Proemio
Avendo scritto copiosamente, e con grande sapienzia, molti
eccellenti uomini d’ingegno e di dottrina prestantissimi, del
governo delle città e delli regni, magnifici ed eccelsi Signori,
parmi cosa superflua componere altri libri di simile materia, non
essendo questo altro che multiplicare li libri, senza utilità. Ma
perché le Signorie Vostre mi richiedono, non che io scriva del
governo de’ regni e città in generali, ma che particularmente
tratti del nuovo governo della città di Firenze, quanto spetta al
grado mio, lasciando ogni allegazione e superfluità di parole e
con piú brevità che sia possibile, non posso onestamente denegare
tal cosa, essendo convenientissima al Stato vostro, e utile a
tutto el popolo, e necessaria al presente allo officio mio.
Perché, avendo io predicato molti anni per voluntà di Dio in questa vostra città, e sempre prosequitate quattro materie: cioè, sforzatomi con ogni mio ingegno di provare la fede essere vera; e di dimostrare la simplicità della vita cristiana essere somma sapienzia; e denunziare le cose future, delle quali alcune sono venute e le altre di corto hanno a venire; e, ultimo, di questo nuovo governo della vostra città: e avendo già posto in scritto le tre prime, delle quali però non abbiamo ancora pubblicato il terzo libro, intitulato Della verità profetica, resta che noi scriviamo ancora della quarta materia, acciò che tutto el mundo veda che noi predichiamo scienzia sana e concorde alla ragione naturale e alla dottrina della Chiesa.
E avvenga che mia intenzione fusse e sia di scrivere di questa
materia in lingua latina, come sono ancora stati composti da noi
li primi tre libri, e dichiarare come e quanto e quando si aspetta
a uno religioso a trattare e impacciarsi delli Stati seculari;
nientedimeno, chiedendomi le Signorie Vostre che io scriva volgare
e brevissimamente per piú commune utilità, essendo pochi quelli
che intendono il latino a comparazione delli uomini litterati, non
mi rincrescerà prima espedire questo trattatello; e dipoi, quando
poterò essere piú libero dalle occupazioni presenti, metteremo
mano al latino con quella grazia che ci concederà lo onnipotente
Dio.
Prima, adunque, brevemente tratteremo dello ottimo governo della
città di Firenze: secondo, del pessimo. Perché, avvenga che prima
bisogni escludere el male, e dipoi edificare el bene,
nientedimeno, perché el male è privazione del bene, non si poteria
intendere il male se prima non si intendessi el bene. E però è
necessario, secondo l’ordine della dottrina, trattare prima del
governo ottimo, che del pessimo. Terzio, noi dechiareremo qual sia
il fundamento da tòrre via el governo pessimo, e da fundare e fare
perfetto e conservare el presente buon governo, acciò che diventi
ottimo, in essa città di Firenze.
Che è necessario il governo nelle cose umane;
e quale sia bono, e quale sia cattivo governo.
Capitolo primo
L’onnipotente Dio, el quale regge tutto l’universo, in due modi
infunde la virtú del suo governo nelle creature. Però che nelle
creature, che non hanno intelletto e libero arbitrio, infunde
certe virtú e perfezioni, per le quali sono inclinate naturalmente
ad andare per li debiti mezzi al proprio fine, senza difetto, se
già non sono impedite da qualche cosa contraria: il che accade
rare volte. Onde tale creature non governano sé medesime, ma sono
governate e menate alli fini proprii da Dio e dalla natura data da
lui. Ma le creature, che hanno el dono dello intelletto, come è
l’uomo, sono da lui per tale modo governate, che ancora vuole che
si governino sé medesime: perché dà a loro el lume dello
intelletto, per lo quale possino cognoscere quello che li è utile
e quello che li è inutile, e la facultà del libero arbitrio da
potere eleggere liberamente quello che a loro piace. Ma perché el
lume dello intelletto è molto debile, massime nella puerizia, non
può perfettamente uno uomo reggere sé medesimo senza adiutorio
dell’altro uomo, essendo massime quasi ogni uomo particulare
insufficiente per sé medesimo, non potendo provedere solo a tutti
li suoi bisogni cosí corporali come spirituali. Onde noi vediamo
che la natura ha provisto a tutti li animali di quello che hanno
bisogno per la vita loro, cioè, di cibo, di veste e d’arme da
difendersi: e ancora, quando si infermano, per istinto naturale si
governano e corrono all’erbe medicinali; le quali cose non sono
state proviste dall’uomo; ma Dio, governatore del tutto, ha dato a
lui la ragione e lo instrumento delle mani, per le quali possa per
sé medesimo prepararsi le predette cose. E perché considerata la
fragilità del corpo umano, sono necessarie quasi infinite cose per
nutrirlo, augumentarlo e conservarlo, alla preparazione delle
quali si richiedono molte arte, le quali sería impossibile o molto
difficile che si potessino avere tutte insieme da un uomo solo, è
stato necessario che li uomini vivino insieme, acciò che uno aiuti
l’altro, dando opera alcuni a una arte e altri ad un’altra, e
faccendo insieme tutto uno corpo perfetto di tutte le scienzie e
arte.
Per la quale cosa bene è detto, che chi vive solitario, o che è
Dio, o che è una bestia; cioè, o che è tanto perfetto uomo, che è
quasi come uno Dio in terra; perché come Dio non ha bisogno di
cosa alcuna, cosí lui non ha bisogno di adiutorio di alcuno uomo,
come fu santo Giovanni Battista e santo Paulo primo eremita e
molti altri; o vero, che è come una bestia, cioè che è totalmente
privato della ragione: però non si cura di veste, né di case, né
di cibi cotti e preparati, né di conversazione di uomini, ma va
seguitando lo instinto della parte sensitiva, rimossa da sé ogni
ragione. Perché dunque si truovono pochissimi uomini che siano o
di tanta perfezione o di tanta bestialità, eccetti questi, tutti
gli altri sono constretti a vivere in compagnia, o in città, o in
castelle, o in ville, o in altri luoghi.
Ora, essendo la generazione umana molto prona al male, e massime
quando è senza legge e senza timore, è stato necessario trovare la
legge, per refrenare l’audacia delli cattivi uomini, acciò che
quelli che vogliono vivere bene siano sicuri, massime perché non è
animale piú cattivo dell’uomo che è senza legge. Onde noi vediamo
l’uomo goloso essere piú avido e piú insaciabile incomparabilmente
di tutti li altri animali, non li bastando tutti li cibi, né tutti
li modi di cuocerli, che si truovano nel mondo, e cercando non di
satisfare alla natura, ma al suo sfrenato desiderio. E similmente
supera tutti li animali nella bestialità della lussuria, però che
non serva, come le bestie, né tempi né modi debiti, anzi fa cose
che a pensarle, anzi a udirle, sono abbominevoli, le quali né fa
né si imagina di fare bestia alcuna. Nella crudeltà ancora li
supera, perché non fanno le bestie cosí crudeli guerre insieme,
massime quelle che sono d’una medesima specie, come fanno li
uomini, li quali etiam truovano diverse arme da offendersi, e
diversi modi da martoriarsi e ammazzarsi. Oltre a queste cose,
nelli uomini poi è la superbia, ambizione e invidia: dalle quali
ne seguita tra loro dissensione e guerre intollerabili. E però,
essendo li uomini necessitati a vivere in congregazione delli
altri, volendo vivere in pace, è bisognato trovare le leggie, per
le quali li cattivi siano puniti e li buoni premiati.
Ma perché non appartiene a fare leggie se non a chi è superiore, e
non si possono fare osservare se non da chi ha potestà sopra li
altri uomini, è stato necessario constituire chi abbia cura del
ben commune e chi abbia potestà sopra li altri. Perché, cercando
ogni uomo particulare il proprio bene, se qualcuno non avessi cura
del ben commune, non poteria stare la conversazione umana e tutto
el mondo anderia in confusione. Alcuni uomini dunque convenneno
insieme di constituire un solo, che avessi cura del ben commune,
al quale ognuno obedisse; e tale governo fu dimandato regno, e re
colui che ’l governava. Alcuni altri, o per non potere convenire
in uno, o per parergli meglio cosí, convenneno nelli principali e
migliori e piú prudenti della communità, volendo che tali
governassino, distribuendo tra loro li magistrati in diversi
tempi; e questo fu domandato governo delli ottimati. Altri volseno
ch’el governo rimanesse nelle mani di tutto el popolo, el quale
avesse a distribuire li magistrati a chi li paresse, in diversi
tempi; e questo fu chiamato governo civile, perché appartiene a
tutti li cittadini.
Essendo adunque el governo della communità trovato per avere cura
del ben commune, acciò che li uomini possino vivere insieme
pacificamente e darsi alle virtú e conseguitare piú facilmente la
felicità eterna, quello governo è bono, el quale con ogni
diligenzia cerca di mantenere e accrescere il ben commune e
inducere li uomini alle virtú e al ben vivere, e massime al culto
divino; e quello governo è cattivo, che lascia el ben commune e
attende al suo bene particulare, non curando delle virtú delli
uomini, né del ben vivere, se non quanto è utile al suo bene
particulare: e tale governo si chiama tirannico. Sí che abbiamo
vista la necessità del governo nelli uomini, e quale è buono, e
quale è cattivo governo in generali.
Che, avvenga che il governo di uno, quando è buono, sia di
sua natura ottimo, non è però buono a ogni communità.
Capitolo secondo
Essendo dunque quel governo buono, che ha cura del ben commune
cosí spirituale come temporale, o sia amministrato per uno solo, o
per li principali del popolo, o per tutto el popolo, è da sapere
che, parlando assolutamente, el governo civile è buono, e quello
degli ottimati è migliore, e quello de’ re è ottimo. Perché
essendo la unione e pace del popolo el fine del governo, molto
meglio si fa e conserva questa unione e questa pace per uno che
per piú, e meglio per pochi che per la moltitudine; perché quando
tutti li uomini di una communità hanno a risguardare ad uno solo e
quello obedire, non si distragono in parte, ma tutti si
constringono nello amore o nel timore di quello. Ma quando sono
piú, chi risguarda a uno e chi ad un altro, e a chi piace uno e a
chi piace o dispiace un altro; e non rimane el popolo cosí bene
unito come quando uno solo regna; e tanto meno rimane unito,
quanto sono piú quelli che governano. Item, la virtú unita è piú
forte che la dispersa: onde el fuoco ha piú forza quando ha unite
e constrette insieme le sue parti, che quando le sono sparse e
dilatate.
