Wikipedia
    
La Restaurazione francese
    
La Restaurazione francese ebbe inizio quando che gli alleati,
      dopo aver estromesso Napoleone Bonaparte dalla Francia,
      riportarono al trono di Francia la dinastia borbonica. Il
      successivo periodo, fino alla Monarchia di Luglio viene chiamato,
      nella Storia della Francia, anche restaurazione borbonica,
      caratterizzata da un brusco conservatorismo e dal ripristino dei
      poteri politici della Chiesa cattolica.
      
      Luigi XVIII (1814-1824)
      
      Il ritorno al trono di Luigi XVIII nel 1814 venne realizzata
      grazie all'aiuto di Talleyrand, ex ministro degli esteri di
      Napoleone Bonaparte, il quale convinse gli Alleati di restaurare
      la monarchia borbonica. Luigi tuttavia fu obbligato di concedere
      una costituzione scritta, la Carta del 1814, nella quale veniva
      garantita una sistema legislativo bicamerale, con una camera dei
      Pari ereditaria e una camera dei deputati elettiva. Il suffragio
      veniva limitato agli uomini con considerevoli proprietà.
      Tuttavia la maggior parte delle riforme amministrative, economiche
      e legali del periodo rivoluzionario, tra cui il codice
      napoleonico, la suddivisione amministrativa periferica, restarono
      intatte. Le relazioni tra la Chiesa e lo Stato rimasero quelle
      regolate dal concordato del 1801.
      
      Dopo un primo rigoglio di popolarità, le intenzioni di
      Luigi di rovesciare le conseguenze della Rivoluzione, il re perse
      velocemente il pubblico consenso della maggioranza della
      popolazione. Dopo un anno di regno fuggì verso Gand dopo la
      notizia del ritorno trionfante di Napoleone, ma ritornò
      subito dopo la battaglia di Waterloo che mise fine ai Cento giorni
      di regno napoleonico. Questa seconda restaurazione vide le
      atrocità del Terrore bianco, soprattutto nel sud, dove
      molti simpatizzanti monarchici uccisero chi aveva facilitato il
      ritorno di Napoleone. Sebbene il re e i suoi ministri furono
      contrari a queste violenze, furono poco attivi per fermarle.
      
      I primi ministri di Luigi furono inizialmente dei moderati, tra
      cui Talleyrand, il Duca di Richelieu e Élie Decazes. La
      Chambre introuvable eletta nel 1815, era dominata dai monarchici,
      venne dissolta da Richelieu. Le elezioni del 1816 portarono a una
      maggioranza più liberale. Lo stesso anno venne riproposto
      il divieto di divorzio. Intanto anche i liberali stavano
      diventando meno malleabili, cosicché nel 1820 causò
      la caduta di Decazes e il trionfo dei monarchici reazionari. Dopo
      un intervallo in cui Richelieu tornò al potere tra il 1820
      e il 1821, venne formato un nuovo ministero con tutti reazionari,
      con a capo il Conte de Villèle. Tuttavia anche per
      Villèle le cose non andarono bene e fino a quando Luigi
      XVIII visse, le politiche di stampo reazionario vennero ridotte al
      minimo.
      
      Luigi XVIII morì il 16 settembre 1824, suo successore al
      trono fu il fratello Carlo conte di Atrois, il quale prese il nome
      di re Carlo X.
      
      Carlo X (1824-1830)
      
      Durante il regno del fratello, il conte di Artois capeggiò
      l'opposizione reazionaria, che arrivò al potere dopo il
      drammatico assassinio del duca di Berry, con il ministro
      Villèle, il quale restò in carica anche dopo
      l'ascesa al tono di Carlo X. Il nuovo re non si riprese mai dalla
      perdita del figlio. Nel febbraio 1825 il governo di Villèle
      votò una legge antisacrilega, con la quale veniva punito
      con la morte chiunque rubasse le ostie consacrate.
      
