CAPITOLO X

UNA TRAPPOLA DEL DICIASSETTESIMO SECOLO

 

L'invenzione della trappola non è cosa dei nostri giorni; dal momento che le società, formandosi, ebbero inventata una polizia qualsiasi, questa, a sua volta, inventò le trappole. Ma siccome non tutti i nostri lettori hanno dimestichezza col gergo di via Gerusalemme{8}, e poiché è la prima volta da che scriviamo - il che vuol dire una quindicina d'anni - che ci serviamo di questa parola, in questo senso, conviene spiegar loro che cosa sia una trappola. Quando, in una casa qualunque, viene arrestato un individuo sospettato di un delitto qualsiasi, l'arresto è tenuto segreto; si nascondono quattro o cinque uomini all'agguato nell'anticamera, Si apre la porta di casa a tutti coloro che bussano e la si richiude alle loro spalle; in questo modo, nel giro di due o tre giorni, si hanno in mano tutti o quasi tutti i familiari della casa. Ecco che cos'è una trappola. Dell'appartamento di mastro Bonacieux si fece dunque una trappola, e chiunque apparve fu preso e interrogato dalle genti del Cardinale. Naturalmente, siccome un'entrata speciale conduceva al primo piano abitato da d'Artagnan, coloro che andavano a far visita a quest'ultimo non venivano minimamente inquietati. D'altra parte da lui non andavano che i moschettieri; questi, ciascuno per conto proprio, si erano messi alla ricerca della scomparsa, ma non avevano trovato nulla e nulla avevano scoperto. Athos aveva interrogato persino il signor di Tréville, e la cosa aveva assai meravigliato il capitano che ben conosceva il mutismo del bravo moschettiere. Ma il signor di Tréville non poté dire se non che l'ultima volta che aveva visto insieme il Cardinale, il Re e la Regina, il Cardinale aveva l'aria preoccupata, il Re era inquieto e la Regina aveva gli occhi rossi, segno evidente che aveva vegliato o pianto. Quest'ultima circostanza non lo aveva meravigliato troppo dato che, dal suo matrimonio in poi, la Regina vegliava e piangeva molto. Ad ogni modo, il signor di Tréville raccomandò molto ad Athos il servizio del Re e soprattutto quello della Regina, pregandolo di fare la stessa raccomandazione ai suoi camerati. Quanto a d'Artagnan, non usciva più di casa perché aveva convertito la sua camera in osservatorio. Dalle finestre vedeva arrivare quelli che andavano a farsi prendere; poi, avendo tolto una piastrella dal pavimento e avendone forato lo spessore, così che un semplice soffitto lo separava ormai dalla camera sottostante nella quale si facevano gli interrogatori, egli ascoltava tutto ciò che avveniva tra gli inquisitori e gli accusati. Gli interrogatori, preceduti sempre da una minuziosa perquisizione operata sulla persona dell'arrestato, erano presso a poco sempre gli stessi: "La signora Bonacieux vi ha dato qualcosa da portare a suo marito o a qualcun altro?" "Il signor Bonacieux vi ha dato qualcosa per sua moglie o per qualcun altro?" "L'una o l'altro vi hanno fatta qualche confidenza a voce?" "Se sapessero qualche cosa non farebbero queste domande" pensava d'Artagnan. "Ma che cosa cercavano di sapere? Se il duca di Buckingham sia a Parigi e se non abbia avuto o debba avere qualche incontro con la Regina?" D'Artagnan si fermò a questa idea, perché, dopo ciò che aveva inteso, la cosa poteva essere probabile. Frattanto la trappola era continuamente in azione e la vigilanza di d'Artagnan non aveva soste. La sera del giorno seguente a quello dell'arresto del povero signor Bonacieux, dopo che Athos lo ebbe lasciato per recarsi dal signor di Tréville, e mentre Planchet, che non aveva ancora rifatto il letto, benché fossero già suonate le nove, si metteva al lavoro, si udì bussare alla porta di strada; subito, la porta si aprì e si richiuse; qualcuno era venuto a farsi prendere in trappola. D'Artagnan