Conciosia, adunque, che la virtú del governo sia piú unita e
constretta in uno che in piú, seguita che di sua natura el governo
di uno, quando è buono, sia migliore e piú efficace degli altri.
Item, essendo el governo del mondo e della natura ottimo governo,
e seguitando l’arte la natura, quanto piú el governo delle cose
umane si assomiglia al governo del mondo e della natura, tanto piú
è perfetto. Conciosia, adunque, ch’el mondo sia governato da uno,
che è Dio, e tutte le cose naturali, nelle quali si vede qualche
governo, siano governate per uno (come le ape per uno re, e le
potenzie della anima per la ragione, e li membri del corpo per il
core, e simile è nell’altre che hanno governo), seguita che quello
governo delle cose umane, che si amministra per uno governatore,
di sua natura sia ottimo tra tutti li governi. Onde el nostro
Salvatore, volendo mettere nella Chiesa sua ottimo governo, fece
Pietro capo di tutti li fideli, e in ogni diocesi, anzi in ogni
parrocchia e monasterio, volse che si governassi per uno, e che
finalmente tutti li capi minori fussino sotto un capo, vicario
suo.
Sí che, assolutamente parlando, el governo di uno, quando è buono,
supera tutti li altri boni governi; e sería da instituire tale
governo in ogni communità, s’el si potesse: cioè, che tutto el
populo concordemente facesse uno principe buono e iusto e
prudente, al quale ognuno avessi a obedire. Ma è da notare, che
questo non è buono, né si può, né si debbe attentare in ogni
communità, perché molte volte accade che quello che è ottimo
assolutamente non sia buono, anzi sia malo in qualche luogo o a
qualche persona, come è il stato della perfezione della vita
spirituale, cioè il stato religioso, il quale in sé è ottimo
stato, e nientedimeno non è da imponere tale stato a tutti li
Cristiani; né tal cosa si debbe attentare, né sería buona, perché
molti non la poteriano portare e fariano scissura nella Chiesa,
come dice il nostro Salvatore nello Evangelio: “Niuno cuce il
panno nuovo al vecchio, altrimenti si romperia il vecchio e
fariasi maggiore scissura; e niuno mette il vino nelli utri
vecchi, altrimenti si romperiano li utri e spargeriasi il vino”.
Onde noi vediamo ancora che qualche cibo in sé è buono e ottimo,
che a qualcuno, se lo mangiassi, sería veneno; e un’aria, in sé
perfetta, è cattiva a qualche complessione. Cosí etiam il governo
di uno in sé è ottimo, il quale però a qualche popolo inclinato
alla dissensione sería cattivo e pessimo, perché spesso accaderia
la persecuzione e morte del principe, dalla quale ne resulteria
infiniti mali nella communità; perché morto el principe, el popolo
si dividerebbe in parte, e ne seguiteria la guerra civile,
faccendosi diversi capi: tra li quali quello che superassi li
altri, diventeria tiranno, e finalmente guasteria tutto il bene
della città, come dimosterremo di sotto. E se in tale popolo el
principe si volessi assicurare e stabilirsi, sería necessario che
lui diventassi tiranno e che scacciassi li potenti, e togliessi la
roba alli ricchi, e aggravassi il popolo con molte angarie;
altrimenti non si poteria mai assicurare.
Sono dunque alcuni popoli, la natura delli quali è tale, che non
può tollerare il governo di uno senza grandi e intollerabili
inconvenienti: come la complessione e consuetudine di alcuni
uomini, usi a stare all’aria e nelli campi, è tale che, che li
volessi fare stare nelle buone e calde camere, con buone veste e
cibi delicati, li faria subito infirmare e morire. E però li
uomini savi e prudenti, li quali hanno a instituire qualche
governo, prima considerano la natura del popolo; e se la natura
sua o consuetudine è tale, che facilmente possa pigliare il
governo di uno, questo innanzi alli altri instituiscono; ma se
questo governo non li convenissi, si sforzano di darli el secondo,
delli ottimati. E se questo ancora non lo potessi patire, li dànno
el governo civile, con quelle legge che alla natura di tale popolo
si convengano. Ora vediamo quale di questi tre buoni governi piú
conviene al popolo fiorentino.
Che il governo civile è ottimo in la città di Firenze.
Capitolo terzio
Non si può dubitare (chi considera diligentemente quello che noi
abbiamo detto) che, s’el popolo fiorentino patisse il governo di
uno, sería da instituire in lui uno principe, non un tiranno, el
quale fussi prudente, iusto e buono. Ma se noi esaminiamo bene le
sentenzie e ragioni delli sapienti, cosí filosofi naturali come
teologi, cognosceremo chiaramente che, considerata la natura di
questo popolo, non li conviene tale governo. Però che dicono tale
governo convenirsi alli popoli che sono di natura servile, come
sono quelli che mancano di sangue, o di ingegno, o dell’uno o
dell’altro: però che, avvenga che quelli che abundano di sangue e
son forti di corpi siano audaci nelle guerre, nientedimeno,
mancando di ingegno, è facil cosa farli stare subietti a un
principe; perché contra di lui non son facili a machinare insidie
per la debilità dello ingegno, anzi lo seguitano come fanno l’ape
il suo re, come si vede nelli popoli aquilonari; e quelli che
hanno ingegno, ma mancan di sangue, essendo pusillanimi, si
lascian facilmente sottomettere a un solo principe, e quietamente
vivano sotto quello, come son li popoli orientali, e molto piú
quando mancassino in l’una e l’altra parte. Ma li popoli che sono
ingegnosi e abundano di sangue e sono audaci, non si possono
facilmente reggere da uno, se lui non li tiranneggia; perché
continuamente, per lo ingegno, vanno machinando insidie contra el
principe, e per la loro audacia facilmente le mettono in
esecuzione, come si è visto sempre nella Italia, la quale
sappiamo, per la esperienzia dei tempi passati insino al presente,
che non ha mai potuto durare sotto el reggimento di uno principe:
anzi vediamo che, essendo piccola provincia, è divisa quasi in
tanti principi quante sono le città, le quali non stanno quasi mai
in pace.
Essendo dunque el popolo fiorentino ingegniosissimo tra tutti li
popoli di Italia, e sagacissimo nelle sue imprese, ancora è
animoso e audace, come si è visto per esperienzia molte volte;
perché avvenga che sia dedito alle mercanzie e para quieto popolo,
nientedimeno, quando comincia qualche impresa o di guerra civile o
contra li nimici esterni, è molto terribile e animoso, come si
legge nelle cronice delle guerre che ha fatte contra diversi
grandi principi e tiranni, alli quali non ha mai voluto cedere,
anzi finalmente si è difeso e ha riportata vittoria. La natura
dunque di questo popolo non è da sopportare el governo di uno
principe, etiam che fussi buono e perfetto; perché essendo sempre
piú li cattivi che li buoni, per la sagacità e animosità de’
cittadini cattivi o che saria tradito e morto (essendo loro
massimamente inclinati alla ambizione), o che bisogneria che
diventassi tiranno. E, se piú diligentemente consideriamo,
intenderemo che non solum non conviene a questo popolo el governo
di uno, ma ancora non li conviene quello delli ottimati, perché la
consuetudine è un’altra natura; però che, come la natura è
inclinata a uno modo e non si può cavare di quello, come la pietra
è inclinata a descendere e non si può fare salire se non per
forza, cosí la consuetudine si converte in natura, ed è molto
difficile e quasi impossibile cavare li uomini, e massime li
popoli, delle loro consuetudine, etiam male, perché tali
consuetudini sono fatte a loro naturale.
Ora el popolo fiorentino, avendo preso antiquamente el reggimento
civile, ha in questo fatto tanta consuetudine, che, oltre che a
lui questo è piú naturale e conveniente di ogni altro governo,
ancora per la consuetudine è tanto impresso nella mente de’
cittadini, che saria difficile e quasi impossibile a rimuoverli da
tale governo. E avvenga che siano già molti anni governati da
tiranni, nientedimeno quelli cittadini, che si usurpavano el
principato in questo tempo, non tiranneggiavano per tal modo che
liberamente si pigliassino la signoria del tutto, ma con grande
astuzia governavano el popolo, non lo cavando del suo naturale e
della sua consuetudine: onde lasciavano la forma del governo nella
città e li magistrati ordinarii, avendo però l’occhio, che in tali
magistrati non entrassi se non chi era suo amico. E però, essendo
rimasa la forma del governo civile nel popolo, è tanto a lui fatta
naturale, che, a volerla alterare e dare altra forma di governo,
non è altro che fare contra al suo naturale e contra la antiqua
consuetudine; la qual cosa genereria tale turbazione e dissensione
in questa communità, che la metteria a pericolo di farli perdere
tutta la libertà: e questo molto meglio dichiara la esperienzia,
che è maestra delle arti. Però che, ogni volta che nella città di
Firenze è stato occupato il governo dalli principali, sempre è
stata in gran divisione, e mai se è quietata insino che una parte
non ha scacciata l’altra e che uno cittadino non è fatto tiranno;
el quale, poi che è stato fatto, ha per tale modo usurpata la
libertà e il ben commune, che li animi del popolo sono sempre
stati malcontenti e inquieti; e se fu divisa e piena di discordia
nelli tempi passati per la ambizione e per li odii delli
principali cittadini, massimamente sería al presente, se Dio non
li avessi per sua grazia e misericordia provisto, essendo
ritornati li cittadini, li quali furno scacciati in diversi tempi
da chi ha governato, massime dal ’34 in qua; ed essendosi in lei
in questo tempo nutriti molti odii, per le iniurie fatte a diverse
case e parentadi, per li quali, se Dio non li avessi posto la
mano, si saria sparso di molto sangue e disfatte molte case e
sequitate discordie e guerre civili cosí dentro come di fuori. Ed
essendo state le cose che sono state per la venuta del Re di
Francia, non è dubbio ad alcuno, che si è trovato in essa città in
questi tempi e ha qualche iudicio, che questa era l’ultima sua
destruzione; ma il consiglio e governo civile, il quale fu in lei
fundato non da uomini, ma da Dio, è stato instrumento della virtú
divina, mediante le orazioni delli buoni uomini e donne, che si
truovano in lei, a mantenerla nella sua libertà. E certo, chi non
ha totalmente per li suoi peccati perso el iudicio naturale,
considerando in quanti periculi è stata da tre anni in qua, non
può negare che non sia stata governata e conservata da Dio.