      Il governo Villèle si dimise nel 1827 sotto la pressione
      della stampa liberale, tra cui il Journal des débats, che
      ospitava gli articoli di Chateaubriand. Il successore di
      Villèle, il visconte di Martignac, tentò di sferzare
      una via più moderata, ma nel 1829 Carlo incaricò
      Jules de Polignac (nipote di Louise de Polastron), un ultrà
      reazionario, come capo del governo. Polignac diede l'impulso alla
      colonizzazione francese in Algeria. La dissoluzione della camera
      dei deputati, con le sue ordinanze di luglio, per mezzo delle
      quali veniva instaurato un rigido controllo sulla stampa e la
      restrizione del suffragio, portarono alla cosiddetta "Rivoluzione
      di Luglio" del 1830. Nonostante Polignac cercasse fortemente
      l'appoggio dell'aristocrazia, della Chiesa cattolica e dei
      contadini, fu molto impopolare presso le classi operaie delle
      nascenti industrie e della borghesia liberale.
      
      Carlo abdicò in favore di suo nipote, il conte di Chambord
      ed emigrò in Inghilterra. Tuttavia la camera dei deputati,
      in maggioranza formata da borghesi liberali, rifiutò di
      confermare re, con il nome di Enrico V, il conte di Chambord. In
      un voto , largamente boicottato dai conservatori, dichiarava il
      trono francese vacante, elevando al potere così Luigi
      Filippo d'Orlèans.
      
      La fine della Restaurazione (1827–1830)
      
      C'è ancora un considerevole dibattito tra gli storici sulla
      causa della caduta di Carlo X. Ciò che generalmente viene
      accettato è che tra il 1820 e il 1830 la recessione
      economica e la crescita dell'opposizione liberale fecero in modo
      di abbattere il regime conservatore dei Borboni.
      
      Tra il 1827 e il 1830, la Francia dovette far fronte a una crisi
      economica, forse anche peggiore di quella che causò la
      Rivoluzione qualche decennio prima. Una serie di cattivi raccolti
      fecero salire il prezzo dei grani. Per rispondere alla crisi, i
      contadini francesi chiedevano l'abbassamento delle tariffe sul
      grano in modo da facilitare la loro situazione economica.
      Tuttavia, Carlo X, sottomettendosi alle pressioni dei ricchi
      proprietari terrieri, lasciò le tariffe come erano. Luigi
      XVIII, dopo il cosiddetto "anno senza estate" (1816-17),
      diminuì le tariffe dopo una carestia, causò per
      contro le ire dei proprietari terrieri francesi, la tradizione
      base d'appoggio dei Borboni. Tuttavia i contadini francesi del
      periodo 1827-1830 si trovavano di fronte a una relativa crisi
      economica.
      
      Allo stesso tempo, pressioni internazionali combinate assieme a un
      indebolimento delle province portarono a una decrescita economica
      nei centri urbani. Mentre l'economia francese stava andando in
      crisi, una serie di elezioni portò a rafforzare il blocco
      liberale. Infatti da 17 deputati del 1824, i liberali passarono a
      180 nel 1827 e 274 nel 1830. La maggioranza liberale vide
      aumentare il potere grazie anche all'insoddisfazione verso le
      politiche del centrista Martignac e del reazionario Polignac. I
      liberali chiedevano l'espansione del suffragio e l'adozione di
      politiche economiche più liberali. Inoltre chiedevano il
      diritto di nominare il primo ministro.
      
      Inoltre, l'incremento del "blocco liberale" nella Camera dei
      deputati corrisponde anche con la crescita esponenziale della
      stampa liberale. Centrata soprattutto su Parigi, la stampa
      liberale forniva un punto di vista diverso dai servizi
      giornalistici conservatori. La stampa liberale divenne importante
      nelle opinioni politiche del pubblico parigino; può essere
      vista come un punto di incontro tra la borghesia liberale e i ceti
      più poveri.
      
      Quindi nel 1830, il governo di Carlo X si trovava in
      difficoltà su diversi fronti. La maggioranza liberale non
      aveva intenzione di finanziare la politica aggressiva di Polignac.
      La crescita della stampa liberale di Parigi fu pertanto la causa
      di un cambiamento delle opinioni politiche in senso più
      progressista, cosicché la base di potere di Carlo X
      diventò sempre più isolata.
      
