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«Che paesi! Si potrebbero chiamare dei veri porcili! Questo
insomma è un paese che bisognerebbe distruggere o almeno
spopolare e mandarli in Africa a farli civili»
(Nino Bixio da Bronte in una epistola alla moglie Adelaide)
Fatti di Bronte
I fatti di Bronte, noti anche come strage o massacro di Bronte, sono
un tragico episodio del Risorgimento avvenuto nell'omonima
città, nell'agosto del 1860, quando, in seguito ad una
insurrezione popolare, durante la quale caddero vittime 16 persone,
le truppe garibaldine, comandate da Nino Bixio, furono chiamate a
ristabilire l'autorità del governo dittatoriale di Garibaldi,
compiendo degli arresti tra la popolazione civile, ai quali
seguì un processo sommario che portò alla condanna a
morte, con conseguente esecuzione per fucilazione, di 5 brontesi.
I fatti
Quando l'11 maggio del 1860 il generale Giuseppe Garibaldi
sbarcò con i Mille nel porto di Marsala, sapeva benissimo
che, per chiudere con successo la sua impresa, gli sarebbe stato
assolutamente necessario l'appoggio e la partecipazione attiva dei
siciliani. Questo sarebbe avvenuto solo se fosse stato accolto non
solo come il liberatore dalla tirannide borbonica, ma anche come
colui che poteva dare le possibilità di nascere ad una nuova
società, libera dalla miseria e dalle ingiustizie. Con questo
intento, il 2 giugno, aveva emesso un decreto dove prometteva
soccorso ai bisognosi e la tanto attesa divisione delle terre.
Nell'entroterra siciliano si erano, dunque, accese molte speranze di
riscatto sociale da parte soprattutto della media borghesia e delle
classi meno abbienti. A Bronte, sulle pendici dell'Etna, la
contrapposizione era forte fra la nobiltà latifondista
rappresentata dalla britannica Ducea di Nelson, proprietà
terriera, e la società civile.
Il 2 agosto al malcontento popolare si aggiunsero diversi sbandati e
persone provenienti dai paesi limitrofi, tra i quali Calogero
Gasparazzo, e scattò la scintilla dell'insurrezione sociale.
Fu così che vennero appiccate le fiamme a decine di case, al
teatro e all'archivio comunale. Quindi iniziò una caccia
all'uomo e ben sedici furono i morti fra nobili, ufficiali e civili,
tra cui anche il barone del paese con la moglie e i due figlioletti,
il notaio e il prete, prima che la rivolta si placasse.
Il Comitato di guerra, creato in maggio per volere di Garibaldi e
Crispi, decise di inviare a Bronte un battaglione di garibaldini
agli ordini del genovese Nino Bixio per sedare la rivolta e fare
giustizia in modo esemplare. Secondo Gigi Di Fiore (Controstoria
dell'unità d'Italia) e altri studiosi, gli intenti di
Garibaldi probabilmente non erano solo volti al mantenimento
dell'ordine pubblico, ma anche a proteggere gli interessi
commerciali e terrieri dell'Inghilterra (Bronte apparteneva agli
eredi di Nelson), che aveva favorito lo sbarco dei Mille, e
soprattutto a calmarne l'opinione pubblica.
Quando Bixio iniziò la propria inchiesta sui fatti accaduti
larga parte dei responsabili era fuggita altrove, mentre alcuni
ufficiali colsero l'occasione per accusare gli avversari politici.
Il tribunale misto di guerra, in un frettoloso processo durato meno
di quattro ore, giudicò ben 150 persone e condannò
alla pena capitale l'avvocato Nicolò Lombardo (che, acclamato
sindaco dopo l'eccidio, venne ingiustamente additato come capo
rivolta, senza alcuna prova), insieme ad altre quattro persone:
Nunzio Ciraldo Fraiunco, Nunzio Longi Longhitano, Nunzio Nunno
Spitaleri e Nunzio Samperi. La sentenza venne eseguita mediante
fucilazione l'alba successiva: per ammonizione, i cadaveri furono
lasciati esposti al pubblico insepolti.
12 agosto 1860, proclama originale di Bixio, successivo alla
esecuzione
Abitanti della Provincia di Catania
Gli assassini, ed i ladri di Bronte sono stati severamente puniti -
Voi lo sapete! la fucilazione seguì immediata i loro delitti
- Io lascio questa Provincia - i Municipi, ed i Consigli civici
nuovamente nominati, le guardie nazionali riorganizzate mi
rispondano della pubblica tranquillità!... Però i Capi
stiino al loro posto, abbino energia e coraggio, abbino fiducia nel
Governo e nella forza, di cui esso dispone - Chi non sente di star
bene al suo posto si dimetta, non mancano cittadini capaci e
vigorosi che possano rimpiazzarli. Le autorità dicano ai loro
amministrati che il governo si occupa di apposite leggi e di
opportuni legali giudizi pel reintegro dei demanî - Ma dicano
altresì a chi tenta altre vie e crede farsi giustizia da se,
guai agli istigatori e sovvertitori dell'ordine pubblico sotto
qualunque pretesto. Se non io, altri in mia vece rinnoverà le
fucilazioni di Bronte se la legge lo vuole. Il comandante militare
della Provincia percorre i Comuni di questo distretto. Randazzo 12
agosto 1860.
IL MAGGIORE GENERALE G. NINO BIXIO.
«Dopo Bronte, Randazzo, Castiglione, Regalbuto, Centorbi, ed
altri villaggi lo videro, sentirono la stretta della sua mano
possente, gli gridarono dietro: Belva! ma niuno osò muoversi
»
(Cesare Abba, Da Quarto al Volturno. Noterelle d'uno dei Mille)
Alla luce delle successive ricostruzioni storiche si è
appurato come Lombardo fosse totalmente estraneo alla rivolta e
invitato a fuggire da più parti si sarebbe rifiutato per
poter difendere il proprio onore. Nunzio Ciraldo Fraiunco era non
capace d'intendere e di volere, malato di demenza (lo "scemo del
villaggio" era stato arrestato per aver girato per le strade del
paese soffiando in una trombetta di latta e cantilenato “Cappeddi
guaddattivi, l'ura dù judiziu s'avvicina, populu nun mancari
all'appellu”).
La notte che precedette la fucilazione, una brava donna chiese il
permesso di portare delle uova al Lombardo ma il braccio destro
dell'Eroe dei Due Mondi, nel respingerla malamente, le rispose che
il detenuto non aveva bisogno di uova poiché l'indomani
avrebbe avuto due palle piantate in fronte. All'alba del 10 agosto,
i condannati vennero portati nella piazzetta antistante il convento
di Santo Vito e collocati dinanzi al plotone d'esecuzione. Alla
scarica di fucileria morirono tutti ma nessun soldato ebbe la forza
di sparare a Fraiunco che risultò incolume. Il poveretto,
nell'illusione che la Madonna Addolorata lo avesse miracolato, si
inginocchiò piangendo ai piedi di Bixio invocando la vita.
Ricevette una palla di piombo in testa e così morì,
colpevole solo di aver soffiato in una trombetta di latta.
Nella novella verghiana Libertà (Novelle rusticane), viene
ripreso il tema della strage, secondo Sciascia in chiave apologetica
per Bixio e i garibaldini, e di accentuazione delle
responsabilità dei rivoltosi: l'omissione della presenza
storica dell'avvocato Lombardo, e soprattutto la trasformazione
letteraria del "pazzo del paese" (tra i condannati a morte di Bixio)
in "nano", per attenuare la gravità della condanna capitale
di un innocente per giunta non in pieno possesso delle sue
facoltà mentali.