Antologia del Pensiero Socialista
     Comunismo e Socialdemocrazia
     a cura di Alfredo Salsano
     Laterza, Bari 1982
     
     volume IV pp. 303-327
    
    
     IV.
    
      I CONSIGLI DI FABBRICA IN ITALIA
    Gli opposti esiti possibili di un movimento consiliare di cui va
    tenuta presente la dimensione europea furono anche in Italia al
    centro del dibattito che, nel «biennio rosso» (1919-20) animò un
    movimento comunista né omogeneo né ancora organizzativamente
    separato dal massimalismo dominante nel partito socialista. Il
    dibattito si sviluppò intorno all'esperienza del gruppo torinese de
    «L'Ordine nuovo», periodico sorto nel maggio 1919 e ben presto
    diventato espressione delle posizioni di Antonio Gramsci
    (1891-1937).
    
    Basato sull'emergere nel massimo centro della grande industria
    moderna in Italia d'istanze di rappresentanza e controllo operaio
    analoghe a quelle che, come si è visto, in Russia i bolscevichi
    avevano saputo far precipitare in rottura rivoluzionaria, e che
    viceversa in Occidente, come si vedrà, socialdemocrazie e laburismo
    riuscirono ad integrare in un quadro politico-istituzionale appena
    rinnovato, l'«ordinovismo» si configurò a partire da un duplice
    contrasto. Da una parte con la tendenza più consistente di una
    ortodossia marxista rivoluzionaria che vedeva esclusivamente nella
    conquista del potere politico da parte del partito l'inizio della
    realizzazione del programma comunista — ed era quella organizzata
    nella frazione astensionista del partito socialista italiano guidata
    da Amadeo Bordiga (1889-1970). Dall'altra con le posizioni che
    all'interno stesso de «L'Ordine nuovo» continuò a sostenere Angelo
    Tasca (1892-1960), su una linea sostanzialmente riformista.
    
    Più importante, naturalmente, il contrasto con Bordiga, che investe
    l'orientamento stesso del movimento comunista in Italia, ha
    immediate ripercussioni al livello dell'Internazionale comunista (è
    al gruppo de «L'Ordine nuovo» che al II congresso va l'approvazione
    di Lenin contro l'«estremismo» di Bordiga) e continua poi a pesare
    sulle prime vicende del PCd'I. Ma non sarebbe possibile
    sottovalutare il dissenso con Tasca che, mentre aiuta a precisare la
    sostanza delle posizioni di Gramsci a partire dal loro più immediato
    contesto, rinvia necessariamente a quelle ambiguità del movimento
    consiliare cui si accennava all'inizio.
    
    La concezione di Gramsci dei consigli di fabbrica come modello dello
    Stato proletario si era presentata sin dall'inizio nei termini di
    una «democrazia operaia», che collegava la rivendicazione
    «industrialista» dell'autogoverno dei produttori con l'esperienza
    sovietica (caratteristico è in Gramsci il simultaneo richiamo a
    Lenin e all'americano Daniel De Leon). In questa prospettiva,
    naturalmente centrale era il problema dei rapporti tra consigli e
    sindacati, rapporti che, a differenza dei comunisti di sinistra
    tedeschi e olandesi, Gramsci era ben lungi dal concepire in termini
    di reciproca esclusione, ma che vedeva invece come un processo
    destinato, attraverso i consigli, a imprimere una direzione
    classista e comunista ai sindacati, e in definitiva a portare
    questi ultimi a svolgere lo stesso ruolo di unificazione e
    razionalizzazione assunto dai sindacati sovietici (cfr. pp. 305-310,
    nonché per i testi russi sul controllo pubblicati ne «L'Ordine
    nuovo», n. 1 a p. 107).
    
    Contestando al gruppo de «L'Ordine nuovo» la sottovalutazione del
    ruolo del partito, conseguenza di quella che gli appariva come la
    sostanziale elusione del momento della rottura rivoluzionaria
    rappresentata dalla conquista del potere, Bordiga era sicuramente
    vittima di uno schematismo che gl'impediva di vedere dietro le
    posizioni ordinoviste — almeno quali furono esposte da Tasca al
    congresso socialista di Bologna (ottobre 1919) — la ben diversa
    complessità del progetto gramsciano. A Bordiga sfuggiva in
    particolare la «modernità» della dominante produttivistica nella
    definizione che Gramsci dava dello Stato operaio, o meglio essa era
    da lui colta soltanto come esagerazione della coincidenza formale
    fra rappresentanza operaia e aggregati tecnico-economici di
    produzione e trasferita sul piano della contrapposizione, centrale
    nel dibattito, del soviet politico a base territoriale al consiglio
    di fabbrica (cfr.  pp.  310-18)
    
    Saranno proprio questi aspetti di prefigurazione di un nuovo ordine
    della produzione che Gramsci accentuerà in polemica con Tasca
    quando, negata a quest'ultimo qualsiasi rappresentatività, fisserà
    la dottrina ordinovistica del consiglio di fabbrica (cfr. pp.
    322-327). Cosa tanto più necessaria in quanto, prima ancora del
    congresso della Camera del lavoro di Torino che precipitò lo
    scontro, era stato dietro mandato della Sezione socialista torinese
    che Tasca aveva steso sui consigli di fabbrica la relazione (letta
    nell'aprile 1920, ma pubblicata solo l'anno dopo a cura dello
    stesso Tasca) qui in parte riportata, tutta impostata sulla linea
    dell'integrazione dei nuovi organi di rappresentanza operaia nelle
    tradizionali strutture sindacali (cfr. pp. 318-22).
    
    Tra tale esito riformistico e il primato del partito che ad esso
    contrappone Bordiga in vista della costituzione dei soviet, il
    contributo del Gramsci ordinovista si presenta come il tentativo
    originale anche sul piano europeo di assicurare una gestione
    politica alle spinte ambivalenti dei settori più capaci d'iniziativa
    della classe operaia, con tutte le difficoltà ed anche i limiti
    storici che comportava l'adesione ad una «configurazione
    produttiva» chiamata senz'altro ad assicurare la transizione 
    allo Stato operaio.
    
     Sindacati e Consigli
    * Da [A. Gramsci], Sindacati e consigli, in «L'Ordine Nuovo», I, n°
    21, 11 ottobre 1919; ora in A. Gramsci, L'Ordine nuovo, 1919-1920,
    Einaudi, Torino  1970, pp. 34-39. Art. non firmato.
    
    L'organizzazione proletaria che si riassume, come espressione totale
    della massa operaia e contadina, negli uffici centrali della
    Confederazione del Lavoro, attraversa una crisi costituzionale
    simile per natura alla crisi in cui vanamente si dibatte lo Stato
    democratico parlamentare. La crisi è crisi di potere e di
    sovranità. La soluzione dell'una sarà la soluzione dell'altra,
    poiché, risolvendo il problema della volontà di potenza nell'ambito
    della loro organizzazione di classe, i lavoratori arriveranno a
    creare l'impalcatura organica del loro Stato e vittoriosamente lo
    contrapporranno allo Stato parlamentare.
    
