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Thomas Babington Macaulay
Storia d'Inghilterra
TRADOTTA DA PAOLO EMILIANI-GIUDICI.
SECONDA EDIZIONE, RIVEDUTA DAL TRADUTTORE.
VOLUME PRIMO.
FIRENZE. FELICE LE MONNIER 1859.
La universale accoglienza che è stata fatta in Italia a quest'opera
ha mosso il traduttore a ristamparla. Egli ha raffrontata
diligentemente la versione col testo, ne ha corretti gli errori
corsi nella prima edizione, si è studiato di migliorare lo stile in
guisa che fedelmente ritragga il modo di scrivere del grande storico
inglese, ed osa sperare che i lettori gli terranno conto di queste
nuove cure. Crede superfluo il far notare che i primi due volumi, i
quali comprendono la storia del regno di Giacomo II e della grande
Rivoluzione che lo precipitò dal trono, si possono considerare come
opera che sta da sè. Nondimeno egli attende alacremente a tradurre
gli altri volumi, cioè il regno di Guglielmo d'Orange; ed aspettando
che in questo frattempo Lord Macaulay mandi alla luce il compimento
di questo secondo periodo storico, spera poterlo pubblicare senza
alcun indugio.
Aprile 1859.
AL CAV. SEBASTIANO FENZI.
Intitolandoti questo lavoro onde compiacere all'amicizia che sento
schietta ed infinita per te, intendo ad un tempo renderti pubblico
testimonio di gratitudine a nome di quanti amano la patria nostra,
per il bene che volevi arrecarle allorchè ti nacque, il generoso
pensiero d'istituire la Rivista Britannica. Intendevi con quel
severo giornale a distogliere le menti de' giovani dalle frivole e
leggiere letture, e richiamarle allo studio della letteratura e
delle istituzioni del grandissimo fra i popoli moderni; istituzioni
e letteratura che per la lunga dimora in Inghilterra, e la
conoscenza dello idioma e de' costumi, ti sono familiari. Quantunque
lo inerte paese nostro non rispondesse ai tuoi desiderii, e la
Rivista, dopo un anno di vita, fosse costretta a cessare; a te
nondimeno rimarrà sempre l'onore d'aver tentato con sacrificii
d'ogni ragione una impresa mirabilmente benefica. Se il mio lavoro,
almeno in grazia della inclita fama di Macaulay, avrà sorte meno
trista, a me sarà dolce che i lettori sopra la prima pagina del
libro trovino impresso il degno tuo nome.
Firenze, Ottobre 1852.
PAOLO EMILIANI-GIUDICI.
STORIA D'INGHILTERRA.
CAPITOLO PRIMO.
SOMMARIO.
I. Introduzione. - II. La Britannia sotto il dominio dei Romani. -
III. Sotto il dominio dei Sassoni. - IV. Effetti della conversione
degli Anglo-Sassoni al Cristianesimo. - V. Invasioni danesi. - VI. I
Normanni. - VII. Effetti della conquista normanna. - VIII. Effetti
della separazione dell'Inghilterra e della Normandia. - IX.
Mescolamento delle razze. - X. Conquiste degl'Inglesi sul
continente. - XI. Guerre delle Rose. - XII. Estinzione del
villanaggio. - XIII. Effetti benefici della religione cattolica
romana. - XIV. Ragione per cui l'indole dell'antico governo inglese
spesso è descritta erroneamente. - XV. Indole delle monarchie
limitate del medio evo. - XVI. Prerogative dei primi monarchi
inglesi. - XVII. In che modo le prerogative degli antichi re inglesi
venissero infrenate. - XVIII. Perchè tali limiti non fossero sempre
rigorosamente osservati. - XIX. La resistenza era un freno ordinario
alla tirannide nel medio evo. - XX. Carattere peculiare
dell'aristocrazia inglese. - XXI. Il governo dei Tudors. - XXII.
Perchè le monarchie limitate del medio evo generalmente si
trasmutassero in monarchie assolute. - XXIII. Perchè la sola
monarchia inglese non patisse cosiffatto trasmutamento. - XXIV. La
Riforma e i suoi effetti. - XXV. Origine della chiesa d'Inghilterra.
- XXVI. Suo carattere peculiare. - XXVII. Sua relazione con la
Corona. - XXVIII. I Puritani. - XXIX. Loro spirito repubblicano. -
XXX. Perchè il Parlamento non facesse una opposizione sistematica al
governo della regina Elisabetta. - XXXI. Questione dei monopolii. -
XXXII. La Scozia e la Irlanda diventano parti d'uno stesso impero
insieme con l'Inghilterra. - XXXIII. La importanza della Inghilterra
scema dopo lo avvenimento di Giacomo I al trono. - XXXIV. Dottrina
del Diritto Divino. - XXXV. La separazione tra la Chiesa e i
Puritani diventa maggiore. - XXXVI. Avvenimento al trono e carattere
di Carlo I - XXXVII. Tattica dell'Opposizione nella Camera dei
Comuni. - XXXVIII. Petizione dei diritti. - XXXIX. La Petizione dei
diritti è violata. - XL. Carattere e disegni di Wentworth. - XLI.
Carattere di Laud. - XLII. La Camera Stellata, e l'Alta Commissione
- XLIII. L'imposta per la formazione della flotta. - XLIV.
Resistenza alla Liturgia in Iscozia. - XLV. Un Parlamento è
convocato e disciolto. - XLVI. Il Lungo Parlamento. - XLVII. Prima
manifestazione dei due grandi partiti inglesi. - XLVIII. Ribellione
degl'Irlandesi. - XLIX. La Rimostranza. - L. L'Accusa dei Cinque
Membri. - LI. Partenza di Carlo da Londra. - -LII. Principio della
Guerra Civile. - LIII. Vittorie dei realisti. - LIV. Sorgono
gl'indipendenti - LV. Oliviero Cromwell - LVI. L'Ordinanza
d'abnegazione. - LVII. Vittoria del Parlamento - LVIII. Dominazione
e indole dell'esercito. - LIX. Le insurrezioni contro il Governo
militare vengono represse. - -LX. Processo contro il Re. - LXI. Il
Re è decapitato. - LXII. La Irlanda e la Scozia vengono soggiogate.
- LXIII. Espulsione del Lungo Parlamento - LXIV. Il Protettorato
d'Oliviero. - LXV. Gli succede Riccardo. - LXVI. Alla caduta di
Riccardo risorge il Lungo Parlamento. - LXVII Monk e lo esercito di
Scozia muovono verso l'Inghilterra.. - LXVIII. Monk si dichiara per
un libero Parlamento. - LXIX. Elezione generale del 1660. - LXX. La
Restaurazione.
I. Imprendo a scrivere la storia della Inghilterra dal tempo in che
Giacomo II ascese al trono fino all'età nostra. Racconterò gli
errori che in pochi mesi scrissero della(1) casa degli Stuardi
gentiluomini e clero ad essa fedeli. Disegnerò il procedimento di
quella rivoluzione che pose fine al lungo conflitto tra i nostri
sovrani e i loro parlamenti, ed avvincolò insieme i diritti del
popolo e quelli della dinastia regnante. Dirò come il nuovo
ordinamento venisse nel corso di tanti anni torbidi vittoriosamente
difeso contro gl'inimici di dentro e di fuori; come sotto esso
l'autorità della legge e la sicurezza delle sostanze si reputassero
compatibili con una libertà di discussione e d'azione individuale
non mai prima sperimentata; come dal bene augurato congiungimento
dell'ordine e della libertà sorgesse una prosperità, di cui gli
annali delle cose umane non avevano offerto esempio; come la nostra
patria da uno stato d'ignominioso vassallaggio rapidamente
s'innalzasse al grado d'impero fra i potentati europei; come
crescesse a un tempo in opulenza e gloria militare; come, per virtù
d'una saggia e ferma buona fede, a poco a poco si stabilisse un
credito pubblico, fecondo di maraviglie tali, che agli uomini di
Stato delle età trascorso sarebbero sembrate incredibili; come da un
commercio immenso nascesse una potenza marittima, paragonata alla
quale ogni altra antica o moderna marittima potenza diventa frivola;
come la Scozia, dopo anni molti d'inimicizia, si congiungesse
finalmente con l'Inghilterra, non soltanto con vincoli legali, ma
co' legami indissolubili d'interesse e d'affetto; come in America le
colonie britanniche rapidamente si facessero più potenti e ricche
de' reami di che Cortes e Pizarro avevano accresciuti i dominii di
Carlo V; come in Asia alcuni avventurieri inglesi fondassero un
impero non meno splendido e più durevole di quello d'Alessandro.
Sarà, nondimeno, mio debito ricordare fedelmente accanto ai trionfi
i disastri, e i grandi delitti e le follie nazionali, assai più
umilianti di qualsivoglia disastro. Vedremo perfino ciò che
reputiamo qual nostro bene precipuo, non essere scevro di male.
Vedremo il sistema che assicurò efficacemente le nostre libertà
contro le usurpazioni del regio potere, aver fatto nascere una nuova
generazione d'abusi, che non incontransi nelle monarchie assolute.
Vedremo lo augumento della ricchezza e lo estendersi del commercio -
a cagione in parte dello sconsiderato immischiarsi, in parte della
sconsiderata negligenza, - avere prodotti, fra immensi beni,
parecchi mali, di che le società rozze e povere rimangono libere.
Vedremo come, in due dominii dipendenti dalla corona, al torto
seguisse la giusta retribuzione; come la imprudenza ed ostinatezza
rompessero il vincolo che congiungeva le colonie dell'America
Settentrionale alla madre patria; come la Irlanda, oppressa dalla
signoria di razza sopra razza e di religione sopra religione,
rimanesse veramente membro dell'impero britannico, ma membro putrido
e storto in guisa da non aggiungere forza al corpo politico, e da
essere perpetuo argomento di rimprovero in bocca di quanti temono o
invidiano la grandezza dell'Inghilterra. Nondimeno, se pure io male
non mi appongo, lo effetto generale di questa narrazione
siffattamente ordinata sarà quello di suscitare la speranza ne'
petti degli amatori della patria, e muovere le anime religiose a
rendere grazie alla Provvidenza. Perocchè la storia della patria
nostra, negli ultimi cento e sessanta anni, è veramente la storia
del fisico, morale ed intellettuale progresso. Coloro che paragonano
il tempo in cui è loro toccato di vivere con una età d'oro che
esiste solo nelle loro fantasie, parlino pure di degenerazione e
decadimento; ma niuno che conosca davvero le faccende de secoli
andati sarà inchinevole a guardare con occhio lugubre o scoraggiato
il presente.
Condurrei molto imperfettamente l'opera che ho impreso a comporre se
descrivessi soltanto battaglie ed assedi, innalzamenti e cadute di
ministeri, intrighi di palazzo, discussioni di parlamento. Sarà
quindi mio studio riferire la storia del popolo, non che quella del
governo; indicare il progresso delle arti utili e delle belle;
descrivere le sètte religiose, e le vicissitudini delle lettere;
ritrarre i costumi delle successive generazioni, e non trasvolare
negligentemente neppure sulle mutazioni che sono seguite nelle fogge
di vestire, di banchettare, e ne' pubblici sollazzi. Con animo lieto
sosterrò il rimprovero di avere, così facendo, attentato alla
dignità della storia, qualora mi riesca di esporre agli occhi degli
Inglesi del secolo decimonono una vera pittura della vita de' loro
antichi.
Gli eventi che mi propongo di narrare formano un solo atto d'un
grande e complicato dramma che risale ad età remote, e che sarebbe
imperfettissimamente inteso ove lo intreccio degli atti precedenti
rimanesse ignoto. Per la qual cosa aprirò la mia narrazione narrando
a brevi tratti la storia della nostra patria da' suoi antichissimi
tempi. Passerò di volo sopra molti secoli, ma mi fermerò alquanto
sulle vicissitudini della lotta che l'amministrazione di re Giacomo
II condusse ad una crisi decisiva(2).
II. Nessuna cosa nelle primitive condizioni in cui trovavasi la
Britannia, indicava la grandezza che essa era destinata a
conseguire. Gli abitatori, allorquando furono scoperti dai marinari
di Tiro, erano di poco superiori ai naturali delle Isole Sandwich.
Vennero soggiogati dalle armi romane, ma riceverono solo una debole
tinta delle lettere ed arti romane. Delle provincie occidentali che
obbedivano all'autorità dei Cesari, la Britannia fu l'ultima che
conquistassero, e la prima che perdessero. Non vi si trovano
magnifiche ruine di portici e d'aquedotti romani. Nel novero dei
maestri della eloquenza e poesia latina non è un solo che sia
britanno d'origine. Non è probabile che agl'isolani fosse mai,
generalmente parlando, famigliare la lingua de' loro signori
italiani. Dallo Atlantico fino alle rive del Reno, l'idioma latino
predominò per molti secoli. Cacciò via il celtico, non fu cacciato
dal germanico, ed oggimai costituisce il fondamento delle favelle
francese, spagnuola e portoghese. Nell'isola nostra e' sembra che il
parlare latino non giungesse mai a prevalere sul vecchio gallico, e
non tenesse fronte all'anglo-sassone.
La scarsa e superficiale civiltà che i Britanni avevano derivata dai
loro padroni meridionali, venne spenta dalle calamità del secolo
quinto. Nei regni continentali nei quali era partito lo impero
romano, i barbari conquistatori impararono molto dalle genti
conquistate. Nella Britannia la razza conquistata divenne tanto
barbara, quanto erano barbari i conquistatori.
III. Tutti i condottieri che fondarono le dinastie teutoniche nelle
provincie continentali dello impero romano, come Alarico, Teodorico,
Clovi, Alboino, erano zelanti cristiani. I seguaci di Ida e Cerdico,
all'invece, trasportarono(3) in Britannia tutte le superstizioni
dell'Elba. Mentre i principi germanici che regnavano in Parigi,
Toledo, Arli e Ravenna, ascoltavano riverenti le istruzioni dei
vescovi, adoravano le reliquie de' martiri, ed attendevano
volentieri alle dispute dei teologi, i signori di Wessex e di Mercia
seguitavano a compiere i loro barbarici riti nei tempii di Thor e di
Odino.
I Regni continentali che erano sorti sopra le ruine dello impero
occidentale, tenevano qualche comunicazione con quelle provincie
d'oriente, dove l'antica cultura, comecchè venisse lentamente
consumandosi per i malefici effetti del mal governo, poteva tuttavia
maravigliare ed erudire i barbari; dove la corte tuttavia sfoggiava
lo splendore di Diocleziano e di Costantino; dove i pubblici edifizi
erano sempre adornati dalle sculture di Policleto e dai dipinti
d'Apelle; e dove gl'infaticabili pedanti, comunque scemi di gusto,
di sentimento e di spirito, potevano leggere e interpretare i
capolavori di Sofocle, di Demostene e di Platone. La Britannia non
isperimentava i benefici effetti di siffatta comunicazione. I suoi
lidi, alle menti de' popoli culti che stanziavano lungo il Bosforo,
erano obbietti d'un orrore misterioso, nel modo medesimo che agli
Jonii de' tempi omerici lo erano lo stretto di Scilla e la città de'
Lestrigoni cannibali. Era nella isola nostra una provincia, come
avevano riferito a Procopio, nella quale il suolo era gremito di
serpenti, e l'aria era così pestifera da non potersi respirare senza
trovarvi la morte. A questa desolata regione una strana genia di
pescatori trasportava a mezza notte dalla terra dei Franchi le ombre
dei trapassati. La parola dei morti era distintamente udita dal
barcaiuolo; facevano col peso loro affondare i navicelli nelle onde,
ma le loro forme rimanevano invisibili ad occhio mortale. Tali erano
le maraviglie che un egregio storico, coetaneo di Belisario, di
Simplicio e di Triboniano, raccontava con tutta gravità nella
opulenta e culta Costantinopoli, intorno al paese dove il fondatore
di Costantinopoli aveva assunta la porpora imperiale. Intorno alle
altre provincie dello impero occidentale abbiamo una serie
continuata di notizie: all'incontro, nella sola Britannia una età
favolosa divide pienamente due età di vero. Odoacre e Totila, Eurico
e Trasimondo, Clovi, Fredegonda e Brunchilde, sono uomini e donne
storiche; ma Engisto ed Orsa, Vortigerno e, Rovena, Arturo e
Mordredo, sono personaggi mitici, la esistenza dei quali potrebbe
mettersi in dubbio, mentre le gesta loro sono da porsi con quelle di
Ercole e di Romolo.
IV. Finalmente la tenebra sembra squarciarsi, e il paese che
sparisce all'occhio col nome di Britannia, riapparisce con quello
d'Inghilterra. La conversione degli Anglo-Sassoni al Cristianesimo
fu la prima d'una lunga serie di benefiche rivoluzioni. Egli è vero
che la Chiesa era stata profondamente corrotta e dalla superstizione
e dalla filosofia, contro le quali essa aveva lungo tempo
combattuto, e sopra le quali aveva alla perfine trionfato. Era stata
agevole pur troppo ad adottare dottrine derivate dalle antiche
scuole, e riti dedotti dagli antichi templi. La politica romana e la
ignoranza gotica, la credulità greca e l'ascetismo siriaco, avevano
cooperato a depravarla. Nondimeno serbava tanto della sublime
teologia e della benefica morale dei suoi primordii, da elevare
gl'intelletti e purificare i cuori di molti. Parecchie cose
medesimamente, le quali in età più tarda vennero con ragione
considerate fra le sue più gravi mende, erano nel secolo settimo, e
lungo tempo dopo, annoverate fra i suoi meriti principali. Che
l'ordine sacerdotale usurpasse l'ufficio de' magistrati civili, ai
dì nostri, sarebbe un gran male. Ma ciò che in un'epoca di governo
bene ordinato è un male, potrebbe in un'epoca di rozzo e pessimo
governo essere un bene. È meglio che l'umanità venga governata da
leggi savie e bene amministrate, e da una pubblica opinione
illuminata, anzi che dalle arti pretesche: ma è meglio che gli
uomini vengano governati da arti siffatte, più presto che dalla
violenza brutale; da un prelato come Dunstano, anzi che da un
guerriero come Penda. Una società immersa nella ignoranza e retta
dalla sola forza fisica, ha grande ragione a bene sperare che una
classe di uomini che eserciti intellettuale e morale influenza,
s'innalzi al governo della cosa pubblica. Non è dubbio che gente
siffatta faccia abuso del proprio potere: ma il potere mentale,
quando anche se ne abusi, è sempre migliore e più nobile di quello
che consiste nella semplice forza corporea. Nelle cronache
anglo-sassoni s'incontrano taluni tiranni i quali, come pervenivano
a grado altissimo di grandezza, erano lacerati da' rimorsi,
aborrivano dai piaceri e dalle dignità che avevano conseguite col
prezzo della colpa, abdicavano le loro corone, e studiavansi di
scontare i loro delitti con crude penitenze e continue preghiere. Di
tali fatti hanno parlato con amare espressioni di spregio parecchi
scrittori, i quali mentre facevano pompa di libero pensare, erano
veramente di tanto meschino cervello quanto poteva esserlo un monaco
de' tempi barbari, ed avevano costume di misurare gli universi fatti
della storia del mondo con le medesime seste con che giudicavano la
società parigina del secolo decimottavo. Nulladimeno, un sistema il
quale, comunque sformato dalla superstizione, introdusse un vigoroso
freno morale nella società per innanzi governata dalla sola forza
de' muscoli e dalla audacia dell'animo; un sistema il quale
insegnava al più potente e feroce signore, ch'egli era, al pari
dell'infimo dei suoi sudditi, un ente responsabile; è degno d'essere
rammentato con maggiore rispetto dai filosofi e dai filantropi.
Le stesse osservazioni calzano allo spregio con che, nel secolo
andato, era costume di parlare de' pellegrinaggi, de' santuari,
delle crociate, e delle istituzioni monastiche del medio evo. In
tempi ne' quali gli uomini quasi mai inducevansi a viaggiare, spinti
da una curiosità liberale o dal desio di guadagno, era meglio che il
rozzo abitatore del Settentrione visitasse la Italia e l'Oriente
come pellegrino, più presto che rimanesse a vegetare negli squallidi
tuguri e tra le foreste dove era nato. In tempi ne' quali la vita e
l'onore delle donne giacevano esposti a diuturni pericoli per le
sfrenate voglie dei tiranni e de' loro ladroni, era pur meglio che
il ricinto di un un altare ispirasse una irragionevole paura, anzi
che non vi fosse asilo nessuno inaccessibile alla crudeltà ed alla
licenza. In tempi ne' quali gli uomini di Stato erano inetti a
formare vaste combinazioni politiche, era meglio che le nazioni
cristiane sorgessero collegate per correre al riacquisto del Santo
Sepolcro, anzi che, una dopo l'altra, fossero soggiogate dalla
potenza maomettana. Sia qual si voglia il rimprovero che in una età
più tarda venisse scagliato equamente su la indolenza e il lusso
degli ordini religiosi, egli era un bene, fuor d'ogni dubbio, che in
un tempo d'ignoranza e di ferocia vi fossero chiostri e giardini
tranquilli, dove le arti della pace potevano quetamente coltivarsi,
dove gli spiriti dolci e contemplativi potevano trovare un asilo,
dove un umile fraticello(4) poteva occuparsi a trascrivere la Eneide
di Virgilio ed un altro a meditare su le opere d'Aristotele, dove
colui che aveva l'anima calda della sacra favilla delle arti poteva
miniare un martirologio o scolpire un crocifisso, e dove lo
intelletto prono alla filosofia naturale poteva fare esperimenti
intorno alle proprietà delle piante e de' minerali. Se simiglianti
luoghi di ritiro non fossero stati sparsi qua e là fra le capanne
del misero contadiname e i castelli della feroce aristocrazia, la
società europea sarebbe stata composta di bestie da soma e di bestie
da preda. La Chiesa è stata assai volte dai teologi paragonata
all'arca, della quale si legge nel libro della Genesi; ma giammai
tale somiglianza fu così perfetta, come nei tempi tristi nei quali
ella sola procedeva fra il buio e le tempeste sopra il diluvio,
sotto cui tutte le grandi opere della potenza e sapienza degli
antichi giacevano prostrate, e portava seco quel lieve germe dal
quale nacque poscia una nuova civiltà e più gloriosa.
Perfino la supremazia spirituale che il papa arrogavasi, produsse in
quelle età buie più bene che male. Per essa le nazioni dell'Europa
Occidentale si congiunsero in una grande repubblica. Ciò che i
giuochi olimpici o l'oracolo di Pitia erano stati per tutte le città
greche da Trebisonda fino a Marsilia, Roma e il suo vescovo furono
per tutti i cristiani di comunione latina, dalla Calabria fino alle
Ebridi. Così germogliarono e crebbero i sentimenti di più estesa
benevolenza. Genti divise da mari e da monti riconobbero un vincolo
fraterno e un codice comune di diritto pubblico. Anche in guerra, la
crudeltà del vincitore era non rade volte mitigata dal pensiero che
esso e i vinti suoi(5) nemici erano membri d'una sola grande
federazione. Gli Anglo-Sassoni finalmente vennero ammessi a questa
federazione. Si aperse una comunicazione regolare tra le nostre
spiagge e quella parte d'Europa nella quale i vestigi della potenza
e civiltà antiche erano tuttavia discernibili. Molti egregi
monumenti, che sono stati poscia distrutti o trasfigurati, serbavano
ancora la loro primigenia magnificenza; e i viaggiatori, cui Livio e
Sallustio riuscivano inintelligibili, potevano acquistare dallo
spettacolo degli aquedotti e dai templi romani qualche lieve nozione
di storia romana. La cupola d'Agrippa, tuttavia luccicante di
bronzo; il mausoleo d'Adriano, non ancora spoglio delle sue statue e
colonne; l'anfiteatro di Flavio, non ancora degradato a farne una
piazza, raccontavano ai pellegrini della Mercia e del Nortumbria la
storia di quella gran gente incivilita, che era scomparsa dalla
faccia del mondo.
Gl'isolani ritornavano ai propri lidi con riverenza profondamente
impressa nelle loro menti mezzo stenebrate, e riferivano agli
stupefatti abitatori de' tuguri di Londra e di York, come presso
alla tomba di San Pietro una potente generazione d'uomini, adesso
spenta, aveva innalzati tali edifici che avrebbero sfidata la furia
del tempo fino al dì dell'estremo giudizio. Il sapere teneva dietro
ai passi del Cristianesimo. La poesia e la eloquenza del secolo
d'Augusto vennero solertemente studiate nei monasteri anglo-sassoni.
I nomi di Beda, di Alcuino e di Giovanni, soprannominato Erigena,
diventarono giustamente celebri per tutta l'Europa. Tali erano le
condizioni del nostro paese allorquando, nel nono secolo, principiò
l'ultima grande calata dei Barbari del Settentrione.
V. Pel corso di parecchie generazioni, dalla Danimarca e dalla
Scandinavia seguitarono a sbucare innumerevoli pirati, famosi per
forza, valore, implacabile ferocia, e odio contro il nome cristiano.
Non vi fu paese che al pari dell'Inghilterra patisse le devastazioni
di cotesti invasori. Le sue coste giacevano presso ai porti donde
essi movevano, né parte alcuna della nostra isola poteva dirsi così
discosta dal mare da potersi tenere immune dalle loro aggressioni.
Le medesime atrocità che avevano tenuto dietro alla vittoria dei
Sassoni sopra i Celti, toccarono poscia ai Sassoni per le mani dei
Danesi. La civiltà, che già principiava a sorgere, non ne sostenne
il colpo e giacque di nuovo. Grosse colonie di venturieri, movendo
dal Baltico, stabilironsi sopra le nostre spiagge orientali, e a
poco a poco procedendo verso Occidente, sostenuti dagli aiuti che
loro venivano dal mare, ambirono il dominio di tutto il reame. Il
conflitto fra le due fiere razze teutoniche durò per sei
generazioni, signoreggiandosi alternativamente. Crudeli carnificine
seguite da vendette crudeli, provincie devastate, conventi
saccheggiati, città distrutte dalle fondamenta, compongono la più
gran parte della storia di quegl'infausti giorni. Alla perfine cessò
di erompere dal Settentrione quel perpetuo torrente di predoni, e da
quel tempo in poi la scambievole avversione delle razze cominciò a
scemare. I mutui connubi divennero frequenti. I Danesi impararono la
religione dei Sassoni; e in tal guisa estirpossi una delle cagioni
del loro odio mortale. Gl'idiomi danese e sassone, entrambi dialetti
d'una lingua più estesa, armonizzarono in uno. Ma la distinzione tra
i due popoli non era affatto scomparsa allorchè sopraggiunse un
evento, che li prostrò, schiavi e degradati entrambi, ai piedi di un
terzo popolo.
VI. I Normanni erano a quei tempi la gente più insigne di tutta la
Cristianità. Per valore e ferocia si erano resi cospicui fra i
predatori che la Scandinavia aveva già mandati a devastare la Europa
Occidentale. Le loro navi furono per lunga stagione il terrore di
ambi i lidi dello Stretto. Spinsero più volte le armi loro nel cuore
dello imperio de' Carlovingi, e rimasero vittoriosi sotto le mura di
Maestricht e di Parigi. In fine, uno dei fiacchi eredi di Carlomagno
cesse agli stranieri una fertile provincia, irrigata da un bel fiume
e contigua al mare, che era il loro prediletto elemento. In quella
provincia fondarono uno Stato potente, il quale a poco per volta
venne estendendo la propria influenza sopra i principati vicini di
Bretagna e di Maine. Senza deporre l'indomito valore che aveva
tenuta in perpetua paura ogni terra dall'Elba fino ai Pirenei, i
Normanni rapidamente acquistarono tutto; e, più che tutto, il sapere
e la cultura che trovarono nelle contrade dove s'erano stanziati;
mentre il loro coraggio tutelava il territorio dalle straniere
invasioni. Ordinarono internamente lo Stato in modo affatto ignoto
da lungo tempo all'impero franco. Abbracciarono il Cristianesimo, e
con esso impararono gran parte di di ciò che il clero poteva
insegnare. Smesso lo idioma natio, abbracciarono la favella
francese, nella quale predominava lo elemento latino, ed innalzarono
speditamente il loro nuovo linguaggio ad una dignità ed importanza
che non aveva per lo innanzi posseduto. Lo trovarono in condizione
di gergo barbarico, e gli dettero norme fisse scrivendolo, e
usandolo nelle leggi, nella poesia e nel romanzo. Deposero la
brutale intemperanza, cui tutte le altre razze della gran famiglia
germanica erano pur troppo inchinevoli. Il lusso squisito del
Normanno offre un mirabile contrasto con la rozza ghiottoneria e
ubbriachezza de' Sassoni e Danesi suoi vicini. Amava di far pompa
della propria magnificenza non in vaste provvisioni di cibi e di
bevande, ma in grandi e stabili edifici, ricche armature, generosi
cavalli, eletti falconi, bene ordinati tornei, banchetti delicati
più presto che abbondanti, e vini notevoli meglio per isquisito
sapore che per forza inebbriante. Quello spirito cavalleresco che ha
esercitata così forte influenza sopra la politica, la morale e i
costumi di tutte le nazioni europee, trovavasi grandissimo nei
Nobili normanni. Questi nobili facevansi notare per la grazia del
loro contegno e del loro conversare; per la destrezza nel condurre i
negozi, e per la eloquenza naturale, che con estrema solerzia
coltivavano. Uno dei loro storici s'inorgoglisce affermando, i
Normanni essere oratori fin dalle fasce. Ma la loro precipua
celebrità derivava dalle imprese militari. Ogni paese dall'Oceano
Atlantico fino al Mare Morto rendeva testimonio de' prodigi della
disciplina e del valor loro. Un solo cavaliere normanno, capo di una
mano di guerrieri, cacciò i Celti dal Connaught. Un altro fondò la
monarchia delle Due Sicilie, e vide lo imperatore d'Oriente e quello
d'Occidente fuggire allo aspetto dell'armi sue. Un terzo, l'Ulisse
della prima crociata, venne innalzato da' suoi fidi commilitoni alla
sovranità d'Antiochia; ed un quarto, quel Tancredi che vive eterno
nel grande poema del Tasso, era celebre per tutta la Cristianità
come il più strenuo e generoso fra i campioni del Santo Sepolcro.
La propinquità di un popolo così notevole cominciò ben per tempo a
produrre un effetto sullo spirito pubblico dell'Inghilterra. Innanzi
la conquista, i principi inglesi andavano a educarsi in Normandia.
Mari e terre inglesi venivano conferite ai signori normanni.
L'idioma normanno-francese parlavasi familiarmente nel palazzo di
Westminster. La corte di Rouen pareva che fosse verso la corte di
Eduardo il Confessore ciò che la corte di Versailles, lunghi anni
dopo, era verso la corte di Carlo II.
VII. La battaglia di Hastings, e le vicende che ne derivarono, non
solo posero un duca di Normandia sul trono inglese, ma sottoposero
tutta la popolazione dell'Inghilterra alla tirannide della razza
normanna. Rade volte, e perfino in Asia, una nazione soggiogò
un'altra nazione tanto pienamente, quanto la normanna fece
dell'inglese. I capitani degli invasori divisero la contrada
tuttaquanta, e se ne distribuirono le parti; e per mezzo di vigorose
istituzioni militari, validamente connesse con la istituzione della
proprietà, riuscirono ad opprimere i naturali del paese. Un codice
penale crudele e crudelmente eseguito, tutelava i privilegi e
perfino i diporti de' tiranni stranieri. Nonostante, la razza
soggiogata, quantunque prostrata e calpesta, mandava fieramente il
suo fremito. Parecchi uomini audaci, che poscia divennero eroi delle
nostre vecchie ballate, rifugiaronsi fra le selve, ed ivi sfidando
leggi di copri-fuoco e di foreste, conducevano una guerra predatoria
contro gli oppressori. Gli assassinii erano fatti giornalieri. Molti
dei Normanni sparivano improvvisamente senza che ne rimanesse
vestigio. Trovavansi numerosi cadaveri aventi segni di morte
violenta. Fu bandita la morte per mezzo della tortura contro gli
assassini, i quali venivano ansiosamente cercati, ma quasi sempre
indarno; perocchè la intera nazione cospirava a nasconderli.
Finalmente, reputarono necessario imporre una grave multa sopra ogni
centuria di abitanti fra' quali un individuo d'origine francese
fosse trovato ucciso: legge che fu seguita da un'altra, che ordinava
ogni individuo ucciso doversi reputare francese, qualvolta non
potesse provarsi che fosse sassone.
Nel corso de' centocinquanta anni che seguirono la conquista, a
parlare dirittamente, non esiste storia inglese. I re francesi
d'Inghilterra veramente inalzaronsi tanto, da diventare la
meraviglia e il terrore di tutte le nazioni vicine. Conquistarono la
Irlanda: riceverono l'omaggio dalla Scozia. Per mezzo del valore,
della politica, de' prosperi e splendidi connubi loro, diventarono
più potenti sul continente, di quello che fossero i re di Francia,
loro sovrani feudali. L'Asia al pari dell'Europa era abbarbagliata
dallo splendore della potenza e gloria loro. I cronisti arabi
prendevano ricordo con forzata ammirazione della caduta di Acri,
della difesa di Joppe, e della vittoriosa marcia d'Ascalone; e le
madri arabe per imporre silenzio ai loro figliuoli, rammentavano
loro il nome del Plantageneto dal cuore di leone. Vi fu un tempo che
la discendenza di Ugo Capeto parve presso ad estinguersi, nel modo
stesso con che eransi estinte le dinastie de' Merovingi e de'
Carlovingi; e che una sola grande monarchia dovesse estendersi dalle
Orcadi fino a' Pirenei. È così forte il nesso che le menti
stabiliscono tra la grandezza d'un sovrano e la grandezza della
nazione da lui governata, che quasi tutti gli storici
dell'Inghilterra hanno descritto con un sentimento di esultanza il
potere e lo splendore de' suoi padroni stranieri, ed hanno compianta
la decadenza di quello splendore e potere come una calamità della
patria nostra. La quale cosa, a dir vero, è così assurda, come lo
sarebbe se un negro d'Haiti dei nostri tempi considerasse con
orgoglio nazionale la grandezza di Luigi XIV, e parlasse di Blenheim
e Ramilies con patrio dolore e vergogna. Il conquistatore e i suoi
discendenti fino alla quarta generazione non erano uomini inglesi:
quasi tutti erano nati in Francia; passavano la maggior parte della
vita in Francia; la loro favella era francese; pressochè tutti gli
alti uffici da loro dipendenti erano affidati ad individui francesi;
ogni acquisto che facevano sul continente li rendeva ognora più
stranieri alla popolazione dell'isola nostra. Uno de' più egregi fra
loro, a vero dire, tentò di procacciarsi lo affetto de' suoi sudditi
inglesi, sposando una principessa inglese. Ma molti de' suoi baroni
consideravano quel matrimonio come i cittadini della Virginia
considererebbero un matrimonio tra un padrone e una fanciulla
schiava. Nella storia quel principe è conosciuto sotto l'onorevole
soprannome di Beauclerc; ma nei suoi tempi, i suoi concittadini gli
avevano apposto un soprannome sassone a dileggio del suo sposalizio
con una donna sassone.
Se ai Plantageneti fosse venuto fatto, siccome una volta parve
verosimile, di porre tutta la Francia sotto il loro dominio, egli è
probabile che la Inghilterra non avrebbe avuta mai una esistenza
indipendente. I suoi principi, i signori, i prelati, sarebbero stati
uomini diversi di sangue e di lingua dagli artigiani e dagli
agricoltori. Le entrate de' suoi grandi possidenti sarebbero state
spese in feste e diporti su le rive della Senna. La nobile favella
di Milton e di Burke sarebbe rimasta nella condizione di rustico
dialetto, priva di letteratura, di grammatica, d'ortografia fissa,
abbandonata all'uso della plebaglia. Nessuno uomo di discendenza
inglese si sarebbe innalzato a grado eminente, ove non fosse
diventato francese per lingua e costumi.
VIII. La Inghilterra va debitrice di avere scansate coteste calamità
ad uno avvenimento che gli storici hanno generalmente rappresentato
come un disastro. I suoi interessi erano così direttamente opposti
agli interessi de' suoi principi, che erasi ridotta a sperare
soltanto negli errori e nelle traversie loro. Lo ingegno e perfino
le virtù de' sei primi re francesi che la signoreggiarono, furono
per lei una sciagura. La demenza e i vizi del settimo le furono di
salvezza. Se Giovanni avesse ereditato gl'incliti pregi del padre
suo, d'Enrico Beauclerc, o del Conquistatore; anzi se avesse egli
posseduto il coraggio marziale di Stefano o di Riccardo, e se il re
di Francia a quel tempo stesso fosse stato inetto al pari di tutti i
successori di Ugo Capeto; la casa de' Plantageneti avrebbe
acquistata in tutta l'Europa una supremazia senza rivali. Se non
che, appunto in quell'età, la Francia per la prima volta dopo la
morte di Carlomagno era governata da un principe d'animo destro e
vigoroso. Dall'altro canto la Inghilterra, la quale, dalla battaglia
di Hastings in poi, era stata, generalmente parlando, retta da savi
uomini di Stato, e sempre da strenui guerrieri, cadde sotto la
dominazione d'un principe frivolo e codardo. Fino da quello istante
le sue sorti cominciarono a splendere. Giovanni fu cacciato di
Normandia. I nobili normanni si videro astretti ad eleggere fra
l'isola e il continente. Chiusi dal mare fra un popolo che avevano
fino allora oppresso e spregiato, si vennero inducendo a considerare
l'Inghilterra come patria, e gli Inglesi come concittadini. Le due
razze, così lungo tempo ostili, si accorsero tosto di aver comuni
gl'interessi, comuni i nemici. Entrambe giacevano oppresse sotto la
tirannia di un re malvagio. Entrambe ardevano di sdegno vedendo la
corte prodigare i suoi favori sopra genti nate nel Poitou o
nell'Aquitania. I pronipoti di coloro che avevano pugnato sotto
Guglielmo, e i pronipoti di coloro che avevano pugnato sotto Aroldo,
cominciarono ad appropinquarsi con vicendevole amistanza; e il primo
pegno della loro riconciliazione fu la Grande Carta, che essi
guadagnarono coi loro sforzi comuni, e formarono a comune benefizio.
IX. Qui principia la storia della nazione inglese. La storia delle
vicissitudini precedenti è il racconto de' torti inflitti e
sostenuti dalle varie tribù, le quali, comecchè abitassero sopra il
suolo inglese, trattavansi con tale avversione, che non è forse mai
esistita fra popoli divisi da fisici confini. Imperciocchè, perfino
la scambievole animosità de' paesi in guerra fra loro, è lieve al
paragone dell'animosità delle nazioni le quali, moralmente separate,
stanziano commiste in un medesimo luogo. Non è paese in cui l'odio
di razza trascorresse tanto oltre quanto in Inghilterra. Non è paese
in cui quell'odio si fosse tanto onninamente spento. Non conosciamo
con precisione gli stadi diversi del processo con che gli elementi
ostili si fusero in una massa omogenea. Ma egli è certo che
allorquando Giovanni ascese al trono, la distinzione tra Sassoni e
Normanni esisteva evidentissima, e che avanti la fine del regno del
suo nipote era quasi scomparsa. Nel tempo di Riccardo I, l'ordinaria
imprecazione d'un gentiluomo normanno era: "Ch'io possa diventare un
inglese!" e volendo sdegnosamente negare, diceva: "Che mi prendete
voi per un inglese?" Cento anni dopo, il discendente di quel
gentiluomo andava orgoglioso del nome d'inglese.
Le scaturigini de' più bei fiumi che spargono la fertilità sopra la
terra, e portano i navigli gravi di ricchezze al mare, sono da
cercarsi fra mezzo alle aride e selvagge montagne inesattamente
segnate nelle carte geografiche, e bene di rado esplorate dai
viaggiatori. Questa immagine può rendere una idea della storia del
nostro paese nel secolo decimoterzo. Per quanto sterile e buio sia
quel periodo dei nostri annali, è mestieri cercare in esso l'origine
della libertà, prosperità e glorie nostre. E' fu allora che il gran
popolo inglese formossi; che l'indole nazionale principiò a
mostrarsi con quelle peculiarità che ha poi sempre serbate; e che i
nostri antichi divennero enfaticamente isolani, e isolani non solo
per geografica postura, ma per politica, sentimenti e costumi.
Allora comparve per la prima volta distintamente quella
Costituzione, che ha poi sempre, traverso a tante modificazioni,
serbata la sua identità; quella Costituzione, della quale tutti i
liberi statuti degli altri popoli altro non sono che copie; e la
quale, malgrado talune mende, è degna di essere considerata come la
migliore sotto cui una grande società sia mai esistita pel corso di
molti secoli. E' fu allora che la Camera dei Comuni, archetipo di
tutte le assemblee rappresentative che oggidì si ragunano nel
vecchio mondo e nel nuovo, tenne le sue prime sessioni. E' fu allora
che il diritto comune inalzossi alla dignità di scienza, e
rapidamente divenne rivale non indegno della giurisprudenza
imperiale. E' fu allora che il coraggio di quei marinari i quali
conducevano le rozze barche dei Cinque Porti, rese primamente la
bandiera inglese formidabile su per i mari. E' fu allora che i più
antichi collegi che vivono tuttavia nelle due grandi sedi nazionali
del sapere, formaronsi. Formossi allora parimente quella lingua, la
quale, benchè meno armoniosa, a dir vero, degli idiomi meridionali,
nondimeno, e per vigoria e per ricchezza e per essere atta a
significare tutti gli alti concetti del poeta, del filosofo e
dell'oratore, cede soltanto alla greca. Allora medesimamente
mostrossi la prima alba di quella inclita letteratura, che
costituisce la più splendida e durevole delle molte glorie di cui
mena vanto l'Inghilterra.
Coll'iniziarsi del secolo decimoquarto, la perfetta congiunzione
delle razze era pressochè compita; e si rese subito manifesto, a
segni non dubbi, che un popolo non inferiore ad alcun altro popolo
del mondo erasi formato dalla mistura delle tre razze e della grande
famiglia teutonica, fra loro e cogli aborigeni bretoni. Vero è che
non vi era quasi nulla di comune tra la Inghilterra alla quale re
Giovanni era stato cacciato da Filippo Augusto, e la Inghilterra
dalla quale le armi di Eduardo III mossero a conquistare la Francia.
X. Seguì un periodo di cento e più anni, nel quale lo scopo precipuo
degl'Inglesi fu quello di stabilire con la forza delle armi un
grande impero sul continente. Il diritto di Eduardo al retaggio
occupato dalla Casa di Valois era tale, da sembrare che dovesse poco
muovere gl'interessi de' suoi sudditi. Ma lo amore delle conquiste
di subito scese dal principe al popolo. Cotesta guerra differiva
grandemente dalle guerre che i Plantageneti del secolo duodecimo
avevano condotte contro i discendenti di Ugo Capeto: poichè la
fortuna delle armi di Enrico II e di Riccardo I avrebbe resa la
Inghilterra provincia della Francia; mentre lo effetto de' prosperi
successi di Eduardo III e di Enrico V era quello di far della
Francia, per alcun tempo, una provincia dell'Inghilterra. Lo spregio
con che, nel secolo duodecimo, i conquistatori del continente
avevano guardato gl'isolani, era adesso gettato dagli isolani su'
popoli del continente. Ogni popolano, da Kent fino a Northumberland,
reputavasi come individuo d'una razza nata alla vittoria e
all'impero, e volgeva uno sguardo di scherno alla nazione innanzi
alla quale i suoi antenati avevano tremato. Anche que' cavalieri di
Guascogna e Guienna, i quali avevano valorosamente combattuto sotto
il Principe Nero, venivano considerati dagl'Inglesi come uomini di
classe inferiore, e quindi erano sprezzevolmente esclusi dai comandi
lucrosi. Fra tempo non molto i nostri progenitori persero d'occhio
il motivo principale della lotta. Principiarono a considerare la
corona di Francia come un semplice appannaggio della corona
d'Inghilterra; e allorchè, violando la legge ordinaria di
successione, concessero lo scettro del reame inglese alla casa di
Lancaster, e' pare che pensassero il diritto di Riccardo II alla
corona di Francia essere naturalmente passato a quella casa. Lo zelo
e vigore ch'essi mostrarono offre un notevole contrasto col torpore
dei Francesi, ai quali l'esito di quella lotta era di assai più
grave momento. Le armi inglesi a quei tempi riportarono le più
grandi vittorie di cui si faccia ricordo negli annali del medio evo,
contro nemici grandemente disuguali. Di certo erano vittorie di cui
può con ragione gloriarsi un popolo; perocchè esse debbono
ascriversi alla superiorità morale de' vincitori: superiorità che si
mostrò assai più mirabile negl'infimi gradi delle milizie. I
cavalieri d'Inghilterra trovarono degni rivali nei cavalieri di
Francia. Chandos ebbe un nemico degno di sé nella persona di Du
Guesclin. Ma la Francia non aveva fanti che osassero stare a petto
degli arcieri ed alabardieri inglesi. Un re francese venne condotto
prigioniero in Londra. Un re inglese fu incoronato in Parigi. Il
vessillo di San Giorgio sventolò di là da' Pirenei e dalle Alpi.
Sulle sponde meridionali dell'Ebro gl'Inglesi riportarono una grande
vittoria, che per un tempo decise delle sorti di Leon e di
Castiglia; e le compagnie Inglesi ottennero una formidabile
preeminenza fra le bande de' guerrieri i quali ponevano le loro armi
agli stipendi dei principi e delle repubbliche d'Italia.
Né le arti della pace furono neglette da' nostri padri in quei
torbidi tempi. Mentre la Francia pativa le devastazioni della
guerra, fino a che trovò nella sua stessa desolazione una miserabile
difesa contro gl'invasori, gl'Inglesi coltivavano i loro campi,
ornavano le loro città, trafficavano e studiavano tranquilli e senza
disturbi. Molti de' nostri monumenti architettonici appartengono a
quell'epoca. Allora sorsero le splendide cappelle di New-College e
di San Giorgio, la navata di Winchester e il coro di York, l'aguglia
di Salisbury e le torri maestose di Lincoln. Una lingua abbondante e
vigorosa, formata dalla mistura dell'idioma normanno-francese col
germanico, era parlata egualmente dalla aristocrazia e dal popolo.
Né passò molto tempo che il genio cominciò a servirsene per la
manifestazione delle sue stupende creazioni. Mentre le milizie
inglesi, lasciandosi addietro le devastate provincie della Francia,
entravano trionfanti in Valladolid e spargevano il terrore fino alle
porte di Firenze, i poeti inglesi dipingevano con vivi colori tutta
la vasta varietà delle costumanze e delle fortune umane; e i
pensatori inglesi aspiravano a indagare o ardivano dubitare, là dove
i bacchettoni erano stati satisfatti ad ammirare o a credere. L'età
stessa che produsse il Principe Nero e Derby, Chandos e Hawkwood,
generò parimente Goffredo Chaucer e Giovanni Vicleffo.
Con modo sì splendido e imperatorio, il popolo inglese, propriamente
detto, prese posto fra le nazioni del mondo. Nondimeno, mentre con
diletto contempliamo gl'incliti pregi che adornavano i nostri
antichi, non possiamo negare che il fine cui aspiravano era dannato
e dalla onestà e dalla saggia politica, e che la sinistra fortuna
che li costrinse, dopo una lunga e sanguinosa lotta, a deporre la
speranza di stabilire un grande impero continentale, fu un vero bene
sotto le sembianze di un disastro. Finalmente i Francesi si rifecero
d'animo e di senno; e cominciarono ad opporre una vigorosa
resistenza nazionale a' conquistatori stranieri. E da quel tempo, la
destrezza dei capitani inglesi e il coraggio dei soldati loro,
fortunatamente per l'umanità, tornarono vani. Dopo molti sforzi
disperati, col cordoglio nell'animo, i nostri antenati rinunziarono
alla conquista. Da quell'epoca in poi, nessun Governo inglese ha
seriamente e fermamente fatto disegno di grandi conquiste sul
Continente.
Il popolo, egli è vero, seguitò a carezzare con orgoglio la
rimembranza di Cressy, di Poitiers e d'Agincourt. Anche molti anni
appresso tornava agevole accendergli il sangue ed ottenerne sussidii
con la sola promessa di riprendere la impresa di Francia. Ma,
avventuratamente, le forze del nostro paese sono state dirette a
fini più degni; ed ormai nella storia del genere umano occupa un
posto assai più glorioso di quello che terrebbe qualora avesse
acquistato, siccome un tempo era parso probabile, per mezzo della
spada una supremazia simile a quella che in antico conseguì la
repubblica romana.
XI. Rinchiuso di nuovo dentro i confini dell'isola, il bellicoso
popolo adoperò ne' civili conflitti le armi che erano già state il
terrore dell'Europa. I Baroni avevano per lungo tempo derivati dalle
oppresse provincie francesi i mezzi di satisfare al loro prodigo
spendere. Quelle sorgenti di pecunia poi disseccaronsi; e rimanendo
tuttavia le abitudini d'ostentazione e di lusso generate dalla
prosperità, i grandi signori, impotenti ad appagare i loro appetiti
depredando i Francesi, si misero a depredarsi vicendevolmente. Il
reame, dentro il quale erano rinchiusi, secondo che afferma Comino,
che è il più giudizioso osservatore di que' tempi, non era bastevole
a tutti. Due fazioni aristocratiche, capitanate da due rami della
famiglia reale, accesero una feroce e lunga lotta per recarsi in
mano il governo dello Stato. E poichè l'astio di tali fazioni non
nasceva veramente da contesa intorno alla successione, durò lungo
tempo dopo che ogni pretesto intorno alla successione era svanito.
La parte della Rosa Rossa sopravvisse all'ultimo de' principi che
volevano il trono per diritto di Enrico IV. La parte della Rosa
Bianca sopravvisse al matrimonio di Richmond e di Elisabetta.
Lasciati senza capo che avesse alcuna onesta apparenza di diritto, i
partigiani di Lancaster si collegarono intorno a un ramo di
bastardi, e i partigiani di York misero su una successione
d'impostori. Caduti sul campo di battaglia o sotto la scure del
carnefice molti nobili aspiranti, scomparse per sempre dalla storia
molte famiglie illustri, dome dalle sciagure le grandi casate che
rimanevano, universalmente convennero a riconoscere ricongiunti
nella casa de' Tudors i diritti di tutti i contendenti Plantageneti.
XII. Intanto maturavasi un avvenimento di assai maggiore importanza
che non era l'acquisto o la perdita d'una provincia, lo innalzamento
o la caduta d'una dinastia. La schiavitù, e i mali che
l'accompagnano, andavano speditamente estinguendosi.
È cosa degna di nota, come le due più grandi e benefiche rivoluzioni
sociali che seguissero in Inghilterra; la rivoluzione, cioè, che nel
secolo decimoterzo pose fine alla tirannia di nazione sopra nazione;
e quella che, poche generazioni dopo, rapì di mano all'uomo il
diritto di possedere l'uomo; chetamente e impercettibilmente si
effettuassero. Non destando maraviglia nelle menti degli osservatori
contemporanei, esse sono state pochissimo avvertite dagli storici.
Non vennero eseguite né da atti legislativi né dalla forza fisica.
Cagioni puramente morali fecero senza rumore svanire ogni
distinzione, dapprima tra Normanni e Sassoni, poscia tra schiavi e
padroni. Nessuno potrebbe presumere di determinare il tempo preciso
in cui siffatta distinzione cessava. Qualche debole vestigio del
vecchio spirito normanno si potrebbe forse ravvisare nel secolo
decimoquarto; qualche lieve vestigio dell'istituzione del
villanaggio hanno scoperto gli eruditi nell'epoca degli Stuardi: che
anzi, tale istituzione fino ai di nostri non è stata abolita con
legge particolare.
XIII. Sarebbe ingiusto non riconoscere che lo agente precipuo di
queste due grandi emancipazioni fosse la religione; e potrebbe forse
dubitarsi che una religione più pura sarebbe stata una causa meno
efficiente. Lo spirito benevolo della morale cristiana repugna,
fuori d'ogni dubbio, alle distinzioni di casta; ma siffatte
distinzioni sono segnatamente odiose alla Chiesa di Roma, come
quelle che sono incompatibili con altre distinzioni essenziali al
suo sistema. Ella veste i suoi sacerdoti d'una dignità misteriosa
che li fa reverendi ad ogni laico; e non considera qualsiasi uomo
inetto al sacerdozio per ragioni di nazione o di famiglia. Le sue
dottrine concernenti il carattere sacerdotale, per quanto si
vogliano reputare fallaci, hanno più volte mitigati non pochi dei
mali che affliggono la società. Non può riguardarsi come
assolutamente nociva quella superstizione, la quale in paesi
afflitti dalla tirannia di razza sopra razza crea una aristocrazia
affatto indipendente da ogni razza, inverte le relazioni fra
l'oppressore e l'oppresso, e costringe il signore ereditario a
prostrarsi innanzi al tribunale spirituale dello schiavo ereditario.
Ai dì nostri, in alcuni paesi dove esiste la schiavitù de' negri, il
papismo contrasta vantaggiosamente con le altre forme del
Cristianesimo. È noto come la repugnanza tra le razze europee e le
affricane non è tanto forte a Rio Janeiro, quanto a Washington.
Nella nostra patria, questa peculiarità del sistema cattolico-romano
produsse nel medio evo molti benefici effetti. Vero è che, poco dopo
la battaglia di Hastings, i prelati e gli abati sassoni vennero
violentemente deposti, e che avventurieri ecclesiastici venuti dal
Continente furono intrusi a centinaia nei più pingui beneficii.
Nonostante, anche allora pii teologi di sangue normanno alzavano la
voce contro siffatta violazione degli statuti della Chiesa,
ricusavano d'accettare le mitre dalle mani del Conquistatore, e gli
ripetevano, minacciandogli la dannazione dell'anima, di non
dimenticare che i vinti isolani erano suoi fratelli in Cristo. Il
primo protettore che gl'Inglesi trovassero fra la casta dominante,
fu lo arcivescovo Anselmo. In un tempo in cui il nome inglese era un
rimprovero, e tutti i dignitari civili e militari del regno erano
esclusivamente concittadini del Conquistatore, il popolo oppresso
ricevè con ineffabile diletto la nuova che Niccola Breakspear, uomo
della loro nazione, era stato innalzato al trono papale, dall'alto
del quale aveva steso il suo piede al bacio degli ambasciatori
uscenti dalle più nobili famiglie normanne. Egli era un sentimento
nazionale, non che religioso, quello che conduceva le moltitudini
all'altare di Becket, il primo inglese che, dopo la Conquista, fosse
formidabile ai tiranni stranieri. Un successore di Becket era
principale fra coloro che ottennero quella Carta, la quale assicurò
a un tempo i privilegi de' baroni normanni e quelli della borghesia
sassone. Quanto grande fosse l'opera con che gli ecclesiastici
cattolici poscia parteciparono alla abolizione del villanaggio, lo
raccogliamo dalla veneranda testimonianza di sir Tommaso Smith, uno
de' più savi consiglieri protestanti di Elisabetta. Allorquando il
possessore di schiavi dal suo letto di morte chiedeva il conforto
de' sacramenti, il sacerdote esortavalo per la salute dell'anima ad
emancipare i suoi fratelli redenti dalla morte di Cristo. La Chiesa
aveva con tanto buon esito adoperata una macchina sì formidabile,
che, innanzi lo scoppio della Riforma, aveva francati quasi tutti
gli schiavi del regno, tranne i i suoi propri, i quali, a sua giusta
lode, sembra che venissero benevolmente governati.
Non vi può esser dubbio che allorquando le due predette grandi
rivoluzioni seguirono, i nostri antenati erano di gran lunga il
popolo meglio governato in Europa. Per trecento anni il sistema
sociale è sempre stato in continua via di progresso. Sotto i primi
Plantageneti vi furono padroni così potenti da sfidare l'autorità
del sovrano, e contadini degradati fino alla condizione degli
armenti, di cui erano guardiani. La condizione del contadino si è
venuta a poco a poco elevando; fra l'aristocrazia e il popolo degli
operai è sorta una classe media, agricola e commerciale. È probabile
che tuttavia vi fosse più ineguaglianza di quella che sia necessaria
a promuovere la felicità e la virtù della specie umana; ma nessun
uomo era affatto al di sopra della legge, nessun uomo reputavasi
onninamente al di sotto della protezione di quella.
Che le istituzioni politiche dell'Inghilterra fossero fino da
quell'epoca riguardate dagl'Inglesi con orgoglio ed affetto, e dagli
uomini più culti delle vicine nazioni con ammirazione ed invidia, è
cosa evidentissimamente provata. Ma nel giudicare l'indole di
cosiffatte istituzioni, le numerose controversie sono state rapide e
disoneste.
XIV. La letteratura storica d'Inghilterra, a dir vero, patì gli
effetti di una circostanza, la quale ha contribuito non poco alla
sua prosperità. Il grande mutamento che nella sua politica si è
venuto operando negli ultimi sei secoli, è stato la conseguenza
d'uno sviluppo progressivo; non mai del distruggere e del
riedificare. La Costituzione presente del nostro paese è verso la
Costituzione con la quale reggevasi cinquecento anni fa, ciò che
l'albero è verso l'arbusto, ciò che l'uomo è verso il fanciullo. Le
sue variazioni sono state grandi; nondimeno, non vi fu mai un
momento in cui la parte principale di ciò che esisteva non fosse
antica. Una politica formatasi in tal modo è forza che abbondi di
anomalie. Ma per i danni che sorgono dalle semplici anomalie,
abbiamo ampie compensazioni. Altri Stati possiedono Costituzioni
scritte, belle di maggior simmetria; ma a nessuna altra società è
finora venuto fatto di armonizzare la rivoluzione con la
prescrizione, il progresso con la stabilità, l'energia della
giovinezza con la maestà d'un'antichità immemorabile.
Non per tanto, cotesto gran bene ha seco parecchi inconvenienti; uno
de' quali sta in questo, che le fonti delle nostre nozioni, in
quanto alla nostra antica storia, sono state avvelenate dallo
spirito di parte. Non essendovi paese in cui, come in Inghilterra,
gli uomini di Stato si siano lasciati tanto trascinare dalla
influenza del passato, così non vi è paese in cui gli storici si
siano lasciati, come i nostri, condurre dall'influenza del presente.
A vero dire, fra queste due cose è naturale connessione. Dove la
storia viene considerata semplicemente come una pittura della vita e
de' costumi, come una raccolta di esperimenti da cui si possano
trarre massime generali di sapienza civile, lo scrittore non è
grandemente soggetto alla tentazione di rappresentare sfigurati i
fatti seguiti in un'epoca che non è la sua: ma dove la storia viene
considerata come un santuario in cui si custodiscono i titoli dai
quali pendono i diritti de' governi e delle nazioni, gl'incentivi a
falsificare i fatti diventano pressochè irresistibili. Uno scrittore
francese oggimai non è mosso da nessun potente interesse ad
esagerare o a spregiare la potenza de' re della casa di Valois. I
privilegii degli Stati Generali, degli Stati della Bretagna, degli
Stati della Borgogna, sono oramai cose di piccola importanza
pratica, come lo sarebbe la Costituzione del Sinedrio Giudaico o del
Consiglio degli Anfizioni. L'abisso d'una grande rivoluzione divide
compiutamente il nuovo dal vecchio sistema. Nessuno abisso
simigliante divide in due parti distinte la esistenza della nazione
inglese. Le leggi e le consuetudini nostre non sono state mai
trascinate dall'impeto d'una generale e irreparabile rovina. Presso
noi l'autorità del medio evo è tuttavia autorità valida, e viene
tuttavia citata, nelle più gravi occasioni, da' più eminenti uomini
di Stato. Diffatti, allorchè il re Giorgio III cadde in quella
infermità che lo rese incapace di esercitare le regie funzioni, e i
più insigni giureconsulti ed uomini politici opinavano diversamente
intorno al partito da prendersi in cosiffatte circostanze, il
Parlamento non volle procedere alla discussione di nessun progetto
di reggenza, finchè non fossero stati raccolti e posti in ordine
tutti gli esempi reperibili nei nostri annali fino dai primissimi
tempi della monarchia. Si elessero Commissioni per frugare negli
antichi ricordi del regno. Il primo esempio trovato fu quello del
1217; furono considerati come importantissimi gli esempi del 1326,
del 1377 e del 1422; ma il caso che venne giudicato come argomento
atto a sciogliere la questione fu quello del 1455. In tal guisa,
nella patria nostra, i più solenni interessi de' partiti si sono
appoggiati su' resultamenti delle investigazioni degli antiquari; e
fu conseguenza inevitabile che i nostri antiquari eseguissero le
investigazioni loro mossi dallo spirito di parte.
E però non è maraviglia che coloro i quali hanno scritto intorno a'
limiti della prerogativa e alla libertà della vecchia politica
d'Inghilterra, si siano generalmente mostrati non giudici, ma
rabbiosi e poco sinceri avvocati, come quelli che discutevano non di
cose speculative, ma di cose che avevano relazione diretta e pratica
con le più gravi e calde dispute de' tempi loro. Dal cominciare
della lunga lotta fra il Parlamento e gli Stuardi, fino al tempo in
cui le pretese degli Stuardi più non furono formidabili, poche
questioni erano più praticamente importanti di quella nella quale
trattavasi di stabilire se il governo, così come era stato da quelli
amministrato, fosse o no conforme all'antica Costituzione del reame.
La questione non potevasi sciogliere soltanto giusta gli esempi
tratti da ricordi de' regni precedenti. Bracton e Fleta, lo
Specchietto di giustizia, gli atti del Parlamento, vennero
studiosamente frugati, onde trovare pretesti ad attenuare gli
eccessi della Camera Stellata da un canto, e dell'Alta Corte di
giustizia dall'altro. Per lungo ordine d'anni, ogni storico Whig
affaccendossi a provare che l'antico governo inglese era poco meno
che repubblicano, ed ogni storico Tory voleva stabilire che esso era
poco meno che dispotico.
Animati da tali sentimenti, entrambi frugavano dentro i cronisti del
medio evo; entrambi trovavano agevolmente ciò che andavano cercando;
e tutti ostinavansi a non vedervi altro che le cose di cui correvano
in traccia. I difensori degli Stuardi potevano di leggieri addurre
esempi di re che avevano oppressi i sudditi; i difensori delle
Teste-Rotonde potevano con uguale agevolezza produrre esempi di
resistenza, opposta con buon esito, alla corona.
I Tories citavano da antiche scritture espressioni servili tanto,
quanto quelle che si udivano pronunziare dal pulpito di Mainwaring.
I Whigs scoprivano espressioni audaci e severe come quelle che
Bradshaw faceva risuonare dal banco de' giudici. Gli uni adducevano
numerosi esempi in cui i re avevano estorti danari da' popoli senza
l'autorità del Parlamento; gli altri citavano casi ne' quali il
Parlamento aveva assunto il potere di punire i re. Coloro che
vedevano mezza la verità della questione, avrebbero voluto
concludere che i Plantageneti erano stati assoluti come i sultani di
Turchia; coloro che ne vedevano l'altra metà, avrebbero voluto
concludere che i Plantageneti avevano avuto tanto poco potere,
quanto ne avevano i dogi di Venezia: ed ambedue coteste conclusioni
aberravano egualmente discoste dal vero.
XV. Il vecchio governo inglese apparteneva alla classe delle
monarchie limitate, che nel medio evo sorsero nell'Europa
Occidentale; e non ostante che l'una dall'altra differissero non
poco, avevano tutte una forte somiglianza di famiglia. Che vi sia
stata cotal somiglianza, non è cosa strana; perocchè i paesi in cui
sorsero quelle monarchie erano già provincia del medesimo impero
grande e incivilito, ed erano stati invasi e conquistati da'
medesimi popoli rozzi ed agguerriti. Erano vincolati dalla stessa
credenza religiosa, e congiunti in una medesima grande coalizione
contro l'Islamismo. Il loro ordinamento politico quindi prese
naturalmente la medesima forma, dacchè le loro istituzioni in parte
erano derivate da Roma imperiale, in parte da Roma papale, in parte
dalla antica Germania. Tutti avevano re, e presso tutti la dignità
regia divenne a poco a poco strettamente ereditaria. Tutti avevano
nobili, decorati di titoli che in origine indicavano il grado
militare. La dignità della cavalleria e le regole del blasone erano
comuni a tutti. Tutti avevano stabilimenti ecclesiastici riccamente
dotati, corporazioni municipali godenti larghe franchigie, e senati
il cui consenso era necessario alla validità di certi atti pubblici.
XVI. Di tutte coteste Costituzioni affini, la inglese venne fin
d'allora giudicata la migliore. Non è dubbio che le prerogative del
sovrano fossero estese. Lo spirito religioso e il cavalleresco
concorrevano ad esaltarne la dignità. L'olio sacro era stato sparso
sul suo capo; e i cavalieri più nobili e più valorosi non si
reputavano degradati inginocchiandoglisi dinanzi. La sua persona era
inviolabile; egli solo aveva diritto di convocare gli Stati del
Regno e di disciorli; e il suo assenso era indispensabile a tutti i
loro atti legislativi. Egli era il capo del potere esecutivo, il
solo organo di comunicazione co' potentati stranieri, il comandante
delle milizie di terra e di mare, la sorgente d'onde emanavano la
giustizia, la grazia e l'onorificenza. Aveva estesi poteri per
regolare il commercio: coniava la moneta, determinava i pesi e le
misure, stabiliva i porti e i mercati. Il suo patronato
ecclesiastico era immenso; le sue rendite ereditarie, amministrate
economicamente, bastavano a sostenere le spese ordinarie del
governo. Vastissimi erano i suoi propri possedimenti: egli era anzi
signore feudale di tutto il suolo del suo regno, e come tale
possedeva numerosi diritti lucrativi e formidabili, per mezzo de'
quali egli poteva domare coloro che gli erano avversi, arricchire e
far grandi, senza suo detrimento, coloro che gli erano bene affetti.
XVII. Ma il suo potere, quantunque ingente, era limitato da tre
grandi principii costituzionali; cotanto antichi, che nessuno poteva
indicare il tempo in cui cominciarono ad esistere; e talmente
potenti, che il loro naturale sviluppo, continuato per lungo ordine
d'anni, ha prodotto le condizioni politiche nelle quali oggimai
l'Inghilterra si trova.
Primamente, il re non poteva fare legge alcuna senza il consenso del
Parlamento.
In secondo luogo, non poteva imporre tasse senza il consenso del
Parlamento.
Da ultimo, egli era tenuto a condurre l'amministrazione esecutiva
secondo le leggi del paese, della violazione delle quali dovevano
rispondere al popolo i consiglieri e gli agenti del principe.
Nessun Tory, purchè fosse sincero, potrebbe negare che cotesti
principii avevano, cinquecento anni fa, acquistato autorità di
regole fondamentali. Dall'altro canto, nessun Whig, egualmente
schietto, potrebbe affermare che essi fossero, fino ad una epoca più
tarda, purificati d'ogni ambiguità, o spinti fino a tutte le loro
naturali conseguenze. Una Costituzione nata nel medio evo non era,
come una Costituzione del decimottavo o decimonono secolo, creata
intieramente in un solo atto, e rinchiusa in un solo documento. Egli
è soltanto in un'età culta ed incivilita che la politica può
istituirsi sopra un sistema. Nelle società rozze il progresso del
governo somiglia al progresso del linguaggio e della versificazione.
Le società rozze hanno una lingua, e spesso copiosa ed energica; ma
non hanno grammatica scientifica, non definizioni di nomi e di
verbi, non vocaboli per le declinazioni, pei modi, pei tempi. Le
rozze società hanno una versificazione, e spesso vigorosa ed
armonica; ma non hanno leggi di ritmo; e il menestrello, i canti del
quale, armonizzati dalla sola squisitezza dell'udito, formano il
diletto de' popoli, non saprebbe spiegare di quanti dattili o
trochei consti ciascuno de' suoi versi.
Come la eloquenza esiste innanzi la sintassi e il canto innanzi la
prosodia, così il governo può esistere in grado d'eccellenza lungo
tempo avanti che i limiti de' poteri legislativo, esecutivo e
giudiciario, vengano segnati con precisione.
XVIII. E ciò appunto è seguito nel nostro paese. La linea che
circoscriveva la regia prerogativa, tuttochè, generalmente parlando,
fosse abbastanza chiara, non era stata in ogni parte tirata con
accuratezza o precisione. E però, sull'orlo del terreno assegnatole
vi era qualche spazio disputabile, dove seguitarono a succedere
invasioni e rappresaglie, finchè, dopo anni ed anni di lotta, furono
stabiliti segni evidenti e durabili. Sarebbe pregio dell'opera
notare in che modo, e fino a qual punto, i nostri antichi sovrani
avessero l'abitudine di violare i tre grandi principii che
proteggevano le libertà nazionali.
Nessuno de' re d'Inghilterra ha mai preteso arrogarsi tutto il
potere legislativo. Il più violento dei Plantageneti non si reputò
mai competente a decretare, senza il consentimento del suo Gran
Consiglio, che un giury si dovesse comporre di dieci individui
invece di dodici, che la dote d'una vedova dovesse essere la quarta
parte del patrimonio invece della terza, che lo spergiuro dovesse
reputarsi delitto di fellonia, e che la consuetudine di dividere gli
averi in parti uguali fra i maschi d'una famiglia dovesse introdursi
nella contea di York(6). Ma il re aveva il potere di perdonare i
colpevoli; e vi è un punto in cui il potere di perdonare e quello di
far leggi sembrano di leggeri confondersi fra loro. Uno statuto
penale viene virtualmente annullato, se le penalità che esso impone
sono regolarmente rimesse ogni qualvolta vi è luogo ad applicarle.
Il sovrano, senza alcun dubbio, era competente a condonare le
punizioni, e in ciò il suo diritto non aveva limiti; e per tal
ragione, egli poteva annullare virtualmente uno statuto penale.
Sembrerebbe che non vi fossero serie obiezioni a lasciargli fare
formalmente ciò che virtualmente poteva fare. In tal guisa, con
l'aiuto di giureconsulti sottili e cortigiani, formossi, sul confine
dubbio che separa le funzioni legislative dalle esecutive, quella
grande anomalia che chiamasi potestà di dispensare.
Che il re non potesse imporre tasse senza il consenso del
Parlamento, generalmente si ammette essere stata, da tempo
immemorabile, legge fondamentale della monarchia inglese. Era uno
degli articoli che i Baroni costrinsero il re Giovanni a firmare.
Eduardo I tentò di violare quella legge; ma, nonostante che fosse
uomo destro, potente e popolare, trovò tale opposizione che gli
parve utile di cedere. Promise quindi in termini espressi, a nome di
sè e de' suoi eredi, che nessuno di loro avrebbe mai imposto
balzelli di veruna specie senza l'assenso e la libera volontà degli
Stati del regno. Il suo potente e vittorioso nipote provossi di
infrangere cotesto patto solenne; ma trovò validissima resistenza.
Finalmente, i Plantageneti, disperati di riuscirvi, rinunziarono a
cotali pretese. Ma, comecchè fossero avvezzi ad infrangere la legge
apertamente, studiaronsi, secondo le occasioni, eludendola, di
estorcere temporaneamente delle somme straordinarie. Era loro
inibito di imporre tasse, ma reclamarono il diritto di chiedere e di
tôrre in prestito. E però talvolta chiesero con un linguaggio tale,
da non distinguersi dall'espressione di un comando; e tal'altra
tolsero in prestito con poco pensiero di rendere. Ma il solo fatto
di stimar necessario il mascherare simiglianti esazioni sotto nome
di donativi o di prestiti, prova a sufficienza che l'autorità del
gran principio costituzionale era universalmente riconosciuta.
Il principio che il re d'Inghilterra era tenuto a condurre
l'amministrazione secondo la legge, e che qualora egli facesse
alcuna cosa contro la legge, i suoi consiglieri ed agenti erano
responsabili, fu stabilito ne' tempi primitivi della Costituzione;
come ne sono prova bastevole i severi giudizi pronunziati ed
eseguiti contro molti favoriti del principe. Non per tanto, gli è
certo che i diritti degli individui vennero spesso violati dai
Plantageneti, e che le parti offese spesso furono nella
impossibilità di ottenere giustizia. Secondo la legge, la tortura,
che è una macchia della romana giurisprudenza, non poteva, in nessun
caso, essere inflitta ad un suddito inglese. Nondimeno, nelle
turbolenze del secolo decimoquinto, la tortura venne introdotta
nella Torre di Londra, e, secondo le occasioni, se ne faceva uso
sotto pretesto di necessità politica. Ma sarebbe grave errore
inferire da siffatte irregolarità, che i monarchi d'Inghilterra
fossero, in teoria o in pratica, assoluti. Noi viviamo in una
società altamente incivilita, in cui le nuove sono così rapidamente
propagate per mezzo della stampa e degli uffici postali, che ogni
qualunque atto notorio d'oppressione commesso in qualunque parte
della nostra isola viene, in poche ore, discusso da milioni
d'uomini. Se un sovrano inglese facesse oggimai murar vivo dentro
una parete un suddito, in aperta violazione dell'Habeas corpus, o
mettere un cospiratore alla tortura, tal nuova elettrizzerebbe in un
attimo l'intiera nazione.
Nel medio evo le condizioni della società erano grandemente diverse.
Rade volte e con molta difficoltà i torti fatti agli individui
pervenivano a cognizione del pubblico. Un uomo poteva illegalmente
essere confinato per molti mesi nel castello di Carlisle e di
Norwich, senza che nè anche un bisbiglio della cosa arrivasse in
Londra. È molto probabile che la tortura fosse stata in uso molti
anni innanzi che la gran maggioranza della nazione ne concepisse il
minimo sospetto. Nè i nostri antichi erano in nessun modo così
gelosi, come siamo noi, dell'importanza di osservare le grandi
regole generali. L'esperienza ci ha insegnato che non possiamo senza
pericolo patire che passi in silenzio la minima violazione dello
Statuto. E perciò ormai universalmente si pensa che un governo il
quale senza necessità ecceda i suoi poteri, debba essere colpito di
severa censura parlamentare; e che un governo, il quale, spinto da
una grande urgenza e da intenzioni pure, ecceda i suoi poteri, debba
senza indugio rivolgersi al Parlamento per un atto d'indennità. Ma
non era tale il sentire degl'Inglesi de' secoli decimoquarto e
decimoquinto. Essi erano poco disposti a contendere per un principio
semplicemente come principio, ed a biasimare una irregolarità che
non era reputata atto d'oppressione. Finchè lo spirito generale del
governo mantenevasi mite e popolare, erano proni ad accordare
qualche latitudine alle azioni del loro sovrano. Se per uno scopo
che si reputasse sommamente lodevole, egli faceva uso di un vigore
che travarcava i confini segnati dalla legge, essi non solo gli
perdonavano, ma lo applaudivano; e mentre godevano sicurezza e
prosperità sotto il suo imperio, erano solleciti a credere che
chiunque fosse incorso nella sua collera, ne era stato meritevole.
Ma siffatta indulgenza aveva anche un limite; nè era savio quel
principe che affidavasi sulla tolleranza del popolo inglese.
Potevano talvolta concedergli ch'ei trapassasse la linea
costituzionale; ma dal canto loro reclamavano il privilegio di
trapassarla anch'essi tutte le volte che le sue usurpazioni erano
tali da svegliare sospetto negli animi di tutti. Se, non contento di
opprimere di quando in quando qualche individuo, osava opprimere le
popolazioni, i suoi sudditi subitamente appellavansi alla legge; e
riuscendo infruttuoso cotale appello, ricorrevano, senza mettere
tempo in mezzo, al Dio delle battaglie.
XIX. Potevano, a dir vero, tollerare in un re pochi eccessi;
perocchè potevano sempre appigliarsi al partito di opporgli un
ostacolo, che tosto conducesse alla ragione il più fiero e superbo
dei principi, - l'ostacolo della forza fisica. Torna difficile ad un
inglese del secolo decimonono immaginare la facilità e prestezza con
che, quattrocento anni fa, tale specie d'ostacolo operasse.
Oggigiorno i popoli sono disavvezzi dall'uso delle armi; l'arte
della guerra è stata condotta ad una perfezione ignota ai nostri
antenati, la conoscenza della quale è circoscritta in una classe
peculiare d'individui. Centomila soldati, ben disciplinati e guidati
da esperti capitani, bastano a domare parecchi milioni d'artigiani e
di contadini. Pochi reggimenti di milizie cittadine servono ad
impaurire ed attutire gli spiriti di una vasta metropoli. Frattanto,
lo effetto del continuo progresso della ricchezza è stato quello di
rendere la insurrezione più temibile di quello che sia la cattiva
amministrazione. Immense somme sono state spese in opere che, nel
caso di uno scoppio repentino di ribellione, potrebbero tra poche
ore reprimerla. La massa della ricchezza mobile cumulata nelle
botteghe e ne' magazzini di Londra, da sè sola sorpassa cinquecento
volte quella che tutta l'isola conteneva ne' giorni dei
Plantageneti; e se il governo venisse rovesciato dalla forza
materiale, tutta cotesta ricchezza mobile sarebbe esposta
all'imminente rischio di spoliazione e di distruzione. Sarebbe anche
maggiore il pericolo del credito pubblico, da cui direttamente
dipende la sussistenza di migliaia di famiglie, ed a cui
inseparabilmente va connesso il credito di tutto il mondo
commerciale. Non sarebbe esagerazione affermare, che una settimana
di guerra civile in Inghilterra oggidì produrrebbe tali disastri,
che i suoi effetti, facendosi sentire da Hoangho fino al Missouri,
si riconoscerebbero per il corso d'un secolo. In simili condizioni
sociali, è d'uopo considerare la resistenza come un sistema di cura
più disperata di qualunque infermità potesse affliggere lo Stato.
Nel medio evo, all'incontro, la resistenza era un rimedio ordinario
ai mali politici; rimedio che era sempre pronto, e comunque di certo
fosse amaro in sul momento, non produceva profonde e durevoli
conseguenze sinistre. Se un capopopolo alzava il proprio vessillo
per la causa del popolo, in un solo giorno poteva raccogliere una
armata irregolare; dacchè di regolari non ve n'era nessuna. Ciascun
uomo aveva una certa conoscenza della professione del soldato, ma
null'altro più che una leggiera conoscenza. La ricchezza nazionale
consisteva principalmente in greggi ed armenti, nelle ricolte
dell'anno, e nelle semplici abitazioni dentro le quali s'annidavano
le genti. Tutte le masserizie, gli arnesi delle botteghe, le
macchine reperibili nel reame, erano di minor valore di quello che
sia ciò che qualche parrocchia dei giorni nostri contiene. Le
manifatture erano rozze, il credito quasi nullo. La società quindi
si riaveva dal colpo, subito appena cessato il conflitto. Le
calamità della guerra civile limitavansi alle stragi che seguivano
nel campo di battaglia, ed a poche punizioni capitali o confische.
In meno d'una settimana dopo, il contadino ripigliava il suo aratro,
e il gentiluomo sollazzavasi a mandare in aria il falcone ne' campi
di Towton, o di Bosworth, come se nessun evento straordinario fosse
sopraggiunto ad interrompere il corso regolare della vita umana.
Oramai sono trascorsi centosessanta anni, dacchè il popolo inglese
rovesciò con forza il governo del paese. Ne' cento e sessanta anni
che precessero la unione delle due Rose, regnarono in Inghilterra
nove re, sei dei quali vennero cacciati dal trono, cinque vi
perderono la corona e la vita. Per la quale cosa, egli è evidente
che il paragonare la nostra politica antica alla moderna deve
inevitabilmente condurre alle più erronee conclusioni, qualora non
si conti per molto l'effetto di quelle restrizioni che la
resistenza, o la paura della resistenza, imponeva sempre ai
Plantageneti. E poichè i nostri antichi avevano contro la tirannide
una importantissima guarentigia che a noi manca, potevano porre in
non cale quelle tali guarentigie che noi stimiamo di grandissimo
momento. Non potendo noi, senza il pericolo di danni da' quali
rifugge la nostra immaginazione, adoperare la forza fisica come un
ostacolo contro il mal governo, è per noi cosa evidentemente saggia
essere gelosissimi di tutti i poteri costituzionali raffrenanti il
mal governo; spiare scrupolosamente ogni principio d'usurpazione; e
non patire mai che nessuna irregolarità, quand'anche fosse d'indole
innocua, passi senza essere combattuta, ove non possa allegare a
favor suo l'esempio di atti precedenti. Quattrocento anni indietro
questa minuta vigilanza poteva non essere necessaria. Una nazione
d'intrepidi arcieri e lancieri poteva, con poco periglio delle sue
libertà, mostrarsi connivente a qualche atto illegale nella persona
di un principe, del quale l'amministrazione fosse generalmente
buona, e il trono non difeso nè anche da una compagnia di soldati
regolari.
Sotto tale sistema, comunque possa sembrare rozzo in paragone di
quelle elaborate Costituzioni che sono sorte negli ultimi
settant'anni, gl'Inglesi godevano ampia misura di libertà e
felicità. Tuttochè sotto il debole regno di Enrico VI lo Stato fosse
lacerato prima dalle fazioni e poscia dalla guerra civile; tuttochè
Eduardo IV fosse principe d'indole dissoluta e superba; tuttochè
Riccardo III venga generalmente rappresentato come mostro di
scelleraggine; tuttochè le esazioni di Enrico VII gettassero il
paese nella miseria; - egli è certo che gli avi nostri, sotto tali
re, erano governati meglio de' Belgi sotto Filippo soprannominato il
Buono, e de' Francesi sotto quel Luigi che veniva chiamato padre del
popolo. Anche mentre le guerre delle Rose infuriavano, e' pare che
il nostro paese sia stato in condizioni migliori che non erano i
reami a noi vicini negli anni di pace profonda. Comino era uno dei
più illuminati uomini di Stato de' tempi suoi. Aveva veduto le più
ricche ed altamente civili regioni del continente; era vissuto nelle
città opulente delle Fiandre, che possono chiamarsi le Manchester e
le Liverpool del secolo decimoquinto; avea visitato Firenze, di
fresco abbellita dalla magnificenza di Lorenzo de' Medici, e Venezia
non ancora umiliata dalla Lega di Cambray. Questo uomo egregio
scrisse deliberatamente, l'Inghilterra essere il paese meglio
governato fra tutti quelli di cui egli avesse conoscenza; mostrò
enfaticamente la Costituzione inglese come una cosa giusta e santa,
la quale mentre proteggeva il popolo, rinvigoriva il braccio del
principe che la rispettava. In nessun altro Stato, egli diceva, gli
uomini erano tanto efficacemente guarentiti d'ogni torto. Le
calamità originate dalle nostre guerre intestine gli sembravano
toccare solo i nobili e i combattenti, e non lasciare vestigia
simili a quelle che egli era avvezzo ad osservare altrove; non
rovine di edifizi, non città spopolate.
XX. E' non fu solo per la efficacia delle predette restrizioni,
imposte alla prerogativa regia, che le sorti dell'Inghilterra
procedessero più prospere di quelle degli Stati vicini. Una
peculiarità di pari importanza, comunque meno avvertita, consisteva
nella relazione tra i nobili e il popolo. Vi era una forte
aristocrazia ereditaria, ma di tutte le aristocrazie ereditarie era
la meno insolente ed esclusiva. Non aveva affatto l'invido carattere
d'una casta. Riceveva nel proprio seno individui dell'ordine
popolare; mandava individui dell'ordine proprio in seno de'
popolani. Ogni gentiluomo poteva diventar Pari; il figlio più
giovane di un Pari non era se non un semplice gentiluomo. I nipoti
de' Pari lasciavano la precedenza a' cavalieri novellamente creati.
La dignità di cavaliere non era inaccessibile a qualunque uomo il
quale potesse per la diligenza e i guadagni formarsi uno stato, o
farsi ammirare pel suo valore in una battaglia o in un assedio. La
figlia di un duca, anche di un duca di sangue reale, non reputavasi
degradata maritandosi a un distinto popolano. Difatti, sir Giovanni
Howard sposò la figliuola di Tommaso Mowbray duca di Norfolk; sir
Riccardo Pole sposò la contessa di Salisbury, figlia di Giorgio,
duca di Clarence. Il sangue puro in verità era tenuto in pregio; ma
tra il sangue puro e i privilegii della paría non eravi, a grande
ventura della patria nostra, necessaria connessione. Le antiche
genealogie, non meno che i vecchi blasoni, potevano trovarsi fuori e
dentro della camera de' lordi. Eranvi uomini nuovi che discendevano
da cavalieri che portavano i più alti titoli; v'erano uomini senza
titoli, che avevano vinte le armi sassoni alla battaglia di
Hastings, e scalate le mura di Gerusalemme. Vi erano Bohuns,
Mowbrays, De Veres; eranvi parenti della famiglia dei Plantageneti,
senza altro titolo che quello di scudiere (esquire), e senza altri
privilegii che quelli che godeva ogni colono o padrone di bottega.
Non v'era, dunque, tra noi limite simile a quello che in taluni
paesi divideva l'uomo patrizio dal plebeo. Il popolano non aveva
ragione di mormorare d'una dignità alla quale i suoi figli potevano
elevarsi. Il signore non era tentato d'insultare una classe alla
quale i suoi figli dovevano discendere.
Dopo le guerre tra la casa di York e quella di Lancaster, gli anelli
della catena che univa i nobili ai popolani, divennero più numerosi
che mai. Fino a che punto la distruzione colpisse la vecchia
aristocrazia, può dedursi da una sola circostanza. Nel 1451, Enrico
VI chiamò al parlamento cinquantatré lordi secolari. I lordi
secolari convocati da Enrico VII al parlamento del 1485, furono
soltanto ventinove, de' quali ventinove parecchi erano stati di
recente elevati alla paría. Nel corso del secolo susseguente, i pari
vennero in gran numero scelti fra mezzo ai gentiluomini. La
costituzione della Camera de' Comuni tendeva grandemente a
promuovere la salutare mistura delle classi. Il cavaliere della
contea era l'anello intermedio fra il barone e il trafficante. Sul
medesimo banco su cui sedevano gli orefici e i droghieri, i quali
erano stati mandati al Parlamento dalle città commerciali, sedevano
parimente i membri che in qualunque altro paese sarebbero stati
chiamati nobili, e lordi ereditarj, che avevano il diritto di tenere
corti e portare arme, e potevano far risalire la loro discendenza a
molte generazioni anteriori. Parecchi di loro erano figli cadetti e
fratelli di grandi lordi; altri potevano perfino gloriarsi d'essere
discendenti di sangue regale. Finalmente, il figlio maggiore di un
conte di Bedford, insignito, per grazia, del secondo titolo del
proprio genitore, si offerse come candidato nella Camera de' Comuni,
e il suo esempio venne seguito da altri. Sedenti in quella Camera,
gli eredi de' grandi del regno naturalmente divennero gelosi dei
suoi privilegii, al pari del più umile borghese che sedeva loro
accanto. In tal modo la nostra democrazia fu, sino da' primi tempi
della costituzione, la più aristocratica, e la nostra aristocrazia
la più democratica del mondo: peculiarità caratteristica che si è
mantenuta fino ai dì nostri, e che si è fatta cagione
d'importantissime conseguenze morali e politiche.
XXI. Il governo di Enrico VII, di suo figlio e de' suoi nipoti, fu,
generalmente considerandolo, più arbitrario di quello de'
Plantageneti. Fino a un certo segno, la ragione di siffatta
differenza si potrebbe trovare nel carattere personale di que'
principi; poichè gli uomini egualmente che le donne della casa de'
Tudors furono coraggiosissimi e forti. Esercitarono il potere per lo
spazio di centoventi anni, sempre con vigore, spesso con violenza,
talvolta con crudeltà. Imitando la dinastia che li aveva preceduti,
di quando in quando invasero i diritti degli individui, riscossero
tasse sotto nome di prestiti e di donativi, dispensarono le pene
inflitte dalle leggi; e quantunque non presumessero mai di
promulgare di propria autorità nessun decreto permanente, secondo
l'occasione si arrogarono il diritto, quando il Parlamento non era
in sessione, di far fronte con editti temporanei a' temporanei
bisogni. Egli era, nondimeno, impossibile ai Tudors di opprimere il
popolo al di là di certi limiti; poichè non avevano forza armata, ed
erano circondati da un popolo armato. La reggia era guardata da
pochi famigliari, che potevano essere agevolmente sconfitti dalla
popolazione di una sola contea, o d'un solo quartiere della città di
Londra. Cotesti principi alteri erano, dunque, soggetti ad un freno
più forte d'ogni qualunque altro potesse essere loro imposto dalle
semplici leggi; ad un freno che, a dir vero, non li impediva dal
trattare arbitrariamente e perfino barbaramente un individuo, ma che
efficacemente guarentiva il paese contro una generale e perpetua
oppressione. Potevano impunemente essere tiranni dentro la propria
corte, ma era loro necessario sorvegliare con perpetua ansietà il
sentire della nazione. Enrico VIII, a modo d'esempio, non trovò
ostacolo allorquando gli piacque di mandare Buckingham e Surrey,
Anna Bolena e Lady Salisbury, al patibolo. Ma allorquando, senza
l'assenso del Parlamento, chiese ai suoi sudditi una contribuzione
che equivaleva a un sesto de' loro averi, gli fu forza ritirare la
domanda. Il grido di migliaia e migliaia fu, che essi erano Inglesi
e non Francesi, uomini liberi e non schiavi. In Kent i commissari
regi fuggirono per salvare la vita; in Suffolk quattro mila uomini
presero le armi e mostraronsi. In quella contea i luogotenenti del
re invano si sforzarono di formare un esercito. Coloro che non
parteciparono alla insurrezione, dichiararono di non volere, in quel
litigio, combattere contro i loro fratelli. Enrico, superbo e
caparbio com'egli era, si astenne, non senza ragione, d'impegnarsi
in un conflitto con lo spirito desto della nazione. Gli stava
dinanzi lo sguardo il fato de' suoi predecessori, che avevano
perduta la vita in Berckeley e Pomfret. Non solo soppresse le sue
illegali commissioni; non solo concesse un perdono generale a tutti
i malcontenti; ma pubblicamente e solennemente fece una apologia, a
giustificarsi d'avere infrante le leggi.
La sua condotta, in tal occasione, sparge piena luce su tutta la
politica della sua dinastia. Il carattere de' principi di quella
casa era violento, il loro spirito altiero; ma essi intendevano
l'indole della nazione sulla quale regnavano, e neanche una volta, a
simiglianza de' loro predecessori e di taluni de' loro successori,
condussero l'ostinatezza fino a un punto fatale. La discrezione de'
Tudors era tale, che il loro potere, tuttochè venisse spesse volte
avversato, non fu distrutto giammai. Il regno di ciascuno di loro fu
disturbato da formidabili malumori; ma il governo riuscì sempre o a
calmare gli ammutinati, o a soggiogarli e punirli. Talvolta, per
mezzo di concessioni fatte in tempo debito, gli riuscì di schivare
le ostilità interne; ma, generalmente parlando, stette fermo, e
invocò l'aiuto della nazione. La nazione ubbidì alla chiamata, si
affollò attorno al sovrano, e gli prestò man forte ad infrenare la
minoranza malcontenta.
In tal guisa, dall'epoca d'Enrico III fino a quella d'Elisabetta,
l'Inghilterra crebbe e fiorì sotto una politica che conteneva il
germe delle nostre istituzioni presenti, e la quale, benchè non
fosse molto esattamente definita o molto esattamente osservata, fu
nondimeno efficacemente impedita di degenerare in dispotismo, pel
rispettoso timore che lo spirito e la forza de' governati incuteva
ai governanti.
Ma tale politica conviene solamente ad uno stadio peculiare nel
progresso della società. Le stesse cagioni che producono la
divisione del lavoro nelle arti pacifiche, è mestieri che in fine
facciano della guerra una scienza ed un traffico a parte. Arriva il
tempo in cui l'uso delle armi comincia ad occupare intieramente
l'attenzione d'una classe di uomini. Subito dopo, chiaro si mostra
che, i contadini e i borghesi, tuttochè valorosi, non valgono a
resistere ai vecchi soldati, i quali spendono tutta la loro vita ad
apparecchiarsi pel dì della battaglia, diventano, pel lungo uso,
impavidi ai perigli delle armi, e si muovono con la precisione di
una macchina. S'intende allora che la difesa delle nazioni non può
più essere sanamente affidata a guerrieri tratti dall'aratro per una
campagna di quaranta giorni. Se uno stato forma un grande esercito
regolare, gli stati limitrofi è forza che ne imitino lo esempio, o
si sottomettano al giogo straniero. Ma dove esiste un grande
esercito regolare, la monarchia limitata, quale era nel medio evo,
non può più esistere. Il sovrano si è già emancipato dal freno che
restringeva il suo potere; ed inevitabilmente diventa assoluto,
qualvolta non sia soggetto a limitazioni forti, che sarebbero
superflue in una società in cui tutti sieno soldati secondo
l'occasione, e nessuno permanentemente.
XXII. Con siffatto pericolo vennero anche i mezzi di evitarlo. Nelle
monarchie del medio evo, il potere della spada apparteneva al
principe, ma il potere della borsa apparteneva alla nazione; e il
progresso dell'incivilimento, come rese la spada del principe sempre
più formidabile alla nazione, così rese la borsa della nazione
sempre più necessaria al principe. Le sue rendite ereditarie non
sarebbero più bastate né anche per le spese del governo civile. Fu
all'atto impossibile che, senza un regolare e vasto sistema di
tassazione, egli tenesse in continua efficienza un gran corpo di
milizie disciplinate. La politica che le assemblee parlamentari di
Europa avrebbero dovuto adottare, era quella di afforzarsi
fermamente sul loro diritto costituzionale di concedere o rifiutare
le imposte, e risolutamente negare la pecunia per mantenere le
armate, finchè non si fossero stabilite ampie garanzie contro il
dispotismo.
Cotesta saggia politica fu adottata solamente nel nostro paese.
Negli stati vicini formaronsi de' grandi stabilimenti militari,
senza creare nuove difese a pro' della pubblica libertà; e la
conseguenza fu questa, che le antiche istituzioni parlamentari si
spensero dappertutto. In Francia, dove sempre erano state fiacche,
languirono, e finalmente perirono di semplice debolezza. In Ispagna,
dove erano state forti quanto in qualunque altro stato d'Europa,
combatterono fieramente per la vita e per la morte, ma combatterono
troppo tardi. Gli artigiani di Toledo e di Valladolid invano
difesero i privilegi delle cortes castigliane contro le legioni de'
veterani di Carlo V. Invano, nella susseguente generazione, i
cittadini di Saragozza resistettero a Filippo II, onde difendere la
vecchia costituzione d'Aragona. Uno dopo l'altro, i consigli
nazionali delle monarchie continentali, consigli che un tempo erano
quasi egualmente alteri e potenti che quelli di Westminster, caddero
in maggiore impotenza. Se si adunavano, adunavansi unicamente come
oggidì si aduna la nostra Convocazione Ecclesiastica, voglio dire
per osservanza di alcune forme venerande.
XXIII. In Inghilterra gli eventi ebbero un corso ben differente.
Innanzi la fine del secolo decimoquinto, i grandi stabilimenti
militari erano indispensabili alla dignità, ed anche alla salvezza
delle monarchie Francese e Spagnuola. Se alcuna di queste due
potenze si fosse disarmata, sarebbe stata subito dopo costretta a
sottomettersi alla dittatura dell'altra. Ma l'Inghilterra, protetta
dal mare contro la invasione, e rade volte implicata in imprese
guerresche sul continente, non aveva peranche il bisogno di
mantenere truppe regolari. I secoli decimosesto e decimosettimo la
trovarono ancora priva d'un esercito stanziale. Sul principio del
decimosettimo, la scienza politica aveva fatti considerevoli
progressi. Le sorti delle cortes spagnuole e degli stati generali di
Francia avevano dato un solenne ammonimento ai parlamenti nostri, i
quali, comprendendo appieno la natura e la gravità del pericolo,
adottarono in tempo opportuno un sistema di tattica, che, dopo una
lotta continuata per tre generazioni, finalmente ottenne compiuto
successo. Quasi ogni scrittore che ha trattato di quella lotta, si è
studiato di mostrare che il suo proprio partito era quello che
sforzavasi di serbare inalterata l'antica costituzione. Una legge
superiore ad ogni umano sindacato, aveva dichiarato che non vi
sarebbero stati mai più governi di quella classe peculiare, che ne'
secoli decimoquarto e decimoquinto erano stati comuni a tutta
l'Europa. La questione però non era di vedere se la nostra politica
subirebbe un mutamento, ma di trovare di che natura dovesse essere
siffatto mutamento. L'introduzione di una forza nuova e potente
aveva turbato il vecchio equilibrio, ed aveva trasmutato, l'una dopo
l'altra, le monarchie limitate in assolute. Ciò che è seguito negli
altri Stati sarebbe senza dubbio seguito nel nostro, se la bilancia
non fosse stata rimessa in equilibrio dal gran passaggio che fece il
potere dalla Corona al Parlamento. I nostri principi erano pressochè
giunti ad avere a' loro comandi quei mezzi di coercizione che non
ebbero mai in poter loro i Plantageneti e i Tudors. Sarebbero
inevitabilmente diventati despoti, se nel tempo medesimo non fossero
stati posti sotto restrizioni, alle quali nessuno de' Plantageneti o
dei Tudors fu mai sottomesso.
XXIV. E' sembra certo però, che se non avesse operato alcun'altra
cagione diversa dallo cagioni politiche, il secolo decimosettimo non
sarebbe trascorso senza un feroce conflitto tra i nostri principi e
i loro parlamenti. Ma bene altre cause assai più potenti cooperavano
a produrre il medesimo effetto. Mentre il governo de' Tudors era nel
suo maggior vigore, seguì un fatto che ha modificate le sorti di
tutte le nazioni cristiane, ed in modo peculiare quelle della
Inghilterra. Nel medio evo, due volte lo spirito dell'Europa erasi
innalzato contro il dominio di Roma(7). La prima insurrezione eruppe
dalla Francia Meridionale. La energia d'Innocenzo III, lo zelo degli
Ordini, pur allora istituiti, da Francesco e da Domenico, e la
ferocia de' Crociati, che il clero aveva lanciati addosso a un
popolo pacifico, distrusse le chiese Albigesi. La seconda Riforma
ebbe origine in Inghilterra, e si estese alla Boemia. Il Concilio di
Costanza, ponendo freno a parecchi disordini ecclesiastici, che
erano di scandalo alla Cristianità, e i principi europei, adoperando
senza misericordia il ferro e il fuoco contro gli eretici, poterono
fermare e rinculare quel movimento. Né ciò è da reputarsi un gran
male. Le simpatíe di un protestante, egli è vero, saranno
naturalmente a favore degli Albigesi e dei Lollardi. Nondimeno, un
protestante illuminato e temperante inclinerà forse a dubitare che
la vittoria degli Albigesi o dei Lollardi avrebbe, nello insieme,
promosso la felicità e la virtù del genere umano. Per quanto
corrotta fosse la Chiesa di Roma, abbiamo ragione di credere, che se
ella fosse stata rovesciata nel duodecimo o anche nel
quattordicesimo secolo, il suo posto sarebbe stato occupato da
qualche altro sistema anco più corrotto. A quei tempi, nella maggior
parte d'Europa era pochissima istruzione, la quale inoltre era
ristretta dentro i limiti del solo clero. Un solo in cinquecento
uomini laici sapeva intendere un salmo. I libri erano pochi e
costavano molto. L'arte della stampa non era per anche inventata.
Esemplari della Bibbia, per beltà e chiarezza inferiori a quelli che
oggi possono trovarsi in ogni capanna, vendevansi a prezzi che molti
de' preti non potevano pagare. Era impossibile che i laici
studiassero da sè le Scritture. È quindi probabile che appena essi
avessero scosso un giogo spirituale, se ne sarebbero recato un altro
sul collo, e che il potere già esercitato dal clero e dalla Chiesa
di Roma sarebbe passato nelle mani d'insegnatori molto più tristi.
Il secolo decimosesto, in paragone degli antecedenti, era un'età di
luce. Nonostante, anche in quel secolo stesso un numero
considerevole di quelli uomini i quali avevano abbandonata la
vecchia religione, si traevano dietro al primo che, ispirando loro
fiducia, ponevasi a guida, e li trascinava in errori molto più gravi
di quelli cui essi avevano rinunciato. Così a Matthias e
Kniperdoling, apostoli di lussuria, di ladroneccio e d'assassinio,
venne fatto di padroneggiare per qualche tempo parecchie grandi
città. In una età più buia tali falsi profeti avrebbero potuto
fondare imperi; e la Cristianità avrebbe potuto essere traviata in
una crudele e licenziosa superstizione, più nociva non solo del
papato, ma dello stesso islamismo.
Circa cento anni dopo il Concilio di Costanza, s'iniziò quel gran
fatto che, enfaticamente, chiamarono la Riforma. La pienezza dei
tempi era giunta. Il clero non era più oltre il solo e precipuo
custode del sapere. La invenzione della stampa aveva armato il
braccio degli avversanti la Chiesa d'un'arma di cui difettavano i
loro predecessori. Lo studio degli antichi scrittori, il rapido
sviluppo delle lingue moderne, l'operosità insolita con che gli
intelletti agitavansi in ogni ramo di letteratura, le condizioni
politiche dell'Europa, i vizi della Corte Romana, l'esazioni della
romana cancelleria, la gelosia con che i laici naturalmente miravano
l'opulenza e i privilegi del clero, la gelosia con che gli abitatori
d'oltr'Alpe naturalmente guardavano la supremazia dell'Italia; tutte
queste cose dettero ai dottori della nuova teologia un vantaggio, ed
essi trovarono e intesero perfettamente il modo d'usarne.
Coloro i quali sostengono che la influenza della Chiesa di Roma ne'
tempi barbari fosse, parlando generalmente, benefica alla specie
umana, potrebbero, senza taccia della minima incoerenza, considerare
la Riforma come una inestimabile ventura. Il freno che sostiene e
guida il bambino, riuscirebbe d'impedimento all'uomo già fatto. In
simil guisa i mezzi medesimi dai quali la mente umana, in uno stadio
del suo progresso, riceve sostegno e movimento, potrebbero, in altro
stadio, diventare pretti impedimenti. È un punto nella vita
dell'uomo come in quella della società, nel quale la sommissione e
la fede, tali che in un periodo posteriore si chiamerebbero con
ragione credulità e servaggio, sono qualità benefiche. Il fanciullo
che, senza avere la tenera mente turbata dal dubbio, ascolti gli
ammonimenti de' suoi maggiori, verosimilmente farà celeri progressi.
Ma l'uomo che ricevesse con fanciullesca docilità ogni asserzione ed
ogni domma profferito da un altro uomo che non abbia maggiore
sapienza, diventerebbe contennendo. Lo stesso accade della società.
La fanciullezza delle nazioni europee era trascorsa sotto la tutela
del clero. La preponderanza dell'ordine sacerdotale fu per lunga
stagione quella stessa preponderanza che naturalmente e
convenevolmente appartiene alla superiorità intellettuale. I preti,
malgrado i loro difetti, erano la parte più saggia della società.
Egli era, dunque, un bene che venissero rispettati ed obbediti. Le
usurpazioni che il potere ecclesiastico fece nel campo del potere
civile, produssero più felicità che miseria; mentre il potere
ecclesiastico era nelle mani della sola classe che aveva studiata la
storia, la filosofia e il diritto pubblico; e mentre il potere
civile era nelle mani di capi selvaggi, i quali non sapevano leggere
le concessioni e gli editti che essi facevano. Ma succedeva un
mutamento. Il sapere gradualmente si venne spandendo fra' laici. In
sul principio del secolo decimosesto, molti di loro in ogni studio
intellettuale erano pari ai più illuminati dei loro pastori
spirituali. D'allora in poi, quella dominazione che nelle età buie
era stata, in onta ai molti abusi, una tutela legittima e salutare,
divenne una ingiusta e malefica tirannia.
Dal tempo in cui i barbari rovesciarono lo impero d'occidente, fino
al tempo del risorgimento delle lettere, la influenza della Chiesa
di Roma era stata generalmente favorevole al sapere, allo
incivilimento e al buon governo. Ma negli ultimi tre secoli, suo
scopo precipuo era stato quello di impedire il muoversi della mente
umana. Per tutta la Cristianità, qualunque progresso nello scibile,
nella libertà, nella opulenza, nelle arti della vita, era seguito
repugnante la Chiesa, ed in ogni dove è stato sempre in proporzione
inversa del potere di quella. Le più leggiadre e fertili provincie
d'Europa, sotto il suo giogo, sono cadute nella miseria, nella
servitù politica, nel torpore intellettuale; mentre i paesi
protestanti, la sterilità e barbarie dei quali un tempo passavano in
proverbio, sono stati trasmutati dall'arte e dalla industria in
giardini, e possono gloriarsi d'una lunga schiera di eroi, d'uomini
di stato, di filosofi e di poeti. Chiunque, sapendo ciò che per
natura sono la Italia e la Scozia, e ciò che erano quattro secoli
fa, paragonasse la contrada che circonda Roma con quella che
circonda Edimburgo, potrebbe formarsi qualche idea intorno alla
tendenza della dominazione papale. Il cadere della Spagna, già prima
tra tutte le monarchie, nel più turpe abisso della abiezione, e lo
inalzarsi della Olanda, a dispetto di molti naturali impedimenti, ad
un grado cui non giunse mai una repubblica così piccola, insegnano
la medesima verità. Chiunque in Germania passi da un principato
cattolico ad uno protestante, in Isvizzera da un cantone cattolico
ad un protestante, ed in Irlanda da una contea cattolica ad una
protestante, si accorge di essere trapassato da un più basso ad un
più alto grado di civiltà. La medesima legge governa i paesi posti
oltre l'Atlantico. I protestanti degli Stati Uniti si sono lasciati
molto addietro i cattolici romani del Messico, del Perù e del
Brasile. I cattolici romani del Basso Canadà rimangono inerti,
laddove in tutto il continente che li circonda ferve l'operosità
protestante. I Francesi, senza verun dubbio, hanno mostrato tale
energia ed intelligenza, che anche allorquando è stata male diretta,
ha loro giustamente procacciato il nome di gran popolo. Ma questa
eccezione apparente, qualora si consideri bene, varrà a confermare
la regola; poichè in nessun paese che si chiami cattolico romano, la
Chiesa cattolica ha, pel corso di non poche generazioni, posseduto
autorità così poca come in Francia.
Egli è difficile il dire se l'Inghilterra debba più alla religione
cattolica romana, che alla riforma. Dell'armonia delle razze e
dell'abolizione del villanaggio, va principalmente debitrice alla
influenza che il clero nel medio evo esercitava sui laici. Della
libertà politica e intellettuale, e di tutti i beni che ne sono
derivati, va debitrice alla grande insurrezione de' laici contro la
potestà clericale.
La lotta tra la vecchia e la nuova teologia nella patria nostra fu
lunga, e talvolta ne parve dubbioso l'esito. V'erano due estremi
partiti, apparecchiati ad operare con violenza o a soffrire con
indomita volontà. Framezzavasi ad essi, per un tratto considerevole
di tempo, un partito medio; il quale mescolava, molto illogicamente
ma naturalmente, le cose apprese dalla balia co' sermoni de' moderni
evangelisti, e mentre attenevasi con affetto alle vecchie
osservanze, detestava gli abusi che ad esse andavano strettamente
congiunti. Uomini di tale tempra di mente volentieri obbedivano, e
quasi con gratitudine, ai cenni di un esperto capo, che gli
esentasse dallo incomodo di giudicare da sé, e dominando con la sua
ferma e imperiosa voce il frastuono della controversia, insegnasse
loro come dovessero adorare e che credere. E però non è strano che i
Tudors riuscissero ad esercitare grande influenza sulle faccende
ecclesiastiche; né è strano che esercitassero quasi sempre la loro
influenza, coordinandola ai propri interessi.
Enrico VIII tentò di costituire una Chiesa anglicana, che differisse
dalla Chiesa cattolica romana nel solo principio della supremazia.
Il suo tentativo ebbe straordinaria fortuna. La vigoria della sua
indole, la situazione singolarmente favorevole in cui egli trovavasi
rispetto ai potentati stranieri, le immense ricchezze che la
spoliazione delle abbadie avevagli poste nelle mani, e il sostegno
di quella classe che tuttavia ondeggiava fra due opinioni, lo posero
in condizione di sfidare i due partiti estremi, di bruciare come
eretici coloro che seguivano le dottrine di Lutero e d'impiccare
come traditori coloro che rimanevano fidi all'autorità del papa. Se
la sua vita fosse stata più lunga, avrebbe trovato difficile il
mantenere un posto assalito con pari furore da tutti coloro che
erano zelanti delle nuove opinioni o delle vecchie. I ministri ai
quali furono affidate, a nome del suo figlio fanciullo, le regie
prerogative, non poterono provarsi di perseverare in una politica
cotanto rischiosa; né Elisabetta potè arrisicarsi a ritornarvi. Era
mestieri eleggere fra il risottomettersi alla Chiesa di Roma, o
procacciarsi lo aiuto de' protestanti. Al governo e ai protestanti,
una cosa era comune; l'odio della potenza papale. I riformisti
inglesi erano ansiosi di spingersi tanto oltre, quanto i loro
fratelli sul Continente. Unanimemente dannarono come anticristiani
un gran numero di dommi e di cerimonie, cui Enrico erasi
ostinatamente attenuto, e che Elisabetta aveva con ripugnanza
abbandonati. Molti sentivano una forte avversione anche a cose
indifferenti, le quali già formavano parte della politica e del
rituale della mistica Babilonia. Il vescovo Hooper, a cagione
d'esempio, il quale morì animosamente a Gloucester per la sua
religione, ricusò lungo tempo d'indossare le vesti episcopali. Il
vescovo Ridley, martire di maggiore rinomanza, distrusse gli antichi
altari della sua diocesi, ed ordinò che la Eucaristia venisse
ministrata in mezzo alle chiese sopra mense, che i papisti con
irreverenza chiamavano mense da ostriche. Il vescovo Jewel disse che
il modo di vestirsi del clero era abito da commedia, manto da
stolti, reliquia degli Amoriti, e promise di non perdonare a fatica
alcuna onde estirpare assurdità così disonorevoli. L'arcivescovo
Grindal esitò lungo tempo ad accettare una mitra, a cagione del
disgusto con che riguardava quella ch'egli chiamava burattinata
della consecrazione. Il vescovo Parkhurst pregava fervidamente
perchè la Chiesa d'Inghilterra si proponesse quella di Zurigo come
assoluto modello di una comunità cristiana. Il vescovo Ponet opinava
che il vocabolo vescovo fosse da lasciarsi ai papisti, e che gli
alti ufficiali della Chiesa purificata si dovessero chiamare
soprintendenti. Quantunque volte ci facciamo a considerare che
nessuno di cotesti prelati apparteneva alla estrema sezione della
parte protestante, non può dubitarsi che se l'opinione generale di
quella fosse stata seguita, l'opera della riforma sarebbe stata
condotta innanzi senza riguardi in Inghilterra, come essa fu in
Iscozia.
XXV. Ma, come al governo era mestieri il sostegno de' protestanti,
così ai protestanti faceva d'uopo la protezione del governo. E però
entrambi rinunziarono a molte delle loro pretese; si accordarono; e
da tale concordia nacque la Chiesa d'Inghilterra.
Alle peculiarità di questa grande istituzione, ed alle forti
passioni che ha suscitate negli animi degli amici e de' nemici suoi,
debbono attribuirsi molti de' più solenni eventi che dopo la riforma
seguirono nel nostro paese; né la storia civile dell'Inghilterra
potrebbe oggimai intendersi senza studiarla congiuntamente con la
storia della sua politica ecclesiastica.
