CAPITOLO XLI - L'ASSEDIO DI LA ROCHELLE

 

 

L'assedio di La Rochelle fu uno dei grandi avvenimenti politici del regno di Luigi Tredicesimo e una delle grandi imprese militari del Cardinale. E' dunque interessante, anzi necessario, dirne qualche cosa, tanto più che molti episodi di questo assedio si collegano talmente alla storia che stiamo raccontando che non è possibile passarli sotto silenzio. I progetti politici del Cardinale quando intraprese questo assedio erano notevoli. Diciamo subito quali fossero; dopo di che parleremo dei suoi progetti particolari, che forse ebbero minore influenza sull'animo di Sua Eminenza. Delle importanti città che Enrico Quarto aveva assegnato agli Ugonotti come piazze di sicurezza, non restava più che La Rochelle. Si trattava dunque di distruggere quest'ultimo baluardo del calvinismo, lievito pericoloso, al quale si mischiavano continuamente fermenti di rivolta civile o di guerre con lo straniero. Spagnoli, Inglesi, Italiani scontenti, avventurieri di tutte le nazioni, soldati di ventura di tutte le sette, accorrevano al primo richiamo sotto le bandiere dei protestanti e si organizzavano come una vasta associazione i cui rami divergevano comodamente su tutti i punti d'Europa. La Rochelle, che aveva assunto una nuova importanza per effetto della rovina delle altre città calviniste, era dunque il focolare di ogni opposizione e di ogni ambizione. C'era di più: il porto era l'ultimo del regno di Francia ancora aperto agli Inglesi. Chiudendolo all'Inghilterra, nostra eterna nemica, il Cardinale compiva l'opera di Giovanna d'Arco e del duca di Guisa. Così Bassompierre, che era insieme protestante e cattolico, protestante per convinzione e cattolico in qualità di Commendatore dello Spirito Santo; Bassompierre che era tedesco di nascita e francese di sentimento; Bassompierre, infine, che aveva un comando particolare all'assedio di La Rochelle, caricando alla testa di molti signori, protestanti come lui, diceva: "Vedrete, signori, che saremo così idioti da prendere La Rochelle!" E Bassompierre aveva ragione; il cannoneggiamento dell'isola di Ré gli annunciava le dragonnades{32} delle Cévennes: la presa di La Rochelle era la prefazione della revoca dell'editto di Nantes{33}. Ma, come abbiamo detto, accanto a queste grandi vedute del ministro livellatore e semplificatore, che appartengono alla storia, il cronista è costretto ad affiancare le piccole mire dell'innamorato e del rivale geloso. Richelieu, come ognun sa, era stato innamorato della Regina; noi non potremmo dire se questo amore avesse in lui uno scopo politico o se fosse semplicemente una di quelle profonde passioni che suscitava Anna d'Austria in coloro che l'avvicinavano; ma, in ogni caso, noi abbiamo visto, grazie agli sviluppi anteriori di questa storia, che Buckingham aveva avuto il sopravvento su di lui, e che in due o tre circostanze. specialmente in quella dei fermagli, grazie alla fedeltà dei tre moschettieri e al coraggio di d'Artagnan, egli lo aveva crudelmente mistificato. Per Richelieu si trattava dunque, non soltanto di liberare la Francia da un nemico, ma di vendicarsi di un rivale; d'altra parte, la vendetta doveva essere grande e clamorosa, degna in tutto di un uomo che tiene in pugno, come spada di combattimento, le forze di tutto un regno. Richelieu sapeva che combattendo l'Inghilterra, combatteva Buckingham, che trionfando dell'Inghilterra, avrebbe trionfato di Buckingham; e che, infine, umiliando l'Inghilterra agli occhi dell'Europa, avrebbe umiliato Buckingham agli occhi della Regina. Da parte sua, Buckingham anche parlando solamente dell'onore dell'Inghilterra, era mosso da interessi assolutamente simili a quelli del Cardinale; anche Buckingham perseguiva una vendetta personale; poiché con nessun pretesto era riuscito a rientrare in Francia come ambasciatore, egli voleva tornarvi come conquistatore. Ne risulta quindi che la vera posta di questa partita, che i due regni più potenti d'Europa giocavano per capriccio di due uomini innamorati, era un semplice sguardo di Anna d'Austria. Il primo vantaggio era stato per il duca di Buckingham; arrivato improvvisamente con novanta navi e circa ventimila uomini in vista dell'isola di Ré, aveva preso di sorpresa