CAPITOLO LIV - L'UOMO DAL MANTELLO ROSSO

 

 

La disperazione di Athos aveva ceduto il posto a un dolore concentrato, che rendeva più lucide le brillanti facoltà del suo spirito. Tutto preso da un solo pensiero, quello della promessa che aveva fatto e della responsabilità che si era assunto, egli si chiuse per ultimo in camera sua, pregò l'oste di fornirgli una carta della provincia, si curvò su di essa, interrogò le linee tracciate, riconobbe che quattro differenti strade andavano da Béthune a Armentières e chiamò i domestici. Planchet, Grimaud, Mousqueton e Bazin si presentarono e ricevettero ordini chiari. Dovevano partire il giorno allo spuntare dell'alba e recarsi ad Armentières, ciascuno per una strada differente. Planchet, che era il più intelligente dei quattro, doveva seguire quella per cui era sparita la vettura sulla quale i moschettieri avevano sparato e che era scortata, come il lettore ricorderà, dal domestico di Rochefort. Athos metteva in azione i domestici prima di chiunque altro, perché da quando questi uomini erano entrati al servizio suo e dei suoi amici, egli aveva notato come ciascuno di essi possedesse qualità diverse ed essenziali. Inoltre, uno o più domestici che chiedono indicazioni ispirano ai passanti meno diffidenza dei loro padroni e trovano più simpatie in coloro ai quali si rivolgono. Infine Milady conosceva i padroni e non conosceva i servi, i quali, al contrario, conoscevano Milady. Tutti e quattro dovevano trovarsi riuniti il giorno dopo alle undici nel luogo stabilito; se avevano scoperto il nascondiglio di Milady, tre sarebbero restati a sorvegliarlo e il quarto sarebbe tornato a Béthune per avvertire Athos e servire da guida ai quattro amici. Ciò stabilito, i servi salutarono e uscirono. Allora Athos si alzò, cinse la spada, si avviluppò nel mantello e uscì dall'albergo; erano circa le dieci. Alle dieci di sera, si sa, le strade di provincia sono poco frequentate; ma Athos cercava evidentemente qualcuno al quale potesse rivolgere una domanda. Incontrò finalmente un passante attardato, gli si avvicinò e gli disse qualche parola; l'uomo indietreggiò con terrore, tuttavia rispose al moschettiere dandogli una indicazione. Athos offrì allo sconosciuto mezza pistola perché lo accompagnasse, ma quello rifiutò. Athos prese risolutamente la via che l'informatore gli aveva indicata, ma arrivato a un crocicchio si arrestò di nuovo, visibilmente imbarazzato. Però, poiché il crocevia gli offriva più di qualunque altro luogo la possibilità di incontrare qualcuno, si fermò lì. Dopo un attimo, infatti, passò una guardia notturna. Athos gli ripeté la stessa domanda che aveva già fatta alla prima persona incontrata; la guardia notturna manifestò lo stesso terrore e rifiutò anch'essa di accompagnare Athos, limitandosi a indicargli con la mano la strada che doveva percorrere. Athos andò nella direzione indicata e raggiunse il sobborgo situato all'estremità opposta a quella dal quale era entrato in città coi suoi compagni. Qui si fermò una volta ancora, incerto e imbarazzato. Per fortuna un mendicante gli si avvicinò e gli chiese l'elemosina. Athos gli offrì uno scudo perché lo conducesse dove egli doveva andare; il mendicante esitò un poco, poi, vedendo brillare nell'oscurità la moneta d'argento, si decise e si mise in cammino precedendo Athos. Arrivato all'angolo di una strada, gli indicò di lontano una casetta isolata, triste e solitaria; il moschettiere si avviò a quella volta, mentre il mendicante che aveva ricevuto il suo salario se la dava a gambe. Athos fece il giro della casetta prima di scoprire la porta nell'uniforme color rossastro di cui l'edificio era dipinto: nessuna luce filtrava dalle fessure delle imposte, nessun rumore faceva supporre che quel luogo fosse abitato; esso era cupo e muto come una tomba. Il moschettiere picchiò