      Le quattro ordinanze
      
      Teoricamente, con l'adozione della carta del 1814, la Francia
      diventava una monarchia costituzionale. Sebbene al re venisse
      ancora attribuito ancora molti poteri, il sovrano fu più
      volte riluttante a far passare alcuni decreti. La Carta fissava
      anche il metodo di elezione dei deputati e i diritti del blocco di
      maggioranza. Tuttavia Carlo X nel 1830 si trovò di fronte a
      un problema poiché non poteva oltrepassare i suoi poteri
      costituzionali e non potendo preservare le sue politiche con una
      maggioranza in seno alla Camera dei Deputati. Venne pertanto
      richiesta un'azione risolutiva. Nel marzo 1830 veniva posto in
      atto dei decreti con i quali veniva fortemente alterata la carta
      del 1814. Questi decreti sono conosciuti come le Quattro
      ordinanze, esse comprendevano:
      
      Dissoluzione della Camera dei deputati;
      Restrizione della libertà di stampa;
      Restrizione del suffragio a solo la gente più ricca di
      Francia;
      Nuove elezioni immediate basate sul nuovo suffragio.
    
Il 10 luglio 1830, poco prima che il re facesse le sue
      dichiarazioni, un gruppo di giornalisti liberali e ricchi editori,
      con a capo Adolphe Thiers, si incontrarono a Parigi per decidere
      su una strategia per contrapporsi a Carlo X. Venne così
      deciso, solo tre settimane prima della Rivoluzione, quando Carlo
      avesse fatto il suo proclama, l'establishment giornalistico
      avrebbe pubblicato dei commenti velenosi sulle politiche del
      monarca nel tentativo di mobiliare le masse. Così quando
      Carlo X fece le sue dichiarazioni il 25 luglio 1830, la stampa
      liberale si mobilitò, con la pubblicazione di articoli e
      lamentele nelle quali veniva descritto il dispotismo dell'azione
      del re.
      
      Anche il popolo di Parigi iniziò ad insorgere, guidato da
      fervore patriottico. Vennero innalzate barricate. Vennero
      attaccate le infrastrutture di Carlo X. In pochi giorni, la
      situazione degenerò e il re non fu più in grado di
      controllarla. Poiché la Corona si mosse per far sospendere
      la stampa liberale, il popolo parigino difese strenuamente queste
      pubblicazioni e, non solo, anche attaccando la stampa favorevole
      ai Borboni e paralizzando l'apparato coercitivo. Scorgendo
      l'opportunità, i liberali iniziavano a proporre risoluzioni
      nella Camera dei Deputati.
      
      I re abdicò il 30 luglio. Venti minuti dopo l'abdicazione,
      anche il figlio di Carlo, il duca di Angouleme, abdicò. La
      corona quindi doveva passare al nipote di Carlo X, ossia a Enrico
      V, ma la Camera dei Deputati dichiarò il trono vacante e
      elevò Luigi-Filippo d'Orléans al potere,
      cosicché iniziò il periodo della "monarchia di
      luglio".
      
      Luigi-Filippo e la Casa di Orléans
      
      Luigi Filippo ascese al trono con la Rivoluzione di Luglio del
      1830, tuttavia non diventò "re di Francia", bensì
      "re dei francesi", cosicché venne marcato il concetto di
      sovranità nazionale e abbattuto, almeno in parte, il
      concetto legittimista, di sovranità per volere divino. Nel
      1848 venne esautorato anche Luigi Filippo. Si formò
      così la seconda repubblica francese, dopo l'elezione come
      presidente, di Luigi Napoleone Bonaparte.
      
      Partiti politici della Restaurazione
      
      Durante la Restaurazione i partiti politici videro sostanziali
      cambiamenti di allineamento. La Camera dei Deputati oscillava tra
      la fase monarchico-reazionaria e la fase liberal-progressista. Gli
      oppositori alla monarchia erano assenti dalla scena politica dopo
      la repressione del "Secondo Terrore bianco".
      
      Tutti i partiti erano timorosi della gente comune, tanto che
      Adolphe Thiers ne riferì come "la moltitudine a buon
      mercato". La visione politica si fermava a favorire i ceti
      dominanti. I cambiamenti politici all'interno della Camera dei
      Deputati erano dovuti all'abuso delle maggioranze o a eventi
      critici.
      