il conte di Toiras che comandava per il Re nell'isola, e, dopo un combattimento sanguinoso, aveva operato lo sbarco. Diciamo, incidentalmente, che nel combattimento era perito il barone di Chantal che lasciava orfana una figlioletta di diciotto mesi. Questa bimba divenne più tardi la signora di Sévigné{34}. Il conte di Toiras si ritirò con la sua guarnigione nella cittadella di San Martino e lasciò un centinaio d'uomini in un piccolo forte che si chiamava forte della Prée. Questo episodio aveva affrettato le decisioni del Cardinale: e in attesa che il Re ed egli stesso potessero assumere il comando dell'assedio di La Rochelle, ormai deciso, egli aveva fatto partire Monsieur per dirigere le prime operazioni e aveva fatto affluire verso il teatro della guerra tutte le truppe di cui poteva disporre. Il nostro amico d'Artagnan faceva parte di uno di questi distaccamenti d'avanguardia. Come abbiamo detto, il Re doveva seguirli non appena avesse tenuto il letto di giustizia; ma, levandosi da questo letto di giustizia, il 23 di giugno, si era sentito preso dalla febbre, tuttavia aveva voluto partire ugualmente, ma il suo stato, peggiorando, lo aveva costretto a fermarsi a Villeroi. Ora, dove si fermava il Re, si fermavano i moschettieri, dimodoché d'Artagnan, che era puramente e semplicemente nelle guardie, si trovò separato, almeno momentaneamente, dai suoi più cari amici Athos, Porthos e Aramis; questa separazione, che non era se non una contrarietà, si sarebbe cambiata in una seria preoccupazione se avesse potuto supporre da quali pericoli sconosciuti era circondato. Tuttavia arrivò senza alcuno spiacevole incidente al campo stabilito davanti a La Rochelle, verso il 10 settembre del 1627. Tutto era allo stato primitivo: il duca di Buckingham e i suoi Inglesi, padroni dell'isola di Ré, assediavano ancora, ma senza successo, la cittadella di San Martino e il forte della Prée, e le ostilità con La Rochelle erano cominciate da due o tre giorni provocate da un forte che il duca di Augouleme aveva fatto costruire vicino alla città. Le guardie, sotto il comando del signor Des Essarts, avevano il loro alloggiamento ai Minimi. Ma, come sappiamo, d'Artagnan, tutto preso dall'ambizione di passare nei moschettieri, aveva fatto poca amicizia coi suoi camerati, quindi si trovava isolato e abbandonato alle sue riflessioni. Le sue riflessioni non erano rosee: dall'anno in cui si trovava a Parigi, s'era mischiato agli affari pubblici, ma i suoi affari privati, sia che riguardassero la fortuna, sia che riguardassero l'amore, non erano molto progrediti. Dal punto di vista dell'amore, egli non aveva amato che la signora Bonacieux e la signora Bonacieux era sparita senza che ancora gli fosse riuscito di scoprire ciò che era stato di lei. Dal punto di vista della fortuna, si era fatto un nemico del Cardinale, vale a dire uomo davanti al quale tremavano i più grandi del regno, a cominciare dal Re. Quest'uomo poteva annientarlo e non l'aveva fatto; per uno spirito perspicace qual era quello di d'Artagnan, questa indulgenza era il solo spiraglio dal quale potesse vedere un avvenire migliore. Per soprammercato si era fatto un altro nemico, meno temibile, così pensava, ma che istintivamente sentiva di non dover disprezzare: questo nemico era Milady. In cambio di tutto questo egli si era guadagnato la protezione e la benevolenza della Regina, ma la benevolenza della Regina era, coi tempi che correvano, una ragione di più per essere perseguitati: e la sua protezione proteggeva assai male, come potevano testimoniare Chalais e la signora Bonacieux. L'unico guadagno indiscutibile che aveva ricavato da tutto ciò era il diamante da cinque o seimila lire che aveva al dito; il quale diamante, supponendo che d'Artagnan, per i suoi ambiziosi progetti, volesse serbarlo allo scopo di servirsene un giorno come segno di riconoscimento presso la Regina, non aveva per il momento, poiché non poteva disfarsene, più valore d'uno di quei sassolini che smoveva coi piedi. Parliamo di sassolini che smoveva coi piedi, perché d'Artagnan faceva queste riflessioni passeggiando solo soletto lungo un grazioso sentiero che conduceva dal campo al villaggio d'Angoutin; ora, le sue riflessioni lo avevano portato più