L'uomo che si pose a capo onde stabilire i patti dell'alleanza che
produsse la Chiesa Anglicana, fu Tommaso Cranmer. Egli rappresentava
anche le parti le quali in quel tempo avevano mestieri di
vicendevole soccorso. Era teologo e insieme uomo di stato. Nel suo
carattere di teologo, era pronto a spingersi nella via d'innovare,
al pari di ogni riformatore svizzero o scozzese. Nel suo carattere
d'uomo di stato, bramava di conservare l'ordinamento che per tante
generazioni aveva mirabilmente giovato gl'intenti dei vescovi di
Roma, e che poteva sperarsi gioverebbe adesso egualmente i re
d'Inghilterra e i loro ministri. Per indole ed intelligenza era
mirabilmente temprato ad operare come mediatore. Onestissimo nelle
sue professioni, senza scrupoli ne' negozi, zelante anche per le
cose da poco, audace nello speculare, tardo o accomodato ai tempi
nell'agire, nemico placabile e tepido amico, era per ogni ragione
qualificato ad ordinare i patti di coalizione fra i nemici
spirituali e temporali del papismo.
XXVI. Fino ai dì nostri la costituzione, le dottrine e i riti della
Chiesa serbano i segni visibili del patto d'onde essa originava.
Tiene un punto medio fra la Chiesa di Roma e quella di Ginevra. Le
sue confessioni e i suoi discorsi dottrinali, composti dai
protestanti, contengono principii di teologia nei quali Calvino e
Knox avrebbero appena trovato un solo vocabolo da disapprovare. Le
sue preghiere, i suoi rendimenti di grazie, derivati dalle vecchie
liturgie, sono quasi tutti tali, che il vescovo Fisher o il cardinal
Polo gli avrebbe cordialmente adottati. Un controversista che
attribuisse un senso arminiano agli articoli e alle omelie della
Chiesa Anglicana, verrebbe dagli uomini sinceri giudicato
irragionevole, come un controversista che negasse non esservi nella
liturgia di quella la dottrina della rigenerazione battesimale.
La Chiesa di Roma ammetteva che lo episcopato era d'istituzione
divina, e che certe grazie soprannaturali d'alto ordine erano state
trasmesse, per mezzo della imposizione delle mani, pel corso di
cinquanta generazioni, da que' dodici uomini che ricevettero il loro
mandato sopra il monte di Galilea, fino ai vescovi che ragunaronsi
in Trento. Grande numero di protestanti, per altra parte,
consideravano la prelatura come positivamente illegale, ed erano
persuasi trovarsi prescritta nelle pagine della Scrittura una forma
differentissima di governo ecclesiastico. I fondatori della Chiesa
Anglicana presero una via di mezzo. Ritennero lo episcopato, ma non
lo dichiararono istituzione essenziale al bene della società
cristiana, o alla efficacia de' sacramenti. Granmer, a vero dire,
confessò chiaramente d'esser convinto che nei tempi primitivi non
eravi distinzione tra vescovi e preti, e che la imposizione delle
mani non era minimamente necessaria.
Fra i presbiteriani, lo andamento del culto pubblico è in gran parte
lasciato all'arbitrio del ministro. Le loro preghiere, però, non
sono esattamente identiche in due diverse assemblee di fedeli nel
giorno medesimo, o in due diversi giorni nella medesima assemblea.
In una parrocchia sono fervide, eloquenti e piene di significanza;
in un'altra saranno forse languide o assurde. I sacerdoti della
Chiesa cattolica Romana, dall'altra parte, hanno per molte
generazioni cantato le medesime confessioni e preghiere antiche, e
le medesime nell'India e nella Lituania, nella Irlanda e nel Perù.
Gli uffici divini, facendosi in una lingua morta, riescono
intelligibili ai soli dotti; e la maggior parte de' fedeli ragunati
vi assistono più presto da spettatori che da uditori. In ciò
parimente la Chiesa d'Inghilterra appigliossi ad una via di mezzo.
Copiò le formule di preghiera del rito cattolico romano, ma le
tradusse in idioma volgare, e invitò la indotta moltitudine a
congiungere la sua voce con quella del ministro.
La medesima politica potrebbe osservarsi in ciascuna parte del suo
sistema. Ricusando affatto la dottrina della transustanziazione, e
dannando come idolatria l'adorazione del pane e del vino
sacramentale, volle, con grande disgusto de' puritani, che i suoi
figli ricevessero i ricordi del divino amore, piegando mansueti le
loro ginocchia. Smettendo molti ricchi ornamenti che circondavano
gli altari dell'antica fede, ritenne tuttavia, con ribrezzo degli
spiriti deboli, la veste di candido lino, la quale era simbolo della
purità convenevole alla Chiesa, come quella che è la mistica sposa
di Cristo. Smettendo mille atti di pantomima che nel culto cattolico
romano fanno l'ufficio di parole intelligibili, con grave scandalo
di molti rigidi protestanti, segnava del segno della croce il
bambino al fonte battesimale. Il cattolico romano mandava le proprie
preci ad una schiera di santi, fra' quali annoveravansi molti uomini
di carattere dubbio, e parecchi di carattere odioso. Il puritano
ricusava il nome di santo perfino allo apostolo delle genti, e al
discepolo amato tanto da Cristo. La Chiesa d'Inghilterra, quantunque
non invocasse la intercessione di nessun essere creato, nondimeno
predistinse. certi giorni per la commemorazione di alcuni, che
avevano fatto e sofferto molto per la fede. Ritenne la confermazione
e la ordinazione quali riti edificanti, ma li cancellò dal numero
de' sacramenti. La confessione non fu parte del suo sistema. Non
ostante, invitò con gentilezza il moribondo penitente a confessare
le proprie colpe ad un teologo, e dette facoltà al ministro di
confortare l'anima al gran viaggio, per mezzo d'un'assoluzione, che
sembra dettata dallo spirito della vecchia religione. In generale,
potrebbe dirsi ch'essa si dirige più all'intelletto, e meno ai sensi
ed alla immaginazione, di quello che faccia la Chiesa di Roma; e
meno allo intelletto, e più ai sensi ed alla immaginazione, di
quello che facciano le Chiese protestanti di Scozia, di Francia e di
Svizzera.
XXVII. Nessuna cosa, ad ogni modo, distingueva così manifestamente
la Chiesa d'Inghilterra dalle altre chiese, come la relazione che
passava fra essa e la monarchia. Il re ne era capo. I confini della
autorità di lui, come tale, non erano stabiliti, e veramente non
sono stati finora segnati con precisione. Le leggi che dichiaravano
la sua supremazia nelle cose ecclesiastiche, erano state dettate
rozzamente ed in termini generali. Se, con lo scopo di indagare il
vero intendimento di siffatte leggi, ci facciamo ad esaminare gli
scritti e le vite di coloro che fondarono la Chiesa inglese, si
accresce la nostra perplessità. Imperocchè i fondatori della Chiesa
anglicana scrissero ed operarono in tempi d'impetuoso fermento
intellettuale, e di azione e reazione perenne. Quindi spesso
contradicevansi vicendevolmente, e talvolta contradicevano sè
stessi. Che il re fosse, sotto Cristo, solo capo della Chiesa, era
dottrina da essi unanimemente professata; ma le loro parole avevano
vario significato sulle labbra di vari, e sulle medesime labbra in
varie circostanze. Ora attribuivano al sovrano un'autorità che
avrebbe satisfatto lo stesso Ildebrando; ora la riducevano a quella
che s'erano arrogata molti antichi principi inglesi, che avevano
sempre aderito alla Chiesa di Roma. Ciò che Enrico e i suoi fedeli
consiglieri intendevano nel vocabolo supremazia, era niente meno che
l'assoluta e piena potestà delle chiavi. Il re doveva essere papa
del suo regno, vicario di Dio, espositore della verità cattolica,
veicolo delle grazie sacramentali. Arrogavasi il diritto di decidere
dommaticamente ciò che era dottrina ortodossa e ciò che era eresia,
di comporre ed imporre professioni di fede, e di dispensare al
popolo la istruzione religiosa. Asseriva, ogni giurisdizione
spirituale e temporale derivare da lui solo, ed avere egli solo
potestà di conferire il carattere episcopale e ritoglierlo. Ordinò
che si apponesse il suo sigillo alle commissioni che nominavano i
vescovi, le quali commissioni dovevano esercitare l'ufficio loro
finchè piacesse al sovrano. Secondo tale sistema, nel modo con che
lo espone Cranmer, il re era il capo spirituale e temporale della
nazione, e come tale aveva i suoi luogotenenti. In quella guisa che
nominava gli ufficiali civili a tenere i suoi sigilli, a raccogliere
le sue entrate e a ministrare la giustizia in nome suo, nominava
medesimamente teologi di vari gradi a predicare il vangelo e a
conferire i sacramenti. Non era necessaria la imposizione delle
mani. Il re - era questa la opinione di Cranmer, esposta con
chiarissimi vocaboli - poteva, per virtù dell'autorità derivante da
Dio, fare un sacerdote; e il prete così creato non aveva mestieri di
nessuna altra ordinazione. Da tali opinioni Cranmer si condusse alle
loro legittime conseguenze. Credeva che le sue attribuzioni
spirituali, siccome le attribuzioni secolari del cancelliere o del
tesoriere, cessassero col cessare dell'autorità nel principe che
gliele aveva concedute. E però, allorquando Enrico finì di vivere,
lo arcivescovo e i suoi suffraganei formarono nuove commissioni, con
potestà di stabilire ed esercitare altre funzioni spirituali fino a
che fosse piaciuto al nuovo sovrano ordinare altrimenti. A chi
obiettava che la potestà di legare e di sciogliere, affatto distinta
dalla potestà temporale, era stata data da Nostro Signore a' suoi
apostoli, i teologi di cotesta scuola risposero, che la potestà di
legare e di sciogliere era discesa non al solo clero, ma a tutta la
famiglia degli uomini cristiani, e doveva essere esercitata dal
supremo magistrato, come rappresentante della società. A chi
obiettava, san Paolo avere parlato di certi determinati individui
che lo Spirito Santo aveva istituiti sorvegliatori e pastori de'
fedeli, risposero che il re Enrico era quel sorvegliatore e quel
pastore il quale era stato eletto dallo Spirito Santo, ed al quale
applicavansi le parole di san Paolo(8).
Coteste alte pretese furono di scandalo ai protestanti ed ai
cattolici; scandalo che accrebbesi grandemente allorchè la
supremazia che Maria aveva resa al papa, venne nuovamente da
Elisabetta annessa alla corona. Pareva cosa mostruosa che una donna
fosse il vescovo supremo di una chiesa, nella quale uno degli
apostoli aveva inibito che si udisse perfino la voce della donna.
Per lo che, la regina reputò necessario di rinunziare espressamente
al carattere sacerdotale assunto già da suo padre; il quale
carattere, secondo l'opinione di Cranmer, era stato, per divino
comandamento, inseparabilmente congiunto alla potestà regia.
Allorquando, regnante lei, la professione della fede anglicana venne
modificata, il vocabolo supremazia fu interpretato in modo alquanto
diverso da quello onde intendevasi comunemente alla corte di Enrico.
Cranmer aveva dichiarato, con parole enfatiche, che Dio aveva
immediatamente commesso ai principi cristiani l'intera cura di tutti
i loro sudditi in ciò che spettava all'amministrazione della parola
divina per la cura delle anime, come in ciò che spettava
all'amministrazione delle faccende politiche(9). L'articolo
trentesimosettimo di religione, fatto nel regno di Elisabetta,
dichiara con parole egualmente enfatiche, che il ministero della
parola divina non appartiene ai principi. La regina, nondimeno,
esercitava tuttavia sopra la Chiesa un potere visitatorio, vasto ed
indefinito. Il Parlamento le aveva affidato l'ufficio di infrenare e
punire l'eresia ed ogni specie di abuso ecclesiastico, e le aveva
concesso di delegare la sua autorità ai suoi commissari. I vescovi
erano poco più che suoi ministri. Più presto che concedere al
magistrato civile l'assoluta potestà di nominare i pastori
spirituali, la Chiesa di Roma, nel secolo undecimo, aveva posta
tutta l'Europa in fiamme. Più presto che concedere al magistrato
civile l'assoluta potestà di nomare i pastori spirituali, i ministri
della Chiesa di Scozia, ai tempi nostri, rinunciarono a migliaia le
loro prebende. La Chiesa d'Inghilterra non patì cosiffatti scrupoli.
I suoi prelati erano nominati dalla sola autorità regia; da lei sola
i concilii venivano convocati, regolati, prorogati e disciolti.
Privi della regia sanzione, i suoi canoni erano nulli. Uno degli
articoli della sua fede prescriveva, che senza lo assenso regio
nessun concilio poteva legalmente adunarsi. Da tutte le sue sentenze
eravi un ultimo appello al sovrano, anche quando la questione era di
definire se una opinione dovesse giudicarsi ereticale, o se
l'amministrazione di un sacramento fosse stata valida. Né la chiesa
invidiava ai nostri principi questo esteso potere. Da loro aveva
ricevuta la esistenza, era stata nudrita nella infanzia, difesa
contro le aggressioni dei papisti e dei puritani, protetta contro i
parlamenti che non la guardavano di buon occhio, e vendicata dagli
assalti de' dotti, ai quali le tornava duro rispondere. Così la
gratitudine, la speranza, il timore, i comuni affetti e le
inimicizie comuni, la collegavano al trono. Tutte le sue tradizioni
e tendenze erano monarchiche. La lealtà ovvero devozione verso il
sovrano divenne un punto d'onore annesso alla professione clericale,
una nota speciale che distingueva i preti anglicani dai calvinisti e
dai papisti. Entrambi, calvinisti e papisti, per quanto fosse ampia
la distanza che nelle altre cose li teneva disgiunti, guardavano con
estrema gelosia tutte le usurpazioni che il potere temporale faceva
nel campo dello spirituale. Calvinisti e papisti sostenevano che i
sudditi potevano equamente sguainare la spada contro i sovrani empi.
In Francia, i calvinisti si opposero a Carlo IX; i papisti ad Enrico
IV; papisti e calvinisti ad Enrico III. In Iscozia, i calvinisti
fecero prigioniera Maria. A settentrione del Trent i papisti presero
le armi contro Elisabetta. La Chiesa d'Inghilterra frattanto
condannava calvinisti e papisti, ed altamente vantavasi non esservi
debito che ella inculcasse con maggiore solennità e costanza, al
pari di quello di sommissione ai principi.
XXVIII. L'utile che ricavava la corona da cotesta stretta alleanza
con la Chiesa stabilita, era grande; ma non era scevro di danni. Il
patto ordinato da Cranmer era stato in prima considerato da un gran
numero di protestanti come un disegno inteso a servire due padroni,
come un tentativo di congiungere il culto del Signore col culto di
Baal. Nei giorni d'Eduardo VI gli scrupoli di questo partito avevano
più volte gettate gravi difficoltà nella via del governo. Come
Elisabetta ascese al trono, simiglianti difficoltà si accrebbero non
poco. La violenza, per legge di natura, genera la violenza. Lo
spirito del protestantismo diventò quindi, dopo le crudeltà di
Maria, più audace e intollerante che non lo fosse innanzi. Molti che
professavano caldamente le nuove opinioni, avevano in quegli
infausti giorni cercato asilo nella Svizzera e nella Germania. Erano
stati accolti con ospitalità dai loro fratelli nella fede; avevano
ascoltati i discorsi dei grandi dottori di Strasburgo, di Zurigo e
di Ginevra; e per parecchi anni eransi assuefatti ad un culto più
semplice e ad una forma più democratica di governo ecclesiastico,
che non ancora s'era veduta in Inghilterra. Costoro ritornarono alle
patrie contrade, convinti che la riforma compitasi sotto il re
Eduardo, era stata meno indagatrice ed estesa di quello che
richiedevano gl'interessi della religione pura. Ma sforzaronsi
invano d'ottenere concessioni da Elisabetta. Vero è che il sistema
di lei, in ciò che differiva da quello di suo fratello, pareva loro
peggiorato. Erano poco inchinevoli a sottomettersi in materia di
fede a qual si fosse autorità umana. Di recente, fidenti nel loro
modo d'interpretare la Scrittura, erano insorti contro una Chiesa
forte per antichità immemorabile e per universale consenso. Avevano
adoperati sforzi non comuni d'energia intellettuale a scuotere il
giogo di quella splendida ed imperiale superstizione; ed era cosa
vana sperare, che, tosto dopo tale emancipazione, si volessero
pazientemente sobbarcare ad una nuova tirannia spirituale. Da lungo
tempo avvezzi a prostrarsi con la faccia a terra, mentre il
sacerdote alzava l'ostia, siccome avanti al cospetto di Dio, avevano
imparato a considerare la messa come una cerimonia idolatra. Da
lungo tempo avvezzi a considerare il pontefice come successore del
principe degli apostoli, come custode delle chiavi del cielo e della
terra, avevano imparato a riguardarlo come la belva, l'anticristo,
l'uomo del peccato. Non era da sperarsi che s'inducessero a
tributare ad una autorità novellamente sorta quella riverenza che
avevano negata al Vaticano; che sottoponessero il loro giudicio
privato all'autorità d'una chiesa fondata sul giudicio privato
soltanto; che avessero timore di dissentire da maestri i quali
dissentivano da quella che già era stata la fede universale della
cristianità in occidente. È facile immaginare lo sdegno che dovevano
provare gli spiriti audaci e indagatori, gloriantisi della libertà
novellamente acquistata, come si accôrsero che una istituzione
giovanissima, la quale aveva sotto gli stessi occhi loro ricevuta
forma dalle passioni e dagli interessi d'una corte, cominciava a
scimmiottare lo altero contegno di Roma.
XXIX. Dacchè non era modo a convincere uomini siffatti, e' fu
stabilito di perseguitarli. Tale persecuzione produsse in essi i
suoi naturali effetti. Erano una setta, e diventarono una fazione.
All'odio che sentivano contro la Chiesa, aggiunsero l'odio contro la
corona. Questi due sentimenti erano commisti, e invelenivansi
vicendevolmente. Le opinioni del puritano intorno alla relazione fra
principe e suddito, differivano grandemente da quelle che venivano
inculcate nelle omilie. I suoi teologi prediletti lo avevano, e col
precetto e con lo esempio, incoraggiato ad opporre resistenza ai
tiranni ed ai persecutori. I suoi fratelli calvinisti in Francia, in
Olanda, in Iscozia, erano in armi contro principi crudeli e
idolatri. Le sue nozioni concernenti il governo dello stato
assunsero una tinta consentanea alle sue nozioni concernenti il
governo della Chiesa. Parecchi dei sarcasmi che il popolo scagliava
contro lo episcopato, potevano, senza molta difficoltà, adattarsi al
principato; e molti degli argomenti che adoperavansi a provare che
il potere spirituale era meglio collocato in un Sinodo, sembravano
condurre alla conclusione, che il potere temporale sarebbe meglio
collocato in un Parlamento.
XXX. Così, come il sacerdote della Chiesa stabilita, per interesse,
per principio e per passione, era zelante delle regie prerogative,
il puritano per passione, per principio e per interesse, era ostile
a quelle. Grande era la potenza de' settarii malcontenti. Trovavansi
in ogni ceto, ma erano più numerosi fra il ceto mercantile delle
città, e fra i piccoli possidenti delle campagne. Regnante
Elisabetta, cominciarono a mandare il maggior numero de' deputati
alla Camera de' Comuni. E non è dubbio, che se i nostri antenati
fossero stati allora liberi di porre tutta la loro attenzione sopra
le questioni interne, il conflitto tra la corona e il Parlamento
sarebbe subito scoppiato. Ma non era quella la stagione atta ai
domestici dissidi. Veramente, potrebbe dubitarsi se la fermissima
colleganza di tutti gli ordini dello stato fosse la cagione di
frustrare il pericolo che li minacciava tutti. L'Europa cattolica e
la Europa riformata pugnavano per la vita o la morte. La Francia,
dilacerata dalle lotte intestine, da qualche tempo non contava più
nulla nella Cristianità. Il governo inglese era a capo
degl'interessi protestanti; e mentre in casa propria perseguitava i
presbiteriani, concedeva valida protezione alle chiese presbiteriane
negli stati stranieri. Capo del partito opposto era il più potente
principe di quell'epoca, il quale imperava sopra la Spagna, il
Portogallo, la Italia, i Paesi Bassi, le Indie orientali ed
occidentali; le cui armi più volte si spinsero fino a Parigi, e le
cui flotte tenevano in paura le coste di Devonshire e di Sussex. E'
parve per lungo tempo cosa probabile che gl'Inglesi avessero a
combattere disperatamente sopra il suolo inglese, a difendere la
religione e indipendenza loro. Nè si tennero un istante mai liberi
dalla paura di qualche gran tradimento in casa; perocchè in quei
giorni era diventato punto di coscienza e d'onore per molti uomini
d'indole generosa il sacrificare la patria alla religione. Una serie
di congiure di continuo ordite dai cattolici romani contro la vita
della regina e la esistenza della nazione, teneva la società in
perenne trepidazione. Qualunque si fossero gli errori di Elisabetta,
era pur manifesto che le sorti del regno e di tutte le chiese
riformate pendevano dalla sicurtà della sua persona e dal prospero
successo della sua amministrazione. Era, dunque, precipuo dovere
d'ogni cittadino e d'ogni protestante rinvigorirle il braccio:
dovere che fu bene osservato. I puritani, anche dal fondo delle
prigioni dove essa gli aveva sepolti, pregavano con fervore non
finto, perchè la ribellione le cadesse doma ai piedi, e le sue armi
fossero vittoriose per mare e per terra. Uno de' più testardi della
testarda setta, appena il carnefice gli aveva mozza una mano a
punirlo d'un delitto al quale era stato spinto dal suo stemperato
zelo, scuotendo con l'altra mano il cappello, esclamò: "Dio salvi la
regina!" Il sentimento che cotesta genia di uomini provavano per lei
passò ai loro posteri. I non-conformisti, per quanto rigorosamente
li avesse trattati, hanno, come corporazione, sempre venerata la
memoria di lei(10).
Quindi, per tutto quasi il tempo che ella regnò, i puritani nella
Camera de' Comuni, quantunque s'ammutinassero talvolta, non erano
inchinevoli ad ordinarsi in opposizione sistematica contro il
governo. Ma allorchè la sconfitta dell'Armada, la vittoriosa
resistenza delle Province Unite alla dominazione spagnuola, il
consolidamento di Enrico IV sopra il trono di Francia, e la morte di
Filippo II ebbero resi sicuri lo Stato e la Chiesa contro ogni
pericolo esterno, scoppiò subito nello interno un ostinato
conflitto, che durò per parecchie generazioni.
XXXI. Nel parlamento del 1601, quella opposizione la quale per
quaranta anni erasi sordamente raccolta e afforzata, combattè la sua
prima grande battaglia, e riportò la sua prima vittoria. Il campo
era bene scelto. La suprema direzione della politica commerciale era
stata sempre affidata ai sovrani inglesi. Era loro prerogativa
indisputata quella di regolare la moneta, i pesi e le misure, e di
stabilire le fiere, i mercati e i porti. La linea che limitava la
loro autorità in fatto di commercio, era stata, secondo il costume,
descritta confusamente. Essi quindi, secondo il costume, facevano
usurpazioni nel terreno che per diritto apparteneva al corpo
legislativo. Le usurpazioni furono, secondo il costume, tollerate
con pazienza fino a tanto che divennero gravissime. Finalmente, la
regina arbitrò di concedere a centinaia patenti di monopolio. Non
eravi quasi famiglia in tutto il regno, la quale non sentisse il
peso dell'oppressione e delle estorsioni che originavano
naturalmente da cosiffatto abuso. Ferro, olio, aceto, carbone,
salnitro, piombo, amido, lana filata, pelli, cuoi, vetri, bisognava
comperarli a prezzi esorbitanti. La Camera de' Comuni ragunandosi,
si mostrò in collera e determinata ad operare. Invano una minoranza
cortigiana biasimò il presidente di tollerare che gli atti della
Regina venissero posti in discussione. Il linguaggio de' malcontenti
era alto e minaccioso, e vi faceva eco la voce della intera nazione.
Il cocchio del primo ministro della corona venne circondato dal
popolaccio sdegnato, il quale malediceva a' monopolii, e gridava non
doversi patire che le regie prerogative violassero le libertà della
Inghilterra. E' parve per un istante temersi che il lungo e glorioso
regno di Elisabetta avrebbe una fine vergognosa e sciagurata. Ella,
nondimeno, con giudizio e contegno mirabili, evitò la contesa, si
pose a capo del partito riformista, riparò agli aggravi, rese grazie
ai Comuni con dignitose e commoventi parole per la loro tenera
sollecitudine verso il bene pubblico, riguadagnò il cuore del
popolo, e lasciò a' suoi successori un memorabile esempio del come
un sovrano debba governarsi nelle pubbliche commozioni qualvolta gli
manchino i mezzi di vincerle.
XXXII. La grande Regina moriva nel 1603. Quest'anno, per molte
ragioni, forma una delle più importanti epoche nella nostra storia.
E' fu allora che la Irlanda e la Scozia divennero parti del medesimo
impero insieme con la Inghilterra. Entrambe, Scozia ed Irlanda, a
dir vero, erano state soggiogate dai Plantageneti, ma nè l'una nè
l'altra erasi sobbarcata con pazienza al giogo. La Scozia aveva con
eroico valore rivendicata la propria indipendenza; era stata, fino
dal tempo di Roberto Bruce, un regno separato; ed ora veniva
congiunta alla parte meridionale dell'isola con un modo che
gratificava, anzi che ferire, il suo orgoglio nazionale.
La Irlanda, dai tempi d'Enrico II in poi, non aveva potuto espellere
gl'invasori stranieri; ma aveva lungamente e strenuamente lottato
contro essi. Nel corso de' secoli decimoquarto e decimoquinto, la
potenza inglese in quell'isola era venuta sempre decadendo, e nei
giorni di Enrico VII era caduta in fondo. I dominii inglesi di quel
principe erano solo le contee di Dublino e di Louth, qualche parte
di Meath e di Kildare, e pochi porti di mare lungo la costiera. Un
vasto tratto di Leinster non era per anche diviso in contee.
Munster, Ulster e Connaught, erano governate da principotti o celti,
o degeneri normanni che avevano dimenticata la origine propria, e
adottato lo idioma e i costumi celtici. Ma nel secolo decimosesto,
la potenza inglese vi aveva fatto grandi progressi. I semi-selvaggi
capi che reggevano le contrade non sottoposte, avevano ceduto, l'uno
dopo l'altro, ai luogotenenti de' Tudors. Alla perfine, pochi giorni
avanti la morte d'Elisabetta, la conquista, che era stata
quattrocento e più anni prima iniziata da Strongbow, fu compita da
Mountjoy. Di poco Giacomo I era asceso al trono, allorchè O'Donnell
ed O'Neil, ultimi fra quelli che avevano tenuto il grado di principi
indipendenti, condotti a Whitehall, gli baciarono la mano. D'allora
in poi, i suoi decreti valevano, e i suoi giudici tenevano corti in
ogni parte d'Irlanda, e le leggi inglesi prevalsero alle
consuetudini con che reggevansi le tribù aborigene.
Per estensione, la Scozia e la Irlanda erano pressochè uguali, e,
congiunte, pareggiavano quasi l'Inghilterra; ma meno di essa
popolate, le rimanevano lungo tratto inferiori per civiltà ed
opulenza. La Scozia era stata impedita di raggiungerla dalla natia
sterilità del suolo; e la Irlanda, fra mezzo alla luce della Europa
risorta, giaceva tuttavia sotto la tenebra del medio evo.
La popolazione della Scozia, tranne le tribù celtiche che erano
sparse nelle Ebridi e su per le regioni montuose delle contee
settentrionali, aveva comune il sangue con la popolazione
dell'Inghilterra, e parlava una lingua che non differiva dalla
purissima favella inglese più che i dialetti delle contee di
Somerset e di Lancaster non differiscono l'uno dall'altro. In
Irlanda, all'incontro, la popolazione, salvo la piccola colonia
inglese presso la costa, era celtica, e serbava tuttavia l'idioma e
i costumi celtici.
Per naturale coraggio ed intelligenza, ambedue le nazioni che
incorporavansi all'Inghilterra, erano degne di considerazione. Per
perseveranza, impero di sè, preveggenza, e per tutti i pregii
necessari a bene condurre la vita, gli Scozzesi non sono mai stati
vinti da nessun altro popolo. Gl'Irlandesi, dall'altro canto, erano
predistinti da quelle qualità che tendono a rendere gli uomini
interessanti, più presto che avventurati. Erano razza ardente ed
impetuosa, facile a trascorrere alle lacrime o al riso, al furore o
allo affetto. Sola tra tutte le nazioni della Europa settentrionale,
aveva la irritabilità, la vivacità, il pendio naturale per la mimica
e la rettorica; qualità ingenite nei popoli de' lidi del
mediterraneo. Per cultura intellettuale, la Scozia era
incontrastabilmente superiore. Tuttochè quel regno fosse il più
povero in tutta la cristianità, gareggiava, nonostante, in ogni ramo
di scibile con le più fortunate regioni. Gli Scozzesi, de' quali le
abitazioni e i cibi erano meschini al pari di quelli degl'Irlandesi
de' giorni nostri, scrivevano versi latini con maggiore squisitezza
che non ne mostra il Vida, e nelle scienze facevano scoperte che
avrebbero accresciuta la rinomanza di Galileo. La Irlanda non poteva
gloriarsi di un Bucanano o d'un Napier. Il genio, di che i loro
abitanti aborigeni erano largamente dotati, mostravasi, come fa
tuttavia, nelle ballate; le quali, comunque selvagge e rozze,
parvero all'occhio giudizioso di Spenser contenere vene di puro oro
poetico.
La Scozia, diventando parte della monarchia britannica, serbò tutta
la sua dignità. Dopo d'avere per molte generazioni coraggiosamente
sostenuto lo scontro delle armi inglesi, veniva adesso congiunta
alla sua più forte vicina con patti onorevolissimi. Ella dava un re
in vece di riceverlo. Serbava intatte la costituzione e le leggi
proprie. I tribunali e i parlamenti rimanevano affatto indipendenti
dai tribunali o dai parlamenti che sedevano in Westminster.
L'amministrazione della Scozia era affidata a mani scozzesi;
perocchè nessuno inglese aveva cagione di emigrare verso
settentrione, e contendere alla più astuta e pertinace di tutte le
razze quel poco che vi era da raspare nel più povero de' tesori.
Frattanto, gli avventurieri scozzesi calavano giù verso le regioni
meridionali, ed ottenevano in tutte le vie della vita una prosperità
che eccitava la invidia, comunque, per lo più, altro non fosse che
giusto rimerito alla prudenza e alla industria. Nulladimeno, la
Scozia non potè in guisa nessuna sottrarsi al destino inevitabile ad
ogni stato che si annette ma non s'incorpora con un altro stato
ricco di maggiori mezzi. Quantunque fosse regno indipendente di
nome, essa venne, per cento e più anni, veramente trattata per molti
rispetti come provincia soggetta.
L'Irlanda fu governata come terra conquistata con le armi. Le sue
rozze istituzioni nazionali erano spente. I coloni inglesi,
sottostando alla dittatura della madre patria, senza lo aiuto della
quale non potevano esistere, si rifacevano calpestando le
popolazioni fra le quali vivevano. Il parlamento che ragunavasi in
Dublino, non poteva adottare una legge senza che fosse stata innanzi
approvata dal consiglio privato di Londra. L'autorità del corpo
legislativo inglese estendevasi sopra la Irlanda. L'amministrazione
esecutiva era affidata ad uomini inglesi, che venivano considerati
come stranieri, ed anche come nemici, dalla popolazione celtica.
Ci rimane a notare la cagione che più d'ogni altra ha rese le sorti
dell'Irlanda cotanto diverse da quelle della Scozia. La Scozia era
protestante. In nessuna contrada d'Europa il moto popolare contro la
Chiesa romana era stato così rapido e violento. I riformatori
avevano vinta, deposta dal trono e imprigionata la loro sovrana
idolatra. Non vollero nè anche accettare una concordia simile a
quella ch'era seguita in Inghilterra. Avevano stabilito la dottrina,
la disciplina e il culto di Calvino; e facevano poca distinzione tra
il papato e la prelatura, fra la messa e il libro della preghiera
comune. Sventuratamente per la Scozia, il principe che essa mandò
per governare un'eredità più bella, era stato tanto molestato dalla
pertinacia con che i teologi avevano predicato contro lui i
privilegi del sinodo e del pulpito, ch'egli detestava la politica
ecclesiastica alla quale la nazione era affezionata, odiavala di
quanto odio poteva essere capace la sua indole effeminata; ed appena
asceso sul trono inglese, cominciò a mostrare intollerantissimo zelo
per il governo e il rituale della Chiesa anglicana.
Gl'Irlandesi erano il solo popolo nella Europa settentrionale che
fosse rimasto fido alla vecchia religione. Lo che è da attribuirsi
in parte a ciò, che essi in cultura rimanevano addietro di parecchi
secoli ai loro vicini. Ma altre cagioni vi avevano cooperato. La
riforma era stata una rivoluzione politica e morale. Non erano solo
insorti i laici contro il clero, ma tutte le schiatte della gran
razza germanica contro la dominazione straniera. È fatto
significantissimo, che nessuna gran massa di popolo la lingua del
quale non sia teutonica, s'è giammai volta al protestantismo; e che
dove si parla un idioma derivato da quello dell'antica Roma, la
religione della Roma moderna fin oggi prevale. Il patriottismo
degl'Irlandesi aveva preso un cammino peculiare. Lo scopo de' loro
rancori non era Roma, ma l'Inghilterra; ed avevano ragioni speciali
per abborrire quei sovrani inglesi che erano stati capi di quel
grande scisma, Enrico VIII ed Elisabetta. Mentre ferveva la lotta
che due generazioni di principi Milesii tennero viva contro i
Tudors, lo entusiasmo religioso e l'entusiasmo nazionale si
confusero inseparabilmente negli animi della razza vinta. La nuova
contesa fra protestanti e papisti riaccese la vecchia contesa tra
Sassoni e Celti. Gl'Inglesi vincitori, frattanto, trascuravano ogni
mezzo legittimo di conversione. Non si davano pensiero di provvedere
la vinta nazione d'istitutori capaci di farsi intendere. Non fu
fatta una versione della Bibbia in lingua ersa. Il governo fu pago
di stabilire una vasta gerarchia di arcivescovi, vescovi e rettori
protestanti, i quali non facevano nulla, e per non far nulla erano
pagati con le spoglie d'una Chiesa amata e riverita dalla più parte
del popolo.
Le condizioni della Scozia e della Irlanda erano tali da svegliare
il timore nel petto d'un preveggente uomo di stato. Nondimeno, eravi
apparenza di tranquillità. Per la prima volta tutte le isole
britanniche trovavansi unite pacificamente sotto un solo scettro.
E' sembrerebbe che la importanza dell'Inghilterra fra gli stati
Europei avesse dovuto da quell'epoca in poi accrescersi grandemente.
Il territorio governato dal nuovo re, era per estensione doppio di
quello che ad Elisabetta era toccato in retaggio. Il suo impero era
in sè stesso il più compiuto e il più sicuro da ogni possibile
aggressione. Ai Plantageneti e ai Tudors era stato mestieri più
volte difendersi contro la Scozia, mentre erano implicati nelle
guerre continentali. Il lungo conflitto in Irlanda aveva consunti
tutti i loro mezzi. Nulladimeno, anche sotto tali svantaggi, que'
sovrani eransi acquistata alta riputazione per tutta la cristianità.
Era, dunque, bene ragionevole lo sperare che la Inghilterra, la
Scozia e l'Irlanda, congiunte, avrebbero formato uno stato a nessuno
secondo fra quei che allora esistevano.
XXXIII. Tutte coteste speranze divennero stranamente illusorie. Nel
giorno in cui Giacomo I ascese al trono, la patria nostra discese
giù dal grado ch'essa fino allora aveva tenuto, e cominciò ad essere
considerata come potenza appena di secondo ordine. Per molti anni la
gran monarchia inglese, sotto quattro principi successivi della casa
degli Stuardi, fu nel sistema europeo membro appena più importante
di quello che per innanzi era stato il piccolo regno di Scozia. Il
che, nondimeno, deve essere cagione di poca doglianza. Può dirsi di
Giacomo I, come di Giovanni, che se la sua amministrazione fosse
stata savia e splendida, sarebbe riuscita probabilmente fatale al
nostro paese, e che noi dobbiamo più alla sua indole debole e
meschina che alla sapienza e al coraggio di assai migliori sovrani.
Egli ascese al trono in un momento critico. Avvicinavasi rapido il
tempo in cui o il re doveva diventare assoluto, o il parlamento
doveva infrenare il potere esecutivo. Se egli fosse stato come
Enrico IV, come Maurizio di Nassau o come Gustavo Adolfo, un
principe strenuo, politico, operoso; se egli si fosse posto a capo
de' protestanti dell'Europa, se avesse riportate grandi vittorie
contro Tilly e Spinola, se avesse adornato Westminster con le
spoglie de' monasteri bavari e delle cattedrali fiamminghe, se egli
avesse appeso alle mura di San Paolo i vinti vessilli d'Austria e di
Castiglia, s'egli si fosse trovato, dopo memorande gesta, a capo di
cinquanta mila soldati valorosi, bene disciplinati e devoti alla sua
persona; il Parlamento inglese altro non sarebbe diventato che un
nome vano. Avventuratamente, egli non era uomo da sostenere tanta
parte. Iniziò la sua amministrazione ponendo fine alla guerra che da
anni molti ardeva tra la Spagna e l'Inghilterra; e sino da quel
tempo schivò le ostilità con tale cautela, da sostenere
pazientemente gl'insulti de' suoi vicini e i clamori de' suoi
sudditi. Fino all'ultimo anno della sua vita, la influenza del suo
figlio, del suo favorito, del suo parlamento e del suo popolo, non
valse ad indurlo a menare un debole colpo in difesa della sua
famiglia e della sua religione. E' fu bene per i suoi sudditi,
ch'egli in siffatto modo non compiesse i loro desiderii. Lo effetto
della sua politica di pace, fu che in un tempo in cui bisogno non
v'era di milizie regolari, e mentre la Francia, la Spagna, la
Italia, il Belgio e la Germania brulicavano di soldati mercenari, la
difesa dell'isola nostra venisse tuttavia affidata alla guardia
cittadina.
XXXIV. Dacchè il Re non aveva esercito stanziale, e nè anche si
provava di formarne, sarebbe stato prudente consiglio lo scansare
ogni conflitto col suo popolo. Ma fu tale la sua stoltezza, che
mentre trascurava affatto i soli mezzi che lo potessero rendere
assoluto, produceva di continuo, nella forma più offensiva, pretese,
nessuna delle quali i suoi predecessori avevano mai sognato di
produrre. E' fu in quel tempo che primamente apparvero quelle strane
dottrine che Filmer poscia ordinava a sistema, e che divennero la
insegna della più violenta classe dei Tory e dell'alto clero.
Sostenevano solennemente, che l'Essere Supremo impartiva alla
monarchia ereditaria, come opposta ad ogni altra forma di governo,
peculiare favore; che la regola di successione in ordine di
primogenitura era una istituzione divina, anteriore a Cristo ed
anche a Moisè; che nessuna potestà umana, nè anche quella della
intera legislatura, nessuna lunga durata di possesso, fosse anco di
dieci secoli, poteva privare de' suoi diritti il principe legittimo;
che la sua autorità era necessariamente dispotica; che le leggi le
quali in Inghilterra ed altrove limitavano la regia prerogativa,
dovevano considerarsi come semplici concessioni fatte liberamente
dal sovrano, che ei poteva ad arbitrio ritogliere; e che ogni
trattato che facesse il sovrano col suo popolo era una pretta
dichiarazione delle sue intenzioni presenti, non un contratto che
l'obbligasse a mantenerle. È cosa evidente, che questa teorica,
comecchè intesa a rafforzare le fondamenta del governo, le
indebolisce affatto. La divina ed immutabile legge della
primogenitura, ammetteva ella o escludeva le femmine? In ambedue le
ipotesi, era mestieri che i sovrani d'Europa fossero usurpatori,
regnanti in onta ai comandamenti del Cielo, e potessero venire
giustamente spossessati dagli eredi legittimi. Tali assurde dottrine
non erano afforzate dall'autorità del Testamento Vecchio, perocchè
in esso leggiamo il popolo eletto avere ricevuto biasimo e pena per
aver desiderato un re, e essergli poi stato ingiunto di non obbedire
a quel re. Tutta la storia di quello, lungi dal convalidare la idea
che la primogenitura fosse d'istituzione divina, parrebbe più presto
indicare che i fratelli minori sono sotto la speciale protezione del
Cielo. Isacco non era il primogenito d'Abramo, nè Giacobbe lo era
d'Isacco, nè Giuda di Giacobbe, nè David di Jesse, nè Salomone di
David. Vero è che l'ordine d'anzianità tra i figliuoli è rade volte
osservato strettamente nei paesi dove costumasi la poligamia. Il
sistema di Filmer non poteva nè anche appoggiarsi a que' luoghi del
Nuovo Testamento, ne' quali il governo è rappresentato come
ordinanza di Dio; perocchè il governo sotto il quale vivevano gli
scrittori del Nuovo Testamento, non era monarchia ereditaria.
Gl'imperatori romani erano magistrati repubblicani, eletti dal
senato. Nessuno di loro pretendeva d'imperare per diritto di
nascita; e difatti Tiberio, al quale Cristo ordinò doversi pagare il
tributo, e Nerone al quale Paolo comandò che obbedissero i Romani,
erano, secondo la teorica patriarcale di governo, usurpatori. Nel
medio evo, la dottrina del diritto ereditario imprescrittibile
sarebbe stata considerata eretica, come quella che era incompatibile
con le alte pretese della Chiesa di Roma. Era parimente dottrina
sconosciuta ai fondatori della Chiesa anglicana. La omilia intorno
alla ribellione premeditata, aveva fortemente e, per vero dire,
troppo fortemente inculcata la sottomissione alla autorità
costituita; ma non aveva fatta nessuna distinzione tra monarchia
elettiva ed ereditaria, o tra monarchia e repubblica. Veramente, la
maggior parte dei predecessori di Giacomo avrebbero, per ragioni
personali, considerata con avversione la teoria patriarcale di
governo. Guglielmo Rufo, Enrico I, Stefano, Giovanni, Enrico IV,
Enrico V, Enrico VI, Riccardo III, Enrico VII avevano tutti regnato
in onta alla stretta regola di discendenza. Un dubbio gravissimo
pesava sopra la legittimità di Maria e d'Elisabetta. Era impossibile
che Caterina d'Aragona ed Anna Bolena fossero ambedue legalmente
maritate ad Enrico VIII; e la più alta autorità del reame aveva
sentenziato che nessuna di esse lo era. I Tudors, lungi dal
considerare la legge di successione come istituzione divina ed
immutabile, la modificarono spesso. Enrico VIII ottenne dal
Parlamento un atto con che acquistava la potestà di disporre della
corona per testamento, e difatti testò in pregiudicio della famiglia
reale di Scozia. Eduardo VI, senza lo assenso del parlamento,
arrogossi una somigliante potestà: di che lo approvarono i più
illustri riformisti. Elisabetta, convinta che i propri diritti
soggiacevano a gravi obiezioni, e non volendo ammettere nè anche un
diritto di riversibilità nella regina degli Scozzesi sua rivale e
nemica, indusse il Parlamento a fare una legge, nella quale
ordinavasi che chiunque negasse la competenza del sovrano regnante,
col consentimento degli Stati del regno, a variare la successione,
verrebbe punito di morte come traditore. Ma le condizioni in cui
Giacomo trovavasi, erano assai diverse da quelle in cui era stata
Elisabetta. Molto inferiore ad essa e per ingegno e per popolarità,
considerato dagli Inglesi come straniero, ed escluso dal trono per
virtù del testamento di Enrico VIII, il re degli Scozzesi era
nondimeno lo erede indubitabile di Guglielmo il Conquistatore e di
Egberto. Aveva quindi manifesto interesse ad inculcare la dottrina
superstiziosa, che la nascita conferisce diritti superiori alla
legge e inalterabili dalla legge. Oltredichè, era dottrina cónsona
alla tempra dello intelletto e all'indole di lui: però trovò tosto
molti difensori fra coloro che ambivano il favore del principe, e
fece rapidi progressi fra il clero della Chiesa stabilita.
Così, nel momento medesimo in cui cominciava a manifestarsi vigoroso
nel Parlamento e nel paese lo spirito repubblicano, le pretese del
monarca assunsero una forma mostruosa, che avrebbe disgustato il più
superbo ed arbitrario de' principi che lo avevano preceduto sul
trono.
Giacomo vantavasi sempre della sua perizia in quella ch'egli
chiamava arte di regno; e nondimeno, riesce quasi impossibile
immaginare una condotta che al pari della sua fosse direttamente
opposta a tutte le regole dell'arte di regnare. È stata sempre
politica de' principi savi il travestire gli atti vigorosi con forme
popolari. In questa guisa Augusto e Napoleone stabilirono le loro
monarchie assolute, mentre il popolo li considerava come semplici
cittadini rivestiti di magistrature temporanee. La politica di
Giacomo procedeva tutta al rovescio. Provocava la rabbia e la paura
del suo Parlamento, dicendogli sempre che i rappresentanti della
nazione potevano esercitare i propri privilegi finchè egli volesse,
e che non ispettava loro di discutere intorno a ciò ch'egli potesse
legalmente fare, come non avevano diritto alcuno di discutere sulla
legalità delle azioni di Dio. Nulladimeno, egli piegavasi innanzi al
Parlamento, abbandonava i suoi ministri, l'uno dopo l'altro, alla
vendetta di quello, e pativa d'essere trascinato ad atti
direttamente ripugnanti alle sue più forti tendenze. Così crebbero
insieme lo sdegno eccitato dalle sue pretese, e lo scherno provocato
dalle sue concessioni. L'affetto che egli portava a indegni
favoriti, e la sanzione ch'ei dava alla tirannia e rapacità loro,
tenevano perpetuamente vivi i malumori. La codardia, la pedanteria,
la fanciullaggine sue, la sgarbatezza della persona e de' modi suoi,
il suo accento provinciale, lo facevano segno al pubblico dileggio.
Anco nelle sue virtù e nelle sue doti era alcun che di affatto
sconvenevole ad un re. Così, in tutto il corso del suo regno, venne
sempre più scemando la riverenza tradizionale che il trono ispirava
al popolo. Per duecento anni, tutti i sovrani che avevano governata
la Inghilterra, tranne lo sventurato Enrico VI, erano stati uomini
d'animo forte, di spirito altero e di contegno principesco. Quasi
tutti avevano mostrata non ordinaria destrezza. Però non fu cosa di
lieve momento, che nella vigilia della lotta decisiva tra i nostri
re e i loro parlamenti, la sovranità si mostrasse balbettante,
spargendo lacrime imbelli, e tremando innanzi ad una spada
sguainata, e parlando or la favella del buffone, ora quella del
pedagogo.
XXXV. Frattanto le dissensioni religiose, che fino dai giorni di
Eduardo VI avevano affaccendate le fazioni protestanti, erano
divenute quanto mai formidabili. Lo intervallo che aveva divisa la
prima generazione de' protestanti da Cranmer e Jewel, era ben corto
in paragone di quello che separò la terza generazione dei puritani
da Laud ed Hammond. Mentre la rimembranza delle crudeltà di Maria
era ancor fresca; mentre la forza del partito cattolico tuttavia
ispirava timore; mentre Spagna, serbando ancora la sua
preponderanza, aspirava alla dominazione universale; tutte le sètte
riformate conoscevano d'avere un interesse comune, ed un comune e
mortale nemico. Lo aborrimento vicendevole che sentivano, era lieve
in agguaglio di quello che provavano contro Roma. Conformisti e
non-conformisti eransi cordialmente congiunti nel fare severissime
leggi penali contro i papisti. Ma poichè cinquanta e più anni di
indisturbato possesso ebbero resa alla Chiesa stabilita la fiducia
in sé; poichè nove decimi della nazione erano divenuti protestanti
sinceri; poichè la Inghilterra essendo in pace con tutto il mondo,
non eravi più pericolo che il papismo venisse imposto alla nazione
dalle armi straniere; ed erano spenti gli ultimi confessori i quali
stettero intrepidi innanzi a Bonner; i sentimenti del clero
anglicano cangiaronsi. Mitigavasi considerevolmente la loro ostilità
contro la dottrina e disciplina cattolica romana, mentre dall'altro
canto si accresceva quotidianamente la loro avversione contro i
puritani. Le controversie che avevano fin da principio scisso il
partito protestante, presero una forma tale, da togliere ogni
speranza di riconciliazione; e nuove controversie di assai maggiore
importanza si aggiunsero alle vecchie cagioni di dissenso.
I fondatori della Chiesa anglicana avevano ritenuto l'episcopato
come un ordinamento di politica ecclesiastica antica, venerabile e
convenevole; ma non avevano dichiarato che quella dignità nel
governo della Chiesa fosse d'istituzione divina. Abbiamo già veduto
quanta poca stima Cranmer facesse dell'ufficio di vescovo. Regnante
Elisabetta, Jewel, Cooper, Whitgift ed altri incliti dottori,
difesero la prelatura come innocua ed utile, come cosa che poteva
essere legittimamente istituita dallo Stato, come cosa che, una
volta istituita, doveva essere rispettata da ogni cittadino. Ma non
negarono mai che una comunità cristiana priva di vescovo, potesse
essere una chiesa pura; che anzi credevansi congiunti ai protestanti
del continente in una medesima fede. Gl'Inglesi in Inghilterra, a
dir vero, erano tenuti a riconoscere l'autorità del vescovo, nel
modo medesimo che erano tenuti a riconoscere l'autorità dello
sceriffo o d'altro ufficiale pubblico; ma l'obbligo era soltanto
locale. Un ecclesiastico inglese, anzi un prelato inglese, se andava
in Olanda, conformavasi senza scrupolo alla religione stabilita
dell'Olanda. Ne' paesi stranieri, gli ambasciatori di Elisabetta e
di Giacomo assistevano officialmente a quegli stessi riti che
Elisabetta e Giacomo avevano proscritti negli Stati brittannici, e
con gran cura astenevansi dal decorare le loro cappelle private
secondo il costume anglicano, onde non essere di scandalo ai loro
traviati fratelli. Sostenevasi perfino che i ministri presbiteriani
avevano diritto di sedere e di votare ne' concilii ecumenici. Quando
gli Stati generali delle Provincie Unite convocarono a Dorf un
sinodo di dottori non ordinati dai vescovi, un decano ed un vescovo
inglesi v'intervennero, parteciparono alle discussioni, e votarono
con essi intorno alle più gravi questioni teologiche(11). Anzi,
molti beneficii in Inghilterra erano occupati da ecclesiastici che
erano stati ammessi al ministero secondo la cerimonia calvinistica
che usavasi nel continente; né era creduto necessario, o anche
legale, che un vescovo in simiglianti casi conferisse una nuova
ordinazione.
Ma sorgeva già nella Chiesa d'Inghilterra una nuova genia di
teologi. Secondo loro, l'ufficio episcopale era essenziale al bene
d'una società cristiana, ed alla efficacia delle più solenni
ordinanze della religione. A quell'ufficio spettavano certi sacri ed
alti privilegi, che non potevano essere conferiti né ritolti da
nessuna potestà umana. Una Chiesa poteva esistere senza la dottrina
della Trinità o della Incarnazione, come senza gli ordini
apostolici; e la Chiesa di Roma, la quale, fra tutti i suoi
traviamenti, aveva serbati gli ordini apostolici, era più presso
alla primigenia purità, di quel che lo fossero quelle società
riformate che avevano arditamente innalzato un sistema inventato da
esse, in opposizione al modello divino.
Nei tempi di Eduardo VI e di Elisabetta, i difensori del rituale
anglicano eransi contentati di dire che esso poteva usarsi senza
peccato, e che quindi niuno, fuorchè un suddito perverso e
sconoscente i propri doveri, ricuserebbe di usarlo sempre che gli
fosse ordinato dai magistrati. Intanto, quel nascente partito che
pretendeva per l'ordinamento politico della Chiesa ad un'origine
celeste, cominciò ad attribuire alle sacre cerimonie nuova dignità
ed importanza. Concludevano, che se nel culto stabilito vi fosse
qualche errore, siffatto errore era la sua estrema semplicità; e che
i riformatori, nel calore delle loro dissensioni con Roma, avevano
abolite molte antiche cerimonie che si sarebbero utilmente potute
serbare. I giorni e i luoghi furono di nuovo osservati con
misteriosa venerazione. Talune cerimonie che da lungo tempo erano
cadute in disuso, e che comunemente giudicavansi come fantocciate
superstiziose, furono richiamate a vita. Le pitture e le sculture
che erano rimaste illese dal furore della prima generazione de'
protestanti, divennero obietti di tale venerazione, che a molti
sembrava idolatria.
Nessuna parte del sistema della vecchia Chiesa era stata tanto
detestata dai riformatori, quanto il rispetto e la onoranza che
tributavasi al celibato. Sostenevano che la dottrina di Roma intorno
a ciò, era stata profeticamente condannata come diabolica
dall'apostolo Paolo; e convalidavano la loro asserzione enumerando i
delitti e gli scandali che originavano dalla osservanza di quella
dottrina. Lutero aveva manifestata nel modo più chiaro la propria
opinione sposando una monaca. Taluni de' vescovi e de' preti più
illustri i quali, regnante Maria, erano stati arsi vivi, avevano
lasciato moglie e figliuoli. Ora, nondimeno, principiava a correre
la voce, che il vecchio spirito monastico fosse riapparso nella
Chiesa anglicana; che nelle alte classi esistesse un pregiudicio
contro i preti ammogliati; che anche i laici ohe si chiamavano
protestanti, si fossero prefissi di osservare il celibato con
promesse equivalenti quasi a voti solenni; anzi, che un ministro
della religione stabilita avesse fondato un monastero, dentro il
quale una congrega di vergini dedicate a Dio cantava i salmi a
mezzanotte(12).
Né ciò era tutto. Una specie di questioni intorno alle quali i
fondatori della Chiesa anglicana e la prima generazione dei puritani
differivano poco o nulla, cominciò ad apprestare materia alle più
virulente dispute. Le controversie che avevano scissa la setta
protestante nella sua infanzia, riferivansi pressochè tutte al
governo ecclesiastico ed alle cerimonie. Intorno ai punti di
teologia metafisica non era stato serio litigio fra le parti
contendenti. Le dottrine sostenute dai capi della gerarchia rispetto
al peccato originale, alla fede, alla grazia, alla predestinazione,
alla elezione, erano quelle che comunemente si chiamano
calvinistiche. Verso la fine del regno d'Elisabetta, lo arcivescovo
Whilgift, suo prelato prediletto, compose, d'accordo col vescovo di
Londra e con altri teologi, il celebre documento intitolato - gli
Articoli di Lambeth. In esso le più notevoli fra le dottrine
calvinistiche vengono affermate con tale distinzione, che
disgusterebbe molti che, nell'età nostra, vengono reputati
calvinisti. Un chierico il quale fu di contrario parere, e parlò
duramente di Calvino, fu espulso, in pena della sua presunzione,
dalla università di Cambridge, e si sottrasse al castigo soltanto
confessando di credere fermamente ne' dogmi della riprovazione e
della perseveranza finale, e dolendosi d'avere offeso, con le sue
idee intorno al riformatore francese, gli uomini pii. La scuola
teologica della quale Hooker era capo, occupava un posto di mezzo
tra la scuola di Cranmer e quella di Laud; e nei tempi moderni
Hooker è stato considerato dagli arminiani come loro alleato. Ciò
non ostante, Hooker affermò Calvino essere stato superiore per
sapienza ad ogni altro teologo che fosse mai stato in Francia;
essere stato uomo al quale migliaia andavano debitori della
cognizione della verità divina, cognizione che egli doveva alla sola
grazia peculiare di Dio. Allorchè nacque in Olanda la controversia
arminiana, il Governo e la Chiesa d'Inghilterra prestarono vigoroso
sostegno al partito calvinista; ed il Governo inglese non è affatto
scevro della macchia che la prigionia di Grozio e lo assassinio
giuridico(13) di Barneveldt hanno lasciata su quel partito.
Ma anco innanzi la convocazione del sinodo olandese, coloro fra il
clero anglicano che erano ostili al governo ecclesiastico ed al
culto calvinista, avevano preso a considerare con disgusto la
metafisica di Calvino; e siffatto sentimento venne naturalmente a
rinvigorirsi per la grossolana ingiustizia, insolenza e crudeltà del
partito che prevaleva in Dort. La dottrina arminiana, dottrina meno
austeramente logica che non fosse quella de' più antichi
riformatori, ma più consona alle nozioni popolari intorno alla
giustizia ed alla benevolenza divina, si estese molto e rapidamente,
e giunse alla corte. Quelle opinioni le quali, nel tempo in che
Giacomo ascese al trono, nessun ecclesiastico avrebbe osato di
emettere senza imminente pericolo di essere privato del sacerdozio,
erano ora diventate argomento di merito. Un teologo di quell'età,
richiesto da un semplice gentiluomo di campagna cosa tenessero -
vale a dire credessero - gli arminiani, rispose, con pari arguzia e
verità, che essi tenevano i migliori vescovati e le migliori
prebende dell'Inghilterra.
Mentre parte del clero anglicano abbandonava il posto che esso in
origine aveva occupato, parte della setta de' puritani scostavansi,
in un cammino diametralmente opposto, dai principii e dalle usanze
de' loro padri. La persecuzione che i separatisti avevano sostenuta,
era stata severa tanto da irritare, ma non da distruggere. Non erano
stati domi o sottomessi, ma resi inselvatichiti e caparbi. Secondo
il costume delle sètte oppresse, scambiando i loro sentimenti
vendicativi per emozioni religiose, fomentavano ne' loro cuori,
leggendo e meditando, l'inchinevolezza a non iscordare le ingiurie
sofferte; e dopo che si furono assuefatti a odiare i loro nemici,
immaginarono di odiare solamente gl'inimici di Dio. Certo il Nuovo
Testamento, anche interpretato con aperta mala fede, non indulgeva
alle passioni malefiche. Ma il Testamento Vecchio conteneva la
storia di un popolo eletto da Dio ad essere testimonio della sua
unità e ministro della sua vendetta, ed in ispecie comandato a
operare tali cose, che se fossero state fatte senza espresso comando
divino, si sarebbero reputate atroci delitti. Agli spiriti cupi e
feroci non tornava difficile trovare in quella storia molti fatti
che potessero agevolmente stiracchiarsi a significati convenevoli ai
loro desiderii. I più rigidi puritani, adunque, cominciarono a
sentire per il Vecchio Testamento una predilezione, che essi forse
non confessavano chiaramente, ma che traluceva in tutti i pensieri e
i costumi loro. Tributavano al linguaggio ebraico quel rispetto che
ricusavano alla lingua nella quale sono a noi pervenuti i discorsi
di Cristo e le epistole di Paolo. Battezzando i loro figliuoli,
adoperavano non i nomi de' santi cristiani, ma quelli de' patriarchi
e de' guerrieri ebrei. Sfidando le espresse e ripetute dichiarazioni
di Lutero e di Calvino, trasmutarono in un sabato giudaico il giorno
festivo settimanale, con cui la Chiesa aveva, fino da' tempi
primitivi, commemorata la risurrezione del suo Signore. Nella legge
mosaica cercavano i principii della giurisprudenza, e nei libri dei
Giudici e dei Re indagavano le norme del vivere. I pensieri e
discorsi loro versavano sopra azioni che certamente non vengono
ricordate come esempi da imitarsi. Il profeta che tagliò a pezzi un
re prigioniero, il capitano ribelle che dette a bere ai cani il
sangue d'una regina, la matrona che, violando la fede data e le
leggi dell'ospitalità orientale, confisse il chiodo nel cranio
dell'alleato fuggiasco che aveva pur allora mangiato al desco e
dormito sotto la tenda di lei, venivano proposti come esempi da
imitarsi ai Cristiani che pativano la tirannia dei principi e dei
prelati. La morale e i costumi furono sottoposti ad un codice che
somigliava quello della sinagoga, quando essa era nelle sue peggiori
condizioni. Il vestire, il contegno, il linguaggio, gli studi, i
sollazzi di quella rigida setta, furono regolati secondo principii
simili a quelli de' Farisei, i quali orgogliosi delle loro mani
lavate e de' loro grandi filatterii, insultavano il Redentore come
violatore del sabato e bevitore di vino. Era peccato lo appendere
ghirlande al maggio, il bere alla salute d'un amico, il lanciare in
aria uno sparviero, il dar la caccia ad un cervo(14), il giocare a
scacchi, arricciarsi i capelli, portare trine inamidate, suonare la
spinetta, leggere il Fairy Queen. Simiglianti precetti, i quali
sarebbero sembrati insopportabili allo spirito libero e brioso di
Lutero, e spregevoli al tranquillo e filosofico intelletto di
Zuinglio, gettarono sopra la vita il peso di una regola più che
monastica. La dottrina e la eloquenza in cui i grandi riformatori
eransi resi illustri, ed a cui andavano non poco debitori dei loro
successi, venivano da questa nuova scuola di protestanti considerate
con sospetto, se non con avversione. Parecchi rigoristi avevano
scrupolo d'insegnare la grammatica latina, perchè vi s'incontravano
i nomi di Marte, di Bacco, di Apollo. Le belle arti vennero quasi
proscritte. Il solenne suono dell'organo era superstizioso; ed era
dissoluta la musica allegra delle maschere di Ben Johnson(15). Mezze
le più belle pitture d'Inghilterra erano idolatre, e le altre mezze
indecenti. Il rigido puritano a colpo d'occhio distinguevasi dagli
altri uomini per il mondo di vestirsi e di andare, i capelli
cascanti, l'aspra solennità del viso, gli occhi rivolti in su, il
tono nasale della parlatura, e sopra tutto per il gergo peculiare.
Servivasi sempre delle immagini e dello stile della Bibbia. Ebraismi
intrusi a forza nella lingua inglese, e metafore attinte alla lirica
audace dei più remoti secoli e paesi, e applicate agli usi comuni
della vita in Inghilterra, formavano il carattere particolare di
quel gergo, che provocava, non senza cagione, il dileggio e de'
prelatisti e de' liberali.
In tal guisa, lo scisma politico e religioso, nato nel secolo
decimosesto, si venne, ne' primi venti anni del susseguente, sempre
estendendo. In Whitehall diventarono di voga certe dottrine tendenti
al dispotismo turco; mentre certe altre tendenti al repubblicanismo
manifestavansi dalla maggior parte de' membri nella Camera de'
Comuni. I prelatisti violenti, che erano zelanti della prerogativa,
e i violenti puritani, che erano zelanti de' privilegi del
parlamento, s'osteggiavano con animosità più forte di quella che,
nella precedente generazione, erasi mostrata fra cattolici e
protestanti.
Mentre le menti degli uomini trovavansi in cosiffatte condizioni, il
paese, dopo una pace di molti anni, alla perfine impegnossi in una
guerra che richiedeva grandissimi sforzi. Questa guerra affrettò lo
appropinquarsi della gran crisi costituzionale. Era mestieri che il
Re avesse numerose forze militari, le quali non potevano ottenersi
senza pecunia. Egli non poteva legalmente far danari senza lo
assenso del Parlamento. Ne seguiva quindi, o che egli dovesse
amministrare il governo secondo il sentire della Camera de' Comuni,
o dovesse correre il rischio di violare le leggi fondamentali del
regno in modo, di cui per parecchi secoli non s'era visto esempio. I
Plantageneti e i Tudors, egli è vero, avevano provveduto al difetto
delle loro entrate per mezzo di un donativo o d'un prestito forzato;
ma tali espedienti erano sempre d'indole temporanea. Il far fronte
al peso continuo d'una lunga guerra con una tassa regolare, imposta
senza il consentimento degli Stati del reame, era tale un passo che
lo stesso Enrico VIII non avrebbe osato fare. L'ora decisiva,
adunque, sembrava approssimarsi, in cui al Parlamento inglese
sarebbe toccata la sorte dei senati del continente, o l'acquisto
della preponderanza nel governo dello Stato.
XXXVI. Ma in quel mentre il re Giacomo morì. Carlo I ascese al
trono. Natura lo aveva dotato di molto migliore intendimento, di
volontà più vigorosa, di temperamento più ardente e più fermo, che
suo padre non era. Da costui aveva egli ereditati i principii
politici, ed era più di lui disposto a metterli in opera. Era al
pari del padre uno zelante episcopale; ed era inoltre ciò che il
padre non era mai stato, voglio dire zelante arminiano; e quantunque
non fosse papista, amava meglio i papisti che i puritani. Sarebbe
cosa ingiusta negare a Carlo alcune delle doti convenevoli ad un
principe buono e anche grande. Parlava e scriveva, non, come il
padre suo, con la esattezza di un professore, ma secondo lo stile di
un gentiluomo intelligente e bene educato. Aveva gusto squisito
nelle lettere e nelle arti gentili, e modi, comunque privi di
grazia, dignitosi: la sua vita domestica era senza menda. La
perfidia fu la cagione massima de' suoi disastri, ed è la macchia
precipua che gli deturpa la fama. Veramente, era una incurabile
tendenza quella che lo trascinava per le vie torte e tenebrose. E'
sembrerebbe strano che la sua coscienza, la quale in occasioni di
lieve momento era bastevolmente sensibile, non gli avesse mai
rimproverato cotesto gran vizio. Ma abbiamo ragione di credere
ch'egli fosse perfido non solo per indole e per costume, bensì per
principio. Pare che avesse imparato dai teologi, da lui
singolarmente stimati, non potere tra lui e i suoi sudditi esistere
nulla che avesse natura di mutuo contratto; lui non avere potestà,
qualvolta lo avesse voluto, di deporre la sua autorità dispotica; ed
in ogni promessa che egli facesse, sottointendersi la riserva di
romperla in caso di necessità, della quale necessità era egli stesso
il solo giudice.
XXXVII. Allora ebbe principio quel giuoco rischioso dal quale
dipesero le sorti del popolo inglese. La Camera de' Comuni giuocò
ostinatamente; ma con destrezza, calma e perseveranza mirabili.
Erano di guida all'assemblea alcuni uomini di Stato, che sapevano
portare l'occhio molto più addietro e spingerlo molto più avanti che
i rappresentanti della nazione non facevano. Quegli alti intelletti
determinaronsi di porre il Re in tali condizioni da dovere condurre
il governo dello Stato secondo i desiderii del Parlamento, o indursi
a violare i più sacri principii dello Statuto. Però, brontolando
sempre nel concedergli scarsi sussidi, lo posero nel bisogno di
governare o d'accordo con la Camera de' Comuni, o sfidando ogni
legge. Non mise tempo fra mezzo, ed elesse. Sciolse il suo primo
Parlamento di propria autorità, e impose tasse. Convocò un secondo
Parlamento, e lo trovò più riottoso del primo. Adottò di nuovo lo
espediente di discioglierlo, impose nuove tasse senza la minima
apparenza di legalità, e gettò in carcere i capi dell'opposizione.
Nel tempo stesso, eccitò universale scontento e timore un nuovo
aggravio, che riusciva insopportabilmente penoso al sentire ed ai
costumi della nazione inglese, e che a tutti gli uomini previdenti
sembrava di sinistro augurio. Le compagnie de' soldati vennero
distribuite fra i cittadini onde provvedere agli alloggi, ed in
taluni luoghi la legge marziale fu sostituita all'antica
giurisprudenza del regno.
XXXVIII. Il Re, convocato un terzo Parlamento, tosto si accorse che
la Opposizione erasi fatta più vigorosa e fiera che mai. Divisò
quindi di mutar tattica. Invece di opporre inflessibile resistenza
alle richieste della Camera de' Comuni, egli, dopo molti alterchi e
molte evasioni, s'indusse ad un patto il quale, ove fosse stato da
lui fedelmente mantenuto, avrebbe stornata una lunga serie di gravi
sciagure. Il Parlamento concesse larghi sussidii. Il re ratificò,
nel modo più solenne, quella legge famosa che è conosciuta sotto il
nome di Petizione dei Diritti, e che forma la seconda Magna Carta
delle libertà dell'Inghilterra. Nel ratificare cotesta legge, egli
obbligossi a non levare danaro senza il consenso di ambedue le
Camere, non imprigionare mai nessuno, tranne nelle debite forme
della legge, e non sottoporre mai più il popolo alla giurisdizione
delle corti marziali.
Il giorno in cui, dopo molto indugiare, Carlo dette solennemente la
sua regia sanzione a questo grande atto, fu giorno di gioia e di
speranza. I membri della Camera de' Comuni, che circondavano la
tribuna di quella de' Lordi, mandarono alte acclamazioni, appena
furono proferite, secondo l'antica formula, le parole con le quali i
nostri principi, per tanti secoli, hanno significato il loro assenso
ai desiderii degli Stati del regno. A tali acclamazioni fece eco la
voce della metropoli e della intera nazione; ma dopo pochi giorni,
divenne a tutti manifesto che Carlo non intendeva mantenere il patto
giurato. Furono raccolti i sussidii concessi da' rappresentanti
della nazione; ma la promessa, in grazia della quale erano stati
ottenuti, fu rotta. Ne seguì una violenta contesa. Il Parlamento
venne disciolto, con tutti i segni del regio malumore. Alcuni de'
più cospicui membri furono incarcerati; ed uno di loro, sir Giovanni
Eliot, dopo anni di pene, vi perdè la vita.
Carlo, nondimeno, non potè rischiarsi d'imporre di propria autorità
tasse bastevoli a tirare innanzi la guerra. Affrettossi, dunque, a
far pace coi propri vicini, e rivolse la mente tutta alla politica
interna.
Adesso s'apre un'era nuova. Molti re inglesi avevano, in varie
occasioni, commessi atti incostituzionali; ma nessuno aveva mai
sistematicamente tentato di rendersi despota, e di annientare il
Parlamento. Fu questo lo scopo che Carlo si propose. Dal marzo del
1629 all'aprile del 1640 le Camere non furono convocate. Non v'era
mai stato nella nostra storia un intervallo di undici anni tra
parlamento e parlamento. Solo una volta eravi stato un intervallo,
lungo la metà. Basti tal fatto a confutare coloro che affermano,
Carlo avere semplicemente calcate le orme de' Plantageneti e de'
Tudors.
XXXIX. È indubitabile, secondo la testimonianza de' più validi
sostenitori del re, che, durante cotesto periodo del suo regno, i
provvedimenti della Petizione dei Diritti furono da lui violati non
secondo le occasioni, ma sempre e sistematicamente; che gran parte
dell'entrate fu riscossa senza nessuna autorità legale; e che gli
individui invisi al governo languirono per anni interi in carcere,
senza essere mai stati tradotti innanzi a nessun tribunale.
Di tali atti è mestieri che la storia chiami responsabile
principalmente il sovrano. Dopo che fu disciolto il terzo
parlamento, egli non ebbe altro primo ministro che sè stesso,
comecchè parecchi uomini ch'erano temprati a secondarlo ne' suoi
fini, dirigessero diversi dipartimenti dell'amministrazione.
XL. Tommaso Wentworth, creato poscia lord Wentworth e poi conte di
Strafford, uomo grandemente destro, eloquente, animoso, ma d'indole
crudele ed imperiosa, era il consigliere più fido nelle faccende
militari e politiche. Era stato uno de' più illustri membri della
opposizione, e sentiva verso coloro dai quali erasi diviso, quella
tale malignità, che in tutti i tempi è stata la caratteristica degli
apostati. Conosceva mirabilmente i sentimenti, i mezzi e la politica
del partito al quale un tempo apparteneva, ed aveva formato un
disegno vasto e profondamente meditato, che quasi pervenne a
sconcertare la tattica efficace degli uomini di Stato che dirigevano
la Camera dei Comuni. A tale disegno, nel suo carteggio
confidenziale, egli dava il nome espressivo di completo (Thorough).
Era suo scopo di fare in Inghilterra tutto - e più che tutto - ciò
che Richelieu andava facendo in Francia; di rendere Carlo monarca
assoluto quanto ogni altro principe nel continente; di porre gli
Stati e la libertà personale dell'intero popolo a disposizione della
corona; di privare le corti di giustizia d'ogni autorità
indipendente anche nelle ordinarie questioni di diritto civile tra
uomo e uomo, e di punire con inesorabile rigore tutti coloro i quali
mormorassero contro gli atti del governo, o anco in modo decente e
regolare ricorressero a qualunque tribunale per ottenere giustizia
contro quegli atti(16).
Tale scopo s'era egli proposto, e scerneva distintamente le sole vie
per le quali vi poteva giungere. Vero è che in tutte le sue idee
rifulgono chiarezza, coerenza e precisione tali, che s'egli non
avesse aspirato ad un fine pernicioso alla patria ed alla umanità,
si sarebbe reso meritevole della più alta ammirazione. Ben vide non
esservi se non se un solo strumento per mandare ad esecuzione i suoi
arditi disegni. Tale strumento era un esercito stanziale. A formare
quindi lo esercito rivolse tutta l'operosità della sua mente
vigorosa. In Irlanda, dove era vicerè, gli era venuto fatto di
stabilire un dispotismo militare, non solo sopra le popolazioni
aborigene, ma anche sopra le colonie inglesi, e potè gloriarsi che
in quell'isola il Re regnava assoluto quanto potesse esserlo ogni
altro principe della terra(17).
XLI. In questo mentre, l'amministrazione ecclesiastica era
principalmente diretta da Guglielmo Laud, arcivescovo di Canterbury.
Sopra tutti i prelati della Chiesa anglicana, Laud si era dilungato
maggiormente dai principii della Riforma e ravvicinato a Roma. La
sua teologia scostavasi da quella de' calvinisti anche più di quello
che facesse la teologia degli arminiani d'Olanda. La passione che
egli sentiva per le ceremonie, la riverenza per i giorni festivi, le
vigilie, i luoghi sacri, il suo mal dissimulato disgusto per il
matrimonio degli ecclesiastici, lo ardente e non affatto
disinteressato zelo con cui egli manifestava le pretese del clero al
rispetto dei laici, lo avrebbero reso obietto d'avversione ai
puritani anche se avesse usati mezzi miti e legali per conseguire i
suoi fini. Ma aveva corta intelligenza e poco uso di mondo. Era per
indole brusco, irritabile, veloce a sentire ciò che considerava come
dignità propria, tardo a compatire le altrui sofferenze, e prono
allo errore, comune a tutti gli uomini superstiziosi, di prendere i
suoi modi burberi e maligni per emozioni di zelo religioso. Lui
dirigente, ogni angolo del regno venne sottoposto a diuturna e
minuta inquisizione. Ogni piccola congregazione di separatisti fu
spiata e dispersa. Gli stessi atti di divozione delle famiglie
private non valevano a sottrarsi alla vigilanza de' suoi
esploratori. Tanta era la paura che il suo rigore ispirava, che
l'odio mortale contro la Chiesa, il quale covava in cuore di
moltissimi, veniva generalmente travestito sotto le apparenze di
conformismo. Nella stessa vigilia delle perturbazioni che furono
fatali a lui ed al suo ordine, i vescovi di varie grandi diocesi
poterono riferirgli come nel cerchio delle loro giurisdizioni non si
trovasse nè anche un dissenziente(18).
XLII. I tribunali non prestavano protezione ai sudditi contro la
tirannia civile e clericale di quel tempo. I giudici del diritto
comune, che occupavano l'ufficio a volontà del re, mostravansi
scandalosamente ossequiosi. Nondimeno, comunque ossequiosi, erano
strumenti meno pronti ed efficaci del potere arbitrario, di quel che
lo fosse un'altra specie di corti, la cui memoria tuttavia, dopo
dugento e più anni, è profondamente abborrita dalla nazione.
Precipue fra esse per potenza ed infamia erano la Camera Stellata e
l'Alta Commissione; politica inquisizione la prima, inquisizione
religiosa la seconda; nessuna delle quali era parte della vecchia
costituzione dell'Inghilterra. La Camera Stellata era stata rifatta
e l'Alta Commissione creata dai Tudors. La potestà di cui erano
investite innanzi lo avvenimento di Carlo al trono, era vasta e
formidabile; ma piccola, in agguaglio di quanta ne avevano poscia
usurpata. Guidate massimamente dallo spirito violento del primate, e
libere dal sindacato del Parlamento, facevano mostra di rapacità,
violenza e malefica energia, non mai vista in nessuna epoca
precedente. Per mezzo di esse, il governo poteva multare,
incarcerare, porre alla gogna e mutilare gl'individui senza alcun
freno. Un Consiglio segreto residente in York sotto la presidenza di
Wentworth, con un semplice atto di prerogativa che violava la legge,
fu rivestito di quasi illimitato potere sopra le contee
settentrionali. Tutti i predetti tribunali insultavano e sfidavano
l'autorità di Westminster Hall, e commettevano quotidianamente
eccessi tali, che sono stati condannati dai più eminenti realisti.
Scrive Clarendon, non esservi nel regno quasi uomo notevole che non
avesse da sè fatto esperimento della durezza e cupidità della Camera
Stellata; l'alta Commissione essersi condotta in guisa da non
rimanerle in tutto il reame nè anche un amico; e la tirannia del
Consiglio di York avere resa la Magna Carta una lettera morta per le
contrade giacenti a settentrione del Trent.
XLIII. Il governo d'Inghilterra in que' giorni era dispotico, salvo
un solo punto, al pari di quello di Francia. Ma in quel punto era la
cosa di maggiore importanza. Non essendovi esercito stanziale,
poteva il governo essere sicuro che lo edificio della tirannide non
venisse distrutto fino dalle fondamenta in un solo giorno? E se
fossero imposte dalla regia autorità nuove tasse per mantenere lo
esercito, non era egli probabile che ne seguisse una repentina ed
irresistibile esplosione? Qui dunque stava la difficoltà, la quale,
più che ogni altra, rendeva Wentworth perplesso. Il lord cancelliere
Finch, d'accordo con tutti gli altri giureconsulti ufficiali del
governo, propose un espediente, che venne tosto abbracciato. Gli
antichi principi d'Inghilterra, come avevano fatto appello agli
abitanti delle contee più vicine alla Scozia di armarsi ed ordinarsi
a difesa dei confini, così avevano talvolta fatto appello alle
contee marittime ad apprestare navigli per la difesa del littorale.
Talvolta, invece di navi, avevano accettato danaro. Fu dunque
stabilito non solo di richiamare a vita, dopo tanto tempo, ma di
estendere siffatta consuetudine. Gli antecedenti principi avevano
levato il sopradetto danaro soltanto in tempo di guerra, adesso
venne riscosso in tempo di profonda pace. Gli antecedenti principi,
anche nelle guerre più perigliose, lo avevano raccolto soltanto
nelle contrade lungo il littorale; adesso Carlo lo riscosse nelle
contee interne. I principi precedenti lo avevano raccolto soltanto
per la difesa de' patrii lidi; adesso venne riscosso, conforme gli
stessi realisti confessano, col disegno non di mantenere una flotta,
ma di procurare al re i sussidii che egli poteva a sua discrezione
elevare a qualunque somma, e spendere a sua discrezione in
qualsivoglia impresa.
Tutta la nazione si commosse di paura e di sdegno. Giovanni Hampden,
ricco e bennato gentiluomo della contea di Buckingham, tenuto in
alta venerazione da' suoi vicini, ma generalmente poco noto al
regno, ebbe animo di spingersi innanzi, di far fronte ai poteri
tutti del governo, e di addossarsi le spese e il pericolo di
contrastare al Re la nuova prerogativa. Il caso fu discusso avanti i
giudici nella Camera dello Scacchiere. E furono talmente vigorosi
gli argomenti contro le pretese della Corona, che, per quanto
dipendenti e servili fossero quei magistrati, la maggioranza de'
voti contro Hampden fu estremamente piccola. Gl'interpreti della
legge avevano dichiarato, la regia autorità aver diritto d'imporre
una tassa grande e produttiva. Wentworth fece assennatamente
osservare, come fosse impossibile sostenere il loro giudizio,
fuorchè con ragioni conducenti direttamente ad una conclusione che
essi non avevano osato dedurre. Se era permesso di levare pecunia
legalmente senza il consenso del Parlamento per mantenere una
flotta, non era facile negare che potevasi legalmente, senza il
consenso del Parlamento, levare pecunia per mantenere un esercito.
La sentenza de' giudici accrebbe la irritazione del popolo. Un
secolo innanzi, un concitamento meno grave avrebbe fatto scoppiare
una insurrezione generale. Ma il malcontento adesso non assumeva,
come nelle età trascorse, la forma d'una rivolta. La nazione da
lungo tempo progrediva nella civiltà e nella ricchezza. Settanta
anni erano scorsi da che i grandi signori delle contrade
settentrionali avevano prese le armi contro Elisabetta; e nel corso
di que' settanta anni non eravi stata guerra civile. In tutta la
esistenza della nazione inglese non era mai stato un periodo sì
lungo senza lotte intestine. Gli uomini eransi assuefatti alle
occupazioni della pacifica industria; e per quanto fossero
esasperati, esitavano lungamente innanzi di snudare la spada.
Fu questo il momento in cui le libertà della patria nostra corsero
il più grande pericolo. Gli oppositori del Governo cominciarono a
disperare delle sorti della patria; e molti volgevano gli sguardi ai
deserti americani, come al solo asilo in cui potessero fruire de'
beni della libertà civile e religiosa. Ivi pochi fermi puritani, i
quali per la loro religione non ebbero timore nè dei furori
dell'oceano, nè delle durezze della vita rozza, nè delle zanne delle
bestie feroci, nè delle scuri d'uomini più feroci, edificarono fra
mezzo ad annose foreste quei villaggi, che oggimai sono diventati
città grandi ed opulente, ma che, a traverso tutte le variazioni
subite, serbano i segni dell'indole de' loro fondatori. Il governo
considerava con avversione queste nascenti colonie, e si provò di
fermare violentemente l'onda della emigrazione; ma non potè fare che
la popolazione della nuova Inghilterra non venisse da uomini forti
di cuore e timorosi di Dio reclutata in ogni angolo della vecchia
Inghilterra. Wentworth esultava vedendosi presso a compiere il
proprio disegno, per la piena esecuzione del quale sarebbero forse
bastati pochi anni. Se il governo avesse serbata stretta economia,
se avesse con ogni studio schivata ogni collisione coi potentati
stranieri, avrebbe estinti i debiti della Corona, avrebbe ragunata
la pecunia bisognevole a mantenere un poderoso esercito, ed avrebbe
con esso potuto infrenare il recalcitrante spirito della nazione.
XLIV. Frattanto, un atto d'insana bacchettoneria cangiò
improvvisamente lo aspetto delle pubbliche faccende. Se il Re fosse
stato savio, si sarebbe attenuto ad una politica cauta e blanda
verso la Scozia fino a che si fosse reso assoluto signore delle
contrade meridionali. Imperocchè fra tutti i suoi regni la Scozia
era quello dove una semplice favilla avrebbe potuto produrre un
incendio generale. Non poteva temere, egli è vero che sorgesse in
Edimburgo una opposizione costituzionale simile a quella ch'egli
aveva incontrata in Westminster. Il Parlamento del suo regno
settentrionale era un corpo ben differente da quello che portava il
medesimo nome in Inghilterra. Era male costituito, poco rispettato,
e non aveva mai opposto nessun limite di grave momento ad alcuno de'
predecessori di Carlo. I tre Stati ragunavansi in una sola Camera. I
commissari de' borghi erano considerati come dipendenti dai grandi
nobili. Nessun atto poteva proporsi se prima non fosse stato
approvato dai Lordi degli Articoli; comitato che in sostanza, benchè
non formalmente, veniva nominato dalla Corona. Ma, quantunque il
Parlamento scozzese fosse ossequioso, il popolo scozzese era sempre
stato singolarmente torbido e irrefrenabile. Aveva scannato Giacomo
I nella camera da letto; erasi più volte armato contro Giacomo II;
aveva ucciso Giacomo III sul campo di battaglia; con la sua
disobbedienza fatto morire di crepacuore Giacomo V; deposta dal
trono ed imprigionata Maria; condotto in cattività il figlio di lei:
l'indole di quel popolo seguitava, come sempre, ad essere
intrattabile. I suoi costumi erano rozzi e marziali. Lungo tutto il
confine meridionale, e lungo la linea tra le contrade alte e le
basse, infuriava una guerra incessante di ladroneccio. In ogni parte
del paese gli abitanti erano assuefatti a vendicare con le mani
proprie i torti sofferti. Il sentimento di lealtà, che la nazione
aveva in antico mostrato verso la casa regale, erasi intiepidito
nell'assenza di due sovrani. Dividevansi la influenza sopra
l'opinione pubblica due classi di malcontenti; i signori del suolo e
i predicatori: gli uni erano animati dallo stesso spirito che aveva
più volte spinti gli antichi Douglass a resistere agli antichi
Stuardi; gli altri avevano ereditato le opinioni repubblicane e
l'invincibile spirito di Knox. La popolazione si sentiva oltraggiata
ne' sentimenti nazionali e religiosi. Tutte le classi querelavansi
che il loro paese, quel paese che con tanta gloria aveva difesa la
propria indipendenza contro i più destri e valorosi Plantageneti,
fosse, per opera di principi scozzesi, diventato non già di nome, ma
in sostanza, provincia dell'Inghilterra. In nessuna parte d'Europa
la dottrina e la disciplina calvinistiche avevano messe così
profonde radici ne' cuori del popolo, il quale odiava la Chiesa
Romana d'un odio che potrebbe giustamente chiamarsi feroce, e
sentiva avversione quasi uguale a quell'odio contro la Chiesa
Anglicana, la quale sempre più andava riassumendo le sembianze di
quella di Roma.
Il Governo aveva da lungo tempo voluto estendere il sistema
anglicano sopra l'isola intera, e con tale scopo aveva fatte
parecchie modificazioni estremamente disgustevoli ad ogni
presbiteriano. Nondimeno, fra tutte le innovazioni, non aveva
tentato di farne una sola la quale, saltando direttamente all'occhio
del popolo, era la più rischiosa di tutte. Il culto divino veniva
tuttavia praticato nel modo accettabile alla nazione. Ciò non
ostante, Carlo e Laud infine determinaronsi d'imporre a forza agli
Scozzesi la liturgia anglicana; o, a dir meglio, una liturgia che
nei punti in cui differiva da quella dell'Inghilterra, differiva in
peggio.
A codesta misura, presa per ebbrezza di tirannide e per colpevole
ignoranza e più colpevole dispregio del pubblico sentire, la nostra
patria va debitrice della propria libertà. Il primo esperimento
delle cerimonie straniere produsse una sommossa, la quale
rapidamente divenne rivoluzione. L'ambizione, il patriottismo, il
fanatismo, svegliaronsi e si confusero in un solo torrente. La
intera nazione insorse, e corse alle armi. La potenza
dell'Inghilterra veramente era, secondo che parve manifesto alcuni
anni dopo, bastevole a costringere la Scozia; ma gran parte del
popolo inglese partecipava ai sentimenti religiosi degl'insorgenti;
e molti Inglesi che non avevano nessuno scrupolo intorno ad antifone
e genuflessioni, ad altari ed abiti clericali, vedevano con
satisfazione il progredire d'una ribellione che pareva volesse
sconcertare i disegni arbitrari della corte, e rendere necessaria la
convocazione del Parlamento.
XLV. Wentworth non ebbe colpa nella stolta smargiassata che aveva
prodotti i riferiti effetti(19). Essa veramente aveva capovolti e
confusi tutti i disegni di lui. Nonostante, l'indole sua non
comportava di consigliare il governo a sottomettersi. Tentossi di
spegnere la insurrezione adoperando le armi. Ma le forze militari e
lo ingegno del re non erano pari alla gravità dell'opera. Imporre
nuove tasse sopra la Inghilterra, a dispetto della legge, in quelle
circostanze sarebbe stata insania. Altro partito, adunque, non
rimaneva cui appigliarsi, se non se quello di ragunare un
Parlamento; il quale, difatti, venne convocato nella primavera del
1640.
La nazione gioiva sperando di veder risorgere il governo
costituzionale, e riaversi de' mali ch'ella sosteneva. La nuova
Camera de' Comuni fu più temperante e più ossequiosa verso il trono
di qualunque altra ch'erasi adunata dalla morte di Elisabetta in
poi. La moderazione di questa assemblea è stata altamente lodata dai
più cospicui realisti, e pare che avesse cagionato non lieve
disturbo e scoraggiamento ai capi dell'opposizione; ma Carlo, per
insana politica e poco generosa abitudine, ricusava sempre di
appagare i desiderii del suo popolo fino a che tali desiderii non
fossero espressi in tono minaccioso. Appena la Camera de' Comuni
mostrossi inchinevole a fare ragione alle oppressioni che da undici
anni pesavano sulla nazione, il Re con manifesti segni di malumore
sciolse il Parlamento.
Dallo scioglimento di questa assemblea di corta durata alla
convocazione di quel sempre memorabile consesso conosciuto sotto il
nome di Lungo Parlamento, corsero pochi mesi, durante i quali il
giogo venne con severità maggiore aggravato sulla nazione, mentre lo
spirito di questa svegliavasi più irato che mai a scuotere quel
giogo. Il Consiglio privato interrogò alcuni membri della Camera de'
Comuni intorno alla loro condotta parlamentare, e non ne ricevendo
risposta nessuna, gli gettò in carcere. Le esazioni della imposta
concernente il mantenimento della flotta, furono fatte con più
grande rigore. Il lord gonfaloniere e gli sceriffi di Londra vennero
minacciati del carcere per la loro moderazione nel riscuoterla. Si
fecero conscrizioni forzate. A mantenere le milizie, si smunse
pecunia dalle contee. La tortura, che era sempre stata illegale ed
era stata di recente dichiarata tale anche dai servili giudici di
quella età, venne inflitta per l'ultima volta in Inghilterra nel
mese di maggio 1640.
Adesso, tutto dipendeva dalle operazioni militari che il Re aveva
intraprese contro gli Scozzesi. Fra le sue truppe esisteva
pochissimo quel sentimento che divide i soldati di professione dalla
massa della nazione, e gli attacca ai loro condottieri. Il suo
esercito era composto in massima parte di reclute, che desideravano
lo aratro da cui erano state violentemente strappate, e che essendo
animate de' sentimenti religiosi e politici allora prevalenti nel
paese, erano più formidabili ai loro capi che all'inimico. Gli
Scozzesi, ai quali facevano animo i capi della opposizione inglese e
debole resistenza le truppe inglesi, valicarono il Tweed e il Tyne,
ed accamparonsi lungo i confini della contea di York. Allora il
mormorare de' malcontenti diventò un frastuono, che impaurì, tranne
un solo, i cuori di tutti. Ma Strafford ambiva tuttavia a
raggiungere il suo scopo, ed in questi frangenti mostrò indole così
crudele e dispotica, che i suoi stessi soldati erano pronti a farlo
in pezzi.
Rimaneva ancora un ultimo espediente, il quale, secondo che il Re
illudevasi, l'avrebbe potuto salvare dalla ignominia di affrontare
un'altra Camera de' Comuni. A quella dei Lordi egli era meno
avverso. I vescovi gli erano affezionati; e quantunque i Pari
secolari fossero generalmente malcontenti della sua amministrazione,
avevano, come classe, cotanto interesse a mantenere l'ordine e la
stabilità delle antiche istituzioni, che non era verosimile
richiedessero vaste riforme. Contro la non interrotta costumanza di
secoli, ei convocò un gran consiglio composto di soli Pari. Ma
costoro furono così prudenti da non assumere le funzioni
incostituzionali di cui egli voleva rivestirli. Senza pecunia, senza
credito, senza autorità nè anche nello stesso suo campo, gli fu
forza cedere alla pressura della necessità. Le Camere furono
convocate; e le nuove elezioni provarono che, dalla primavera in
poi, la sfiducia e l'odio contro il governo eransi spaventevolmente
accresciuti.
XLVI. Nel novembre del 1640 adunossi quel famoso Parlamento, il
quale, malgrado i suoi molti errori e disastri, è degno della
riverenza e gratitudine di tutti coloro che in qualsivoglia parte
del mondo godono i beni del governo costituzionale.
Nel corso dell'anno che seguì, nessuna grave scissura d'opinioni
mostrossi in ambedue le Camere. Per lo spazio di quasi dodici anni,
l'amministrazione civile ed ecclesiastica era stata cotanto
oppressiva ed incostituzionale, che perfino quelle classi le quali
generalmente inchinano all'ordine ed alla autorità, erano pronte a
promuovere riforme popolari, e tradurre i satelliti della tirannide
innanzi alla giustizia. Fu fatta una legge che prescriveva che fra
parlamento e parlamento non potesse esservi un intervallo maggiore
di tre anni, e che se in tempo debito non venissero spedite
ordinanze munite del Gran Sigillo, gli ufficiali potevano senza esse
convocare i collegi elettorali per la elezione de' rappresentanti.
La Camera Stellata, l'Alta Commissione, il Consiglio di York furono
aboliti. Coloro che, dopo d'avere patito inumane mutilazioni,
marcivano in fondo alle prigioni, riacquistarono la libertà. La
vendetta della nazione piombò inesorabilmente sopra i principali
ministri della corona. Il lord cancelliere, il primate, il lord
luogotenente vennero accusati. Finch si salvò fuggendo. Laud fu
gettato in fondo alla Torre. Strafford, processato, fu fatto morire
per virtù dell'Atto di Morte. Nel giorno stesso in cui passò questa
legge, il Re dette il suo assenso ad un'altra legge, per la quale
obbligavasi a non aggiornare, prorogare o sciogliere il Parlamento
esistente senza averne ottenuto il consenso dagli stessi
rappresentanti.
Dopo dieci mesi di continuo travaglio, le Camere nel settembre del
1641 si aggiornarono per poco tempo, e il Re visitò la Scozia. Potè
con grave difficoltà pacificare quel regno, dopo di avere consentito
non solo ad abbandonare i suoi disegni di riforma ecclesiastica, ma
anco a firmare, con manifesti segni di repugnanza, un atto dove
dichiaravasi lo episcopato essere contrario alla parola di Dio.
XLVII. Le vacanze del Parlamento inglese durarono un mese e mezzo.
Il giorno in cui le Camere riaprirono le adunanze, forma una delle
epoche più memorabili nella nostra storia. Da esso data la vera
esistenza, come corpi distinti, de' due grandi partiti che hanno poi
sempre governato con alterna vicenda il paese. In un certo senso, a
dir vero, la distinzione, che allora divenne più manifesta, era
sempre stata e sarà sempre, come quella che nasce dalle diversità
d'indole, d'intendimento e d'interesse, che trovansi in tutte le
società, e vi si troveranno finchè la mente umana non cesserà
d'essere trascinata per opposti sentieri dalla forza dell'abitudine
e da quella della novità. Non solo nella politica, ma nelle lettere,
nelle arti, nelle scienze, nella chirurgia e nella meccanica, nella
navigazione e nell'agricoltura, anzi nelle stesse matematiche,
trovasi distinzione siffatta. In ogni dove è una classe d'uomini che
tenacemente si appigliano a ciò che è antico, e quando anche da
ragioni incontrastabili sieno convinti che la innovazione sarebbe
benefica, vi assentono pavidi e sospettosi. Avvi egualmente un'altra
classe di uomini, ardenti a sperare, audaci a speculare, proni a
spingere sempre innanzi, corrivi a scoprire imperfezioni in tutto
ciò che esiste, spensierati intorno ai perigli ed alle
inconvenevolezze che accompagnano le riforme, ed inclinevoli a
laudare ogni mutazione come un miglioramento. In entrambe queste
generazioni di uomini è qualche cosa degna d'essere commendata;
massime in quelli che scostandosi dagli estremi opposti,
ravvicinansi così che paiono starsi in un confine comune. La sezione
estrema dell'una classe è composta di bacchettoni frenetici; la
estrema sezione dell'altra si compone di empirici frivoli e
licenziosi.
Non è dubbio che ne' nostri Parlamenti primitivi si potrebbe
scoprire una parte di membri vogliosa di conservare, ed un'altra
pronta a riformare. Ma mentre le sessioni della legislatura erano
brevi, quei tali corpi non assumevano forme permanenti e definite,
non ordinavansi sotto capi riconosciuti, non prendevano nomi,
segnali o gridi di guerra distinti. Nei primi mesi del Lungo
Parlamento, lo sdegno nato da molti anni d'illegittima oppressione
fu tale, che la Camera de' Comuni operò come un solo uomo. Gli
abusi, l'un dopo l'altro, disparvero senza conflitto. Se pochi
rappresentanti mostraronsi bramosi di conservare la Camera Stellata
e l'Alta Commissione, impauriti dall'entusiasmo e dalla superiorità
numerica de' riformisti, contentaronsi di compiangere la caduta di
quelle istituzioni, che non potevano apertamente difendersi con la
più lieve speranza di buon esito. In un'epoca posteriore, i realisti
reputarono cosa utile riportare ad una data più remota la divisione
fra essi e i loro avversarii, e attribuire l'atto che raffrenava il
Re dal disciogliere o prorogare il Parlamento, l'atto triennale,
l'accusa dei ministri e la condanna di Strafford, alla fazione che
poscia mosse guerra al Re. Ma fu artificio poco destro. Ciascuna di
quelle vigorose misure venne attivamente promossa da coloro che
dipoi furono principali fra' cavalieri. Nessuno de' repubblicani(20)
parlò del lungo, pessimo governo di Carlo con maggior severità di
Colepepper. Il discorso più notevole in favore dell'atto triennale
fu fatto da Digby. L'accusa del lord cancelliere fu condotta da
Falkland. La dimanda che il lord luogotenente fosse tenuto in
istretta prigionia, fu fatta alla tribuna della Camera de' Lordi da
Hyde. Nessun segno di disunione si fece scorgere fino a che fu
proposta la legge che colpì Strafford. Anche contro cotesta legge,
che non poteva essere giustificata se non se dallo estremo bisogno,
soli sessanta membri della Camera de' Comuni votarono. Egli è certo
che Hyde non fu con la minoranza, e che Falkland non solo votò con
la maggioranza, ma parlò vigorosamente a favore della legge. Anche i
pochi che scrupoleggiavano in quanto ad infliggere la pena di morte
in virtù d'una legge retrospettiva, riputarono necessario esprimere
grandissimo abborrimento per il carattere e l'amministrazione di
Strafford.
Ma sotto tale concordia apparente ascondevasi un gravissimo scisma;
ed allorquando, nell'ottobre del 1641, il Parlamento, dopo breve
riposo, riaprì le sue sessioni, due partiti opposti, essenzialmente
identici a quelli che sotto nomi diversi lottarono poi sempre, e
lottano tuttavia, onde recarsi in mano il governo della cosa
pubblica, comparvero l'uno di fronte all'altro. Chiamaronsi poscia
Tory e Whig; nè sembra che tali nomi abbiano presto a cadere in
disuso.
Non sarebbe difficile comporre una satira o un elogio intorno a
ciascuna di codeste celebri fazioni; imperocchè niuno che non sia
scemo di giudizio e di schiettezza, vorrà sostenere che la fama del
suo proprio partito sia scevra di macchia, o quella del partito
avverso non possa vantare molti nomi illustri, molte azioni eroiche
e molti grandi servigi resi allo stato. Vero è che, quantunque
ambidue i partiti abbiano spesso gravemente fallato, la Inghilterra
non avrebbe potuto far senza nè dell'uno nè dell'altro. Se nelle
istituzioni, nella libertà e nell'ordine che essa gode, i beni che
nascono dallo innovare e quelli che derivano dal conservare, sono
stati combinati in modo sconosciuto a qualsivoglia popolo, possiamo
attribuire questa fortunata specialità ai valorosi conflitti ed alle
vicendevoli vittorie delle due rivali federazioni di uomini di
stato, zelantissime entrambe, l'una dell'autorità ed antichità,
l'altra della libertà e del progresso.
Bisogna tenere a mente che la differenza tra le due grandi sezioni
de' politici inglesi è sempre stata più presto di grado, che di
principio. V'erano, e da diritta e da sinistra, certi confini, che
rarissime volte venivano travarcati. Pochi entusiasti, da una parte,
erano pronti a porre tutte le nostre leggi e franchigie ai piedi dei
nostri re. Pochi entusiasti, dall'altra, inclinavano a conseguire
frammezzo ad infinite perturbazioni civili il loro vagheggiato
fantasma di repubblica. Ma la maggior parte di coloro che
difendevano la corona, abborriva dal dispotismo; come i più fra
coloro che propugnavano i diritti popolari, abborrivano dalla
anarchia. Nel corso del secolo decimosettimo, i due partiti due
volte sospesero ogni dissenso, e congiunsero le forze loro per una
causa comune. La loro prima coalizione restaurò la monarchia
ereditaria; la seconda rivendicò la libertà costituzionale.
È anche da notarsi, che i due partiti sopradetti non hanno mai
formata la intera nazione; anzi entrambi, insieme considerati, non
hanno mai fatta la maggioranza di quella. Fra l'uno e l'altro vi è
sempre stata una gran massa, che non ha stabilmente aderito a
nessuno, che talvolta si è mostrata inerte e neutrale, e tal'altra
ha ondeggiato ora verso questo or verso quel lato. Tale massa è più
volte in pochi anni passata da uno estremo all'altro, e viceversa.
Talora ha cangiato partito soltanto perchè era stanca di sostenere
gli stessi uomini, talora perchè s'era impaurita dei propri eccessi,
talora perchè, avendo concepite speranze di cose impossibili, erasi
disillusa. Ma, semprechè ha piegato con tutto il suo peso verso uno
de' due lati, ha resa impossibile ogni resistenza.
Allorchè i partiti rivali mostraronsi con forme distinte, e' parve
che fossero pressochè egualmente ordinati. Dalla parte del Governo
stavano moltissimi nobili, ed opulenti e assennati gentiluomini, ai
quali nulla mancava, tranne il solo nome, per dirsi nobili. Costoro,
insieme coi loro dipendenti, dello aiuto de' quali potevano
disporre, non erano piccola potenza nello Stato. Dalla medesima
parte stava il numeroso ceto del clero, entrambe le università, e
tutti que' laici che fortemente aderivano al governo episcopale ed
al rituale anglicano. Queste classi rispettabili trovavansi in
compagnia di meno decorosi alleati. L'austerità dei Puritani
costrinse ad ingrossare la regia fazione tutti coloro che amavano i
piaceri, e affettavano galanteria, splendore nel vestire, o gusto
nelle arti leggiadre. Erano con costoro que' tali che campano la
vita pascendo gli ozi altrui, cominciando dal pittore e dal poeta
comico fino al funambolo e al ciarlatano; perocchè bene conoscevano,
che, potendo arricchirsi sotto un dispotismo lussurioso e superbo,
sarebbero morti di fame sotto lo austero governo dei rigoristi. Gli
stessi interessi movevano tutti i cattolici romani. La regina,
principessa francese, professava la loro stessa fede. Sapevasi
ch'era grandemente amata e temuta non poco dal marito. Il quale,
benchè fosse indubitevolmente protestante per convinzione, non
guardava di mal occhio gli aderenti alla vecchia religione, e
avrebbe volentieri concessa loro maggior tolleranza di quella che
amava accordare ai presbiteriani. Se la opposizione vinceva, egli
era probabile che le leggi sanguinarie emanate contro i papisti
sotto il regno di Elisabetta, sarebbero state rese più severamente
efficaci. I cattolici romani, quindi, vennero indotti da' più forti
motivi a sposare la causa della corte. Generalmente, procedettero
cauti in modo da essere tacciati di tiepidezza e codardia; ma è cosa
probabile che a così fare fossero persuasi dallo interesse del re,
non che dal loro proprio.
La forza maggiore dell'opposizione stava nei piccoli liberi
possidenti delle campagne, e ne' mercanti e bottegai delle città.
Costoro erano capitanati da parecchi aristocratici di gran nome e
potenza, fra' quali noveravansi i conti di Northumberland, Bedford,
Warwick, Stamford ed Essex, e alcuni altri lordi ricchi e
rispettati. Nelle medesime file trovavasi la intera classe de'
protestanti non-conformisti, e la maggior parte de' membri della
Chiesa stabilita, sostenitori delle opinioni calviniste, le quali
quarant'anni prima erano state generalmente abbracciate da' prelati
e dal clero. Le corporazioni municipali, salvo poche, seguivano il
medesimo partito. Nella Camera de' Comuni l'opposizione prevaleva,
ma non decisamente.
A nessuno de' partiti mancavano saldi argomenti a sostenere le
provvisioni che voleva adottare. I ragionamenti de' più illuminati
realisti possono riassumersi nel modo seguente: "È vero che vi sono
stati grandi abusi; ma vi si è posto rimedio. È vero che i diritti
più preziosi sono stati violati; ma sono stati rivendicati e
tutelati con nuove guarentigie. Le sessioni degli Stati del regno,
in onta ad ogni esempio precedente e allo spirito della
Costituzione, vennero sospese per lo spazio di undici anni; ma
adesso si è provveduto, che tra parlamento e parlamento non sia un
intervallo maggiore di tre anni. La Camera Stellata, l'Alta
Commissione, il Consiglio di York, ci opprimevano e spogliavano; ma
quelle corti abborrite ormai più non esistono. Il Lord Luogotenente
si studiò di stabilire il dispotismo militare; ma egli ha pagato col
capo il proprio tradimento. Il Primate corruppe il nostro culto co'
riti papali; ma egli, rinchiuso dentro la torre, aspetta il giudizio
de' suoi pari. Il Lord Cancelliere sanzionò un sistema che poneva
gli averi d'ogni Inglese a discrezione della Corona; ma è caduto in
disgrazia, è stato rovinato e costretto a cercare rifugio in terra
straniera. I ministri della tirannide hanno espiati i loro delitti;
le vittime della tirannide hanno ricevuta la ricompensa di quanto
hanno sofferto. Stanti così le cose, sarebbe insania perseverare in
quella condotta che era giustificabile e necessaria allorquando,
dopo un lungo intervallo riapertosi il parlamento, trovammo
l'amministrazione altro non essere che un ammasso di abusi. Ed è
oggimai tempo di badare a non ispingere la nostra vittoria sul
dispotismo tanto oltre, da urtar nell'anarchia. Non abbiamo potuto
estirpare le pessime istituzioni che poco fa affliggevano la patria
nostra, senza produrre tali scosse da indebolire le fondamenta del
Governo. Adesso che siffatte istituzioni sono cadute, dobbiamo
affrettarci a rafforzare quello edificio, che non ha guari è stato
nostro debito abbattere. Da ora in poi, porremo ogni studio nello
esaminare ogni innovazione innanzi d'accettarla, e veglieremo sì che
tutte le prerogative di che la legge, per il bene pubblico, ha
rivestito il sovrano, siano rigorosamente difese contro ogni
aggressione."
Tali erano i sensi di coloro de' quali l'egregio Falkland può
considerarsi come capo. Dall'altra parte, uomini di non minore
destrezza e virtù sostenevano con pari vigore, che la sicurezza
delle libertà del popolo inglese era più presto apparente che vera,
e che i disegni arbitrari della Corte sarebbero ricomparsi appena la
Camera de' Comuni avesse rallentata la propria vigilanza. Era pur
vero - ragionavano Pym, Hollis e Hampden - che s'erano promulgate
molte buone leggi; ma se quelle fossero bastate a por freno alle
voglie del Re, i suoi sudditi avrebbero avuta poca ragione di
muovere lamento della sua amministrazione. I recenti statuti
certamente non avevano autorità maggiore di quella della Magna Carta
e della Petizione dei Diritti. Nondimeno, nè la Magna Carta
santificata dalla venerazione di quattro secoli, nè la Petizione de'
Diritti sanzionata dopo matura riflessione e per grave
considerazione dallo stesso Carlo, erano riuscite efficaci a
proteggere il popolo. Se una volta fosse tolto il freno della paura,
e lo spirito dell'opposizione venisse a sonnecchiare, tutte le
guarentigie della libertà inglese si risolverebbero in una sola
cosa, cioè nella parola reale; ed era stato provato con lunga ed
amara esperienza, che la parola del re non meritava punto la
pubblica fiducia.
XLVIII. I due partiti guardavansi ancora scambievolmente con cauta
ostilità, e non avevano ancora ponderato le proprie forze, allorchè
giunsero nuove tali che infiammarono le passioni e rinvigorirono le
opinioni di entrambi. I grandi capi di Ulster, i quali al tempo in
cui Giacomo salì al trono, eransi, dopo lunghissima lotta,
sottomessi all'autorità regia, non avevano potuto più lungamente
patire la umiliazione della dipendenza. Avevano congiurato contro il
Governo inglese, ed erano stati dichiarati rei di tradigione. I loro
immensi domini erano stati confiscati dalla Corona; ed erano corse a
popolarli torme di emigrati dalla Inghilterra e dalla Scozia.
Costoro per civiltà ed intelligenza erano assai superiori ai
naturali del paese, e spesso abbusavano di superiorità cosiffatta. I
rancori, generati dalla diversità di razza, si accrebbero per la
diversità di religione. Sotto il ferreo giogo di Wentworth, non fu
udito nè anche un bisbiglio; ma appena cessò quella forte pressura,
appena la Scozia dette lo esempio d'una vittoriosa resistenza,
mentre la Inghilterra era assorta negl'interni dissidi, la soffocata
rabbia degl'Irlandesi eruppe in atti di tremenda violenza. In un
attimo, i popoli aborigeni insorsero contro le colonie. Una guerra
alla quale l'odio nazionale e religioso dette un carattere di
particolare ferocia, desolò Ulster e si estese alle vicine
provincie. Il castello di Dublino nè anche reputavasi luogo di
sicurezza. Ciascuna posta recava a Londra racconti esagerati di
fatti, che, anche scevri d'ogni esagerazione, bastavano a empire
l'animo di pietà e d'orrore. Questi sciagurati avvenimenti
svegliarono più che mai lo zelo de' due grandi partiti che sedevano,
con vicendevole nimistanza, nella sala di Westminster. I realisti
sostenevano esser debito precipuo d'ogni buono inglese e d'ogni buon
protestante, in siffatte circostanze, rinvigorire il braccio del
sovrano. Alla opposizione pareva che allora più che mai vi fossero
fortissime ragioni di invigilarlo e infrenarlo. Il trovarsi la cosa
pubblica in pericolo, era senza dubbio buona ragione per conferire
maggiori poteri ad un magistrato degno di fiducia; ma era parimente
buona ragione per iscemarli o toglierli ad un magistrato che in suo
cuore era nemico pubblico. Era stato scopo precipuo del Re il
formare un grande esercito; ed ora bisognava formarlo. Si doveva,
dunque, temere che ove non si stabilissero nuove guarentigie, le
forze raccolte per risottomettere la Irlanda, venissero adoperate
contro le libertà della Inghilterra. Nè ciò era tutto. Un orribile
sospetto, ingiusto, a dir vero, ma non affatto fuori di natura, era
nato in cuore a molti. La Regina era cattolica romana; il Re non era
considerato dai Puritani, ch'egli aveva spietatamente perseguitati,
come sincero protestante; ed era sì nota a tutti la sua doppiezza,
da non esservi specie di tradimento di cui i suoi sudditi, con
qualche apparenza di ragione, non lo credessero capace. E però,
corse subito sorda una voce che affermava, la ribellione de'
Cattolici Romani di Ulster essere parte d'una vasta opera di
tenebre, immaginata e condotta in Whitehall.
XLIX. Dopo alcuni giorni di preludio, nel dì ventesimosecondo di
novembre 1641, scoppiò il conflitto tra i due grandi partiti, che si
sono poi sempre osteggiati ed osteggiansi tuttavia per recarsi in
mano il reggimento del paese. La opposizione propose, che la Camera
de' Comuni dovesse presentare al Re una rimostranza, enumerando i
falli della amministrazione fino dal tempo in cui egli ascese al
trono, e significando la diffidenza con che il popolo riguardava la
politica di lui. Quell'assemblea che pochi mesi avanti era stata
unanime nel chiedere la riforma degli abusi, si divise in due fiere
ed ardenti fazioni, di forza pressochè uguali. Dopo un violento
discutere, che durò molte ore, la rimostranza fu adottata con la
maggiorità di soli undici voti.
L'esito di tale conflitto giovò grandemente il partito conservatore.
