivoluzione francese, a
Versailles, nel maggio 1789, da alcuni parlamentari bretoni
capeggiati da J.R. Chevalier, e che si trasferì in ottobre a
Parigi, insieme con l'Assemblea. Sotto il nome di Società
degli amici della costituzione i giacobini si insediarono nel
refettorio dell'ex convento dei domenicani, detti anche jacobins,
derivandone il nome. Ben presto, sotto la guida di un triumvirato
composto da A. Du Port, A. Barnave e A. De Lameth, riuscirono a
costituire una fitta rete di società affiliate in tutto il
paese, divenendo centro propulsore e cassa di risonanza nazionale
della politica rivoluzionaria. Il club, in questa prima fase
aderente a una linea monarchico-costituzionale, escludeva i ceti
popolari a causa dell'elevata quota d'iscrizione che rendeva loro
proibitiva l'adesione. Il suo principale obiettivo era la promozione
di progetti di legge da sottoporre all'Assemblea e l'attività
di propaganda delle leggi già rese esecutive. Ma la crisi di
regime aperta dalla fuga di Varennes (giugno 1791) e aggravata
dall'eccidio di Campo di Marte (luglio 1791), creò nel club
parigino una profonda spaccatura, determinando la fuoriuscita della
maggioranza, riunita intorno a Barnave e La Fayette, che andò
a costituire il gruppo dei foglianti.
Moderata fino ad allora, la politica giacobina assunse, da quel
momento, un indirizzo più democratico, ma soprattutto
più intransigente. Da luogo di discussione il club si
trasformò in laboratorio di idee e forze rivoluzionarie volte
alla conquista del potere. Mutato il suo nome dal settembre 1792 in
quello di "Club dei giacobini", la società eliminò dal
suo interno le residue frange moderate e, nel maggio 1793,
riuscì a esautorare il governo dei girondini. Divenne
così il gruppo più organizzato ed egemone nella
Convenzione ed ebbe in Robespierre il capo indiscusso.
L'alleanza con i sanculotti parigini, pur non priva di momenti di
tensione che si fecero particolarmente acuti nella primavera del
1794, spinse i giacobini a radicalizzare la lotta contro
aristocratici e monarchici e ad appoggiare misure che limitavano la
libertà economica (maximum dei prezzi e dei salari). Durante
il terrore i giacobini sostennero il Comitato di salute pubblica. Il
colpo di stato del termidoro e la conseguente svolta moderata
determinarono la chiusura del club, nel novembre 1794.
A. Carrino
PILLNITZ, CONGRESSO DI (25-27
agosto 1791).
Incontro tra l'imperatore Leopoldo II, il re di Prussia Federico
Guglielmo II e il futuro re di Francia Carlo X, in cui si decise la
prima guerra di coalizione contro la Francia rivoluzionaria.
ASSEMBLEA LEGISLATIVA (Francia,
1791-1792).
Organismo rappresentativo legislativo della Francia rivoluzionaria,
previsto dalla Costituzione del 1791 ed eletto, col sistema
censitario, nel settembre dello stesso anno. Essendo stati
dichiarati non rieleggibili i membri della disciolta Assemblea
nazionale, fu composta da 745 deputati di prima nomina, suddivisi in
diverse correnti: a destra i monarchici costituzionali, vicini al
club dei foglianti; a sinistra i giacobini di tendenza repubblicana,
che si sarebbero poi scissi in girondini e montagnardi; al centro il
gruppo di maggioranza degli indipendenti o costituzionali. Luigi XVI
scelse tra i foglianti i suoi ministri. I contrasti sul problema
della guerra con l'Austria volsero la situazione a favore dei
girondini (ministero Roland-Dumouriez, aprile 1792) che aprirono il
conflitto; ma, ai primi rovesci militari, il potere tornò ai
foglianti. Incapace di imporre la sua autorità al re e ai
club, l'Assemblea legislativa, dopo la giornata insurrezionale del
10 agosto 1792, la caduta della monarchia e l'abbandono della scena
politica da parte dei moderati, si sciolse volontariamente (20
settembre 1792) e venne sostituita dalla Convenzione nazionale,
eletta a suffragio universale maschile.
GIRONDINI
Gruppo politico nato durante la rivoluzione francese. Riuniva i
deputati all'Assemblea legislativa provenienti dal dipartimento
della Gironda. Era capeggiato da J.P. Brissot de Warville e
annoverava fra i suoi esponenti P.V. Vergniaud, A.N. Condorcet, M.
Isard. In seno all'Assemblea i girondini assunsero un atteggiamento
radicale e antimonarchico imponendo a Luigi XVI la dichiarazione di
guerra all'Austria e alla Prussia (20 aprile 1792). Contrari
all'ideologia egualitaria dei sanculotti parigini, i girondini
perseguivano obiettivi ideali e politici favorevoli alla borghesia,
soprattutto alle sue componenti provinciali e mercantili. Il loro
prestigio e il loro potere furono progessivamente ridotti
dall'emergere dei giacobini e dai moti di piazza del 10 agosto 1792
diretti da questi ultimi. La sconfitta divenne definitiva il 2
giugno 1793 quando i girondini furono costretti a cedere il potere
sotto la spinta dei sanculotti parigini. L'arresto e la condanna a
morte di molti di loro costituì il momento iniziale del
terrore. Solamente dopo il 9 termidoro la frangia superstite del
gruppo poté ritornare a sedere tra i banchi della
Convenzione.
BRISSOT DE WARVILLE,
JACQUES-PIERRE (Chartres 1754 - Parigi 1793).
Politico francese. Avvocato, studioso, amico di Robespierre, fu tra
i protagonisti della rivoluzione francese. Eletto agli Stati
generali nel 1789, fece poi parte della Assemblea legislativa e
della Convenzione. Arrestato coi girondini nel maggio del 1793, fu
processato e condannato a morte.
ROBESPIERRE, MAXIMILIEN DE
(Arras 1758 - Parigi 1794).
Politico francese. Avvocato, intellettuale illuminista seguace di
Rousseau e critico nei confronti dell'assolutismo regio e del
sistema giudiziario, fu eletto deputato agli Stati generali del
1789. Appassionato difensore della libertà e dell'uguaglianza
tra gli uomini, esercitò la sua influenza nel club dei
giacobini, divenendone leader indiscusso con le campagne a favore
del suffragio universale e contro la monarchia dopo la fuga di
Varennes. La vita austera e l'intransigenza morale gli valsero il
soprannome di Incorruttibile. Ostile alla dichiarazione di guerra
all'Austria, in cui identificava un pericolo per le sorti della
rivoluzione, dopo lo scoppio del conflitto (aprile 1792) e i primi
rovesci militari divenne strenuo sostenitore della difesa a
oltranza.
Eletto membro della Comune di Parigi dopo la rivolta popolare del 10
agosto 1792, fu poi deputato alla Convenzione dove si schierò
con i montagnardi contro i girondini. Disinteressato fino ad allora
ai problemi dell'approvvigionamento, appoggiò il programma
dei sanculotti che chiedevano il calmiere dei prezzi delle derrate
nonché l'epurazione dei sospetti e il potenziamento delle
sezioni popolari. Dopo che i montagnardi ebbero conquistato il
controllo della Convenzione con l'aiuto dei sanculotti (giornate del
31 maggio e del 2 giugno 1793), si adoperò per contenere le
spinte radicali di questi ultimi e sostenne la necessità di
un potere dittatoriale.
Animatore del Comitato di salute pubblica, adottò misure
straordinarie per fronteggiare le difficoltà del momento e
salvare la rivoluzione dai nemici interni ed esterni, non esitando a
instaurare il regime del Terrore. La sconfitta della
controrivoluzione e i successi militari riportati dalla Francia
sugli eserciti coalizzati resero sempre più inviso e meno
giustificabile il Terrore e favorirono l'alleanza degli oppositori
che il 9 termidoro posero sotto accusa Robespierre di fronte alla
Convenzione. Arrestato insieme ai suoi più stretti
collaboratori, fu giustiziato il giorno successivo.
E. Papagna
SANCULOTTI (sans-culottes).
Termine coniato durante la rivoluzione francese per designare i
popolani che portavano i pantaloni lunghi invece delle culottes,
calzoni corti e aderenti preferiti dall'aristocrazia. Adoperato
dapprima in senso spregiativo dalla pubblicistica ostile alla
rivoluzione, con il radicalizzarsi della lotta politica
l'appellativo divenne motivo di orgoglio per i militanti delle
sezioni parigine. Quanto a provenienza sociale i sanculotti erano
essenzialmente produttori indipendenti, piccoli commercianti e
artigiani, ai quali si aggiungeva una modesta percentuale di
salariati. Erano decisamente esclusi dalle loro fila sia i poveri e
gli indigenti, sia la borghesia agiata dei grossi rentiers, dei
mercanti e dei capitalisti. Protagonisti delle giornate
rivoluzionarie e reclutati in massa nelle armate, i sanculotti si
imposero sulla scena politica dall'estate 1792 fino alla primavera
1795. Sensibili alle difficoltà d'approvvigionamento,
all'aumento dei prezzi e alla svalutazione degli assegnati,
reclamarono la regolamentazione dell'economia e la fissazione del
maximum dei prezzi. Sostenitori della democrazia diretta,
tollerarono male il sistema rappresentativo e la concentrazione di
potere nelle mani del governo rivoluzionario. Indifferenti alle
vicende del nove termidoro, furono in momentanea ripresa dopo la
caduta di Robespierre, ma si disgregarono in seguito al fallimento
delle giornate insurrezionali di germinale e pratile (aprile-maggio
1795).
CONVENZIONE NAZIONALE (21
settembre 1792 - 26 ottobre 1795).
Parlamento eletto a suffragio universale durante la rivoluzione
francese dopo la sospensione del re dalle sue funzioni.
Subentrò all'Assemblea legislativa con il compito di
elaborare una nuova costituzione. La proclamazione della Repubblica
fu il suo primo atto (22 settembre). L'ala destra fu costituita dai
girondini, la sinistra dai montagnardi, il centro dalla palude. La
preponderanza dell'uno o dell'altro di questi gruppi consente di
distinguere tre fasi nella storia della Convenzione. La prima fu
caratterizzata dallo scontro tra girondini e montagnardi sul
processo a Luigi XVI, sulla politica interna, sulle misure per
fronteggiare la rivolta della Vandea e gli eserciti della prima
coalizione. La seconda, che dalla sconfitta dei girondini (2 giugno
1793) arriva al 9 termidoro (27 luglio) 1793, fu segnata dal
predominio dei giacobini, il club più agguerrito della
Montagna, nel Comitato di salute pubblica e dallo scatenamento del
Terrore tramite il Tribunale rivoluzionario. La terza fase va
dall'eliminazione di Robespierre, con il colpo di stato
termidoriano, allo scioglimento della Convenzione dopo
l'insurrezione monarchica del 13 vendemmiaio (5 ottobre) 1795,
attraverso l'azione dei giovani moscardini contro la Comune
parigina, il Terrore bianco, la Costituzione dell'anno III e la
creazione del Direttorio, moderato e debole, che aprì la
strada a Napoleone.
VALMY, BATTAGLIA DI (20 settembre
1792).
Prima importante vittoria riportata dalla Francia rivoluzionaria
nella guerra contro la prima coalizione. Le truppe dell'armata del
Nord, guidate dai generali Dumouriez e Kellermann, arrestarono
l'avanzata degli eserciti austro-prussiani che, al comando del duca
di Brunswick, avevano occupato la Lorena e il Belgio, minacciando
direttamente Parigi, e li costrinsero alla ritirata.
MONTAGNARDI
Membri di uno dei raggruppamenti politici che si formarono durante
la rivoluzione francese, così chiamati perché
occupavano i banchi posti più in alto (Montagna) della
Convenzione (1792-1795). Ne facevano parte non solo i seguaci di
Robespierre (giacobini), ma anche quelli di Danton e Marat e altri
esponenti del fronte più radicalmente rivoluzionario. Non
costituirono mai la maggioranza della Convenzione, che includeva
anche i girondini e il composito gruppo della
Pianura.
DANTON, GEORGES-JACQUES
(Arcis-sur-Aube 1759 - Parigi 1794).
Politico francese. Di modeste origini borghesi, studiò
diritto e si trasferì a Parigi. Scoppiata la rivoluzione, vi
aderì prontamente e, abile oratore, si distinse nella lotta
contro le correnti più moderate. Leader del club dei
cordiglieri e fervente repubblicano, ebbe un ruolo determinante
nelle agitazioni che provocarono l'eccidio del Campo di Marte (1791)
e nell'insurrezione del 10 agosto 1792 che portò alla caduta
della monarchia. Nominato ministro della Giustizia, tollerò
le stragi di settembre. Eletto alla Convenzione, tentò di
mediare il contrasto tra girondini e montagnardi; infine si
schierò con questi ultimi ed entrò nel Comitato di
salute pubblica. Di fronte alle vicende della guerra del 1792-1793
si adoperò per reclutare un grande esercito e fronteggiare la
coalizione austro-prussiana; tuttavia, mentre pubblicamente spingeva
i francesi alla liberazione dei popoli e al raggiungimento dei
confini naturali, intavolava trattative con gli avversari. Tale
atteggiamento contraddittorio, gli arricchimenti illeciti e il
coinvolgimento in alcuni scandali gli alienarono molti favori.
Assunta la direzione dell'opposizione moderata a Robespierre, da
quest'ultimo fu usato per sconfiggere gli oppositori di sinistra, ma
poi venne egli stesso eliminato. Arrestato insieme ai suoi seguaci,
gli "indulgenti", fu giudicato dal Tribunale rivoluzionario e
condannato a morte.
PIANURA
Nomignolo di uno dei raggruppamenti politici esistenti all'interno
della Convenzione francese (1792-1795), derivato dal fatto che i
suoi membri sedevano nei banchi bassi dell'aula parlamentare, in
opposizione alla Montagna. Chiamata anche con il nome dispregiativo
di Palude, per la sua maggiore fluidità organizzativa e
ideologica, determinò tuttavia le vicende della Convenzione,
appoggiando prima i girondini e poi i montagnardi e dando infine il
suo appoggio al colpo di stato del termidoro.
COALIZIONI ANTIFRANCESI
(1792-1815).
Sistemi di alleanze militari internazionali diretti contro la
Francia rivoluzionaria e successivamente contro quella napoleonica.
Alle origini della prima coalizione vi fu la dichiarazione
rilasciata a Pillnitz (27 agosto 1791) da Leopoldo d'Asburgo e
Federico Guglielmo II di Prussia. A dare avvio al conflitto fu
però la Francia, che il 20 aprile 1792 dichiarò guerra
all'Austria (in aiuto della quale scattò subito il trattato
di alleanza con la Prussia) e la estese il 1° febbraio 1793
all'Inghilterra e all'Olanda.
