CAPITOLO XLVIII - AFFARI DI FAMIGLIA

 

 

Era stato Athos a trovare la frase: affari di famiglia. Il Cardinale non poteva investigare su un affare di famiglia; un affare di famiglia non interessava nessuno; si poteva parlare davanti a tutti d'un affare di famiglia. Così Athos aveva trovato la frase: affare di famiglia. Aramis aveva avuto l'idea: i servi. Porthos aveva trovato il modo: il diamante. Il solo d'Artagnan, che generalmente era quello che aveva più fantasia di tutti, non era riuscito a trovare niente; però bisogna dire a sua discolpa che il solo nome di Milady lo paralizzava. Ma c'inganniamo, anch'egli aveva trovato qualcosa: aveva trovato il compratore del diamante. La colazione del signor di Tréville fu d'una gaiezza deliziosa. D'Artagnan aveva già la nuova uniforme. Gliel'aveva ceduta Aramis, il quale, lautamente pagato, come il lettore ricorderà, dal libraio che aveva acquistato il suo poema, aveva fatto fare tutto doppio. Ciò lo aveva posto in grado di cedere all'amico l'equipaggiamento completo. D'Artagnan sarebbe stato al colmo della gioia se non avesse visto spuntare sul suo orizzonte Milady come una nera nube. Dopo colazione, gli amici stabilirono di ritrovarsi tutti alla sera nell'alloggio di Athos per prendere gli ultimi accordi. D'Artagnan trascorse la giornata a passeggiare in tutte le strade del campo per far mostra del suo abito da moschettiere. La sera, all'ora stabilita, i quattro amici erano riuniti; ormai non dovevano decidere che su tre cose: che cosa si sarebbe scritto al cognato di Milady; che cosa si sarebbe scritto alla persona "molto abile" di Tours; quali tra i servi sarebbero stati scelti per portare le lettere. Ciascuno offriva il proprio. Athos lodava la discrezione di Grimaud, che non parlava se non quando il padrone gli scuciva la bocca; Porthos vantava la forza di Mousqueton, ch'era capace di malmenare quattro uomini di complessione ordinaria; Aramis, confidando nella furberia di Bazin, faceva un pomposo elogio del suo candidato; d'Artagnan fidava ciecamente nel coraggio di Planchet e ricordava come si fosse condotto bene nella spinosa faccenda di Boulogne. Queste quattro virtù si disputarono lungamente il premio e furono oggetto di magnifici discorsi che non ripeteremo per tema di allungare il nostro racconto. "Disgraziatamente" disse Athos "sarebbe necessario che colui del quale ci serviremo possedesse tutte queste qualità riunite." "Ma dove vuoi trovare un simile servitore?" "E' introvabile" sentenziò Athos "lo so bene. Scegliete dunque Grimaud." "Prendete Mousqueton." "Prendete Bazin." "Prendete Planchet. Planchet è furbo e coraggioso, sono già due qualità su quattro." "Signore" disse Aramis "la cosa più importante non è sapere quale dei nostri lacché è più discreto, più forte, più furbo o più coraggioso; la cosa più importante è sapere quale dei quattro ama maggiormente il denaro." "Quel che dice Aramis è pieno di buonsenso" riprese Athos "bisogna speculare sui difetti delle persone e non sulle loro virtù; signor abate, voi siete un grande moralista!" "Certamente" rispose Aramis "perché noi abbiamo bisogno di essere ben serviti non soltanto per riuscire, ma anche per evitare di non riuscire, giacché, in caso d'insuccesso, ne va della testa; e non parlo per il lacché…" "Più piano, Aramis" disse Athos. "E' giusto, non parlo per il lacché" riprese Aramis "ma per il padrone, anzi per i padroni! Ci amano i nostri servitori al punto di arrischiare la vita per noi? No." "Eppure, in fede mia, per Planchet darei quasi una risposta affermativa" disse d'Artagnan. "Ebbene, mio caro amico, aggiungete alla sua naturale fedeltà una buona somma che la renda più agevole, allora potrete rinunciare a quel quasi." "Eh, mio Dio, sarete ingannati lo stesso" disse Athos che era ottimista quando si trattava di cose, e pessimista quando si trattava di uomini. "Essi prometteranno tutto