    Gli operai sentono che il complesso della «loro» organizzazione è
    diventato tale enorme apparato, che ha finito per ubbidire a leggi
    proprie, intime alla sua struttura e al suo complicato
    funzionamento, ma estranee alla massa che ha acquistato coscienza
    della sua missione storica di classe rivoluzionaria. Sentono che la
    loro volontà di potenza non riesce a esprimersi, in un senso netto e
    preciso, attraverso le attuali gerarchie istituzionali. Sentono che
    anche in casa loro, nella casa che hanno costruito tenacemente, con
    sforzi pazienti, cementandola col sangue e le lacrime, la macchina
    schiaccia l'uomo, il funzionarismo isterlisce lo spirito creatore e
    il dilettantismo banale e verbalistico tenta invano di nascondere
    l'assenza di concetti precisi sulle necessità della produzione
    industriale e la nessuna comprensione della psicologia delle masse
    proletarie. Gli operai si irritano per queste condizioni di fatto,
    ma sono individualmente impotenti a modificarle; le parole e le
    volontà dei singoli uomini sono troppo piccola cosa in confronto
    delle leggi ferree inerenti alla struttura funzionale dell'apparato
    sindacale.
    
    I  leaders dell'organizzazione non si accorgono di questa
    crisi
 profonda e diffusa. Quanto più chiaramente appare che la
    classe
operaia non è composta in forme aderenti alla sua reale
    strut
tura storica — quanto più risulta che la classe operaia non
    è
inquadrata in una configurazione che incessantemente si
    adatti
alle leggi che governano l'intimo processo di sviluppo
    storico
reale della classe stessa; — tanto più questi leaders si
    ostinano
nella cecità e si sforzano di comporre «giuridicamente» i
    dis
sidi e i conflitti. Spiriti eminentemente burocratici, essi
    credono
che una condizione obbiettiva, radicata nella psicologia
    quale
si sviluppa nelle esperienze vive dell'officina, possa essere
    supe
rata con un discorso che muova gli affetti, e con un ordine
    del
giorno votato all'unanimità in un'assemblea abbrutita dal
    fra
stuono e dalle lungaggini oratorie. Oggi essi si sforzano di
    porsi
 all'«altezza dei tempi» e, tanto per dimostrare che sono
    anche
 capaci di «meditare aspramente», rivogano [sic] le vecchie
    e
logore ideologie sindacaliste, insistendo penosamente nello
    sta
bilire rapporti di identità tra il Soviet e il Sindacato,
    insistendo 
penosamente nell'affermare che il sistema attuale di
    organizza
zione sindacale costituisce già l'impalcatura della
    Società comu
nista, costituisce il sistema di forze in cui deve
    incarnarsi la
 dittatura proletaria.
    
    II  Sindacato, nella forma in cui esiste attualmente nei paesi
    dell'Europa occidentale, è un tipo di organizzazione non solo
    diverso essenzialmente dal Soviet, ma diverso anche, e in modo
    notevole, dal Sindacato quale sempre più viene sviluppandosi
 nella
    Repubblica comunista russa.
    
    I Sindacati di mestiere, le Camere del Lavoro, le Federazioni
    industriali, la Confederazione Generale del Lavoro sono il tipo di
    organizzazione proletaria specifico del periodo di storia dominato
    dal capitale. In un certo senso si può sostenere che esso è parte
    integrante della Società capitalistica, e ha una funzione che è
    inerente al regime di proprietà privata. In questo periodo, nel
    quale gli individui valgono in quanto sono proprietari di merce e
    commerciano la loro proprietà, anche gli operai hanno dovuto
    ubbidire alle leggi ferree della necessità generale e sono diventati
    mercanti dell'unica loro proprietà, la forza-lavoro e l'intelligenza
    professionale. Più esposti ai rischi della concorrenza, gli operai
    hanno accumulato la loro proprietà in «ditte» sempre più vaste e
    comprensive, hanno creato questo enorme apparato di concentrazione
    di carne da fatica, hanno imposto prezzi e orari e hanno
    disciplinato il mercato. Hanno assunto dal di fuori o hanno espresso
    dal loro seno un personale d'amministrazione di fiducia, esperto in
    questo genere di speculazioni, in grado di dominare le condizioni
    del mercato, capace di stipular contratti, di valutare le alee
    commerciali, di iniziare operazioni economicamente utili. La natura
    essenziale del Sindacato è concorrentista, non è comunista. Il
    Sindacato non può essere strumento di rinnovazione radicale della
    Società: esso può offrire al proletariato dei provetti burocratici,
    degli esperti tecnici in quistioni industriali d'indole generale,
    non può essere la base del potere proletario. Esso non offre nessuna
    possibilità di scelta delle individualità proletarie capaci e degne
    di dirigere la società, da esso non possono esprimersi le gerarchie
    in cui si incarni lo slancio vitale, il ritmo di progresso della
    Società comunista.
    
    La dittatura proletaria può incarnarsi in un tipo di organizzazione
    che sia specifico della attività propria dei produttori e non dei
    salariati, schiavi del capitale. Il Consiglio di fabbrica è la
    cellula prima di questa organizzazione. Poiché nel Consiglio tutte
    le branche del lavoro sono rappresentate, proporzionalmente al
    contributo che ogni mestiere e ogni branca di lavoro dà alla
    elaborazione dell'oggetto che la fabbrica produce per la
    collettività, l'istituzione è di classe, è sociale. La sua ragion
    d'essere è nel lavoro, è nella produzione industriale — in un fatto
    cioè permanente e non già nel salario, nella divisione delle classi,
    in un fatto cioè transitorio e che appunto si vuole superare.
    
    Perciò il Consiglio realizza l'unità della classe lavoratrice, dà
    alle masse una coesione e una forma che sono della stessa natura
    della coesione e della forma che la massa assume nella
    organizzazione generale della Società.
    
    Il Consiglio di fabbrica è il modello dello Stato proletario. Tutti
    i problemi che sono inerenti all'organizzazione dello Stato
    proletario, sono inerenti all'organizzazione del Consiglio.
    Nell'uno e nell'altro il concetto di cittadino decade, e subentra
    il concetto di compagno: la collaborazione per produrre bene e
    utilmente sviluppa la solidarietà, moltiplica i legami di affetto e
    di fratellanza. Ognuno è indispensabile, ognuno è al suo posto, e
    ognuno ha una funzione e un posto. Anche il più ignorante e il più
    arretrato degli operai, anche il più vanitoso e il più «civile»
    degli ingegneri finisce col convincersi di questa verità nelle
    esperienze dell'organizzazione di fabbrica: tutti finiscono per
    acquistare una coscienza comunista, per comprendere il gran passo in
    avanti che l'economia comunista rappresenta sull'economia politica.
    Il Consiglio è il più idoneo organo di educazione reciproca e di
    sviluppo del nuovo spirito sociale che il proletariato sia riuscito
    a esprimere dall'esperienza viva e feconda della comunità di lavoro.
    La solidarietà operaia che nel Sindacato si sviluppava nella lotta
    contro il capitalismo, nella sofferenza e nel sacrifizio, nel
    Consiglio è positiva, è permanente, è incarnata anche nel più
    trascurabile dei momenti della produzione industriale, è contenuta
    nella coscienza gioiosa di essere un tutto organico, un sistema
    omogeneo e compatto che lavorando utilmente, che producendo
    disinteressatamente la ricchezza sociale, afferma la sua sovranità,
    attua il suo potere e la sua libertà creatrice di storia.
    