L'esecuzione di Luigi XVI fu l'evento che determinò la
creazione di una più vasta alleanza controrivoluzionaria,
alla quale aderirono i Borbone di Spagna, il Portogallo e i principi
italiani e tedeschi. La pace di Basilea (1795) con la Prussia e la
Spagna ottenuta dai termidoriani fu seguita dalla campagna d'Italia
di Bonaparte, che condusse a imporre la pace al Piemonte e al papa,
e soprattutto alla pace di Campoformio con l'Austria (ottobre 1797),
che lasciò in guerra contro la Francia la sola Inghilterra.
La seconda coalizione fu provocata, nel marzo 1799, dalla campagna
di Bonaparte in Egitto e, dopo l'alleanza fra Inghilterra e Turchia,
vide la partecipazione dell'Austria, dei Borbone di Napoli e della
Russia, alla quale si dovette il crollo delle repubbliche sorte in
Italia nel 1797. La seconda campagna di Bonaparte in Italia condusse
alla pace di Lunéville (febbraio 1801) con l'Austria, mentre
già dall'ottobre 1799 lo zar Paolo aveva richiamato in Russia
le sue truppe. La pace di Amiens con l'Inghilterra (marzo 1802)
ristabilì infine la pace generale.
Questa durò quattordici mesi e venne rotta dalla
dichiarazione di guerra dell'Inghilterra (maggio 1804), che
riuscì a costituire una terza coalizione (1805) con
l'Austria, la Russia, Napoli e la Svezia.
Dissolta di fatto dalla sconfitta austriaca ad Austerlitz (2
dicembre 1805), venne seguita da una quarta coalizione, che
comprendeva l'Inghilterra, la Russia, la Svezia e la Prussia. La
vittoria napoleonica sulla Prussia (a Jena, ottobre 1806) e la pace
di Tilsit con la Russia (luglio 1807) lasciarono nuovamente sola
l'Inghilterra.
L'ultimo tentativo asburgico di ribellarsi all'egemonia francese
sulla Germania fu alle origini della quinta coalizione, fra
Inghilterra e Austria, fallita in seguito alla vittoria di Napoleone
a Wagram (luglio 1809) e alla pace di Schönbrunn (ottobre), che
pose le basi dell'alleanza sancita dal matrimonio fra Napoleone e
Maria Luisa d'Asburgo.
La campagna napoleonica di Russia del 1812-1813 provocò la
sesta coalizione, sorta dall'alleanza fra lo zar e l'Inghilterra ed
estesa poi a Prussia e Svezia; solo nel giugno 1813 vi aderì
anche l'Austria. La coalizione ottenne la vittoria di Lipsia
(ottobre) e procedette poi all'invasione della Francia e alla
restaurazione dei Borbone.
La fuga di Napoleone dall'Elba e il suo ritorno in Francia
determinarono nel marzo 1815 la settima coalizione, che includeva
gli stati riunitisi già dal precedente settembre a Vienna per
definire il nuovo assetto dell'Europa. La battaglia di Waterloo e la
pace di Parigi del novembre 1815 chiusero l'età delle
coalizioni antifrancesi.
S. Guarracino
VANDEA, RIVOLTA DELLA
(1793-1800).
Insurrezione (marzo 1793) dei contadini della Vandea, regione
costiera della Francia occidentale, contro il regime rivoluzionario
francese, scoppiata all'annuncio della leva di 300.000 uomini decisa
dalla Convenzione nazionale. Il malcontento covava da tempo in
quelle zone, prevalentemente rurali, a causa dell'attaccamento alla
religione, dell'aggravarsi della pressione fiscale, dell'abolizione
dei diritti di pascolo comune, della crisi della tessitura e
dell'ostilità verso la borghesia cittadina, unica
beneficiaria della vendita delle terre nazionalizzate. I ribelli,
fanatizzati dal clero e guidati da capi plebei e da nobili realisti,
conseguirono dapprima alcuni successi; poi, sconfitti a Nantes
(giugno 1793), vennero annientati dalle truppe rivoluzionarie a Le
Mans e Savernay (dicembre 1793). Nei mesi seguenti la Vandea fu
devastata dalle "colonne infernali", organizzate per sedare gli
ultimi focolai insurrezionali. La rivolta si infiammò a
più riprese negli anni successivi sino alla definitiva
pacificazione, ottenuta da Bonaparte nel 1800. Da allora Vandea
è diventato per antonomasia il nome di qualsiasi covo o
focolaio di tendenze reazionarie e antiprogressiste.
TRIBUNALE RIVOLUZIONARIO
(1792-1795).
Giurisdizione straordinaria istituita durante la rivoluzione
francese per giudicare traditori e sospetti. Creata una prima volta
il 17 agosto 1792, fu soppressa dopo le stragi di settembre.
Riorganizzata nel marzo del 1793, fu potenziata durante il Terrore e
il 30 ottobre assunse ufficialmente la denominazione di tribunale
rivoluzionario. Giudicò e condannò a morte, tra gli
altri, i capi girondini e la regina Maria Antonietta. Modificato
dopo il 9 termidoro, il tribunale fu soppresso il 12 pratile (31
maggio 1795). Tribunali analoghi (talvolta detti "del popolo")
furono istituiti anche nel corso di altre rivoluzioni successive.
COMITATO DI SALUTE
PUBBLICA (1793-1795).
Organo di sorveglianza e poi di governo della Francia
rivoluzionaria. Istituito il 6 aprile 1793 dalla Convenzione, in
sostituzione del Comitato di difesa generale, e costituito da nove
deputati (fra i quali sette rappresentanti del centro e i due
montagnardi G.J. Danton ed E. Delacroix), ebbe il potere esecutivo.
Dopo la sconfitta della Gironda e la presa del potere da parte della
Montagna (2 giugno), fu riorganizzato e diviso in sei sezioni
(Affari generali, Affari esteri, Guerra, Marina, Interni,
Petizioni), diventando il principale organo del governo
rivoluzionario. Modificato anche nella struttura, il nuovo
organismo, composto da dodici e poi da quattordici membri, fu, dopo
l'esclusione di Danton, dominato dalla figura di M. Robespierre.
Intervenendo in tutti i problemi sia di politica interna sia estera,
il Comitato bandì la leva di massa generalizzata, prese
provvedimenti di carattere economico quali l'istituzione di un
calmiere dei prezzi, realizzò la centralizzazione
amministrativa e iniziò l'opera di scristianizzazione
attraverso l'adozione di un nuovo calendario e l'istituzione del
culto della Ragione. Nel settembre 1793 ebbero luogo i primi grandi
processi politici, mentre la Francia ottenne vari successi nella
campagna di guerra allontanando la minaccia di una invasione del
territorio nazionale e cogliendo alcune importanti vittorie.
Il rinnovarsi di conflitti interni fra il Comitato di salute
pubblica e il Comitato di sicurezza generale e il contrasto, in seno
al primo, fra Robespierre e Lazare-Nicolas Carnot portarono alla
reazione dei moderati e al colpo di stato del 9 termidoro (27 luglio
1794). Pur rimanendo in vita ancora per un anno il Comitato di
salute pubblica fu epurato degli elementi più vicini a
Robespierre e perse il suo ruolo centrale, venendo affiancato da
altri comitati e quindi sciolto definitivamente alla caduta della
Convenzione (26 ottobre 1795).
F. De Luca
HÉBERT,
JACQUES-RENÉ (Alençon 1757 - Parigi 1794).
Politico e giornalista francese. Acceso fautore della rivoluzione,
fondò e diresse il giornale "Le Père Duchesne",
sostenendo posizioni sempre più radicali con un linguaggio
volutamente aggressivo. Sostenitore dell'étatisme, o
socialismo di stato, fu in contrasto con Robespierre che, nel marzo
1794, lo fece arrestare e ghigliottinare insieme ad altri suoi
seguaci.
SAINT-JUST, LOUIS ANTOINE-LÉON
DE (Decize 1767 - Parigi 1794).
Politico francese. Deputato alla Convenzione, sostenne Robespierre
contro i girondini. Eletto nel Comitato di salute pubblica nel 1793
per salvare la rivoluzione, divenne teorico e artefice del Terrore.
Travolto nel crollo del regime il nove termidoro, fu ghigliottinato
il giorno successivo. Nei Fragments sur les institutions
républicaines espresse la sua concezione del governo
rivoluzionario basata sul binomio terrore-virtù e il sogno di
una democrazia di piccoli coltivatori e artigiani indipendenti.
TERMIDORO, COLPO DI
STATO DEL (9 termidoro, 27 luglio 1794).
Rovesciamento del governo giacobino durante la rivoluzione francese.
Il Comitato di salute pubblica fu privato dei suoi poteri e
Robespierre e i suoi seguaci, accusati di ambizione e dispotismo di
fronte alla Convenzione, furono arrestati e decapitati il giorno
successivo. Al successo della congiura antigiacobina avevano
contribuito le vittorie riportate sui nemici interni ed esterni
della rivoluzione che avevano reso inutile il regime del Terrore.
Inoltre si erano allentati i legami tra il governo rivoluzionario e
i sanculotti, scontenti per il calmiere sui salari e per le
esecuzioni dei seguaci di Hébert. Infine, il gruppo dirigente
aveva perduto l'appoggio della Convenzione dopo l'alleanza tra i
moderati della Palude e i cosiddetti "terroristi", rappresentanti in
missione nelle province, richiamati da Robespierre a Parigi a causa
dei loro misfatti.
TERRORE BIANCO (1794-1795)
Esecuzioni in massa di giacobini e sanculotti, seguite al colpo di
stato del 9 termidoro a Parigi, come reazione al Terrore.
DIRETTORIO (1795-1799).
Organismo politico istituito nella Francia rivoluzionaria dopo lo
scioglimento della Convenzione nazionale e durato dal 26 ottobre
1795 al 10 novembre 1799. Si fondò sulla Costituzione
dell'anno terzo (costituzioni francesi), elaborata dal gruppo
dirigente termidoriano, timoroso di una nuova dittatura, secondo
principi di rigida divisione dei poteri. Il potere legislativo fu
affidato a due Consigli, dei cinquecento e degli anziani, e quello
esecutivo a cinque Direttori. Il Direttorio dovette affrontare serie
difficoltà all'interno del paese per il grave dissesto
economico e finanziario e per le minacce provenienti dalle
opposizioni di destra e di sinistra. In politica estera, dopo una
fase propizia che portò alla pace di Campoformio (1797) con
l'Austria, promosse la spedizione di Napoleone in Egitto e
fronteggiò la seconda coalizione antifrancese. I rovesci
militari del 1799 fecero precipitare un equilibrio politico
già instabile e spianarono la strada alla dittatura militare.
Gli organi legislativi vennero infatti sciolti dai soldati di
Bonaparte con il colpo di stato del diciotto brumaio.
CONGIURA DEGLI EGUALI (1796).
Cospirazione parigina per rovesciare il Direttorio, ristabilire la
Costituzione dell'anno primo e instaurare il comunismo economico.
Animata da F.N. Babeuf, che innovò la tecnica insurrezionale,
sostituendo alla "giornata" popolare spontanea la rivolta
accuratamente preparata da un piccolo gruppo, fu scoperta in seguito
a una delazione: i capi vennero arrestati e condannati a morte o
alla deportazione.
NAPOLEONE BONAPARTE (Ajaccio 1769
- Sant'Elena 1821).
Condottiero e statista francese, imperatore dei francesi (1804-1814
e 1815). Appartenente alla piccola nobiltà provinciale corsa,
studiò nel collegio di Autun, poi nelle scuole militari di
Brienne e di Parigi. Nominato sottotenente di artiglieria (1785),
alternò la vita di guarnigione a lunghi soggiorni in Corsica
dove si legò al partito di Pasquale Paoli. Quando però
questi insorse contro la Convenzione rivendicando l'indipendenza
dell'isola, Napoleone e la sua famiglia, ritenuta filofrancese,
dovettero fuggire a Marsiglia (1793). Divenuto fervido sostenitore
della causa giacobina, si distinse nell'assedio di Tolone, occupata
dagli inglesi, e fu nominato generale di brigata.
Arrestato dopo il colpo di stato del termidoro e radiato
dall'esercito, tornò rapidamente in auge allorché
Barras gli affidò il compito di reprimere il colpo di stato
realista del 13 vendemmiaio (1795). Avuto il comando dell'armata in
Italia contro gli eserciti della prima coalizione, le vittorie
conseguite (1796-1797) lo affrancarono progressivamente dalla
subordinazione al Direttorio. Forte del prestigio conquistato sul
campo, impose una linea diplomatica e scelte sull'assetto
istituzionale dei territori conquistati che si discostavano dalla
politica ufficiale. La successiva spedizione in Egitto (17981799),
destinata a colpire l'Inghilterra nei suoi traffici in Oriente, non
fu un completo successo. Ben più gravi furono, tuttavia, le
sconfitte subite dalle armate francesi in Europa che screditarono
completamente il Direttorio.
Il diciotto brumaio Napoleone volse la situazione a suo favore
instaurando una dittatura militare nelle forme sancite dalla
costituzione dell'anno VIII (1799) in base alla quale fu proclamato
primo console. Successivi plebisciti popolari gli consentirono il
passaggio al consolato a vita (1802) e, infine, all'impero (1804).
Strenuo fautore di una riorganizzazione dello stato fondata su un
forte potere esecutivo e sull'accentramento amministrativo,
Bonaparte sottopose l'intero territorio francese al controllo del
governo centrale tramite l'azione dei prefetti e dei sindaci che
erano di nomina governativa. In ambito giuridico realizzò
un'imponente opera di omogeneizzazione degli ordinamenti
legislativi, ponendo fine alla molteplicità delle fonti del
diritto che aveva caratterizzato la Francia di antico regime. In
particolare fu di grande importanza il Codice civile che, esteso a
tutti gli stati annessi o vassalli, sancì i principi della
libertà individuale, dell'uguaglianza giuridica e della
proprietà privata. Napoleone si sforzò di
riorganizzare le finanze pubbliche e istituì la Banca di
Francia, liberando lo stato dalla dipendenza dai banchieri privati.
Per favorire la pace sociale riammise gli emigrati monarchici
disposti a giurare fedeltà al regime e soddisfece le istanze
dei cattolici stipulando un concordato con la Santa sede (1801) con
il quale si riconosceva il cattolicesimo come religione della
maggior parte dei francesi. La politica estera perseguita da
Bonaparte gli consentì, con la forza delle armi (guerre
napoleoniche), di riorganizzare temporaneamente l'Europa
centroccidentale in modo conforme agli interessi francesi,
introducendo tuttavia profonde riforme negli assetti istituzionali e
sociali dei paesi assoggettati.
E. Papagna
IMPERO NAPOLEONICO (1804-1815).
Forma costituzionale assunta dallo stato francese per volere di
Napoleone Bonaparte. Il primo impero fu proclamato in Francia il 2
dicembre 1804. Uscita, con il consolato, da un decennio di forti
tensioni politiche e sociali, la Francia era attraversata dall'ansia
di ritrovare stabilità e ordine. Era il momento propizio
perché emergessero sulla scena politica forti
personalità capaci di selezionare le riforme e radicare le
conquiste rivoluzionarie sconfiggendo, però, lo spirito
"fazionario".