      Le discussioni politiche riguardavano soprattutto la lotta tra
      potenti, invece di una più nobile contrapposizione tra
      tirannia e nobile difesa degli interessi del popolo. Sebbene molti
      deputati rivendicavano la difesa degli interessi del popolo, molti
      di loro aveva paura non solo della gente comune, delle innovazioni
      e del socialismo, ma anche di estendere il diritto di voto.
      
      I principali gruppi politici della Restaurazione in Francia
    
      *
    
La Reataurazione europea
    
La Restaurazione, sul piano strettamente storico-politico,
      è il processo di ristabilimento del potere dei sovrani
      assoluti in Europa, ossia dell'Ancien Régime, in seguito
      alla sconfitta di Napoleone. Essa ha inizio nel 1814 con il
      Congresso di Vienna, convocato dalle grandi potenze per
      ridisegnare i confini europei (gli Imperi di Austria e Russia e i
      Regni di Prussia e Gran Bretagna).
    
In senso più ampio, per Restaurazione si intende il
      movimento reazionario teso a contrastare le idee della Rivoluzione
      francese, diffuse in tutta Europa dagli eserciti napoleonici. Da
      questo punto di vista, essa si presenta come un fenomeno che
      trascende il piano puramente politico per estendersi a quello
      culturale. L'età della Restaurazione si fa infatti
      coincidere in letteratura con il Romanticismo e in filosofia con
      l'Idealismo. Essa può considerarsi conclusa con i moti del
      1830-1831.
      
      La nuova concezione romantica della Storia 
      
      «S'identificò la storia della civiltà con la
      storia della religione, e si scorse una forza provvidenziale non
      solo nelle monarchie, ma sin nel carnefice, che non potrebbe
      sorgere e operare nella sua sinistra funzione se non lo
      suscitasse, a tutela della giustizia, Iddio: tanto è lungi
      dall'essere operatore e costruttore di storia l'arbitrio
      individuale e il raziocinio logico. »
      (Adolfo Omodeo, L'età del Risorgimento italiano,
      Napoli,1955)
    
Nel Congresso di Vienna si confrontarono due linee politiche
      contrapposte: coloro che volevano un puro e semplice ritorno al
      passato e quelli che sostenevano la necessità di un
      compromesso con la storia trascorsa: «Conservare
      progredendo» era la loro parola d'ordine. Questo
      contrapposto modo di pensare l'azione politica nasceva
      paradossalmente da un unico punto di origine ideale.
    
Nell'età della Restaurazione si avanzava infatti una nuova
      concezione della storia che smentiva quella degli illuministi
      basata sulla capacità degli uomini di costruire e guidare
      la storia con la ragione. Le vicende della Rivoluzione francese e
      il periodo napoleonico avevano dimostrato che gli uomini si
      propongono di perseguire alti e nobili fini che s'infrangono
      dinanzi alla realtà storica. Il secolo dei lumi era infatti
      tramontato nelle stragi del Terrore e il sogno di libertà
      nella tirannide napoleonica che mirando alla realizzazione di
      un'Europa al di sopra delle singole nazioni aveva determinato
      invece la ribellione dei singoli popoli proprio in nome del loro
      sentimento di nazionalità.
      Dunque la storia non è guidata dagli uomini ma è Dio
      che agisce nella storia.[1] Esiste una Provvidenza divina che
      s'incarica di perseguire fini al di là di quelli che gli
      uomini ingenuamente si propongono di conseguire con la loro
      meschina ragione.
    