Non era da dubitarsi che soltanto qualche grave indiscrezione
potesse impedirgli di ottenere la preponderanza nella Camera Bassa.
La Camera Alta era già tutta di quel partito. Nessuna cosa mancava
per assicurargli la vittoria, se non che il Re in tutta la sua
condotta mostrasse qualche rispetto per le leggi, ed una scrupolosa
buona fede verso i suoi sudditi.
I suoi primi provvedimenti promisero bene. E' sembra che finalmente
si fosse indotto a pensare, come era necessario cangiare
intieramente il sistema, e si volesse adattare a ciò che non poteva
più oltre evitarsi. Dichiarò d'essere determinato a voler governare
concordemente con la Camera de' Comuni, ed a tal fine chiamare ai
suoi consigli uomini i quali, per ingegno e carattere, godessero la
fiducia della Camera. Nè la scelta fu male fatta. Falkland, Hyde e
Colepepper, tutti e tre uomini cospicui per essersi adoperati
efficacemente a riformare gli abusi od a punire i malvagi ministri,
vennero invitati ad essere fidi consiglieri della Corona, ed ebbero
da Carlo la solenne assicurazione, che non avrebbe fatto il minimo
passo intorno a ciò che concerneva la Camera Bassa del Parlamento,
senza averne chiesto il loro parere.
E' non è dubbio che s'egli avesse mantenuta tale promessa, la
reazione, che già progrediva, sarebbe diventata tanto vigorosa,
quanto la potevano desiderare i realisti più rispettabili. Già i più
irrequieti membri dell'opposizione avevano cominciato a disperare
delle sorti del proprio partito, a tremare per la salvezza propria,
e parlavano già di vendere i loro beni ed emigrare in America. Se le
belle speranze che cominciavano a sorridere al Re, svanirono
improvvise, se la sua vita fu amareggiata dall'avversità ed in fine
abbreviata dalla violenza, ne chiami in colpa la propria perfidia e
il dispregio delle leggi.
E' pare certo ch'egli detestasse ambi i partiti in cui era divisa la
Camera de' Comuni. Nè ciò è strano; perocchè in entrambi l'amore
della libertà e l'amore dell'ordine, comunque con diverse
proporzioni, erano commisti. I consiglieri che Carlo, stretto dalla
necessità, aveva chiamati presso di sè, non erano in nulla graditi
al suo cuore. Avevano partecipato a dannare la sua tirannia, a
scemargli i poteri ed a punire i suoi satelliti. Adesso erano, per
vero dire, apparecchiati a difendere con mezzi rigorosamente legali
le legittime prerogative di lui; ma avrebbero rifuggito
dall'orribile pensiero di ritornare ai tirannici disegni di
Wentworth. Essi, dunque, secondo l'opinione del Re, erano traditori,
che differivano solo nel grado della loro sediziosa malignità da Pym
e da Hampden.
L. E quindi Carlo, pochi giorni dopo d'avere promesso ai capi de'
realisti costituzionali di non muovere mai un solo passo
d'importanza senza farneli consapevoli, formò un pensiero, il più
serio e tremendo in tutta la sua vita, lo nascose con gran cura, e
lo mandò ad esecuzione in un modo tale, che ne furono colpiti di
terrore e vergogna. Mandò il Procuratore Generale ad accusare di
alto tradimento, innanzi alla tribuna della Camera de' Lordi, Pym,
Hollis, Hampden ed altri membri di quella de' Comuni. Non satisfatto
di questa flagrante violazione della Magna Carta, e della usanza non
interrotta di secoli, andò egli stesso in persona, accompagnato da
uomini armati, a porre le mani addosso ai capi della opposizione
dentro la stessa sala del Parlamento.
Il colpo fallì. I membri incriminati erano partiti dalla sala poco
tempo avanti che vi entrasse Carlo. Ne seguì subitanea e violenta
commozione nel Parlamento, non che nel paese. Lo aspetto più
favorevole onde i più parziali difensori del Re si sono studiati di
presentare la condotta di lui in questa occasione, consiste nello
affermare ch'egli, spinto dai pessimi consigli della consorte e de'
cortigiani, commettesse un atto gravissimo d'indiscrezione. Ma la
voce generale lo accusava altamente di colpa assai più grave. Nel
momento stesso in che i suoi sudditi, dopo d'essersi lungo tempo
tenuti lontani da lui per la sua cattiva amministrazione,
ritornavano a lui con sentimenti di fiducia e d'affetto, egli meditò
di menare un colpo mortale contro i loro più cari diritti; i
privilegi, cioè, del Parlamento, e lo stesso principio di processare
l'individuo innanzi ai giurati. Aveva mostrato di considerare
l'opposizione ai suoi disegni arbitrari come delitto che doveva
espiarsi col sangue. Aveva rotta la fede non solo al suo Gran
Consiglio ed al suo popolo, ma ai suoi stessi aderenti. Aveva fatto
ciò, che, se stato non fosse un caso impreveduto, avrebbe
probabilmente suscitato un sanguinoso conflitto attorno il seggio
presidenziale. Coloro i quali predominavano nella Camera Bassa,
compresero allora che non solamente la potenza e popolarità, ma i
beni e le vite loro, dipendevano dall'esito della lotta in cui
trovavansi involti. Lo zelo, che già veniva meno, del partito
avverso alla Corte, in uno istante si riaccese. La notte che seguì
all'oltraggio tentato, tutta la città di Londra fu in armi. In poche
ore, le vie che conducevano alla metropoli erano popolate da torme
di borghesi, irrompenti verso Westminster, coi segni della causa
parlamentare fitti ai loro cappelli. Nella Camera de' Comuni la
opposizione a un tratto divenne irresistibile, e adottò, con una
grandissima maggioranza di voti, provvedimenti di violenza senza
esempio precedente. Forti legioni di milizie, che regolarmente
davansi la muta, facevano la guardia attorno il palazzo di
Westminster. Le porte della reggia erano tuttodì assediate dalla
furibonda moltitudine, le cui minacce ed esecrazioni pervenivano
fino alla sala d'udienza, e che i gentiluomini della Corte appena
potevano impedire che irrompesse negli appartamenti reali. Se Carlo
fosse rimasto più a lungo nella sua tempestosa metropoli, è
probabile che la Camera de' Comuni avrebbe trovata una scusa per
farlo, sotto forme esteriori di rispetto, prigioniero di stato.
LI. Egli si allontanò da Londra, per non ritornarvi mai fino al
giorno d'un terribile e miserando giudicio. Iniziaronsi negoziati,
che durarono molti mesi. I partiti contendenti scagliavansi
vicendevolmente recriminazioni ed accuse: ogni via d'accomodamento
era impossibile. La pena che colpisce la perfidia abituale,
finalmente colse quel tristo principe. Nulla gli valsero gli sforzi
onde egli impegnò la sua regia parola, ed invocò il Cielo a
testimonio della sincerità delle sue promesse. Giuramenti e trattati
più non bastavano a vincere la diffidenza de' suoi avversari, i
quali pensavano di non avere sicurtà se non quando il Re fosse
ridotto ad assoluta impotenza. Chiedevano, quindi, ch'egli rendesse
non solo quelle prerogative che aveva usurpate violando le antiche
leggi e le sue proprie recenti promesse, ma anco altre prerogative
che i re inglesi avevano fruito da tempo immemorabile, e seguitano a
fruire anco ai dì nostri. Gli volevano togliere la potestà di
nominare i Ministri, di creare i Pari, senza il consenso delle
Camere. Soprattutto, volevano privare il Governo della suprema
autorità militare, che, fino da tempi cui non giungono umani
ricordi, era sempre appartenuta alla dignità regia.
Non era da sperarsi che Carlo, finchè gli rimanessero mezzi di
resistenza, assentirebbe le predette dimande. Nondimeno sarebbe
difficile mostrare che le Camere avrebbero, per la propria salvezza,
potuto contentarsi di meno. Veramente ondeggiavano in una tempesta
di opposti pensieri. La gran maggioranza della nazione aderiva
fermamente alla monarchia ereditaria. Coloro che nutrivano
sentimenti repubblicani erano ancora pochi, e non rischiavansi a
parlare alto. Era quindi impossibile abolire il principato.
Nulladimeno, facevasi a tutti manifesto come il Re non fosse degno
di nessuna fiducia. Sarebbe stato assurdo in coloro i quali per
proprio esperimento conoscevano ch'egli bramava distruggerli, il
contentarsi di presentargli un'altra petizione di diritti, ed
ottenere nuove promesse, simiglianti a quelle ch'egli aveva più
volte fatte e violate. Nessuna cosa, fuorchè il difetto di un
esercito, gli aveva impedito di abbattere l'antica Costituzione del
reame. Ed essendo allora necessario formare un grande esercito
regolare per riconquistare l'Irlanda, sarebbe stata vera demenza
lasciare il Re nella pienezza di quella autorità militare, che i
suoi antecessori avevano esercitata.
Ogni qualvolta uno Stato si trova nelle condizioni in cui a que'
tempi trovavasi l'Inghilterra, e il regio ufficio è riguardato con
amore e venerazione, e l'uomo che occupa quell'ufficio ha l'odio e
la sfiducia de' popoli, la via da tenersi sembra evidente.
Conservisi la dignità dell'ufficio; si mandi via la persona che
indegnamente lo esercita. Così i nostri antenati operarono nel 1399
e nel 1689. Se nel 1642 vi fosse stato un uomo locato in un posto
simile a quello che Enrico di Lancaster occupava allorchè Riccardo
II venne deposto dal trono, e che il Principe d'Orange occupava nel
tempo della deposizione di Giacomo II, le Camere probabilmente
avrebbero cangiata la dinastia, e non avrebbero fatto nessun
mutamento formale nella Costituzione. Il nuovo re, chiamato al trono
dai loro voti, e dipendente dal loro sostegno, sarebbe stato
costretto a condurre il governo dello Stato a seconda delle voglie
ed opinioni loro. Ma nel partito parlamentare non v'era principe di
sangue reale; e quantunque quel partito avesse nel proprio seno
molti uomini d'altissimo grado e molti altri di inclita mente, non
eravi nessuno che splendidamente giganteggiasse su tutti, in modo da
essere proposto come candidato per la Corona. Dovendoci essere un
re, e non essendoci modo a trovarne un altro, era necessario
lasciare a Carlo il titolo regio. Altra via, dunque, non rimaneva
che questa; separare il titolo dalle regie prerogative.
I mutamenti che le Camere proposero da farsi alle nostre
istituzioni, tuttochè sembrino esorbitanti, ove vengano, ordinandoli
ad articoli di capitolazione, maturamente considerati, equivalgono a
un dipresso ai mutamenti prodotti dalla Rivoluzione che avvenne
nella generazione susseguente. Egli è vero che, a tempo della
Rivoluzione, al sovrano la legge non toglieva la potestà di nominare
i suoi Ministri; ma è anche vero che, dopo la Rivoluzione, nessun
Ministro si è potuto mantenere sei soli mesi in ufficio a dispetto
della Camera de' Comuni. È vero che il sovrano tuttavia ha la
potestà di creare i Pari, e la potestà più importante della spada;
ma è anche vero che nello esercizio di tali poteri al sovrano, dalla
Rivoluzione in poi, sono sempre stati guida e consiglieri che godono
la fiducia de' Rappresentanti della nazione. Difatti, i capi del
partito delle Teste-Rotonde nel 1642, e gli uomini di Stato che,
circa cinquanta anni appresso, compirono la Rivoluzione, miravano al
medesimo scopo. Il quale era quello di porre fine alla contesa tra
la Corona e il Parlamento, rivendicando al Parlamento il sindacato
supremo sopra il potere esecutivo. Gli uomini di Stato della
Rivoluzione conseguirono cotesto fine cangiando la dinastia. Le
Teste-Rotonde del 1642, non potendo cangiare la dinastia, furono
costretti a prendere una via diretta onde conseguire lo scopo.
Non possiamo, ad ogni modo, maravigliarci che le richieste
dell'opposizione, le quali importavano un trapasso pieno e formale
al Parlamento dei poteri che sempre erano appartenuti alla Corona,
scotessero quel gran partito che ha per principii il rispetto per
l'autorità costituita, e la paura delle innovazioni violente. Aveva
di recente nutrita la speranza di ottenere con mezzi pacifici il
predominio nella Camera de' Comuni; ma tale speranza era svanita. La
doppiezza di Carlo aveva resi irreconciliabili i suoi vecchi nemici,
aveva fatti entrare nelle schiere de' malcontenti moltissimi uomini
moderati già pronti ad accostarsi a lui, ed aveva così crudelmente
mortificati i suoi migliori amici, che per alcun tempo si erano
tirati da parte a rodersi in silenzio di vergogna e dispetto.
Adesso, nondimeno, ai realisti costituzionali fu forza di eleggere
fra due pericoli; onde reputarono debito loro stringersi intorno a
un principe di cui condannavano la condotta e nella cui parola non
potevano avere fiducia, più presto che patire che la regia dignità
venisse degradata, e l'ordinamento politico del Regno interamente
rifatto. Con tali sentimenti, molti uomini che per virtù e ingegno
avrebbero onorato qualsivoglia causa, si posero dalla parte del
principe.
LII. Nell'agosto del 1642, le spade alla perfine sguainaronsi; e
quasi in ogni contea del regno, tosto comparvero in armi due fazioni
ostili, l'una di fronte all'altra. Non è agevole affermare quale de'
due lottanti partiti fosse il più formidabile. Le Camere comandavano
Londra e le contee di Londra, la flotta, la navigazione del Tamigi,
e la maggior parte delle grandi città e de' porti marittimi.
Potevano disporre di quasi tutte le provvigioni militari del regno,
e potevano imporre dazi e sulle mercanzie importate dall'estero, e
sopra alcuni prodotti della industria nazionale. Il Re difettava
d'artiglieria e di munizioni. Le tasse ch'egli impose sopra i
distretti rurali occupati dalle sue truppe, producevano, come sembra
probabile, una somma minore di quella che il Parlamento ricavava
dalla sola città di Londra. Sperava, a dir vero, per aiuti pecuniari
nella munificenza de' suoi ricchi aderenti. Molti di costoro
ipotecarono le loro terre, impegnarono le loro gioie, e fusero le
loro argenterie per soccorrerlo. Ma l'esperienza ha pienamente
provato che la volontaria liberalità degl'individui, anche in tempi
di grande concitamento, è una scarsa fonte finanziaria, agguagliata
alla tassazione severa e metodica che grava ad un tempo sopra i
volenti e i non volenti.
Carlo, nonostante, aveva un vantaggio, il quale, ove egli ne avesse
fatto buon uso, lo avrebbe più che compensato del difetto di
provigioni e di pecunia, e che, malgrado la sua poca destrezza a
giovarsene, lo rese, per alcuni mesi, superiore nella guerra ai suoi
avversari. Le sue truppe dapprima pugnavano assai meglio di quelle
del Parlamento. Ambedue gli eserciti, egli è vero, erano quasi
interamente composti di uomini che non avevano veduto mai un campo
di battaglia. Ad ogni modo, la differenza era molta. Le falangi
parlamentari erano ripiene di genti venderecce, che s'erano
arruolate per bisogno o per ozio. Il reggimento di Hampden era
considerato come uno de' migliori; eppure Cromwell soleva chiamarlo
una marmaglia di paltonieri e di servitori a spasso. L'esercito
regio, dall'altro canto, era composto in gran parte di gentiluomini,
alteri, ardenti, avvezzi a considerare il disonore come cosa più
terribile della morte, assuefatti alla scherma, al maneggio delle
armi da fuoco, a cavalcare arditamente, ed alle cacce difficili e
pericolose, che bene chiamavansi immagini della guerra. Questi
gentiluomini, montati sui loro generosi cavalli, a capo di piccole
bande composte de' fratelli minori, dei domestici, dei cacciatori,
de' boscaiuoli loro, dal primo giorno che entrarono in campo,
sapevano sostenere la parte loro in una battaglia. Questi valorosi
volontari non arrivarono mai a conseguire la fermezza, la pronta
obbedienza, la precisione meccanica dei movimenti, che
predistinguono il soldato regolare; ma in sulle prime avevano di
fronte nemici indisciplinati quanto loro, e meno operosi, forti ed
arditi. Per qualche tempo, quindi, i Cavalieri quasi in ogni scontro
rimasero vittoriosi.
Le Camere anche non avevano avuta la fortuna di scegliere un buon
generale. Il grado e la opulenza rendevano il conte d'Essex uno
degli uomini più cospicui del partito parlamentare. Aveva con lode
guerreggiato sul Continente, ed allorquando le ostilità scoppiarono,
godeva sopra ogni altro nel paese alta riputazione militare. Ma
tosto si conobbe che egli era inetto al supremo comando. Aveva poca
energia e nessun ingegno inventivo. La tattica metodica ch'egli
aveva imparata nella guerra del Palatinato, non lo salvò dalla
sciagura di essere soprappreso e sconfitto da un capitano come
Rupert, il quale non poteva pretendere ad altra rinomanza che a
quella di ardimentoso uomo di parte.
Nè i maggiori ufficiali ad Essex sottoposti, erano in condizioni di
supplire ai difetti di lui: il che scusa o libera le Camere da ogni
biasimo. In un paese nel quale nessuno de' viventi aveva mai vista
una gran guerra, non potevano trovarsi generali di sperimentata
perizia e valentia. Era perciò necessario in sulle prime di servirsi
d'uomini inesperti: e naturalmente vennero preferiti coloro che
erano cospicui per condizione o per le doti di cui avevano fatta
mostra in Parlamento. Siffatta scelta appena in un solo esempio fu
felice; dacchè né i magnati né gli oratori fecero prova di buoni
soldati. Il conte di Stamford, ch'era uno de' principali nobili
d'Inghilterra, fu rotto a Stratton dai realisti. Nataniele Fiennes,
per sapienza civile a nessuno secondo fra' suoi contemporanei, si
disonorò per la pusillanime resa di Bristol. Veramente, di tutti gli
uomini di Stato che allora accettarono alti comandi militari, il
solo Hampden, a quanto sembra, portò nel campo la capacità e la
vigoria di mente onde era pervenuto a tanta altezza nelle cose
politiche.
LIII. Nel primo anno della guerra, le armi de' realisti rimasero
apertamente vincitrici nelle contee occidentali e settentrionali del
paese. Avevano tolta al Parlamento Bristol, seconda città del Regno.
Avevano riportate parecchie vittorie, senza né anche una perdita
ignominiosa o di grave momento. Fra le Teste-Rotonde l'avversità
aveva incominciato a produrre dissensioni e malcontento. Ora le
congiure, ora i tumulti, tenevano il Parlamento in diuturna
trepidazione. Pensarono fosse necessario fortificare Londra contro
le milizie del Re, ed impiccare in su gli usci delle proprie case
alcuni cittadini turbolenti. Taluni de' più cospicui Pari, che fino
allora erano rimasti in Westminster, fuggirono alla Corte in Oxford;
e non v'ha dubbio, che se a quel tempo le operazioni de' Cavalieri
fossero state dirette da una mente forte e sagace, Carlo sarebbe
tosto ritornato trionfante a Whitehall.
Ma il Re lasciò fuggirsi di mano quel bene augurato momento, che non
ritornò mai più. Nell'agosto del 1643 accampò di faccia alla città
di Gloucester, la quale venne difesa dagli abitanti e dal presidio
con una perseveranza che, in tutto il corso della guerra, non
avevano mai mostrata i partigiani del Parlamento. Londra ne sentì
emulazione. La milizia cittadina si offerse di correre dove i suoi
servigi potessero essere utili. In breve tempo si raccolsero
numerose forze militari, che cominciarono a muoversi verso
occidente. Gloucester fu liberata dall'assedio. I realisti in ogni
angolo del reame rimasero scorati; si rinfrancò lo spirito della
parte parlamentare; e i Lordi apostati, i quali di recente da
Westminster erano fuggiti ad Oxford, affrettaronsi a ritornare da
Oxford a Westminster.
LIV. Cominciò allora a manifestarsi nello infermo corpo politico una
nuova specie di gravi sintomi. Erano, fin da principio, nella parte
parlamentare taluni uomini che volgevano in mente pensieri dai quali
i più rifuggivano inorriditi. Questi uomini nelle cose di religione
erano indipendenti. Pensavano che ogni congregazione cristiana
aveva, sotto Cristo, suprema giurisdizione nelle faccende
spirituali; che gli appelli ai sinodi provinciali e nazionali
ripugnavano quasi tanto alle Scritture, quanto gli appelli alla
corte dell'arcivescovo di Canterbury(21) o al Vaticano; e che il
papismo, il prelatismo e il presbiterianismo, erano semplicemente
tre diverse forme d'una medesima grande apostasia. In politica essi
erano, servendoci della frase di quel tempo, uomini da ramo e da
radice; frase che risponde al vocabolo in uso ai giorni nostri,
voglio dire radicali. Non paghi di limitare il potere del monarca,
bramavano di erigere una repubblica sopra le ruine del vecchio
ordinamento politico. Dapprima erano poco notevoli e per numero e
per importanza; ma non ancora erano trascorsi due anni di guerra, e
formavano, se non la più numerosa, di certo la più potente fazione
del paese. Alcuni de' più vecchi capi parlamentari erano mancati per
morte, altri avevano perduta la pubblica fiducia. Pym era stato
sepolto con onori principeschi fra le tombe de' Plantageneti.
Hampden era caduto mentre studiavasi, con eroico esempio,
d'inanimire i suoi concittadini a far fronte alla feroce cavalleria
di Rupert. Bedford era stato infido alla causa nazionale.
Northumberland, come era noto a ciascuno, aveva animo tiepido. Essex
e i suoi luogotenenti avevano mostrato poco vigore e destrezza nel
condurre le faccende della guerra. In cosiffatta condizione di cose,
il partito degli Indipendenti, ardente, risoluto ed esperto,
cominciò ad innalzare audace la fronte nel campo e nel Parlamento.
LV. L'anima di questo partito era Oliviero Cromwell. Educato alle
occupazioni pacifiche, a quaranta e più anni d'età, aveva accettata
una commissione nell'armata parlamentare. Appena divenne soldato,
conobbe coll'acuto occhio del genio ciò che Essex, e gli uomini
simili ad Essex, con tutta l'esperienza loro, non sapevano
intendere. Vide precisamente dove stava la forza dei realisti, e i
soli mezzi con cui tale forza poteva vincersi. S'accorse che era
mestieri riordinare l'armata del Parlamento. S'accorse parimente,
che v'erano copiosi materiali ed ottimi a tale scopo; materiali meno
appariscenti, a dir vero, ma più solidi di quelli onde erano
composte le valorose legioni del Re. Era mestieri arrolare reclute
che non fossero mercenarie, ma di posizione decente e di carattere
grave, animate dal timore di Dio, e zelanti della libertà patria.
D'uomini di tal sorta compose il proprio reggimento, e mentre gli
assoggettava ad una disciplina più rigida di quale altra si fosse
mai veduta innanzi in Inghilterra, porgeva agli animi loro stimoli
di potentissima efficacia.
Gli eventi del 1644 provarono appieno la superiorità della sua
mente. Nelle contrade meridionali, dove Essex comandava, le forze
parlamentari subirono una serie di vergognosi disastri; ma nelle
settentrionali, la vittoria di Marston Moor fu di pieno compenso a
tutte le perdite che s'erano altrove, sostenute. Quella vittoria non
recò un colpo più serio ai realisti, di quello che recasse al
partito fin allora dominante in Westminster; poichè era cosa
notoria, che la giornata sciaguratamente perduta dai Presbiteriani,
era stata ricuperata dalla energia di Cromwell, e dalla valorosa
fermezza de' guerrieri che lo seguivano.
LVI. Cotesti eventi produssero l'Ordinanza d'abnegazione, e il nuovo
modello dell'armata. Con pretesti decorosi, e con ogni testimonianza
di rispetto, Essex e la maggior parte di coloro i quali avevano
occupato posti eminenti sotto il comando di lui, vennero rimossi, e
la direzione della guerra fu posta in mani dalle sue
differentissime. Fairfax, soldato intrepido, ma di basso
intendimento e di carattere irresoluto, fu fatto generale delle
armi; ma lo era di solo nome, poichè il vero capo di quelle era
Cromwell.
LVII. Cromwell affrettossi ad organizzare tutta l'armata secondo gli
stessi principii, giusta i quali aveva organizzato il proprio
reggimento. Com'egli ebbe fornita l'opera, l'esito della guerra fu
deciso. I Cavalieri dovevano adesso far fronte ad un coraggio pari
al loro, ad un entusiasmo più forte di quello onde erano animati, ad
una disciplina che loro mancava affatto. Passò tosto in proverbio il
detto, che i soldati di Fairfax e di Cromwell erano uomini
differentissimi da quelli di Essex. In Naseby seguì il primo scontro
tra i realisti e le rifatte schiere del Parlamento. La vittoria
delle Teste-Rotonde fu piena e decisiva. Essa fu seguita da altri
trionfi succedentisi rapidamente. In pochi mesi l'autorità del
Parlamento venne pienamente stabilita in tutto il reame. Carlo si
rifugiò presso gli Scozzesi, e, con modo che non fa molto onore al
carattere loro, fu consegnato agl'Inglesi.
Mentre l'esito della guerra era tuttavia dubbio, le Camere avevano
fatto morire il Primate; avevano interdetto, nella sfera della loro
autorità, l'uso della liturgia; ed avevano imposto che tutti
sottoscrivessero quel famoso documento conosciuto col nome di Lega o
Convenzione Solenne. Come la lotta ebbe fine, le innovazioni e le
vendette con grandissimo ardore furono spinte agli estremi. La
politica ecclesiastica del Regno fu rimodellata. Moltissimi
individui dell'alto clero vennero spogliati de' loro beneficii.
Multe, spesso di somme rovinose, vennero inflitte ai realisti, già
impoveriti per i larghi sussidi donati al Re. I beni di molti
vennero confiscati; molti Cavalieri proscritti trovarono utile
comprare, con enormi sacrifizi, la protezione de' personaggi
principali del partito vittorioso. Grandi dominii, appartenenti alla
Corona, ai Vescovi ed ai Capitoli, furono confiscati, e o dati in
concessione, o venduti all'incanto. In seguito di tali spoliazioni,
gran parte del suolo d'Inghilterra fu a un tratto messo in vendita.
Poichè il danaro era scarso, il traffico paralizzato, il titolo di
proprietà mal sicuro; e poichè la paura che ispiravano gli offerenti
che avevano in mano il potere, impediva la libera concorrenza; i
prezzi spesso erano prettamente nominali. In tal guisa molte antiche
ed onorate famiglie scomparvero, e non se ne seppe più nulla; e
molti uomini nuovi mostraronsi sulla scena, con repentino
innalzamento.
Ma mentre le Camere adopravano la propria autorità in quel modo,
essa fuggì rapidamente dalle loro mani. L'avevano ottenuta
arrogandosi un potere senza limite o freno. Nell'estate del 1647,
circa un anno dopo che l'ultima fortezza dei Cavalieri erasi
sottomessa al Parlamento, il Parlamento fu costretto a sottomettersi
ai soldati suoi propri.
LVIII. Corsero tredici anni, durante i quali l'Inghilterra fu, sotto
vari nomi e varie forme, governata dalla spada. Giammai, prima o
dopo di quell'epoca, il potere civile della nostra patria non fu
soggetto alla dittatura militare.
L'armata che si recò in mano il supremo potere dello Stato, era
un'armata molto diversa da qualunque altra che se n'è poi veduta nel
nostro paese. Oggimai la paga del soldato comune non è tale da
svolgere altri individui fuorchè quelli delle classi basse degli
operai, dalla loro vocazione. Una barriera quasi insormontabile lo
divide dal grado d'ufficiale. La maggior parte di coloro che vi
pervengono, lo comprano. Sono così numerose e vaste le dipendenze
remote dell'Inghilterra, che chiunque si arruola alla truppa di
linea, deve attendersi di passare molti anni della propria vita in
esilio, e parecchi anni in climi non favorevoli alla salute ed al
vigore della razza europea. L'armata del Lungo Parlamento venne
raccolta pel servizio interno. La paga del soldato comune era
maggiore del guadagno che l'individuo del popolo poteva sperare dal
proprio lavoro; e qualora si fosse distinto per intelligenza e per
coraggio, poteva sperare di levarsi a posti eminenti. Le file,
quindi, erano composte di uomini, per educazione e posizione,
superiori alla moltitudine. Questi uomini, sobrii, morali, diligenti
ed assuefatti alla riflessione, erano stati indotti ad abbracciare
il mestiere delle armi, non già dagli incitamenti del bisogno, non
dal desio di novità o di licenza, non dagli artificii degli
ufficiali reclutatori, ma dallo zelo religioso e politico, misto
alla brama di acquistarsi onore e spingersi in alto. Essi
vantavansi, siccome ne troviamo ricordo nelle loro solenni
risoluzioni, di non essere stati costretti alla milizia, né d'averla
abbracciata per desiderio di lucro; di non essere giannizzeri, ma
liberi cittadini inglesi, i quali, di loro propria voglia, avevano
poste le loro vite in pericolo per la libertà e la religione
dell'Inghilterra; perocchè consideravano come loro debito espresso
vegliare sul bene della nazione che avevano salvata.
In una milizia siffattamente composta, potevano senza pregiudizio
della sua utilità, tollerarsi quelle tali licenze, che, concesse a
qualunque altra soldatesca, avrebbero sovvertita ogni disciplina.
Generalmente parlando, i soldati, i quali si costituissero in
circoli politici, eleggessero i loro delegati e prendessero
risoluzioni intorno ad alte questioni di Stato, scoterebbero tosto
ogni freno, non sarebbero più un'armata, e diverrebbero la massa
peggiore e più pericolosa del popolo. Né sarebbe sicuro, ai tempi
nostri, permettere ne' reggimenti adunanze religiose, nelle quali un
caporale versato nella lettura della Bibbia infiammasse la divozione
del suo colonnello meno istruito, e desse avvertimenti al suo
maggiore recidivo. Ma tali erano la intelligenza, la gravità, la
padronanza di sé, nei guerrieri di Cromwell, che nel loro campo una
organizzazione religiosa e politica poté esistere senza recar
nocumento alla organizzazione militare. Gli uomini stessi i quali
facevansi notare come demagoghi e predicatori del campo, godevano
bella reputazione di fermezza, di spirito d'ordine, e di pronta
obbedienza nelle guardie, negli esercizi e nel campo di battaglia.
In guerra, nulla valeva a resistere a questa straordinaria milizia.
Il ferreo coraggio, che forma l'indole del popolo inglese, ricevette
subitamente, mercé del sistema di Cromwell, regola e stimolo. Altri
comandanti hanno mantenuto un ordine egualmente rigoroso; altri
comandanti hanno ispirato nei petti dei loro seguaci uno zelo
egualmente fervido: ma nel solo campo di Cromwell trovavasi la più
rigida disciplina congiunta al più ardente entusiasmo. Le sue truppe
correvano alla vittoria con la precisione delle macchine, mentre
erano infiammate del più selvaggio fanatismo de' crociati. Da quando
l'armata venne riordinata fino a quando si sbandò, non trovò mai o
nelle Isole Britanniche o nel Continente un nemico che potesse
sostenerne gl'impeti. In Inghilterra, Scozia, Irlanda, Fiandra, i
guerrieri puritani, spesso circuiti da difficoltà, talvolta lottanti
contro nemici tre volte più numerosi, non solamente non mancarono di
vincere, ma non mancarono mai di distruggere e tagliare in pezzi
qualunque esercito si fosse loro presentato. Finalmente, giunsero a
considerare il dì della battaglia come un giorno di sicuro trionfo,
e movevano con fiducia sprezzante contro i più rinomati battaglioni
d'Europa. Turenna rimase attonito alla severa esaltazione con cui i
suoi alleati inglesi correvano al combattimento, ed espresse la
gioia di un vero soldato, allorquando gli fu detto che era costume
de' lancieri di Cromwell d'allegrarsi grandemente quando guardavano
in faccia il nemico; e i Cavalieri banditi provarono l'emozione
dell'orgoglio nazionale, allorquando videro una brigata de' loro
concittadini, inferiori di numero ai nemici ed abbandonati dagli
alleati, porre in rotta la più bella fanteria spagnuola, ed aprirsi
il passo in una controscarpa, che era stata pur allora giudicata
inespugnabile dai più sperimentati marescialli di Francia.
Ma ciò che principalmente distingueva l'armata di Cromwell dalle
altre armate, era l'austera moralità e il timore di Dio, che
prevalevano in tutte le file. I più zelanti realisti confessano, che
in quel campo singolare non s'udiva una bestemmia, non si vedevano
ubriachi o giuocatori, e che, per tutto il tempo che durò la
dominazione soldatesca, gli averi de' pacifici cittadini e l'onore
delle donne furono reputati sacri. Se si commisero oltraggi, furono
oltraggi di specie molto diversa da quelli cui di leggieri si
abbandona un'armata vittoriosa. Non vi fu né anche una fantesca che
muovesse lamento delle galanti aggressioni de' soldati. Una sola
dramma d'argento non fu rapita nelle botteghe degli orefici. Ma un
sermone pelagiano, o uno sportello sul quale fosse dipinta la
Madonna col divino Infante, produceva nelle file dei Puritani tale
un eccitamento, che richiedeva gli estremi sforzi degli ufficiali
per essere dominato. Una delle principali difficoltà di Cromwell fu
quella d'impedire che i suoi lancieri e dragoni si gettassero sopra
i pergami de' sacerdoti, i cui discorsi (per servirmi
dell'espressione di que' tempi) non erano gustosi; e moltissime
delle nostre cattedrali serbano tuttavia i segni dell'odio onde
quegli spiriti austeri abborrivano ogni vestigio di papismo.
LIX. Affrenare il popolo inglese non fu lieve impresa per
quell'armata. Non appena fu sentito il peso della tirannide
militare, che la nazione, non assuefatta a tanto servaggio, cominciò
ad agitarsi ferocemente. Scoppiarono insurrezioni in quelle contee
che, mentre ardeva la guerra, avevano mostrata cieca sommissione al
Parlamento. A dir vero, lo stesso Parlamento aborriva i suoi vecchi
difensori più che i suoi vecchi nemici, e bramava di venire a patti
di accomodamento con Carlo a danno dell'armata. Nel tempo medesimo,
in Iscozia formossi una coalizione tra i realisti e un grosso corpo
di presbiteriani, che detestavano le dottrine degl'indipendenti.
Finalmente scoppiò la procella. I popoli si sollevarono in Norfolk,
in Suffolk, in Essex, in Kent, in Galles. La flotta nel Tamigi
subitamente innalzò i regi colori, si spinse in mare, e minacciava
la costa meridionale dell'isola. Grossa mano di armati scozzesi
valicò i confini, e giunse fino alla contea di Lancaster. Potrebbe
ben sospettarsi che siffatti movimenti venissero riguardati con
segreta compiacenza dalla maggior parte dei membri della Camera de'
Lordi, e di quella de' Comuni.
Ma il giogo dell'armata non poteva scuotersi in quella guisa. Mentre
Fairfax spegneva le insurrezioni nelle vicinanze della metropoli,
Oliviero domava gli insorgenti Gallesi, e riducendo i loro castelli
in rovine, moveva contro gli Scozzesi. Le sue truppe erano poche in
paragone degl'invasori; ma egli non aveva costume di contare il
numero de' suoi nemici. L'armata scozzese fu onninamente distrutta.
Susseguì un cangiamento nel governo della Scozia. Un'amministrazione
ostile al Re formossi in Edimburgo; e Cromwell, diventato più che
mai l'idolo de' suoi soldati, ritornò trionfante a Londra.
LX. Allora un disegno a cui sul principio della guerra civile
nessuno avrebbe osato alludere, e che non era meno incompatibile con
la Solenne Convenzione, di quello che fosse con le vecchie leggi
d'Inghilterra, cominciò ad assumere una forma distinta. Gli austeri
guerrieri che governavano la nazione, avevano per lo spazio di
parecchi mesi meditata una tremenda vendetta contro il Re
prigioniero. Quando e come originasse tale disegno; se movesse dai
comandanti e si diffondesse nelle file, o dalle file si appigliasse
ai comandanti; se si debba ascrivere ad una politica che si serviva
del fanatismo come di strumento, o al fanatismo che trascinava la
politica con irresistibile impulso; sono questioni che fino ai dì
nostri non si sono potute sciogliere perfettamente. Se non che,
sembra probabile, considerando generalmente le cose, che colui che
pareva menare gli altri, fosse forzato a seguirli; e che in questa
occasione, come avvenne pochi anni dopo in una occasione
simigliante, egli sacrificasse il proprio giudicio e le proprie
inclinazioni ai voleri dell'armata. Poichè il potere ch'egli aveva
stabilito, era un potere che neanche egli stesso valeva a
raffrenare; e onde potesse sempre comandare, era necessario ch'ei
talvolta obbedisse. Protestò pubblicamente, che ei non era stato
l'iniziatore della cosa, che i primi passi erano stati fatti senza
esserne stato reso partecipe, che non poté consigliare il Parlamento
a dare il colpo, ma sottopose i propri sentimenti alla forza delle
circostanze, che sembravano manifestare gli alti disegni della
Provvidenza. Siffatte proteste si sogliono sempre considerare come
esempio della ipocrisia di che comunemente ei viene tacciato. Ma
anche coloro che lo chiamano ipocrita, non oserebbero di chiamarlo
uno stolto. È loro debito mostrare ch'egli voleva conseguire un alto
scopo, incitando l'armata a commettere un atto ch'egli non
rischiossi mai di ordinare. Parrebbe cosa assurda supporre che egli,
il quale da' suoi nemici degni di rispetto non venne mai
rappresentato come follemente crudele ed implacabilmente
vendicativo, avesse fatto il passo più importante di tutta la sua
vita, mosso solo da spirito malevolo. Era tanto savio da conoscere,
quando consentì a versare quel sangue augusto, ch'egli compiva un
fatto inespiabile, che sveglierebbe dolore ed orrore non solo negli
animi de' realisti, ma negli animi di nove decimi di coloro i quali
avevano parteggiato a favore del Parlamento. Siano quali si vogliano
le visioni che turbavano i cervelli degli altri, ei di certo non
sognava di repubblica, secondo la forma degli antichi, nè del regno
millenario dei Santi. S'egli già aspirava a farsi fondatore d'una
nuova dinastia, era chiaro che Carlo I era un rivale meno
formidabile di quello che sarebbe stato Carlo II. Nell'istante della
morte di Carlo I, ciascuno de' Cavalieri avrebbe conservata la
propria lealtà in tutta la sua purezza a Carlo II. Carlo I era
prigioniero; Carlo II sarebbe stato libero. Carlo I era obietto di
sospizione e disgusto a gran parte di coloro che tuttavia
rabbrividivano al pensiero di ucciderlo; Carlo II avrebbe svegliato
tutto l'interesse che accompagna la giovinezza e la innocenza
sventurata. È impossibile credere che considerazioni così ovvie ed
importanti fuggissero alla mente del più grande uomo politico di
quell'età. Vero è che Cromwell, un tempo, intese a farsi mediatore
fra il trono ed il Parlamento; o a riordinare lo Stato in isfacelo,
per mezzo del potere della spada, sotto la sanzione del nome regio.
In siffatto disegno egli perseverò finchè non fu costretto ad
abbandonarlo per la insubordinazione dei soldati e per la incurabile
doppiezza del Re. Sorse un partito nel campo, che vociferando
chiedeva la testa del traditore, il quale trattava con Agag. Si
formarono cospirazioni; levaronsi romorose minacce d'accusa. Scoppiò
un ammutinamento, a comprimere il quale bastarono appena il vigore e
la risolutezza di Cromwell. E quantunque, per mezzo d'una giudiciosa
mistura di severità e di dolcezza, gli fosse riuscito di ristabilire
l'ordine, s'accorse che sarebbe stato estremamente difficile e
pericoloso contendere contro la rabbia de' guerrieri, i quali
consideravano il caduto tiranno qual proprio nemico, e quale nemico
del loro Dio.
Nel tempo stesso si vide più che mai manifesto come nel Re non fosse
da fidarsi. I vizi di Carlo erano cresciuti; e, a dir vero, erano di
quella specie di vizi, che le difficoltà e le perplessità
generalmente fanno risaltare in tutta la loro luce. L'astuzia è lo
scudo naturale de' deboli. E però un principe il quale è abituato ad
ingannare mentre si trova nell'altezza della possanza, non è
verosimile che impari ad esser franco in mezzo agl'impacci ed alle
sciagure. Carlo era un dissimulatore non solo privo di scrupoli, ma
sventurato. Non vi fu mai uomo politico al quale siano state
attribuite con innegabile evidenza tante fraudi e tante falsità.
Egli pubblicamente riconobbe le Camere di Westminster come
Parlamento legittimo, e nel medesimo tempo scrisse nel suo Consiglio
un atto privato, in che dichiarava di non riconoscerle. Protestò
pubblicamente di non essersi mai rivolto ad armi straniere per
domare i suoi popoli, mentre privatamente implorava aiuto dalla
Francia, dalla Danimarca o dalla Lorena. Negò pubblicamente di avere
impiegati i papisti, e nel medesimo tempo mandava ordini ai suoi
generali per impiegare ogni papista che volesse servire. Prestò
pubblicamente in Oxford il giuramento, promettendo di non esser mai
connivente al papismo; mentre privatamente assicurava la propria
moglie, che egli intendeva tollerarlo in Inghilterra; e dette
facoltà a lord Glamorgan di promettere che il papismo verrebbe
ristabilito in Irlanda. Finalmente, tentò d'uscire d'impaccio a
danno del suo ministro. Glamorgan ricevé, tutte scritte di mano del
Re, riprensioni che dovevano esser lette da altri, o lodi che
dovevano esser vedute da lui solo. Fino a tal segno allora erasi
spinta la indole falsa del Re, che i suoi più devoti amici non si
poterono frenare dal querelarsi fra loro, con amaro dolore e
vergogna della torta politica di lui. I suoi difetti, dicevano essi,
davano loro meno molestia de' suoi intrighi. Dall'istante in cui fu
fatto prigioniero, non v'era individuo del partito vittorioso che
egli non cercasse avvolgere fra le sue lusinghe e fra le sue
macchinazioni; ma non gli toccò peggiore ventura di quella ch'egli
ebbe allorquando si studiò di blandire Cromwell, nel tempo stesso
che voleva minargli il terreno; e Cromwell era uomo da non lasciarsi
vincere né dalle blandizie né dalle macchinazioni.
LXI. Cromwell doveva risolvere se mai fosse cosa prudente porre a
rischio l'affetto che gli portava il suo partito, lo affetto
dell'armata, la propria grandezza, anzi la sua propria vita, per un
tentativo che probabilmente sarebbe riuscito vano; pel tentativo,
cioè, di salvare un principe che non si sarebbe potuto mai vincolare
con nessun giuramento. La determinazione fu presa dopo molte lotte e
molti sospetti, e forse non senza molte preghiere. Carlo fu
abbandonato al proprio destino. I così detti Santi militari,
sfidando le antiche leggi del Regno, non che il sentimento quasi
universale della nazione, decisero che il Re dovesse espiare col
proprio sangue i delitti onde era reo. Egli per qualche tempo
aspettossi una morte simile a quella de' suoi infelici predecessori,
Eduardo II e Riccardo II. Ma non v'era pericolo d'un tale
tradimento. Coloro i quali lo tenevano fra gli artigli, non erano
coltellatori notturni. Ciò ch'essi fecero, lo fecero perchè servisse
di spettacolo al cielo ed alla terra, e perchè ne rimanesse eterna
ricordanza. Godevano a malincuore dello scandalo che davano.
L'essere l'antica Costituzione e l'opinione pubblica
dell'Inghilterra direttamente opposte al regicidio, circondava il
regicidio di un fascino straordinario agli occhi di un partito
intento a produrre una completa rivoluzione politica e sociale. Onde
conseguire pienamente il loro scopo, era mestieri che innanzi tutto
facessero in pezzi ogni parte della macchina del Governo; ed era una
necessità più presto gradevole che penosa agli animi loro. La Camera
de' Comuni votò per un accomodamento col Re. I soldati con la forza
si opposero alla maggioranza. I Lordi unanimemente rigettarono la
proposta di porre il Re sotto processo; e la loro sala venne
immediatamente chiusa. Nessun tribunale legittimo voleva assumersi
la responsabilità di giudicare colui dal quale emanava la giustizia.
Creossi un tribunale rivoluzionario, il quale dichiarò Carlo essere
tiranno, traditore, assassino e nemico pubblico; e la testa gli
venne mozza dal busto innanzi a migliaia di spettatori, di faccia
alla sala del banchetto, nel suo proprio palazzo.
Non molto tempo dopo, chiaramente conobbesi che quei zelanti
politici e religiosi, ai quali deve attribuirsi quel fatto, avevano
commesso non solo un delitto, ma un fallo. Essi avevano data ad un
principe fin allora conosciuto per le sue colpe, occasione di
mostrare, in un vasto teatro, innanzi agli occhi di tutte le nazioni
e di tutti i secoli, talune doti che irresistibilmente svegliano
l'ammirazione e l'amore dell'umanità; cioè l'altero spirito di un
prode gentiluomo, e la pazienza e mansuetudine di un cristiano che
si sacrifica. Che anzi, avevano in tal modo eseguita la loro
vendetta, che quell'uomo stesso la cui vita non era stata se non una
serie di violazioni delle libertà dell'Inghilterra, sembrava morire
da martire per la causa di quelle medesime libertà. Nessun demagogo
produsse mai una impressione negli animi di tutti simile a quella
che vi produsse il Re prigioniero, il quale serbando in quegli
estremi tutta la sua dignità reale, ed affrontando la morte con
indomito coraggio, infiammò i sentimenti del suo popolo oppresso,
ricusò fermamente di favellare innanzi ad un tribunale ignoto alla
legge, appellossi dalla violenza militare ai principii della
Costituzione, chiese con che diritto dalla Camera de' Comuni erano
stati espulsi i suoi più rispettabili membri e la Camera de' Lordi
era stata privata delle sue funzioni legislative, e disse ai suoi
uditori che lacrimavano, com'egli non difendesse soltanto la causa
propria, ma la loro. La pessima condotta del suo lungo governo, le
sue innumerevoli perfidie, furono dimenticate. La memoria di lui
venne, nelle menti della maggior parte de' suoi sudditi, associata a
quelle stesse libere istituzioni ch'egli per molti anni erasi
sforzato di distruggere; poichè quelle libere istituzioni s'erano
spente con lui, e, tra il lugubre silenzio di un popolo spaventato
dall'armi, erano state difese dalla sola sua voce. Da quel giorno,
cominciò una reazione in favore della Monarchia e dell'esule
famiglia reale, la quale venne sempre crescendo, finchè il trono non
fu rialzato in tutta la sua antica dignità.
Nondimeno, da principio gli uccisori del Re parvero derivare nuova
energia da quel sacramento di sangue con cui s'erano scambievolmente
vincolati, separandosi per sempre dalla maggioranza de' loro
concittadini. L'Inghilterra venne dichiarata Repubblica. La Camera
de' Comuni, ridotta ad un piccolo numero di membri, fu, di nome
soltanto, il supremo potere dello Stato. Di fatto, il governo era
tutto nelle mani dell'esercito e del suo capo. Oliviero aveva fatta
la sua scelta. Egli aveva conservato l'affetto de' suoi soldati; ma
erasi diviso da pressochè tutte le classi de' suoi concittadini. Mal
si direbbe ch'egli avesse un partito al di là de' confini del campo
e delle fortezze. Quegli elementi di forza i quali, quando scoppiò
la guerra civile, parevano osteggiarsi vicendevolmente, si
congiunsero contro lui; tutti i Cavalieri, la più parte delle
Teste-Rotonde, la Chiesa Anglicana, la Chiesa Presbiteriana, la
Chiesa Cattolica Romana, l'Inghilterra, la Scozia, l'Irlanda.
Nonostante, era tale il suo genio e la sua fermezza, che egli poté
padroneggiare e vincere ogni ostacolo che gli attraversava la via, e
rendersi signore della propria patria, più assoluto di qualunque
altro de' Re legittimi, e farla rispettare e temere più di quanto
era stata temuta e rispettata in tutto il tempo che ella era rimasta
sotto il governo de' suoi legittimi principi.
L'Inghilterra aveva già cessato di lottare. Ma i due altri Regni, i
quali erano stati governati dagli Stuardi, si dichiararono ostili
alla nuova Repubblica. Il partito degli Indipendenti era egualmente
odioso ai Cattolici Romani d'Irlanda, ed ai Presbiteriani di Scozia.
Entrambi questi paesi, che poco innanzi erano ribelli a Carlo I,
poscia riconobbero l'autorità di Carlo II.
LXII. Ma ogni cosa cedeva al vigore ed all'ingegno di Cromwell. In
pochi mesi soggiogò l'Irlanda, e la ridusse come non era mai stata
nello spazio di cinque secoli di strage ch'erano trascorsi dallo
sbarco de' primi Normanni in poi. Determinossi a porre fine al
conflitto delle razze e delle religioni che aveva per tanto tempo
turbata quell'isola, facendovi esclusivamente predominare la
popolazione inglese e protestante. A tale scopo, allentò il freno al
feroce entusiasmo de' suoi seguaci, dichiarò una guerra simile a
quella che Israello aveva dichiarata ai Cananei, domò gl'Idolatri
col taglio della spada, di guisa che le grandi città furono lasciate
prive d'abitanti; ne cacciò parecchie migliaia sul continente, ne
imbarcò molte migliaia per l'America, e riempì quel vuoto mandandovi
numerose colonie di genti anglo-sassoni, seguaci delle credenze di
Calvino. Strano a dirsi! sotto quel regime di ferro, il paese
conquistato cominciò a far mostra d'una certa prosperità esteriore.
Distretti che poco innanzi erano selvaggi, come quelli dove i coloni
del Connecticut contendevano con gli uomini rossi, in pochi anni
vennero trasformati in un certo aspetto simile a quello di Kent e di
Norfolk. Si videro da per tutto nuovi edifici e strade e
piantagioni. La entrata de' terreni crebbe tosto; e tosto i
proprietari inglesi cominciarono a querelarsi d'incontrare in tutti
i mercati i prodotti dell'Irlanda, e a gridare perchè si
promulgassero leggi protezioniste.
Dall'Irlanda il guerriero vittorioso, che adesso era anche di nome,
come lungo tempo lo era stato di fatto, Lord Generale dello esercito
della Repubblica, si mosse alla volta di Scozia. Ivi stavasi il
giovine Re, il quale aveva acconsentito di professare il culto dei
Presbiteriani e firmare la Convenzione; e in ricompensa di tali
concessioni, gli austeri Puritani che dominavano in Edimburgo gli
avevano permesso di tenere, sotto la vigilanza e direzione loro, una
corte solenne ma trista nelle sale di Holyrood da lungo tempo
deserte. Questa corte da scherno durò brevemente. In due grandi
battaglie Cromwell annientò le forze militari della Scozia. Carlo
fuggì per salvare la vita, e con estrema difficoltà si sottrasse al
destino del padre suo. Lo antico Regno degli Stuardi venne, per la
prima volta, ridotto alla più profonda sommissione. Non rimase
vestigio della indipendenza con tanto valore difesa contro i più
potenti e destri de' Plantageneti. Il Parlamento inglese faceva le
leggi per la Scozia. I giudici inglesi sedevano nei tribunali della
Scozia. Anche quella inflessibile Chiesa, che erasi mantenuta a
dispetto di tanti Governi, non osava far sentire un lamento.
LXIII. Tanta era stata, almeno in apparenza, l'armonia tra i
guerrieri che avevano soggiogato la Irlanda e la Scozia, e gli
uomini politici che sedevano in Westminster! ma l'alleanza ch'era
stata cementata dal pericolo, fu sciolta dalla vittoria. Il
Parlamento dimenticò di dovere la propria esistenza allo esercito.
Lo esercito era meno disposto che mai a sottoporsi alla dittatura
del Parlamento. Veramente, i pochi membri i quali formarono ciò che
poscia venne chiamato la coda o la groppa (Rump) della Camera de'
Comuni, non avevano, più che i corpi militari, diritto ad essere
stimati i rappresentanti della nazione. La contesa fu tosto condotta
ad un esito decisivo. Cromwell empì la Camera d'uomini armati. Ne
cacciarono giù dal seggio il presidente, vuotarono la sala, e ne
chiusero le porte. La nazione che non amava nessuna delle due parti
avverse, ma che, suo malgrado, era costretta a rispettare la
capacità e la fermezza del generale, guardò quell'evento con
pazienza, se non con compiacenza.
Il Re, la Camera de' Lordi, e quella de' Comuni, erano stati vinti e
distrutti; e sembrava che Cromwell fosse rimasto unico erede di
tutti e tre. Nondimeno, v'erano certe limitazioni impostegli
tuttavia da quella stessa armata, cui egli andava debitore della sua
immensa autorità. Quel corpo singolare di uomini era quasi
interamente composto di repubblicani zelanti. Mentre rendevano
schiava la patria, ingannavansi credendo di emanciparla. Il libro
che essi maggiormente veneravano, forniva loro un esempio che
ricorreva spesso sulle loro labbra. Era pur troppo vero che la
nazione ingrata e stolta mormorava contro i propri liberatori.
Similmente un'altra nazione eletta aveva mormorato contro il capo
che la trasse, per duri e perigliosi sentieri, dalla schiavitù alla
terra che era irrigata di latte e di miele. Nondimeno, quel gran
capitano aveva liberati i fratelli, loro malgrado; nè aveva aborrito
di dare terribili esempi di giustizia sopra coloro i quali
avversavano la offerta libertà, e lamentavano le vivande, i padroni
e le idolatrie dell'Egitto. Lo scopo de' santocchi guerrieri i quali
circondavano Cromwell, era quello di stabilire una libera e pia
Repubblica. Per conseguire tale scopo, erano pronti ad appigliarsi,
senza veruno scrupolo, a qualunque mezzo, comecchè violento ed
illegittimo. E però non era impossibile stabilire col loro aiuto una
monarchia assoluta di fatto; ma era probabile che essi avrebbero
repentinamente tolto il loro sostegno a un uomo che, anche soggetto
a rigorose restrizioni costituzionali, avesse osato assumere il nome
e la dignità di Re.
I sentimenti di Cromwell erano molto diversi. Egli non era più ciò
che era stato; nè sarebbe giusto considerare il cangiamento che
avevano subito le sue idee, come il semplice effetto della sua
ambizione egoistica. Quando entrò nel Lungo Parlamento, vi portò dal
suo ritiro campestre poca conoscenza di libri, nessuna esperienza
degli affari di Stato, ed un temperamento esacerbato dalla lunga
tirannide del Governo e della gerarchia. Nei tredici anni
susseguenti si era in modo non ordinario educato alle cose
politiche. Era stato attore principale in una serie di rivoluzioni;
era stato per lungo tempo l'anima, o almeno il capo di un partito.
Aveva comandato eserciti, riportate vittorie, negoziato trattati,
soggiogato, pacificato e riordinato Regni. Sarebbe stata cosa
strana, in verità, se le sue nozioni fossero rimaste nella
condizione in cui erano quando il suo spirito trovavasi
principalmente occupato de' suoi campi e della sua religione, e
quando i grandi avvenimenti che variavano il corso della sua vita,
erano una fiera di bestiame o una ragunanza religiosa in Huntingdon.
Si accorse che certi disegni d'innovazione, per cui egli un tempo
aveva mostrato zelo, buoni o cattivi in sè stessi, erano avversi al
sentimento generale del paese; e che, se egli perseverava in tali
disegni, non poteva altro aspettarsi che perpetue turbolenze, da
domarsi solo con la spada. Egli quindi voleva ristaurare, in tutte
le sue parti essenziali, quell'antica Costituzione, che il popolo
aveva sempre amata, e che poi amaramente desiderava. La via calcata
poscia da Monk, non era per anche aperta a Cromwell. La memoria di
un solo terribile giorno divise per sempre il gran regicida dalla
famiglia degli Stuardi. Il partito cui egli poteva appigliarsi, era
soltanto quello di ascendere al trono d'Inghilterra, e regnare
secondo l'antica politica inglese. Se gli fosse riuscito di far ciò,
avrebbe potuto sperare che le ferite della lacerata patria si
sarebbero presto rimarginate. Gran numero d'uomini onesti e
tranquilli si sarebbero stretti intorno al suo seggio. Quei realisti
che amavano più le istituzioni che la dinastia, l'ufficio di Re più
che Carlo I e Carlo II, avrebbero tosto baciato la mano del re
Oliviero. I Pari, che allora rimanevano cupi e solitari nel ritiro
de' loro castelli, e ricusavano di prender parte alla cosa pubblica,
convocati al Parlamento dall'editto di un re assiso sul trono,
avrebbero lietamente riassunte le loro antiche funzioni.
Northumberland e Bedford, Manchester e Pembroke, sarebbero stati
orgogliosi di portare la corona e gli sproni, lo scettro e il globo,
innanzi al ristauratore dell'aristocrazia. Un sentimento di lealtà
avrebbe gradatamente affezionato il popolo alla nuova dinastia; ed
alla morte del fondatore di tal dinastia, la dignità regia sarebbe
discesa con universale acquiescenza ai suoi posteri.
I più destri realisti pensavano che siffatte mire erano savie, e che
se a Cromwell fosse stato concesso di seguire il proprio giudicio,
l'esule dinastia non sarebbe mai più risalita sul trono
d'Inghilterra. Ma il suo disegno era direttamente opposto al sentire
della sola classe ch'egli non osava offendere. Il nome di re era
odioso ai soldati. Parecchi di loro mal volentieri pativano che
l'amministrazione dello Stato fosse nelle mani di un solo. La gran
maggioranza, non pertanto, era disposta a sostenere il suo generale,
come primo magistrato elettivo della Repubblica, contro tutte le
fazioni che potessero per avventura avversare l'autorità di lui; ma
non avrebbe consentito ch'egli assumesse il titolo regio, o che
quella dignità, ch'era equo compenso del suo merito personale, fosse
dichiarata ereditaria nella sua famiglia. Ciò che gli rimaneva a
fare, era di dare alla nuova Repubblica una Costituzione, che
somigliasse a quella della vecchia monarchia tanto quanto piacesse
all'armata. Perchè non si dicesse ch'egli si fosse da sè elevato al
nuovo potere, convocò un Consiglio, composto in parte d'individui
sul sostegno de' quali ei poteva riposare, in parte di altri de'
quali poteva di leggieri sfidare l'opposizione. Tale Assemblea,
ch'egli chiamò Parlamento, e cui il popolaccio appose il nome di uno
de' suoi più cospicui membri, cioè Parlamento di Barebone, dopo di
essersi per breve tempo fatta segno al pubblico scherno, depose
nelle mani del generale i poteri ricevuti da lui, e gli lasciò piena
libertà di foggiare a suo talento un sistema di governo.
LXIV. Il suo disegno, fin da principio, somigliava considerevolmente
alla vecchia Costituzione inglese; ma in pochi anni egli credè
opportuno spingersi più oltre, e ristaurare quasi ogni parte
dell'antico sistema sotto nuovi nomi e nuove forme. Il titolo di re
non fu ristabilito, ma le prerogative regie vennero affidate ad un
alto protettore. Il sovrano fu chiamato non Sua Maestà, ma Sua
Altezza; non fu coronato ed unto nell'Abbadia di Westminster, ma
solamente intronizzato, decorato della spada dello Stato, vestito
d'un manto purpureo, e gli fu fatto presente d'una ricca Bibbia
nella Sala di Westminster. Il suo ufficio non fu dichiarato
ereditario, ma gli fu concesso di nominare il suo successore; e
nessuno dubitava ch'egli avrebbe nominato il proprio figlio.
Una Camera de' Comuni era parte necessaria del nuovo sistema
politico. Nel costituirla, il Protettore fece mostra d'una saviezza
e d'uno spirito pubblico, che non furono pienamente apprezzati da'
suoi contemporanei. I vizi del vecchio sistema rappresentativo,
comunque non fossero cotanto gravi come in appresso divennero, erano
già stati notati dagli uomini di senno. Cromwell riformò quel
sistema secondo gli stessi principii a norma de' quali Pitt,
centotrenta anni dopo, tentò di riformarlo, e a norma de' quali è
stato finalmente riformato ai tempi nostri. I piccoli borghi vennero
privati della franchigia elettorale, anche molto più di quello che
furono nel 1832: e il numero dei deputati delle contee fu
grandemente accresciuto. Poche città che non erano rappresentate,
avevano acquistata importanza. Di tali città, le più considerevoli
erano Manchester, Leeds ed Halifax: a tutte e tre fu concessa la
rappresentanza. I rappresentanti della capitale furono aumentati di
numero. La franchigia elettiva fu riformata in guisa, che ogni uomo
d'una certa considerazione, possidente o non possidente di terre
libere, votava nella contea di sua residenza. Pochi scozzesi e pochi
coloni inglesi stabiliti in Irlanda, furono chiamati all'Assemblea,
che doveva esercitare le funzioni legislative in Westminster per
tutto il reame.
Creare una Camera de' Lordi era impresa meno facile. La democrazia
non ha mestieri di prescrizione. La monarchia spesso è esistita
senza siffatto sostegno. Ma l'ordine patrizio è l'opera del tempo.
Oliviero trovò già esistente una nobiltà ricca, rispettata e
popolare agli occhi de' cittadini, quanto lo sia mai stata qualunque
altra nobiltà. Se egli, come Re d'Inghilterra, avesse comandato ai
Pari di accorrere al Parlamento, secondo le antiche costumanze del
Regno, molti di loro avrebbero senza dubbio obbedito allo appello.
Ciò non potè egli fare, ed invano offrì ai capi delle più illustri
famiglie un posto nel suo nuovo Senato. Essi pensavano non potere
accettare la nomina ad un'Assemblea improvvisata, senza rinunciare
agli aviti diritti e tradire l'ordine loro. Il Protettore, quindi,
si trovò nella necessità di riempire la Camera Alta di uomini nuovi,
i quali, nelle ultime vicissitudini, s'erano resi cospicui. Fu
questo il meno felice dei suoi disegni, e spiacque a tutti. La
moltitudine, che sentiva venerazione ed affetto pei grandi nomi
storici del paese, schernì una Camera di Lordi ove sedevano alcuni
fortunati birrai e calzolai, alla quale pochi degli antichi Nobili
furono invitati, e da cui tutti quei vecchi Nobili che vi furono
invitati, volgevano sdegnosi le spalle.
Il modo in che furono costituiti i Parlamenti di Cromwell,
nondimeno, era cosa di poco momento, poichè egli possedeva i mezzi
di condurre l'amministrazione senza il loro sostegno, e a dispetto
della loro opposizione. Pare che volesse governare
costituzionalmente, e sostituire l'impero delle leggi a quello della
spada. Ma si accorse tosto, ch'egli, odiato com'era dai realisti e
dai presbiteriani, poteva trovare salvezza soltanto
nell'assolutismo. La prima Camera de' Comuni che il popolo elesse
per comando di lui, ne mise in questione l'autorità, e fu disciolta
senza avere compito un solo atto. La sua seconda Camera de' Comuni,
tuttochè lo riconoscesse come Protettore, e volentieri lo avrebbe
fatto Re, si ostinò a non volere riconoscere i Lordi novellamente
creati. Non rimanevagli altro da fare che sciogliere di nuovo il
Parlamento. "Dio," esclamò egli partendo, "sia giudice tra voi e
me!"
Ciò non ostante, siffatte dissensioni non infiacchirono
l'amministrazione del Protettore. Quei soldati che non gli avrebbero
concesso di assumere il titolo di Re, lo sostenevano tutte le volte
ch'egli tentava atti di potere, vigorosi quanto non ne tentò mai
nessun altro re inglese. E però il Governo, quantunque in forma di
Repubblica, era un vero dispotismo, temperato soltanto dalla
saviezza, dalla sobrietà e dalla magnanimità del despota. Il paese
fu partito in distretti militari, i quali vennero posti sotto il
comando di Maggiori Generali. Qualunque tentativo d'insurrezione
veniva prontamente represso e punito. La paura che ispirava il
potere della spada impugnata da una mano così vigorosa, ferma ed
esperta, domò lo spirito dei Cavalieri e de' Livellatori. I leali
gentiluomini dichiararono essere tuttavia pronti, come sempre, a
rischiare le loro vite per l'antico Governo e l'antica dinastia,
qualora vi fosse la più lieve speranza di riuscita; ma porsi alla
testa de' loro servi ed affittuarii e farsi incontro alle picche di
legioni vincitrici in cento battaglie ed assedi, sarebbe stato lo
stesso che fare lo inutile sacrificio di un sangue onorevole ed
innocente. Realisti e repubblicani, non avendo più speranza
nell'aperta resistenza, cominciarono a maturare neri disegni di
assassinio; ma il Protettore vigilava, ed uscendo dalle mura del suo
palazzo, le spade sguainate e le corazze delle sue fide guardie
facevangli siepe per ogni lato.
S'egli fosse stato un principe crudele, licenzioso e rapace, la
nazione avrebbe fatto un estremo sforzo per liberarsi dalla
dominazione militare. Ma gli aggravi che pativa il paese, tuttochè
eccitassero lo scontento, non erano tali da spingere grandi masse di
popolo a porre a repentaglio le vite, le sostanze e la tranquillità
delle proprie famiglie. Le tasse, quantunque fossero più gravose che
non erano sotto gli Stuardi, non parevano di gran peso quando
paragonavansi a quelle degli Stati vicini, e si ragguagliavano ai
mezzi dell'Inghilterra. Le proprietà erano sicure. Perfino i
Cavalieri, i quali astenevansi di turbare il nuovo Governo, godevano
in pace di ciò che era loro rimasto fra il trambusto delle guerre
civili. Le leggi erano violate solo ne' casi che riguardavano la
salvezza e il Governo del Protettore. La giustizia tra uomo e uomo
era amministrata con esattezza ed onestà non conosciute per lo
innanzi. In Inghilterra non v'era stato Governo, dalla Riforma in
poi, meno persecutore di quello di Cromwell nelle questioni
religiose. Gli sventurati Cattolici Romani, a dir vero, appena
venivano considerati come cristiani; ma al clero della caduta Chiesa
Anglicana era permesso di praticare il proprio culto, a condizione
di astenersi dal predicare intorno a cose politiche. Anche agli
Ebrei, ai quali il pubblico culto fino dal secolo decimoterzo era
stato inibito, fu permesso, a dispetto della forte opposizione de'
mercanti gelosi e de' teologi fanatici, di edificare una sinagoga in
Londra.
La politica estera del Protettore, nel tempo stesso, otteneva
l'approvazione di coloro che più lo detestavano. I Cavalieri
potevano appena frenarsi dal desiderare che colui che aveva fatto
tanto per innalzare la fama del paese, fosse un Re legittimo; e i
repubblicani erano costretti a confessare che il tiranno non
perdonava ad altri, fuori che a sè stesso di far torto al paese, e
che se egli l'aveva spogliato della libertà, lo aveva in ricambio
coperto di gloria. Dopo mezzo secolo in cui l'Inghilterra nella
politica d'Europa pesava poco più di Venezia o della Sassonia, essa
divenne subitamente la Potenza più formidabile del mondo; dettava
condizioni di pace alle Provincie Unite, vendicava gl'insulti comuni
fatti alla Cristianità da' pirati di Barberìa, vinceva gli Spagnuoli
per terra e per mare, s'impossessava d'una delle più considerevoli
isole d'America, e conquistava sul littorale fiammingo una fortezza,
che consolò l'orgoglio nazionale della perdita di Calais. Ella aveva
la supremazia dell'Oceano. Era a capo degl'interessi protestanti.
Tutte le Chiese riformate sparse nei Regni cattolici riconoscevano
Cromwell come loro tutore. Gli Ugonotti della Linguadoca, i pastori
che nelle capanne delle Alpi professavano un protestantismo più
antico di quello di Augusta, vivevano sicuri dall'oppressione per il
solo terrore di quel gran nome. Lo stesso Papa era costretto a
predicare umanità e moderazione ai Principi papisti; poichè una voce
che rade volte minacciava invano, aveva dichiarato che se il popolo
di Dio venisse tormentato, i cannoni inglesi si sarebbero fatti
sentire in Castel Sant'Angelo. A dir vero, non vi era cosa che
Cromwell, per utile di sè e della sua famiglia, potesse tanto
desiderare quanto una guerra religiosa in Europa. In tal guerra egli
sarebbe stato il capitano degli eserciti protestanti. Il cuore
dell'Inghilterra sarebbe stato con lui. Le sue vittorie sarebbero
state salutate con unanime entusiasmo, non più visto nel paese dopo
la disfatta dell'Armada, ed avrebbero cancellata la macchia che uno
solo atto, condannato dalla voce generale della nazione, ha lasciata
nella sua splendida fama. Sventuratamente, egli non ebbe occasione
di far mostra delle sue ammirevoli virtù militari, tranne contro gli
abitanti delle Isole Britanniche.
Finchè egli visse, il suo potere si mantenne fermo, e fu per i suoi
sudditi obietto di avversione mista ad ammirazione e a paura. Pochi,
veramente, amavano il suo Governo; ma coloro che più l'odiavano,
l'odiavano meno di quel che lo temessero. Se fosse stato un Governo
peggiore, sarebbe stato forse abbattuto, malgrado il suo vigore. Se
fosse stato un Governo più debole, sarebbe stato certamente
distrutto, malgrado tutti i suoi meriti. Ma egli aveva moderazione
tanta, da astenersi da quelle oppressioni che rendono gli uomini
insani; ed aveva una forza ed energia cui nessuno, fuorchè gli
uomini resi insani dall'oppressione, si sarebbero rischiati di
aggredire.
LXV. Si è detto spesse volte, ma apparentemente con poca ragione,
che Oliviero morì a tempo per la sua rinomanza, e che la sua vita,
se si fosse prolungata, si sarebbe forse chiusa fra le sciagure e i
disastri. Vero è che fino all'ultimo dì egli venne onorato da' suoi
soldati, obbedito da tutta la popolazione delle Isole Britanniche, e
temuto da tutti i potentati stranieri; ch'egli fu tumulato in mezzo
ai sovrani d'Inghilterra, con pompa funebre tale, quale non s'era
mai per lo innanzi veduta in Inghilterra; e che il suo figlio
Riccardo gli succedè al potere con tanta quiete, con quanta un
Principe di Galles succederebbe ad un Re legittimo.
Per cinque mesi l'amministrazione di Riccardo Cromwell procedè con
tanta quiete e regolarità, da far credere a tutta la Europa ch'egli
fosse fermamente assiso sul seggio dello Stato. Certo, le sue
condizioni erano in qualche modo molto migliori di quelle del padre
suo. Il giovane Cromwell non aveva nemici. Le sue mani erano nette
di sangue civile. Gli stessi Cavalieri concedevano ch'egli era un
gentiluomo onesto e d'indole buona. La parte presbiteriana, potente
per numero e per ricchezza, aveva sostenuto un litigio mortale col
Protettore defunto, ma inchinava a favoreggiare il nuovo. Aveva
avuta sempre bramosia di vedere ristaurato l'antico sistema politico
del Regno, con alcune più chiare definizioni e guarentigie per le
pubbliche libertà; ma aveva molte ragioni di temere la ristaurazione
della vecchia Dinastia. Per questa genia di politici Riccardo era
l'uomo opportuno. La umanità, la schiettezza, la modestia sue, la
mediocrità delle sue doti, e la docilità con che lasciavasi guidare
da uomini più saggi di lui, lo rendevano mirabilmente atto ad essere
capo d'una Monarchia limitata.
Per qualche tempo parve grandemente probabile ch'egli, dietro la
scorta di destri consiglieri, avesse a conseguire ciò cui suo padre
aveva invano aspirato. Nel convocarsi un Parlamento, gli ordini
furono spediti secondo la vecchia costumanza. I piccoli borghi che
erano stati privati della franchigia elettorale, riebbero i perduti
privilegi; Manchester, Leeds, ed Halifax cessarono di mandare
rappresentanti, e alla contea di York fu concesso di eleggerne due
soli. Parrà forse strano ad una generazione la quale è quasi
trascorsa alla frenesia nella questione della riforma parlamentare,
che quelle grandi contee e città si sottoponessero con pazienza ed
anche con compiacenza a siffatto provvedimento; ma, comecchè gli
uomini di senno, anche in quella età, potessero discernere i vizi
del vecchio sistema rappresentativo, e prevedere che tali vizi
produrrebbero in pratica o presto o tardi gravissimi mali, questi
mali pratici non ancora sentivansi molto. Il sistema rappresentativo
d'Oliviero, dall'altra parte, quantunque fosse derivato da solidi
principii, non era popolare. Gli eventi fra i quali originava, e gli
effetti che aveva prodotti, preoccupavano gli animi contro esso. Era
nato dalla violenza militare, e null'altro aveva prodotto che
contese. La intera nazione era stanca del governo della spada, e
desiava il governo della legge. E però la ristaurazione anco delle
anomalie e degli abusi che consuonavano strettamente con la legge e
che erano stati distrutti dalla spada, produssero universale
soddisfazione.
Fra i Comuni esisteva una forte opposizione, composta in parte di
aperti repubblicani, in parte di realisti occulti; ma una grande e
ferma maggioranza sembrava favorevole al disegno di richiamare a
vita l'antica Costituzione politica sotto una nuova Dinastia.
Riccardo venne solennemente riconosciuto come Primo Magistrato. La
Camera de' Comuni non solamente assentì di trattare le pubbliche
faccende co' Lordi d'Oliviero, ma votò una legge che riconosceva in
que' Nobili i quali nelle ultime perturbazioni avevano parteggiato
per la libertà pubblica, il diritto a sedere nella Camera Alta senza
bisogno di nuova creazione.
Tanto bene andavano le cose per gli uomini di Stato che dirigevano
la condotta di Riccardo! Quasi tutte le parti del Governo vennero
allora ricostituite come stavano in sul principio della guerra
civile. Se il Protettore e il Parlamento si fossero lasciati
procedere senza ostacoli, mal può dubitarsi che un ordine di cose
simile(22) a quello che poscia stabilivasi sotto la Casa di
Hannover, sarebbe stato stabilito sotto quella di Cromwell. Ma era
nello Stato un potere più che bastevole a lottare con Riccardo e col
Parlamento. Riccardo sopra i soldati non aveva altra autorità, se
non quella del gran nome che gli era toccato in retaggio. Non gli
aveva mai condotti alla vittoria. Non aveva nè anche portate le
armi. Tutti i suoi gusti e le sue abitudini erano per la pace. Nè le
sue opinioni intorno a cose religiose erano approvate dai santocchi
militari. Ch'egli fosse un uomo dabbene, dimostrollo con prove più
soddisfacenti che non erano i profondi gemiti e i lunghi sermoni;
cioè con l'umiltà e la dolcezza quando stava in cima all'umana
grandezza, e con la tranquilla rassegnazione ai torti ed alle
sciagure più crudeli: ma non ebbe sempre la prudenza di nascondere
il disgusto ch'egli sentiva de' piagnistei allora comuni in ogni
caserma. Gli ufficiali che avevano maggiore influenza fra le truppe
stanzianti presso Londra, non gli erano amici. Erano uomini chiari
per valore e condotta nel campo di battaglia, ma scemi di saviezza e
di coraggio civile; doti che in grado eminentissimo possedeva il
loro capo defunto. Taluni di loro erano Indipendenti o Repubblicani
onesti, ma fanatici. Questa specie di uomini era rappresentata da
Fleetwood. Altri ambivano di giungere al posto d'Oliviero. La sua
rapida elevazione, la sua gloria e prosperità, la sua inaugurazione
nella reggia, le sue sontuose esequie nell'Abbadia, avevano
infiammata la loro immaginazione. Come lui erano di buona nascita,
come lui bene educati; non sapevano quindi intendere perchè, al pari
di lui, non fossero degni di portare la veste purpurea e la spada
dello Stato; e anelavano all'obietto della loro ardente ambizione,
non, come lui, con pazienza, vigilanza, sagacia e fermezza, ma con
quella irrequietudine e con quel perpetuo ondeggiare che formano il
carattere della mediocrità aspirante. Il più cospicuo di questi
deboli scimmiottatori del gran Cromwell, era Lambert.
LXVI. Nel giorno stesso in cui Riccardo ascese al supremo seggio
dello Stato, gli ufficiali si misero a congiurare contro il loro
nuovo signore. La buona intelligenza che era fra lui e il suo
Parlamento, affrettò la crisi. La paura e l'ira invasero il campo. I
sentimenti religiosi e militari dell'esercito trovavansi
profondamente irritati. E' pareva che gl'Indipendenti dovessero
essere soggetti ai Presbiteriani, e gli uomini della spada agli
uomini della sottana. Formossi una coalizione tra i malcontenti
militari e la minoranza repubblicana della Camera de' Comuni. È da
dubitarsi che Riccardo avesse potuto trionfare della predetta
coalizione, anche se fosse stato dotato del lucido intendimento e
del ferreo coraggio di suo padre. Egli è certo che la semplicità e
la mansuetudine sue non erano i requisiti necessari a padroneggiare
gli eventi. Cadde senza gloria e senza lotta. Lo esercito si servì
di lui come di strumento a disciogliere le Camere, e allora lo mise
sprezzantemente da parte. Gli ufficiali si resero grati ai loro
alleati repubblicani dichiarando che la espulsione della Coda del
Parlamento era illegale, ed invitando l'Assemblea a riprendere le
proprie funzioni. Il vecchio presidente e un numero competente di
vecchi rappresentanti vennero proclamati, fra mezzo alla mal
repressa derisione ed esecrazione del paese, Supremo Potere dello
Stato. Nel tempo stesso fu espressamente dichiarato che quinci
innanzi non vi sarebbe nè Primo Magistrato nè Camera di Lordi.
Ma tale stato di cose non poteva durare. Il giorno in cui risorse il
Lungo Parlamento, rivisse del pari il suo vecchio conflitto con lo
esercito. Nuovamente dimenticò che esso esisteva a beneplacito dei
soldati, e cominciò a trattarli come sudditi. Di nuovo le porte
della Camera de' Comuni furono chiuse dalla violenza militare; ed un
Governo Provvisorio, creato dagli ufficiali, assunse il reggimento
della cosa pubblica.
Frattanto, il senso dei grandi mali presenti, e la forte paura dei
mali maggiori che soprastavano, aveva infine fatta nascere
un'alleanza tra i Cavalieri e i Presbiteriani. Parecchi
presbiteriani, a dir vero, erano disposti a cotale alleanza anche
innanzi la morte di Carlo I; ma soltanto dopo la caduta di Riccardo
Cromwell, l'intero partito cominciò ad affaccendarsi per ristaurare
la Casa Reale. Non poteva più oltre ragionevolmente sperarsi che
l'antica Costituzione venisse ristabilita sotto una nuova dinastia.
Bisognava, dunque, scegliere o gli Stuardi o l'esercito. La famiglia
bandita aveva commessi gravissimi falli; ma gli aveva espiati a caro
prezzo, ed aveva fatto un lungo, e - era da sperarsi - salutare
tirocinio nella scuola dell'avversità. Era, dunque, probabile che
Carlo II facesse senno rivolgendo lo sguardo al fato di Carlo I. Ma,
sia che può, i pericoli che minacciavano la patria erano tali, che
per evitarli i cittadini potevano ben fare il sacrificio di qualche
opinione ed affrontare qualche rischio. Sembrava quasi certo che
l'Inghilterra cadrebbe sotto il peso della più odiosa e degradante
di tutte le specie di Governo, - sotto un Governo che congiungeva
tutti i mali del dispotismo con quelli dell'anarchia. Qualunque
altra cosa era da preferirsi al giogo d'una successione di stolti
tiranni, inalzantisi al potere come i Dey di Barberia, per mezzo di
rivoluzioni militari. Pareva probabile che Lambert sarebbe il primo
di tale genia di comandanti; ma dentro un anno Lambert avrebbe
potuto essere cacciato da Desborough, e Desborough da Harrison. Ogni
qual volta il bastone del comando fosse passato da una mano debole
ad un'altra, la nazione sarebbe stata messa a ruba, a fine di
offrire alle soldatesche una nuova mancia. Se i Presbiteriani si
tenevano ostinatamente lontani dai realisti, lo Stato era rovinato;
e nondimeno, era da dubitarsi che potesse essere salvato dagli
sforzi congiunti d'entrambi. Imperocchè il timore di quello
invincibile esercito colpiva gli animi di tutti gli abitanti
dell'isola; e i Cavalieri, avendo imparato da cento disastrosi fatti
d'armi come il numero delle milizie potesse poco contro la
disciplina, erano molto più atterriti delle Teste-Rotonde.
LXVII. Finchè le soldatesche furono d'accordo fra loro, tutte le
congiure e le insurrezioni de' malcontenti tornarono inefficaci. Ma
pochi giorni dopo la seconda espulsione della Coda del Parlamento,
si sparsero nuove che rinfrancarono i cuori di tutti coloro i quali
parteggiavano per la Monarchia o pel vivere libero. Quella forza
poderosa che per molti anni aveva operato come un solo uomo, ed
erasi per ciò resa invincibile, s'era finalmente scissa in fazioni.
Lo esercito di Scozia aveva non poco giovata la Repubblica, e
trovavasi in ottimo stato. Non aveva partecipato alle ultime
rivoluzioni, e le aveva guardate con isdegno simile a quello che
sentirono le legioni romane stanziate lungo il Danubio e l'Eufrate,
allorchè giunse ad esse la nuova che le guardie pretoriane avevano
messo in in vendita lo Impero. Era cosa da non potersi patire che
alcuni reggimenti, solo perchè erano per avventura acquartierati(23)
presso Westminster, osassero di fare e disfare, a loro arbitrio, più
volte in sei mesi il Governo. Se era convenevole che lo Stato fosse
retto da' soldati, quei soldati che a settentrione del Tweed avevano
sostenuta la potenza inglese, avevano diritto di dare il loro voto
quanto quelli che presidiavano la Torre di Londra. Pare che vi fosse
meno fanatismo fra le legioni dimoranti nella Scozia, che in ogni
altra parte dello esercito; e Giorgio Monk che le capitanava, era
tutto l'opposto d'uno zelante. In sul primo scoppio della guerra
civile, aveva pugnato a favore del Re, ed era stato fatto
prigioniero dalle Teste-Rotonde; aveva quindi accettata una
commissione dal Parlamento, e con poca pretensione alla
santocchieria, erasi innalzato per mezzo del suo coraggio e della
sua virtù militare all'alto comando. Era stato un utile servitore ad
ambi i Protettori; aveva mostrata acquiescenza allorquando gli
ufficiali a Westminster balzarono giù dal seggio Riccardo e
restaurarono il Lungo Parlamento; e l'avrebbe similmente mostrata
nella seconda espulsione del Lungo Parlamento, se il Governo
Provvisorio non gli avesse porta cagione d'offesa e di timore.
Imperocchè era per indole cauto e alquanto tardo; nè era
inclinato(24) ad arrisicare modici e certi vantaggi per la
probabilità di conseguire anche il più splendido successo. E' sembra
che fosse spinto a procedere ostilmente contro il nuovo Governo
della Repubblica, non tanto dalla speranza d'innalzarsi sulle rovine
di quello, quanto dal timore che, sottomettendovisi, non sarebbe
stato in sicuro. Ma siano quali si vogliano supporre le cagioni, ei
dichiarossi campione del Potere Civile oppresso, ricusò di
riconoscere l'autorità usurpata del Governo Provvisorio, e a capo di
settemila veterani si mosse verso l'Inghilterra.
Questo passo fu il cenno d'una generale esplosione. Il popolo in
ogni dove ricusò di pagare le tasse. I giovani di bottega della
città ragunaronsi a migliaia chiedendo clamorosamente un libero
Parlamento. La flotta si spinse su pel Tamigi, e si dichiarò contro
la tirannide soldatesca. I soldati, che non erano più sotto lo
impero di una mente suprema, si divisero in fazioni. Ciascun
reggimento, temendo di rimanere solo esposto alla vendetta
dell'oppressa nazione, affrettossi a concludere una pace separata.
Lambert, che era frettolosamente corso ad affrontare l'armata di
Scozia, abbandonato dalle sue milizie, fu fatto prigioniero. Pel
corso di tredici anni il Potere Civile, in ogni conflitto, era stato
astretto a cedere al Potere Militare. Adesso il Potere Militare
umiliossi innanzi al Potere Civile. La Coda del Parlamento generale,
tenuta in odio e dispregio, e che non per tanto era nel paese il
solo corpo che avesse apparenza di autorità legale, ritornò di nuovo
alla Camera, dalla quale era stata due volte ignominiosamente
cacciata.
LXVIII. Intanto Monk procedeva verso Londra. Per dove passava, i
gentiluomini gli si affollavano attorno scongiurandolo di adoperare
la propria potenza a rendere la pace alla nazione, miseramente
dilacerata e sconvolta. Il Generale, freddo, taciturno, senza zelo
nè per le cose politiche nè per le religiose, manteneva un riserbo
impenetrabile. Quali disegni, a que' tempi, rivolgesse in mente, o
se avesse concepito alcun disegno, mal si potrebbe affermare. Era, a
quel che pare, suo scopo principalissimo il tenersi, per quanto più
lungamente potesse, libero di scegliere tra diverse vie d'azione.
Tale certamente è per lo più la politica di uomini che, come lui,
pendono più a muovere circospetti, che a spingere troppo lungi lo
sguardo. Probabilmente, egli non venne all'ultima determinazione se
non parecchi giorni dopo il suo ingresso nella metropoli. La voce
dell'intero popolo chiedeva un libero Parlamento; e non era dubbio
nessuno, che un Parlamento veramente libero avrebbe subito riposta
sul trono l'esule famiglia reale. La Coda del Parlamento e i soldati
erano tuttavia ostili alla Casa degli Stuardi. Ma la Coda era
universalmente abborrita e spregiata. La potenza dei soldati era
ancora formidabile, ma grandemente infiacchita dalla discordia. Non
avevano capo supremo; in molte parti del paese erano venuti alle
mani fra loro stessi. Il giorno precedente lo arrivo di Monk a
Londra, vi fu un combattimento nello Strand fra la cavalleria e la
fanteria. Lo esercito unito aveva lungo tempo signoreggiata la
nazione divisa; ma ormai la nazione era unita, e lo esercito si
trovava diviso.
Per breve tempo, la dissimulazione e la irresolutezza di Monk
tennero penosamente sospesi tutti i partiti. Infine ei ruppe il
silenzio, e disse di volere un libero Parlamento.
LXIX. Appena divulgossi siffatta notizia, tutta la nazione fu
inebriata di contento. In qualunque luogo ei si mostrasse, era
circondato da migliaia di persone che lo acclamavano e benedicevano
al suo nome. Le campane di tutta l'Inghilterra suonavano a festa; i
rigagnoli versavano birra; e per varie notti il cielo, per cinque
miglia attorno Londra, rosseggiò dello splendore d'innumerevoli
fuochi di gioia. Quei membri presbiteriani della Camera de' Comuni,
che molti anni innanzi erano stati espulsi dalle soldatesche,
ritornarono ai loro seggi, e furono accolti dalle acclamazioni della
gran folla che riempiva la sala di Westminster e la corte del
Palazzo. I capi degl'Indipendenti non osavano più oltre mostrare il
viso nelle strade, ed appena tenevansi sicuri nelle proprie
abitazioni. Furono presi temporanei provvedimenti per supplire al
Governo; mandaronsi ordini per le elezioni generali; e finalmente,
quel memorabile Parlamento che per venti anni aveva sperimentate
mille e varie vicissitudini, che aveva vinto il proprio sovrano, che
era stato degradato dai suoi sottoposti, che era stato due volte
cacciato e ristaurato, decretò solennemente la propria dissoluzione.
L'esito delle elezioni fu quale era da aspettarsi dall'indole della
nazione. La nuova Camera de' Comuni fu composta di individui amici,
tranne pochissimi, alla reale famiglia. I Presbiteriani formavano la
maggioranza.
LXX. Allora parve quasi certa la Ristaurazione; ma dubitavasi che
fosse pacifica. Il contegno dei soldati era cupo e selvaggio.
Odiavano il nome di Re; odiavano quello degli Stuardi; odiavano
molto i Presbiteriani, ma più assai i prelati. Vedevano con amara
indignazione appropinquarsi la fine del loro lungo dominio, e
scorgevano nello avvenire una vita ingloriosa di affanni e di
penuria. Della loro trista fortuna chiamavano colpevoli i loro
Generali, colpevoli alcuni di debolezza, altri di tradimento. Un'ora
sola del loro amato Oliviero avrebbe potuto richiamare la gloria che
già era svanita. Traditi, disgiunti, senza un Capo in cui avessero
fiducia, erano tuttavia da temersi. E non era cosa da pigliare a
gabbo lo affrontare la rabbia e la disperazione di cinquantamila
guerrieri, che non avevano mai volte le spalle al nemico. Monk, e
coloro che con essolui operavano, accorgevansi quanto pericolosa
fossa la crisi. Mentre usavano ogni arte a blandire e dividere i
malcontenti soldati, facevano vigorosi apparecchi a sostenere un
conflitto. Lo esercito di Scozia acquartierato(25) in Londra,
tenevano in buon umore con doni, lusinghe e promesse. I ricchi
cittadini non avevano la minima avversione al soldato, o
profondevano con tanta liberalità i loro migliori vini, che talvolta
vedevansi i santocchi guerrieri in condizione poco decorosa al loro
carattere religioso e militare. Monk rischiossi a sbandare alcuni
reggimenti che ricalcitravano. Nel tempo stesso, il Governo
Provvisorio, sostenuto da tutti i gentiluomini e dai magistrati,
faceva grandissimi sforzi a riordinare la guardia cittadina. In ogni
contea i militi cittadini erano pronti a muoversi, e formavano una
forza non minore di centomila uomini. In Hyde Park ventimila
cittadini bene armati ed equipaggiati, posti a rassegna, mostrarono
tale spirito, da giustificare la speranza che all'uopo avrebbero
strenuamente combattuto a difendere le botteghe e i focolari loro.
La flotta secondava cordialmente la nazione. Era tempo di agitazione
e d'ansietà, ma bene anco di speranza. La opinione predominante era
che l'Inghilterra verrebbe liberata, ma non senza una sanguinosa e
disperata lotta; e che coloro che avevano per tanto tempo governato
con la spada, sarebbero spenti con la spada.
Avventuratamente, furono allontanati i pericoli d'un conflitto. Vero
è che ci fu un momento di estremo pericolo. Lambert, fuggito di
prigione, chiamò i suoi compagni alle armi. Il fuoco della guerra
civile si riaccese; ma innanzi che si estendesse, fu spento con
pronti e vigorosi provvedimenti. Lo sciagurato imitatore di Cromwell
fu fatto nuovamente prigioniero; e fallita la impresa, i soldati si
perderono d'animo e rassegnaronsi al loro destino.
Il nuovo Parlamento, che per essere stato convocato senza regio
decreto, viene con maggiore proprietà chiamato Convenzione, si adunò
in Westminster. I Lordi ricomparvero nella sala, dalla quale per più
di undici anni erano stati espulsi a forza. Ambedue le Camere tosto
invitarono il Re a ritornare alla patria. Fu proclamato con pompa
non mai prima veduta. Una magnifica flotta dall'Olanda lo trasportò
sulla costiera di Kent. Mentre approdava, i colli di Dover erano
popolati di migliaia di spettatori, fra' quali non era neppure uno
che non versasse lacrime di gioia. Il suo viaggio fu un continuo
trionfo. Tutto lo stradale da Rochester era fiancheggiato di
trabacche e di tende, e rendeva immagine d'una interminabile fiera.
Migliaia di bandiere sventolavano; tutte le campane suonavano;
s'udivano melodie di strumenti musicali; il vino e la birra
scorrevano a fiumi alla salute di lui, che, tornando, recava la
pace, le leggi e la libertà al paese. Ma fra mezzo alla gioia
universale, un solo luogo mostrossi in aspetto buio e minaccioso. Lo
esercito fu condotto a Blackeath per dare il ben tornato al sovrano.
Il quale sorrideva, s'inchinava, e stendeva graziosamente la mano al
bacio de' Colonnelli e de' Maggiori. Ma i suoi modi cortesi furono
vani. Il contegno de' soldati era tristo e cupo; ed ove avessero
dato libero sfogo a ciò che sentivano, il gioioso spettacolo, al
quale avevano con ripugnanza partecipato, avrebbe avuto misero e
sanguinoso fine. Ma non era fra loro accordo nessuno. La defezione e
la discordia avevano distrutta la vicendevole fiducia, e gli avevano
resi increduli ai loro capi. Tutta la guardia cittadina di Londra
era in armi; numerose compagnie, capitanate da Nobili e da
gentiluomini leali, erano accorse da varie contrade del Regno a
salutare il Re. Il gran giorno si chiuse in pace; e l'esule
principe, riasceso al trono, posò sano e salvo nella reggia de' suoi
antenati.
CAPITOLO SECONDO.
SOMMARIO.
I. Ingiusto gudicio intorno alla condotta di coloro che restaurarono
la Casa degli Stuardi. - II. Abolizione del possesso a titolo di
servigio militare - III. Scioglimento dell'esercito. - IV. Si
rinnuovano le dissensioni fra le Teste-Rotonde e i Cavalieri. - V.
Dissensioni religiose. - VI. Impopolarità de' Puritani. - VII.
Carattere di Carlo II. - VIII. Caratteri del Duca di York(26) e del
Conte di Clarendon. - IX. Elezione generale del 1661. - X. Violenza
de' Cavalieri nel nuovo Parlamento. - -XI. Persecuzione de'
Puritani. - XII. Zelo della Chiesa per la monarchia ereditaria. -
XIII. Modificazioni ne' costumi del popolo. - XIV. Corruttela degli
uomini politici di quell'età. - XV. Condizioni della Scozia. - XVI.
Condizioni della Irlanda. - XVII. Il governo perde la sua popolarità
in Inghilterra. - XVIII. Guerra cogli Olandesi. - XIX. Opposizione
nella Camera de' Comuni. - XX. Caduta di Clarendon. - XXI. Stato
della politica europea, e preponderanza della Francia. - XXII.
Carattere di Luigi XIV. - XXIII. La triplice Alleanza. - XXIV. Il
partito patriottico. - XXV. Vincoli tra Carlo II e la Francia -
XXVI. Disegni di Luigi intorno all'Inghilterra. - XXVII. Trattato di
Dover. - XXVIII. Indole del Gabinetto inglese. - XXIX La Cabala. -
XXX. Chiusura dello Scacchiere. - XXXI. Guerra con le Provincia
Unite. - XXXII. Guglielmo Principe d'Orange. - XXXIII. Adunanza del
Parlamento. - XXXIV. Dichiarazione d'indulgenza - XXXV È cancellata,
e l'Atto di Prova (Test Act) è adottato. - XXXVI. Scioglimento della
Cabala. - XXXVII. Pace con le Provincie Unite; Amministrazione di
Danby. - XXXVIII. Situazione critica del partito patriottico. -
XXXIX. Relazioni fra esso e l'ambasciata francese. - XL. Pace di
Nimega; malcontenti furiosi in Inghilterra. - XLI. Caduta di Danby;
la congiura papale. - XLII. Prima elezione generale del 1679. -
XLIII. Violenza della nuova Camera de' Comuni. - XLIV. Sistema di
governo fatto da Temple. - XLV. Carattere di Halifax. - XLVI.
Carattere di Sunderland. - XLVII. Proroga del Parlamento. - XLVIII.
Atto dell'Habeas Corpus. - XLIX. Seconda elezione generale del 1679;
popolarità di Monmouth. - L. Lorenzo Hyde. - LI. Sidney Godolphin. -
LII. Violenza delle fazioni per la legge d'Esclusione. - LIII. Nomi
di Whig e Tory. - LIV. Adunanza del Parlamento; la Legge
d'Esclusione è approvata dalla Camera dei Comuni. - LV. È rigettata
da quella de' Lordi; Stafford è giustiziato. - LVI. Elezione
generale del 1681. - LVII. Parlamento convocato in Oxford e
disciolto; Reazione de' Tory. - LVIII. Persecuzione de' Whig. - LIX.
Confisca dello Statuto della Città; Congiure de' Whig. - LX.
Scoperta di tali congiure; severità del Governo. - LXI. Sequestro
degli Statuti. - LXII. Influenza del Duca d'York. - LXIII. Halifax
gli si oppone. - LXIV. Il Lord Cancelliere Guildford. - LXV.
Politica di Luigi. - LXVI. Stato delle fazioni nella corte di Carlo
all'epoca della sua morte.
I. La storia dell'Inghilterra nel secolo decimosettimo, è quella del
trasmutamento d'una monarchia limitata, secondo la costumanza del
medio evo, in una monarchia più consona al progresso d'una società,
nella quale non possono le gravezze pubbliche essere più oltre
sostenute dai beni della Corona, e la pubblica difesa affidata alle
milizie feudali. Abbiamo già veduto come gli uomini politici che
predominavano nel Lungo Parlamento del 1642, facessero grandi sforzi
a compire il predetto mutamento, trasferendo, direttamente e
formalmente, agli Stati del reame il diritto di scegliere i
ministri, il comando delle armi, e la soprintendenza del potere
esecutivo. Quell'ordinamento era forse il migliore di quanti allora
se ne potessero immaginare; ma lo sconcertò interamente l'esito
della guerra civile. Le Camere trionfarono di certo, ma dopo una
lotta tale, che fece loro stimar necessario di chiamare a vita un
potere che esse non seppero infrenare, e che tosto signoreggiò tutte
le classi e tutti i partiti. Per qualche tempo, i danni inseparabili
dal Governo militare, furono in alcun modo mitigati dalla saviezza e
magnanimità del grande uomo che aveva il supremo comando. Ma quando
la spada ch'egli impugnava con energia, e con energia sempre guidata
dal buon senso, e quasi sempre temperata dalla sua buona indole,
passò in mano di capitani che non avevano nè la destrezza nè le
virtù di lui, e' sembrò probabilissimo che l'ordine e la libertà
corressero a vergognosa rovina.
Tale rovina, per buona ventura, fu scansata. È stato costume,
per(27) troppi degli scrittori amici della libertà, rappresentare la
Ristaurazione come un avvenimento disastroso, e dannare di stoltezza
o viltà la Convenzione che richiamò la reale famiglia, senza
ottenere nuove guarentigie contro la mala amministrazione. Coloro
che in tal guisa ragionano, non intendono l'indole vera degli eventi
che seguirono la caduta di Riccardo Cromwell. La Inghilterra versava
in presentissimo pericolo di essere oppressa da tirannelli militari,
innalzati e deposti dal capriccio della soldatesca. Liberare il
paese dalla dominazione de' soldati era il fine precipuo d'ogni
assennato cittadino; ma finchè i soldati rimasero concordi, i più
fiduciosi poco speravano di conseguirlo. Di repente balenò un raggio
di speranza. I capitani e le legioni cominciarono ad avversarsi
vicendevolmente. Le sorti future della nazione pendevano dall'uso
che si sarebbe potuto fare di un ben augurato istante. I nostri
antichi usarono bene di quel momento. Dimenticarono i vecchi
rancori, smessero i piccoli scrupoli, differirono a più convenevole
stagione tutte le dispute intorno alle riforme necessarie alle
nostre istituzioni; e si congiunsero tutti, Cavalieri e
Teste-Rotonde, Episcopali e Presbiteriani, a rivendicare le antiche
leggi della patria dal dispotismo militare. L'equa partizione del
potere fra Re, Camera dei Lordi e Camera de' Comuni, poteva
differirsi fino a quando si fosse deciso se l'Inghilterra dovesse
essere governata da Re, Lordi e Comuni, o da corazzieri e lancieri.
Se gli uomini di stato della Convenzione avessero tenuto condotta
diversa, e avessero lungamente discorso intorno ai principii del
Governo; se avessero redatta una nuova Costituzione e l'avessero
mandata a Carlo, se si fossero aperte conferenze, se ci fosse stato
per parecchie settimane un andare e venire di corrieri tra
Westminster e i Paesi Bassi recando progetti, risposte di Hyde e
proposte di Prynne: la coalizione, dalla quale pendeva la pubblica
salvezza, si sarebbe disciolta; i Presbiteriani e i Realisti
sarebbero venuti a conflitto; le fazioni militari si sarebbero, come
è verosimile, riconciliate; e gli imprudenti amici della libertà,
oppressi da un giogo peggiore di quello che poteva essere loro
imposto dal pessimo degli Stuardi, avrebbero invocata invano la
felice occasione che avevano lasciato fuggire.
II. Per la qual cosa, l'antico ordinamento civile, per unanime
consenso di ambedue i grandi partiti, venne ristabilito esattamente
tale qual era allorchè, diciotto anni avanti, Carlo I fuggì dalla
metropoli. Tutti quegli atti del Lungo Parlamento che avevano
ricevuto lo assenso regio, furono considerati come validi. Ottennesi
dal Re una nuova concessione assai più proficua ai Cavalieri che
alle Teste-Rotonde. Il possesso delle terre a titolo di servigio
militare, era stato in origine istituito come mezzo di difesa
nazionale. Ma con l'andare degli anni, la parte utile di quella
istituzione era scomparsa, senza altro lasciare che cerimonie ed
aggravi. Un possessore di terre a titolo di servigio militare,
dipendente dalla Corona - e a tal titolo il suolo dell'Inghilterra
quasi tutto era posseduto, - doveva pagare una gravosa ammenda
nell'atto di torre possesso della sua proprietà. Non ne poteva
alienare la più piccola parte senza comperarne la licenza. Quando
egli moriva, lasciando un erede infante, il sovrano diventava
tutore, ed aveva diritto non solo a gran parte delle entrate per
tutto il tempo della minorità, ma poteva imporre al pupillo, sotto
gravi pene, di unirsi in matrimonio a qualunque persona di
convenevole grado. Il principale movente che attirava alla corte un
adulatore bisognoso, era la speranza di ottenere, come premio di
servilità e d'adulazione, una lettera del Re per una ricca erede.
Tali abusi erano caduti con la monarchia; ed ogni gentiluomo
possidente di terre nel Regno desiderava che non fossero richiamati
a vita. Vennero quindi solennemente aboliti con uno statuto, e non
rimase vestigio del vecchio costume di possedere a titolo di
militari servigi, salvo que' servigi d'onore, che tuttavia, nella
cerimonia dell'incoronazione, vengono resi alla persona del sovrano
da alcuni signori territoriali.
III. Ed era ormai tempo di sciogliere lo esercito. Cinquantamila
uomini, usi alle armi, furono a un tratto dispersi fra mezzo alla
società; e la esperienza sembrava far credere come certo, che
siffatto repentino mutamento dovesse essere cagione di gran miseria
e di grandi delitti: val quanto dire, che i veterani cacciati di
impiego, sarebbero o andati accattando di porta in porta, o spinti
dalla fame al saccheggio. Ma ciò, per buona sorte, non avvenne. In
pochi mesi, non rimase segno che indicasse come la più formidabile
armata del mondo si fosse fusa con la gran massa del popolo. Gli
stessi realisti confessavano che in ogni ramo di onesta industria i
guerrieri licenziati prosperavano più che ogni altro uomo; che
nessuno di loro venne addebitato di furto o di rapina; che non se ne
vedeva nè anche uno che andasse limosinando; e che se un fornaio, un
muratore, un vetturale, si faceva notare per diligenza e sobrietà,
egli era probabilissimamente uno de' vecchi soldati d'Oliviero.
La tirannide militare era caduta; ma negli animi di tutti aveva
lasciato profonde e durevoli traccie. Il nome di un esercito
stanziale fu per lunga stagione abborrito; ed è degno di nota, che
siffatto abborrimento fosse più forte ne' Cavalieri che nelle
Teste-Rotonde. Dovrebbe considerarsi come singolare ventura, che nel
tempo in cui la patria nostra, per la prima e l'ultima volta
soggiacque al governo della spada, la spada fosse nelle mani, non di
principi legittimi, ma di quei ribelli che uccisero il Re ed
abbatterono la Chiesa. Se un principe legittimo al pari di Carlo,
avesse comandato un esercito prode quanto quello di Cromwell, non vi
sarebbe stata più speranza per le libertà dell'Inghilterra.
Avventuratamente, quello strumento del quale solo la Monarchia
poteva giovarsi per rendersi assoluta, era obietto di orrore(28) e
disgusto al partito monarchico, e seguitò lunghi anni ad associarsi
nelle menti de' realisti e de' prelatisti col regicidio e con le
predicazioni nel campo. Un secolo dopo la morte di Cromwell, i Tory
continuavano ancora a schiamazzare contro ogni augumento di soldati
regolari, e a trombettare le lodi delle milizie nazionali. Anche nel
1786, un Ministro che possedeva grandemente la loro fiducia, non
valse a vincere l'avversione che mostrarono alla idea di fortificare
le coste; nè guardarono mai di buon occhio l'armata stanziale,
finchè la rivoluzione francese non sopraggiunse a suscitare negli
animi loro nuova e diversa paura.
IV. La coalizione che aveva rimesso il Re sul trono, ebbe fine col
pericolo che l'aveva fatta nascere, e due partiti ostili mostraronsi
nuovamente in campo, pronti a cozzare. Entrambi, a dir vero,
concordavano intorno al bisogno di punire parecchi infelici, che in
quel tempo erano il zimbello d'un odio quasi universale. Cromwell
non era più; e coloro che erano fuggiti dinanzi a lui, furono paghi
del vigliacco diletto di disseppellire, impiccare, squartare e
bruciare la spoglia mortale del più gran principe che governasse mai
l'Inghilterra. Dettero sfogo alla loro vendetta anche sopra taluni
capi di parte repubblicana. Ma come furono sazi del sangue de'
regicidi, presero a dilacerarsi scambievolmente. Le Teste-Rotonde,
mentre ammettevano le virtù del Re morto, e dannavano la sentenza
profferitagli contro da un tribunale illegittimo, sostenevano che la
sua amministrazione era stata, in molte cose, incostituzionale, e
che le Camere avevano prese le armi contro lui per cagioni
solidamente fondate. Pensavano, la Monarchia non avere nemico
peggiore di colui che, adulando, esaltava la regia prerogativa sopra
la legge, dannava ogni opposizione fatta alle regie usurpazioni, ed
oltraggiava non solo Cromwell e Harrison, ma Pym e Hampdem, col nome
di traditori. Se il Re bramava di regnare con prosperità e quiete,
gli era necessario affidarsi a coloro i quali, benchè avessero
snudata la spada a tutelare i conculcati privilegi del Parlamento,
eransi esposti alla rabbia dei soldati onde salvargli il padre, ed
erano stati parte principale nel provvedimento di richiamare l'esule
famiglia reale.
I sentimenti de' Cavalieri erano assai differenti. Nel corso dei
diciotto anni, essi, fra tutte le vicissitudini seguite, erano
rimasti fedeli alla Corona. Partecipi delle calamità del loro
principe, non dovevano forse partecipare del suo trionfo? Non era da
farsi distinzione veruna tra loro e il suddito sleale che aveva
combattuto contro il sovrano, che aveva seguito Riccardo Cromwell, e
giammai cooperato alla ristaurazione degli Stuardi, finchè fu a
tutti manifesto che null'altro avrebbe potuto salvare la nazione
dalla tirannia dello esercito? Concedasi pure che siffatto uomo
avesse ottenuto per nuovi servigi il regio perdono; dovevano tali
servigi, resi presso al tramonto, agguagliarsi agli affanni ed ai
patimenti di coloro che avevano sostenuto il carico e il calore di
tutto il giorno? Doveva egli accomunarsi con uomini che non avevano
bisogno della regia clemenza; con uomini che in tutta la vita loro
avevano meritata la gratitudine del Re? E soprattutto, doveva
tollerarsi che rimanesse in possesso di ricchezze accumulate sulle
ruine degli averi de' difensori del trono? Non bastava che la sua
testa e i suoi averi patrimoniali, cento volte devoluti alla
Giustizia, rimanessero salvi; e che egli, col rimanente della
nazione, godesse i beni di quel mite Governo, al quale era stato
lungo tempo nemico? Era egli mestieri ricompensarlo per i suoi
tradimenti, a spese di coloro ch'erano rei solo della fedeltà onde
avevano mantenuto il giuramento di obbedienza alla Corona? Quale
utile poteva trovare il Re nel satollare i suoi nemici con la preda
strappata agli amici suoi? Quale fiducia poteva riporsi in uomini
che avevano avversato il loro sovrano, gli avevano mosso guerra
contro, lo avevano imprigionato; e che adesso, invece di abbassare
il viso rosso di vergogna e di pentimento, difendevano il già fatto,
e sembravano credere d'aver data prova di lealtà astenendosi solo
dal regicidio? Era vero che avevano, poco fa, dato mano a rialzare
il trono; ma non era men vero che manifestavano tuttavia certi
principii spinti dai quali, potevano abbatterlo una seconda volta.
Senza dubbio, sarebbe stato convenevole che il Re desse segni
d'approvazione a taluni convertiti, ch'erano stati grandemente
utili; ma la politica, la giustizia, la gratitudine, gl'imponevano
di rimeritare de' più alti favori coloro, i quali dal principio alla
fine, e nella prospera e nella trista fortuna, avevano difesa la
Casa Reale. Per queste ragioni, i Cavalieri naturalmente dimandavano
compensazione di tutti i danni che avevano sostenuti, e preferenza
ai favori della Corona. Alcuni spiriti violenti di quel partito,
spingendosi anche più oltre, schiamazzavano perchè si facessero
lunghe liste di proscrizioni.
V. La contesa politica, secondo il consueto, venne esasperata dalla
religiosa. Il Re trovò la Chiesa in uno stato ben singolare. Poco
tempo innanzi lo scoppio della guerra civile, il padre suo aveva,
ripugnante, assentito ad una legge, vigorosamente sostenuta da
Falkland, la quale privava i vescovi del diritto(29) di sedere nella
Camera de' Lordi; ma lo episcopato e la liturgia non erano mai stati
aboliti con apposita legge. Nulladimeno, il Lungo Parlamento aveva
fatte alcune provvisioni, che avevano cagionato un pieno
rivolgimento nel governo e culto ecclesiastico. Il nuovo sistema,
ne' suoi principii, era appena meno Erastiano di quello cui era
stato sostituito. Le Camere, dirette principalmente dai consigli del
dotto Seldeno, volevano fermamente tenere il potere spirituale in
istretta subordinazione del temporale. Avevano ricusato dichiarare
che alcuna forma di politica ecclesiastica fosse d'origine divina;
ed avevano provveduto che si potesse fare appello in ultima istanza
da' tribunali ecclesiastici al Parlamento. Con tale importante
riserva, avevano deciso di istituire in Inghilterra una gerarchia
affatto simile a quella che ora esiste in Iscozia. L'autorità de'
concilii, con relazione graduale da minore a maggiore, venne
sostituita alla autorità de' vescovi e degli arcivescovi. La
liturgia dette luogo al direttorio presbiteriano. Ma erano appena
stati fatti i nuovi regolamenti, allorquando gl'Indipendenti
conseguirono la preponderanza nello Stato. Non erano disposti a
mandare ad esecuzione le ordinanze concernenti i sinodi
parrocchiali, provinciali e nazionali; e però tali ordinanze non
furono mai pienamente osservate. Il sistema presbiteriano non fu in
nessun luogo, fuorchè in Middlesex e nella Contea di Lancaster,
solidamente stabilito. Nelle altre cinquanta Contee, quasi ogni
parrocchia non ebbe connessione alcuna con le parrocchie vicine. In
alcuni distretti i ministri ordinaronsi ad associazioni volontarie,
a fine di prestarsi vicendevole soccorso e consiglio; ma non avevano
il potere coercitivo. I patroni dei beneficii, non tenuti in freno
nè dal vescovo nè dal presbiterio, avrebbero potuto affidare la cura
delle anime al prete più scandaloso del mondo, se non avesse loro
impedito di così fare lo intervento arbitrario d'Oliviero. Egli
stabilì, di propria autorità, un ufficio di commissari, detti
saggiatori; la più parte de' quali erano teologi indipendenti, ma
sedevano fra loro pochi ministri presbiteriani e pochi laici. Il
certificato dei saggiatori teneva luogo d'istituzione e d'induzione,
e senza tale certificato, niuno poteva occupare un beneficio. Fu
questo indubitatamente uno degli atti più dispotici che mai facesse
qualunque sovrano inglese. Nondimeno, temendosi generalmente che il
paese venisse invaso da uomini ignoranti, o ebrei, o reprobi, col
nome e con la paga di ministri, alcuni rispettabili personaggi, che
per lo più non procedevano amici a Cromwell, confessarono che, in
quell'occasione, egli era stato pubblico benefattore. I presentati
che avevano ottenuta l'approvazione de' saggiatori, prendevano
possesso delle loro rettorie; coltivavano le terre, raccoglievano le
decime, officiavano senza libro e senza cotta, ed amministravano la
eucaristia ai fedeli assisi innanzi a lunghe mense.