per avere il denaro e in strada la paura impedirà loro di agire. Una volta presi, saranno messi alle strette, e quando siano messi alle strette, confesseranno. Diavolo, non siamo dei ragazzi! Per andare in Inghilterra (Athos smorzò la voce) bisogna attraversare tutta la Francia ove sono disseminate le spie e le creature del Cardinale; per imbarcarsi è necessario un passaporto; per girare Londra è necessario sapere l'inglese. Tutto ciò rende la cosa molto difficile." "Niente affatto" rispose d'Artagnan il quale desiderava molto che la cosa si facesse "per me la faccenda è facilissima. Certamente che se scrivessimo a lord Winter delle enormità, se vituperassimo il Cardinale…" "Più piano" raccomandò Athos. "…se parlassimo di intrighi, di segreti di Stato" continuò d'Artagnan conformandosi alla raccomandazione "non c'è dubbio che saremmo arrotati vivi; ma, per Dio, non dimenticate che, come avete detto, noi gli scriviamo per affari di famiglia; che gli scriviamo col solito scopo di mettere Milady, dal momento del suo arrivo a Londra, nell'impossibilità di nuocerci. Gli dirò dunque, pressappoco, così…" "Sentiamo" disse Aramis assumendo in anticipo un atteggiamento critico. "Signore e amico mio caro…" "Ah! sì" interruppe Athos. "Cominciate bene! Bravo d'Artagnan! "Amico mio caro" a un Inglese! Basterebbe questa sola parola per essere squartato anziché arrotato vivo." "Ebbene, metteremo, dunque, semplicemente signore." "Potete mettere anche milord" ribatté Athos che teneva assai alle convenienze. "Milord, vi ricordate del piccolo recinto per le capre del Lussemburgo?" "Bene! Ora il Lussemburgo! Si crederà che sia un'allusione alla Regina madre! Questa è ben trovata!" disse Athos. "Allora metteremo semplicemente così: "Milord, vi ricordate di un certo piccolo recinto dove vi fu salvata la vita?". "Mio caro d'Artagnan" disse Athos "voi non sarete che un pessimo redattore. "Dove vi fu salvata la vita!" Evvia! Ciò non è dignitoso. Non si ricordano certi favori a un galantuomo. Piacere ricordato, offesa fatta." "Ah, mio caro! voi siete insopportabile!" esclamò d'Artagnan "e se debbo scrivere sotto la vostra censura, in fede mia, ci rinuncio!" "E fate bene. Adoperate la spada e il moschetto, ve la cavate bene in entrambi gli esercizi, ma passata la penna all'abate, è affar suo." "Infatti è meglio che passiate la penna ad Aramis" disse Porthos "che scrive le tesi in latino!" "Ebbene, sia!" disse d'Artagnan "scriveteci questa lettera, Aramis; ma, per il nostro Santo Padre il Papa!, fate del vostro meglio, perché ora sarò io a spulciarvi, ve ne prevengo." "Non domando di meglio" disse Aramis con l'ingenua fiducia che ha in sé ogni poeta "ma desidero esser messo bene al corrente; ho pur sentito dire qua e là che questa cognata era una briccona e ne ho anzi avuto la prova ascoltando la sua conversazione col Cardinale…" "Più piano, per Dio!" disse Athos. "Ma" continuò Aramis "i particolari mi sfuggono." "Anche a me" affermò Porthos. D'Artagnan e Athos si guardarono per un po' in silenzio; infine Athos, dopo un attimo di raccoglimento, e diventando più pallido del solito, fece un cenno d'assenso; d'Artagnan capì che poteva parlare. "Ebbene, ecco ciò che c'è da dire: 'Milord, vostra cognata è una scellerata che ha cercato di farvi uccidere per ereditare le vostre sostanze. Ella però non poteva sposare vostro fratello perché aveva già un marito in Francia e perché era stata…'." D'Artagnan tacque come se cercasse le parole senza perdere di vista Athos. "Scacciata dal marito" disse Athos. "Perché recava sulla spalla un marchio infame" continuò d'Artagnan. "No, non è possibile" esclamò Porthos. "Ha voluto far uccidere suo cognato?" "Sì." "Era maritata?" domandò Aramis. "Sì." "E suo marito si accorse che aveva un fiordaliso sulla spalla?" esclamò Porthos. "Sì." Athos aveva pronunciato quei tre sì con un'intonazione sempre più