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La Restaurazione francese

La Restaurazione francese ebbe inizio quando che gli alleati, dopo aver estromesso Napoleone Bonaparte dalla Francia, riportarono al trono di Francia la dinastia borbonica. Il successivo periodo, fino alla Monarchia di Luglio viene chiamato, nella Storia della Francia, anche restaurazione borbonica, caratterizzata da un brusco conservatorismo e dal ripristino dei poteri politici della Chiesa cattolica.

Luigi XVIII (1814-1824)

Il ritorno al trono di Luigi XVIII nel 1814 venne realizzata grazie all'aiuto di Talleyrand, ex ministro degli esteri di Napoleone Bonaparte, il quale convinse gli Alleati di restaurare la monarchia borbonica. Luigi tuttavia fu obbligato di concedere una costituzione scritta, la Carta del 1814, nella quale veniva garantita una sistema legislativo bicamerale, con una camera dei Pari ereditaria e una camera dei deputati elettiva. Il suffragio veniva limitato agli uomini con considerevoli proprietà. Tuttavia la maggior parte delle riforme amministrative, economiche e legali del periodo rivoluzionario, tra cui il codice napoleonico, la suddivisione amministrativa periferica, restarono intatte. Le relazioni tra la Chiesa e lo Stato rimasero quelle regolate dal concordato del 1801.

Dopo un primo rigoglio di popolarità, le intenzioni di Luigi di rovesciare le conseguenze della Rivoluzione, il re perse velocemente il pubblico consenso della maggioranza della popolazione. Dopo un anno di regno fuggì verso Gand dopo la notizia del ritorno trionfante di Napoleone, ma ritornò subito dopo la battaglia di Waterloo che mise fine ai Cento giorni di regno napoleonico. Questa seconda restaurazione vide le atrocità del Terrore bianco, soprattutto nel sud, dove molti simpatizzanti monarchici uccisero chi aveva facilitato il ritorno di Napoleone. Sebbene il re e i suoi ministri furono contrari a queste violenze, furono poco attivi per fermarle.

I primi ministri di Luigi furono inizialmente dei moderati, tra cui Talleyrand, il Duca di Richelieu e Élie Decazes. La Chambre introuvable eletta nel 1815, era dominata dai monarchici, venne dissolta da Richelieu. Le elezioni del 1816 portarono a una maggioranza più liberale. Lo stesso anno venne riproposto il divieto di divorzio. Intanto anche i liberali stavano diventando meno malleabili, cosicché nel 1820 causò la caduta di Decazes e il trionfo dei monarchici reazionari. Dopo un intervallo in cui Richelieu tornò al potere tra il 1820 e il 1821, venne formato un nuovo ministero con tutti reazionari, con a capo il Conte de Villèle. Tuttavia anche per Villèle le cose non andarono bene e fino a quando Luigi XVIII visse, le politiche di stampo reazionario vennero ridotte al minimo.

Luigi XVIII morì il 16 settembre 1824, suo successore al trono fu il fratello Carlo conte di Atrois, il quale prese il nome di re Carlo X.

Carlo X (1824-1830)

Durante il regno del fratello, il conte di Artois capeggiò l'opposizione reazionaria, che arrivò al potere dopo il drammatico assassinio del duca di Berry, con il ministro Villèle, il quale restò in carica anche dopo l'ascesa al tono di Carlo X. Il nuovo re non si riprese mai dalla perdita del figlio. Nel febbraio 1825 il governo di Villèle votò una legge antisacrilega, con la quale veniva punito con la morte chiunque rubasse le ostie consacrate.