Così l'ordinamento politico della Chiesa nel Regno trovavasi in
confusione inestricabile. La forma prescritta dalla vecchia legge
del paese, non ancora revocata, era l'episcopale. Quella prescritta
dalla ordinanza parlamentare, era la presbiteriana. Ma nè la vecchia
legge nè la ordinanza parlamentare praticamente valevano. La Chiesa,
nella condizione in cui era a quel tempo, può rappresentarsi in
sembianza di un corpo irregolare, composto di pochi presbiterii, e
di molte congregazioni indipendenti, che erano tenute soggette ed
unite dall'autorità del Governo.
Fra tutti coloro che eransi maggiormente adoperati a ricondurre il
Re sul trono, molti erano zelanti de' sinodi e del direttorio, e
molti desideravano terminare con una concordia i dissidii religiosi
che avevano per tanto tempo agitata l'Inghilterra. Fra i seguaci
bacchettoni di Laud e i bacchettoni proseliti di Calvino, non vi
poteva essere nè pace nè tregua; ma non pareva cosa impossibile lo
indurre ad un accomodamento gli Episcopali moderati della scuola di
Usher, e i moderati Presbiteriani di quella di Baxter. Gli uni
avrebbero ammesso che un vescovo poteva legalmente essere assistito
da un concilio; gli altri non avrebbero negato che ogni assemblea
provinciale poteva legalmente avere un preside permanente, il quale
portasse il nome di vescovo. Vi sarebbe potuto essere una liturgia
modificata in guisa da non escludere la preghiera estemporanea, una
cerimonia battesimale in cui il segno della croce potesse a
discrezione usarsi od omettersi, un servizio nel quale la comunione
venisse ministrata ai fedeli seduti, ove la loro coscienza non
consentisse che s'inginocchiassero. Ma la maggior parte de'
Cavalieri non volevano udire a parlare di un siffatto accomodamento.
I membri religiosi di cotesto partito aderivano coscienziosamente al
sistema della propria Chiesa. Essa era stata cara al Re ucciso; li
aveva consolati nella sciagura e nella miseria. Le sue ufficiature
così spesso eseguite in silenzio dentro una camera secreta, durante
la stagione delle loro traversie, avevano per loro tale incanto, che
mal volentieri avrebbero rinunciato a un solo responsorio. Altri
fra' realisti che pretendevano poco a mostrarsi religiosi, amavano
la Chiesa episcopale perchè era nemica agl'inimici loro. Pregiavano
una preghiera, o una cerimonia, non pel conforto che arrecava
all'anima, ma perchè vessava le Teste-Rotonde; ed erano tanto
lontani da conseguire la concordia a prezzo di qualche concessione,
che opponevansi alle concessioni principalmente perchè tendevano a
produrre la concordia.
VI. Tali sentimenti, comecchè biasimevoli, erano naturali, e non
affatto indegni di scusa. I Puritani ne' giorni del loro potere,
avevano, senza verun dubbio, crudelmente provocato i loro avversari.
Avrebbero dovuto imparare, almeno dal malcontento, dalle lotte,
dalle stesse vittorie loro, e dalla caduta di quella superba
gerarchia da cui erano stati così gravemente oppressi, che in
Inghilterra e nel secolo decimosettimo non era in potestà del
magistrato civile lo attirare le menti degli uomini al conformismo
col suo proprio sistema teologico. Mostraronsi, non pertanto,
intolleranti e faccendieri al pari dello stesso Laud. Inibirono,
sotto gravissime pene, l'uso del Libro della Preghiera Comune, non
solo nelle chiese, ma anche nelle case private. Era delitto per un
fanciullo il leggere accanto al letto dell'infermo genitore una di
quelle soavi orazioni che avevano, per lo spazio di quaranta
generazioni, mitigato i dolori de' Cristiani. Pene severe vennero
minacciate contro coloro che presumessero di biasimare il culto
calvinistico. Ecclesiastici di carattere rispettabile non solo
furono a migliaia privati de' loro beneficii, ma rimanevano sovente
esposti agli oltraggi della fanatica marmaglia. Le chiese e le
sepolture, le leggiadre opere d'arte, le preziose reliquie
dell'antichità, vennero brutalmente sfigurate. Il Parlamento ordinò
che tutte le pitture della Collezione Reale, che rappresentavano
Cristo o la Vergine Maria, si bruciassero(30). Alle sculture toccò
una sorte egualmente trista. Le Ninfe e le Grazie, opera dello
scalpello ionio, furono consegnate agli scalpellini puritani perchè
le rendessero più decenti. Ai vizi leggieri la fazione predominante
dichiarò guerra con zelo poco temperato dall'umanità o dal buon
senso. Fecero severe leggi contro le scommesse; decretarono la pena
di morte contro l'adulterio. Lo illecito commercio de' sessi, anche
scevro di violenza o di seduzione, o di pubblico scandalo, o di
violazione di diritti coniugali, fu dichiarato delitto. I pubblici
sollazzi, dalle mascherate che allegravano i palagi de' grandi, fino
alle grottesche rappresentazioni del villaggio, furono rigorosamente
riprovati. Una ordinanza prescriveva che tutti gli alberi festivi di
maggio dovessero essere quinci innanzi abbattuti. Un'altra inibiva
ogni qualunque divertimento teatrale. I teatri dovevano essere
distrutti, gli spettatori multati, gli attori legati alla coda d'un
cavallo e frustati. Il danzare sulla corda, i giuochi de' burattini,
le corse de' cavalli, erano guardati di mal occhio. Ma il giuoco
dell'orso, a quei tempi amato tanto dalle classi alte e dalle basse,
era obietto d'indicibile abbominio a quegli austeri settarii. È da
notarsi che la loro avversione a quella specie di sollazzo non aveva
nulla di comune col sentimento che a' dì nostri ha indotta la
legislatura ad immischiarsene, con lo scopo di proteggere gli
animali contro la matta crudeltà degli uomini. Il puritano odiava il
giuoco dell'orso non perchè tormentava la povera bestia, ma perchè
recava diletto agli spettatori. A dir vero, egli generalmente
studiavasi di godere del doppio diletto di tormentare gli spettatori
e l'orso(31).
Forse non v'è circostanza che versi tanta luce sull'indole de'
rigoristi, quanto il modo di condursi rispetto alla solennità del
Natale di Cristo. Questa avventurosa festività era stata, fino da
tempo immemorabile, stagione di gioia e di affezione domestica;
stagione nella quale le famiglie adunavansi, i fanciulli ad esse
tornavano dalle scuole, i dissidii finivano, le vie risonavano di
canti, ogni casa era adornata di piante sempreverdi, ed ogni mensa
abbondava di laute vivande. In quella stagione tutti i cuori, non
affatto scevri di dolcezza, allargavansi e s'intenerivano. In quella
stagione i poveri erano invitati a godere della sovrabbondanza de'
ricchi, la cui bontà tornava maggiormente gradita a cagione della
brevità de' giorni e della severità del tempo. In quella stagione la
distanza che divideva i possidenti dagli affittuari, i padroni dai
servi, era meno visibile che ne' rimanenti giorni dell'anno. Il
molto godimento non va mai scompagnato da qualche eccesso:
nondimeno, il brio con che celebravansi quei giorni santi non era
sconvenevole ad una festività cristiana. Il Lungo Parlamento, nel
1644, ordinò che nel dì ventesimoquinto di decembre venisse
osservato un rigoroso digiuno, e che tutti lo passassero umilmente
lamentando il gran peccato nazionale, che essi e i loro antenati
avevano commesso facendo baccano sotto il ramo di vischio(32),
mangiando la testa del cignale, e bevendo la birra, resa più
saporita con mele arrostite. Non vi fu atto pubblico che
maggiormente irritasse il popolo. Nel Natale seguente scoppiarono
formidabili tumulti in molti luoghi. Resistettero ai ministri della
polizia, insultarono i magistrati, aggredirono le case de' più noti
zelanti; ed il servizio proscritto di quella solennità venne
apertamente eseguito nelle chiese.
Tale era lo spirito de' Puritani esagerati, tanto Presbiteriani
quanto Indipendenti. Veramente, Oliviero era poco inchinevole a
farla da persecutore e da faccendiere. Ma Oliviero, come capo di
parte, e, per conseguenza, schiavo di parte, non poteva governare
affatto secondo le proprie inclinazioni. Anche sotto la sua
amministrazione molti magistrati, dentro le loro giurisdizioni, si
resero odiosi quanto Sir Hudibras: s'immischiavano in tutti i
sollazzi del vicinato, disperdevano le festevoli ragunanze, e
ponevano i suonatori alla berlina. Lo zelo de' soldati era anche più
formidabile. In ogni villaggio dove essi si mostrassero, finivano i
balli, il suono delle campane, i giuochi(33). In Londra parecchie
volte interruppero le rappresentazioni teatrali, alle quali il
Protettore, in grazia della sua indole buona e del suo senno
squisito, mostravasi connivente.
All'odio e alla paura ispirati da tanta tirannia congiungevasi il
pubblico dispregio. Le specialità del puritano, lo sguardo, il modo
di vestirsi, il dialetto, gli scrupoli suoi, erano sempre stati,
fino dal tempo di Elisabetta, obietto di scherno. Ma tali cose in
una fazione che governava un grande Impero, apparivano assai più
grottesche, che nelle oscure e perseguitate congregazioni. Il
piagnisteo che aveva fatto tanto ridere gli spettatori, quando
l'udirono in sulla scena nella Tribolazione Salutare e nell'Operoso
Zelo della Patria, era anche più ridicolo sulle labbra de' Generali
e de' Consiglieri di Stato. È da notarsi inoltre, che mentre
ardevano le lotte civili, erano nate parecchie sette, le stranezze
delle quali superavano ogni cosa che si fosse mai veduta di simile
in Inghilterra. Un sartore demente, di nome Ludovico Muggleton,
errava di taverna in taverna inebriandosi e minacciando gli eterni
tormenti contro coloro che ricusassero di credere, sulla sua
testimonianza, che l'Ente Supremo fosse alto sei soli piedi, e che
il sole distasse dalla terra di quattro miglia soltanto(34). Giorgio
Fox aveva suscitata una tempesta di derisioni, predicando essere
violazione della sincerità cristiana l'indicare una persona
singolare col pronome plurale, ed essere omaggio d'idolatria a Giano
e a Odino l'usare i vocaboli Gennaio e Mercoledì(35). La sua
dottrina pochi anni appresso venne abbracciata da alcuni uomini
insigni, ed acquistò grandemente la pubblica stima. Ma nel tempo
della restaurazione, i Quacqueri venivano comunemente considerati
come i più spregevoli tra' fanatici. Dai Puritani erano trattati
severamente tra noi, ed erano perseguitati a morte nella Nuova
Inghilterra. Nondimeno il popolo, che bada rade volte alle
distinzioni sottili, confonde il puritano col quacquero. Ambidue
erano scismatici: odiavano lo episcopato e la liturgia; avevano
quelle che parevano stravaganti fantasie intorno al vestirsi, allo
atteggiarsi, al sollazzarsi. Per quanto notevolmente entrambi
distassero in fatto d'opinioni, venivano dall'universale considerati
egualmente come scismatici piagnolosi; e tutto ciò ch'era in essi
odioso, ridicolo, accresceva lo scherno e l'avversione che la
moltitudine sentiva per loro.
Avanti le guerre civili, anche coloro che abborrivano dalle opinioni
e dai modi del puritano, erano costretti ad ammettere che la sua
condotta morale era, generalmente parlando, nelle cose essenziali
scevra d'ogni biasimo; ma tale lode poscia non gli fu più oltre
concessa, perchè sventuratamente se n'era reso immeritevole.
L'ordinario destino delle sètte è quello di ottenere alta fama di
santità finchè rimangono oppresse, e di perderla appena divengono
potenti: e la ragione ne è chiara. Rade volte avviene che un uomo si
aggreghi, mosso da altro motivo che dalla propria coscienza, ad una
società proscritta. Tale società quindi si compone, salvo rarissimi
casi, di individui sinceri. La più rigida disciplina che si osservi
in una congrega religiosa, è un debole strumento di purificazione,
ove si paragoni ad un poco di persecuzione pungente che muova dallo
esterno. Può credersi con certezza, che pochissime persone, che non
fossero mosse da profonde convinzioni religiose, chiedessero il
battesimo, mentre Diocleziano perseguitava la Chiesa; o si
ascrivessero alle congregazioni protestanti, mentre correvano
pericolo di essere arse vive da Bonner. Ma quando una setta si fa
potente, quando spiana la via alle ricchezze ed agli onori, gli
uomini mondani ed ambiziosi vi si affollano, ne parlano il
linguaggio, si conformano strettamente al rituale, scimmieggiano i
caratteri speciali di quella, e spesso vincono gli onesti proseliti
in tutte le esterne manifestazioni di zelo. Non è discernimento, non
vigilanza de' reggitori ecclesiastici, che valga ad impedire la
intrusione di cotali falsi confratelli. Il loglio e il grano è
d'uopo che crescano insieme. Tosto la gente comincia ad avvedersi
che gli uomini di Dio non sono migliori degli uomini del mondo; e
conclude con qualche giustizia, che, non essendo migliori, devono
necessariamente essere molto peggiori. Poco di poi, tutti que' segni
che dapprima venivano considerati come caratteristiche d'un santo,
riduconsi ad essere presi per caratteristiche di un furfante.
Ciò avvenne dei non-conformisti inglesi. Erano stati oppressi, e la
oppressione gli aveva mantenuti puri e senza macchia. Ottennero il
predominio nello Stato. Nessuno poteva conseguire dignità o comando
senza il loro favore; il quale non poteva acquistarsi se non se
scambiando con essi i segni e le parole d'ordine della spirituale
confraternita. Una delle prime deliberazioni del Parlamento di
Barebone, la più puritana delle nostre assemblee politiche,
consisteva in ciò, che nessuno individuo poteva essere ammesso agli
uffici pubblici finchè la Camera non si dichiarasse satisfatta della
vera religiosità di lui. Quelli che allora consideravansi quali
segni della vera religiosità, cioè il tristo colore degli abiti, lo
sguardo severo, i capelli lisci, il tono nasale, il discorso
imperlato di affettate citazioni, lo abborrimento delle commedie,
delle carte e della falconeria, venivano agevolmente contraffatti da
uomini increduli ad ogni religione. I puritani sinceri tosto
trovaronsi perduti in mezzo ad una moltitudine, non solo di uomini
mondani, ma della più riprovevole genia d'uomini mondani.
Imperocchè, il più grande libertino che avesse combattuto sotto i
regii vessilli, poteva giustamente reputarsi virtuoso in paragone di
alcuni tra quelli, i quali parlando de' conforti della Sacra
Scrittura, vivevano esercitando la fraude e la rapacità, immersi in
secrete dissolutezze. La nazione, con una fretta di che possiamo
affliggerci, ma non maravigliarci, da questi ipocriti toglieva norma
a giudicare tutto il partito. La teologia, i modi, la parlatura del
puritano, richiamavano in tal guisa alle menti di tutti le immagini
de' vizi più neri e schifosi. Appena la Restaurazione concesse a
chiunque la libertà di mostrarsi nemico al partito che per tanto
tempo era stato predominante nello Stato, sorse da ogni angolo del
Regno un grido generale contro il puritanismo; grido che spesso era
accresciuto dalle voci di quegli astuti simulatori, la cattività dei
quali aveva fatto abborrire il nome di puritano.
Così, i due grandi partiti che dopo una lunga contesa avevano, con
momentanea concordia, cooperato a rimettere sul trono la famiglia
reale, diventarono, in politica e in religione, acerrimi nemici. La
maggior parte della nazione pendeva verso i realisti. I delitti di
Strafford e di Laud, gli eccessi della Camera Stellata e dell'Alta
Commissione, i grandi servigi che il Lungo Parlamento, nel primo
anno della sua esistenza, aveva resi allo Stato, erano svaniti dalla
ricordanza degli uomini. La decapitazione di Carlo I, la cupa
tirannia della Coda del Parlamento, la violenza dell'esercito,
ricordavansi con disgusto; e la moltitudine inchinava a tenere come
responsabili della morte del Re, e de' disastri che ne seguirono,
tutti coloro che gli avevano opposta resistenza.
La Camera de' Comuni, essendo stata eletta mentre predominavano i
presbiteriani, non rappresentava in modo alcuno il sentimento
universale del popolo, e mostravasi dispostissima ad infrenare la
intollerante lealtà de' Cavalieri. Uno de' membri che si attentò di
dichiarare che tutti coloro i quali avevano snudata la spada contro
Carlo I erano traditori al pari di coloro che gli avevano mozzato il
capo, venne chiamato all'ordine, posto alla sbarra, e rimproverato
dal presidente. Era desiderio generale della Camera, senza verun
dubbio, di comporre i litigi ecclesiastici in modo soddisfacente ai
Puritani moderati. Ma a ciò fare opponevansi la Corte e la nazione.
VII. Il Re era, in questo tempo, amato dal popolo quanto non lo era
mai stato nessuno de' suoi predecessori. Le calamità della sua
famiglia, la morte eroica del padre, le sue proprie pene ed
avventure romanzesche, svegliavano la tenerezza ne' cuori di tutti.
Il suo ritorno aveva liberato il paese da una intollerabile
schiavitù. Richiamato dalla voce di ambedue le fazioni avverse, egli
era il loro arbitro naturale, ed in certo modo aveva le qualità
necessarie a tanto ufficio. La natura gli era stata larga di egregie
doti e di felice temperamento. Era stato educato in guisa da bene
sviluppare il suo intendimento, ed assuefare il suo spirito allo
esercizio d'ogni virtù pubblica e privata. Aveva provate tutte le
vicissitudini della fortuna. Giovanissimo, era stato tratto dalla
reggia ad una vita d'esilio, di penuria, di pericolo. Pervenuto alle
età in cui la mente e il corpo trovansi nella maggior perfezione, e
il primo bollore delle giovanili passioni cessa di sconvolgere
l'anima, era stato richiamato dalla sua vita randagia a porsi sul
capo la corona degli avi. Aveva dalla amara esperienza imparato come
la viltà, la perfidia e la ingratitudine, si sappiano nascondere
sotto l'ossequioso contegno della cortigianeria; mentre nel tugurio
del povero aveva trovata la vera nobiltà dell'animo. Allorquando
offrivano ricchezze a chi lo avesse tradito, minacciavano di morte
chiunque gli avesse dato ricovero, gli abitatori delle capanne e i
servitori avevano fedelmente mantenuto il secreto, ed a lui,
umilmente travestito, avevano baciato la mano con tanta riverenza,
quanta gliene avrebbero mostrata se fosse stato assiso sul trono.
Era da sperarsi che un giovine uscito da cosiffatta scuola, il quale
non difettava nè di destrezza nè di amabilità, si dovesse mostrare
Re grande e buono. Carlo uscì da quella scuola adorno di socievoli
abitudini, di maniere squisite e cortesi, e di qualche ingegno pel
conversare vivace, dedito oltremodo ai piaceri sensuali, amante
degli ozi e de' frivoli sollazzi, incapace di abnegazione e di
sforzo, incredulo alla virtù o allo affetto dell'uomo, senza desio
di fama, sordo al rimprovero. Secondo lui, ogni uomo era da
comprarsi. Ma taluni mercanteggiavano, più che altri, intorno al
prezzo; e quando questo mercanteggiare era condotto con ostinazione
e destrezza, diventava degno di lode. Gl'inganni onde alcuni uomini
astuti mantenevano alto il prezzo della loro valentia, chiamavansi
integrità. Gl'inganni onde le donne leggiadre tenevano alto il
prezzo della loro beltà, dicevansi modestia. Lo amore di Dio, lo
amore della patria, lo amore della famiglia, lo amore degli amici,
erano semplici frasi, sinonimi delicati e convenevoli dello amore di
sè. Pensando in tal guisa della specie umana, Carlo naturalmente
davasi pochissimo pensiero di ciò che altri pensasse di lui. Onore e
vergogna a lui erano quasi ciò che luce e tenebre sono al cieco. Lo
hanno molto commendato come sprezzatore dell'adulazione; ma tal
pregio, guardato fra le altre qualità dell'indole di lui, non sembra
degno di lode. È cosa possibile all'uomo essere al di sotto come al
di sopra dell'adulazione. Chi non si fida di nessuno, non ha nè
anche fiducia ne' lusinghieri. Chi non estima la gloria vera, fa
poco conto della falsa.
Laudasi l'indole di Carlo in ciò che egli, non ostante la pessima
opinione che aveva della specie umana, non diventasse misantropo.
Poc'altro vedeva negli uomini, tranne la parte odiosa, e nondimeno
non gli odiava. Anzi era talmente umano, che spiacevagli(36) vedere
le sofferenze o udire le querimonie loro. Se non che, questa è una
specie d'umanità che, comunque amabile e commendevole in un
individuo privato, il cui potere a giovare o a nuocere è rinchiuso
in uno stretto cerchio, è stata soventi volte ne' principi vizio,
più presto che virtù. Non pochi fra loro, intesi al bene, hanno
abbandonate intere provincie alla rapina ed all'oppressione, mossi
solo dal desiderio di vedere, in casa e ai passeggi, visi allegri.
Colui che esita a spiacere a pochi che gli stanno d'intorno, pel
bene dei molti che non vede giammai, non è fatto per governare una
grande società. La facilità di Carlo era tanta, da non trovarsi
forse mai in un uomo di sensi a lui simile. Era schiavo, senza
essere zimbello, degl'inganni altrui. Donne ed uomini indegni, ai
quali sapeva leggere nelle ime latebre del cuore, e i quali egli
conosceva privi d'affezione e immeritevoli della sua fiducia,
sapevano lusingarlo tanto, da strappargli dalle mani titoli, uffici,
terre, secreti di Stato, e grazie. Donò molto, ma nè godè il
piacere, nè acquistò la fama di benefico. Spontaneo non donò mai, ma
eragli duro rispondere con un rifiuto. Dal che seguiva, che la sua
bontà generalmente non iscendesse sopra coloro che più la
meritavano, nè anche sopra coloro ai quali portava affetto, ma sopra
il più svergognato ed importuno che fosse riuscito ad ottenere
udienza.
Le cagioni che governarono la condotta politica di Carlo II,
differivano assai da quelle onde il predecessore e il successore
suoi furono mossi. Non era uomo da lasciarsi imporre dalla teoria
patriarcale del Governo e dalla dottrina del diritto divino. Era
onninamente scevro d'ambizione. Detestava gli affari, e avrebbe
piuttosto abdicato, che sopportare lo incomodo di dirigere veramente
l'amministrazione. Tanta avversione aveva alla fatica e tanta
ignoranza degli affari, che gli stessi suoi segretari, quando sedeva
in consiglio, non potevano frenarsi d'irridere alle sue frivole
osservazioni ed alla sua fanciullesca impazienza. Nè gratitudine nè
vendetta contribuivano a determinare la sua condotta, perocchè non
vi fu mai mente in cui i servigii o le ingiurie lasciassero, come
nella sua, deboli e passeggiere impressioni. Desiderava
semplicemente essere Re come lo fu poscia Luigi XV di Francia; Re
che potesse trarre dal tesoro danari senza fine per appagare i suoi
gusti privati; che potesse comprare con ricchezze ed onori persone
capaci di aiutarlo a fargli passare il tempo; e che, anche quando lo
Stato fosse per la pessima amministrazione caduto in fondo alla
vergogna, e spinto sull'orlo del precipizio, potesse escludere ogni
tristo pensiero dal ricinto del suo serraglio, e ricusare l'accesso
a chiunque potesse disturbare i voluttuosi suoi ozii. Per ciò, e per
ciò solo, egli bramava conseguire il potere arbitrario, qualora si
fosse potuto conseguire senza rischio o incomodo. Nelle dispute
religiose che affaccendavano i suoi sudditi protestanti, la sua
coscienza non aveva interesse nessuno; perocchè le sue opinioni
oscillavano in uno stato di sospensione satisfatta, fra la
incredulità e il papismo. Ma, quantunque la sua coscienza rimanesse
neutrale nella contesa tra gli Episcopali e i Presbiteriani, il suo
gusto non era tale in nessun modo. I suoi vizi prediletti erano
precisamente quelli ai quali i Puritani indulgevano meno. Egli non
poteva passare un solo giorno senza il conforto di que' sollazzi che
i Puritani consideravano peccaminosi. Come uomo egregiamente
educato, e assai sensibile al ridicolo, le stranezze de' Puritani lo
spingevano ad un riso di dispregio. Aveva, in verità, qualche
ragione a non amare quella rigida setta. Nella età in cui le
passioni più imperversano, e le leggerezze sono meritevoli di
perdono, aveva passati parecchi mesi in Iscozia, Re di nome, ma di
fatto prigioniero di Stato nelle mani degli austeri Presbiteriani.
Non paghi di volere ch'ei si conformasse al loro culto, e firmasse
la loro Convenzione, avevano invigilate tutte le azioni, e
sermoneggiato intorno alle giovanili follie di lui. Era stato
costretto ad assistere, ripugnante, a preci e sermoni lunghissimi, e
poteva reputarsi fortunato allorquando dal pulpito non gli
rammentavano le sue proprie fragilità, la tirannide del padre, e la
idolatria della madre. Davvero, era stato così sciagurato in quegli
anni della sua vita, che la sconfitta dalla quale fu cacciato
nuovamente in esilio, poteva più presto considerarsi come
liberazione, che come calamità. Sotto la pressura di queste male
augurate reminiscenze, Carlo voleva deprimere il partito che aveva
fatta resistenza a suo padre.
VIII. Giacomo, Duca di York, fratello del Re, si attenne alla
medesima via. Benchè libertino, Giacomo era diligente, metodico, e
amante dell'autorità e degli affari. Aveva intendimento basso e
stretto, ed indole ostinata, aspra e nemica al perdono. Che un
principe come lui non potesse vedere di buon occhio le libere
istituzioni dell'Inghilterra, e il partito che le difendeva con zelo
indefesso, non deve recar maraviglia. Il Duca seguitava a professare
la credenza della Chiesa Anglicana; ma aveva già mostrate tendenze
tali, da mettere seriamente in pensiero i buoni protestanti.
L'uomo che in quel tempo principalmente conduceva il Governo, era
Eduardo Hyde, Cancelliere del Regno, e presto creato Conte di
Clarendon. La riverenza che giustamente sentiamo per Clarendon come
scrittore, non ci debbe rendere ciechi ai falli da lui commessi come
uomo di Stato. Alcuni dei quali, nondimeno, vengono spiegati e
scusati dalla posizione sciagurata in cui egli trovavasi. Nel primo
anno del Lungo Parlamento erasi onorevolmente reso cospicuo fra i
senatori che affaticavansi di riparare alle doglianze della nazione.
Una delle più odiose cagioni di tali doglianze, cioè il Consiglio di
York, era stata rimossa principalmente in grazia degli sforzi di
lui. Quando seguì il grande scisma, quando il partito riformista ed
il conservatore primamente mostraronsi in ordinanza di battaglia,
l'uno contro l'altro; egli, insieme con molti savi e da bene uomini,
si congiunse al partito conservatore. D'allora in poi seguì le
fortune della Corte, godè tanta fiducia di Carlo I, quanta l'indole
riservata, e la tortuosa politica di quel Principe ne concedessero
ad alcun Ministro, e quinci divise lo esilio e diresse la condotta
politica di Carlo II. Dopo la Ristaurazione, Clarendon divenne primo
Ministro. Pochi mesi dopo fu annunziato ch'egli era per affinità
strettamente congiunto alla Casa Reale; imperocchè la sua figlia era
diventata, per secreto matrimonio, Duchessa di York. I suoi nipoti
averebbero forse portata la Corona. Per questo illustre parentado ei
fu preposto ai capi della vecchia nobiltà del paese, e un tempo fu
creduto onnipotente. Per alcune ragioni egli era bene adatto a
tenere quel posto eminente. Niuno sapeva, meglio di lui, comporre
scritture di Stato; niuno parlava con più gravità e dignità nel
Consiglio e nel Parlamento; niuno conosceva meglio i principii
dell'arte di regnare; niuno discerneva con occhio più giudizioso le
varietà de' caratteri degli uomini. È d'uopo aggiungere, che sentiva
fortemente i doveri morali e religiosi, rispettava sinceramente le
leggi del paese, e mostrava coscienzioso riguardo per l'onore e lo
interesse della Corona. Ma il suo animo era acre, arrogante,
intollerante d'ogni opposizione. Soprattutto, egli era stato lungo
tempo in esilio, e questa sola cagione era bastevole a torgli le
qualità necessarie a condurre la direzione suprema degli affari. È
quasi impossibile che un uomo politico che sia stato costretto dalle
lotte civili a bandirsi dalla propria patria, e passare lungi da
quella molti de' più begli anni della vita, riesca adatto, appena
ritornato al suolo natío, a togliere in mano il timone della cosa
pubblica. Clarendon non va eccettuato da siffatta regola. Aveva
lasciata l'Inghilterra con l'animo infiammato da un feroce
conflitto, che era terminato con la caduta del suo partito e la
ruina delle sue sostanze. Dal 1646 al 1660 era vissuto oltremare,
mirando tutto ciò che avveniva nella sua patria, da una grande
distanza, e con un falso strumento. Le nozioni che aveva delle
pubbliche faccende, raccoglieva necessariamente dalle relazioni de'
conspiratori, parecchi dei quali erano uomini esasperati dal danno e
dalla disperazione. Gli eventi naturalmente gli sembravano bene
augurati, non quando accrescevano la prosperità e la gloria della
nazione, ma quando tendevano ad avacciare l'ora del suo ritorno. La
sua convinzione - convinzione ch'ei non ha nascosta - consisteva in
questo: che i suoi concittadini, non avrebbero potuto godere de'
beni della quiete e della libertà, finchè non avessero rimesso su la
vecchia dinastia. Finalmente ritornò alla patria, e senza avere
speso nè anche una settimana a volgere lo sguardo all'intorno, a
mischiarsi nei socievoli commerci, a notare i mutamenti che
quattordici anni di vicende avevano prodotto nel carattere e nel
sentire della popolazione, fu posto repentinamente a condurre il
Governo dello Stato. In cosiffatte condizioni, anche un Ministro
eminentemente destro e docile sarebbe probabilmente caduto in
gravissimi errori. Ma la destrezza e la docilità non erano da
trovarsi fra le doti dell'animo di Clarendon. Agli occhi suoi,
l'Inghilterra seguitava ad essere la Inghilterra della sua
giovinezza; e guardava in cagnesco ogni teoria ed ogni pratica
introdotta mentre egli era in esilio. Quantunque fosse lontano dal
meditare il minimo attentato contro l'antico e indubitato potere
della Camera de' Comuni, il vederlo crescere gli recava grande
inquietudine. La prerogativa regia, per la quale egli aveva tanto
sofferto, e dalla quale era stato alla perfine innalzato alle
ricchezze ed agli onori, era sacra agli occhi suoi. Riguardava le
Teste-Rotonde con avversione politica e personale. Aveva sempre
aderito fortemente alla Chiesa Anglicana, e tutte le volte che si
trattava degl'interessi di quella, erasi separato, non senza
rammarico, da' suoi più diletti amici. Il suo zelo per lo Episcopato
e pel Libro della Preghiera Comune divenne quindi più ardente che
mai, e si congiunse con un odio vendicativo contro i Puritani; odio
che gli recò poco onore, e come ad uomo di Stato e come a cristiano.
Mentre la Camera de' Comuni, che aveva richiamata la reale famiglia,
era in sessione, e' tornava impossibile ristabilire il vecchio
sistema ecclesiastico. La Corte non solo nascose con grande studio
le proprie intenzioni, ma il Re stesso dètte, nel modo più solenne,
assicuranze tali, che posero in calma gli animi de' Presbiteriani
moderati. Aveva promesso, prima della Restaurazione, di concedere ai
sudditi libertà di coscienza. Ripetè poscia tale promessa,
aggiungendovi quella di adoperare le più scrupolose cure onde
indurre a concordia le sètte avverse. Disse come egli desiderava di
vedere la giurisdizione spirituale divisa tra i vescovi e i sinodi;
di fare che la liturgia venisse riesaminata da una congrega di
teologi, metà de' quali sarebbe di presbiteriani. Le quistioni
concernenti la cotta, la postura nel ricevere la Eucarestia, e il
segno della croce nel battesimo, verrebbero risolute in guisa da
calmare le coscienze timorate. Come il Re ebbe addormentati gli
occhi vigili di coloro ch'ei maggiormente temeva, sciolse il
Parlamento. Aveva già dato il suo assenso ad un atto d'amnistia,
salvo pochissimi, per tutti coloro i quali nelle lotte civili
s'erano resi colpevoli di delitti politici. Aveva parimenti ottenuta
dalla Camera de' Comuni una concessione a vita delle tasse, l'annuo
prodotto delle quali era stimato a un milione e duecento mila lire
sterline. A vero dire, il prodotto di quelle per alcuni anni passò
di poco un milione; ma questa somma, insieme con la entrata
ereditaria della Corona, era allora bastevole a pagare le spese del
Governo in tempo di pace. Non fu concessa pecunia per mantenere un
esercito stanziale. La nazione sentiva disgusto del semplice nome di
quello, e il solo rammentarlo avrebbe commossi ed infiammati tutti i
partiti.
IX. Nel 1661 seguì una elezione generale. Il popolo era frenetico
d'entusiasmo verso il sovrano. La metropoli venne incitata a fare
apparecchi per la più splendida incoronazione che si fosse mai
veduta. Ne risultò un corpo di rappresentanti tale, quale non era
mai stato in Inghilterra. Molti de' candidati eletti erano uomini
che avevano pugnato a favore della Corona e della Chiesa, e che
avevano l'animo esasperato per le molte ingiurie e i molti insulti
delle Teste-Rotonde. Quando i membri adunaronsi, le passioni onde
ciascuno di loro era individualmente animato, acquistarono nuova
forza per virtù della simpatia. La Camera de' Comuni per alcuni anni
fu più realista del Re stesso, più episcopale degli stessi vescovi.
Carlo e Clarendon rimasero quasi atterriti della propria vittoria.
Trovaronsi in condizioni non dissimili da quelle in cui Luigi XVIII
e il Duca di Richelieu si videro allorquando, nel 1815, adunossi la
Camera. Quando anche il Re avesse desiderato di adempiere le
promesse date ai Presbiteriani, non lo avrebbe potuto fare.
Veramente, gli fu mestieri di adoperare co' più vigorosi sforzi
tutta la sua influenza per impedire che i Cavalieri vittoriosi
lacerassero l'atto d'indennità, e si vendicassero, senza
misericordia, de' torti sofferti.
X. I Comuni cominciarono dal decretare, che ciascun membro dovesse,
sotto pena d'espulsione, prestare il giuramento secondo la forma
prescritta dalla antica liturgia, e che l'atto di Convenzione
dovesse essere bruciato per mano del boia nel cortile del palagio.
Fecero un altro atto, in cui non solo riconoscevano il potere della
spada appartenere al solo Re, ma dichiaravano che in nessun caso
estremo, qualunque si fosse, le due Camere potevano giustamente
resistere con la forza al sovrano. Ne aggiunsero un altro, che
prescriveva ad ogni ufficiale di corporazione di giurare che la
resistenza alla autorità del Re era sempre illegittima. Pochi
cervelli caldi sforzaronsi di proporre una legge che annullasse in
una sola volta tutti gli statuti fatti dal Lungo Parlamento, e
richiamasse in vita la Camera Stellata e l'Alta Commissione; ma la
Reazione, per quanto fosse violenta, non osò andare tanto oltre.
Continuò ad esser valida la legge che ogni tre anni vi fosse un
Parlamento; ma vennero revocate le clausule restrittive, le quali
ordinavano che gli ufficiali, anche senza l'assenso regio, potevano,
appena scorso il tempo prescritto, procedere alla elezione. I
vescovi furono rimessi sui loro seggi nella Camera Alta. Il vecchio
ordinamento politico della Chiesa, e la vecchia liturgia, furono
ristabiliti, senza la minima modificazione che tendesse a conciliare
i più moderati tra i Presbiteriani. Allora, per la prima volta,
l'ordinazione episcopale fu dichiarata requisito essenziale alle
dignità ecclesiastiche. Circa duemila ministri della religione, ai
quali la coscienza non consentiva di conformarsi alle nuove leggi,
furono, in un sol giorno, privati de' loro beneficii. La parte
dominante, esultando, rammentava ai danneggiati, che il Lungo
Parlamento, nell'auge del suo potere, aveva cacciato via un maggior
numero di teologi realisti. Il rimprovero era ben fondato; ma il
Lungo Parlamento aveva, almeno, ai teologi spogliati de' loro uffici
concessa una provvisione bastevole a non lasciarli morire d'inedia;
mentre i Cavalieri, con gli animi inveleniti da implacabile rancore,
non avevano avuta la giustizia e la umanità di seguire il riferito
esempio.
XI. Fecero poi alcuni statuti penali contro i non-conformisti;
statuti, de' quali potevano trovare esempi precedenti nella
legislazione puritana, ma ai quali il Re non poteva dare il suo
assenso senza rompere le promesse pubblicamente fatte, nella crisi
più importante della sua vita, a coloro da cui dipendeva il suo
destino. I Presbiteriani, colpiti di terrore e forte addolorati,
corsero ai piedi del trono, allegando i loro recenti servigi, e la
fede sovrana solennemente e ripetutamente data. Il Re ondeggiava.
Non poteva rinnegare il suo proprio sigillo e la sua propria firma.
Sentiva, pur troppo, d'essere debitore di molto ai chiedenti. Era
poco avvezzo a resistere alle sollecitazioni importune. L'indole sua
non era quella di un persecutore. Certo aborriva i Puritani; ma in
lui lo aborrire era un languido sentimento, poco somiglievole
all'odio energico che aveva infiammato il cuore di Laud.
Parteggiava, inoltre, per la Religione Cattolica-Romana; e conosceva
come fosse impossibile il concedere libertà di culto ai proseliti di
quella religione, senza accordarla parimente ai dissenzienti
protestanti. Tentò, quindi, debolmente di frenare lo zelo
intollerante della Camera de' Comuni; ma la Camera trovavasi sotto
la influenza di profonde convinzioni, e di passioni assai più forti
che non erano quelle del Re. Dopo una lieve lotta, egli cedette, ed
approvò, facendo mostra d'alacrità, una serie di leggi odiose contro
i separatisti. Fu dichiarato delitto lo intervenire in luogo dove si
celebrasse il culto dei dissenzienti. Ciascun giudice di pace poteva
giudicare senza giurati, e poteva condannare ad essere trasportato
oltre-mare per sette anni chiunque fosse stato per la terza volta
dichiarato reo. Con sottile crudeltà, venne provveduto che il reo
non fosse trasportato nella Nuova Inghilterra, dove probabilmente
avrebbe trovato amici che lo confortassero. Ritornando innanzi che
fosse trascorso tutto il tempo del bando, soggiaceva alla pena
capitale. Un nuovo ed irragionevolissimo giuramento venne imposto ai
teologi che erano stati spogliati de' loro beneficii per non essersi
voluti conformare; e a tutti coloro che ricusavano di prestarlo, fu
inibito di appressarsi di cinque miglia ad ogni città che fosse
governata da una corporazione, o rappresentata in Parlamento, o dove
essi avessero esercitato il sacro ministero. I magistrati che
dovevano mandare ad esecuzione cotesti terribili statuti, erano
generalmente uomini infiammati dallo spirito di parte, e dalla
rimembranza dei danni che avevano sofferti al tempo della
Repubblica. Le carceri furono quindi subitamente riempite di
dissenzienti, tra i quali erano alcuni che con la virtù e
coll'ingegno potevano onorare qualunque società cristiana.
XII. La Chiesa d'Inghilterra non si mostrò ingrata alla protezione
largitale dal Governo. Fino dal primo giorno della sua esistenza
aveva aderito alla Monarchia. Ma ne' venti anni che seguirono
l'epoca della Restaurazione, il suo zelo per l'autorità regia e pel
diritto ereditario aveva travarcato ogni confine. Aveva partecipato
alle sciagure della Casa degli Stuardi. Era stata ristaurata con
essa; ed era con essa vincolata da interessi, amicizie ed inimicizie
comuni. Sembrava impossibile che dovesse arrivare il giorno in cui i
vincoli che la congiungevano ai figli del suo augusto martire,
verrebbero infranti, e la lealtà della quale ella gloriavasi, non
sarebbe più oltre un gradito e proficuo dovere. E però magnificava
con frasi rimbombanti quella prerogativa che era sempre adoperata a
difendere ed ingrandire la Chiesa, e riprovava comodamente la
depravità di coloro i quali dalla oppressura, onde essa andava
esente, erano stati incitati a ribellare. Il suo tema prediletto era
la dottrina della non-resistenza; dottrina ch'essa predicava in modo
assoluto, portandola fino a tutte le estreme conseguenze. I suoi
discepoli non istancavansi mai di ripetere, che in nessun caso
possibile, - nè anche se l'Inghilterra avesse la sciagura di
sottostare a un Re come Busiride o Falaride, il quale, calpestando
ogni legge, senza verun pretesto di giustizia, condannasse ogni
giorno centinaia di vittime innocenti alla tortura e alla morte, -
tutti gli Stati del Regno concordanti, sarebbero giustificati a
resistere con la forza alla tirannide del principe.
Avventuratamente, i principii della natura umana ci assicurano
appieno che tali teorie rimarranno sempre teorie. Giunse il dì della
prova; e quegli stessi uomini che avevano levata più alto la voce a
predicare quella strana dottrina di lealtà, armaronsi, in quasi ogni
Contea dell'Inghilterra, contro il trono.
Nuovamente in tutto il Regno le sostanze andavano cangiando padroni.
Le vendite fatte dalla nazione, non essendo state confermate dal
Parlamento, furono dai tribunali considerate come nulle. Il sovrano,
i vescovi, i decani, i capitoli, i nobili e i gentiluomini realisti,
riebbero i loro beni confiscati, e ne spogliarono perfino i
compratori che ne avevano pagato il prezzo. Le perdite sostenute dai
Cavalieri mentre predominavano i loro avversari, vennero così in
parte riparate; ma solamente in parte. Ogni qualunque azione per
ricuperare i frutti arretrati fu esclusa efficacemente dall'Amnistia
generale; e i numerosi realisti i quali, onde soddisfare alle multe
imposte dal Parlamento e comperare il favore delle potenti
Teste-Rotonde, avevano vendute le loro terre per molto meno di
quello che valevano, non furono liberati dalle conseguenze legali
de' loro propri atti.
XIII. Mentre tali cose avvenivano, era seguito un cangiamento assai
più grave nella morale e ne' costumi del popolo. Le passioni e i
gusti che sotto il predominio de' Puritani erano stati severamente
repressi, e se per poco soddisfatti, lo erano stati di soppiatto,
appena fu tolto lo impedimento, tornarono a rivivere con
irrefrenabile violenza. Gli uomini correvano ai frivoli diporti ed
ai piaceri criminosi con quella avidità che nasce dalla lunga
astinenza. Poco ostacolo vi poneva la pubblica opinione; avvegnachè
le genti, stomacate de' piagnistei, e sospettose dei pretendenti a
comparir santi, e soffrendo tuttavia della recente tirannide di
governanti austeri nella vita e potenti nella preghiera, volgessero
alcun tempo compiacenti gli sguardi a vizi più gaii e soavi. Minore
era anche il freno che vi poneva il Governo. E davvero, non eravi
eccesso al quale gli uomini non venissero incoraggiati dalla
ostentata dissolutezza del Re, e de' suoi fidi cortigiani. Pochi
consiglieri di Carlo I, che più non erano giovani, serbavano la
decorosa gravità che trenta anni innanzi era stata tanto in voga a
Whitehall. Tali erano lo stesso Clarendon e gli amici suoi, Tommaso
Wriothesley conte di Southampton Lord Tesoriere, e Giacomo Butler
Duca di Ormond, il quale dopo di avere tra molte vicende
valorosamente propugnata l'autorità del Re in Irlanda, governava
quel Regno con l'ufficio di Lord Luogotenente. Ma, nè la memoria de'
servigii di cotesti uomini, nè il potere grande che avevano nello
Stato, poterono proteggerli dai sarcasmi che il vizio di moda ama di
scagliare contro la virtù fuori d'uso. La lode di gentilezza e
vivacità mal poteva conseguirsi senza violare in qualche guisa il
decoro. Uomini di grande e pieghevole ingegno affaccendavansi a
spandere il contagio. La filosofia morale aveva di recente presa una
forma atta a piacere ad una generazione egualmente devota alla
monarchia ed al vizio. Tommaso Hobbes, con un linguaggio più preciso
e lucido di quello che fosse stato mai adoperato da qualunque altro
scrittore metafisico, sosteneva: la volontà del principe essere la
regola del diritto e del torto, ed ogni suddito doversi tener pronto
a professare, secondo che piacesse al principe, il Papismo,
l'Islamismo o il Paganesimo. Migliaia d'uomini, inetti a conoscere
ciò che nelle metafisiche speculazioni di lui fosse degno di stima,
facilmente dettero il ben venuto ad una teoria, la quale, esaltando
la dignità regia, rallentava i doveri morali, e abbassava la
religione al grado di pretta faccenda di Stato, L'Hobbismo divenne
tosto parte quasi essenziale del carattere d'un perfetto gentiluomo.
Ogni specie di amena letteratura s'imbevve profondamente della
prevalente licenza. La poesia si arruffianò ad ogni più basso desio.
Il dileggio, invece di fare arrossire la colpa e l'errore, scagliò i
suoi formidabili strali contro la verità e l'innocenza. La Chiesa
dello Stato lottava, a dir vero, contro la prevalente immoralità, ma
lottava debolmente e non di tutto cuore. Era necessario al decoro
del proprio carattere, ch'ella ammonisse i suoi figli traviati; ma
dava le sue ammonizioni con una tal quale negligenza o svogliatezza.
La sua attenzione era rivolta altrove. In cima a tutti i suoi
pensieri stava quello di esterminare i Puritani, ed insegnare ai
suoi discepoli di dare a Cesare ciò che era di Cesare. Era stata
spogliata ed oppressa da quello stesso partito che predicava la più
austera morale. Aveva riacquistato opulenza ed onori, mercè i
libertini. Per quanto poco disposti fossero gli uomini dell'allegria
e della moda a conformarsi ai precetti di lei, erano tuttavia pronti
a combattere fino all'ultimo sangue per le cattedrali e i palagi,
per ogni rigo delle rubriche, per ogni lembo della veste della
Chiesa. Se il dissoluto Cavaliere andava gavazzando su per i
bordelli e le bische, tenevasi almeno lungi da' conventicoli. Se non
parlava giammai senza profferire oscene parole o bestemmie, ne aveva
fatta ammenda con la prontezza onde gettò in prigione Baxter e Howe,
rei di avere predicato e pregato. In tal guisa il clero, un tempo,
fece guerra allo scisma con tanto accanimento, che aveva poco agio
di pensare a far guerra al vizio. Le oscene parole di Etherege e di
Wicherley vennero, al cospetto e con la speciale sanzione del capo
della Chiesa, pubblicamente recitate da labbra femminili ad orecchie
femminili, mentre lo autore del Viaggio del Pellegrino languiva
sepolto in carcere per colpa di insegnare lo evangelio ai poveri.
Egli è un fatto indubitabile, non che mirabilmente istruttivo, che
gli anni in cui la potenza politica della gerarchia anglicana
trovavasi nel suo più alto grado, furono precisamente gli anni in
cui le virtù pubbliche erano cadute in fondo alla maggiore
degradazione.
XIV. Non v'era classe o professione che rimanesse libera dal
contagio dell'immoralità prevalente; ma gli uomini politici erano
forse la parte più corrotta del sociale consorzio, come quelli che
erano esposti non solo alla nociva influenza che infermava la
nazione, ma a una specie peculiare e più malefica di corruzione.
Erano stati educati fra mezzo a spesse e violente rivoluzioni e
contro-rivoluzioni. Nel corso di pochi anni avevano veduto
l'ordinamento ecclesiastico del loro paese più volte cangiarsi.
Avevano veduta la Chiesa Episcopale perseguitare i Puritani, la
Chiesa Puritana perseguitare gli Episcopali, e la prima affliggere
di nuove persecuzioni la seconda. Avevano veduta la monarchia
ereditaria abolita e ristaurata; il Lungo Parlamento avere avuta tre
volte la supremazia nello Stato, ed essere stato tre volte disciolto
fra gli scherni e le maledizioni di milioni d'uomini; una nuova
dinastia rapidamente conseguire l'altezza del potere e della gloria,
e quindi in un baleno senza lotta cadere giù dal trono; un nuovo
sistema rappresentativo formato, messo alla prova e abbandonato; una
nuova Camera di Lordi creata, e dispersa; grandi masse di beni
passati dalle mani de' Cavalieri in quelle delle Teste-Rotonde, e
dalle mani di queste nuovamente in quelle dei primi. Fra cotante
vicissitudini, nessuno poteva con suo profitto professare la
politica, ove non si tenesse parato a mutare ad ogni mutamento di
fortuna. Solo tenendosi da parte, l'uomo poteva lungo tempo
mantenersi o costante realista, o repubblicano costante. Chiunque,
in un'età come quella, aspira a conseguire la grandezza civile, è
uopo che deponga ogni pensiero di serbarsi immutabile. Invece di far
mostra d'immutabilità fra mezzo alle continue mutazioni, deve star
sempre vigilante ad osservare i segni della reazione che si
approssima; deve cogliere il preciso momento per abbandonare una
causa che sta per cadere. Avendo seguito a tutta oltranza una
fazione mentre ella trovavasi preponderante, ei deve sollecitamente
disimpacciarsene appena le difficoltà principiano; deve aggredirla,
perseguitarla, gettarsi in un nuovo cammino, onde pervenire al
potere ed alla prosperità, insieme co' suoi nuovi consorti. La nuova
situazione naturalmente sviluppa in lui fino ad altissimo grado doti
e vizi peculiari. Diventa acuto e pronto nell'osservare, e fecondo
nel trovare espedienti. Afferra senza sforzo il contegno di ogni
setta o partito, a cui gli accade di associarsi. Discerne i segni
de' tempi con tale sagacia, che alla moltitudine sembra miracolosa;
sagacia simile a quella con che un vecchio ufficiale di polizia
tiene dietro ai più lievi vestigi del delitto, o con che un
guerriero di Mohawk siegue la traccia altrui a traverso le foreste.
Ma rade volte può trovarsi in un uomo siffattamente educato,
integrità, costanza, o alcuna altra delle virtù figlie del vero. Non
ha fede in nessun principio, nè zelo per alcuna causa. Ha veduto
tante vecchie istituzioni andare in rovina, che non sente nessuna
riverenza per la prescrizione. Ha veduto tante istituzioni nuove,
dallo quali aspettavansi grandi cose, non produrre se non se
disinganno, ch'egli non ha speranza di miglioramento. Irride
egualmente e a coloro che vogliono conservare, e a coloro che
agognano a riformare. Non vi ha cosa nello Stato ch'egli, senza
scrupolo o rossore, non sia capace di difendere o distruggere. La
fedeltà alle opinioni ed agli amici gli sembra pretta stupidezza, o
falsità di giudizio. Considera la politica non come una scienza che
deve mirare a rendere gli uomini felici, ma come un appetitoso
giuoco di sorte e di destrezza, nel quale un giuocatore fortunato
può vincere una baronia, un ducato e forse un Regno, mentre una
mossa imprudente può produrre la perdita della roba e della vita.
L'ambizione, che in tempi buoni ed in animi onesti è una mezza
virtù, in lui, disgiunta da ogni nobile e filantropico sentimento,
diventa una cupidità egoistica, turpe quasi al pari dell'avarizia.
Fra quegli uomini politici, i quali, dalla Ristaurazione allo
avvenimento della Casa di Hannover, erano a capo dei grandi partiti
nello Stato, pochi sono coloro la cui fama non sia macchiata da ciò
che nei tempi nostri si chiama grossolana perfidia e corruzione. Non
sarebbe quasi esagerato lo affermare, che i più immorali uomini
pubblici che a nostra memoria abbiano avuto in mano le pubbliche
faccende, paragonati ai politici dell'ultima metà del secolo
decimosettimo, ci paiono degni della lode di scrupolosi e
disinteressati.
XV. Mentre accadevano in Inghilterra coteste mutazioni politiche,
religiose e morali, l'autorità regia era stata senza difficoltà
ristabilita in ogni parte delle Isole Britanniche. In Iscozia, la
restaurazione degli Stuardi era stata salutata con gioia, come
quella che restaurava la indipendenza nazionale. Ed era pur vero che
il giogo imposto da Cromwell era stato apparentemente scosso, che
gli Stati di nuovo s'erano adunati nella loro antica sala in
Edimburgo, e che i Senatori del Collegio di Giustizia ministravano
di nuovo le leggi scozzesi secondo le antiche forme. Nondimeno, la
indipendenza di quel piccolo Regno era necessariamente più nominale
che reale; imperciocchè, fino a tanto che il Re aveva l'Inghilterra
favorevole, ei non poteva nulla temere dalla disaffezione de' suoi
altri dominii. Adesso trovavasi in condizioni tali, da ritentare ciò
che era riuscito fatale al padre suo, senza paventarne la miseranda
fine. Carlo I erasi provato ad imporre a forza, di propria autorità,
la propria religione agli Scozzesi, nel punto istesso in cui la
religione sua e la sua reale autorità non erano popolari in
Inghilterra; e non solo non v'era riuscito, ma aveva suscitate
turbolenze che gli costarono la Corona e la vita. I tempi ora
procedevano mutati; la Inghilterra era zelante della monarchia e
della prelatura; e però il disegno, che nella precedente generazione
era stato imprudente all'estremo, poteva ritentarsi con poco rischio
pel trono. Il Governo determinò di istituire una chiesa episcopale
in Iscozia. Il disegno venne riprovato da ogni assennato e
rispettabile scozzese. Parecchi uomini di Stato in Iscozia, zelanti
della regia prerogativa, avevano ricevuto educazione presbiteriana.
Comecchè poco turbati da scrupoli, amavano la religione della loro
infanzia; e bene conoscevano quanto profonde avesse le radici ne'
cuori de' loro concittadini. Protestarono vigorosamente; ma trovando
inutili le proteste, non ebbero la virtù necessaria a perseverare in
una opposizione che avrebbe offeso il loro signore, ed alcuni di
loro piegaronsi alla ribalderia ed alla viltà di perseguitare quella
che in coscienza credevano essere la forma più pura del
cristianesimo. Il Parlamento scozzese era costituito in guisa da non
avere mai fatto seria opposizione a principi assai più deboli di
Carlo. L'episcopato, adunque, venne stabilito con una legge. In
quanto alla forma del culto, fu lasciata non poca libertà al
discernimento del clero. In talune chiese usavasi la liturgia
inglese; in altre i ministri sceglievano, fra mezzo a quella
liturgia, le preci e i rendimenti di grazie formulati in modo, da
offendere meno il sentire del popolo. Ma in generale, la dossologia
cantavasi alla fine delle sacre funzioni, e nel ministrare il
battesimo recitavano il Credo degli Apostoli. La maggior parte della
popolazione scozzese detestava la nuova Chiesa e come superstiziosa
e come straniera; e perchè era deturpata dalle corruzioni di Roma, e
perchè era segno della predominanza dell'Inghilterra. Nonostante,
non vi fu insurrezione generale. Il paese non era più quel ch'era
stato ventidue anni innanzi. Guerre disastrose e giogo straniero
avevano prostrato lo spirito del popolo. L'aristocrazia, ch'era
tenuta in grande onore dalle classi medie e dalla plebaglia, erasi
posta a capo del movimento contro Carlo I; ma mostravasi poscia
ossequiosa a Carlo II. Ormai nessuno aiuto era a sperarsi da parte
de' Puritani inglesi; perocchè erano un partito debole, proscritto e
dalla legge e dalla opinione pubblica. La massa della nazione
scozzese, quindi, si sottomise tristamente, e con grandi timori di
coscienza attendeva al servizio del clero episcopale, o de' ministri
presbiteriani che avevano acconsentito ad accettare dal Governo una
semi-tolleranza, conosciuta sotto il nome d'Indulgenza. Ma eranvi,
massime nelle pianure occidentali, molti uomini fieri e ardimentosi,
i quali credevano fermamente che l'obbligo di osservare la
Convenzione fosse superiore a quello d'obbedire al magistrato.
Costoro, in onta alla legge, continuavano a congregarsi onde adorare
Dio secondo la loro credenza. Consideravano la Indulgenza, non come
una riparazione parziale de' torti inflitti dai magistrati alla
Chiesa, ma come un nuovo torto; il quale, per essere mascherato con
l'apparenza d'un beneficio, pareva loro maggiormente odioso. La
persecuzione, dicevano essi, può solo uccidere il corpo; ma
l'aborrita Indulgenza torna fatale all'anima. Cacciati via dalle
città, adunavansi su per i luoghi deserti e le montagne. Aggrediti
dal potere civile, respingevano senza scrupolo la forza con la
forza. Ad ogni conventicolo presentavansi armati. Spesso
trascorrevano ad aperta ribellione. Venivano agevolmente sconfitti,
e puniti senza misericordia; ma nè sconfitte nè pene potevano domare
lo spirito loro. Inseguiti a guisa di belve, torturati fino ad avere
le ossa slocate e dirotte, imprigionati, impiccati a centinaia, ora
esposti alla licenza de' soldati inglesi, ora abbandonati alla mercè
dei masnadieri delle montagne, tenevansi sempre sulle difese con un
contegno così feroce, che il più ardito e potente oppressore non
poteva non impaurire innanzi all'audacia della loro disperazione.
XVI. Erano tali, durante il regno di Carlo II, le condizioni della
Scozia. Quelle della Irlanda non erano meno triste. In quell'isola
esistevano contese, in paragone delle quali le più calde animosità
dei politici inglesi erano tiepide. L'inimicizia tra i Cavalieri e
le Teste-Rotonde d'Irlanda fu quasi dimenticata quando riarse più
feroce il conflitto tra la razza inglese e la celtica. La distanza
tra gli Episcopali e i Presbiteriani sembrava svanire in paragone di
quella che li separava(37) entrambi dai Papisti. Negli ultimi civili
perturbamenti, mezzo il suolo irlandese dalle mani de' vinti era
passato in quelle de' vincitori. Pochi de' vecchi o dei nuovi
occupanti meritavano il favore della Corona. Gli spogliatori e gli
spogliati erano, in massima parte, stati egualmente ribelli. Il
Governo divenne tosto perplesso, e stanco de' reclami e delle
scambievoli accuse delle due inferocite fazioni. Quei coloni, ai
quali Cromwell aveva distribuito il territorio conquistato, e i
discendenti de' quali chiamavansi tuttavia Cromwelliani, allegavano
che gli abitanti aborigeni erano nemici mortali della nazione
inglese sotto qualsifosse dinastia, e della religione protestante
sotto qualunque forma. Descrivevano ed esageravano le atrocità
commesse nella insurrezione di Ulster; incitavano il Re a seguitare
risolutamente la politica del Protettore; non avevano vergogna
d'affermare come non ci fosse da sperare mai pace in Irlanda, finchè
non venisse onninamente estirpata la vecchia razza irlandese. I
Cattolici Romani scusavansi come meglio potevano, e lamentavano con
tristi parole la severità delle loro pene; che, a dir vero, non
erano miti. Scongiuravano Carlo di non confondere lo innocente col
colpevole, e gli rammentavano che molti de' colpevoli avevano
espiato i loro falli ritornando alla obbedienza del loro sovrano, e
difendendo i diritti di lui contro gli assassini del suo genitore.
La Corte, nauseata dallo importunare di due partiti, nessuno de'
quali essa aveva cagione di amare, in fine volle liberarsi d'ogni
disturbo dettando un atto di concordia. Quel sistema crudele, ma
compito ed energico, che Oliviero erasi proposto onde rendere
affatto inglese quell'isola, venne abbandonato. I Cromwelliani
furono indotti a rendere un terzo dei loro beni; i quali vennero
capricciosamente distribuiti fra quei pretendenti che il Governo
volle favorire. Ma moltissimi che protestavano d'essere innocenti di
slealtà, e parecchi altri che menavano singolar vanto della lealtà
loro, non ottennero nè restituzione nè compensazione, ed empirono la
Francia e la Spagna di gridi contro la ingiustizia e la
ingratitudine della Casa degli Stuardi.
XVII. Intanto il Governo aveva, anche in Inghilterra, perduta la sua
popolarità. I realisti avevano cominciato a contendere con la Corte
e fra loro stessi; e la parte vinta, calpesta, e, come pareva,
annientata, ma che serbava tuttavia un vigoroso principio di vita,
alzò nuovamente il capo, e rinnovò la interminabile guerra.
Quando anche l'amministrazione avesse proceduto scevra di falli,
l'entusiasmo con che il popolo aveva salutato il ritorno del Re e la
fine della tirannide militare, non avrebbe potuto durare; avvegnachè
sia legge di natura, che a tali repentini eccitamenti tenga dietro
la calma. Il modo onde la Corte abusò della propria vittoria,
affrettò e rese compiuta cotesta calma. Ogni uomo moderato mal
pativa la insolenza, la crudeltà, la perfidia, con che venivano
trattati i non-conformisti. Le leggi penali avevano efficacemente
purgata la parte oppressa di quegli individui poco sinceri, i vizi
de' quali le scemavano la reputazione; e l'avevano resa di nuovo una
società di onesti uomini e pii. Il Puritano vincitore, governante,
persecutore, sequestratore, era stato aborrito, tradito,
bistrattato, abbandonato da' temporeggiatori che ne' giorni prosperi
gli avevano giurata fratellanza, cacciato via dal proprio tetto,
interdetto sotto pene severe a pregare o ricevere i sacramenti
secondo la propria coscienza; e, non ostante, sempre fermo nel
proposito di obbedire a Dio meglio che all'uomo, era, in onta a
certe spiacevoli rimembranze, obietto di pietà e riverenza a tutte
le menti diritte. Cotesti sentimenti divennero più forti allorchè
corse la voce che la Corte non intendeva trattare i Papisti col
medesimo rigore con che aveva trattati i Presbiteriani. Nacque in
cuore di molti il sospetto che il Re e il Duca non fossero
protestanti sinceri. Molti, oltre a ciò, che non avevano potuto
soffrire l'austerità ed ipocrisia de' Farisei della Repubblica,
cominciarono a sentire maggiore disgusto della impudente corruttela
della Corte e de' Cavalieri, e inclinavano a dubitare che l'austera
rigorosità di Laudaddio Barebone non fosse da preferirsi
all'oltraggiosa profanazione e licenza dei Buckingham e dei Sedley.
Anche quegli uomini immorali che non erano estranei al sentimento e
allo spirito pubblico, querelavansi vedendo il Governo trattare le
cose più gravi come pretti trastulli, e considerare le cose da nulla
come cose gravi. Poteva ad un Re perdonarsi ch'ei si svagasse col
vino, col brio, con le donne; ma era intollerabile ch'egli si
perdesse oziando e immerso ne' piaceri, che le più gravi faccende
dello Stato fossero trascurate, e che gli ufficiali pubblici
morissero di fame, mentre devastavansi le finanze onde arricchire
meretrici e parassiti.
Gran numero di realisti facevano eco a tali querimonie, ed
aggiungevano molte pungenti considerazioni intorno la ingratitudine
del Re. Veramente, le intere sue entrate non sarebbero bastate a
rimunerarli secondo ch'essi credevano di meritare. Perocchè, ad ogni
impoverito gentiluomo che aveva combattuto sotto Rupert o Derby, i
propri servigi parevano eminentemente meritorii, e i propri danni
eminentemente duri. Ciascuno aveva sperato, sia che si fosse degli
altri, ch'ei verrebbe con larghezza ricompensato di tutte le perdite
sostenute nelle lotte civili, e che la restaurazione della monarchia
avrebbe restaurato i suoi beni dilapidati. Nessuno di questi
speranzosi potè frenare lo sdegno, allorquando trovossi così povero
sotto il Re, come era stato sotto il Parlamento repubblicano o sotto
il Protettore. La negligenza e la stravaganza della Corte svegliò la
collera di cotesti leali veterani. Dicevano giustamente, che mezzi i
tesori che il Re profondeva a beneficio delle concubine e de'
buffoni, potevano racconsolare i cuori di centinaia de' vecchi
Cavalieri, i quali dopo d'avere abbattuti i boschi e fuse le
argenterie loro onde soccorrere il padre suo, adesso erravano
intorno in povero arnese, e non sapevano dove rivolgersi per un
tozzo di pane.
Nel tempo stesso, le rendite improvvisamente ribassarono. La entrata
d'ogni possidente di terre scemò di cinque scellini per ogni lira
sterlina. In ogni Contea del Regno levossi il grido della miseria
agricola; di che, secondo il costume, fu chiamato in colpa il
Governo. I gentiluomini, costretti a diminuire le loro spese,
vedevano con isdegno il crescente splendore e la profusione di
Whitehall, e fermamente credevano che la pecunia la quale doveva
servire al sostegno delle loro famiglie, era passata, in modo
inesplicabile, ai favoriti del Re.
Tutti gli animi, quindi, divennero esacerbati in guisa, che ogni
atto pubblico eccitava il malcontento. Carlo aveva sposata Caterina
principessa di Portogallo. Tale matrimonio generalmente dispiacque;
e le mormorazioni divennero più forti allorchè si conobbe che il Re
non aveva speranza di discendenti legittimi. Dunkerque, tolta alla
Spagna da Oliviero, fu venduta a Luigi XIV Re di Francia. Ciò
riaccese lo sdegno in cuore di tutti gl'Inglesi, i quali
cominciavano ad osservare con inquietudine il progresso della
potenza francese, e a sentire per la Casa de' Borboni ciò che gli
avi loro avevano sentito per la Casa d'Austria. Domandavano se fosse
cosa savia in tempo siffatto aggiungere forza ad una Monarchia
troppo formidabile. Dunkerque, inoltre, veniva considerata dal
popolo, non solamente come piazza d'armi e chiave de' Paesi Bassi,
ma anche come trofeo del valore inglese. Essa era per i sudditi di
Carlo ciò che Calais era stata pei loro antenati, e ciò che la rocca
di Gibilterra, difesa con tanto valore, in tempi pieni di disastri e
pericoli, contro le flotte e le armate di una potente coalizione, è
per noi stessi. La economia sarebbe stata una valida scusa, se
l'avesse allegata un Governo economo. Ma sapevano tutti che le spese
necessarie a mantenere Dunkerque erano frivole, di fronte alle somme
che nella Corte dissipavansi in vizi e follie. E' pareva cosa da non
potersi patire, che un sovrano smisuratamente prodigo in tutto ciò
che spettava ai propri piaceri, dovesse mostrarsi avaro in tutto ciò
che spettava alla sicurezza ed all'onore dello Stato.
Il pubblico malcontento si fece maggiore allorquando si conobbe che,
mentre Dunkerque erasi abbandonata sotto pretesto d'economia, la
fortezza di Tangeri, la quale era parte della dote della Regina
Caterina, fu riparata ed armata con enormi spese. Tangeri non
racchiudeva memorie gradite all'orgoglio nazionale; non poteva in
nessun modo promuovere gl'interessi della nazione; avvolgeva il
paese in una guerra ingloriosa, non proficua e interminabile, con le
semiselvagge tribù de' Mussulmani; ed era posta in un clima
grandemente nocivo alla sanità ed al vigore della razza inglese.
XVIII. Ma le mormorazioni provocate da cotesti falli erano deboli,
in agguaglio de' clamori che scoppiarono appena il Governo ebbe
dichiarata la guerra alle Provincie Unite. La Camera de' Comuni
sollecitamente votò somme di danaro senza esempio nella nostra
storia, somme superiori a quelle che erano bastate a mantenere le
flotte e le armate di Cromwell nel tempo in cui il suo potere faceva
tremare tutto il mondo. Ma fu tanta la stravaganza, la disonestà, la
incapacità de' suoi successori, che siffatta liberalità riuscì
peggio che inutile. Gli adulatori di Corte, inetti a contendere
contro i grandi uomini che allora comandavano le armi olandesi,
contro un uomo di Stato come De Witt, e contro un capitano come De
Ruytor, impinguaronsi con subiti guadagni; mentre i marinai
ammutinavansi per fame, gli arsenali rimanevano senza guardie, e le
navi erano sdrucite e prive di arnesi. In fine, fu risoluto di
abbandonare ogni pensiero di guerra offensiva; ma subito fu a tutti
manifesto, che anche una guerra difensiva era soma troppo grave per
il Governo. La flotta olandese si spinse su pel Tamigi, ed incendiò
le navi da guerra che stavano ancorate a Chatham. Si sparse la voce
che in quello stesso giorno in cui l'onore inglese rimase umiliato,
il Re gozzovigliava con le femmine del suo serraglio, e svagavasi
dando la caccia ad una farfalla dentro la sala da cena. Allora e' fu
che tarda giustizia venne resa alla memoria d'Oliviero. In ogni dove
magnificavasi il valore, lo ingegno, l'amor patrio di lui. In ogni
dove rammentavasi come, lui governante, tutti i potentati stranieri
tremassero al nome della Inghilterra; come gli Stati Generali,
adesso così altieri, gli si fossero rispettosamente inchinati: ed
appena si conobbe ch'ei più non era, la città d'Amsterdam venisse
tutta illuminata quasi in segno di liberazione, e i fanciulli
corressero attorno i canali gridando con gioia che il Diavolo era
morto. Anche i realisti esclamavano che lo Stato non poteva
salvarsi, se non chiamando sotto le armi i vecchi soldati della
Repubblica. Tosto la metropoli cominciò a provare le miserie
dell'assedio. Mancavano i combustibili. Il forte di Tilbury, luogo
d'onde Elisabetta aveva scherniti gli oltraggi di Parma e di Spagna,
venne insultato dagl'invasori. I cittadini di Londra, per la prima
ed ultima volta, udirono il rimbombo de' cannoni forestieri. Venne
proposto in Consiglio di abbandonare la Torre, qualora il nemico si
spingesse innanzi. Grosse torme di popolo accalcavano nelle strade
gridando che l'Inghilterra era venduta. Le case e i cocchi de'
Ministri furono aggrediti dalla plebaglia; e il Governo temeva di
dovere combattere a un tempo la invasione e la insurrezione. Vero è
che lo estremo pericolo durò poco. Venne concluso un trattato assai
diverso da quelli ai quali Oliviero aveva costume di apporre la
firma; e la nazione riebbe la pace, ma il suo contegno fu poco meno
minaccioso e tristo di quello che aveva mostrato nei giorni della
imposta per mantenere la flotta.
I mali umori generati dalla pessima amministrazione, furono
accresciuti da calamità che la migliore amministrazione non avrebbe
potuto scansare. Mentre inferociva la guerra ignominiosa con la
Olanda, Londra patì due disastri gravi che, in tempo si breve, non
afflissero mai tanto città nessuna. Una pestilenza, assai più
orribile di qualunque altra nello spazio di tre secoli avesse
visitata l'isola, mieté in sei mesi centomila e più creature umane;
ed appena i carri mortuari avevano cessato di andare attorno, quando
un incendio, quale non s'era mai veduto in Europa dopo il
bruciamento di Roma sotto Nerone, ridusse in rovine la città tutta
quanta, dalla Torre fino al Tempio, e dal fiume sino a Smithfield.
XIX. Se, mentre la nazione travagliavasi fra tante sciagure e tante
umiliazioni, vi fosse stata una elezione generale, le Teste-Rotonde
avrebbero probabilmente riacquistata la preponderanza nello Stato.
Ma il Parlamento era tuttavia popolato di Cavalieri, eletti nello
entusiasmo della lealtà che aveva seguita la Restaurazione.
Nondimeno, tosto fu noto a tutti che nessuna Legislatura Inglese,
leale quanto si volesse, si terrebbe paga d'essere ciò che la
Legislatura era stata sotto i Tudors. Dalla morte d'Elisabetta fino
alla vigilia della guerra civile, i Puritani che predominavano nel
corpo rappresentativo, avevano sempre più, destramente adoperando il
potere della borsa, usurpato nel campo del Potere Esecutivo. I
gentiluomini, i quali, dopo la Restaurazione, sedevano nella Camera
Bassa, comecchè abborrissero il nome de' Puritani, erano lieti di
avere raccolti i frutti della politica puritana. Certo, desideravano
molto di valersi del potere che esercitavano nello Stato, onde
rendere il Re potente e rispettato dentro il Regno e fuori: ma erano
determinati a non lasciarsi privare di tale potere. La grande
rivoluzione inglese del secolo decimosettimo, val quanto dire il
trapasso del supremo sindacato dell'amministrazione esecutiva dalla
Corona alla Camera de' Comuni, procedette, durante la lunga
esistenza di quel Parlamento, con rapidità e fermezza. Carlo,
impoverito da' suoi vizi e dalle sue follie, aveva mestieri di
danari, e non poteva procacciarsene se non per concessione de'
Comuni; ai quali non poteva impedirsi di porre a prezzo le loro
concessioni. Il prezzo che vi posero fu questo, che venisse loro
conceduto d'immischiarsi in ciascuna delle prerogative del Re; di
forzarlo ad approvare le leggi che a lui spiacessero; licenziare
Ministeri; dettare la condotta da tenersi nella politica estera, ed
anche dirigere l'amministrazione della guerra. All'ufficio ed alla
persona del Re professavansi altamente affettuosi e devoti. Ma
ricusavano di obbedire a Clarendon, e gli si scagliarono contro, con
furore pari a quello con che i loro predecessori avevano tempestato
Strafford.
XX. Le virtù e i vizi di quel Ministro cooperarono alla sua ruina.
Era il capo apparente dell'amministrazione, e quindi veniva
considerato mallevadore anche di quegli atti ai quali fortemente, ma
invano, erasi opposto in Consiglio. I Puritani, e tutti coloro che
ne sentivano pietà, lo reputavano qual bacchettone implacabile, un
secondo Laud, fornito di maggiore intelligenza. Aveva sempre
sostenuto che l'Atto d'Indennità dovesse rigorosamente osservarsi;
ed in ciò la sua condotta, quantunque fosse per lui singolarmente
onorevole, lo rese odioso a tutti quei realisti, i quali bramavano
di rifarsi delle perdite sostenute nelle sostanze, citando le
Teste-Rotonde a pagare i danni. I Presbiteriani di Scozia gli
attribuivano la caduta della loro Chiesa. I Papisti d'Irlanda lo
addebitavano della perdita delle loro terre. Come padre della
Duchessa di York, aveva cagione a desiderare che la Regina fosse
sterile; e però cadde in sospetto di avere proposta al Re una sposa
che non poteva dargli prole. La vendita di Dunkerque venne a lui
giustamente ascritta. Con meno giustizia gli chiedevano ragione
della guerra con la Olanda. La sua indole accensibile, l'arrogante
contegno, la impudente avidità di ricchezze, la ostentazione con che
le profondeva, la sua pinacoteca piena dei capolavori di Vandyke che
un tempo avevano adornate le sale degli impoveriti Cavalieri, il suo
palagio che spiegava una lunga e magnifica facciata di contro alla
reggia di più umile aspetto, gli provocarono contro molte meritate e
non meritate censure. Quando la flotta olandese era nelle acque del
Tamigi, la rabbia del popolaccio si scagliò precipuamente contro il
Cancelliere. Gli ruppero le finestre, gli devastarono il giardino, e
inalzarono una forca dinanzi alla sua casa. Ma in nessun luogo era
tanto detestato, quanto nella Camera de' Comuni. Non vedeva come
celeremente si approssimasse il tempo in cui la Camera, seguitando
ad esistere, diventerebbe il potere supremo nello Stato; il
governarla sarebbe la parte più importante della politica; e senza
l'aiuto di uomini che padroneggiassero le orecchie di cotesta
Camera, sarebbe impossibile tirare innanzi il Governo. Ei persisteva
ostinatamente a considerare il Parlamento come un corpo in nulla
diverso da quello che esisteva quaranta anni innanzi, allorchè egli
si pose a studiare Diritto nel Tempio. Non intendeva a privare la
legislatura de' poteri ad essa inerenti secondo l'antica
Costituzione del Regno; ma il nuovo esplicamento di cosiffatti
poteri, quantunque fosse naturale, inevitabile, e da non potersi
fermare se non se distruggendoli affatto, spiacevagli e lo metteva
in paura. Niuna cosa lo avrebbe indotto ad apporre il gran sigillo a
un decreto fatto ad esigere la imposizione per le navi, o votare in
Consiglio di chiudere dentro la Torre un membro del Parlamento, reo
di avere liberamente favellato in una discussione: ma quando la
Camera de' Comuni cominciò a voler sapere in che modo il denaro
votato per la guerra era stato speso, e togliere ad esame la pessima
amministrazione della flotta, egli arse di sdegno. Tale esame,
secondo lui, era fuori delle attribuzioni della Camera. Ammetteva
che essa era una Assemblea lealissima, che aveva resi buoni servigi
alla Corona, e che le sue intenzioni erano ottime; ma, tanto in
pubblico quanto in privato, ei coglieva ogni destro per manifestare
la propria inquietudine nel vedere gentiluomini così affettuosi
della Monarchia, invadere sconsigliatamente le prerogative del
Monarca. Diceva che, comunque lo spirito loro differisse grandemente
da quello de' membri del Lungo Parlamento, nulladimeno gli imitavano
mestando in cose che stavano oltre la sfera degli Stati del reame,
ed erano soggette all'autorità sola della Corona. Affermava che il
paese non sarebbe mai governato convenevolmente, finchè i
rappresentanti delle Contee e de' borghi non fossero paghi di essere
ciò che i loro predecessori erano stati nei tempi di Elisabetta.
Respinse sdegnosamente, come indigesti progetti, incompatibili con
l'antica politica inglese, tutti que' disegni che uomini assai più
di lui conoscitori de' sociali bisogni proponevano a fine di
mantenere la buona intelligenza tra la Corte e i Comuni. Il suo
contegno verso gli oratori giovani che andavano acquistando
reputazione ed autorità nella Camera Bassa, era sgraziato: gli
riuscì di renderseli, forse senza eccettuarne nè anche un solo,
mortali nemici. A vero dire, uno de' suoi falli più gravi fu lo
stemperato dispregio ch'egli affettava per la gioventù; dispregio
tanto meno giustificabile, in quanto la esperienza che aveva nella
politica inglese non era affatto proporzionata alla età sua.
Imperciocchè era vissuto tanti anni lungi dalla patria, ch'ei
conosceva la società fra mezzo alla quale trovossi appena ritornato,
meno di quanto la conoscessero molti uomini che avrebbero potuto
essergli figli.
Per tali ragioni, la Camera de' Comuni non lo poteva patire; mentre
per ragioni assai diverse ei non piaceva alla Corte. La sua morale,
non che la sua politica, erano quelle della precedente generazione.
Anco quando studiava Diritto, vivendo in compagnia di giovani amanti
del brio e de' piaceri, la sua gravità naturale e i suoi principii
religiosi lo avevano preservato dal contagio delle dissolutezze in
voga: non era, dunque, verosimile che negli anni maturi diventasse
libertino. I vizi degli allegri giovani ei guardava con quasi tanta
avversione acre e sprezzante, quanta ne sentiva per gli errori
teologici de' settari. Non lasciava mai fuggire il destro di
schernire i mimi, i folleggianti e i cortigiani che riempivano la
reggia; e gli ammonimenti che dava al Re stesso erano molto
pungenti, e - il che anco più spiaceva a Carlo - molto prolissi. Nè
anche una voce levossi a difendere un Ministro colpito dall'odio dei
falli che provocavano il furore del popolo, e da quello delle virtù
che tornavano moleste e importune al sovrano. Southampton non era
più. Ormond compì i doveri d'amicizia con energia e fedeltà, ma
invano. Il Cancelliere fu avvolto in una grande rovina. Il Re gli
tolse i sigilli; la Camera de' Comuni lo pose in istato d'accusa; la
sua vita non rimase sicura; ei fuggì dal paese; un editto lo dannava
ad esilio perpetuo; e coloro che lo avevano assalito, minandogli il
terreno di sotto ai piedi, si misero a contendere per dividersi le
spoglie del caduto.
Il sacrificio di Clarendon ammorzò un poco la sete di vendetta che
ardeva nel popolo. Nondimeno, l'ira sua, rieccitata dalla profusione
e dalla negligenza del Governo, e dalla pessima condotta della
ultima guerra, non era per nulla spenta. I consiglieri di Carlo,
tenendo dinanzi agli occhi la miseranda sorte del Cancelliere,
trepidavano per la propria sicurezza. Avvertirono, quindi, il loro
signore a calmare la irritazione che prevaleva nel Parlamento e per
tutto il paese, ed a tal fine appigliarsi ad un provvedimento che
non ha nulla di simile nella storia degli Stuardi, e che era degno
della prudenza e magnanimità d'Oliviero.
XXI. Siamo adesso pervenuti ad un punto, in cui la storia della
grande rivoluzione inglese principia a complicarsi con la storia
della politica straniera. La potenza spagnuola veniva, da molti
anni, volgendo in basso. Egli è vero che possedeva tuttavia in
Europa il Milanese, le Due Sicilie, il Belgio e la Franca Contea; e
che in America i suoi dominii distendevansi da ambi i lati dello
equatore, al di là de' confini della zona torrida. Ma cotesto grande
corpo era stato colpito da paralisi, e non solo era incapace di
molestare gli altri Stati, ma non valeva, senza l'altrui soccorso, a
respingere l'aggressione. La Francia, senza nessun dubbio, era la
più grande delle Potenze europee. I suoi mezzi d'allora in poi sono
venuti sempre crescendo, ma non così celeremente come quelli
dell'Inghilterra. È uopo rammentare, che centottanta anni fa, lo
Impero di Russia era affatto fuori del sistema politico d'Europa, al
pari dell'Abissinia o del Siam; che la casa di Brandeburgo era
appena più potente di quella di Savoia; e che la Repubblica degli
Stati-Uniti non esisteva affatto. La potenza francese quindi, benchè
tuttora sia considerevole, è relativamente scemata. Il suo
territorio ai tempi di Luigi XIV non era esteso come ai dì nostri;
ma era grande, unito, fertile, bene adatto all'offesa ed alla
difesa, posto sotto un bel clima, e popolato da genti valorose,
operose ed industri. Lo Stato era implicitamente retto da una sola
mente suprema. I grandi feudi, che, trecento anni avanti, erano in
tutto, tranne nel nome solo, principati indipendenti, erano stati
annessi alla Corona. Solo pochi vecchi potevano rammentarsi
dell'ultima ragunanza degli Stati Generali. La resistenza che gli
Ugonotti, i Nobili e i Parlamenti avevano opposta al regio potere,
era stata annientata da' due grandi Cardinali, che per lo spazio di
quaranta anni avevano governata la nazione. Il Governo era un pretto
dispotismo; ma, almeno verso le classi elevate, dispotismo mite e
generoso, e temperato da modi cortesi e da sentimenti cavallereschi.
I mezzi de' quali poteva disporre il Sovrano, erano per quell'età
veramente formidabili. La sua rendita, riscossa, a dir vero, per
mezzo di tassazioni severe ed ineguali, che pesavano gravemente
sopra i coltivatori del suolo, sorpassava d'assai quella d'ogni
altro potentato. Il suo esercito, egregiamente disciplinato e
comandato dai più grandi Generali che allora vivessero, era già
composto di centoventi e più mila uomini. Tanto numero di truppe
regolari non s'era mai veduto in Europa, dalla caduta dello Impero
Romano in poi. Tra le Potenze marittime, la Francia non era la
prima. Ma, comecchè avesse rivali, non era inferiore a nessuna. Era
tale la sua forza negli ultimi quaranta anni del secolo
decimosettimo, che nessun nemico poteva da sé solo resisterle; e due
grandi coalizioni, nelle quali mezza la Cristianità le moveva
contro, non ebbero prospero successo.
XXII. Le doti personali del Re francese accrescevano il rispetto che
veniva ispirato dal potere e dalla importanza del suo reame. Non vi
fu mai Sovrano che rappresentasse con più dignità e grazia la maestà
d'un grande Stato. Egli era il suo proprio primo Ministro, e,
compiva i doveri di quell'arduo ufficio con tale abilità ed
industria, che non potevano a ragione aspettarsi in un uomo che fino
dalla infanzia aveva portata la Corona, ed era stato circondato da
una folla d'adulatori innanzi che fosse in istato di parlare. Aveva
mostrato di possedere in grado eminente due pregii inestimabili in
un principe: lo ingegno, cioè, di scegliere i suoi servi; e quello
di addossare a sè stesso la parte precipua del credito degli atti
loro. Nelle relazioni co' potentati stranieri fu alquanto generoso,
ma non mai giusto. Agli alleati infelici, i quali gettavansi ai suoi
piedi, e non avevano altra speranza che nella sua commiserazione,
largì la propria protezione con disinteresse romantico, che sembrava
meglio convenire ad un cavaliere errante, che ad un uomo di Stato.
Ma ruppe senza scrupolo o vergogna i vincoli più sacri della fede
pubblica, ogni qualvolta essi toccavano il suo interesse, o ciò che
egli chiamava sua gloria. La sua perfidia e violenza, nondimeno,
eccitavano meno inimicizia di quello che facesse la insolenza con
che rammentava di continuo ai vicini la sua grandezza e la
piccolezza loro. In quel tempo non era caduto in quell'austera
divozione, la quale poscia dètte alla sua Corte la sembianza d'un
monastero. Era invece licenzioso, benchè non così frivolo ed
indolente, come il suo confratello d'Inghilterra. Era sinceramente
cattolico romano; e la coscienza e la vanità sue lo spingevano a
adoperare la propria possanza onde difendere e propagare la vera
fede, secondo lo esempio de' suoi famosi predecessori, Clodoveo,
Carlomagno e San Luigi.
I nostri antichi consideravano con grave sospizione la crescente
potenza della Francia. Tale sentimento, in sè perfettamente
ragionevole, era misto ad altri meno degni di lode. La Francia era
nostra vecchia nemica. Contro essa erano state combattute le
battaglie più famose di cui facessero ricordo gli annali nostri. Il
conquisto della Francia era stato due volte fatto dai Plantageneti.
La perdita della Francia era stata lungo tempo rammentata come un
grande disastro nazionale. Del titolo di Re di Francia seguitavano
ad insignirsi i nostri Sovrani. I gigli di Francia apparivano
commisti coi nostri Leoni sull'arme della Casa degli Stuardi. Nel
secolo sedicesimo il timore ispirato dalla Spagna aveva sospesa
l'animosità alla quale dapprima era stato obietto la Francia. Ma la
paura fattaci dalla Spagna era terminata in una sprezzante
commiserazione; e la Francia venne nuovamente considerata come
nostra nemica nazionale. La vendita di Dunkerque fatta alla Francia,
era stata l'atto più impopolare della Monarchia restaurata.
L'affetto verso la Francia era uno de' principali delitti di che la
Camera de' Comuni accusava Clarendon. Perfino nelle inezie
mostravasi il pubblico sentire. Quando nelle strade di Westminster
seguì un tafferuglio tra i familiari della Legazione Francese e quei
della Spagnuola, la plebaglia, comecchè dalla forza fosse impedita
d'immischiarvisi, aveva dati manifestissimi segni che provavano come
il vecchio abborrimento vivesse tuttavia.
La Francia e la Spagna erano allora ravvolte in una gravissima
contesa. Uno de' fini precipui della politica di Luigi, fine al
quale egli tenne dietro per tutta la sua vita, era quello di
estendere i suoi dominii sino al Reno. A tale scopo aveva mossa
guerra alla Spagna, e già proseguiva prosperamente le proprie
conquiste. Le Provincia Unite vedevano con timore il progresso delle
armi francesi. Quella rinomata Confederazione era pervenuta ad
altezza di possanza, prosperità e gloria. Il territorio batavo,
contrastato alle onde marine, e difeso contro esse dall'arte
dell'uomo, era per estensione poco più del Principato di Galles. Ma
tutto quello angusto spazio era una specie di operoso ed affollato
alveare, in cui ogni giorno producevansi ricchezze nuove, ed
accumulavansi in vaste masse le antiche. Lo aspetto dell'Olanda, la
ricca coltivazione, gl'innumerevoli canali, i molini sempre in
attività, lo infinito numero di barche, le grandi città sparse a
poca distanza l'una dall'altra, i porti affollati di migliaia di
navi, i grandi e maestosi edifizi, le ville eleganti, gli
appartamenti splendidamente addobbati, le gallerie di pitture, le
logge, i campi fioriti di tulipani, producevano nell'animo de'
viaggiatori inglesi di que' giorni lo effetto che ai nostri produce
la vista dell'Inghilterra nella mente di un abitatore della Norvegia
o del Canadà. Gli Stati Generali furono costretti ad umiliarsi al
cospetto di Cromwell. Ma dopo la Restaurazione, presero la
rivincita, guerreggiando prosperamente contro Carlo, e concludendo
una pace a patti onorevoli. Per quanto ricca, però, fosse la
Repubblica ed altamente rispettata in Europa, non poteva resistere
alla potenza di Luigi. Sospettava, non senza cagione, che il Regno
Francese si potesse estendere fino ai batavi confini, ed aveva da
temere la immediata vicinanza di un monarca così grande, ambizioso e
scevro di scrupoli. Eppure, non era cosa facile trovare un
espediente che potesse allontanare il pericolo. I soli Olandesi non
potevano far traboccare la bilancia contro la Francia. Dalla parte
del Reno non erano da aspettarsi aiuti nessuni. Alcuni Principi
germanici s'erano fatti parteggiatori di Luigi, e lo stesso
Imperatore tenevano impacciato i malcontenti degli Ungheri. La
Inghilterra era separata dalle Provincie Unite per la rimembranza
de' danni crudeli di recente inflitti e patiti; e la sua politica,
dopo la Restaurazione, era stata cotanto scema di saviezza e di
spirito, che era appena possibile lo sperarne un valido aiuto.
Ma la sorte di Clarendon, e i crescenti malumori del Parlamento,
spinsero i consiglieri di Carlo a adottare repentinamente una
politica che maravigliò ed empì di gioia la nazione.
XXIII. Sir Guglielmo Temple, agente inglese in Brusselles, uno dei
più esperti diplomatici e de' più dilettevoli scrittori di
quell'età, aveva già fatto sapere alla propria Corte, come fosse
desiderabile ed insieme agevole trattare cogli Stati Generali, onde
far fronte al progresso della Francia. Per un certo tempo le sue
suggestioni erano state poste in non cale; ma adesso fu reputato
utile seguirle. A lui, dunque, fu commesso di negoziare cogli Stati
Generali. Si condusse all'Aja, e tosto s'accordò con Giovanni De
Witt, che allora era primo Ministro d'Olanda. La Svezia, per quanto
piccoli fossero i suoi mezzi, erasi quaranta anni innanzi, mercè il
genio di Gustavo Adolfo, innalzata ad eminente grado fra i potentati
europei, e non era per anche discesa alla sua naturale posizione.
Nella riferita occasione, essa venne indotta a collegarsi alla
Inghilterra ed agli Stati. In tal guisa formossi quella coalizione
conosciuta sotto il nome di Triplice Alleanza. Luigi mostrò
d'esserne vessato, e di provarne risentimento; ma non reputò atto di
sana politica il tirarsi addosso le ostilità d'una tanta
confederazione, che aggiungevansi a quelle della Spagna. Assentì
quindi ad abbandonare una gran parte del territorio occupato
dall'armi sue. L'Europa riebbe la pace, e il Governo Inglese, che
poco innanzi era universalmente spregiato, venne per pochi mesi
considerato dalle Potenze straniere con rispetto quasi uguale a
quello che il Protettore aveva ad esse ispirato.
Dentro lo Stato, la Triplice Alleanza era oltremodo popolare, come
quella che ad un tempo satisfaceva l'animosità nazionale, e il
nazionale orgoglio. Poneva un confine alle usurpazioni d'un potente
ed ambizioso vicino. Avvincolava in istretta unione i principali
Stati protestanti. Le Teste-Rotonde e i Cavalieri ne gioivano
egualmente: ma la gioia degli uni era maggiore di quella degl'altri;
imperciocchè la Inghilterra erasi intimamente collegata con un paese
di governo repubblicano e di religione presbiteriana, contro un
paese retto da un principe arbitrario, ed affezionato alla Chiesa
Cattolico-Romana. La Camera de' Comuni plaudì clamorosamente al
trattato; ed alcuni mormoratori non cortigiani lo chiamarono l'unico
atto lodevole che il Re avesse mai fatto, dopo la ristaurazione del
trono.
XXIV. Il Re, nulladimeno, davasi poco pensiero dell'approvazione del
Parlamento o del popolo. Considerava la Triplice Alleanza solo come
un espediente temporaneo a calmare il malcontento, che accennava di
farsi grave. La indipendenza, la sicurtà, la dignità della nazione
alla quale ei presedeva, erano nulla agli occhi suoi. Aveva
cominciato a trovare incomode le limitazioni costituzionali. Erasi
già formata nel Parlamento una forte colleganza, conosciuta sotto il
nome di partito patriottico. Comprendeva tutti gli uomini pubblici
che inchinavano alla repubblica e al puritanismo, e molti altri i
quali, quantunque aderenti alla Chiesa stabilita e alla Monarchia
ereditaria, erano stati tratti alla opposizione dalla paura del
papismo, dalla paura della Francia, e dal disgusto che sentivano
della stravaganza, dissolutezza e perfidia della Corte. La potenza
di cotesta legione di uomini politici andava ognora crescendo.
Ciascun anno, alcuni di que' rappresentanti che erano stati rieletti
durante lo entusiasmo di lealtà del 1661, tiravansi da parte, e i
seggi vacanti venivano generalmente occupati da individui meno
docili. Carlo non estimavasi vero Re, finchè un'Assemblea di sudditi
poteva chiamarlo al rendimento de' conti, innanzi che egli avesse
pagati i suoi debiti, ed insistere onde conoscere quale delle sue
amanti o de' suoi cortigiani si fosse appropriata la pecunia
destinata ad equipaggiare la flotta. Comecchè egli non fosse molto
studioso della propria reputazione, sentiva molestia degli insulti
che talora gli lanciavano nelle discussioni della Camera de' Comuni;
ed una volta tentò d'infrenare, con mezzi vergognosi, la libertà
della parola. Sir Giovanni Coventry, gentiluomo di provincia, aveva
in una discussione schernite le dissolutezze della Corte. In
qualunque de' regni antecedenti, sarebbe stato, probabilmente
chiamato avanti al Consiglio Privato, e imprigionato dentro la
Torre. Adesso il Governo procedè in modo diverso. Una banda di
sicari fu di soppiatto mandata a tagliare il naso al colpevole.
Cotesta schifosa vendetta, invece di domare lo spirito della
opposizione, eccitò tale procella, che il Re fu astretto a
sobbarcarsi alla crudele umiliazione di approvare uno Statuto di
morte infamante che colpiva i ministri della sua vendetta, e che gli
tolse dalle mani il potere di perdonarli.
Ma, per quanto fosse impaziente del freno costituzionale, in che
guisa poteva egli emanciparsene? Poteva rendersi dispotico soltanto
con lo aiuto di un grande esercito stanziale, e siffatto esercito
non esisteva. Con le sue rendite poteva, a dir vero, mantenere un
certo numero di milizie regolari; ma esse, comunque fossero tante da
eccitare gelosia e sospetto nella Camera de' Comuni e nel paese,
bastavano appena a proteggere Whitehall e la Torre contro una
insurrezione della plebe di Londra. E v'era ragione di temere
simiglianti insurrezioni, poichè sapevasi pur troppo, che nella
città e ne' suburbii esistevano non meno di ventimila de' vecchi
soldati d'Oliviero.
XXV. Poichè il Re ebbe stabilito di emanciparsi dal sindacato del
Parlamento, e poichè a tanta impresa non poteva sperare aiuti dentro
lo Stato, reputò necessario procacciarseli fuori. La potenza e
ricchezza della Francia erano bastevoli all'ardua prova di stabilire
la monarchia assoluta in Inghilterra. Cosiffatto alleato doveva
indubitabilmente aspettarsi segni di gratitudine per un tanto
servigio. Era, però, mestieri che Carlo scendesse al grado di un
grande vassallo, e facesse guerra o pace ad arbitrio del Governo che
lo proteggeva. Le sue relazioni con Luigi sarebbero state
strettamente simili a quelle in che il Rajah di Nagpore e il Re di
Oude oggidì stanno verso il Governo Inglese. Cotesti principi hanno
debito di aiutare la Compagnia delle Indie Orientali in ogni
ostilità difensiva ed offensiva, e di non avere altre relazioni
diplomatiche che quelle le quali vengono sanzionate dalla predetta
Compagnia. Questa, in compenso, li assicura contro ogni
insurrezione. Fino a che essi fedelmente adempiono agli obblighi
loro verso il potere sovrano, hanno licenza di disporre di grosse
rendite, empire i loro palagi di belle donne, abbrutirsi in
compagnia de' loro dissoluti cortigiani, ed opprimere impunemente
qualunque de' sudditi diventi segno all'ira loro. Simigliante vita
sarebbe insoffribile ad un uomo di spirito altero e di potente
intendimento. Ma a Carlo, uomo sensuale, pigro, inetto ad ogni forte
opera di mente, e privo d'ogni sentimento di amor patrio e di
dignità personale, quel prospetto di degradata esistenza non era
niente spiacevole.
Parrà cosa straordinaria che il Duca di York cooperasse al disegno
di degradare la Corona, che probabilmente un giorno egli avrebbe
portata: imperocchè la indole sua era altera ed imperiosa; e
veramente, seguitò fino all'ultimo a mostrare, secondo che si
presentava il destro, con risentimenti e lotte, come mal tollerasse
il giogo francese. Ma la superstizione gli aveva deturpata l'anima
tanto, quanto la indolenza e il vizio avevano corrotta quella del
suo fratello. Giacomo era già cattolico romano. La bacchettoneria
era diventata il sentimento predominante della sua mente angusta e
inflessibile, ed erasi cotanto confusa con lo amore di governare,
che le due passioni mal potevano l'una dall'altra distinguersi. E'
pareva molto improbabile che egli, senza aiuto straniero potesse
ottenere il predominio o anche la tolleranza della sua propria fede;
ed era siffattamente temprato, da non vedere nulla di umiliante in
qualunque atto che valesse a giovare gl'interessi della vera Chiesa.
Si iniziarono negoziati, che durarono parecchi mesi. Lo agente
precipuo tra la Corte inglese e la francese fu la bella, graziosa ed
accorta Enrichetta duchessa d'Orleans, sorella di Carlo, cognata di
Luigi, e caramente diletta ad entrambi. Il Re d'Inghilterra si
profferse a dichiararsi cattolico romano, sciogliere la Triplice
Alleanza, e collegarsi con la Francia contro la Olanda, ove la
Francia gli apprestasse gli aiuti pecuniari e militari di che egli
avesse mestieri per rendersi indipendente dal suo Parlamento. Luigi,
in sulle prime, simulò di ricevere freddamente tali proposte, e
infine accettolle col contegno di chi accordi un grande favore; ma
veramente, la via per cui s'era messo era tale, ch'egli ci poteva
sempre guadagnare, e non perdere.
XXVI. Pare certo ch'egli non avesse mai avuto serio pensiero di
stabilire il dispotismo e il papismo in Inghilterra con la forza
delle armi. Doveva accorgersi che tanta impresa sarebbe stata ardua
e rischiosa; che per anni molti avrebbe tenute occupate tutte le
energie della Francia; e che sarebbe stata affatto incompatibile con
altre e più praticabili idee d'ingrandimento, molto care al suo
cuore. Avrebbe volentieri acquistato il merito e la gloria di
rendere, a patti ragionevoli, un grande servigio alla sua propria
Chiesa: ma era poco inchinevole a imitare i suoi antenati, i quali,
ne' secoli duodecimo e tredicesimo, avevano condotto il fiore della
cavalleria francese a morire nella Siria e nello Egitto; e bene
conosceva che una crociata contro il protestantismo in Inghilterra,
non sarebbe stata meno pericolosa delle spedizioni in cui erano
perite le milizie di Luigi VII e di Luigi IX. Non aveva cagione a
desiderare che gli Stuardi fossero principi assoluti. Non
considerava la Costituzione inglese con sentimento simile a quello
che in tempi posteriori spinse i Principi a muovere guerra alle
libere istituzioni de' popoli vicini. Ai dì nostri, un gran partito
zelante del Governo popolare, conta proseliti in ogni paese
incivilito. Ogni vittoria ch'esso in qualunque luogo riporti, non
manca di svegliare un generale commovimento. Non è quindi a
maravigliare che i Governi, minacciati da un pericolo comune,
concordino ad assicurarsi vicendevolmente. Ma nel secolo
decimosettimo tale periglio non esisteva. Tra il pubblico sentire
dell'Inghilterra e il pubblico sentire della Francia, era un abisso.
Le nostre istituzioni e fazioni erano tanto poco intese in Parigi,
quanto in Costantinopoli. È da dubitarsi se nè anche uno dei
quaranta membri dell'Accademia Francese avesse nella propria
biblioteca un solo libro inglese, e conoscesse solo di nome
Shakspeare, Johnson o Spenser. Pochi Ugonotti, eredi dello spirito
de' proprii antenati, potevano forse consentire con le
Teste-Rotonde, loro confratelli nella fede; ma gli Ugonotti più non
erano formidabili. I Francesi, come corpo, affettuosi alla Chiesa di
Roma, ed orgogliosi della grandezza del Re loro e della propria
lealtà, guardavano le nostre lotte contro il papismo e il potere
arbitrario, non solo senza ammirazione o simpatia, ma con forte
disapprovazione e disgusto. Sarebbe, adunque, grave errore
attribuire la condotta di Luigi a timori simili in tutto a quelli
che, nell'età nostra, indussero la Santa Alleanza ad immischiarsi
nelle faccende interne di Napoli e di Spagna.
Ciò non ostante, le proposte fatte dalla Corte di Whitehall giunsero
a Luigi gradite singolarmente. Meditava già i giganteschi disegni,
che tennero poscia per quaranta anni in perpetuo commovimento tutta
l'Europa. Voleva umiliare le Provincie Unite, ed incorporare ai
propri dominii il Belgio, la Franca Contea e la Lorena. Nè ciò era
tutto. Essendo il Re di Spagna un fanciullo malaticcio, era
verosimile morisse senza prole. La sorella maggiore di costui era
Regina di Francia. Era quasi certo arrivasse il giorno - e poteva
arrivare presto - in cui la casa de' Borboni avesse a produrre i
suoi diritti a quel vasto Impero, sul quale il sole non tramontava
giammai. La congiunzione di due grandi monarchie sotto una sola
Corona, sarebbe senza alcun dubbio stata avversata da una coalizione
continentale; per resistere alla quale il solo braccio della Francia
bastava. Ma l'Inghilterra poteva far traboccare la bilancia. Dalla
parte da che l'Inghilterra si sarebbe messa in tale occasione,
dipendevano i destini del mondo; ed era a tutti manifesto, che il
Parlamento e la nazione inglese aderivano fortemente alla politica
che aveva dettata la Triplice Alleanza. Nulla, quindi, poteva essere
tanto grato a Luigi, quanto il sapere che i principi della casa
degli Stuardi avevano mestieri del suo aiuto, ed erano vogliosi di
acquistarlo a prezzo di illimitata sottomissione. Deliberato di
giovarsi del destro, formò per uso proprio un sistema d'azione, dal
quale non si scostò mai, finchè sopraggiunse la rivoluzione del 1688
a sconcertargli ogni politico disegno. Si confessò desideroso di
compiacere alla Corte inglese; promise grandi aiuti. Di quando in
quando ne largì tanti, quanti servissero a tenere viva la speranza,
e quanti ne potesse senza rischio o inconvenevolezza offerire. In
tal guisa, con una spesa molto minore di quella ch'egli sostenne a
erigere e decorare Versailles e Marli, gli riuscì di rendere la
Inghilterra, per circa venti anni, parte quasi così frivola del
sistema politico europeo, come lo è, a' giorni nostri la Repubblica
di San Marino.
Era suo scopo non già distruggere la nostra Costituzione, ma tenere
i vari elementi onde era composta, in perenne conflitto, e rendere
irreconciliabilmente nemici coloro che avevano il potere della
borsa, e coloro che avevano il potere della spada. A tal fine,
comperava ed irritava a vicenda ambe le parti; pensionava, nel tempo
stesso, i Ministri della Corona e i capi della opposizione;
incoraggiava la Corte ad opporsi alle usurpazioni sediziose del
Parlamento; e faceva spargere nel Parlamento susurri intorno ai
disegni arbitrali della Corte.
Uno degli espedienti ai quali appigliossi col proposito di
predominare nei Consigli inglesi, è peculiarmente degno d'essere
rammentato. Carlo, quantunque fosse incapace di sentire amore nel
senso più alto del vocabolo, era schiavo d'ogni donna che con la
beltà della persona eccitasse le voglie, e coi modi e con le ciarle
allegrasse gli ozi di lui. Davvero, verrebbe meritamente deriso quel
marito che soffrisse da una moglie d'alto lignaggio e d'intemerata
virtù mezze le inscienze che il Re d'Inghilterra tollerava dalle sue
concubine; le quali, mentre a lui solo andavano debitrici d'ogni
cosa, carezzavano, quasi innanzi agli occhi suoi, i suoi cortigiani.
Aveva pazientemente sopportato le sfrontate ire di Barbara Palmer, e
la impertinente vivacità di Eleonora Gwynn. Luigi pensò che il più
utile ambasciatore che egli potesse mandare a Londra, sarebbe stata
una bella, licenziosa ed intrigante donna francese. La eletta fu
Luisa, dama della casa di Querouaille, che i nostri rozzi antenati
chiamavano Madama Carwell. Costei trionfò tosto di tutte le sue
rivali, fu creata Duchessa di Portsmouth, colmata di ricchezze, ed
ottenne un impero che finì con la vita di Carlo.
XXVII. I patti più importanti dell'alleanza tra le due Corone,
vennero formulati in un trattato secreto, che fu stipulato in Dover
nel maggio del 1670, dieci anni dopo il giorno in cui Carlo era
approdato a quel luogo medesimo fra le acclamazioni e le lacrime di
gioia del troppo fidente popolo.
Per virtù di tale trattato, Carlo obbligavasi a professare
pubblicamente la religione cattolica romana; a congiungere le
proprie armi con quelle di Luigi, onde distruggere il potere delle
Provincie Unite; e adoperare le intere forze dell'Inghilterra, per
terra e per mare, a sostegno de' diritti della Casa de' Borboni alla
vasta Monarchia Spagnuola. Luigi, da parte sua, impegnavasi a pagare
grossi sussidi; e prometteva che, qualora scoppiasse in Inghilterra
una insurrezione, avrebbe mandata a proprie spese un'armata, onde
sostenere il suo alleato.
Cotesto patto fu fatto con tristi auspicii. Sei settimane dopo
d'essere stato munito delle firme e de' sigilli, la bella
principessa, la cui influenza sopra il fratello e il cognato era
stata così perniciosa alla propria patria, non era più. La sua morte
fece nascere orribili sospetti, che per poco parvero volessero
rompere l'amistà novellamente formata fra la Casa degli Stuardi e
quella de' Borboni; ma poco tempo dopo, i due confederati si dettero
vicendevolmente nuove assicuranze di amichevoli intendimenti.
Il Duca di York, così tardo d'ingegno da non sentire il pericolo, o
così fanatico da non curarsene, era impaziente di veder mandato
subito ad esecuzione lo articolo concernente la religione cattolica
romana: ma Luigi ebbe la saviezza di prevedere che, se ciò fosse
seguito, sarebbe in Inghilterra scoppiata tale esplosione, da
frustrare probabilmente quelle parti del disegno le quali gli
stavano più a cuore. Fu però stabilito che Carlo seguitasse a
chiamarsi protestante, e a ricevere nelle grandi solennità la
Comunione secondo il rituale della Chiesa Anglicana. Il suo
fratello, più scrupoloso di lui, più non comparve nella Cappella
Reale.
Verso questo tempo morì la Duchessa di York, figlia del bandito
Conte di Clarendon. Era stata per alcuni anni di soppiatto cattolica
romana. Lasciò due figlie, Maria ed Anna, entrambe dipoi regine
della Gran-Brettagna. Vennero educate protestanti per espresso
comando del Re, il quale conosceva che sarebbe stato inutile a lui
di confessarsi membro della Chiesa d'Inghilterra, se le due
fanciulle che pareva dovessero succederli al trono, fossero, per
licenza di lui, cresciute nel grembo della Chiesa di Roma.
I principali servi della Corona in questo tempo erano uomini, i nomi
de' quali hanno meritamente acquistata non invidiabile celebrità. È
d'uopo, nondimeno, studiarsi di non aggravare la memoria loro con la
infamia che di diritto spetta al loro signore. Del trattato di Dover
il Re stesso è principalmente responsabile. Egli tenne intorno a
quello conferenze cogli agenti francesi; scrisse di propria mano
molte lettere a quello spettanti; e' fu colui che suggerì i più
disonorevoli articoli che vi si contengono; e studiosamente ne
nascose alcuni alla più parte de' Ministri del suo Gabinetto, o,
come veniva popolarmente chiamato, della sua Cabala.
XXVIII. Poche cose nella nostra storia sono più curiose dell'origine
e del progresso del potere che oggimai possiede il Gabinetto. Fino
da tempi assai remoti, i Re d'Inghilterra sono stati assistiti da un
Consiglio privato, al quale la legge assegnava non pochi importanti
ufficii e doveri. Per alcuni secoli, questo Consiglio deliberò
intorno ai più gravi e gelosi affari di Stato. Ma gradatamente venne
cangiando d'indole. Diventò troppo numeroso per la speditezza delle
faccende(38), o per serbare il segreto. Il grado di Consigliere
privato era spesso conferito come onorificenza a uomini, ai quali il
Governo non confidava nulla, e nè anche richiedeva la opinione. Il
sovrano nelle più solenni occasioni rivolgevasi ad un ristretto
numero di principali Ministri, onde averne consiglio. I vantaggi e
svantaggi di siffatto modo di operare erano stati additati da
Bacone, col suo consueto giudicio e sagacia; ma e' non fu se non
dopo la Restaurazione, che il Consiglio intimo cominciò ad attirare
a sè l'attenzione universale. Per molti anni, i politici all'antica
seguitarono a considerare il Gabinetto come un ufficio
incostituzionale e pericoloso. Nulladimeno, divenne sempre più
importante; ed alla perfine, si recò in mano quasi tutto il potere
esecutivo, e venne poi ad essere estimato come parte essenziale del
nostro ordinamento politico. Eppure, strano a dirsi! continua
tuttora ad essere affatto sconosciuto alla legge. I nomi de' nobili
e de' gentiluomini che lo compongono, non vengono mai officialmente
annunciati al pubblico. Non si prende ricordo delle sue adunanze e
deliberazioni; e la sua esistenza non è stata mai riconosciuta da
nessun atto del Parlamento.
XXIX. Per alcuni anni, il vocabolo Cabala venne comunemente usato
come sinonimo di Gabinetto. Ma accadde per una fortuita coincidenza,
che nel 1671 il Gabinetto fosse composto di cinque individui, nei
nomi de' quali le lettere iniziali formavano il vocabolo Cabala
(Cabal): Clifford, Arlington, Buckingham, Ashley e Lauderdale.
