CAPITOLO LI - UFFICIALI

 

 

Frattanto il Cardinale aspettava notizie dall'Inghilterra, ma non ne riceveva che non fossero spiacevoli e minacciose. Per quanto La Rochelle fosse assediata, per quanto il successo potesse sembrare sicuro, grazie alle precauzioni prese, e soprattutto grazie alla diga che non lasciava più penetrare nessuna barca nella città assediata, purtuttavia il blocco poteva durare ancora a lungo, e ciò era umiliante per le armi del Re e imbarazzante per il Cardinale che, se non doveva più preoccuparsi d'inimicare Luigi Tredicesimo con Anna d'Austria, perché la cosa era già avvenuta, doveva pensare a rappacificare il signor di Bassompierre che era diventato nemico giurato del duca d'Angouleme. Quanto a Monsieur, che aveva iniziato l'assedio, egli lasciava ora al Cardinale la cura di finirlo. La città, nonostante l'incredibile perseveranza del sindaco{41} aveva tentato una specie di ammutinamento per arrendersi e il sindaco aveva fatto impiccare i rivoltosi. Questa esecuzione calmò le teste più calde, che si rassegnarono a lasciarsi morire di fame; questa morte sembrava loro più lenta e meno sicura di quella per impiccagione. Da parte loro, di tanto in tanto, gli assedianti catturavano dei messi che i Rochellesi mandavano a Buckingham o delle spie che Buckingham mandava ai Rochellesi. In entrambi i casi giustizia era subito fatta. Il Cardinale non diceva che una parola: "Impiccato" ed invitava il Re ad assistere all'esecuzione. Il Re arrivava con aria languida e si metteva in una buona posizione per vedere l'operazione in tutti i particolari; ciò lo distraeva sempre un po' e lo aiutava a sopportare pazientemente le lungaggini dell'assedio; ma ciò non gli impediva di annoiarsi maledettamente e di parlare continuamente della sua intenzione di tornare a Parigi, così che se le spie ed i messi fossero venuti a mancare, Sua Eminenza, nonostante tutta la sua potenza inventiva, si sarebbe trovato molto imbarazzato. Nondimeno il tempo passava e i Rochellesi non si arrendevano; l'ultima spia catturata aveva indosso una lettera nella quale si faceva sapere a Buckingham che la città era ridotta agli estremi, ma invece di aggiungere: "Se i vostri soccorsi non arriveranno prima di quindici giorni ci arrenderemo", concludeva semplicemente così: "Se i vostri soccorsi non arriveranno prima di quindici giorni, quando arriveranno saremo tutti morti di fame". L'unica speranza dei Rochellesi era dunque riposta in Buckingham. Buckingham era il loro messia. Era dunque evidente che se un giorno essi avessero saputo in modo indubbio che era inutile sperare in Buckingham, con la speranza sarebbe venuto meno tutto il loro coraggio. Il Cardinale attendeva quindi impazientemente che dall'Inghilterra venisse la notizia che Buckingham non sarebbe arrivato. La questione di prendere la città con la forza, dibattuta spesso nei consigli del Re, era sempre stata scartata, prima di tutto perché La Rochelle sembrava imprendibile, poi perché il Cardinale, checché avesse detto in contrario, sapeva bene che l'orrore del sangue sparso in un simile scontro, nel quale Francesi avrebbero dovuto combattere contro Francesi, sarebbe stato un passo indietro di sessant'anni per la politica, e il Cardinale era, a quel tempo, ciò che oggi si chiama un uomo di progresso. Infatti, il saccheggio di La Rochelle, l'assassinio di tre o quattromila Ugonotti che si fossero fatti uccidere, avrebbero ricordato troppo, nel 1628, la strage della notte di San Bartolomeo del 1572; e inoltre, al disopra di tutto ciò, questo estremo rimedio, che al Re, buon cattolico, non ripugnava minimamente, naufragava sempre contro questo argomento dei generali assedianti: La Rochelle non si può prendere altro che per fame. Il Cardinale non poteva allontanare dal suo spirito il timore in cui lo teneva la sua terribile emissaria, giacché aveva