cupa. "E chi ha visto questo fiordaliso?" domandò Aramis. "D'Artagnan e io, o, per essere fedeli all'ordine cronologico, io e d'Artagnan" rispose Athos. "E il marito di questa spaventosa creatura, vive ancora?" domandò Aramis. "Vive." "Ne siete sicuro?" "Ne sono sicuro." Vi fu un attimo di freddo silenzio durante il quale ognuno si sentì impressionato secondo la propria indole. "Questa volta" riprese Athos interrompendo per primo il silenzio "d'Artagnan ci ha tracciato un eccellente programma, ed è questo che dobbiamo scrivere per cominciare." "Diavolo! avete ragione, Athos" riprese Aramis. "Credo che anche il Cancelliere sarebbe imbarazzato a scrivere una missiva di questo tenore, tuttavia il Cancelliere redige assai gradevolmente un processo verbale. Non importa, state zitti, io scrivo." Aramis prese infatti la penna, rifletté per qualche minuto, si mise a scrivere otto o dieci righe con un'elegante scrittura femminea; poi, con voce dolce e lenta, come se ogni parola fosse stata scrupolosamente pesata, lesse quanto segue:"Milord, colui che vi scrive queste poche righe ebbe l'onore d'incrociare la spada con voi in un piccolo recinto di via dell'Inferno. Siccome, in seguito, molte volte vi siete protestato amico di questa persona, essa deve, in riconoscenza della vostra amicizia, darvi un utile avvertimento. Per due volte voi avete corso il pericolo d'esser la vittima di una vostra prossima parente che ritenete vostra erede perché ignorate che, prima di contrarre matrimonio in Inghilterra, era già maritata in Francia. Ma questa volta, che è la terza, potreste soccombere. La vostra parente è partita da La Rochelle per l'Inghilterra questa notte. Sorvegliate il suo arrivo, perché ha dei progetti terribili. Se volete assolutamente sapere quello di cui è capace, leggete la storia del suo passato sulla sua spalla sinistra." "In fede mia, va benissimo" disse Athos "e voi avete una penna da segretario di Stato, mio caro Aramis. Ora possiamo star sicuri che lord Winter farà buona guardia; se, tuttavia, l'avvertimento gli arriva, e quand'anche esso cadesse nelle mani di Sua Eminenza, noi non potremmo essere compromessi. Siccome però il servo che partirà potrebbe farci credere che è stato a Londra e fermarsi invece a Chatellerault, non gli daremo che la metà della somma stabilita; promettendogli l'altra metà in cambio della risposta. Avete il diamante, d'Artagnan?" "Ho di meglio; ho il denaro." D'Artagnan gettò il sacchetto sul tavolo; al suono dell'oro, Aramis alzò gli occhi, Porthos trasalì, ma Athos restò impassibile. "Quanto c'è in quel sacchetto?" domandò. "Settemila lire in luigi di dodici franchi." "Settemila lire!" esclamò Porthos "quel brutto piccolo diamante valeva settemila lire?" "Pare" disse Athos "poiché eccole qui, e non credo che d'Artagnan abbia aggiunto qualcosa del suo." "Ma, signori" disse d'Artagnan "in tutto ciò noi non abbiamo ancora pensato alla Regina. Curiamo un poco la salute del suo caro Buckingham. E' il meno che possiamo fare per lei." "E' giusto" disse Athos "ma questo riguarda Aramis." "Ebbene" rispose questi arrossendo, "che cosa debbo fare?" "E' semplicissimo" fece Athos "redigere una seconda lettera per quella persona, molto accorta, che abita a Tours." Aramis prese la penna, si mise a riflettere di nuovo e scrisse le righe seguenti che sottopose immediatamente all'approvazione dei suoi amici: "Mia cara cugina…" "Ah!" esclamò Athos "questa accorta persona è una vostra parente." "Cugina germana" affermò Aramis. "E vada per la cugina!" Aramis continuò: "Mia cara cugina, Sua Eminenza il Cardinale, che Dio preservi sempre per il bene della Francia e per la dispersione dei nemici del regno, è sul punto di farla finita con gli eretici ribelli di La Rochelle: è probabile che la flotta inglese di soccorso non giunga neppure in vista della piazza; starei anzi per affermare che il duca di