Dunque concludiamo che, sí per la autorità divina, dalla quale è
proceduto il presente governo civile, sí per le ragioni
precedenti, nella città di Firenze il governo civile è ottimo,
benché in sé non sia ottimo; e il governo di uno, benché in sé sia
ottimo, non è però buono, non che ottimo al popolo fiorentino;
come el stato della perfezione della vita spirituale è ottimo in
sé benché non sia ottimo né buono a molti fideli Cristiani, alli
quali è ottimo qualche altro stato di vita, il quale in sé non è
ottimo. Abbiamo dunque dichiarato el primo punto, cioè quale sia
el governo ottimo della città di Firenze: ora è tempo di
dichiarare el secondo, cioè, quale sia el pessimo governo in lei.
Che il governo di uno, quando è cattivo, sia pessimo,
massime di quello che, di cittadino, è fatto tiranno.
Capitolo primo
Come el regno di uno, quando è buono, è ottimo tra tutti li
governi, cosí ancora è piú stabile, e non cosí facilmente si
converte in tirannide, come il regno di piú: però che, quanto piú
si dilata el governo, tanto diventa piú facile a generare
discordie. Nientedimeno, come è perfetto e piú stabile quando è
buono, cosí, quando è iniusto e cattivo, è pessimo di sua natura
tra tutti li cattivi governi. Prima, perché, come il male è
contrario al bene, cosí el pessimo è contrario allo ottimo:
essendo dunque il governo di uno ottimo quando è buono, seguita
che sia pessimo quando è cattivo. Item, come abbiamo detto, la
virtú unita è piú forte che quando ella è dispersa: quando dunque
regna uno tiranno, la virtú di tale cattivo governo è unita in
uno; e perché son sempre piú li cattivi che li buoni e ogni simile
ama il suo simile, tutti li cattivi uomini cercan di unirsi a lui,
massime quelli che desiderano di essere premiati e onorati, e
molti ancora si uniscono per timore; e quelli uomini che in tutto
non sono pravi, ma pure amano le cose terrene, o per timore, o per
amore di quello che desiderano, li fanno coda; e quelli che sono
buoni, ma non in tutto perfetti, per timore seguitano, e non hanno
ardire di resistere; e trovandosi pochi uomini perfetti, anzi
quasi niuno, tutta la virtú del governo si unisce in uno. E però,
essendo quello uno cattivo e iniusto, conduce ogni male a
perfezione e facilmente deprava ogni cosa buona. Ma quando sono
piú cattivi che regnano, uno impedisce l’altro; essendo la virtú
del regno sparsa in piú, non hanno tanta forza a fare quel male
che desiderano quanta ha uno tiranno solo. Item, tanto uno governo
è piú cattivo, quanto piú si parte dal ben commune, perché essendo
il ben commune fine di ogni buono governo, quanto piú si accosta a
quello, tanto piú è perfetto; e quanto piú si allonga da quello,
tanto è piú imperfetto: perché ogni cosa acquista la sua
perfezione per accostarsi al suo fine e, discostandosi da quello,
diventa imperfetta.
Ma certa cosa è, ch’el governo cattivo di molti si discosta manco
dal bene commune, che quello di uno; perché avvenga che quelli piú
si usurpino el bene commune e lo dividino tra loro, cioè l’entrate
e le dignitate, nientedimeno, rimanendo in piú persone, in qualche
modo tal bene rimane commune. Ma quando tutto el ben commune si
risolve in uno, non rimane in parte alcuna commune, anzi diventa
tutto particulare; e però il cattivo governo di uno, tra li altri
governi, è pessimo, perché si parte piú dal ben commune ed è piú
destruttivo di quello. Item, queste ragioni aiuta la diuturnità,
perché il governo di uno di sua natura è piú stabile che quello di
piú, e non si può (benché sia cattivo) cosí facilmente impedire e
spegnere, come quello di piú; perché li membri vanno drieto al
capo, e con gran difficultà insurgono contra il capo. E nel
governo del tiranno è molto difficile a fare uno capo contra di
lui: però che lui sempre vigila a spegnere li uomini che poteriano
fare capo, ed è sollecito a fare che li sudditi non possino fare
ragunate, e sempre sta vigilante in queste cose. Ma, quando piú
persone governano, è piú facil cosa a tôr via il loro cattivo
governo, perché si può piú facilmente congregare li uomini buoni
con chi va bene, e mettere dissensione tra li cattivi, acciò che
non si unischino insieme: il che è facile, perché ciascheduno di
loro cerca il bene proprio, per el quale presto tra loro nasce
discordia. E però il cattivo governo di uno, quanto a questa
parte, è ancora piggiore delli altri, perché è piú difficil cosa
impedirlo e spegnerlo.
Bisogna però notare che, avvenga che di sua natura il cattivo
governo di uno sia pessimo, nientedimeno qualche volta accadono
piú grandi inconvenienti nel cattivo governo di piú che in quello
di uno, massime nel fine; perché, quando el governo di piú è
cattivo, incontinente è diviso in piú parti, e cosí si comincia a
dilacerare il ben commune e la pace, e finalmente, se non si
rimedia, bisogna che una parte rimanga superiore e scacci l’altra.
Dalla qual cosa ne seguita infiniti mali, e temporali, e
corporali, e spirituali: tra’ quali el massimo è che il governo di
piú si risolve in uno, perché quello, che ha piú favore nel
popolo, diventa, di cittadino, tiranno. E avvenga che il governo
di uno, quando è cattivo (come abbiamo detto) sia pessimo,
nientedimeno è grande differenzia dal governo di colui che è
diventato, di naturale e vero signore, tiranno, e dal governo di
colui che, di cittadino, è diventato tiranno, perché da questo ne
seguita molto piú inconvenienti che dal primo; però che, se lui
vuole regnare, li bisogna spegnere, o per morte, o per esilio, o
per altri modi, li cittadini, non solamente suoi avversarii, ma
tutti quelli che li sono equali o di nobiltà, o di ricchezze, o di
fama; e tôrsi dinanzi dagli occhi tutti quelli che li possono dare
noia: dalla qual cosa ne seguirà infiniti mali. Ma questo non
accade in quello che sia stato signore naturale, perché non ha
alcuno che li sia equale, e li cittadini, essendo usi ad essere
subietti, non vanno macchinando cosa alcuna contra il stato suo:
onde lui non vive in quelle suspizioni nelle quale vive il
cittadino fatto tiranno.
E perché nelli popoli, che hanno governo di ottimati o governo
civile, è facile, per le discordie delli uomini che occorrono ogni
giorno e per la moltitudine delli cattivi e susurroni e maledici,
fare divisione e incorrere nel governo tirannico, debbeno tali
popoli con ogni studio e diligenzia provedere con fortissime legge
e severe, che non si possi fare tiranno alcuno, punendo di estrema
punizione non solamente chi ne ragionasse, ma etiam chi tal cosa
accennasse; e in ogni altro peccato avere compassione a uomo, ma
in questo non li avere compassione alcuna, eccetto che l’anima si
debbe sempre aiutare: onde non si debbe minuire pena alcuna, anzi
accrescerla per dare esemplo a tutti, acciò che ognuno si guardi,
non dico di accennare tal cosa, ma etiam di pensarla. E chi in
questo è compassionevole, o negligente a punire, pecca
gravissimamente appresso a Dio, perché dà principio al tiranno,
dal cui governo ne seguitano infiniti mali, come dimonsterremo di
sotto; perché, quando li cattivi uomini vedeno che le punizioni
sono leggieri, pigliano ardire, e a poco a poco si conduce la
tirannia, come la gocciola della acqua a poco a poco cava la
petra. Colui dunque, che non ha punito tal peccato gravemente, è
causa di tutti li mali che seguitano della tirannia di tali
cittadini; e però debbe ogni popolo, che si governa civilmente,
piú tosto sopportare ogni altro male e inconveniente che
seguitassi dal governo civile, quando è imperfetto, che lasciare
surgere uno tiranno. E perché ognuno intenda meglio quanto male
seguita dal governo del tiranno, benché altra volta ne abbiamo
predicato, nondimeno, a maggiore intelligenzia, lo descriverremo
nel sequente capitolo, quanto alle cose principali: perché volere
dire tutti li suoi mancamenti, e abusione, e gravi peccati, e
quelli mali seguitano da lui, sería impossibile, essendo infiniti.
Della malizia e pessime condizioni del tiranno
Capitolo secondo
Tiranno è nome di uomo di mala vita, e pessimo tra tutti gli altri
uomini, che per forza sopra tutti vuole regnare, massime quello
che di cittadino è fatto tiranno. Perché, prima, è necessario dire
che sia superbo, volendo esaltarsi sopra li suoi equali, anzi
sopra li migliori di sé e quelli a’ quali piú tosto meriteria di
essere subietto: e però è invidioso, e sempre si contrista della
gloria delli altri uomini, e massime delli cittadini della sua
città; e non può patire di udire laudare altri, benché molte volte
dissimuli e oda con cruciato di core; e si allegra delle ignominie
del prossimo per tal modo, che vorria che ogni uomo fussi
vituperato, acciò che lui solo restassi glorioso. E per le gran
fantasie e tristizie e timori, che sempre lo rodono dentro, cerca
delettazioni come medicine delle sue afflizioni: e però si truova
rare volte, o non forse mai, tiranno che non sia lussurioso e
dedito alle delettazioni della carne. E perché non si può
mantenere in stato, né dare li piaceri che desidera, senza
moltitudine di danari, seguita che inordinatamente appetisca la
roba: onde ogni tiranno, quanto a questo, è avaro e ladro, però
che non solamente ruba el principato, che è di tutto el popolo, ma
ancora si usurpa quello che è del commune, oltra le cose che
appetisce e toglie delli particulari cittadini con cautele e vie
occulte, e qualche volta manifeste. E da questo seguita, ch’el
tiranno abbia virtualmente tutti li peccati del mondo.