si slanciò verso il punto in cui il pavimento era stato forato, si sdraiò ventre a terra e stette in ascolto. Si udirono delle grida, poi dei gemiti che qualcuno cercava di soffocare. Evidentemente, non si trattava di uno dei soliti interrogatori. "Diavolo!" si disse d'Artagnan "mi sembra una voce di donna: la frugano, resiste, le fanno violenza! Miserabili!" E d'Artagnan, nonostante la sua prudenza, doveva fare i più grandi sforzi per non intervenire nella scena che si svolgeva sotto di lui. "Vi dico che sono la padrona di casa, signori; vi dico che sono la signora Bonacieux e sono al servizio della Regina" esclamò la disgraziata donna. "La signora Bonacieux" mormorò d'Artagnan; "sarei forse così fortunato da aver trovato ciò che tutti stanno cercando?" "Aspettavamo proprio voi" ripresero gli inquisitori. La voce femminile divenne sempre più soffocata: un'agitazione tumultuosa si ripercosse nelle pareti. La vittima resisteva, come può resistere una donna a quattro uomini. "Scusate, signori, scu…" mormorò ancora la voce, poi non si intesero che suoni inarticolati. "La imbavagliano, la trascineranno via" esclamò d'Artagnan rizzandosi di scatto. "La mia spada, ah, eccola. Planchet!" "Signore?" "Corri a cercare Athos, Porthos e Aramis. L'uno dei tre sarà certamente in casa, forse saranno rincasati tutti e tre. Prendano le loro armi e vengano di corsa. Ah! ora me ne ricordo, Athos è dal signor di Tréville." "Ma che fate, signore, dove andate?" "Scendo dalla finestra" esclamò d'Artagnan "per arrivare più presto; tu rimetti a posto la piastrella, spazza il pavimento, esci dalla porta e corri dove ti ho detto." "Signore, signore, vi ucciderete!" gridò Planchet. "Sta' zitto, imbecille" disse d'Artagnan, e, attaccandosi con la mano allo sporto della finestra, si lasciò cadere dal primo piano, che fortunatamente non era molto alto, senza neppure farsi una graffiatura. Dopo di che andò subito a bussare alla porta mormorando: "A mia volta vado a farmi prendere in trappola, ma disgraziati i gatti che avranno a che fare con questo topo." Non appena il battente risonò sotto la mano vigorosa del giovanotto, il tumulto cessò, dei passi si avvicinarono, la porta si aprì e d'Artagnan, con la spada sguainata, si slanciò nell'appartamento di padron Bonacieux la cui porta, mossa cautamente da una molla, si richiuse da sé alle sue spalle. Allora, coloro che abitavano ancora la disgraziata casa di Bonacieux e i vicini più prossimi udirono alte grida, un confuso trepestìo, un cozzare di spade e un prolungato rumore di mobili. Poi, un momento dopo, coloro che, sorpresi da questi rumori, si erano affacciati alla finestra per conoscerne la causa, poterono vedere la porta riaprirsi e quattro uomini vestiti di nero uscirne o meglio involarsi come corvi spaventati, lasciando a terra e agli angoli qualche penna delle loro ali, vale a dire qualche brandello dei loro abiti e qualche pezzo dei loro mantelli. D'Artagnan aveva vinto senza troppa fatica perché uno solo degli sbirri era armato e anche questo non si era difeso che per la forma. E' vero che gli altri tre avevano cercato di accoppare il giovanotto con le sedie, i panchetti e le stoviglie; ma due o tre graffiature fatte dallo spadone del Guascone erano bastate a spaventarli. Dieci minuti erano stati più che sufficienti per sconfiggerli e d'Artagnan era rimasto padrone del campo di battaglia. I vicini, che avevano aperto le finestre, col sangue freddo peculiare ai Parigini che vivevano in quei tempi di sommosse e di risse perpetue, le richiusero non appena ebbero visto fuggire i quattro uomini neri: il loro istinto li avvertiva che per il momento tutto era finito. D'altra parte era ormai tardi e nel quartiere del Lussemburgo ci si coricava assai di buon'ora. D'Artagnan, rimasto