Buckingham non potrà partire perché qualche straordinario avvenimento glielo impedirà. Sua Eminenza è il più illustre uomo politico dei tempi passati, dei tempi presenti e, probabilmente, dei tempi futuri. Egli spegnerebbe il sole, se il sole gli desse noia. Date queste buone notizie a vostra sorella, mia cara cugina. Ho sognato che quel maledetto Inglese era morto;ma non so ricordarmi se di ferro o di veleno; ciò di cui sono ben certo è che ho sognato ch'era morto e voi sapete che i miei sogni non mi ingannano mai. State dunque sicura di vedermi tornare ben presto." "A meraviglia!" esclamò Athos. "Voi siete il re dei poeti, mio caro Aramis, voi parlate come l'Apocalisse e siete vero come il Vangelo. Ora non manca che l'indirizzo sulla lettera." Piegò graziosamente la lettera, la ripose e scrisse: "Alla signorina Maria Michon, cucitrice in bianco. Tours." I tre amici si guardarono ridendo: erano mistificati? "E ora" disse Aramis "voi capirete, signori, come solo Bazin possa portare a Tours questa lettera; mia cugina non si fida che di lui; chiunque altro rischierebbe di compromettere tutto. Inoltre, Bazin è ambizioso e colto; Bazin ha letto la storia e sa che Sisto Quinto è stato eletto papa dopo aver pascolato i porci; ebbene, poiché si ripromette di entrare nella chiesa insieme con me, così non dispera di poter diventare Papa o per lo meno Cardinale: capirete quindi che un uomo che ha simili aspirazioni, non si farà prendere o, preso, subirà il martirio piuttosto che parlare." "Bene, bene" disse d'Artagnan "io vi concedo Bazin con tutto il cuore, ma voi concedetemi Planchet; Milady una volta lo fece mettere alla porta dopo averlo fatto bastonare; ora, Planchet ha buona memoria e vi assicuro che se ha in prospettiva una possibile vendetta, si farà rompere il filo della schiena piuttosto che rinunciarvi. Se la questione di Tours è una vostra questione particolare, caro Aramis, quella di Londra mi appartiene. Venga scelto Planchet, il quale d'altra parte è già stato a Londra con me e sa dire correttamente: 'London, sir, if you please' e 'my master lord d'Artagnan'; e con questo, state tranquilli, farà la sua strada all'andata e al ritorno." "In questo caso" disse Athos "converrà dare a Planchet settecento lire per andare e settecento per tornare, e a Bazin trecento per andare e trecento per tornare; ci rimarranno quindi cinquemila lire, delle quali prenderemo mille lire per ciascuno da spendere come ci piacerà; resterà un fondo di mille lire che sarà tenuto in serbo dal signor abate per i casi straordinari o per i bisogni comuni. Questo vi va?" "Caro Athos" disse Aramis "voi parlate come Nestore che, come tutti sanno, era il più saggio dei Greci." "Ebbene" continuò Athos "è deciso, Planchet e Bazin partiranno; confesso che non mi dispiace di conservare Grimaud: egli è abituato al mio modo di fare, e ci tengo; gli avvenimenti di ieri lo hanno un po' scosso, il viaggio lo finirebbe." Fu fatto venire Planchet al quale vennero date le necessarie istruzioni: egli era già stato avvertito da d'Artagnan che, di prim'acchito, gli aveva annunciata la gloria, poi il denaro, infine il pericolo. "Nasconderò la lettera nella fodera dell'abito" disse Planchet "e se fossi preso, la inghiottirò." "Ma allora tu non potrai più fare la commissione" disse d'Artagnan. "Me ne darete una copia che domani saprò a memoria." D'Artagnan guardò i suoi amici come per dire: "Ebbene, che cosa vi avevo promesso?". "E ora" continuò rivolto a Planchet "tu hai otto giorni per arrivare da lord Winter e altri otto per ritornare: sedici giorni in tutto; se alle otto di sera del sedicesimo giorno da quello della tua partenza non sei tornato, niente denaro, fossero anche soltanto cinque minuti." "Allora, signore" disse Planchet "compratemi un orologio." "Prendi questo" disse Athos dandogli il suo con generosa noncuranza "e comportati bene. Pensa che se