capito, anche lui, le strane proposte di quella donna, ch'era talvolta serpente, talvolta leone. Lo aveva tradito? Era morta? Ad ogni modo, la conosceva sufficientemente per sapere che, amica o nemica, non sarebbe restata inoperosa senza qualche grande impedimento. Ma quale? Era ciò che non poteva sapere. Però egli, e con ragione, contava su Milady, aveva indovinato che nel passato di quella donna c'erano cose così terribili che solo il suo mantello rosso poteva coprirle; e sentiva che, per una ragione o per l'altra, essa gli sarebbe restata fedele perché solo in lui avrebbe trovato un appoggio superiore al pericolo che la minacciava. Risolvette dunque di continuare la guerra da solo e di non attendere avvenimenti estranei che come si attende un colpo di fortuna. Continuò a far costruire la famosa diga che doveva affamare La Rochelle; e nel frattempo gettò lo sguardo su quella disgraziata città che racchiudeva tante profonde miserie e tante eroiche virtù e ricordando il motto di Luigi Undicesimo, suo predecessore politico, allo stesso modo ch'egli lo era di Robespierre, mormorò questa massima del compare di Tristano{42}: "Dividere per regnare!". Enrico Quarto, allorché assediava Parigi, faceva gettare al di là delle mura pane e viveri; il Cardinale fece gettare dei bigliettini nei quali dimostrava ai Rochellesi come la condotta dei loro capi fosse ingiusta, egoista e barbara; questi capi avevano grano in abbondanza e non lo dividevano; essi adottavano questa massima, perché anch'essi avevano le loro massime, che poco importava se le donne, i vecchi ed i bambini morivano; purché gli uomini che dovevano difendere le mura restassero forti e validi sino a quel momento, per abnegazione o per impotenza a reagire contro di essa, questa massima, senza essere generalmente adottata, era tuttavia passata dalla teoria alla pratica; ma i biglietti vennero a scuoterla. I biglietti ricordarono ai Rochellesi che questi bambini, queste donne, questi vecchi che venivan lasciati morire erano i loro figliuoli, le loro spose, i loro genitori, e che sarebbe stato quindi più giusto che tutti soffrissero in eguale misura, affinché una stessa situazione inducesse a prendere misure comuni. Questi biglietti ottennero dunque lo scopo che si era prefisso colui che li aveva scritti, in quanto determinarono molti cittadini a iniziare negoziati particolari con l'esercito reale. Ma nel momento in cui il Cardinale vedeva già fruttificare il proprio espediente e si rallegrava di averlo posto in opera, un abitante di La Rochelle, che, Dio sa come, aveva potuto passare attraverso l'esercito regale senza essere fatto prigioniero malgrado l'intensa sorveglianza di Bassompierre, di Schomberg e del duca d'Angouleme che alla loro volta erano sorvegliati dal Cardinale, entrò in città venendo da Portsmouth e affermando di avervi veduta una flotta magnifica pronta a salpare prima di otto giorni. Inoltre Buckingham annunciava al sindaco che finalmente la grande lega contro la Francia stava per essere dichiarata e che il regno sarebbe stato invaso contemporaneamente dagli eserciti inglese, imperiale e spagnuolo. Questa lettera fu letta pubblicamente in tutte le piazze; se ne fecero molte copie che furono affisse agli angoli della città e coloro stessi che avevano aperti negoziati col nemico, li interruppero, decisi ad attendere i soccorsi tanto pomposamente annunciati. Questo avvenimento inatteso ridiede a Richelieu le sue prime inquietudini, e lo costrinse suo malgrado a volgere di nuovo gli occhi al di là della Manica. Nel frattempo l'esercito reale, ignaro delle preoccupazioni del suo unico e vero capo, faceva una vita quanto mai gaia: al campo i viveri e il denaro non mancavano; e tutte le armi rivaleggiavano in audacia e allegria. Catturare qualche spia, ed impiccarla, fare audaci spedizioni sulla diga o in mare, ideare