Il governo Villèle si dimise nel 1827 sotto la pressione della stampa liberale, tra cui il Journal des débats, che ospitava gli articoli di Chateaubriand. Il successore di Villèle, il visconte di Martignac, tentò di sferzare una via più moderata, ma nel 1829 Carlo incaricò Jules de Polignac (nipote di Louise de Polastron), un ultrà reazionario, come capo del governo. Polignac diede l'impulso alla colonizzazione francese in Algeria. La dissoluzione della camera dei deputati, con le sue ordinanze di luglio, per mezzo delle quali veniva instaurato un rigido controllo sulla stampa e la restrizione del suffragio, portarono alla cosiddetta "Rivoluzione di Luglio" del 1830. Nonostante Polignac cercasse fortemente l'appoggio dell'aristocrazia, della Chiesa cattolica e dei contadini, fu molto impopolare presso le classi operaie delle nascenti industrie e della borghesia liberale.

Carlo abdicò in favore di suo nipote, il conte di Chambord ed emigrò in Inghilterra. Tuttavia la camera dei deputati, in maggioranza formata da borghesi liberali, rifiutò di confermare re, con il nome di Enrico V, il conte di Chambord. In un voto , largamente boicottato dai conservatori, dichiarava il trono francese vacante, elevando al potere così Luigi Filippo d'Orlèans.

La fine della Restaurazione (1827–1830)

C'è ancora un considerevole dibattito tra gli storici sulla causa della caduta di Carlo X. Ciò che generalmente viene accettato è che tra il 1820 e il 1830 la recessione economica e la crescita dell'opposizione liberale fecero in modo di abbattere il regime conservatore dei Borboni.

Tra il 1827 e il 1830, la Francia dovette far fronte a una crisi economica, forse anche peggiore di quella che causò la Rivoluzione qualche decennio prima. Una serie di cattivi raccolti fecero salire il prezzo dei grani. Per rispondere alla crisi, i contadini francesi chiedevano l'abbassamento delle tariffe sul grano in modo da facilitare la loro situazione economica. Tuttavia, Carlo X, sottomettendosi alle pressioni dei ricchi proprietari terrieri, lasciò le tariffe come erano. Luigi XVIII, dopo il cosiddetto "anno senza estate" (1816-17), diminuì le tariffe dopo una carestia, causò per contro le ire dei proprietari terrieri francesi, la tradizione base d'appoggio dei Borboni. Tuttavia i contadini francesi del periodo 1827-1830 si trovavano di fronte a una relativa crisi economica.

Allo stesso tempo, pressioni internazionali combinate assieme a un indebolimento delle province portarono a una decrescita economica nei centri urbani. Mentre l'economia francese stava andando in crisi, una serie di elezioni portò a rafforzare il blocco liberale. Infatti da 17 deputati del 1824, i liberali passarono a 180 nel 1827 e 274 nel 1830. La maggioranza liberale vide aumentare il potere grazie anche all'insoddisfazione verso le politiche del centrista Martignac e del reazionario Polignac. I liberali chiedevano l'espansione del suffragio e l'adozione di politiche economiche più liberali. Inoltre chiedevano il diritto di nominare il primo ministro.

Inoltre, l'incremento del "blocco liberale" nella Camera dei deputati corrisponde anche con la crescita esponenziale della stampa liberale. Centrata soprattutto su Parigi, la stampa liberale forniva un punto di vista diverso dai servizi giornalistici conservatori. La stampa liberale divenne importante nelle opinioni politiche del pubblico parigino; può essere vista come un punto di incontro tra la borghesia liberale e i ceti più poveri.

Quindi nel 1830, il governo di Carlo X si trovava in difficoltà su diversi fronti. La maggioranza liberale non aveva intenzione di finanziare la politica aggressiva di Polignac. La crescita della stampa liberale di Parigi fu pertanto la causa di un cambiamento delle opinioni politiche in senso più progressista, cosicché la base di potere di Carlo X diventò sempre più isolata.