La concezione reazionaria
Da questa nuova concezione romantica della storia opera della volontà divina si promanano due visioni contrapposte: la prima è una prospettiva reazionaria che vede nell'intervento di Dio nella storia una sorta di avvento di un'apocalisse che metta fine alla sciagurata storia degli uomini. Napoleone è stato con le sue continue guerre l'Anticristo di questa apocalisse. Dio segnerà la fine della storia malvagia e falsamente progressiva ed allora agli uomini non rimarrà che volgersi al passato per preservare e conservare quanto di buono era stato realizzato. Si cercherà in ogni modo di cancellare tutto ciò che è accaduto dalla Rivoluzione a Napoleone restaurando il passato. I sovrani restaurati dal Congresso di Vienna tenteranno di ripristinare le vecchie strutture politiche e sociali spazzate via dalla Rivoluzione francese e da Napoleone ma il loro sarà un compito impossibile. "L'aratro della Rivoluzione" scrive lo storico tedesco Franz Mehring Absolutisme et Révolution en Allemagne (1525–1848) "aveva sconvolto troppo in profondità il suo terreno, fino ai campi di neve della Russia; un ritorno alle condizioni che avevano dominato in Europa fino al 1789 era impossibile".
È stato detto che mentre Napoleone veniva sconfitto sui
      campi di battaglia gli ideali di cui si era fatto portatore
      ispiravano, sia pure forzatamente, quei sovrani reazionari che lo
      combattevano. Si erano visti sovrani conservatori pressati dai
      tempi nuovi come Ferdinando IV di Borbone re di Napoli e
      Ferdinando VII di Spagna che fin dal 1812 avevano concesso ai loro
      sudditi addirittura la Costituzione. Vero è che questi
      stessi sovrani, dopo la caduta di Napoleone, cancellarono con un
      tratto di penna quanto avevano concesso ma dovettero poi
      affrontare moti insurrezionali interni che riuscirono a fatica a
      controllare solo con l'intervento della Santa Alleanza.
    
La concezione progressista
      Un'altra prospettiva, che nasce dalla stessa concezione della
      storia guidata dalla Provvidenza, è quella che potremo
      definire liberale che vede nell'azione divina una volontà
      diretta, nonostante tutto, al bene degli uomini escludendo che nei
      tempi nuovi ci sia una sorta di vendetta di Dio che voglia far
      espiare agli uomini la loro presunzione di creatori di storia.
      È questa una visione dinamica della storia che troviamo in
      Saint Simon con la concezione di un nuovo cristianesimo per una
      nuova società o in Lamennais che vede nel cattolicesimo una
      forza rigeneratrice della vita sociale. Una concezione progressiva
      quindi che è presente in Italia nell'opera letteraria di
      Alessandro Manzoni e nel pensiero politico di Gioberti con il
      progetto neoguelfo e nell'ideologia mazziniana.
    
Gli antesignani e i teorici della Restaurazione 
      
      Questa nuova visione della storia intesa come espressione della
      volontà divina e quindi come base teorica dell'unione di
      politica e religione e della legittimità del potere
      politico per "grazia di Dio", aveva avuto, già prima della
      Restaurazione, i suoi principali teorici nell'anglo-irlandese
      Edmund Burke, nei francesi François-René de
      Chateaubriand e Louis de Bonald, nell'italiano Joseph de Maistre.
      
      Nelle Riflessioni sulla Rivoluzione in Francia, pubblicate nel
      1790, Burke mettendo a confronto la rivoluzione inglese del 1688
      con quella francese vede nella prima una linea evolutiva che si
      era sviluppata per gradi nel rispetto delle tradizioni e questo
      «lascia libera la possibilità di nuovi acquisti, ma
      fornisce la garanzia assicurata di ogni acquisto»[2] mentre
      la seconda gli appare come un evento caotico in cui si mescolano
      «leggerezza e ferocia, confusione di delitti e di follie
      travolti insieme»[3]. Nella stessa opera contesta il
      principio della sovranità popolare e della democrazia a cui
      contrappone la supremazia dell'aristocrazia e dell'ordine sociale
      legittimati dalla loro natura divina. Per lui le masse, che
      esprimono una maggioranza che scioccamente pretende di prevalere
      sulla minoranza mentre non sa distinguere il suo vero interesse,
      sono il sostegno del dispotismo e la Rivoluzione francese era
      perciò destinata a fallire poiché si era allontanata
      dalla grande e diritta via della natura.
    
François-René de Chateaubriand fin dal 1802 aveva
      attaccato con il suo "Génie du Christianisme" (Genio del
      Cristianesimo) le dottrine illuministiche accusandole di estremo
      razionalismo e difendendo la religione e il Cristianesimo. Louis
      de Bonald, fervente monarchico e cattolico, fu la voce più
      importante degli ultra-legittimisti. Aveva aderito all'inizio alle
      idealità rivoluzionarie che ripudiò dopo i
      provvedimenti anticlericali sanciti con la Costituzione civile del
      clero.
      «Credo possibile dimostrare che l'uomo non può dare
      una costituzione alla società religiosa o politica,
      così come non può dare la pesantezza ai corpi o
      l'estensione alla materia. »
      (Louis de Bonald, Teoria del potere politico e religioso nella
      società civile, 1796)
    