Questi Ministri furono, quindi, per enfasi chiamati la Cabala; e
tosto resero quel nome così infame, che poscia non è stato mai usato
se non in significato di riprovazione.
Sir Tommaso Clifford era Commissario del Tesoro, e s'era reso
grandemente notevole nella Camera de' Comuni. Era il più
rispettabile fra' membri della Cabala, come quello che in una indole
fiera ed imperiosa aveva un forte, quantunque miseramente
pervertito, sentimento del dovere e dell'onore.
Enrico Bennet, Lord Arlington, Segretario di Stato, aveva, fino
dall'epoca in cui pervenne all'età d'uomo, passata la vita quasi
sempre nel continente; ed aveva imparato quell'indifferentismo
cosmopolitico verso le Costituzioni e le Religioni, che spesso si
osserva negli individui che hanno spesi gli anni in una vagabonda
diplomazia. Se vi era forma di Governo che a lui piacesse, ell'era
quella di Francia. Se v'era Chiesa ch'egli preferisse, ella era
quella di Roma. Aveva qualche ingegno nel conversare, ed anche nel
trattare gli affari ordinari del suo ufficio. Nel corso d'una vita
spesa a viaggiare e a far negoziati, aveva imparata l'arte di
accomodare il linguaggio e il portamento all'indole della società
fra mezzo alla quale ei si trovava. Con la vivacità, ne' recessi
della reggia, svagava il principe; con la gravità, nelle discussioni
e nelle conferenze, imponeva riverenza al pubblico; e gli era
riuscito di tirare a sè, in parte rendendo servigi, in parte dando
speranze, un numero considerevole di partigiani.
Buckingham, Ashley e Lauderdale, erano uomini de' quali la
immoralità, ch'era infezione epidemica ne' politici di quei tempi,
mostravasi ne' suoi più maligni sembianti, ma variamente modificata
da grandi varietà di tempra e d'intendimento. Buckingham, uomo sazio
di piaceri, erasi dato all'ambizione quasi per passatempo. Come si
era provato a svagarsi con lo studio dell'architettura e della
musica, con lo scrivere farse e cercare la pietra filosofale; così
ora si provava a svagarsi con un negoziato secreto, e con una guerra
cogli Olandesi. Era già stato, più presto per volubilità e vaghezza
di cose nuove, che per alcun profondo proposito, infido ad ogni
partito. Un tempo erasi messo nelle file de' Cavalieri. In un altro,
erano corsi mandati d'arresto contro di lui, incolpato di mantenere
corrispondenza proditoria colle reliquie del partito repubblicano
nella città. Era nuovamente diventato cortigiano, e voleva
acquistare il favore del Re con servigi, dai quali i più illustri di
coloro che avevano pugnato e sofferto per la Casa Reale, avrebbero
rifuggito compresi d'orrore.
Ashley, più testardo, e dotato di assai più feroce e solida
ambizione, era stato parimente versatile. La versatilità di Ashley
nasceva, però, non da leggerezza, ma da deliberato egoismo. Aveva
serviti e traditi vari Governi; ma aveva adattati i suoi tradimenti
così bene ai tempi, che, fra mezzo a tutte le rivoluzioni, s'era
sempre venuto innalzando. La moltitudine, compresa d'ammirazione per
una prosperità, la quale, mentre ogni altra cosa perpetuamente
mutavasi, era rimasta immutabile, attribuiva a lui una prescienza
pressochè miracolosa, ed assomigliavalo a quello ebreo uomo di
Stato, che, come è scritto, veniva consultato dal popolo come
l'oracolo di Dio.
Lauderdale, chiassoso e triviale nella gioia e nella collera, era
forse, sotto l'apparenza di una presuntuosa franchezza, l'uomo più
disonesto della Cabala. Erasi reso cospicuo fra gl'insorgenti
scozzesi del 1638, ed era zelante della Convenzione. Lo accusavano
d'essere stato complice di coloro che avevano venduto Carlo I al
Parlamento Inglese, ed era perciò dai Cavalieri reputato traditore,
peggiore, s'era pur possibile, di quelli che avevano seduto
nell'Alta Corte di Giustizia. Spesso parlava con istemperato scherzo
dei giorni in cui egli era stato santocchio e ribelle. Ed ora la
Corte se ne giovava come di precipuo strumento per imporre a forza
il culto episcopale ai concittadini di lui; e in cosiffatto
proposito, non abborrì dallo adoperare inesorabilmente la spada, il
capestro e lo stivaletto(39). Nondimeno, chi conoscevalo, sapeva
bene che trenta anni di vicende non avevano prodotto il minimo
cangiamento ne' suoi veri sentimenti; che tuttavia egli odiava la
memoria di Carlo I, e seguitava a preferire ad ogni altra forma di
Governo ecclesiastico quella de' Presbiteriani.
Per quanto Buckingham, Ashley e Lauderdale, fossero scevri di
scrupoli, non fu reputato prudente il farli partecipi dello
intendimento che il Re aveva di dichiararsi cattolico romano. Fu
loro mostrato un falso trattato, dove era omesso lo articolo
concernente la religione. Al trattato genuino vennero apposti i soli
nomi e sigilli di Clifford e d'Arlington. Ambidue questi uomini di
Stato erano parziali della vecchia Chiesa: parzialità che, dopo non
molto tempo, l'animoso e veemente Clifford confessò; mentre
Arlington, più freddo e più codardo, la tenne nascosta, finchè lo
avvicinarsi della morte, riempiendogli l'animo di terrore, lo
indusse ad essere sincero. Gli altri tre Ministri, nondimeno, non
erano uomini da essere tenuti agevolmente nel buio, ed è probabile
che sospettassero più di quello che distintamente venne loro
rivelato. Vero è che parteciparono alla confidenza di tutti
gl'impegni politici contratti con la Francia, e non ebbero vergogna
di ricevere da Luigi grosse gratificazioni.
Primo obietto di Carlo era quello di ottenere dai Comuni danaro,
onde giovarsene a mandare ad esecuzione quel secreto trattato. La
Cabala, che imperava in un tempo in cui il nostro Governo era in
istato di transizione, aveva in sé due specie diverse di vizii,
pertinenti a due diverse età ed a due sistemi diversi. Come que'
cinque pessimi consiglieri erano fra gli ultimi uomini di Stato
inglesi che seriamente pensassero a distruggere il Parlamento, così
erano i primi uomini di Stato inglesi che si provassero grandemente
a corromperlo. Troviamo nella loro politica gli ultimi vestigi del
disegno di Strafford, e ad un tempo i vestigi primi della corruzione
metodica che venne poscia praticata da Walpole. Non pertanto, si
accorsero tosto, che quantunque la Camera de' Comuni fosse
principalmente composta di Cavalieri, e quantunque gl'impieghi e
l'oro della Francia venissero largamente dispensati ai
rappresentanti non eravi la minima probabilità che le parti meno
odiose della trama ordita in Dover fossero sostenute dalla
maggioranza. Era necessario adoperare la frode. Il Re, quindi, fece
mostra di grande zelo a favore dei principii della Triplice
Alleanza, e pretese che, a fine di infrenare l'ambizione della
Francia, fosse necessario accrescere la flotta. I Comuni caddero
nella rete, e votarono una somma di ottocentomila lire sterline. Il
Parlamento venne subito prorogato, e la Corte, in tal modo
emancipata da ogni sindacato, procedè a porre in opera il suo vasto
disegno.
XXX. Le strettezze finanziere erano assai gravi. Una guerra con la
Olanda sarebbe costata somme enormi. La rendita ordinaria era appena
sufficiente a sostenere il Governo in tempo di pace. Le
ottocentomila lire sterline che erano state poco fa con inganno
estorte ai Comuni, non sarebbero bastate alle spese militari e
navali d'un solo anno di ostilità. Dopo il tremendo esempio dato dal
Lungo Parlamento, nè anche la Cabala arrischiossi a consigliare i
balzelli detti Benevolenze e Danaro per mantenere la flotta. In tale
perplessità, Ashley e Clifford proposero un mezzo iniquo di violare
la fede pubblica. Gli orefici di Londra erano allora non solo
trafficanti di metalli preziosi, ma anche banchieri, ed avevano
costume di prestare grandi somme di pecunia al Governo. A
compensazione di coteste prestazioni, ricevevano assegnamenti sulla
rendita; e riscosse le tasse, venivano loro pagati il capitale e
gl'interessi. Circa un milione e trecentomila lire sterline erano
state in siffatto modo affidate all'onore dello Stato; quando ecco
corse, inatteso e repentino, lo annunzio che non essendo convenevole
rendere i capitali, era d'uopo che i creditori si contentassero di
ricevere gl'interessi. Non poterono, in conseguenza di siffatta
misura, far fronte agli impegni contratti. La Borsa si mise
sossopra: parecchie case mercantili fallirono; e lo spavento e la
miseria si sparsero per tutta la società. Frattanto il Governo
procedeva a passi rapidi verso il dispotismo. Succedevansi proclami
che non avevano la sanzione del Parlamento, o imponevano ciò che il
solo Parlamento poteva legalmente imporre. Di tali editti, il più
importante fu quello che si chiama Dichiarazione d'Indulgenza, per
virtù del quale le leggi penali contro i Cattolici Romani vennero
abrogate; e perchè non apparisse chiaro il vero scopo di quell'atto,
le leggi contro i Protestanti non-conformisti furono parimente
sospese.
XXXI. Pochi giorni dopo promulgata la Dichiarazione d'Indulgenza, fu
proclamata la guerra contro le Provincie Unite. In mare gli Olandesi
sostennero la lotta con onore; ma per terra furono in sulle prime
oppressi da una forza irresistibile. Una grossa armata francese
varcò il Reno. Le fortezze, una dopo l'altra, aprirono le porte. Tre
delle sette provincie della Federazione furono occupate
dagl'invasori. I fuochi degli accampamenti nemici vedevansi dalle
cime del Palagio del Municipio d'Amsterdam. La Repubblica, in tal
modo ferocemente assalita di fuori, era nel medesimo tempo lacerata
dalle intestine discordie. Il Governo era nelle mani di una stretta
oligarchia di potenti borghesi. Eranvi numerosi Consigli Municipali
autonomi, ciascuno dei quali esercitava, dentro la propria sfera,
molti diritti di sovranità. Cotesti Consigli mandavano delegati agli
Stati Provinciali, e questi inviavano delegati agli Stati Generali.
Un capo magistrato ereditario non era parte essenziale di tale
sistema politico. Nonostante, una famiglia, singolarmente feconda di
grandi uomini, aveva a poco a poco acquistata autorità vasta e
pressochè indefinita. Guglielmo, primo di tal nome, Principe
d'Orange Nassau, e Statoldero di Olanda, aveva capitanata la
memorabile insurrezione contro la Spagna. Maurizio suo figlio era
stato Capitano Generale e primo Ministro degli Stati; aveva, per
mezzo delle maravigliose sue doti e degli eminenti servigi resi alla
Repubblica, e di alcuni atti crudeli e proditorii, conseguito potere
quasi di Re, e lo aveva in gran parte trasmesso in retaggio alla
propria famiglia. La influenza degli Statolderi era obietto di
estrema gelosia alla oligarchia municipale. Ma l'armata e la gran
massa di cittadini esclusi da ogni partecipazione al Governo,
guardavano i Borgomastri e i Deputati con astio simile a quello con
che le legioni e il popolo comune di Roma guardavano il Senato, ed
erano partigiani della Casa d'Orange come le legioni e il popolo
comune di Roma parteggiavano per quella di Cesare. Lo Statoldero
comandava le forze della Repubblica, disponeva di tutti i gradi
militari, possedeva in gran parte il patronato degli uffici civili,
ed era circondato da pompa pressochè regia.
Il Principe Guglielmo II aveva fortemente avversato il partito
oligarchico. Finì di vivere nel 1650, fra mezzo alle lotte civili.
Non lasciò figliuoli: gli aderenti alla sua Casa rimasero per alcun
tempo privi di capo; e i poteri ch'egli aveva esercitati, furono
divisi fra i Consigli Municipali, gli Stati Provinciali e gli Stati
Generali.
Ma, pochi giorni dopo la morte di Guglielmo, la sua vedova Maria,
figlia di Carlo I Re della Gran Brettagna, partorì un figlio
destinato ad innalzare la gloria e l'autorità della Casa di Nassau
al più alto grado, a salvare dalla schiavitù le Provincie Unite, a
domare la potenza della Francia, e a stabilire la Costituzione
inglese sopra fondamenti solidi e duraturi.
XXXII. Questo Principe, ch'ebbe nome Guglielmo Enrico, fin dal suo
nascere fu cagione di gravi timori al partito che allora governava
in Olanda, e di sincero affetto ai vecchi amici della sua famiglia.
Era altamente riverito come possessore di uno splendido patrimonio,
come capo di una delle più illustri Case d'Europa, come Principe
Sovrano dello Impero Germanico, come Principe del sangue reale
d'Inghilterra, e soprattutto come discendente de' fondatori della
batava libertà. Ma l'alto ufficio che già veniva considerato siccome
ereditario nella sua famiglia, rimase sospeso; ed era intendimento
della parte aristocratica, che non avesse ad esserci mai più un
altro Statoldero. Al difetto del primo Magistrato supplì, in gran
parte, il Gran Pensionario della Provincia d'Olanda, Giovanni De
Witt, che per ingegno, fermezza ed integrità, erasi innalzato ad
autorità senza rivali ne' Consigli della oligarchia municipale.
La invasione francese produsse un intero cangiamento. Il popolo,
afflitto ed atterrito, arse di rabbia contro il Governo. Nella sua
frenesia, aggredì i più valorosi Capitani e i più esperti uomini di
Stato della travagliata Repubblica. De Ruyter venne insultato dalla
marmaglia. De Witt fu fatto in pezzi innanzi la porta del palazzo
degli Stati Generali nell'Aja. Il Principe d'Orange (che non aveva
partecipato allo assassinio, ma che in questa, come in altra
sciagurata occasione vent'anni dopo, largì ai delitti commessi a suo
vantaggio tale indulgenza che ha lasciata una macchia sopra la sua
gloria) diventò, senza competitori, capo del Governo. Comunque
giovane, il suo ardente ed indomabile spirito, benchè mascherato di
maniere fredde e severe, risuscitò subitamente il coraggio de' suoi
spaventati concittadini. Invano suo zio e il Re di Francia,
provaronsi con isplendide offerte di sedurlo ad abbandonare la causa
della Repubblica. Favellò agli Stati Generali con altieri ed animosi
sensi. Rischiossi perfino a suggerire un provvedimento che ha
sembianza d'antico eroismo; e che, ove lo avessero posto in effetto,
sarebbe stato il subietto più nobile per l'epico canto, che si possa
trovare nel vasto campo della storia moderna. Disse ai Deputati, che
quand'anche il suolo natio, e le meraviglie di che la umana
industria lo aveva coperto, fossero sepolti sotto l'Oceano, tutto
non era perduto. Gli Olandesi avrebbero potuto sopravvivere
all'Olanda. La libertà e la religione vera, da' tiranni e dagli
ipocriti cacciate dall'Europa, avrebbero trovato asilo nelle più
remote isole dell'Asia. I legni esistenti nei porti della
Repubblica, sarebbero bastati a trasportare duecentomila emigranti
allo Arcipelago Indiano. Quivi la Repubblica Olandese avrebbe
cominciata una nuova e più gloriosa vita, ed eretto sotto la
costellazione meridionale della Croce, fra le canne di zucchero e i
nocimoscadi, la Borsa d'un'altra più ricca Amsterdam, e le scuole
d'un'altra Leida più dotta. Lo spirito nazionale svegliossi tutto e
risorse. I patti offerti dagli Alleati vennero con fermezza
respinti. Aprirono gli argini. Tutto il paese prese la sembianza di
un vastissimo lago, di mezzo al quale le città, con le loro muraglie
e i loro campanili, innalzavansi a guisa d'isole. Gl'invasori furono
costretti a salvare la vita con una precipitosa ritirata. Luigi, il
quale, benchè talvolta reputasse necessario mostrarsi a capo del suo
esercito, grandemente preferiva al campo la reggia, era già
ritornato a bearsi delle lusinghe de' poeti e de' sorrisi delle dame
ne' viali novellamente piantati di Versailles.
La fortuna affrettavasi a cangiare d'aspetto. L'esito della guerra
marittima era stato dubbio: in terra, le Provincie Unite avevano
ottenuto un indugio, il quale, benchè breve, era d'infinita
importanza. Intimorite dai vasti disegni di Luigi, ambedue le
famiglie della Casa d'Austria corsero alle armi. La Spagna e la
Olanda, divise dalla rimembranza di antichi torti ed umiliazioni,
riconciliaronsi allo avvicinarsi del comune pericolo. Da ogni
contrada di Germania muovevano armati verso il Reno. Il Governo
Inglese aveva già consunta tutta la pecunia che aveva raccolta
saccheggiando i pubblici creditori. Non poteva sperarsi un
imprestito dalla Città. Il tentare d'imporre tasse di sola autorità
regia, avrebbe tosto prodotta una ribellione; e Luigi, che ormai
doveva far fronte a mezza l'Europa, non era in condizione di
apprestare i mezzi con che costringere il popolo dell'Inghilterra.
Era forza convocare il Parlamento.
XXXIII. E però, nella primavera del 1673, la Camera de' Comuni si
radunò, dopo un riposo di circa due anni. Clifford, già diventato
Pari e Lord Tesoriere, ed Ashley, diventato Conte di Shaftesbury e
Lord Cancelliere, erano coloro sopra i quali il Re riposava per
condurre destramente la bisogna in Parlamento. Il partito
patriottico si scagliò tosto contro la politica della Cabala.
L'aggressione fu fatta non a modo di tempesta, ma con colpi lenti e
misurati. I Comuni, in sulle prime, dettero speranza di sostenere la
politica straniera del Re; ma insistevano ch'egli pagasse quel
sostegno coll'abbandono di tutto il suo sistema di politica interna.
XXXIV. Loro primo scopo era quello d'ottenere la revoca della
Dichiarazione d'Indulgenza. Di tutte le misure impopolari adottate
dal Governo, la più impopolare fu la promulgazione di quell'atto. Un
atto così liberale, compito in modo così dispotico, aveva urtati i
sentimenti più opposti. Tutti gl'inimici della libertà religiosa, e
gli amici tutti della libertà civile, si trovarono nelle medesime
file; e gli uni e gli altri sommavano a diciannove ventesimi della
nazione. Lo zelante ecclesiastico schiamazzava contro il favore
mostrato al papisti e al puritano. Il puritano, quantunque potesse
allegrarsi vedendo sospese le persecuzioni onde era stato oppresso,
sentiva poca gratitudine per una tolleranza ch'egli doveva dividere
con l'anticristo. E tutti gl'Inglesi che pregiavano la libertà e la
legge, vedevano con inquietudine la enorme usurpazione che la regia
prerogativa aveva commessa nel campo del potere legislativo.
Bisogna sinceramente ammettere, che la questione costituzionale non
fosse allora affatto scevra d'oscurità. I nostri antichi Re avevano,
senza verun dubbio, preteso ed esercitato il diritto di sospendere
l'azione delle leggi penali. I tribunali avevano riconosciuto
cotesto diritto. I Parlamenti lo avevano tollerato senza avversarlo.
Che un certo simile diritto fosse inerente alla Corona, pochi anche
del partito patriottico osavano negare al cospetto dell'autorità e
de' fatti precedenti. Nondimeno, era chiaro che se questa
prerogativa fosse stata illimitata, il Governo Inglese male si
sarebbe potuto distinguere da un pretto dispotismo. Che ci fosse un
limite, lo ammettevano pienamente il Re e i suoi Ministri. La
questione era di sapere se la Dichiarazione d'Indulgenza stesse o no
dentro siffatto limite; e a nessuna delle parti riuscì di descrivere
una linea incontestabile. Alcuni oppositori del Governo dolevansi
che la Dichiarazione sospendeva non meno di quaranta Statuti. Ma
perchè non quaranta, nel modo medesimo che uno? Vi fu un oratore che
manifestò come propria opinione, che il Re poteva costituzionalmente
dispensare dalle leggi cattive, non mai dalle buone. Non è mestieri
dimostrare l'assurdità di tale distinzione. La dottrina che sembra
essere stata generalmente(40) accettata nella Camera de' Comuni,
consisteva in ciò, che il potere di dispensare limitavasi alle sole
faccende secolari, e non si estendeva alle leggi fatte per la
sicurtà della religione dello Stato. Nondimeno, poichè il Re era
capo supremo della Chiesa, e' pareva che avendo egli il potere di
dispensare, siffatto potere potesse anche applicarsi a cose
concernenti la Chiesa. Allorchè, dall'altra parte, i cortigiani
studiaronsi d'indicare i confini di tale prerogativa, non ci
riuscirono meglio de' loro oppositori(41).
Vero è che la facoltà di dispensare era una grande anomalia nella
politica. In teoria, era estremamente incompatibile co' principii
del Governo misto; ma era cresciuta in tempi ne' quali i popoli si
danno poco pensiero delle teorie. In pratica, non se n'era molto
abusato: era stata quindi tollerata, ed aveva a poco per volta
acquistata una specie di prescrizione. Finalmente, ne fu fatto uso,
dopo lo spazio di molti anni, in una età colta, ed in una solenne
occasione, con eccesso fin allora inusitato, e per uno scopo avuto
in universale abborrimento. Venne subito sottoposta a severo
scrutinio. Nessuno, a dir vero, ardì in sulle prime chiamarla
onninamente incostituzionale: ma tutti cominciarono ad accorgersi
che divergeva manifestamente dallo spirito della Costituzione, e che
ove si fosse lasciata priva di freno, avrebbe tramutato il Governo
Inglese, di monarchia limitata qual'era, in monarchia assoluta.
XXXV. Sotto lo eccitamento di cotali sospetti, la Camera de' Comuni
negò al Re il diritto di dispensare, non già rispetto a tutti gli
Statuti penali, ma agli Statuti penali nelle cose ecclesiastiche; e
gli fece chiaramente intendere, che qualora ei non avesse rinunziato
a quel diritto, ella non avrebbe concesso danari per la guerra con
l'Olanda. Per un momento egli mostrossi inchinevole ad affidare ogni
cosa alla sorte: ma Luigi lo consigliò fortemente a piegare il capo
alla necessità, ed aspettare tempi migliori, in cui le armi
francesi, allora occupate in arduo conflitto sul continente,
potessero essere giovevoli a reprimere il malcontento in
Inghilterra. Dentro la stessa Cabala cominciarono ad apparire segni
di discordia e di tradimento. Shaftesbury, con la sua sagacia
proverbiale, conobbe che avvicinavasi una violenta reazione, e che
ogni cosa tendeva verso una crisi simigliante a quella del 1640.
Pose ogni studio perchè cotesta crisi non lo trovasse nelle
condizioni di Strafford. Adunque, con un improvviso voltafaccia,
mostrossi nella Camera de' Lordi, e riconobbe che la Dichiarazione
era illegale. Il Re, così abbandonato dal suo alleato e dal suo
Cancelliere, cedè, cassò la Dichiarazione, e promise solennemente
che non se ne sarebbe per lo avvenire fatto nessun caso.
Nè anche questa concessione bastò. I Comuni, non satisfatti di avere
astretto il loro Sovrano ad annullare la Indulgenza, estorsero a lui
ripugnante l'approvazione d'una celebre legge, che continuò ad esser
valida fino al regno di Giorgio IV. Questa legge, chiamata Atto di
Prova (Test Act), ordinava che chiunque occupava un ufficio civile o
militare, fosse tenuto a prestare il giuramento di supremazia,
firmare una dichiarazione contro la transustanziazione, e ricevere
pubblicamente la comunione secondo i riti della Chiesa
d'Inghilterra. Nel preambolo v'erano parole ostili soltanto ai
papisti; ma le clausule erano quasi sfavorevoli alla classe più
rigida de' Puritani, quanto ai papisti. I Puritani, nondimeno,
atterriti, vedendo la Corte pendere verso il papismo, ed
incoraggiati da taluni ecclesiastici a sperare che, appena disarmati
i cattolici romani, la tolleranza verrebbe estesa anche ai
non-conformisti, fecero poca opposizione; nè il Re, che aveva
bisogno estremo di pecunia, rischiossi a ricusare il suo assenso. La
legge passò; e il Duca di York, per conseguenza, fu costretto a
deporre l'eminente ufficio di Lord Grande Ammiraglio.
XXXVI. Fin qui i Comuni non s'erano dichiarati avversi alla guerra
cogli Olandesi. Ma, poscia che il Re, in compenso della pecunia
cautamente concessa, abbandonò intieramente il suo sistema di
politica interna, coloro scagliaronsi impetuosamente contro la sua
politica estera. Chiesero che allontanasse dal suo Consiglio
Buckingham e Lauderdale, ed elessero una Commissione per considerare
se fosse giusto porre Arlington in istato di accusa. Poco tempo
dopo, la Cabala non era più. Clifford, che solo de' cinque era
meritevole del nome di uomo onesto, ricusò di riconoscere la nuova
legge, depose il suo bastone bianco, e ritirossi in villa. Arlington
lasciò l'ufficio di Segretario di Stato, per passare ad un impiego
tranquillo e dignitoso nella Casa reale. Shaftesbury e Buckingham sì
rappaciarono con la opposizione, e mostraronsi a capo della
procellosa democrazia della città. Lauderdale, tuttavia, seguitò ad
essere Ministro per gli affari della Scozia, ne' quali il Parlamento
Inglese non poteva immischiarsi.
Dopo ciò, i Comuni incalzarono il Re a far pace con la Olanda; ed
espressamente dichiararono, che più non avrebbero conceduto danaro
per la guerra, se non se nel caso che il nemico ostinatamente
ricusasse di accettare patti ragionevoli. Carlo stimò necessario
differire a stagione più convenevole il pensiero di eseguire il
trattato di Dover, e blandire la nazione, facendo mostra di
ritornare alla politica della Triplice Alleanza. Temple, il quale,
finchè predominò la Cabala, visse ritirato fra mezzo ai suoi libri
ed ai suoi fiori, venne chiamato dal suo eremo. Per mezzo di lui si
concluse una pace separata con le Provincie Unite; ed egli divenne
nuovamente ambasciatore all'Aja, dove la sua presenza veniva
considerata quale pegno della sincerità della Corte britannica.
XXXVII. La precipua direzione degli affari venne allora affidata a
Sir Tommaso Osborn, baronetto della Contea di York, il quale nella
Camera de' Comuni aveva dato prova d'ingegno adatto alle faccende e
alla discussione. Osborn fu fatto Lord Tesoriere, e poco dopo creato
Conte di Danby. Non era uomo il cui carattere, esaminato giusta gli
alti principii della morale, potesse sembrare degno di approvazione.
Era cupido di ricchezze e d'onori, corrotto e corruttore. La Cabala
gli aveva trasmessa l'arte di comprare i rappresentanti; arte
tuttavia rozza, che accennava poco a quella singolare perfezione cui
fu condotta nel secolo appresso. Ei perfezionò grandemente l'opera
de' primi inventori. Costoro avevano solamente comprati gli oratori;
ma ciascun uomo che avesse un voto poteva vendersi a Danby.
Nonostante ciò, il nuovo Ministro non è da confondersi coi
negoziatori di Dover. Egli non era privo del sentimento d'inglese e
di protestante, e nel promuovere i proprii interessi, non
dimenticava affatto quelli della propria patria e religione. Era, a
dir vero, desideroso di esaltare la prerogativa; ma i mezzi di che a
ciò fare voleva giovarsi, erano assai diversi da quelli adoperati da
Arlington e da Clifford. Il pensiero di stabilire il potere
arbitrario col soccorso delle armi forestiere, e riducendo il Regno
alla condizione di principato dipendente, non entrò mai nel suo
cervello. Era suo intendimento affezionare alla Monarchia quelle
classi di uomini le quali le erano state ferme alleate mentre
ardevano le lotte della precedente generazione, e che se n'erano
disgustate a cagione de' recenti delitti ed errori della Corte. Con
lo aiuto dei vecchi interessi de' Cavalieri, cioè con lo aiuto de'
Nobili, dei gentiluomini delle campagne, del Clero, delle
Università, pensava egli che Carlo avrebbe potuto essere sovrano, se
non assoluto, almeno potente al pari di Elisabetta.
Mosso da cotali pensieri, Danby intese ad assicurare al partito de'
Cavalieri lo esclusivo possesso di tutto il potere politico, tanto
esecutivo quanto legislativo. Nell'anno 1675, adunque, fu proposta
ai Lordi una legge, nella quale veniva ordinato che niuno potesse
occupare un ufficio qualunque, o aver seggio nelle due Camere del
Parlamento, senza aver prima dichiarato con giuramento di
considerare come criminosa la resistenza fatta in qualunque caso al
potere regio, e di non contribuire giammai ad alterare il Governo
della Chiesa o dello Stato. Per parecchie settimane, le discussioni,
le scissure, le proteste, cui fu cagione la predetta proposta,
tennero in grande commovimento il paese. La opposizione nella Camera
de' Comuni, capitanata da due membri della Cabala che volevano far
pace con la nazione, cioè da Buckingham e Shaftesbury, fu oltremodo
veemente e pertinace, ed infine riusci vittoriosa. La proposta non
fu respinta, ma ritardata, mutilata, e finalmente messa da parte.
Tanto arbitrario ed esclusivo era il disegno di politica interna
concepito da Danby! Le sue opinioni intorno alla politica esterna
erano per lui maggiormente onorevoli, come quelle che procedevano
direttamente opposte agl'intendimenti della Cabala, e differivano
poco dalle idee del partito patriottico. Lamentava amaramente
l'abiezione in cui la Inghilterra era caduta, e dichiarava, con più
energia che gentilezza, essere lo ardentissimo de' suoi desiderii
quello di condurre a suono di bastonate i Francesi al debito
rispetto verso di essa. Mascherava così poco i propri pensieri, che
in un gran banchetto, al quale sedevano i più illustri dignitari
dello Stato e della Chiesa, riempì il bicchiere, bevendo con poco
decoro a confusione di coloro che erano contrari ad una guerra con
la Francia. Davvero, avrebbe volentieri veduto la propria patria
congiungersi con le Potenze che allora erano collegate contro Luigi;
ed a tal fine, era propenso a porre Temple, autore della Triplice
Alleanza, a capo del Ministero degli Affari Esteri. Ma il potere del
primo Ministro era limitato. Nelle sue lettere più confidenziali
querelavasi che l'acciecamento del suo signore impedisse
l'Inghilterra di prendere il posto che spettavale fra le nazioni
europee. Carlo era insaziabilmente cupido dell'oro francese; non
aveva in nulla abbandonata la speranza di potere in futuro, con lo
aiuto delle armi di Francia, stabilire la monarchia assoluta; e per
ambedue queste ragioni desiderava di mantenere buona intelligenza
con la Corte di Versailles.
Così il Sovrano pendeva verso un sistema di politica esterna, e il
Ministro verso altro sistema diametralmente opposto. Nè l'uno nè
l'altro, in verità, era d'indole tale da seguire un fine con
immutabile costanza. Ciascuno di loro, secondo l'occasione, cedeva
alla importunità dell'altro; e le discordi tendenze e le mutue
concessioni loro davano alla intera amministrazione un carattere
stranamente capriccioso. Carlo talvolta, per leggerezza ed
indolenza, soffriva che Danby prendesse misure, delle quali Luigi
risentivasi come d'ingiurie mortali. Danby, più presto che lasciare
il suo splendido posto, talvolta piegavasi a certe compiacenze, che
gli erano di acerbo dolore e vergogna. Il Re fu indotto a consentire
al matrimonio di Maria, figlia primogenita ed erede presuntiva del
Duca di York, con Guglielmo d'Orange, nemico irreconciliabile della
Francia, e campione ereditario della Riforma. Anzi, il valoroso
Conte di Ossory, figlio di Ormondo, fu mandato ad aiutare gli
Olandesi con alcune milizie britanniche, le quali nel giorno più
sanguinoso della guerra rivendicarono alla nazione la rinomanza
d'indomito coraggio. Il Tesoriere, dall'altra parte, fu astretto non
solo a mostrarsi connivente ad alcune transazioni pecuniarie
scandalosissime, tra il proprio signore e la Corte di Versailles, ma
a fare, malvolentieri e con poca grazia, la parte d'agente.
XXXVIII. Intanto, il partito patriottico da due forti sentimenti fu
tratto a due direzioni opposte. I capi popolari, quantunque avessero
paura della grandezza di Luigi, il quale non solo faceva fronte alla
forza dell'Alleanza continentale, ma acquistava terreno, temevano
nondimeno di affidare nelle mani del proprio Re i mezzi di domare la
Francia, suspicando che tali mezzi venissero adoperati a distruggere
le libertà della Inghilterra. Il conflitto di questi due timori,
ambidue legittimi, dava alla politica della opposizione apparenza
strana e volubile, al pari di quella della Corte. I Comuni gridarono
guerra contro la Francia, finchè il Re, incitato da Danby a
compiacere al desiderio loro, parve disposto a cedere, e si mise a
far leve di soldati. Ma appena i Comuni videro cominciati i
reclutamenti, la paura che avevano di Luigi dette luogo ad altra
paura più prossima. Cominciarono a temere che le nuove leve
venissero adoperate in una impresa alla quale Carlo aveva maggiore
interesse che a quella di difendere le Fiandre. Ricusarono, quindi,
la chiesta pecunia, e gridavano al disarmo, schiamazzando come poco
innanzi avevano fatto allorchè chiedevano lo armamento. E' pare che
gli storici che hanno severamente biasimata cotesta incoerenza, non
badassero bastevolmente alla impacciata condizione di quei sudditi
che hanno ragione di credere come il loro principe congiuri con un
potentato straniero ed ostile a danno delle libertà loro. Ricusargli
i mezzi militari, è il medesimo che lasciare lo Stato senza difesa.
Nonostante, dandoglieli, gli si porrebbero forse in mano le armi
contro lo Stato. In tali circostanze, l'ondeggiare fra questi
pensieri non va considerato come argomento di disonestà, e nè anche
di debolezza.
XXXIX. Tali gelosie venivano studiosamente fomentate dal Re di
Francia. Aveva tenuto a bada la Inghilterra con la promessa di
sostenere il trono contro il Parlamento. Adesso, paventando che i
patriottici consigli di Danby avessero a prevalere nel Gabinetto,
cominciò ad infiammare il Parlamento contro il trono. A Luigi e al
partito patriottico una sola cosa era comune; vale a dire un
profondo diffidare di Carlo. Se quel partito fosse stato sicuro che
il Re intendeva guerreggiare contro la Francia, sarebbe stato
prontissimo a sostenerlo. Se Luigi fosse stato sicuro che le nuove
leve fossero destinate a muovere guerra solo alla Costituzione
dell'Inghilterra, non si sarebbe provato d'impedirle. Ma la
instabilità e perfidia di Carlo erano tali, che il Governo Francese
e la opposizione inglese, discordi in ogni altra cosa, concordavano
nel non credere alle sue proteste, e volevano egualmente tenerlo
povero e senza esercito. Si apersero comunicazioni tra Barillon
ambasciatore di Luigi, e que' politici inglesi che avevano sempre
sentito e tuttavia sinceramente sentivano grandissima avversione
alla preponderanza francese. Guglielmo Lord Russell, figlio del
Conte di Bedford, che era l'uomo più onesto del partito patriottico,
non abborrì di tramare con un Ministro straniero, onde tenere
nell'imbarazzo il proprio Sovrano. In ciò consisteva tutta la colpa
di Russell. I suoi principii e le sue ricchezze lo rendevano
inaccessibile ad ogni tentazione d'indole sordida; ma v'è molta
ragione a credere, che parecchi de' suoi colleghi fossero meno
scrupolosi di lui. Sarebbe cosa ingiusta addebitarli della
ribalderia di avere ricevuto la mancia per recare detrimento alla
patria: all'incontro, intendevano giovarla; ma è impossibile negare
che fossero abietti e poco delicati, allorchè, per servirla, si
lasciavano pagare da un principe forestiero. Fra coloro che non
possono andare assoluti da siffatto disonorevole addebito, era un
uomo che viene comunemente considerato come la personificazione
dello spirito pubblico, e che, nonostante alcuni difetti morali e
intellettuali, è meritamente degno d'esser chiamato eroe, filosofo
ed amatore della patria. È impossibile vedere senza cordoglio un
tanto nome nella lista degli uomini pensionati dalla Francia.
Nulladimeno, ci reca qualche conforto il considerare, come ai tempi
nostri un uomo pubblico che non respingesse sdegnosamente da sè una
tentazione simile a quella che vinse la virtù e l'orgoglio di
Algernon Sidney, verrebbe giudicato privo affatto d'ogni sentimento
di dovere e di vergogna.
XL. La conseguenza di queste trame fu che, quantunque l'Inghilterra,
secondo le occasioni assumesse un contegno minaccioso, rimasero
inefficaci finchè la guerra continentale, durata sette anni, si
chiuse nel 1678 col trattato di Nimega. Le Provincie Unite, che nel
1672 parevano ridotte sull'orlo dell'estrema rovina, ottennero patti
onorevoli e vantaggiosi. L'essere scampate da questo arduo pericolo
venne comunemente attribuito al senno ed al coraggio del giovane
Statoldero, la fama del quale era grande in tutta la Europa, e
massime fra gl'Inglesi, che lo consideravano come uno de' loro
principi, e gioivano nel vederlo consorte della loro Regina futura.
La Francia ritenne molte città importanti dei Paesi Bassi e la
grande provincia della Franca Contea. Quasi tutta la perdita gravò
sopra la cadente Monarchia Spagnuola.
Pochi mesi dopo terminate le ostilità nel continente, seguì una gran
crisi nella politica inglese. Ad essa ogni cosa tendeva da diciotto
anni. Tutta la popolarità, comunque grande, onde il Re aveva
iniziato il suo regno, era consunta. Allo entusiasmo di lealtà era
succeduta profonda disaffezione. L'opinione pubblica aveva già
riandato lo spazio frapposto tra il 1640 e il 1660, e trovossi
nuovamente nelle condizioni in cui era allorchè si adunò il Lungo
Parlamento.
Il malcontento allora predominante nasceva da molte cagioni; una
delle quali era l'orgoglio nazionale oltraggiato. Quella generazione
d'uomini aveva veduta la Inghilterra in pochi anni alleata della
Francia a patti uguali, vincitrice della Olanda e della Spagna,
signora del mare, terrore di Roma, e capo degl'interessi
protestanti. I suoi mezzi non erano punto scemati; e si sarebbe
potuto sperare che ella sarebbe stata almeno tanto altamente
considerata in Europa sotto un Re legittimo, quanto lo era stata
sotto un usurpatore, il quale doveva rivolgere tutta la propria
energia e vigilanza ad infrenare un popolo riottoso. Nondimeno ella,
a cagione della imbecillità e bassezza de' suoi reggitori, era
caduta in così basso stato, che ogni principato germanico o italiano
che avesse potuto mettere in campo cinquemila uomini, era membro di
maggiore importanza nella repubblica delle nazioni.
Al sentimento della umiliazione nazionale andava congiunto il timore
per la libertà civile. Voci, a dir vero, indistinte, ma forse più
inquietanti a cagione della loro confusione, addebitavano la Corte
di trama a danno de' diritti costituzionali degl'Inglesi.
Bisbigliavasi perfino, che siffatta trama doveva recarsi ad effetto
con lo intervento d'armi forestiere. Il solo pensiero di cotesto
intervento faceva ribollire il sangue nelle vene a tutti, anco ai
Cavalieri. Taluni, che avevano sempre professata la dottrina della
non-resistenza in tutto il senso più lato del vocabolo, s'udivano
mormorare, dicendo avere essa certi confini. Se le armi forestiere
fossero state chiamate a costringere la nazione, essi non avrebbero
potuto promettere di tenersi pazienti.
Ma nè l'orgoglio nazionale, nè l'ansietà per le libertà pubbliche,
influivano tanto sul sentire del popolo, quanto l'odio della
religione cattolica romana. Quell'odio era diventato una delle
passioni dominanti dell'universale, ed era così forte negli uomini
ignoranti e profani, come in quelli che erano protestanti per
convinzione. Le crudeltà del regno di Maria, crudeltà che anche
raccontate con la maggior moderazione e fedeltà destano ribrezzo, e
che allora non erano nè fedelmente nè moderatamente narrate nei
martirologii popolari; le congiure contro Elisabetta, e sopra tutte
quella delle Polveri, avevano lasciato negli animi del volgo un
profondo ed amaro senso, che era tenuto vivo per mezzo di
commemorazioni, preghiere, fuochi e processioni annuali. È mestieri
aggiungere, che quelle classi che andavano peculiarmente predistinte
come affezionate al trono, cioè il Clero e i gentiluomini possidenti
di terre, avevano ragioni particolari per avversare la Chiesa di
Roma. Il Clero tremava per i suoi beneficii; i gentiluomini per le
abbadie e le grosse decime loro. Mentre era ancor fresca la memoria
del regno de' santocchi, l'odio del papismo aveva in qualche modo
ceduto il posto all'odio del puritanismo; ma ne' diciotto anni che
erano trascorsi dopo la Restaurazione, l'odio del puritanismo era
venuto scemando, e quello del papismo crescendo. I patti del
trattato di Dover conoscevansi distintamente da pochissimi; ma ne
era corsa attorno qualche voce. Opinavasi universalmente, essere
vicina l'ora in cui un gran colpo verrebbe portato alla religione
protestante. Molti sospettavano che il Re pendesse a favore di Roma.
Sapevasi da tutti, il suo fratello ed erede presuntivo essere un
bacchettone cattolico. La prima Duchessa di York era morta cattolica
romana. Giacomo, spregiando le rimostranze della Camera de' Comuni,
aveva allora sposata la Principessa Maria di Modena, cattolica
romana anch'essa. Se fossero nati figli da questo matrimonio, eravi
ragione di temere che verrebbero educati alla religione di Roma, e
che sederebbe sul trono inglese una lunga successione di principi
ostili alla fede stabilita. La Costituzione era stata, poco innanzi,
violata a fine di proteggere i Cattolici Romani dalle leggi penali.
Lo alleato, dal quale la politica inglese era stata per molti anni
diretta, era un Principe non solamente cattolico romano, ma
persecutore delle Chiese riformate. Non è strano, adunque, che in
cosiffatte circostanze il popolo paventasse sospettando il ritorno
de' tempi di colei ch'esso chiamava Maria la Bevi-sangue.
In tal guisa, la nazione trovavasi in tali condizioni, che la più
lieve favilla poteva produrre un incendio. Frattanto, appiccossi il
fuoco, in due luoghi ad un tempo, ad un immenso cumulo di materie
combustibili, ed in un attimo tutto fu in fiamme.
XLI. La Corte Francese, che sapeva come Danby le fosse nemico
mortale, riuscì a rovinarlo, facendolo passare per suo amico. Luigi,
per mezzo di Ralph Montague, uomo perfido e svergognato, che era
stato in Francia Ministro d'Inghilterra, depose innanzi la Camera
de' Comuni prove che attestavano, il Tesoriere essere stato
implicato in una richiesta che la Corte di Whitehall aveva fatta a
quella di Versailles per ottenere una somma di danari. Tale scoperta
produsse il suo naturale effetto. Il Tesoriere rimase esposto alla
vendetta del Parlamento a cagione non delle sue colpe, ma de' meriti
suoi; non per essere stato complice in un negoziato criminoso, ma
per esserlo stato assai mal volentieri e di mala grazia. Se non che,
i suoi contemporanei ignoravano le circostanze che nel giudizio
della posterità hanno grandemente attenuato il fallo di lui. Secondo
loro, egli era il mezzano che aveva venduta l'Inghilterra alla
Francia. La sua grandezza parve manifestamente giunta al suo fine,
ed era dubbio se gli riuscisse di sottrarsi alla pena capitale.
Eppure, il concitamento prodotto da tale scoperta fu lieve, ove si
paragoni alla pubblica commozione che nacque allorquando corse la
voce, essere stata scoperta una vasta congiura papale. Un certo Tito
Oates, prete della Chiesa d'Inghilterra, erasi, per condotta
disordinata e per dottrine eterodosse, attirata sul capo la censura
de' suoi superiori spirituali; era stato costretto a lasciare il suo
beneficio, ed aveva poi sempre menata vita infame e vagabonda. Aveva
già professata la religione cattolica romana, e passato qualche
tempo nei collegii inglesi dell'Ordine de' Gesuiti sul continente, e
in cotesti seminarii udito molto parlare intorno ai mezzi migliori
di ricondurre l'Inghilterra al grembo della vera Chiesa. Da siffatti
discorsi aveva raccolta materia a costruire un orribile romanzo,
somiglievole più presto ad un sogno d'infermo, che a qualunque altra
cosa del mondo esistente. Il Papa, diceva egli, aveva affidato il
Governo dell'Inghilterra ai Gesuiti. I Gesuiti avevano, per via di
commissioni munite del sigillo della loro società, nominato preti,
nobili e gentiluomini cattolici, a tutti i più alti ufficii della
Chiesa e dello Stato. I Papisti avevano una volta bruciata Londra.
Eransi provati ad incendiarla di nuovo. A que' tempi ordivano una
trama per appiccare fuoco a tutti i legni esistenti nel Tamigi.
Dovevano, ad un segno convenuto, insorgere e far macello di tutti i
protestanti. Un'armata francese doveva nel momento istesso sbarcare
in Irlanda. Tutti i principali uomini di Stato e gli ecclesiastici
d'Inghilterra dovevano essere assassinati. Tre o quattro progetti
eransi formati per assassinare il Re. Dovevano pugnalarlo, dargli il
veleno nel medicamento, tirargli con lo archibugio carico a palle
d'argento. L'opinione pubblica era in tale eccitamento, che siffatte
fandonie ottennero tosto credenza nelle menti del volgo; e due fatti
poco dopo seguiti, indussero non pochi uomini di senno a sospettare,
che la novella, quantunque manifestamente sformata ed esagerata,
avesse qualche fondamento di vero.
Eduardo Coleman, molto operoso, ma non onesto intrigante cattolico
romano, era fra le persone accusate. Inquisirono le sue carte, e si
accorsero che ne aveva distrutta gran parte. Ma le poche che furono
prese, contenevano certe parole, che sembravano, alle menti
fortemente preoccupate, confermare la testimonianza d'Oates. Queste
parole, per vero dire, ove s'interpretino con ischiettezza, paiono
esprimere poco più che certe speranze, che la postura delle cose, le
predilezioni di Carlo, le più forti predilezioni di Giacomo, e le
relazioni esistenti tra la Corte Francese e la Inglese, potevano
naturalmente eccitare nel cuore di un cattolico romano, strettamente
vincolato agli interessi della propria Chiesa. Ma il paese allora
non inchinava a interpretare schiettamente le lettere de' papisti; e
si concluse, con qualche apparenza di ragione, che se alcuni scritti
ai quali s'era poco badato, come quelli che non avevano nessuna
importanza, erano pieni di cose talmente sospette, qualche gran
mistero d'iniquità doveva contenersi in que' documenti che erano
stati con gran cura dati alle fiamme.
Pochi giorni dopo si seppe che Sir Edmondsbury Godfrey, insigne
Giudice di Pace che aveva raccolte le deposizioni di Oates contro
Coleman, era scomparso. Fattane ricerca, ne trovarono il cadavere in
un campo presso Londra. Chiaro appariva ch'era morto di morte
violenta. Era parimente chiaro che non era stato assassinato dai
ladri. La sua miseranda fine è rimasta sinora un secreto. Taluni
credono che si uccidesse da sè; altri che ei cadesse vittima
d'inimicizia privata. La opinione più improbabile è, che fosse
assassinato dal partito ostile alla Corte, onde meglio colorire la
novella della congiura. La opinione più probabile sembra essere, che
qualche furente cattolico romano, spinto alla frenesia dalle
menzogne di Oates e dagli insulti della plebe, non facendo nessuna
distinzione tra l'accusatore spergiuro e l'innocente magistrato, si
fosse voluto vendicare in un modo, di cui la storia delle sètte
perseguitate fornisce troppo numerosi esempi. Se così andò la
faccenda, lo assassino dovette poscia maledire alla sua propria
malvagità e follia. La metropoli e tutta la nazione insanirono
d'odio e di paura. Le leggi penali, che avevano cominciato a perdere
alcun che della loro acerbità, divennero nuovamente più rigorose. In
ogni dove i giudici erano affaccendati a perquisire case e
impossessarsi di carte. Tutte le prigioni rigurgitavano di papisti.
Londra rendeva immagine d'una città in istato d'assedio. La guardia
cittadina rimaneva in armi tutta la notte. Facevansi apparecchi a
barricare le grandi strade. Pattuglie correvano su e giù per le vie.
Whitehall fu circondato di cannoni. Nessun cittadino reputavasi
sicuro senza portare sotto la veste un'arme carica di piombo, per
far saltare le cervella agli assassini papali. Il cadavere del
magistrato ucciso, fu esposto per parecchi giorni allo sguardo del
popolo affollantesi; e venne finalmente sepolto con istrane e
terribili cerimonie, che erano indizio più presto di sete di
vendetta, che di dolore o di speranza religiosa. Le Camere
insistevano perchè le volte sopra le quali i rappresentanti
sedevano, venissero custodite da uomini armati, onde guardarsi da
una seconda Congiura delle Polveri. Tutti i loro atti avevano lo
stesso scopo. Dal regno di Elisabetta in poi, il giuramento di
supremazia era stato richiesto ai membri della Camera de' Comuni.
Alcuni Cattolici Romani, nondimeno, si erano studiati d'interpretare
quel giuramento in guisa, da poterlo prestare senza scrupolo di
coscienza. Adesso ne fu rifatta la formula; e i Lordi Cattolici
Romani furono, per la prima volta, esclusi da' loro seggi in
Parlamento. Vennero adottati vigorosi provvedimenti contro la
Regina. I Comuni gettarono in carcere uno dei Segretari di Stato,
per avere contrassegnate commissioni dirette a gentiluomini che non
erano buoni protestanti. Accusarono d'alto tradimento il Lord
Tesoriere. Anzi dimenticarono a tal segno la dottrina da loro
apertamente professata mentre era ancora fresca la memoria della
guerra civile, che tentarono perfino di privare il Re del comando
della guardia cittadina. A tale esasperazione, diciotto anni di
pessimo governo avevano condotto il più leale Parlamento che si
fosse mai adunato in Inghilterra!
Parrà forse strano a taluni, come in tanto estremo il Re si
esponesse al risico di appellarsi al popolo, perocchè il popolo era
in maggiore eccitamento che non erano i Rappresentanti. La Camera
Bassa, malcontenta come era, conteneva un numero maggiore di
Cavalieri, di quanti ne potessero verosimilmente essere rieletti di
nuovo. Ma pensavasi che lo scioglimento ponesse fine all'accusa
contro il Lord Tesoriere; accusa che, probabilmente, avrebbe tratti
alla luce del giorno tutti i colpevoli misteri della alleanza
francese, e cagionate gravi molestie personali ed impacci non pochi
a Carlo. E però, nel gennaio del 1679, il Parlamento, che era
esistito sempre dall'anno 1661, venne disciolto; e si spedirono i
decreti per una elezione generale.
XLII. Per varie settimane, la contesa in tutto il Regno fu feroce ed
ostinata oltre ogni credere. Si profusero somme di danari, di cui
non v'era esempio precedente. Si adoperarono nuovi mezzi di
riuscita. Fu notato dagli scrittori di que' tempi come cosa
straordinaria, che si affittassero cavalli a gran prezzo per
trasportare gli elettori al luogo d'elezione. L'uso di sminuzzare le
possessioni libere onde moltiplicare i voti, ha principio da questa
memorabile lotta. I predicatori dissenzienti, che stavano da lungo
tempo nascosti in tranquilli recessi fuggendo la persecuzione,
uscirono fuori, e correvano di villaggio in villaggio, onde
riaccendere lo zelo del disperso popolo di Dio. La procella
mugghiava minacciosa contro il Governo. Moltissimi de' nuovi
Rappresentanti vennero a Westminster in contegno poco diverso da
quello dei loro predecessori, che avevano imprigionato Strafford e
Laud dentro la Torre.
Frattanto, le Corti di Giustizia, le quali fra mezzo alle commozioni
politiche avrebbero dovuto essere luoghi sicuri di rifugio agli
innocenti di qualsivoglia partito, erano deturpate da più selvagge
passioni e più vile corruttela, che non fossero le assemblee degli
elettori. La storiella d'Oates, comunque fosse stata bastevole a
conturbare tutto il reame, non poteva bastare, fino a che non fosse
confermata da nuova testimonianza, a distruggere il più dappoco tra
coloro ch'egli aveva accusati. Imperciocchè, nella legge
d'Inghilterra, due testimoni erano necessari a stabilire la colpa di
tradimento. Ma il successo del primo impostore produsse le sue
naturali conseguenze. In poche settimane, dalla penuria ed oscurità
in cui giaceva, erasi inalzato ad opulenza e a potere tali, che egli
era il terrore del principe e dei nobili; a quella tale rinomanza,
che per gli animi bassi e ribaldi ha tutta la magia della gloria.
Non rimase lungo tempo senza coadiutori e rivali. Uno sciagurato, di
nome Carstairs, il quale aveva campata la vita in Iscozia
intervenendo ai conventicoli e facendo poscia la spia a'
predicatori, aprì la via. Bedloe, ribaldo conosciutissimo, gli tenne
dietro; e tosto da tutti i bordelli, le case da giuoco e le case
d'uscieri di Londra, sbucarono falsi testimoni a deporre contro la
vita de' Cattolici Romani. Uno si presentò raccontando la novella di
un'armata di trenta mila uomini, i quali, travestiti da pellegrini,
dovevano ragunarsi a Corunna, e quivi imbarcarsi per il paese di
Galles. Un altro diceva, essergli stata promessa la canonizzazione e
cinquecento sterline per assassinare il Re. Un terzo erasi
introdotto in una taverna a Covent Garden, ed aveva udito un gran
banchiere cattolico romano far sacramento, in mezzo a tutti gli
astanti e i garzoni, di uccidere il tiranno eretico. Oates, per non
essere vinto dai suoi imitatori, alla sua prima narrazione aggiunse
un ampio supplemento. Ebbe la portentosa impudenza di affermare, fra
le altre cose, d'essersi una volta nascosto dietro un uscio
socchiuso, ed avere udito la Regina che affermava di avere assentito
allo assassinio del proprio consorte. Il volgo credeva, e gli alti
magistrati facevano mostra di credere, simiglianti fandonie. I
giudici principali del Regno erano corrotti, crudeli e vigliacchi. I
capi del partito patriottico fomentavano il pubblico inganno. I più
rispettabili di essi, in verità, erano talmente caduti in inganno,
da credere vera la maggior parte delle prove della congiura. Uomini
come Shaftesbury e Buckingham, senza alcun dubbio, si accorgevano
che tutto era una pretta invenzione; ma giovava pur troppo i loro
disegni, e alle loro aride coscienze la morte di un innocente non
dava inquietudine maggiore di quella della morte d'una pernice. I
giurati partecipavano ai sentimenti allora comuni a tutta la
nazione, e venivano incoraggiati dal seggio a compiacere senza
riserbo a cosiffatti sentimenti. La plebe applaudì Oates e i suoi
consorti, fischiò e battè i testimoni che comparvero a difesa degli
accusati, e mandò gridi di gioia appena fu profferita la sentenza
che li dichiarava colpevoli. Invano que' miseri invocavano la onestà
della loro vita passata; imperocchè nella mente di tutti stava fitto
il pensiero, che quanto più coscienzioso fosse un papista, tanto era
più verosimile che ei congiurasse contro un Governo protestante.
Invano risolutamente affermarono la propria innocenza fino al
momento stesso della morte; imperciocchè era opinione generale, che
un buon papista considerava qualsivoglia menzogna che fosse utile
alla sua Chiesa, non solo scusabile, ma meritoria.
XLIII. Mentre il sangue innocente spargevasi sotto le forme della
giustizia, adunossi il nuovo Parlamento; e fu tale il violento
procedere del partito predominante, che anche gli uomini che avevano
passata la giovinezza in mezzo alle rivoluzioni, uomini che
rammentavano la condanna di Strafford, lo attentato contro i cinque
Rappresentanti, l'abolizione della Camera de' Lordi, la
decapitazione del Re, rimasero atterriti allo aspetto delle
pubbliche cose. L'accusa contro Danby fu ripresa. Costui invocò il
perdono del Principe. Ma i Comuni trattarono la risposta con
disprezzo, ed insistettero perchè si seguitasse il processo.
Nondimeno, Danby non era lo scopo precipuo delle loro persecuzioni.
Erano convinti che l'unico modo efficace di assicurare la libertà e
la religione dell'Inghilterra, era quello d'escludere dal trono il
Duca di York.
Il Re viveva in grande perplessità. Aveva insistito perchè suo
fratello, la vista del quale accendeva la rabbia del popolaccio, si
ritirasse per alcun tempo a Brusselles: ma non sembra che tale
concessione producesse favorevole effetto. Il partito delle
Teste-Rotonde divenne allora preponderante. Ad esso accostaronsi
milioni di cittadini, i quali, al tempo della Restaurazione,
pendevano verso la regia prerogativa. De' vecchi Cavalieri molti
partecipavano alla prevalente paura del papismo; e molti, amaramente
sentendo la ingratitudine del Principe a pro' del quale avevano
fatti cotanti sacrifici, prendevansi poca cura della miseria di lui,
come egli aveva poco curata la loro. Anche il Clero Anglicano,
mortificato ed impaurito dell'apostasia del Duca di York, sosteneva
tanto la opposizione, da congiungere cordialmente la propria voce al
grido universale contro i Cattolici Romani.
XLIV. Il Re, in cosiffatti estremi, erasi rivolto a Sir Guglielmo
Temple. Di tutti gl'impiegati di quell'età, Temple era quello che
aveva serbata migliore reputazione. La Triplice Alleanza era stata
opera di lui. Egli aveva ricusato di partecipare alla politica della
Cabala, ed era rigorosamente vissuto da privato finchè quella ebbe
in mano il governo della cosa pubblica. Chiamato da Danby, aveva
abbandonato il proprio ritiro, negoziata la pace fra l'Inghilterra e
l'Olanda, ed era stato precipuo strumento a concludere il matrimonio
di Maria col cugino Principe d'Orange. Così a lui riportavasi il
merito di tutte le poche cose lodevoli che erano state fatte dal
Governo dopo la Restaurazione. De' numerosi falli e delitti commessi
negli ultimi diciotto anni, nessuno ne veniva a lui attribuito. La
sua vita privata, quantunque non fosse austera, era decorosa; i suoi
modi erano popolari; e non era uomo da lasciarsi corrompere da
titoli o da ricchezze. Nonostante, qualche cosa mancava al carattere
di coteste spettabile uomo di Stato. L'amor suo per la patria era
tiepido. Era, pur troppo, studioso de' suoi agi e della dignità sua,
e rifuggiva con pusillanime timore da ogni responsabilità. E
davvero, le abitudini della sua vita non lo rendevano adattato ad
immischiarsi seriamente ne' conflitti delle nostre fazioni
intestine. Era pervenuto al cinquantesimo degli anni suoi senza aver
seduto nel Parlamento Inglese; e la sua esperienza officiale, ei
l'aveva quasi tutta acquistata nelle Corti forestiere. Giustamente
aveva fama d'essere uno de' più insigni diplomatici dell'Europa; ma
lo ingegno e le doti d'un diplomatico differiscono molto da ciò che
richiedesi in un uomo politico per condurre la Camera de' Comuni in
tempi torbidi.
Il disegno ch'egli propose, era argomento di non poca abilità.
Comecchè non fosse profondo filosofo, aveva, più che molti uomini
pratici del mondo, meditato intorno ai principii generali del
Governo; ed aveva fecondato il proprio intendimento studiando la
storia e viaggiando ne' paesi stranieri. E' pare che discernesse più
chiaramente che molti de' suoi coetanei, la cagione delle difficoltà
che stringevano il Governo. L'indole dell'ordinamento politico in
Inghilterra veniva a poco a poco mutandosi. Il Parlamento
lentamente, ma costantemente, acquistava terreno sulla prerogativa.
La linea tra il potere legislativo e lo esecutivo era in teoria più
che mai descritta distintamente, ma in pratica diveniva ogni giorno
più debole. Era teoria della Costituzione, che il Re avesse potestà
di nominare i propri Ministri. Ma la Camera de' Comuni aveva
cacciati successivamente dalla direzione degli affari Clarendon, la
Cabala e Danby. Era teoria della Costituzione, che il solo Re avesse
potestà di fare guerra e pace. Ma la Camera de' Comuni lo aveva
costretto a pacificarsi con l'Olanda, e lo aveva pressochè forzato a
muover guerra alla Francia. Era teoria della Costituzione, che il Re
fosse il solo giudice de' casi in cui convenisse graziare i
colpevoli. Nondimeno, egli aveva tanta paura della Camera de'
Comuni, che, allora non poteva rischiarsi di salvare dalla forca
uomini ch'ei ben sapeva essere vittime innocenti di uno spergiuro.
E' parrebbe che Temple volesse assicurare al Corpo Legislativo
gl'indubitati poteri costituzionali, e nel tempo stesso impedirgli,
per quanto fosse possibile, di fare altre usurpazioni nel campo del
Potere Esecutivo. A tale fine, pensò di porre fra il Sovrano ed il
Parlamento un corpo che potesse frustrare la scossa della loro
collisione. Eravi un Corpo antico, altamente onorevole e
riconosciuto dalla legge, il quale, egli pensava, potevasi riformare
in guisa, da servire al predetto scopo. Pensò di dare al Consiglio
Privato un nuovo carattere ed un ufficio nuovo nel Governo. Fissò a
trenta il numero de' Consiglieri; quindici dei quali dovevano essere
i principali ministri dello Stato, della legge e della religione;
gli altri quindici, nobili e gentiluomini privi di impiego, ma
opulenti e di grande reputazione. Non vi doveva essere Gabinetto
intimo. A tutti i trenta Consiglieri doveva confidarsi ogni secreto
di Stato, e dovevano tutti essere chiamati ad ogni adunanza del
Consiglio; e il Re doveva dichiarare, che in ogni occasione si
sarebbe lasciato guidare da loro.
Sembra che Temple credesse di assicurare, per mezzo di tale
ordinamento, la nazione contro la tirannia della Corona, e a un'ora
la Corona contro le usurpazioni del Parlamento. Da una parte, era
molto improbabile che i progetti, tali quali erano stati formati
dalla Cabala, si fossero potuti soltanto proporre per essere
discussi in un'Assemblea composta di trenta uomini eminenti,
quindici dei quali non avevano nessun vincolo d'interesse con la
Corte. Dall'altra parte, era da sperarsi che i Comuni, paghi della
guarentigia che contro gli abusi del Governo offriva un cosiffatto
Consiglio Privato, si sarebbero, più che per lo innanzi non avevano
fatto, mantenuti dentro gli stretti confini delle funzioni
legislative, e più non avrebbero riputato necessario d'immischiarsi
in ogni cosa spettante al Potere Esecutivo.
Cotesto disegno, quantunque per molti rispetti non fosse indegno di
colui che lo aveva immaginato, era vizioso nel suo principio. Il
nuovo Consiglio era mezzo Gabinetto e mezzo Parlamento; e, simile ad
ogni altra invenzione, sia meccanica, sia politica, intesa a due
fini affatto diversi, non era buono a conseguirne nessuno. Era così
ampio e diviso, da non potere essere un buon corpo amministrativo.
Era così strettamente connesso con la Corona, da non riuscire un
efficace potere raffrenante. Conteneva bastevoli elementi popolari
onde rendersi un cattivo Consiglio di Stato, inadatto a serbare il
segreto, a comporre i negoziati malagevoli, e ad amministrare le
cose della guerra. Nulladimeno, quegli elementi popolari non erano
punto bastevoli ad assicurare la nazione contro gli abusi del
Governo. Questo disegno, adunque, quand'anco fosse stato
sinceramente posto in esperimento, non avrebbe potuto sortire esito
felice; e non ne fu fatto sincero sperimento. Il Re era instabile e
perfido; il Parlamento era infiammato ed irragionevole; e i
materiali onde era composto il nuovo Consiglio, benchè fossero forse
i migliori che potesse apprestare quell'età, erano anco cattivi.
L'iniziarsi del nuovo sistema fu, non pertanto, salutato con gioia
universale; imperocchè il popolo inchinava a reputare miglioramento
ogni qualunque mutazione. Gli tornarono anche gradite parecchie
nomine. Shaftesbury, ormai bene accetto alla plebe, fu fatto Lord
Presidente. Russell ed altri insigni uomini del partito patriottico
furono chiamati al Consiglio. Ma dopo pochi giorni, imbrogliossi
ogni cosa. Le inconvenevolezze di avere un Gabinetto così numeroso
furono tali, che lo stesso Temple assentì a variare una delle regole
fondamentali da lui proposte, e a diventare egli stesso parte di un
piccolo nucleo che dirigeva veramente ogni cosa. A lui furono
accompagnati tre altri Ministri, cioè Arturo Capel Conte di Essex,
Giorgio Savite Visconte di Halifax, e Roberto Spencer Conte di
Sunderland.
Del Conte d'Essex, che era Primo Commissario del Tesoro, basti il
dire ch'era uomo fornito di doti solide, sebbene non appariscenti, e
di carattere grave e melanconico; che aderiva al partito
patriottico, e in quel tempo onestamente desiderava di riconciliare,
in modo proficuo allo Stato, quel partito col trono.
XLV. Fra gli uomini di Stato di quell'età, Halifax primeggiava per
ingegno. Aveva intelletto fecondo, sottile e capace; eloquenza
forbita, lucida e animata, la quale, accompagnata dal tono argentino
della voce, empiva di diletto la Camera de' Lordi. Il suo conversare
soprabbondava di pensiero, di fantasia, di brio. I suoi scritti
politici sono degni di studio per pregio letterario; onde
meritamente ei si annovera fra i Classici Inglesi. Alla importanza
ch'ei derivava da doti sì grandi e variate, congiungeva la influenza
che nasce dal grado e dalla ricchezza. E nondimeno, in politica egli
ebbe successo meno prospero di molti altri a lui inferiori. A vero
dire, quelle peculiarità intellettuali che rendono pregevoli i suoi
scritti, gli furono d'impedimento nelle lotte della vita attiva.
Perocchè egli vide sempre gli avvenimenti non nello aspetto in cui
comunemente si mostrano ad un uomo che ne è parte, ma quali, dopo lo
spazio di molti anni, appariscono allo storico filosofo. Con tale
tempra di mente, non poteva a lungo seguitare ad agire cordialmente
con nessuna società di uomini. Tutti i pregiudizi, tutte le
esagerazioni di ambedue i grandi partiti dello Stato, lo muovevano a
scherno. Spregiava le arti vili e gl'irragionevoli clamori dei
demagoghi. Spregiava anche più le dottrine del diritto divino e
della obbedienza passiva. Metteva egualmente in canzone la
bacchettoneria dell'ecclesiastico anglicano e quella del puritano.
Non poteva intendere come alcuno avversasse le festività de' Santi,
e certi abiti clericali; e come, soltanto per avversarli, l'uomo
potesse perseguitare il suo simile. In quanto all'indole, egli era
ciò che ai dì nostri si chiama Conservatore. In teoria era
repubblicano. Anche allorchè il timore dell'anarchia, e lo sdegno
ch'ei sentiva degl'inganni del volgo, lo indussero per qualche tempo
a congiungersi ai difensori del potere arbitrario, il suo intelletto
era sempre con Locke e con Milton. Veramente, i suoi scherni contro
la Monarchia ereditaria talvolta erano tali da sonar meglio sulle
labbra di un membro del Circolo della Testa di Vitello (Calf's Head
Club)(42), che su quelle di un Consigliere privato degli Stuardi. In
religione, era tanto lungi da dirsi uno zelante, che i poco
caritatevoli lo chiamavano ateo: ma egli respinse con veemenza
siffatta accusa; e in verità, quantunque alcuna volta porgesse
argomento di scandalo col modo onde faceva uso del raro vigore del
suo ragionare e de' suoi dileggi sopra subbietti gravi, ei sembra
essere stato suscettibile di sentimenti religiosi.
Egli era il capo di quegli uomini politici che dai due grandi
partiti venivano sprezzantemente chiamati Barcamenanti (Trimmers).
Invece di avere a sdegno questo soprannome, egli lo assunse come un
titolo d'onore, e rivendicò vivamente la dignità del vocabolo. Ogni
cosa buona, egli diceva, si tiene, si barcamena fra due estremi. La
zona temperata si tiene fra il clima dove gli uomini sono
abbronzati, e quello dove essi sono agghiacciati. La Chiesa
Anglicana si tiene fra la insania degli Anabattisti e la letargia
dei Papisti. La Costituzione Inglese si tiene fra il dispotismo
turco, e l'anarchia polacca. La virtù non è altro che un giusto
temperamento fra certe tendenze, ciascuna delle quali, condotta
all'eccesso, diventa vizio. Anzi, la perfezione dello stesso Ente
Supremo consiste nell'esatto equilibrio degli attributi, nessuno dei
quali potrebbe preponderare senza turbare l'ordine morale e fisico
del mondo(43). Così Halifax barcamenavasi per principio. Si
barcamenava parimente a cagione della indole, della mente e del
proprio cuore. Aveva intendimento acuto, scettico, inesauribilmente
fecondo di distinzioni ed obiezioni; gusto insigne, sentimento
squisito del burlesco, indole placida e indulgente, ma fastidiosa, e
in nessun modo inchinevole o alla malignità o alla ammirazione
entusiastica. Un uomo tale non poteva essere lungamente l'amico
immutabile di qualsivoglia partito politico. Nondimeno, non è
mestieri accomunarlo alla turba volgare de' rinnegati. Imperciocchè,
quantunque, al pari di costoro, egli passasse ora a questa, ora a
quella parte, il suo trapasso avveniva in direzione opposta alla
loro. Ei non aveva nulla di comune con quelli che volano da estremo
ad estremo, e sentono per il partito da essi abbandonato una
animosità più forte di quella dei nemici costanti. Il suo posto era
in mezzo alle divisioni ostili della Comunità, ed ei non ispingevasi
oltre i confini dell'una o dell'altra. Il partito al quale egli
apparteneva, era sempre quello che in quel momento piacevagli meno,
perchè lo mirava più da presso. E però, egli era sempre severo verso
i suoi colleghi violenti, e sempre in amichevoli relazioni coi suoi
oppositori moderati. Ciascuna fazione, nel giorno del proprio
insolente e vendicativo trionfo, incorreva nella censura di lui; ma
vinta e perseguitata, trovava in lui un protettore. A perenne onor
suo, è uopo rammentare ch'egli tentò di salvare quelle vittime, la
sciagurata sorte delle quali ha lasciata turpissima macchia sul nome
de' Whig e dei Tory.
Erasi reso singolarmente notevole nell'opposizione, ed aveva perciò
incorso talmente l'ira del Re, da non essere stato ammesso al
Consiglio dei Trenta senza difficoltà e lunga contesa. Nulladimeno,
appena gli fu dato porre piede nella Corte, la malia de' suoi modi e
del suo conversare gli acquistarono insigne favore. Erasi seriamente
impaurito alla violenza del pubblico malcontento; e pensava che la
libertà per allora fosse in sicuro, ma l'ordine e l'autorità
legittima corressero pericolo. Ond'egli, secondo era suo costume, si
congiunse alla parte debole. Forse la sua conversione non fu affatto
scevra d'interesse; perocchè gli studi e la meditazione, benchè lo
avessero emancipato da molti pregiudizi volgari, lo avevano lasciato
schiavo ai volgari desiderii. Non difettava d'oro; e non v'è prova
che attesti esserselo procacciato con mezzi i quali, anche in quella
età, i severi censori consideravano come disonoranti: ma il grado e
il potere erano a lui irresistibili tentazioni. Protestava di
considerare i titoli e i grandi uffici come allettamenti che possono
sedurre i soli stolti, di odiare le faccende, la pompa, le
apparenze, e di desiderare caramente sottrarsi al rumore ed agli
splendori di Whitehall, onde rifuggirsi ai boschi tranquilli che
circondavano il suo antico castello in Rufford; ma la sua condotta
discordava non poco dalle sue proteste. Vero è che voleva a sè
riverenti i cortigiani e insieme i filosofi, ed essere ammirato per
avere conseguite alte dignità, e per saperle ad un tempo spregiare.
XLVI. Sunderland era Segretario di Stato. In lui era
maravigliosamente incarnata la immoralità politica di quell'età.
Natura lo aveva dotato d'acuto intelletto, d'indole irrequieta o
malefica, di cuore freddo, di spirito abietto. La sua mente era
stata educata in guisa, che tutti i suoi vizi vi fecondavano con
rigogliosa maturità. Entrato nella vita pubblica, aveva passati vari
anni in impieghi diplomatici appo le Corti straniere, e per qualche
tempo era stato Ministro in Francia. Ogni Stato ha le sue tentazioni
peculiari. Non è ingiusto lo affermare che i diplomatici, come
classe, si sono sempre fatti notare per destrezza, per l'arte con
cui acquistano la fiducia di coloro coi quali debbono trattare, e
per l'agevolezza d'afferrare il tono di qualsiasi società alla quale
vengano ammessi, più presto che per entusiasmo generoso e per
austera rettitudine: e le relazioni tra Carlo e Luigi erano tali,
che nessun gentiluomo inglese avrebbe potuto lungo tempo dimorare in
Francia come ambasciatore, e serbare dramma di sentimento onorevole
e patriottico. Sunderland, dalla scuola dove era stato educato, uscì
astuto, pieghevole, scevro di vergogna e d'ogni qualunque
pregiudizio, e destituto d'ogni principio. Per relazioni ereditarie,
egli era Cavaliere; ma non aveva nulla di comune col partito de'
Cavalieri. Costoro erano zelanti della Monarchia, e professavano la
dottrina contraria ad ogni resistenza; ma avevano cuori robusti e
veramente inglesi, che non avrebbero mai tollerato un reggimento
dispotico. Egli, per l'opposto, aveva una languida vaghezza
speculativa per le istituzioni repubblicane; vaghezza che non
gl'impediva in nulla d'essere prontissimo a diventare in pratica il
più servile strumento del potere arbitrario. A sembianza di molti
altri lusingatori e negoziatori compiti, era più dotto nell'arte di
conoscere i caratteri e giovarsi della debolezza degli uomini, che
nell'arte di discernere il sentire delle grandi masse, e prevedere
lo avvicinarsi delle grandi rivoluzioni. Era destro negli intrighi;
e riusciva difficile, anche agli uomini sottili ed esperti che
fossero stati preavvertiti della perfidia di lui, il resistere al
fascino de' suoi modi, e non credere alle sue proteste d'affetto. Ma
era così intento ad osservare e corteggiare gl'individui, che
dimenticava di studiare l'indole della nazione: però cadde in
gravissimi inganni, rispetto ai più solenni eventi del suo tempo.
Ogni importante movimento o scoppio dell'opinione pubblica gli
giunse di sorpresa; e il mondo, non sapendo intendere che un uomo
come lui, fosse cotanto cieco da non vedere ciò che chiaramente
vedevano i politicanti delle botteghe da caffè, talvolta attribuiva
a profondo disegno quei che, a dir vero, non erano se non pretti
abbagli.
Soltanto ne' privati colloqui, le sue doti eminenti principalmente
esplicavansi. Ne' recessi della reggia, o in un assai piccolo
cerchio, egli esercitava grande influenza. Ma nel Consiglio era
taciturno; e nella Camera de' Lordi non apriva mai le labbra.
XLVII. I quattro Consiglieri confidenti della Corona si accorsero
tosto, la loro situazione essere impacciata e fatta segno alla
invidia. Gli altri membri del Consiglio mormoravano di tale
predilezione contraria a quanto il Re aveva promesso; e taluni di
loro, capitanati da Shaftesbury, si dettero di nuovo a fare vigorosa
opposizione in Parlamento. L'agitazione, che gli ultimi mutamenti
avevano sospesa, divenne rapidamente quanto mai violentissima.
Invano Carlo offrì ai Comuni qualunque guarentigia avessero potuto
immaginare a pro' della religione protestante, purchè solo non
toccassero l'ordine della successione. Non vollero udire a parlare
di patti: volevano la Legge d'Esclusione, e null'altro che la Legge
d'Esclusione. Il Re, quindi, poche settimane dopo d'avere
pubblicamente promesso di non muovere passo senza consultare il suo
nuovo Consiglio, recossi alla Camera de' Lordi senza farne parola in
Consiglio, e prorogò il Parlamento.
Il giorno di tale proroga, cioè il ventesimosesto del maggio 1679,
forma una grande era nella nostra storia: perocchè in quel dì l'Atto
dell'Habeas Corpus ebbe la regia approvazione. Dal tempo della Magna
Carta in poi, la legge concernente la libertà personale degl'Inglesi
è stata, in sostanza, quasi come è oggi; ma era inefficace, per
difetto di un sistema energico di procedura.
XLVIII. Ciò che bisognava, non era un nuovo diritto, ma un rimedio
pronto ed indagatore: rimedio al quale fu provveduto con l'Atto
dell'Habeas Corpus. Il Re avrebbe volentieri ricusato lo assenso a
siffatta provvisione; ma era sul punto di fare appello dal
Parlamento al popolo in quanto alla questione della successione; e
non poteva rischiarsi, in un momento così critico, di rigettare una
legge estremamente popolare.
Nel medesimo giorno, la stampa in Inghilterra divenne libera per
breve tempo. Anticamente, gli stampatori erano stati soggetti al
rigido sindacato della Camera Stellata. Il Lungo Parlamento l'aveva
abolito; ma, ad onta de' filosofici ed eloquenti rimproveri di
Milton, aveva istituita e conservata la censura. Subito dopo la
Restaurazione, era stata fatta una legge che inibiva la stampa di
libri non muniti di licenza; ed erasi provveduto che siffatta legge
rimanesse in vigore sino al chiudersi della prima sessione del
prossimo Parlamento. Quel termine era arrivato, e il Re nel tempo
stesso che licenziava le Camere, emancipò la stampa.
XLIX. Poco dopo la proroga, seguì lo scioglimento e la elezione
generale. Grande era lo zelo e la forza dell'opposizione. Gridavasi
più che mai a favore della Legge d'Esclusione: al quale grido ne
mescolavano un altro che infiammò il sangue della moltitudine, e che
svegliò dolore e paura ne' petti de' prudenti amici della libertà.
Non solo vennero assaliti i diritti del Duca di York che era papista
conosciuto, ma quelli delle sue due figlie, le quali erano sincere e
calde protestanti. Affermavano come cosa certa, che il maggior
figlio naturale del Re era nato di matrimonio, ed era quindi erede
legittimo della Corona.
Carlo, mentre era pellegrino sul continente, aveva amoreggiato
all'Aja con Lucia Walters, bellissima fanciulla del paese di Galles,
ma di poco intendimento e di costumi corrotti. Diventata amante di
lui, gli partorì un figlio. Un innamorato sospettoso ne avrebbe
concepito qualche dubbio; perocchè la donna aveva parecchi
vagheggiatori, e credevasi che non fosse crudele a tutti. Carlo,
nondimeno, prestò fede alla parola di lei, e mise addosso al piccolo
Giacomo Crofts - era questo il nome allora imposto al fanciullo - un
amore sì sviscerato, da sembrare impossibile in un uomo d'indole
fredda e spensierata qual era Carlo. Tosto dopo la Restaurazione, il
bene amato giovane, il quale aveva imparati in Francia gli esercizi
in quel tempo reputati necessari ad un gentiluomo compito, comparve
in Whitehall. Gli fu dato alloggio in palazzo, gli furono dati
parecchi paggi, e parecchi privilegi fino allora goduti soltanto dai
Principi di sangue reale. Mentre era ancora ne' suoi teneri anni,
gli fu data in moglie Anna Scott, erede della nobile casa di
Buccleuch. Assunse il nome, e prese possesso de' vasti dominii di
lei. La ricchezza ch'egli acquistò con tale parentado estimavasi
comunemente a non meno di diecimila sterline annue. Fu colmato di
titoli e di favori più sostanziali de' semplici titoli. Fu fatto
Duca di Monmouth in Inghilterra, Duca di Buccleuch in Iscozia,
Cavaliere della Giarrettiera, Maestro de' Cavalli, Comandante della
prima truppa delle Guardie del Corpo, Primo Giudice di Eyre al
mezzodì del Trent, e Cancelliere della Università di Cambridge. Nè
al popolo pareva egli immeritevole della sua altissima fortuna.
Aveva aspetto assai leggiadro ed affabile, carattere dolce, modi
gentili e cortesi. Quantunque fosse un libertino, acquistò lo
affetto de' Puritani. Quantunque si sapesse da tutti ch'egli era
stato partecipe del secreto della vergognosa aggressione contro Sir
Giovanni Coventry, il partito patriottico pose facilmente tutto in
dimenticanza. Perfino gli austeri moralisti confessavano, che in una
Corte come quella, non poteva aspettarsi rigorosa fedeltà conjugale
da un uomo, che mentre era fanciullo, era stato sposato ad una
bambina. Anche i patriotti volentieri scusavano un caparbio
giovinetto, che aveva voluto punire con immoderata vendetta un
insulto fatto al proprio genitore. La macchia di cotesti amori e
risse notturne venne presto cancellata da fatti onorevoli.
Allorquando Carlo e Luigi accomunarono le forze loro contro la
Olanda, Monmouth comandava le milizie ausiliari inglesi spedite sul
continente, e fece prova di valoroso soldato e d'ufficiale non privo
di senno. Ritornato in patria, divenne l'uomo più popolare del
Regno. Nulla gli mancava fuori che la Corona, alla quale non pareva
ch'ei non potesse in alcun modo arrivare. La distinzione che con
assai poco giudizio era stata fatta tra lui e i più grandi Nobili,
aveva prodotti pessimi effetti. Da fanciullo, era stato invitato a
tenere il cappello in capo nella sala del trono, mentre Howards e
Seymours gli stavano accanto col capo scoperto. Alla morte di
principi stranieri, aveva indossata, in segno di lutto, la veste
purpurea: segno che nessun altro suddito, tranne il Duca di York e
il Principe Rupert, avevano licenza di portare. Era naturale che
simiglianti cose lo inducessero a considerarsi come Principe
legittimo della famiglia degli Stuardi. Carlo, anche nella età
matura, giaceva immerso ne' piaceri, e curavasi poco della propria
dignità. Appena reputavano incredibile che a venti anni avesse
segretamente sposata con tutte le forme una donna, che avendolo
ammaliato con la propria beltà, non gli s'era voluta dare ad altri
patti. Mentre Monmouth era ancora fanciullo, e mentre il Duca di
York era creduto ancora protestante, era corsa voce per tutto il
paese, ed anche in certi crocchi che avrebbero dovuto averne certa
notizia, che il Re aveva fatta sua moglie Lucia Walters, e che,
qualora qualcuno ne avesse diritto, il figlio di lei sarebbe
Principe di Galles. Si chiacchierò molto intorno ad una certa
cassetta nera, la quale, secondo la credenza popolare, conteneva il
contratto maritale. Questa frivola storiella divenne importantissima
appena Monmouth fu ritornato dai Paesi Bassi con alta riputazione di
valore e condotta, ed appena si seppe che il Duca di York era membro
d'una Chiesa detestata dalla maggior parte della nazione. A favore
di essa non eravi la minima prova; contro essa vi era la solenne
dichiarazione del Re, fatta innanzi il suo Consiglio, e per suo
comandamento comunicata al popolo. Ma la moltitudine, sempre vaga
d'avventure romanzesche, inghiottì agevolmente la storiella de'
segreti sponsali e della cassetta nera. Alcuni capi della
opposizione operarono in questo fatto come avevano già operato
rispetto alla più odiosa favola di Oates, e sostennero una novella
che avrebbero dovuto spregiare. Lo interesse che il popolo poneva in
colui che veniva reputato il campione della vera fede, e lo erede
legittimo del trono inglese, venne tenuto desto con ogni artificio.
Quando Monmouth giunse in Londra verso mezzanotte, i magistrati
comandarono alle scolte che proclamassero il lieto evento per tutte
le vie della città: le genti saltarono giù da' loro letti: si
accesero fuochi di gioia; le finestre s'illuminarono; s'apersero le
chiese, e tutte le campane suonarono a festa. Quando viaggiava, era
in ogni parte ricevuto con pompa non minore, e con assai maggiore
entusiasmo di quello con cui erano stati accolti i Re procedenti in
mezzo al reame. Veniva di casa in casa scortato da lunghe cavalcate
di gentiluomini e borghesi armati. Dalle città uscivano le intere
popolazioni a riceverlo. Gli elettori si affollavano d'intorno a
profferirgli i loro voti. Egli spinse tanto alto le sue pretese, che
non solo mise nell'arme di sua famiglia i leoni d'Inghilterra e i
gigli di Francia senza il bastone sinistro, sotto il quale, secondo
le leggi del blasone, vengono posti in segno della sua nascita
illegittima; ma rischiossi di toccare gli ammalati della malattia
regia. Nel tempo stesso, adoperava le arti tutte che valgono a
conciliare lo amore della moltitudine. Teneva al fonte battesimale i
figliuoli de' contadini, mescolavasi ai loro rustici sollazzi,
lottava, giuocava al bastone a due punte, e vinceva provandosi nelle
corse pedestri, egli calzato di stivali contro altri calzati di
scarpe.
È curiosissima circostanza, che in due delle più grandi occasioni
della nostra storia, i capi del partito protestante cadessero nel
medesimo errore, e con esso ponessero a grave pericolo la propria
patria e religione. Alla morte di Eduardo VI, opposero Lady Giovanna
senza alcuna apparenza di diritto di nascita, non solo a Maria loro
nemica, ma ad Elisabetta, ch'era la vera speranza dell'Inghilterra e
della Riforma. Però i più rispettabili protestanti, con Elisabetta a
loro capo, furono costretti a fare causa comune coi papisti. Nello
stesso modo, centotrent'anni dopo, parte dell'opposizione ponendo
Monmouth come pretendente alla Corona, aggredivano il diritto non
solo di Giacomo, che era da essi giustamente considerato quale
implacabile nemico della fede e delle libertà loro; ma anche del
Principe e della Principessa d'Orange, i quali venivano
singolarmente segnati a dito, e per la situazione e per le qualità
personali loro, come difensori di tutti i liberi governi e di tutte
le Chiese riformate.
In pochi anni, la insania di siffatto procedere divenne manifesta.
Ma allora gran parte del potere dell'opposizione consisteva nella
popolarità di Monmouth. Le elezioni riuscirono avverse alla Corte;
il giorno stabilito per l'adunanza delle Camere appressavasi: era,
dunque, mestieri che il Re scegliesse la condotta da tenere. Coloro
che lo consigliavano, scoprirono i primi lievi segni d'un mutamento
nel pubblico sentire, e sperarono che, soltanto differendo a miglior
tempo il conflitto, Carlo otterrebbe sicura vittoria. Egli, quindi,
senza né anche chiedere l'opinione del Consiglio de' Trenta, decise
di prorogare il nuovo Parlamento innanzi che cominciasse i suoi
lavori. Intanto, al Duca di York, che era ritornato da Brusselles,
fu fatto comandamento di ritirarsi in Iscozia, e fu messo a capo
dell'amministrazione di quel Regno.
Il sistema di Governo fatto da Temple venne manifestamente
abbandonato, e subito posto in dimenticanza. Il Consiglio Privato
tornò ad essere ciò che, era già stato. Shaftesbury e i suoi fautori
politici rinunziarono ai loro seggi in Consiglio. Lo stesso Temple,
siccome aveva costume di fare ne' tempi torbidi, si ritirò nella
quiete del suo giardino e nella sua biblioteca. Essex lasciò il
Tesoro, e volle correre le sorti dell'opposizione. Ma Halifax,
infastidito e temente la violenza de' suoi vecchi colleghi, e
Sunderland, che non abbandonava mai il posto finchè poteva starci,
rimasero a' servigi del Re.
A cagione delle rinunzie che seguirono in questa occasione, la via
che conduceva alla grandezza fu lasciata aperta ad una nuova torma
di aspiranti. Due uomini di Stato, i quali poscia conseguirono la
maggiore altezza cui possa giungere un suddito inglese, cominciarono
a richiamare a sè gli occhi di tutti. Avevano nome Lorenzo Hyde e
Sidney Godolphin.
L. Lorenzo Hyde era secondo figlio del Cancelliere Clarendon, e
fratello della prima Duchessa di York. Aveva doti eccellenti, rese
migliori dalla esperienza parlamentare e diplomatica; ma le
infermità della sua tempra scemavano molto la forza naturale di
quelle doti. Per quanto fosse assuefatto a' negoziati diplomatici e
agli usi di Corte, non imparò mai l'arte di governare o nascondere
le proprie emozioni. Nella prosperità era insolente e vanaglorioso:
appena riceveva un colpo dall'avversa fortuna, sapeva così poco
dissimulare il cordoglio, che i suoi nemici maggiormente
trionfavano: piccolissime provocazioni bastavano ad accendergli
l'ira nel cuore; e mentre era incollerito, diceva amarissime cose,
che, appena calmato, dimenticava, ma che gli altri tenevano
lungamente scolpite nella memoria. Per isvegliatezza e acutezza di
mente, ei sarebbe diventato un profondo uomo d'affari, ove non fosse
stato troppo fiducioso di sè ed impaziente. I suoi scritti provano
ch'egli aveva molti de' requisiti che formano un oratore; ma la
irritabilità gli impediva di rendersi giustizia nelle discussioni:
avvegnachè nulla fosse tanto facile quanto lo incitarlo all'ira; ed
appena in preda alle passioni, diventava il zimbello di oppositori
molto meno capaci di lui.
Dissimile da' moltissimi politici di quel tempo, egli era uomo di
parte, coerente a sè stesso, burbero, astioso; era un Cavaliere
della vecchia scuola, un ardente campione della Corona e della
Chiesa, e odiava i Repubblicani e i non-conformisti. Aveva, quindi,
moltissimi proseliti. Il clero, in ispecie, lo considerava come
l'uomo suo proprio, ed accordava alle debolezze di lui una
indulgenza, che, a dir vero, gli faceva mestieri; imperciocchè
abbandonavasi al bere, e ogni qualvolta trascorreva alla collera - e
ciò accadeva assai spesso, - bestemmiava come un vetturino.
Egli succede ad Essex nell'ufficio di Tesoriere. È d'uopo notare,
che il posto di Primo Lord del Tesoro non aveva allora la importanza
e dignità che ha nei tempi nostri. Ogni qualvolta eravi un Lord
Tesoriere, egli era generalmente anche Primo Ministro; ma quando il
bianco bastone era affidato ad una commissione, il capo commissario
non aveva il grado di Segretario di Stato. Solo ai tempi di Walpole,
il Primo Lord del Tesoro venne considerato come capo del potere
esecutivo.
LI. Godolphin era stato educato fra i paggi di Whitehall, e fino da'
suoi teneri anni aveva acquistata tutta la flessibilità e la
padronanza di sè, proprie d'un cortigiano. Era amante del lavoro, di
mente lucida, e profondamente versato nelle minuzie della finanza.
Ogni Governo, quindi, lo sperimentò utile servitore; e non era nulla
nelle opinioni o nel carattere di lui, che gli impedisse di servire
a qualsifosse Governo. "Sidney Godolphin," diceva Carlo, "non è mai
fra mezzo alla via, e mai fuori di via." Questa pungente
osservazione spiega mirabilmente la straordinaria riuscita di
Godolphin nel mondo.
In diversi tempi, operò in compagnia di ambedue i grandi partiti
politici; ma non partecipò mai alle passioni di nessuno di quelli.
Come gli uomini d'indole cauta e di prospera ventura, inchinava
fortemente a sostener le cose esistenti. Aborriva dalle rivoluzioni,
e per la ragione medesima dalle controrivoluzioni. Aveva contegno
notevolmente grave e riserbato, ma gusti bassi e frivoli; e spendeva
tutto il tempo che gli rimaneva libero dalle pubbliche faccende,
nelle corse, nel giuoco delle carte, e ne' combattimenti de' galli.
Adesso sedeva, sotto Rochester, nell'ufficio del Tesoro, dove si
rese notevole per assiduità ed intelligenza.
Innanzi che il nuovo Parlamento si fosse lasciato radunare per il
disbrigo degli affari, scorse un anno intiero; anno pieno di eventi,
che nella lingua e ne' costumi nostri ha lasciato incancellabili
vestigi. Mai prima d'allora le controversie politiche avevano
proceduto con pari libertà; mai prima d'allora i circoli politici
erano esistiti con organizzazione tanto elaborata, o con tanto
formidabile influenza. La sola questione dell'Esclusione occupava le
menti di tutti. Tutta la stampa e i pergami del reame presero parte
al conflitto. Da un lato, sostenevasi che la Costituzione e la
Religione dello Stato non sarebbero mai sicure sotto un re papista;
dall'altro lato, che il diritto di Giacomo alla Corona derivava da
Dio, e non poteva essere annullato nè anche dal consenso dell'intero
corpo legislativo.
LII. Ogni contea, ogni città, ogni famiglia, era in grande
agitazione. Le cortesie e le ospitalità de' vicini rimanevano
interrotte. I più cari vincoli d'amicizia e di sangue erano
indeboliti o rotti. Perfino gli scolari erano divisi in parti; e il
Duca di York e il Conte di Shaftesbury avevano partigiani zelanti in
Westminster ed Eaton. I teatri risuonavano de' clamori delle avverse
fazioni. La Papessa Giovanna fu messa sulle scene dai fervidi
protestanti. I poeti pensionati empivano i prologhi e gli epiloghi
di elogi al Re e al Duca. I malcontenti assediavano il trono con
petizioni, chiedendo la subita convocazione del Parlamento. I
realisti mandavano indirizzi, significando lo estremo aborrimento
contro tutti coloro che presumessero imporre al sovrano. I cittadini
di Londra raccoglievansi a diecine di migliaia, onde bruciare il
papa in effigie. Il Governo appostò coorti di cavalleria a Temple
Bar, e collocò le artiglierie attorno Whitehall. In quell'anno, la
nostra lingua si arricchì di due parole, mob e sham(44); notevoli
ricordi d'una stagione di tumulti e d'impostura(45).
LIII. Gli avversari della Corte erano chiamati Birminghams,
Petizionisti, Esclusionisti. I partigiani del Re dicevansi
Anti-Birminghams, Aborrenti, Tantivies. Siffatti vocaboli presto
caddero in disuso: ma in quel tempo furono primamente uditi due
soprannomi, i quali, comecchè in origine si proferissero ad insulto,
vennero poco dopo assunti con orgoglio, sono tuttavia d'uso
giornaliero, si sono estesi con la razza inglese, e dureranno quanto
la inglese letteratura. È circostanza curiosa come uno di cotesti
soprannomi fosse d'origine scozzese, ed irlandese l'altro. In
Iscozia, come in Irlanda, il cattivo Governo aveva fatto nascere
bande di uomini disperati, la ferocia dei quali era accresciuta
dallo entusiasmo religioso. In Iscozia, parecchi dei Convenzionisti
perseguitati, resi frenetici dall'oppressione, avevano poco innanzi
assassinato il Primate, prese le armi contro il Governo, riportato
qualche vantaggio contro le forze regie; e non erano stati domati
fino a che Monmouth, a capo di alcune milizie d'Inghilterra, gli
aveva rotti a Bothwell Bridge. Questi zelanti erano numerosissimi
fra i rustici delle pianure occidentali, e volgarmente venivano
chiamati Whig. Così il nome di Whig, dato ai presbiteriani zelanti
di Scozia, venne applicato a quei politici inglesi che mostravansi
disposti ad avversare la Corte, ed a trattare con indulgenza i
protestanti non-conformisti. Nel tempo stesso, le maremme
dell'Irlanda apprestavano rifugio ai papisti banditi; simili molto a
coloro che poscia si dissero Whiteboys. Cotesti uomini allora
chiamavansi Tory. Il nome di Tory venne perciò apposto a quegli
Inglesi che ricusavano di cooperare ad escludere dal trono un
Principe cattolico romano.
La rabbia delle fazioni ostili sarebbe stata abbastanza violenta,
quand'anco si fosse lasciata operare da sè. Ma fu studiosamente
esasperata dal comune nemico. Luigi seguitava a comperare e
lusingare in un tempo la Corte e la opposizione. Esortava Carlo a
tener fermo; esortava Giacomo ad accendere la guerra civile nella
Scozia: esortava i Whig a non desistere, ed a riposare con fiducia
sopra la protezione della Francia.
Fra mezzo a tanta agitazione, un occhio giudizioso si sarebbe potuto
accorgere come la pubblica opinione venisse a poco a poco cangiando.
La persecuzione de' Cattolici romani continuava; ma le convinzioni
non erano più in uso. Una nuova genia di falsi testimoni, tra' quali
il più notevole era un ribaldo chiamato Dangerfield, infestava i
tribunali. Ma le storielle di costoro, benchè fossero meglio
congegnate di quella d'Oates, erano meno credute. I giurati più non
erano corrivi a prestar fede, come lo erano stati durante il timore
panico che aveva tenuto dietro allo assassinio di Godfrey; e i
giudici, i quali, mentre la frenesia popolare era giunta al massimo
grado erano stati ossequiosissimi strumenti di quella,
arrischiavansi adesso a palesare in parte le proprie opinioni.
LIV. Finalmente, nell'ottobre del 1680, adunossi il Parlamento. I
Whig avevano una così grande maggioranza nella Camera dei Comuni,
che la Legge d'Esclusione passò senza difficoltà. Il Re appena
sapeva quali fossero i membri del suo Gabinetto, de' quali potesse
far conto. Hyde era rimasto fedele alle sue opinioni di Tory, ed
aveva fermamente sostenuta la causa della monarchia ereditaria. Ma
Godolphin, desideroso di tranquillità, e credendo di non poterla
ottenere se non se per mezzo della concessione, desiderava che la
legge passasse. Sunderland, sempre perfido e poco veggente, inetto a
scernere i segni della reazione che s'appressava, ed ansioso di
riconciliarsi al partito che a lui pareva invincibile, deliberò di
votare contro la Corte. La Duchessa di Portsmouth supplicava il suo
reale amante a non correre diritto alla propria rovina. Se v'era
cosa intorno alla quale egli avesse scrupolo di coscienza e d'onore,
ella era la questione della successione: ma per alcuni giorni e'
parve volesse cedere. Ondeggiava, e chiedeva quale somma di danari i
Comuni gli darebbero se egli cedesse; e permise che si aprissero
negoziati coi principali Whig. Ma la profonda vicendevole
diffidenza, che era venuta sempre crescendo, ed era stata con grande
studio alimentata dalle arti della Francia, rese impossibile ogni
trattato. Nessuna delle parti voleva affidarsi all'altra.
LV. La intera nazione, con ansia indicibile, teneva l'occhio fisso
alla Camera de' Lordi. La congrega de' Pari era numerosa. Il Re
stesso era lì presente. Le discussioni furono lunghe, ardenti, e di
quando in quando furiose. Parecchi recarono la mano all'elsa della
propria spada, in modo da richiamare alla memoria la immagine de'
procellosi Parlamenti di Enrico III e di Riccardo II. A Shaftesbury
e ad Essex si congiunse il perfido Sunderland. Ma il genio di
Halifax vinse ogni opposizione. Abbandonato da' principali fra' suoi
colleghi, ed avversato da una falange di insigni antagonisti, difese
la causa del Duca di York con parecchie orazioni, le quali, molti
anni dipoi erano rammentate come capolavori di ragionamento, di brio
e d'eloquenza. Rade volte avviene che l'arte oratoria cangi i voti:
eppure, il testimonio de' contemporanei non lascia dubbio nessuno
che, in cotesta occasione, i voti cangiaronsi mercè l'arte oratoria
di Halifax. I Vescovi, fedeli alle proprie dottrine, sostennero il
principio del diritto ereditario, e la legge venne rigettata a gran
maggioranza di voti(46).
La parte che preponderava nella Camera de' Comuni, amaramente
umiliata da cotesta sconfitta, trovò qualche compenso spargendo il
sangue de' Cattolici romani. Guglielmo Howard, visconte Stafford,
uno degli infelici già accusati come complici della congiura, fu
condotto al tribunale de' suoi pari; e sullo attestato di Oates e di
due altri falsi testimoni, Dugdale e Turberville, fu giudicato
colpevole di alto tradimento, e dannato a morire. Ma le circostanze
del suo processo e della sua morte avrebbero dovuto essere d'utile
ammonimento ai capi de' Whig. Una grande e rispettabile minoranza
nella Camera de' Lordi lo dichiarò non reo. La moltitudine, che
pochi mesi innanzi aveva ricevute le estreme confessioni delle
vittime di Oates con esecrazione e scherno, ora diceva a voce alta
che Stafford moriva assassinato. Quando egli col suo ultimo respiro
protestò della propria innocenza, gli astanti gridavano: "Dio vi
benedica, Milord! Noi vi crediamo, Milord." Un osservatore
giudicioso avrebbe potuto agevolmente predire, che il sangue che
allora versavasi, tra breve tempo verrebbe espiato dal sangue.
LVI. Il Re deliberò di provare un'altra volta lo espediente di
sciogliere il Parlamento. Ne convocò un altro, che doveva radunarsi
in Oxford nel marzo 1681. Dai giorni de' Plantageneti in poi, le
Camere avevano sempre tenute le loro sessioni in Westminster, tranne
ne' tempi in cui la peste infuriava nella metropoli; ma una
congiuntura così straordinaria sembrava richiedere straordinarie
cautele. Se il Parlamento si fosse ragunato nel luogo consueto, la
Camera de' Comuni si sarebbe potuta dichiarare in permanenza, ed
avrebbe invocato l'aiuto de' magistrati e de' cittadini di Londra.
Le milizie civiche avrebbero potuto sorgere a difendere Shaftesbury,
come quaranta anni avanti erano sorte a difendere Pym e Hampden. Le
guardie avrebbero potuto(47) essere vinte, la reggia forzata, il Re
prigioniero nelle mani de' suoi sudditi ribelli. Tale pericolo non
era da temersi in Oxford. La università era devota alla Corona; e i
gentiluomini delle vicinanze erano generalmente Tory. Quivi, dunque,
la opposizione, più che il Re, aveva ragione di temere la violenza.
Le elezioni furono subietto di ardenti contrasti. I Whig tuttavia
formavano la maggioranza nella Camera de' Comuni; ma era manifesto
che lo spirito Tory veniva celeremente sorgendo in tutto il paese.
E' parrebbe che il sagace e versatile Shaftesbury avesse dovuto
prevedere il cangiarsi de' tempi, ed assentire ai patti offerti
dalla Corte; ma sembra che avesse posta in dimenticanza la sua
antica strategia. Invece di provvedere in guisa, che, nel peggiore
evento, egli avesse sicura la propria ritirata, prese tale una
posizione, che gli era forza o vincere o perire. Forse il suo
cervello, comunque fortissimo, era stato travolto dalla popolarità,
dal successo e dallo eccitamento del conflitto. Forse aveva dato di
sprone al proprio partito tanto, da non poterlo più dominare, ed era
veramente trascinato da coloro che egli sembrava condurre.
LVII. Giunse il gran giorno. L'adunanza d'Oxford somigliava più
presto ad una Dieta polacca, che a un Parlamento inglese. I
rappresentanti Whig apparvero scortati da gran numero de' loro
affittuari e servitori, in armi e montati a cavallo, i quali
scambiavano sguardi di diffidenza con le guardie regie. La più lieve
provocazione, in cosiffatte circostanze, avrebbe prodotta la guerra
civile; ma nessuna delle due parti si attentò di dare il primo
colpo. Il Re di nuovo offerse di consentire ogni cosa, fuorchè la
Legge d'Esclusione. I Comuni erano deliberati di non accettare
null'altro che la Legge d'Esclusione. Dopo pochi giorni, il
Parlamento fu nuovamente disciolto.
Il Re aveva trionfato. La Reazione, che era incominciata alcuni mesi
innanzi che s'adunassero le Camere in Oxford, si accrebbe
rapidamente. La nazione, a dir vero, rimaneva sempre ostile al
papismo: ma quando i cittadini richiamarono ad esame tutta la storia
della congiura, si accorsero come il loro zelo protestante gli
avesse fatti trascorrere alla demenza e al delitto, e appena
potevano credere d'essere stati spinti da alcune novelle da balia a
gridare al sangue de' loro concittadini e fratelli cristiani. E
davvero, i più leali non potevano negare che l'amministrazione di
Carlo fosse spesse volte stata degna di biasimo. Ma coloro che non
conoscevano pienamente come noi le relazioni di lui con la Francia,
e che aborrivano dalle violenze dei Whig, enumeravano le ampie
concessioni da lui fatte negli ultimi anni al Parlamento, e le
concessioni anche più ampie che avea dichiarato di voler fare. Aveva
assentito alle leggi che escludevano i Cattolici Romani dalla Camera
de' Lordi, dal Consiglio Privato, e dagli(48) uffici civili e
militari. Aveva approvato l'Atto dell'Habeas Corpus. Se non s'erano
per anche fatti provvedimenti contro i pericoli ai quali la
Costituzione e la Chiesa potevano essere esposte sotto un Sovrano
cattolico romano, la colpa non era di Carlo, che aveva invitato il
Parlamento a proporre le opportune guarentigie, ma di quei Whig i
quali avevano ricusato di aderire a qualunque provvisione da
sostituirsi alla Legge d'Esclusione. Una sola cosa aveva il Re
negata al suo popolo. Aveva ricusato di annullare il diritto
ereditario del fratello. E non v'erano buone ragioni a credere che
tale rifiuto nascesse da sentimenti lodevoli? Di quale motivo
d'egoismo poteva la stessa fazione addebitare l'animo del Re? La
Legge d'Esclusione non iscemava le prerogative nè le entrate del
Principe regnante. Veramente, approvandola, avrebbe potuto
facilmente ottenere un ampio accrescimento alle sue proprie rendite.
E che poteva ciò importare a colui che regnasse dopo? Inoltre, se
Carlo aveva predilezioni personali, tutti sapevano ch'egli
prediligeva il Duca di Monmouth sopra il Duca di York. E però, il
modo più naturale di spiegare la condotta del Re sembrava essere
che, comunque ei fosse d'indole spensierata e di bassa morale,
aveva, in quell'occasione, operato secondo gl'impulsi del dovere e
dell'onore. E se era così, poteva la nazione costringerlo a fare ciò
ch'egli reputava criminoso e disonorevole? Violentargli, anche con
mezzi strettamente costituzionali, la coscienza, ai realisti zelanti
sembrava atto poco generoso ed indebito. Ma i mezzi strettamente
costituzionali non erano i soli ai quali i Whig volevano
appigliarsi. Vedevansi già segni tali, che facevano presagire lo
avvicinarsi di grandi perturbazioni. Uomini che nel tempo della
guerra civile e della Repubblica avevano acquistata odiosa
rinomanza, erano usciti fuori dalla oscurità, in cui, dopo la
Restaurazione, giacevano nascosti onde sottrarsi all'odio
universale; mostravano i loro visi fidenti ed affaccendati in ogni
dove, e sembravano anticipare un secondo regno de' Santocchi. Un
altro Naseby, un'altra Alta Corte di Giustizia, un altro usurpatore
sul trono, i Lordi nuovamente espulsi a forza da' loro seggi, le
Università di nuovo purgate, la Chiesa nuovamente saccheggiata e
perseguitata, i Puritani di nuovo dominanti: a tali conseguenze
sembrava tendere la politica disperata della opposizione.
Animata da cotesti sentimenti, la maggioranza delle alte classi e
delle medie affrettossi a porsi dalla parte del trono. La situazione
del Re in questo tempo rendeva immagine di quella del padre suo,
dopo che era stata votata la Rimostranza. Ma alla Reazione del 1641
non s'era lasciata correre intera la sua via. Carlo I, nel momento
stesso in cui il suo popolo, lungo tempo da lui allontanato,
ritornava a lui disposto alla conciliazione, aveva, violando
perfidamente le leggi fondamentali del reame, perduto per sempre la
fiducia di quello. Se Carlo II si fosse gettato nella medesima via,
se avesse imprigionati in modo irregolare i capi dei Whig, e gli
avesse accusati d'alto tradimento innanzi ad un tribunale privo di
giurisdizione legale sopra loro, è molto probabile che questi
avrebbero speditamente riacquistato il predominio che avevano già
perduto. Avventuratamente per lui, in cotesta crisi, venne indotto
ad attenersi ad una politica che, rispetto ai suoi fini, era
singolarmente giudiziosa. Deliberò di conformarsi alla legge, ma
usare nel tempo stesso energicamente ed inesorabilmente la legge
contro i suoi avversari. Non era tenuto a convocare il Parlamento
avanti che fossero scorsi tre anni. Non aveva grande penuria di
danaro. Il prodotto delle tasse, che gli era stato concesso a vita,
eccedeva l'estimo. Era in pace con tutto il mondo. Poteva scemare le
proprie spese rinunziando al costoso ed inutile stabilimento di
Tangeri; e poteva sperare sussidii pecuniari dalla Francia. Gli
rimanevano, quindi, tempo e mezzi molti onde aggredire
sistematicamente l'opposizione sotto le forme della Costituzione. I
giudici erano amovibili ad arbitrio di lui; i giurati erano nominati
dagli Sceriffi; e in quasi tutte le Contee dell'Inghilterra gli
Sceriffi erano nominati dal Re. Testimoni, della specie di quelli
che avevano deposto contro la vita de' Papisti, erano pronti a
deporre contro quella de' Whig.
LVIII. La prima vittima fu College, violento e clamoroso demagogo,
di vili natali e di bassa educazione. Faceva il mestiere di
falegname, e divenne celebre come inventore del correggiato
protestante(49). Era stato in Oxford mentre eravi ragunato il
Parlamento, e lo avevano accusato di avere ordito una insurrezione
ed aggressione contro le guardie del Re. Contro di lui testificarono
Dugdale e Turberville; gli stessi infami uomini i quali, pochi mesi
innanzi, erano stati falsi testimoni contro Stafford. Non era
probabile che alcuno Esclusionista trovasse favore al cospetto de'
giurati di provincia. College fu dichiarato reo. La folla che
riempiva la sala del tribunale in Oxford, ricevè l'annunzio della
condanna con gridi di gioia; gridi tanto barbari, quanto quelli che
egli e i suoi amici avevano costume di mandare quando gl'innocenti
papisti venivano dannati alla forca. La sua morte fu l'inizio di un
nuovo macello giuridico, non meno atroce di quello al quale egli
stesso aveva partecipato.
Il Governo, reso audace da questa prima vittoria, intese a colpire,
un nemico di specie differentissima. Deliberò di processare
Shaftesbury. Si raccolsero prove, con che speravasi convincerlo di
tradimento. Ma i fatti ch'era d'uopo provare, vennero prodotti come
avvenuti in Londra. Gli Sceriffi di Londra, eletti dai cittadini,
erano Whig zelanti. Costoro nominarono giurati Whig; i quali
rigettarono l'accusa.
LIX. Questa sconfitta, invece di scoraggiare i Consiglieri del Re,
suggerì loro un disegno nuovo ed ardito. Poichè lo Statuto
Municipale della capitale era d'inciampo, era necessario annullarlo.
Pretesero quindi che la città di Londra avesse, a cagione di alcune
irregolarità, perduti i suoi privilegi municipali; e fu intentato un
processo contro il Municipio nella Corte del Banco del Re. Nel tempo
stesso, quelle leggi che, subito dopo la Restaurazione, eransi
promulgate contro i non-conformisti, e che eransi lasciate inattive
mentre preponderavano i Whig, vennero rigorosissimamente attuate per
tutto il Regno.