tre volte senza che nessuno gli rispondesse. Al terzo colpo, però, si sentì nell'interno un passo che si avvicinava e finalmente la porta si aprì e apparve sulla soglia un uomo alto, pallido, coi capelli e la barba neri. Athos scambiò con lui qualche parola sottovoce, poi l'uomo dall'alta statura fece un cenno al moschettiere perché entrasse. Athos non se lo fece dire due volte, e la porta si rinchiuse dietro di loro. L'uomo che Athos era venuto a cercare tanto lontano e che aveva trovato con tanta difficoltà, lo fece entrare nel suo laboratorio dove era occupato a unire con fili di ferro le ossa di uno scheletro. Questo era quasi completo; solo la testa era posata sopra una tavola. Tutt'intorno erano oggetti che indicavano chiaramente che il padrone di casa si occupava di scienze naturali: vi erano boccali pieni di serpenti, catalogati secondo la specie; lucertole disseccate rilucevano come smeraldi sfaccettati entro grandi cornici di legno nero; infine, fasci d'erbe selvatiche odorose, senza dubbio dotate di virtù sconosciute agli uomini comuni, erano attaccati al soffitto e pendevano negli angoli della camera. Non c'era indizio, in quel luogo, né di famiglia, né di servitori; l'uomo dall'alta statura abitava da solo. Athos gettò un'occhiata fredda e indifferente su tutti gli oggetti che abbiamo descritto e, invitato da colui ch'era venuto a cercare, sedette accanto a lui. Allora gli spiegò la causa della sua visita ed il servizio che desiderava da lui; ma non appena ebbe finito di parlare, lo sconosciuto, ch'era rimasto in piedi di fronte al moschettiere, indietreggiò terrorizzato e rifiutò il servizio richiesto. Allora Athos trasse di tasca una carta sulla quale erano tracciate due righe accompagnate da una firma e da un sigillo e la mostrò a colui che aveva dato troppo prematuramente quei segni di ripugnanza. L'uomo dall'alta statura, non appena ebbe lette le due righe, vista la firma e riconosciuto il sigillo, s'inchinò come a dire che non aveva più nessuna obiezione da fare e ch'era pronto a obbedire. Athos non chiese di più; si alzò, salutò, uscì, e rifacendo la strada percorsa, rientrò all'albergo e si chiuse in camera sua. All'alba d'Artagnan era da lui per chiedergli che cosa intendesse fare. "Attendere" rispose Athos. Qualche momento dopo, la superiora del convento fece avvertire i moschettieri che a mezzogiorno avrebbero avuto luogo i funerali della vittima. Quanto all'avvelenatrice, non si avevano notizie di lei, ma si supponeva che fosse fuggita attraverso il giardino sulla sabbia del quale erano state riconosciute le impronte dei suoi passi, e di cui si era trovata la porta chiusa; quanto alla chiave, essa era scomparsa. All'ora indicata, lord Winter e i quattro amici si recarono al convento; le campane suonavano a distesa, la cappella era aperta, la grata del coro era chiusa. In mezzo al coro era esposto il corpo della vittima nel suo abito da novizia. Ai due lati del coro e dietro le grate che si aprivano sul convento, era adunata tutta la comunità delle Carmelitane, che ascoltavano il servizio divino e univano il loro canto a quello dei sacerdoti, senza vedere i profani e non viste da loro. Alla porta della cappella, d'Artagnan sentì sfuggirgli nuovamente il coraggio; si volse cercando Athos, ma Athos era sparito. Fedele alla sua missione vendicatrice, Athos s'era fatto condurre in giardino; e qui, seguendo i passi leggeri di quella donna, che ovunque era passata aveva lasciata una traccia sanguinosa, arrivò alla porta che dava sul bosco, se la fece aprire e penetrò risolutamente nella foresta. Allora tutti i suoi dubbi divennero certezza; la strada per cui la carrozza era scomparsa girava intorno al bosco. Athos seguì quella strada per qualche tempo con gli occhi fissi al suolo; leggere macchie di sangue proveniente da una ferita fatta all'uomo