Le quattro ordinanze

Teoricamente, con l'adozione della carta del 1814, la Francia diventava una monarchia costituzionale. Sebbene al re venisse ancora attribuito ancora molti poteri, il sovrano fu più volte riluttante a far passare alcuni decreti. La Carta fissava anche il metodo di elezione dei deputati e i diritti del blocco di maggioranza. Tuttavia Carlo X nel 1830 si trovò di fronte a un problema poiché non poteva oltrepassare i suoi poteri costituzionali e non potendo preservare le sue politiche con una maggioranza in seno alla Camera dei Deputati. Venne pertanto richiesta un'azione risolutiva. Nel marzo 1830 veniva posto in atto dei decreti con i quali veniva fortemente alterata la carta del 1814. Questi decreti sono conosciuti come le Quattro ordinanze, esse comprendevano:

Dissoluzione della Camera dei deputati;
Restrizione della libertà di stampa;
Restrizione del suffragio a solo la gente più ricca di Francia;
Nuove elezioni immediate basate sul nuovo suffragio.

Il 10 luglio 1830, poco prima che il re facesse le sue dichiarazioni, un gruppo di giornalisti liberali e ricchi editori, con a capo Adolphe Thiers, si incontrarono a Parigi per decidere su una strategia per contrapporsi a Carlo X. Venne così deciso, solo tre settimane prima della Rivoluzione, quando Carlo avesse fatto il suo proclama, l'establishment giornalistico avrebbe pubblicato dei commenti velenosi sulle politiche del monarca nel tentativo di mobiliare le masse. Così quando Carlo X fece le sue dichiarazioni il 25 luglio 1830, la stampa liberale si mobilitò, con la pubblicazione di articoli e lamentele nelle quali veniva descritto il dispotismo dell'azione del re.

Anche il popolo di Parigi iniziò ad insorgere, guidato da fervore patriottico. Vennero innalzate barricate. Vennero attaccate le infrastrutture di Carlo X. In pochi giorni, la situazione degenerò e il re non fu più in grado di controllarla. Poiché la Corona si mosse per far sospendere la stampa liberale, il popolo parigino difese strenuamente queste pubblicazioni e, non solo, anche attaccando la stampa favorevole ai Borboni e paralizzando l'apparato coercitivo. Scorgendo l'opportunità, i liberali iniziavano a proporre risoluzioni nella Camera dei Deputati.

I re abdicò il 30 luglio. Venti minuti dopo l'abdicazione, anche il figlio di Carlo, il duca di Angouleme, abdicò. La corona quindi doveva passare al nipote di Carlo X, ossia a Enrico V, ma la Camera dei Deputati dichiarò il trono vacante e elevò Luigi-Filippo d'Orléans al potere, cosicché iniziò il periodo della "monarchia di luglio".

Luigi-Filippo e la Casa di Orléans

Luigi Filippo ascese al trono con la Rivoluzione di Luglio del 1830, tuttavia non diventò "re di Francia", bensì "re dei francesi", cosicché venne marcato il concetto di sovranità nazionale e abbattuto, almeno in parte, il concetto legittimista, di sovranità per volere divino. Nel 1848 venne esautorato anche Luigi Filippo. Si formò così la seconda repubblica francese, dopo l'elezione come presidente, di Luigi Napoleone Bonaparte.

Partiti politici della Restaurazione

Durante la Restaurazione i partiti politici videro sostanziali cambiamenti di allineamento. La Camera dei Deputati oscillava tra la fase monarchico-reazionaria e la fase liberal-progressista. Gli oppositori alla monarchia erano assenti dalla scena politica dopo la repressione del "Secondo Terrore bianco".

Tutti i partiti erano timorosi della gente comune, tanto che Adolphe Thiers ne riferì come "la moltitudine a buon mercato". La visione politica si fermava a favorire i ceti dominanti. I cambiamenti politici all'interno della Camera dei Deputati erano dovuti all'abuso delle maggioranze o a eventi critici.

Le discussioni politiche riguardavano soprattutto la lotta tra potenti, invece di una più nobile contrapposizione tra tirannia e nobile difesa degli interessi del popolo. Sebbene molti deputati rivendicavano la difesa degli interessi del popolo, molti di loro aveva paura non solo della gente comune, delle innovazioni e del socialismo, ma anche di estendere il diritto di voto.