parli, se chiacchieri, se perdi tempo, puoi far tagliare il collo al tuo padrone, che ha una così grande fiducia nella tua fedeltà e si è fatto garante per te. Ma ricordati anche che, se per tua colpa, capitasse a d'Artagnan qualche disgrazia, saprò trovarti dovunque e sarà per aprirti la pancia." "Sì, signore!" disse Planchet umiliato dal sospetto e soprattutto spaventato dalla calma del moschettiere. "E io" disse Porthos facendo girare i suoi grossi occhi "ti scorticherò vivo." "Ah, signore!" "E io" continuò Aramis con voce dolce e melodiosa "ti brucerò a fuoco lento come un selvaggio." "Ah, signore!" E Planchet si mise a piangere; non oseremmo dire se fosse di terrore, a causa delle minacce fattegli, o per la commozione di vedere quattro amici così strettamente uniti. D'Artagnan gli prese la mano e lo abbracciò. "Vedi, Planchet" gli disse "questi signori ti dicono tutto ciò per affetto verso di me, ma in fondo ti vogliono bene." "Ah, signore" disse Planchet "o riuscirò o mi taglieranno in quattro pezzi; ma quand'anche mi si tagliasse in quattro pezzi, state sicuro che non uno di essi parlerà." Fu stabilito che Planchet sarebbe partito la mattina seguente alle otto, affinché nella notte gli fosse possibile, come aveva promesso, imparare la lettera a memoria. In questo modo egli guadagnava dodici ore giuste, poiché doveva essere di ritorno alle otto di sera del sedicesimo giorno. La mattina, nel momento in cui stava per montare a cavallo, d'Artagnan, che si sentiva in fondo al cuore un debole per il duca, prese Planchet a parte e gli disse: "Senti, dopo che avrai consegnato la lettera a lord Winter, e dopo che egli l'avrà letta, gli dirai queste parole: "Vegliate sopra Sua Grazia il duca di Buckingham, perché c'è chi vuole assassinarlo". Ma, vedi, Planchet, questa è una cosa così grave e di tanta importanza che non ho neppur voluto confessare ai miei amici che ti avrei confidato il segreto, e che neppure per un diploma di capitano vorrei scriverla." "State tranquillo, signore" rispose Planchet "vedrete se si può contare su me." E, salito sopra un eccellente cavallo che doveva lasciare a venti leghe di lì per prendere la posta, Planchet partì al galoppo, col cuore un poco oppresso per la triplice promessa fattagli dai moschettieri, ma per il resto nelle migliori disposizioni del mondo. Bazin partì la mattina seguente per Tours ed ebbe otto giorni di tempo per fare la sua commissione. I quattro amici, durante tutta l'assenza dei due servi, stettero, com'è facile intendere, più che mai con gli occhi e gli orecchi attenti. Le loro giornate passavano nel tentativo di sorprendere ciò che si diceva, a spiare il viso e i gesti del Cardinale, a sorvegliare i corrieri che arrivavano. Più di una volta furono presi da un tremito invincibile, allorché avveniva che fossero chiamati per qualche servizio inatteso. Dovevano d'altronde salvaguardare la propria sicurezza; Milady era un fantasma che quando era apparso una volta ad una persona, non la lasciava più dormire tranquillamente. La mattina dell'ottavo giorno, Bazin, fresco come sempre e sorridente secondo il solito, entrò nell'osteria del Parpaillot, mentre i quattro amici stavano facendo colazione, dicendo, come era stato stabilito, queste sole parole: "Signor Aramis, ecco la risposta di vostra cugina." I quattro amici scambiarono un'occhiata felice; la metà del lavoro era compiuta; è vero che si trattava della più corta e della più facile… Aramis, arrossendo suo malgrado, prese la lettera che era scritta con una calligrafia grossolana e senza ortografia. "Buon Dio!" esclamò ridendo "decisamente ci rinuncio; questa povera Michon non riuscirà mai a scrivere come Voiture." "Che cosa folere tire questa pofera Migion?" chiese lo svizzero che stava chiacchierando coi quattro amici quando arrivò Bazin. "Oh, Dio mio, è una piccola cucitrice in bianco, molto graziosa, alla