Prima, perché ha la superbia, lussuria e avarizia, che sono le
radice di tutti li mali. Secondo, perché avendo posto el suo fine
nel stato che tiene, non è cosa che non faccia per mantenerlo; e
però non è male che lui non sia apparecchiato a fare, quando fusse
al proposito del stato, come la esperienzia dimostra, chè non
perdona il tiranno a cosa alcuna per mantenersi in stato; e però
ha in proposito, o in abito, tutti li peccati del mondo. Terzio,
perché dal suo perverso governo ne seguitano tutti li peccati nel
popolo; e però lui è debitore di tutti, come se lui li avessi
fatti: onde seguita che ogni parte dell’anima sua sia depravata.
La memoria sua sempre si ricorda delle iniurie, e cerca di
vendicarsi, e dimenticasi presto li beneficii delli amici; lo
intelletto sempre adopera a machinare fraude e inganni e altri
mali; la voluntà è piena di odii e perversi desiderii, la
imaginazione di false e cattive representazioni; e tutti li sensi
esteriori adopera male o in proprie concupiscenzie, o in
detrimento e derisione del prossimo, perché è pieno di ira e di
sdegno. E questo a lui interviene, perché ha posto el fine suo in
tale stato, che è difficile, anzi impossibile a mantenerlo
longamente; però che niuno violento è perpetuo: onde, cercando di
mantenere per forza quello che per sé rovina, bisogna che sia
molto vigilante.
Ed essendo el fine cattivo, ogni cosa a lui ordinata bisogna che
sia cattiva; e però non può mai pensare il tiranno, né ricordarsi,
né imaginarsi, né fare se non cose cattive; e se pure ne fa
qualcuna buona, non la fa per far bene, ma per acquistare fama e
farsi amici, per potersi meglio mantenere in quello perverso
stato: onde è come el diavolo, re delli superbi, che mai non pensa
altro che male; e se pure dice qualche verità e fa qualche cosa
che ha specie di bene, tutto ordina a cattivo fine, e massime alla
sua gran superbia. Cosí el tiranno tutti li beni che fa, ordina
alla sua superbia, nella quale per ogni modo e via cerca di
conservarsi: e però quanto il tiranno di fuori si dimonstra piú
constumato, tanto piú è astuto e piú cattivo e amaestrato da
maggiore e piú sagace diavolo, el quale si transfigura nello
angelo della luce per dare maggiore colpo.
Ancora, el tiranno è pessimo quanto al governo, circa al quale
principalmente attende a tre cose. Prima, che li sudditi non
intendino cosa alcuna del governo, o pochissime e di poca
importanzia, perché non si cognoschino le sue malizie. Secundo,
cerca di mettere discordia tra li cittadini, non solamente nelle
città, ma etiam nelle castelle e ville e case, e tra li suoi
ministri, ed etiam tra li consiglieri e familiari suoi; perché
cosí come il regno di uno vero e iusto re si conserva per la
amicizia delli sudditi, cosí la tirannia si conserva per la
discordia delli uomini, però che il tiranno favorisce una delle
parti, la quale tiene l’altra bassa e fa forte el tiranno. Terzio,
cerca sempre di abbassare li potenti, per assicurarsi; e però
amazza o fa male capitare li uomini eccellenti, o di roba, o di
nobilità, o d’ingegno, o di altre virtú; e li uomini savii tiene
senza reputazione, e fagli schernire per tôrgli la fama, acciò che
non siano seguitati: non vuole avere per compagni li cittadini, ma
per servi: proibisce le congregazioni e ragunate, acciò che li
uomini non facciano amicizia insieme, per paura che non facessino
coniura contra di lui; e si sforza di fare che li cittadini siano
insieme piú salvatichi che si può, conturbando le amicizie loro, e
dissolvendo li matrimonii e parentadi, volendoli fare a suo modo,
e, dipoi che sono fatti, cerca di mettere discordia tra li
parenti, e ha li esploratori e le spie in ogni loco, che li
referiscono ciò che si fa o che si dice, cosí maschi come femine,
cosí preti e relligiosi come seculari: onde fa che la sua donna e
le figliuole, o sorelle e parente, abbino amicizia e conversino
con le altre donne, acciò che cavino li secreti delli cittadini da
loro e tutto quello che fanno o dicono in casa.
Studia di fare ch’el popolo sia occupato circa le cose necessarie
alla vita; e però, quanto può, lo tiene magro con gravezze e
gabelle. E molte volte, massime in tempo di abondanzia e quiete,
lo occupa in spettaculi e feste, acciò che pensi a sé e non a lui:
e che similmente li cittadini pensino al governo della casa
propria, e non si occupino nelli secreti dello Stato, acciò che
siano inesperti e imprudenti nel governo della città, e che lui
solo rimanga governatore, e para piú prudente di tutti. Onora li
adulatori, acciò che ognuno si sforzi di adularlo e di essere con
lui; e ha in odio chi dice la verità, perché non vuole che li sia
repugnato; e però ha a sdegno li uomini liberi nel parlare e non
li vuole appresso di sé. Non fa conviti molto con li suoi
cittadini, ma piú tosto con li estranei. E tiene le amicizie de’
signori e gran maestri forestieri, perché li cittadini reputa suoi
avversarii e di loro ha sempre paura; e però cerca di fortificarsi
contra di loro con li forestieri. Nel governo suo vuole essere
occulto, dimonstrando di fuora di non governare, e dicendo e
faccendo dire alli complici suoi, che lui non vuole alterare el
governo della città, ma conservarlo; onde cerca di essere
dimandato conservatore del bene commune, e dimonstrasi mansueto
ancora nelle cose minime, dando qualche volta audienzia a
fanciulli e fanciulle, o a persone povere, e difendendole molte
altre volte etiam dalle minime iniurie. E di tutti li onori e
dignità, che si distribuiscono alli cittadini, lui se ne monstra
autore, e cerca che ognuno le ricognosca da lui; ma le punizioni
di quelli che errano, o che sono incolpati dalli suoi complici per
abbassarli, o farli mal capitare, le attribuisce alli magistrati,
e si escusa di non potere aiutarli, per acquistare fama e
benivolenzia nel popolo e per fare che quelli, che sono nelli
magistrati, sieno odiati da quelli che non intendono le sue
fraude.
Similmente cerca di apparire relligioso e dedito al culto divino;
ma fa solamente certe cose esteriori, come andare alle chiese,
fare certe elimosine, edificare templi e cappelle, o fare
paramenti, e simile altre cose, per ostentazione. Conversa etiam
con relligiosi, e simulatamente si confessa da chi è veramente
religioso, per parere di essere assoluto; ma, dall’altra parte,
guasta la relligione, usurpando li beneficii e dandoli alli suoi
satelliti e complici, e cercandoli per li suoi figliuoli; e cosí
si usurpa li beni temporali e spirituali. Non vuole che alcuno
cittadino faccia alcuna cosa eccellente, come maggiori palagi, o
conviti, o chiese, o maggiori opere nel governo o nelle guerre di
lui, per parer lui solo singulare. E molte volte abbassa
occultamente li uomini grandi, e, poi che li ha abbassati, li
esalta manifestamente ancora piú che prima, acciò che loro si
reputino obligati a lui, e che el popolo lo reputi clemente e
magnanimo, per acquistare piú favore.
Non lascia fare iustizia alli iudici ordinarii, per favorire e per
amazzare o abbassare chi piace a lui. Usurpasi li denari del
commune, e truova nuovi modi di gravezze e angherie, per
congregare pecunia; della quale nutrisce li suoi satelliti, e con
essa conduce al soldo principi e altri caporali, molte volte senza
bisogno della communità, per dare loro qualche guadagno e farseli
amici, e per potere piú onestamente aggravare el popolo, dicendo
che bisogna pagare li soldati. E per questa cagione ancora muove e
fa muovere guerre senza utilità, cioè che per quelle non cerca né
vuole vittoria, né pigliare le cose d’altri, ma solamente lo fa
per tenere il popolo magro e per stabilirsi meglio nel stato suo.
Ancora delle pecunie del commune molte volte edifica palazzi
grandi e templi, e le arme sue appicca per tutto: e nutrisce
cantori e cantatrice, perché cerca di essere solo glorioso. A’
suoi allevati, che sono di bassa condizione, dà la figliuole delli
cittadini nobili per donne, per abbassare e tôrre la reputazione
a’ nobili ed esaltare tale persone vile, le quali sa che li
saranno fidele, perché non hanno generosità d’animo, ma hanno
bisogno di lui, essendo communemente tali persone superbe, e
reputando tale amicizia essere grande beatitudine. Li presenti
riceve volentieri, per congregare roba, e però rare volte presenta
li cittadini, ma piú tosto li principi e li forestieri, per
farsegli amici. E quando vede qualche cosa di uno cittadino, che
li piaccia, la lauda e guarda, e fa tali gesti, che dimostra di
volerla, acciò che quel tale o per vergogna o per paura gliele
doni; e ha appresso di sé li adulatori, che eccitano quel
tale ed esortano a fargliene un presente: e molte volte le cose
che li piacciono se le fa prestare, e poi non le rende mai.