Napoleone si propose come garante di una nazione riunita intorno
alla sua persona, rendendo possibile, con la sua incoronazione, un
compromesso fra tradizione monarchica e spirito democratico, creando
un impero che ricercava il consenso delle masse popolari, ma le
riconduceva, dopo la fase dell'attivismo rivoluzionario, a una
condizione di consenso passivo. La nuova Francia imperiale dava
così al resto dell'Europa un'immagine rassicurante di
sé, scongiurando la controrivoluzione, ma consolidando al
tempo stesso le principali conquiste del riformismo settecentesco e
della rivoluzione.
L'impero poggiava, all'interno, su una struttura amministrativa
radicalmente innovata e razionalizzata, centrata sulla figura dei
prefetti (eredi degli intendenti dell'ancien régime). In
politica estera si fondava, invece, sull'impero coloniale, sul
protezionismo economico e sull'espansionismo politico e militare. Fu
travolto con le sconfitte napoleoniche in Russia, in Spagna (1812),
a Lipsia (1813) e, infine, a Waterloo (1815).
***
RIVOLUZIONE FRANCESE
Enciclopedia Italiana (1932)
di Alberto Maria Ghisalberti
La molteplicità delle cause, la complessità
degli elementi, la varietà dei momenti e delle conseguenze
hanno reso sempre difficile il giudizio e la valutazione del moto
che, trasformando la Francia, ha contribuito al mutamento della
società europea e della coscienza civile. Quanti scorsero
nella rivoluzione solo distruzione e violenza, quanti espressero il
loro rammarico per non potersi limitare alla narrazione delle guerre
vittoriose e della propaganda fatta dai grognards della risorta
Francia errarono, come errarono quelli che lamentarono di non
potersi consacrare all'esaltazione di particolari periodi, uomini,
istituzioni. Le dottrine sovvertitrici e le ideologie dannose, la
brutalità e le profanazioni, le lotte civili e i delitti del
Terrore s'accompagnano e s'alternano infatti con l'entusiasmo
creatore e gli slanci appassionati di una società rinnovata,
con la conquista dell'eguaglianza giuridica e dell'ordine
amministrativo, con la sostituzione della legge all'arbitrio, con la
liberazione dall'eredità del passato. Liberazione che
è piuttosto superamento e trasformazione anziché sola
distruzione materiale. Poiché la rivoluzione recò a
termine con la sua violenza l'opera condotta nei secoli dalla
monarchia dell'antico regime e abbatté le sopravvivenze
feudali e le disparità sociali, consacrò l'importanza
e la forza della borghesia, accentuò e unificò il
governo e l'amministrazione, accelerò il già iniziato
trapasso della proprietà, rese uguali gli uomini davanti alla
legge.
Preparata dalle dottrine dell'illuminismo (v.) e dalle riforme della
monarchia, la rivoluzione uscì dai confini del territorio
dov'era nata e invase gli stati della vecchia Europa del diritto
divino e del privilegio, ridestando sentimenti e aspirazioni
nazionali, eccitando ribellioni contro gli ordinamenti sociali e le
forme politiche. Gli eserciti della rivoluzione poterono essere
sconfitti, ma le idee si propagarono e improntarono di sé
tutta la storia del secolo XIX. (Per gli avvenimenti particolari, v.
europa; francia: Storia).
Nella struttura della società francese dopo la morte di Luigi
XIV si è sempre cercata una delle ragioni della rivoluzione.
La monarchia dell'antico regime aveva assicurato alla Francia
ordine, prosperità e potenza, ma non aveva saputo crearsi una
propria solida base. Rimasta sempre una monarchia personale, non era
riuscita a trasformarsi radicalmente con le riforme tentate, ma
aveva indebolito istituzioni e ordinamenti nei quali avrebbe potuto
trovare aiuto e forza. E più tardi l'alleanza stretta con le
classi privilegiate a danno della borghesia, secolare compagna del
re nella lotta antifeudale, finirà di alterare l'equilibrio
politico e identificherà pericolosamente gl'interessi del
monarca, ormai più assoluto in apparenza che in
realtà, con quelli degli ordini privilegiati. Dal suo
grandioso sviluppo del Sei-Settecento la borghesia fu tratta a
invocare libertà economica ed eguaglianza civile, abolizione
di privilegi e costituzione. Parola magica questa, ma che
significava disciplina e norma certa, più che radicale
innovazione di governo.
Se il regime di privilegio assicurava una situazione particolare ai
140.000 nobili e ai 130.000 ecclesiastici costituenti le due classi
dominanti la massa di 20.500.000 Francesi, accanto a essi esisteva
una borghesia ricca d'energie e di aspirazioni, alla quale la
coscienza del proprio valore accresceva l'ambizione. E i ceti
privilegiati sentivano invece diminuire la propria forza e mancavano
nel loro interno di omogeneità e quindi di solidarietà
di classe. La loro debolezza indeboliva il regime.
Al clero l'immunità fiscale, i benefici statali, il diritto
d'asilo, i tribunali e cento altri privilegi creavano una posizione
di particolare potenza, garantita da una ricchezza calcolata, nel
1789, a tre miliardi. Eppure questa classe su cui si avventava
demolitore lo spirito del secolo, era in sé radicalmente
divisa. Di fronte a un alto clero legato alla corte e alla
nobiltà, esistevano una borghesia e un proletariato
ecclesiastici, che non potevano guardare benevolmente ai veri
privilegiati dalle grosse prebende e dovevano accogliere con
simpatia le idee di critica e di rinnovamento, prima, la propaganda
e l'azione rivoluzionaria, poi. L'atto d'accusa lanciato contro i
privilegiati dal curato Jean Meslier restava apparentemente senza
eco per mezzo secolo, ma i Talleyrand, i Grégoire, i
Sieyès, i defroqués e i preti giurati, educati da
Mably e dal Vicario Savoiardo, attesteranno la crisi profonda di
quella società ecclesiastica.
Anche la nobiltà era immune da oneri e gravami, godeva di
privilegi giuridici, riscuoteva dai proprî vassalli tributi e
diritti, esigeva lavori e corvées. Sue erano le cariche
pubbliche, suoi gli uffici militari, suoi i lauti benefici
ecclesiastici, sua un'enorme porzione del suolo francese (clero e
nobiltà possedevano insieme i ⅔, se non i 4/5 del
territorio). Ma anche questa classe non costituiva un fronte unico,
ché a fianco dell'alta nobiltà v'erano una media e
piccola nobiltà rovinate dal mercantilismo, malcontente del
proprio stato, confinate in provincia e nelle campagne. E anche sui
nobili delle varie categorie agivano con l'antico spirito di fronda
il movimento filosofico e le tendenze dissolvitrici. Liancourt,
ClermontTonnerre, Lally-Tollendal, La Fayette saranno
all'avanguardia dei liberali moderati; Mirabeau padre scriveva a
mezzo il secolo un libro apparso rivoluzionario e il figlio si
assiderà a Versailles tra i rappresentanti del Terzo Stato;
nobiluccio di provincia, il conte di Barras voterà per la
morte del re e preparerà la strada a un altro ci-devant,
Napoleone.
Ma anche ces messieurs du Tiers mancano ormai di omogeneità.
Il mercantilismo ha differenziato la classe. L'alta borghesia dei
banchieri, degli armatori, dei commercianti e degli appaltatori ha
ricavato dalla trasformazione economica grandi ricchezze e, con una
più viva coscienza della propria forza e dei proprî
diritti, l'aspirazione a una qualche attività politica. Assai
vicina alla nobiltà, vi entra per mezzo di quelle cariche che
la tramutano in noblesse de robe, ma non si separa del tutto dagli
elementi della media e della piccola borghesia. Quella è
istruita, colta, aperta alle nuove idee, animata da profonda
avversione per i privilegiati; l'altra dei piccoli commercianti, dei
bottegai, degl'impiegati, è numerosa, scontenta, irritata, e
perciò facile alle idee estreme e alle speranze messianiche.
Anche meno bene sta il proletariato cittadino e rurale. E in questo
quarto stato, che invano tenterà di affermarsi durante la
rivoluzione borghese, la condizione dei contadini è inferiore
a quella degli operai. Quindici milioni di abitanti delle campagne
odiano il regime feudale (ma le paysan ha già cominciato a
riscattare per sé la terra e il decadimento della piccola
feudalità accelera il trapasso) e il loro odio avvampa anche
contro il proletariato urbano, che appare loro particolarmente
beneficato. E non è, ché la diversità delle
industrie, la concorrenza straniera, la regolamentazione rigida, la
clausura corporativa impediscono lo sviluppo industriale e quindi il
benessere operaio. Il protezionismo non bastava a salvare l'economia
nazionale. Le importazioni erano superiori alle esportazioni, e
queste diminuivano ancor più e quelle aumentavano. La terra
rendeva poco, ormai, e lo scarso reddito, che all'inizio della
rivoluzione si aggirava su due miliardi e mezzo, era disperso fra
troppi beneficiarî.
Questa disparità sociale e questa insufficienza economica,
sulle quali agiscono le critiche corrosive degl'intellettuali, sono
alla base dello sforzo di trasformazione statale e sociale, che
s'iniziò nel 1789. La diversità di educazione accentua
la diversità delle condizioni. Lo stato spende poco per
l'istruzione pubblica: la cultura resta patrimonio d'una minoranza
privilegiata. Il contrasto tra un popolo ignorante, ma assetato di
fede e in attesa di miracolosi mutamenti, e una élite
intellettuale imbevuta di un dogmatismo generalizzatore e di un
classicismo di maniera dovrà dare amari frutti. E
poiché lo stato ha abbandonato alla chiesa troppe funzioni e
mansioni e si è fatto ufficialmente intollerante, un
sentimento anticlericale, che diverrà anticattolico,
s'impadronisce degli spiriti. E non si bada se, per abbattere la
potenza della chiesa, si colpisce anche il trono, che trova in
quella il suo puntello. L'ossequio per la regalità diviene
puramente formale.
L'illegalità e l'arbitrio tenevan luogo di legge. Non
difettavano i tribunali, ma il loro numero e la diversità del
diritto e della procedura creavano confusione e disuguaglianza di
trattamento. E tutta la macchina statale mostrava disparità e
disordine: mancavano norme e regole comuni; i governi locali e
quello centrale erano deboli per mancanza di unità e per
l'instabilità degli uffici e delle magistrature. Il sistema
finanziario e il regime fiscale aggravavano la situazione generale
in quanto schiacciavano solo una parte, la più numerosa
però, della società. I ministri, anche i migliori, non
riuscivano con i tentati espedienti, cui era d'ostacolo la
resistenza nobiliare, a frenare le spese e vedevano accrescersi
paurosamente il deficit. Nel 1789 il debito pubblico ammontava a
circa 1630 milioni.
Un paese siffatto non ha alcuna possibilità d'informazione
sicura. I pochi giornali non servono che a diffondere notizie
indifferenti alla massa e polemiche letterarie. La Gazette de
France, il Journal de Paris, l'ormai vecchio Mercure e il gesuitico
Journal de Trévoux, in armi contro Giansenio, non si
compromettevano con critiche al governo o alla costituzione sociale.
A dispetto della censura entravano dall'estero libri e pamphlets
eterodossi (specie durante la guerra dei Sette anni), ma erano a un
tempo troppo poco e troppo insieme per un'opinione pubblica male
informata, impreparata alla discussione e alla critica. E che cosa
potesse nascere da questa ignoranza di massa si vide al processo
della collana.
Su questo mondo inquieto e diviso agisce una cultura di origine
franco-inglese, permeata di filosofia, di spirito "libertino", di
aspirazioni più o meno concrete a riforme, una cultura che
intacca e corrode le tradizioni e gl'istituti su cui è
poggiata la società e pone insieme le fondamenta di un novus
ordo.
Il fine delle nuove tendenze è chiaramente espresso nella
Histoire philosophique dell'abate Raynal (1772). La filosofia sola
unisce, illumina e conforta gli uomini: essa sostituisce sulla terra
la divinità. L'umanità sostituita a Dio, la filosofia
alla religione: che altro invoca per l'umano ardir il Monti? Senza
limiti è il potere della ragione, cui solo una mèta
resta ormai da raggiungere, vincere la morte. Ai filosofi, il
compito di dettare la legge, che gli uomini adotteranno. E la legge
è dal Raynal concepita come un'ideale spada uguagliatrice.
Saint-Just ha solo tre anni, ma Fouquier-Tinville è
già sui trenta. Mezzo secolo di dogmatismo ideologico prepara
il dogmatismo democratico dei giacobini.
Verso la metà del Settecento, allorché la pace di
Aquisgrana pareva promettere un'era di quiete e di felicità,
usciva l'Esprit des lois del Montesquieu (1748), che smosse
potentemente le vecchie idee e suscitò con il desiderio di
nuove istituzioni l'aspirazione all'attività politica. E se
la dottrina della relatività delle forme istituzionali e
giuridiche in rapporto all'ambiente non ebbe fortuna presso i
contemporanei, la concezione della divisione dei poteri e l'acuta
esposizione dei principî di un liberalismo costituzionale
ispireranno invece la futura azione rivoluzionaria. Alla critica
della religione aveva contribuito anche il Montesquieu con le
Lettres persanes, ma ben più efficace appare in questo campo
il Voltaire. Inquieto e aulico, onorato dai contemporanei,
sarà adorato dagli uomini della prima fase della rivoluzione.
Imbevuto anch'egli di spirito inglese, coopera al lavoro di
demolizione degli ordinamenti e delle istituzioni, pur non essendo
affatto, aristocratico del pensiero, un rivoluzionario. Convinto
della bontà e della necessità della sua missione
trascina l'opinione pubblica verso un radicale anticlericalismo.
L'irreligiosità di cui fanno pompa, sull'esempio dei
maggiori, gli uomini del tempo, è spesso prova d'uno scarso
contenuto spirituale, più spesso dell'insofferenza dei
vincoli e degl'inciampi di cui si accusava la chiesa. Nella seconda
metà del secolo la diffusione di scritti anticattolici si
accentua e l'ateismo invade ugualmente le classi dirigenti e la
borghesia; c'è una religione dell'irreligiosità.
Nell'alto clero, sebbene in maggioranza fedele al proprio dovere,
non mancano prelati mondani e qualche scettico, come il Talleyrand e
il Loménie de Brienne. Abbondano poi opere gianseniste,
ricercate soprattutto, forse, per l'affinità loro con le
nuove dottrine giurisdizionaliste. Se Voltaire professa un deismo
razionalistico, che avrà un apostolo in Robespierre, e
Rousseau divinizza l'umanità e la natura, Naigeon sogna
già di strangolare l'ultimo re con le budella dell'ultimo
prete.
Quando l'Esprit des lois appare, è ormai viva nella mente del
Diderot l'idea dell'Enciclopedia, la Bibbia dell'illuminismo.