    L'esistenza di una organizzazione, nella quale la classe
    lavoratrice sia inquadrata nella sua omogeneità di classe
    produttrice, e la quale renda possibile una spontanea e libera
    fioritura di gerarchie e di individualità degne e capaci, avrà
    riflessi importanti e fondamentali nella costituzione e nello
    spirito che anima l'attività dei Sindacati.
    
    Il Consiglio di fabbrica si fonda anch'esso sul mestiere. In ogni
    reparto gli operai si distinguono in isquadre e ogni squadra è una
    unità di lavoro (di mestiere): il Consiglio è costituito appunto dai
    Commissari che gli operai eleggono per mestiere (squadra) di
    reparto. Ma il Sindacato si basa sull'individuo, il Consiglia si
    basa sull'unità organica e concreta del mestiere che si attua nel
    disciplinamento del processo industriale. La squadra (il mestiere)
    sente di essere distinta nel corpo omogeneo della classe, ma nel
    momento stesso si sente ingranata nel sistema di disciplina e di
    ordine che rende possibile, con l'esatto e preciso suo
    funzionamento, lo sviluppo della produzione. Come interesse
    economico e politico il mestiere è parte indistinta e solidale
    perfettamente col corpo della classe; se ne distingue come interesse
    tecnico e come sviluppo del particolare strumento che adopera nel
    lavoro. Allo stesso modo tutte le industrie sono omogenee e
    solidali nel fine di realizzare una perfetta produzione,
    distribuzione e accumulazione sociale della ricchezza; ma ogni
    industria ha interessi distinti per quanto riguarda
    l'organizzazione tecnica della sua specifica attività.
    
    L'esistenza del Consiglio dà agli operai la diretta responsabilità
    della produzione, li conduce a migliorare il loro lavoro, instaura
    una disciplina cosciente e volontaria, crea la psicologia del
    produttore, del creatore di storia. Gli operai portano nel Sindacato
    questa nuova coscienza e dalla semplice attività di lotta di classe,
    il Sindacato si dedica al lavoro fondamentale di imprimere alla vita
    economica e alla tecnica del lavoro, una nuova configurazione, si
    dedica a elaborare la forma di vita economica e di tecnica
    professionale che è propria della civiltà comunista. In questo senso
    i Sindacati, che sono costituiti con gli operai migliori e più
    consapevoli, attuano il momento supremo della lotta di classe e
    della dittatura del proletariato, essi creano le condizioni
    obbiettive in cui le classi non possono più esistere né rinascere.
    
    Questo fanno in Russia i Sindacati di industria. Essi sono diventati
    gli organismi in cui tutte le singole imprese di una certa industria
    si amalgamano, si connettono, si articolano, formando una grande
    unità industriale. Le concorrenze sperperatici vengono eliminate, i
    grandi servizi amministrativi, di rifornimento, di distribuzione e
    di accumulamento, vengono unificati in grandi centrali. I sistemi di
    lavoro, i segreti di fabbricazione, le nuove applicazioni diventano
    immediatamente comuni a tutta l'industria. La molteplicità di
    funzioni burocratiche e disciplinari inerente ai rapporti di
    proprietà privata e alla impresa individuale, viene ridotta alle
    pure necessità industriali. L'applicazione dei princìpi sindacali
    all'industria tessile ha permesso in Russia una riduzione di
    burocrazia da 100.000 impiegati a 3500.
    
    La organizzazione per fabbrica compone la classe (tutta la classe)
    in una unità omogenea e coesa che aderisce plasticamente al processo
    industriale di produzione e lo domina per impadronirsene
    definitivamente. Nell'organizzazione per fabbrica si incarna dunque
    la dittatura proletaria, lo Stato comunista che distrugge il dominio
    di classe nelle superstrutture politiche e nei suoi ingranaggi
    generali.
    
    I Sindacati di mestiere e di industria sono le solide vertebre del
    gran corpo proletario. Essi elaborano le esperienze individuali e
    locali, e le accumulano, attuando quel conguagliamento nazionale
    delle condizioni di lavoro e di produzione sul quale concretamente
    si basa l'uguaglianza comunista.
    
    Ma perché sia possibile imprimere ai Sindacati questa direzione
    positivamente classista e comunista è necessario che gli operai
    rivolgano tutta la loro volontà e la loro fede al consolidamento e
    alla diffusione dei Consigli, all'unificazione organica della classe
    lavoratrice. Su questo fondamento omogeneo e solido fioriranno e si
    svilupperanno tutte le superiori strutture della dittatura e
    dell'economia comunista.
    
     Consigli di fabbrica e soviet
    * Da A. Bordiga, Per la costituzione dei consigli operai in Italia,
    in «Il Soviet», III, nn. 1 sgg.; ora in Storia della sinistra
    comunista, 1919-1920. Dal congresso di Bologna del PSI al secondo
    congresso dell'Internazionale Comunista, edizioni il programma
    comunista del partito comunista internazionale, (Milano) 1972, pp.
    284-89, 291-92. I brani qui riportati sono tratti dal n° 4, 1°
    febbraio 1920 (III art.); n° 3, 8 febbraio (IV art.) e n° 7, 22
    febbraio (V e ultimo art.).
    
    III.
    
    Nel conchiudere il secondo articolo intorno alla costituzione dei
    Soviet in Italia, accennavamo al movimento torinese per la
    costituzione dei Consigli di fabbrica.
    
    Non condividiamo il punto di vista a cui si ispirano i compagni
    dell'Ordine Nuovo, e pur apprezzando la loro tenace opera per una
    migliore coscienza dei capisaldi del comunismo, crediamo che siano
    incorsi in errori non lievi di principio e di tattica.Secondo essi
    il fatto essenziale della rivoluzione comunista sta appunto nella
    costituzione dei nuovi organi di rappresentanza proletaria
    destinati alla gestione diretta della produzione, il cui carattere
    fondamentale è quello di aderire strettamente al processo
    produttivo.
    
    Abbiamo già detto che ci sembra si esageri su questo concetto della
    coincidenza formale fra le rappresentanze della classe operaia e i
    diversi aggregati del sistema tecnico-economico di produzione.
    Questa coincidenza tenderà a verificarsi in uno stadio molto
    avanzato della rivoluzione comunista, quando la produzione sarà
    socializzata e tutte le particolari attività che la costituiscono
    saranno armonicamente subordinate ed ispirate agli interessi
    generali e collettivi.
    
    Prima di allora, e durante il periodo di transizione dall'economia
    capitalistica a quella comunista, gli aggruppamenti di produttori
    attraversano un periodo di continua trasformazione, ed i loro
    interessi possono venire a cozzare con quelli generali e collettivi
    del movimento rivoluzionario del proletariato.
    
    Questo troverà il suo vero strumento in una rappresentanza della
    classe operaia nella quale ogni singolo entri in quanto membro di
    questa classe, interessato ad un -radicale mutamento dei rapporti
    sociali, e non come componente di una categoria professionale, di
    una fabbrica o di un qualsiasi gruppo locale.
    
    Finché ancora il potere politico trovasi nelle mani della classe
    capitalistica, una rappresentanza degli interessi generali
    rivoluzionari del proletariato non può ottenersi che sul terreno
    politico, in un partito di classe che raccolga le adesioni
    personali di coloro che hanno superato, per dedicarsi alla causa
    della rivoluzione, la stretta visione dell'interesse egoistico,
    dell'interesse di categoria, e talvolta perfino dell'interesse di
    classe, nel senso che il partito ammette nel suo seno anche i
    disertori della classe borghese fautori del programma comunista.
    