Spoglia le vedove e pupilli, fingendo di volerli difendere; e
toglie le possessioni e campi e case ai poveri per fare parchi, o
pianure, o palazzi, o altre cose da darsi piacere, promettendo di
pagarli el giusto prezzo, e poi non ne paga la metà. Non rende
ancora la mercede a chi li serve in casa, come merita, volendo che
ognuno abbia di grazia a servirlo. Li suoi satelliti cerca di
pagarli della roba d’altri, dando loro officii o beneficii, che
non meritano, e togliendo ad altri li officii della città e
dandogli a loro. E se qualche mercatante ha grande credito, cerca
di farlo fallire, acciò che niuno abbia credito come lui.
Esalta li cattivi uomini, li quali senza la sua protezione seriano
puniti dalla iustizia, acciò che lo difendino, difendendo in
questo modo ancora sé medesimi: e se pure esalta qualche uomo
savio e buono, lo fa per dimonstrare al popolo che è amatore delle
virtú: nientedimeno a tali savii e buoni sempre tiene l’occhio
adosso, e non si fida di loro, e però li tiene per tale modo, che
non li possino nuocere.
Chi non lo corteggia e chi non si presenta alla casa sua o quando
è in piazza, è notato per inimico; e ha li suoi satelliti in ogni
luogo, che vanno sviando li giovani e provocandogli al male, etiam
contra li padri proprii, e conducongli a lui, cercando di
implicare tutti li giovani della terra nelli suoi malvagi consigli
e farli inimici a tutti quelli che lui reputa suoi avversarii,
etiam al padre proprio; e si sforza di farli consumare la roba in
conviti e in altre voluttà, acciò che diventino poveri, e lui solo
rimanga ricco.
Non si può fare officiale alcuno, che lui non voglia sapere, anzi,
che lui non voglia fare; e insino alli cuochi del palazzo e
famigli de’ magistrati non vuole che senza suo consentimento si
faccino. Esalta nelli officii molte volte il minore fratello, o el
minore della casa, o che sia di manco virtú e bontà, per esaltare
li maggiori e migliori ad invidia e odio, e mettere tra loro
discordia. Non si può dare sentenza né lodo, né fare alcuna pace,
senza lui, perché lui sempre cerca di favorire una parte e
abbassare l’altra, che non è cosí secondo la sua voluntà.
Tutte le buone legge cerca con astuzia di corrompere, perché sono
contrarie al suo governo iniusto; e fa continuamente nuove legge a
suo proposito. In tutti li magistrati e officii, cosí dentro della
città come di fuori, ha chi vigila, e chi referisce ciò che si fa
e dice, e chi dà legge da sua parte a tali officiali come hanno a
fare: onde lui è il refugio di tutti li uomini scelerati e lo
esterminio delli iusti. Ed è sommamente vendicativo, in tanto che
etiam le minime iniurie cerca con grande crudelità di vindicare,
per dare timore alli altri, perché lui ha paura di ognuno.
E chi sparla di lui, bisogna che si asconda, perché lo perseguita
etiam insino nelle estreme parti del mondo; e con tradimenti, o
con veneni, o altri modi, fa le sue vendette, ed è grande omicida,
perché desidera sempre di rimovere li ostaculi del suo governo,
benché sempre monstri di non essere quello, e che li rincresca
della morte di altri. E simula molte volte di volere punire che ha
fatto tale omicidio, ma poi lo fa fuggire occultamente; il quale,
simulando dopo un certo tempo di chiedere misericordia, lo
ripiglia e tienlo appresso di sé.
Ancora el tiranno in ogni cosa vuole essere superiore, etiam nelle
cose minime, come in giucare, in parlare, in giostrare, in far
correre cavalli, in dottrina; e in tutte le altre cose, nelle
quale accade concorrenza, cerca sempre di essere el primo; e
quando per sua virtú non può, cerca di essere superiore con fraude
e con inganni.
E, per tenersi piú in reputazione, è difficile a dare audienzia, e
molte volte attende a’ suoi piaceri e fa stare li cittadini di
fuori e aspettare, e poi dà loro audienzia breve e risposte
ambigue; e vuole essere inteso a cenni, perché pare che si
vergogni di volere e chiedere quello che è in sé male, o di
denegare el bene; però dice parole mozze, che hanno spezie di
bene, ma vuole essere inteso. E spesso schernisce li uomini da
bene con parole o con atti, ridendosi con li suoi complici di
loro.
Ha secrete intelligenzie con li altri principi, e poi, non dicendo
el secreto che ha, fa consiglio di quello che s’ha a fare, acciò
che ognuno risponda a ventura, e lui solo para prudente e savio e
investigatore delli secreti de’ signori; e però lui solo vuole
dare le legge a tutti li uomini; e vale piú uno minimo suo
polizzino, o una parola di uno suo staffiere, appresso a ciascuno
iudice e magistrato, che ogni iustizia.
Insomma, sotto el tiranno non è cosa stabile, perché ogni cosa si
regge secondo la sua voluntà, la quale non è retta dalla ragione,
ma dalla passione; onde ogni cittadino, sotto di lui, sta in
pendente per la sua superbia; ogni ricchezza sta in aria per la
sua avarizia; ogni castità e pudicizia di donna sta in pericolo
per la sua lussuria: e ha per tutto ruffiani e ruffiane, li quali
per diversi modi le donne e figliuole d’altri conducono alla
mazza, e massime nelli conviti grandi, dove molte volte nelle
camere hanno vie occulte, dove son condotte le donne, che non se
ne avedano, e ivi rimangano prese al laccio; lasciando stare la
sodomia, alla quale è molte volte etiam dedito per tale modo, che
non è garzone di qualche apparenza che sia sicuro. Sería longa
cosa volere discorrere per tutti li peccati e mali che fa el
tiranno; ma questi basteranno al presente trattato. E verremo al
particulare della città di Firenze.
De’ beni delle città, e’ quali el tiranno impedisce;
e che il governo del tiranno, infra l’altre città,
è massimamente nocivo alla città di Firenze.
Capitolo terzio
S’el governo del tiranno è pessimo in ogni città e provincia,
massimamente parmi questo essere vero nella città di Firenze,
volendo noi parlare come Cristiani. Perché tutti li governi delli
uomini cristiani debbono essere ordinati finalmente alla
beatitudine a noi da Cristo promessa: e perché a quella non si va,
se non per el mezzo del ben vivere cristiano, del quale (come
abbiamo provato in altri luoghi) niuno può essere migliore,
debbono li Cristiani instituire tutti li loro governi, e
particulari e universali, per tale modo, che questo ben vivere
cristiano consèguiti da quelli principalmente e sopra ogni altra
cosa. E perché questo ben vivere si nutrisce e augumenta dal vero
culto divino, debbono sempre sforzarsi di mantenere e conservare e
augumentare questo culto, non tanto di cerimonie, quanto di
verità, e di buoni e santi e dotti ministri della Chiesa, e
relligiosi, e dalla città, quanto è lecito e quanto possono,
rimuovere li cattivi preti e relligiosi: perché non si trovano,
come dicono li santi, peggiori uomini di questi, né che piú
guastino el vero culto divino e ben vivere cristiano e ogni bono
governo. E piú tosto avere pochi e buoni ministri, che assai e
cattivi: perché li cattivi provocano l’ira di Dio contra la città,
e, procedendo ogni bono governo da lui, sono causa che Dio tira a
sé la mano, e non lascia correre la grazia del bon governo per la
gravezza e multiplicazione delli lor peccati, per li quali si
tirano dietro gran parte del popolo e perseguitano sempre li boni
e iusti uomini; onde leggete e rileggete nel vecchio e nuovo
Testamento, e troverrete che tutte le persecuzione de’ iusti sono
da tali uomini principalmente procedute, e che per li loro peccati
son venuti li flagelli di Dio nel popolo, e che loro hanno sempre
guasto ogni bono governo, corrompendo le menti delli re e principi
e altri governatori.
Bisogna dunque avere gran diligenzia, che nella città si viva bene
e ch’ella sia piena di buoni uomini, massime ministri dello
altare: perché crescendo el culto divino e il bene vivere, è
necessario ch’el governo si facci perfetto. Prima, perché Dio e li
angeli suoi ne hanno speziale cura, come si legge spesso nel
vecchio Testamento, che quando il culto divino stava o cresceva,
sempre il regno delli Giudei andava di bene in meglio: e questo
medesimo si legge nel novo Testamento, di Constantino Grande e di
Teodosio e d’altri principi relligiosi. Secundo, per le orazione,
che continuamente si fanno da quelli che sono deputati al culto
divino e dalli boni che sono nella città, ed etiam per le orazioni
communi di tutto el popolo nelle sollennità; onde leggiamo nel
vecchio e nuovo Testamento le città per le orazione essere state
cavate di grandissimi pericoli e da Dio dotate di innumerabili
beni spirituali e temporali. Terzio, per li buoni consigli, per li
quali si conservano e augumentano li regni; perché essendo buoni
li cittadini, sono specialmente illuminati da Dio, come è scritto:
Exortum est in tenebris lumen rectis corde, cioè: nelle tenebre
delle difficultà di questo mondo li retti di core sono da Dio
illuminati. Quarto, per la loro unione, perché dove è il ben
vivere cristiano non può essere discordia, però che tutte le
radice della discordia sono rimosse, cioè, la superbia e
ambizione, avarizia e lussuria: e dove è unione, bisogna che sia
forza; onde si è provato nelli tempi passati, che li regni piccoli
per la unione son fatti grandi e li grandi per la discordia si
sono dissipati. Quinto, per la iustizia e per le buone legge, le
quali amano li buoni cristiani; onde dice Salamone: Iustitia
firmatur solium, cioè: per la iustizia si ferma el regno.
