CAPITOLO XXXIV - DOVE SI PARLA DELL'EQUIPAGGIAMENTO DI ARAMIS E DI PORTHOS

 

 

Dacché i quattro amici erano, ciascuno per suo conto, alla caccia degli equipaggiamenti, si trovavano insieme raramente. Pranzavano gli uni senza gli altri, dove si trovavano o meglio dove potevano. Anche il servizio occupava buona parte di quel tempo prezioso che sfuggiva così rapido. Però avevano fissato di trovarsi una volta per settimana, verso l'una, in casa di Athos, poiché quest'ultimo, secondo il giuramento che aveva fatto, non varcava più la soglia di strada. Il giorno in cui Ketty era andato da d'Artagnan, era appunto giorno di riunione. Non appena Ketty se ne fu andata, d'Artagnan si diresse verso via Féroux. Trovò Athos e Aramis che filosofeggiavano. Aramis aveva qualche velleità di tornare alla tonaca. Athos, secondo il suo solito, non lo incoraggiava né tentava di dissuaderlo. Athos sosteneva che bisognava lasciare ad ognuno il suo libero arbitrio. Egli non dava consigli se non ne era richiesto; ed era necessario, assai spesso, chiederglieli due volte. "Generalmente" diceva "non si chiedono consigli che per non seguirli, o, dopo averli seguiti, per avere qualcuno al quale si possa rimproverare di averli dati." Porthos arrivò subito dopo d'Artagnan. I quattro amici si trovavano dunque riuniti. I loro quattro visi esprimevano quattro sentimenti diversi: quello di Porthos la tranquillità, quello di d'Artagnan la speranza, quello di Aramis l'inquietudine e quello di Athos l'indifferenza. Dopo poche frasi dalle quali Porthos lasciò capire che una persona altolocata aveva voluto trarlo d'imbarazzo, entrò Mousqueton. Egli veniva a pregare Porthos di tornare a casa, dove, diceva con aria molto addolorata, la sua presenza era necessaria. "Sono arrivati i miei equipaggiamenti?" domandò Porthos. "Sì e no" rispose Mousqueton. "Ma insomma, che cosa vuoi dire?" "Venite, signore." Porthos si alzò, salutò gli amici e seguì Mousqueton. Un istante dopo comparve sulla soglia Bazin. "Che cosa volete, amico mio?" chiese Aramis con quella dolcezza che si notava in lui ogniqualvolta le sue idee lo riconducevano verso la Chiesa… "Un uomo aspetta il signore a casa" rispose Bazin. "Un uomo? Che uomo?" "Un mendicante." "Fategli l'elemosina e ditegli di pregare per me povero peccatore." "Ma quel mendicante vuole parlarvi a qualunque costo e pretende anzi che sarete molto contento di vederlo." "Non ha detto nulla di speciale, per me?" "Ha detto queste precise parole: se il signor Aramis esitasse a venire da me, ditegli che arrivo da Tours." "Da Tours?" esclamò Aramis. "Signori, mille scuse, ma senza dubbio quest'uomo mi porta delle notizie che attendevo." E, alzandosi di scatto, se ne andò in fretta. Restarono Athos e d'Artagnan. "Credo che entrambi abbiano trovato ciò che cercavano. Che ne pensate, d'Artagnan?" disse Athos. "So che Porthos era a buon punto" rispose d'Artagnan "e in quanto ad Aramis, per vero dire, non sono mai stato veramente inquieto per lui; ma voi, mio caro Athos, voi che avete con tanta generosità distribuito le pistole dell'Inglese, che vi appartenevano legittimamente, che cosa farete?" "Sono contentissimo di aver ucciso quello sciocco, ragazzo mio, perché è una benedizione uccidere un Inglese; ma se avessi intascato il suo denaro, esso mi peserebbe come un rimorso." "Evvia, mio caro Athos, voi avete delle idee veramente inconcepibili." "Lasciamo stare, lasciamo stare. Che diamine mi diceva ieri il signor di Tréville che mi ha fatto l'onore di venire a trovarmi? che voi frequentate quegli Inglesi sospetti, protetti dal Cardinale." "Vale a dire che faccio visita a un'Inglese, quella di cui vi ho parlato." "Ah, sì, la donna bionda a proposito della quale vi detti qualche consiglio che naturalmente vi siete ben guardato di seguire." "Ve ne dissi la ragione." "Sì, speravate di guadagnare il vostro equipaggiamento, mi diceste." "No, non è questo. Ma ho acquistata la certezza che quella donna entra per qualche cosa nella scomparsa della signora