    È grave errore credere che trasportando nell'ambiente proletario
    attuale, tra i salariati del capitalismo, le strutture formali che
    si pensa potranno formarsi per la gestione della produzione
    comunista, si determinino forze di per se stesse e per intrinseca
    virtù rivoluzionarie.
    
    Questo fu l'errore dei sindacalisti e questo è anche l'errore dei
    troppo caldi fautori dei consigli di fabbrica.
    
    Opportunamente il compagno C. Niccolini in un articolo di «
    Comunismo» ' avverte che in Russia, anche dopo il passaggio del
    potere al proletariato, i consigli di fabbrica hanno spesso creato
    ostacoli alle misure rivoluzionarie, contrapponendo ancora più dei
    sindacati le pressioni di interessi limitati allo svolgimento del
    processo comunista.
    
    I consigli di fabbrica non sono nemmeno, nell'ingranaggio
    dell'economia comunista, i gestori principali della produzione.
    
    Negli organi che hanno tale compito (consigli dell'economia
    popolare) i consigli di fabbrica hanno rappresentanze di minor peso
    che quelle dei sindacati di mestiere e quelle primeggianti del
    potere statale proletario, che col suo ingranaggio politico
    centralizzato è lo strumento e il fattore primo della rivoluzione,
    non solo in quanto è lotta contro la resistenza politica della
    classe borghese, ma anche in quanto è processo di socializzazione
    della ricchezza.
    
    Al punto in cui siamo, quando cioè lo stato del proletariato è
    ancora un'aspirazione programmatica, il problema fondamentale è
    quello della conquista del potere da parte del proletariato, e
    meglio ancora del proletariato comunista, cioè dei lavoratori
    organizzati in partito politico di classe e decisi ad attuare la
    forma storica del potere rivoluzionario, la dittatura del
    proletariato. [...]'
    
    I Soviet, organizzazioni di Stato del proletariato vittorioso, sono
    ben altra cosa dai consigli di fabbrica, né questi costituiscono il
    primo grado, il primo scalino, del sistema soviettista politico.
    L'equivoco è in realtà contenuto anche nella dichiarazione di
    principio votata alla prima assemblea dei Commissari di reparto
    delle officine torinesi, che comincia proprio così:
    
    I commissari di fabbrica sono i soli e veri rappresentanti sociali
    (economici e politici) della classe proletaria, poiché eletti a
    suffragio universale da tutti i lavoratori sul posto stesso di
    lavoro.
    
    Nei diversi gradi della loro costituzione i commissari
    rappresentano l'unione di tutti i lavoratori quale si realizza
    negli organismi di produzione (squadra di  lavorazione 
    -  reparto -  officina  - unione delle officine di
    una determinata industria - unione degli stabilimenti di produzione
    dell'industria meccanica ed agricola di un distretto, di una
    provincia, di una nazione, del mondo) dei quali i consigli e il
    sistema dei consigli rappresentano il potere e la direzione sociale
    3.
    
    Questa dichiarazione è inaccettabile, poiché il potere proletario
    si forma direttamente nei soviet municipali di città o di campagna
    senza passare per il tramite dei consigli e comitati di fabbrica,
    come più volte abbiamo detto, e come risulta dalle chiare
    esposizioni del sistema soviettista russo pubblicate dallo stesso
    Ordine Nuovo.
    
    I consigli di fabbrica sono organismi destinati a rappresentare gli
    interessi di aggruppamenti di operai nel periodo della
    trasformazione rivoluzionaria della produzione, ed essi
    rappresentano non soltanto l'aspirazione di quel gruppo a liberarsi
    con la socializzazione dell'azienda dal capitalista privato, ma
    anche la preoccupazione pel modo in cui gli interessi del gruppo
    saranno fatti valere nel processo stesso di socializzazione,
    disciplinato dalla volontà organizzata di tutta la collettività
    lavoratrice.
    
    Gli interessi dei lavoratori, nel periodo in cui il sistema
    capitalista appare stabile e si tratta quindi soltanto di influire
    sulla migliore retribuzione del lavoro, sono stati finora
    rappresentati dai sindacati di mestiere. Questi seguitano a vivere
    durante il periodo rivoluzionario, ed è naturale che vengano in
    contrasti di competenza con i consigli di fabbrica, che sorgono
    quando l'abolizione del capitalismo privato s'annunzia prossima,
    come è avvenuto anche a Torino.
    
    Non è però una grande questione di principio rivoluzionario il
    sapere se alle elezioni dei commissari debbano o meno partecipare
    gli operai non organizzati.
    
    Se è logico che questi vi partecipino data l'indole stessa del
    consiglio di fabbrica, non ci pare però altrettanto logico il
    miscuglio che a Torino si è voluto fare di organi e di funzioni fra
    consigli e sindacati, con l'imporre alla sezione torinese della
    Federazione metallurgica di fare eleggere il proprio consiglio
    direttivo dall'assemblea dei commissari di reparto.
    
    Ad ogni modo i rapporti fra consigli e sindacati quali esponenti
    di  speciali interessi  particolari di gruppi operai 
    seguiteranno ad essere molto complessi, e potranno assestarsi ed
    armonizzarsi soltanto in uno stadio molto avanzato dell'economia
    comunista, quando sarà ridotta al minimo la possibilità di
    contrasti fra gli interessi di un gruppo di produttori e
    l'interesse generale dell'andamento della produzione.
    
    Ciò che importa stabilire è che la rivoluzione comunista viene
    condotta e diretta da una rappresentanza politica della classe
    operaia, la quale prima dell'abbattimento del potere borghese è un
    partito politico; dopo, è la rete del sistema dei Soviet politici,
    eletti direttamente dalle masse col proposito di designare
    rappresentanti che abbiano un dato programma generale politico, e
    non siano già esponenti degli interessi limitati di una categoria o
    di una azienda.
    
    Il sistema russo è così congegnato che il soviet municipale di una
    città si compone di un delegato per ogni aggruppamento di proletari,
    che votano un solo nome. I delegati sono però proposti agli elettori
    dal partito politico, e così avviene per le deleghe di secondo e
    terzo grado agli organismi superiori del sistema statale.
    
    È sempre dunque un partito politico — il comunista — che chiede ed
    ottiene dagli elettori il mandato di amministrare il potere.
    
    Noi non diciamo certo che gli schemi russi debbano venire senz'altro
    ovunque adottati, ma pensiamo che si debba tendere ad avvicinarsi,
    anche più che in Russia, al principio informatore della
    rappresentanza rivoluzionaria: il superamento cioè degli interessi
    egoistici e particolari nell'interesse collettivo.
    
    Può essere opportuno per la lotta rivoluzionaria dei comunisti
    costituire fin da ora l'ingranaggio di una rappresentanza politica
    della classe operaia? È il problema che esamineremo nel prossimo
    articolo, discutendo il progetto elaborato al riguardo dalla
    direzione del partito, e ben fermo restando che, come in questo
    progetto parzialmente si riconosce, questa rappresentanza sarebbe
    ben altra cosa dal sistema dei consigli e comitati di fabbrica che
    s'è cominciato a formare a Torino.
    
    IV.
    