Cresceria ancora per questo ben vivere el regno in ricchezze,
perché, non spendendo superfluamente, congregariano nello erario
publico infinito tesoro, per el quale pagheriano li soldati e
officiali, e pasceriano li poveri, e fariano stare in timore li
suoi inimici; e massime che, intendendo el loro buon governo, li
mercatanti e altri uomini ricchi volentieri concorreriano alla
città; e li vicini, che fussino mal governati da altri,
desiderrieno il loro governo. E per la unione loro e benivolenzia
delli amici averiano bisogno di pochi soldati, e tutte le arti e
scienzie e virtú verriano nella città, e quivi si congregheria uno
infinito tesoro, e dilateriasi el regno suo in molte parte; la
qual cosa sería buona, non solamente alla città, ma etiam alli
altri popoli, perché seriano bene governati, e il culto divino si
dilateria, e la fede e il ben vivere cristiano cresceria; la qual
cosa sería grande gloria di Dio, e del nostro salvatore Iesú
Cristo, re de’ re e signore de’ signori.
Ora, tutto questo bene impedisce e guasta il governo tirannico:
perché non è cosa che piú abbia in odio el tiranno che il culto di
Cristo e il ben vivere cristiano, però che è direttamente suo
contrario, e uno contrario, cerca discacciare l’altro; e però el
tiranno si sforza, quanto può, ch’el vero culto di Cristo si lievi
della città, benché lo facci occultamente. E se si truova qualche
buono vescovo, o sacerdote, o religioso, massime che sia libero in
dire la verità, cautamente lo cerca di rimuovere dalla città, o di
corrompere la mente sua con adulazione e presenti. E fa dare li
beneficii alli cattivi preti, e alli suoi ministri, e a quelli che
sono suoi complici; e favorisce li cattivi religiosi e quelli che
lo adulano. E sempre cerca di corrompere la gioventú, e tutto el
ben vivere della città, come cosa a lui sommamente contraria: e se
questo è grande, anzi sommo male in ogni città e regno, massime e
gravissimo in quelle de’ Cristiani, tra le quale a me pare che sia
ancora maggiore nella città di Firenze. Prima, perché questo
popolo è molto inclinato al culto divino, come sa chi ne ha
pratica; onde saria facilissima cosa instituire in lui uno
perfettissimo culto e ottimo vivere cristiano, se fussi in lui un
buono governo; chè certo, come noi proviamo ogni giorno, se non
fussino li cattivi preti e religiosi, Firenze si ridurria al
vivere de’ primi Cristiani e sería come uno specchio di religione
a tutto el mondo: onde noi vediamo al presente, che fra tante
persecuzioni contra al ben vivere de’ buoni, e tanti impedimenti
di dentro e di fuori, e fra escommunicazioni e male persuasioni,
si vive per tale modo nella città da’ boni, che (sia detto con
pace di ogni altra) non si nomina, né è alcuna altra città, dove
sia maggiore numero e di maggiore perfezione di vita della città
di Firenze. Se dunque, fra tante persecuzioni e impedimenti, la
cresce e fruttifica per el verbo di Dio, che farebbe lei, quando
fussi in essa uno quieto vivere dentro, rimossa la contradizione
de’ tepidi e cattivi preti e relligiosi e cittaddini?
Questo ancora piú conferma la sottilità delli ingegni che si
trovano in lei, però che è noto a tutto el mondo, che li
Fiorentini hanno spiriti sottili: e noi sappiamo essere cosa
pericolosissima, che tali spiriti si volghino al male, e massime
che in quello si avezzino da fanciullo, perché sono dipoi piú
difficili a sanare e piú atti a fare multiplicare li peccati in
terra. E per contrario, se si volgono al bene, serà difficile a
pervertirli, e seranno atti a multiplicare tale bene in diverse
parti. E però bisogna nella città di Firenze avere gran
diligenzia, che li sia buono governo e per modo alcuno non vi sia
tiranno, sappiendo noi quanto male ha fatto in lei e nell’altre
città el governo tirannico; però che tante sono state le loro
astuzie, che hanno molte volte ingannati li principi della Italia,
e tenute in divisione non solamente le città vicine, ma etiam le
remote: e questo tanto piú facilmente può fare, quanto che è città
pecuniosa e industriosa; onde ha molte volte messo in confusione
tutta la Italia.
Ancora piú confirma el detto nostro, che non può durare el governo
tirannico longamente, perché niuno violento (come abbiamo detto)
può essere perpetuo, e perché parlando come Cristiano, il governo
tirannico è permesso da Dio per punire e purgare li peccati del
popolo; li quali, poi che sono purgati, bisogna che cessi tale
governo, perché, rimossa la causa, bisogna che sia rimosso ancora
lo effetto. Se dunque tal governo non può durare nell’altre città
e regni, massimamente a Firenze non può durare longo tempo in
pace, però che tali ingegni non si possano riposare; onde si è
visto per esperienzia che spesso in lei è stata qualche commozione
di cittadini contra a chi governava; e da queste commozione e
guerre civili ne è seguita alcuna volta la commozione di tutta
Italia, e sonsi fatti di molti mali.
Per queste ragioni, dunque, e altre che per brevità lascio, appare
manifestamente che, se in ogni città si debbe rimuovere il governo
tirannico e piú tosto patire ogni altro governo imperfetto che
quello del tiranno, dal quale ne seguita tanti e cosí grandi mali
che non se ne può trovare né piú né maggiori, molto maggiormente
si debbe questo fare nella città di Firenze. E chi bene gusterà le
cose precedenti, senza difficultà intenderà che non è pena, né
flagello alcuno tanto grave in questo mondo, che sia proporzionato
alla gravità del peccato di colui che cercasse o tentasse, o
ancora desiderasse di essere o di fare tiranno nella città di
Firenze, però che ogni pena, che si può pensare nella vita
presente, è piccola a comparazione di tale peccato: ma lo
onnipotente Dio, iusto iudice, lo saperrà punire come merita e in
questa e nell’altra vita.
Della instituzione e modo del governo civile.
Capitolo primo
Avendo noi determinato che nella città di Firenze l’ottimo governo
è il governo civile, e il tirannico tra tutte le città in lei è
pessimo, resta che noi vediamo come si può provedere che non si
facci in lei alcuno tiranno, e come si ha a introdurre tale
governo civile. E perché qualche volta per forza delle arme si fa
el tiranno, e alla forza non si può resistere con ragione, circa a
ciò non possiamo dare altra instruzione; ma intendiamo di
dichiarare come si può provedere che uno cittadino, non per forza
di arme, ma con astuzia e con amici non si facci tiranno della
città a poco a poco, pigliando el dominio di quella, come si è
fatto per li tempi passati. Ma perché poteria credere alcuno che
bisognassi provedere, che niuno cittadino fussi eccessivamente
ricco, atteso che li danari congregano a sé el popolo, e
facilmente el cittadino eccessivamente ricco si fa tiranno; e
perché, volendo cosí provedere, ne seguiteriano molti
inconvenienti, essendo troppo pericoloso a volere tôrre la roba a’
ricchi, e troppo difficile a mettere termine alle ricchezze de’
cittadini però diciamo che le ricchezze non sono la principale
causa che uno cittadino si facci tiranno; perché se un cittadino
ricco non avesse altro che le ricchezze, non congregaria a sé la
moltitudine delli altri cittadini, dalla quale depende el governo
della città, potendo loro poco sperare da tale ricco; però che li
cittadini per pochi danari non consentirebbono che un si facessi
tiranno; e un cittadino, sia ricco quanto si voglia, non può in
una città cosí grande comprare tanti cittadini che facci el
bisogno, volendo ciascuno grande quantità di pecunia, ed essendo
la maggior parte ricchi, e naturalmente sdegnandosi di farsi servi
a chi loro si reputano equali.
Perché dunque li cittadini cercano piú tosto degnità e reputazione
nella città, che danari, sappiendo loro che la reputazione aiuta
l’uomo ad arricchirsi, bisogna provedere che niuno cittadino abbia
autorità, per modo alcuno, di potere dare li beneficii e officii e
dignità della città, perché questa è proprio la radice che fa
nelle città uno tiranno, amando molto li cittadini l’onore e
volendo esser reputati. E però, quando vedeno che altrimenti non
possono avere li beneficii e onori della città, si sottomettono a
chi loro credono che li possa dare. E cosí, crescendo a poco a
poco el numero de’ cittadini che si sottomettono a quello che ha
maggiore autorità, si fa el tiranno; e quando sono piú, che si
usurpano tale autorità, bisogna ch’el popolo si divida, e che,
finalmente, combatta l’uno contra l’altro, e quello che ha piú
seguito, o che rimane vittorioso, diventa tiranno. È necessario
dunque instituire, che l’autorità di distribuire li officii e li
onori sia in tutto el popolo, acciò che uno cittadino non abbia a
risguardare all’altro, e ciascuno si reputi equale all’altro, e
che non possi fare capo.
Ma perché sería troppo difficile congregare ogni giorno tutto el
popolo, bisogna instituire un certo numero di cittadini, che
abbino questa autorità da tutto el popolo: ma perché il piccolo
numero poteria essere corrotto con amicizie e parentadi e danari,
bisogna constituire uno grande numero di cittadini; e perché forse
ognuno vorria essere di questo numero, e questo poteria generare
confusione, perché forse la plebe vorria ingerirsi al governo, la
quale presto partorirebbe qualche disordine, bisogna limitare per
tal modo questo numero de’ cittadini che non vi entri chi è
pericoloso a disordinare; e ancora, che niuno cittadino si possa
lamentare. Fatto dunque questo numero di cittadini, el quale si
domanda el Consiglio grande, e avendo lui a distribuire tutti li
onori, non è dubio che questo è il signore della città; e però è
necessario, dipoi che è creato, fare tre cose.
Prima, stabilirlo con debiti modi e fortissime legge, acciò che
non li possa essere tolto il stato. E perché li cittadini male
amorevoli alla sua città sono piú solleciti alla loro specialità
che al ben commune, però non si curano di ragunarsi al Consiglio
(per la qual negligenzia poteria tale Consiglio perdere la sua
signoria e disfarsi), si vorria provedere, che chi non si
congregassi al tempo debito, non essendo legittimamente impedito,
pagasse un tanto per la prima volta, e la pena fussi grave, e la
seconda volta piú grave, e la terza privarlo totalmente del
Consiglio, acciò che quello che non vuole fare per amore,
essendone debitore, lo faccia per forza: però che ognuno debba piú
amare el ben commune ch’el proprio; e per quello è obligato ad
esporre la roba e la vita, massime considerato che dal buono
governo procedono tanti beni, e dal cattivo tanti mali, quanti
abbiamo detto. Simili altre legge e pene e provisioni bisogna
fare, secondo che la esperienzia va dimostrando di mano in mano,
per firmare el Consiglio e stabilire el stato del signore della
città: perché, tolto via quello, ogni cosa ruinerebbe.