Nonostante, lo spirito de' Whig non era domo. Quantunque fossero in
tristi condizioni, formavano tuttavia un partito numeroso e potente;
e come si mostravano forti nelle grandi città, e massimamente nella
metropoli, facevano rumore e sembianza più di quanto ne comportava
la loro forza positiva. Inanimiti dalla rimembranza dei passati
trionfi, e dal sentimento della oppressione presente, esageravano e
la forza e i danni propri. Non erano in istato di giudicare se le
cose fossero giunte a quegli estremi che soli possono giustificare
l'uso d'un rimedio così violento, come è la resistenza ad un Governo
stabilito. Per quanti sospetti potessero essi aver concepiti, non
potevano provare che il loro Sovrano aveva concluso un trattato con
la Francia contro la religione e le libertà dell'Inghilterra. Le
apparenze non erano bastevoli a giustificare il ricorso alla spada.
Se la Legge d'Esclusione era stata rigettata, ciò avevano fatto i
Lordi nello esercizio di un diritto antico quanto la Costituzione.
Se il Re aveva sciolto il Parlamento di Oxford, aveva così operato
per virtù di una prerogativa che non era stata mai messa in dubbio.
Se la Corte, dopo il riferito scioglimento, era trascorsa ad atti
duri, tali atti erano strettamente conformi alla lettera della
legge, ed alla recente pratica degli stessi malcontenti. Se il Re
aveva perseguitati i suoi avversari, gli aveva perseguitati secondo
le forme debite innanzi ai debiti tribunali. Le prove che ora
producevansi a pro della Corona, erano almeno meritevoli di fede
quanto quelle per virtù delle quali il più nobile sangue inglese era
stato, poco innanzi, versato dalla opposizione. Il modo onde un Whig
accusato ora doveva aspettarsi d'essere trattato da giudici,
avvocati, sceriffi, giurati e spettatori, non era peggiore di quello
che i Whig avevano reputato abbastanza buono per un accusato
papista. Se erasi proceduto contro i privilegi della città di
Londra, ciò era seguito non per violenza militare, o per virtù di
alcun contrastabile esercizio della prerogativa, ma secondo la
pratica regolare di Westminster Hall. La regia autorità non aveva
imposto nessuna tassa. Nessuna legge era sospesa. L'Atto dell'Habeas
Corpus era rispettato. Perfino l'Atto di Prova era in vigore. La
opposizione, dunque, non poteva addebitare al Re quella specie di
mal governo che solo potrebbe giustificare la insurrezione. E quando
anche il suo mal governo fosse stato più visibile di quello che
appariva, la insurrezione sarebbe anche stata criminosa, come quella
che era quasi sicura di esito non prospero. La situazione dei Whig
nel 1682 differiva grandemente da quella delle Teste-Rotonde
quaranta anni prima. Coloro che avevano prese le armi contro Carlo
I, avevano operato sotto l'autorità di un Parlamento, il quale,
legalmente adunato, non poteva, senza il proprio consenso, essere
legalmente sciolto. Gli oppositori di Carlo II erano uomini privati.
Quasi tutti i mezzi militari e navali erano nelle mani di coloro che
resisterono a Carlo I. Tutti i mezzi militari e navali erano nelle
mani di Carlo II. La Camera de' Comuni era stata sostenuta almeno da
mezza la nazione contro Carlo I. Ma coloro che inchinavano a
guerreggiare contro Carlo II, erano certamente in minoranza. E però,
non poteva ragionevolmente dubitarsi, che qualora essi tentassero
una insurrezione, fallirebbero. E anche meno poteva dubitarsi che il
mal esito della impresa rendesse più duri i mali di cui menavano
lamento. La vera politica de' Whig era quella di sobbarcarsi
pazienti all'avversità che era conseguenza naturale e giusto castigo
de' loro errori; di aspettare pazientemente fino al tempo in cui il
pubblico sentire si sarebbe, con inevitabile vicenda, cangiato; di
osservare la legge, e di giovarsi della protezione, imperfetta sì,
ma non affatto futile, che la legge apprestava alla innocenza.
Sventuratamente, presero una via molto diversa. I capi del partito,
scevri di scrupoli e caldi di cervello, formavano e discutevano
disegni di resistenza, ed erano ascoltati se non con approvazione,
almeno con segni d'acquiescenza, da uomini molto migliori di loro.
Proposero di insorgere ad un tempo in Londra, in Cheshire, in
Bristol e in Newcastle. Aprirono comunicazioni coi malcontenti
presbiteriani di Scozia, i quali pativano una tirannia, quale
l'Inghilterra, in tempi pessimi, non aveva mai patita. Mentre i
principali della opposizione in tal guisa architettavano la
ribellione aperta, ma erano tuttavia da scrupoli o da paura ritenuti
dal fare alcun passo decisivo, parecchi dei loro complici ordivano
una trama di specie differentissima. A questi spiriti feroci, non
infrenati da principio alcuno, o resi insani dal fanatismo, e'
pareva che agguatare ed assassinare il Re e il fratello fosse la via
più breve e sicura di vendicare la religione protestante e le
libertà della Inghilterra. Indicarono il tempo e il luogo; e spesso
discutevano, se pure non gli avevano definitivamente ordinati,
intorno ai particolari del macello. Questo disegno era noto a pochi,
e nascosto con gran cura a Russell, spirito probo ed umano; e a
Monmouth, il quale, quantunque non fosse uomo di delicata coscienza,
avrebbe aborrito dal parricidio. In tal modo, v'erano due congiure,
una dentro l'altra. Lo scopo della grande congiura Whig, era quello
di chiamare la nazione alle armi contro il Governo. La congiura
minore, comunemente detta la congiura di Rye house, della quale soli
pochi disperati uomini erano partecipi, aveva lo scopo di
assassinare il Re e il suo erede presuntivo.
LX. Ambedue vennero tosto scoperte. Alcuni traditori codardi
affrettaronsi a porsi in salvo divulgando tutto, e, più che tutto,
ciò che era seguito nelle deliberazioni del partito. Non è luogo a
dubitare, che pochi di coloro che meditavano di fare resistenza al
Governo, volgessero in mente il pensiero dell'assassinio; ma poichè
le due cospirazioni erano strettamente connesse, non tornò difficile
al Governo confonderle in una. La giusta indignazione suscitata
dalla congiura di Rye house, fu rivolta per alcun tempo a tutti i
Whig. Il Re ormai poteva liberamente vendicarsi di tanti anni di
freno e di umiliazione. Shaftesbury, a dir vero, aveva schivato il
destino di che per la sua multiforme perfidia era bene meritevole.
Essendosi accorto che il suo partito correva a rovina, ed invano
studiato di pacificarsi agli augusti principi, era fuggito in
Olanda; dove morì sotto la generosa protezione d'un Governo da lui
crudelmente oltraggiato. Monmouth si gettò ai piedi del padre, ed
ottenne perdono; ma tornato presto ad offenderlo, reputò prudente
andare in volontario esilio. Essex si uccise nella Torre. Russell,
che pare non essere stato reo di alto tradimento, e Sidney, della
cui reità non si poterono produrre prove legali, furono decapitati
contro legge e giustizia. Russell morì con la fermezza d'animo d'un
cristiano; Sidney con quella d'uno stoico. Parecchi altri politici
faccendieri d'inferiore condizione furono dannati alle galere. Molti
abbandonarono la patria. Istituironsi numerosi processi per delitti
di tradigione, calunnia e congiura. I giurati Tory profferivano
senza difficoltà sentenze di reità, e i giudici cortigiani
infliggevano(50) pene rigorose. A questi processi criminali
aggiungevansi i civili, quasi ugualmente formidabili. Intentaronsi
accuse contro individui che avevano diffamato il Duca di York; e gli
accusatori chiedevano, e i giudici senza difficoltà concedevano
ammende equivalenti ad una condanna di prigionia perpetua. La Corte
del Banco del Re decise, che le franchigie della città di Londra
erano devolute alla Corona.
LXI. Inebriato da questa grande vittoria, il Governo procedè ad
aggredire gli Statuti di altri Municipi governati da ufficiali Whig,
e che avevano costume di eleggere rappresentanti Whig al Parlamento.
I borghi, l'uno dopo l'altro, furono costretti a rendere i propri
privilegi; e vennero concessi nuovi Statuti, che in ogni parte
resero predominanti i Tory.
Tali procedimenti, comunque degni di biasimo, serbavano l'apparenza
della legalità. Furono anco accompagnati da un atto inteso a calmare
il timore che molti sudditi leali sentivano dello avvenimento al
trono d'un sovrano papista. Lady Anna, figlia minore del Duca di
York del primo letto, fu data in sposa a Giorgio principe della Casa
ortodossa di Danimarca. I gentiluomini Tory e il clero potevano
adesso fermamente sperare che la Chiesa d'Inghilterra si trovasse
efficacemente assicurata, senza essere stato minimamente violato
l'ordine della successione. Il Re e lo erede del trono erano a un di
presso di eguale età. Ambidue avvicinavansi agli anni in cui la vita
declina. La salute del Re era buona. Era quindi probabile, che
Giacomo, se mai ascendesse al trono, regnerebbe poco tempo. Dietro
il suo regno, scorgevasi il lieto spettacolo d'una lunga serie di
Sovrani Protestanti.
La libertà della stampa era di poco o di nessun utile alla parte
vinta; perocchè l'indole dei giudici e dei giurati era tale, che
nessuno scrittore, ove dal Governo fosse accusato di calunnia, aveva
probabilità di andare assoluto. Però la paura della pena faceva
tutto lo effetto che avrebbe potuto produrre la censura. Frattanto,
i pulpiti risuonavano di arringhe contro il peccato di ribellione.
Gli scritti in cui Filmer sosteneva che il dispotismo ereditario era
la forma di Governo ordinata da Dio, e che la monarchia limitata era
assurdità perniciosa, erano pur allora usciti alla luce, ed avevano
ottenuto il favore di molti individui del partito Tory. La
università di Oxford, nel giorno stesso in cui Russell fu tratto a
morte, adottò con un atto solenne quelle strane dottrine, ed ordinò
che le opere politiche di Buchanan, di Milton e di Baxter, fossero
pubblicamente bruciate nella corte delle Scuole.
Così imbaldanzito, il Re finalmente rischiossi a varcare i confini
che per alcuni anni aveva rispettati, e a violare la lettera della
legge. La legge voleva, che non più di tre anni dovessero
trascorrere dalla dissoluzione di un Parlamento alla convocazione di
un altro. Ma scorsi tre anni dopo disciolto il Parlamento di Oxford,
non si videro decreti per la nuova elezione. Questo violare la
Costituzione era più biasimevole, in quanto il Re aveva poca cagione
a temere d'una nuova Camera di Comuni. Le Contee, generalmente,
parteggiavano per lui; e molti borghi ne' quali i Whig poco innanzi
avevano predominato, erano stati talmente ricostituiti, che, certo,
non avrebbero eletti se non rappresentanti cortigiani.
LXII. Poco dopo, la legge venne nuovamente violata onde compiacere
al Duca di York. Cotesto principe era, in parte per la sua
religione, e in parte per la severità ed asprezza dell'indole sua,
cotanto impopolare, che erasi stimato necessario di asconderlo agli
occhi di tutti nel tempo che discutevasi in Parlamento la Legge
d'Esclusione: altrimenti, il suo mostrarsi in pubblico avrebbe
giovato il partito che lottava a privarlo del diritto ereditario.
Era perciò stato mandato a governare la Scozia, dove il fiero e
vecchio tiranno Lauderdale era sull'orlo del sepolcro. E perfino
Lauderdale allora fu vinto in ferocia. L'amministrazione di Giacomo
acquistò infame rinomanza per leggi odiose, per barbari castighi e
per giudicii d'iniquità, ai quali anche in quel tempo non era nulla
di simile. Il Consiglio Privato di Scozia aveva potestà di porre
alla tortura i prigionieri di Stato. Ma appena comparivano gli
stivali, la loro vista eccitava tanto terrore, che anche i
cortigiani più servili e duri di cuore uscivano frettolosi dalla
sala. Il seggio talvolta rimaneva deserto; ed infine, fu reputato
necessario ordinare che in simiglianti occasioni i Consiglieri
rimanessero al loro posto. Notavasi che il Duca di York pareva
dilettarsi di uno spettacolo, al quale parecchi de' peggiori uomini
che allora vivessero non potevano assistere senza commiserazione ed
orrore. Egli non solo andava al Consiglio ogni qualvolta doveva
infliggersi la tortura, ma attendeva all'agonia dei martoriati con
quella specie d'interesse e di compiacenza, con che gli uomini
contemplano uno sperimento scientifico. Così governò in Edimburgo,
finchè l'esito del conflitto tra la Corte e i Whig non fu più
dubbio. Allora ritornò in Inghilterra; ma rimase, per virtù
dell'Atto di Prova, escluso tuttavia da ogni pubblico ufficio; nè il
Re stimò sano consiglio in prima violare uno Statuto, che la maggior
parte de' sudditi a lui più fidi consideravano come una delle
principali guarentigie de' diritti civili e della religione loro.
Quando, nondimeno, parve manifesto, dopo molti esperimenti, che la
nazione aveva la pazienza di sopportare ogni cosa che il Governo
avesse coraggio di fare, Carlo provossi a porre da parte la legge, a
favore del proprio fratello. Il Duca riebbe il suo seggio in
Consiglio, e riassunse il governo delle faccende navali.
LXIII. Queste infrazioni della Costituzione eccitarono veramente
qualche mormorio fra i Tory moderati, mentre non erano unanimemente
approvate neanche dai Ministri del Re. In ispecie Halifax - adesso
fatto Marchese e Lord Guardasigilli - fino dal giorno nel quale i
Tory, mercè di lui, erano divenuti predominanti, aveva cominciato a
farsi Whig. Appena rigettata la Legge d'Esclusione, insistette(51)
perchè la Camera de' Lordi provvedesse contro il pericolo, a cui,
nel prossimo regno, le libertà e la religione della patria potevano
rimanere esposte. Vedeva ora con timore la violenza di quella
Reazione, che in non poca parte era opera sua. Non si studiò di
nascondere l'onta ch'egli sentiva delle servili dottrine della
università d'Oxford. Detestava l'Alleanza Francese: disapprovava il
lungo indugio a convocare il Parlamento: dolevasi della severità con
che la parte vinta era trattata. Egli che, mentre predominavano i
Whig, erasi rischiato a dichiarare Stafford non reo, rischiossi,
mentre essi erano vinti e derelitti, ad intercedere a pro' di
Russell. In uno degli ultimi Consigli tenuti da Carlo, seguì una
notabilissima scena. Lo Statuto di Massachusetts era stato
confiscato. Sorse questione sul modo in che verrebbe per lo avvenire
governata quella colonia. Opinavano quasi tutti i consiglieri, che
l'intero potere legislativo ed esecutivo dovesse rimanere nella mani
del principe. Halifax opinò diversamente, e ragionò con gran vigoria
d'argomenti contro la monarchia assoluta, e a favore del governo
rappresentativo. Era inutile, diceva egli, il pensare che una
popolazione, uscita dalla razza inglese, ed animata da sentimenti
inglesi, volesse lungamente tollerare di rimaner priva d'istituzioni
inglesi. A che gioverebbe, egli esclamava, vivere in un paese dove
la libertà e gli averi fossero soggetti allo arbitrio di un despota?
Il Duca di York infiammossi di collera a siffatte parole, e mostrò
al fratello il pericolo di mantenere in ufficio un uomo che sembrava
infetto delle pessime idee di Marvell e di Sidney.
Taluni moderni scrittori hanno biasimato Halifax per essere rimasto
nel Ministero, mentre disapprovava il modo cui gli affari interni ed
esterni erano condotti. Ma tale biasimo è ingiusto. Ed è da notarsi
che la parola Ministero, nel senso in che oggi si usa, era allora
sconosciuta(52). La cosa stessa non esisteva, perocchè essa
appartiene ad una età in cui il governo parlamentare è pienamente
stabilito. Ai dì nostri, i principali servitori della Corona formano
un solo corpo. S'intende ch'essi siano in termini di amichevole
fiducia fra loro, e concordino intorno ai principii massimi che
debbono dirigere il potere esecutivo. Se sorge fra loro una lieve
differenza d'opinione, agevolmente patteggiano; ma, ove uno di loro
diverga dagli altri sopra un punto vitale, è suo debito rinunciare
all'ufficio. Finchè egli lo ritiene, è considerato come responsabile
anche degli atti che si è studiato d'impedire. Nel secolo
decimosettimo, i capi de' vari dipartimenti dell'amministrazione non
erano siffattamente vincolati. Ciascuno di loro doveva rendere conto
degli atti propri, dell'uso ch'ei faceva del suo sigillo ufficiale,
de' documenti cui apponeva la propria firma, de' consigli che dava
al Re. Nessun uomo di Stato era tenuto responsabile di ciò ch'egli
non aveva fatto, nè indotto altri a fare. S'egli aveva cura di non
essere partecipe di ciò che era ingiusto, e se, consultato,
commendava soltanto ciò ch'era giusto, andava scevro di biasimo.
Sarebbe stato considerato come un suo strano scrupolo lo abbandonare
il posto, ove il suo signore non seguisse il consiglio di lui in
cose che non fossero strettamente pertinenti al suo dipartimento:
lasciare, per modo d'esempio, lo Ammiragliato, perchè le finanze
trovavansi disordinate; o il Tesoro, perchè le relazioni del Regno
con le Potenze straniere erano in condizioni poco soddisfacenti. Non
era, perciò, cosa affatto insolita il vedere negli alti uffici in un
tempo medesimo uomini che apertamente differissero, l'uno
dall'altro, in opinione, come Pultenay differiva da Walpole, o Fox
da Pitt.
LXIV. I consigli moderati e costituzionali di Halifax furono
timidamente e debolmente secondati da Francesco North, Lord
Guildford, che di recente era stato fatto Guardasigilli. Il
carattere di Guildford è stato disegnato ampiamente da suo fratello
Ruggiero North, intollerantissimo Tory, e scrittore molto affettato
e pedante; ma vigile osservatore di tutte quelle minuzie che gettano
luce sulle inclinazioni degli uomini. È da notarsi che il biografo,
quantunque sottostasse alla influenza della più forte parzialità
fraterna, e comunque desiderasse pennelleggiare un lusinghiero
ritratto, non potè ritrarre il Lord Guardasigilli altramente che
come il più ignobile degli uomini. Nondimeno, Guildford aveva lucido
intelletto, grande arte, buon corredo di lettere e di scienze, e
moltissima dottrina legale. I suoi difetti erano l'egoismo, la
codardia e la bassezza. Non era insensibile alla magia della beltà
femminile, nè aborriva dallo eccesso nel vino. E nulladimeno, nè
vino nè beltà poterono mai spingere il cauto e frugale libertino,
anche negli anni suoi giovanili, ad un solo slancio di generosità
indiscreta. Benchè fosse di nobile lignaggio, elevossi nella propria
professione tributando omaggi ignominiosi a tutti coloro che avevano
influenza nelle Corti. Divenne Capo Giudice dei Piati Comuni, e come
tale fu parte ne' più iniqui assassinii giuridici di cui si serbi
ricordo nella storia nostra. Egli aveva senno bastevole a discernere
fino da principio che Oates e Bedloe erano impostori: ma il
Parlamento e il paese erano grandemente eccitati; il Governo aveva
ceduto alla pressura; e North non era uomo da porre a repentaglio,
per amore della giustizia e dell'umanità, un buon posto. Per la qual
cosa, mentre in secreto scriveva una confutazione del romanzo della
Congiura papale, dichiarava in pubblico la storiella essere vera e
chiara come la luce del sole; e non vergognò d'imporre dal seggio
della giustizia agli sventurati Cattolici Romani, i quali gli
stavano dinanzi incolpati di delitti capitali. Finalmente, era
pervenuto a conseguire il più alto ufficio nelle Leggi. Ma un
legale, che dopo di essere stato per molti anni tutto dedito allo
esercizio della propria professione, si volga alla politica per la
prima volta in età avanzata, rade volte riesce insigne uomo di
Stato; e Guildford non fa eccezione a questa regola generale.
Sentiva tanto la propria dappocaggine, che non intervenne mai alle
adunanze de' colleghi intorno agli affari esteri. Anche nelle
questioni concernenti la sua professione, le opinioni sue erano di
meno peso in Consiglio, che quelle di chiunque abbia mai tenuto il
Gran Sigillo. Nondimeno, quella tal quale influenza ch'egli
esercitava, adoperò, fin dove osava di farlo, a favore delle leggi.
Il principale avversario di Halifax era Lorenzo Hyde, che era stato,
poco innanzi, creato Conte di Rochester. Tra tutti i Tory, Rochester
era il più intollerante e contrario ad ogni accordo. I membri
moderati del suo partito dolevansi che tutti gli uffici del Tesoro,
mentre egli ne era Primo Commissario, venissero concessi agli
zelanti, i cui soli diritti ad essere promossi consistevano nel bere
a confusione de' Whig, e nell'accendere fuochi di gioia e bruciarvi
la Legge d'Esclusione. Il Duca di York, satisfatto di uno spirito
che tanto gli somigliava, sosteneva con passione ed ostinazione il
proprio cognato.
I tentativi che i Ministri rivali facevano a vincersi e supplantarsi
scambievolmente, tenevano perennemente agitata la Corte. Halifax
instava presso il Re perchè convocasse il Parlamento, a concedere
una generale amnistia, a privare il Duca di York d'ogni
partecipazione al Governo, a richiamare Monmouth dallo esilio, a
romperla con Luigi, ed a stringere l'unione con la Olanda, giusta i
principii della Triplice Alleanza. Il Duca di York, dall'altro
canto, temeva lo adunarsi del Parlamento, abborriva i vinti Whig con
tenace rancore, sperava tuttavia che il disegno formato quattordici
anni innanzi in Dover potesse mandarsi ad esecuzione, mostrava ogni
giorno al proprio fratello la inconvenevolezza di patire che un uomo
il quale in cuore era repubblicano tenesse il Gran Sigillo, e
proponeva calorosamente Rochester come adattato al grande ufficio di
Lord Tesoriere.
Mentre le due fazioni si travagliavano, Godolphin, cauto, tacito,
laborioso, tenevasi neutrale fra quelle. Sunderland, con la sua
solita irrequieta perfidia, intrigava contro ambedue. Era stato
cacciato d'ufficio per avere votato in favore della Legge
d'Esclusione, ma era stato ribenedetto mercè i buoni uffici della
Duchessa di Portsmouth e lo strisciarsi attorno al Duca di York, ed
era di nuovo Segretario di Stato.
LXV. Nè Luigi rimaneva spensierato o inoperoso. Ogni cosa allora
correva prospera ai suoi disegni. Non aveva nulla a temere dallo
Impero Germanico, che allora pugnava contro i Turchi sul Danubio. La
Olanda, priva dell'altrui sostegno, non poteva rischiarsi ad
avversarlo. Era, quindi, libero di appagare la propria sfrenata
ambizione ed insolenza. S'impossessò di Dixmude e di Courtray:
mitragliò Lussemburgo: volle che la Repubblica di Genova si
prostrasse umiliata ai suoi piedi. La potenza francese in quel tempo
era giunta al grado più alto al quale mai, o prima o poi, si
elevasse ne' dieci secoli che dividono il regno di Carlomagno da
quello di Napoleone. Non era facile il dire dove si sarebbe fermato,
se gli fosse riuscito di tenere la sola Inghilterra in istato di
vassallaggio. Il primo scopo della Corte di Versailles, quindi, era
quello d'impedire la convocazione del Parlamento, e la concordia dei
partiti inglesi. A ciò fare, fu larghissima di doni, di promesse, di
minacce. Carlo talvolta era sedotto dalla speranza d'un sussidio, e
tal'altra spaventato da chi gli ripeteva, che, convocando le Camere,
gli articoli secreti del trattato di Dover verrebbero divulgati.
Parecchi Consiglieri vennero comprati; e tentossi anche, ma indarno,
di comprare Halifax. Trovatolo incorruttibile, la Legazione Francese
adoperò ogni arte ed influenza a farlo sloggiare dall'ufficio; ma il
suo spirito squisito e le sue rare doti lo avevano reso così caro al
proprio signore, che il disegno della Francia andò in fallo(53).
Halifax non era pago di starsi in sulle difese. Accusò apertamente
Rochester di malversazione. Si fece una inchiesta. Si conobbe che
quarantamila lire sterline s'erano perdute per pessima
amministrazione del Primo Lord del Tesoro. A cagione di siffatta
scoperta, non solo gli fu forza abbandonare la speranza ch'egli
aveva di conseguire il bastone bianco, ma gli fu tolta la direzione
delle finanze, e venne trasferito al posto, maggiormente onorifico
ma meno lucroso, di Lord Presidente. "Io ho veduto uomini cacciati a
calci giù per le scale," disse Halifax, "ma Milord Rochester è il
primo individuo che io abbia veduto salire su a calci." Godolphin,
adesso fatto Pari, divenne Primo Commissario del Tesoro.
LXVI. Nondimeno, la contesa seguitava. L'esito dipendeva dal volere
di Carlo; e Carlo non poteva venire ad una deliberazione. Nel suo
perpetuo ondeggiare, prometteva ogni cosa ad ognuno. Starebbe fido
alla Francia: la romperebbe con essa: non convocherebbe mai un altro
Parlamento: darebbe ordini che si spedissero senza indugio i decreti
per la convocazione del Parlamento. Assicurava il Duca di York, che
Halifax sarebbe cacciato via; ed Halifax, che il Duca di York
verrebbe mandato in Iscozia. In pubblico affettava ira implacabile
contro Monmouth, ed in privato mandava a Monmouth assicurazioni
d'inalterabile affetto. Quanto tempo avrebbe durato questa
esitazione, ove il Re avesse seguitato a vivere, e a che partito si
sarebbe egli attenuto, può solamente congetturarsi. Nel 1685, mentre
le parti avverse attendevano ansiose la regia deliberazione, egli
morì, e si aperse una nuova scena. In pochi mesi, gli eccessi del
Governo cancellarono dalle menti del pubblico la memoria degli
eccessi della opposizione. La Reazione violenta che aveva prostrata
la parte Whig, fu seguita da una Reazione anche più violenta in
senso opposto; e certi segni, da non essere presi in abbaglio,
mostravano che il gran conflitto fra la prerogativa della Corona e i
privilegi del Parlamento, era per terminare.
CAPITOLO TERZO.
SOMMARIO.
I. Grande mutamento nelle condizioni dell'Inghilterra dal 1685 in
poi. - II. Popolazione dell'Inghilterra nel 1685. - III. L'aumento
della popolazione è maggiore nelle contrade settentrionali, che
nelle meridionali. - IV. Rendita nel 1685. - V. Sistema militare. -
VI. La Flotta. - VII. L'Artiglieria. - VIII. Spese non effettive. -
IX. Spese del governo civile. - X. Grossi guadagni dei cortigiani e
de' Ministri. - XI. Condizioni dell'agricoltura. - XII. Ricchezze
minerali del paese. - XIII. Aumento della rendita; i Gentiluomini
delle provincie. - XIV. Il Clero. - XV. I piccoli possidenti di
terre. - XVI. Ingrandimento delle città; Bristol. - XVII. Norwich. -
XVIII. Altre città di provincia. - XIX. Manchester. - XX. Leads. -
XXI. Sheffield. - XXII. Birmingham. - XXIII. Liverpool. - XXIV. I
bagni di Cheltenham, Brighton(54), Buxton. - XXV. Tunbridge Well. -
XXVI. Bath. - XXVII. Londra. - XXVIII. La città. - XXIX. Il
quartiere di moda nella capitale. - XXX. Polizia di Londra. - XXXI.
Illuminazione di Londra. - XXXII. I Frati bianchi. - XXXIII. La
Corte. - XXXIV. Le botteghe da Caffè. - XXXV. Difficoltà di
viaggiare. - XXXVI Cattiva condizione delle strade. - XXXVII.
Carrozze da viaggio. - XXXVIII. Ladroni. - XXXIX. Locande. - XL.
L'Ufficio Postale. - XLI. Gazzette. - XLII. Lettere. - XLIII.
L'Osservatore - XLIV. Scarsità di libri ne' luoghi di provincia. -
XLV Educazione delle donne. - XLVI. Cultura letteraria de'
Gentiluomini. - XLVII. Influenza della letteratura francese. -
XLVIII. Immoralità dell'amena letteratura d'Inghilterra. - XLIX.
Condizioni delle scienze in Inghilterra. - L. Condizioni delle arti
belle - LI. Condizioni del popolo basso; paga de' contadini. - LII.
Paga de' manifattori. - LIII. Fatica de' fanciulli nelle
manifatture. - LIV. Paghe degli artigiani di varie classi. - LV.
Numero de' poveri. - -LVI. Beneficii per il popolo basso derivati
dalla civiltà. - LVII. Inganno che conduce gli uomini a esagerare la
felicità delle generazioni precedenti.
I. Intendo descrivere in questo Capitolo le condizioni
dell'Inghilterra nel tempo in cui la Corona da Carlo II passò al suo
fratello. Tale descrizione, fatta sopra magri e dispersi materiali,
deve necessariamente essere imperfetta. Nondimeno, varrà forse a
correggere talune false nozioni, le quali renderebbero il racconto
che segue, inintelligibile o poco istruttivo.
Se vogliamo studiare con frutto la storia de' nostri antichi, è
mestieri guardarci dall'inganno che i ben noti nomi delle famiglie,
de' luoghi e degli uffici, naturalmente producono, e non dimenticar
mai che il paese del quale leggiamo la storia, è assai diverso da
quello nel quale ora viviamo. In ogni scienza sperimentale è
tendenza verso la perfezione. In ogni essere umano è desiderio di
megliorare le condizioni proprie. Questi due principii spesso sono
stati bastevoli, anche controbilanciati da grandi calamità pubbliche
e da pessime istituzioni, a spingere rapidamente innanzi lo
incivilimento. Non vi ha sciagura ordinaria, non ordinario mal
governo, che tanto possano rendere misera una nazione, quanto il
costante progredire delle scienze fisiche, e lo sforzo costante che
fa ogni uomo a rendersi migliore, contribuiscono a fare prospero un
popolo. È stato spesso notato che le spese prodighe, le tasse
gravose, le assurde restrizioni commerciali, i tribunali corrotti,
le disastrose guerre, le sedizioni, le persecuzioni, gl'incendi, le
inondazioni, non hanno potuto distruggere le sostanze così presto,
come gli sforzi dei cittadini privati hanno potuto crearle. Potrebbe
agevolmente provarsi, che nella nostra patria la ricchezza
nazionale, negli ultimi sei secoli, è venuta quasi senza
interruzione crescendo; che era maggiore sotto i Tudors, che sotto i
Plantageneti; maggiore sotto gli Stuardi, che sotto i Tudors; che,
nonostanti le battaglie, gli assedi e le confische, ella era
maggiore nel giorno della Restaurazione, che in quello in cui
adunossi il Lungo Parlamento; che, malgrado la pessima
amministrazione, la stravaganza, il pubblico fallimento, le due
guerre costose e sciagurate, la pestilenza e lo incendio, era anche
maggiore nel giorno della morte di Carlo II, che in quello della sua
Restaurazione. Cotesto progresso, continuando per molti anni,
divenne finalmente, verso la metà del secolo decimottavo,
portentosamente rapido, e nel decimonono ha acquistata incredibile
velocità(55). A cagione, in parte, della nostra posizione
geografica, in parte delle nostre morali condizioni, noi, nel corso
di parecchie generazioni, siamo rimasti esenti dai danni che altrove
hanno impacciato gli sforzi e distrutto i frutti della industria.
Mentre ogni paese del continente, da Mosca fino a Lisbona, è stato
il teatro di guerre sanguinose e devastatrici, non si è veduto in
Inghilterra vessillo nemico, se non in sembianza di trofeo. Mentre
ci abbiamo veduto fremere d'intorno il fuoco delle rivoluzioni, il
nostro Governo non è stato nè anche una sola volta abbattuto dalla
violenza. Per cento anni non è stato mai nell'isola nostra nessun
tumulto di gravità tanta, che si possa chiamare insurrezione. La
legge non è stata mai calpestata nè dal furore popolare, nè dalla
regia tirannide. Il credito pubblico è stato considerato come sacro.
L'amministrazione della giustizia è stata pura. Anche in tempi che
dagl'Inglesi potrebbero rettamente chiamarsi tristi, abbiamo fruito
ciò che quasi ogni altra nazione del mondo avrebbe reputato ampia
misura di libertà civile e religiosa. Ciascuno ha avuta intera
fiducia che lo Stato lo avrebbe protetto nel possesso di ciò che ha
guadagnato con la propria diligenza, o accumulato con la parsimonia.
Sotto la benefica influenza della pace e della libertà, le scienze
hanno fiorito, e sono state applicate agli usi pratici in modo per
innanzi sconosciuto. Onde avvenne che nella patria nostra seguisse
un cangiamento tale, che nella storia del vecchio mondo non si trovi
nulla che gli si possa agguagliare. Se la Inghilterra del 1685
potesse, per alcuna virtù magica, mostrarsi agli occhi nostri, non
sapremmo fra cento riconoscere un tratto di paese, nè un edifizio
fra mille. Il gentiluomo della provincia non riconoscerebbe i propri
campi. L'abitante della città non riconoscerebbe la propria strada.
Ogni cosa ha mutato aspetto, tranne le grandi sembianze della
natura, e poche massicce e durevoli opere dell'arte umana. Potremmo
scoprire Snowdon e Windermare, Ceddar Cliffs e Beachy Head; qua e là
qualche monastero normanno o castello che vide le guerre delle Rose.
Ma, salvo queste poche eccezioni, ogni cosa ci sembrerebbe strana.
Molte mila miglia quadrate, che adesso sono campi ricchi di grano, e
prati traversati da verdeggianti siepi e popolati di villaggi e di
amene ville, ci apparirebbero impervii deserti, o paduli abitati
dalle anitre. Vedremmo tugurii di legno coperti di frasche sparsi
qua e là, dove adesso miriamo città manifatturiere, e porti di mare
la cui fama giunge sino ai più remoti confini del mondo. La stessa
metropoli ci parrebbe poco più vasta del suo presente suburbio lungo
la riva meridionale del Tamigi. Nè meno strani ci sembrerebbero lo
aspetto e i costumi del popolo, la mobilia e gli equipaggi,
l'interno delle botteghe e delle abitazioni. E' pare che tale
mutamento nelle condizioni d'una nazione sia degno di essere
descritto dallo storico, almeno quanto qualunque mutamento di
dinastia o di ministero.
II. Uno dei fini principali dello scrittore che intenda a farsi una
esatta idea della condizione d'una comunità in un dato tempo, deve
essere quello d'indagare di quanti individui essa allora era
composta. Sventuratamente, non può con esattezza stabilirsi quanta
fosse la popolazione dell'Inghilterra nel 1685; perocchè nessuno dei
grandi Stati allora aveva adottata la saggia costumanza di enumerare
periodicamente il popolo. Gli scrittori non potevano se non
congetturare da sè stessi; e poichè facevano ciò senza esaminare i
fatti e sotto il dominio di forti passioni e pregiudizi, i loro
computi spesso riuscivano assurdi. Anco gl'intelligenti cittadini di
Londra, ordinariamente, affermavano la città loro contenere parecchi
milioni d'anime. Molti hanno con molta sicurezza asserito, che nei
trentacinque anni trascorsi dallo avvenimento di Carlo I al trono
fino alla Restaurazione, la popolazione della città era cresciuta di
due milioni(56). E mentre erano ancor fresche le devastazioni della
peste e del fuoco, era costume asserire che la città contava
tuttavia un milione e mezzo d'abitatori(57). Alcuni altri, stomacati
da siffatte esagerazioni, trascorsero agli estremi opposti. Così
Isacco Vossio, uomo indubitatamente dotto, sosteneva con franchezza
che Inghilterra, Scozia, Irlanda, prese insieme, non v'erano se non
se due milioni di creature umane(58).
Ciò non ostante, non ci mancano affatto i mezzi di correggere i
gravi falli, in cui taluni cervelli per vanità nazionale, ed altri
per vaghezza di paradosso, cadevano. Esistono tre computi, che
sembrano meritevoli di attenzione speciale. Non dipendono in nulla
l'uno dall'altro; procedono sopra principii diversi; e nondimeno,
poca è la differenza de' risultamenti che dànno.
Uno di cotesti computi fu fatto nell'anno 1696 da Gregorio King,
araldo di Lancaster, aritmetico politico grandemente sottile e
giudizioso. A fondamento de' suoi calcoli, tolse il numero delle
case indicato dagli ufficiali che fecero l'ultima esazione della
imposta sui focolari. La conclusione alla quale egli venne, fu che
la popolazione dell'Inghilterra era di circa cinque milioni e mezzo
d'anime(59).
Verso quel medesimo tempo, il Re Guglielmo III volle conoscere la
forza comparativa delle varie sètte religiose, in che la comunità
era divisa. Istituita una inchiesta, gli furono da tutte le diocesi
del Regno trasmesse le necessarie relazioni. Secondo le quali, il
numero de' suoi sudditi inglesi doveva essere circa cinque milioni e
duecento mila(60).
Da ultimo, ai dì nostri, Finlaison, esperto computista, sottopose
gli antichi registri parrocchiali a tutti gli esperimenti che potè
somministrargli il moderno progresso della scienza statistica. Egli
opinò, che verso il chiudersi del secolo decimosettimo, la
popolazione dell'Inghilterra fosse poco meno di cinque milioni e
duecentomila anime(61).
Di questi tre computi, formati da diversi individui, senza che l'uno
s'accordasse con l'altro, sopra materiali di specie diversa, il più
alto, che è quello di King, non eccede d'un dodicesimo il più basso
che è quello di Finlaison. Possiamo, quindi, con franchezza
asserire, che mentre Giacomo II regnava, l'Inghilterra conteneva tra
cinque milioni e cinque milioni e mezzo d'abitatori. Secondo il
maggior computo, essa aveva un terzo della popolazione de' tempi
nostri, e meno del triplo della popolazione che adesso è raccolta
nella sua gigantesca metropoli.
III. L'augumento del popolo è stato grande in ogni parte del Regno,
ma generalmente maggiore nelle Contee settentrionali, che nelle
meridionali. Veramente, gran parte del paese oltre il Trent, fino al
secolo decimottavo era in istato di barbarie. Cagioni fisiche e
morali avevano cooperato perchè lo incivilimento non si spandesse
per quella regione. Il cielo era inclemente, il suolo in condizioni
tali, da richiedere arte somma ed industria nella coltivazione; e
poca poteva essere l'arte e la industria in una contrada che spesso
era teatro di guerra, e che, anche quando vi regnava una pace di
solo nome, veniva perennemente devastata dalle bande di ladroni
scozzesi. Avanti e lungo tempo dopo il congiungimento delle due
Corone britanniche, eravi tanta differenza tra Middlesex(62) e
Northumberland, quanta oggi ve n'è tra il Massachusetts(63) e gli
stabilimenti di quelle genti nomadi, le quali nelle rimote contrade
occidentali del Mississipi, amministrano rozzamente la giustizia con
la carabina e il pugnale. Nel regno di Carlo II, i vestigii lasciati
da lunghi anni di strage e di saccheggio vedevansi ancora
chiaramente per molte miglia al mezzogiorno del Tweed, nello aspetto
della contrada e nei costumi del popolo. Eravi ancora una genia di
predoni, che dedicavasi all'arte di saccheggiare le case e rapire
interi branchi di gregge. Poco dopo la Restaurazione, il Governo
reputò necessario promulgare leggi severissime, a impedire
simiglianti delitti. Ai Magistrati di Northumberland e di Cumberland
fu data potestà di levare bande d'uomini armati per la difesa della
proprietà e dell'ordine; e onde provvedere alle spese di cosiffatte
leve, imposero una tassa locale(64). Fu ordinato che le parrocchie
tenessero de' cani addestrati a fine di dar la caccia ai ladroni.
Non pochi vecchi che vivevano ancora a mezzo del secolo decimottavo,
potevano bene rammentarsi del tempo in cui quei cani feroci erano
d'uso comune(65). Eppure, anche con tali aiuti, spesso era
impossibile rintracciare i nascondigli di quei malfattori fra i
luoghi alpestri e paludosi. Imperocchè la geografia di quella
selvaggia contrada conoscevasi imperfettamente. Anco dopo che
Giorgio III ascese al trono, il sentiero su per le rocce da
Borrowdale a Ravenglas era tuttavia un secreto studiosamente
custodito dagli abitatori delle valli, taluni de' quali s'erano
probabilmente in gioventù loro sottratti per que' sentieri alle
ricerche della giustizia(66). Le abitazioni de' gentiluomini e le
grandi case coloniche erano fortificate. I buoi nella notte venivano
custoditi sotto gli spaldi della residenza, che chiamavasi col nome
di Peel. Coloro che vi abitavano, dormivano con le armi allato.
Grosse pietre ed acqua bollente erano sempre pronte a schiacciare e
scottare il ladrone che si fosse rischiato ad assalire il piccolo
presidio. Nissuno ardiva viaggiare per quel paese, senza aver fatto
testamento. I giudici, nel loro viaggio periodico, con tutta la
torma degli avvocati, procuratori, scrivani e servitori, cavalcavano
da Newcastle a Carlisle armati, e scortati da una forte guardia
sotto il comando degli Sceriffi. Era mestieri recare seco le
necessarie provvisioni; perocchè la contrada era un deserto, dove
era d'ogni cosa difetto. Il luogo nel quale la cavalcata fermavasi a
desinare, sotto una quercia immensa, non è peranche caduto in oblio.
La irregolare rigidità con che amministravasi la giustizia, faceva
ribrezzo all'animo di coloro che erano vissuti in più tranquilli
distretti. I Giurati, spinti dall'odio e dal sentimento del comune
pericolo, dichiaravano rei convinti gli aggressori delle case e i
rapitori degli armenti, con la fretta con cui giudica una Corte
marziale in occasione di tumulti, e a centinaia gli mandavano alla
forca(67). A memoria di alcuni che hanno veduta la presente
generazione, il cacciatore il quale procedeva fino alle scaturigini
del Tyne, trovava gli scopeti attorno Keeldar Castle popolati d'una
razza di uomini selvaggi quasi al pari degli Indiani della
California; e sentiva, maravigliando, le donne, mezzo ignude,
cantare rozze e fiere melodie, mentre gli uomini con le daghe in
pugno danzavano una danza guerresca(68).
Lentamente e con difficoltà la pace venne stabilita lungo i confini.
La seguirono l'industria e le arti del vivere civile. Intanto
scoprivasi che le regioni a settentrione del Trento, possedevano
nelle loro miniere di carbone una sorgente di ricchezza assai più
preziosa delle miniere aurifere del Perù. Conobbesi che nel vicinato
di cotesti strati carboniferi, quasi ogni specie di manifattura si
poteva esercitare con grande utile. Le genti presero ad affluire di
continuo a que' luoghi. Raccogliesi dai computi del 1841, che
l'antica provincia arcivescovile di York conteneva due settimi della
popolazione d'Inghilterra. Ai tempi della Rivoluzione, credevasi che
quella provincia contenesse solo un settimo della popolazione(69).
Nella Contea di Lancaster il numero degli abitatori sembra essere
cresciuto nove volte di più; mentre in Norfolk, Suffolk e nella
Contea di Northampton, appena trovasi raddoppiato(70).
IV. Intorno alle tasse possiamo favellare con maggior precisione e
sicurezza, che intorno alla popolazione. La rendita
dell'Inghilterra, alla morte di Carlo II, era piccola in paragone
de' mezzi che essa allora possedeva, o delle somme di pecunia che
levavano i Governi degli Stati al nostro propinqui. Dopo l'epoca
della Restaurazione, era venuta quasi sempre crescendo; e nondimeno,
era poco più di tre quarti della rendita delle Provincie Unite, ed
appena un quinto di quella di Francia.
Il più importante capo di entrata era quel balzello detto excise, il
quale nell'ultimo anno del regno di Carlo produsse cinquecento
ottantacinquemila lire sterline, nette di spese. Il prodotto netto
delle dogane ascese, nell'anno stesso a cinquecentotrentamila lire
sterline. Questi carichi non pesavano molto gravemente sulla
nazione. La tassa sui camini o focolari, quantunque fosse meno
produttiva, destò maggiori mormorazioni. Il malcontento che nasce
dalle imposte dirette, sta, a dir vero, quasi sempre fuori di
proporzione alla quantità di danaro che riportano allo Scacchiere; e
la tassa sui camini era, anco fra le imposte dirette,
particolarmente odiosa: imperocchè non poteva levarsi se non se per
mezzo di visite domiciliari; alle quali visite gl'Inglesi hanno
sempre avuto tale abborrimento, che il popolo degli altri paesi se
ne potrebbe formare solo una debole idea. I padroni di case poveri,
spesso non potevano pagare la imposta sui loro focolari. Ogni
qualvolta ciò avveniva, gli esattori sequestravano senza
misericordia la mobilia: poichè la tassa era data in appalto; e un
appaltatore di tasse, fra tutti i creditori, secondo porge il
proverbio, è il più rapace. Gli esattori venivano apertamente
accusati di condursi, nello esercizio del loro abborrito mestiere,
con durezza e insolenza. Dicevasi, che appena essi mostravansi sulla
soglia d'un tugurio, i fanciulli cominciavano a piangere, e le
vecchie correvano a nascondere i loro arnesi da cucina. Anzi,
l'unico letto d'una povera famiglia soventi volte veniva portato
via, e venduto. Il prodotto annuo netto di cotesta tassa era di
duecentomila lire sterline(71).
Se alle tre grandi sorgenti d'entrata da noi rammentate, aggiungiamo
quella delle regie possessioni, allora più estese di quello che
siano ai dì nostri, i primi frutti e le decime, che non erano per
anche state rese alla Chiesa, i Ducati di Cornwall e di Lancaster,
le confische e le multe; la intera rendita annua della Corona
potrebbe estimarsi sicuramente a un milione e quattrocentomila lire
sterline. Di cotesta rendita, parte era ereditaria; il rimanente, a
Carlo era stato concesso a vita; ed egli era libero di spenderla
tutta, in qualunque modo gli fosse piaciuto. Tutto ciò ch'egli
poteva risparmiare dalla spesa de' pubblici dipartimenti, andava
alla sua borsa privata. Intorno all'uffizio postale ragioneremo più
innanzi. Gli utili di quello stabilimento erano stati dal Parlamento
concessi al Duca di York.
La entrata del Re era, o avrebbe dovuto essere, sopraccarica del
pagamento di circa ottantamila sterline l'anno, ch'era l'interesse
de' danari dalla Cabala fraudolentemente ritenuti nello Scacchiere.
Mentre Danby era capo dell'ufficio delle finanze, i creditori
avevano ricevuti i loro dividendi, quantunque senza la esatta
puntualità che ne' moderni tempi si costuma; ma coloro che gli erano
succeduti al Tesoro, erano stati meno(72) destri o meno solleciti a
mantenere la fede pubblica. Dopo la vittoria che la Corte riportò
sopra i Whig, nè anche un soldo era stato pagato, nè fatta giustizia
ai creditori, finchè una nuova dinastia non istabilì un sistema
nuovo. Si erra grandemente immaginando che il sistema di provvedere
ai bisogni dello Stato per mezzo di un prestito, fosse recato
nell'isola nostra da Guglielmo III. Da tempo immemorabile, ogni
Governo Inglese aveva avuto costume di contrarre debiti. Ciò che
venne introdotto dalla Rivoluzione, fu la usanza di pagarli
onestamente(73).
V. Saccheggiando i pubblici creditori, era possibile accumulare una
entrata di un milione e quattrocento mila lire sterline; ed
aggiungendovi di quando in quando qualche sussidio della Francia,
sostenere le spese necessarie del Governo, e lo scialacquo della
Corte: imperciocchè quel peso che gravava sulle finanze de' grandi
Stati continentali, in Inghilterra sentivasi appena. In Francia, in
Germania, ne' Paesi Bassi, eserciti numerosi, quali Enrico IV e
Filippo II non avevano mai mantenuti in tempo di guerra, tenevansi
fra mezzo alla pace. In ogni parte si erigevano bastioni e forti,
edificandoli con principii ignoti a Parma o a Spinola. Le
artiglierie e le munizioni accumulavansi in tanta quantità, che lo
stesso Richelieu, il quale dalle precedenti generazioni era stato
considerato come operatore di prodigi, avrebbe chiamata favolosa.
Niuno poteva viaggiare per molte miglia in quelle contrade, senza
udire i tamburi d'un reggimento in marcia, o senza essere fermato
dalle sentinelle de' ponti levatoi d'una fortezza. Nella nostra
isola, all'incontro, era possibile vivere e viaggiare lungamente,
senza che nessun suono o vista di cose marziali rammentasse che la
difesa dello Stato era divenuta una scienza ed una professione. La
maggior parte degli Inglesi che avevano meno di venticinque anni,
non avevano probabilmente veduta mai nessuna compagnia di soldati
regolari. Delle città le quali nella guerra civile avevano
valorosamente respinto le armate ostili, nè anche una era capace di
sostenere un assedio. Le porte rimanevano aperte di notte e di
giorno: i fossi erano senz'acqua: gli spaldi delle mura si erano
lasciati andare in rovina, o erano racconci in modo, che il popolo
vi potesse con diletto passeggiare nelle notti estive. Molte delle
vecchie abitazioni de' Baroni erano state fracassate dai cannoni di
Fairfax e di Cromwell, ed erano mucchi di rovine coperte di edera.
Quelle che restavano in piedi, avevano perduto il loro aspetto
marziale, ed erano diventate palazzi rurali dell'aristocrazia. I
fossati erano mutati in vivai di carpii e di lucci. I terrapieni
erano coperti di olezzanti arbusti, a traverso de' quali aprivansi
viottoli, che conducevano su a tempietti ornati di specchi e di
pitture(74). Sui promontori delle coste, e su per molti colli del
paese interno, vedevansi tuttavia posti alti, sormontati di barili,
che un tempo erano ripieni di pece: in tempi di pericolo vigilavano
attorno ad essi le sentinelle; e in poche ore, appena scoperta una
flotta spagnuola nel canale, o appena veduto che un migliaio di
predoni scozzesi aveva passato il fiume Tweed, i fuochi d'accenno
splendevano per un tratto di cinquanta miglia, e tutte le Contee
correvano alle armi. Ma erano trascorsi molti anni da che que'
fuochi non si accendevano più; ed oramai venivano considerati più
presto come curiose reliquie de' vecchi costumi, che come parte
d'una macchina necessaria alla salvezza dello Stato(75).
La sola armata riconosciuta dalla legge, era la guardia cittadina.
Era stata riordinata per virtù di due leggi, passate in Parlamento
poco dopo la Restaurazione. Chiunque possedeva cinquecento lire
sterline annue in terreni, o seimila lire sterline d'utili
personali, era tenuto ad apprestare, equipaggiato e pagato a proprio
carico, un uomo a cavallo. Chiunque possedeva cinquanta lire
sterline annue in terreni, o seicento d'utili personali, era
similmente tenuto ad apprestare un lanciere o moschettiere. I
possidenti minori furono ordinati in una specie di società, a
significare la quale la nostra lingua non ha vocabolo proprio, ma
che un Ateniese avrebbe chiamata Synteleia; e ciascuna di coteste
società doveva fornire, secondo i propri mezzi, un soldato a
cavallo, o un pedone. Il numero della cavalleria e fanteria in tal
guisa raccolto, stimavasi comunemente ascendere a cento trenta mila
uomini(76).
Per virtù dell'antica Costituzione del reame, e del recente e
solenne riconoscimento di ambedue le Camere, il Re era il solo
Capitano Generale di queste grandi forze. I Lordi Luogotenenti e i
deputati loro comandavano a lui sottoposti, e ordinavano le raccolte
per gli esercizi o le ispezioni. La durata di siffatti ragunamenti,
nondimeno, non poteva eccedere quattordici giorni in un anno. I
Giudici di Pace avevano potestà d'infliggere pene per infrazioni di
disciplina. La Corona non contribuiva nulla alla spesa ordinaria; ma
quando la milizia cittadina veniva chiamata alle armi contro
l'inimico, al suo mantenimento provvedeva il Governo a carico della
entrata generale dello Stato, e la sottoponeva al massimo rigore
della legge marziale.
Eranvi di quelli che non guardavano di buon occhio la milizia
cittadina. Uomini che avevano molto viaggiato nel continente,
ammirato la rigorosa precisione con che ogni sentinella movevasi e
parlava nelle cittadelle edificate da Vauban, veduto gli eserciti
possenti che affluivano per tutte le strade della Germania a
respingere gli Ottomanni dalle porte di Vienna, ed erano stati
abbagliati dalla pomposa magnificenza delle guardie palatine di
Luigi, irridevano al modo con cui i contadini delle Contee di Devon
e di York marciavano, giravansi, e portavano gli archibugi e le
picche. Gl'inimici delle libertà e della religione dell'Inghilterra,
guardavano con abborrimento una forza che non potevasi, senza
estremo periglio, adoperare contro quelle libertà e quella
religione, e non lasciavano fuggire veruna occasione senza porre in
dileggio le rustiche soldatesche(77). I saggi amatori della patria,
quando raffrontavano queste rozze leve coi battaglioni che, in tempo
di guerra, tra poche ore potevano condursi alle coste di Kent o di
Sussex, erano costretti a concedere, che, per quanto pericolo vi
fosse nel mantenere uno esercito stanziale, sarebbe stato anche più
pericoloso provvedimento lo affidare l'onore e la indipendenza del
paese all'esito d'una lotta tra i campagnoli capitanati dai Giudici
di Pace, e i vecchi guerrieri condotti dai Marescialli di Francia.
Cotali opinioni in Parlamento non potevano manifestarsi se non con
grande riserbo, perocchè la milizia cittadina era una istituzione
eminentemente popolare. Ogni qualunque osservazione intorno ad essa
eccitava lo sdegno di ambi i grandi partiti dello Stato, ed in
ispecie di quello che mostravasi zelantissimo della Monarchia e
della Chiesa Anglicana. Le legioni delle Contee erano comandate
quasi esclusivamente da nobili e gentiluomini Tory; i quali andavano
alteri del loro grado militare, e tenevano come fatto a sè stessi
ogni insulto contro la istituzione alla quale appartenevano.
Sapevano bene pur troppo, che tutto ciò che dicevasi contro la
guardia cittadina era detto in favore d'un esercito stanziale, il
cui nome era da loro abborrito. Un simigliante esercito aveva
signoreggiata l'Inghilterra, e sotto esso il Re era stato
assassinato, la nobiltà degradata, i gentiluomini spogliati delle
loro terre, la Chiesa perseguitata. Non v'era signore rurale che non
avesse da raccontare una storia di danni e d'insulti a lui inflitti,
o al padre suo, dai soldati parlamentari. Un vecchio Cavaliere aveva
veduto mezza la sua campestre residenza distrutta. Gli olmi
ereditarii d'un altro erano stati abbattuti. Un terzo non poteva mai
porre il piede dentro la chiesa della propria parrocchia, senza che
i suoi scudi sfigurati, i capi mozzi delle statue de' suoi antichi,
gli rammentassero come i soldati d'Oliviero avessero di quel sacro
luogo fatto stalla ai propri cavalli. E però, quegli stessi realisti
che erano pronti a combattere per il Re loro, erano gli ultimi ai
quali egli potesse chiedere i mezzi di assoldare milizie regolari.
Carlo, nonostante, pochi mesi dopo la sua Restaurazione, aveva
cominciato a formare una piccola armata stanziale. Pensava che,
senza una protezione migliore di quella della civica milizia e delle
guardie reali, la sua persona o il suo palazzo appena sarebbero in
sicuro, nella propinquità d'una città vasta, piena di guerrieri, che
erano stati pur allora sbandati. Egli, quindi, spensierato e prodigo
come era, studiossi di risparmiare dai suoi piaceri una somma
bastevole a mantenere un corpo di guardie. Con lo accrescersi del
traffico e della ricchezza pubblica, le sue rendite crescevano; e in
tal guisa potè, a dispetto del mormorare de' Comuni, ingrossare a
poco a poco le sue milizie regolari. Un'addizione considerevole fu
ad esse fatta innanzi la fine del suo regno. Il costoso, inutile e
pestilenziale stabilimento di Tangeri, venne abbandonato ai Barbari
che vi abitavano all'intorno; e il presidio, composto di un
reggimento di cavalleria e due di fanteria, fu richiamato in
Inghilterra.
La piccola armata così formata da Carlo, fu il germe di quel grande
e rinomato esercito, che, in questo secolo, ha marciato
trionfalmente a Madrid e Parigi, a Canton e Candahar. Le guardie del
corpo, che adesso formano due reggimenti, erano allora partite in
tre corpi, ciascuno dei quali constava di duecento carabinieri,
esclusi gli ufficiali. Questo corpo, cui era affidata la sicurezza
del Re e della real famiglia, aveva un carattere speciale. Anche i
semplici soldati erano insigniti del grado di gentiluomini della
Guardia. Molti di loro erano di buone famiglie, ed avevano servito
nelle guerre civili. La loro paga era maggiore di quella che si dà
al più prediletto reggimento de' tempi nostri; ed in quella età
veniva riputata provvisione rispettabile per un figlio cadetto di
scudiero di provincia. I loro bei cavalli, le ricche valdrappe, le
corazze, le vesti ornate di nastri, di velluto e di frange d'oro,
facevano bello spettacolo nel Parco di San Giacomo. Una piccola
coorte di dragoni granatieri, che erano di più bassa classe ed
avevano paga minore, era annessa a ciascun corpo. Un'altra legione
di cavalleria, predistinta da vesti e manti azzurri, e tuttavia
chiamata gli Azzurrini (the Blues), stava generalmente acquartierata
nelle vicinanze della capitale. Propinquo ad essa rimaneva anche il
corpo che oggi porta il nome di primo reggimento dei dragoni, ma che
allora era il solo reggimento de' dragoni che fosse in Inghilterra.
Era stato composto della cavalleria che era ritornata da Tangeri. Un
solo corpo di dragoni, che non faceva parte di nessun reggimento,
stanziava presso Berwick, a fine di mantenere la pace fra i predoni
del confine. A quest'uso peculiare pensavasi allora che il dragone
fosse singolarmente adattato. Ne' tempi posteriori(78) è divenuto un
semplice soldato di cavalleria: ma nel secolo decimosettimo, venne
accuratamente descritto da Montecuccoli, come un pedone che
servivasi del cavallo per giungere con maggiore speditezza a un
luogo designato dal servizio militare.
La fanteria reale constava di due reggimenti, i quali chiamavansi
allora, come adesso, il primo reggimento delle guardie a piedi, e le
guardie Coldstream. Generalmente, prestavano servizio presso
Whitehall, e il Palazzo di San Giacomo. Poichè allora non v'erano
caserme, e poichè, per virtù della Petizione de' Diritti, i soldati
non potevano essere acquartierati nelle case private, essi
riempivano tutte le birrerie di Westminster e di Strand.
V'erano altri cinque reggimenti di pedoni. Uno dei quali, detto il
reggimento dell'Ammiraglio, era specialmente destinato a prestare
servizio sulle navi. Gli altri quattro chiamavansi, tuttavia, i
primi quattro reggimenti di linea. Due di essi rappresentavano due
brigate, che avevano lungo tempo mantenuta nel Continente la
rinomanza del valore inglese. Il primo, ovvero reggimento reale,
aveva, sotto il grande Gustavo, sostenuta una parte cospicua nella
liberazione della Germania. Il terzo reggimento, che distinguevasi
per le mostreggiature di colore carneo, da cui trasse il ben noto
nome di Buffs(79), aveva, sotto Maurizio di Nassau, combattuto con
non minore valentia per la liberazione delle Fiandre. Entrambe
coteste magnifiche legioni, alla perfine, dopo molte vicende, erano
state da Carlo II richiamate dal servizio forestiero, ed aggregate
alla milizia inglese.
I reggimenti che adesso si dicono secondo e quarto di linea, nel
1685 erano pur allora ritornati da Tangeri, recando seco i costumi
crudeli e licenziosi che avevano contratti dalla loro lunga
consuetudine coi Mori. Poche compagnie di fanteria che non erano
state ordinate a reggimenti, erano di presidio a Tilbury Fort, a
Portsmouth o a Plymouth, e in alcuni altri posti importanti su o
presso la costa.
Dopo i primi anni del secolo decimosettimo, era seguito un grande
mutamento nelle armi della fanteria. Alla lancia o picca s'era
gradatamente venuto sostituendo l'archibugio; e alla fine del regno
di Carlo II, la maggior parte de' suoi pedoni erano moschettieri.
Nondimeno, continuavano ad essere mescolati coi lancieri. Ciascuna
classe di truppa nemica, veniva, secondo le occasioni, ammaestrata
nell'uso dell'arme che peculiarmente apparteneva all'altra classe.
Ogni pedone aveva a fianco una spada per servirsene combattendo
petto a petto. Il dragone era armato come un moschettiere; portava
un'arme che nel corso di molti anni erasi venuta adottando, allora
dagl'Inglesi chiamata daga (dagger), ma che fino dal tempo della
nostra Rivoluzione, è stata fra noi conosciuta col vocabolo francese
di baionetta. E' pare che la baionetta non fosse dapprima uno
strumento così formidabile come poscia è diventata; poichè, essendo
conficcata alla bocca della canna dell'archibugio, il soldato che
avesse voluto far fuoco, perdeva molto tempo a levarla, e riporvela,
volendosene servire alla carica.
L'esercito regolare che mantenevasi in Inghilterra al principio del
1685, comprendeva, inclusi i soldati d'ogni arme, circa settemila
pedoni e millesettecento cavalli e dragoni. La spesa a mantenerlo,
ascendeva a circa duecento novantamila sterline l'anno; meno del
decimo della somma che costava in tempo di pace la milizia francese.
La paga giornaliera di un milite privato nelle Guardie del Corpo era
cinque scellini, negli Azzurri due scellini e sei soldi, nei Dragoni
diciotto soldi, nelle Guardie a piedi dieci soldi, e nella Linea
otto. La disciplina era debole; e, per vero dire, non poteva essere
altrimenti. Il Diritto comune dell'Inghilterra non riconosceva corti
marziali, e in tempo di pace non faceva distinzione tra un soldato e
qualunque altro suddito; nè il Governo poteva allora rischiarsi a
chiedere una legge d'ammutinamento (Mutiny Bill) al Parlamento anche
il più realista. Un soldato, dunque, battendo il proprio colonnello,
incorreva soltanto nelle pene per assalto o percossa; e ricusando di
obbedire agli ordini superiori, o coll'addormentarsi nel tempo che
faceva la guardia, o col lasciare le proprie insegne, non incorreva
nessuna pena legale. Non è dubbio che sotto il regno di Carlo II
s'inflissero punizioni militari; ma con molta parsimonia, e in modo
da non attirare l'attenzione pubblica, o produrre un appello alle
Corti di Westminster Hall.
Non era verosimile che un esercito come questo rendesse schiavi
cinque milioni d'Inglesi. E davvero, difficilmente sarebbe stato
bastevole ad opprimere una insurrezione in Londra, se la milizia
della città si fosse unita agl'insorti. Nè il Re poteva sperare, nel
caso che il popolo insorgesse in Inghilterra, di ottenere aiuto dai
suoi altri dominii. Imperocchè, quantunque la Scozia e l'Irlanda
mantenessero milizie proprie, queste forze erano appena sufficienti
ad infrenare i malcontenti puritani dell'un Regno, e i papisti
malcontenti dell'altro. Il Governo, non ostante, aveva altri mezzi
militari importantissimi, dei quali va fatta menzione. V'erano al
soldo delle Provincie Unite sei belli reggimenti, capitanati
primamente dal valoroso Ossory; tre de' quali erano stati raccolti
in Inghilterra, e tre in Iscozia. Il Re inglese erasi riserbata la
potestà di richiamarli a sé, qualvolta ne avesse mestieri contro un
nemico esterno od interno. Infrattanto, venivano mantenuti senza
nessun carico di spesa per lui, ed assuefatti ad una eccellente
disciplina, alla quale egli non si sarebbe rischiato di
sottoporli(80).
VI. Se la gelosia del Parlamento e della Nazione impediva al Re di
mantenere un esercito stanziale formidabile, egli non aveva simile
impedimento a rendere l'Inghilterra prima fra le Potenze marittime.
I Whig e i Tory erano pronti a plaudire ad ogni provvedimento che
tendesse ad accrescere quella forza, la quale, mentre era la
migliore protezione dell'Isola contro i nemici stranieri, tornava
impotente contro la libertà cittadina. Le più grandi gesta di cui
gli uomini d'allora serbassero memoria, operate dai soldati inglesi,
erano avvenute nelle guerre contro i principi inglesi. Le vittorie
de' nostri marinai erano state riportate sopra nemici stranieri, ed
avevano allontanato lo sterminio e la rapina dal nostro suolo.
Almeno mezza la nazione rammentava con ribrezzo la battaglia di
Naseby, e con orgoglio frammisto a molti spiacevoli sentimenti la
battagli di Dunbar: ma la sconfitta dell'Armada, e gli scontri di
Blake con gli Olandesi e gli Spagnuoli, ricorrevano alla memoria di
tutti i partiti con infinita esultanza. Dalla Restaurazione in poi,
i Comuni, anche quando avevano mostrato scontento e parsimonia,
erano stati sempre docili fino alla prodigalità, in ciò che concerne
gl'interessi della flotta. Era stato loro dimostro, mentre il
Governo era nelle mani di Danby, che molti dei vascelli della flotta
reale erano vecchi e inadatti al mare; e quantunque in quel tempo la
Camera fosse ripugnante a dare, concesse un sussidio di circa
seicentomila lire sterline per la costruzione di trenta nuovi legni
da guerra. Ma la liberalità della nazione rendevasi infruttuosa pei
vizii del Governo. La lista delle navi del Re, egli è vero, faceva
bella mostra. Ve n'erano nove di prima classe, quattordici di
seconda, trentanove di terza, e molti altri legni più piccoli.
Quelli di prima classe, veramente, erano minori de' legni di terza
classe de' nostri tempi; e quei di terza classe adesso non
verrebbero considerati come fregate molto vaste. Se, nulladimeno,
questa forza marittima fosse stata effettiva, in que' giorni il più
gran potentato l'avrebbe considerata come formidabile. Ma esisteva
solo in iscritto. Quando terminò il regno di Carlo, la sua flotta
era guasta e caduta in basso tanto, che sarebbe quasi incredibile,
senza l'unanime testimonianza di tali la cui autorità non ammette
dubbio. Pepys, l'uomo più esperto dell'Ammiragliato inglese, compose
nel 1684 una memoria intorno alle condizioni del suo dipartimento,
per informarne Carlo. Pochi mesi appresso, Bonrepaux, l'uomo più
esperto dell'Ammiragliato francese, avendo visitata l'Inghilterra
con lo scopo speciale di chiarirsi della forza marittima di quella,
presentò a Luigi il frutto delle sue indagini. Le due relazioni
danno un medesimo risultato. Bonrepaux dichiarò d'avere trovata ogni
cosa in disordine ed in misere condizioni; disse che la superiorità
della marina francese era riconosciuta con vergogna ed invidia in
Whitehall, e che lo stato delle navi e degli arsenali nostri era per
sè una bastevole guarentigia della nostra impossibilità ad
immischiarci nelle contese europee(81). Pepys esponeva al proprio
signore, come l'amministrazione navale fosse un prodigio di
prodigalità, di corruzione, d'ignoranza e di vigliaccheria; come non
fosse da fidarsi a nessuno estimo, non potesse farsi nessun
contratto, non vi fosse freno nessuno. I vascelli che il Governo,
grazie alla liberalità del Parlamento, aveva potuto costruire, e che
non erano mai usciti fuori del porto, erano stati costruiti di legno
così cattivo, che erano meno adatti a viaggiare, che non fossero le
vecchie carcasse le quali trent'anni innanzi avevano sostenuto le
mitraglie degli Olandesi e degli Spagnuoli. Alcuni de' nuovi legni
da guerra, certamente, erano così marci, che se non venivano
riattati, sarebbero calati a fondo nelle darsene. I marinai erano
pagati con sì poca precisione, che chiamavansi avventurati di poter
trovare qualche usuraio che comperasse i loro biglietti col quaranta
per cento di sconto. I comandanti che non avessero amici potenti in
Corte, erano anche peggio trattati. Taluni ufficiali, creditori di
grosse somme arretrate, dopo di avere indarno importunato per molti
anni il Governo, erano morti per mancanza d'un tozzo di pane.
La maggior parte delle navi che stavano in mare, erano comandate da
uomini non educati a quell'ufficio. Vero è che questo non era abuso
introdotto dal Governo di Carlo. Nessuno Stato antico o moderno
aveva, innanzi a quel tempo, separato affatto il servizio navale dal
militare. Nelle grandi nazioni incivilite del mondo antico, Cimone e
Lisandro, Pompeo ed Agrippa, avevano combattuto battaglie di terra e
di mare. Nè lo impulso che la nautica ricevette sul finire del
secolo decimoquinto, aveva prodotto nessun miglioramento nella
divisione delle fatiche. A Flodden, l'ala diritta dell'armata
vittoriosa era diretta dall'Ammiraglio d'Inghilterra. A Jarnac e
Moncontour, le coorti(82) degli Ugonotti erano capitanate dallo
Ammiraglio di Francia. Né Don Giovanni d'Austria, vincitore di
Lepanto, né Lord Howard di Effingham, al quale era affidata la
marina inglese allorquando gl'invasori spagnuoli appressaronsi ai
nostri lidi, erano stati educati al mare. Raleigh, altamente
celebrato come comandante navale, aveva per molti anni servito come
soldato in Francia, nelle Fiandre e in Irlanda. Blake erasi reso
cospicuo per la sua esperta e valorosa difesa di una città interna,
innanzi che umiliasse l'orgoglio olandese e castigliano nell'Oceano.
Dopo la Restaurazione, era stato seguito il medesimo sistema. Grosse
flotte erano state affidate a Rupert ed a Monk: a Rupert, che aveva
rinomanza di fervido e ardimentoso ufficiale di cavalleria; e a
Monk, il quale semprechè voleva che il vascello mutasse cammino,
faceva ridere la ciurma gridando: "Girate a sinistra!"
Ma verso questo tempo, gli uomini saggi cominciarono ad accorgersi,
che il rapido perfezionamento dell'arte della guerra e dell'arte
nautica rendeva necessario partire l'una dall'altra le due
professioni, che fino allora erano state confuse insieme. O il
comando d'un reggimento o quello d'una nave, adesso erano
sufficienti ad occupare la mente d'un solo uomo. Nel 1672, il
Governo Francese deliberò d'educare parecchi giovani, fino dalla
loro tenera età unicamente al servizio della marina. Ma il Governo
Inglese, invece di seguire cotesto laudevole esempio, non solo
continuò ad affidare il comando navale ad uomini non esperti del
mare, ma li sceglieva tali, che anche in imprese di terra erano
inetti a commissioni di qualche importanza. Ogni giovinetto di
nobile lignaggio, ogni dissoluto cortigiano, a pro' del quale una
delle amanti del Re avesse voluto dire una parola, poteva sperare il
comando di un vascello di linea; e con esso, l'onore della patria e
la vita di centinaia d'uomini valorosi rimanevano affidati alla sua
cura. Nulla importava che ei non avesse mai in vita sua navigato
fuorchè nelle acque del Tamigi, che non potesse star fermo al soffio
del vento, che non conoscesse la differenza tra la latitudine e la
longitudine. L'educazione speciale all'arte non era creduta
necessaria; o, al più, egli era mandato a fare una breve gita sopra
una nave da guerra, dove non era sottoposto a veruna disciplina,
veniva trattato rispettosamente, e consumava il tempo in trastulli e
follie. Se nel tempo che gli avanzava dal festeggiare, dal bere e
dal giocare, riuscivagli d'imparare il significato di poche frasi
tecniche, e i nomi de' punti del compasso, acquistava i requisiti
necessari a comandare un vascello a tre ponti. Questa non è
descrizione di fantasia. Nel 1666, Giovanni Scheffleld, Conte di
Mulgrave, giovinetto di diciassette anni, entrò come volontario nel
servizio di mare contro gli Olandesi. Passò sei settimane sur una
nave, trastullandosi, quanto più poteva, in compagnia di alcuni
giovani libertini di razza nobile, e poscia fece ritorno in
Inghilterra per assumere il comando di un corpo di cavalleria. Dopo
ciò, non andò mai al mare fino all'anno 1672; in cui di nuovo si
aggiunse alla flotta, e quasi subito fu fatto capitano d'un vascello
di ottantaquattro cannoni, estimato il più bello di tutta la nostra
marina. Allora egli aveva ventitrè anni, e in tutto il corso della
vita sua non era stato nè anche tre mesi sul mare. Appena ritornato,
fu fatto colonnello d'un reggimento di fanteria. È questo un saggio
del modo con cui i comandi navali della maggiore importanza
concedevansi; ed è saggio non tanto riprovevole, imperocchè
Mulgrave, benchè difettasse d'esperienza, non difettava punto
d'animo e di doti. Nel medesimo modo venivano promossi altri, i
quali, non che non essere buoni ufficiali, erano intellettualmente e
moralmente incapaci di mai divenir tali, e la cui sola
raccomandazione stava in ciò, che erano stati rovinati dalle follie
e dai vizi. La cosa precipua che attraeva cotesti uomini al
servigio, era il profitto di trasportare di porto in porto verghe
d'argento, o altre preziose mercanzie; perciocchè sì l'Atlantico e
sì il Mediterraneo a quel tempo infestavano i pirati di Barberia,
talmente che i mercanti non volevano i loro preziosi carichi alla
custodia d'altri affidare, che a quella di una nave da guerra. Un
capitano, in simile guisa, talvolta guadagnava in un breve viaggio
parecchie migliaia di lire sterline; e per condurre cotesto lucroso
traffico, troppo spesso trascurava gl'interessi della propria patria
e l'onore del proprio vessillo, vilmente sottomettevasi alle Potenze
straniere, disobbediva agli ordini più diretti de' superiori suoi,
rimaneva in porto quando gli comandavano di correre dietro ad un
corsaro di Salè, o andava a portare argento in Livorno, quando le
istruzioni ricevute richiedevano che si riducesse in Lisbona. E
tutto ciò egli faceva impunemente. Lo interesse medesimo che lo
aveva locato in un posto al quale era disadatto, ve lo manteneva.
Non v'era ammiraglio, che, sfidato da codesti corrotti e sfrenati
prediletti di palazzo, osasse appena bisbigliare di corte marziale.
Se qualche ufficiale mostrava maggior sentimento del proprio dovere
che non facessero i suoi colleghi, accorgevasi tosto d'avere perduti
i guadagni, senza essersi acquistato onore. Un capitano che, per
avere rigorosamente obbedito agli ordini dello Ammiragliato, perdè
un trasporto di mercanzie dal quale avrebbe ricavato quattromila
sterline, si sentì dalle stesse labbra di Carlo chiamare, con
ignobile leggerezza, grandissimo stolto per le cure che si prendeva.
La disciplina della marineria procedeva tutta ad un modo. Come il
capitano cortigiano spregiava lo ammiragliato, così egli era
spregiato dalla sua ciurma. Non poteva nascondere d'essere nell'arte
sua inferiore a ciascuno de' marinai sul bordo. Ed era vano lo
sperare che i vecchi marinai, avvezzi agli uragani de' tropici e ai
ghiacci del cerchio artico, rendessero pronta e riverente obbedienza
a un capo, il quale de' venti e delle onde non conosceva più di
quello che avrebbe potuto imparare sopra un dorato navicello tra
Whitehall Stairs e Hampton Court. Affidare a cosiffatto novizio la
direzione di un vascello, era cosa evidentemente impossibile.
L'ufficio di dirigere la navigazione fu, quindi, tolto al capitano e
dato al primo piloto; ma questa partizione d'autorità produceva
innumerevoli inconvenienti. La linea di demarcazione non era, e
forse non poteva essere descritta con precisione. Ne seguiva quindi
un perenne litigare. Il capitano, tanto più fiducioso di sè quanto
maggiore era la ignoranza sua, trattava il piloto con dispregio. Il
primo piloto, ben consapevole del pericolo di spiacere al più
potente, spessissimo dopo una lotta cedeva; ed era fortuna se da ciò
non ne conseguitasse la perdita del legno e della ciurma.
Generalmente, i meno perversi dei capitani aristocratici erano
quelli che abbandonavano affatto ad altri la direzione dei vascelli,
e badavano solo a far danari e profonderli. Il modo con cui costoro
vivevano, era cotanto ostentato e voluttuoso, che, per quanto
fossero cupidi di guadagni, rade volte arricchivansi. Vestivansi
come in un giorno di gala in Versailles, mangiavano su piatti d'oro
e d'argento, bevevano i vini più squisiti, e mantenevano serragli
sul bordo; mentre la fame e lo scorbuto infuriavano fra la ciurma, e
mentre ogni giorno cadaveri erano gettati giù dalle cannoniere.
Era tale il carattere ordinario di coloro che allora chiamavansi
capitani gentiluomini. Mescolati con essi trovavansi,
avventuratamente per la patria nostra, comandanti navali di diversa
specie; uomini che avevano passata la vita sulle acque, e che
avevano lavorato, e dagli infimi uffici del cassero erano pervenuti
ai gradi ed alle onorificenze. Uno de' più eminenti fra questi
ufficiali, fu Sir Cristoforo Mings, il quale cominciò a servire come
ragazzo da camerino, cadde valorosamente combattendo contra gli
Olandesi, e fu dalla sua ciurma, che lo piangeva e giurava di
vendicarlo, trasportato alla sepoltura. Da lui discese, per via
singolarissima, una linea di strenui ed esperti uomini di mare. Il
ragazzo del suo camerino fu Sir Giovanni Narborough, e il ragazzo
del camerino di Sir Giovanni Narborough fu Sir Cloudesley Shovel. Al
vigoroso buon senso naturale, e all'indomito coraggio di questa
classe d'uomini, l'Inghilterra serba un debito che non dimenticherà
mai. Cotesti animi fermi, malgrado la mala amministrazione e i falli
degli ammiragli cortigiani, furono quelli che protessero le nostre
coste, e mantennero rispettata la nostra bandiera per molti anni di
turbolenze e di pericoli. Ma a un cittadino cotesti veri marinai
parevano una razza d'uomini mezzo selvaggi. Tutto il loro sapere
limitavasi alle cose della professione loro, ed era più pratico che
scientifico. Fuori del loro elemento, erano semplici a guisa di
fanciulli. Ruvido era il loro portamento; nella loro stessa buona
indole era rozzezza; e la loro favella, qualvolta usciva dal
frasario nautico, comunemente abbondava di giuramenti e di
maledizioni. Tali erano i capi, nella cui rozza scuola formaronsi
quei robusti guerrieri i quali a Smollet, nella età susseguente,
servirono da modelli per ritrarre il Luogotenente Bowling e il
Comodoro Trunnion. Ma non sembra che al servizio degli Stuardi vi
fosse nè anche un ufficiale di marina quale, secondo le idee de'
nostri tempi, dovrebbe essere: vale a dire, un uomo versato nella
teorica e nella pratica della propria arte, indurito ai pericoli
della pugna e della tempesta, e, nondimeno, adorno di cultura
intellettuale e di modi gentili. V'erano gentiluomini, ed eranvi
marinai nella flotta di Carlo II; ma questi non erano gentiluomini,
e quelli non erano marinai.
La marina inglese di quel tempo, secondo i più esatti computi che
sono fino a noi pervenuti, si sarebbe potuta mantenere in attività
con trecento ottanta mila lire sterline annue. Quattrocento mila
sterline l'anno era la somma che spendevasi: ma, come abbiamo
veduto, si spendeva male. Il costo della marina francese era
pressochè lo stesso, e considerevolmente maggiore quello della
olandese(83).
VII. La spesa dell'artiglieria in Inghilterra nel secolo
decimosettimo, paragonata agli altri carichi militari e marittimi,
era molto minore di quello che sia nell'età nostra. Nella maggior
parte dei presidii v'erano parecchi cannonieri, e qua e là, in
qualche posto d'importanza, un ingegnere. Ma non eravi reggimento
d'artiglieria; non brigate di zappatori o di minatori; non collegio,
in cui i giovani soldati potessero imparare la parte scientifica
dell'arte della guerra. La difficoltà di muovere i pezzi da campagna
era estrema. Allorquando, pochi anni dopo, Guglielmo marciò da
Devonshire a Londra, l'apparecchio che trasportava seco, quantunque
fosse simile a quello che da lungo tempo si era sempre usato nel
continente, e tale che oggi verrebbe considerato in Woolwich rozzo e
impaccioso, svegliò nei nostri antenati una maraviglia somigliante a
quella che negli Indiani dell'America produssero gli archibugi dei
Castigliani. La provvista di polvere che tenevasi nei forti e negli
arsenali inglesi, veniva con orgoglio rammentata dagli scrittori
patriottici come cosa da incutere spavento alle nazioni vicine.
Ascendeva a mille e quattrocento o cinquecento barili; quasi un
dodicesimo della quantità che oggimai si reputa necessario di tenere
sempre accumulata. La spesa, sotto titolo di artiglieria, era a un
di presso poco più di sessanta mila lire sterline annue(84).
Tutta la spesa effettiva dell'armata, della marina, e
dell'artiglieria, ascendeva a circa settecento cinquanta mila lire
sterline. La spesa non effettiva, che adesso è parte gravosa de'
pubblici carichi, mal si direbbe che esistesse. Un piccolissimo
numero d'ufficiali marittimi, che non erano impiegati nel pubblico
servizio, avevano mezza paga. Nessun luogotenente era nella lista, e
nessun capitano che non avesse comandato un vascello di prima o di
seconda classe. E siccome lo Stato allora possedeva soli diciassette
vascelli di prima e di seconda classe che fossero stati in attività,
e siccome gran numero degli individui che avevano comandato quei
legni, occupavano buoni impieghi sul littorale, la spesa sotto
cotesto titolo doveva essere veramente lieve(85). In ciascuna
armata, la mezza paga davasi come una concessione speciale e
temporanea a un piccolo numero d'ufficiali che appartenevano a due
reggimenti che avevano peculiare situazione(86). Lo spedale di
Greenwich non era fondato; quello di Chelsea stavasi edificando: ma
alla spesa di tale istituzione provvedevasi, in parte, con una
deduzione dalla paga delle truppe; in parte, per mezzo di
soscrizioni private. Il re promise di contribuire per venti mila
sterline alle spese di fabbrica, e per cinquemila l'anno al
mantenimento degl'invalidi(87). Non era parte del sistema che vi
fossero esterni. La intera spesa non effettiva, militare e navale,
appena poteva sorpassare dieci mila sterline annue. Oggi supera
dieci mila lire il giorno.
IX. Alle spese del governo civile, la Corona contribuiva solo in
piccola parte. Il maggior numero de' funzionari, l'ufficio de' quali
era quello d'amministrare la giustizia e serbare l'ordine, o
prestavano gratuitamente i loro servigi al pubblico, o erano
rimunerati in modo da non cagionare nessun vuoto nella rendita dello
Stato. Gli sceriffi, i gonfalonieri, gli aldermanni delle città, i
gentiluomini di provincia che erano commissarii di pace, i capi de'
borghi, i ricevitori e i piccoli constabili, al Re non costavano
nulla. Le corti superiori di giustizia, principalmente, mantenevansi
con le tasse giudiciali.
Le nostre relazioni con le Corti straniere erano condotte con
estrema economia. Il solo agente diplomatico che avesse titolo
d'ambasciatore, era quello di Costantinopoli, e veniva in parte
mantenuto dalla Compagnia della Turchia. Anche alla Corte di
Versailles l'Inghilterra teneva soltanto un inviato; e non ne aveva
di nessuna specie presso le Corti di Spagna, di Svezia e di
Danimarca. La intiera spesa, sotto questo titolo, nell'ultimo anno
del regno di Carlo II, non poteva sorpassare di molto le ventimila
lire sterline(88).
X. Questa frugalità non era punto degna di lode. Carlo, secondo suo
costume, era avaro e prodigo a sproposito. Gl'impiegati morivano di
fame, affinchè i cortigiani ingrassassero. Le spese della marina,
dell'artiglieria, delle pensioni assegnate ai vecchi ufficiali
bisognosi, delle legazioni alle Corti straniere, debbono sembrare
lievi agli uomini della presente generazione. Ma i favoriti del
sovrano, i suoi ministri e le loro creature, satollavansi della
pubblica pecunia. Le paghe e pensioni loro, agguagliate alle entrate
dei nobili, dei gentiluomini, degli esercenti professioni o commerci
in quel tempo, sembreranno enormi. La rendita annua dei più grossi
possidenti del Regno, in allora di poco eccedeva le ventimila lire
sterline. Il Duca di Ormond non aveva se non ventiduemila sterline
l'anno(89). Il Duca di Buckingham, prima che con le sue stravaganze
rovinasse il proprio patrimonio, aveva diciannovemila sterline
annue(90). Giorgio Monk, Duca di Albemarle, il quale era stato per i
suoi insigni servigi rimunerato con immense concessioni di terre
pertinenti alla Corona, ed era famoso per cupidigia e parsimonia,
lasciò quindicimila lire sterline l'anno in beni fondi, e
sessantamila lire in danari, che probabilmente rendevano il sette
per cento(91). Questi tre duchi erano reputati i più ricchi sudditi
inglesi. Lo arcivescovo di Canterbury appena poteva avere cinquemila
sterline annue(92). La rendita media di un Pari secolare estimavasi,
da uomini i meglio informati, a circa tremila sterline; quella d'un
baronetto, a novecento; quella di un membro della Camera de' Comuni,
a meno di ottocento l'anno(93). Mille lire sterline annue
reputavansi una grossa rendita per un avvocato. Duemila l'anno
appena potevano guadagnarsi nella Corte del Banco del Re, tranne dai
legali della Corona(94). È quindi manifesto che un ufficiale era ben
pagato, quando riceveva un quarto o un quinto di ciò che oggi
sarebbe un giusto stipendio. Di fatto, nondimeno, gli stipendi degli
alti impiegati erano grossi come sono oggi, e non di rado maggiori.
Il Lord Tesoriere, a modo d'esempio, aveva ottomila sterline l'anno;
e qualvolta il Tesoro era in commissione, ciascuno dei Lordi più
giovani aveva mille e seicento sterline annue. Il pagatore delle
milizie aveva un tanto per lira sterlina - il che ascendeva ad una
somma di cinquemila sterline(95) l'anno - di tutto il danaro che
passava per le sue mani. L'ufficiale, detto Groom of the Stole,
aveva cinquemila sterline annue; ciascuno dei Commissari delle
Dogane mille e duecento; i regi ciamberlani mille(96). Nonostante,
la paga ordinaria era la parte minore dei guadagni di un impiegato
di quel tempo. Cominciando dai nobili che tenevano il bastone bianco
e il gran sigillo, fino al più basso doganiere o stazzatore, ciò che
oggi si chiamerebbe enorme corruzione praticavasi senza maschera e
senza rimprovero. Di titoli, uffici, commissioni, grazie, facevano
apertamente mercato i grandi dignitarii del reame; ed ogni scrivano,
in ogni dipartimento, imitava, come meglio potesse, quel pessimo
esempio.
Nel secolo decorso, nessun primo ministro, comunque potente, era
divenuto ricco per ragione d'ufficio; e parecchi ministri
distrussero il proprio patrimonio per sostenere il loro alto grado.
Nel secolo decimosettimo, un uomo di Stato, quando era a capo degli
affari, poteva agevolmente e senza scandalo accumulare in tempo non
lungo una ricchezza ampiamente bastevole al mantenimento di un duca.
Egli è probabile che la rendita del primo ministro, finchè teneva in
mano il potere, eccedesse quella di qualsivoglia altro suddito. Il
posto di Lord Luogotenente d'Irlanda, supponevasi fruttasse quaranta
mila sterline l'anno(97). I guadagni del Cancelliere Clarendon, di
Arlington, di Lauderdale e di Danby, furono enormi. Il palazzo
sontuoso al quale la plebe di Londra appiccò il soprannome di Casa
di Dunkerque, i magnifici padiglioni, le pescaie, le foreste
popolate di cervi, i giardini d'aranci di Euston, il lusso più che
italiano di Ham, con le sue statue, fontane, uccelliere, erano
argomenti che additavano quale fosse la via più breve per arrivare
ad una sterminata opulenza. Ciò spiega la violenza senza scrupoli,
con che gli uomini di Stato di que' giorni lottavano per conseguire
gli uffici; la tenacità con cui, malgrado le molestie, le
umiliazioni e i pericoli, vi si appigliavano; e le compiacenze
scandalose alle quali abbassavansi per conservarli. Perfino nell'età
nostra, comunque formidabile sia la potenza della pubblica opinione,
e in alto posta la laude d'integrità, vi sarebbe risico grande di un
infausto cangiamento nel carattere dei nostri uomini pubblici, se
l'ufficio di Primo Lord del Tesoro o di Segretario di Stato
fruttasse cento mila lire sterline l'anno. È insigne ventura per la
patria nostra, che gli emolumenti de' più alti funzionarii non solo
non siano cresciuti in paragone del generale accrescimento della
nostra opulenza, ma siano positivamente scemati.
XI. È cosa strana, e a prima vista parrebbe spaventevole, che la
somma levata in Inghilterra per mezzo delle tasse, siasi, in un
periodo di tempo che non eccede il corso di due lunghe vite,
aumentata di trenta volte. Ma coloro che si sgomentano dello
accrescimento delle pubbliche gravezze, potrebbero forse
rassicurarsi ove considerassero quello de' mezzi pubblici. Nel 1685,
il valore de' prodotti del suolo eccedeva il valore di tutti gli
altri prodotti della industria umana: nonostante, l'agricoltura era
in quelle condizioni che ai dì nostri la farebbero chiamare rozza ed
imperfetta. Gli aritmetici politici di quell'età supponevano che la
terra arabile, e quella adatta al pascolo, occupassero poco più
della metà di tutta la estensione del paese(98). Credevano che il
rimanente fosse tutto paludi, foreste e rocce. Cotesti computi
vengono fortemente confermati dagli Itinerarii e dalle Carte
geografiche del secolo diciassettesimo. Da tali libri e Carte
raccogliesi, senza alcun dubbio, che molte strade, le quali adesso
traversano un numero infinito di pometi, di campi da fieno e da
fave, allora passavano traverso a scopeti, macchie e pantani(99).
Nei paesaggi inglesi disegnati in que' tempi per il Granduca Cosimo,
appena si vede una siepe d'alberi; e numerosi tratti di terra, ora
rigogliosi per coltivazione, appariscono ignudi come il Piano di
Salisbury(100). In Enfield, donde è quasi visibile il fumo della
capitale, eravi una regione di venticinque miglia di circuito, che
conteneva solo tre case, e quasi nessun campo chiuso. Ivi i cervi,
liberi come in una foresta d'America, erravano a migliaia(101). È da
notarsi che i grossi animali selvaggi erano allora molto più
numerosi che adesso. Gli ultimi cignali che mantenevansi per le
cacce del Re, e lasciavansi devastare la terra coltivata, erano
stati uccisi dagli esasperati villani, mentre infuriava la licenza
della guerra civile. L'ultimo lupo che vagasse per la nostra isola,
era stato ammazzato in Iscozia, poco tempo innanzi la fine del regno
di Carlo II. Ma molte specie, adesso estinte o rare, di quadrupedi e
di volatili, erano allora comuni. La volpe, la cui vita in molte
Contee è tenuta sacra quasi quanto quella d'una creatura umana, era
considerata come bestia nociva. Oliviero Saint John disse al Lungo
Parlamento, che Strafford dovevasi considerare non come un cervo o
una lepre, da trattarsi con un certo riguardo, ma come una volpe,
che doveva afferrarsi con ogni mezzo, e schiacciarlesi la testa
senza pietà. Questo esempio non sarebbe piacevole, ove fosse
applicato ai gentiluomini di provincia de' nostri tempi: ma in quei
di Saint John vi erano non rade volte grandi stragi di volpi, alle
quali i contadini correvano in folla con tutti i cani che potessero
raccogliere, usavano trappole e reti, non davano quartiere; e
l'uccidere una volpe gravida consideravasi come azione meritevole
della gratitudine del vicinato. I daini rossi erano allora tanto
comuni nelle Contee di Gloucester e di Hamp, come oggi lo sono in
Grampian Hills. La Regina Anna, viaggiando a Portsmouth, ne vide un
branco non minore di cinquecento. Il toro selvatico con la sua
bianca criniera, errava tuttavia in poche foreste delle contrade
meridionali. Il tasso faceva il suo buio e tortuoso foro in ogni
collina folta di fratte e d'arbusti. I gatti selvaggi udivansi di
notte mugolare presso le case de' guardacaccia di Wittlebury e di
Needwood. La martora dal fulvo petto, era ancora inseguita in
Cranbourne Chase per la sua pelle, estimata inferiore soltanto a
quella del zibellino. Le aquile di padule, che dalla punta d'un'ala
a quella dell'altra avevano una lunghezza di nove e più piedi,
davano la caccia ai pesci lungo la costa di Norfolk. Per tutti i
piani, dal Canale Britannico fino alla Contea di York, grosse
ottarde erravano a branchi di cinquanta o sessanta, e spesso i
cacciatori lanciavano dietro essi i cani levrieri. Le maremme delle
Contee di Cambridge e di Lincoln rimanevano per alcuni mesi
dell'anno coperte da immense torme di gru. Il progresso
dell'agricoltura ha estirpate parecchie di queste razze d'animali.
Di altre, gl'individui sono talmente divenuti rari, che gli uomini
si affollano a mirarne qualcuno, come farebbero d'una tigre del
Bengal o d'un orso delle contrade polari(102).
Il progresso di questo grande mutamento non può altrove meglio
rintracciarsi, che nel Libro degli Statuti. Il numero degli atti di
chiusure, o partizioni di terre non coltivate, fatti dopo lo
avvenimento di Giorgio II al trono, sorpassa quattro mila. Lo spazio
ripartito per virtù di questi atti, eccede, calcolando
moderatamente, dieci mila miglia quadrate. Quante miglia quadrate di
terra che per innanzi non era coltivata, sono state, nel medesimo
periodo, cinte di siepi e lavorate dai proprietari, senza ricorrere
agli atti della legislatura, può solamente conghietturarsi. Ma pare
molto probabile che una quarta parte dell'Inghilterra, in poco più
di cento anni, di deserto, quale era, sia stata trasformata in
giardino.
Anche in que' luoghi dell'isola che alla fine del regno di Carlo II
erano i meglio coltivati, il modo di lavorare la terra, quantunque
si perfezionasse molto dopo la guerra civile, non era, quale oggidì
si chiamerebbe giudizioso. Finora l'autorità pubblica non ha fatto
nessun passo efficace per indagare qual sia veramente il prodotto
del suolo inglese. È quindi mestieri che lo storico segua, non senza
sospetto, quegli scrittori di statistica che godono sopra gli altri
fama di fedeli e diligenti. Oggimai si crede che un ricolto medio di
grano, segala, orzo, avena e fave, ecceda di molto trenta milioni di
sacca(103). Il ricolto del grano verrebbe reputato cattivo, se non
fosse maggiore di dodici milioni di sacca. Secondo i calcoli fatti
nel 1696 da Gregorio King, l'intera quantità di grano, segala, orzo,
avena e fave, che allora produceva annualmente il Regno, era qualche
cosa meno di dieci milioni di sacca. Egli stimava il grano, che
allora coltivavasi nei terreni più forti, e consumavasi soltanto
dagli uomini agiati, non fosse meno di due milioni di sacca. Carlo
Davenant, politico sottile e bene informato, quantunque affatto
privo di principii morali ed astioso, differiva da King rispetto ad
alcuni punti del calcolo, ma riusciva alle stesse conclusioni
generali(104).
Lo avvicendare delle seminagioni, era imperfettamente conosciuto.
Sapevasi, a dir vero, che alcuni vegetabili, di recente introdotti
nella nostra isola, in ispecie la rapa, apprestavano buon nutrimento
in tempo di verno alle pecore e ai buoi; ma non era anche uso di
nutrire in quel modo gli animali. Non era, dunque, facile serbarli
vivi nella stagione in cui l'erba scarseggia. Uccidevansi e
salavansi in gran numero appena incominciato il freddo; e per
parecchi mesi, nè anche i gentiluomini gustavano quasi mai cibo
animale fresco, tranne caccia e pesci di fiume, che, per
conseguenza, nelle provvisioni domestiche erano cose più importanti
che non sono ne' tempi presenti. Raccogliesi dal Libro di Famiglia
di Northumberland, come nel regno di Enrico VII, anche i
gentiluomini addetti ai servigi di un gran conte, non mangiassero
mai carne fresca, tranne per breve intervallo di tempo, da mezza
state al dì di San Michele. Ma nel corso di due secoli era seguito
un miglioramento; e, regnante Carlo II, non prima della fine di
novembre le famiglie facevano le loro provvisioni di carne salata,
che allora chiamavasi bove di San Martino(105).
Le pecore e i buoi di quel tempo erano piccoli in paragone di quelli
che adesso si vedono ne' nostri mercati(106). I nostri cavalli
indigeni, quantunque adatti ai servigi, erano tenuti in poca stima e
vendevansi a basso prezzo. Coloro che hanno meglio estimata la
ricchezza nazionale, credono che, su per giù, non valessero più di
cinquanta scellini ciascuno. Le razze forestiere venivano
grandemente preferite. I giannetti spagnuoli erano considerati come
i migliori cavalli di battaglia, ed importati fra noi per usi di
lusso e di guerra. I cocchi dell'aristocrazia venivano tirati da
cavalle fiamminghe, le quali, conforme credevasi, trattavano con
grazia particolare, e reggevano, meglio che le altre bestie
cresciute nell'isola nostra, alla fatica di trascinare un pesante
equipaggio sopra i ruvidi selciati di Londra. Nè i moderni cavalli
da carrozza, nè quelli da corsa conoscevansi a que' tempi. Assai
dopo, i progenitori de' giganteschi quadrupedi che tutti gli
stranieri annoverano fra le principali maraviglie di Londra, furono
importati dalle maremme di Walcheren, e i progenitori di Childers e
di Eclipse dalle sabbie dell'Arabia. Ciò non ostante, già esisteva
fra i nostri nobili e gentiluomini la passione delle corse. La
importanza di migliorare le nostre razze col mescolamento di nuovo
sangue, era fortemente sentita; ed a tale scopo, si fece venire nel
nostro paese un numero considerevole di barberi. Due uomini
altamente reputati in siffatte materie, voglio dire il Duca di
Newcastle e Sir Giovanni Fenwick, affermarono che il più spregevole
cavallo di Tangeri avrebbe prodotta una razza assai più bella, di
quel che si fosse potuto sperare dal migliore stallone delle nostre
razze natie. Non avrebbero agevolmente creduto che giungerebbe un
tempo in cui i principi e i nobili degli Stati vicini dovessero
ricercare i cavalli d'Inghilterra, come gl'Inglesi avevano ricercati
quelli di Barberia(107).
XII. Lo accrescimento de' prodotti vegetabili ed animali, benchè
fosse grande, sembra piccolo in paragone di quello della nostra
ricchezza minerale. Nel 1685, lo stagno di Cornwall, che due mila e
più anni innanzi aveva attirate le navi di Tiro oltre le Colonne di
Ercole, era tuttavia uno de' più valevoli prodotti sotterranei
dell'isola. La quantità che annualmente se ne estraeva dalla terra,
ascendeva, alcuni anni dopo, a mille e seicento tonnellate;
probabilmente circa il terzo di quanto oggidì se n'estrae(108). Ma
le vene di rame, che trovansi nella medesima regione, erano, a tempo
di Carlo II, onninamente neglette, nè alcun possidente di terra ne
teneva conto nell'estimo de' suoi poderi. Cornwall e Galles ora
rendono circa quindicimila tonnellate di rame l'anno, che valgono
pressochè un milione e mezzo di lire sterline; cioè quanto dire
circa il doppio del prodotto annuo di tutte le miniere inglesi, di
qualunque specie si fossero, nel secolo diciassettesimo(109). Il
primo strato di sale minerale era stato scoperto, non molto tempo
dopo la Restaurazione, in Cheshire; ma non pare che in quell'età vi
si lavorasse. Il sale che estraevasi dalle fosse marine, non era
molto stimato. Le caldaie in cui manifatturavasi, esalavano un puzzo
sulfureo; e lasciatosi affatto svaporare, la sostanza che ne
rimaneva, era appena adatta ad usarsi nei cibi. I medici ascrivevano
a cotesto malsano condimento le infermità scorbutiche e polmonari,
allora comuni fra gl'Inglesi. Di rado, quindi, ne facevano uso le
classi alte e le medie; ed il buon sale veniva trasportato
regolarmente, e in quantità considerevole, dalla Francia in
Inghilterra. Oggimai, le nostre sorgenti e miniere non solo bastano
ai nostri immensi bisogni, ma mandano annualmente ai paesi stranieri
più di settecento milioni di libbre di eccellente sale(110).
D'assai maggiore importanza è stato il miglioramento de' nostri
lavori di ferro. Tali lavori esistevano da lungo tempo nell'isola
nostra, ma non avevano prosperato, e non erano guardati di buon
occhio dal Governo e dal pubblico.
Non costumavasi allora di adoperare il carbone fossile per fondere i
minerali; e la rapida consumazione delle legna recava timore agli
uomini politici. Regnante Elisabetta, vi erano stati lamenti,
vedendosi intere foreste cadere sotto la scure per nutrimento delle
fornaci; ed il Parlamento aveva inibito ai manifattori di bruciare
legna. Le manifatture quindi languirono. Verso la fine del regno di
Carlo II, gran parte del ferro che adoperavasi nel paese, vi era
importato di fuori, e tutta la quantità che se ne faceva tra noi,
sembra che non eccedesse dieci mila tonnellate. Ai dì nostri il
traffico si reputa in pessima condizione se il prodotto annuo è
minore di un milione di tonnellate(111).
Rimane a ricordare un minerale forse più importante del ferro
stesso. Il carbon fossile, comecchè pochissimo usato in ogni specie
di manifattura, era già il combustibile ordinario in alcuni
distretti che avevano la ventura di possederne grandi strati, e
nella metropoli, alla quale poteva essere agevolmente trasportato
per mare. E' sembra ragionevole il credere, che almeno mezza la
quantità che allora se n'estraeva, consumavasi in Londra. Il consumo
di Londra agli scrittori di quell'età sembrava enorme, e spesso ne
facevano ricordo come prova della grandezza della città capitale.
Non isperavano quasi d'essere creduti, quando affermavano che
duecento ottanta mila caldroni(112), ovvero circa trecento cinquanta
mila tonnellate, nell'ultimo anno del regno di Carlo II, furono
trasportati al Tamigi. Adesso, la metropoli ne consuma a un di
presso tre milioni e mezzo l'anno; e l'intero prodotto annuo, non
può, computando moderatamente, estimarsi a meno di trenta milioni di
tonnellate(113).
XIII. Mentre cosiffatti grandi mutamenti progredivano, la rendita
della terra, come era da aspettarsi, veniva sempre crescendo. In
alcuni distretti si è moltiplicata fino al decuplo: in altri si è
solo raddoppiata: facendo un computo generale, potrebbe affermarsi
che si è quadruplicata.
Gran parte della rendita era divisa fra i gentiluomini di provincia,
che formavano una classe di persone, delle quali la posizione e il
carattere giova moltissimo chiaramente intendere; poichè la
influenza e le passioni loro, in diverse occasioni di grave momento,
decisero delle sorti della nazione.
Andremmo errati se c'immaginassimo gli scudieri del secolo
decimosettimo come uomini esattamente somiglievoli ai loro
discendenti; cioè i membri della Contea, e i presidenti delle
sessioni di quartiere, che ben conosciamo. Il moderno gentiluomo di
provincia, generalmente, viene educato alle liberali discipline; da
una scuola cospicua passa ad un cospicuo collegio, ed ha tutti i
mezzi di diventare un uomo dotto. Per lo più, ha fatto qualche
viaggio in paesi stranieri; ha passato una parte considerevole della
sua vita nella metropoli; e reca con sè in provincia i delicati
costumi di quella. Forse non è specie d'abitazione piacevole quanto
la casa rurale del gentiluomo inglese. Nei parchi e nei giardini, la
natura, abbellita e non deturpata dall'arte, si mostra nella sua
forma più seducente. Negli edifizi, il buon senso e l'ottimo gusto
si dànno la mano a produrre una felice armonia di comodi e di
grazia. Le pitture, i musicali strumenti, la biblioteca, verrebbero
in ogni altro paese considerati come prova che testifichi, il
padrone essere uomo eminentemente culto e compíto. Un gentiluomo di
provincia, all'epoca della Rivoluzione, aveva di entrata circa la
quarta parte di quella che le sue terre rendono adesso ai suoi
posteri. Paragonato ai quali, egli era dunque un uomo povero,
generalmente costretto a risiedere, salvo qualche interruzione di
tempo, nelle sue terre. Viaggiare sul continente, tener casa in
Londra, o anche visitarla spesso, erano piaceri che soli potevano
gustare i grandi proprietari. Potrebbe sicuramente affermarsi, che
degli scudieri, i cui nomi erano allora nelle Commissioni di Pace e
Luogotenenza, nè anche uno fra venti andava alla città una volta in
cinque anni, o aveva mai in vita sua viaggiato fino a Parigi. Molti
proprietari di signorie erano stati educati in modo poco diverso da
quello de' loro servitori. Lo erede di una terra, spesso passava la
fanciullezza e gioventù sua nella residenza della famiglia sotto
maestri non migliori de' mozzi di stalla e dei guarda-caccia, ed
appena imparava tanto da apporre la propria firma ad un mandato di
deposito. Se andava a scuola o in collegio, generalmente tornava,
prima di compiere il suo ventesimo anno, alla vecchia sala di
famiglia; dove, qualvolta la natura non gli fosse stata prodiga di
insigni doti, tosto fra i piaceri e le faccende della campagna,
dimenticava gli studi accademici. La precipua fra le sue occupazioni
serie era la cura de' propri beni. Esaminava mostre di grano,
governava maiali, e ne' dì di mercato patteggiava, col boccale
dinanzi, con mercanti di bestie e venditori di luppoli. I suoi
migliori piaceri consistevano comunemente nei diporti campestri, e
nei non delicati diletti sensuali. Il suo linguaggio e la sua
pronunzia erano tali, quali oggi troveremmo sulle labbra de' più
ignoranti contadini. I giuramenti, gli scherzi grossolani, i
vocaboli scurrili erano da lui profferiti coll'accento specifico del
dialetto della sua provincia. Era facile distinguere alle prime
parole, s'egli venisse dalla Contea di Sommerset, o da quella di
York. Davasi poco pensiero di ornare la propria abitazione; e
qualvolta tentava farlo, quasi sempre la rendeva più deforme. La
mondiglia della corte della fattoria giaceva accumulata sotto le
finestre della sua stanza da letto, e i cavoli e l'uva spina
crescevano da presso all'uscio della sua sala. Sopra la sua tavola
vedevasi una rozza abbondanza, e gli ospiti vi erano cordialmente
trattati. Ma, poichè il costume di bere eccessivamente era comune
nella classe alla quale egli apparteneva, e poichè i suoi averi non
gli concedevano d'inebriare ogni dì con vini di Bordeaux o delle
Canarie le numerose brigate, la bevanda ordinaria era birra
fortissima. La quantità che se ne consumava in quei giorni era
veramente enorme. Imperciocchè la birra per le classi medie e le
basse era in quel tempo non solo ciò che è per noi la birra, ma ciò
che sono il vino, il thè e i liquori spiritosi. Solo nelle grandi
case e nelle grandi occasioni i beveraggi stranieri ornavano i
banchetti. Le donne della famiglia, le quali comunemente badavano a
cucinare il pranzo, appena divorate le vivande, sparivano, lasciando
gli uomini al bicchiere ed alla pipa. Questi ruvidi sollazzi del
dopo desinare, spesso prolungavansi finchè i commensali cadevano
sonnolenti presso la mensa.
Rade volte avveniva che il gentiluomo di provincia vedesse il gran
mondo; e ciò che ei ne vedeva, tendeva più presto a confondere, che
a rischiarargli lo intendimento. Le sue opinioni intorno alla
religione, al Governo, agli Stati stranieri e ai tempi trapassati,
derivando non dallo studio, dall'osservare e dal conversare con
gente illuminata, ma dalle tradizioni correnti nel suo vicinato,
erano le opinioni d'un fanciullo. Nondimeno, appigliavasi ad esse
con la ostinazione che generalmente si osserva negli ignoranti
avvezzi a pascersi d'adulazione. I suoi rancori erano molti ed acri.
Odiava i Francesi e gl'Italiani, gli Scozzesi e gl'Irlandesi, i
Papisti e i Presbiteriani, gl'Indipendenti e i Battisti, i Quacqueri
e gli Ebrei. Per la città e gli abitatori di Londra sentiva
avversione tale, che più d'una volta produsse gravissime conseguenze
politiche. La moglie e le figliuole, per gusti e cognizioni, erano
inferiori ad una cameriera o guardaroba de' giorni nostri. Cucivano
e filavano, facevano il vino d'uva spina, curavano i fiorranci, e
facevano la crosta da servire al pasticcio di selvaggina.
Da questa descrizione potrebbe dedursi, che lo scudiero inglese del
decimosettimo secolo non differisse grandemente da un mugnaio o da
un birraio del decimonono. Sono, nondimeno, da notarsi alcune parti
importanti del suo carattere, le quali modificheranno molto cotesta
opinione. Illetterato come egli era e privo di modi gentili, era
tuttavia per molti riguardi un gentiluomo. Era parte d'una altera e
potente aristocrazia, ed aveva molte delle buone e delle pessime
qualità che appartengono agli aristocratici. Il suo orgoglio di
famiglia era maggiore di quello d'un Talbot o d'un Howard. Conosceva
le genealogie e i blasoni di tutti i suoi vicini, e poteva ridire
quale di loro avesse assunto segni gentilizi senza alcun diritto, e
quale avesse la sciagura di essere il pronipote di aldermanni. Era
magistrato, e come tale amministrava gratuitamente ai suoi vicini
una rozza giustizia patriarcale, che, malgrado gl'innumerevoli
sbagli e gli atti tirannici che di quando in quando ei commetteva,
era tuttavia meglio che non esservene affatto. Era ufficiale delle
milizie civiche; e la sua dignità militare, quantunque potesse
muovere a riso i valorosi che avevano militato nella guerra delle
Fiandre, rendeva venerabile il suo carattere agli occhi propri ed a
quelli del suo vicinato. Nè, certamente, la sua professione di
soldato poteva essere obietto di giusto scherno. In ogni Contea
erano gentiluomini d'età matura, che avevano veduta una disciplina
la quale era tutt'altro che trastullo da ragazzi. Questi era stato
fatto cavaliere da Carlo I dopo la battaglia di Edgehill.
Quell'altro portava ancora la cicatrice della ferita che aveva
ricevuta in Naseby. Un terzo aveva difesa la sua vecchia abitazione,
finchè Fairfax ne aveva sfondata la porta con una bomba. La presenza
di questi vecchi Cavalieri, con le loro vecchie spade e casse di
pistola, e con le loro vecchie novelle di Goring e Lunsford, davano
alle riviste de' militi un aspetto guerresco, che non avrebbero
altrimenti avuto. Anche quei gentiluomini di provincia che erano sì
giovani da non aver potuto pugnare coi corazzieri del Parlamento,
erano stati, fino dalla infanzia loro, circuiti dei segni di fresca
guerra, e nutriti di storielle intorno alle gesta militari dei loro
padri e zii. Così il carattere dello scudiere inglese del secolo
decimosettimo, era composto di due elementi, che non siamo avvezzi a
vedere insieme congiunti. La ignoranza e ruvidità sue, i suoi gusti
bassi, le sue frasi triviali, verrebbero, ai tempi nostri,
considerati come indizi d'una natura e educazione al tutto plebee.