lontano di quanto non volesse, e cominciava a imbrunire, allorché a un ultimo raggio del sole che tramontava gli parve di veder brillare, dietro una siepe, la canna di un moschetto. D'Artagnan aveva l'occhio vivo e lo spirito pronto; capì che il moschetto non era venuto sin lì da solo e che colui che lo portava non si era nascosto dietro la siepe con intenzioni amichevoli. Risolvette dunque di prendere il largo, allorché dall'altro lato della strada, dietro una roccia, scorse l'estremità di un secondo moschetto. Era ben chiaro che si trattava di un'imboscata. Il giovanotto gettò un'occhiata al primo moschetto e s'accorse con una certa inquietudine che si abbassava nella sua direzione, ma non appena vide che la bocca della canna si immobilizzava, si gettò ventre a terra. Nello stesso tempo il colpo partì ed egli udì il fischio della palla che gli passava sul capo. Non c'era tempo da perdere, d'Artagnan si rialzò con un salto, e nello stesso momento la palla dell'altro moschetto fece volare i sassi nel punto preciso in cui egli si era gettato a terra. D'Artagnan non era di quegli uomini inutilmente coraggiosi che vanno incontro a una ridicola morte affinché si dica che non hanno indietreggiato d'un passo; d'altra parte in questo caso non si trattava di coraggio, egli era caduto in un tranello. "Se c'è un terzo colpo" pensò "sono perduto!" E subito si dette a correre verso il campo con la celerità propria della gente del suo paese, ch'è rinomata per la sua agilità; ma per quanto rapida fosse la sua corsa, il primo che aveva tirato e che aveva avuto il tempo di ricaricare l'arma, gli tirò un secondo colpo così preciso, questa volta, che la palla gli attraversò il cappello e lo fece volare a dieci passi da lui. Tuttavia, siccome non aveva altri cappelli, d'Artagnan raccolse il suo sempre correndo, arrivò affannato e pallidissimo al suo alloggiamento, sedette senza dir nulla a nessuno e si mise a riflettere. Questo episodio poteva avere tre cause. La prima e la più naturale: un'imboscata dei Rochellesi, che non sarebbero stati scontenti di uccidere una delle guardie di Sua Maestà, prima di tutto perché era un nemico di meno, poi perché questo nemico poteva avere in tasca una borsa ben guarnita. D'Artagnan prese il suo cappello, guardò il foro della palla e scosse la testa. La palla non era una palla di moschetto: era una palla d'archibugio; la giustezza del colpo gli aveva già fatto pensare che si trattasse di un'arma speciale; non era una imboscata militare, perché la palla non era di calibro giusto. Poteva essere un buon ricordo del Cardinale. Il lettore si ricorderà che nel momento in cui, grazie a quel benedetto raggio di sole, aveva veduto brillare la canna dell'archibugio, d'Artagnan stava meravigliandosi dell'indulgenza di Sua Eminenza a suo riguardo. Ma d'Artagnan scosse la testa. Per coloro pei quali gli sarebbe bastato stendere una mano, il Cardinale ricorreva raramente a simili mezzi. Poteva essere una vendetta di Milady: ciò era più probabile. Cercò inutilmente di ricordare la fisionomia e le vesti degli assassini; ma si era allontanato da loro tanto rapidamente che non aveva avuto il tempo di notare nulla. "Ah, poveri amici miei!" mormorò d'Artagnan "dove siete? Come sento la vostra mancanza!" D'Artagnan passò una cattivissima notte. Tre o quattro volte si svegliò di soprassalto, immaginando che un uomo si avvicinasse al suo letto per pugnalarlo. Ma il giorno apparve senza che l'oscurità avesse portato alcun incidente. Ma d'Artagnan pensava giustamente che ciò ch'era differito non era perduto. D'Artagnan restò tutto il giorno nel suo alloggiamento; egli diede come scusa a se stesso che il tempo era cattivo. Il giorno dopo, alle nove, fu battuta l'adunata. Il duca d'Orléans visitava i posti. Le guardie corsero alle armi, d'Artagnan prese il suo posto fra i suoi camerati. Monsieur passò sul fronte dello schieramento; poi tutti gli ufficiali superiori gli si avvicinarono per fargli la corte, e fra questi era naturalmente il signor Des Essarts. Dopo un momento parve a d'Artagnan che il signor Des Essarts gli facesse segno di avvicinarsi, ma attese un nuovo gesto del suo superiore perché temeva d'essersi ingannato; il gesto si ripeté ed egli abbandonò le