Antologia del Pensiero Socialista
Comunismo e Socialdemocrazia
a cura di Alfredo Salsano
Laterza, Bari 1982
vol. IV pp. 483-522
VI.
LA « BOLSCEVIZZAZIONE »: IL CASO DEL PARTITO COMUNISTA ITALIANO
Al V congresso dell'Internazionale comunista (giugno-luglio 1924),
l'orientamento principale fu quello volto a combattere il « pericolo
di destra » illustrato dalle posizioni di Karl Radek e Clara Zetkin
sul fronte unico e sulla lotta conto il fascismo. Ammettendo di aver
fatto concessioni alla destra al IV congresso, Zinov'ev riprese gli
attacchi alla socialdemocrazia come « ala del fascismo » — una
posizione non certo nuova nel comunismo internazionale e presente
in particolare nel partito italiano — e confermò la propria
interpretazione del governo operaio come « sinonimo della dittatura
del proletariato », da perseguire nel quadro del fronte unico « dal
basso ».
Il tatticismo di questo corso « di sinistra » impresso allora alla
politica dell'Internazionale risulta, oltre che dall'imprecisione
delle valutazioni di Zinov'ev circa la situazione oggettiva e le
prospettive — consolidamento e decomposizione del capitalismo
nell'era « democratico-pacifista » — anche dai contenuti della sua
polemica contro Bordiga e il « dottrinarismo italiano », per cui la
revisione della linea del III e IV congresso era presentata come
revisione della sua « deformazione opportunistica » e non certo
come abbandono della tattica « manovrata » (cfr. pp. 485-95).
Quanto tutto ciò riflettesse problemi di schieramento interno nella
lotta per il potere al vertice del partito russo, entrata in una
nuova, decisiva fase dopo la morte di Lenin, non è possibile vedere
in questa sede, e ci si limita a rinviare per un inquadramento
generale ai testi contenuti nei primi due capitoli della Parte
sesta, da Nuovo corso di Trockij a Princìpi del leninismo di Stalin.
Non senza però ricordare che, rinunziando a portare la questione
russa al V congresso, Irockij lasciò campo libero all'autorità
esercitata nell'Internazionale da Zinov'ev, Bucharin e Stalin
(Kamenev non svolse mai un ruolo s'gnificativo nel Comintern).
Importa invece sottolineare che la (relativa) svolta politica del V
congresso servì soprattutto a giustificare ben più consistenti e
durature innovazioni sul piano organizzativo, con la cosiddetta
bolscevizzazione. Lanciata da Zinov'ev in funzione soprattutto
della lotta contro l'« opportunismo » nei vari partiti, la
bolscevizzazione era in realtà volta ad imporre loro un monolitismo
analogo a quello ormai praticamente invalso nel partito russo,
impedendo dunque che trovasse eco in essi l'opposizione bolscevica
e facendone docili strumenti della « manovra » del « partito
mondiale del leninismo ».
Da questo punto di vista, il caso del partito italiano, che si è
scelto di illustrare anche a complemento della documentazione già
fornita (cfr. pp. 329-58), è senz'altro esemplare. Esso rivela
infatti quel relativo rendersi autonomo della linea politica
rispetto al fatto organizzativo per cui la bolscevizzazione potè
riempirsi di contenuti diversi a seconda delle circostanze, per
approdare in ogni caso agli stessi risultati di subordinazione e
disciplinamento dei singoli partiti.
Così, mentre nel partito francese il gruppo dirigente schierato
intorno ad Albert Treint sulle posizioni di Zinov'ev colpì « a
destra » espellendo nel dicembre 1924 Delagarde, Monatte e Rosmer,
autori di una Lettre aux membres du Parti communiste condannata come
manifestazione di sabotaggio frazionista; mentre la stessa
imputazione di trockismo e menscevismo sarà fatta valere contro
Brandler e Thal-heimr dalla direzione di sinistra del partito
tedesco, guidata da Ruth Fischer ed Arkadi Maslow, — viceversa, nel
partito comunista italiano la bolscevizzazione colpì, con Bordiga,
l'intero precedente indirizzo di sinistra; fu insomma, come risulta
dal verbale della Commissione politica per il congresso di Lione
(gennaio 1926), lo strumento per portare a compimento il passaggio
della direzione del partito dal vecchio al nuovo gruppo dirigente
aggregatosi intorno a Gramsci (cfr. pp. 495-509).
Rispetto al « pericolo di destra », infatti — come si legge nelle «
Tesi di Lione », e come già aveva detto il delegato italiano
Scoc-cimarro intervenendo all'Esecutivo allargato
dell'Internazionale nel marzo 1925 — il «pericolo di deviazione di
sinistra » era «legato con le origini del partito e con la
situazione generale del paese ». Di qui lo spazio dedicato nelle
Tesi all'ideologia del partito e lo stretto legame istituito tra la
critica dell'«estremismo » della sinistra e le questioni di
organizzazione, sulle quali peraltro si era soprattutto svolta la
discussione (cfr. pp. 509-17).
Il punto essenziale, evidentemente, era quello della concezione
stessa del partito e della sua funzione in rapporto alla classe: in
proposito, il richiamo alla pratica del movimento di fabbrica del
1919-20, e dunque all'esperienza de «L'Ordine nuovo » — della quale
peraltro Gramsci aveva già in una lettera a Leonetti del gennaio
1924 tenuto a segnare i limiti — si accompagna alla piena
accettazione della elaborazione staliniana sul «partito del
leninismo »: come risulta, nell'intervento di Gramsci alla suddetta
commissione, dalla sottolineatura del partito come «parte » oltre
che come «avanguardia » del proletariato (cfr. in proposito anche il
testo di Stalin qui riportato, pp. 718-26, nonché quanto segnalato
alla n. 3, p. 723).
Tralasciando il diverso significato che posizioni elaborate da Lenin
nel contesto della polemica antimenscevica seguita al II congresso
del posdr avevano acquistato nella dottrina staliniana, per quel che
riguarda il partito italiano, è da osservare che, se questa
concezione del partito contribuì indubbiamente, sul piano
organizzativo, a garantirne la sopravvivenza nelle condizioni della
lunga opposizione al fascismo, essa introdusse però anche nei
rapporti tra partito e classe quella autonomia della linea politica
cui si è accennato — autonomia che consentirà in seguito alla
maggioranza del gruppo dirigente, di seguire, anche contro Gramsci,
le successive «svolte » dell'Internazionale nell'epoca dello
stalinismo (cfr. il V voi. dell'Antologia).
Quanto a Bordiga, la lettera da lui scritta nell'ottobre 1926 a Karl
Korsch — il quale, espulso col gruppo di «Kommunistische Politik »
dal partito comunista tedesco, cercava di rimettere insieme quel che
restava della sinistra comunista internazionale — è un documento il
cui interesse non è limitato al «caso italiano »: oltre ai giudizi e
alle valutazioni tattiche sulle posizioni dell'opposizione russa e
internazionale, e a parte le divergenze che lo portavano a
respingere la proposta di Korsch, ne emergono infatti gli elementi
di una valutazione critica dell'intera vicenda rivoluzionaria e
postrivoluzionaria che è impossibile svalutare sulla base della
constatazione delle conclusioni «attendiste » cui da allora si
atterrà Bordiga (cfr. pp. 518-22).
GLI «ERRORI DEL COMPAGNO BORDIGA » E LA «
BOLSCEVIZZAZIONE » *
* Da Protokoll. Fiinfter Kongress der Kommunistischen Internationale
(Atti. V congresso dell'Internazionale comunista), Verlag C. Hoym
Nachf., Hamburg [1924], I voi., pp. 500-9 (reprint Feltrinelli
1967). Conclusione sulla «tattica dell'Esecutivo e la situazione
mondiale », XV seduta, 26 giugno 1924.
La questione delle frazioni.
Ed ora, pour la bonne bouche, devo dire ancora qualcosa al compagno
Bordiga, che era atteso tanto ardentemente ed è giunto troppo tardi,
per così dire come dessert di tutta la discussione. In effetti il
suo intervento è stato per vari aspetti un boccone prelibato. Io
sono pronto a tutte le possibili concessioni nei suoi riguardi
perché noi sappiamo che il compagno Bordiga è un buon
rivoluzionario, che renderà ancora i più grandi servigi al partito
italiano e a tutta l'Internazionale. Quando si tratta di formalità e
non di differenze di principio — se non addirittura di questioni di
personalità — noi siamo pronti a concedere qualsiasi cosa a
Bordiga.
Per una parte del suo discorso il compagno Bordiga ha mantenuto un
tono diplomatico che non gli si addice. Io credo che ieri egli sia
stato diplomatico per la prima volta nella sua vita, per la prima e,
speriamo, per l'ultima. Prendiamo per esempio la questione delle
frazioni. Io vi ho ricordato la sua affermazione circa la necessità
di organizzare nell'ambito dell'Internazionale una frazione di
sinistra. Il compagno Bordiga mi ha replicato che egli questo non
l'ha detto, e che ha detto solamente invece che formerebbe una
frazione se l'Internazionale andasse a destra e diventasse
riformista. Ebbene, io dò ufficialmente la mia parola al compagno
Bordiga che se mai la nostra Internazionale diventasse
un'Internazionale riformista, sarei io il primo a formare insieme a
lui la frazione di sinistra di cui egli parla. (Applausi).
Il compagno Bordiga ha posto la domanda: chi dà la garanzia che Pie
non diventerà un'Internazionale riformista? La domanda non ha senso.
In base a che cosa egli fa una simile domanda? Il compagno Bordiga
sa bene che nella Seconda Internazionale noi avevamo formato una
frazione di sinistra e che abbiamo dato battaglia a Zimmerwald;
quindi, se dovesse capitarci un infortunio del genere, egli
potrebbe stare tranquillo. Ma io credo che ciò non accadrà. Prendo
atto dunque volentieri che il compagno Bordiga non ha voluto dire
la frase citata. Oggi però qualcuno mi ha dato un articolo del
compagno Bordiga, in data 8 maggio, dove si dice:
La questione delle frazioni non si risolve altrimenti che
uniformandosi a quelle norme organizzative di cui abbiamo parlato
(iscrizione a titolo individuale, nessun noyautage, fusione ecc.).
Ma se ce ne dovessimo discostare,
allora l'esistenza di una
frazione internazionale di opposizione di sinistra
diventerebbe necessaria1.
Egli dunque non dice: Se diventiamo opportunisti e riformisti,
bensì: se non condividiamo il punto di vista di Bordiga su alcuni
punti specifici e marginali; se mai capitasse per esempio di
fondersi con altri partiti o di costituire cellule in altri partiti,
egli formerebbe una frazione. Gli basta questo.
Su questa questione noi siamo pronti ad essere inflessibili
esattamente quanto il compagno Bordiga. Se il problema fosse quello
di una drastica separazione tra comunismo e menscevismo, noi saremmo
d'accordo per la ribellione in qualsiasi organizzazione. Ma quando
si tratta di questioni per le quali Bordiga minaccia il frazionismo
a causa di differenze di second'ordine e di ordine organizzativo,
allora io chiedo: qual è il vero Bordiga? Quello dell'8 maggio di
quest'anno oppure quello del 25 giugno che abbiamo ascoltato in
questa sala? (Applausi).
1 Così ritradotto dal Protokoll. Il passo corrispondente
dell'originale it. è il seguente: «...la quistione delle frazioni
non si risolverà che nel-l'avvicinarsi a quelle condizioni di
normalità organizzativa di cui abbiamo parlato, e se invece da
quelle ci si dovesse discostare, allora diventerebbe necessaria la
esistenza di una frazione internazionale di opposizione a sinistra
»; cfr. A. Bordiga, L'indirizzo della Internazionale Comunista, in
«Lo Stato Operaio », II, n° 15, 8 maggio 1924.
Tre punti di conflitto.
Vengo dunque alle tre questioni cui il compagno Bordiga sembra
attribuire la massima importanza. Primo: egli è contrario in linea
di principio all'eventualità di una fusione di un partito comunista
con qualsiasi altro partito. Secondo: egli è contrario
all'eventualità di costruire delle cellule in altri partiti. Terzo:
egli è contrario ad accogliere partiti simpatizzanti entro
l'Internazionale comunista.