    Crediamo di aver abbastanza insistito sulla differenza tra consiglio
    di fabbrica e consiglio politico-amministrativo degli operai e
    contadini. Il consiglio di fabbrica è una rappresentanza di
    interessi operai limitati alla ristretta cerchia di una azienda
    industriale. In regime comunista, esso è il punto di partenza del
    sistema del «controllo operaio» che ha una certa parte nel sistema
    dei «consigli dell'economia» destinati alla direzione tecnica ed
    economica della produzione.
    
    Ma nessuna ingerenza hs il consiglio di fabbrica nel sistema dei
    soviet politici, depositari del potere proletario.
    
    Nel regime borghese, non può dunque vedersi nel consiglio di
    fabbrica — come non può vedersi nel sindacato di mestiere — un
    organo per la conquista del potere politico.
    
    Se ci si vedesse un organo di emancipazione del proletariato per
    altra via che non sia la conquista rivoluzionaria del potere, si
    ricadrebbe nell'errore sindacalista — e i compagni dell'Ordine Nuovo
    non hanno molta ragione nel sostenere, polemizzando con Guerra di
    classe 4, che il movimento dei consigli, di fabbrica, così come essi
    lo teorizzano, non sia in un certo senso del sindacalismo.
    
    Il marxismo si caratterizza per la partizione divinatrice della
    lotta di emancipazione proletaria in grandi fasi storiche, nelle
    quali diversissimo peso hanno l'attività politica <; quella
    economica: lotta per il potere — esercizio del potere (dittatura
    del proletariato) nella trasformazione dell'economia — società senza
    classi e senza Stato politico.
    
    Portare a coincidere, nella funzione degli organi di liberazione
    del proletariato, i momenti del processo politico con quelli del
    processo economico, vuol dire credere in quella caricatura
    piccolo-borghese del marxismo che dir si potrebbe economismo e
    classificare in riformismo e sindacalismo — e la sopravvalutazione
    del consiglio di fabbrica non sarebbe che un'altra
    incarnazione  di  questo  vecchio 
    errore,  che  lega  il  piccolo-borghese
    Proudhon ai tanti revisionisti che hanno creduto di oltrepassare
    Marx.
    
    In regime borghese, il consiglio di fabbrica è dunque un
    rappresentante degli interessi degli operai di una azienda così come
    lo sarà in regime comunista. Esso sorge quando le circostanze lo
    richiedono, attraverso modifiche dei metodi di organizzazione
    economica proletaria. Ma, forse più del sindacato, esso presta il
    fianco ai diversivi del riformismo.
    
    La vecchia tendenza minimalista all'arbitrato obbligatorio, alla
    cointeressenza degli operai nei profitti del capitale, e quindi al
    loro intervento nella direzione e amministrazione della fabbrica,
    potrebbe trovare nei consigli di fabbrica la base per la
    elaborazione di una legge  sociale  antirivoluzionaria.
    
    Ciò avviene in Germania attualmente tra l'opposizione degli
    indipendenti, che però non negano il principio ma le modalità della
    legge — differenziandosi dai comunisti pei quali il regime
    democratico non può dar vita a un qualsiasi controllo del
    proletariato sulle funzioni capitalistiche.
    
    Resti dunque chiaro che è cosa insensata parlare di controllo
    operaio fino a che il potere politico non sia nelle mani dello Stato
    proletario, in nome ed in forza del quale soltanto potrà venire
    esercitato tale controllo, preludio alla socializzazione delle
    aziende e alla loro amministrazione da parte di appropriati organi
    della collettività.   [...]
    
    V.
    
    I soviet, i consigli degli operai, contadini (e soldati), sono la
    forma che assume la rappresentanza del proletariato nell'esercizio
    del potere dopo l'abbattimento dello Stato capitalistico.
    
    Prima della conquista del potere, quando ancora politicamente
    domina la borghesia, può avvenire che speciali condizioni storiche,
    probabilmente corrispondenti a serie convulsioni degli ordinamenti
    istituzionali dello Stato e della società, determinino il sorgere
    dei soviet, e può essere molto opportuno che i comunisti agevolino e
    sospingano il nascere di questi nuovi organismi del proletariato.
    
    Deve però restare ben chiaro che tale formazione non può essere un
    procedimento artificiale o l'applicazione di una ricetta —e che in
    ogni modo l'essersi costituiti i consigli operai, che saranno la
    forma della rivoluzione proletaria, non vorrà dire che il problema
    della rivoluzione sia stato risolto, e nemmeno che siano state poste
    condizioni infallibili alla  rivoluzione.  Questa —e ne
    mostreremo gli esempi — può mancare anche ove i consigli esistano,
    quando in questi non sia trasfusa la coscienza politica e storica
    del proletariato, condensata, direi quasi, nel partito politico
    comunista.
    
    Il problema fondamentale della rivoluzione sta dunque nella tendenza
    del proletariato ad abbattere lo Stato borghese ed assumere nelle
    proprie mani il potere. Questa tendenza nelle larghe masse della
    classe operaia esiste come diretta risultanza dei rapporti economici
    di sfruttamento da parte del capitale, che determinano per il
    proletariato una situazione intollerabile e lo spingono ad
    infrangere le esistenti forme sociali.
    
    Ma il compito dei comunisti è quello di indirizzare questa violenta
    reazione delle folle e dare ad essa una migliore efficienza. I
    comunisti — come già disse il Manifesto — meglio del restante
    proletariato conoscono le condizioni della lotta di classe e della
    emancipazione del proletariato; la critica che essi fanno della
    storia e della costituzione della società li pone in grado di
    costruire una previsione abbastanza esatta degli sviluppi del
    processo rivoluzionario. Perciò i comunisti costituiscono il
    partito politico di classe, che si propone l'unificazione delle
    forze proletarie, l'organizzazione del proletariato in classe
    dominante attraverso la conquista rivoluzionaria del potere.
    
    Quando la rivoluzione è prossima e i suoi presupposti sono maturi
    nella realtà della vita sociale, un forte partito comunista deve
    esistere, e particolarmente precisa deve essere la sua coscienza
    degli eventi che si preparano.
    
    Gli organi rivoluzionari che all'indomani della caduta della
    borghesia esercitano il potere proletario e rappresentano le basi
    dello Stato rivoluzionario, in tanto sono tali in quanto sono
    guidati dai lavoratori coscienti della necessità della dittatura
    della propria classe — cioè da lavoratori comunisti. Ove così non
    fosse, questi organi cederebbero il potere conquistato e la
    controrivoluzione trionferebbe.
    
    Ecco perché, se questi organi debbono sorgere, se i comunisti
    devono in un dato momento occuparsi della loro costituzione, non si
    deve credere che sia questo un mezzo per aggirare le posizioni della
    borghesia e venire facilmente, automaticamente quasi, a capo delle
    sue resistenze a cedere il potere.
    
    I soviet, organi di Stato del proletariato vittorioso,
    possono
essere organi di lotta rivoluzionaria del proletariato
    quando an
cora il capitalismo impera nello Stato? Sì, nel senso
    però che
essi possono costituire, ad un certo stadio, il terreno
    adatto per
la lotta rivoluzionaria che il partito conduce. E in quel
    certo
stadio il partito tende a formarsi un tale terreno, un tale
    inqua
dramento di forze.
    
    Siamo oggi in Italia in questo stadio della lotta? Noi pensiamo
    che  ad esso  siamo  molto prossimi,  ma che vi
    è uno stadio precedente da superare.
    