che accompagnava la carrozza come corriere o a uno dei cavalli costellavano il terreno. Dopo circa tre quarti di lega, a cinquanta passi da Festubert, apparve una macchia di sangue più grande delle altre; il terreno era calpestato dai cavalli. Fra la foresta e quel punto rivelatore, al di qua del terreno calpestato, riapparivano le tracce dei piccoli piedi, uguali a quelle del giardino; la vettura si era fermata. In quel punto, Milady era uscita dal bosco ed era salita sulla carrozza. Soddisfatto di questa scoperta che confermava tutti i suoi sospetti, Athos tornò all'albergo e vi trovò Planchet che lo aspettava impazientemente. Tutto era andato come Athos aveva previsto. Planchet aveva seguito la strada, aveva come Athos notato le tracce di sangue, come Athos, aveva riconosciuto il posto dove i cavalli si erano fermati, ma si era spinto più in là di Athos, di modo che al villaggio di Festubert, bevendo in un albergo, aveva, senza bisogno di far domande, saputo che il giorno prima, alle otto e mezzo di sera, un uomo ferito, che accompagnava una signora che viaggiava in sedia di posta, era stato costretto a fermarsi perché non poteva proseguire. L'incidente era stato attribuito ai ladri che pareva avessero arrestato la carrozza. L'uomo era rimasto nel villaggio, la donna aveva cambiato i cavalli e continuato la sua strada. Planchet si mise in cerca del postiglione che aveva condotto la carrozza e lo trovò. Egli aveva condotto la signora fino a Fromelles da dove era partita per Armentières. Planchet prese una via traversa, e alle sette del mattino era ad Armentières. Non c'era che un solo albergo, quello della Posta. Planchet si presentò come un domestico disoccupato in cerca di servizio Non aveva parlato più di dieci minuti col personale dell'albergo, e già sapeva che una donna sola era arrivata alle undici di sera, aveva presa una camera, aveva fatto chiamare il padrone e gli aveva detto che desiderava abitare per qualche tempo nei dintorni. Planchet non aveva bisogno di saperne di più. Era corso al luogo di riunione, vi aveva trovati i tre servitori che aveva posti di sentinella a tutte le uscite dell'albergo ed era corso da Athos, il quale finiva di ascoltare le informazioni di Planchet quando i suoi amici rientrarono. Tutti i volti erano cupi e contratti, persino il dolce viso di Aramis. "Che c'è da fare?" domandò d'Artagnan. "Aspettare" rispose Athos. Ognuno si ritirò in camera sua. Alle otto di sera Athos ordinò di sellare i cavalli e fece avvertire lord Winter e i suoi amici perché si preparassero per la spedizione. In un attimo tutti furono pronti; ciascuno esaminò le proprie armi e le mise in ordine. Athos discese per primo e trovò d'Artagnan già a cavallo che si spazientiva. "Pazienza" gli disse "manca ancora qualcuno." I quattro cavalieri si guardarono intorno meravigliati, perché si chiedevano inutilmente chi potesse mancare. In quel momento Planchet fece avanzare il cavallo di Athos, il moschettiere saltò leggermente in sella. "Aspettatemi" disse "torno subito." E partì di galoppo. Un quarto d'ora dopo era effettivamente di ritorno in compagnia di un uomo mascherato e avvolto in un mantello rosso. Lord Winter e i tre moschettieri s'interrogarono con gli occhi; ma nessuno seppe dare una spiegazione agli altri, perché tutti ignoravano chi fosse quell'uomo. Tuttavia pensarono che ciò doveva rientrare nei piani, visto che la cosa era stata fatta per ordine di Athos. Alle nove, guidata da Planchet, il piccolo gruppo si mise in strada prendendo la via che aveva percorso la vettura. Era triste vedere quei sei uomini che correvano silenziosamente, immersi ciascuno nei suoi tristi pensieri, tetri come la disperazione, cupi come il castigo.

 

 

 

 

 

Questo volume pubblicato da REA Multimedia è stato acquistato il giorno 19/10/2013 4.44.51 da Luigi Anepeta