pazzie e metterle freddamente in esecuzione, tali erano i passatempi grazie ai quali l'esercito trovava brevi quei giorni così lunghi non soltanto per i rochellesi, rosi dalla carestia e dall'ansia, ma anche per il Cardinale che li bloccava tanto strettamente. Qualche volta, quando il Cardinale, sempre a cavallo come l'ultimo gendarme dell'esercito, lasciava correre il suo sguardo pensieroso sulle opere, così lente a paragone del suo desiderio che, per suo ordine, venivano costruite dagli ingegneri ch'egli faceva venire da tutti gli angoli del regno di Francia, se incontrava qualche moschettiere della compagnia di Tréville, gli si avvicinava e lo esaminava in modo singolare, poi non riconoscendo in lui uno dei nostri quattro amici, lasciava che il suo sguardo profondo e il suo vasto pensiero si volgessero altrove. Un giorno in cui, roso da una noia mortale, senza più speranza nei negoziati con la città, privo di notizie dall'Inghilterra, il Cardinale era uscito senz'altro scopo che quello di uscire, accompagnato soltanto da Cahusac e da La Houdinière, costeggiando le rive e mischiando l'immensità dei suoi sogni all'immensità dell'oceano, arrivò al passo in cima a una collina, dall'alto della quale vide dietro una siepe, coricati sulla sabbia a godere uno di quei raggi di sole così rari in quella stagione, sette uomini circondati di bottiglie vuote. Quattro di costoro erano i nostri moschettieri e si disponevano ad ascoltare la lettura di una lettera che uno di loro aveva ricevuta in quel momento. Quella lettera doveva essere così importante, che aveva fatto abbandonare su un tamburo le carte e i dadi. Gli altri tre stavano stappando un'enorme damigiana di vino di Collioure ed erano i servitori di quei signori. Il Cardinale, come abbiamo già detto, era di pessimo umore, e quando si trovava in simili condizioni di spirito, nulla lo irritava più dell'allegria degli altri. D'altra parte egli aveva una strana fissazione, ed era di credere invariabilmente che le cause stesse della sua tristezza eccitassero l'allegria degli estranei. Fece segno di fermarsi a La Houdinière e a Cahusac, scese da cavallo e si avvicinò a quei buontemponi sospetti, sperando che grazie alla sabbia che attutiva il suono dei suoi passi e alla siepe che nascondeva il suo approssimarsi, gli sarebbe stato possibile udire qualcosa di quella conversazione che sembrava molto interessante; soltanto a dieci passi dalla siepe riconobbe la pronuncia guascone di d'Artagnan, e poiché sapeva già che quegli uomini erano moschettieri, non dubitò che gli altri fossero coloro che venivano detti gli inseparabili: Athos, Porthos e Aramis. Il lettore immagini dunque come, per effetto di questa scoperta, aumentasse in lui il desiderio di udire quanto essi dicevano; i suoi occhi assunsero una strana espressione, e, con passi di gattopardo, egli si avvicinò alla siepe; ma non era riuscito ad afferrare che qualche parola insignificante, allorché un grido breve e sonoro lo fece trasalire e attirò l'attenzione dei moschettieri. "Ufficiali!" gridò Grimaud. "Voi parlate, se non sbaglio, buffone" disse Athos alzandosi sul gomito e affascinando Grimaud col suo sguardo fiammeggiante. Di conseguenza, Grimaud non aggiunse parola, ma si accontentò di puntare il dito in direzione della siepe, denunciando con questo gesto il Cardinale e la sua scorta. Con un balzo i quattro moschettieri furono in piedi e salutarono rispettosamente. Il Cardinale sembrava furioso. "Pare che i signori moschettieri abbiano bisogno di sentinelle!" disse. "Forse che gli Inglesi possono giungere dalla parte di terra, o è che i moschettieri si considerano ufficiali superiori?" "Monsignore" rispose Athos, perché nello spavento generale egli solo aveva conservato quella calma e quel sangue freddo da gran signore che non lo abbandonavano mai "Monsignore, quando i moschettieri