I principali gruppi politici della Restaurazione in Francia


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La Reataurazione europea

La Restaurazione, sul piano strettamente storico-politico, è il processo di ristabilimento del potere dei sovrani assoluti in Europa, ossia dell'Ancien Régime, in seguito alla sconfitta di Napoleone. Essa ha inizio nel 1814 con il Congresso di Vienna, convocato dalle grandi potenze per ridisegnare i confini europei (gli Imperi di Austria e Russia e i Regni di Prussia e Gran Bretagna).

In senso più ampio, per Restaurazione si intende il movimento reazionario teso a contrastare le idee della Rivoluzione francese, diffuse in tutta Europa dagli eserciti napoleonici. Da questo punto di vista, essa si presenta come un fenomeno che trascende il piano puramente politico per estendersi a quello culturale. L'età della Restaurazione si fa infatti coincidere in letteratura con il Romanticismo e in filosofia con l'Idealismo. Essa può considerarsi conclusa con i moti del 1830-1831.

La nuova concezione romantica della Storia

«S'identificò la storia della civiltà con la storia della religione, e si scorse una forza provvidenziale non solo nelle monarchie, ma sin nel carnefice, che non potrebbe sorgere e operare nella sua sinistra funzione se non lo suscitasse, a tutela della giustizia, Iddio: tanto è lungi dall'essere operatore e costruttore di storia l'arbitrio individuale e il raziocinio logico. »
(Adolfo Omodeo, L'età del Risorgimento italiano, Napoli,1955)

Nel Congresso di Vienna si confrontarono due linee politiche contrapposte: coloro che volevano un puro e semplice ritorno al passato e quelli che sostenevano la necessità di un compromesso con la storia trascorsa: «Conservare progredendo» era la loro parola d'ordine. Questo contrapposto modo di pensare l'azione politica nasceva paradossalmente da un unico punto di origine ideale.

Nell'età della Restaurazione si avanzava infatti una nuova concezione della storia che smentiva quella degli illuministi basata sulla capacità degli uomini di costruire e guidare la storia con la ragione. Le vicende della Rivoluzione francese e il periodo napoleonico avevano dimostrato che gli uomini si propongono di perseguire alti e nobili fini che s'infrangono dinanzi alla realtà storica. Il secolo dei lumi era infatti tramontato nelle stragi del Terrore e il sogno di libertà nella tirannide napoleonica che mirando alla realizzazione di un'Europa al di sopra delle singole nazioni aveva determinato invece la ribellione dei singoli popoli proprio in nome del loro sentimento di nazionalità.
Dunque la storia non è guidata dagli uomini ma è Dio che agisce nella storia.[1] Esiste una Provvidenza divina che s'incarica di perseguire fini al di là di quelli che gli uomini ingenuamente si propongono di conseguire con la loro meschina ragione.

La concezione reazionaria 

Da questa nuova concezione romantica della storia opera della volontà divina si promanano due visioni contrapposte: la prima è una prospettiva reazionaria che vede nell'intervento di Dio nella storia una sorta di avvento di un'apocalisse che metta fine alla sciagurata storia degli uomini. Napoleone è stato con le sue continue guerre l'Anticristo di questa apocalisse. Dio segnerà la fine della storia malvagia e falsamente progressiva ed allora agli uomini non rimarrà che volgersi al passato per preservare e conservare quanto di buono era stato realizzato. Si cercherà in ogni modo di cancellare tutto ciò che è accaduto dalla Rivoluzione a Napoleone restaurando il passato. I sovrani restaurati dal Congresso di Vienna tenteranno di ripristinare le vecchie strutture politiche e sociali spazzate via dalla Rivoluzione francese e da Napoleone ma il loro sarà un compito impossibile. "L'aratro della Rivoluzione" scrive lo storico tedesco Franz Mehring Absolutisme et Révolution en Allemagne (1525–1848) "aveva sconvolto troppo in profondità il suo terreno, fino ai campi di neve della Russia; un ritorno alle condizioni che avevano dominato in Europa fino al 1789 era impossibile".