Bonacieux." "Capisco, per ritrovare una donna voi fate la corte a un'altra; è la strada più lunga, ma la più divertente." D'Artagnan fu sul punto di raccontare tutto all'amico; ma una cosa lo trattenne: Athos era un gentiluomo assai severo sulle questioni d'onore; e nei progetti che d'Artagnan aveva escogitato a proposito di Milady, c'erano certi elementi che non avrebbero certamente ottenuto l'approvazione di quel puritano; il Guascone preferì dunque tacere e siccome Athos era l'uomo meno curioso della terra, le confidenze di d'Artagnan non ebbero seguito. Noi lasciamo dunque i due amici, che non avevano da dirsi nulla di molto importante, per seguire Aramis. Alla notizia che l'uomo che voleva parlargli giungeva da Tours, abbiamo visto con quale rapidità il giovanotto avesse seguito, anzi preceduto, Bazin; egli non fece che un salto dalla via Féroux alla via Vaugirard. Entrando in casa trovò infatti un uomo di piccola statura, dagli occhi intelligenti, ma vestito di stracci. "Siete voi che volete parlarmi?" chiese il moschettiere. "Io ho chiesto del signor Aramis. Siete voi, signore, che vi chiamate così?" "Proprio io. Dovete darmi qualche cosa?" "Sì, se mi farete vedere un certo fazzoletto ricamato." "Eccolo" disse Aramis levando una chiave dal seno e aprendo un piccolo cofanetto d'ebano incrostato di madreperla "eccolo, guardate." "Va bene" disse il mendicante "mandate via il vostro servitore." Bazin che era curioso di sapere che cosa volesse dal suo padrone quel mendicante, aveva regolato il proprio passo su quello di lui, ed era arrivato quasi alle sue calcagna; ma questa sveltezza non gli servì a nulla; all'invito del mendicante, il suo padrone gli fece cenno di ritirarsi ed egli dovette ubbidire. Allora il mendicante si guardò intorno rapidamente per essere ben certo che nessuno potesse né vederli né udirli, e aprendo il suo vestito sbrindellato chiuso malamente con una cintura di cuoio, cominciò a scucire la parte superiore del suo farsetto e ne trasse una lettera. Aramis riconoscendo il sigillo gettò un grido di gioia, baciò la scrittura, e, con un rispetto quasi religioso, aprì la lettera che conteneva quanto segue: "Amico, il destino vuole che stiamo separati ancora per qualche tempo, ma i bei giorni della giovinezza non sono inesorabilmente perduti. Fate il vostro dovere al capo; io faccio il mio in altro modo. Prendete ciò che vi consegnerà il latore; fate la guerra da buono e bel gentiluomo, e pensate a me che bacio teneramente i vostri begli occhi neri. Addio, o meglio arrivederci!" Il mendicante seguitò a scucire il farsetto e ne estrasse a una a una centocinquanta doppie pistole di Spagna che allineò sulla tavola; poi aprì la porta, salutò e partì prima che il giovane, stupefatto, avesse osato indirizzargli la parola. Aramis allora rilesse la lettera e si accorse che c'era anche un post-scriptum. "P.S. - Accogliete bene il latore che è conte e grande di Spagna." "Sogni dorati!" esclamò Aramis. "Oh che bella vita sarà la nostra! Siamo giovani, e ci aspettano ancora giorni felici! Oh, il mio sangue, la mia vita per te, amore mio! Tutto, tutto per te, mia bella amante!" E baciava con passione la lettera senza neppure guardare l'oro che scintillava sulla tavola. Bazin bussò alla porta; Aramis non aveva più ragione di tenerlo lontano e gli permise di entrare. Vedendo tutto quell'oro, Bazin restò stupefatto e dimenticò di annunciare d'Artagnan che, curioso di sapere chi fosse quel mendicante, appena lasciato Athos, era corso da Aramis. Ora, siccome d'Artagnan non faceva complimenti con Aramis, vedendo che Bazin dimenticava di annunciarlo, si annunciò da sé. "Ah, diavolo, mio caro Aramis" disse d'Artagnan "se sono queste le prugne che vi mandano da Tours, fate i miei complimenti al giardiniere che le ha raccolte." "V'ingannate, mio caro" disse Aramis sempre discreto "è il libraio che mi invia il prezzo di quel poema in versi di una sillaba che avevo cominciato laggiù." "Davvero!" disse d'Artagnan. "Ebbene, il vostro libraio è generoso, caro