    II partito comunista, che nei soviet dovrebbe agire, ancora
non
    esiste. Noi non diciamo che i soviet, per sorgere, lo
    atten
deranno: potrà darsi che gli avvenimenti si presentino
    altri
menti. Ma allora si delineerà questo grave pericolo:
    l'immatu
rità del partito lascerà cadere questi organismi nelle
    mani dei
riformisti, dei complici della borghesia, dei siluratori o
    dei fal
sificatori della rivoluzione.
    
    E allora noi pensiamo che è molto più urgente il problema di avere
    in Italia un vero partito comunista, che quello di creare i soviet.
    
    Note
    
    1 I comitati di fabbrica, in «Comunismo», I, n° 6, 15-31
    dicembre
1919, in particolare pp. 402-3. Carlo Niccolini è lo
    pseudonimo di Nikolaj
M. Ljubarskij, inviato dell'Internazionale in
    Italia dal  1919 al  1921.
    
    2 Nel § che segue, Bordiga cita, criticandoli, alcuni passi
    dell'art, di
A. Tasca, Impressioni del Congresso socialista, in
    «L'Ordine nuovo», I,
n° 22, 18 ottobre 1919.
    
    3 Cfr. Il programma dei Commissari di reparto, in «L'Ordine nuovo»,
    I, n° 25, 8 novembre 1919, in particolare p. 193.
    
    4 Organo   dell'Unione   sindacale 
    italiana   (usi),  di   cui  
    era   segretario Armando Borghi (1882-1968).
    
     Consigli di fabbrica e sindacati
    * Da A. Tasca, I Consigli di Fabbrica e la Rivoluzione Mondiale.
    Relazione letta all'Assemblea della Sezione Socialista Torinese la
    sera del 13 aprile 1920, libreria editrice dell'Alleanza coop.
    torinese, Torino 1921, pp. 25-37.
    
    Rapporti fra Consigli di fabbrica e sindacati
    
    Per stabilire bene il rapporto tra le due specie di organizzazione,
    sembrerebbe necessario ed indispensabile definirne le rispettive
    funzioni. Dopo aver per lungo tempo ricercato s'era possibile
    trovare una linea netta di demarcazione, ci siamo convinti che
    separare i due organismi era tanto assurdo quanto era invece
    inevitabile la loro identificazione: cioè, l'inserimento dell'uno
    nell'altro. Pensare che i due organismi possano vivere l'uno accanto
    all'altro, entrambi viventi di una stessa materia: la classe
    operaia, senza che ciò si risolvesse in un continuo conflitto di
    competenze e nell'esaurimento e nella svalutazione di entrambi, è
    uscire affatto dalla realtà.
    
    Per le ragioni più volte esposte, ragioni che non sono ormai più
    respinte neanche dagli stessi dirigenti la Confederazione del
    lavoro, la organizzazione per mestieri deve lasciare il posto alla
    organizzazione per industrie e le sezioni delle federazioni e dei
    sindacati devono diventare le stesse fabbriche, le stesse
    amministrazioni, gli stessi servizi.
    
    I Consigli di fabbrica sono quindi il primo elemento del processo di
    trasformazione di un tipo di organizzazione nell'altro. I sindacati
    sotto la forma attuale non spariranno del tutto, fintanto che i
    Consigli di fabbrica non avranno a poco a poco assorbito tutte le
    masse dei produttori sulle sedi di lavoro, e alla fine di questo
    processo il sindacato di mestiere si sarà trasformato in un
    sindacato di industria. Tale trasformazione però non potrà aver
    luogo unicamente con una modifica nello statuto delle nostre
    organizzazioni come un semplice trapasso amministrativo; essa è una
    conquista graduale che dai centri di più intensa produzione
    industriale si estenderà ai centri minori, che assorbirà a poco a
    poco tutta quanta la vita economica del paese. Invece di
    considerare dunque gli attuali sindacati ed i Consigli di fabbrica
    come enti tra sé contrastanti e di cui si debba determinare la
    rispettiva topografia o la divisione dei poteri, noi vediamo nel
    Consiglio di fabbrica l'elemento vitale che servirà a operare in
    modo organico la trasformazione del vecchio nel nuovo
    sindacato.  [...]
    
    Compito dei sindacati dopo la rivoluzione
    
    I sindacati sono gli organi della lotta di resistenza e della lotta
    per il controllo della produzione della loro branca industriale.
    Dopo la rivoluzione, il compito loro evidentemente deve mutare
    perché muta il rapporto fondamentale tra capitale e lavoro. I
    sindacati, cioè, dovranno continuare ad elaborare le condizioni di
    lavoro (salari ed orari) anche in regime comunista, e nello stesso
    tempo assumeranno la gestione della produzione della loro
    particolare branca. Nel primo caso il sindacato dovrà, come
    giustamente è affermato nella tesi Zinov'ev ', intervenire a
    coordinare le richieste particolari, opponendosi, con tutta la sua
    autorità, alla creazione degli egoismi di categoria. Una tale opera,
    che ha un alto valore educativo politico il sindacato la deve
    compiere anche nel periodo attuale, ed anche per questo riguardo è
    assolutamente necessario che i Consigli di fabbrica diventino
    elemento integrante dei sindacati, i quali possono e devono
    esercitare su di essi quella stessa opera di controllo in vista
    delle superiori esigenze della lotta di classe, che quelli compiono
    di fronte ai rispettivi riparti. Ma in periodo di rivoluzione e di
    assestamento del regime comunista, l'opera dei sindacati diventa
    preziosissima, essenziale: essi devono, cioè, prima di appoggiare le
    domande dei singoli gruppi, metterle in armonia con quelle dei
    gruppi affini e colle superiori necessità della vita e del
    rafforzamento del regime comunista. Al quale quindi i sindacati
    faciliteranno la vita, creando dei rapporti normali e disciplinati
    tra di esso e le masse lavoratrici, e mettendolo dinanzi, non
    all'assalto egoistico di singole brame scatenate durante la crisi
    del trapasso, ma dei bisogni e delle esigenze giuste della massa
    lavoratrice, dalla cui soddisfazione dipende giustamente la
    solidità del nuovo regime.
    
    Per quanto poi riguarda l'assunzione da parte dei sindacati
    dell'apparato produttivo industriale, i sindacati devono diventare
    organi statali per la coscrizione della mano d'opera o la sua
    distribuzione secondo le esigenze della produzione. Da questo punto
    di vista in regime comunistico l'iscrizione al sindacato sarà
    obbligatoria e i quadri dell'organizzazione coincideranno con quelli
    dell'esercito del lavoro. Allora i sindacati avranno raggiunto il
    culmine della loro evoluzione passando dalla lotta di resistenza
    alla gestione diretta della produzione.
    