non sono di servizio, o il loro servizio è finito, bevono e giuocano ai dadi e per i loro lacché sono più che ufficiali superiori." "Dei lacché" brontolò il Cardinale "che hanno la consegna di avvertire i loro padroni quando passa qualcuno, non sono dei lacché, sono delle sentinelle." "Eppure Vostra Eminenza ha potuto rendersi conto che se non avessimo presa questa precauzione, ci saremmo esposti a lasciarla passare senza presentarle i nostri doveri e senza ringraziarla per la grazia che ci ha fatta riunendoci a d'Artagnan. D'Artagnan" continuò Athos "voi che poco fa invocavate l'occasione per esprimere la vostra riconoscenza a Monsignore, ecco che vi si offre, approfittatene." Queste parole furono pronunciate con quella calma imperturbabile che distingueva Athos nei momenti pericolosi, e con quella eccessiva cortesia che in certi momenti faceva di lui un re più maestoso dei re di nascita D'Artagnan si avvicinò e balbettò poche parole di ringraziamento, che subito spirarono sotto lo sguardo incupito del Cardinale. "Non importa, signori" continuò il Cardinale che sembrava non volersi lasciar distrarre dalle sue intenzioni iniziali nonostante l'incidente sollevato da Athos "non importa, signori, non mi piace che dei semplici soldati, solo perché hanno il vantaggio di servire in un corpo scelto, facciano così i gran signori. La disciplina deve essere uguale per tutti." Athos lasciò che il Cardinale terminasse compiutamente la sua frase, e, inchinandosi in segno di assenso, rispose a sua volta: "La disciplina, Monsignore, non è stata in nessun modo, almeno lo spero, dimenticata da me e dai miei compagni. Noi non siamo di servizio e possiamo disporre del nostro tempo come meglio ci piace. Se poi fossimo così fortunati che Sua Eminenza avesse qualche ordine particolare da darci, siamo prontissimi a obbedire. Come Monsignore può vedere" continuò Athos corrugando le sopracciglia, poiché questa specie d'interrogatorio cominciava a spazientirlo "per essere pronti al minimo allarme, siamo usciti con le nostre armi." E indicò al Cardinale i quattro moschetti disposti in fascio accanto al tamburo sul quale erano le carte e i dadi. "Vostra Eminenza voglia credere" interloquì d'Artagnan "che le saremmo mossi incontro se avessimo potuto supporre che era essa che veniva verso di noi con una sì piccola scorta." Il Cardinale si mordeva i baffi e un po' le labbra. "Sapete di che avete l'aria, sempre insieme, come siete anche in questo momento, armati, e circondati dai vostri lacché vigilanti?" disse il Cardinale. "Avete l'aria di cospiratori." "Oh, quanto a questo è vero, Monsignore" disse Athos "noi cospiriamo, e Vostra Eminenza l'ha potuto constatare anche ier l'altro, ma cospiriamo contro i Rochellesi soltanto." "Oh, signori politicanti!" riprese il Cardinale, corrugando a sua volta le sopracciglia "se si potesse leggere nei vostri cervelli così come leggevate quella lettera che avete nascosto quando sono arrivato, si troverebbe forse il segreto di molte cose ignorate." Athos sentì il rosso salirgli al viso e si avvicinò di un passo a Sua Eminenza. "Si direbbe che sospettiate veramente di noi, Monsignore, e che ci facciate subire un vero interrogatorio; se così è, Vostra Eminenza si degni di parlar chiaro e noi sapremo almeno che pensare." "E se anche si trattasse di un interrogatorio?" riprese il Cardinale. "Altri ne hanno dovuto subire, signor Athos, e hanno dovuto rispondere." "Per questo, Monsignore, ho detto a Vostra Eminenza che bastava ci interrogasse e che noi eravamo pronti a rispondere." "Che lettera era quella che stavate leggendo e che avete nascosto, signor Aramis?" "Una lettera di donna, Monsignore." "Oh, lo so" disse il Cardinale "con questo genere di lettere occorre essere discreti; tuttavia, si può mostrarla a un confessore, e voi sapete che io ho ricevuti gli ordini." Monsignore" disse