Analizziamo con tutta serietà questi tre punti. Quale argomento si
può addurre contro la fusione di un partito comunista con un altro
partito o con la frazione di un partito che prima non era comunista
e poi lo è diventata? Io voglio ricordare che l'unificazione dello
Spartakusbund con la sinistra della usp dopo Halle prese la forma di
una fusione. Andava bene per l'Internazionale e per il partito
tedesco? Sì, andava bene. È vero che essa fu all'origine di molte
crisi, ma portò anche alla formazione di un forte partito comunista
di massa. La socialdemocrazia in effetti ha perduto il suo monopolio
di unico partito operaio già a Halle.
Ma considerate un piccolo paese come il Belgio. Lì abbiamo avuto un
piccolo partito comunista che si è unificato con l'ala sinistra
proveniente dal partito socialdemocratico, e ha formato un partito
comunista. È stato giusto? Io credo di sì.
Perché è accaduto tutto questo? Il compagno Bordiga giudica le cose
in astratto. Non dobbiamo dimenticare che anche noi in parte siamo
nati in seno alla Seconda Internazionale. La Seconda Internazionale
è nata trent'anni prima di noi, e questo spiega il fatto che noi
discendiamo dalla Seconda Internazionale. I partiti comunisti si
formano sulla base della nuova gioventù che va crescendo e della
parte migliore di quella che è cresciuta in seno alla Seconda
Internazionale. E questo non succede perché noi siamo degli
eclettici come crede il «coerente » Bordiga. Perché dovremmo essere
contro ciò che siamo riusciti a fare a Halle e in Belgio e che
domani si verificherà anche in Italia quando una parte del partito
socialista si unirà a noi? Io credo che su questo primo punto il
compagno Bordiga abbia assolutamente torto.
Secondo punto: non si devono mai costituire cellule in altri
partiti. E perché no? Prendiamo l'esempio classico del Labour Party
inglese. Noi abbiamo deciso che i comunisti inglesi debbono entrare
nel Labour Party. Essi lo hanno fatto, e con successo. Nessuno
pretenderà ora che ne escano. È giusto questo, compagno Bordiga? Lì
c'è una situazione tutta particolare. In Inghilterra esiste un
grande partito della Seconda Internazionale, mentre le masse sono
permeabili alla nostra agitazione. Il Labour Party è
un'organizzazione tutta particolare. Noi dobbiamo penetrare in
queste masse per conquistarle al comunismo. Che cosa autorizza il
compagno Bordiga ad essere contrario «per principio »? Soltanto il
fatto che gli sembra che in Italia in parte questa tattica non sia
stata applicata correttamente. Lui nega. Ma allora la cosa è tanto
più incomprensibile. Noi dobbiamo impegnare i nostri compagni a
restare nel Labour Party per costituirvi delle cellule.
Terzo punto: partiti simpatizzanti. Io conosco tre
casi: la kapd, il partito operaio americano e quello
finlandese aderivano alla nostra Internazionale come partiti
simpatizzanti. Ora nasce il problema dell'adesione di una parte del
Partito socialista italiano all'ic come partito simpatizzante. È
stato giusto avere accolto nell'Internazionale elementi
sindacalisti che simpatizzavano per noi? Sì, lo è stato! Abbiamo
dovuto svolgere un lavoro di chiarificazione tra questi elementi,
perché dovevamo conquistare alla nostra causa gli elementi
autenticamente rivoluzionari. Così abbiamo fatto, a suo tempo, con
la kapd. Ma una volta sbrigata la cosa, e una volta che i migliori
operai hanno seguito noi mentre i capi hanno rivelato di non essere
dei rivoluzionari, si è giunti alla rottura, e questa rottura è
stata un esempio del fatto che avevamo agito giustamente.
Perché s'irrigidisce il compagno Bordiga se in tutti e tre i casi ha
torto? Egli pensa che se su queste tre questioni noi non facciamo
come vuole lui, egli forma una frazione. Ebbene, compagno Bordiga,
io non ho detto, come mi si vorrebbe far dire: o Bordiga o
l'Internazionale! Io so che il compagno Bordiga è un fedele soldato
della rivoluzione come tutti noi. Io ho detto: amico il compagno
Bordiga, ma ancora più amica l'Internazionale. In altri termini,
Bordiga deve fare ciò che l'Internazionale decide. Il pensiero di
Bordiga invece è: «Assoluto sia pure il re, purché faccia ciò che
noi vogliamo »! Io non capisco perché uno come Bordiga, che tutti
conosciamo come un buon compagno che tanto ha fatto per il movimento
italiano, possa prendere una posizione così rigida. Va bene:
l'Italia è un bel paese, dolce e solatìo, ha tanti buoni operai, e
Mussolini sarà battuto; ma l'Italia è pur tuttavia un angolo di
provincia dal punto di vista della rivoluzione mondiale. Voi vedete
che tutti i nostri metodi di fusione hanno dato buoni risultati come
dimostrano la Germania, l'Inghilterra e l'America, cioè i paesi più
significativi del nostro movimento mondiale. Perché insistete nei
vostri errori, compagno Bordiga?
Ma più importante è la questione del fronte unico. Anche qui Bordiga
ha cercato di fare dell'umorismo. Ha detto: certo, se si tratta
della parola «governo operaio », è una concessione che possiamo
anche fare. Noi continuiamo a credere che si tratti di una «parola
». Bordiga si incontra con Radek: siamo per così dire di fronte ad
una revisione della tattica del IV congresso. Capita,
agli «ultrasinistri », di incontrarsi con gli
ultradestri.
Come stanno le cose a proposito del fronte unico? Io non sono uno
storico, ma sono costretto a rifarmi ad alcuni fatti storici. Il
compagno Bordiga ha parlato dell'Esecutivo che si tenne in seduta
allargata nel febbraio 1922. Io credo che il compagno Bordiga
farebbe meglio a sorvolare su questa data. Perché? È presto detto.
Come erano distribuiti allora i ruoli? Io, il povero peccatore, l'«
opportunista » che oscilla a destra e a sinistra, l'eclettico e via
dicendo; Bordiga, invece, sempre contro i destri, sempre lineare,
duro e coerente! Un compagno italiano ieri mi diceva: anche un palo
telegrafico è «lineare » (ilarità e applausi), ma, compagni, noi
sappiamo che esiste anche qualcosa di più elastico di un palo
telegrafico. Questa elasticità è proprio quella di cui
l'Internazionale comunista ha bisogno.
Dottrinarismo nella concezione del fronte unico
Il compagno Bordiga dunque parla dell'Esecutivo allargato del
febbraio 1922. Come erano distribuiti allora i ruoli? Io intervenni
sulla questione del «governo operaio » per dire che era sinonimo di
dittatura del proletariato, e che tutto il resto sono deviazioni
socialdemocratiche. E il compagno Bordiga? Egli allora aveva fatto
causa comune con il compagno Daniel Renoult e persino con l'allora
compagno Frossard2 contro l'Esecutivo, contro la tattica
del fronte unico. Come sapete, i comunisti di destra francesi si
opposero allora alla tattica del fronte unico facendo un gioco da
sinistra. La delegazione del Comitato centrale italiano, che era
sotto la guida di Bordiga, si era alleata con i destri francesi
contro l'Esecutivo sulla questione del fronte unico. Io vi
consiglio, compagno Bordiga, di non citare tanto spesso la seduta
dell'Esecutivo allargato del febbraio 1922; è il meglio che potete
fare! (Applausi).
Il compagno Bordiga dice di non essere mai stato contro la tattica
del fronte unico. Ma nell'ic, sappiamo tutti che i compagni
italiani s'irrigidirono, che erano favorevoli al fronte unico
soltanto sul terreno economico, non su quello politico. Io chiedo:
che razza di criterio è? Lo si può difendere? È un caso di
dottrinarismo tipicamente «italiano ». Come va intesa l'attuale
lotta contro Mussolini: come economica o politica? La lotta per le
otto ore è indubbiamente una lotta economica, ma al tempo stesso
nella situazione attuale è una lotta politica. Noi scongiuriamo
Bordiga di abbandonare questa distinzione artificiosa, non
comunista, tra lotta politica e lotta economica. Ma egli insiste.
Questo emblema, — che non è un principio, ma appunto un emblema, —
secondo lui è l'orgoglio del partito comunista italiano.
2 D. Renoult (1880-1958), membro della direzione del PCF
contrario alla politica di fronte unico, emarginato per decisione
del IV congresso dell'ic (1922). Louis-Oscar Frossard (1889-1946)
eletto segretario del PCF al congresso di Tours, aveva diretto il
partito a capo della corrente centrista fino al 1922; abbandonato
il PCF all'inizio del 1923, finirà col rientrare nella sfio e sarà
più volte deputato nonché ministro nel governo di Fronte popolare di
Leon Blum.
Le cause della rigida posizione di Bordiga
Io cerco spesso di chiarire a me stesso qual'è l'origine, in Italia,
della posizione del tipo Bordiga. Essa non deriva certo dalle
qualità personali di questo o di quel dirigente, ma piuttosto dalla
storia del movimento operaio italiano, dal vecchio partito
socialista, che ha unito tutto: Turati, Bordiga, Serrati. Tutto
stava insieme. Ora è subentrata una tipica reazione. Si vuole avere
un piccolo, autentico e duro partito comunista, anche senza grandi
masse. Questo è comprensibile. Ma, compagni, da Livorno in poi sono
già passati tre, quattro anni. Le cose camminano, la rivoluzione va
avanti. Il movimento italiano riprende vita, la classe operaia
italiana avrà presto di nuovo un grande ruolo ed interverrà nel
movimento forte delle sue esperienze nuove e molto importanti. Non
sarà più il movimento italiano degli anni 1919 e 1920. In questa
situazione è ora di liquidare questo emblema e marciare insieme
all'ic, là dove essa ha ragione. Non si tratta di procedere ad una
«revisione » della vecchia tattica, né ad una divisione del fronte
unico sul terreno economico e politico, ma di conquistare le masse
operaie sia con la lotta economica che con quella politica, e di
portarle sulla strada percorsa dall'ic. Altri sono i mezzi in
Inghilterra, altri in America, e altri ancora in Italia. Non c'è
posto per «princìpi » rigidi. Ma Bordiga vi insiste.
Ecco cosa volevo dirgli. Sono profondamente convinto che
questa è anche l'opinione della stragrande maggioranza del
congresso, delle sinistre effettive dell'Internazionale comunista,
e che tutto sarà fatto per giungere ad un'intesa con Bordiga. Ma
anche lui deve capire che ha torto. Qui Bordiga non ha parlato del
problema della conquista della maggioranza. Sembra che questo
problema sia chiaro per tutti. Se ora egli dicesse che insiste sulle
tesi di Roma del partito3, noi gli risponderemo che queste tesi le
abbiamo ripetutamente respinte. Ieri Bordiga non ha parlato. Forse è
un buon segno, significa che su questo non esistono più contrasti,
che cioè la risoluzione del III congresso sulla conquista della
maggioranza è ormai operante. Ora Bordiga deve riconoscere anche gli
altri suoi errori dottrinari e marciare disciplinatamente insieme a
noi. Tutta l'Internazionale e la sinistra dell'Internazionale
saranno felici se non esisterà più un problema
Bordiga. [...]
Conclusione
Riassumendo: Io credo, compagni, che dobbiamo modificare alcune
formule che avevamo adottato nel IV congresso. Ma la linea del III e
del IV congresso sulla situazione economica mondiale rimane ferma e
rimane ferma anche la linea generale sulla questione del governo
operaio e contadino. Quel che noi sottoporremo a revisione, quel
che liquideremo teoricamente e, se occorre, con mezzi ancor più
duri, è la deformazione opportunistica della linea dell'IC.
Sappiano i lavoratori di tutto il mondo, e lo sappiano anche i capi
della socialdemocrazia e tutti i nostri nemici, quali sono le nostre
manovre strategiche. Non abbiamo nulla da temere, compagno Smeral.