solo con la signora Bonacieux, si volse verso di lei; la poveretta era caduta riversa su una poltrona ed era semisvenuta. D'Artagnan l'osservò con una rapida occhiata. Era una graziosa donnina fra i venticinque e i ventisei anni, bruna, con occhi azzurri, un naso leggermente voltato in sù, denti magnifici, un colorito misto di gigli e di rose. Qui, tuttavia, si arrestavano i segni che avrebbero potuto farla confondere con una signora. Le mani erano bianche, ma prive di finezza, i piedi non erano sicuramente quelli di una gran dama. Per fortuna, d'Artagnan non era ancora giunto a preoccuparsi di particolari di questo genere. Mentre stava esaminando la signora Bonacieux, ed era giunto ai piedi, come s'è detto, egli vide a terra un fine fazzoletto di batista; lo raccolse, secondo la sua abitudine, e in un angolo di esso scorse lo stemma e le stesse cifre del fazzoletto che per poco non era stato la causa di un duello fra lui e Aramis. Da allora d'Artagnan diffidava dei fazzoletti stemmati, rimise quindi quello che aveva raccolto nelle tasche della signora Bonacieux e non fiatò. In quel mentre la signora Bonacieux riprendeva i sensi. Aprì gli occhi, si guardò intorno con terrore e vide la camera vuota e il suo salvatore solo con lei. Sorrise e gli tese le mani. Il suo sorriso era affascinante. "Ah, signore!" disse "voi mi avete salvato! Permettetemi di ringraziarvi." "Signora" disse d'Artagnan "ho fatto soltanto ciò che al mio posto avrebbe fatto qualsiasi gentiluomo; non mi dovete dunque nessun ringraziamento." "Non è così che la penso, e spero dimostrarvi che non avete aiutato un'ingrata. Ma che cosa volevano da me quegli uomini, che lì per lì ho preso per dei ladri? E perché il signor Bonacieux non è qui?" "Signora, quegli uomini erano ben più pericolosi che dei semplici ladri, giacché si tratta di agenti del Cardinale. Quanto al signor Bonacieux, vostro marito, non è qui perché ieri è stato arrestato e portato alla Bastiglia." "Mio marito alla Bastiglia!" esclamò la signora Bonacieux. "Oh! mio Dio! che cosa ha dunque fatto? povero e caro uomo! Lui, l'innocenza in persona!" E qualche cosa di simile a un sorriso spuntò sul viso ancora spaventato della giovane donna. "Che ha fatto, signora?" ripeté d'Artagnan. "Credo che l'unico suo delitto sia quello di avere la fortuna e la sciagura d'esservi marito." "Signore, voi dunque sapete…" "So che siete stata rapita, signora." "E sapete da chi? lo sapete? Oh! se lo sapete, ditemelo." "Da un uomo fra i quaranta e quarantacinque anni, dai capelli neri, dalla carnagione bruna e con una cicatrice sulla tempia sinistra." "E' lui! E' lui! Ditemi il suo nome!" "Il suo nome? E' proprio quello che non so!" "E mio marito sapeva che ero stata rapita?" "Ne era stato avvertito da una lettera scrittagli dallo stesso rapitore." "E" chiese la signora con imbarazzo "supponeva la ragione di questo fatto?" "Lo attribuiva, credo, a motivi politici." "Anch'io temevo questo, ed ora la penso come lui. Cosicché quel caro Bonacieux, non ha dubitato di me, neppure per un attimo…" "Oh, al contrario! era troppo orgoglioso della vostra onestà e del vostro amore!" Un secondo quasi impercettibile sorriso sfiorò le rosse labbra della bella giovane. "Ma" continuò d'Artagnan "come avete potuto fuggire?" "Ho approfittato di un momento in cui mi lasciarono sola, e poiché da stamane sapevo che cosa pensare del mio rapimento, aiutandomi con le mie lenzuola, sono fuggita dalla finestra. Allora, credendo che mio marito fosse in casa, sono corsa qui." "Per mettervi sotto la sua protezione?" "Oh! no! povero caro uomo! So che è incapace di difendermi; ma siccome poteva ugualmente essermi utile per un'altra cosa, volevo prevenirlo…" "Prevenirlo di che?" "Questo non è un segreto mio e non posso quindi