file e si avanzò per prendere gli ordini. "Monsieur chiederà degli uomini di buona volontà per una missione pericolosa che farà onore a coloro che la compiranno, vi ho fatto segno affinché vi teniate pronto." "Grazie, capitano!" rispose d'Artagnan che non domandava di meglio che farsi notare dal luogotenente del generale. Durante la notte, infatti, i Rochellesi avevano fatto una sortita e avevano ripreso un bastione del quale l'esercito reale s'era impadronito due giorni prima; ora si trattava di fare una ricognizione perduta per accertarsi di come fosse guardato questo bastione. Dopo pochi minuti infatti, Monsieur alzò la voce e disse: "Per questa spedizione mi occorrerebbero tre o quattro volontari guidati da un uomo sicuro." "L'uomo sicuro l'ho sottomano, Monsieur" disse Des Essarts indicando d'Artagnan "e quanto ai quattro o cinque volontari, Monsignore non ha che da far conoscere le sue intenzioni: gli uomini non mancheranno." "Quattro uomini di buona volontà che siano disposti a farsi uccidere insieme a me!" disse d'Artagnan alzando la spada. Due dei suoi camerati delle guardie si slanciarono immediatamente, e altri due soldati si aggiunsero a loro, così che il numero necessario fu pronto; d'Artagnan rifiutò quindi tutti gli altri, non volendo far torto a coloro che avevano la priorità. Non si sapeva se, dopo aver preso il bastione, i Rochellesi lo avessero evacuato o se avessero lasciato una guarnigione; bisognava quindi esaminare il luogo indicato abbastanza da vicino per essere certi della cosa. D'Artagnan partì con i suoi quattro compagni e seguì la trincea; le due guardie camminavano alla sua stessa altezza, e i due soldati li seguivano. Arrivarono così, nascondendosi dietro i rivestimenti, a un centinaio di passi dal bastione; qui d'Artagnan, volgendosi, si accorse che i due soldati erano spariti. Credette che avessero avuto paura e fossero rimasti dietro; non se ne preoccupò e continuò ad avanzare. Alla svolta della controscarpa, si trovarono a circa sessanta passi dal bastione. Non si vedeva anima viva, il bastione sembrava abbandonato. I tre giovani votati alla morte deliberavano se avanzare o no, allorché improvvisamente, una cintura di fumo cinse il gigante di pietra, e una dozzina di palle vennero a fischiare attorno a d'Artagnan e ai suoi due compagni. Ormai sapevano quanto volevano sapere: il bastione era ben difeso. Una più lunga sosta in quei paraggi pericolosi sarebbe stata un'imprudenza inutile; d'Artagnan e le due guardie volsero le spalle e cominciarono una ritirata che somigliava a una fuga. Arrivati all'angolo della trincea che doveva servir loro da riparo, una delle due guardie cadde: una palla gli aveva trapassato il petto. L'altra, che era sana e salva, continuò la sua corsa verso il campo. D'Artagnan non volle abbandonare così il suo compagno e si chinò su di lui per rialzarlo e aiutarlo a raggiungere le linee, ma nello stesso momento echeggiarono due colpi di fucile e una palla fracassò la testa del ferito mentre l'altra andò a schiacciarsi sulla roccia passando a due pollici da d'Artagnan. Il giovanotto si volse di scatto perché questo attacco non poteva venire dal bastione ch'era nascosto dall'angolo della trincea. I due soldati che lo avevano abbandonato gli tornarono allora in mente e gli rammentarono i due assassini di due giorni prima; risolvette dunque, questa volta, di sapere a che attenersi e cadde sul corpo del camerata come se anch'egli fosse stato colpito a morte. Vide immediatamente due teste comparire al di sopra di un'opera abbandonata che era a trenta passi da lui; erano le teste dei due soldati. D'Artagnan non si era ingannato: quei due uomini non l'avevano seguito che per assassinarlo, sperando che la sua morte fosse messa sul conto del nemico. Però, siccome poteva essere solamente ferito e in grado di denunciare il loro delitto, si avvicinarono per finirlo; fortunatamente, ingannati dall'astuzia di d'Artagnan, trascurarono di ricaricare i loro fucili. Quando furono a dieci passi da lui, d'Artagnan che, cadendo, aveva avuto cura di non abbandonare la spada, si rialzò di colpo e con un salto fu loro vicino. Gli assassini capirono che se fossero fuggiti verso il campo francese senza aver ucciso il loro