La parola «manovra » abitualmente ha un sapore negativo. Ma in un
certo senso si può dire che tutta la nostra tattica è una vera e
propria manovra. Sappiano i nostri avversari che, se occorre, noi
manovriamo. Chi crede che noi abbiamo in mente un piano di
unificazione politica con tutti i cosiddetti «partiti operai », si
sbaglia. Sappia l'intera classe operaia internazionale, e sappia la
socialdemocrazia controrivoluzionaria internazionale, che la tesi
qui espressa da vari compagni, con Radek in testa, non è quella
dell'ic. L'ic ha un punto di vista opposto, il punto di vista del
marxismo rivoluzionario, del leninismo.
Abbiamo bisogno di un partito mondiale del leninismo
Mi avvio alla conclusione. Se abbiamo discusso aspramente, non per
questo dobbiamo offenderci l'un l'altro. Naturalmente Tic non è la
Seconda Internazionale e non è un parlamento delle «opinioni ».
Certo, parliamo tra di noi francamente e liberamente, ma il nostro
ideale non sta nel mescolare il caldo e il freddo per avere il
tiepido. L'ic va bevuta tutta d'un sorso. Le Le idee delle destre
rimarranno, in questo congresso, in minoranza insignificante. Noi
lottiamo duramente, noi difendiamo duramente il nostro punto di
vista, ma le decisioni di quella che per noi è la massima istanza
sono vincolanti per tutti. Noi non possiamo essere un «parlamento »
nel senso della Seconda Internazionale. Se prendiamo una decisione,
ciò significa che anche la minoranza non può continuare a procedere
alla vecchia maniera. Al congresso ci si può battere «fino
all'ultima goccia di sangue ». Ma una volta che questa assemblea,
questa che per noi comunisti è la più alta istanza legislativa
(giacché noi non conosciamo un tribunale più alto per chi è
comunista) ha decretato, si tratta di eseguire le sue decisioni e
marciare disciplinatamente. È escluso che le destre possano
continuare ad agire come prima e costituirsi in frazione. Questo,
Tic non lo permetterà.
Un compagno russo che non fa parte direttamente dell'attività
dell'Internazionale pur seguendola attentamente, e che ha occhi
buoni e orecchie attente, mi diceva: osservando questo congresso,
noto che esso è già qualcosa di completamente diverso da una volta.
Prima erano solo ospiti graditi che venivano a Mosca ed erano
accolti con molta simpatia. Oggi sono comunisti i quali hanno tra
l'altro in mano i destini di grandi partiti, ed esaminano
attentamente le cose e attentamente decidono con pari diritti; sono
essi i veri capi dell'ic.
Sta crescendo una nuova generazione di capi, una massa di veri capi
rivoluzionari della nostra gioventù. Abbiamo già delegazioni come
quella tedesca, che annovera operai i quali hanno alle loro spalle
cinque e più anni di galera. Non solo i compagni russi, ma anche
quelli stranieri sono già elementi maturi e solidi. È questo il
volto del nostro congresso: non solo ospiti graditi e accolti
fraternamente dai russi, ma rappresentanti di partiti che certamente
hanno ancora una struttura eterogenea, di partiti deboli e partiti
forti, ma che in parte sono già partiti di massa con tutte le loro
specifiche esperienze.
Cosa significa bolscevizzazione dei partiti?
Si è molto parlato di «bolscevizzazione dei partiti ». Ma la
bolscevizzazione non va intesa nel senso di una meccanica
trasposizione delle esperienze
russe a quelle
tedesche e di altri partiti,
dalla quale già il compagno Lenin ci ha messo in guardia. Per
bolscevizzazione noi intendiamo l'assunzione da
parte dei partiti degli elementi universali, internazionali
del bolscevismo, quelli sui quali ha posto l'accento il compagno
Lenin nello scritto sulle «malattie infantili di
sinistra ». Per bolscevizzazione dei partiti noi intendiamo
l'inconciliabilità dell'odio contro la borghesia e contro i capi
socialdemocratici traditori, l'ammissibilità di qualsiasi manovra
strategica contro il nemico. Bolscevizzazione è la volontà
indomabile nella lotta per l'egemonia del proletariato, è l'odio
ardente verso la borghesia, verso i capi controrivoluzionari della
socialdemocrazia, contro il centrismo e i centristi, contro i
semicentristi e i pacifisti e tutte le escrescenze dell'ideologia
borghese. Bolscevizzazione vuol dire creazione di un'organizzazione
centralizzata a struttura
compatta, granitica, che risolve con spirito di armonia
e di fratellanza le differenze tra le nostre stesse file, secondo la
lezione di Lenin. Bolscevizzazione è marxismo in azione, è fedeltà
all'idea della dittatura del proletariato, alle idee del leninismo.
Questo significa bolscevizzazione: non imitazione
meccanica dei bolscevichi russi, ma assunzione di ciò che nel
bolscevismo era ed è immortale.
Molti partiti dei quali qui non si è parlato hanno fatto dei grandi
progressi, per esempio il partito spagnolo. In Spagna cento compagni
sono andati in galera e in questa «classica » terra del sindacalismo
e dell'anarchismo il bolscevismo guadagna terreno. Noi abbiamo lì
già un nucleo solido di operai sinceramente rivoluzionari e
abituati alla lotta, i quali pensano davvero a realizzare la
rivoluzione proletaria. (Applausi). Grandi progressi dobbiamo
registrare anche nel partito francese, finora talmente divorato
dall'opportunismo che si era costretti a pensare che lì un partito
serio fosse impossibile. Ha imparato molto anche il partito bulgaro
che, speriamo, resterà immune da ricadute in tendenze
opportunistiche.
Noi tutti abbiamo fiducia nella crescita del movimento. I gruppi di
propaganda si sono trasformati in forti organizzazioni che si
tempreranno nella lotta. Noi tutti abbiamo la sensazione di parlare,
in questo V congresso, come partito mondiale. In questo senso
vengono formulate le risoluzioni del congresso. Quei compagni che si
sono battuti per altre formulazioni si allineeranno alle nostre
risoluzioni in quanto sono espressione delle esperienze collettive e
del cervello collettivo, di tutto ciò che vi è di meglio, di più
sincero, di più rivoluzionario nell'ambito della classe operaia di
tutto il mondo. (Fragorosi e prolungati applausi. I delegati
intonano l'Internazionale).
La commissione politica per il congresso di Lione
* Da Verbale della Commissione politica per il congresso di Lione,
in «Critica marxista », I, nn. 5-6, settembre-dicembre 1963, pp.
302-13. La Commissione politica era stata nominata dalla Centrale
del partito per elaborare i documenti congressuali. Presenti oltre
a Gramsci, Bordiga e Togliatti (Ercoli) che fungeva da segretario,
Tasca (Rienzi), Scoccimarro (Morelli) e altri 11 non identificati.
Cfr. anche il testo sg.
Gramsci Espone in modo riassuntivo i princìpi generali sui quali si
basa il progetto di tesi presentato dalla Centrale del partito al
Congresso. Premette una giustificazione storica del valore che ha
il lavoro di «bolscevizzazione » dei partiti del proletariato,
iniziata dopo il V Congresso mondiale e dopo l'Esecutivo allargato
dell'aprile 1925 '. Vi è tra il lavoro di «bolscevizzazione » che
oggi si sta compiendo e l'azione esercitata da Carlo Marx in seno al
movimento operaio una analogia fondamentale. Si tratta, oggi come
allora, di combattere contro ogni deviazione della dottrina e della
pratica della lotta di classe rivoluzionaria, e la lotta si svolge
nel campo ideologico, in quello organizzativo e in quello che si
riferisce alla tattica e strategia del partito del proletariato. Nel
nostro partito però la discussione più ampia si è svolta sul piano
organizzativo: ciò si spiega perché oggi è su questo piano che le
conseguenze delle diverse posizioni ideologiche e tattiche appaiono
immediatamente evidenti a tutti i compagni, anche a quelli che sono
meno preparati a un dibattito puramente teorico.
Tutti i punti in dissenso che esistono tra la Centrale del partito e
la estrema sinistra si possono raggruppare attorno a tre
fondamentali problemi:
1. Il problema dei rapporti tra il Centro dirigente del partito e
la massa dei compagni iscritti ad esso;
2. Il problema dei rapporti tra il Centro dirigente e la classe
operaia;
3. Il problema dei rapporti tra la classe operaia e le altre classi
anticapitalistiche.
Tutti questi rapporti devono essere stabiliti in modo esatto se si
vuole poter giungere alla conclusione storica della dittatura del
proletariato. Perché si giunga a questa conclusione infatti è
necessario che la classe operaia diventi classe dirigente della
lotta anticapitalistica, che il partito comunista diriga la classe
operaia in questa lotta, e che esso sia internamente costruito in
modo da poter adempiere a questa sua funzione fondamentale. Ognuno
dei tre problemi accennati si collega quindi al fondamentale
problema dell'attuazione del compito rivoluzionario del partito
comunista.
Ai primi due problemi è collegata la questione della natura del
partito e degli organi che lo dirigono. Noi riteniamo che nel
definire il partito è necessario oggi sottolineare il fatto che esso
è una «parte » della classe operaia2, mentre l'estrema sinistra
trascura e sottovaluta questo lato della definizione del partito
per dare invece importanza fondamentale al fatto che il partito è un
«organo » della classe operaia. La nostra posizione deriva da ciò
che noi riteniamo si debba porre nel massimo rilievo il fatto che il
partito è unito alla classe operaia non solo da legami ideologici,
ma anche da legami di carattere «fisico ». E questo è in stretta
relazione con i compiti che debbono essere attribuiti al partito nei
confronti della classe operaia.
Secondo l'estrema sinistra il processo di formazione del partito è
un processo «sintetico », per noi esso invece è un processo di
carattere storico e politico, legato strettamente a tutto lo
sviluppo della società capitalistica. La diversa concezione porta a
determinare in modo diverso la funzione e i compiti del partito.
Tutto il lavoro che il partito deve compiere per elevare il livello
politico delle masse, per convincerle e portarle sul terreno della
lotta di classe rivoluzionaria viene, in conseguenza della errata
concezione della estrema sinistra, svalutato e ostacolato, per via
del distacco iniziale che si è creato tra il partito e la classe
operaia.
La errata concezione che ha l'estrema sinistra circa la natura del
partito ha innegabilmente un carattere di classe. Non già che, come
avvenne in seno al partito socialista, si tenda a far prevalere in
seno alla organizzazione politica del proletariato, la influenza di
altre classi, ma nel senso che si dà una errata valutazione del
peso che nel partito debbono avere i diversi elementi che la
compongono. La concezione dell'estrema sinistra, la quale pone su
uno stesso piano gli operai e gli elementi che provengono da altre
classi sociali e non si preoccupa di salvaguardare il carattere
proletario del partito, corrisponde a una situazione in cui gli
intellettuali erano gli elementi politicamente e socialmente più
avanzati, ed erano quindi destinati ad essere gli organizzatori
della classe operaia. Oggi, secondo noi, gli organizzatori della
classe operaia devono essere gli operai stessi. Occorre quindi, nel
definire il partito, sottolineare in modo particolare quella parte
della definizione che mette in rilievo la intimità dei rapporti che
esistono tra esso e la classe da cui esso sorge.
Questo problema di natura teorica ha dato origine alla discussione
sulla organizzazione per «cellule », cioè secondo la base della
produzione. È stato anzi questo il punto che nella discussione
preparatoria del Congresso è stato toccato di più e dal maggior
numero di compagni. Tutti gli argomenti di carattere pratico che
rendono utile e indispensabile la trasformazione della
organizzazione del partito sulla base delle cellule sono
quindi stati ampiamente
esposti e i compagni
li conoscono.L'estrema sinistra presenta delle
obbiezioni, di cui le principali consistono in una sopravalutazione
del problema di superare la concorrenza tra diverse categorie di
operai, cioè del problema della unificazione classista del
proletariato. È certo che questo problema esiste ma è un errore fare
di esso un problema fondamentale, dal quale debba essere
determinata la forma che il partito dà alla sua organizzazione.
Questo problema inoltre ha trovato in Italia una risoluzione già da
tempo nel campo sindacale, e la esperienza ha dimostrato che
l'organizzazione per fabbrica consente di combattere con la maggiore
efficacia ogni residuo di corporativismo e di spirito di categoria.