Secondo, si debbe provedere, che tale signore non possi diventare
tiranno: perché come qualche volta uno uomo, che è naturale
signore, si lascia corrompere da’ cattivi e diventa tiranno, cosí
uno Consiglio buono, per la malizia de’ cattivi, diventa cattivo e
tirannico: e perché li uomini viziosi e sciocchi, quando
multiplicano, sono causa di molti mali nelli governi, bisogna
provedere di escludere tali uomini dal Consiglio, quanto è
possibile. Item, provedere, con gravissime pene, che non si
potessi fare intelligenzie, né chiedere fave o suffragii; e chi
fussi trovato in fallo, senza remissione alcuna fussi punito:
perché chi non è severo in punire non può conservare li regni.
Bisogna dunque provedere diligentemente di rimuovere tutte
le imperfezione e male radice, per le quali il Consiglio potessi
esser corrotto e potesse venire, massime la maggior parte, nelle
mani de’ cattivi uomini: perché incontinente sería destrutto e si
faria el tiranno nella città.
Terzio, bisogna provedere ch’el non sia troppo aggravato, cioè che
per ogni minima cosa s’abbia a ragunare tanti cittadini: onde
etiam li signori attendono alle cose importante e alli sudditi
commettano le minori, conservandosi però sempre l’autorità di
distribuire li officii e beneficii, acciò che ognuno passi per el
suo vaglio, per tôr via el principio della tirannia, come abbiamo
detto; e però bisogna fare provisione, che si raguni a certi tempi
manco incommodi a’ cittadini, e ragunare di molte cose insieme,
che si abbiano a fare in tal dí che si raguna, e trovare modo che
le elezioni siano brevi, e che si espedischino piú presto che si
può. Noi potremo dire molte cose circa a ciò e venire piú al
particulare; ma se li cittadini fiorentini serveranno quello che
noi abbiamo detto, e quello diremo nel sequente capitolo, non
averanno bisogno di mia instruzione, perché loro medesimi, se
vorranno, con lo adiutorio di Dio, saperanno provedere a ogni cosa
a poco a poco, imparando ogni giorno meglio per la esperienzia. Io
non vorria eccedere li termini del stato mio, per non dare etiam
materia alli avversarii nostri di mormorare.
Di quello che arebbono a fare li cittadini
per dare perfezione al governo civile.
Capitolo secondo
Ciascun cittadino fiorentino, che vuole essere buon membro della
città e aiutarla, come ognun debbe volere, bisogna prima che creda
questo Consiglio e civile governo essere stato mandato da Dio,
come è in verità, non solamente perché ogni buono governo procede
da lui, ma etiam per speziale providenzia, che ha Dio al presente
della città di Firenze: dalla qual cosa, chi in essa è stato in
questi tre anni passati e non è cieco e totalmente senza iudicio,
è chiaro che, se non fusse stato la mano di Dio, non si sería mai
fatto tale governo in tante e sí potente contradizioni, né si
sería potuto mantenere insino a questo giorno tra tanti
insidiatori e pochi adiutori: ma perché Dio vuole che noi ci
esercitiamo con lo intelletto e libero arbitrio, che ci ha dato,
fa le cose che appartengono al governo umano prima imperfette,
acciò che noi col suo adiutorio le facciamo perfette. Essendo
dunque questo governo ancora imperfetto, e mancando in molte
parte, anzi non avendo quasi altro ch’el fondamento, debbe
ciascuno cittadino desiderare e operare, quanto può, di darli la
sua perfezione: la qual cosa volendo fare, bisogneria che tutti, o
la maggiore parte, avessino queste quattro cose.
Prima, el timore di Dio; perché certa cosa è, che ogni regno e
governo procede da Dio, come etiam ogni cosa procede da lui,
essendo lui la prima causa che governa ogni cosa; e noi vediamo
ch’el governo delle cose naturale è perfetto e stabile, perché le
cose naturale sono a lui subiette e non repugnano al suo governo;
cosí, se li cittadini temessino Dio e si sottomettessino alli suoi
comandamenti, senza dubio li guidaria alla perfezione di questo
governo e li illumineria di tutto quello che loro avessino a fare.
Secondo, bisogneria che amassino il ben commune della città e che,
quando sono nelli magistrati e altre dignità, lasciassino da canto
ogni loro proprietà e le specialtà delli parenti e amici, e
avessino solamente l’occhio al ben commune, perché questo affatto
prima illumineria l’occhio dello intelletto loro, ed essendo
spogliati di proprie affezioni, non averiano li occhiali fallaci;
però che, risguardando el fine del governo, non poteriano
facilmente errare nelle cose ordinate a lui. Dall’altra parte,
meriteriano ch’el ben commune da Dio fusse augumentato, onde, tra
l’altre ragioni che li Romani dilatorono tanto el suo imperio,
questa se ne assegna: perché loro molto amavano il ben commune
della città; e però Dio, volendo rimeritare questa operazione
buona (il quale non vuole che alcun bene sia irremunerato, e non
meritando tale opera vita eterna, perché era senza la grazia), la
remeritò di beni temporali correspondenti alla opera, cioè
augumentando el ben commune della città e dilatando lo imperio
loro per tutto il mondo.
Terzio, bisogneria che li cittadini si amassino insieme, e
lasciassino tutti li odii, e dimenticassino tutte le iniurie delli
tempi passati, perché li odii e le male affezioni e invidie
excecano l’occhio dello intelletto e non lasciano vedere la
verità: e però nelli Consigli e nelli magistrati, chi non è ben
purgato in questa parte fa di molti errori, e Dio li lassa
incorrere in punizione delli suoi e delli altrui peccati, el quale
li illumineria quando fussino di tale affezione ben purgati. Oltra
di questo, essendo concordi e amandosi insieme, Dio remuneraria
questa loro benivolenzia, dando loro perfetto governo e quello
augumentando: e questa è ancora una delle ragioni che Dio dette
tanto imperio alli Romani, perché si amavano insieme e stavano in
concordia nel principio: e benché questa non fusse carità
sopranaturale, era però buona e naturale, e però Dio la rimeritò
di beni temporali. Se dunque li cittadini di Firenze si amassino
insieme di carità naturale e sopranaturale, Dio multiplicheria
loro li beni spirituali e temporali.
Quarto, bisogneria che facessino iustizia, perché la iustizia
purga la città dalli cattivi uomini, o li fa stare in timore, e li
buoni e iusti rimangono superiori, perché sono eletti nelle
dignità volentieri da chi ama la iustizia; li quali sono
illuminati poi da Dio di tutte le buone legge, e sono causa d’ogni
bene della città, la quale per questo si riempie di virtú, e la
virtú sempre è premiata dalla iustizia, e si multiplicano li buoni
uomini, li quali si congregano volentieri dove abita la iustizia:
e Dio, per questo, poi ancora dilata lo imperio, come fece alli
Romani; alli quali ancora per questa ragione, cioè perché erano
severi in fare iustizia, dette lo imperio dello universo, volendo
che li suoi popoli fussino retti con iustizia.
Se dunque li cittadini fiorentini volessino considerare
diligentemente e col iudicio della ragione, che a loro non
conviene altro governo che quello che abbiamo detto, e volessino
credere con fede che è stato a loro dato da Dio, e osservassino
queste quattro cose predette, non è dubio che in brieve tempo tale
governo diventeria perfetto, sí per li buoni consigli che fariano
insieme, nelli quali Dio li illumineria di quello che cercassino
di fare, sí etiam perché li averia specialmente illuminati, per li
suoi servi, di molte particularità che loro non saperriano per sé
medesimi trovare, e già averiano fatto uno governo di Paradiso, e
averiano conseguitate di molte grazie cosí spirituali come
temporali; ma se non vorranno credere questo governo essere a loro
dato da Dio, né essere el loro bisogno, né temere Dio, né amare il
ben commune, ma attendere alle sue voglie proprie, né amarsi
insieme, ma stare sempre in divisione, né fare iustizia, el
governo fatto da Dio starà, e loro si consumeranno insieme, e
saranno da Dio a poco a poco consumati, e a’ loro figliuoli sarà
data la grazia di questo perfetto governo. E già Dio ha monstrati
segni dell’ira sua, ma loro non vogliono aprire le orecchie, li
quali Dio punirà in questo mondo e nell’altro, perché in questo
staranno sempre inquieti di mente e pieni di passioni e tristizie,
e nell’altro staranno nel foco eterno, poiché non hanno voluto né
seguitare el lume naturale, che dimostra questo essere il vero
loro governo, né el sopranaturale, del quale hanno visto segni. E
già una parte di quelli che non sono andati retti in questo
governo, e sono sempre stati in esso inquieti, patiscono al
presente le pene dello Inferno. Sí che, avendo voi, Fiorentini,
per molti segni visto che Dio vuole che questo governo stia, non
si essendo mutato in tante contradizioni che si sono fatte contra
di lui dentro e di fuori, ed essendo li impugnatori di quello
minacciati da lui di tante punizioni, vi priego, per le viscere
della pietà del nostro signore Iesú Cristo, che oramai siate
contenti quietarvi, perché se non lo farete, manderà maggiore
flagello assai sopra di voi, che non ha fatto sopra li passati, e
perderete questo mondo e l’altro: ma se voi lo farete,
conseguiterete le felicità, le quali descriveremo nel sequente
capitolo.
Della felicità di chi bene regge,
e miseria de’ tiranni e suoi seguaci.