Nelle sue numerose opere,[4] attaccò la Dichiarazione dei
      diritti dell'uomo e del cittadino, il Contratto sociale di
      Jean-Jacques Rousseau e le innovazioni sociali e politiche portate
      dalla Rivoluzione sostenendo il ritorno all'autorità della
      monarchia e della religione. La rivoluzione stessa, egli
      sosteneva, è una specie di prova dell’esistenza di Dio,
      poiché mette in luce come l’eliminazione della religione
      conduca alla distruzione della società. L’ambito religioso
      e quello politico sono, agli occhi di Bonald, inseparabili.
    
Ma il vero teorico della Restaurazione fu il savoiardo Joseph de
      Maistre. Sulla linea del tradizionalismo di Burke nell'opera Du
      Pape (1819) egli sostiene la concezione della storia come
      depositaria di valori etici trascendenti. Nel Medioevo la Chiesa
      è stata il sostegno dell'ordine sociale e questo la rende
      superiore al potere civile che solo essa può rendere
      legittimo in quanto depositaria e interprete della volontà
      divina.
    
Le teorie illuministiche sulla libertà naturale dell'uomo
      sono semplici follie e diaboliche stranezze. L'uomo è
      troppo malvagio per poter essere libero, egli è invece nato
      naturalmente servo e tale è stato sino a quando il
      Cristianesimo lo ha liberato. Il Cristianesimo autentico è
      quello cattolico, rappresentato dal pontefice romano che ha
      proclamato la libertà universale ed è l'unico nella
      generale debolezza di tutte le sovranità europee ad aver
      conservato la sua forza e il suo prestigio.
    
De Maistre condivide poi l'analisi di Burke sulla falsa pretesa
      della maggioranza di prevalere sulla minoranza, mentre invece
      «dovunque il piccolissimo numero ha sempre condotto il
      grande» e per questo è diritto legittimo
      dell'aristocrazia l'assumere la guida del Paese.[5]
    
Il congresso di Vienna e la restaurazione 
      
      Il Congresso di Vienna (1814-1815) fu la conferenza dei maggiori
      ambasciatori europei nella quale si ridisegnò la mappa del
      continente secondo i voleri degli stati vincitori. I
      princìpi fondamentali che informarono il congresso furono
      definiti come restaurazione, legittimità e equilibrio. Il
      primo prevedeva il ritorno alla situazione politica e ai confini
      del 1792. Il ritorno alla legittimità ripristinò le
      prerogative della nobiltà europea e delle famiglie
      regnanti. L'equilibrio, diceva che tutte le potenze dovevano avere
      uguale forza politica. Nel Congresso di Vienna vennero prese le
      principali decisioni dai delegati delle più grandi nazioni
      europee del XIX secolo (Austria, Prussia, Russia ed Inghilterra)
      che avevano reso possibile la definitiva sconfitta nella battaglia
      di Waterloo (in Belgio) di Napoleone Bonaparte, ossia: Handemberg
      (prussiano), Robert Stewart, Visconte Castlereagh (inglese), lo
      stesso zar Alessandro I e Metternich, grande diplomatico e
      politico austriaco che influì notevolmente nella
      configurazione geo-politica dell'Europa post Napoleonica.
      
      In principio frenato dalle pretese di Prussia e Russia che
      esigevano venissero loro annessi nuovi territori, fu decisivo
      l'intervento del francese Charles Maurice de
      Talleyrand-Périgord (ecclesiastico e diplomatico che
      passò la fase della rivoluzione e il dominio napoleonico,
      prima sostenendolo poi avversandolo, prodigandosi per l'ascesa al
      potere di Luigi XVIII), il quale, schierandosi a favore di
      Inghilterra e Austria, riuscì a far tornare sui propri
      passi le altre due potenze, che ritrattarono.
    
Il Congresso si basò su tre principi cardine:
      il principio di equilibrio: in base al quale nessuna potenza
      dovesse rafforzarsi eccessivamente a danno delle altre.
      il principio di legittimità per il quale assiduamente
      combatté Talleyrand e che prevedeva il ritorno al potere di
      tutte quelle dinastie precedenti al dominio Napoleonico;
      la cintura di Stati "cuscinetto" intorno alla Francia, per
      impedire la sua egemonia su tutta l'Europa.
    