È stato detto che mentre Napoleone veniva sconfitto sui campi di battaglia gli ideali di cui si era fatto portatore ispiravano, sia pure forzatamente, quei sovrani reazionari che lo combattevano. Si erano visti sovrani conservatori pressati dai tempi nuovi come Ferdinando IV di Borbone re di Napoli e Ferdinando VII di Spagna che fin dal 1812 avevano concesso ai loro sudditi addirittura la Costituzione. Vero è che questi stessi sovrani, dopo la caduta di Napoleone, cancellarono con un tratto di penna quanto avevano concesso ma dovettero poi affrontare moti insurrezionali interni che riuscirono a fatica a controllare solo con l'intervento della Santa Alleanza.

La concezione progressista
Un'altra prospettiva, che nasce dalla stessa concezione della storia guidata dalla Provvidenza, è quella che potremo definire liberale che vede nell'azione divina una volontà diretta, nonostante tutto, al bene degli uomini escludendo che nei tempi nuovi ci sia una sorta di vendetta di Dio che voglia far espiare agli uomini la loro presunzione di creatori di storia. È questa una visione dinamica della storia che troviamo in Saint Simon con la concezione di un nuovo cristianesimo per una nuova società o in Lamennais che vede nel cattolicesimo una forza rigeneratrice della vita sociale. Una concezione progressiva quindi che è presente in Italia nell'opera letteraria di Alessandro Manzoni e nel pensiero politico di Gioberti con il progetto neoguelfo e nell'ideologia mazziniana.

Gli antesignani e i teorici della Restaurazione

Questa nuova visione della storia intesa come espressione della volontà divina e quindi come base teorica dell'unione di politica e religione e della legittimità del potere politico per "grazia di Dio", aveva avuto, già prima della Restaurazione, i suoi principali teorici nell'anglo-irlandese Edmund Burke, nei francesi François-René de Chateaubriand e Louis de Bonald, nell'italiano Joseph de Maistre.

Nelle Riflessioni sulla Rivoluzione in Francia, pubblicate nel 1790, Burke mettendo a confronto la rivoluzione inglese del 1688 con quella francese vede nella prima una linea evolutiva che si era sviluppata per gradi nel rispetto delle tradizioni e questo «lascia libera la possibilità di nuovi acquisti, ma fornisce la garanzia assicurata di ogni acquisto»[2] mentre la seconda gli appare come un evento caotico in cui si mescolano «leggerezza e ferocia, confusione di delitti e di follie travolti insieme»[3]. Nella stessa opera contesta il principio della sovranità popolare e della democrazia a cui contrappone la supremazia dell'aristocrazia e dell'ordine sociale legittimati dalla loro natura divina. Per lui le masse, che esprimono una maggioranza che scioccamente pretende di prevalere sulla minoranza mentre non sa distinguere il suo vero interesse, sono il sostegno del dispotismo e la Rivoluzione francese era perciò destinata a fallire poiché si era allontanata dalla grande e diritta via della natura.

François-René de Chateaubriand fin dal 1802 aveva attaccato con il suo "Génie du Christianisme" (Genio del Cristianesimo) le dottrine illuministiche accusandole di estremo razionalismo e difendendo la religione e il Cristianesimo. Louis de Bonald, fervente monarchico e cattolico, fu la voce più importante degli ultra-legittimisti. Aveva aderito all'inizio alle idealità rivoluzionarie che ripudiò dopo i provvedimenti anticlericali sanciti con la Costituzione civile del clero.
«Credo possibile dimostrare che l'uomo non può dare una costituzione alla società religiosa o politica, così come non può dare la pesantezza ai corpi o l'estensione alla materia. »
(Louis de Bonald, Teoria del potere politico e religioso nella società civile, 1796)