Capitolo terzio
Essendo, dunque, el presente governo piú di Dio che delli uomini,
quelli cittadini, che con gran zelo dello onore di Dio e del ben
commune, osservando le predette cose, si sforzeranno quanto
potranno di ridurlo a perfezione, acquisteranno felicità terrena,
spirituale ed eterna.
Prima, si liberranno della servitù del tiranno, la quale quanto
sia grande l’abbiamo dichiarato di sopra; e viveranno in vera
libertà, la quale è piú preziosa che l’oro e l’argento; e staranno
securi nella sua città attendendo al governo delle case loro, e
alli onesti guadagni, e alli loro poderi, con gaudio e
tranquillità di mente. E quando Dio li multiplicherrà la roba o li
onori, non averanno paura che sieno tolti loro. Poteranno andare
in villa, o dove vorranno, senza adomandare licenzia al tiranno; e
maritare le loro figliuole e figliuoli come piacerà a loro; e far
nozze, e stare allegri, e avere quelli compagni che a loro
piaceranno; e darse alle virtú, o delli studii delle scienzie, o
delle arte, come vorranno; e fare simili altre cose, le quali
seranno una certa felicità terrena.
Dapoi ne seguiterà la felicità spirituale, perché ciascuno poterà
darsi al bene vivere cristiano, e da niuno serà impedito. Nè serà
alcuno constretto con minacce a non fare iustizia quando serà
nelli magistrati, perché ognuno serà libero; né, per povertà, a
far cattivi contratti, però che, essendo bono governo nella città,
abunderà di ricchezze, e per tutto si lavorerà, e li poveri
guadagneranno, e li figliuoli loro e figliuole potranno nutrire
santamente, perché si faranno legge bone circa la onestà delle
donne e de’ fanciulli, e massime che si multiplicherrà per questo
el culto divino; però che Dio, vedendo la bona mente loro, li
manderà boni pastori, dicendo la Scrittura che “Dio dà li pastori
secondo popoli”: e potranno tali pastori senza impedimento reggere
le loro pecorelle, e multiplicheranno li boni sacerdoti e boni
relligiosi, massime che lí non potranno vivere li cattivi, perché
uno contrario scaccia l’altro: e cosí, in brieve tempo, si ridurrà
la città a tanta relligione, che sarà come uno Paradiso terrestre,
e viverà in iubilo e in canti e psalmi; e li fanciulli e fanciulle
saranno come angeli, e li nutriranno nel vivere cristiano e civile
insieme: per li quali poi, al tempo suo, si farà nella città il
governo piú tosto celeste che terrestre, e sarà tanta la letizia
delli boni, che aranno una certa felicità spirituale in questo
mondo.
Terzio, per questo non solamente meriteranno la felicità eterna,
ma etiam grandemente augumenteranno li loro meriti, e crescerà la
corona loro in Cielo, perché Dio dà massimo premio a chi governa
bene la città: però che, essendo la beatitudine premio della
virtú, quanto la virtú dello uomo è maggiore e fa maggior cose,
tanto merita maggior premio; conciosia dunque che sia maggiore
virtú reggere sé e altri, e massime una communità e uno regno, che
reggere solamente sé medesimo, seguita che chi regge bene una
communità meriti grandissimo premio in vita eterna. Onde noi
vediamo che in tutte le arte si dà maggiore premio al principale,
che regge tutte le cose dell’arte, che alli serventi, che
obediscono al principale: certo maggiore premio si dà al capitano
dello esercito nell’arte militare, che alli soldati: e nell’arte
dello edificare similmente si dà maggiore premio al maestro e allo
architettore, che alli manuali; e simile è nell’altre arte. Item,
quanto la operazione dell’uomo è piú eccellente, e piú onora Dio,
e fa maggiore utilità alli prossimi, tanto piú è meritoria.
Conciosia dunque ch’el governare bene una communità, massime una
tale quale è la fiorentina, sia opera eccellente, e che resulti
massimamente nello onore di Dio, e facci grandissima utilità alle
anime e corpi e a’ beni temporali delli uomini, come si può
facilmente intendere per quello che abbiamo detto di sopra, non è
da dubitare che merita eccellente premio e grandissima gloria.
Item, noi vediamo che chi fa una elemosina, o pasce pochi poveri,
è grandemente premiato da Dio, dicendo el nostro Salvatore, che
nel dí del iudicio si volterà alli iusti e dirà: - Venite,
benedicti dal Padre, possedete el regno a voi apparecchiato dalla
origine del mondo; perché quando io avevo fame e sete e che io era
nudo e peregrino, me avete pasciuto e vestito e ricevuto, e
visitato quando era infermo; però che quello, che avete fatto a
uno delli miei minimi, avete ancora fatto a me. - Se dunque, per
le elemosine particulari, Dio premierà grandemente ognuno, quanto
premio darà a chi governerà bene una città grande, per el governo
buono della quale si pascano infiniti poveri, si provede a molti
miseri, si difende le vidue e pupilli, si cava delle mani de’
potenti e iniqui le persone che non si possono altrimenti contra
la loro forza defendere, si libera el paese da ladri e assassini,
si custodisce li boni, e mantiensi il ben vivere e il culto
divino, e fannosi infiniti altri beni? Item, ogni simile ama el
suo simile, e tanto piú è amato da lui, quanto piú a lui si
assimiglia: essendo dunque tutte le creature simile a Dio, sono da
lui tutte amate; ma perché alcune sono piú simile a lui che
l’altre, sono ancora quelle da lui piú amate: conciosia
dunque che chi governa è molto piú simile a Dio che colui
che è governato, è cosa manifesta che, se governa iustamente, è
piú da Dio amato e premiato, che nelle proprie operazioni quando
non governa; massime che chi governa è in maggiore pericolo e
maggiori fatiche di mente e di corpo, che colui che non governa:
onde ancora merita maggiore premio.
Per contrario, chi vuole essere tiranno, è infelice in questo
mondo, prima, di infelicità terrena, però che, quanto alle
ricchezze, non le può godere per molte afflizioni di animo e
timori e continui pensieri, e massime che bisogna spendere assai
per mantenersi in stato, e volendo tenere subietto ognuno, lui sta
piú subietto a tutti, bisognando che serva a tutti per farsi
ognuno benivolo; dipoi, è privato della amicizia, la quale è delli
maggiori e piú dolci beni che possa avere l’omo in questo mondo,
perché non vuole nissuno equale a sé e tiene ognuno in timore, e
massime perché il tiranno è quasi sempre odiato da ognuno per li
mali che fa; e se è amato dalli cattivi, non è perché voglino bene
a lui, ma amano quello che vogliono cavare da lui, e però tra tali
non può essere vera amicizia. È privato ancora di bona fama e
onore, per li mali che fa e per essere sempre odiato e invidiato
dalli altri. Non può avere mai una vera consolazione senza
tristizia, perché sempre ha da pensare e temere per le inimicizie
che ha; onde sta in timore sempre, e non si fida ancora delle sue
guardie medesime. Ancora ha infelicità spirituale, perché è
privato della grazia di Dio e di ogni sua cognizione, e circundato
di peccati e di uomini perversi, che lo seguitano ogni ora e fanno
precipitare in molti errori, come abbiamo dichiarato di sopra.
Ultimo, averà ancora la infelicità eterna, perché el tiranno è
quasi sempre incorrigibile, sí per la moltitudine de’ peccati che
si vede avere fatti, nelli quali ha fatta tanta consuetudine che è
molto difficile a lasciarli, sí perché ha a restituire tanta roba
mal tolta e a rifare tanti danni fatti, che bisogneria che
rimanesse in camicia: la qual cosa, quanto sia difficile a chi è
consueto vivere in tanta superbia e tante delizie, ognuno
facilmente lo può intendere; sí etiam per li adulatori che lui ha,
li quali alleggeriscono li suoi peccati, anzi li dànno ad
intendere essere bene quello che è male, onde etiam li tepidi
relligiosi lo confessano e assolvano, dimostrandoli el bianco per
el nero: e però è misero in questo mondo, e poi ne va allo Inferno
nell’altro, dove ha gravissima pena piú delli altri uomini, sí per
la moltitudine delli peccati che ha commesso e fatto fare alli
altri sí etiam per lo officio che si ha usurpato; però che, come
chi regge bene è sommamente premiato da Dio, cosí chi regge male è
massimamente punito.
Tutti quelli ancora, che seguitano el tiranno, participano della
sua miseria, cosí nelle cose temporali come nelle spirituali ed
eterne: onde perdono la libertà, che è sopra tutti li tesori,
oltra che la loro roba e onori e figliuoli e donne sono in potestà
del tiranno; e li peccati suoi vanno continuamente imitando,
perché si sforzano di fare ogni cosa che li piace e assimilarsi a
lui piú che possono: e però saranno nello Inferno partecipi della
sua gravissima pena.
Ancora tutti li cittadini che non sono contenti del governo
civile, benché non sieno tiranni, perché non possono, partecipano
queste medesime infelicità, mancando di ricchezze e di onore e
reputazione e amicizia, perché a loro si congregano tutti li magri
cittadini, per rifarsi, e tutti li cattivi uomini: onde bisogna
che spendino, e da li boni sono fuggiti, e però non hanno con
alcuno vera amicizia, ma ognuno che li seguita cerca di rubare; e
per le compagnie cattive fanno migliaia di peccati, che non
farebbono, e sono inquieti di core e sempre pieni di odii, invidie
e mormorazioni, e hanno lo Inferno in questo mondo e nell’altro.
Essendo dunque (come abbiamo provato) felice e simile a Dio chi
regge bene, e infelice e simile al diavolo chi regge male, debbe
ogni cittadino lassare li peccati e le proprie affezioni, e
sforzarsi di reggere bene, e conservare e augumentare e fare
perfetto questo governo civile, per onore di Dio e salute delle
anime, massime essendo stato dato specialmente da lui per lo amore
che porta a questa città, acciò che sia felice e in questo mondo e
nell’altro, per grazia del nostro salvatore Iesú Cristo, re de’ re
e signore de’ signori, el quale col Padre e Spirito santo vive e
regna in saecula saeculorum. Amen.
LAUS DEO