uomo, esso li avrebbe denunciati: così la loro prima idea fu di passare al nemico. Uno di essi prese il suo fucile per la canna e, servendosene come di una clava, vibrò un terribile colpo a d'Artagnan che lo evitò gettandosi da un lato; ma con questa mossa lasciò il passaggio libero al bandito che si slanciò verso il bastione. Siccome i Rochellesi che vi erano di guardia non potevano immaginare con quali intenzioni quell'uomo corresse verso di loro, fecero fuoco su di lui ed egli cadde ferito da un proiettile che gli trapassò una spalla. Nel frattempo d'Artagnan s'era gettato sul secondo soldato, attaccandolo con la spada; il combattimento non fu lungo, giacché il miserabile non aveva, per difendersi, che il suo archibugio scarico; la spada della guardia scivolò contro la canna dell'arma divenuta inutile e trapassò la coscia dell'assassino che cadde. D'Artagnan gli mise immediatamente la punta della spada alla gola. "Non uccidetemi!" esclamò il bandito "fatemi grazia, signor ufficiale! Vi dirò tutto." "Mette conto il tuo segreto che ti serbi in vita?" chiese il giovanotto. "Sì, se pensate che l'esistenza valga qualche cosa quando si hanno ventidue anni come voi avete e che si possa sperare tutto dall'avvenire essendo belli e arditi come voi siete." "Miserabile!" esclamò d'Artagnan. "Suvvia, spicciati a parlare; chi t'ha incaricato di assassinarmi?" "Una donna che non conosco, ma che veniva chiamata Milady." "Se non la conosci, come sai il suo nome?" "La conosceva il mio compagno e la chiamava così; è con lui che ha trattato e non con me; egli ha anzi in tasca una lettera di quella donna, lettera che deve avere una grande importanza per voi, secondo quanto egli diceva." "Ma tu come ti trovi immischiato in questo tranello?" "Fu il mio compagno che mi propose di fare il colpo in due e io accettai." "E quanto vi ha dato per questa bella impresa?" "Cento luigi." "Meno male" disse il giovanotto ridendo "ella pensa che io valga qualche cosa; cento luigi! E' una bella somma, per due miserabili come voi. Capisco dunque come tu abbia accettato e ti faccio grazia, ma a una condizione." "Quale?" domandò il soldato inquieto poiché si rendeva conto che tutto non era finito. "Che tu vada a prendere la lettera che il tuo compagno ha in tasca." "Ma" esclamò il bandito "questa è un'altra maniera per uccidermi; come volete che possa andar a prendere la lettera sotto il fuoco del bastione?" "Eppure bisogna che tu ti decida ad andar a prenderla, o ti giuro che morrai sotto le mie mani." "Grazia, signore, per pietà! In nome della giovane signora che amate e che forse credete morta e non lo è!" esclamò il bandito inginocchiandosi e appoggiandosi sulla mano perché insieme col sangue cominciava a perdere le forze. "E come fai a sapere che c'è una giovane che amo e che credevo morta?" "Dalla lettera che il mio compagno ha in tasca." "Vedi bene allora che devo avere quella lettera" disse d'Artagnan "dunque non più ritardi o esitazioni, oppure, quale che sia la mia ripugnanza a immergere per la seconda volta la mia spada nel sangue di un miserabile pari tuo, ti giuro, in fede di onest'uomo…" E dicendo queste parole d'Artagnan fece un gesto così minaccioso che il ferito si alzò. "Ferma! ferma!" gridò quest'ultimo riprendendo coraggio a forza di terrore. "Andrò… andrò!…" D'Artagnan prese l'archibugio del soldato e, punzecchiandogli le reni con la punta della spada, lo spinse verso il suo compagno. Era una cosa orribile vedere quel disgraziato che lasciava sul suo cammino una lunga striscia di sangue, già pallido per la sua morte imminente, cercare di trascinarsi senza essere visto fino al corpo del suo complice che giaceva a venti passi da lui! Il terrore sfigurava talmente quel viso bagnato di un freddo sudore che d'Artagnan ne ebbe pietà e guardandolo con disprezzo gli disse: "Ebbene, ti farò vedere la differenza che passa fra un uomo di fegato e un vile come te; resta dove sei, andrò io." E con passo agile e occhio vigile, attento a ogni mossa del nemico, approfittando di tutti gli accidenti del terreno, d'Artagnan giunse sin presso il secondo soldato. C'erano due mezzi per raggiungere lo scopo: o perquisirlo sul posto o portarlo via facendosi scudo del suo corpo e perquisirlo nella