Spirito spregiudicato di borghese insoddisfatto, entusiasta e
grossolano, l'ateo e materialista autore dell'Interprétation
de la nature lancia con il D'Alembert la sua poderosa macchina di
guerra contro l'antico spirito e l'antico regime. La sua influenza
fu notevole sulla generazione rivoluzionaria. Brissot è del
'54; Barras e Barère son dell'anno dopo; La Fayette del '57;
Robespierre e Vergniaud del '58; Desmoulins e Babeuf del '60;
Barnave del '61. La rivoluzione la faranno i giovani penetrati dalle
idee dell'Enciclopedia. Condorcet, più vecchio (è
coetaneo di Marat), ne sarà addirittura collaboratore. E
l'umanitarismo, il cosmopolitismo, l'insofferenza dei vincoli e
delle imposizioni dei culti ufficiali diffonde la Massoneria, non a
torto definita la Compagnia di Gesù dell'illuminismo. Nelle
sue logge i futuri attori della rivoluzione, carnefici e vittime,
s'imbevono di quella cultura, si riconoscono uguali a dispetto delle
differenze sociali e attuano il vangelo della fraternité e
preparano il culto della Dea Ragione, dell'Essere supremo, della
teofilantropia.
Un tale movimento culturale non è del tutto nuovo,
perché idee di progresso e di tolleranza e aspirazioni a
riforme civili serpeggiavano già nel classicheggiante secolo
del Re Sole. Il Dictionnaire historique et critique del Bayle
anticipa Voltaire e l'Enciclopedia. Ma i filosofi e gli scienziati
del Settecento, convinti della propria infallibilità e
animati da una salda e ingenua fede nel progresso, accentuano questo
movimento. Le idee di una minoranza dottrinaria investono l'intera
generazione e soffocano ogni rispetto per la tradizione e
l'autorità.
Interprete della più inquieta anima popolare, fa parte per
sé stesso Rousseau. Il secolo crede alla
perfettibilità umana e alla potenza della ragione; egli le
nega. La civiltà è male, ingiustizia,
schiavitù, corruzione; l'uomo non vi si sottrae se non
tornando alla natura. Osteggiato dalla cultura ufficiale, il
pensiero di Rousseau penetra largamente nella società del suo
tempo, che nel Contrat social sente affermato nella dottrina della
volontà generale il diritto alla sovranità popolare,
assoluta e inalienabile, della quale il governo è solo
mandatario ed esecutore. E il Contrat indicava agli uomini che il
massimo bene era costituito dalla libertà e dall'uguaglianza.
La dottrina di Rousseau diede vita a una nuova coscienza
giuridico-sociale e con l'affermazione di un diritto d'iniziativa
rivoluzionaria diffuse il desiderio d'istituzioni democratiche.
La critica all'ordinamento sociale fondato sulla proprietà,
causa d'ogni male, assume forma più audace in Morelly, in
Restif de la Bretonne, in Mably, propugnatori di collettivismo, in
Brissot, che anticipa Proudhon, in Linguet, il cui linguaggio ha
accenti moderni. Ma alla maggioranza dei contemporanei apparvero
quasi più rivoluzionarie le dottrine dei fisiocratici (v.),
secondo i quali le forze produttive e l'interesse individuale
debbono esser liberi da ogni imposizione innaturale. E le riforme
proposte si allargavano dal campo puramente economico a quello
amministrativo e tributario e investivano in pieno gli ordinamenti
sociali.
Tutto questo fermento di idee, al quale contribuiscono differenti
tendenze e uomini di origine diversa, penetra per mille guise nella
società. La coscienza e la fede nei tradizionali diritti
della classe si annebbia nei privilegiati, mentre la cultura accende
le speranze e le ambizioni della borghesia e, attraverso questa,
eccita e intorbida la passione popolare. Le future vittime non si
accorgono di scavarsi la fossa. La mancanza d'una vera esperienza
politica è pericolosa per questo mondo imbevuto d'ideologie.
Qualcuno lancia il grido d'allarme o la parola profetica. A mezzo il
secolo d'Argenson denuncia la neonata dottrina della
superiorità della nazione sul re e crede possibile uno
sconvolgimento; nell'Émile Rousseau sente prossima l'era
delle rivoluzioni; e nel '64 Voltaire scrive che la rivoluzione
è fatale. Casanova, è d'accordo con lui.
La coscienza che l'offensiva illuministica non sia solo rivolta
contro l'"infame", ma possa anche investire il regime, si va facendo
strada. Gli attacchi alla monarchia non mancano. L'anno prima
dell'abolizione dei gesuiti già si proclama che i re son
fatti per i popoli, non questi per quelli. Rousseau non è
solo. Nessuno vuole veramente la repubblica nel 1789, ma tutti
aspirano a modificare la monarchia. L'ideale repubblicano è
per molto tempo letterario, ma Danton lo dice negli spiriti da
vent'anni. Si studiano e si ammirano, spesso per motivi
sentimentali, gli ordinamenti stranieri, della Svizzera e
dell'Olanda, della Prussia federiciana, magari della Russia di
Caterina, ma più quelli dell'Inghilterra. E la costituzione
inglese si vuole adattare alla Francia, ove molti pensano a una
monarchia temperata dalle camere. Altri preferisce il sovrano
illuminato dai filosofi; qualcuno vuole un dispotismo vero; pochi
ancora sono per gli autentici ordinamenti democratici; ma son troppi
a voler cose diverse e il concetto che l'uomo debba governarsi da
sé si fa strada. Intanto la rivoluzione d'America suscita
altre idee e fornisce modelli d'azione; e La Fayette è a
scuola di libertà oltre Oceano.
Il popolo non legge i libri dei filosofi e non conosce
l'Enciclopedia, ma ha vivo il senso della propria inferiorità
e della dissoluzione aristocratica: il giorno in cui la borghesia
gli fornirà i capi per il movimento, scoppierà la
crisi con mal preveduta violenza. Dogmatismo ideologico e
classicismo libresco, sensiblerie e irreligiosità,
cosmopolitismo e umanitarismo, desiderio di virtù e di
giustizia e volontà di liberare l'uomo e di renderlo signore
del suo destino faranno domani universale la rivoluzione.
L'impossibilità di trasformazione dell'organismo
politico-sociale, internamente minato, provoca il crollo del regime.
I tentativi di riforma riescono inutili; gli atti dell'ultimo Luigi
sono buoni, ma insufficienti. L'indisciplina e l'incoscienza
nobiliare affrettano la crisi e Luigi XVI cadrà per le colpe
degli antenati e gli errori del regime.
Vano ricorso quello agli Stati generali. La salvezza non può
venire da questa eredità del Medioevo. Gli ordini esistono
ancora, ma nel nome, non nella sostanza. Il Terzo Stato con i suoi
cahiers ha, moderatamente ma inequivocabilmente, espressa la
volontà nazionale: costituzione, garanzia dei diritti
individuali, uguaglianza fiscale. Nobiltà e borghesia sono
d'accordo nel chiedere libertà di stampa, tolleranza
religiosa, limitazione delle manomorte; e il basso clero parla un
linguaggio di riforma e chiede una diversa distribuzione dei beni
ecclesiastici. In tutti è poi l'attesa del miracolo e, in
fondo, una certa fede nel re. Ma la monarchia, che non saprà
guidare il moto, è destinata a cadere.
Il Terzo Stato, già una prima volta vittorioso per la
duplicazione dei suoi mandati e cosciente ormai del valore nuovo che
l'antica assemblea ha assunto, impegna la lotta sulla questione
della votazione. Il 17 giugno 1789, forte dell'apporto di membri
degli altri ordini, la borghesia crea l'Assemblea nazionale. E la
reazione della corte e dei privilegiati è vana: dal Jeu de
paume alla seduta reale la forza del Terzo, guidato da
Sieyès, Bailly, Mounier, Legrand, e fiancheggiato dall'opera
di giornalisti, di pamphlétaires, di oratori popolari, si fa
irresistibile. Mirabeau superbo e orrido interpreta nella risposta
al Dreux-Brézé la nuova coscienza popolare:
l'Assemblea è sovrana e inviolabile. La teoria di Rousseau
della volontà generale dà vita alla Costituente. E il
regime capitola. Qualcuno, di fronte all'immensa vittoria, crede la
rivoluzione compiuta. Ma "le flambeau de la raison" dell'abate
Jallet diventa nell'atmosfera sovreccitata di quei giorni la fiamma
che alimenta l'incendio. E l'Assemblea non può che ratificare
il 14 luglio, rivoluzione municipale e di plebe. La violenza
sanguinaria si sovrappone alla legalità. Dalla presa della
Bastiglia la commune democratica si accampa vittoriosa a fianco
della borghesia dottrinaria. E anche quella interpreta Rousseau e,
poiché rappresenta il popolo sovrano, si riterrà tra
breve superiore alla stessa Assemblea. Questa intanto lavora: i
pratici cercano di tradurre in realtà il pensiero
degl'ideologi. Al di fuori, i clubs, organi di quei partiti che
nell'Assemblea stentano a formarsi con caratteristiche definite,
discutono, suggeriscono, impongono. E a poco per volta i clubs di
sinistra, sorti dalla Società degli Amici della costituzione,
predominano su quelli di destra. Il radicalismo accentuato dei
Giacobini, un tempo monarchici liberali, provocherà
più tardi la scissione dei Foglianti; per il momento i
Cordiglieri sono tra i più arditi. Ma son sempre elementi
borghesi che li compongono: il popolo si organizza nelle sections.
L'esempio di Parigi agisce sulle provincie, ove cadono le minori
bastiglie e si scatena la jacquerie. Crolla di fatto il regime
feudale, e la notte del 4 agosto sanziona per sempre quanto è
accaduto. La vecchia Francia rinuncia ai suoi diritti, ai suoi
privilegi e crea la base dell'uguaglianza giuridica dei cittadini.
Le conseguenze di fatto saranno anche più radicali.
L'Assemblea, intanto, più sotto l'influenza degli "americani"
e delle idee dei fisiocratici, di Montesquieu e di Rousseau che dei
cahiers, lancia la Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del
cittadino, riepilogo delle conquiste compiute e avviamento alle
future. Mirabeau, di fronte alla realtà preoccupante
dell'ora, avrebbe voluto una dichiarazione dei doveri, ma il
dottrinarismo dei deputati vagheggia una dichiarazione che possa
servire d'esempio al mondo, per tutti i tempi. Di qui il suo
difetto: l'umanità è anteposta alla Francia,
l'individuo alla società. Democratico e quasi repubblicano,
questo catéchisme national mancava, però, della
dichiarazione della libertà di coscienza (C'est la faute
à Rousseau...), e ideologico e umanitario si troverà
in contrasto con la costituzione. L'assenza di una tradizione
costituzionale, la pressione degli avvenimenti e l'astrattismo
dottrinale dei più non potevano dar di meglio.
Altrettanto accadrà per la costituzione, che, aspirando a
riedificare la Francia, disorganizzerà il paese; preoccupata
di assicurare il predominio borghese, scatenerà l'anarchia;
ispirata ad alti principî ideali, ne renderà
impossibile l'applicazione concreta. L'uguaglianza giuridica
è violata dal nuovo privilegio del censo (e i democratici
protestarono dentro e fuori l'Assemblea contro la disparità
creata a favore di poco più di 4 milioni di Francesi); la
camera unica, imposta dal dogmatismo illuministico, rafforza la
borghesia, ma mette in pericolo la moderazione del potere
legislativo; la limitazione delle prerogative regie, che ha la sua
giustificazione in Rousseau e nei borghesi che diffidano della
monarchia alleata dei privilegiati, e la rigida divisione dei
poteri, appresa in Montesquieu, finiranno con indebolire
l'autorità del governo.
La costituzione apparve subito inapplicabile agli occhi di molti
osservatori, che si preoccuparono dell'abisso scavato tra il potere
legislativo e l'esecutivo. Ma, in realtà, la prevalenza
assoluta del primo finì col ricostituire l'unità
spezzata. La predilezione per le formule teoriche, per lo spirito
sistematico ritarda, non impedisce il trionfo dell'idea unitaria. Le
giornate di ottobre, intanto, feriscono il prestigio della monarchia
e fanno questa e l'Assemblea prigioniere della capitale. Il
riordinamento dello stato sovverte l'amministrazione e annienta la
coscienza gerarchica; la confusione e l'incertezza, la prepotenza
demagogica e la diffidenza tra Assemblea e sovrano impediscono di
saldare il vecchio al nuovo. Solo a patto di ricondurre la fiducia
tra il re e la borghesia, inducendo il primo ad accettare le
conquiste vitali della rivoluzione e la seconda a rispettare in lui
il capo effettivo del potere esecutivo, è possibile salvare
la Francia e la rivoluzione. E a quest'opera gigantesca si consacra
Mirabeau, illuso di poter creare sulle rovine del regime feudale
l'edificio della monarchia rappresentativa. Ma Mirabeau, logorato
dalla vita turbinosa e mal secondato dal re, che ne diffida,
soccombe nell'impresa eroica e vana.
Il tentativo di risolvere il pauroso problema finanziario crea una
nuova realtà economica e dà modo all'Assemblea di far
trionfare le concezioni dell'illuminismo sui rapporti tra la chiesa
e lo stato. La proposta di Talleyrand porta alla confisca e alla
vendita dei beni del clero, secondo le aspirazioni dei cahiers, che
quelli consideravano proprietà nazionale affidata alla chiesa
per scopi di utilità pubblica. Il deficit non fu colmato, ma
le conseguenze sociali e politiche del fatto furono enormi,
perché si creò una classe di piccoli e medî
proprietarî, base della potenza economica della nuova Francia,
interessati a difendere la situazione creata dalla rivoluzione.
Le discussioni sull'alienazione dei beni ecclesiastici portarono la
Costituente ad affrontare ardue questioni religiose. ll gallicanismo
di un Grégoire, il giansenismo di un Camus, l'eredità
volterriana, l'esempio di Giuseppe II, qualche reminiscenza
febroniana agiscono sull'Assemblea. "La chiesa fa parte dello stato;
noi siamo una Convenzione nazionale e abbiamo quindi la
facoltà di modificare la religione", proclama Camus.
Gallicani, giansenisti e protestanti si vogliono vendicare di Roma;
qualcuno sogna una riforma religiosa, ma la maggioranza sente
piuttosto l'aspetto giurisdizionale del problema. Il riordinamento
unilaterale dell'organizzazione ecclesiastica, voluto dallo spirito
semplificatore dell'Assemblea, portò alla tentata
subordinazione della chiesa. L'inattesa opposizione ecclesiastica
alla costituzione civile e il giuramento imposto ai preti,
"funzionarî" dello stato, esasperarono il conflitto. La
simpatia del clero per la rivoluzione diminuì e il rifiuto di
giurare e la volontà dell'assemblea di creare un clero
costituzionale provocarono una pericolosa lotta religiosa.