Nelle sue numerose opere,[4] attaccò la Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino, il Contratto sociale di Jean-Jacques Rousseau e le innovazioni sociali e politiche portate dalla Rivoluzione sostenendo il ritorno all'autorità della monarchia e della religione. La rivoluzione stessa, egli sosteneva, è una specie di prova dell’esistenza di Dio, poiché mette in luce come l’eliminazione della religione conduca alla distruzione della società. L’ambito religioso e quello politico sono, agli occhi di Bonald, inseparabili.

Ma il vero teorico della Restaurazione fu il savoiardo Joseph de Maistre. Sulla linea del tradizionalismo di Burke nell'opera Du Pape (1819) egli sostiene la concezione della storia come depositaria di valori etici trascendenti. Nel Medioevo la Chiesa è stata il sostegno dell'ordine sociale e questo la rende superiore al potere civile che solo essa può rendere legittimo in quanto depositaria e interprete della volontà divina.

Le teorie illuministiche sulla libertà naturale dell'uomo sono semplici follie e diaboliche stranezze. L'uomo è troppo malvagio per poter essere libero, egli è invece nato naturalmente servo e tale è stato sino a quando il Cristianesimo lo ha liberato. Il Cristianesimo autentico è quello cattolico, rappresentato dal pontefice romano che ha proclamato la libertà universale ed è l'unico nella generale debolezza di tutte le sovranità europee ad aver conservato la sua forza e il suo prestigio.

De Maistre condivide poi l'analisi di Burke sulla falsa pretesa della maggioranza di prevalere sulla minoranza, mentre invece «dovunque il piccolissimo numero ha sempre condotto il grande» e per questo è diritto legittimo dell'aristocrazia l'assumere la guida del Paese.[5]

Il congresso di Vienna e la restaurazione

Il Congresso di Vienna (1814-1815) fu la conferenza dei maggiori ambasciatori europei nella quale si ridisegnò la mappa del continente secondo i voleri degli stati vincitori. I princìpi fondamentali che informarono il congresso furono definiti come restaurazione, legittimità e equilibrio. Il primo prevedeva il ritorno alla situazione politica e ai confini del 1792. Il ritorno alla legittimità ripristinò le prerogative della nobiltà europea e delle famiglie regnanti. L'equilibrio, diceva che tutte le potenze dovevano avere uguale forza politica. Nel Congresso di Vienna vennero prese le principali decisioni dai delegati delle più grandi nazioni europee del XIX secolo (Austria, Prussia, Russia ed Inghilterra) che avevano reso possibile la definitiva sconfitta nella battaglia di Waterloo (in Belgio) di Napoleone Bonaparte, ossia: Handemberg (prussiano), Robert Stewart, Visconte Castlereagh (inglese), lo stesso zar Alessandro I e Metternich, grande diplomatico e politico austriaco che influì notevolmente nella configurazione geo-politica dell'Europa post Napoleonica.

In principio frenato dalle pretese di Prussia e Russia che esigevano venissero loro annessi nuovi territori, fu decisivo l'intervento del francese Charles Maurice de Talleyrand-Périgord (ecclesiastico e diplomatico che passò la fase della rivoluzione e il dominio napoleonico, prima sostenendolo poi avversandolo, prodigandosi per l'ascesa al potere di Luigi XVIII), il quale, schierandosi a favore di Inghilterra e Austria, riuscì a far tornare sui propri passi le altre due potenze, che ritrattarono.

Il Congresso si basò su tre principi cardine:
il principio di equilibrio: in base al quale nessuna potenza dovesse rafforzarsi eccessivamente a danno delle altre.
il principio di legittimità per il quale assiduamente combatté Talleyrand e che prevedeva il ritorno al potere di tutte quelle dinastie precedenti al dominio Napoleonico;
la cintura di Stati "cuscinetto" intorno alla Francia, per impedire la sua egemonia su tutta l'Europa.