Nulladimeno, egli era essenzialmente patrizio, ed aveva, in larga
misura, le virtù e i vizi propri degli uomini, per diritto di
nascita, posti in alto, ed avvezzi a comandare, ad essere
rispettati, e a rispettare sè stessi. Non è agevole per una
generazione assuefatta a trovare sentimenti cavallereschi solo in
compagnia degli studi liberali e dei modi gentili, lo immaginare un
uomo con il contegno, il frasario e lo accento di un vetturino, e
nondimeno puntiglioso in materia di genealogia e di precedenza, e
pronto a rischiare la propria vita piuttosto che vedere una macchia
sopra l'onore della propria casa. Non pertanto, solo col congiungere
cose che di rado o non mai abbiamo da noi sperimentato, possiamo
formarci una giusta idea di quella rustica aristocrazia, la quale
costituiva la forza precipua dello esercito di Carlo I, e lungamente
sostenne, con istrana fedeltà, gl'interessi dei discendenti di lui.
Il gentiluomo di provincia, rozzo, ineducato, non uscito mai fuori
della sua patria, era comunemente Tory; ma comecchè devotamente
aderisse alla Monarchia, non amava i cortigiani e i ministri.
Pensava, non senza ragione, che Whitehall rigurgitasse dei più
corrotti uomini del mondo; che le grandi somme di danaro che la
Camera de' Comuni aveva concesse alla Corona dopo la Restaurazione,
in parte erano state rubate da astuti politici, in parte profuse in
buffoni e bagasce forestiere. Il suo robusto cuore d'Inglese fremeva
di sdegno pensando che il governo della propria patria dovesse
essere sottoposto alla dittatura della Francia. Essendo egli stesso
vecchio Cavaliere o figlio di un vecchio Cavaliere, meditava,
amareggiato nell'animo, sopra la ingratitudine con cui gli Stuardi
avevano rimeritati i loro migliori amici. Coloro che lo udivano
mormorare per lo spregio ond'egli era trattato, e per lo scialacquo
con che le ricchezze profondevansi sopra i bastardi di Norma Gwynn e
di Madama Carwell, lo avrebbero supposto paratissimo a ribellare. Ma
tutto cotesto cattivo umore durava solo finchè il trono non
trovavasi davvero in pericolo. Appunto quando coloro che il sovrano
aveva colmati di ricchezze e di onori gli si scostavano dal fianco,
i gentiluomini di provincia, così franchi e tumultuosi in tempi di
prosperità, gli si affollavano devoti d'intorno. Così, dopo d'avere
per venti anni brontolato del malgoverno di Carlo II, vedendolo agli
estremi, corsero a lui per liberarlo, allorquando i suoi stessi
Segretari di Stato e Lordi del Tesoro lo avevano abbandonato, e
fecero sì ch'egli potesse trionfare pienamente della opposizione: nè
è da dubitarsi che avrebbero mostrata ugual fedeltà a Giacomo
fratello del Re, se Giacomo, anche nell'ultimo istante, si fosse
astenuto dal calpestare i loro più forti sentimenti. Imperocchè
eravi una istituzione soltanto ch'essi pregiavano assai più della
Monarchia ereditaria, cioè la Chiesa d'Inghilterra. Lo amore che le
portavano, non era veramente effetto di studio o di meditazione.
Pochi tra loro avrebbero potuto addurre ragioni tratte dalla
Scrittura o dalla Storia Ecclesiastica, per aderire alle dottrine,
al rituale, all'ordinamento della loro Chiesa; nè erano, come
classe, rigorosi osservatori di quel codice di morale, comune a
tutte le sètte cristiane. Se non che, la esperienza di molti secoli
insegna, come gli uomini siano pronti a combattere a morte e
perseguitare senza misericordia i loro fratelli, onde difendere una
religione della quale non intendono le dottrine, e violano
costantemente i precetti(114).
XIV. Il clero rurale era anche Tory più virulento de' gentiluomini
delle campagne, e formava una classe appena meno di quelli
importante. È nondimeno da notarsi, che il prete, come individuo,
paragonato al gentiluomo individuo, allora veniva considerato
inferiore per grado, di quello che sia ai nostri tempi. La Chiesa
sostenevasi principalmente con le decime; i proventi delle quali
erano, verso la rendita, in molto minore proporzione che non sono
oggi. King estimava la intera rendita del clero parrocchiale e
collegiale soltanto a quattrocento ottanta mila lire sterline
l'anno; Davenant a cinquecento quarantaquattro mila. Adesso avanza
di sette volte la maggiore di queste due somme. La rendita media de'
terreni, secondo qualsivoglia estimo, non ha avuto un augumento
proporzionato a quello. E però era mestieri che i rettori e i
curati, in paragone de' cavalieri e scudieri loro vicini, fossero
più poveri sette volte più di quello che sono nel decimonono secolo.
Il posto degli ecclesiastici nella società, è stato pienamente
cangiato dalla Riforma. Innanzi quell'epoca, essi formavano la
maggioranza nella Camera dei Lordi, uguagliavano e talvolta
sorpassavano per ricchezza e splendore i più grandi baroni secolari,
e, generalmente, occupavano i più alti uffici civili. Il Lord
Tesoriere spesso era un Vescovo. Il Lord Cancelliere quasi sempre
era tale. Il Lord Guarda-sigilli, e il Maestro de' Rotoli ovvero
degli Atti, d'ordinario erano uomini di chiesa.
Gli ecclesiastici trattavano i più importanti affari diplomatici. E
veramente, tutti i numerosi rami dell'amministrazione che i Nobili
rozzi e guerrieri erano disadatti a condurre, consideravansi come
pertinenti in ispecial modo ai teologi. Coloro, quindi, che
abborrivano dalla vita militare, o nel tempo stesso ambivano
d'inalzarsi nello Stato, ordinariamente ricevevano la tonsura. Fra
essi v'erano i figli delle famiglie più illustri, e prossimi parenti
della Casa Reale; gli Scroop e i Neville, i Bourchier, gli Stafford
e i Pole. Alle case religiose appartenevano le rendite di vastissime
possessioni, e tutta la gran parte delle decime che oggi è nelle
mani dei laici. Fino alla metà del regno di Enrico VIII, perciò,
nessuno stato nella vita offriva agli uomini d'indole cupida ed
ambiziosa uno aspetto così seducente come il presbiterato.
Sopraggiunse poscia una violenta rivoluzione. L'abolizione de'
monasteri privò a un tratto la Chiesa di gran parte della sua
opulenza, e del suo predominio nella Camera Alta del Parlamento. Un
Abate di Glastonbury o un Abate di Reading, più non si vedevano
assisi fra mezzo ai Pari, o padroni di rendite uguali a quelle d'un
ricco Conte. Il principesco splendore di Guglielmo di Wykeham, e di
Guglielmo di Waynflete, era sparito. Il rosso cappello cardinalizio,
la croce bianca del legato apostolico, non erano più. Il clero avea
anco perduta la influenza che è naturale rimunerazione della
superiorità nella cultura intellettuale. Un tempo, se un uomo sapeva
leggere, dicevasi ch'egli aveva preso gli ordini ecclesiastici. Ma
in una età che aveva uomini come Guglielmo Cecil e Niccola Bacone,
Ruggiero Ascham e Tommaso Smith, Gualtiero Mildmay e Francesco
Walsingham, non v'era ragione per chiamare dalle diocesi loro i
prelati onde negoziare trattati, soprintendere alle finanze, o
amministrare la giustizia. Il carattere spirituale non solamente
cessò d'essere una qualificazione per occupare gli alti uffici
civili, ma cominciò ad essere considerato come argomento
d'inettitudine. Per la qual cosa, quei motivi mondani che per
innanzi avevano indotto cotanti egregi, ambiziosi e ben nati giovani
ad indossare l'abito ecclesiastico, cessarono di agire. A quei
tempi, nè anche una fra duecento parrocchie apprestava emolumenti
tali, da potersi considerare come mantenimento d'un individuo di
buona famiglia. Vi erano premi nella Chiesa, ma erano pochi; e anche
i maggiori erano bassi, in paragone della gloria di che un tempo
andavano circondati i principi della gerarchia. La condizione di
Parker e Grindal sembrava quella di un mendicante a coloro che
rammentavansi della pompa imperiale di Wolsley; dei suoi palazzi,
che erano diventati abitazioni predilette del principe, cioè
Whitehall e Hampton Court; delle tre ricche mense che giornalmente
erano apparecchiate nel suo refettorio; delle quarantaquattro
sontuose pianete della sua cappella; dei suoi staffieri coperti di
splendide livree, e delle sue guardie del corpo armate di scuri
dorate. Così l'ufficio sacerdotale perdè ogni attrattiva agli occhi
delle alte classi. Nel secolo che seguì l'ascensione di Elisabetta
al trono, quasi nessun uomo di nobile lignaggio entrò negli ordini
sacri. Alla fine del regno di Carlo II, due figli di Pari erano
vescovi; quattro o cinque figli di Pari erano preti, e tenevano
dignità proficue: ma queste rare eccezioni non toglievano il
rimprovero che facevasi al ceto ecclesiastico. Il clero veniva
considerato, nel suo insieme, come classe plebea. E veramente, uno
tra dieci ecclesiastici, che erano preti serventi manuali, faceva la
figura di gentiluomo. Moltissimi di coloro che non avevano
beneficii, o gli avevano sì piccoli da non apprestare i comodi della
vita, vivevano nelle case dei laici. Era da lungo tempo manifesto,
che tale costumanza tendeva a degradare il carattere sacerdotale.
Laud erasi sforzato a porvi rimedio; e Carlo I aveva ripetutamente
emanati ordini positivi, perchè nessuno, tranne gli uomini di alto
grado, presumesse di tenere cappellani domestici(115). Ma tali
ordini erano caduti in disuso. A vero dire, mentre dominavano i
Puritani, molti de' reietti ministri della Chiesa Anglicana poterono
ottenere pane e ricovero solo impiegandosi nelle famiglie de'
gentiluomini realisti; e le abitudini formatesi in que' torbidi
tempi, seguitarono lungamente dopo il ristabilimento della Monarchia
e dell'Episcopato. Nelle case degli uomini di sentimenti liberali e
di culto intelletto, il cappellano era, senza alcun dubbio, trattato
con urbanità e cortesia. La conversazione, i servigi letterari, i
consigli spirituali di lui, erano considerati come ampia ricompensa
per l'alimento, lo alloggio e lo stipendio che riceveva. Ma non così
generalmente operavano i gentiluomini di provincia. Il rozzo ed
ignorante scudiero il quale reputava convenire alla dignità sua che
un ecclesiastico alla sua mensa, vestito degli abiti sacerdotali,
recitasse il rendimento di grazie, trovava il mezzo di conciliare la
dignità con la economia. Un giovine Levita - era questa la frase che
usavasi - si sarebbe potuto avere per il cibo, una stanzaccia e
dieci lire sterline l'anno; e non solamente avrebbe potuto compiere
le funzioni sacerdotali, essere un pazientissimo uditore, e sempre
pronto a giuocare nel buon tempo alle bocce, e nel piovoso alla
morella; ma avrebbe anche potuto far risparmiare la spesa di un
giardiniere, o d'un mozzo di stalla. Ora il reverendo legava gli
albicocchi, ed ora strigliava i cavalli. Rivedeva i conti del
maniscalco; correva dieci miglia a recare un'ambasciata o un
fagotto. Gli era concesso di desinare in compagnia della famiglia;
ma doveva contentarsi del pasto più umile. Poteva riempirsi il
ventre di bove salato e carote: ma appena comparse in tavola le
torte e i manicaretti di panna, alzavasi, e tenevasi da parte finchè
venisse chiamato a recitare il rendimento di grazie per il desinare,
al quale in gran parte ei non aveva partecipato(116).
Forse, dopo alcuni anni di servizio, gli veniva concesso un
beneficio da bastargli per vivere; ma spesso gli era mestieri
comprarlo con una specie di simonia, che apprestò agl'irrisori
inesausta materia di scherzo per tre o quattro generazioni. Alla
concessione della cura era connesso l'obbligo di prender moglie. La
moglie, comunemente, era stata al servizio del patrono; ed era
fortuna se essa non veniva sospettata di godere i favori di lui.
Certo, la natura dei matrimoni che gli ecclesiastici di quella età
avevano costume di fare, è il più sicuro indizio del posto che
l'ordine sacerdotale occupava nel sistema sociale. Un uomo di
Oxford, che scriveva pochi mesi dopo la morte di Carlo II,
querelavasi amaramente, non solo perchè il procuratore e il
farmacista di provincia trattavano con dispregio lo ecclesiastico di
provincia, ma perchè una delle lezioni inculcate con più studio alle
fanciulle di famiglie onorevoli, era di non corrispondere ad un
amante vincolato dagli ordini sacri; e che, ove qualche donzella
avesse posto in oblio tale precetto, rimaneva quasi egualmente
disonorata, che se si fosse resa colpevole d'illeciti amori(117).
Clarendon, che certamente non odiava la Chiesa, rammenta, come segno
della confusione delle classi prodotta dalla grande ribellione, che
alcune damigelle di famiglie nobili si erano sposate ad
ecclesiastici(118). Una fantesca era generalmente considerata come
la più convenevole compagna di un parroco. La Regina Elisabetta,
come Capo della Chiesa, aveva data una certa sanzione formale a
cotesto pregiudizio, emanando ordini speciali affinchè nessun
chierico presumesse di sposare una fantesca senza il consenso del
padrone o della padrona(119). Per parecchie generazioni, quindi, la
relazione tra i preti e le serve fu subietto d'infiniti scherzi; nè
sarebbe facile trovare nelle commedie del secolo decimo settimo un
solo esempio di un ecclesiastico che giungesse a sposare una donna
di condizione superiore a quella d'una cuoca(120). Anche al tempo di
Giorgio II, il più acuto di tutti gli osservatori della vita e dei
costumi umani, ecclesiastico anch'egli, notò che nelle grandi
famiglie il cappellano era il rifugio d'una cameriera, la quale,
macchiato l'onore, avesse perduta ogni speranza di sedurre il
maestro di casa(121).
Generalmente, lo ecclesiastico che lasciava l'ufficio di cappellano
per avere un beneficio ed una moglie, trovavasi uscito d'una
molestia per entrare in un'altra. Non una in cinquanta prebende,
poneva il sacerdote in condizione di sostenere coi debiti comodi la
propria famiglia. Come i figliuoli crescevano di numero e d'età, la
economia di lui facevasi più misera. L'unica sottana che lo copriva
era piena di buchi, nel tempo stesso che il tetto del presbiterio
andava in ruina. Spesso il suo solo mezzo di procacciarsi il pane
quotidiano, era quello di sudare lavorando il podere della
parrocchia, nutrendo maiali e vendendo concio; nè sempre i suoi
estremi sforzi valevano a impedire che gli esecutori della giustizia
gli portassero via il libro delle Concordanze della Scrittura e il
calamaio. Era per lui giorno di letizia quello in cui veniva ammesso
alla cucina di qualche grande famiglia, dove i servi gli donavano
vivande fredde e birra. Educava i propri figliuoli come quelli del
vicino contadiname; i maschi traevansi dietro all'aratro, e le
femmine andavano a servire fuori di casa. Gli riusciva impossibile
studiare; perocchè il prezzo del suo beneficio sarebbe stato appena
bastevole allo acquisto d'una buona biblioteca teologica; e si
sarebbe potuto estimare oltremodo avventurato, se ne' suoi scaffali
avesse avuti dieci o dodici malandati volumi. In cosiffatte
domestiche strettezze, il più vivo e robusto intelletto si sarebbe
logorato.
Certamente, a quei tempi nella Chiesa Anglicana non v'era difetto di
ministri insigni per abilità e dottrina. Ma è da osservarsi che ei
non trovavansi fra mezzo alla popolazione rurale. Erano, altresì,
insieme raccolti in pochi luoghi dove abbondavano i mezzi
d'istruirsi, e dove le occasioni alle vigorose esercitazioni
intellettuali erano frequenti(122). Quivi potevano trovarsi gli
ecclesiastici forniti di egregie doti, di eloquenza, di vasto sapere
nelle lettere, nelle scienze e negli usi della vita, onde attirare a
sè l'attenzione delle congregazioni frivole e mondane, guidare le
deliberazioni dei senati, e rendere la religione rispettabile anche
nella Corte più dissoluta.
Taluni affaticavansi a scandagliare gli abissi della metafisica
teologica; altri erano profondamente versati nella critica degli
studi biblici; e altri gettavano luce sopra i luoghi più oscuri
della storia ecclesiastica. Questi mostravansi maestri consumati
nella logica; quelli coltivavano la rettorica con tale assiduità e
prospero successo, che i loro discorsi si pregiano meritamente come
esempi di bello stile. Cotesti uomini eminenti trovavansi, senza
quasi nessuna eccezione, nelle Università e nelle grandi Cattedrali,
o nella Metropoli. Barrow era di poco morto in Cambridge; Pearson
gli era succeduto al seggio episcopale. Cudworth ed Enrico More vi
stavano tuttavia. South e Pococke, Jane e Aldrich erano in Oxford.
Prideaux stava presso Norwich, e Whitby presso Salisbury. Ma
principalmente il clero di Londra, del quale parlavasi sempre come
d'una classe particolare, era quello che manteneva alla propria
professione la fama di dottrina e d'eloquenza. I principali pergami
della metropoli erano occupati, verso quel tempo, da una schiera
d'uomini insigni, fra mezzo ai quali sceglievansi in gran parte i
prelati che governavano la chiesa. Sherlock predicava nel Tempio,
Tillotson a Lincoln's Inn, Wake e Geremia Collier in Gray's Inn,
Burnet nel Rolls, Stillingfleet nella Cattedrale di San Paolo,
Patrick in San Paolo a Covent Garden, Fowler in San Gilles a
Cripplegate, Sharp in San Gilles-in-the-Fields, Tenison in San
Martino, Sprat in Santa Margherita, Beveridge in San Pietro a
Cornhill. Di questi dodici oratori, tutti notabilissimi nella storia
ecclesiastica, dieci diventarono vescovi, e quattro arcivescovi.
Frattanto, quasi le sole opere teologiche importanti che uscissero
da un presbiterio rurale, furono quelle di Giorgio Bull, che poscia
fu vescovo di San David; e Bull non le avrebbe mai potute scrivere
se non avesse ereditato una terra, con la vendita della quale potè
raccogliere una biblioteca, quale nessun altro ecclesiastico di
provincia possedeva(123).]
Così il clero anglicano era partito in due sezioni, le quali per
istruzione, costumi e condizioni sociali, grandemente fra loro
differivano. L'una, educata per le città e le corti, comprendeva
uomini forniti di dottrina antica e moderna; uomini adatti a
combattere Hobbes o Bossuet con tutte le armi della controversia;
uomini che ne' sermoni sapevano esporre la maestà e bellezza del
cristianesimo con tale giustezza di pensiero e vigoria di parola,
che l'indolente Carlo destavasi per ascoltare, e il fastidioso
Buckingham dimenticavasi di schernire; uomini che per destrezza,
cortesia e conoscenza di mondo, erano reputati degni di governare le
coscienze de' ricchi e dei nobili; uomini coi quali Halifax amava
discutere intorno agli interessi degli Stati, e dei quali Dryden non
arrossiva di confessare che gli erano stati maestri nell'arte di
scrivere(124). L'altra sezione era destinata a servigi più rozzi ed
umili. Era dispersa per tutta la provincia, e composta d'individui
nè più ricchi nè molto più culti dei piccoli coloni e dei servitori.
Nulladimeno, in cotesti ecclesiastici rurali, i quali traevano una
scarsa sussistenza dalle loro decime sul grano e sui maiali, e non
avevano la minima probabilità di pervenire agli alti onori della
propria professione, lo spirito della professione era più forte. Fra
mezzo a quei teologi che erano l'orgoglio dell'università e il
diletto della capitale, e che erano giunti o potevano
ragionevolmente sperare di giungere a conseguire opulenza e grado
signorile, un partito rispettabile per numero e più rispettabile per
carattere, pendeva verso i principii del governo costituzionale;
viveva in relazioni amichevoli coi Presbiteriani, con
gl'Indipendenti e i Battisti; avrebbe con gioia veduto concedere
piena tolleranza a tutte le sètte protestanti, e consentito a
modificare la liturgia, a fine di conciliare i non-conformisti
onesti e sinceri. Ma da tanta libertà di pensiero abborriva il
parroco di campagna. In verità, egli andava altero della sua
cenciosa sottana, più che i suoi superiori delle loro bianche tele e
de' cappucci scarlatti. La convinzione di essere assai piccolo nelle
condizioni mondane, in guisa da non potersi elevare al di sopra
degli abitanti del villaggio a' quali predicava, gli dava una idea
oltremodo grande della dignità del ministero sacerdotale, sola
cagione della riverenza in cui era tenuto. Essendo vissuto lontano
dal mondo, ed avendo avuta poca occasione di correggere le proprie
opinioni leggendo o conversando, serbava e insegnava le dottrine
dell'indestruttibile diritto ereditario, della obbedienza passiva, e
della non resistenza in tutta la nuda assurdità loro. Avendo
lungamente combattuto contro i dissenzienti del vicinato, spesso gli
odiava a cagione de' torti ch'egli aveva loro fatti, e non trovava
altro fallo nelle odiate leggi, dette Five Mile Act e Conventicle
Act(125), se non in ciò che non erano bastevolmente severe. Sopra il
solo partito Tory, esercitava tutta la influenza - ed era
grandissima - che ei derivava dal proprio ministero. Sarebbe grave
errore lo immaginare che il potere del clero fosse minore di quello
che sia ai dì nostri, perchè il rettore di provincia non veniva
considerato come gentiluomo, perchè non gli era dato aspirare alla
mano delle signore della famiglia del possidente, perchè non veniva
invitato alle sale dei grandi, ma lasciavasi bere e fumare la pipa
coi servitori e coi credenzieri. La influenza d'una classe non è in
modo alcuno proporzionata alla stima in che i membri di quella sono
tenuti come individui. Un cardinale è personaggio più elevato che
non è un frate mendicante; ma sarebbe grave errore supporre che il
collegio de' cardinali abbia influito sul pubblico sentire
dell'Europa più che l'ordine di San Francesco. In Irlanda, oggimai,
la posizione sociale di un Pari è più eminente di quella d'un prete
cattolico: nondimeno, in Munster e Connaught, poche sono le Contee
dove una lega di preti in una elezione non trionferebbe contra una
lega di Pari. Nel secolo decimo settimo, il pulpito era, per gran
parte della popolazione, ciò che adesso è la stampa periodica. Quasi
nessuno dei villani che andavano alla chiesa parrocchiale, vedeva
mai una gazzetta o un libretto politico. Per quanto poco istruito
potesse essere il loro pastore, pure aveva maggiore istruzione di
loro: aveva ogni settimana occasione di arringare innanzi ad essi,
senza che nessuno alzasse la voce a rispondere. In ogni grave
circostanza, da molte migliaia di pulpiti ad un sol tempo,
risuonavano invettive contro i Whig, ed esortazioni ad obbedire
all'unto del Signore; e lo effetto ne era veramente formidabile. Di
tutte le cagioni, le quali, dopo sciolto il Parlamento di Oxford,
produssero la violenta reazione contro gli Esclusionisti, la più
possente sembra essere stata la eloquenza del clero di provincia.
XV. Il potere che i gentiluomini e il clero di provincia
esercitavano nei distretti rurali, veniva alquanto controbilanciato
dal potere dei piccoli possidenti, genía dotata d'animo schietto e
robusto. I piccoli possidenti, che coltivavano i propri campi con le
mani proprie, e fruivano d'una modesta competenza senza pretese di
blasoni o ambizione di sedere in una corte di giustizia, formavano,
allora più che adesso, una parte assai più importante della nazione.
Se possiamo fidarci de' migliori scrittori di statistica di que'
tempi, circa cento sessanta mila proprietari, i quali insieme con le
loro famiglie dovevano sommare a più d'un settimo della intiera
popolazione, traevano la sussistenza dalle loro piccole possessioni
libere. La entrata media di cotesti possidenti, composta di rendita,
d'utili e di salari, estimavasi ad una somma fra sessanta e settanta
lire sterline l'anno. Calcolavasi che il numero degli individui che
zappavano da sè le proprie terre, era maggiore del numero di coloro
i quali prendevano in affitto i terreni altrui(126). Gran parte dei
piccoli possidenti, fino dal tempo della Riforma, aveva aderito al
Puritanismo; aveva nelle guerre civili parteggiato a favore del
Parlamento; dopo la Ristaurazione, persistito ad ascoltare i
predicatori Presbiteriani e Indipendenti; nelle elezioni sostenuto
valorosamente gli Esclusionisti; ed anche dopo scoperta la congiura
di Rye House e proscritti i capi de' Whig, aveva seguitato a
considerare il papismo e il potere arbitrario con animo
inesorabilmente ostile.
XVI. Per quanto grande sia stato il cangiamento nella vita rurale
d'Inghilterra dopo la Rivoluzione, quello delle città è anche più
meraviglioso. Ai dì nostri, una sesta parte della nazione è
affollata in città provinciali, di trenta e più mila abitanti. Nel
regno di Carlo II, non era nel reame città provinciale che
contenesse trentamila anime; e solo quattro ne contavano dieci mila.
Dopo la metropoli, ma ad un'immensa distanza, venivano Bristol, che
a quei dì era il principale porto; e Norwich, che allora
consideravansi come la precipua città manifatturiera
dell'Inghilterra. Ambedue sono state poi vinte da altre città rivali
più giovani: nulladimeno, entrambe hanno fatto considerevoli
progressi. La popolazione di Bristol si è quadruplicata; quella di
Norwich si è accresciuta più del doppio.
Pepys, il quale visitò Bristol otto anni dopo la Ristaurazione,
rimase attonito allo splendore della città. Ma il suo termine di
paragone non era alto; poichè egli registrò come una maraviglia il
fatto, che in Bristol un uomo poteva guardare all'intorno e non
vedere altro che case. E' sembra che in nessun altro luogo che egli
conoscesse, tranne in Londra, gli edificii fossero fuori dai boschi
e da' campi. Per quanto Bristol potesse sembrare vasta, non occupava
se non piccola parte del suolo sopra il quale adesso sorge. Poche
chiese di squisita bellezza elevavansi fra mezzo a un laberinto di
anguste vie, sorgenti sopra volte non molto solide. Se un cocchio o
una carretta entrava in que' viali, correva pericolo di rimanere
fitta fra le case, o di rompersi nelle cantine; e però la roba
veniva trasportata per la città sopra barroccini tirati da cani; e i
più ricchi abitanti facevano mostra della propria opulenza non nel
farsi trascinare assisi in cocchi dorati, ma nel passeggiare per le
vie con un corteo di servi coperti di splendide livree, e nella
profusione delle mense. La pompa dei battesimi e de' funerali
vinceva di molto ciò che di simile si potesse vedere in ogni altra
parte dell'isola. La città era in grandissima rinomanza
d'ospitalità, in ispecie per le colazioni che i raffinatori di
zucchero offrivano a coloro che recavansi a visitarli. Il desinare
apparecchiavasi nella fornace, e veniva accompagnato da una ricca
bevanda composta del miglior vino di Spagna, conosciuta in tutto il
Regno col nome di latte di Bristol. Cosiffatto lusso sostenevano per
mezzo di un proficuo commercio con le piantagioni dell'America
Settentrionale e le Indie Occidentali. Era sì forte la passione pei
traffici con le colonie, che appena eravi in Bristol un solo piccolo
bottegaio che non avesse parte sul carico di qualche nave la quale
si recasse alla Virginia o alle Antille. Questo genere di commercio,
a dir vero, talvolta non era onorevole. Nelle transatlantiche
provincie della Corona, v'erano grandi richieste di lavoratori; alle
quali richieste provvedevasi, in parte, con un sistema di reclutare
e rapire individui nei principali porti dell'Inghilterra: sistema
che in nessun altro luogo era così attivo ed esteso come in Bristol.
Anche i primi magistrati di quella città, non vergognavano di
arricchirsi con un tanto odioso commercio. Dalle liste dell'imposta
sui fuochi, si deduce che nell'anno 1685, il numero delle case fosse
cinque mila trecento. Non possiamo supporre che il numero degli
individui d'una casa fosse maggiore di quelli d'una famiglia della
città di Londra; e le migliori autorità sopra questo subietto
c'insegnano che in Londra erano cinquantacinque persone per ogni
dieci case. È mestieri, quindi, che la popolazione di Bristol fosse
di ventinovemila anime(127).
XVII. Norwich era capitale d'una grande e fertile provincia,
residenza d'un vescovo e d'un capitolo, e sede principale della
principale manifattura del Regno. Alcuni uomini insigni per dottrina
vi avevano di recente abitato; e in tutto il reame non v'era luogo,
tranne la metropoli e le università, che attirasse maggiormente i
curiosi. La biblioteca, il museo, l'uccelliera e il giardino
botanico di sir Tommaso Browne, venivano stimati dai colleghi della
Società Reale come cose ben meritevoli d'un lungo pellegrinaggio.
Norwich aveva anche una Corte in miniatura. Nel mezzo della città
sorgeva un vetusto palazzo dei Duchi di Norfolk, che reputavasi la
più vasta casa cittadina del Regno, fuori di Londra. In cotesta
magione, cui erano annessi locali per la pallacorda, un
pallottolaio, ed un ampio prato che si distendeva lungo le rive del
Wansum, la nobile famiglia di Howard faceva lunga dimora, e teneva
una corte somiglievole a quella d'un principotto. Agli ospiti davasi
da bere in vasi di oro puro. Le stesse molle e le palette erano
d'argento; le pareti adorne di pitture d'artisti italiani; i
gabinetti pieni d'una eletta collezione di gemme comperate da quel
Conte d'Arundel, i marmi del quale oggidì si ritrovano fra gli
ornamenti di Oxford. Ivi, nell'anno 1671, Carlo con tutta la sua
Corte venne sontuosamente ricevuto. Ivi ogni veniente era bene
accolto dal Natale alla Epifania. La birra correva a fiumi per la
moltitudine. Tre cocchi, uno de' quali era costato cinquecento lire
sterline e conteneva quattordici persone, erano ogni pomeriggio
mandati attorno per la città, onde condurre le dame alle feste; e ai
balli spesso seguiva un magnifico banchetto. Quando il Duca di
Norfolk andava a Norwich, veniva salutato come un re che tornasse
alla sua capitale. Le campane del duomo e di San Pietro Mancroft
suonavano; tuonavano le artiglierie del castello; e il gonfaloniere
e gli aldermanni presentavano al loro illustre concittadino
indirizzi a complirlo. Nell'anno 1693, enumeratasi la popolazione di
Norwich, trovossi ascendere a ventotto o ventinove mila anime(128).
Assai al di sotto di Norwich, ma considerevoli per dignità ed
importanza, stavano alcune altre antiche capitali di Contee. In
quell'età, rade volte seguiva che un gentiluomo di provincia andasse
con tutta la propria famiglia a Londra. Sua metropoli era la città
della Contea. Ei talvolta vi abitava parecchi mesi dell'anno. In
ogni modo, vi si recava chiamato dalle faccende o dai piaceri, dalle
sessioni trimestrali, dalle elezioni, dalle riviste della guardia
civica, dalle feste, dalle corse. Ivi erano le sale dove i giudici,
vestiti di scarlatto, e preceduti dai giavellotti e trombetti,
aprivano due volte l'anno la Commissione del Re. Ivi erano i
mercati, dove esponevansi in vendita il grano, il bestiame, la lana
e i luppoli del paese circostante. Ivi erano le grandi fiere, alle
quali accorrevano i mercatanti da Londra, e dove il trafficante
rurale faceva le annue provviste di zucchero, di carta, di coltelli,
di mussolini. Ivi erano le botteghe, nelle quali le migliori
famiglie de' luoghi circonvicini comperavano le droghe e gli
ornamenti di moda. Taluni di cotesti luoghi erano illustri per le
interessanti storiche reminiscenze, per le cattedrali ornate di
tutta l'arte e magnificenza del medio evo, pei palagi abitati da una
lunga serie di prelati, pei ricinti circondati dalle venerabili case
de' decani e de' canonici, e pei castelli che nei tempi andati
avevano respinti i Nevilles o i De Veres, e nei quali rimanevano
impressi i più recenti vestigi della vendetta di Rupert o di
Cromwell.
XVIII. Cospicue, fra le più notevoli città, erano York, capitale del
norte; e Exeter, capitale dell'occidente. Nessuna di esse contava
più di dieci mila abitanti. Worcester, chiamata la regina della
terra del sidro, ne aveva circa otto mila; e forse altrettante
Nottingham. Gloucester, rinomata per la ostinata difesa cotanto
fatale a Carlo I, ne aveva certamente da quattro in cinque mila;
Derby appena quattro mila. Shrewsbury era capo-luogo d'un esteso e
fertile distretto. In essa tenevasi la corte delle frontiere di
Galles. Nel linguaggio dei gentiluomini stanzianti in un circuito di
molte miglia attorno il Wrekin, andare a Shrewsbury significava
recarsi alla città. I begli spiriti e le belle donne provinciali
imitavano, come meglio sapevano, le mode di Saint James Park, ne'
loro passeggi lungo il Savern. Gli abitanti sommavano a circa sette
mila(129).
La popolazione di ciascuno di questi luoghi, dalla Rivoluzione in
poi, si è accresciuta più del doppio; in taluni più di sette volte.
Le strade sono state pressochè interamente rifatte. Le lastre sono
state sostituite alla paglia, e i mattoni al legname. I pavimenti e
le lampade, lo sfoggio di ricchezza nelle principali botteghe, e la
squisita nettezza delle abitazioni de' gentiluomini, sarebbero
sembrate cose miracolose agli uomini del secolo decimosettimo.
Nondimeno, la relativa importanza delle vecchie capitali delle
Contee non è affatto ciò che essa era. Città più moderne, città che
di rado o giammai si trovano rammentate nella nostra storia antica,
e che non avevano rappresentanti nei nostri più antichi Parlamenti,
a memoria d'uomini che vivono ancora, si sono innalzate ad una
grandezza, che la presente generazione guarda con ammirazione ed
orgoglio; comunque non senza ansietà e rispettoso terrore.
XIX. Le più eminenti di coteste città erano, nel secolo
decimosettimo, sedi rispettabili d'industria. Che anzi, il rapido
progresso(130) e la vasta opulenza loro venivano allora descritti in
un linguaggio che parrebbe scherzevole a chi abbia veduta la loro
grandezza presente. Una delle più popolate e prospere era
Manchester. Il Protettore aveva voluto che mandasse un
rappresentante al Parlamento; e gli scrittori del tempo di Carlo II
la ricordano come luogo di operosità e di opulenza. Il cotone, per
lo spazio di mezzo secolo, già vi si trasportava da Cipro e da
Smirne; ma la manifattura era nella sua infanzia. Whitney non aveva
peranche insegnato come la materia rozza potesse fornirsi in
abbondanza quasi favolosa. Arkwright non aveva peranche insegnato
come potesse lavorarsi con una speditezza e precisione che sembra
magica. L'intera importazione annua, nella fine del diciassettesimo
secolo, non ascendeva a due milioni di libbre; quantità che oggimai
appena servirebbe alle richieste di quarantotto ore. Quel
maraviglioso emporio, che per popolazione e ricchezza sorpassa di
molto capitali rinomate, come Berlino, Madrid e Lisbona, allora
altro non era che una vile e male edificata città di mercato,
popolata di meno di sei mila abitanti. Non aveva allora neppure un
solo torchio, e adesso mantiene cento stabilimenti da stampare.
Allora non aveva nemmeno un cocchio, e adesso mantiene venti
carrozzai(131).
XX. Leeds era già sede principale de' lanificii della Contea di
York; ma i più vecchi cittadini si rammentavano tuttavia del tempo
in cui fu fabbricata la prima casa di mattoni, allora e lungamente
dopo chiamata la casa rossa. Vantavansi altamente della crescente
ricchezza, e delle immense vendite de' panni che si facevano
all'aria aperta sul ponte. Centinaia, anzi migliaia di lire sterline
sborsavansi in un solo giorno operoso di mercato. La crescente
importanza di Leeds aveva a sè richiamato gli sguardi dei successivi
governi. Carlo I aveva concessi privilegi municipali alla città.
Oliviero l'aveva invitata a mandare un rappresentante alla Camera
de' Comuni. Ma dalle liste della imposta sui fuochi, sembra certo
che tutta la popolazione del borgo, esteso distretto che contiene
molti villaggi, regnante Carlo II, non eccedeva settemila anime. Nel
1841 ne conteneva cento cinquanta e più mila(132).
XXI. A una giornata di cammino verso mezzodì di Leeds, lungo un
selvaggio e pantanoso terreno, giaceva un'antica fattoria, adesso
rigogliosamente coltivata, allora sterile ed aperta, e conosciuta
sotto il nome di Hallamshire. Era abbondante di ferro; e fino da
lunghissimi anni, i rozzi coltelli che ivi si facevano, vendevansi
per tutto il Regno. Li aveva ricordati Goffredo Chaucer(133) nelle
sue Novelle di Canterbury. Ma sembra che la manifattura avesse fatti
pochi progressi nei tre secoli che seguirono quello del poeta. Tale
lentezza potrebbe forse spiegarsi considerando come ivi il traffico,
per quasi tutto quello spazio di tempo, fosse soggetto ai
capricciosi regolamenti imposti dal signore del luogo e dalla sua
corte. Le più delicate specie di coltelleria o facevansi nella
capitale, o erano importate dal continente. E' fu sotto il regno di
Giorgio I, che i chirurghi inglesi cessarono di far venire dalla
Francia quei finissimi ferri che sono necessari agli usi dell'arte
loro. La maggior parte delle fucine di Hallamshire erano raccolte in
una città di mercato, che era sorta presso al castello del
proprietario; e nel regno di Giacomo I era un luogo singolarmente
misero, popolato di circa due mila abitatori, la terza parte dei
quali erano accattoni mezzo nudi ed affamati. Pare certo, secondo i
registri parrocchiali, che la popolazione, verso la fine del regno
di Carlo II, non arrivasse a quattro mila anime. Gli effetti di un
lavoro niente favorevole alla salute ed al vigore della macchina
umana, risaltavano tosto agli occhi d'ogni viaggiatore. Moltissimi
fra quella gente mostravano storte le membra. È dessa quella città
di Sheffield, che oggidì, co' suoi dintorni, contiene cento venti
mila anime, e che manda i suoi ammirevoli coltelli, rasoi e lancette
agli estremi confini del mondo(134).
XXII. Birmingham non era riputata abbastanza importante da mandare
un membro al Parlamento d'Oliviero. Nulladimeno, i manifattori di
Birmingham, erano già una razza d'uomini operosi e proficui.
Gloriavansi dicendo che le loro chincaglierie erano in grande
estimazione, non già, come adesso, a Pechino ed a Lima, a Bokhara e
a Timbuctoo, ma anche in Londra e perfino in Irlanda. Avevano
acquistata una meno onorevole rinomanza come coniatori di moneta
falsa. Alludendo ai loro soldi spurii, il partito Tory aveva
appiccato ai demagoghi, che per ipocrisia mostravansi zelanti contro
il papismo, il soprannome di Birminghams. Eppure, nel 1685, quella
popolazione, che ora è poco meno di duecento mila, non arrivava a
quattro mila. I bottoni di Birmingham cominciavano pur allora ad
essere conosciuti; delle armi di Birmingham nessuno aveva peranche
udito il nome; e il luogo d'onde, due generazioni appresso, le
magnifiche edizioni di Baskerville uscirono per rendere attoniti
tutti i bibliofili d'Europa, non contenevano una sola bottega dove
si potesse comperare una bibbia o un almanacco. Nei giorni di
mercato un libraio, che aveva nome Michele Johnson, padre del grande
Samuele Johnson, ci andava da Lichfield e vi apriva una botteghetta
per poche ore; la qual cosa per lungo tempo fu trovata bastare alle
richieste di coloro che amassero di leggere(135).
XXIII. Queste quattro sedi principali delle nostre grandi
manifatture sono meritevoli di speciale ricordanza. Sarebbe noioso
enumerare tutti i popolosi ed opulenti alveari d'industria, che
cento cinquanta anni fa erano villaggi privi d'una parrocchia, o
triste maremme abitate solo dagli uccelli e dalle belve. Il
mutamento non è stato meno notevole in quegli sbocchi, dai quali i
prodotti de' mestieri e delle fornaci inglesi si diffondono per
tutto l'universo. Ai dì nostri, Liverpool contiene circa trecento
mila abitatori. Le imbarcagioni registrate nel suo porto ascendono a
quattro o cinquecento mila tonnellate. Nel suo ufficio di dogana si
è più volte pagata in un anno una somma tre volte maggiore della
intera entrata della Corona d'Inghilterra nel 1685. Il danaro che
incassa il suo ufficio postale, sorpassa la somma che la posta di
tutto il Regno rendeva al Duca di York. Gli infiniti docchi o
bacini, gli scali, i magazzini suoi, si annoverano fra le maraviglie
del mondo; e nondimeno, appena sembrano bastare al gigantesco
traffico del Mersey; e già una città rivale sorge rapidamente sul
lido opposto. Nel tempo di Carlo II, Liverpool veniva descritta come
una città risorgente, che aveva pur allora fatti grandi progressi, e
manteneva proficue comunicazioni con la Irlanda e le colonie dove
manifatturavasi lo zucchero. Le dogane in sessanta anni eransi
accresciute d'otto volte, e rendevano quindici mila lire sterline
l'anno; somma allora riputata immensa. Ma la popolazione appena
doveva passare le quattro migliaia: le imbarcagioni facevano circa
mille e quattrocento tonnellate, meno del tonnellaggio di un solo
legno indiano di prima classe del tempo presente: e il numero de'
marinai appartenenti al porto, non può estimarsi a più di
duecento(136).
XXIV. Tale è stato il progresso di quelle città dove si crea ed
ammassa la ricchezza. Nè meno rapido è stato il progredire di quelle
di specie differentissima; città dove la ricchezza, creata ed
ammassata dovecchessia, si spende per la salute e i piaceri. Alcune
delle più insigni fra coteste città sono sorte dopo il tempo degli
Stuardi. Cheltenham adesso, tranne la sola Londra, è città assai più
vasta di qualunque altra del Regno nel secolo decimo settimo. Ma in
quel secolo, e nel principio del susseguente, essa veniva rammentata
dagli storici municipali come una semplice parrocchia rurale,
giacente a piè di Cotswold Hills, ed avente un suolo atto alla
coltivazione e al pascolo. In que' luoghi, ora coperti di cotante
vaghissime strade ed amene ville, cresceva il grano, e pascolavano
gli armenti(137). Brighton veniva rappresentata come un luogo che un
tempo era stato proficuo, e che quando era nel più alto grado di
prosperità, conteneva più di due mila abitanti, ma che volgeva a
decadenza. Il mare a poco a poco invadeva gli edifici, che
finalmente quasi al tutto scomparvero. Novanta anni addietro, le
rovine di una vecchia fortezza vedevansi giacenti fra mezzo la
ghiaia e le alghe marine; e gli uomini canuti potevano additare i
vestigi delle fondamenta dove una strada di cento e più tuguri era
stata inghiottita dalle onde. Sì misero, dopo tanta calamità,
diventò quel luogo, che appena venne reputato degno di avere un
vicariato. Pochi poveri pescatori, nondimeno, seguitarono ad
asciugare le loro reti su quelle rocce, sopra le quali adesso una
città, due volte più grande e popolata della Bristol degli Stuardi,
presenta per lungo tratto il suo gaio e fantastico prospetto alla
marina(138).
XXV. Nulladimeno, l'Inghilterra nel secolo diciassettesimo non era
priva di bagni. I gentiluomini della Contea di Derby e delle altre
Contee vicine recavansi a Buxton, dove stavano affollati dentro
bassi tuguri di legno, e mangiavano focacce d'avena, e carni che
erano in grave sospetto d'esser di cane(139). Tunbridge Wells,
distante una giornata di cammino dalla metropoli, e sita in una
delle più ricche e incivilite parti del Regno, offriva maggiori
attrattive. Adesso vi si vede una città, che cento sessanta anni
addietro sarebbe stata considerata per popolazione come la quarta o
quinta fra le città dell'Inghilterra. La splendidezza delle botteghe
e il lusso delle abitazioni private vincono d'assai tutto ciò che
l'Inghilterra avrebbe allora potuto mostrare. Allorquando la Corte,
tosto dopo la Restaurazione, visitò Tunbridge Wells, ivi non era
città nessuna; ma, a un miglio dalla sorgente, parecchie rustiche
capanne, alquanto più nette delle capanne ordinarie di que' tempi,
erano sparse in que' luoghi deserti. Alcuni di questi tuguri erano
movibili, e venivano trasportati sopra le slitte da un luogo
all'altro della comune. Quivi le persone agiate, stanche del rumore
e del fumo di Londra, talvolta recavansi nei mesi estivi per
respirare la fresca aura, e gustare un poco di vita campestre. Nella
stagione de' bagni tenevasi ogni giorno una specie di fiera presso
la fontana. Le mogli e le figliuole dei borghesi di Kent vi
accorrevano dai circostanti villaggi, recando latte, ciliege, spighe
e quaglie. Comprare, scherzare con esse, lodare i cappelli di paglia
e le strette calzature loro, era un consolante sollazzo agli
sfaccendati, stanchi del sussiego delle attrici e delle dame di
corte. Modiste, venditori di giocattoli e gioiellieri, vi andavano
da Londra, e formavano un Bazaar sotto gli alberi. In una trabacca,
l'uomo politico trovava il suo caffè e la Gazzetta di Londra; dentro
un'altra, i giuocatori profondevano monete alla bassetta; e nelle
belle serate, i violini erano lì pronti ad accompagnare coloro che
ballavano la moresca su per l'erba molle del prato. Nel 1685, fra
coloro che frequentavano Tunbridge Wells erasi aperta una colletta a
fine di edificare una chiesa, che, per la insistenza dei Tory, in
quel tempo predominanti dappertutto, fu dedicata a San Carlo
Martire.
XXVI. Ma primo tra tutti i luoghi di bagni, senza avere rivale
alcuno, era Bath. Le acque di quella città erano rinomate fino dai
tempi romani. Essa, per molti secoli, era stata sedia vescovile.
Gl'infermi vi accorrevano da ogni parte del Regno. Talvolta il re vi
teneva corte. Nonostante, Bath allora altro non era che un laberinto
di quattro o cinquecento case, ammassate dentro una vecchia
muraglia, nelle vicinanze dell'Avon. Esistono tuttora parecchie
pitture di case, che in quel tempo consideravansi come bellissime, e
somigliano grandemente alle più luride botteghe di cenciaioli, ed
alle bettole di Ratcliffe Highway. Vero è che anche in allora i
viaggiatori muovevano lamento della strettezza e del sudiciume delle
strade. Quella leggiadra città, che incanta anche l'occhio avvezzo a
bearsi de' capolavori di Bramante e di Palladio, resa classica dal
genio di Anstey e di Smollett, di Francesca Burney e di Giovanna
Austen, non aveva cominciato ad esistere. La stessa Milsom Stret era
una campagna aperta molto lungi dalle mura; e lo spazio ora coperto
dal Crescent e dal Circus, era intersecato da siepi. I poveri
infermi, ai quali erano state prescritte le acque, giacevano sopra
la paglia in un luogo, che, per servirmi delle parole d'un medico di
quei tempi, aveva sembianza di nascondiglio, più presto che
d'alloggio. Rispetto agli agi ed al lusso che potevano trovare nello
interno delle case di Bath le persone cospicue che ci andavano per
riacquistare la salute o trovarvi divertimento, abbiamo notizie più
abbondevoli e minute di quante se ne possano generalmente sperare
intorno a cotali subietti. Uno scrittore, che sessanta anni dopo la
Rivoluzione pubblicò un'opera sopra quella città, ha con accuratezza
descritti i cangiamenti a sua ricordanza ivi seguiti. Egli ci
assicura, come ne' suoi anni giovanili, i gentiluomini che
visitavano le acque, dormissero in certe camere appena simili alle
soffitte dove ai suoi giorni stavano i servitori. I pavimenti delle
sale da pranzo erano privi di tappeti, e coperti d'una tinta bruna,
composta di sego e di birra, per nascondere il sudiciume. Nè anche
un tavolato era dipinto. Non un focolare o camino era di marmo. Una
lastra di pietra comune, e certe molle di ferro che potevano costare
tre o quattro scellini, erano stimate bastevoli per ogni camino. I
migliori appartamenti avevano tende di ruvida stoffa di lana, e
seggiole col fondo coperto di giunco. Quei lettori che s'interessano
al progresso dello incivilimento e delle arti utili, sapranno grado
all'umile topografo che ci ha tramandati cotesti fatti, e
desidereranno forse che storici più solenni avessero talvolta messe
da parte poche pagine piene di evoluzioni militari e d'intrighi
politici, per dipingerci le sale e le stanze da letto de' nostri
antenati(140).
XXVII. La posizione di Londra, in ordine alle altre città dello
Stato, era ai tempi di Carlo II assai più considerevole che non è ai
nostri. Imperocchè, adesso la sua popolazione è poco più di sei
volte di quella di Manchester o di Liverpool; e, regnante Carlo, era
più di diciassette volte della popolazione di Bristol o di Norwich.
È da dubitarsi se si possa additare un altro esempio di un gran
Regno, in cui la prima città fosse diciassette volte più grande
della seconda. Abbiamo ragione di credere, che Londra nel 1685,
fosse stata fino da mezzo secolo la più popolata metropoli d'Europa.
Gli abitanti, che oggidì sono almeno un milione e novecento mila,
erano allora, probabilmente, poco meno di mezzo milione(141).
Londra, nel mondo, aveva soltanto una rivale rispetto al commercio;
rivale ora da lungo tempo vinta: voglio dire la potente e ricca
Amsterdam. Gli scrittori inglesi menavano vanto della foresta di
alberi che copriva il fiume dal Ponte alla Torre, e delle portentose
somme di danaro che entravano nell'ufficio della Dogana in Thame's
Street. Non è dubbio che il traffico della metropoli a quei dì era,
verso quello di tutto il paese, in maggior proporzione che non è
adesso: eppure, agli occhi nostri, gli onesti vanti de' nostri
antenati sembrano quasi scherzevoli. Pare che la capacità delle
navi, da essi reputata incredibilmente grande, non eccedesse
settanta mila tonnellate. A dir vero, ciò era in quel tempo più che
il terzo di tutto il tonnellaggio del Regno; ma adesso è meno di un
quarto del tonnellaggio di Newcastle, ed equivale pressochè a quello
de' soli piroscafi del Tamigi. Le dogane di Londra rendevano, nel
1685, circa trecento trenta mila sterline l'anno. Ai giorni nostri,
la somma de' Dazii netta che si ricava nel medesimo ufficio, avanza
i dieci milioni di sterline(142).
Chiunque si faccia ad esaminare le carte topografiche di Londra,
pubblicate verso la fine del regno di Carlo II, vedrà come a que'
tempi altro non esistesse che il nucleo della presente metropoli. La
città non si perdeva, come adesso, a gradi impercettibili nella
campagna. Non viali di ville ombreggiati da file di lilla e
d'avarnielli estendevansi, dal gran centro della ricchezza e della
civiltà, quasi sino ai confini di Middlesex(143), e ben addentro nel
cuore di Kent e di Surrey. Ad oriente, nessuna parte dell'immensa
linea de' magazzini, e de' laghi artificiali, che ora si distende
dalla Torre a Blackwall, era per anche stata ideata. Ad occidente,
nè anco uno di quei solidi e vasti edifizi, dove abitano i nobili e
i potenti, esisteva; e Chelsea, che oggimai è popolato da quaranta e
più mila umane creature, era un tranquillo villaggio rurale di circa
mille abitatori(144). A tramontana pascolavano gli armenti; e i
cacciatori armati de' loro archibugi erravano co' cani sul luogo
dove sorge il borgo di Marylebone, e sopra la maggior parte dello
spazio ora coperto dai borghi di Finsbury e di Tower Hamlets.
Islington era quasi un deserto; e i poeti dilettavansi di porre in
contrasto la quiete che ivi regnava col frastuono della immensa
Londra(145). A mezzodì, alla capitale adesso si aggiunge il suburbio
per mezzo di vari ponti, non meno magnifici e solidi delle più belle
opere de' Cesari. Nel 1685, una sola fila di archi irregolari,
sopraccarichi da mucchi di case povere e cadenti, e piene, in modo
degno degl'ignudi barbari di Dahomy, di centinaia di teste
putrefatte, erano d'impaccio alla navigazione del fiume.
XXVIII. La parte più importante della metropoli, era quella che
propriamente chiamavasi la Città. Nel tempo della Restaurazione, era
stata in grandissima parte costrutta di legname e di gesso: i pochi
mattoni di cui si faceva uso, erano cotti male: le trabacche dove
ponevansi in vendita le mercanzie, proiettavano su per le strade, ed
erano coperte dai piani superiori. Pochi vestigi di cotesta
architettura possono anche oggi vedersi in quei distretti che non
furono preda del grande incendio. Il quale, in pochi giorni, aveva
coperto uno spazio poco minore d'un miglio quadrato, con le rovine
di ottantanove chiese e di tredicimila case. Ma la città era
nuovamente risorta con celerità tale, che ne avevano maravigliato i
paesi vicini. Sciaguratamente, le antiche linee delle strade erano
state per lo più mantenute: le quali linee, in origine descritte
allorquando anche le principesse viaggiavano a cavallo, erano spesso
così anguste, da non concedere che i carriaggi agevolmente
passassero l'uno allato dell'altro, ed erano perciò improprie perchè
vi abitasse la gente ricca, in un tempo in cui un cocchio a sei
cavalli era un lusso in voga. Lo stile de' nuovi edifici,
nulladimeno, era assai superiore a quello dell'arsa città. I
materiali di che comunemente avevano fatto uso, erano mattoni assai
migliori di quelli che in prima s'adoperavano. Sopra i luoghi dove
un dì sorgevano le antiche parrocchie, s'erano innalzate nuove
cupole, torri, ed aguglie improntate dal carattere del fecondo genio
di Wren. In ogni dove, tranne in un solo luogo, i segni della immane
devastazione erano spariti. Ma vedevansi tuttavia schiere d'operai,
ponti e masse di pietre, là dove il più magnifico de' tempii
protestanti sorgeva, lento sopra le rovine della vecchia cattedrale
di San Paolo(146).
Dopo quel tempo, lo aspetto della Città è intieramente cangiato.
Adesso i banchieri, i mercanti e i padroni di botteghe vi si recano
sei giorni della settimana per attendere ai loro negozi; ma abitano
negli altri quartieri della metropoli, o nelle residenze suburbane,
circondate da giardini d'arbusti e di fiori. Cotesta rivoluzione ne'
costumi de' cittadini, ha prodotto un rivolgimento politico di non
lieve importanza. I più ricchi uomini, dediti al traffico, non
portano più alla Città quello affetto che ciascuno naturalmente
prova per la propria casa. La Città non isveglia più nelle menti
loro le idee delle affezioni e delle gioie domestiche. Il focolare,
la famigliuola, il desco socievole, il quieto letto, non sono più
ivi. Lombard Street e Threadneedle Street sono semplici luoghi dove
gli uomini lavorano ed accumulano. Essi vanno altrove a sollazzarsi
ed a spendere i guadagni. La domenica, o la sera, a faccende finite,
parecchi cortili o viali, dove poche ore innanzi era un ire e venire
di visi affaccendati, sono silenziosi come i sentieri d'una foresta.
I capi degli interessi mercantili più non sono cittadini. Schivano,
e pressochè sprezzano le onorificenze e i doveri municipali, e gli
abbandonano ad uomini, i quali, quantunque utili, e di rispetto
degnissimi, rade volte appartengono alle grandissime case
commerciali, i cui nomi corrono famosi per tutto il mondo.
Nel secolo diciassettesimo, i mercanti risedevano nella Città. Le
case degli antichi borghesi che esistono tuttora, sono state
trasformate in computisterie e magazzini; ma si conosce anche oggi,
come non fossero meno magnifiche delle abitazioni dove allora
stanziavano i nobili. Esse talvolta sorgono dentro bui e riposti
cortili, e vi si va per poco convenevoli aditi; ma sono ampie di
mole, e solide d'aspetto. Gl'ingressi sono adorni di pilastri e
baldacchini, riccamente intagliati. Le scale e i ballatoi non
difettano di magnificenza. I pavimenti sono talvolta di legno
intarsiato, secondo l'uso di Francia. Il palazzo di Sir Roberto
Clayton, nel Ghetto vecchio, conteneva una bella sala da pranzo,
intavolata di legno di cedro, e ornata con affreschi che
rappresentavano le battaglie de' numi e dei giganti(147). Sir Dudley
North spese quattro mila lire sterline - somma che in quei tempi
sarebbe stata considerevolissima per un duca - ne' ricchi addobbi
de' suoi saloni in Basinghall Street(148). In simiglianti
abitazioni, sotto gli Stuardi, i più grandi banchieri vivevano
splendidamente ospitali. Alle case proprie gli legavano i fortissimi
vincoli dello interesse e dell'affetto. Ivi avevano passati i dì
della loro giovinezza, formate le loro amicizie, corteggiate le
proprie spose, veduti crescere i figli, sotterrate le ossa dei
parenti, aspettando di trovarvi anch'essi la pace del sepolcro. Quel
forte amore del natìo loco che è peculiare agli uomini delle società
congregate in angusto spazio, in simili circostanze sviluppavasi
vigorosamente. Londra, per il Londrino, era ciò che Atene per
l'Ateniese dell'età di Pericle, ciò che Firenze pel Fiorentino del
secolo decimoquinto. Il cittadino andava altero della grandezza
della propria città, gelosissimo del diritto all'altrui riverenza,
ambizioso degli uffici, e zelante delle franchigie di quella.
Sul finire del regno di Carlo II, l'orgoglio de' cittadini di Londra
era inasprito da una crudele mortificazione. Lo antico statuto era
stato abolito, e il magistrato rifatto. Tutti gli uffici civili
erano in mano de' Tory; e i Whig, comecchè per numero e per opulenza
fossero superiori ai loro avversari, trovavansi esclusi da ogni
dignità locale. Nulladimeno, lo esterno splendore del governo
municipale non era punto scemato; chè anzi, il mutamento lo aveva
accresciuto. Imperocchè, sotto l'amministrazione di certi Puritani
che avevano poco innanzi governato, la vecchia fama di briosa che la
Città godeva, era volta in basso; ma sotto i nuovi magistrati, i
quali appartenevano ad un partito più festevole, e alle mense dei
quali vedevansi spesso ospiti distinti per titoli o gradi dimoranti
molto oltre Temple Bar, il Guildhall e le sale delle grandi
compagnie erano ravvivate da molti sontuosi banchetti. Duranti i
quali, cantavansi odi dai poeti del municipio, composto in lode del
Re, del Duca e del Gonfaloniere. Bevevano molto, e tripudiavano
clamorosamente. Un osservatore Tory, che s'era sovente trovato fra
mezzo a coteste gozzoviglie, ha notato come il costume di accogliere
con gioiose grida i brindisi fatti all'altrui salute, cominciasse da
quel lieto tempo(149).
Il magnifico vivere del primo magistrato civico era quasi quello di
un re. Il cocchio dorato, che la folla adesso ammira ciascun anno,
in allora non v'era. Nelle grandi occasioni egli mostravasi a
cavallo, seguito da una lunga cavalcata, che per magnificenza era
inferiore soltanto al corteo che dalla Torre a Westminster
accompagnava il sovrano nel dì della incoronazione. Il Lord
Gonfaloniere non lasciavasi mai vedere in pubblico senza la sua
veste, il cappuccio di velluto nero, la catena d'oro, il gioiello,
ed una gran torma di battistrada e di guardie(150). Nè il mondo
vedeva cosa alcuna degna di riso nella pompa ond'egli era di
continuo circuito; perocchè reputavala convenevole allo ufficio,
che, come comandante le forze e rappresentante la dignità di Londra,
aveva diritto di occupare nello Stato. La città, essendo allora non
solo senza uguale in tutto il reame, ma senza seconda, aveva per lo
spazio di quarantacinque anni esercitata influenza sì grande sopra
le cose politiche della Inghilterra, come ai giorni nostri Parigi la
esercita sopra quelle della Francia. Per istruzione, Londra superava
grandemente qualunque altra parte del Regno. Un Governo sostenuto
dalla città di Londra, poteva in un sol dì ottenere tali mezzi
pecuniarii, che ci sarebbero bisognati de' mesi per raccoglierli da
tutto il rimanente dell'isola. Nè i mezzi militari della metropoli
erano da tenersi in dispregio. Il potere che i Lordi Luogotenenti
esercitavano negli altri luoghi del Regno, era in Londra affidato ad
una commissione di eminenti cittadini; sotto gli ordini della quale
stavano dodici reggimenti di fanteria e due di cavalleria. Un'armata
di giovani di mercatanti e di sarti, avente a capitani i consiglieri
comunali, e a colonnelli gli Aldermanni, non avrebbe certo potuto
sostenere l'impeto delle truppe regolari: ma pochissime erano allora
nel Regno le regolari milizie. Una città, quindi, la quale, un'ora
dopo lo avviso, poteva metter su venti mila uomini, forniti di
coraggio naturale, provveduti di armi non cattive e non affatto
ignari della militar disciplina, non poteva non essere un alleato
importante e un formidabile nemico. Rammentava ciascuno come Hampden
e Pym fossero dalla milizia civica di Londra stati protetti contro
una sleale tirannide; come nella gran crisi della guerra civile i
militi cittadini di Londra fossero andati a levare l'assedio dalla
città di Gloucester; come nel movimento contro i tiranni militari,
che seguì alla caduta di Riccardo Cromwell, la cittadina milizia di
Londra avesse avuta importantissima parte. E davvero, non sarebbe
troppo il dire, che se Carlo I non avesse avuta ostile la città, non
sarebbe mai stato vinto, e che senza lo aiuto di quella Carlo II non
sarebbe riasceso sopra il trono degli avi suoi.
Queste considerazioni servano a dimostrare in che guisa, malgrado
quelle attrattive che per tanti anni avevano a poco a poco chiamata
l'aristocrazia verso la parte occidentale, pochi uomini d'alto grado
seguitassero fino ad un'epoca non molto lontana(151) ad abitare
nelle vicinanze della Borsa e del Guildhall. Shaftesbury e
Buckingham, mentre facevano al Governo una opposizione aspra e senza
scrupoli, pensarono che in nessun altro luogo avrebbero potuto
condurre così bene e senza pericolo i loro intrighi, come sotto la
protezione de' magistrati e della milizia della Città. E però
Shaftesbury abitava in Aldersgate Street una casa che si può oggi
facilmente riconoscere, ai pilastri e cordoni, opera leggiadra
d'Inigo(152). Buckingham aveva ordinato che la sua abitazione presso
Charing Cross, un tempo dimora degli arcivescovi di York, fosse
demolita; e mentre ivi sorgevano le strade e i viali che portano
tuttavia il nome di lui, elesse di abitare in Dowgate(153).
XXIX. Nondimeno, queste erano rare eccezioni. Quasi tutte le nobili
famiglie d'Inghilterra avevano da lungo tempo emigrato fuori le
mura. Il distretto in cui rimaneva la maggior parte delle loro case
cittadine, giace fra la città e que' luoghi che ora vengono
considerati come cospicui. Pochi grandi uomini seguitarono a starsi
ne' loro palagi ereditari fra lo Strand e il fiume. I solidi edifici
tra il mezzodì e l'occidente di Lincoln's Inn Fields, la piazza di
Covent Garden, Southampton Square, che oggi si chiama Bloomsbury
Square, e King's Square in Soho Fields, che ora ha nome Soho Square,
erano fra i luoghi più prediletti. I principi stranieri venivano
condotti a visitare Bloomsbury Square come una delle maraviglie
della Inghilterra(154). Soho Square, che era stato pure allora
edificato, era pei nostri antichi argomento d'un orgoglio, al quale
i posteri loro non vorranno partecipare. Lo avevano chiamato
Monmouth Square finchè durò prospera la fortuna del Duca di
Monmouth; e nel lato meridionale torreggiava il palazzo di lui. Il
prospetto, comecchè senza grazia, era alto e riccamente(155) ornato.
Sulle pareti degli appartamenti principali vedevansi sculture di
frutti, fogliami e blasoni, ed erano tappezzati di serici drappi a
ricamo(156). Ogni vestigio di tanta magnificenza da lungo tempo è
scomparso, e in un quartiere un dì cotanto aristocratico, non si
trova nessuna casa aristocratica. Poco più in là, a tramontana da
Holborn, e lungo i campi da pascolo e da grano, sorgevano due
rinomati palazzi, a ciascuno dei quali era annesso un vasto
giardino. L'uno, in allora detto Southampton House, e di poi Bedford
House, fu distrutto circa cinquanta anni sono per far luogo ad una
nuova città, la quale adesso con le sue piazze, strade, e chiese
occupa un vasto spazio, già famoso nel secolo decimosettimo per le
pesche e le beccaccine. L'altro, chiamato Montague House, e celebre
per gli affreschi e gli addobbi onde era adorno, pochi mesi dopo la
morte di Carlo II fu bruciato fino alle fondamenta, e vi fu posto in
sua vece un assai più magnifico edificio, detto anch'esso Montague
House; il quale essendo stato da lungo tempo il sacrario di vari e
preziosi tesori d'arte, di scienza e di letteratura, quali non
trovavansi per innanzi raccolti sotto un solo tetto, ha da pochi
anni dato luogo ad un edificio anche più magnifico(157).
Più presso alla Corte, in un luogo chiamato Saint James Fields, era
stato(158) di recente edificato Saint James's Square e Jermyn
Street. La chiesa di San Giacomo era stata allora aperta per comodo
degli abitanti di questo nuovo quartiere(159). Golden Square, dove
nella susseguente generazione abitavano Lordi e Ministri di Stato,
non era per anche incominciato. A dir vero, le sole abitazioni che
si potessero vedere a tramontana di Piccadilly, erano tre o quattro
solinghe e quasi rurali dimore, la più celebre delle quali era il
sontuoso edificio eretto da Clarendon, e soprannominato Casa di
Dunkerque. Dopo la caduta del suo fondatore, era stato comperato dal
Duca d'Albemarle. Il palazzo Clarendon ed Albemarle Street serbano
tuttavia la memoria del sito.
Colui che in allora girovagava per quella che oggidì è la parte più
celebre e gaia di Regent Street, trovavasi in una solitudine, e
talvolta si reputava fortunato di potere tirare con l'archibugio a
qualche beccaccia(160). A settentrione, la strada di Oxford era
fiancheggiata da siepi. A cinque o seicento braccia verso mezzodì,
sorgevano le mura de' giardini di poche grandi case, che
consideravansi affatto fuori la città. Ad occidente eravi un prato
famoso per una sorgente d'acqua, la quale, lungo tempo dopo, dette
il nome a Conduit Street. Ad oriente eravi un campo, che nessun
cittadino di Londra a que' tempi poteva traversare senza ribrezzo.
Ivi, come in luogo deserto da ogni uomo, venti anni innanzi,
allorquando la peste fece cotanta strage, era stata scavata una
vasta fossa, dove i carri mortuari, di notte tempo, trasportavano
cadaveri a centinaia. Il popolo credeva che la terra fosse così
infetta sotto la sua superficie, da non potersi sommovore senza
presentissimo pericolo per la vita degli uomini. Ivi non furono
gettate alcune fondamenta, se non dopo che trascorsero due
generazioni senza peste, e dopo che il luogo degli spettri era stato
da lungo tempo circondato da edifizi(161).
Cadremmo in grave errore ove supponessimo che alcuna delle vie e
delle piazze allora avesse il medesimo aspetto in che oggi si vede.
La maggior parte delle case, dopo quel tempo, sono state al tutto o
quasi al tutto riedificate. Se le parti più cospicue della metropoli
potessero mostrarsi agli occhi nostri nella forma che allora
avevano, rimarremmo disgustati della loro squallida apparenza, ed
attoscati dall'atmosfera malsana che le circondava. In Covent
Garden, presso alle case de' grandi, giaceva un sudicio e romoroso
mercato. Le fruttaiuole gridavano, i carrettieri azzuffavansi, torsi
di cavoli e putride mele vedevansi a mucchi accanto alle porte delle
case della contessa di Berkshire e del vescovo di Durham(162).
Il centro di Lincoln's Inn Fields era uno spazio aperto, dove ogni
sera ragunavasi la marmaglia, a pochi passi di Cardigan House e di
Winchester House, ad ascoltare le cicalate de' saltimbanchi, a
vedere ballar gli orsi, e lanciare i cani addosso ai buoi. Vedevansi
qua e colà sparse le lordure. Vi si esercitavano i cavalli. Gli
accattoni erano così chiassosi ed importuni, come nelle peggio
governate città del continente. Mendicante di Lincoln's Inn era
espressione proverbiale. Tutta la confraternita conosceva le armi e
le livree d'ogni signore caritatevole del vicinato, e appena
compariva il tiro a sei di sua signoria, saltellando o
strascinandosi, gli si affollavano d'intorno. Cotesti disordini
durarono, malgrado molti accidenti e alcuni procedimenti legali,
fino a quando, nel regno di Giorgio II, Sir Giuseppe Jekyll maestro
de' Rotoli, ovvero degli Atti, fu stramazzato a terra e pressochè
morto in mezzo alla piazza. Allora vi si fecero delle palizzate e un
piacevole giardino(163).
Saint James's Square era il ricettacolo di tutta la mondiglia e
delle ceneri, de' gatti e cani morti di Westminster. Ora un
giuocatore di batacchio vi poneva la campana. Ora un impudente si
piantava lì a costruire una casipola per la spazzatura, sotto le
finestre dell'aurate sale in cui i magnati del Regno, i Norfolk, gli
Ormond, i Kent e i Pembroke davano banchetti e feste da ballo. E'
non fu se non dopo che siffatti inconvenienti erano durati per una
generazione, e dopo che s'era molto scritto contro essi, che gli
abitanti ricorsero al Parlamento, onde ottenere licenza di porvi
steccati e piantarvi alberi(164).
Se tali erano le condizioni dei quartieri dove abitavano i più
cospicui cittadini, possiamo facilmente credere che la gran massa
della popolazione patisse ciò che oggidì verrebbe reputato
intollerabile aggravio. I selciati erano detestabili; ogni straniero
gridava: vergogna! I condotti e le fogne erano sì cattivi, che ne'
tempi piovosi i rigagnoli diventavano torrenti. Vari poeti giocosi
hanno rammentata la furia con che cotesti neri fiumicelli
precipitavano giù da Snow Hill e Ludgate Hill, trasportando a Fleet
Ditch copioso tributo di lordure animali e vegetabili dai banchi de'
macellaj e dei fruttaioli: fluido pestifero che veniva sparso a
diritta e a sinistra da' cocchi e dalle carrette. E però, chiunque
andava a piedi, badava in ogni modo a tenersi, più che potesse,
lontano dalla parte carrozzabile della strada. I timidi e pacifici
cedevano il muro agli audaci ed atletici, che lo rasentavano. Se
avveniva che due bravazzoni s'incontrassero, si davano
vicendevolmente i cappelli nel muso, e l'uno spingeva l'altro finchè
il più debole era sbalzato verso il canale. Se questi era buono solo
alle spacconate, se ne andava a capo chino, mormorando che sarebbe
venuto il tempo di rifarsi; se era pugnace, l'incontro probabilmente
terminava con un duello dietro Montague House(165).
Le case non erano numerate. E davvero, poca sarebbe stata la utilità
d'apporvi i numeri, poichè dei cocchieri, portantini, facchini e
ragazzi di Londra, piccolissima parte sapeva leggere. Era mestieri
servirsi di segni che dai più ignoranti fossero intesi. E però sulle
botteghe stavano insegne, che davano alle strade uno aspetto gaio e
grottesco. La via da Charing Cross a Whitechapel era una
continuazione di teste di saracini, di querce reali, d'orsi azzurri,
d'agnelli d'oro, i quali scomparvero allorquando non furono più
necessari alla intelligenza del volgo.
Venuta la sera, la difficoltà e il pericolo di andare attorno per la
città di Londra diventavano veramente gravi. Aprivansi le finestre,
e i vasi si votavano poco badando a chi vi passasse sotto. Le
cadute, le ammaccature, le fratture d'ossa erano cose ordinarie.
Imperocchè, fino all'ultimo anno del regno di Carlo II, la maggior
parte delle vie rimanevano in un profondo buio. I ladri esercitavano
impunemente il proprio mestiere; e nondimeno, non erano così
terribili ai pacifici cittadini, come lo era un'altra genía di
ribaldi. Era prediletto sollazzo de' dissoluti giovani gentiluomini
quello di girovagare di notte per la città, rompere finestre,
capovolgere sedili, battere le persone tranquille, e carezzare
grossolanamente le donne leggiadre. Parecchie dinastie di cotesti
tirannelli, dopo la Restaurazione, regnavano nelle strade. I così
detti Muns e i Tityre Tus avevano fatto posto agli Hectors, e a
questi avevano di recente succeduto gli Scourers. Più tardi sorsero
i Nicker, gli Hawcubite e i Mohawk, più terribili di tutti(166).
XXX. I mezzi per mantenere la pace erano estremamente frivoli. Eravi
una legge fatta dal Consiglio Municipale, che prescriveva come cento
e più sentinelle stessero in continua vigilanza per tutta la città,
dal tramonto allo spuntare del sole; ma rimaneva negletta. Pochi di
coloro ai quali toccava di far la guardia, lasciavano la propria
casa; e que' pochi, generalmente, gradivano meglio stare ad
ubbriacarsi dentro le taverne, che girare per le vie.
XXXI. È d'uopo notare come, nell'ultimo anno del regno di Carlo II,
nella polizia di Londra seguisse un gran mutamento, il quale forse
non meno de' rivolgimenti di maggior fama contribuì ad accrescere la
felicità del popolo. Un ingegnoso progettista, che aveva nome
Eduardo Heming, ottenne lettere patenti con cui gli si concedeva per
dieci anni il diritto esclusivo d'illuminare Londra. Costui
intraprese, per una modica retribuzione, di porre una lanterna per
ogni dieci porte, nelle sere prive di luna, dal dì di San Michele
fino alla festa della Madonna, e dalle ore sei fino alle dodici.
Coloro che oggimai veggono la metropoli per tutto l'anno, dalla sera
fino all'alba, chiarificata da uno splendore, in paragone del quale
le illuminazioni per la Hogue e Blenheim sarebbero sembrate pallide,
sorrideranno forse in pensare alle lanterne di Heming, le quali
mandavano un fioco lume innanzi una casa in ogni dieci, per piccola
parte di una notte in ogni tre. Ma non così pensavano i suoi
contemporanei. Il suo disegno suscitò plausi entusiastici, e furiose
opposizioni. Gli amatori del progresso lo esaltavano come il
grandissimo dei benefattori della città sua, chiedendo che erano mai
i trovati d'Archimede in agguaglio della impresa dell'uomo il quale
aveva trasformate le ombre della notte in luce di meriggio! In onta
a tali eloquenti elogi, la causa dell'oscurità non rimase priva di
difensori. In quell'età v'erano insani che avversavano la
introduzione di quella che chiamavasi nuova luce con tanta
virulenza, con quanta gl'insani de' tempi nostri hanno avversato lo
innesto del vaiuolo e le strade ferrate, e gl'insani d'una età
anteriore si erano opposti alla introduzione dell'aratro e della
scrittura alfabetica. Molti anni dopo le lettere patenti concesse a
Heming, v'erano vasti distretti in cui non vedevasi nè anche una
lanterna(167).
XXXII. Possiamo agevolmente immaginare in che condizioni, a quel
tempo, fossero i quartieri di Londra popolati dalla feccia della
società. Uno fra essi aveva acquistata scandalosa rinomanza. Sul
confine tra la Città ed il Tempio, era stato fondato, nel secolo
decimoterzo, un convento di frati Carmelitani, che portavano bianchi
cappucci. Il ricinto di quel convento, avanti la Restaurazione,
aveva servito d'asilo ai facinorosi, e serbava tuttavia il
privilegio di proteggere dall'arresto i debitori. Gl'insolventi
quindi occupavano ogni casa dalle cantine fino alle soffitte. Di
costoro, moltissimi erano ribaldi e libertini; e nell'asilo tenevano
loro dietro donne più che essi di malvagia vita. La potestà civile
non aveva modo di mantenere l'ordine in un distretto che brulicava
di cosiffatti abitatori; e in tal guisa Whitefriars divenne il luogo
prediletto di coloro che volevano emanciparsi dal freno delle leggi.
E comecchè le immunità legalmente pertinenti al luogo riguardassero
soltanto i casi di debiti, vi trovavano ricovero anche essi i
truffatori, i testimoni spergiuri, i falsari, i ladroni. Per lo che,
fra mezzo a così disperata marmaglia, nessuno officiale di pace si
teneva sicuro della vita. Al grido di "Riscossa!" sgherri armati di
spade e magli, sfacciate streghe impugnando manichi di granata e
spiedi, sbucavano a centinaia, e fortunato colui che percosso,
strappato, annaffiato, avesse potuto salvarsi a Fleet Street. Nè
anche un ordine del Capo Giudice d'Inghilterra poteva mandarsi ad
esecuzione senza lo aiuto d'una compagnia di moschettieri. Cotali
avanzi della barbarie di secoli più bui, trovavansi a pochi passi
dalle stanze dove Somers meditava sulla storia e sulle leggi, dalla
chiesa dove predicava Tillotson, dalla bottega da caffè dove Dryden
profferiva giudicii sopra poemi e drammi, e dalla sala dove la
Società Reale esaminava il sistema astronomico di Newton(168).
XXXIII. Ciascuna delle due città che formavano la capitale
dell'Inghilterra, aveva il proprio centro d'attrazione. Nella
metropoli del commercio, il punto di convergenza era la Borsa; nella
metropoli dell'alta cittadinanza, era il Palazzo. Ma il Palazzo non
serbò la propria influenza così lungamente come la Borsa. La
Rivoluzione cangiò affatto le relazioni tra la Corte e le alte
classi della società. A po' per volta, divenne manifesto che il Re,
come individuo, aveva ben poco da donare; che le corone ducali e le
giarrettiere, i vescovati e le ambascerie, gl'impieghi di lordi del
tesoro e di cassiere dello scacchiere, anzi fino gli uffici della
scuderia e della camera reale, venivano dispensati non da lui, ma
dai suoi consiglieri. Ogni ambizioso e cupido uomo vedeva che
avrebbe meglio provveduto all'utile proprio, giungendo a predominare
in un borgo parlamentare nella Contea di Cornwal, e rendendo servigi
al Ministero in qualche momento difficile, anzichè diventare il
compagno e anche il prediletto del principe. E quindi, non nelle
anticamere di Giorgio I e di Giorgio II, ma in quelle di Walpole e
di Pelham affollavansi quotidianamente i cortigiani. È parimente da
notarsi, che la medesima rivoluzione che rese impossibile ai nostri
Re l'arbitrio di disporre degl'impieghi dello Stato col solo scopo
di compiacere alle proprie inclinazioni, ci diede parecchi Re dalla
educazione e dalle abitudini resi inetti a mostrarsi ospiti affabili
e generosi. Erano nati e cresciuti sul continente. Venuti nell'isola
nostra, non vi si trovavano mai come in casa propria. Se parlavano
la nostra lingua, la parlavano senza eleganza e con difficoltà. Non
giunsero mai ad intendere l'indole nostra nazionale, e nè anche
provaronsi di acquistare i nostri costumi. La parte più importante
de' loro doveri essi adempivano meglio di qualunque de' principi
loro antecessori; poichè governavano rigorosamente secondo la legge:
ma non potevano essere i primi gentiluomini del reame, i capi della
società culta. Se pure lasciavansi mai andare alla affabilità, ciò
seguiva fra mezzo ad una ristretta conversazione, dove non vedevasi
quasi neppure un Inglese; e non riputavansi tanto felici, se non se
quando potevano passare una state nella terra dove erano nati.
V'erano, a dir vero, i giorni determinati in cui essi ricevevano i
nobili e i gentiluomini inglesi; ma siffatto ricevimento altro non
era che mera formalità, la quale alla perfine divenne cerimonia
solenne quanto quella di un funerale.
Non era tale la Corte di Carlo II. Whitehall, mentre egli vi faceva
dimora, era il centro degl'intrighi politici e del brio elegante.
Mezzi i faccendieri e mezzi i bellimbusti della metropoli
accorrevano alle sue sale. Chiunque fosse riuscito a rendersi
gradito al principe, o a guadagnare la protezione della concubina,
poteva bene sperare d'innalzarsi nel mondo, senza aver reso alcun
servigio al Governo, senza essere, nè anche di vista, conosciuto da
nessuno de' Ministri di Stato. Uno de' cortigiani otteneva il
comando d'una fregata; l'altro quello d'una compagnia di soldati; un
terzo la grazia per un colpevole ricco; un quarto la cessione d'una
terra della Corona a buoni patti. Se il Re mostrava di gradire che
un legale senza clientela fosse fatto giudice, o un baronetto
libertino fosse creato Pari, i più gravi consiglieri, dopo un breve
mormorare, piegavano il capo(169). L'interesse, quindi, attirava
alle porte della reggia una folla di postulanti; e le porte
rimanevano sempre spalancate. Il Re teneva casa aperta ogni giorno,
e per tutta la giornata, alle classi alte della città di Londra,
tranne agli esagerati del partito Whig. Non v'era gentiluomo che
trovasse difficile lo accesso alla presenza del sovrano. La levata
dal letto (levee) rispondeva esattamente al significato del
vocabolo. Parecchi gentiluomini andavano ogni mattina a corteggiare
il loro signore, a chiacchierare con esso mentre gli ponevano la
parrucca o gli annodavano la cravatta, e ad accompagnarlo nella sua
passeggiata mattinale nel parco. Chiunque fosse stato debitamente
presentato, poteva, senza invito speciale, recarsi a vederlo
pranzare, cenare, ballare e sollazzarsi ai giochi di sorte; e poteva
avere il diletto di udirgli riferire storielle, ch'egli sapeva assai
bene raccontare, intorno alla sua fuga da Worcester, e alla miseria
che egli aveva patita, mentre trovavasi prigioniero di Stato nelle
mani dei piagnolosi e intriganti predicatori di Scozia. Coloro che
gli stavano d'intorno, e che la Maestà Sua sovente riconosceva, gli
si facevano presso, perchè dirigesse loro la parola. Ciò era
argomento d'un'arte di regnare assai più proficua di quella che il
padre e l'avo di lui avevano praticata. Non era facile al più
austero repubblicano della scuola di Marvel resistere alla malía di
tanto buon umore ed affabilità; e molti vecchi Cavalieri, nel cuore
de' quali la rimembranza di molti non rimeritati sacrifici si era
per venti anni invelenita, tenevansi in un sol momento ricompensati
delle ferite e delle spoliazioni, quando il loro sovrano,
salutandoli cortesemente col capo, diceva loro: "Dio vi tenga nella
sua santa guardia, mio vecchio amico!"
Whitehall naturalmente divenne il principale scaricatoio di tutte le
nuove. Vociferandosi ivi che qualche cosa d'importante fosse seguíta
o per seguire, le genti vi accorrevano, come a fonte precipua,
frettolose per informarsene. Le gallerie avevano l'aspetto della
sala d'un circolo odierno in tempi d'agitazione. Rigurgitavano di
persone chiedenti se la valigia olandese fosse arrivata, quali nuove
avesse recate il corriere dalla Francia, se Giovanni Sobiesky avesse
sconfitti i Turchi, se il Doge di Genova fosse veramente in Parigi.
E queste erano cose, intorno alle quali poteva con tutta sicurtà
parlarsi ad alta voce. Ma v'erano subietti intorno ai quali si
domandava e rispondeva bisbigliando. Aveva Halifax avuto vantaggio
sopra Rochester? Vi sarebbe egli un Parlamento? Il Duca di York
sarebbe egli andato davvero in Iscozia? Il Duca di Monmouth era
positivamente stato richiamato dall'Aja? Ciascuno studiavasi di
leggere in viso ai Ministri, mentre traversavano la folla per
entrare o uscire dalle stanze del Re. Augurii d'ogni specie
facevansi, a seconda del tono con che la Maestà Sua parlava al Lord
Presidente, o del riso con che Sua Maestà onorava una frase
scherzevole detta dal Lord del Sigillo Privato; e in poche ore, le
speranze e i timori nati da tali leggierissimi indizi, si spandevano
per tutte le botteghe da caffè, da San Giacomo fino alla Torre(170).
XXXIV. La bottega da caffè va anch'essa rapidamente rammentata, come
quella che in quei tempi poteva non impropriamente considerarsi
istituzione politica importantissima. Il Parlamento era chiuso da
parecchi anni. Il Consiglio Municipale della città aveva cessato di
parlare, esprimendo il pubblico sentire. Le ragunanze, le arringhe,
le deliberazioni pubbliche, e tutti gli altri mezzi che oggidì
servono a produrre l'agitazione, non erano per anche in uso. Nulla
esisteva che somigliasse le moderne gazzette. In tali circostanze,
le botteghe da caffè erano gli organi precipui, per mezzo de' quali
manifestavasi la pubblica opinione della metropoli.
La prima di tali botteghe era stata aperta a tempo della repubblica
da un mercatante della Turchia, il quale fra i Maomettani aveva
preso l'uso della loro prediletta bevanda. La comodità di potere
avere convegni in ogni parte della città, e passare le serate
socievolmente a poco costo, era così grande, che la moda con
rapidità si diffuse. Ciascun uomo delle classi alte o delle medie
andava giornalmente al suo caffè per raccogliere nuove e discutervi
sopra. Ciascun caffè aveva uno o più oratori, alla cui eloquenza la
folla, compresa d'ammirazione, prestava ascolto, e i quali tosto
divennero ciò che i giornalisti sono stati chiamati ai nostri tempi;
vale a dire il quarto Stato del Regno. La Corte aveva da lungo tempo
con inquietudine veduto crescere questo nuovo potere nello Stato.
Sotto l'amministrazione di Danby, s'era fatto un tentativo di
chiudere le botteghe da caffè. Ma gli uomini di tutti i partiti
desideravano cotesti consueti luoghi di ritrovo, talmente che ne
nacquero clamori universali. Il Governo non rischiossi, avversando
un sentimento cotanto forte e generale, a rinvigorire un ordine la
cui legalità poteva porsi in questione. Da quel tempo erano scorsi
dieci anni, duranti i quali il numero dei caffè era sempre venuto
crescendo. Gli stranieri notavano che la bottega da caffè era quella
che distingueva Londra dalle altre città; che la bottega da caffè
era la casa del Londrino; e che coloro i quali avessero voluto
trovare un gentiluomo, comunemente dimandavano, non dove egli
abitava in Fleet Street o in Chancery Lane, ma se egli frequentava
il Grecian e il Rainbow. Da cotesti luoghi non veniva escluso
nessuno che ponesse sul banco la sua moneta. Nulladimeno, ogni grado
e professione, ogni opinione politica e religiosa, aveva il proprio
quartiere generale. Vi erano botteghe presso Saint James's Park,
nelle quali ragunavansi i zerbinetti con le teste e le spalle
coperte da parrucche nere o di lino, non meno ampie di quelle che
adesso portano il Cancelliere e il Presidente della Camera de'
Comuni. La parrucca era venuta da Parigi, insieme con gli altri
belli ornamenti da gentiluomo; cioè la veste ricamata, i guanti
ornati di frangie e la nappa che sosteneva le brache. Nel conversare
usavasi quel dialetto, il quale, lungo tempo dopo che era sparito
dalle labbra della gente educata, continuò, su quelle di Lord
Foppington, a muovere a riso gli spettatori in teatro(171).
L'atmosfera era simile a quella della bottega d'un profumiere. Il
tabacco, se non mandava squisitissimo odore, era tenuto in abominio.
Se qualche villano, ignaro delle usanze della bottega, chiedeva una
pipa, gli scherni della intera assemblea, e le risposte brevi de'
ragazzi, tosto lo persuadevano come gli tornasse meglio andarsene
altrove. Nè gli toccava a fare lungo cammino. Imperocchè,
generalmente, nelle botteghe da caffè il fumo del tabacco vedevasi
come ne' corpi di guardia; e gli stranieri alcuna volta
manifestavano la loro sorpresa, vedendo come tanta gente lasciasse i
propri focolari per starsi ravvolta fra il puzzo e la nebbia
perpetua. In nessun luogo fumavasi più di quel che si facesse nel
caffè Will. Questa celebre bottega, posta tra Covent Garden e Bow
Street, era dedicata agli studi leggiadri. Quivi ragionavasi intorno
a cose poetiche, e alle unità così dette aristoteliche del dramma.
Ivi era un partito a favore di Perrault e de' moderni, e un altro
che difendeva Boileau e gli antichi. In un gruppo si discuteva se il
Paradiso Perduto avrebbe dovuto essere scritto in versi rimati. Ad
un altro, un invido poetastro dimostrava che la Venezia Salvata di
Otway avrebbe dovuto essere cacciata a fischi dalla scena. Non v'era
tetto sotto il quale fosse maggior varietà di figure. Conti ornati
di stelle e di giarrettiere, ecclesiastici in collaretto e sottana,
petulanti legali, giovinetti di università inesperti, traduttori e
fattori d'indici in lacero arnese. Ciascuno sforzavasi di penetrare
nel gruppo che s'affollava intorno a Giovanni Dryden. Nell'inverno,
la sedia dove egli adagiavasi, era nel canto più caldo presso al
cammino; nella state era posta sul balcone. Fargli un inchino, udire
la sua opinione intorno all'ultima tragedia di Racine, o al trattato
di Bossu sopra la poesia epica, reputavasi un insigne favore. Una
presa della sua tabacchiera era onore bastevole a dar la volta al
cervello d'un giovine entusiasta. Vi erano botteghe da caffè dove
potevano consultarsi i medici più rinomati. Il dottore Giovanni
Radcliffe, il quale nel 1685 aveva la più numerosa clientela di
Londra, dalla sua casa posta in Bow Street, luogo a que' tempi in
voga nella capitale, andava giornalmente, nell'ora in cui era più
popolata la Borsa, al caffè di Garraway, dove sedeva innanzi ad una
tavola distinta, circondato da chirurgi e da farmacisti. Vi erano
botteghe da caffè puritane, dove non udivasi una bestemmia, e dove
gli uomini dai lisci capelli discutevano parlando col naso intorno
agli eletti e ai reprobi: caffè per gli ebrei, dove i cambia-monete
dagli occhi neri, di Venezia o d'Amsterdam, salutavansi
vicendevolmente; e caffè papisti, dove, secondo che i buoni
protestanti credevano, i Gesuiti(172) con le tazze in mano facevano
disegni d'un altro grande incendio, e di fondere palle d'argento per
uccidere il Re(173).
Il modo d'accomunarsi siffattamente non contribuì poco a formare il
carattere del cittadino di Londra in que' giorni. Veramente, egli
era un essere ben diverso dall'Inglese abitante della campagna.
Allora non esisteva la relazione che adesso si vede fra le due
classi. Solo gli uomini assai ricchi avevano il costume di passare
mezzo l'anno in città e mezzo in villa. Pochi scudieri andavano alla
metropoli tre volte in tutta la loro vita. Nè i cittadini agiati
avevano ancora il costume di respirare la fresca aria de' campi e
dei boschi per parecchi giorni della stagione estiva. Un vero
Londrino(174), mostrandosi in qualche villaggio, veniva guardato con
maraviglia, quasi si fosse intruso fra mezzo un Kraal di Ottentoti.
Dall'altro canto, quando un signore delle Contee di Lincoln o di
Shrop appariva in Fleet Street, di leggieri distinguevasi fra la
popolazione della città, come un Turco o un Lascaro. Il vestire, lo
andare, l'accento, il modo onde egli guardava ammirando le botteghe,
inciampava ne' rigagnoli, s'imbatteva ne' facchini, e rimaneva sotto
le grondaie, lo additavano come ottima preda ai truffatori ed ai
beffardi. I bravazzoni lo spingevano fin nel canale, i cocchieri lo
inzaccheravano dal capo ai piedi. I ladroncelli esploravano con
piena sicurtà le vaste tasche del suo abito da cavalcare, mentre
egli ammirava estatico lo splendido corteo del Lord Gonfaloniere.
Gli scrocconi, ancora indolenziti dalle staffilate ricevute per
ordine della Giustizia dietro la coda d'un cavallo, si presentavano
a lui, e gli parevano i più onesti e cortesi gentiluomini ch'egli
avesse(175) mai veduti. Donne col viso impiastrato, rifiuto di
Lewkner Lane e di Whetstone Park, gli si spacciavano per contesse e
dame di Corte. Se domandava della via che conduceva a San Giacomo,
lo dirigevano a Mile End. Se entrava in una bottega, subito veniva
giudicato come un facile compratore di tutte quelle cose che non si
sarebbero potute vendere ad altri, di ricami di seconda mano,
d'anelli di rame, e d'oriuoli che non segnavano le ore. Se entrava
in qualche bottega da caffè di moda, diventava lo zimbello
degl'insolenti bellimbusti, e de' gravi legali. Pieno di vergogna e
di rabbia, faceva tosto ritorno alle proprie terre, dove negli
omaggi de' suoi affittaioli e nel consorzio de' suoi compagni,
trovava conforto alle vessazioni ed umiliazioni sofferte. Ivi si
sentiva ridivenuto grande uomo, e non vedeva nulla al di sopra di
sè, tranne quando nel tribunale sedevasi al banco accanto al
giudice, o quando alla rivista della milizia cittadina salutava il
Lord Luogotenente.
XXXV. La cagione precipua che rendeva così imperfetta la fusione de'
diversi elementi sociali, era la estrema difficoltà che i nostri
antenati incontravano di andare da un luogo ad un altro. Fra tutte
le invenzioni, tranne le lettere alfabetiche e l'arte della stampa,
quelle che abbreviano le distanze hanno principalmente cooperato ad
incivilire il genere umano. Ogni miglioramento dei mezzi di
locomozione, giova all'umanità moralmente e intellettualmente, non
che materialmente; e non solo agevola lo scambio de' vari prodotti
della natura e dell'arte, ma tende a distruggere le nazionali e
provinciali antipatie, ed avvincolare in una tutte le classi della
umana famiglia. Nel secolo diciassettesimo, gli abitanti di Londra
erano, per ogni negozio pratico, più discosti da Edimburgo, di
quello che oggi siano da Vienna.
I sudditi di Carlo II non erano, egli è vero, affatto ignari di quel
principio, il quale ai tempi nostri ha prodotto un rivolgimento
senza esempio nelle cose umane, il quale ha fatto sì che le navi
sfidino il vento e le onde marine, e i battaglioni, accompagnati da
bagagli ed artiglierie, traversino i Regni con un passo eguale a
quello del più veloce corsiero. Il Marchese di Worcester aveva pur
allora osservata la potenza dell'umido rarefatto dal calore. Dopo
molti esperimenti, gli era riuscito di costruire una rozza macchina
a vapore, ch'egli chiamò macchina d'acqua bollente, e giudicò essere
maraviglioso e vigorosissimo strumento di propulsione(176). Ma il
Marchese era sospettato di pazzia, e conosciuto come papista. E però
le sue invenzioni non furono bene accolte. La sua macchina a vapore
potè forse essere stata subietto di conversazione in una adunanza
della Società Reale, ma non fu applicata ad alcuno uso pratico. Non
v'erano guide lungo le strade, salvo poche fatte di legname, dalle
miniere di carbone del Northumberland fino alle sponde del
Tyne(177). Nelle contrade interiori, piccolissime erano le
comunicazioni fluviali. Pochi tentativi erano stati fatti a rendere
più profonde ed arginare le correnti naturali, ma con poco buon
esito. Non si era nè anche progettato un canale navigabile.
Gl'Inglesi di que' tempi avevano costume di favellare con maraviglia
mista alla disperazione intorno all'immenso fosso, per mezzo del
quale Luigi XIV aveva congiunto l'Atlantico col Mediterraneo. Erano
ben lungi dal pensare che la patria loro, nel corso di poche
generazioni, sarebbe stata intersecata, a spese di intraprenditori
privati, da fiumi artificiali, equivalenti per lunghezza ad una
estensione quattro volte maggiore del Tamigi, del Savern e del Trent
insieme congiunti.
XXXVI. Egli era per le strade maestre che gli uomini e le robe
passavano da luogo a luogo; e sembra che tali strade fossero in
peggiori condizioni di quello che si sarebbe potuto aspettare dal
grado di civiltà ed opulenza cui era in allora pervenuta la nazione.
Nelle migliori linee di comunicazione, i solchi delle ruote erano
profondi, le discese precipitose, e la via spesso tale da potersi al
buio poco distinguere dallo scopeto e dal pantano onde era
fiancheggiata da ambe le parti. L'antiquario Ralph Thoresby corse
pericolo di smarrire il cammino sulla strada del nord tra Barnby
Moor e Tuxford, come lo aveva smarrito tra Doncaster e York(178).
Pepys, che viaggiava con la moglie nella propria carrozza, perdè il
cammino tra Newbury e Reading. Seguitando il medesimo viaggio, si
smarrì presso Salisbury; e corse rischio di passare tutta la notte a
cielo scoperto(179). Solo nella buona stagione la strada era
praticabile da veicoli a ruote. Spesso la mota vedevasi accumulata a
diritta ed a mancina, altro non rimanendo che un angusto tratto di
terreno solido sul pantano(180). In quel tempo frequenti erano
gl'impedimenti e le risse, e il sentiero sovente rimaneva impedito
dai vetturini, nessuno dei quali voleva andare innanzi. Seguiva
quasi giornalmente, che le carrozze rimanessero impigliate nel fango
finchè potessero, in qualche fattoria vicina, trovarsi de' buoi a
tirarnele fuori. Ma nel tempo cattivo, al viaggiatore toccava
d'imbattersi in difficoltà anche più gravi. Thoresby, che aveva
costume di recarsi da Leeds alla capitale, nel suo Diario ha fatto
ricordo di tanti perigli e disastri, da non essere esagerati in un
viaggio al Mare Gelato o al Deserto di Sahara. Una volta egli seppe
che il paese tra Ware e Londra era tutto innondato, che i
passeggieri erano stati costretti a nuotare onde scampare la vita, e
che un rivenditore era morto tentando di traversare la via. Per tali
nuove Thoresby lasciò da parte la strada, e fu condotto traverso a
certi prati, dove gli fu mestieri cavalcare nell'acqua che gli
arrivava alla sella(181). In un altro viaggio, mancò poco ch'egli
non venisse trasportato dall'impeto delle onde traripate del Trent.
Poi fu ritenuto quattro giorni a Stamford per la condizione delle
strade, ed in fine rischiossi a ripigliare il cammino, perchè gli fu
dato accompagnarsi a quattordici rappresentanti della Camera de'
Comuni, i quali recavansi in corpo al Parlamento, con numeroso
stuolo di guide e di servi(182). Nello stradale della Contea di
Derby, i viaggiatori stavano sempre in pericolo di rompersi il
collo, e spesso erano costretti a smontare e condurre le loro
cavalcature(183). La grande strada traverso al paese di Galles a
Holyhead, era in condizioni tali, che, nel 1685, un vicerè che
andava in Irlanda, consumò cinque ore di tempo a percorrere
quattordici miglia, da Saint Asaph fino a Conway. Tra Conway e
Beaumaris gli fu forza di camminare a piedi per lungo tratto di
strada, mentre la sua moglie veniva portata in lettiga. Il suo
cocchio lo seguiva trasportato con gran difficoltà da molte braccia.
Generalmente, i carriaggi arrivavano in pezzi a Conway, ed erano
trasportati sopra le vigorose spalle de' contadini gallesi a Menai
Straits(184). In alcuni luoghi di Kent e di Sussex, nessun animale,
fuorchè i più forti cavalli, poteva valicare su per la mota, nella
quale affondava ad ogni passo. I mercati spesso rimanevano
inaccessibili per parecchi mesi. Vuolsi che i frutti della terra si
lasciassero talvolta imputridire in un luogo, mentre in un altro,
poche miglia discosto, i prodotti locali non bastavano al bisogno. I
carri a ruote in cotesto distretto, comunemente, erano trascinati da
buoi(185). Allorquando il principe Giorgio di Danimarca visitò in
tempo di pioggia il magnifico castello di Petworth, spese sei ore a
far nove miglia di cammino; e fu mestieri che un branco di robusti
villani fiancheggiasse da ambi i lati il cocchio onde puntellarlo.
Parecchi de' carriaggi che lo seguivano, furono capovolti e
danneggiati. Si conserva una lettera di uno de' gentiluomini che lo
accompagnavano, nella quale lo sventurato cortigiano si duole, come
per quattordici ore non gli fosse stato concesso di smontare, tranne
quando la sua carrozza venisse capovolta, o rimanesse fitta nel
fango(186).
Una delle cagioni precipue della pessimità delle strade, pare che
stesse nel difetto di provvisioni legislative. Ciascuna parrocchia
era tenuta a riattare le strade maggiori che la traversavano. I
contadini erano costretti a lavorarvi gratuitamente per sei giorni
dell'anno. Se ciò non bastava, adoperavansi lavoranti a pago, e
provvedevasi alla spesa con contribuzioni imposte a tutti i
parrocchiani. È cosa manifestamente ingiusta che una via, la quale
congiunga due grandi città esercenti in larga misura uno scambievole
e proficuo traffico, venga mantenuta a spese della popolazione
sparsa fra esse; e tale ingiustizia rendevasi più visibile nel caso
della gran via del Nord, che traversando poverissimi e poco popolati
distretti, congiungeva distretti assai popolati e ricchissimi. A
vero dire, le parrocchie della Contea di Huntingdon(187) non
potevano riattare una strada consunta dal continuo traffico tra il
West Riding della Contea di York e Londra. Tosto dopo la
Restaurazione, questa gravezza richiamò a sè l'attenzione del
Parlamento; e passò una legge, - una delle tante concernenti simile
subietto, - che imponeva un lieve pedaggio sui viaggiatori e sulle
robe, a fine di tenere in buona condizione alcune parti di questa
importante strada(188). Tale innovazione, nondimeno, eccitò molti
clamori; e le altre grandi vie che conducevano alla capitale,
rimasero lungo tempo dopo sotto il vecchio sistema. In fine seguì un
cangiamento, ma non senza gravi difficoltà. Imperocchè le tasse
ingiuste ed assurde alle quali gli uomini sono assuefatti, spesso si
sopportano assai meglio che le imposte più ragionevoli novellamente
decretate. E' non fu se non dopo che molte sbarre di pedaggio furono
violentemente abbattute, e le milizie in molti distretti costrette
ad intervenire contro il popolo, e non poco sangue fu sparso, che
potè introdursi un buon sistema(189). A lenti passi la ragione vinse
il pregiudizio; ed oggimai l'isola nostra per ogni verso è
traversata da circa trenta mila miglia di strade regie.
Per le migliori strade, nel tempo di Carlo II, le cose pesanti
generalmente erano da luogo a luogo traportate sopra vagoni da
viaggio. Sui pagliericci di cotesti veicoli adagiavasi una folla di
viandanti, che non avessero mezzi di andare in carrozza o a cavallo,
e ai quali la infermità o il peso de' loro bagagli impedisse di
camminare a piedi. Enorme era la spesa. per trasportare in tal modo
le robe pesanti. Da Londra a Birmingham, pagavasi sette lire
sterline per ogni tonnellata(190): lo che equivaleva a quindici
soldi la tonnellata per miglio; più del terzo di quel che poscia
costava il trasporto per le strade regie, e quindici volte più di
quello che oggi si spende per le vie ferrate. Il costo del trasporto
per molti generi d'uso comune, equivaleva ad una tassa proibitiva.
In ispecie il carbone non vedevasi altrove che nei distretti ai
quali poteva essere trasportato per mare; e diffatti, comunemente
chiamavasi nel mezzodì dell'Inghilterra, carbone di mare.
Nelle strade minori, e generalmente per le contrade settentrionali
di York e per le occidentali di Exeter, il trasporto eseguivasi da
lunghi traini di cavalli da basto. Questi vigorosi e pazienti
animali, la cui razza oggidì è estinta, erano condotti da una genia
d'uomini, che parrebbero molto somiglievoli ai mulattieri di Spagna.
Un viandante d'umile condizione spesso trovava conveniente eseguire
un viaggio, montato sul basto d'un cavallo tra due ceste o fagotti,
sotto la cura di cotali robuste guide. Lieve era la spesa di
siffatto modo d'andare: ma la caravana muovevasi con la lentezza de'
pedoni; e in tempo di verno, il freddo sovente riusciva
insoffribile(191).
I ricchi per lo più viaggiavano nelle loro carrozze, tirate almeno
da quattro cavalli. Il faceto poeta Cotton si provò di andare da
Londra al Peak con un solo paio; ma giunto a Saint Albans, trovando
il viaggio insopportabilmente noioso, cangiò pensiero(192). Un
cocchio a sei cavalli non si vede più al tempo nostro, tranne come
apparato di lusso. E però il vedere di frequente rammentare nei
vecchi libri quella specie d'equipaggi, ci potrebbe indurre in
errore, attribuendo a magnificenza ciò che veramente era lo effetto
d'una spiacevole necessità. La gente, nel tempo di Carlo II,
viaggiava con sei cavalli, perchè con meno, il cocchio correva
pericolo di rimanere fitto nella mota. Nè anche sei cavalli
servivano sempre. Vambrugh, nella generazione susseguente, descrisse
con molto spirito il modo con che un gentiluomo di provincia, eletto
per la prima volta deputato al Parlamento, recavasi a Londra. In
tale congiuntura, tutti gli sforzi di sei bestie, due delle quali
erano state tolte all'aratro, non potevano salvare il cocchio di
famiglia dal rimanere fitto nei pantani.
XXXVII. Le pubbliche vetture erano state pur allora molto
migliorate. Negli anni che susseguirono alla Restaurazione, una
diligenza metteva due giorni ad andare da Londra ad Oxford. I
passeggieri dormivano a Beaconsfield. Finalmente, nella primavera
del 1669, fu tentata una grande e ardimentosa innovazione. Venne
annunziato, come un veicolo, che fu chiamato il Cocchio Volante,
eseguirebbe l'intero viaggio dal nascere al tramonto del sole.
Cotesta ardita impresa venne esaminata e sanzionata dai capi della
Università, e sembra che svegliasse la medesima specie d'interesse
che fa nascere ai di nostri l'apertura d'una nuova strada ferrata.
Il vice-cancelliere, con un avviso affisso in tutti i luoghi
pubblici, prescrisse l'ora e il punto della partenza. L'esito fu
assai prospero. Alle ore sei della mattina, la vettura si mosse
dall'antica facciata del Collegio d'Ognissanti; ed alle sette della
sera, gli avventurosi gentiluomini, che primi eransi esposti al
pericolo, giunsero sani e salvi alla loro locanda in Londra(193). La
università di Cambridge si mosse ad emulare la sorella; e subito fu
messa su una diligenza, la quale in una giornata da quivi
trasportava i passeggieri alla capitale. Alla fine del regno di
Carlo II, simiglianti velociferi andavano tre volte la settimana da
Londra alle città principali. Ma non sembra che alcuna carrozza, o
alcun vagone da viaggio a tramontana andasse oltre York, e ad
occidente oltre Exeter. L'ordinario spazio che un velocifero
percorreva in un giorno, era di circa cinquanta miglia in estate; ma
in inverno, essendo i giorni cattivi e le notti lunghe, ne faceva
poco più di trenta. La vettura di Chester, e quella di York e di
Exeter, generalmente giungevano a Londra in quattro giorni nella
bella stagione, ma nel Natale non prima del sesto giorno. I
passeggieri, ch'erano sei di numero, stavano assisi dentro la
carrozza; imperocchè erano così spessi gli accidenti, che sarebbe
stato estremamente pericoloso lo starsi in cima al legno. La spesa
ordinaria in estate era di circa due soldi e mezzo per miglio, e un
poco più in tempo di verno(194).
Questo modo di viaggiare, che dagli odierni Inglesi verrebbe
giudicato insoffribilmente lento, sembrava agli antenati nostri
maravigliosamente e non senza paura rapido. In una opera pubblicata
pochi mesi avanti la morte di Carlo II, i velociferi vengono
esaltati come superiori ad ogni qualunque simigliante veicolo
conosciuto nel mondo. La rapidità loro è subietto di singolar lode,
e posta vittoriosamente in contrasto col lento andare delle vetture
postali del continente. Ma a simiglianti lodi mescolavansi voci di
lamento e d'invettiva. Gl'interessi di numerose classi d'uomini
avevano patito danno per la istituzione di coteste nuove vetture; e,
come sempre, molti per semplice, stupidità o ostinatezza inchinavano
a gridare contro la innovazione, solo perchè era tale. Allegavasi
con veemenza che cotesto modo di trasporto sarebbe tornato fatale
alle nostre razze di cavalli e alla nobile arte del maneggio; che il
Tamigi, il quale da lungo tempo aveva nutriti tanti marinai, non
sarebbe stato il precipuo luogo di passaggio da Londra su a Windsor,
e giù a Gravesend; che i sellai e gli speronai sarebbero rimasti
rovinati a centinaia; che innumerevoli locande, nelle quali solevano
fermarsi i viaggiatori a cavallo, sarebbero state abbandonate e non
avrebbero più pagata pigione; che i nuovi carriaggi erano troppo
caldi d'estate, e troppo freddi di verno; che i passeggieri venivano
gravemente infastiditi dai malati e dai piangenti bambini; che il
cocchio talvolta perveniva sì tardi alla locanda, che era
impossibile trovare da cena, e talvolta partiva così presto, da non
potere trovar da colazione. Per tali ragioni, esortavano seriamente
a non permettere a nessuna vettura pubblica di avere più di quattro
cavalli, di partire più d'una volta la settimana, e di fare più di
trenta miglia per giorno. Speravano che ove si fosse adottato
siffatto regolamento, tutti, salvo gl'infermi e gli zoppi, avrebbero
ripreso l'antico modo di viaggiare. Varie compagnie della città di
Londra, varie città provinciali, e i giudici di varie Contee
presentavano petizioni che contenevano le sopradette idee. Coteste
cose ci muovono a riso. E non è impossibile che i nostri posteri,
leggendo la storia della opposizione mossa dalla cupidità e dal
pregiudicio ai miglioramenti del secolo decimo nono, sorridano
anch'essi di noi(195).
Malgrado la riconosciuta utilità de' velociferi, gli uomini sani e
vigorosi, e non impediti da molto bagaglio, seguitavano tuttavia il
costume di fare a cavallo i viaggi lunghi. Se il viaggiatore voleva
andare speditamente a qualche luogo, prendeva i cavalli di posta.
Cavalli freschi e nuove guide potevano trovarsi a convenevoli
distanze lungo tutte le grandi linee delle strade. La spesa era di
tre soldi il miglio per ciascun cavallo, e quattro per la guida. In
tal modo, essendo buono il cammino, egli era possibile di viaggiare
per un tempo considerevole così rapidamente, come con qualunque
altra specie di trasporto che si conoscesse in Inghilterra fino a
che ai veicoli venne applicato il vapore. Non eranvi per anche
carrozze da posta; nè coloro che viaggiavano nelle loro proprie,
trovavano ordinariamente da mutare i cavalli. Il Re, nondimeno, e i
grandi ufficiali dello Stato, potevano farlo. Così Carlo usualmente
andava in un sol giorno da Whitehall a Newmarket; lo che faceva una
distanza di circa cinquanta cinque miglia in un paese piano: viaggio
che da' suoi sudditi veniva riputato celerissimo. Evelyn compì la
medesima gita in compagnia del Lord Tesoriere Clifford. Il cocchio
veniva tirato da sei cavalli, che furono cambiati a Bishop
Stortford, e poi a Chesterford. Essi giunsero a Newmarket(196) di
notte. Siffatto modo d'andare sembra venisse considerato come un
lusso convenevole ai soli principi e ai ministri(197). T XXXVIII. Ma
qualunque si fosse il modo di viaggiare, i viandanti, a meno che
fossero numerosi e bene armati, correvano non lieve periglio
d'essere fermati e saccheggiati. Il ladrone a cavallo, essere che al
dì d'oggi conosciamo solo da' libri, trovavasi in ogni strada
maestra. Gli spazii di terreno deserto, che erano lungo i grandi
stradali presso Londra, venivano infestati da questa specie di
saccheggiatori. Hounslow Heath, nella grande strada di ponente, e
Finchley Common in quella di tramontana, erano forse i più rinomati
di tali luoghi. La scolaresca di Cambridge tremava appressandosi,
anche di pieno giorno, a Epping Forest; i marinai che pur allora
erano stati pagati a Chatham, spesso erano costretti a consegnare le
loro borse presso Gadshill, luogo celebrato, circa cento anni
avanti, dal grandissimo dei poeti, come scena delle ruberie di Poins
e Falstaff. E' sembra che l'autorità pubblica spesso non trovasse
modo da condursi rispetto a codesti predoni. Ora leggevasi nella
gazzetta l'annunzio, che parecchi individui(198) fortemente
sospettati d'essere ladroni, ma contro i quali non v'erano bastevoli
prove, verrebbero pubblicamente esposti in abito da cavalcare a
Newgate; verrebbero anche messi in mostra i loro cavalli: per ciò,
tutti i gentiluomini ch'erano stati derubati, venivano invitati a
vedere questa singolarissima esposizione. Ora offerivasi
pubblicamente la grazia ad un ladro, ove avesse voluto restituire
alcuni diamanti d'immenso valore, da lui rapiti, allorchè aveva
fermata la valigia postale di Harwich. Breve tempo dopo, comparve un
altro proclama, onde avvertire i locandieri, che l'occhio del
Governo vegliava sopra essi. La loro criminosa connivenza, dicevasi
in quell'avviso, agevolava ai banditi il modo d'infestare
impunemente le strade. Che tali sospetti non fossero privi di
fondamento, si argomenta dalle parole che sul letto di morte dissero
alcuni ladroni pentiti di quel tempo, dalle quali e' pare ch'essi
ricevessero dai locandieri servigi somiglievoli molto a quelli che
il Bonifacio di Farquhar rendeva a Gibett(199).