La diffusione e l'accentuazione d'idee estremiste in un paese privo
di vera educazione politica è rapido e profondo. Si sentono
risonare le voci di una propaganda repubblicana, scarsa e inefficace
dapprima, limitata a qualche deputato, a giornalisti come Marat, a
pensatori come Condorcet, ma destinata ad allargarsi a una
più vasta cerchia, anche se non ancora veramente popolare. La
fuga di Varennes, che dà modo alla Costituente di umiliare il
monarca e di consacrare il diritto rivoluzionario con la temporanea
istituzione di un governo d'assemblea, fa nascere un vero e proprio
movimento repubblicano, che riceve sanguinoso battesimo il 17 luglio
1791 al Campo di Marte. Da allora, di fronte
all'impossibilità di creare un partito monarchico vitale,
l'idea repubblicana cammina. Quando la Costituente chiude i suoi
lavori, l'antico regime, colpito nella sua forza, nelle sue forme,
nel suo prestigio, agonizza. Ancora una volta si parlò di
rivoluzione compiuta. Errore, certo; ma i principî affermati e
fatti trionfare, se non permisero vita durevole all'organismo uscito
dalla costituzione del '91, saranno domani la base dell'edificio a
cui attenderà il Primo Console.
Diversa nella sua composizione dalla Costituente, l'Assemblea
legislativa, composta per lo più di uomini nuovi, di borghesi
oscuri e ambiziosi, malcontenti e moralisti, sarà spinta
dalle difficoltà interne, dal pericolo esterno, dalla
crescente pressione della piazza a risoluzioni estreme. E
così gli uomini della Legislativa, in gran parte
costituzionali delle varie tendenze, finiranno con l'affermazione
radicale del diritto rivoluzionario. Plutarco e Marco Aurelio erano
i padri spirituali del gruppo d'idealisti che a sinistra
costituivano quella che sarà poi la Gironda. Fanatici di
Rousseau ma atei convinti, i Romains de Bordeaux, privi di vere
qualità di uomini di stato, avevano capi famosi in Brissot,
quacchero e avventuroso, in Condorcet, oracolo dommatico e noioso,
in Vergniaud dalla voce potente, dall'oratoria ciceroniana, ma
irresoluto e bizantino. Meno celebri per allora i Giacobini, i
Cordiglieri e i pochi Montagnardi, già repubblicani. Di
fronte a questa sinistra, che gli eventi tramuteranno presto in
repubblicana, la destra moderata dei Foglianti, costituzionali, ma
incerti e senza seguito vero nel popolo. Al centro la massa amorfa
degli Indipendenti, bons à tout faire.
Il momento grave (l'emigrazione appariva ed era un pericolo
pauroso), la diffidenza del re per l'Assemblea e per gli uomini che
potevano ancora aiutarlo, il prevalere in Parigi (dominatrice fino a
Termidoro della rivoluzione) degli elementi estremisti, la sfiducia
della sinistra nel potere esecutivo, la convinzione di dover
schiacciare con ogni mezzo i nemici interni, ebbero per conseguenza
la proclamazione di decreti e di leggi che violavano i
principî di recente asseriti e portavano all'affermazione di
un nuovo assolutismo.
Per salvare l'eguaglianza gli uomini della rivoluzione saranno
costretti a rinunciare alla libertà. L'evoluzione democratica
parigina e la generale eccitazione degli animi preoccupano chi, come
Dumouriez, risognando il sogno di Mirabeau, aspira a frenare la
rivoluzione.
Le prime disfatte della guerra, con ambiguo accordo voluta dalla
Gironda e dal re, sono imputate a quest'ultimo dalla plebe, che
demagoghi come Marat ed Hébert aizzano, e dai democratici,
che Vergniaud, aquila della Gironda, ammalia. Gli attriti tra il re
e il ministero girondino, che aveva la sua Ninfa Egeria in Madame
Roland, isolano il primo e indeboliscono la Gironda, che,
compromessa, inclina contro voglia a demagogia, mentre il popolo
tributa la sua adorazione al nuovo idolo, Danton.
La visita armata del popolo parigino al re (20 giugno 1792) è
minaccioso avvertimento per tutti. Nell'esaltazione generale
(l'Assemblea ha dichiarato la patria in pericolo) anche la Gironda
è compromessa. E sebbene la Legislativa, legalitaria e
impacciata dalle dottrine, non sia ancora repubblicana e Desmoulins
e Robespierre sconfessino l'idea repubblicana, il breve mutamento
dell'opinione pubblica a favore del re non ha vera efficacia. Il
manifesto di Brunswick è tragicamente decisivo. I giornali
attaccano la monarchia, Robespierre rinuncia al suo
costituzionalismo, il discorso repubblicano di Billaud-Varennes del
18 luglio diviene il credo di molti. Mentre i deputati si dibattono
ancora tra monarchia e repubblica, Danton provoca il 10 agosto. E
l'Assemblea borghese depone il re, convoca una Convenzione Nazionale
per dare una nuova costituzione alla Francia e affida la giustizia
nel ricostituito ministero girondino a Danton, torbido e geniale
"Mirabeau de la canaille".
Danton ha voluto tentare l'avventura di creare l'ordine e un governo
con un colpo di forza, ricattando l'Europa con la monarchia
prigioniera. Ma l'audacia del tentativo ha conseguenze diverse.
Ormai il proletariato si riconosce più potente della
borghesia che lo ha guidato finora; la sommossa vittoriosa favorisce
gli estremisti come Marat, l'imboscato del 10 agosto. E per
conservarsi il favore della folla, gli uomini della rivoluzione
saranno costretti a una gara di violenza. L'Assemblea riconosce il
trionfo dell'insurrezione, ma è ormai colpita ed esautorata.
Il popolo si sente più forte: sua è la
sovranità vera. E già accanto a Danton il proletariato
parigino idolatra il puritano e dottrinario Robespierre.
Di fronte alla Comune che attua misure rivoluzionarie e riempie le
prigioni, scarsa importanza ha il governo provvisorio del Comitato
esecutivo. Il panico provocato dalle tristi nuove del fronte spinge
a misure spietate di repressione. E l'Assemblea, che ha dato al
paese lo stato civile e la ghigliottina, istituisce un tribunale
straordinario per giudicare i difensori della monarchia, fa occupare
i conventi, sopprime le congregazioni, vieta l'uso dell'abito
ecclesiastico, confisca beni, espelle e incarcera sospetti, impone
calmieri e provvedimenti d'imperio. Un'intensa attività
politica s'accompagna a un vigoroso entusiasmo nazionale. Il
patriottismo entra come elemento importante nella storia della
rivoluzione. In questo clima di passione, di paura, di esaltazione
nascono i massacri di settembre, che hanno il 10 agosto come prologo
sanguinoso. Il 4 settembre l'Assemblea, vinta, giura di combattere
il re e la monarchia. Danton, umanitario e sentimentale, assume la
terribile responsabilità del sangue versato. Ma la Francia ha
Valmy.
Eletta da una minoranza e convocatasi nel settembre delle stragi e
di Valmy, la Convenzione inizia l'opera sua, che farà
trionfare in un primo momento la repubblica democratica,
soffocherà l'opposizione e libererà il territorio.
La mancanza di veri e proprî partiti tradizionali e
organizzati, la violenza delle passioni, la pressione dei club,
delle sezioni e dei postulanti, la lotta spietata tra i varî
capi e le varie fazioni impediscono ogni collaborazione fattiva. Ora
sono a destra i Girondini o brissottini, rappresentanti della
Francia provinciale (e quindi facile bersaglio a chi li voglia
accusare di pericoloso federalismo) e avversarî dei demagoghi.
Ma il loro destino è simile a quello dei Foglianti, dei quali
in certo senso prendono il posto: sono disorganizzati e hanno poco
seguito. A sinistra i Giacobini montagnardi, democratici dichiarati,
cari alla folla, logici, unitarî, accentratori. In mezzo,
eterogeneo, timoroso, inquieto e profittatore, il marais.
Nell'insieme erano uomini che avrebbero potuto lavorare
efficacemente e da loro Napoleone trarrà ottimi elementi per
la sua amministrazione.
L'esasperazione dell'ideologia rivoluzionaria, il desiderio e
l'illusione di una rigenerazione da compiere, la necessità di
difendere il posto e la vita determinano conflitti continui e
portano a calpestare leggi e diritti, a violare i principî
banditi nelle costituzioni, a governare con i colpi di stato. Danton
consacra la repubblica una e indivisibile e aspira a conciliare in
nome dell'interesse nazionale uomini e idee di fronte al duplice
pericolo della guerra esterna e della rivoluzione interna. Marat
invoca la dittatura proletaria. E gli estremisti si servono del
medico sanguinario contro il tribuno; di questo contro quello.
I moderati, comunque si chiamino, son destinati al sacrificio. Le
colpe e gli errori antichi fiaccano i Girondini, deboli di fronte
all'energia dei Giacobini. Sul processo del re si accende un tragico
duello, e la Gironda legalitaria è vinta. Vivo il re, la
rivoluzione è in pericolo; spento quello, questa è
salva. E in nome del diritto della rivoluzione Luigi Capeto sconta
le colpe dei suoi maggiori.
Il popolo di Parigi appare arbitro dell'Assemblea e la spinge a
misure estreme. Il diritto rivoluzionario ha il suo strumento di
giustizia e di morte nel tribunale rivoluzionario, il suo difensore
in Fouquier-Tinville. E la borghesia si sente minacciata nelle
conquiste recenti dall'eccitata propaganda di un socialismo, che
deriva da Rousseau. Il suo dominio sembra finito.
In lotta con la Gironda decentratrice, Danton impone il Comitato di
salute pubblica. La teoria della divisione dei poteri è
violata dalla necessità. Le autonomie locali scompaiono; i
rappresentanti in missione, aiutati dalle società popolari,
epurano energicamente l'amministrazione e abbattono le tendenze
federalistiche, e così facendo aiutano il formarsi
dell'accentramento statale. I Giacobini trionfano sui Girondini.
Danton, respinto da questi, che non ne hanno compreso il valore e le
aspirazioni, si getta con quelli. L'insurrezione del 2 giugno 1793
distrugge la fazione girondina, ma, come già le giornate
d'ottobre e il 10 agosto per le altre assemblee, costituisce la
Convenzione prigioniera del popolo di Parigi.
Il mutamento, che appare radicale, dell'opinione pubblica determina
la costituzione democratica dell'anno I (1793), fondata sul
suffragio universale diretto, su una sola camera, sul referendum
popolare per l'approvazione delle leggi, sulla collegialità
del potere esecutivo. Le provincie erano appagate dal riconosciuto
diritto plebiscitario, ma le disposizioni ultra-democratiche
(diritto d'insurrezione del popolo sovrano e misure contro la
proprietà e la ricchezza) non potevano accontentare la
borghesia, che aveva negli illuministi e nei fisiocratici i suoi
maestri. La costituzione, destinata a non essere applicata, fu
approvata con un plebiscito che diede forza agli elementi estremi.
La rivoluzione continuò a logorare e a distruggere i suoi
uomini.
Danton, cui la soppressione della Gironda toglie il contrappeso agli
estremisti, non riesce a imporre la sua politica. Accusato dei
disastri vandeani e di arrendevolezza verso i Girondini lascia
libero campo a Robespierre e al suo gruppo. I Comitati onnipotenti
dànno grande impulso ai tentativi di costruire l'ordine
nuovo, e il tribunale rivoluzionario li aiuta attuando una giustizia
di sangue.
Nella grande crisi del '93 la rivoluzione supera le sue più
ardue prove. Partigiani della Gironda caduta, vandeani, realisti
insorgono; la guerra è un seguito di disastri; la crisi
economica e lo spettro della fame tormentano gli animi. Ma il
terrore, che non fu già parola più che cosa, riesce a
galvanizzare gli animi dei Parigini. La legge dei sospetti e la
soppressione di ogni libertà, la distruzione sistematica
degli avversarî violano le ideologie dell'89, ma risuscitano
la fede nella rivoluzione e la salvano. Gli ultimi resti dell'antico
regime cadono: la ghigliottina recide il capo all'ex-regina e a
Bailly, a Custine e a Madame Roland, a Condorcet e a Filippo
Égalité, mentre Hébert porta sugli altari la
Dea Ragione.
Danton tenta un'ultima volta di fermare il torrente sanguinoso; ma
fallisce. Hébert sanguinario e volgare cade, ma per
preparargli la strada alla ghigliottina. L'incorruttibile
Robespierre si è servito di Danton, "l'impuro", contro
gl'indegni e i violenti; ora si rivolge contro di lui: in un
simulacro di processo Danton è condannato.
Spento il grande tribuno, che aveva tentato di domare la
rivoluzione, Robespierre, uomo di principî rigidi e dall'anima
di inquisitore, senza la genialità e le qualità di
uomo di stato che Danton aveva, ma caro al popolo per la sua
incorruttibilità, si asside dittatore. Ma la sua è
dittatura labile e apparente; non domina, è dominato: non
può costruire neppur lui l'ordine nuovo, la necessità
lo costringe ad atterrire i nemici con l'esasperazione del terrore.
E il popolo, per il momento, segue chi non potendo dargli la
felicità promessa lo inebria di virtù e di violenza.
"Le verbe s'était fait sang". E in quel sangue ormai la
rivoluzione si esaurisce. Robespierre, contro il quale l'opposizione
è forte al centro della Convenzione, ha la sua apoteosi con
l'istituzione del culto dell'Ente Supremo, ma è prossimo alla
caduta. La guerra ora vittoriosa, la paura e la nausea della
violenza dànno forza ai suoi avversarî. La Convenzione
gli si ribella e abbatte con lui la Comune. Con Termidoro il regime
democratico e la fede cieca nella rivoluzione sono finiti. Il popolo
invoca con Chénier "des lois et non du sang". I moderati
borghesi riprendono forza e terreno; un bisogno di reazione morale e
materiale s'impone; la gloria militare fa nascere disgusto
dell'eccitazione rivoluzionaria.
La Convenzione di Termidoro non trova subito il suo equilibrio. La
lotta tra moderati ed estremisti copre l'altra tra realisti e
democratici. E intanto paurosi conati socialisti minacciano altri
pericoli: Gracchus Babeuf eccita la plebe. La Convenzione ricorre
alla violenza: schiaccia i Giacobini e frena i moderati. Il
rilassamento degli organismi rivoluzionarî, l'avvenuta
trasformazione sociale (la borghesia in realtà si è
consolidata e arricchita), l'aspirazione a una nuova vita portano ai
377 articoli della nuova costituzione dell'anno III, figlia della
paura. Antidemocratica e borghese, vuol correggere gli errori delle
due precedenti e, salvando alcuni acquisti della rivoluzione,
rinuncia a molte delle ideologie del quadriennio 1791-1795. Quindi
garantiti i beni nazionali e confermato il bando agli emigrati, ma
diritto elettorale censitario, riconoscimento della proprietà
individuale e separazione dei poteri e delle camere. La rivoluzione
ha trovato la sua soluzione borghese e alla disuguaglianza del
privilegio ha sostituito quella del censo, gettando così i
germi di futuri conflitti sociali. Ma l'opinione pubblica ormai
è indifferente; pochi si recano a votare per l'approvazione
plebiscitaria della legge. E Bonaparte il 13 vendemmiale può
riportare facile vittoria sulle sezioni insorte. La Convenzione
finisce con un appel au soldat: violenza che prepara Brumaio.