Athos con una calma terribile, visto che con questa risposta metteva in pericolo la propria testa, "quella lettera è di una donna ma non è firmata né Marion de Lorme, né signora d'Aiguillon{43}." Il Cardinale diventò pallido come la morte, un lampo ferino uscì dai suoi occhi, ed egli si volse come per dare un ordine a Cahusac e a La Houdinière. Athos vide il gesto e fece un passo verso i moschetti sui quali i suoi amici tenevano gli occhi fissi come uomini poco disposti a farsi arrestare. Il Cardinale non aveva che due compagni di scorta, i moschettieri coi loro lacché erano sette: egli giudicò dunque che la partita sarebbe stata tanto più ineguale in quanto Athos e i suoi compagni cospiravano realmente, e, con uno di quei rapidi mutamenti che aveva sempre a sua disposizione, lasciò che tutta la sua collera si fondesse in un sorriso. "Suvvia, suvvia!" disse "voi siete dei bravi ragazzi, orgogliosi alla luce del sole, fedeli nell'oscurità; non c'è nulla di male nel vigilare su di sé quando si vigila così bene su gli altri; signori, io non ho dimenticata la notte in cui mi serviste di scorta per andare al Colombo rosso; se ci fosse da temere qualche pericolo sulla via che devo percorrere, vi pregherei di accompagnarmi, ma pericoli non ce ne sono, restate dunque dove siete e finite le vostre bottiglie, i vostri giuochi e la vostra lettera. Addio, signori." E, rimontando sul cavallo che Cahusac gli aveva condotto, salutò con la mano e si allontanò. I quattro giovani, in piedi e immobili, lo seguirono con gli occhi senza aprir bocca finché egli non fu scomparso. Poi si guardarono. Tutti erano costernati in viso, giacché, nonostante l'amichevole saluto di Sua Eminenza, capivano che il Cardinale se ne andava con la rabbia nel cuore. Athos solo sorrideva di un sorriso possente e sdegnoso. Quando il Cardinale fu fuori di portata tanto per la vista che per la voce, Porthos, che aveva una gran voglia di riversare su qualcuno il suo malumore, esclamò: "Quel Grimaud ci ha avvisati proprio all'ultimo!" Grimaud voleva parlare per scusarsi. Athos alzò il dito e Grimaud tacque. "Aramis, avreste consegnata la lettera?" chiese d'Artagnan. "Per quanto mi riguarda ero risoluto; se il Cardinale avesse preteso la lettera" rispose Aramis con voce flautata "gliela avrei presentata con una mano, mentre con l'altra gli avrei passata la spada attraverso il corpo." "Me l'aspettavo" disse Athos "ed ecco perché mi sono gettato fra voi e lui. In verità, quell'uomo si dimostra ben imprudente parlando come parla ad altri uomini; si potrebbe pensare abbia avuto a che fare soltanto con donne e ragazzi." "Caro Athos" fece d'Artagnan "vi ammiro, seppure debba riconoscere che, tutto sommato, avevamo torto." "Come torto?" riprese Athos. "Di chi è dunque quest'aria che respiriamo? Di chi quest'oceano su cui spazia il nostro sguardo? Di chi questa sabbia su cui siamo coricati? Di chi la lettera della vostra amante? E' roba forse del Cardinale? Sul mio onore quell'uomo s'immagina che tutto il mondo sia suo; voi eravate lì, balbettante, stupefatto, annientato; si sarebbe detto che la Bastiglia si alzasse davanti a voi e che quella gigantesca medusa vi avesse cambiato in pietra. Essere innamorati è forse cospirare? Voi siete innamorato di una donna che il Cardinale ha imprigionata e volete strapparla dalle mani del Cardinale; è una partita che giocate con Sua Eminenza: questa lettera è il vostro giuoco; perché avreste dovuto mostrare il vostro giuoco al vostro avversario? questo non si usa. Che lo indovini, va bene; anche noi indoviniamo il suo!" "Sicuro, voi dite delle cose assennatissime" osservò d'Artagnan. "E allora non parliamo più di quanto è avvenuto e Aramis riprenda a leggere la lettera di sua cugina dal punto in cui il Cardinale l'ha interrotto." Aramis levò di tasca la lettera, i tre amici si strinsero