In realtà, se il problema che la estrema sinistra sembra presentare
come fondamentale e dal quale sono determinate le sue
preoccupazioni fosse davvero problema essenziale nell'attuale
periodo storico, in Italia, allora veramente gli intellettuali
sarebbero organizzativamente l'avanguardia del movimento
rivoluzionario. Ma così invece non è.
Una seconda questione fondamentale è quella dei rapporti che debbono
essere stabiliti tra la classe operaia e le altre classi
anticapitalistiche. È questo un problema che può essere risolto
soltanto dal partito della classe operaia mediante la sua politica.
In nessun paese il proletariato è in grado di conquistare il potere
e di tenerlo con le sole sue forze: esso deve quindi procurarsi
degli alleati cioè deve condurre una tale politica che gli consenta
di porsi a capo delle altre classi che hanno interessi
anticapitalistici e guidarle nella lotta per l'abbattimento della
società borghese. La questione è particolarmente importante per
l'Italia dove il proletariato è una minoranza della popolazione
lavoratrice ed è disposto geograficamente in forma tale che non può
presumere di condurre una lotta vittoriosa per il potere se non dopo
avere data una esatta risoluzione al problema dei suoi rapporti con
la classe dei contadini. Alla impostazione e risoluzione di questo
problema dovrà dedicarsi in particolar modo il nostro partito nel
prossimo avvenire. Esiste del resto una reciprocità tra il problema
della alleanza tra operai e contadini e il problema della
organizzazione della classe operaia e del partito; questi ultimi
saranno risolti più agevolmente se il primo sarà stato avviato a una
soluzione.
Il problema dell'alleanza tra operai e contadini è stato già imposto
dalla Centrale del partito, ma non si può affermare che tutti i
compagni ne abbiano bene compreso i termini e abbiano la capacità di
lavorare per la risoluzione di esso, e ciò soprattutto nelle zone
dove occorrerebbe lavorare di più e meglio, cioè nel Mezzogiorno.
Così l'estrema sinistra fa oggetto di critica tutta l'azione che la
Centrale ha svolto verso Miglioli, esponente della sinistra
contadina nel partito popolare. Queste critiche dimostrano che
l'estrema sinistra non coglie i termini e l'importanza del problema
dei rapporti tra il proletariato e le altre classi
anticapitalistiche. L'azione che il partito ha condotto verso
Miglioli è stata condotta appunto allo scopo di aprire la via alla
alleanza tra gli operai e i contadini per la lotta contro il
capitalismo e contro lo Stato borghese. Sullo stesso piano si pone
la questione del Vaticano come forza politica controrivoluzionaria.
La base sociale del Vaticano è data appunto dai contadini, che i
clericali hanno sempre considerato come esercito di riserva della
reazione e che si sono sforzati di mantenere sempre sotto il loro
controllo. La realizzazione della alleanza tra operai e contadini
per la lotta contro il capitalismo suppone la distruzione della
influenza del Vaticano sui contadini dell'Italia Centrale e
Settentrionale in particolar modo. La tattica seguita dal partito
verso Miglioli tende precisamente a questo scopo.
Il problema dei rapporti tra il proletariato e le altre classi
anticapitalistiche non è che uno dei problemi della tattica e della
strategia del partito. Anche su altri punti esiste un profondo
dissenso tra la Centrale e l'estrema sinistra. La Centrale ritiene
che la tattica del partito deve essere determinata dalla situazione
e dal proposito di conquistare una influenza decisiva sopra la
maggioranza della classe operaia, per poterla guidare di fatto verso
la rivoluzione. L'estrema sinistra ritiene che la tattica deve
essere determinata da preoccupazioni di natura formale e che il
partito non deve porsi in ogni momento il problema della conquista
della maggioranza, ma limitarsi per lunghi periodi di tempo ad una
semplice azione di propaganda dei suoi princìpi politici
generali.
L'esempio migliore della natura ed estensione del dissenso si ha
nella tattica seguita dal partito dopo il delitto Matteotti e nelle
critiche che l'estrema sinistra muove ad essa. È certo che in un
primo momento, cioè subito dopo il delitto Matteotti, le opposizioni
costituzionali erano il fattore predominante della situazione, e che
le loro forze erano essenzialmente date dalla classe operaia e dai
contadini. Era quindi in sostanza la classe operaia la quale si
trovava sopra una posizione sbagliata e si muoveva senza
avere coscienza della propria funzione e della posizione
politica che le spettava nel quadro delle forze in contrasto.
Bisognava far acquistare alla classe operaia coscienza di questa sua
funzione e posizione. Che atteggiamento doveva assumere a questo
scopo il nostro partito? Sarebbe stato sufficiente lanciare delle
parole di propaganda e condurre una campagna di critica
ideologica e politica tanto contro il fascismo quanto l'opposizione
costituzionale (Aventino)? No, questo non sarebbe stato sufficiente.
La propaganda e la critica politica che si svolgono
sugli organi del partito hanno una
cerchia di influenza molto ristretta; esse non
giungono molto al di là della massa degli iscritti. Era necessario
condurre un'azione politica, e questa doveva essere diversa nei
riguardi del fascismo e delle Opposizioni. Infatti, anche l'estrema
sinistra asserisce che i fattori della situazione in quel momento
erano tre: il fascismo, le Opposizioni e il proletariato. Questo
vuol dire che tra i due primi noi dovevamo fare una distinzione e
porci, non solo teoricamente, ma praticamente, il
problema di disgregare
socialmente e quindi politicamente le Opposizioni,
per toglier loro le basi che avevano tra le masse.
A questo scopo fu rivolta
l'azione politica del partito verso le opposizioni. È certo
che, per il proletariato e per noi in quel momento esisteva un
problema fondamentale: quello di rovesciare il fascismo.
Appunto perché volevano che il fascismo fosse abbattuto, con
qualsiasi mezzo, le masse seguivano in grandissima parte le
Opposizioni. E in realtà non si deve negare che se
il governo di Mussolini fosse caduto, con qualunque mezzo lo
si fosse fatto cadere si sarebbe aperta in Italia una crisi politica
assai profonda, di cui nessuno avrebbe potuto prevedere o frenare
gli svolgimenti. Ma questo sapevano anche le Opposizioni e perciò
esse esclusero fin dall'inizio «un » modo di far cadere il fascismo,
che era il solo possibile, cioè, la mobilitazione e la lotta delle
masse. Escludendo questo solo possibile modo di far cadere il
fascismo le Opposizioni in realtà tennero in piedi il fascismo,
furono il più efficiente puntello del regime in dissoluzione.
Ebbene, noi, con l'azione politica svolta verso le Opposizioni
(uscita dal Parlamento, partecipazione all'assemblea delle
Opposizioni, uscita da essa) riuscimmo a rendere evidente alle masse
questo fatto, cosa che assolutamente non ci sarebbe riuscito di fare
con una semplice attività di propaganda, di critica, ecc. Noi
riteniamo che la tattica del partito deve sempre avere il carattere
che ebbe allora la tattica nostra: il partito deve portare alle
masse i problemi in modo reale e politico, se vuole ottenere dei
risultati.
Il problema della conquista di una influenza decisiva sopra la
maggioranza della classe operaia e quello della alleanza tra gli
operai e i contadini sono strettamente collegati con il problema
militare della rivoluzione, che si pone oggi a noi in modo del tutto
particolare, dato l'ordinamento delle forze armate che la borghesia
italiana ha al suo servizio. Anzitutto vi è un esercito nazionale il
quale è però estremamente ridotto e nel quale esiste una altissima
percentuale di ufficiali che controlla la massa dei
soldati. È quindi tutt'altro
che facile esercitare una influenza
sull'esercito in modo da averlo alleato in un momento
rivoluzionario. Nella migliore delle ipotesi, e secondo quanto è
possibile prevedere oggi, l'esercito potrà restare neutrale. Ma
oltre l'esercito vi sono dei corpi armati numerosissimi (polizia,
carabinieri, Milizia nazionale) i quali son ben difficilmente
influenzati dal proletariato. In conclusione, su 600 mila armati che
la borghesia ha al suo servizio, 400 mila almeno non sono
conquistabili alla politica della classe operaia. Il rapporto delle
forze che esiste tra il proletariato e la borghesia è quindi
modificabile soltanto in conseguenza di una lotta politica che il
partito della classe operaia abbia condotto e che lo abbia portato a
collegarsi e a dirigere la maggioranza della popolazione
lavoratrice. La concezione tattica della sinistra è un ostacolo
alla attuazione di questo compito.
Tutti i problemi che si sono presentati nella discussione tra la
Centrale del partito e l'estrema sinistra sono legati alla
situazione internazionale e ai problemi della organizzazione
internazionale del proletariato, cioè della Internazionale
comunista. L'estrema sinistra assume in questo campo un
atteggiamento singolare, analogo in parte a quello dei massimalisti,
in quanto considera l'Internazionale comunista come una
organizzazione di fatto, alla quale si oppone la «vera »
Internazionale che ancora dovrebbe essere creata. Questo modo di
presentare le questioni contiene in sé, potenzialmente,
un problema di scissione. Gli atteggiamenti assunti
dall'estrema sinistra in Italia prima e durante la discussione
pre-congressuale (frazionismo) ne hanno del resto data la prova.
Occorre esaminare quale è la situazione del nostro partito come
organismo internazionale. Nel 1921 il nostro partito si è costituito
sul terreno indicato dalle tesi e dalle risoluzioni dei primi due
congressi della Internazionale comunista. Chi si è staccato da
queste tesi per assumere una posizione contrastante con quelle della
Internazionale? Non la Centrale del partito — che è ora
fondamentalmente la stessa che venne eletta dai Congressi di Livorno
e di Roma — ma un gruppo di dirigenti del partito, quelli che
costituiscono la tendenza di estrema sinistra. La posizione di
questo gruppo è errata, e il partito opponendosi ad essa e
condannandola, non fa che continuare la sua tradizione politica.
L'ampiezza della discussione che si è fatta e si dovrà fare al
Congresso con i compagni dell'estrema sinistra deriva dal fatto che
questi compagni, per individuarsi nel partito come frazione, hanno
sentito il bisogno di differenziarsi sopra tutti i problemi che
potevano essere posti in discussione, conducendo in pari tempo
un'azione che avrebbe potuto portare alla disgregazione della base
del partito. Questa azione dovrà essere condannata dal Congresso e
dovrà essere esclusa per l'avvenire la possibilità di essa.
La discussione che si volgerà a questo Congresso ha una enorme
importanza in quanto tocca tutti i problemi della rivoluzione
italiana e interessa quindi profondamente lo sviluppo del nostro
partito. Le decisioni che saranno prese in esso caratterizzeranno
l'attività del partito per un intero periodo storico. Occorre quindi
che ogni compagno abbia coscienza della responsabilità proletaria e
rivoluzionaria che gli incombe.
bordiga L'esposizione fatta dal Gramsci dei punti fondamentali di
dissenso tra la Centrale del partito e l'estrema sinistra mi ha
convinto della necessità di una completa differenziazione. L'estrema
sinistra quindi presenterà un suo progetto di tesi completamente
opposto a quello della Centrale, e che servirà a completare la parte
già pubblicata sopra il quotidiano del partito.
In fondo esiste un solo dissenso fondamentale tra noi e la Centrale
e la Internazionale, e ad esso tutti i punti di contrasto possono
essere ridotti. Riservandomi di fare una esposizione completa nella
riunione plenaria, mi limiterò a indicare qui i punti fondamentali.
Anzitutto per quanto riguarda la ideologia, noi riteniamo di essere
sulle linee del marxismo rivoluzionario mentre sono i compagni della
Centrale che si sono staccati da esse, accostandosi a concezioni
filosofiche idealistiche che la stessa Internazionale condanna.
Circa la natura del partito, noi sosteniamo che esso è un'«organo »
della classe operaia. Il sostenere che il partito è «parte » e non
«organo » della classe operaia è indice di una preoccupazione di
identificare in modo statistico il partito e la classe ed è sintomo
di una deviazione opportunistica. La identificazione statistica del
partito e della classe è sempre stata una delle caratteristiche del
laburismo opportunista.