quale volevo molto bene e che mi ha inviato qualche riga di sua mano perché mi ricordi di lei." "Pertìo!" disse lo svizzero "se lei essere tanta cran tama come essere pella sua scrittura, foi afere fortuna, camarate!" Aramis lesse e passò la lettera ad Athos dicendogli: "Guardate che cosa scrive, Athos." Athos scorse con l'occhio la lettera e, per far svanire tutti i sospetti che avrebbero potuto nascere, lesse ad alta voce: "Cugino mio, io e mia sorella sappiamo benissimo spiegare i sogni e ne abbiamo anzi una terribile paura; ma spero che del vostro si possa dire che ogni sogno è menzognero. Addio! State bene e dateci di tanto in tanto vostre notizie. Maria Michon". "E di che sogno parla?" chiese il dragone che si era avvicinato durante la lettura. "E fero, ti quale sogno?" "Perdio!" rispose Aramis "di un sogno che ho fatto e che le ho raccontato." "E fero, pertìo; essere naturale raccontare suoi sogni, ma io, non sognare mai!" "Fortunato voi, vorrei poter dire altrettanto" disse Athos alzandosi. "Ciammai! Ciammai!" confermò lo svizzero ben felice che un uomo come Athos gli invidiasse qualcosa. D'Artagnan, vedendo che Athos si era alzato, fece altrettanto, lo prese sottobraccio e uscì. Porthos e Aramis rimasero per tener testa alle facezie dello svizzero e del dragone. Bazin invece andò a dormire su un mucchio di paglia e, siccome aveva più immaginazione dello svizzero, sognò che Aramis, diventato Papa, gli imponeva il cappello cardinalizio. Ma, come s'è detto, col suo fortunato ritorno, Bazin non aveva distrutto che una parte delle inquietudini che tormentavano i quattro amici. I giorni dell'attesa sono lunghi, e d'Artagnan più degli altri avrebbe giurato che i giorni erano diventati di quarantotto ore. Egli dimenticava le lentezze obbligate della navigazione ed esagerava a se stesso la potenza di Milady. Egli attribuiva a quella donna, che gli pareva un demonio, ausiliari soprannaturali; a ogni piccolo rumore immaginava che venissero per arrestarlo e che riconducessero Planchet per metterlo a confronto con lui. Per soprammercato, la fiducia, in altri tempi sì grande, verso il bravo Piccardo, diminuiva di giorno in giorno e la sua inquietudine era tale che si comunicava a Porthos e ad Aramis. Non c'era che Athos che continuasse ad essere impassibile, come se nessun pericolo si aggirasse intorno a lui ed egli respirasse nella sua atmosfera naturale. Il sedicesimo giorno soprattutto questi segni di agitazione divennero così visibili in d'Artagnan e nei suoi amici che essi non potevano star più fermi e vagavano come ombre in pena sulla strada dalla quale doveva tornare Planchet. "Voi non siete uomini, siete ragazzi" diceva loro Athos "E' possibile che una donna vi faccia tanta paura? E di che si tratta, dopo tutto? Di essere imprigionati? Ma vedrete che qualcuno ci farà uscire di prigione; la signora Bonacieux! Di essere decapitati? Ma ogni giorno, in trincea, ci esponiamo allegramente a qualcosa di peggio, perché una palla può romperci una gamba e io son convinto che un chirurgo ci farebbe più soffrire tagliandoci una coscia che il boia tagliandoci la testa. Aspettate dunque tranquillamente; fra due ore, fra quattro, fra sei al più tardi, Planchet sarà qui: ha promesso di esserci e io ho molta fiducia nelle promesse di Planchet che mi ha l'aria di essere un bravo ragazzo." "Ma se non arriva?" domandò d'Artagnan. "Ebbene, se non arriva vuol dire che qualche cosa gli ha fatto far tardi, ecco tutto. Può esser caduto da cavallo, può essere rotolato giù da un ponte, può aver corso tanto da buscarsi una polmonite. Eh, signori, teniamo conto anche delle circostanze contrarie. La vita è un rosario di piccole miserie che il filosofo sgrana ridendo. Siate filosofi come me, signori; mettetevi a tavola e beviamo; nulla aiuta a vedere la vita in rosa quanto guardarla attraverso un buon bicchiere di chambertin." "Benissimo, ma