In seguito nella suddetta assemblea, si sancirono due alleanze: la Santa alleanza tra Russia, Austria e Prussia e la Quadruplice alleanza formata dalle precedenti nazioni più l'Inghilterra. Questa alleanza si basava sul principio di intervento: nel caso uno Stato avesse avuto dei problemi causati da disordini rivoluzionari che potevano contagiare gli altri stati questi si ritenevano in obbligo d'intervenire per sedare le rivolte. Al principio di non ingerenza negli affari interni di uno stato si sostituiva l'ideale della solidarietà internazionale da attuarsi con la periodica consultazione dei governi europei nei Congressi e tramite quello strumento di polizia internazionale che era la Santa Alleanza.
Comprendere il Congresso di Vienna è molto importante per capire in seguito gli scopi della Restaurazione, in quanto fu proprio questa assemblea il simbolo dell'iniziativa intrapresa dalle superpotenze del continente.
Conseguenze della Restaurazione [modifica]

Alla caduta di Napoleone e del suo Impero, in Europa serpeggiava l’idea che si era chiusa una parentesi: ora c’era l’Europa di prima da ricostruire. Teoricamente si cercò di ritornare integralmente all’Ancien Régime, ma in pratica si trovò un compromesso fra il vecchio e il nuovo sistema di governo culminante nel Congresso di Vienna. Molte delle istituzioni francesi, in campo amministrativo, giuridico ed economico, vennero mantenute là dove i francesi le avevano instaurate. Era poi difficile sradicare dalle coscienze le idee di libertà e uguaglianza introdotte con la rivoluzione. Infine, questo tentativo di ritorno all’Ancien Régime era un compromesso antistorico, per l’irreversibilità del processo di secolarizzazione iniziato, o meglio, affrettato dalla rivoluzione francese.

Conseguenze dal punto di vista politico

Dal punto di vista politico furono ripristinate o abolite molte istituzioni introdotte dalla rivoluzione francese: per es. il divorzio introdotto in Francia nel 1792 e abolito nel 1816 (per essere nuovamente ripristinato nel 1884). Si cercò, come nell'Ancien Régime, una più stretta unione fra trono e altare, fra Stato e Chiesa (ne è un esempio clamoroso la consacrazione regia di Carlo X nel 1824).

Cambiamenti della geografia politica 

Dopo il congresso, la geografia politica del continente subì molte modifiche: le potenze vincitrici cambiarono a loro vantaggio i loro confini, talvolta annettendosi piccoli stati: la Prussia ottenne la Renania; nacque il Regno dei Paesi Bassi; l'Impero russo acquistò posizione nel centro Europa annettendo la Bessarabia, la Finlandia e parte della Polonia; la Gran Bretagna acquisì il controllo di alcune isole ioniche: (Corfù, Zante, Cefalonia).

Il Sacro Romano Impero non fu ricostituito e al suo posto venne creata la Confederazione germanica, presieduta dagli Asburgo; quest'ultimi imposero il loro dominio sulle annesse Repubblica di Venezia e Repubblica di Ragusa.

La Repubblica di Genova fu unita al Regno di Sardegna allo scopo di costituire un più efficace stato cuscinetto nei confronti della Francia.

La regione veneta fu unita col vecchio Ducato di Milano a formare il Regno Lombardo-Veneto diretto subalterno dell'Austria.

Nel resto della penisola italiana furono ripristinati i precedenti stati, ossia il Ducato di Parma, il Ducato di Modena, il Granducato di Toscana, lo Stato della Chiesa (privato delle sue storiche enclave francesi [6]).

Il Regno di Napoli venne ricondotto sotto la monarchia di Ferdinando IV di Borbone che già governava il Regno di Sicilia che venne abolito nel 1816 con la creazione del Regno delle Due Sicilie con capitale Napoli. Il re assunse il nuovo titolo di Ferdinando I delle Due Sicilie.