La politica incerta della Convenzione termidoriana è
continuata dal Direttorio, che si mantiene al potere con i colpi di
stato, favoriti da una costituzione inefficace e tollerati da
un'opinione pubblica indifferente. E il nuovo governo non riesce a
organizzarsi durevolmente, né a crearsi un suo prestigio. Il
quadro tracciato da Albert Vandal è eloquente. Regime di
disordine e d'immoralità, non ha rispondenza nell'anima
popolare. Bisognava rinascere: ai principî, alle grandi frasi
era succeduta la nausea delle assemblee, dei club, della
libertà stessa. Il Direttorio non riuscì nel suo
compito di risolvere la crisi economica e di ridare fiducia al
paese, ma non fu tutta colpa sua. E quanto riuscì a compiere
non fu inutile. Soffocati i moti comunisti del Babeuf, tentata una
ridevole trasformazione religiosa con l'ingenua teofilantropia di
Lareveillère-Lépaux, d'ispirazione
illuministico-massonica, domati con la violenza gli avversarî,
il Direttorio preparò il trapasso dal governo rivoluzionario
all'accentramento consolare e in materia finanziaria compì
l'opera amministrativa delle assemblee rivoluzionarie, legalizzando
con i mandati territoriali il fallimento. Ma ormai Bonaparte
è pronto a raccogliere l'eredità della rivoluzione.
Dalla guerra vittoriosa la Francia riceve il suo capo. Hoche,
Moreau, Joubert, Bernadotte, Augereau, "les sabres" per i colpi di
stato del Direttorio, gli cedono il posto, ed egli dà alla
Francia il governo nazionale che la terra della rivoluzione
invocava. Unità e ordine; uguaglianza e concordia:
"Accueillez tous les Français, quel que soit le parti auquel
ils ont appartenu" dice ai prefetti il Primo Console, che nel suo
primo proclama annuncia la fine della rivoluzione. E a tutti chiede
che "chacun fasse des sacrifices à la paix". Arbitro e
conciliatore, restaura l'autorità e la disciplina,
ridà prestigio al governo, restituisce alla Francia con la
fiducia in sé stessa l'orgoglio e la forza. Dispotismo,
cesarismo, autocrazia militare, fu detto; ma la costituzione
dell'anno VIII, che creò il consolato e quella dell'anno XII,
che consacrò l'Impero, hanno salvato la Francia e quanto era
vitale nell'opera della rivoluzione. Il concordato, il codice, il
consiglio di stato, il riordinamento amministrativo e giuridico, il
risanamento finanziario, l'onore reso all'ingegno, alla
capacità, al valore hanno creata la nuova società
francese e consacrato il trionfo della borghesia, le vittorie
militari hanno diffuso i benefici della rivoluzione alla
società europea.
Certo è che il gran moto di Francia, umanitario, cosmopolita,
antinazionale, si diffonde con la guerra nell'Europa dell'ancien
régime, preparata in gran parte ad accoglierlo dalla
predicazione illuministica e dalla penetrazione culturale francese,
dalla somiglianza delle forme sociali e del costume politico. Ma i
primi rivoluzionarî, preoccupati dei problemi interni della
Francia, non pensavano alla guerra. Furono le potenze europee, che
aggiunsero alle questioni polacca, americana e orientale quella
francese e, timorose del trionfo di paurosi principî di
dissolvimento e illuse di poter fiaccare, umiliare, amputare la
Francia, mossero guerra al paese della rivoluzione.
E questo reagì per difendersi e agli occhi della monarchia
che agonizzava cercò a Valmy la rivincita di Rossbach. La
politica estera negativa dell'ancien régime era riscattata
dall'atto di forza del popolo, che si creò un esercito di
soldati-cittadini, ne curò come mai prima era stato fatto il
morale e lo lanciò contro l'Europa. Se l'atteggiamento
ufficiale della Costituente pur apparendo diverso da quello della
diplomazia tradizionale (annessione di Avignone, questione dei
principi alsaziani), era favorevole alla pace, la pubblicistica
democratica invocava fin d'allora un'energica azione fuor dei
confini, mentre profughi di paesi diversi chiedevano che la Francia
propagasse all'estero le nuove idee. Per la costituzione del '91 la
nazione francese rinunciava a intraprendere guerre a scopo di
conquista e di oppressione della libertà di altri popoli, ma
la Legislativa interpretò quel principio nel senso che non
escludesse la guerra di liberazione e di propaganda. E ricacciato lo
straniero, la guerra difensiva diverrà appunto di liberazione
e la Convenzione la condurrà contro i re per dar pace ai
popoli. Siamo alla crociata per i diritti dell'uomo, alla
dichiarazione di fratellanza e di soccorso alle nazioni che vorranno
ricuperare la libertà, all'ordine dato ai generali di non far
pace con i paesi che non abbiano istituito un governo libero e
popolare. Ai soldati della repubblica "rigeneratori dell'universo"
si fanno incontro esultanti i patrioti locali, e il Belgio è
invaso e Magonza e Francoforte sono conquistate. Ma la reazione
europea scatenatasi alla morte di Luigi XVI riprende il Belgio,
assedia e invade la Francia e attenua l'entusiasmo della propaganda.
"Unico e naturale alleato dei popoli liberi", il popolo francese -
dichiara Danton - non s'ingerisce nelle faccende interne degli altri
paesi, come a questi non permette d'ingerirsi nelle sue. Ma
già nell'autunno del '93 i rivoluzionarî sono di nuovo
vittoriosi e i confini della patria liberati; nel '94 il Belgio
è conquistato, la riva sinistra del Reno raggiunta. E Belgio
e Germania renana son democratizzate in vista dell'annessione, come
l'anno dopo accadrà dell'Olanda e, dopo Loano, degli sbocchi
alpini. La dottrina dei "confini naturali" fa della rivoluzione
l'erede di Luigi XIV, la guerra di propaganda si chiarisce guerra di
conquista. La politica estera unitaria e consequenziaria del
Comitato di salute pubblica è continuata dal Direttorio, e le
demi-brigades del Bonaparte sconvolgono l'Italia in nome della
libertà. Al contatto delle armate rivoluzionarie si
disgregano i vecchi ordinamenti, crollano gli antichi edifici
politici, si alterano le compagini sociali. E le repubbliche e
repubblichette del triennio 1796-1799, modellate sul figurino
dell'anno III, conoscono l'avidità e l'iniquità dei
proconsoli francesi, ma la coscienza politica dei loro cittadini,
già in via di rinnovamento nel corso del Settecento, riceve
ulteriore alimento, sia assorbendo idee e principî di Francia,
sia reagendo a Francia. Agenti diplomatici ed emissarî di
Parigi completano l'opera dei generali; Bonaparte, fallito il sogno
di colpire l'Inghilterra attraverso l'Irlanda, tenta di ferirla
attraverso l'Egitto; Sieyès cerca a Berlino di persuadere la
Prussia a sconvolgere l'Europa orientale per assicurare alla Francia
il dominio su quella occidentale.
Ma ai primi del '99, secondo la frase di Sieyès, Londra,
Vienna e Pietroburgo suonano a martello per lo sterminio francese.
La paura della propaganda repubblicana, la contropropaganda degli
emigrati, la speranza di poter sfruttare gli errori dei
conquistatori e l'irritazione dei popoli per gli eccessi sofferti
danno la vittoria alla nuova coalizione antirivoluzionaria. A Novi
il 15 agosto 1799 sembra crollare la fortuna militare del
Direttorio; ma pochi mesi dopo la coalizione è di nuovo
arrestata.
Esecutore testamentario della rivoluzione, Napoleone porta per
l'Europa i grandi principî di libertà, d'indipendenza,
di uguaglianza. E la rivoluzione ("un'idea che ha trovato delle
baionette") fattasi conquistatrice abbatté ovunque gli ultimi
resti dell'assolutismo e della disuguaglianza e impose le norme e le
forme delle istituzioni francesi. Belgio, Olanda, Italia, Germania,
Svezia, Spagna si trasformarono; e anche là dove le armi
francesi non giunsero e non ebbero fortuna, necessità di
difesa e di contropropaganda aprirono la strada a riforme e a
cambiamenti che risentivano dell'influenza francese. E. Burke aveva
sulla fine del '90 lanciato il suo atto di accusa contro la Francia
rivoluzionaria, ma pochi mesi dopo nella stessa Inghilterra le
Vindiciae Gallicae di sir J. Mackintosh difendevano i principî
essenziali della rivoluzione. E da allora in tutta l'Europa
l'opinione pubblica si era divisa in due campi e la pubblicistica
aveva rispecchiato le varie tendenze. Se l'Inghilterra rimaneva
sostanzialmente ostile (ma molti mutamenti della vita interna
inglese furono compiuti per effetto dell'influenza sia pure
indiretta francese), se in Germania si rimpiangeva che la
rivoluzione avesse distrutto i benefici dell'Aufklärung e
Federico Gentz interpretava efficacemente la delusione della classe
colta tedesca, se l'orrore per le violenze e i massacri
determinavano ovunque un vivo senso di reazione, non per questo era
arrestato l'influsso delle nuove idee nei varî paesi. La
letteratura europea lo dimostra.
La rivoluzione conquistò spiritualmente l'Europa; ma presto
l'inevitabile reazione alla conquista denuncierà il dissidio
tra la libertà e l'indipendenza promesse e la realtà
della dominazione straniera, diretta o indiretta, imposta. E i
popoli, educati dai Francesi a lottare contro gli stranieri,
riconosceranno anche nei Francesi gli stranieri e richiamati alla
coscienza delle tradizioni storiche indigene inizieranno la lotta
contro l'uomo e il dominio della Francia della rivoluzione.
Ma scomparso l'uomo e materialmente conchiusa a Waterloo l'era della
rivoluzione, non caddero le idee seminate e diffuse. Joseph de
Maistre vedeva giusto quando nel '14 diceva che Luigi XVIII non era
già salito sul trono dei suoi avi, ma solo su quello del
Bonaparte. La sconfitta militare non poteva cancellare quanto si era
edificato, mentre quanto si era abbattuto non poteva tornare alla
vita. L'idea della libertà diventava religione, il concetto
della sovranità popolare si affermava pure attraverso
ostacoli e difficoltà innumeri, l'aspirazione
all'insurrezione nazionale acquistava valore di dogma agli occhi
della generazione che era nata nei venticinque anni del grande
sconvolgimento. L'anelito alla libertà, il desiderio di
ordinamenti che fossero informati ai grandi principî sociali e
umanitarî banditi dalla rivoluzione e il ridestarsi della
coscienza nazionale di alcuni popoli suscitarono le lotte che nel
sec. XIX scossero l'Europa. Superando le resistenze superstiti e le
difficoltà del cammino lungo e doloroso, temperando e
integrando le idee e gl'insegnamenti, la società europea
liquidò l'assolutismo e rafforzò la borghesia, e con
le minori rivoluzioni, generate idealmente dalla prima,
accelerò il cammino verso l'indipendenza e l'unità in
quei paesi che erano rimasti assenti o in ritardo rispetto al
movimento unitario e nazionale.
***
da Storia Contemporanea (http://www.storiacontemporanea.eu)
La rivoluzione francese
Cos'è una rivoluzione?
La rivoluzione francese riveste numerosi spunti di interesse per la
storia contempo. Intanto introduce il concetto di rivoluzione nella
storia moderna. Una “rivoluzione” che è ben diversa da quella
trasformazione istituzionale conosciuta in Gran Bretagna, e ben
diversa anche dalle vicende americane. Ecco quindi il primo quesito:
COS'E' UNA RIVOLUZIONE?
Fino al XVII secolo il termine rivoluzione significava il moto
circolare intorno ad un punto fisso (“la rivoluzione della terra
intorno al sole”). Gli avvenimenti americani e francesi danno alla
parola rivoluzione un significato di sconvolgimento dell'assetto
politico e sociale allo scopo di crearne uno nuovo. Tra le metafore
più fortunate c'è quella del “mito solare”: il sole
sorge su una nuova era. La storia viene concepita come un movimento
in avanti, un continuo succedersi di progressi in tutti i campi.
Bisogna essere chiari sul fatto che ci sono due momenti che
caratterizzano i processi rivoluzionari:
state breaking (distruzione). Un'azione di massa dal basso distrugge
lo stato
state making (costruzione). Lo stato viene ricostruito in tutti i
suoi aspetti: leggi, governo, esercito, ordine pubblico
Se si distrugge la vecchia classe dirigente e al suo posto troviamo
una nuova forma di stato allora possiamo parlare di rivoluzione.
N.B. Il golpe si differenzia dalla rivoluzione perché
cambiano solo i dirigenti, mentre il sistema rimane lo stesso.
Inoltre non ha l'appoggio di una parte consistente della
popolazione.
Le cause
Verso il precipizio 1770-1789
Alla fine del Settecento la Francia poteva contare circa 28 milioni
di abitanti, uno degli eserciti più forti del mondo, una
burocrazia e un sistema amministrativo centralizzato tra i
più avanzati d'Europa. Tra i suoi cittadini c'erano le menti
più in vista del continente, le sue élite culturali (i
philosophes ) facevano scuola negli altri paesi; la sua
aristocrazia, e ancor di più la corte di Versailles, erano un
modello inarrivabile per i sovrani e i principi di tutti gli stati.
Il francese era, infine, la lingua ufficiale della diplomazia
internazionale. L'assolutismo sembrava ancora un sistema valido,
vista anche la rovinosa sconfitta inglese nella guerra contro i
coloni americani.
Le prime trasformazioni industriali (o protoindustriali) iniziavano
a cambiare il volto della manifattura anche nelle tante fabbriche
sparse nella campagna francese.
Quando Luigi XVI salì al trono (1774) una fase di declino e
ristagno prese il posto alla lenta crescita registrata negli anni
precedenti.
La crisi finanziaria precipitò nel volgere di pochi anni. Gli
oneri delle guerre d'oltreoceano avevano svuotato le casse statali;
i tentativi di riforma naufragarono tutti contro il veto incrociato
dei vari gruppi di potere. Da una parte nobiltà e clero
bloccarono qualunque tentativo di riforma fiscale che includesse le
alte rendite; dall'altra le misure antiprotezionistiche del
commercio trovò strenua resistenza nel potere di Parlamenti:
organi locali che rappresentavano una vera e propria “falla” nel
presunto assolutismo dei sovrani di Francia. Nel giro di pochi anni
il dicastero delle finanze vive un via vai continuo di ministri
“tecnici” che provano ricette diverse per uscire dalla crisi: prima
Tourgot, poi Necker, quindi Joly de Fleury, per arrivare al 1787 a
Charles Colonne.
I contrasti con aristocrazia (e clero) e Parlamenti indusse il re,
nel luglio 1788, a convocare gli Stati Generali come “extrema ratio”
per uscire dalla crisi. Nel decreto di convocazione venivano
sollecitati “tutte le persone istruite del regno … a inviare
suggerimenti o memorie relative alla prossima convocazione degli
stati generali”.