Noi neghiamo che la organizzazione per cellule tenda a dare al
partito uno spirito proletario. Affermiamo anzi che tende a
togliergli questo spirito, facendo prevalere uno spirito
corporativistico. È inesatto affermare che non esista più in Italia
il problema di combattere contro il corporativismo. Questo problema
esiste e solo il partito, come organo unitario della classe operaia,
può risolverlo. Nel dibattere questo problema, si è avuto un
singolare esempio del metodo che consiste nel presentare le
posizioni della sinistra come posizioni di destra. Si è detto che
noi non abbiamo fiducia nel proletariato. Ora noi ricordiamo che
questo stesso argomento veniva presentato, contro i rivoluzionari
dai riformisti. Oggi, come in quei tempi della lotta contro il
riformismo, noi siamo contrari all'ottimismo operaista demagogico e
lo consideriamo come una pericolosa deviazione.
Per quanto riguarda la tattica, cioè l'azione del partito in
rapporto con le situazioni, riteniamo che le formulazioni
presentate dalla Centrale del partito siano molto pericolose. Ad
esempio ora si dice che il partito deve rimanere «in qualunque
situazione » in contatto con le masse per esercitare una influenza
predominante su di esse. Questa non è più nemmeno una tesi di Lenin.
Lenin formulò la tesi della conquista della maggioranza in un
periodo che era considerato come precedente una lotta per la
conquista del potere. Lenin oppose questa tesi alla tesi della «
offensiva » cioè alla tesi secondo la quale sarebbe possibile
al partito comunista di lottare per la conquista del potere anche
senza aver sotto il suo controllo una parte decisiva delle masse.
Noi accettiamo la tesi di Lenin come egli l'ha formulata, cioè per
il periodo che precede la conquista del potere, ma respingiamo
l'estensione di essa che ora si vorrebbe fare e consideriamo anzi
questa estensione come un passo verso l'opportunismo. Essa
contraddice del resto anche alla storia del bolscevismo. Questa
storia ha mostrato che vi sono dei periodi in cui è meglio essere
pochi che molti. Questa divergenza è considerata da noi come
allarmante.
Circa le questioni internazionali, che noi poniamo deliberatamente
al primo piano, noi affermiamo che esiste una crisi nella
Internazionale comunista. Questa crisi trae origine dal fatto che
non si è sempre seguita una via giusta nella costruzione dei partiti
comunisti. Ci si è dimenticati che talora non ci si deve preoccupare
tanto del successo immediato, quanto di conquistare posizioni
stabili, che non si perderanno più nell'avvenire. In un primo
periodo si ebbe la sola preoccupazione di raccogliere delle forze,
senza badare se si trattava di forze schiettamente comuniste, in
seguito si dovette iniziare una serie di epurazioni e tutti i
partiti dovettero attraversare delle crisi profonde. Questa
condizione di cose ha le sue ripercussioni anche sulla attuale
situazione della Internazionale.
Con lo stesso sistema furono risolte le questioni di tattica, cioè
non secondo una linea chiara, precisa e immutabile, ma con un
deplorevole «eclettismo », che viene giustificato dal proposito di
tenere conto del mutare delle situazioni oggettive. L'esempio più
evidente si ha per ciò che riguarda i rapporti tra il movimento
politico e il movimento sindacale. In un primo tempo si accettarono
nelle file dell'Internazionale comunista delle organizzazioni che
avevano carattere sindacale, venendo meno a questo modo a princìpi
fondamentali di organizzazione (iww, sindacalisti spagnoli, ecc.).
Poi venne fondata la Internazionale Sindacale Rossa e si stese tutto
un piano di azione per fare aderire ad essa i movimenti sindacali
dei singoli paesi; naturalmente si sostenne che questo era il solo
metodo giusto. Ma al V congresso, e, quel che è più grave, senza
nessuna adeguata preparazione e discussione una terza via venne
adottata, quella della lotta per l'unità organica del movimento
sindacale internazionale.
È questo metodo di ricerca eclettica e «politicantistica »,
dominato dalla sola preoccupazione del successo immediato, che ci
ha portati all'insuccesso. Si contava di prendere tutto e invece
niente è andato a posto e oggi siamo più deboli di prima.
A questa errata impostazione dei problemi politici e di tattica
generale, si accompagna un fondamentale difetto del metodo di lavoro
interno della Internazionale. È errato il sistema che viene seguito
per la creazione delle direzioni dei singoli partiti, errato il
sistema con il quale vengono impostate e dirette le discussioni dei
Congressi mondiali. Noi accettiamo in questo campo le critiche
formulate da Trockij al metodo di lavoro della Internazionale.
Alla crisi esistente nella Internazionale si vorrebbe riparare colla
cosiddetta bolscevizzazione. Noi respingiamo questa parola d'ordine
in quanto essa significa una artificiale e meccanica trasposizione
nei partiti occidentali dei metodi che erano propria del partito
russo.
Con la bolscevizzazione si cerca di risolvere questioni che sono
politiche con formule di carattere organizzativo. Così si fa ad
esempio per quanto riguarda il frazionismo. Su questo punto vi è una
contrapposizione diretta tra la posizione nostra e quella della
Centrale del nostro partito? La Centrale ha fatto una campagna
contro il frazionismo che era una vera e propria campagna di
disfattismo. Da questa campagna gli operai sono stati respinti verso
l'unitarismo puro, che è una posizione sbagliata. La questione del
frazionismo non è risolubile sul terreno organizzativo e
disciplinare ma solo sul terreno politico e storico. Se
l'Internazionale non sarà diretta bene il frazionismo dovrà per
forza sorgere perché l'origine di esso sta precisamente nella
inadeguatezza dell'organizzazione internazionale a risolvere i
problemi storici del proletariato nel momento presente. Una campagna
contro il frazionismo condotta con i sistemi usati dalla Centrale
del nostro partito avrebbe portato a conseguenze assai gravi se non
vi fosse stato in noi il proposito di evitare ogni pericolo per la
compagine del partito.
Un altro degli aspetti fondamentali della campagna della
bolscevizzazione è quello che riguarda la trasformazione
organizzativa per cellule. Non siamo contrari al fare della
organizzazione per cellule una questione di principio. Riteniamo
inoltre che per i partiti non russi la base della organizzazione
deve essere territoriale e le cellule devono essere organi emananti
dal partito per il lavoro da compiere nelle officine.
Quanto alla tattica noi manteniamo le nostre vecchie critiche alle
parole d'ordine del fronte unico e del governo operaio. E ad esse
aggiungiamo nuove critiche a nuovi atteggiamenti tattici, di cui
abbiamo visto i primi esempi nella tattica seguita dalla Centrale
italiana verso l'Aventino, nella tattica consigliata al partito
tedesco per le elezioni presidenziali e nella tattica seguita dal
partito francese nelle elezioni municipali (Clichy). Questi nuovi
atteggiamenti tattici sono in relazione con la valutazione della
situazione oggettiva. È bene che si sappia che noi siamo
fondamentalmente d'accordo con questa valutazione (stabilizzazione
temporanea del capitalismo) ma che ci allarmano le deduzioni
tattiche e politiche che da essa si vorrebbero trarre. Noi riteniamo
che anche in questo periodo vi è una politica rivoluzionaria da
fare. Invece, da parte della corrente che prevale nella
Internazionale e nel nostro partito la determinazione della politica
del partito in questo periodo si fa in dipendenza di un contrasto
artificiale e non marxista fra due frazioni della borghesia. Si
sopravaluta il dualismo fra la destra e la sinistra borghese. Si
presenta il fantasma di una parte della borghesia la quale vorrebbe
disfare i progressi compiuti nei decenni passati per concludere che
alla classe operaia spetterebbe di manovrare per mantenere questi
progressi. Noi riteniamo che un errore compiuto in questa direzione
è più grave che un errore compiuto nella direzione opposta, cioè
nella direzione di svalutare i contrasti tra le diverse frazioni
della borghesia.
Gramsci Anche per un errore di quest'ultimo genere compiuto dal
nostro partito il fascismo ha potuto così agevolmente andare al
potere.
bordiga II vostro errore è proprio quello di sopravalutare il
pericolo della vittoria di un gruppo borghese di destra. La vittoria
del fascismo fu resa possibile dalla politica di concessioni al
movimento operaio che era stata fatta dalla borghesia di sinistra
durante il periodo democratico. Quelle concessioni servirono ad
evitare che si formasse una unità operaia. La libertà di muoversi
del proletariato nel periodo democratico era quindi una condizione
controrivoluzionaria e noi dobbiamo impedire che si ritorni alla
stessa situazione combattendo fin d'ora contro la illusione che
esista una borghesia di sinistra. Voi non avete contribuito a
distruggere questa illusione ed avete lasciato che il proletariato
cadesse sotto la influenza di altre classi.
È verissimo che il partito non può limitarsi a far solo del
proselitismo come non può limitarsi a guidare delle azioni
parziali. Esso deve però porre oggi il problema di domani
premunendosi contro le influenze controrivoluzionarie delle due
politiche della borghesia. Per questo la vostra tattica contro
l'Aventino è stata
fondamentalmente sbagliata.
Nella proposta dell'Antiparlamento voi avete
presentato il problema della libertà, ecc. come un problema
pregiudiziale, cioè avete accettato il terreno delle Opposizioni.
Questo voleva dire pregiudicare la nostra situazione anche di fronte
a un eventuale sviluppo rivoluzionario. Noi pensiamo infatti che
anche se le Opposizioni avessero ingaggiata la lotta contro il
fascismo noi avremmo potuto intervenire utilmente in questa lotta e
volgerla ai nostri fini soltanto se la massa non avesse mai veduto
nessun punto di contatto fra noi e le Opposizioni. Ogni contatto o
parvenza di contatto fra noi e le Opposizioni contribuiva infatti a
mantenere gli operai sotto la influenza di esse.
Per quanto si riferisce alla tradizione del partito la sinistra
ritiene di rappresentare la tradizione e la continuità della lotta
contro le deviazioni opportuniste e contro il centrismo.
Noi non crediamo che si possano fare proposte di azione né risolvere
i problemi del partito italiano se prima non sono state risolte le
questioni nel piano internazionale. Il problema fondamentale per
noi è quello della Internazionale comunista. Per risolvere questo
problema è assolutamente inadeguato il metodo di teorizzare le
esperienze del partito comunista russo. La nostra opinione è invece
che le stesse questioni del partito comunista russo non possono oggi
venire risolte se non in base ad elementi tolti dalla esperienza
della lotta di classe come si svolge negli altri paesi. Una conferma
della esattezza di questa opinione si ha dalla recente discussione
che si è svolta nel partito russo. Noi abbiamo su questa discussione
informazioni minime, ma è certo che essa investe problemi i quali
sono collegati con tutta la situazione internazionale. Di questi
problemi si deve discutere in tutte le Sezioni della Internazionale
e per questo noi siamo rimasti molto stupiti nel leggere una lettera
del partito comunista russo in cui si esprime il desiderio che i
problemi recentemente discussi nel Congresso russo non siano oggetto
di discussioni negli altri partiti2. A parte questo: il
modo come si è svolta la recente discussione dimostra che quella
piattaforma che si vorrebbe far credere consenta la risoluzione di
tutti i problemi che si presentano ai diversi partiti nell'attuale
periodo storico (il leninismo) è una piattaforma molto instabile in
quanto pur richiamandosi ad essa si possono compiere delle
oscillazioni così profonde come quelle che sono apparse nella
discussione russa. In conclusione noi riteniamo che l'unico modo di
risolvere la nostra crisi e quella della Internazionale è di
iniziare una seria ed esauriente discussione sui problemi della
Internazionale stessa.
1 Per una trad. it. parziale delle Tesi del V Plenum sulla
bolscevizzazione dei partiti comunisti (aprile 1921) cfr. A.
Agosti, La Terza Internazionale cit., II, 1, pp. 265-85. Alla
bolscevizzazione era stato dedicato il capo XIV delle Tesi del V
congresso sulla lattica del Comintern (ivi, pp. 125-26).
2 Si riferisce al XIV congresso del Pc(b) dell'URSS (cfr. pp.
759-69) e alla lettera del ce in data 13 gennaio 1926 ad esso
relativa. La questione sarà posta direttamente da Bordiga a Stalin
nel febbraio 1926 in questi termini:
«Bordiga Allo scopo di precisare la questione delle prospettive
chiede se il compagno Stalin pensa che lo sviluppo della situazione
russa e dei problemi interni del partito russo è legato allo
sviluppo del movimento proletario internazionale.