A Parigi, nel maggio 1814, era stato insediato il nuovo re Luigi XVIII fratello minore del decapitato Luigi XVI.

Conseguenze dal punto di vista religioso

Dal punto di vista ecclesiastico, è possibile elencare questi aspetti:
ci fu un tentativo di ritornare a una società ufficialmente cristiana. Esempi: il diritto dei vescovi di far ritirare libri pericolosi; la legge contro il sacrilegio in Francia; una pastorale cattolica fondata in molti casi ancora sulla coazione (per essere ammesso per es. a un esame universitario occorreva un certificato di adempimento dei doveri religiosi, il cosiddetto «biglietto pasquale»);
ma anche un serio sforzo di rinnovamento religioso. Ad esempio:
la riforma degli antichi ordini religiosi e restaurazione della Compagnia di Gesù;
la nascita e proliferazione di nuovi istituti religiosi, maschili e femminili; specialmente nel settore femminile il fenomeno costituisce una novità quasi assoluta;
un forte sviluppo delle missioni popolari in Francia, Italia e nei paesi tedeschi, per riparare alla scristianizzazione delle masse (possiamo vedervi i primi germi di una azione cattolica);
la nascita di società (a volte semi-segrete) per la difesa della fede, con influssi politici reali e fortemente reazionari (cfr. i Chevaliers de la Foi di Ferdinand de Bertier; la «Congregazione mariana» dei gesuiti a Parigi);
innegabile fu l’anticlericalismo di molti ambienti della restaurazione, che è poi all’origine dell’anticlericalismo liberale.

L'epoca della restaurazione per la Chiesa coincise con l'opera teorica di Antonio Rosmini e i pontificati di Pio VII (1800-1823), Leone XII (1823-1829), Pio VIII (1829-1830) e Pio VIII (1831-1846).

In ambiente curiale romano si dibattevano due linee, due modi di interpretare questo periodo:
i politicanti (detti anche liberali), che si affidano ai mezzi politici per realizzare la necessaria restaurazione cattolica: perciò si mostrano concilianti verso alcune aspirazioni moderne, e moderati nelle relazioni con i diversi governi (consci dei vantaggi che la Chiesa può avere dai favori ufficiali); fanno parte di questo partito i Papi Pio VII e Pio VIII;
gli zelanti, decisamente contrari ai precedenti, fautori dell’assolutismo in politica e del ritorno della religione di Stato, ma insieme desiderosi di vedere la chiesa libera da ogni ingerenza statale; in genere sono conservatori, fermi agli antichi privilegi, motivati, più dei politicanti, da considerazioni religiose; fanno parte di questo partito i Papi Leone XII e Gregorio XVI.

Gli obiettivi della restaurazione [

La Restaurazione in effetti si identifica con la volontà unanime del Congresso anche se successivamente vedremo come si creeranno delle discordie anche all'interno di questo circolo privato nazionale.

L'errore principale commesso dai monarchi del XIX secolo consiste nel non aver saputo (o meglio nel non aver voluto) conciliare le ideologie presenti con quelle passate, imponendosi prepotentemente sui governi di tutta Europa in modo assolutistico senza aver tenuto conto delle nuove idee di nazionalità, liberalismo e democrazia che, la Rivoluzione Francese prima e Napoleone poi, seppur inconsciamente e involontariamente, avevano insinuato nelle menti dei popoli.

In sintesi, l'Europa era ideologicamente cambiata dall'avvento di Napoleone ma i sovrani del tempo sembrarono non voler tener in conto questo fatto, fingendo che 26 anni di storia (1789-1815) non fossero mai esistiti.
Le conseguenze di questo atteggiamento intollerante si manifesteranno sull'Europa cinquant'anni più tardi prima nel Risorgimento italiano e poi nelle Rivoluzioni che scuoteranno il secolo successivo.