La crisi, non risolvibile con compromessi parziali, richiedeva una
soluzione definitiva. Anche il popolo – per la prima volta – era
chiamato a dire la sua.
La situazione inedita fu la visibilità del dibattito
pubblico. La politica usciva dal chiuso delle stanze di nobili o
alto-borghesi per scendere in piazza, nelle strade, nelle affollate
assemblee pubbliche. Una certa alfabetizzazione e la diffusione
della stampa favorì questo processo di mobilitazione di massa
intorno alle opinioni politiche.
Tra marzo e aprile 1789 in tutte le comunità e in tutti i
quartieri cittadini i capifamiglia si riunirono per eleggere i
delegati di zona che, a loro volta, avrebbero scelto i deputati per
l'assemblea degli stati generali. Insieme alla nomina dei delegati
furono compilati anche i cahiers de doléances (quaderni delle
lamentele), ovvero rivendicazioni e richieste. I circa 60000 cahiers
ci dicono di una diffusa insofferenza sia per i vecchi privilegi sia
per alcune nuove misure di tipo “capitalistico”e, naturalmente, per
le evidenti ingiustizie che ancora dominavano la società
francese. Accanto ai chaiers ci fu un'esplosione di pubblicazioni,
opuscoli, pamphlets. Il più celebre è il lavoro
dell'abate Emmanuel-Joseph Sieyès Che cos'è il Terzo
Stato? “che cos'è il terzo stato? Tutto! Che cos'ha
rappresentato finora nell'ordinamento pubblico? Niente! Che cosa
chiede? Di diventare qualcosa".
Sul banco degli imputati il principio di privilegio detenuto, senza
niente in cambio, da nobiltà e clero, rispettivamente l'1,5%
e lo 0.5% dell'intera popolazione.
Quali privilegi?
* Non pagavano la taglia, cioè l'imposta sul reddito;
* Il clero riscuoteva la decima su tutti i prodotti agricoli;
* I signori dei villaggi riscuotevano censi in denaro, parte dei
raccolti, pedaggi, tasse sulla compravendita di terre, dazi sul
passaggio di merci;
* La legge era magnanima con nobiltà ed esponenti dell'alto
clero.
Il 1789
Scoppia la rivoluzione: il 1789
L'Assemblea generale
Il 5 maggio si aprì a Versailles l'assemblea degli stati
generali. La composizione numerica sanciva queste proporzioni:
Terzo stato 578 deputati
Nobiltà 270
Clero 291
Ma in realtà molti esponenti del clero erano parroci di
provincia che aderivano al programma del terzo stato; alcuni nobili
erano anch'essi simpatizzanti con le idee anti-assolutistiche.
Il primo punto all'ordine del giorno, ossia il meccanismo di voto,
paralizzò i lavori. Il terzo stato voleva il voto
individuale, clero e aristocrazia il voto per ordine. A metà
giugno una folta pattuglia di deputati, in maggioranza aderenti al
terzo stato, si proclamò Assemblea Nazionale in quanto eletti
dal basso e investiti del potere dalla volontà generale.
L'assolutismo era finito.
La nuova assemblea, che si riuniva nella sala della Pallacorda, si
diede come primo obiettivo la stesura di una costituzione. Il re
invitò gli altri rappresentanti degli ordini ad aggregarsi al
terzo stato per riscrivere insieme le nuove regole dello stato.
1° errore di Luigi XVI – Contemporaneamente alle aperture verso
i riformatori, il sovrano complottava strane manovre:
licenziò Necker (ministro delle finanze) e assembrò
truppe a Parigi e a Versailles. Questi movimenti diffusero
inquietudine e spinsero il popolo, alle prese con una difficile
congiuntura economica, ad una serie di rimostranze in città.
Il 14 luglio una folla di artigiani e bottegai andarono davanti alla
Bastiglia per chiedere armi. La guarnigione aprì il fuoco
lasciando sul terreno un centinaio di manifestanti. Ma la fortezza
fu espugnata e il governatore ucciso. La violenza era entrata nella
politica.
In seguito all'episodio il re tornò sui suoi passi; alcuni
leader cittadini istituirono il potere locale tramite un Comitato e
una Milizia (affidata a La Fayette ), Il rosso e il blu – i colori
di Parigi – si unirono al bianco per formare la coccarda simbolo di
unità nazionale. Con quella coccarda il re si affacciò
dall'hotel de Ville, il 17 luglio, assieme al sindaco della
città per simboleggiare una nuova unità.
La campagna
Molto si è discusso sul ruolo della campagna nelle calde
giornate rivoluzionarie. È vero che nell'estate '89 molte
sollevazioni contadine spinsero l'assemblea nazionale ad una serie
di provvedimenti legislativi anti-feudali (rendendo così
plausibile la tesi della concordia tra città e campagna); ma
è altrettanto vero che molte delle rimostranze della massa di
contadini braccianti e piccoli proprietari si addensavano intorno ai
recenti provvedimenti “capitalistici”. La privatizzazione degli
spazi comuni aveva causato l'impoverimento di molti contadini
costretti a diventare braccianti; così come la coltivazione
per il mercato e il conseguente abbassamento dei prezzi aveva
arricchito i grandi e medi proprietari ma rovinato i piccoli.
L'indigenza dilagante degli anni '80 del XVIII è da
attribuire NON SOLO al perdurare di abusi e ingiustizie di matrice
“feudale” ma anche all'effetto dirompente che le nuove pratiche
economiche (improntate all'efficienza produttivistica) hanno avuto
sulle società di antico regime.
Alcune regole non scritte – fissate nella consuetudine e nella
tradizione – fornivano in realtà un bilanciamento alle
ingiustizie delle società pre-industriali, consentendo a
tutti gli appartenenti alla comunità (di villaggio o di
quartiere) di sopravvivere in un qualche modo. Molti di questi veri
e propri “paracaduti sociali” vennero meno con l'avvicinarsi del XIX
secolo, aprendo pertanto una durissima crisi sociale.
Anna Maria Rao (La rivoluzione francese, in Storia Moderna, Manuali
Donzelli) scrive: “la paura dei briganti, del complotto
aristocratico o di nemici non meglio identificati fu all'origine
delle sollevazioni che si diffusero per larga parte del
paese.” Quelle che per secoli furono jacquerie senza seguito,
portarono – stavolta – alla abolizione di “tutti i privilegi
feudali”, alla liberazione dei lavoratori della terra da decime,
censi e tasse sulla persona.
Erano i frenetici giorni del 4 agosto, e poi del 7 e dell'11.
Il 26 fu presentata la Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del
cittadino , “l'alfabeto politico del nuovo mondo” secondo il
deputato Rabaut Saint-Etienne. Adesso non restava che promulgare la
costituzione.
2° errore di Luigi XVI – il re non firmò i decreti di
agosto contro i privilegi di ordine. Le proteste sfociarono in una
marcia di 7000 parigini fino a Versailles (scortata dalla Guardia
Nazionale di La Fayette ) per chiedere “il pane” e il trasferimento
della corte in città. Ad ottobre corte reale e Assemblea
nazionale erano a Parigi e non più nella isolata quiete della
reggia.
La monarchia costituzionale
La monarchia costituzionale (1789-1791)
Nuove leggi – L'attività legislativa dell'assemblea
proseguiva a pieno ritmo.
• Incameramento beni della chiesa;
• Tasse in proporzione alla ricchezza;
• Emissione di assegnati (buoni del tesoro);
• Libertà di stampa, di opinione e di riunione;
• Nuovo ordinamento amministrativo: 83 dipartimenti divisi in
distretti, cantoni e comuni, tutti con consiglio eletto dai
cittadini;
• Nuovo ordinamento giudiziario: fine venalità delle cariche
e completa distinzione tra il potere giudiziario e quello esecutivo
e legislativo. Giudici eletti e processi con giuria popolare.
Distinzione tra processi civili e criminali.
• Chiesa di Francia basata sul principio della nomina per elezione.
Parroci e vescovi dovevano essere retribuiti dallo stato come ogni
altro funzionario pubblico.
A questo punto il corso degli eventi sembra aver raggiunto un
appiglio sicuro. Il deputato Duport proclamò, il 17 maggio
1791, che la rivoluzione era finita, e che bisognava porre fine agli
eccessi, consolidare il governo, limitare libertà e
uguaglianza. Anche per Bernave il senso profondo della rivoluzione
era già raggiunto e stava nella disfatta dell'aristocrazia e
nella vittoria della classe media.
Perché non riesce la stabilizzazione?
• Pressioni esterne / 3° errore di Luigi XVI. Le corti dei
principali stati europei considerarono la questione francese un
affare internazionale e si mobilitarono per sostenere il re Luigi
XVI. Il quale commise il terzo fatale errore: tentò una
maldestra fuga nel giugno 1791 (fu riconosciuto e bloccato a
Varennes), manifestando così il suo ambiguo ruolo di garante
del nuovo stato. Pochi mesi dopo firmò la Costituzione solo
perché costretto.
• Problemi economici. Le cose non vanno meglio per la gente comune.
C'era inflazione, disoccupazione. Inoltre la legge Le Chapelier che
proibiva le associazioni operaie aumentò lo scontento nelle
classi popolari (rappresentate politicamente dai “sanculotti”,
sempre più influenti).
• Divisione politica. La rivoluzione aveva innescato una passione
politica molto forte: stampa, club, sezioni, petizioni e
manifestazioni; feste, giornate insurrezionali, alberi della
libertà…bandiere, inni. In questo clima molto intenso le
posizioni politiche si radicalizzarono e si moltiplicarono. Si
crearono – all'interno dell'assemblea – i “partiti” di destra (per
fermare qui le riforme), di centro (cambiare ancora qualcosa) e di
sinistra (cambiare la sostanza dei provvedimenti a cominciare dalla
proclamazione della repubblica).
• Controrivoluzionari. Il fronte degli sconfitti iniziò a
riorganizzarsi intorno ai molti esponenti del clero che rifiutarono
il nuovo status assegnatogli dallo stato. Specialmente nelle regioni
meno urbanizzate l'opposizione al nuovo stato fu molto forte.
Divenne celebre nel 1793 la rivolta della Vandea. Ma non fu la
prima, né l'unica.
Emersero figure molto carismatiche, capaci cioè di
convogliare e guidare i sentimenti collettivi attraverso la
retorica, la propaganda, l'abilità nel convincere gli altri.
Una di queste, Maximilien Robespierre, guidava l'ala sinistra
dell'assemblea, detta dei giacobini, in virtù del luogo di
ritrovo dei fondatori del partito.
La repubblica giacobina (1792-1794)
Per uscire dallo stallo e per prevenire una possibile azione
militare dei paesi confinanti (Austria, Prussia) l'assemblea si
decise a giocare la carta della guerra.
Nell'aprile 1792 :
• GUERRA contro Austria e Prussia
• Giro di vite nella politica interna contro disfattisti e
controrivoluzionari.
Ancora una volta l'assemblea si trovò ad un punto morto;
incapace di decidere e di organizzare l'azione di governo. A
prendere le redini del paese fu “di fatto” la COMUNE INSURREZIONALE
, che aveva al suo interno rappresentanti degli stessi “partiti”
dell'assemblea ma in proporzioni diverse. In pratica la guida
passò in mano al gruppo giacobino che lo mantenne per quasi
due anni, pur in forme e con interpreti diversi.
La guerra
Inizialmente l'esercito prussiano avanzava minaccioso verso Parigi.
Il nuovo organo dirigente (la comune di Parigi) rispose al “panico
da sconfitta” con una serie di leggi eccezionali che smantellarono
il sistema di potere appena introdotto.
• Tribunali speciali
• Repressione ai controrivoluzionari (considerati contro la patria)
• Abolizione della monarchia (21 settembre 1792); processo e
condanna a Luigi XVI.
• Dichiarata la repubblica francese. Costituzione nel giugno 1793.
• Convenzione. Al posto dell'assemblea nazionale, una nuova
assemblea costituente.
• Grande reclutamento di soldati tra la popolazione. Propaganda
nazionalista (adottata al Marsigliese, dal canto di un battaglione
dell'esercito).
• Nuovo calendario
Risultati?
Vittoria militare a Valmy il 20 settembre 1792.
Moltiplicazione dei fronti di guerra: entrano anche Gran Bretagna,
Olanda, Spagna, Savoia e altri principati tedeschi. Le cose si
mettono male per la Francia.
In risposta la Comune opta per la leva obbligatoria, ingrossando le
fila dell'esercito fino a circa 700.000 unità.
L'arruolamento coatto provocò una resistenza fortissima.
Nelle campagne (dove l'influenza della chiesa era molto profonda) le
famiglie erano determinate a non mandare i giovani a combattere per
la rivoluzione: in alcune zone si scatenò una vera e propria
guerra civile. Tra le numerose aree di guerriglia la Vandea (zona a
nord e sud della Loira) è la più celebre.
MARZO 1793
Le rivolte indussero il potere (sempre più stretto nelle mani
di pochi) ad una nuova serie di misure repressive e coercitive:
• tribunale rivoluzionario
• comitato di salute pubblica
• comitati di sorveglianza
N.B.
E' la guerra che crea il meccanismo perverso per cui la paura della
sconfitta legittima l'adozione di una serie di misure eccezionali
anti-democratiche. Inoltre la necessità di autoritarismo
accentra il potere nelle mani di pochi. In breve troviamo un potere
autoritario e pressoché illimitato (esercitato da uno o da
pochissimi) che, in nome della sicurezza e della patria, muove
contro i nemici esterni e contro gli oppositori interni con tutti i
mezzi. Il passo verso un regime di terrore è breve,
perché di fronte alle sconfitte militari la principale arma a
disposizione dei governi è la mobilitazione generale ,
l'esasperazione dei contrasti, la realizzazione di un mondo dove si
è a favore o contro; e chi è contro deve essere
eliminato!
Nel corso del 1793 le vicende belliche andavano male per i francesi;
le rivolte interne non si placavano. Erano le condizioni ideali per
accelerare la spirale funesta della guerra totale: nell'ottobre 1793
fu emanato l'obbligo di arruolamento per tutti i giovani tra i 18 e
i 25 anni; fu requisito il grano nelle campagne; fu portato al
massimo grado il regime poliziesco di repressione
controrivoluzionaria. I tribunali speciali lavoravano a pieno ritmo
condannando alla ghigliottina migliaia di persone (con processi
sommari, spesso senza prove) per ragioni politiche. I leader delle
varie fazioni si eliminarono tra sé, infatti chi raggiungeva
il potere faceva condannare a morte i suoi avversari politici.
Finirono così ghigliottinati tutti i principali protagonisti
del Terrore: Danton, Herbert, Desmoulins ecc.
Nel luglio 1794 la svolta: l'esercito dopo alcune vittorie
importanti (tra cui quella di Napoleone Bonaparte a Tolone) ottiene
una vittoria fondamentale a Fleurus che sancisce in pratica il
successo militare della repubblica francese. Nello stesso periodo le
rivolte interne si placarono fino a rimanere solo casi sporadici. A
questo punto non c'erano più ragioni di misure di emergenza.