io sono stanco di aspettare e di bere col timore che il vino esca dalle cantine di Milady" disse d'Artagnan. "Siete ben difficile" disse Athos. "Una donna così bella!" "Una donna di marca!" esclamò Porthos ridendo sgangheratamente. Athos trasalì, si passò una mano sulla fronte per tergere il sudore e si alzò con una mossa nervosa che non poté reprimere. Il giorno passò, e la sera venne più lentamente del solito, ma, alla fine, venne; le osterie si riempirono di soldati; Athos, che aveva intascato la sua parte del diamante, non lasciava più il Parpaillot. Aveva trovato nel signor di Busigny, che d'altronde aveva dato loro un magnifico pranzo, un compagno degno di lui. Essi stavano giocando assieme secondo il solito, quando sonarono le sette; si udirono passare le pattuglie che andavano a rafforzare i posti; alle sette e mezzo suonò la ritirata. "Siamo perduti!" disse d'Artagnan all'orecchio di Athos. "Volete dire che abbiamo perduto" disse tranquillamente Athos, togliendo dalla tasca quattro pistole e gettandole sul tavolo. "Signori" continuò "suona la ritirata, andiamo a letto." E Athos uscì dall'osteria seguito da d'Artagnan. Aramis veniva dietro dando il braccio a Porthos. Aramis borbottava dei versi e Porthos si strappava di tanto in tanto qualche pelo dai baffi in segno di disperazione. Ma ecco che, improvvisamente, nell'oscurità, un'ombra si delinea, la cui forma è familiare a d'Artagnan, e una voce ben conosciuta dice: "Signore, vi porto il mantello perché fa fresco, questa sera." "Planchet!" esclamò d'Artagnan ebbro di gioia. "Planchet!" ripeterono Porthos e Aramis. "Ebbene, sì, Planchet" disse Athos. "Che ci trovate di strano? Aveva promesso di tornare alle otto, e le otto suonano ora. Bravo, Planchet, voi siete un ragazzo di parola. avrò sempre un posto per voi." "Oh, no, mai" disse Planchet "io non lascerò mai il signor d'Artagnan." Nello stesso tempo d'Artagnan sentì che Planchet gli faceva scivolare in mano un biglietto. D'Artagnan aveva una gran voglia di abbracciare Planchet al ritorno come lo aveva abbracciato alla partenza, ma temette che questo segno di effusione, dato al suo servo in mezzo alla strada, potesse sembrare straordinario a qualche passante, e si contenne. "Ho la lettera" sussurrò ai suoi amici. "Va bene, andiamo a casa e leggiamola" disse Athos. Il biglietto bruciava la mano di d'Artagnan; egli voleva affrettare il passo, ma Athos gli prese il braccio e lo posò sotto il suo, per cui il giovanotto fu costretto a regolare la sua andatura su quella dell'amico. Finalmente entrarono sotto la tenda, accesero una lampada e, mentre Planchet stava sulla porta a far da sentinella, d'Artagnan, con mano tremante, ruppe il sigillo e aprì la lettera tanto attesa. Essa conteneva soltanto mezza riga di una scrittura del tutto britannica e di una concisione assolutamente spartana. "Thank you, be easy". Il che voleva dire: "Grazie. State tranquillo". Athos prese la lettera dalle mani di d'Artagnan, l'avvicinò alla lampada, le diede fuoco e non la lasciò finché non fu ridotta in cenere. Poi, chiamato Planchet: "Ora, ragazzo mio" gli disse "puoi esigere le tue settecento lire, ma non rischiavi granché con un biglietto come questo." "E io che ho escogitato tanti mezzi per nasconderlo!" rispose Planchet. "Ebbene" disse d'Artagnan "raccontaci un po'." "E' una storia lunga, signore." "Planchet ha ragione" disse Athos. "D'altronde la ritirata è suonata e noi saremmo notati se tenessimo più a lungo il lume acceso sotto la tenda." "Ebbene, andiamo a letto" disse d'Artagnan. "Dormi bene, Planchet." "In fede mia, signore, sarà la prima volta in sedici giorni." "Anche per me!" disse d'Artagnan. "Anche per me!" ripeté Porthos. "Anche per me!" fece eco Aramis. "Ebbene, volete che vi confessi la verità? Anche per me! Esclamò Athos.

 

 

 

 

 

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