intorno a lui e i tre lacché si rimisero attorno alla damigiana. "Non avevate letto che una o due righe" disse d'Artagnan "riprendiamo la lettura dal principio." "Volentieri" disse Aramis. "Mio caro cugino, credo che mi deciderò a partire per Béthune, dove mia sorella ha fatto entrare la nostra piccola domestica nel Convento delle Carmelitane; quella povera figliuola si è rassegnata; sa che non può vivere in nessun altro luogo senza che la salute dell'anima sua sia in pericolo. Però, se, come speriamo, riusciremo a mettere in ordine gli affari della nostra famiglia, credo ch'ella affronterà il pericolo di dannarsi tornando vicina a coloro che rimpiange, tanto più che non ignora d'essere sempre ricordata. Frattanto non è troppo infelice; non desidera che una lettera del suo innamorato. So bene che questo genere di derrate non passa facilmente attraverso le inferriate; ma, in fin dei conti come vi ho dimostrato, mio caro cugino, io non sono troppo maldestra, e m'incaricherò di questa commissione. Mia sorella vi ringrazia del vostro gentile e costante ricordo. Ella ebbe un attimo di grande inquietudine; ma ora è abbastanza tranquilla poiché ha potuto mandare laggiù un suo incaricato per essere certa che nulla avvenga d'imprevisto. Addio, caro cugino, dateci vostre notizie più spesso che potrete, vale a dire tutte le volte che lo potrete fare senza correre pericoli. Vi abbraccio Maria Michon" "Oh, quanto vi devo, mio caro Aramis!" esclamò d'Artagnan. "Cara Costanza! ho finalmente sue notizie; essa vive, è al sicuro in un convento, si trova a Béthune! Dove è Béthune, Athos?" "Sulla frontiera dell'Artois e della Fiandra; finito l'assedio potremo andare a fare un giro da quelle parti." "E le cose non potranno andare per le lunghe, c'è da sperarlo" disse Porthos "stamane hanno impiccato una spia la quale ha dichiarato che i Rochellesi erano ridotti a mangiare il cuoio delle scarpe. Supponendo che dopo aver mangiato il cuoio, mangino la suola, non so indovinare che cosa possa restar loro dopo, a meno che non si mangino fra loro." "Poveri sciocchi!" esclamò Athos vuotando un bicchiere di eccellente vino di Bordeaux che, pur non avendo allora la riputazione di cui gode oggigiorno, la meritava ugualmente "poveri sciocchi! Come se la religione cattolica non fosse la più utile e la più piacevole delle religioni! Eppure" riprese dopo aver fatto schioccare la lingua contro il palato "sono brava gente! Ma che diavolo fate, Aramis? Mettete quella lettera in tasca?" "Athos ha ragione" disse d'Artagnan "bisogna bruciarla e chi sa se il Cardinale non conosce il segreto per leggere anche nella cenere." "Deve conoscerlo" affermò Athos. "Che cosa volete fare di quella lettera, allora?" domandò Porthos. "Grimaud, venite qui" ordinò Athos. Grimaud si alzò e obbedì. "Per punirvi di aver parlato senza il mio permesso, amico mio, voi mangerete questo pezzo di carta; poi, per ricompensarvi del servizio che ci avrete reso, berrete questo bicchiere di vino; ecco la lettera per cominciare, masticate con energia." Grimaud sorrise, e con gli occhi fissi sul bicchiere che Athos aveva riempito fino all'orlo, masticò la carta e l'inghiottì. "Bravo, mastro Grimaud!" esclamò Athos. "Ed ora prendete questo. Bene, vi dispenso dal ringraziare." Grimaud tracannò in silenzio il bicchiere di vino di Bordeaux, ma i suoi occhi levati al cielo durante tutto il tempo che durò questa dolce occupazione, parlarono un linguaggio che, per quanto muto, non era meno espressivo. "Ed ora" disse Athos "a meno che il Cardinale non abbia l'ingegnosa idea di far aprire il ventre a Grimaud, credo che si ossa essere quasi tranquilli." Nel frattempo, Sua Eminenza continuava la sua malinconica passeggiata, brontolando fra i baffi: "Bisogna assolutamente che quei quattro uomini divengano miei!"

 

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