Aramis, ecco ciò che debbo dirvi." "Come, signore" esclamò Bazin "si vende così caro un poema? E' incredibile! Oh, signore, voi fate tutto quello che volete, voi potrete diventare l'eguale del signor di Voiture o del signor di Benserade. Ciò mi piace molto. Un poeta è quasi un abate. Ah! signor Aramis, fatevi dunque poeta, ve ne prego." "Bazin, amico mio" disse Aramis "mi pare che vi permettiate di mischiarvi alla conversazione." Bazin capì d'aver torto, abbassò il capo e uscì. "Ah!" disse d'Artagnan con un sorriso "voi vendete le vostre produzioni a peso d'oro. Siete ben fortunato, amico mio! Ma state attento, perderete quella lettera che esce dalla vostra casacca e che è senza dubbio anch'essa del vostro libraio." Aramis arrossì, affondò la lettera in tasca e si abbottonò la casacca. "Mio caro d'Artagnan" disse "se non vi dispiace, potremmo andare dai nostri amici; e poiché sono ricco, oggi, ricominceremo a pranzare insieme, attendendo che a vostra volta anche voi diventiate ricchi." "Con gran piacere!" esclamò d'Artagnan. E' un pezzo che non facciamo un pranzo decente; e siccome ho in vista per questa sera una spedizione un po' arrischiata non mi spiacerà, lo confesso, di montarmi un poco la testa con qualche bottiglia di vecchio borgogna." "Vada per il vecchio borgogna! Neppur io lo detesto" disse Aramis nel quale la vista dell'oro aveva dissipata ogni idea di rinuncia. E, messe in tasca tre o quattro doppie pistole per far fronte alle spese del momento, chiuse le altre nel cofano di ebano incrostato di madreperla ove si trovava il famoso fazzoletto che gli era servito da talismano. I due amici si recarono prima da Athos che, fedele al giuramento di non uscire, si incaricò di far portare il pranzo in casa sua e poiché s'intendeva assai bene di particolari gastronomici, d'Artagnan e Aramis non fecero difficoltà ad affidargli la cura di questa importante faccenda. Erano in strada per recarsi da Porthos, quando, all'angolo di via del Bac, incontrarono Mousqueton che con aria triste spingeva davanti a sé un mulo e un cavallo. D'Artagnan gettò un grido di sorpresa al quale non era estranea anche un po' di gioia. "Ah! il mio cavallo giallo!" esclamò a Aramis, guardate quel cavallo." "Che orribile ronzino!" disse Aramis. "Ebbene, mio caro" riprese d'Artagnan "è il cavallo su cui sono giunto a Parigi." "Come, il signore conosce questo cavallo?" chiese Mousqueton. "E' d'un colore originale" disse Aramis "è il solo che abbia visto di questo mantello." "Lo credo bene" riprese d'Artagnan "proprio per questo lo vendetti per tre scudi; perché la carcassa non vale neppure diciotto lire. Ma com'è che questo cavallo è in mano tua, Mousqueton?" "Ah!" disse il domestico "non me ne parlate, signore, è un tiro atroce del marito della nostra duchessa!" "Come mai, Mousqueton?" "Già, noi siamo visti di buon occhio da una signora dell'alta società, la duchessa di… chiedo scusa, il mio padrone mi ha raccomandato di essere discreto: ella ci aveva costretti ad accettare un piccolo ricordo; un magnifico ginnetto spagnolo e un mulo andaluso che erano una meraviglia. Il marito lo ha saputo, ha confiscato al passaggio i due magnifici animali che ci erano destinati, e li ha sostituiti con queste due orribili brenne." "E tu glieli riporti?" disse d'Artagnan. "Proprio così!" rispose Mousqueton. "Capirete che non possiamo accettare simili cavalcature in cambio di quelle che ci erano state promesse." "No, perbacco! E tuttavia mi sarebbe piaciuto veder Porthos a cavallo del mio Bocciol d'Oro; mi sarei fatto un'idea della figura che facevo quando arrivai a Parigi. Ma non vogliamo più trattenerti, Mousqueton; vai a fare la commissione del tuo padrone; è in casa?" "Sì, signore" disse Mousqueton "ma è di pessimo umore, potete credermi." Ed egli continuò la sua strada verso la riva dei Grands-Augustins, mentre i due amici andavano a suonare alla porta del disgraziato Porthos. Questi, avendoli visti attraverso il cortile, si guardò bene dall'aprire. Essi sonarono dunque