    Compiti dei Consigli di fabbrica
    
    Parlando dei compiti rispettivi dei nuovi organismi che il
    proletariato  comunista  si dà  in  questa 
    ultima  fase  della  sua
    
    lotta di liberazione, non bisogna dimenticare che i compiti non
    sono mai infusi negli organismi i quali, se vitali, possono sempre
    trasformarsi in ragione delle mutevoli esigenze della lotta
    rivoluzionaria. Riconoscendo cioè utile, ed anche necessario un
    esame dei possibili limiti dell'azione dei vari organismi, non
    vogliamo con ciò ritenere che essi debbano cristallizzarsi nella
    ripetizione anticipatamente definita e schematizzata di determinati
    atti. Allo stesso modo che ci rifacciamo ora alle prime esperienze
    del proletariato torinese sui Consigli di fabbrica, e a quelle ben
    più vaste e più risolutive dei comunisti russi, così dobbiamo
    affermare fin d'ora di essere pronti a far tesoro di ogni esperienza
    nuova che la realtà in cui viviamo ci offrisse, pronti a mutare ogni
    giorno metodi e rapporti qualora la pressione degli avvenimenti e
    l'accelerato ritmo dello sviluppo della rivoluzione lo rendessero
    necessario. Riteniamo però che il compito dei Consigli di fabbrica
    potrebbe essere di massima definito nei seguenti punti:
    
    I.
    
    1) Il Consiglio di fabbrica sostituisce la Commissione interna del
    vecchio concordato in quella che era la funzione di detta
    Commissione e cioè nella tutela di tutti i produttori della
    fabbrica nelle vertenze che potessero sorgere sull'applicazione e
    sull'interpretazione dei patti stipulati dal concordato generale;
    
    2) Esercita, riunendo nel proprio seno tutte le categorie dei
    produttori, il controllo della organizzazione del lavoro e della
    produzione nell'interno della fabbrica;
    
    3) Rappresenta l'elemento di trasformazione del sindacato da
    organizzazione per mestiere ad organizzazione per industria.
    
    II.
    
    4) Il Consiglio di fabbrica rappresenta il più naturale
    inquadramento di tutta la massa in una prima e spontanea forma di
    organizzazione e disciplina;
    
    5) È uno strumento per la trasformazione della psicologia delle
    masse, al fine di educarle a passare dalla lotta di resistenza a
    quella di conquista, dalla coscienza del salariato a quella del
    produttore.
    
    III.
    
    6) Il Consiglio di fabbrica costituisce una sezione elettorale per
    la elezione dei soviet;
    
    7) Costituisce una sezione del «comune» dei consumatori;
    
    8) Costituisce  una  sezione dell'armamento 
    del  proletariato nella guardia rossa.
    
    Note
    
    1 Cfr. di Zinov'ev, in «L'Ordine nuovo», I, n° 34, pp. 269-70, Il
    partito e i sindacati, relazione a una conferenza del Partito
    comunista e dei Sindacati tenuta a Pietrogrado nell'ottobre 
    1919.
    
     Il Consiglio di fabbrica
    * [A. Gramsci], Il consiglio di fabbrica, in «L'Ordine Nuovo», II,
    n° 4, 5 giugno 1920; ora in A. Gramsci, L'Ordine Nuovo cit., pp.
    123-27. Art. non firmato.
    
    La rivoluzione proletaria non è l'atto arbitrario di una
    organizzazione che si afferma rivoluzionaria o di un sistema di
    organizzazioni che si affermano rivoluzionarie. La rivoluzione
    proletaria è un lunghissimo processo storico che si verifica nel
    sorgere e nello svilupparsi di determinate forze produttive (che noi
    riassumiamo nell'espressione: «proletariato») in un determinato
    ambiente storico (che noi riassumiamo nelle espressioni: «modo di
    proprietà individuale, modo di produzione capitalistico, sistema di
    fabbrica, modo di organizzazione della società nello Stato
    democratico-parlamentare»). In una determinata fase di questo
    processo, le forze produttive nuove non possono più svilupparsi e
    sistemarsi in modo autonomo negli schemi ufficiali in cui si svolge
    la convivenza umana; in questa determinata fase avviene l'atto
    rivoluzionario, che consiste in uno sforzo diretto a spezzare
    violentemente questi schemi, diretto a distruggere tutto
    l'apparecchio di potere economico e politico, in cui le forze
    produttive rivoluzionarie erano contenute oppressivamente, che
    consiste in uno sforzo diretto a infrangere la macchina dello Stato
    borghese e a costituire un tipo di Stato nei cui schemi le forze
    produttive liberate trovino la forma adeguata per il loro ulteriore
    sviluppo, per la loro ulteriore espansione, nella cui
    organizzazione esse trovino il presidio e le armi necessarie e
    sufficienti per sopprimere i loro avversari.
    
    Il processo reale della rivoluzione proletaria non può essere
    identificato con lo sviluppo e l'azione delle organizzazioni
    rivoluzionarie di tipo volontario e contrattualista quali sono il
    partito politico e i sindacati professionali: organizzazioni nate
    nel campo della democrazia borghese, nate nel campo della libertà
    politica, come affermazione e come sviluppo della libertà politica.
    Queste organizzazioni, in quanto incarnano una dottrina che
    interpreta il processo rivoluzionario e ne prevede (entro certi
    limiti di probabilità storica) lo sviluppo, in quanto sono
    riconosciute dalle grandi masse come un loro riflesso e un loro
    embrionale apparecchio di governo, sono attualmente e sempre più
    diventeranno gli agenti diretti e responsabili dei successivi atti
    di liberazione che l'intiera classe lavoratrice tenterà nel corso
    del processo rivoluzionario. Ma tuttavia esse non incarnano questo
    processo, esse non superano lo Stato borghese, esse non abbracciano
    e non possono abbracciare tutto il molteplice pullulare di forze
    rivoluzionarie che il capitalismo scatena nel suo procedere
    implacabile di macchina da sfruttamento e da oppressione.
    
    Nel periodo di predominio economico e politico della classe borghese
    lo svolgimento reale del processo rivoluzionario avviene
    sotterraneamente, nell'oscurità della fabbrica e nell'oscurità della
    coscienza delle moltitudini sterminate che il capitalismo assoggetta
    alle sue leggi: esso non è controllabile e documentabile, lo sarà
    in avvenire quando gli elementi che lo costituiscono (i sentimenti,
    le velleità, le abitudini, i germi di iniziativa e di costume) si
    saranno sviluppati e purificati con lo svilupparsi della società,
    con lo svilupparsi della situazione che la classe operaia viene ad
    occupare nel campo della produzione. Le organizzazioni
    rivoluzionarie (il partito politico e il sindacato professionale)
    sono nate nel campo della libertà politica, nel campo della
    democrazia borghese, come affermazione e sviluppo della libertà e
    della democrazia in generale, in un campo in cui sussistono i
    rapporti di cittadino a cittadino: il processo rivoluzionario si
    attua nel campo della produzione, nella fabbrica, dove i rapporti
    sono di oppressore a oppresso, di sfruttatore a sfruttato, dove non
    esiste libertà per l'operaio, dove non esiste democrazia; il
    processo rivoluzionario si attua dove l'operaio è nulla e vuol
    diventare tutto, dove il potere del proprietario è illimitato, è
    potere di vita e di morte sull'operaio, sulla donna dell'operaio,
    sui figli dell'operaio.
    
    Quando noi diciamo che il processo storico della rivoluzione
    operaia, che è immanente nella convivenza umana in regime
    capitalista, che ha le sue leggi in se stesso e si svolge
    necessariamente per il confluire di una molreplicità di azioni
    incontrollabili perché create da una situazione che non è voluta
    dall'operaio e non è prevedibile dall'operaio, quando noi diciamo
    che il processo storico della rivoluzione operaia è affiorato alla
    luce, è diventato controllabile e documentabile?
    