Stalin Questa domanda non mi è mai stata rivolta. Non avrei mai
creduto che un comunista potesse rivolgermela. Dio vi perdoni di
averlo fatto.
Bordiga Chiede allora che il compagno Stalin dica che cosa accadrà
in Russia se non si verifica entro un certo periodo di tempo la
rivoluzione proletaria in Europa.
STALIN Se sapremo bene organizzare l'economia russa, essa è
destinata a svilupparsi, e con essa è la rivoluzione che si
sviluppa. Il programma del nostro partito dice — d'altra parte — che
noi abbiamo il dovere di diffondere la rivoluzione nel mondo con
ogni mezzo e noi lo faremo. Non è affatto escluso che se la
borghesia non ci attacca prima saremo noi costretti ad attaccarla.
Certo la borghesia ha lasciato passare, per attaccarci, il momento
buono, quando noi eravamo deboli. Oggi siamo più forti. Abbiamo,
nella grande industria, due milioni di operai e sette milioni nella
industria media e la loro capacità produttiva e la loro cultura
vanno sempre più aumentando. La marcia su Varsavia fu un errore di
tattica, ma non un errore di principio.
Bordiga Ritiene il compagno Stalin che nel determinare la politica
del partito russo sia necessaria la collaborazione degli altri
partiti comunisti i quali rappresentano l'avanguardia
del proletariato rivoluzionario?
Stalin Senza dubbio è necessaria e noi la desideriamo. A questo
scopo il nostro congresso ha approvata la risoluzione secondo la
quale i grandi partiti dell'ic devono collaborare in modo effettivo
alla dirigenza dell'I n ternazionale.
Bordiga Questa collaborazione dovrebbe già avere luogo per la
recente discussione. Le questioni trattate dal congresso russo
dovrebbero quindi essere trattate
all'attuale Esecutivo dell'ic.
STALIN Occorre osservare che queste decisioni sono essenzialmente
russe. Inoltre i partiti occidentali non sono ancora preparati a
discutere di esse. Per questo la Centrale del pcr ha inviato ai
partiti dell'ic una lettera in cui si chiede che non venga
trasportata la discussione recente russa negli altri partiti. Questa
risoluzione è stata approvata anche dalla opposizione ed è stata
fatta sua dal Presidium dell'ic. Noi abbiamo fatto ciò anche per
evitare che si ripetesse ciò che è avvenuto per le precedenti
discussioni con Trockij, le quali vennero trasportate in alcuni
partiti in modo artificiale e meccanico.
Bordiga Non credo che questi argomenti abbiano un valore decisivo.
Anzitutto, se si voleva non discutere delle questioni russe a questo
Allargato, doveva essere l'Allargato stesso a decidere in questo
senso. In secondo luogo i problemi che sono stati toccati nella
discussione russa non possono essere considerati come solamente
russi. Essi interessano i proletariati di tutti i paesi. Infine il
fatto che la opposizione abbia acconsentito non ha nessun valore ».
Cfr. Verbale della riunione del 22 febbraio 1926 della delegazione
italiana al Comitato esecutivo allargato dell'Internazionale
comunista con Stalin, in «Annali 1966», Istituto Giangiacomo
Feltrinelli, Milano 1966; ora anche in G. Berti, I primi dieci anni
di vita del PCI. Documenti inediti dell'archivio Angelo Tasca,
Feltrinelli, Milano 1967, pp. 231-32.
Dalle «Tesi di Lione »: ideologia e organizzazione *
* Da La situazione italiana e i compiti del PCI; ora in Appendice a
A Gramsci, Scritti politici, a cura di P. Spriano, Editori Riuniti
Roma 1978, voi. IlI, pp. 287-95. Tesi approvate dal III congresso
del Partito comunista italiano, tenutosi clandestinamente nel
gennaio 1926 a Lione. Redatte da Gramsci con la collaborazione
principale di Togliatti e del gruppo dirigente presente al
congresso.
La ideologia del partito.
25. Unità ideologica completa è necessaria al Partito comunista per
poter adempiere in ogni momento la sua funzione di guida della
classe operaia. L'unità ideologica è elemento della forza del
partito e della sua capacità politica, essa è indispensabile per
farlo diventare un partito bolscevico. Base della unità ideologica è
la dottrina del marxismo e del leninismo, inteso quest'ultimo come
la dottrina marxista adeguata ai problemi del periodo
dell'imperialismo e dell'inizio della rivoluzione proletaria (Tesi
sulla bolscevizzazione dell'Esecutivo allargato dell'aprile 1925,
nn. IV e VI).
Il Partito comunista d'Italia ha formato la sua ideologia nella
lotta contro la socialdemocrazia (riformisti) e contro il centrismo
politico rappresentato dal Partito massimalista. Esso non trova però
nella storia del movimento operaio italiano una vigorosa e continua
corrente di pensiero marxista cui richiamarsi. Manca inoltre nelle
sue file una profonda e diffusa conoscenza delle teorie del marxismo
e del leninismo. Sono quindi possibili le deviazioni.
L'innalzamento del livello ideologico del partito deve essere
ottenuto con una sistematica attività interna la quale si proponga
di portare tutti i membri ad avere una completa consapevolezza dei
fini immediati del movimento rivoluzionario, una certa capacità di
analisi marxista delle situazioni e una correlativa capacità di
orientamento politico (scuola di partito). È da respingere una
concezione la quale affermi che i fattori di coscienza e di maturità
rivoluzionaria, i quali costituiscono la ideologia, si possano
realizzare nel partito senza che siansi realizzati in un vasto
numero dei singoli che lo compongono.
26. Nonostante le origini da una lotta contro degenerazioni di
destra e centriste del movimento operaio, il pericolo di deviazioni
di destra è presente nel Partito comunista d'Italia.
Nel campo teorico esso è rappresentato dai tentativi di revisione
del marxismo fatti dal compagno Graziadei sotto la veste di una
precisazione «scientifica » di alcuni dei concetti fondamentali
della dottrina di Marx. I tentativi di Graziadei non possono certo
portare alla creazione di una corrente e quindi di una frazione che
metta in pericolo la unità ideologica e la compattezza del partito.
È però implicito in essi un appoggio a correnti e deviazioni
politiche di destra. Ad ogni modo essi indicano la necessità che il
partito compia un profondo studio del marxismo e acquisti una
coscienza teorica più alta e più sicura.
Il pericolo che si crei una tendenza di destra è collegato con la
situazione generale del paese. La compressione stessa che il
fascismo esercita tende ad alimentare la opinione che essendo il
proletariato nella impossibilità di rapidamente rovesciare il
regime, sia miglior tattica quella che porti, se non a un blocco
borghese-proletario per la eliminazione costituzionale del fascismo,
a una passività della avanguardia rivoluzionaria, a un
non-intervento attivo del Partito comunista nella lotta politica
immediata, onde permettere alla borghesia di servirsi del
proletariato come massa di manovra elettorale contro il fascismo.
Questo programma si presenta con la formula che il Partito comunista
deve essere «l'ala sinistra » di una opposizione di tutte le forze
che cospirano all'abbattimento del regime fascista. Esso è la
espressione di un profondo pessimismo circa le capacità
rivoluzionarie della classe lavoratrice.
Lo stesso pessimismo e le stesse deviazioni conducono a
interpretare in modo errato la natura e la funzione storica dei
partiti socialdemocratici nel momento attuale,
a dimenticare che la social-democrazia
sebbene abbia ancora la sua base sociale, per gran parte, nel
proletariato per quanto riguarda la sua ideologia e la funzione
politica cui adempie, deve essere considerata non come un'ala destra
del movimento operaio, ma come un'ala sinistra della borghesia e
come tale deve essere smascherata davanti alle masse.
Il pericolo di destra deve essere combattuto con la propaganda
ideologica, col contrapporre al programma di destra il programma
rivoluzionario della classe operaia e del suo partito, e con mezzi
disciplinari ordinari ogni qualvolta la necessità lo richieda.
27. Legato con le origini del partito e con la situazione generale
del paese è parimenti il pericolo di deviazione di sinistra dalla
ideologia marxista e leninista. Esso è rappresentato dalla tendenza
estremista che fa capo al compagno Bordiga. Questa tendenza si formò
nella particolare situazione di disgregazione e incapacità
programmatica, organizzativa, strategica e tattica in cui si trovò
il Partito socialista italiano dalla fine della guerra al Congresso
di Livorno: la sua origine e la sua fortuna sono inoltre in
relazione col fatto che, essendo la classe operaia una minoranza
nella popolazione lavoratrice italiana, è continuo il pericolo che
il suo partito sia corrotto da infiltrazioni di altre classi, e in
particolare della piccola borghesia. A questa condizione della
classe operaia e alla situazione del Partito socialista italiano la
tendenza di estrema sinistra reagì con una particolare ideologia,
cioè con una concezione della natura del partito, della sua funzione
e della sua tattica che è in contrasto con quella del marxismo e del
leninismo:
a) dall'estrema sinistra il partito viene definito, trascurando o
sottovalutando il suo contenuto sociale, come un «organo » della
classe operaia, che si costituisce per sintesi di elementi
eterogenei. Il partito deve invece essere definito mettendo in
rilievo anzitutto il fatto che esso è una «parte » della classe
operaia. L'errore nella definizione del partito porta a impostare in
modo errato i problemi organizzativi e i problemi di tattica;
b) per la estrema sinistra la funzione del partito non è quella di
guidare in ogni momento la classe sforzandosi di restare in
contatto con essa attraverso qualsiasi mutamento di situazione
oggettiva, ma di elaborare dei quadri preparati a guidare la massa
quando lo svolgimento delle situazioni l'avrà portata al partito,
facendole accettare le posizioni programmatiche e di principio da
esso fissate;
c) per quanto riguarda la tattica, l'estrema sinistra sostiene che
essa non deve venire determinata in relazione con le situazioni
oggettive e con la posizione delle masse in modo che essa aderisca
sempre alla realtà e fornisca un continuo contatto con gli strati
più vasti della popolazione
lavoratrice, ma deve essere
determinata in base a preoccupazioni formalistiche. È
propria dell'estremismo la concezione che le deviazioni
dai princìpi della politica comunista
non vengono evitate con la costruzione di partiti «bolscevichi
» i quali siano capaci di compiere, senza deviare,
ogni azione politica che è richiesta
per la mobilitazione delle masse e
per la vittoria rivoluzionaria,
ma possono essere
evitate soltanto col porre
alla tattica limiti rigidi e formali di carattere
esteriore (nel campo organizzativo: «adesione individuale
», cioè rifiuto delle «fusioni »,
le quali possono invece
essere sempre, in condizioni
determinate, efficacissimo mezzo di estensione della influenza
del partito; nel campo politico; travisamento dei termini del
problema della conquista della maggioranza, fronte
unico sindacale e non politico,
nessuna diversità nel modo di lottare contro la
democrazia a seconda del grado di adesione delle masse
a formazioni democratiche
controrivoluzionarie e della imminenza e gravità di un
pericolo reazionario, rifiuto della parola d'ordine del
governo operaio e contadino). All'esame delle situazioni dei
movimenti di massa si ricorre quindi solo per il controllo della
linea dedotta in base a preoccupazioni formalistiche e
settarie: viene perciò sempre a mancare, nella determinazione
della politica del partito, l'elemento
particolare; la unità e
completezza di visione che è propria del nostro
metodo di indagine politica (dialettica) è spezzata;
l'attività del partito e le sue parole d'ordine perdono efficacia e
valore rimanendo attività e parole di semplice
propaganda.
È inevitabile, come conseguenza di queste posizioni, la passività
politica del partito. Di essa l'«astensionismo » fu nel passato un
aspetto. Ciò permette di avvicinare l'estremismo di sinistra al
massimalismo e alle deviazioni di destra. Esso è inoltre, come le
tendenze di destra, espressione di uno scetticismo sulla possibilità
che la massa operaia organizzi dal suo seno un partito di classe il
quale sia capace di guidare la grande massa sforzandosi di tenerla
in ogni momento collegata a sé.