Anche Robespierre, “l'incorruttibile” il grande timoniere della
repubblica giacobina, fu scalzato dal resto del comitato e
condannato a morte; per il calendario rivoluzionario era il 9
termidoro, per il resto del mondo il 27 luglio 1794.
La repubblica conservatrice
La repubblica conservatrice (1794-1799)
Il potere tornò nelle mani dei moderati, che agirono
attraverso il lavoro nella Convenzione (l'assemblea parlamentare).
La rivoluzione è finita?
Con l'uscita di scena di Maximilien Robespierre e la revoca delle
misure di emergenza, l'epoca della rivoluzione sembrava destinata a
concludersi. Ancora una volta ci fu chi dichiarò terminata la
rivoluzione.
La Convenzione riprese la guida del paese e stilò una nuova
costituzione (1795) , molto meno radicale ma comunque piuttosto
avanzata, che confermava la natura repubblicana dello stato; le
libertà civili (opinione, stampa, riunione); introduceva
l'istruzione obbligatoria; confermava l'autonomia della magistratura
e il sistema dei Dipartimenti e dei Municipi guidati da Consigli
rappresentativi.
Perché non va tutto a posto?
• C'è la vendetta dei monarchici. Mentre la Convenzione e il
nuovo organo esecutivo, il Direttorio , tentavano la pacificazione
chiudendo i circoli giacobini, si scatenò il “terrore
bianco”: a Parigi bande di giovani benestanti imperversavano alla
caccia di giacobini e sanculotti da randellare; nel sud del paese la
ritorsione era anche più violenta con arresti e omicidi
politici.
• Crisi economica. Le nuove manifestazioni di protesta di sanculotti
e popolani sono represse dalle forze dell'ordine. (I giacobini
accolsero spesso le richieste degli strati popolari.)
• Le elezioni per la nuova assemblea furono vinte dai monarchici. In
pratica il governo rimase nelle mani dei repubblicani grazie ad un
escamotage (una quota di “diritto” per i rivoluzionari) ma il
Direttorio (composto da 5 membri scelti dall'assemblea) si
trovò stretto tra i monarchici a destra e i giacobini –
sempre molto popolari nelle città – a sinistra.
La fine della Rivoluzione
Il Direttorio (in pratica il governo) si trovava sotto pressione da
destra (DX) e da sinistra (SX) :
SX (Giacobini e non solo...)
Nel 1796 Filippo Buonarroti e Gracco Babuf organizzano al “Congiura
degli Uguali” per rilanciare l'ideale rivoluzionario. Novità
importante tra le rivendicazioni l'abolizione della proprietà
privata. Il tentativo fallì.
DX (Monarchici)
Nel 1797 vinsero le elezioni. Ma il Direttorio, le considerò
nulle e fece arrestare i leader politici.
L'esportazione della rivoluzione
In difficoltà crescenti (il Direttorio) ancora una volta
ricorse alla guerra per trovare una via d'uscita dalla crisi. L'idea
era quella di creare un “cuscinetto” tra la Francia e i paese
antirivoluzionari per eccellenza: Austria, Prussia, Savoia. Sebbene
nelle intenzioni la campagna d'Italia doveva essere un semplice
diversivo, le vittorie del giovane generale Napoleone Bonaparte
trasformarono nella sostanza il senso dell'iniziativa militare e, in
breve tempo, anche l'esito della rivoluzione.
Le conquiste territoriali furono sancite dalla nascita di
repubbliche sorelle: il 15 maggio 1796 Napoleone entrava
trionfalmente a Milano (grande ammirazione degli illuministi
lombardi per gli uomini della rivoluzione) e iniziò la sua
gestione autarchica della guerra.
Anziché utilizzare i successi contro l'Austria al tavolo dei
negoziati, Napoleone varò autonomamente una innovativa
politica estera che “creava” stati “satelliti” con leggi e
istituzioni mutuate dalla repubblica francese.
La nascita delle repubbliche filo-francesi si seguì a ritmo
incalzante: la prima fu la repubblica Cispadana [1] , poi fu la
volta della R. Cisalpina (1797) che inglobò i territori
ex-pontifici con il Lombardo-Veneto. Successivamente nacquero la
repubblica romana e la repubblica napoletana.
La discesa di Napoleone nella penisola alimentò entusiasmi
patriottici – celebre a tal proposito l'opera di Ugo Foscolo – e
diede avvio al movimento che andrà a confluire nel
Risorgimento.
Ma cosa succede a Parigi?
Gli anni dei trionfi militari di Napoleone sono anni di
difficoltà per il Direttorio sempre più in bilico tra
la sinistra popolare e la destra reazionaria e monarchica.
Approfittando dell'enorme prestigio del giovane generale, alcuni
vecchi saggi della classe dirigente francese cercano di screditare
il Direttorio e proporre una soluzione transitoria che si
appoggiasse esplicitamente sulla conduzione di Napoleone. Quando il
generale rientrò dalla sfortunata campagna in Egitto (celebre
la sconfitta navale contro l'ammiraglio Nelson della flotta
britannica) erano mature le condizioni per un cambiamento politico
radicale.
Con il colpo di stato del novembre 1799 e la nascita del Triumvirato
composto da Sieyès, Ducos e Napoleone Bonaparte la
rivoluzione – come proclamò lo stesso Napoleone – era davvero
finita.
Storiografia
La rivoluzione francese, una rivoluzione borghese?
E' Karl Marx che espone la teoria dello sviluppo lineare della
storia sulla base della lotta di classe, che muta in conseguenza ai
cambiamenti nella struttura economica
Società feudale (distrutta dalla borghesia)
società capitalistica (distrutta dal proletariato)
comunismo (fine della storia)
La rivoluzione secondo Marx è una trasformazione che
abbraccia tutti i campi della vita pubblica: politica, sociale ed
economica. Così la rivoluzione francese segnerebbe il primo
passo di questo processo storico, diventando il modello classico di
rivoluzione borghese.
Prima della rivoluzione francese:
stato aristocratico
aristocrazia classe dominante
modo di produzione feudale
struttura del privilegio
Dopo la rivoluzione francese:
stato borghese
borghesia alla guida dello stato
modo di produzione capitalistico
uguaglianza giuridica
Storiografia, marxisti e revisionisti
L'interpretazione di Marx e la propaganda dei rivoluzionari stessi
ha creato una vera e propria ortodossia nell'interpretazione storica
della rivoluzione francese. Una ortodossia che è giunta fino
agli anni Cinquanta del secolo scorso.
La storiografia marxista ha quindi trattato la rivoluzione francese
come il passaggio (violento) dal sistema feudale a quello
capitalistico-borghese.
Jules Michelet, Jean Jaures, Albert Mathiez, Georges Lefebvre,
Albert Soboul sostengono che la borghesia nel 1789 fosse giunta al
culmine della “lotta di classe” con l'aristocrazia: una casta
chiusa, arroccata nella conservazione del potere e nel mantenimento
del sistema feudale. Il risultato della rivoluzione è uno
stato più avanzato sotto il profilo economico, sociale e
politico.
Nel 1954 uno studioso inglese, Alfred Cobban, rilegge la storia
degli anni rivoluzionari negando la teoria marxista di “big ban”
capitalistico. Cobban tiene un discorso alla University College di
Londra nel 1954 dal titolo “il mito della rivoluzione francese” a
cui farà seguire nel 1964 un testo monografico che
approfondisce le varie questioni. Si tratta del libro in edizione
italiana “La rivoluzione francese”, Bonacci Editore, 1994.
Attraverso uno studio molto attento del materiale dell'epoca confuta
tutti i punti sostenuti dalla storiografica “classica”:
1 – Non c'era il feudalesimo.
Nel 1789 solo un terzo delle terre apparteneva alla classe
aristocratica e i tanto sbandierati privilegi non erano altro che
rimasugli insignificanti per lo sviluppo economico.
2 – Non è la borghesia a fare la rivoluzione.
La miccia fu accesa dai nobili che contrastarono le riforme
finanziarie proposte dal governo. Strano che LA RIVOLUZIONE BORGHESE
sia innescata da un conflitto tra re e nobili!
Nell'assemblea nazionale non c'erano rappresentanti della
fantomatica borghesia capitalistica (industriali, ricchi artigiani,
imprenditori) bensì esponenti della categoria degli
“Officiers” ossia i funzionari pubblici che si erano comprati le
cariche dalla corona. Questo corpo, istruito ma non molto
importante, voleva contare di più e avere maggiori compensi
economici. Ma non sono certo loro a promuovere lo sviluppo
capitalistico del paese.
3 – La rivoluzione danneggia l'economia.
I dati economici confermano l'effetto negativo dei fatti del
1789-1799 sullo sviluppo economico. La rivoluzione ha funzionato da
freno e non da volano per il passaggio da una società
protoindustriale a una società industriale moderna.
Le pubblicazioni di Cobban fanno scuola in Inghilterra. Dopo di lui
altri storici rilanciano la teoria anti-marxista. Taylor sostiene
che i rivoluzionari agiscono con l'intento di imitare lo stile di
vita della nobiltà. Doyle dimostra come il processo
rivoluzionario non si sia sviluppato secondo lo schema della lotta
di classe: appartenenti agli ordini privilegiati erano tutt'altro
che chiusi alle rimostranze dei borghesi. Infine R Forster sostenne
che l'aristocrazia non viene assolutamente distrutta dalla
rivoluzione: nel 1815 infatti le famiglie nobili sono praticamente
le stesse del 1789.
La risposta dei marxisti
Le posizioni degli anglossassoni sono talmente convincenti che molti
storici marxisti rivedono la propria lettura dei fatti alla luce
delle nuove interpretazioni. Gli danno ragione sulla minimalia dei
privilegi (ma sottolineano l'importanza simbolica di questi);
accolgono l'analisi sugli officiers (ma sostengono l'importanza “in
prospettiva” di questa classe sociale); assumono come giusta la
posizione di una campagna francese spesso contraria alle istanze
rivoluzionarie, quindi alla borghesia e al capitalismo. In generale
però ribadiscono l'enorme importanza storica di “esempio” per
tutto il mondo. In particolare François Furet, il maggiore
storico della rivoluzione francese, riprese in mano tutta la
questione arrivando, in un certo senso, ad un punto di sintesi.
Secondo Furet la rivoluzione francese va considerata attraverso tre
processi distinti:
• LIVELLO ECONOMICO
Inizia la trasformazione capitalistica, ma non c'è un
cambiamento positivo, non c'è crescita economica. Anzi, la
rivoluzione è negativa per l'economia francese. Ha ragione
Cobban.
• LIVELLO STORICO SOCIALE
Anche qui gli anglosassoni hanno ragione. Nel 1815 l'ordine sociale
è pressoché identico. I borghesi sono dei conservatori
simili agli aristocratici; vogliono mantenere i privilegi ottenuti e
gli industriali innovatori non ci sono. Il risultato finale è
un compromesso tra grande borghesia e aristocrazia.
• LIVELLO POLITICO
E' il campo delle grandi trasformazioni. Ricordiamoci di Sckocpol:
state braking, state making.
Trionfano le idee illuministiche della libertà dell'individuo
e della libertà del commercio. Vale la legge “uguale per
tutti” e c'è una carta dei diritti del cittadino al di sopra
dell'autorità del capo di stato. E' finito il potere “divino”
e il “modello” feudale. Al suo posto la NAZIONE raccoglie la
sovranità popolare e la realizza tramite un governo eletto
liberamente.
Quindi c'è “rivoluzione borghese” o non c'è?
Nel 1989 la questione non è più dibattuta. La visione
anglosassone ha vinto, anche se è solo una visione parziale.
Tra il 1770 e il 1870 c'è stato un doppio processo di
trasformazione: economico e istituzionale.
ECONOMICO
Nel 1770 è un sistema che inizia il processo di
modernizzazione. La società non era più organizzata
secondo i parametri tipici dell'età feudale, ma restava
qualche elemento fortemente simbolico (privilegi, status speciale)
utile per ribadire la gerarchia di ceto.
Nel 1870 la Francia è un paese moderno, organizzato secondo
il sistema capitalistico.
STATO
Nel 1770 c'è ancora una monarchia assoluta con un sistema di
signorie locali più vicino al sistema feudale che al moderno
stato. L'autorità centrale non ha un reale controllo del
territorio.
Nel 1870 la Francia è una repubblica presidenziale con
parlamento e libere elezioni (a suffragio ridotto). La legge tutela
tutti i cittadini in modo ugualitario, esiste una carta dei diritti
di cittadinanza, il fisco preleva dall'intero corpo produttivo.
Lo storico Thompson ha parlato di “grande arco della
trasformazione”. Un processo che interessa tutti i paesi con tempi e
modi differenti. E che interessa i vari campi in tempi e modi
differenti. Come si vede dal grafico il progresso della politica non
coincide con lo sviluppo dell'economia.
L'economia soffre le turbolenze della rivoluzione; sono le
innovazioni del primo ottocento (treno, telaio meccanico) a far
compiere il grande balzo. Viceversa la politica conosce un clamoroso
avanzamento negli anni rivoluzionari, per poi tornare indietro (ma
non al 1789) dopo il 1815 nel periodo della “restaurazione”.
La rivoluzione francese non può essere considerata
rivoluzione borghese; è l'intero processo di trasformazione a
rivoluzionare stato, economia e società.
È il processo, non il momento!
COSA CAMBIA IN CONCRETO LA RIVOLUZIONE?
Vediamo qual è il contributo della rivoluzione al processo di
trasformazione.
Sotto il profilo economico hanno certamente segnato un passo in
avanti le leggi di liberalizzazione degli scambi commerciali: furono
abolite le dogane interne, furono aboliti i balzelli territoriali,
come le decime e altri residui delle epoche precedenti. Molto
controversa fu la legge LE CHAPELIER che abolì il sistema
delle corporazioni. In pratica colpiva i lavoratori dipendenti
togliendogli le garanzie e le protezioni tradizionali. Il vantaggio
era per gli imprenditori che avevano meno spese e minori obblighi.
Nel complesso però la guerra civile che in pratica
attanagliò il paese per oltre tre anni danneggiò il
sistema economico, colpendo il commercio coloniale e
l'attività portuale di città come Marsiglia e
Bordeaux. La lenta penetrazione del sistema di fabbrica nelle
campagne fu interrotto a causa della rivoluzione.
Dal punto di vista istituzionale la rivoluzione porta a grandi
novità:
Laicizzazione dello stato
Pubblica amministrazione razionale ed efficiente
Istruzione per tutti
Uguaglianza giuridica
Diritti civili
Esercito di leva
Conclusione
Si può ritenere la rivoluzione francese come un momento nel
processo di “rivoluzione borghese” che ha contribuito alla sua
realizzazione in modo esiguo, anzi, negativo per l'aspetto economico
e in modo fondamentale, nonché altamente positivo a livello
politico, giuridico e istituzionale.