    Noi diciamo questo quando tutta la classe operaia è diventata
    rivoluzionaria, non più nel significato che essa rifiuta
    genericamente di collaborare agli istituti di governo della classe
    borghese, non più nel senso che essa rappresenta una opposizione
    nel campo della democrazia, ma nel senso che tutta la classe
    operaia, quale si ritrova in una fabbrica, inizia un'azione che deve
    necessariamente sboccare nella fondazione di uno Stato operaio, che
    deve necessariamente condurre a configurare la società umana in una
    forma che è assolutamente originale, in una forma universale, che
    abbraccia tutta l'Internazionale operaia e quindi tutta l'umanità. E
    noi diciamo che il periodo attuale è rivoluzionario appunto perché
    constatiamo che la classe operaia, in tutte le nazioni, tende a
    creare, tende con tutte le sue energie — pur tra gli errori, i
    tentennamenti, gli impacci propri di una classe oppressa, che non ha
    esperienza storica, che deve tutto fare originalmente — a esprimere
    dal suo seno istituti di tipo nuovo nel campo operaio, istituti a
    base rappresentativa, costruiti entro uno schema industriale; noi
    diciamo che il periodo attuale è rivoluzionario perché la classe
    operaia tende con tutte le sue forze, con tutta la sua volontà a
    fondare il suo Stato. Ecco perché noi diciamo che la nascita dei
    Consigli operai di fabbrica rappresenta un grandioso evento storico,
    rappresenta l'inizio di una nuova èra nella storia del genere umano:
    per essa il processo rivoluzionario è affiorato alla luce, entra
    nella fase in cui può essere controllato e documentato.Nella fase
    liberale del processo storico della classe borghese e della società
    dominata dalla classe borghese, la cellula elementare dello Stato
    era il proprietario che nella fabbrica soggioga al suo profitto la
    classe operaia. Nella fase liberale il proprietario era anche
    imprenditore, era anche industriale: il potere industriale, la fonte
    del potere industriale era nella fabbrica, e l'operaio non riusciva
    a liberare la sua coscienza dalla persuasione della necessità del
    proprietario, la cui persona si identificava con la persona
    dell'industriale, con la persona del gestore responsabile della
    produzione e quindi anche del suo salario, del suo pane, del suo
    abito, del suo tetto.
    
    Nella fase imperialista del processo storico della classe borghese,
    il potere industriale di ogni fabbrica si stacca dalla fabbrica e
    si accentra in un trust, in un monopolio, in una banca, nella
    burocrazia statale. Il potere industriale diventa irresponsabile e
    quindi più autocratico, più spietato, più arbitrario: ma l'operaio,
    liberato dalla soggestione del «capo», liberato dallo spirito
    servile di gerarchia, spinto anche dalle nuove condizioni generali
    in cui la società si trova dipendentemente dalla nuova fase storica,
    l'operaio attua inapprezzabili conquiste di autonomia e di
    iniziativa.
    
    Nella fabbrica la classe operaia diventa un determinato «strumento
    di produzione» in una determinata costituzione organica; ogni
    operaio entra «casualmente» a far parte di questo corpo costituito:
    casualmente per ciò che riguarda la sua volontà, ma non casualmente
    per ciò che riguarda la sua destinazione di lavoro, poiché egli
    rappresenta una necessità determinata del processo di lavoro e di
    produzione e solo per ciò viene assunto, solo per ciò può
    guadagnarsi il pane: egli è un ingranaggio della macchina-divisione
    del lavoro, della classe operaia determinatasi in uno strumento di
    produzione. Se l'operaio acquista coscienza chiara di questa sua
    «necessità determinata» e la pone a base di un apparecchio
    rappresentativo a tipo statale (cioè non volontario,
    contrattualista, per via di tessera, ma assoluto, organico, aderente
    ad una realtà che è necessario riconoscere se si vuole avere
    assicurati il pane, il vestito, il tetto, la produzione
    industriale): se l'operaio, se la classe operaia fa questo, essa fa
    una cosa grandiosa, essa inizia una storia nuova, essa l'inizia
    l'èra degli Stati operai che dovranno confluire alla formazione
    della società comunista, del mondo organizzato sulla base e sul tipo
    della grande ofEcina meccanica, della Internazionale comunista nella
    quale ogni popolo, ogni parte di umanità acquista figura in quanto
    esercita una determinata produzione preminente e non più in quanto è
    organizzata in forma di Stato e ha determinate frontiere.
    
    In quanto costruisce questo apparecchio rappresentativo, in realtà
    la classe operaia compie l'espropriazione della prima macchina, del
    più importante strumento di produzione: la classe operaia stessa,
    che si è ritrovata, che ha acquistato coscienza della sua unità
    organica e che unitariamente si contrappone al capitalismo. La
    classe operaia afferma così che il potere industriale, che la fonte
    del potere industriale deve ritornare alla fabbrica, pone nuovamente
    la fabbrica, dal punto di vista operaio, come forma in cui la
    classe operaia si costituisce in corpo organico determinato, come
    cellula di un nuovo Stato, lo Stato operaio, come base di un nuovo
    sistema rappresentativo, il sistema dei Consigli. Lo Stato operaio,
    poiché nasce secondo una configurazione produttiva, crea già le
    condizioni del suo sviluppo, del suo dissolversi come Stato, del suo
    incorporarsi organico in un sistema mondiale, l'Internazionale
    comunista.
    
    Come oggi, nel Consiglio di una grande officina meccanica, ogni
    squadra di lavorazione (di mestiere) si amalgama, dal punto di vista
    proletario, con le altre squadre di un reparto, ogni momento della
    produzione industriale si fonde, dal punto di vista proletario, con
    gli altri momenti e pone in rilievo il processo produttivo, così nel
    mondo, il carbone inglese si fonde col petrolio russo, il grano
    siberiano con lo zolfo di Sicilia, il riso del Vercellese col
    legname della Stiria... in un organismo unico, sottoposto a una
    amministrazione internazionale che governa la ricchezza del globo in
    nome dell'intera umanità. In questo senso il Consiglio operaio di
    fabbrica è la prima cellula di un processo storico che deve
    culminare nell'Internazionale comunista, non più come organizzazione
    politica del proletariato rivoluzionario, ma come riorganizzazione
    dell'economia mondiale e come riorganizzazione di tutta la
    convivenza umana, nazionale e mondiale. Ogni azione attuale
    rivoluzionaria ha valore, è reale storicamente, in quanto aderisce a
    questo processo, in quanto è concepita ed è un atto di liberazione
    di questo processo dalle soprastrutture borghesi che lo costringono
    e lo inceppano.
    
    I rapporti che devono intercorrere tra il partito politico e il
    Consiglio di fabbrica, tra il sindacato e il Consiglio di fabbrica
    risultano già implicitamente da questa esposizione: il partito e il
    sindacato non devono porsi come tutori o come superstrut-ture già
    costituite di questa nuova istituzione, in cui prende forma storica
    controllabile il processo storico della rivoluzione, essi devono
    porsi come agenti consapevoli della sua liberazione dalle forze di
    compressione che si riassumono nello Stato borghese, devono
    proporsi di organizzare le condizioni esterne generali (politiche)
    il cui processo [della] rivoluzione abbia la sua massima celerità,
    in cui le forze produttive liberate trovino la massima espansione.