In seguito nella suddetta assemblea, si sancirono due alleanze:
      la Santa alleanza tra Russia, Austria e Prussia e la Quadruplice
      alleanza formata dalle precedenti nazioni più
      l'Inghilterra. Questa alleanza si basava sul principio di
      intervento: nel caso uno Stato avesse avuto dei problemi causati
      da disordini rivoluzionari che potevano contagiare gli altri stati
      questi si ritenevano in obbligo d'intervenire per sedare le
      rivolte. Al principio di non ingerenza negli affari interni di uno
      stato si sostituiva l'ideale della solidarietà
      internazionale da attuarsi con la periodica consultazione dei
      governi europei nei Congressi e tramite quello strumento di
      polizia internazionale che era la Santa Alleanza.
      Comprendere il Congresso di Vienna è molto importante per
      capire in seguito gli scopi della Restaurazione, in quanto fu
      proprio questa assemblea il simbolo dell'iniziativa intrapresa
      dalle superpotenze del continente.
      Conseguenze della Restaurazione [modifica]
      
      Alla caduta di Napoleone e del suo Impero, in Europa serpeggiava
      l’idea che si era chiusa una parentesi: ora c’era l’Europa di
      prima da ricostruire. Teoricamente si cercò di ritornare
      integralmente all’Ancien Régime, ma in pratica si
      trovò un compromesso fra il vecchio e il nuovo sistema di
      governo culminante nel Congresso di Vienna. Molte delle
      istituzioni francesi, in campo amministrativo, giuridico ed
      economico, vennero mantenute là dove i francesi le avevano
      instaurate. Era poi difficile sradicare dalle coscienze le idee di
      libertà e uguaglianza introdotte con la rivoluzione.
      Infine, questo tentativo di ritorno all’Ancien Régime era
      un compromesso antistorico, per l’irreversibilità del
      processo di secolarizzazione iniziato, o meglio, affrettato dalla
      rivoluzione francese.
    
Conseguenze dal punto di vista politico 
    
Dal punto di vista politico furono ripristinate o abolite molte istituzioni introdotte dalla rivoluzione francese: per es. il divorzio introdotto in Francia nel 1792 e abolito nel 1816 (per essere nuovamente ripristinato nel 1884). Si cercò, come nell'Ancien Régime, una più stretta unione fra trono e altare, fra Stato e Chiesa (ne è un esempio clamoroso la consacrazione regia di Carlo X nel 1824).
Cambiamenti della geografia politica
Dopo il congresso, la geografia politica del continente
      subì molte modifiche: le potenze vincitrici cambiarono a
      loro vantaggio i loro confini, talvolta annettendosi piccoli
      stati: la Prussia ottenne la Renania; nacque il Regno dei Paesi
      Bassi; l'Impero russo acquistò posizione nel centro Europa
      annettendo la Bessarabia, la Finlandia e parte della Polonia; la
      Gran Bretagna acquisì il controllo di alcune isole ioniche:
      (Corfù, Zante, Cefalonia).
    
Il Sacro Romano Impero non fu ricostituito e al suo posto venne
      creata la Confederazione germanica, presieduta dagli Asburgo;
      quest'ultimi imposero il loro dominio sulle annesse Repubblica di
      Venezia e Repubblica di Ragusa.
    
La Repubblica di Genova fu unita al Regno di Sardegna allo scopo
      di costituire un più efficace stato cuscinetto nei
      confronti della Francia.
    
La regione veneta fu unita col vecchio Ducato di Milano a formare
      il Regno Lombardo-Veneto diretto subalterno dell'Austria.
    
Nel resto della penisola italiana furono ripristinati i
      precedenti stati, ossia il Ducato di Parma, il Ducato di Modena,
      il Granducato di Toscana, lo Stato della Chiesa (privato delle sue
      storiche enclave francesi [6]).
    
Il Regno di Napoli venne ricondotto sotto la monarchia di
      Ferdinando IV di Borbone che già governava il Regno di
      Sicilia che venne abolito nel 1816 con la creazione del Regno
      delle Due Sicilie con capitale Napoli. Il re assunse il nuovo
      titolo di Ferdinando I delle Due Sicilie.
    