parlarvene." "D'altronde" disse d'Artagnan "(scusatemi, signora, se pur essendo una guardia, vi richiamo alla prudenza), d'altronde, credo che questo non sia luogo adatto per farsi delle confidenze. Gli uomini che ho fatto fuggire torneranno con un rinforzo e se ci trovano ancora qui, siamo perduti. Ho già fatto avvertire tre amici miei, ma chissà se li avranno trovati in casa!" "Oh, sì, avete ragione" esclamò la signora Bonacieux, "fuggiamo, mettiamoci in salvo!" E così dicendo, passò il suo braccio sotto quello di d'Artagnan e lo trascinò verso l'uscita. "Ma dove fuggire? dove porci in salvo?" chiese il Guascone. "Cominciamo con l'allontanarci da questa casa, poi si vedrà." E i due giovani, senza neppure chiudere la porta di casa, percorsero rapidamente via dei Fossoyeurs, via Fossés-Monsieur-le Prince e non si fermarono che a piazza San Sulpizio. "E ora, che facciamo?" chiese d'Artagnan "dove volete che vi conduca?" "Vi confesso che sono imbarazzata a rispondervi" disse la signora Bonacieux. "Volevo far avvertire, per mezzo di mio marito, il signor de La Porte e sapere da lui con precisione che cosa era successo al Louvre in questi ultimi tre giorni e se potevo recarmi là senza pericolo." "Ma io" disse d'Artagnan "io posso andare a prevenire il signor de La Porte." "Certo; ma vi è un ostacolo a ciò. Ed è che il signor Bonacieux è conosciuto al Louvre e potrebbe entrarvi, mentre voi non siete conosciuto e sarete fermato alla porta." "Già" disse d'Artagnan "ma ci sarà anche a qualche porticina del Louvre un portiere che vi sia devoto e che grazie e una parola d'ordine…" La signora Bonacieux guardò fissamente il giovanotto: "E se vi dico la parola d'ordine" disse "saprete dimenticarla non appena ve ne sarete servito?" "Sulla mia parola d'onore e in fede di gentiluomo!" esclamò d'Artagnan con un accento sulla sincerità del quale era difficile ingannarsi. "Ebbene, vi credo; avete l'aria di un bravo ragazzo, e forse la vostra fortuna può essere il premio della vostra devozione." "Tutto quanto potrò fare per difendere il Re e far cosa gradita alla Regina, lo farò senza miraggi di fortuna" disse d'Artagnan "disponete dunque di me come di un amico devoto." "Ma nel frattempo, dove mi metterete?" "Non avete nessuno presso cui rifugiarvi finché il signor de La Porte non venga a prendervi?" "No, non voglio fidarmi di nessuno." "Aspettate" disse d'Artagnan. "Siamo alla porta di Athos. Proprio così." "Chi è questo Athos?" "Uno dei miei amici." "Ma se è in casa e mi vede?" "Non è in casa; d'altronde vi chiuderò nell'appartamento e prenderò la chiave con me." "E se ritorna?" "Non tornerà. Ma in ogni caso gli diranno che ho portato con me una donna e che questa donna è in casa sua." "Tutto questo mi comprometterà terribilmente, ve ne rendete conto?" "Che ve ne importa? Non siete conosciuta e poi, noi siamo in una di quelle situazioni nelle quali bisogna passar sopra alle convenienze." "Ebbene andiamo dal vostro amico. Dove abita?" "Via Féroux, a due passi da qui." "Andiamo." E insieme ripresero la corsa. Come d'Artagnan aveva previsto, Athos non c'era: egli prese la chiave che il portiere era solito consegnargli come a un amico di casa, salì le scale e fece entrare la signora Bonacieux nel piccolo appartamento che noi già conosciamo. "Siete in casa vostra" disse; "chiudete la porta dal di dentro e non aprite a nessuno, a meno che non udiate picchiare tre colpi in questo modo" ed egli bussò tre volte: due colpi vicinissimi e forti e un colpo più spaziato dagli altri e più leggero." "Va bene" disse la signora Bonacieux "ed ora vi darò le mie istruzioni." "Ascolto." "Presentatevi alla porticina del Louvre in via della Scala e chiedete di Germano." "Bene; e poi?" "Egli vi domanderà che volete, e voi gli risponderete con