La lotta ideologica contro l'estremismo di sinistra deve essere
condotta contrapponendogli la concezione marxista e leninista del
partito del proletariato come partito di massa e dimostrando la
necessità che esso adatti la sua tattica alle situazioni per
poterle modificare, per non perdere il contatto con le masse e per
acquistare sempre nuove zone d'influenza.
L'estremismo di sinistra fu la ideologia ufficiale del partito
italiano nel primo periodo della sua esistenza. Esso è sostenuto da
compagni che furono tra i fondatori del partito e dettero un
grandissimo contributo alla sua costruzione dopo Livorno. Vi sono
quindi motivi per spiegare come questa concezione sia stata a lungo
radicata nella maggioranza dei compagni anche senza che fosse da
essi valutata criticamente in modo completo, ma piuttosto come
conseguenza di uno stato d'animo diffuso. È evidente perciò che il
pericolo di estrema sinistra deve essere considerato come una realtà
immediata, come un ostacolo non solo alla unificazione ed elevazione
ideologica, ma allo sviluppo politico del partito e alla efficacia
della sua azione. Esso deve essere combattuto come tale, non solo
con la propaganda, ma con una azione politica ed eventualmente con
misure organizzative. 28. Elemento della ideologia del partito è il
grado di spirito internazionalista che è penetrato nelle sue file.
Esso è assai forte tra di noi come spirito di solidarietà
internazionale, ma non altrettanto come coscienza di appartenere ad
un partito mondiale. Contribuisce a questa debolezza la tendenza a
presentare la concezione di estrema sinistra come una concezione
nazionale («originalità » e valore «storico » delle posizioni della
«sinistra italiana ») la quale si oppone alla concezione marxista e
leninista della Internazionale comunista e cerca di sostituirsi ad
essa. Di qui l'origine di una specie di « patriottismo di partito »,
che rifugge dall'inquadrarsi in una organizzazione mondiale secondo
i princìpi che sono propri di questa organizzazione (rifiuti di
cariche, lotta di frazione internazionale, ecc.). Questa debolezza
di spirito internazionalista offre il terreno ad una ripercussione
nel partito della campagna che la borghesia conduce contro la
Internazionale comunista qualificandola come organo dello Stato
russo. Alcune delle tesi di estrema sinistra a questo proposito si
collegano a tesi abituali dei partiti controrivoluzionari. Esse
devono venir combattute con estremo vigore, con una propaganda che
dimostri come storicamente spetti al partito russo una funzione
predominante e direttiva nella costruzione di una Internazionale
comunista e quale è la posizione dello Stato operaio russo — prima
ed unica reale conquista della classe operaia nella lotta per il
potere — nei confronti del movimento operaio internazionale (Tesi
sulla situazione internazionale).
La base dell'organizzazione del partito.
29. Tutti i problemi di organizzazione sono problemi politici. La
soluzione di essi deve rendere possibile al partito di attuare il
suo compito fondamentale, di far acquistare al proletariato una
completa indipendenza politica, di dargli una fisionomia, una
personalità, una coscienza rivoluzionaria precisa, di impedire ogni
infiltrazione e influenza disgregatrice di classi ed elementi, i
quali pur avendo interessi contrari al capitalismo non vogliono
condurre la lotta contro di esso fino alle sue conseguenze ultime.
In prima linea è un problema politico: quello della base della
organizzazione. La organizzazione del partito deve essere costruita
sulla base della produzione e quindi del luogo di lavoro (cellule).
Questo principio è essenziale per la creazione di un partito «
bolscevico ». Esso dipende dal fatto che il partito deve essere
attrezzato per dirigere il movimento di massa della classe operaia,
la quale viene naturalmente unificata dallo sviluppo del capitalismo
secondo il processo della produzione.
Ponendo la base organizzativa nel luogo della produzione il partito
compie un atto di scelta della classe sulla quale esso si basa. Esso
proclama di essere un partito di classe e il partito di una sola
classe, la classe operaia.
Tutte le obiezioni al principio che pone la organizzazione del
partito sulla base della produzione partono da concezioni che sono
legate a classi estranee al proletariato, anche se sono presentate
da compagni e gruppi che si dicono di «estrema sinistra ». Esse si
basano sopra una considerazione pessimista delle capacità
rivoluzionarie dell'operaio e dell'operaio comunista, e sono
espressione dello spirito antiproletario del piccolo borghese
intellettuale, il quale crede di essere il sale della terra e vede
nell'operaio lo strumento materiale dello sconvolgimento sociale e
non il protagonista cosciente e intelligente della rivoluzione.
Si riproducono nel partito italiano a proposito delle cellule la
discussione e il contrasto che portarono in Russia alla scissione
tra bolscevichi e menscevichi a proposito del medesimo problema
della scelta della classe, del carattere di classe del partito e del
modo di adesione al partito di elementi non proletari. Questo fatto
ha del resto, in relazione con la situazione italiana, una
importanza notevole. È la stessa struttura sociale e sono le
condizioni e le tradizioni della lotta politica quelle che rendono
in Italia assai più serio che altrove il pericolo di edificare il
partito in base a una «sintesi » di elementi eterogenei, cioè di
aprire in essi la via alla influenza para-lizzatrice di altre
classi. Si tratta di un pericolo che sarà inoltre reso sempre più
grave dalla stessa politica del fascismo, che spingerà sul terreno
rivoluzionario intieri strati della piccola borghesia.
È certo che il Partito comunista non può essere solo un partito di
operai. La classe operaia e il suo partito non possono fare a meno
degli intellettuali né possono ignorare il problema di raccogliere
intorno a sé e guidare tutti gli elementi che per una via o per
un'altra sono spinti alla rivolta contro il capitalismo. Così pure
il Partito comunista non può chiudere le porte ai contadini: esso
deve anzi avere nel suo seno dei contadini e servirsi di essi per
stringere il legame politico tra il
proletariato e le classi rurali.
Ma è da respingere energicamente, come
controrivoluzionaria, ogni concezione che faccia del partito una «
sintesi » di elementi eterogenei, invece di sostenere senza
concessioni di sorta che esso è una parte del proletariato, che il
proletariato deve dargli la impronta della organizzazione che gli è
propria e che al proletariato deve essere garantita nel partito
stesso una funzione direttiva.
30. Non hanno consistenza le obiezioni pratiche alla organizzazione
sulla base della produzione (cellule), secondo le quali questa
struttura organizzativa non permetterebbe di superare la concorrenza
tra diverse categorie di operai e darebbe il partito in balia al
funzionarismo.
La pratica del movimento di fabbrica (1919-20) ha dimostrato che
solo una organizzazione aderente al luogo e al sistema della
produzione permette di stabilire un contatto tra gli strati
superiori e gli strati inferiori della massa lavoratrice
(qualificati, non qualificati e manovali) e di creare vincoli di
solidarietà che tolgono le basi ad ogni fenomeno di «aristocrazia
operaia ».
La organizzazione per cellule porta alla formazione nel partito di
uno strato assai vasto di elementi dirigenti (segretari di cellula,
membri dei comitati di cellula, ecc.) i quali sono parte della massa
e rimangono in essa pure esercitando funzioni direttive, a
differenza dei segretari delle sezioni territoriali i quali erano di
necessità elementi staccati dalla massa lavoratrice. Il partito
deve dedicare una cura particolare alla educazione di questi
compagni che formano il tessuto connettivo della organizzazione e
sono lo strumento del collegamento con le masse. Da qualsiasi punto
di vista venga considerata, la trasformazione della struttura sulla
base della produzione rimane compito fondamentale del partito nel
momento presente e mezzo per la soluzione dei più importanti suoi
problemi. Si deve insistere in essa e intensificare tutto il lavoro
ideologico e pratico che ad essa è relativo.
Compattezza della organizzazione del partito. Frazionismo.
31. La organizzazione di un partito bolscevico deve essere, in ogni
momento della vita del partito, una organizzazione centralizzata,
diretta dal Comitato centrale non solo a parole, ma nei fatti. Una
disciplina proletaria di ferro deve regnare nelle sue file. Questo
non vuol dire che il partito debba essere retto dall'alto con
sistemi autocratici. Tanto il Comitato centrale quanto gli organi
inferiori di direzione sono formati in base a una elezione e in base
a una scelta di elementi capaci
compiuta attraverso la
prov; del lavoro e la esperienza
del movimento. Questo secondo elemento garantisce che i criteri per
la formazione dei gruppi dirigenti locali e del gruppo dirigente
centrale non siano meccanici, esteriori e «parlamentari », ma
corrispondano a un processo reale di formazione di una avanguardia
proletaria omogenea e collegata con la massa.
Il principio della elezione degli organi dirigenti — democrazia
interna — non è assoluto, ma relativo alle condizioni della lotta
politica. Anche quando esso subisca limitazioni, gli organi centrali
e periferici devono sempre considerare il loro potere non come
sovrapposto, ma come sgorgante dalla volontà del partito, e
sforzarsi di accentuare il loro carattere proletario e di
moltiplicare i loro legami con la massa dei compagni e con la classe
operaia. Quest'ultima necessità è particolarmente sentita in
Italia, dove la reazione costrinse e costringe tuttora ad una forte
limitazione della democrazia interna.
La democrazia interna è pure relativa al grado di capacità politica
posseduta dagli organi periferici e dai singoli compagni che
lavorano alla periferia. L'azione che il centro esercita per
accrescere questa capacità rende possibile una estensione dei
sistemi «democratici » e una riduzione sempre più grande del sistema
della «cooptazione » e degli interventi dall'alto per regolare le
questioni organizzative locali.
32. La centralizzazione e la compattezza del partito esigono che non
esistano nel suo seno gruppi organizzati i quali assumano carattere
di frazione. Un partito bolscevico si differenzia per questo
profondamente dai partiti socialdemocratici i quali comprendono una
grande varietà di gruppi e nei quali la lotta di frazioni è la forma
normale di elaborazione delle direttive politiche e di selezione dei
gruppi dirigenti. I partiti e la Internazionale comunista sono sorti
in seguito ad una lotta di frazioni svoltasi nel seno della II
Internazionale. Costituendosi come partiti e come organizzazione
mondiale del proletariato essi hanno eletto a norma della loro vita
interna e del loro sviluppo non più la lotta di frazioni, ma la
collaborazione organica di tutte le tendenze attraverso la
partecipazione agli organi dirigenti.
La esistenza e la lotta di frazioni sono infatti inconcepibili con
la essenza del partito del proletariato, di cui spezzano la unità
aprendo la via alla influenza di altre classi. Questo non vuol dire
che nel partito non possano sorgere tendenze e che le tendenze
talora non cerchino di organizzarsi in frazioni, ma vuol dire che
contro quest'ultima eventualità si deve lottare energicamente per
ridurre i contrasti di
tendenze, le elaborazioni
di pensiero e la
selezione dei dirigenti alla forma che è propria dei
partiti comunisti, cioè a un processo di svolgimento reale e
unitario (dialettico) e non a una controversia e a lotte di
carattere «parlamentare ».
33. La esperienza del movimento operaio, fallito in seguito alla
impotenza del psi, per la lotta delle frazioni e per il fatto che
ogni frazione faceva, indipendentemente dal partito, la sua
politica, paralizzando l'azione delle altre frazioni e quella del
partito intiero, questa esperienza offre un buon terreno per creare
e mantenere la compattezza e la centralizzazione che devono esser
propri di un partito bolscevico.
Tra i diversi gruppi da cui il Partito comunista d'Italia ha tratto
origine sussiste qualche differenziazione, che deve scomparire con
un approfondimento della comune ideologia marxista e leninista. Solo
tra i seguaci della ideologia antimarxista di estrema sinistra si
sono mantenute a lungo una omogeneità e una solidarietà di carattere
frazionistico. Dal frazionismo larvato si è anzi fatto il tentativo
di passare alla lotta aperta di frazione, con la costituzione del
cosiddetto «Comitato d'intesa » '. La profondità con cui il partito
reagì a questo insano tentativo di scindere le sue forze dà
affidamento sicuro che cadrà nel vuoto, in questo campo, ogni
tentativo per farci ritornare alle consuetudini della
socialdemocrazia.