A Parigi, nel maggio 1814, era stato insediato il nuovo re Luigi
      XVIII fratello minore del decapitato Luigi XVI.
    
Conseguenze dal punto di vista religioso 
    
Dal punto di vista ecclesiastico, è possibile elencare
      questi aspetti:
      ci fu un tentativo di ritornare a una società ufficialmente
      cristiana. Esempi: il diritto dei vescovi di far ritirare libri
      pericolosi; la legge contro il sacrilegio in Francia; una
      pastorale cattolica fondata in molti casi ancora sulla coazione
      (per essere ammesso per es. a un esame universitario occorreva un
      certificato di adempimento dei doveri religiosi, il cosiddetto
      «biglietto pasquale»);
      ma anche un serio sforzo di rinnovamento religioso. Ad esempio:
      la riforma degli antichi ordini religiosi e restaurazione della
      Compagnia di Gesù;
      la nascita e proliferazione di nuovi istituti religiosi, maschili
      e femminili; specialmente nel settore femminile il fenomeno
      costituisce una novità quasi assoluta;
      un forte sviluppo delle missioni popolari in Francia, Italia e nei
      paesi tedeschi, per riparare alla scristianizzazione delle masse
      (possiamo vedervi i primi germi di una azione cattolica);
      la nascita di società (a volte semi-segrete) per la difesa
      della fede, con influssi politici reali e fortemente reazionari
      (cfr. i Chevaliers de la Foi di Ferdinand de Bertier; la
      «Congregazione mariana» dei gesuiti a Parigi);
      innegabile fu l’anticlericalismo di molti ambienti della
      restaurazione, che è poi all’origine dell’anticlericalismo
      liberale.
    
L'epoca della restaurazione per la Chiesa coincise con l'opera
      teorica di Antonio Rosmini e i pontificati di Pio VII (1800-1823),
      Leone XII (1823-1829), Pio VIII (1829-1830) e Pio VIII
      (1831-1846).
    
In ambiente curiale romano si dibattevano due linee, due modi di
      interpretare questo periodo:
      i politicanti (detti anche liberali), che si affidano ai mezzi
      politici per realizzare la necessaria restaurazione cattolica:
      perciò si mostrano concilianti verso alcune aspirazioni
      moderne, e moderati nelle relazioni con i diversi governi (consci
      dei vantaggi che la Chiesa può avere dai favori ufficiali);
      fanno parte di questo partito i Papi Pio VII e Pio VIII;
      gli zelanti, decisamente contrari ai precedenti, fautori
      dell’assolutismo in politica e del ritorno della religione di
      Stato, ma insieme desiderosi di vedere la chiesa libera da ogni
      ingerenza statale; in genere sono conservatori, fermi agli antichi
      privilegi, motivati, più dei politicanti, da considerazioni
      religiose; fanno parte di questo partito i Papi Leone XII e
      Gregorio XVI.
    
Gli obiettivi della restaurazione [
      
      La Restaurazione in effetti si identifica con la volontà
      unanime del Congresso anche se successivamente vedremo come si
      creeranno delle discordie anche all'interno di questo circolo
      privato nazionale.
    
L'errore principale commesso dai monarchi del XIX secolo consiste
      nel non aver saputo (o meglio nel non aver voluto) conciliare le
      ideologie presenti con quelle passate, imponendosi prepotentemente
      sui governi di tutta Europa in modo assolutistico senza aver
      tenuto conto delle nuove idee di nazionalità, liberalismo e
      democrazia che, la Rivoluzione Francese prima e Napoleone poi,
      seppur inconsciamente e involontariamente, avevano insinuato nelle
      menti dei popoli.
    
In sintesi, l'Europa era ideologicamente cambiata dall'avvento di
      Napoleone ma i sovrani del tempo sembrarono non voler tener in
      conto questo fatto, fingendo che 26 anni di storia (1789-1815) non
      fossero mai esistiti.
      Le conseguenze di questo atteggiamento intollerante si
      manifesteranno sull'Europa cinquant'anni più tardi prima
      nel Risorgimento italiano e poi nelle Rivoluzioni che scuoteranno
      il secolo successivo.