inutilmente. Frattanto Mousqueton continuava la sua strada e, attraversato il Ponte Nuovo, sempre spingendo davanti a sé le due carcasse, arrivò in via degli Orsi. Giunto qui, secondo gli ordini del padrone, attaccò il cavallo e il mulo al battente della porta del procuratore; poi, senza preoccuparsi della loro sorte futura, tornò da Porthos e gli annunciò che la sua commissione era stata eseguita. Dopo un po' di tempo, le due disgraziate bestie, che non avevano mangiato dalla mattina, fecero un tale rumore alzando e lasciando ricadere il picchiotto della porta, che il procuratore ordinò al suo galoppino di andare a informarsi nel vicinato di chi fossero quel cavallo e quel mulo. La signora Coquenard riconobbe il suo dono, e sulle prime non capì il perché di questa restituzione; ma ben presto una visita di Porthos chiarì la faccenda. L'ira che brillava negli occhi del moschettiere nonostante gli sforzi ch'egli faceva per contenersi, spaventò la sua sensitiva amante. Mousqueton non aveva nascosto al suo padrone di aver incontrato Aramis e d'Artagnan e come quest'ultimo avesse riconosciuto nel cavallo giallo il ronzino bearnese sul quale era venuto a Parigi e che aveva venduto per tre scudi. Porthos uscì dopo aver dato appuntamento alla procuratrice nel chiostro di Saint-Magloire. Il procuratore, vedendo che Porthos se ne andava, lo invitò a pranzo, invito che il moschettiere declinò con aria piena di maestosità. La signora Coquenard si diresse al chiostro tutta tremante giacché intuiva i rimproveri che la aspettavano; ma essa era affascinata dai modi nobili di Porthos. Tutte le imprecazioni e i rimproveri che un uomo ferito nel suo amor proprio può rovesciare sul capo di una donna, Porthos le lasciò cadere su quello chino della procuratrice. "Ahimè" disse questa "credevo di aver fatto per il meglio! Uno dei nostri clienti, che è mercante di cavalli, doveva del denaro a mio marito e non si decideva a pagare; allora mi feci dare il mulo ed il cavallo a saldo del suo conto. Egli mi aveva promesso due cavalcature regali." "Ebbene, signora" disse Porthos "se vi doveva più di cinque scudi, il vostro cozzone è un ladro." "Si può cercare di pagare le cose il meno possibile, mi pare" disse la procuratrice cercando di scusarsi. "Certo, signora, ma coloro che cercano il buonmercato, devono permettere agli altri di cercarsi degli amici più generosi." E Porthos girò sui tacchi e fece un passo per andarsene. "Signor Porthos! Signor Porthos!" esclamò la procuratrice. "Ho torto, lo riconosco; non avrei dovuto mercanteggiare quando si trattava di equipaggiare un gran signore come voi!" Porthos, senza rispondere, fece un secondo passo per ritirarsi. La procuratrice credette di vederlo in una nube scintillante, tutto circondato di duchesse e di marchese, che gli gettavano ai piedi sacchi d'oro. "Fermatevi, in nome di Dio!" gridò "signor Porthos, fermatevi e parliamo." "Mi porta disgrazia parlare con voi!" disse Porthos. "Ma ditemi, che cosa volete?" "Niente, tanto è lo stesso che se vi domandassi qualche cosa." La procuratrice si attaccò al braccio di Porthos e, nello slancio del suo dolore, esclamò: "Signor Porthos, io non m'intendo di certe cose; che volete che sappia io di cavalli? che so io di finimenti?" "Bisognava lasciar fare a me, che me ne intendo; ma voi avete voluto risparmiare e, di conseguenza, prestare a usura." "E' un torto, signor Porthos, ma io lo riparerò, sulla mia parola d'onore." "E come?" "Ascoltate! Questa sera, il signor Coquenard andrà dal duca di Chaunels che l'ha mandato a chiamare. Si tratta di un consulto che durerà almeno due ore. Venite, saremo soli, e faremo i nostri conti." "Alla buon'ora! Questo si chiama parlare, mia cara." "Mi perdonate?" "Vedremo" disse Porthos dignitosamente. E i due amanti si separarono dicendo a una voce: 'A questa sera'. "Diavolo" penso Porthos "se non mi sbaglio, sto finalmente avvicinandomi alla cassaforte di mastro Coquenard."

 

 

 

 

 

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