trincea. D'Artagnan preferì il secondo mezzo e si caricò sulle spalle l'assassino proprio nell'istante in cui il nemico faceva fuoco. Una leggera scossa e il rumore sordo di tre palle che bucavano le carni, un ultimo grido, un fremito d'agonia dimostrarono a d'Artagnan che colui che aveva voluto assassinarlo gli aveva salvato in quel momento la vita. D'Artagnan raggiunse la trincea e gettò il cadavere vicino al ferito che era pallido come un morto. Poi cominciò immediatamente l'inventario; un portafogli di cuoio, una borsa che conteneva, evidentemente, parte della somma ricevuta dal bandito, un cornetto e due dadi costituivano tutta l'eredità del morto. Lasciò il cornetto e i dadi dove erano caduti, gettò la borsa al ferito e aprì con impazienza il portafogli. Tra alcune carte di nessuna importanza trovò quella che era andata a cercare a costo della vita. "Poiché avete perduto la traccia di quella donna che è ormai al sicuro nel convento dove non avreste dovuto mai lasciarla arrivare, cercate almeno di non lasciarvi sfuggire l'uomo; altrimenti, come sapete, ho la mano lunga e vi farò pagar cari i cento luigi che vi ho già dato." Nessuna firma. Nondimeno, risultava evidente che la lettera era di Milady. Per conseguenza, egli la serbò come documento d'accusa; poi, al sicuro dietro l'angolo della trincea, cominciò a interrogare il ferito, il quale gli confessò di aver preso l'impegno, insieme col suo compagno ucciso, di rapire una giovane donna che doveva uscire da Parigi passando dalla barriera della Villette, ma che, essendosi fermati in un'osteria a bere, ne erano usciti dieci minuti dopo che la vettura era passata. "Ma che cosa ne avreste fatto di quella donna?" chiese d'Artagnan con angoscia. "Dovevamo condurla in un palazzo di Place Royale." "Ecco, ecco" mormorò d'Artagnan. "Tutto è chiaro. Proprio in casa di Milady." Allora il giovanotto comprese come fosse terribile la sete di vendetta che spingeva quella donna a rovinarlo assieme a coloro che egli amava, e come essa fosse bene informata di quanto succedeva a Corte, giacché aveva scoperto tutto. Certamente essa riceveva le sue informazioni dal Cardinale. Ma, fra tante altre cose, egli capì anche con un vero senso di gioia che la Regina aveva finito per scoprire la prigione nella quale la povera signora Bonacieux espiava la sua fedeltà, e l'aveva liberata. Allora si spiegò la lettera ricevuta dalla giovane donna e il suo passaggio, simile a una apparizione, sulla via di Chaillot. Stando così le cose, come Athos aveva predetto, sarebbe stato possibile ritrovare la signora Bonacieux, e un convento non era impenetrabile. Questa idea finì per colmargli il cuore di demenza. Si volse verso il ferito che seguiva con ansia le diverse espressioni del suo viso e gli tese le braccia: "Suvvia, non voglio abbandonarti così" disse egli "appoggiati a me e torniamo al campo." "Va bene" disse il ferito che non osava credere a tanta magnanimità "ma non sarà per farmi impiccare?" "Hai la mia parola" rispose d'Artagnan "per la seconda volta ti regalo la vita." Il ferito si lasciò cadere in ginocchio e baciò i piedi del suo salvatore; ma d'Artagnan, che non aveva nessun motivo di rimanere così vicino al nemico, abbreviò le manifestazioni della sua riconoscenza. La guardia, che era fuggita alla prima scarica dei Rochellesi, aveva annunciata la morte dei suoi quattro compagni. Tutti furono quindi meravigliati e felici quando videro riapparire il giovanotto sano e salvo. D'Artagnan spiegò la ferita del suo compagno con una sortita improvvisa. Raccontò la morte dell'altro soldato e i pericoli ch'essi avevano corso. Questo racconto fu per lui l'occasione di un vero trionfo. Tutto l'esercito parlò per un'intera giornata di questa spedizione, e Monsignore gli fece i suoi complimenti. Del resto, poiché ogni bella azione porta con sé una ricompensa, la bella azione di d'Artagnan ebbe come risultato quello di rendergli la pace perduta. Egli credeva ormai di poter vivere tranquillo giacché, dei suoi due nemici, uno era stato ucciso e l'altro era divenuto devoto ai suoi interessi. Questa tranquillità dimostrava una cosa, cioè che d'Artagnan non conosceva ancora Milady.

 

 

 

 

 

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