Il pericolo di un frazionismo esiste in una certa misura anche per
la fusione con i terzinternazionalisti del Partito socialista. I
terzinternazionalisti non hanno una loro ideologia in comune, ma
sussistono tra loro dei legami di carattere essenzialmente
corporativo, creatisi nei due anni di vita come frazione in seno al
psi: questi legami sono andati sempre più allentandosi e non sarà
difficile eliminarli totalmente.
La lotta contro il frazionismo deve essere anzitutto propaganda di
giusti princìpi organizzativi, ma essa non avrà successo sino a che
il partito italiano non potrà nuovamente considerare la discussione
dei problemi attuali suoi e della Internazionale come fatto normale,
e orientare le sue tendenze in relazione a questi problemi.
1 II comitato tra gli aderenti della sinistra la cui costituzione fu
annunziata al Comitato esecutivo del pcd'i con una lettera in data
1° giugno 1925, pubblicata il 7 ne «L'Unità ». Bordiga non figurava
tra i firmatari, ma rivendicò subito la propria adesione al Comitato
d'intesa, del quale sottoscrisse Io scioglimento nel luglio.
Lettera di Bordiga a Korsch
* In appendice a D. Montaldi, Korsch e i comunisti italiani. Contro
un facile spirito di assimilazione..., Savelli, Roma 1975, pp.
47-52.
Napoli, 28 ottobre 1926 Caro compagno Korsch,
Le quistioni sono oggi così gravi che sarebbe veramente necessario
poterne discutere a voce molto a lungo: ma questa possibilità per
ora non la avremo, disgraziatamente. Neppure ho quella di scrivervi
dettagliatamente su tutti i punti della vostra piattaforma, alcuni
dei quali potrebbero dare luogo ad un'utile discussione fra noi.
Per esempio il vostro "modo di esprimervi" sulla Russia mi pare che
non vada bene. Non si può dire che «la rivoluzione russa è una
rivoluzione borghese ». La rivoluzione del '17 è stata una
rivoluzione proletaria, benché sia un errore generalizzarne le
lezioni " tattiche ". Ora si pone il problema di che cosa avvenga
della dittatura proletaria in un paese che non segue la rivoluzione
negli altri paesi. Vi può essere una controrivoluzione, vi può
essere un intervento esterno, vi può essere un corso degenerativo
di cui si tratta di scoprire e definire i sintomi ed i riflessi
dentro il partito comunista.
Non si può dire semplicemente che la Russia è un paese in cui si
espande il capitalismo. La cosa è molto più complessa: si tratta di
nuove forme della lotta di classe che non hanno precedenti storici.
Si tratta di mostrare come tutta la concezione dei rapporti colle
classi medie sostenuta dagli stalinisti è una rinunzia al programma
comunista. Sembrerebbe che voi escludeste la possibilità di una
politica del Partito comunista russo che non equivalga a dare una
giustificazione a Stalin o a sostenere la politica inammissibile di
" dimettersi dal potere ". Bisogna invece dire che una politica
corretta e classista in Russia sarebbe stata possibile senza la
serie di gravi errori di politica internazionale commessi da tutta
la " vecchia guardia leninista " insieme.
Ho poi l'impressione — mi limito a vaghe impressioni — che nelle
vostre formulazioni tattiche, anche quando sono accettabili, date un
valore troppo preponderante alle suggestioni della situazione
oggettiva, che può oggi sembrare volta a sinistra. Sapete che noi,
sinistri italiani, siamo accusati di negare l'esame delle
situazioni: questo non è vero. Tuttavia noi miriamo alla costruzione
di una linea sinistra veramente generale e non occasionale, che si
ricollega a se stessa attraverso fasi e sviluppi di situazioni
distanti nel tempo e diverse, fronteggiandole tutte sul buon terreno
rivoluzionario, non certo ignorandone i caratteri distintivi
oggettivi.
Vengo senz'altro alla vostra tattica. Per esprimermi con formule
spicciative e non... ufficiali, dirò che essa mi pare ancora, nei
rapporti internazionali di partito, troppo elastica e troppo...
bolscevica. Tutto il ragionamento con cui giustificate
l'atteggiamento verso il gruppo Fischer, cioè che contavate di
spingerlo a sinistra, o se rifiutava svalutarlo agli occhi degli
operai, non mi convince e mi pare che anche nei fatti non abbia dato
buoni risultati. In genere io penso che in primo piano oggi più che
l'organizzazione e la manovra, si deve mettere un lavoro
pregiudiziale di elaborazione di una ideologia politica di sinistra
internazionale, basata sulle esperienze eloquenti traversate del
Comintern. Essendo molto indietro su questo punto ogni iniziativa
internazionale riesce difficile.
Vi unisco pochi appunti sulla nostra posizione rispetto alle
questioni della sinistra russa. È suggestivo che abbiamo visto le
cose diversamente: voi che eravate molto diffidenti verso Trockij
siete arrivati subito al programma della solidarizzazione
incondizionata con la opposizione russa puntando su Trockij più che
su Zinov'ev (condivido questa preferenza).
Oggi che l'opposizione russa ha dovuto " sottomettersi " parlate di
una dichiarazione in cui si dovrebbe attaccarla per avere lasciato
cadere la bandiera, cosa che io non sarei d'accordo di fare mentre
prima noi non abbiamo creduto di " fonderci " sotto questa bandiera
internazionale tenuta dalla opposizione russa.
Zinov'ev e Trockij sopra tutto sono uomini che hanno molto senso
della realtà, essi hanno capito che bisogna ancora incassare colpi
senza passare all'offensiva aperta. Non siamo al momento della
chiarificazione definitiva, né per la situazione esterna, né per
quella interna.
1. Le posizioni della sinistra russa circa le direttive della
politica statale del Partito comunista russo sono da noi condivise.
L'indirizzo sostenuto dalla maggioranza del Comitato centrale è da
noi combattuto come un avviamento alla degenerazione del partito
russo e della dittatura proletaria che conduce fuori del programma
del marxismo rivoluzionario e del leninismo. Nel passato non abbiamo
combattuto la politica di Stato del Partito comunista russo fino a
che essa è restata sul terreno corrispondente ai due documenti del
discorso di Lenin sull'imposta in natura e del rapporto di Trockij
al IV congresso mondiale. Accettiamo le tesi di Lenin al II
congresso.
2. Le posizioni della sinistra russa sulla tattica e la politica del
Comintern, a parte la questione delle responsabilità passate di
molti suoi membri, sono insufficienti. Esse non si avvicinano a
quanto noi abbiamo detto fin dall'inizio dell'Internazionale
comunista sui rapporti fra partiti e masse, fra tattica e
situazione, fra partiti comunisti ed altri partiti cosiddetti
operai, sulla valutazione dell'alternativa della politica borghese.
Si avvicinano di più ma non completamente sulla questione del metodo
del lavoro dell'Internazionale e della interpretazione e
funzionamento della disciplina interna e del frazionismo. Sono
soddisfacenti le posizioni di Trockij sulla questione tedesca del
'23, come è soddisfacente il giudizio sulla presente situazione
mondiale. Non altrettanto può dirsi delle rettifiche di Zinov'ev
sulla questione del fronte unico e dell'Internazionale sindacale
rossa, e su altri punti che hanno valore occasionale e contingente e
non danno affidamento di una tattica che eviti i passati errori.
3. Data la politica di compressione e di provocazione dei dirigenti
dell'Internazionale e delle sue sezioni, ogni organizzazione di
gruppi nazionali ed internazionali contro la deviazione a destra
presenta dei pericoli scissionistici. Non bisogna volere la
scissione dei partiti e dell'Internazionale. Bisogna lasciare
compiere l'esperienza della disciplina artificiosa e meccanica col
seguirla nei suoi assurdi di procedura fino a che sarà possibile,
senza mai rinunciare alle posizioni di critica ideologica e politica
e senza mai solidarizzare con l'indirizzo prevalente. I gruppi
ideologici aventi una posizione di sinistra tradizionale e completa
non potevano solidarizzare incondizionatamente con l'opposizione
russa ma non possono condannare la sua recente sottomissione, con la
quale essa non ha fatto una conciliazione ma ha solo subito delle
condizioni di cui la sola alternativa era la scissione. La
situazione oggettiva ed esterna è ancora tale che non solo in Russia
essere cacciati fuori dai quadri del Comintern significa avere
possibilità di modificare il corso della lotta della classe operaia
ancora minori di quelle che si hanno nell'interno dei partiti.
4. Sarebbe in ogni caso inammissibile una solidarietà e una
comunanza di dichiarazioni politiche con elementi come Fischer e C.
che, anche in altri partiti come quello tedesco, abbiano recenti
responsabilità di dirigenza di partito secondo l'indirizzo destro e
centrista ed il cui passaggio all'opposizione abbia coinciso con
l'impossibilità di conservare la direzione di un partito d'accordo
col centro internazionale, e con critiche fatte dall'Internazionale
al loro operato. Questo sarebbe incompatibile con la difesa del
nuovo metodo e nuovo corso nel lavoro internazionale comunista, che
deve succedere a quello della manovra a tipo parlamentare-f
unzionaristico.
5. Con ogni mezzo che non esclude il diritto di vivere nel partito
deve essere denunziato l'indirizzo prevalente come conducente
all'opportunismo e come contrastante con la fedeltà ai principi
programmatici dell'Internazionale, che anche gruppi diversi da noi
possono avere il diritto di difendere a condizione che si pongano il
quesito di ricercare le deficienze iniziali — non teoretiche, ma
tattiche, organizzative, disciplinari che hanno fatto la Terza
Internazionale ancora suscettibile di pericoli degenerativi.
Credo che uno dei difetti dell'Internazionale attuale sia stato di
essere " un blocco di opposizioni " locali e nazionali. Bisogna
riflettere su questo, si capisce senza arrivare ad esagerazioni, ma
per fare tesoro di questi insegnamenti. Lenin arrestò molto lavoro
di elaborazione " spontaneo " contando di raggruppare materialmente
e poi dopo soltanto fondere omogeneamente i vari gruppi al calore
della rivoluzione russa. In gran parte non è riuscito.
Capisco bene che il lavoro che io propongo non è facile mancando
legami organizzativi, possibilità di stampa, propaganda, ecc.
Malgrado questo credo che si può attendere ancora. Nuovi
avvenimenti esterni verranno, ed in ogni caso io conto che il
sistema dello stato d'assedio finirà per esaurimento prima di averci
obbligati a raccogliere le provocazioni.
Credo che non dobbiamo questa volta lasciarci trascinare dal fatto
che l'opposizione russa ha dovuto firmare delle frasi contro di noi,
forse per non dovere cedere su qualche altro punto nella tormentosa
preparazione del documento. Anche questi riflessi entrano nel
calcolo dei " bolscevizzatori ".
Cercherò mandarvi elementi sulle cose italiane. Noi non abbiamo
accettato la dichiarazione di guerra costituita dai provvedimenti
di sospensione di alcuni elementi direttivi di sinistra, e la cosa
non ha avuto seguito di carattere frazionista. Le batterie della
disciplina hanno sparato nella ovatta fino ad ora. Non è una linea
molto bella e che contenti tutti noi, ma è la meno peggiore
possibile. Vi manderemo copia del nostro ricorso alla
Internazionale.
In conclusione non credo il caso di fare una dichiarazione
internazionale come voi proponete, e non credo nemmeno praticamente
attuabile la cosa. Credo ugualmente utile di dare nei diversi paesi
delle manifestazioni e dichiarazioni ideologicamente e politicamente
parallele per il contenuto sui problemi della Russia e del
Comintern, senza per questo offrire gli estremi del " Complotto "
frazionista, e ciascuno elaborando liberamente il suo pensiero e le
sue esperienze.
In questa quistione interna ritengo che sia buona più sovente la
tattica di lasciarsi spingere innanzi dagli avvenimenti, che certo
nelle quistioni " esterne " è molto dannosa ed opportunista. Tanto
più per il gioco speciale del meccanismo del potere internazionale e
della disciplina meccanica che io persisto a credere destinata ad
infrangersi da se stessa.
So di essere insufficiente e poco chiaro. Vogliate scusarmi e per
ora abbiatevi cordiali saluti.
Amadeo Bordiga