queste parole: Tours e Bruxelles. Subito si porrà ai vostri ordini." "E che cosa gli ordinerò?" "Di andare a chiamare il signor de La Porte, il cameriere della Regina." "E quando sarà andato a chiamare il signor de La Porte e questo sarà venuto?" "Lo manderete qui." "Va bene; ma dove e come vi rivedrò?" "Ci tenete molto a rivedermi?" "Certo." "Ebbene, lasciate a me la cura di ciò e state tranquillo!" "Conto sulla vostra parola." "Contateci." D'Artagnan salutò la signora Bonacieux gettandole lo sguardo più innamorato che gli fu possibile di concentrare sulla sua deliziosa personcina, e mentre scendeva le scale udì chiudere la porta a doppia mandata dietro di sé. In due salti fu al Louvre; sonavano le dieci ch'egli entrava dalla porticina di via della Scala. Tutti gli avvenimenti che abbiamo narrato si erano svolti in mezz'ora. Tutto andò come aveva previsto la signora Bonacieux. Alla parola d'ordine, Germano s'inchinò; dieci minuti dopo, La Porte era nello stanzino del portinaio; in due parole il giovanotto lo mise al corrente degli avvenimenti e gli disse dov'era rifugiata la signora Bonacieux. La Porte si assicurò per due volte dell'esattezza dell'indirizzo e partì di corsa. Ma non aveva fatto dieci passi che ritornò e disse a d'Artagnan: "Giovanotto, volete un consiglio?" "Quale?" "Voi potreste avere qualche noia per ciò che è successo." "Credete?" "Certo. Avete qualche amico che abbia un orologio che ritarda?" "Perché?" "Andate da lui immediatamente, affinché possa testimoniare che alle nove e mezzo eravate da lui. I giudici chiamano ciò un alibi." D'Artagnan trovò il consiglio prudente e, volando più che correndo, andò dal signor di Tréville; ma invece di fermarsi in anticamera come tutti, chiese il permesso di entrare direttamente nel suo studio; d'Artagnan era ormai di casa, e lo lasciarono entrare senza far difficoltà. Il cameriere andò poi ad avvertire il signor di Tréville che il suo giovane compatriota, avendo qualche cosa di urgente da dirgli, sollecitava un'udienza particolare. Cinque minuti dopo, il signor di Tréville domandava a d'Artagnan che cosa potesse fare per lui e perché si presentava a ora così tarda. "Scusate signore" disse d'Artagnan che aveva approfittato del momento in cui era rimasto solo per far retrocedere l'orologio di tre quarti d'ora "ma credevo, visto che sono solamente le nove e venticinque, d'essere ancora in tempo per presentarmi a casa vostra." "Le nove e venticinque!" esclamò il signor di Tréville guardando la pendola "ma è impossibile!" "Eppure il vostro stesso orologio ne fa fede!" rispose d'Artagnan. "E' vero" disse il signor di Tréville "ma avrei giurato che fosse assai più tardi! Ebbene, ditemi che desiderate." Allora d'Artagnan raccontò al signor di Tréville una lunga storia a proposito della Regina. Gli espresse i timori che aveva concepito per Sua Maestà, gli raccontò ciò che aveva udito raccontare dei disegni del Cardinale riguardo a Buckingham, e tutto ciò con una tranquillità e una faccia tosta che convinsero tanto più il signor di Tréville, in quanto egli stesso, come si è detto, aveva notato qualche cosa di nuovo tra il Cardinale, il Re e la Regina. Sonavano le dieci quando d'Artagnan lasciò il signor di Tréville, che lo ringraziò delle sue informazioni, gli raccomandò di essere sempre pronto per il servizio del Re e della Regina e rientrò nel suo salotto. Ma giunto in fondo alle scale, d'Artagnan ricordò di aver dimenticato il bastone: risalì precipitosamente, rientrò nello studio, e con un colpetto del dito, rimise a punto l'orologio perché il giorno dopo nessuno potesse notare che era stato toccato; poi, ormai sicuro del proprio alibi, scese le scale e si trovò subito in strada.

 

 

 

 

 

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