Perchè un ladrone potesse prosperamente, e anche con sicurtà,
esercitare il proprio mestiere, era necessario ch'egli fosse un
destro cavalcatore, e che l'aspetto e i modi suoi fossero tali da
convenire al padrone d'un bel cavallo. Egli quindi teneva una
posizione aristocratica nella comunità de' ladri, mostravasi alle
botteghe da caffè e alle case da giuoco più in voga, e scommetteva
alle corse coi gentiluomini(200). E veramente, talvolta apparteneva
a qualche buona famiglia ed era bene educato. E però annettevasi, e
forse ancora s'annette, un interesse romanzesco ai nomi di questa
classe di predoni. Il volgo con facilità prestava fede alle
storielle della ferocia ed ardimento, degli atti di generosità e di
buon indole, degli amori, degli scampi miracolosi; degli sforzi
disperati, del maschio contegno loro innanzi ai tribunali e sul
patibolo. Diffatti, raccontavasi di Guglielmo Nevison, il gran
ladrone della Contea di York, com'egli imponesse un tributo d'una
quarta parte ai conduttori di bestiame delle contrade
settentrionali, mentre non solamente non recava loro alcun male, ma
gli proteggeva contro gli altri ladri; come egli chiedesse con
cortesissimi modi le borse; come desse profusamente ai poveri ciò
che aveva tolto ai ricchi; come gli fosse una volta perdonata la
vita dalla clemenza del Re, e come ripigliasse di nuovo l'antico
mestiere, e alla perfine morisse nel 1685 in York sulla forca(201).
Similmente narravasi, come Claudio Duval, paggio francese del Duca
di Richmond, gettatosi sul gran cammino, si facesse capo d'una
formidabile banda, ed avesse l'onore di essere nominato primo in un
proclama regio contro que' rinomati facinorosi; come a capo della
sua masnada egli fermasse il cocchio d'una dama, nel quale trovò un
bottino di quattrocento lire sterline; come ne prendesse sole cento,
e lasciasse alla bella signora il rimanente, a patto ch'ella
ballasse un poco con lui sul prato; come, con la sua vivace
galanteria, rapisse i cuori di tutte le donne; come, per la
destrezza con che maneggiava la spada e la pistola, diventasse il
terrore degli uomini; come finalmente, nel 1670, venisse preso
mentre giaceva avvinazzato; come le dame d'alto grado andassero a
visitarlo in carcere, e con le lagrime intercedessero per salvargli
la vita; come il Re fosse disposto a perdonargli, se non era
l'intervento del giudice Morton, terrore de' ladroni, il quale
minacciò di rinunciare all'ufficio ove non si fosse rigorosamente
eseguita la legge; e come, dopo la decapitazione, il suo cadavere
fosse esposto con tutta la pompa di blasoni, ceri e parati bruni, e
piagnoni, finchè il medesimo crudo giudice che aveva impedito il Re
di far grazia, mandò ufficiali a disturbare l'esequie(202). A questi
aneddoti senza dubbio sono mescolate molte favole, ma non perciò
sono indegni di ricordanza; imperocchè egli è fatto autentico ed
importante, che simili racconti, veri o falsi, venivano ascoltati
con ardore e buona fede dai nostri antenati.
XXXIX. Tutti i diversi pericoli onde era circuito il viaggiatore,
venivano grandemente accresciuti dalle tenebre. Era, quindi,
comunemente sollecito di avere per tutta la notte un asilo, che non
era difficile ottenere. Le locande d'Inghilterra, fino da tempi
antichissimi, hanno goduto rinomanza. Il nostro primo grande poeta
ha descritto i comodi che esse nel secolo decimoquarto offrivano ai
pellegrini. Ventinove persone, coi loro cavalli, trovarono ricovero
nelle spaziose camere e stalle del Tabard in Southwark. I cibi erano
de' migliori che si potessero trovare, e i vini tali da indurre la
brigata a beverne copiosamente. Duecento anni dopo, regnante
Elisabetta, Guglielmo Harrison descrisse vivamente l'abbondanza e i
comodi de' grandi alberghi. Il continente d'Europa, egli diceva, non
ha nulla di simile a quelli. Ve n'erano alcuni, in cui due o
trecento persone con le cavalcature loro, potevano essere alloggiate
e nutrite senza veruna difficoltà. I letti, le tappezzerie, e
soprattutto l'abbondanza di netta e squisita biancheria, erano
subietto di meraviglia. Spesso sopra le mense vedevansi argenterie
di gran prezzo: anzi, v'erano arnesi che costavano trenta o quaranta
sterline. Nel secolo decimosettimo, in Inghilterra era gran copia di
buone locande d'ogni specie. Il viandante talvolta in un piccolo
villaggio smontava ad un albergo simile a quello descritto da
Walton, dove il pavimento di mattoni era bene spazzato, le pareti
ornate di canzoni, le lenzuola mandavano odore d'acqua di lavanda, e
dove un buon fuoco, un bicchiere di squisita birra e un piatto di
trote pescate del vicino ruscello, potevano aversi con poca spesa.
Negli alberghi maggiori trovavansi letti con parati di seta,
eccellente cucina, e vino di Bordeaux uguale al migliore che si
bevesse in Londra(203). Soggiungevasi anche, che i locandieri non
fossero simili agli altri del loro mestiere. Nel continente, il
proprietario era il tiranno di coloro che varcavano la soglia del
suo albergo. In Inghilterra era un servitore. Giammai un Inglese
trovavasi come in casa sua altrove, più che nella sua locanda. Anco
gli uomini ricchi che in casa propria avrebbero potuto godere d'ogni
lusso, spesso avevano il costume di passare le sere nella sala di
qualche vicina casa da divertimento. E' pare che pensassero, la
libertà e i comodi non potersi così bene godere altrove. Tale
costumanza continuò per molte generazioni ad essere una peculiarità
nazionale. Lo allegro e libero stare nelle locande, diede per lungo
tempo materia ai nostri scrittori di drammi e di novelle.
Johnson(204) affermò che la seggiola d'una taverna era il trono
della felicità umana; e Shenstone gentilmente lamentò, come nessun
tetto privato, per quanto amichevole, desse quanto quello d'una
locanda al passeggiero con tanta cordialità il benvenuto.
Molti comodi che nel secolo diciassettesimo erano sconosciuti in
Hampton Court e in Whitehall, posson trovarsi ne' nostri moderni
alberghi. Nondimeno, nell'insieme, egli è certo che il miglioramento
delle case di pubblico divertimento non è in nessun modo andato di
pari passo col miglioramento delle nostre strade, e de' mezzi di
trasporto. Nè ciò deve sembrare strano: poichè è cosa manifesta che,
supponendo uguali tutte le altre circostanze, le locande saranno
migliori là dove i mezzi di locomozione son pessimi. Più celere è il
modo di viaggiare, meno importante diviene al viaggiatore la
esistenza di numerosi e piacevoli luoghi di riposo. Cento sessanta
anni fa, un uomo che da una Contea rimota si fosse recato alla
metropoli, generalmente aveva mestieri di desinare dodici o quindici
volte, e riposare cinque o sei notti durante il viaggio. Se era
ricco, aspettavasi che nei pranzi e negli alloggi fosse proprietà ed
anche lusso. Oggimai la luce d'un sol giorno di verno ci basta per
volare da York o da Exeter fino a Londra. Il viaggiatore perciò rade
volte interrompe il proprio viaggio per mero bisogno di riposo o di
cibo: quindi è che molti buoni alberghi trovinsi in estremo
decadimento. In breve tempo non ve ne sarà più nè anche uno, tranne
ne' luoghi dove è verosimile che gli stranieri siano astretti a
fermarsi per cagione di faccende o di piacere.
XL. Il modo onde le lettere erano trasmesse da un luogo distante ad
un altro, parrebbe oggidì degno di scherno: nulladimeno, esso era
tale da muovere l'ammirazione e la invidia delle più culte nazioni
dell'antichità, o de' contemporanei di Raleigh e di Cecil. Uno
stabilimento rozzo ed imperfetto di poste pel trasporto delle
lettere, era stato messo su da Carlo I, e distrutto dalla guerra
civile. Sotto la Repubblica quel disegno venne ripreso. Dopo la
Restaurazione, i proventi dell'ufficio postale, sottratte le spese,
furono assegnati al Duca di York. Nella maggior parte delle strade,
le valigie partivano ed arrivavano ciascun giorno alternativamente.
In Cornwall, nei paduli della Contea di Lincoln, e fra i colli e i
laghi di Cumberland, le lettere ricevevansi una volta la settimana.
Nel tempo che il Re viaggiava, dalla capitale spedivasi giornalmente
un corriere al luogo dove la Corte intendeva fermarsi. Eranvi
parimente quotidiane comunicazioni tra Londra e Downs; e il medesimo
privilegio talvolta estendevasi a Tunbridge Wells e a Bath, nella
stagione in cui que' luoghi erano popolati di signori. I bagagli
venivano trasportati sui cavalli, che camminando di notte e di
giorno, facevano cinque miglia l'ora(205).
La entrata di tale stabilimento non ricavavasi soltanto dal
trasporto delle lettere. L'ufficio postale aveva diritto di
apprestare i cavalli da posta; e considerando la sollecitudine con
che era condotto cotesto monopolio, possiamo concludere che fosse
proficuo(206). Se però un viaggiatore avesse atteso mezz'ora senza
che gli venissero apprestati i cavalli, poteva procurarseli dove e
come meglio gli fosse piaciuto.
Agevolare la corrispondenza tra una parte e l'altra della città di
Londra, non era in origine lo scopo dell'ufficio postale. Ma nel
regno di Carlo II, un cittadino intraprendente, di nome Guglielmo
Dockwrey, istituì con grande spesa una posta d'un soldo, la quale
trasportava lettere e fagotti sei o otto volte per giorno nelle
strade popolate e piene di faccende presso la Borsa, e quattro volte
per giorno fuori la città. Cotesto miglioramento, secondo il
costume, fu vigorosamente avversato. I facchini dolevansi del
detrimento che ne pativano, e stracciavano i cartelli che ne davano
annunzio al pubblico. Il commovimento cagionato dalla morte di
Godfrey, e dalla scoperta delle scritture di Coleman, in allora era
sommo. E però levossi alto il grido, che la posta d'un soldo fosse
un disegno de' papisti. Affermavasi che il gran Dottore Oates aveva
sospetto come i Gesuiti vi fossero mescolati, e come bastasse
esaminare i fagotti per trovarvi i vestigi del tradimento(207).
Nonostante, sì grande e manifesta era la utilità della impresa, che
ogni opposizione tornò priva d'effetto. Appena fu chiaro che era
lucrosa, il Duca di York ne mosse querele come d'un'infrazione del
suo monopolio, e i tribunali sentenziarono in suo favore(208).
La entrata dell'ufficio postale, fin da principio, venne sempre
aumentando. L'anno in cui seguì la Restaurazione, un Comitato della
Camera de' Comuni, dopo rigorosa indagine, ne aveva estimato il
ricavato netto a circa venti mila lire sterline.
Alla fine del regno di Carlo II, la entrata netta sommava a poco
meno di cinquanta mila sterline; somma che in allora fu considerata
stupenda. La entrata lorda ascendeva a circa settanta mila sterline.
La spesa per la spedizione d'una sola lettera era due soldi per ogni
ottanta miglia, e tre soldi per una distanza maggiore; ma aumentava
in proporzione del peso del piego(209). Ai dì nostri, una lettera
semplice si spedisce per un soldo ai confini della Scozia e della
Irlanda; e il monopolio de' cavalli da posta non esiste più da lungo
tempo. Nondimeno, l'entrata lorda ascende annualmente a più d'un
milione e ottocento mila lire sterline, e la netta a settecento e
più mila. Non si potrebbe, quindi, dubitare che il numero delle
lettere le quali oggidì si spediscono per posta, è settanta volte
maggiore di quello che se ne spediva nel tempo in cui Giacomo II
ascese al trono.
XLI. Nessuna parte del carico che le vecchie valigie trasportavano,
era più importante delle lettere contenenti notizie. Nel 1685 non
esisteva nè poteva esistere alcuna cosa di simile al giornale
quotidiano di Londra de' nostri giorni; non essendovi nè il danaro
nè l'arte a ciò fare bisognevoli. Mancava, inoltre, la libertà;
mancanza fatale quanto quella del danaro e dell'arte. Vero è che in
quel tempo la stampa non era soggetta ad una generale censura. La
legge di licenza, che era stata fatta poco dopo la Restaurazione,
era spirata nel 1679. A chiunque era concesso di stampare, a proprio
rischio, una storia, un sermone o un poema, senza approvazione di
alcun pubblico ufficiale; ma i giudici concordemente opinavano che
siffatta libertà non si estendesse alle Gazzette, e che, per virtù
del diritto comune dell'Inghilterra, nessuno senza regia licenza
avesse potestà di pubblicare notizie politiche(210). Finchè il
partito Whig fu formidabile, il Governo reputò utile di quando in
quando chiudere gli occhi alla violazione di cotesta regola. Mentre
ferveva la gran lotta della Legge d'Esclusione, molti giornali
lasciaronsi stampare; cioè le Notizie Protestanti, Notizie correnti,
Notizie domestiche, le Nuove Vere, il Mercurio di Londra(211).
Nessuno di questi giornali pubblicavasi più di due volte la
settimana; nessuno aveva formato maggiore d'un piccolo foglio. La
materia che in ciascuno di essi contenevasi nello spazio d'un anno,
non era maggiore di quella che spesso si trova in due soli numeri
del Times. Dopo la sconfitta de' Whig, il Re non si vide più
astretto ad essere indulgente nell'usare quella che, secondo la
sentenza de' giudici, era sua prerogativa. Verso la fine del suo
regno, nessun giornale poteva stamparsi senza la regia licenza; la
quale era stata esclusivamente accordata alla Gazzetta di Londra.
Questa vedeva la luce il lunedì e il giovedì d'ogni settimana, e
generalmente conteneva un proclama reale, due o tre indirizzi di
Tory, l'annunzio di due o tre promozioni, la relazione d'una
scaramuccia tra le truppe imperiali e i Giannizzeri lungo il
Danubio, la descrizione d'un ladrone, l'annunzio d'un gran
combattimento di galli fra due persone d'onore, e la notizia d'un
premio da darsi a chi avesse trovato un cane smarrito. Tutte queste
cose contenevansi in due pagine di modico formato. Le comunicazioni
concernenti soggetti di gravissimo momento, facevansi in istile
secco e di mera forma. Alcuna volta, trovandosi il Governo
inchinevole a satisfare la curiosità pubblica rispetto a qualche
importante negozio, facevasi un supplemento a stampa distinta, che
conteneva più minuti particolari di quelli che si trovassero nella
Gazzetta: ma nè questa, nè il supplemento stampato per ordine del
Governo, rivelavano se non le cose che la Corte avesse trovato
convenevole pubblicare. Le discussioni parlamentari, i processi di
Stato di maggiore importanza, de' quali faccia ricordo la nostra
storia, erano passati sotto profondo silenzio(212). Nella metropoli,
le botteghe da caffè in qualche modo tenevano luogo di giornali. Ivi
i cittadini affollavansi come gli antichi Ateniesi al mercato, per
sapere che cosa ci fosse di nuovo. Ivi potevasi sapere con quanta
brutalità fosse stato trattato un Whig il giorno precedente in
Westminster Hall; quali orribili racconti facessero le lettere
d'Edimburgo intorno alle torture inflitte ai Convenzionisti; quali
enormi inganni avesse fatto l'ammiragliato alla Corona nello
approvvigionare la flotta; e quali gravi accuse il Lord del Sigillo
Privato avesse intentate contro la Tesoreria per la imposta sui
fuochi.
XLII. Ma coloro che vivevano assai discosti dal gran teatro delle
contese politiche, potevano soltanto per mezzo delle lettere aver
notizia di ciò che ivi accadeva. Formare tali lettere era diventato
un mestiere in Londra, come è ai dì nostri fra i naturali
dell'India. Lo scrittore di nuove girovagava di Caffè in Caffè,
raccogliendo le dicerie; penetrava in Old Bailey(213) a udirvi le
discussioni, tutte le volte che c'era un processo interessante; anzi
otteneva forse accesso alla galleria di Whitehall, e riferiva il
contegno del Re e del duca. In tal guisa raccoglieva notizie per le
epistole settimanali, destinate a istruire qualche città di Contea,
o qualche banco di magistrali rurali. Erano queste le fonti da cui
gli abitatori delle più grosse città di provincia, e i gentiluomini
e il clero, imparavano quasi tutto ciò che sapessero della storia
de' tempi loro. È d'uopo supporre che in Cambridge vi fossero
altrettante persone curiose di sapere ciò che accadeva nel mondo,
quante ve n'erano in ogni altro luogo del Regno, fuori di Londra.
Nulladimeno, in Cambridge, per gran parte del regno di Carlo II, i
Dottori di legge e i Maestri delle Arti non avevano altro mezzo
regolare di sapere le nuove, tranne la Gazzetta di Londra. Infine
giovaronsi de' servigi d'uno de' raccoglitori di notizie nella
metropoli. E fu giorno memorabile quello in cui comparve sulla
tavola della sola bottega da caffè che fosse in Cambridge, la prima
lettera di notizie giunta da Londra(214). Nella residenza de' ricchi
uomini di provincia, la lettera delle notizie era attesa con
impazienza. Dopo arrivata, in una settimana passava per le mani di
venti famiglie. Forniva agli scudieri del vicinato materia di
chiacchiere per le ferie d'Ottobre, ed era ai rettori subietto di
virulenti sermoni contro i Whig o i papisti. Molti di cotesti
curiosi giornali potrebbero certo trovarsi, diligentemente frugando
negli archivi delle vecchie famiglie. Alcuni se ne trovano nelle
nostre biblioteche pubbliche; ed una serie, che forma la parte non
meno pregevole de' tesori letterarii raccolti da Sir Giacomo
Mackintosh, verrà a suo luogo citata nel corso di questa opera(215).
Non è d'uopo rammentare come in allora non ci fossero giornali di
provincia. Difatti, tranne nella metropoli e nelle due università,
forse non v'era un solo tipografo in tutto il reame. E' sembra che
la sola stamperia la quale esistesse in Inghilterra nelle contrade
settentrionali oltre il Trent, fosse in York(216).
XLIII. Non era solo per mezzo della Gazzetta di Londra che il
Governo imprendesse ad apprestare al popolo istruzione delle cose
politiche. Quel giornale conteneva secchi articoli di notizie senza
commenti. Un altro, pubblicato sotto il patronato della Corte,
conteneva commenti senza notizie. Chiamavasi l'Osservatore, e lo
compilava un vecchio articolista Tory, di nome Ruggiero Lestrange.
Costui non difettava di speditezza e di sottile ingegno; e la sua
locuzione, comecchè fosse grossolana e sfigurata da un gergo basso e
verboso, che allora nel domestico focolare(217) e nella taverna
estimavasi spiritoso, non era privo di acume e vigore. Ma l'indole
sua, feroce ed ignobile a un tempo, mostravasi in ogni tratto che
gli uscisse dalla penna. Allorquando comparvero i primi numeri
dell'Osservatore, l'acrimonia dello scrittore non era affatto
indegna di scusa; imperocchè, essendo potenti i Whig, gli toccava
lottare contro numerosi avversarii, la cui violenza scevra di
scrupoli sembrava giustificare le rappresaglie. Ma nel 1685 ogni
opposizione era stata vinta. Uno spirito generoso avrebbe abborrito
dall'insultare un partito che non poteva rispondere, e
dall'aggravare la miseria de' prigioni, degli esuli e delle famiglie
spogliate; ma alla malignità di Lestrange non era sacro nè il
sepolcro nè il tetto della famiglia. Nell'ultimo mese del regno di
Carlo II, Guglielmo Jenkyn, vecchio e illustre pastore dissenziente,
il quale aveva patita crudele persecuzione, non per altro delitto
che per quello di adorare Dio secondo l'usanza comunemente seguita
in tutta l'Europa protestante, morì per le sevizie e le privazioni
sofferte in Newgate. Lo scoppio della simpatia popolare non potè
frenarsi. Il suo cadavere fu accompagnato alla tomba da un corteo di
cento cinquanta carrozze. La tristezza era dipinta anche in volto ai
cortigiani. Perfino lo spensierato Carlo mostrò segni di dolore. Il
solo Lestrange sciorinò un cicaleccio di feroce esultanza, schernì
la debolezza dei Barcamenanti(218), che mostravano commiserazione;
scrisse che il blasfemo, vecchio impostore, aveva ricevuta la
meritata pena; e fece voto di guerreggiare non solo fino a morte, ma
dopo morte contro tutti i Santi e martiri ridicoli(219). Tale era lo
spirito del giornale che in que' tempi era l'oracolo del partito
Tory, ed in ispecie del clero delle parrocchie.
XLIV. Tanta letteratura, quanta poteva trasportarsi nella valigia
postale, formava allora gran parte del nutrimento intellettuale per
i teologi e i giudici di provincia. La difficoltà e la spesa di
trasmettere di luogo in luogo grossi fagotti erano così grandi, che
un'opera voluminosa metteva più tempo ad andare da Paternoster Row
alle Contee di Devon o di Lancaster, che oggidì non impiega ad
arrivare a Kentucky. Quanto pochi libri, anche i più necessarii agli
studi teologici, possedesse un parroco rurale, è stato già notato.
Le case de' gentiluomini non ne erano meglio provvedute. Pochi
cavalieri della Contea avevano biblioteche che si potessero
agguagliare a quelle che ora comunemente si trovano nel salotto d'un
servitore, o nella retrostanza del padrone d'una piccola bottega.
Uno scudiere veniva riputato dai suoi vicini per un gran dotto, se
l'Hudibras, o la Cronaca di Barber, o gli Scherzi di Tarlton, o i
Sette Campioni della Cristianità, trovavansi nella sua sala fra
mezzo alle canne da pescare, agli arnesi da caccia. In allora, nè
anche nella capitale esistevano biblioteche circolanti; ma nella
capitale, quegli studenti che non potevano molto spendere, avevano
un compenso. Le botteghe de' grandi librai presso il Cimitero di San
Paolo, erano quotidianamente e per tutta la giornata affollate di
lettori; e ad ogni avventore conosciuto, spesso era concesso di
portarsi a casa qualche volume. In provincia non esisteva siffatta
comodità; e ciascuno era costretto a comprare i libri che avesse
voluto leggere(220).
XLV. La provvisione letteraria della madre e delle figlie del
possidente di provincia, generalmente consisteva nel libro delle
preghiere e in quello de' conti. E a dir vero, perdevano poco a
vivere nel ritiro campestre; poichè anche nelle classi più alte, e
in quelle condizioni che apprestavano le maggiori agevolezze alla
cultura dello intelletto, le donne inglesi di quell'età erano peggio
educate di quello che siano state in qualunque altro tempo dopo il
risorgimento delle lettere. In un'epoca anteriore studiavano i
capolavori degli antichi. Al dì d'oggi rade volte si danno
seriamente allo studio delle lingue morte; ma conoscono
familiarmente la lingua di Pascal e di Molière, quella di Dante e di
Tasso, quella di Goethe e di Schiller; nè vi è stile più puro o più
grazioso di quello con che le donne bene educate parlino e scrivano.
Ma negli ultimi anni del diciassettesimo secolo, la cultura della
mente nelle donne era quasi affatto negletta. Se una donzella aveva
la più lieve tintura letteraria, veniva stimata un prodigio. Le
donne d'alto lignaggio, di squisita educazione e fornite di spirito
naturale, non sapevano scrivere, un rigo nella loro lingua materna
senza solecismi ed errori d'ortografia, quali oggi si vergognerebbe
di commettere una fanciulla cresciuta negli asili di carità(221).
La ragione di ciò potrebbe agevolmente trovarsi. Una licenza
stravagante, effetto naturale della stravagante austerità, era
venuta in voga; e la licenza aveva prodotto il suo naturale effetto,
vale a dire la degradazione morale e intellettuale delle donne.
Nacque il costume di rendere rozzi ed impudenti omaggi alla beltà
della persona; ma l'ammirazione e il desio che esse ispiravano, di
rado era accompagnato dal rispetto, dall'affezione, o da
qualsivoglia altro sentimento cavalleresco. Que' pregi che le
rendono atte ad essere compagne, consigliere e fide amiche,
ripugnavano, anzichè piacere, ai libertini di Whitehall. In quella
Corte, una dama che si fosse vestita in modo da non ascondere la
bianchezza del petto, che avesse lanciato sguardi espressivi,
danzato con voluttà, risposto con impertinenza, che non avesse
sentita vergogna a far baccano coi ciamberlani e coi capitani delle
guardie, a cantare con maligna espressione versi maligni, o
accomodare i vestiti d'un paggio per qualche scherzo, aveva maggior
probabilità di trovare ammiratori e seguaci, d'essere più onorata
nel regio favore, di ottenere un ricco e nobile marito, che non
avrebbero avuta Giovanna Grey o Lucia Hutchinson(222). In tal guisa,
la misura delle qualità della donna era necessariamente, bassa; ed
era più pericoloso lo starsi sopra che sotto siffatta misura. La
ignoranza o la frivolezza estrema venivano in una dama estimate meno
inconvenevoli d'una lieve tintura di pedanteria. Delle troppo
celebri donne i cui volti si ammirano adesso nelle pareti di Hampton
Court, poche avevano costume di leggere altro di serio fuorchè gli
acrostici, le satire, e le traduzioni della Clelia e del Ciro il
Grande.
XLVI. E' sembra che la erudizione letteraria anche de' gentiluomini
di quel tempo, fosse meno solida e profonda di quella che avanti o
dopo quella età possedessero. Lo studio delle lettere greche, per lo
meno, non fioriva tra noi ai tempi di Carlo II, come aveva fiorito
innanzi la guerra civile, o come fiorì dopo la Rivoluzione. Non è
dubbio che vi fossero uomini dotti, ai quali era famigliare tutta la
greca letteratura da Omero sino a Fozio; ma trovavansi quasi
esclusivamente fra il clero delle università, ed anche quivi erano
pochi e non pienamente apprezzati. In Cambridge non si riputava
punto necessario che un teologo fosse in condizione di leggere il
vangelo nella lingua originale(223). Nè la faccenda procedeva
altrimenti in Oxford. Allorquando, regnante Guglielmo III, Christ
Church alzossi unanime a difendere l'autenticità delle Lettere di
Falaride, quel gran collegio, in allora considerato come sede
principale della filosofia in tutto il Regno, non potè far mostra
del corredo di greco che adesso possiedono non pochi giovani in ogni
grande scuola pubblica. Potrebbe di leggeri supporsi che una lingua
morta, trascurata nelle università, non venisse molto studiata dagli
uomini del mondo. In una età posteriore, la poesia e la eloquenza
della Grecia formarono il diletto di Pitt e di Fox, di Windham e di
Grenville. Ma negli ultimi anni del secolo decimosettimo, non era in
Inghilterra un solo eminente uomo di Stato, che potesse gustare una
pagina di Sofocle o di Platone.
I cultori del latino erano in maggior numero. La lingua di Roma, a
vero dire, non aveva onninamente perduto il carattere imperiale, e
continuava tuttavia in molte parti d'Europa ad essere quasi
indispensabile ai viaggiatori, o agl'inviati a negoziar trattati
politici. Parlarla bene, quindi, era un pregio assai più comune che
non è ai tempi nostri; e nè Oxford nè Cambridge difettavano di
poeti, i quali nelle grandi occasioni, potessero deporre ai piedi
del trono felici imitazioni dei versi con cui Virgilio ed Ovidio
avevano celebrata la grandezza d'Augusto.
XLVII. Non ostante, anche la lingua latina cedeva il posto ad una
rivale più giovane. La Francia godeva in quel tempo quasi ogni
specie di predominio. La sua gloria militare era pervenuta alla
maggiore altezza; perocchè le armi francesi avevano vinte quelle di
molti altri popoli insieme collegati. Essa aveva dettato trattati,
soggiogate grandi città e provincie, costretto l'orgoglio
castigliano a cederle la precedenza, imposto ai principi italiani di
prostrarsi ai suoi piedi. L'autorità sua era suprema in ogni ramo di
vivere civile, dal duello fino al minuetto. Essa insegnava in che
modo dovesse esser fatto il vestito, quanto lunga la parrucca, se i
tacchi avessero ad essere alti o bassi, o se largo o stretto il
nastro del cappello d'un gentiluomo. In letteratura dettava legge al
mondo: la fama de' suoi grandi scrittori riempiva l'Europa. Nessun
altro paese poteva gloriarsi d'un poeta tragico pari a Racine, d'un
poeta comico pari a Molière, d'un favolista gajo come la Fontaine,
d'un oratore che avesse il magistero di Bossuet. La gloria
letteraria d'Italia e di Spagna era tramontata; quella di Germania
non era ancor sorta. Per la qual cosa, il genio degl'incliti uomini
che adornavano Parigi, splendeva d'una luce che era resa maggiore
dal contrasto. E veramente, la Francia in quel tempo esercitava tale
un predominio sopra l'umanità, cui nè anche i Romani pervennero mai.
Imperciocchè, mentre Roma era regina del mondo, nelle arti e nelle
lettere era l'umile discepola della Grecia. La Francia aveva sopra
le circostanti nazioni ad un'ora la supremazia che Roma ebbe sopra
la Grecia, e quella che la Grecia ebbe sopra Roma. La lingua
francese andava facendosi l'idioma universale, l'idioma delle classi
culte e della diplomazia. In parecchie Corti, i principi e i nobili
lo parlavano con maggior cura e grazia, che non parlassero la
propria lingua. Nella nostra isola, questa servilità era minore di
quel che fosse nel Continente. L'essere imitatori non annoveravasi
nè fra le buone nè fra le cattive qualità nostre. Nulladimeno, anche
in Inghilterra si rendeva omaggio, con poca destrezza, a dir vero, e
di mala voglia, alla supremazia letteraria de' nostri vicini.
L'armoniosa favella toscana, cotanto famigliare ai gentiluomini ed
alle dame della Corte d'Elisabetta, cadde in dispregio. Se un
gentiluomo citava Orazio o Terenzio, veniva considerato nelle culte
brigate come un pedante vanitoso. Ma imperlare di frasi francesi il
discorso, era il migliore argomento che potesse offrirsi del proprio
merito(224). Nuove regole di critica, nuovi modelli di stile vennero
in voga. L'affettata ingenuità che aveva deformati i versi di Donne,
ed era stata una menda in quelli di Cowley, scomparve dalla nostra
poesia. La prosa divenne meno maestosa, tessuta con minore
artificio, e meno armonica che non era quella de' precedenti tempi;
ma più lucida, più facile e meglio adatta alla controversia ed alla
narrazione. In tali mutamenti è impossibile non riconoscere la
influenza de' precetti e degli esempii francesi. I grandi maestri
della lingua nostra, ne' loro più dignitosi componimenti,
affettavano d'usare vocaboli francesi, là dove era agevole trovarne
inglesi egualmente significativi ed armoniosi(225); e dalla Francia
venne fra noi la tragedia in versi rimati: pianta esotica, che nel
nostro suolo languì e tostamente si spense.
XLVIII. Sarebbe stata buona ventura se i nostri scrittori avessero
imitato il decoro, che, tranne pochi esempi, serbavano sempre i loro
grandi contemporanei francesi: imperocchè la immoralità delle
produzioni drammatiche, satiriche e liriche, e delle novelle di
quell'età fra noi, ha impressa una profonda macchia nella nostra
nazionale rinomanza. È facile cercare il vero nella sua stessa
sorgente. I begli spiriti e i Puritani non erano mai stati amici;
non era simpatia nessuna fra coteste due classi, come quelle che
guardavano l'intero sistema della vita umana da punti di veduta
differenti e sotto differente luce. Ciò che per gli uni era serio,
per gli altri era obietto di scherzo. I piaceri di questi erano
tormenti di quelli. Ai gravi rigoristi, perfino gl'innocenti
trastulli dell'infanzia sembravano criminosi. Ai caratteri leggeri e
gai, la solennità de' fratelli zelanti forniva copiosa materia di
riso. Dalla Riforma fino alla guerra civile, quasi ogni scrittore
dotato di senso squisito per il bernesco, erasi talvolta giovato
dell'occasione per ischernire i santocchi dai capelli lisci,
parlanti col naso e piagnolosi, i quali battezzavano i loro
figliuoli secondo il libro di Neemia, gemevano nell'amarezza del
loro spirito alla vista di Jack in the Green, e reputavano cosa
empia mangiare la zuppa di prugne nel giorno di Natale. Finalmente,
giunse il tempo in cui gli schernitori cominciarono a mostrarsi alla
lor volta malinconici. I rigidi e male accorti zelanti, dopo
d'essere stati obietto di riso per due generazioni, corsero alle
armi, vinsero, recaronsi in mano il governo, e con un sorriso
austero sulle labbra calpestarono la caterva degli irrisori. Le
ferite inflitte dalla malignità gaja e petulante, furono
contraccambiate con la cupa ed implacabile malignità, particolare ai
bacchettoni, che chiamano virtù il proprio rancore. I teatri vennero
chiusi, i comici fustigati, la stampa posta sotto la tutela di
austeri censori, le muse bandite da Oxford e Cambridge, loro luoghi
prediletti. Cowley, Crashaw, Cleveland furono cacciati de' loro
uffici. Il giovane aspirante ai gradi universitarii non fu più
obbligato a sapere scrivere epistole e pastorali ad imitazione di
Ovidio e di Virgilio, ma veniva rigorosamente interrogato da un
sinodo di Supralapsarii(226) intorno al giorno e all'ora in cui egli
sperimentò il nascimento alla nuova vita. Tale sistema era molto
proficuo agl'ipocriti. Sotto umile manto ed austere sembianze, s'era
tenuta per vari anni nascosta la intensa brama di licenza e di
vendetta; brama che alla perfine potè sfogarsi. La Restaurazione
emancipò migliaia di animi da un giogo diventato intollerabile. Il
vecchio conflitto si riaccese, ma con nuovo odio e furore: adesso
non era più lotta da scherno, ma combattimento a morte. Le
Teste-Rotonde, da quelli che erano stati da loro perseguitati, non
potevano aspettarsi sorte migliore di quella che un crudele custode
di schiavi possa aspettarsi dagli schiavi insorti, i quali tuttavia
portano i segni del collare e dello staffile.
La pugna tra lo spirito e il puritanismo, tosto diventò guerra tra
lo spirito e la moralità. L'ostilità, suscitata da una caricatura
grottesca della virtù, non risparmiava la virtù stessa. Le cose che
l'uomo appartenente alla classe delle Teste-Rotonde aveva trattate
con riverenza, venivano fatte segno allo insulto, e favoreggiate le
già proscritte. E perchè quegli era stato scrupoloso rispetto alle
inezie, ogni scrupolo era posto in derisione: perchè quegli aveva
coperti i propri falli con la maschera della bacchettoneria,
ciascuno studiavasi di mostrare con cinica impudenza i propri vizi
più scandalosi agli occhi del pubblico: perchè quegli aveva punito
lo amore illecito con barbara severità, la purità delle vergini e la
fedeltà delle spose erano considerate come cose da scherno. A quel
gergo da santocchi, che era il suo Shibboleth(227), opponevasi un
altro gergo non meno assurdo e molto più odioso. E siccome egli non
apriva mai le labbra se non per profferire frasi scritturali, la
nuova genía de' begli spiriti ed egregi gentiluomini non aprivano le
loro senza vomitare oscenità tali, che oggi farebbero vergognare un
facchino, e senza invocare l'Eterno a maledirli, sprofondarli,
confonderli, sperderli e dannarli.
Non è, dunque, cosa strana che la nostra amena letteratura, quando
risorse al risorgere della nostra vecchia politica ecclesiastica e
civile, fosse profondamente immorale. Pochi uomini eminenti, che
appartenevano ad una età anteriore e migliore, serbaronsi esenti
dall'universale contagio. I versi di Waller spiravano tuttavia i
sentimenti che avevano animata una generazione più cavalleresca.
Cowley, predistinto come uomo leale e letterato, alzava animosamente
la voce contro la immoralità che deturpava le lettere e la lealtà.
Un poeta di più potente ingegno meditava, indisturbato dall'osceno
tumulto che circondavalo, un canto così sublime e santo, che non
sarebbe stato sconvenevole sulle labbra di quelle Virtù eteree,
ch'egli contemplava con quell'occhio interno che non può essere
spento da calamità alcuna, gettanti sul pavimento di diaspro le loro
corone d'amaranto e d'oro. Il vigoroso e fecondo genio di Butler, se
non potè al tutto tenersi libero dalla infezione predominante,
contrasse il male in forma più mite. Ma cotesti erano uomini,
gl'intelletti de' quali erano stati educati in un mondo già passato;
e dopo non molto tempo avevano ceduto il luogo a una generazione di
più giovani ingegni; della quale, da Dryden fino a Durfey, era nota
caratteristica una licenza cruda, impudente, vanitosa, e ad un tempo
priva d'umanità e d'eleganza. La influenza di tali scrittori era,
senza verun dubbio, nociva: nonostante, lo sarebbe stata meno se
essi fossero stati meno corrotti. Il veleno che amministravano era
sì forte, che dopo non lungo tempo venne come stomachevole aborrito.
Nessuno di loro intendeva l'arte pericolosa di congiungere le
immagini di piaceri illegittimi con tutto ciò che v'ha di caro e di
nobile; nessuno di loro accorgevasi che un certo decoro è essenziale
alla voluttà stessa, che la veste è più seducente della nudità, e
che la immaginazione può essere più potentemente mossa da delicate
deduzioni, le quali la spingano ad operare, che dalle grossolane
descrizioni che la rendano passiva.
Lo spirito della reazione antipuritana informa quasi tutta l'amena
letteratura del regno di Carlo II. Ma la quintessenza di quello
spirito è da trovarsi nel dramma comico. I teatri, già chiusi mentre
i fanatici faccendieri dominavano, furono ripopolati di spettatori,
ai quali offerivano nuove e più potenti attrattive. Le decorazioni
sceniche e i vestiarii, che adesso si reputerebbero triviali ed
assurdi, ma che sarebbero stati stimati incredibilmente magnifici da
coloro che ne' primi anni del secolo decimosettimo sedevano sopra le
sudice panche del teatro Hope, o sotto il tetto impagliato del Rose,
abbagliavano gli occhi della moltitudine. Il fascino del bel sesso
accresceva quello dell'arte; e il giovane spettatore mirava con
emozioni ignote ai coetanei di Shakespeare e di Johnson,
amabilissime donne rappresentare le parti di tenere e gaie eroine.
Dal dì in cui i teatri furono riaperti, diventarono scuole di vizi:
e il male andavasi propagando da sè. La immoralità delle
rappresentazioni tosto fece allontanare le genti morigerate; mentre
le frivole e dissolute che vi rimasero, chiedevano ogni anno stimoli
sempre più forti. Così gli artisti corrompevano gli spettatori, e
gli spettatori gli artisti; finchè le turpitudini del dramma
divennero tali, da rendere attonito chiunque non si accorga che la
estrema rilassatezza è lo effetto naturale della restrizione
estrema, e che ad una età d'ipocrisia, secondo la ordinaria vicenda
delle cose umane, tiene dietro una età d'impudenza.
Nulla esprime tanto l'indole de' tempi, quanto la cura che si dánno
i poeti a porre sulle labbra delle donne i loro versi più
licenziosi. I componimenti dove più regnava la licenza, erano gli
epiloghi, i quali venivano quasi sempre recitati dalle più favorite
attrici; e nulla al depravato uditorio piaceva come il vedere una
bella fanciulla, che supponevasi non avere per anche perduto il
fiore della innocenza, recitare versi grossolanamente
indecenti(228).
Il nostro teatro in que' tempi andava debitore di molti intrecci e
caratteri alla Spagna, alla Francia e ai vecchi scrittori inglesi:
ma qualunque soggetto i nostri drammaturgi toccassero, lo
deturpavano. Nelle loro imitazioni, le case de' robusti ed animosi
gentiluomini castigliani immaginate da Calderon, diventavano porcili
di vizio, la Viola di Shakespeare una mezzana, il Misantropo di
Molière un rapitore di donne, e l'Agnese del medesimo un'adultera.
Ogni cosa, per quanto fosse pura o eroica, diveniva corrotta ed
ignobile, passando in quegl'ignobili e corrotti cervelli.
Tali erano le condizioni del dramma, il quale, tra le produzioni
della amena letteratura, era quella da cui il poeta aveva maggiore
probabilità di guadagnare da vivere. La vendita dei libri era così
poca, che un ingegno di grandissima fama poteva sperare una scarsa
ricompensa dalla proprietà letteraria della miglior produzione. Non
vi può esser esempio più convincente, della sorte delle Favole di
Dryden, che furono l'ultima delle sue opere. Questo volume vide la
luce allorquando egli veniva universalmente stimato come il maggiore
de' poeti inglesi viventi.
Contiene circa dodici mila versi. La verseggiatura è maravigliosa;
pieni di vita i racconti e le descrizioni. Fino ai nostri giorni,
Palamone ed Arcita, Cimone ed Ifigenia, Teodoro ed Onoria formano il
diletto de' critici e degli scolari. La raccolta contiene anche il
Festino d'Alessandro, che è la più bella ode della nostra lingua.
Perchè cedesse la proprietà letteraria, Dryden ricevè duecento
cinquanta lire sterline; somma minore di quella con che ai dì nostri
talvolta sono stati pagati due soli articoli da giornale(229). Nè
sembra che ciò fosse un cattivo negozio; imperocchè assai lenta fu
la vendita del libro, sì che non fu necessario farne una seconda
edizione, se non dieci anni dopo che il poeta giaceva dentro il
sepolcro. Scrivendo per la scena, era possibile avere maggiori
guadagni con molto minore fatica. A Southern, un solo dramma fruttò
settecento lire sterline(230). Otway, dalla mendicità alzossi ad
agiatezza temporanea, per il prospero successo del suo Don
Carlos(231). Shadwell guadagnò cento trenta sterline in una sola
rappresentazione dello Scudiero d'Alsazia(232). Per la qual cosa,
chiunque aveva mestieri di procacciarsi da vivere col lavoro
dell'ingegno, scriveva drammi, quand'anche la natura non gli avesse
data attitudine all'arte. Tale fu il caso di Dryden. Come poeta
satirico rivaleggia con Giovenale. Nella poesia didascalica,
scrivendo con cura e meditazione, avrebbe forse contesa la palma a
Lucrezio. Tra i poeti lirici, ove non voglia reputarsi il più
sublime, è il più brillante ed animato. Ma la natura, che gli era
stata di molte altre insigni doti larghissima, gli aveva negato lo
ingegno drammatico. Nondimeno, egli consumò tutta l'energia de' suoi
anni migliori a scrivere drammi. Aveva sì retto giudizio da
accorgersi che difettava della facoltà di dipingere i caratteri per
mezzo del dialogo. Ei fece ogni sforzo per nascondere tale difetto,
ora con inattesi e piacevoli incidenti, ora con la vigorosa
declamazione, talvolta coll'armonia del numero, tal'altra con la
licenza bene in accordo col gusto d'una profana e licenziosa platea.
Ma non ottenne mai buon successo teatrale, simile a quello onde
erano rimeritati i lavori di alcuni scrittori per ingegno a lui di
gran lunga inferiori. Stimavasi fortunato qualora un dramma gli
fruttava cento ghinee; scarsa rimunerazione, e nulladimeno
manifestamente maggiore di quella che avrebbe potuto conseguire
impiegando in altro genere di scrivere eguale fatica(233).
La ricompensa che gl'ingegni di quell'età potevano ottenere dal
pubblico, era tanto lieve, che trovavansi nella necessità di
accrescere le loro entrate levando, dirò così, contribuzioni sopra i
grandi. Ciascun signore ricco e di buon cuore veniva con tanta
ostinazione e con tante abiette lusinghe importunato dagli scrittori
mendichi, che ai tempi nostri parrebbe incredibile. Colui al quale
venisse dedicata un'opera, era in debito di ricompensare lo
scrittore con una borsa piena d'oro. La somma che fruttava la dedica
d'un libro spesso era assai maggiore di quella che ne avrebbe data
lo editore per il diritto di stampa. Per la qual cosa, i libri
spesso pubblicavansi solo col fine di farne una dedica. Questo
traffico di laudi produceva lo effetto che era da aspettarsene.
L'adulazione spinta talvolta allo sproposito, tal'altra all'empietà,
non stimavasi che infamasse il poeta. La indipendenza, la veracità,
il rispetto di sè, non erano cose che da lui esigesse il mondo. A
dir vero, per moralità egli era qualche cosa tra il lenone e il
mendicante.
Agli altri vizi che invilivano il carattere del letterato, si
aggiunse, verso la fine del regno di Carlo II, la più feroce
intemperanza dello spirito di parte. I begli ingegni, come classe,
erano stati spinti dal loro vecchio odio del puritanismo verso il
partito della Corte, ed avevano trovato utili alleati. Dryden, in
specie, aveva resi buoni servigi al Governo. Il suo Assalonne ed
Achitofel, grandissima tra le satire de' tempi moderni, aveva
stupefatta la città; con velocità senza esempio s'era aperta la via
fino ai distretti rurali; e dovunque erasi mostrata, aveva dato
molestia agli esclusionisti e accresciuto il coraggio de' Tory. Ma
fra mezzo all'alta ammirazione che naturalmente c'ispira la
squisitezza della dizione e del verso, non dobbiamo dimenticare la
gran distinzione del bene e del male. Lo spirito del quale Dryden e
parecchi de' suoi consorti in quel tempo erano animati, deve
meritamente chiamarsi diabolico. I giudici e gli sceriffi servili di
quegl'infausti giorni, non potevano spargere il sangue con la
speditezza inculcata clamorosamente dai poeti. Un richiedere nuove
vittime, un odioso scherzare sugl'impiccamenti, acri motteggi
intorno a coloro i quali, fidi al Re nell'ora del pericolo, lo
consigliavano poscia di mostrarsi compassionevole e generoso co'
suoi vinti nemici; e perchè nulla mancasse alla colpa e alla
vergogna, cotesti infami scritti venivano recitati dalle donne, le
quali, ammaestrate da lungo tempo a bandire ogni modestia, erano ora
ammaestrate a bandire ogni compassione(234).
XLIX. È cosa degna di nota, come, mentre l'amena letteratura in
Inghilterra in tal modo era di nocumento e d'infamia alla nazione,
il genio inglese nelle scienze compisse una rivoluzione che, sino
alla fine de' secoli, verrà posta tra le opere più grandi dell'umano
intelletto. Bacone aveva posta la buona sementa in un terreno tardo
e in una stagione non opportuna. Non ne aveva sperato così presto il
ricolto, e nel suo supremo testamento aveva solennemente legata la
sua fama alla età susseguente. Pel corso d'una intera generazione,
la sua filosofia, fra mezzo ai tumulti, alle guerre, alle
proscrizioni, si era lentamente venuta maturando in poche menti ben
formate. Mentre le fazioni lottavano per predominare nello Stato, un
drappello di uomini saggi, con benevolo sdegno, erasi scostato dal
conflitto, consacrandosi alla egregia impresa di slargare il dominio
dell'uomo sopra la materia. Appena tornata la pubblica quiete, a
quei maestri fu agevole trovare attenti uditori; imperocchè la
disciplina per la quale la nazione era passata, aveva talmente
contemperata la mente del popolo da potere ricevere le dottrine del
Verulamio. Le perturbazioni civili avevano incitate le facoltà della
gente educata, ed avevano ingenerata una irrequieta attività e una
curiosità insaziabile, quale ne' tempi anteriori non s'era mai
veduta fra noi. Nulladimeno, lo effetto di quelle perturbazioni fu,
che i disegni di riforma religiosa e politica venissero generalmente
considerati con sospetto e dispregio. Per lo spazio di venti anni,
l'occupazione precipua delle menti savie ed operose era stata quella
di foggiare costituzioni con primi magistrati, senza primi
magistrati, con senati ereditarii, con senati tirati a sorte, con
senati annui, con senati perpetui. In simili disegni di governo non
omettevasi nulla. Tutti i particolari, tutte le nomenclature, tutto
il ceremoniale del governo immaginario vi erano pienamente notati;
Polemarchi, Filarchi, Tribù, Galassie, Lord Arconte, e Lord
Stratigoto: quali urne per raccogliere i voti dovessero essere
verdi, e quali rosse: quali palle dovessero essere d'oro, e quali
d'argento: quali magistrati dovessero portare cappelli, e quali
berretti appuntati di velluto nero: in che modo dovesse portarsi la
mazza, e quando dovessero gli araldi scoprirsi la testa. Queste e
simiglianti altre inezie venivano con gravità esaminate ed ordinate
da uomini di non comune intelligenza e dottrina(235). Ma la stagione
di cotali visioni era finita; e se qualche fervido repubblicano
seguitava tuttavia a trastullarsene, il timore del pubblico scherno
e d'un processo criminale, generalmente, lo induceva a sottrarre
agli sguardi altrui le proprie fantasticherie. Ora, ella era cosa
impopolare e pericolosa mormorare una sola parola contro le leggi
fondamentali della Monarchia; ma gli uomini audaci ed ingegnosi
potevano compensarsi trattando con isdegno quelle che poco innanzi
erano considerate leggi fondamentali di natura. Il torrente ch'era
stato condannato a scorrere per il suo antico alveo, si gettò
furiosamente in un altro. Lo spirito rivoluzionario, cessando
d'agire nella politica, cominciò ad esercitarsi con insolito vigore
ed ardire in ogni ramo di scienze fisiche. L'anno 1660, l'èra del
ristabilimento della vecchia costituzione, è anche l'èra da cui data
lo innalzarsi della nuova filosofia. In quell'anno cominciò ad
esistere la Società Reale, destinata ad essere agente principale in
una lunga serie di gloriose e salutari riforme(236). In pochi mesi,
la scienza sperimentale divenne grandemente in voga. La trasfusione
del sangue, la ponderazione dell'aria, la fissazione del mercurio,
nelle menti del pubblico occuparono quel luogo che già vi tenevano
le controversie della Rota. I sogni delle forme perfette di governo,
cessero ai sogni delle ale con cui gli uomini dovevano volare dalla
Torre all'Abbadia, e delle navi a doppia carena, che non dovevano
mai affondare nella più furiosa procella. Gli uomini d'ogni classe
vennero trascinati dalle idee predominanti. Cavalieri e
Teste-Rotonde, Ecclesiastici e Puritani, per questa volta,
collegaronsi. Teologi, giuristi, uomini di Stato, nobili, principi,
magnificavano i trionfi della filosofia di Bacone. I poeti,
gareggiando d'entusiasmo, cantavano lo avvicinarsi dell'età d'oro.
Cowley, con versi pregni di pensiero e splendidi di brio, spingeva
la eletta sementa a prender possesso della terra promessa irrigata
di latte e di miele; di quella terra che il grande liberatore e
legislatore aveva veduta come dalla cima di Pisgah, senza che gli
fosse stato concesso d'entrarvi(237). Dryden, con più zelo che
scienza, congiunse la sua voce al grido universale, e predisse cose
che nè egli nè altri intendeva. Vaticinò che la Società Reale ci
avrebbe tra breve condotti ai confini del mondo, dove ci avrebbe
dilettati con un più bello spettacolo della luna(238). Due esperti
ed aspiranti prelati, Ward Vescovo di Salisbury e Wilkins Vescovo di
Chester, predistinguevansi fra i capi del movimento; la storia del
quale fu eloquentemente scritta da un più giovane teologo, che
veniva splendidamente innalzandosi nella propria professione: voglio
dire da Tommaso Sprat, poi fatto Vescovo di Rochester. Il giudice
Hale e il Lord Cancelliere Guildford toglievano qualche ora alle
faccende delle loro corti per iscrivere intorno all'idrostatica. E
veramente, per cura di Guildford furono costruiti i primi barometri
che fossero posti in vendita a Londra(239). La chimica per un certo
tempo divideva col vino e con l'amore, col teatro e col giuoco, con
gl'intrighi del cortigiano e gl'intrighi del demagogo, l'attenzione
del volubile Buckingham. Rupert è in voce di avere inventata la
incisione così detta a mezza tinta; e porta il suo nome quella
curiosa bolla di vetro che per lungo tempo ha formato il trastullo
de' bambini, e la disperazione de' filosofi. Lo stesso Carlo aveva
un laboratorio in Whitehall, e mostravasi in esso più attento ed
operoso di quel che fosse in Consiglio. Era quasi necessario al
carattere d'un compito gentiluomo il saper dire qualche cosa intorno
alla macchina pneumatica e ai telescopi; ed anche le leggiadre dame,
di quando in quando, credevano convenevole mostrare gusto per la
scienza, recavansi in carrozza verso le sei a visitare le curiosità
di Gresham, e mandavano gridi di gioia vedendo che la calamità
veramente attraesse un ago, e che un microscopio facesse davvero
apparire una mosca grande quanto un uccello(240).
In questo, al pari d'ogni altro moto della mente umana, era senza
dubbio alcuna cosa che avrebbe mosso a riso. È legge universale che
qualsivoglia fatica o dottrina viene in voga, perda in parte quel
pregio in che era tenuta mentre stavasi nelle mani di pochi uomini
gravi, ed era amata per sè stessa. Egli è vero che le stoltezze di
taluni, i quali senza vera attitudine per la scienza mostravansene
appassionati, fornivano materia di spregio e sollazzo a pochi
satirici maligni, appartenenti alla precedente generazione, i quali
non inchinavano a disimparare ciò che in gioventù avevano
imparato(241). Ma non è meno vero che la grande opera d'interpretare
la natura, venne eseguita dagli Inglesi d'allora come non era avanti
mai stata in nessuna età e nazione. Lo spirito di Francesco Bacone
era vasto, e maravigliosamente contemperato d'audacia e di sobrietà.
Gli uomini erano fortemente persuasi che tutto il mondo fosse pieno
di secreti di grave momento alla felicità umana, e che dal Supremo
Fattore fosse stata affidata all'uomo la chiave, che, bene
adoperata, avrebbe schiusa la via per giungere a quelli. Regnava in
quel tempo la convinzione, che nelle scienze fisiche fosse
impossibile pervenire alla cognizione delle leggi generali, tranne
osservando accuratamente i fatti. Stabilmente fermi in tali grandi
verità, i professori della nuova filosofia si dettero all'opera; e
in meno di venticinque anni, avevano dato ampi risultamenti delle
proprie lucubrazioni. Nuovi vegetabili furono coltivati, nuovi
strumenti agricoli adoperati, e nuovi modi di concimare i
terreni(242). Evelyn, con formale sanzione della Società Reale,
aveva dati avvertimenti ai suoi concittadini intorno alle
piantagioni. Temple, nelle sue ore d'ozio, aveva fatti nuovi
esperimenti nell'orticoltura, e provato che molti frutti delicati,
indigeni in climi migliori, si sarebbero potuti, coll'aiuto
dell'arte, ottenere anche nel suolo inglese. La medicina, che in
Francia seguitava a rimanere in abietta schiavitù, ed apprestava a
Molière inesauribile materia di giusto scherno, era divenuta in
Inghilterra scienza sperimentale e progressiva, ed ogni giorno,
sfidando Ippocrate e Galeno, faceva sempre più un nuovo passo.
L'attenzione dei pensatori per la prima volta si diresse
all'importante subietto della polizia sanitaria. La rinomata
pestilenza del 1665 gl'indusse a considerare seriamente i difetti
dei fabbricati, delle fogne, e della ventilazione della metropoli.
Il grande incendio del 1666 offerse il destro di eseguire
miglioramenti vastissimi. La faccenda fu diligentemente esaminata
dalla Società Reale; ai consigli della quale è d'uopo attribuire in
gran parte le mutazioni, che, quantunque non fossero tali da
rispondere ai bisogni della pubblica utilità, resero la nuova Londra
differentissima dall'antica, e forse impedirono per sempre lo
infuriare della peste nel nostro paese(243). In quel medesimo tempo,
uno de' fondatori della predetta società, Sir Guglielmo Petty, creò
la scienza dell'aritmetica politica; umile ma indispensabile ancella
della politica filosofia. Nessuna parte del regno della natura
rimase inesplorata. A quegli anni appartengono le scoperte chimiche
di Boyle, e le prime ricerche botaniche di Sloane. E' fu allora che
Ray fece una nuova classificazione degli uccelli e de' pesci,
Woodward rivolse la propria attenzione ai fossili ed alle
conchiglie. I fantasmi dell'errore che ne' secoli tenebrosi avevano
ingombrato la terra, l'uno dietro l'altro, disparvero dinanzi alla
nuova luce. L'astrologia e l'alchimia diventarono obietto di
trastullo. Poco dopo, non v'era contea in cui qualche collegio di
giudici non ridesse sprezzantemente sempre che una vecchia strega
veniva tratta al tribunale, accusata di aver cavalcato sul manico
della granata, o avere prodotta la pestilenza nell'armento. Ma in
quei nobili e assai ardui rami della scienza, ne' quali la induzione
e la dimostrazione matematica cooperano alla scoperta del vero, il
genio inglese a que' tempi riportò i più memorandi trionfi. Giovanni
Wallis elevò sopra nuove fondamenta lo intero sistema della statica.
Edmondo Halley(244) investigò le proprietà dell'atmosfera, il flusso
e riflusso del mare, le leggi del magnetismo, e il corso delle
comete; nè dal culto della scienza lo distolsero travagli, pericoli
ed esilio. Mentre egli, sopra le rocce di Santa Elena, faceva la
carta delle costellazioni dello emisfero meridionale, il nostro
nazionale osservatorio sorgeva in Greenwich; e Giovanni Flamsteed,
che fu il primo astronomo regio, cominciava quella lunga serie
d'osservazioni, che non è ricordata mai senza rispetto e gratitudine
in qualsiasi parte del mondo. Ma la gloria di cotesti uomini,
comunque eminenti, è oscurata dallo immenso splendore d'un nome
immortale. Nella mente d'Isacco Newton trovavansi congiunte, come
non lo erano mai state in mente d'uomo, due specie di potenza
intellettiva che hanno poco di comune tra loro, e che non si trovano
spesso insieme con pari vigore, ma nondimeno sono egualmente
necessarie ne' rami più sublimi delle scienze fisiche. Vi saranno
forse stati intelletti pari al suo ben formati a coltivare le
matematiche pure, o le scienze puramente sperimentali; ma in nessun
altro intelletto la facoltà dimostrativa e la induttiva
coesistettero in simile suprema eccellenza e perfetta armonia. Forse
in una età in cui fossero in voga gli Scotisti e i Tomisti, anche la
sua mente sarebbe corsa a rovina, siccome avvenne a molte altre
menti solo inferiori a quella di lui. Avventuratamente, lo spirito
del tempo in cui gli toccò di vivere, pose nel diritto cammino il
suo ingegno, il quale con ingente forza reagì sopra lo spirito del
tempo. Nel 1685 la sua fama, comecchè splendida, era in sull'alba;
ma il suo genio era pervenuto al meriggio. La sua grande opera,
quell'opera che produsse un rivolgimento nelle provincie più
importanti della filosofia naturale, era compiuta, ma non ancora
pubblicata, e stava per essere sottoposta allo esame della Società
Reale.
L. Non è facile trovare il perchè la nazione, la quale nelle scienze
era proceduta tanto innanzi alle nazioni vicine, nelle arti belle
stesse loro tanto addietro. Nondimanco, tale fu il fatto. Egli è
vero che in architettura, arte che è mezza scienza, arte in cui solo
può inalzarsi un profondo geometra, arte che non ha altra norma di
gusto tranne quella che direttamente o indirettamente dipende
dall'utilità, arte le cui creazioni derivano, almeno in parte, la
maestà loro dalla semplice massa, il paese nostro poteva gloriarsi
d'un uomo veramente grande: voglio dire di Cristoforo Wren; al quale
lo incendio onde Londra era stata ridotta a un mucchio di rovine,
aveva pôrta occasione fino allora senza esempio nella storia
moderna, di spiegare l'ali dello ingegno. Come quasi tutti i suoi
contemporanei, egli non poteva emulare e forse sentire il vero
pregio dell'austera bellezza del portico greco, e della buia
sublimità dell'arcata gotica: ma niuno, nato al di qua delle alpi,
ha imitata così felicemente la magnificenza de' bei tempii della
Italia. Perfino il superbo Luigi non ha lasciata alla posterità
opera alcuna che possa agguagliarsi alla chiesa di San Paolo. Ma
alla fine del regno di Carlo II, non v'era un solo pittore o
scultore inglese di cui oggidì si ricordi il nome. Tale sterilità ha
un certo che di mistero; perocchè i dipintori e gli scultori non
erano punto tenuti in dispregio o male rimunerati. La loro posizione
sociale era, per lo meno, alta come ai dì nostri. I loro guadagni,
in proporzione dell'opulenza del paese, e del modo onde venivano
rimunerati gli altri lavori intellettuali, erano anche maggiori di
quel che siano ai tempi presenti. La generosa protezione che
accordavasi agli artisti, gli attirava a schiere ai nostri lidi.
Lely, che ci ha conservati i bei ricci, le labbra tumide e i
languidi occhi delle fragili beltà celebrate da Hamilton, era nativo
di Westfalia. Era morto nel 1680, dopo una lunga e splendida vita,
dopo d'avere ricevuto il titolo di cavaliere, ed ammassato con
l'arte sua un buon patrimonio. La sua bella collezione di disegni e
di pitture, dopo la sua morte, fu esposta, col permesso del Re,
nella sala da pranzo in Whitehall, e venduta all'asta per la quasi
incredibile somma di ventisei mila lire sterline: somma che sta in
maggior proporzione al patrimonio de' ricchi uomini di quel tempo,
di quello che sarebbero cento mila sterline a' mezzi de' ricchi del
nostro(245). A Lely successe il suo concittadino Goffredo Kneller,
il quale fu fatto prima cavaliere e poi baronetto; e dopo d'essere
splendidamente vissuto, e aver perduta molta pecunia in mal
fortunate speculazioni, potè tuttavia lasciare alla propria famiglia
un gran patrimonio. I due Vandeveldes, olandesi, erano stati
persuasi dalla liberalità inglese a stabilirsi fra noi, dove avevano
dipinto i più bei quadri di marina del mondo. Simone Varelst, altro
artefice olandese, dipinse leggiadri girasoli e tulipani, a prezzi
fino allora non conosciuti. Il napolitano Verrio, effigiava sulle
volte e per le scale Gorgoni, Muse, Ninfe, Satiri, Virtù, Vizii,
Numi che libano il nettare, e Trionfi di principi. L'entrata ch'egli
accumulò col frutto delle sue opere, lo pose in condizione tale, che
la sua mensa era delle più sontuose. Per le sole pitture da lui
eseguite a Windsor, ebbe sette mila lire sterline; somma che in
allora era bastevole a satisfare i moderati desiderii d'un
gentiluomo, ed eccedeva di molto quella che Dryden in quarant'anni
di lavori letterarii ottenne da' librai(246). Luigi Laguerre,
principale aiuto e successore di Verrio, venne dalla Francia. I due
più celebri scultori di que' tempi erano anche stranieri. Cibber, i
cui patetici emblemi del Furore e della Malinconia adornano Bedlam,
era danese. Gibbons, alla graziosa fantasia e al tocco delicato del
quale molti de' nostri palazzi, collegi e chiese, devono i loro più
leggiadri lavori d'ornato, era olandese. Anche i disegni delle
monete erano eseguiti da incisori francesi. A dir vero, fino al
regno di Giorgio II, la patria nostra non potè gloriarsi d'un grande
pittore; e Giorgio III era già sul trono, innanzi ch'essa potesse
andare altera d'alcuno egregio scultore.
Siamo al punto in cui termina la descrizione che siamo venuti
facendo della Inghilterra, mentre era governata da Carlo II.
Nulladimeno, ci rimane a toccare d'una cosa di grave momento. Non
abbiamo finora fatto parola della gran massa del popolo; di coloro,
cioè, che intendevano allo aratro, curavano i buoi, sudavano sopra i
telai di Norwich, e squadravano le pietre di Portland per il tempio
di San Paolo. Nè possiamo lungamente favellarne. La classe più
numerosa è precisamente quella intorno alla quale ci rimangono
scarsissime notizie. In que' tempi, i filantropi non consideravano
come debito sacro, nè i demagoghi come lucroso traffico, l'occuparsi
delle sciagure dell'operaio. La istoria era sì affaccendata con le
corti e coi campi di battaglia, da non serbare una sola pagina al
tugurio del contadino, o alla botteguccia del manuale. La stampa
adesso in un sol giorno, discute e declama intorno alle condizioni
dell'operaio con più abbondanza di quanto ne fu pubblicato ne'
ventotto anni che corsero dalla Restaurazione alla Rivoluzione. Ma
errerebbe grandemente chi dallo accrescersi de' reclami, inferisse
essersi accresciuta la miseria.
LI. Il gran criterio della condizione del popolo basso, sta nel
salario ond'è rimeritato il lavoro; e poichè quattro quinti del
popolo, nel diciassettesimo secolo, erano addetti all'agricoltura,
importa sopra tutto indagare qual fosse la paga dell'operaio nella
industria agricola. Intorno a ciò abbiamo i mezzi di giungere a
conclusioni bastevolmente esatte pel nostro proposito.
Sir Guglielmo Petty, la cui semplice asserzione è di gran peso,
c'insegna che non erano punto cattive le condizioni d'un lavorante
qualora per una giornata di lavoro ricevesse quattro soldi col cibo,
e otto senza. Quattro scellini la settimana, quindi, erano, secondo
il calcolo di Petty, una buona paga per la gente agricola(247).
Che siffatto calcolo non fosse discosto dal vero, abbiamo prove in
gran copia. Verso il principio del 1685, i Giudici della Contea di
Warwick, nello esercizio d'una potestà affidata loro da un decreto
d'Elisabetta, stabilirono, nelle loro sessioni trimestrali, un
regolamento di paghe per la Contea, e notificarono che ciascun
padrone che pagasse, e ciascuno operaio che ricevesse più della
somma decretata, sarebbero puniti. Il salario dell'operaio
agricolo(248) ordinario da Marzo a Settembre, era precisamente lo
stesso notato da Petty; val quanto dire, quattro scellini per
settimana, senza cibo. Da Settembre a Marzo era di tre scellini e
sei soldi(249).
Ma in quel secolo, siccome nel nostro, i guadagni del contadino
differivano assai nelle differenti parti del Regno. Il salario nella
Contea di Warwick rispondeva probabilmente alla media proporzionale,
e nelle Contee verso il confine della Scozia era minore; ma v'erano
distretti più favoriti. Nel medesimo anno 1685, un gentiluomo di
Devonshire, di nome Riccardo Dunning, pubblicò un opuscolo, nel
quale descrisse la condizione de' poveri di quella Contea. Ch'egli
intendesse bene la materia, non è possibile dubitare; imperocchè,
pochi mesi dopo, l'opuscolo venne ristampato, e dai magistrati
ragunati in Exeter nelle sessioni trimestrali fortemente
raccomandato all'attenzione di tutti gli ufficiali delle parrocchie.
Secondo lui, il salario del contadino della predetta Contea, era,
senza il cibo, circa cinque scellini per settimana(250).
Anche migliore era la condizione del lavorante nelle vicinanze di
Bury Saint Edmond. I magistrati di Suffolk adunaronsi quivi, nella
primavera del 1682, per fissare la rata del salario; e deliberarono
che, quando all'operaio non fosse dato da mangiare, riceverebbe
cinque scellini per settimana in tempo di verno, e sei
d'estate(251).
Nel 1661, i giudici in Chelmsford avevano stabilito che il salario
dell'operaio d'Essex, senza cibo, fosse di sei scellini in inverno,
e di sette in estate. E questa pare che fosse la paga maggiore con
che si retribuisse nel Regno il lavoro degli agricoltori, nel
periodo di tempo che corse dalla Restaurazione alla Rivoluzione: ed
è da notarsi, che nell'anno in cui fu fatta cotesta provvisione, le
cose necessarie alla vita erano oltremodo care. Il grano costava
settanta scellini il sacco; prezzo che anche oggi verrebbe
considerato quasi da tempi di carestia(252).
Questi fatti perfettamente concordano con un altro che sembra
meritevole d'essere considerato. Ella è cosa evidente che in un
paese dove niuno può essere costretto a farsi soldato, le file
dell'armata non potrebbero riempirsi, se il Governo desse paga molto
minore del salario che riceve un operaio rurale. Oggidì la paga d'un
soldato comune, in un reggimento di linea, è di sette scellini e
sette soldi per settimana. Tale stipendio, congiunto con la speranza
d'una pensione, non attira in numero sufficiente(253) i giovani
inglesi; ed è necessario di supplire al difetto arrolando le più
povere genti di Munster e di Connaught. La paga di un soldato comune
di fanteria, nel 1685, era di quattro scellini e otto soldi per
settimana; e nondimeno, è certo che il Governo in quell'anno non
incontrò difficoltà nessuna a raccogliere, poco tempo dopo
l'annunzio, molte migliaia di reclute inglesi. La paga d'un soldato
comune di fanteria nell'esercito della Repubblica era stata sette
scellini per settimana; vale a dire, pari a quella d'un caporale
sotto Carlo II(254): e sette scellini per settimana s'erano trovati
bastevoli a riempire le file d'uomini manifestamente superiori alla
generalità del popolo. E però, nello insieme, e' pare ragionevole
conchiudere, che nel regno di Carlo II, la paga ordinaria del
contadino non eccedesse quattro scellini per settimana; ma che in
talune parti del reame fosse di cinque scellini, di sei scellini, e
nei mesi estivi anche di sette scellini. Ai giorni nostri, un
distretto dove un lavorante guadagni sette scellini per settimana,
si reputa in condizioni tristissime. La media proporzionale è assai
maggiore; e nelle Contee prospere, la paga settimanale degli
agricoltori ascende a dodici, quattordici, ed anche sedici scellini.
LII. La rimunerazione degli operai impiegati nelle manifatture, è
stata sempre maggiore di quella de' lavoratori della terra.
Nell'anno 1680, un membro della Camera de' Comuni notò come le
grosse paghe che si davano in Inghilterra, rendessero impossibile la
concorrenza de' nostri tessuti coi prodotti de' telai indiani. Un
mestierante inglese, invece di tormentarsi al pari d'un uomo di
Bengal per una moneta di rame, voleva uno scellino per giorno(255).
Esiste un'altra testimonianza che prova, uno scellino per giorno
essere stata la paga la quale un manifattore inglese allora si
credesse in diritto di chiedere: ma spesso era costretto di lavorare
a minor prezzo. La plebe di quell'età non aveva costume di radunarsi
per discutere, udire arringhe, o far petizioni al Parlamento. Non
v'era giornale che perorasse la causa di quella. Manifestava in
rozze rime l'amore, l'odio, l'esultanza, la sciagura. Gran parte
della sua storia può solo impararsi nelle ballate. Una delle più
notabili poesie popolari che nel tempo di Carlo II cantavasi per le
vie di Norwich e di Leeds, può tuttavia leggersi nel suo originale.
È il grido veemente ed acre del lavoro contro il capitale. Descrive
il vecchio buon tempo, allorquando ogni artigiano impiegato
nell'opera della lana viveva al pari d'un fattore. Ma quel tempo era
passato; e un povero uomo rompendosi per un intero giorno le braccia
al telaio, poteva guadagnare solo sei soldi; e muovendo lamento di
non poter vivere con sì misera paga, gli veniva risposto ch'era
libero di prenderla o lasciarla. Per una così magra ricompensa, i
produttori della ricchezza erano costretti ad affannarsi, alzandosi
presto e coricandosi tardi; mentre il padrone, mangiando, bevendo ed
oziando, arricchivasi con le fatiche loro. Uno scellino per giorno -
dice il poeta - sarebbe la paga del tessitore, se gli fosse resa
giustizia(256). Ci è dato quindi concludere, che negli anni che
precessero la Rivoluzione, un lavorante impiegato nelle grandi
manifatture d'Inghilterra, si reputasse bene pagato guadagnando sei
scellini per settimana.
LIII. Potrebbe in questo luogo notarsi, che il costume di porre i
fanciulli a lavorare innanzi tempo (costume che lo Stato, legittimo
protettore di coloro che non possono proteggersi da sè, ha con
saggezza ed umanità ai tempi nostri inibito), prevaleva tanto nel
diciassettesimo secolo, che, paragonato alla estensione del sistema
delle manifatture, parrebbe incredibile. In Norwich, sede principale
del traffico de' lanificii, una creaturina di sei anni stimavasi
atta a lavorare. Vari scrittori di quel tempo, fra' quali alcuni che
avevano fama di eminentemente benevoli, ricordano esultando come in
quella sola città i fanciulli e le fanciulle di tenerissima età
creassero una ricchezza che sorpassava di dodicimila lire sterline
l'anno quella che era necessaria alla loro sussistenza(257). Quanta
più cura poniamo ad esaminare la storia del passato, tanta più
ragione troveremo di discordare da coloro che pensano, l'età nostra
avere prodotti nuovi mali sociali. Vero è che i mali sono di vecchia
data. Ciò che è nuovo, è la intelligenza che gli discerne e la
umanità che vi pone rimedio.
LIV. Passando da' tessitori di panno a una specie diversa
d'artigiani, le nostre ricerche ci condurranno a conclusioni
pressochè simili. Per varie generazioni, i Commissarii dello Spedale
di Greenwich hanno tenuto il registro delle paghe date a diverse
classi di operai impiegati a riattare quell'edificio. Da questo
pregevole documento raccogliesi, che nel corso di cento venti anni,
il salario giornaliero de' muratori si è elevato da mezzo scudo a
quattro e soldi dieci, quello del maestro da mezzo scudo a cinque e
soldi tre, quello del legnaiuolo da mezzo scudo a cinque e soldi
cinque, e quello del piombaio da tre scellini a cinque e soldi sei.
Per lo che, e' sembra chiaro che la mercede del lavoro, estimata in
danaro, nel 1685, non era più della metà di quel che è adesso; e
poche erano le cose importanti per un lavorante, il prezzo delle
quali, nel 1685, non fosse più della metà di quello che è adesso. La
birra, senza dubbio, era a minor prezzo allora che oggi. La carne
era anche a più buon prezzo; ma tuttavia costava tanto, che
centinaia di migliaia di famiglie appena ne conoscevano il
sapore(258). Il costo del frumento ha variato pochissimo. Il prezzo
medio del sacco, negli ultimi dodici anni del regno di Carlo II, era
di cinquanta scellini. Il pane, quindi, simile a quello che ora si
dà agli ospiti della casa di lavoro, di rado vedevasi allora anche
sur desco di un piccolo possidente o d'un padrone di bottega. La
maggior parte della nazione cibavasi di segala, d'orzo e di avena.
I prodotti de' paesi del tropico, delle miniere, delle macchine,
erano positivamente più cari che oggi non sono. Fra le cose che il
lavorante, nel 1685, pagava più care di quel che i posteri suoi le
paghino nel 1848, erano lo zucchero, il sale, il carbone, le
candele, il sapone, le scarpe, le calze, e generalmente le cose
pertinenti al vestiario e gli arnesi da letto. Potrebbe aggiungersi
che gli abiti e le coltri di que' tempi, non solo erano più costosi,
ma meno servibili di quelli che usano ai giorni nostri.
LV. È mestieri ricordare come que' lavoranti, che bastavano a
mantenere col proprio salario sè e le famiglie loro, non fossero le
persone più bisognose del popolo. Al di sotto di loro stava una
numerosa classe che non poteva sussistere senza qualche soccorso
della parrocchia. Non può esservi migliore argomento a provare le
condizioni in cui trovasi la plebe, della proporzione in cui essa
sta verso la società intera. Oggimai gli uomini, le donne, i bambini
che ricevono sussidii, da quel che pare dalle liste officiali, sono
nelle cattive annate la decima parte degli abitanti d'Inghilterra, e
nelle buone la tredicesima. Gregorio King li estimava ne' suoi tempi
a più d'una quinta parte; e tale computo, che, con tutta la
venerazione per l'autorità sua, potremmo chiamare esagerato, fu
reputato da Davenant essere singolarmente giudizioso.
Per avventura, non ci mancano affatto i mezzi di giudicare da noi.
La tassa pei poveri era indubitabilmente quella della quale i nostri
antenati sentissero maggiore gravezza. Sotto Carlo II, veniva
stimata a circa sette cento mila sterline l'anno; vale a dire molto
più che il prodotto della così detta excise o delle dogane, e poco
meno di mezza la intera rendita della Corona. La tassa pei poveri
andò rapidamente crescendo, e sembra che fosse in breve tempo
pervenuta ad una somma tra otto e nove cento mila sterline l'anno;
val quanto dire, ad un sesto di ciò che è adesso. La popolazione in
allora era meno d'un terzo di quello che è ai giorni nostri. Il
minimo de' salari che allora si davano, calcolato in danaro, era la
metà di quel che oggi si paga; e quindi mal possiamo supporre che il
sussidio largito ad un povero fosse più della metà di quello che è
adesso. E' pare perciò si possa dedurre, che la proporzione delle
persone che in que' tempi ricevevano sussidii dalle parrocchie,
fosse maggiore di quello che sia nei nostri. È bene in somiglianti
quistioni parlare con diffidenza; ma certamente non è stato finora
provato che il pauperismo fosse negli ultimi venticinque anni del
secolo diciassettesimo un minor carico o un male sociale meno serio
di quello che sia nel tempo presente(259).
Da un lato, è mestieri ammettere che il progresso della civiltà ha
scemati i comodi fisici d'una parte delle classi più povere. È stato
già notato come, avanti la Rivoluzione, molte migliaia di miglia
quadrate di terra, adesso chiusa e coltivata, erano pantani, foreste
e scopeti. Di cotesti terreni selvaggi molta parte, per virtù della
legge, era comune; e molta di quelli che non erano comuni per legge,
valeva sì poco, che i proprietari la lasciavano essere comune di
fatto. Ivi i fuggiaschi e i trasgressori si tollerava che stessero
in modo affatto ignoto al dì d'oggi. Il contadino che vi abitava,
poteva di quando in quando, con poca e nessuna spesa, aggiungere
qualche cosa al suo scarso alimento, e provvedersi di combustibili
per l'inverno. Teneva un branco d'oche là dove adesso sorgono
giardini e pometi. Tendeva reti alle galline selvatiche sul padule,
che dappoi è stato seccato, e partito in campi da grano e da rape.
Tagliava frasche là dove ora vedonsi prati verdeggianti di
trifoglio, e rinomati per il burro e il cacio. Il progresso
dell'agricoltura e lo accrescimento della popolazione
necessariamente lo privarono di cotesti privilegi. Ma di fronte a
siffatti mali è da porsi una lunga serie di beni.
LVI. De' beni che la civiltà e la filosofia conducono seco, gran
parte è comune a tutte le classi; ed ove si perdessero, verrebbero
deplorati sì dall'operaio come dal magnate. Il contadino che adesso
in un'ora può giungere col suo baroccio al mercato, cento sessanta
anni addietro vi consumava un giorno intero. La strada che ora
appresta all'artigiano, per tutta la notte, un passeggio sicuro,
conveniente ed illuminato, cento sessanta anni fa, era così buia
dopo il tramonto del sole, da non lasciargli discernere la propria
mano; così male lastricata, da porlo in continuo rischio di rompersi
il collo; e così mal sorvegliata, da metterlo in imminente pericolo
d'essere stramazzato giù, e spogliato del suo poco guadagno. Ogni
muratore che cada giù da un ponte, ogni spazzaturaio che in una
strada traversa sia calpestato da una carrozza, adesso può farsi
medicare le ferite e rimettere al loro posto le rotte membra, con
un'arte che cento sessanta anni addietro un Lord come Ormond, ed un
negoziante principesco come Clayton, con tutte le loro ricchezze,
non avrebbero potuto ottenere. La scienza ha sradicate alcune
terribili malattie; altre ne ha bandite la polizia. La vita
dell'uomo è diventata più lunga in tutto il Regno, e in ispecie
nelle città. L'anno 1685 non è notato come pieno di malattie; e
nondimeno, in quell'anno morì uno in ogni ventitrè abitanti della
metropoli(260); mentre nel nostro tempo ne muore uno in ogni
quaranta. La differenza di salubrità tra Londra del secolo
decimonono e quella del diciassettesimo, è molto maggiore della
differenza tra Londra in tempi ordinari, e Londra in tempi di
cholera.
È anche più importante il beneficio che tutte le classi sociali, e
segnatamente le basse, hanno ricavato dalla mitigatrice influenza
della civiltà sull'indole nazionale. Il fondamento di tale indole, a
dir vero, è stato il medesimo per molte generazioni, nel senso in
cui il fondamento dell'indole d'un individuo si considera come lo
stesso quando egli è rozzo e spensierato scolare, e quando diventa
uomo culto e compito. Reca diletto pensare che il pubblico sentire
in Inghilterra si è raddolcito così come la intelligenza è venuta
maturando, e che nel corso de' tempi siamo diventati un popolo non
solo più saggio, ma più gentile. Quasi non v'è pagina di storia o
d'amena letteratura del secolo decimosettimo, che non provi in
qualche modo i nostri antenati essere stati meno umani de' loro
posteri. La disciplina delle botteghe, delle scuole, delle famiglie
private, quantunque non fosse più efficace di quel che sia ai giorni
presenti, era infinitamente più dura. I padroni nati e educati bene
avevano costume di battere i loro servi. I pedagoghi altra via non
conoscevano d'insegnare, che quella di sferzare i loro scolari. I
mariti di decente posizione sociale non arrossivano di bastonare le
loro mogli. Le fazioni procedevano talmente implacabili, da non
potersi immaginare. I Whig mormorarono perchè Stafford era morto
senza vedersi bruciare gl'intestini sul viso. I Tory ingiuriarono ed
insultarono Russell, mentre dalla Torre era condotto al patibolo in
Lincoln's Inn Fields(261). Egualmente cruda mostravasi la plebe
contro i disgraziati delle classi più basse. Se un colpevole era
posto alla berlina, poteva chiamarsi fortunato, ove gli venisse
fatto d'uscir vivo dalla pioggia de' sassi che gli lanciavano
contro(262). Se veniva legato alla coda di un cavallo, la folla lo
premeva d'attorno, pregando il carnefice a volerlo flagellar bene e
farlo urlare(263). I gentiluomini facevano gite di sollazzo a
Bridewell ne' giorni di tribunale, a fine di vedere fustigare le
povere battitrici di canapa(264). Un uomo trascinato a morte per
aver ricusato di chiedere scusa, una donna arsa viva per aver
coniato moneta, svegliavano minore commiserazione di quella che ora
si prova al veder tormentare un cavallo o un bue. Certi
combattimenti, in paragone de' quali un'accanita lotta a pugni si
reputerebbe un mite spettacolo, erano fra gli squisiti diletti di
gran parte de' cittadini. La gente affollavasi a mirare i gladiatori
farsi in brani con armi micidiali, ed appena vedeva schizzare un
dito o un occhio ad alcuno de' combattenti, mandava gridi di gioia.
Le prigioni erano bolgie infernali sopra la terra, vivai d'ogni
delitto e d'ogni infermità. Nei tribunali, gli scarni e pallidi
delinquenti portavano seco dalle loro celle un'atmosfera di puzzo
pestilenziale, che talvolta li vendicava del seggio, degli avvocati
e de' giurati. E a tanta miseria la società guardava con profonda
indifferenza. In nessun luogo era da trovarsi quella sensitiva e
irrequieta compassione che ai tempi nostri potentemente protegge
fino il ragazzo della fattoria, la vedova indiana, lo schiavo negro;
che penetra nelle provvisioni di ogni nave carica d'emigranti; che
raccapriccia ad ogni staffilata che piombi sulle spalle d'un soldato
briaco; che non patirebbe che il ladro alle galere fosse nutrito
male o sopraccarico di lavoro, e che più volte si è studiata di
salvare la vita anche allo assassino. Egli è vero che la
compassione, al pari d'ogni altro sentimento, dovrebbe essere
governata dalla ragione, e che per difetto di ciò, ha prodotto
effetti talvolta ridicoli e tal'altra deplorabili. Ma più ci
facciamo a meditare sulla storia del passato, e più abbiamo
argomento di rallegrarci di vivere in una età di commiserazione, che
aborre dalla crudeltà, e con ripugnanza, e solo spinta dal senso del
dovere, infligge la pena anche meritata. E davvero, ad ogni classe
cotesto grande mutamento morale ha recata immensa utilità; ma la
classe che ci ha più guadagnato, è la più povera, dipendente e priva
di difesa.
LVII. Lo effetto generale de' fatti che ho esposti ai lettori,
sembra non dovere ammettere dubbio veruno. Pure, non ostante la
evidenza di quelli, molti immaginano tuttavia che la Inghilterra
degli Stuardi fosse un paese più piacevole che quella de' tempi
nostri. A prima vista, parrebbe strano che la società, mentre è
venuta di continuo e con ispeditezza avanzando nella via del
progresso, dovesse con amaro desio volger gli occhi al passato. Ma
coteste due tendenze, per quanto appariscano incompatibili, possono
agevolmente risolversi nel medesimo principio. Entrambe nascono
dalla impazienza di trovarci nelle condizioni in cui siamo. Tale
impazienza, mentre ci incita a sorpassare le generazioni precedenti,
ci rende inchinevoli a porre più in alto la felicità loro. In certo
senso, ella è irragionevolezza e ingratitudine in noi l'essere
perpetuamente scontenti d'una condizione di cose che perpetuamente
va facendosi migliore. Ma, per vero dire, questo medesimo scontento
è quello che ci spinge verso il meglio. Se fossimo appieno
satisfatti del presente, cesseremmo di speculare, d'affaticarci e di
conservare, coll'occhio vôlto verso il futuro. Ed è quindi naturale
che noi, non contenti delle cose presenti, apprezziamo
soverchiamente le passate.
In verità, siamo nel medesimo inganno che abbaglia la mente del
viandante nell'arabo deserto. Sotto i piedi della caravana il suolo
è arido e nudo; ma sì avanti che dietro si presenta la immagine
delle fresche acque. I pellegrini affrettano il passo avanti, e non
trovano altro che sabbia dove, un'ora prima, avevano veduto un lago.
Volgono gli occhi addietro, e vedono un lago dove un'ora prima
procedevano affannosi traverso alla sabbia. E' sembra che una
simigliante illusione tormenti le nazioni per ogni stadio del lungo
progresso che compiono, dalla povertà e barbarie, alla civiltà ed
opulenza. Ma se ci facciamo a cercare tenacemente quella mêta nel
passato, la vediamo recedere fino nelle favolose regioni
dell'antichità. Regna adesso la voga di porre la età d'oro della
Inghilterra in tempi nei quali i nobili erano privi di que' comodi
il cui difetto parrebbe insopportabile ad un servitore; nei quali i
fattori, e i padroni di botteghe mangiavano a colazione pagnotte
tali, che basterebbe il solo vederle per far nascere una ribellione
fra i mendicanti nella casa di lavoro; ne' quali gli uomini, viventi
nell'aria più pura della campagna, morivano più presto di quello che
oggidì non accade ne' chiassuoli più pestilenziali delle nostre
città, ed essi morivano più presto ne' chiassuoli delle nostre città
che ora nelle coste della Guiana. Anche a noi toccherà d'esser vinti
nel progresso, ed essere invidiati. Potrebbe ben darsi che nel
secolo ventesimo, il contadino della Contea di Dorset, si reputasse
miseramente pagato con quindici scellini per settimana; che il
legnaiuolo di Greenwich guadagnasse dieci scellini per giorno; che i
lavoranti si avvezzassero così poco a desinare senza carni, come
adesso sono assuefatti a cibarsi di pane di segala; che la polizia
sanitaria e i trovati medici allungassero di alcuni anni la vita
ordinaria dell'uomo; che a gran copia di comodi e di cose di lusso,
che adesso sono sconosciuti, o accessibili a pochi, potesse giungere
ogni diligente ed economo operaio. E non ostante, potrebbe allora
sorgere la moda d'asserire, che lo augumento della ricchezza e il
progresso della scienza siano stati utili ai pochi a danno dei
molti, e di parlare del regno della Regina Vittoria come del tempo
in cui l'isola nostra era la briosa Inghilterra, allorquando tutte
le classi erano vincolate da un sentimento fraterno, e il ricco non
ghignava sul viso del povero, e il povero non invidiava le
splendidezze del ricco.
CAPITOLO QUARTO.
SOMMARIO.
I. Morte di(265) Carlo II. - II. Sospetti di veleno. - III. Discorso
di Giacomo II dinanzi il Consiglio Privato. - IV. Giacomo proclamato
Re. - V. Condizioni del Governo. - VI. Nuovi Ordinamenti. - VII. Sir
Giorgio Jeffreys. - VIII. Esazione della rendita senza un Atto del
Parlamento. - IX. Convocazione del Parlamento - X. Trattative tra
Giacomo e il Re di Francia. - XI. Churchill è mandato ambasciatore
in Francia; sua storia. - XII. Sentimenti de' governi continentali
verso l'Inghilterra. - XIII. Politica della Corte di Roma. - XIV.
Lotta nella mente di Giacomo; ondeggiamenti della sua politica. -
XV. I riti cattolici romani si celebrano pubblicamente in Palazzo. -
XVI. Incoronazione di Giacomo. - XVII. Entusiasmo degl'indirizzi de'
Tory. - XVIII. Elezioni. - XIX. Processo contro Oates. - XX. Contro
Dangerfield - XXI. Contro Baxter. - XXII. Ragunanza del Parlamento
di Scozia. - XXIII. Sentimenti di Giacomo verso i Puritani. - XXIV.
Crudeltà contro i Convenzionali Scozzesi. - XXV. Sentimenti di
Giacomo verso i Quacqueri. - XXVI. Guglielmo Penn. - XXVII. Favore
peculiare mostrato ai Cattolici Romani e ai Quacqueri. - XXVIII.
Ragunanza del Parlamento Inglese; Trevor eletto Presidente. - XXIX.
Carattere di Seymour. - XXX. Discorso del Re innanzi al Parlamento.
- XXXI. Discussione nella Camera de' Comuni; Discorso di Seymour. -
XXXII. Votazione della rendita. - XXXIII. Procedimenti della Camera
de' Comuni rispetto alla religione. - XXXIV. Votazione di tasse
addizionali; Sir Dudley North. - XXXV. Procedimenti della Camera de'
Lordi. - XXXVI. Legge per annullare la sentenza d'infamia contro
Stafford.
I. La morte di re Carlo II giunse di sorpresa alla nazione. La sua
tempra era naturalmente vigorosa, e non sembrava d'avere sofferto
per istemperatezze. Era stato sempre studioso della propria salute
anche ne' sensuali diletti; e le sue abitudini erano tali, da
promettergli lunga la vita e robusta la vecchiaia. Indolente come
egli era in tutte le cose che richiedessero tensione di mente,
mostravasi attivo e perseverante negli esercizi del corpo. In
gioventù aveva acquistata rinomanza nel giuoco della
pallacorda(266); e declinanti gli anni, aveva seguitato ad essere un
camminatore instancabile. Il suo passo ordinario era tale, che
coloro i quali erano ammessi all'onore della sua compagnia,
trovavano difficile uguagliarlo. Alzavasi presto da letto, e
generalmente passava tre o quattro ore del giorno all'aria aperta.
Innanzi che il Parco di San Giacomo fosse asciutto della rugiada,
Carlo vedevasi errare fra gli alberi, giuocare coi suoi bracchi, e
gettare grano alle anitre; le quali cose lo rendevano caro al popolo
basso, che ama sempre di vedere i grandi rallentare dal loro
consueto sussiego(267).
Finalmente, in sul finire del 1684, un leggiero accesso che
credevasi di gotta, lo impedì dal suo consueto girovagare. Si pose
quindi a passare le mattinate nel suo laboratorio, dove sollazzavasi
facendo esperimenti intorno alle proprietà del mercurio. Parve che
la sua tempra soffrisse dallo starsi confinato in casa. Non aveva
cagione apparente d'inquietudine. Il Regno era tranquillo; lui non
istringeva bisogno di pecunia; egli era assai più potente di quello
che fosse mai stato; il partito che lo aveva per tanto tempo
avversato, era vinto: ma il lieto umore onde egli erasi sostenuto
contro l'avversa fortuna, era sparito nei dì della prospera. La
minima inezia adesso bastava ad opprimere quello spirito elastico,
che aveva resistito alla sconfitta, allo esilio ed alla penuria. La
irritazione dell'animo spesso in lui si mostrava in tali sguardi e
parole, che non si sarebbero aspettati da un uomo così predistinto
per allegro umore e squisita educazione. Nulladimeno, nessuno
pensava che la salute di lui fosse gravemente danneggiata(268).
Il suo palagio rade volte aveva presentato un aspetto più gaio e
scandaloso, di quello che offriva nella sera della domenica del dì
primo febbraio 1685(269). Taluni uomini gravi che v'erano andati,
secondo il costume di quella età, a complire il loro sovrano,
aspettandosi che in un tanto giorno la sua Corte serbasse un decente
contegno, rimasero attoniti e compresi d'orrore. La gran galleria di
Whitehall, ammirevole reliquia della magnificenza de' Tudor, era
affollata di libertini e di giuocatori. Il Re sedeva lì ciarlando e
trastullandosi con tre donne, la cui beltà formava il vanto, e i cui
vizi la infamia di tre nazioni. Eravi Barbara Palmer Duchessa di
Cleveland, la quale, non più giovane, serbava tuttavia i vestigi di
quella suprema e voluttuosa amabilità, che venti anni innanzi aveva
vinti tutti i cuori. Eravi parimente la Duchessa di Portsmouth, i
cui dolci e fanciulleschi sembianti erano animati dalla vivacità
propria delle Francesi. Ortensia Mancini, Duchessa di Mazzarino e
nipote del gran Cardinale, compiva il gruppo. Costei, dalla nativa
Italia, era passata alla Corte dove il suo zio imperava da sovrano.
Il potere di lui e le proprie attrattive, le avevano richiamato
d'intorno una folla d'illustri vagheggiatori. Lo stesso Carlo,
mentre era esule, ne aveva indarno chiesta la mano. Non v'era dono
di natura o di fortuna che paresse mancarle. Aveva splendente il
viso della beltà de' climi meridionali, pronto lo intendimento,
graziosi i modi, alto il grado, copiose le ricchezze; doni insigni
che le sue irrefrenate passioni avevano reso funesti. Aveva provata
insopportabile la sciagura d'un male augurato matrimonio, era
fuggita dal tetto maritale, aveva abbandonata la sua vasta opulenza,
e dopo d'avere con le proprie avventure reso attonita Roma e il
Piemonte, era venuta a starsi in Inghilterra. La sua casa era il
ritrovo prediletto de' belli spiriti e degli amatori de' piaceri, i
quali per vaghezza de' suoi sorrisi e de' suoi pranzi tolleravano i
frequenti accessi d'insolenza e di cattivo umore, in cui ella spesso
trascorreva. Rochester e Godolphin talora in compagnia di lei
obliavano le cure dello Stato. Barillon e Saint-Evremond trovavano
nelle sue sale conforto alla lunga lontananza da Parigi. La dottrina
di Vossio, lo spirito di Waller, non cessavano mai d'adularla e
divertirla. Ma la sua mente inferma richiedeva stimoli più forti, e
li cercava amoreggiando, giuocando alla bassetta, e inebriandosi di
scubac(270). Mentre Carlo sollazzavasi con le sue tre sultane, il
paggio francese d'Ortensia - bel fanciullo che con gli armonici
suoni della voce dilettava Whitehall, ed era regalato di ricche
vesti e di palafreni e di ghinee - gorgheggiava versi d'amore(271).
Un drappello di venti cortigiani sedeva giuocando a carte attorno
un'ampia tavola, sopra la quale l'oro vedevasi a mucchi(272). Anche
allora il Re disse di non sentirsi bene. A cena non ebbe appetito;
non ebbe posa la notte: ma nel dì susseguente levossi, come era suo
costume, a buon'ora.
Le avverse fazioni del suo Consiglio avevano per varii giorni con
ansietà aspettato quel mattino. La lotta tra Halifax e Rochester
sembrava avvicinarsi ad una crisi decisiva. Halifax, non pago
d'avere cacciato il proprio rivale dal Tesoro, aveva impreso a
mostrarlo reo di tale disonestà o trascuratezza nel governo della
finanza, da farlo punire con la destituzione dai pubblici uffici.
Bisbigliavasi anche che il Lord Presidente verrebbe incarcerato
nella Torre. Il Re aveva promesso d'investigare il vero; il dì
secondo di febbraio era il giorno stabilito per tale investigazione;
e parecchi ufficiali della rendita avevano ricevuto comandamento di
presentarsi coi loro libri in quel giorno(273). Ma la fortuna era lì
pronta per volgere la sua ruota.
Carlo era appena sorto da letto, quando i suoi servi s'accorsero che
balbettava, e connetteva poco. Alcuni gentiluomini s'erano recati
alla reggia per vedere, secondo il costume, il loro sovrano farsi la
barba e vestirsi. Egli sforzossi di conversare con loro nel suo
solito modo scherzevole; ma rimasero timorosi ed attoniti al vederlo
sì squallido. Di repente divenne nero nel viso; gli si travolsero
gli occhi; mandò un urlo, traballò e cadde nelle braccia di Tommaso
Lord Bruce, figlio del Conte di Ailesbury. Un medico, che aveva cura
delle storte e de' crogiuoli del Re, per caso si trovò presente; ma
non avendo lancetta, gli aperse con un temperino la vena. Il sangue
uscì libero, ma Carlo rimase privo di sensi.
Lo adagiarono sul letto, dove la Duchessa di Portsmouth per breve
ora stette china sopra lui con la familiarità d'una moglie. Ma lo
spavento si era sparso per tutte le stanze. La Regina e la Duchessa
di York corsero frettolose alla camera. Alla concubina prediletta fu
forza ritrarsi al proprio quartiere; il quale dal suo regio amante
era stato tre volte disfatto e rifatto, per appagare i capricci di
lei. Gli arnesi del camino(274) erano d'argento massiccio. Varii bei
dipinti, che propriamente appartenevano alla Regina, erano stati
trasferiti alle stanze della concubina. Le tavole erano ripiene di
argenterie riccamente lavorate. Nelle nicchie vedevansi scrigni,
capolavori dell'arte giapponese. Sulle cortine, uscite pur allora
da' telai di Parigi, erano dipinti con colori, di cui nessuna
tappezzeria inglese poteva sostenere il paragone, uccelli adorni di
magnifiche penne, paesi, cacce, la terrazza principesca di
Saint-Germain, le statue e le fontane di Versailles(275). Fra mezzo
a tanta splendidezza, compra con la colpa e la vergogna, la infelice
donna si abbandonò ad una agonia di dolore, il quale, per renderle
giustizia, non era al tutto egoistico.
Allora le porte di Whitehall, che d'ordinario stavano aperte a tutti
gli accorrenti, furono chiuse; sebbene fosse tuttavia dato lo
ingresso a coloro i cui visi erano cogniti. Le anticamere e le
gallerie tosto furono affollate di gente; ed anche la camera dello
infermo era piena di Pari, di Consiglieri Privati e di Ministri
stranieri. Tutti i più rinomati medici di Londra furono chiamati a
Palazzo. E potevano tanto i rancori politici, che la presenza di
alcuni medici Whig fu considerata come cosa straordinaria(276). Un
cattolico romano, altamente famoso per la perizia dell'arte sua,
voglio dire il Dottore Tommaso Short, assisteva il Re. Si conservano
tuttavia parecchie ricette. Una di esse è firmata da quattordici
dottori. Allo infermo fu cavato sangue in gran copia; alla sua testa
fu applicato un ferro caldo. Gl'introdussero a forza in bocca certo
sale volatile disgustoso, estratto da teschi umani. Il Re risensò;
ma rimase in presentissimo pericolo di vita.
La Regina per qualche tempo lo assistè di continuo. Il Duca di York
non si scostò mai dal letto del fratello. Il Primate ed altri
quattro vescovi, trovandosi allora in Londra, rimanevano a Whitehall
tutto il giorno, e ad uno per volta vigilavano tutta notte nella
camera del Re. La nuova della sua infermità riempì la metropoli di
dolore e di sgomento; imperocchè Carlo, per la sua indole tranquilla
e i suoi modi affabili, erasi acquistato lo affetto della maggior
parte della nazione; e coloro che più non l'amavano, preferivano la
sua leggerezza alla severa e grave bacchettoneria del fratello.
Nella mattina del giovedì 5 di febbraio, la Gazzetta di Londra
annunzio che Sua Maestà procedeva di bene in meglio, sì che i medici
lo credevano fuori di pericolo. Le campane di tutte le chiese
suonarono a festa; e si facevano per le vie apparecchi di fuochi
artificiali. Ma verso sera si seppe il Re essere ricaduto, e i
medici avere perduta ogni speranza di salvarlo. Il pubblico ne
rimase grandemente contristato; ma non v'era indizio di tumulto. Il
Duca di York, il quale erasi assunto il carico di dare ordini, si
assicurò che nella Città era perfetta quiete, e ch'egli, appena
spirato il fratello, poteva senza difficoltà essere proclamato Re.
Carlo soffriva estremamente, e diceva di sentirsi bruciare dentro
come da un fuoco. Nondimeno sostenne i proprii tormenti con una
fortezza che non pareva compatibile con la sua molle e lussuriosa
natura. Lo spettacolo della sciagura di lui commosse tanto la
moglie, che svenne, e così priva di sensi fu portata alle sue
stanze. I prelati che lo assistevano lo avevano fin da principio
esortato ad apparecchiarsi al gran viaggio. Adesso stimaronsi in
debito di favellargli con più calde parole. Guglielmo Sancroft
Arcivescovo di Canterbury, uomo onesto e pio, quantunque di piccola
mente, gli disse liberamente: "È tempo di parlar chiaro, perocchè
voi siete, o signore, sul punto di comparire avanti ad un Giudice
che non ha rispetto di persone." Il Re non rispose né anche una
parola.
Tommaso Ken, vescovo di Bath e di Wells, allora volle provarsi di
persuaderlo. Era uomo fornito di egregie doti e di dottrina, di
pronta sensibilità e di virtù intemerata. Le sue opere elaborate
sono da lungo tempo cadute nell'oblio: ma i suoi inni mattutini e
vespertini sono tuttora ripetuti quotidianamente da migliaia di
famiglie. Comecchè, al pari della più parte degli uomini della sua
classe, fosse zelante della monarchia, non era punto adulatore.
Innanzi che fosse fatto vescovo, aveva mantenuto l'onore della sua
professione, ricusando, allorquando la Corte stava a Winchester, ad
Eleonora Gwynn l'alloggio nella casa ch'egli occupava come
prebendario(277). Il Re aveva buon senso bastevole a rispettare uno
spirito così fermo, e tra tutti i prelati lo prediligeva.
Nulladimeno, il buon vescovo indarno usava tutta la propria
eloquenza. La sua solenne e patetica esortazione a tal segno
commosse gli astanti, che alcuni di loro lo crederono invaso del
medesimo spirito che nel tempo antico per le labbra di Natan e
d'Elia aveva chiamati i principi peccatori a pentimento. Carlo
nulladimeno non ne fu commosso. Vero è che non fece obiezione
allorchè fu letto l'uffizio per la Visitazione degli infermi. In
risposta alle premurose domande dei teologi, disse d'esser dolente
del male fatto; e lasciò darsi l'assoluzione secondo le forme della
Chiesa Anglicana: ma quando fu stretto a confessare com'ei morisse
nella comunione di quella Chiesa, parve di non prestare ascolto a
ciò che gli veniva detto; e nulla potè indurlo a prendere la
Eucaristia dalle mani de' Vescovi. Gli fu posta dinanzi una tavola
con sopra il vino e il pane, ma indarno. Ora diceva non esservi
mestieri di cotanta fretta, ed ora affermava sentirsi troppo debole.
Molti attribuivano cosiffatta apatia a dispregio delle cose divine,
e molti altri alla stupidezza che spesso precede la morte. Ma in
Palazzo v'erano poche persone che sapevano meglio il vero. Carlo non
era mai stato un sincero credente nella Chiesa stabilita. La sua
mente aveva lungamente ondeggiato tra l'Hobbismo e il Papismo.
Quando sentivasi pieno di salute e libero di spirito, era beffardo.
Nei pochi istanti di serietà era cattolico romano. Il Duca di York
lo sapeva bene, ma era al tutto occupato della cura de' propri
interessi. Aveva ordinato che si chiudessero le porte della reggia,
ed appostate legioni di Guardie in varie parti della Città. Aveva
parimente fatto apporre dalla tremula mano del moribondo Re la firma
ad un atto, per virtù del quale taluni dazi, concessi solo fino alla
morte del sovrano, gli venivano dati per tre anni. Cotali cose
occupavano tanto la mente di Giacomo, che quantunque nelle ordinarie
occasioni egli fosse indiscretamente e irragionevolmente sollecito
di far proseliti alla propria Chiesa, non considerò mai che il
fratello stava in pericolo di morire senza sacramenti. Questa
trascuratezza era più straordinaria, perchè la Duchessa di York, nel
dì in cui Carlo fu preso dal male, aveva, a richiesta della Regina,
suggerito esser convenevole porgergli i conforti spirituali. Di tali
conforti il Re andò debitore in sugli estremi all'opera d'una donna
assai diversa dalla sua pia moglie, e dalla cognata. Una vita di
frivolezza e di vizio non aveva spento in cuore alla Duchessa di
Portsmouth ogni sentimento di religione, o tutta la tenerezza che
forma la gloria del sesso leggiadro. Lo Ambasciatore Francese
Barillon, recatosi a palazzo per sapere le nuove del Re, andò a
visitarla, e la trovò immersa in un disperato dolore. Ella lo
condusse in una secreta stanza, ed aprendogli tutti i secreti del
cuore: "Io ho a palesarvi" gli disse "una cosa gravissima, e tale
che se si sapesse, ce n'anderebbe della mia vita. Il Re è vero
cattolico, ma morirà senza riconciliarsi con la Chiesa. La sua
stanza è piena di ecclesiastici protestanti, nè io posso entrarvi
senza scandalo. Il Duca non pensa ad altro che a sè. Parlategli;
rammentategli che si tratta della salute d'un'anima. Egli è adesso
il signore; egli può far sgomberare la stanza. Correte immantinente,
o sarà troppo tardi."
Barillon corse al letto del moribondo, trasse il Duca da parte e gli
fece il messaggio della concubina. Giacomo si sentì pungere dalla
propria coscienza, si scosse come da sonno, e disse che nulla gli
avrebbe impedito d'adempiere il sacro dovere ch'era stato tanto
ritardato. Formarono diversi disegni, senza abbracciarne(278)
veruno, finchè il Duca comandò alla folla che si scostasse, si fece
presso al letto, e piegando la persona bisbigliò qualche cosa che
non giunse all'orecchio di nessuno degli spettatori, i quali
pensavano che fosse alcuna domanda intorno a faccende di Stato.
Carlo rispose con voce udita da tutti: "Sì, sì, con tutto il mio
cuore." Niuno degli astanti, tranne lo ambasciatore francese,
indovinò che il Re con quelle parole esprimeva il desiderio di
essere ammesso al grembo della chiesa di Roma.
"Debbo condurre un sacerdote?" disse il Duca. "Sì, fratello" rispose
lo infermo; "per amore di Dio, fatelo, e non perdete tempo. Ma no,
ciò vi cagionerà disturbi." - "Mi costi anche la vita," soggiunse il
Duca "farò venire un sacerdote."
Nondimeno, trovare un sacerdote a tale scopo e in un attimo, non era
cosa facile. Imperciocchè, secondo la legge che in allora vigeva,
colui che avesse annesso un proselite al grembo della Chiesa
cattolica romana, era reo di delitto capitale. Il Conte di Castel
Melhor, nobile portoghese, il quale, cacciato per politici disturbi
dalla propria patria, era stato ospitalmente accolto alla Corte
d'Inghilterra, si tolse la cura di trovare un confessore. Corse ai
suoi concittadini che facevano parte della casa della Regina; ma non
trovò alcuno de' cappellani che sapesse tanto d'inglese o di
francese da confessare il Re. Il Duca e Barillon erano sul punto di
mandare dal Ministro Veneto per un sacerdote, allorquando seppero
che trovavasi a caso in Whitehall un monaco benedettino, chiamato
Giovanni Huddleston. Costui, a gran risico della propria vita, aveva
salvata quella del Re dopo la battaglia di Worcester, e per tale
cagione dopo la Restaurazione era stato sempre considerato come
persona privilegiata. Nei più virulenti proclami contro i preti
papisti, allorchè i falsi testimoni avevano reso furibondo il
popolo, Huddleston era stato nominatamente eccettuato(279). Egli
consentì tosto a porre la propria vita, una seconda volta, in
pericolo a pro del suo principe; ma rimaneva, nonostante, una
difficoltà. L'onesto monaco era così digiuno di lettere, da non
sapere ciò che avesse a dire in una occasione di tanta importanza.
Ad ogni modo, per mezzo di Castel Melhor ebbe qualche avvertimento
da un ecclesiastico portoghese, e tosto fu guidato per le scale
secrete da Chiffinch, fidatissimo servo, il quale, se è da prestarsi
fede alle satire di quel tempo, aveva spesso introdotto per il
medesimo ingresso persone di altra specie. Il Duca allora, a nome
del Re, fece comandamento a tutti, salvo a Luigi Duras Conte di
Feversham, e a Giovanni Granville Conte di Bath, d'uscire. Ambedue
questi Lordi professavano la religione protestante; ma Giacomo
pensava di potersi fidare di loro. Feversham, francese di nobile
stirpe, e nipote del gran Turenna, teneva un alto grado nello
esercito inglese, ed era ciamberlano della Regina. Bath occupava
l'ufficio detto Groom of the Stole.
Ai comandamenti del Duca ubbidirono tutti, e perfino i medici si
ritrassero. Dalla porta di dietro, che allora fu aperta, entrò il
Padre Huddleston. Un tabarro gli copriva gli abiti sacri, e una
ondeggiante parrucca la tonsura del capo. "Signore," disse il Duca
"questo dabbene uomo una volta vi salvò la vita, e adesso viene per
salvarvi l'anima." Carlo con fioca voce rispose: "Sia il ben
venuto." Huddleston fece la parte sua meglio che non s'aspettasse.
S'inginocchiò accanto al letto, ascoltò la confessione, impartì
l'assoluzione, ed amministrò l'olio santo. Chiese al Re se
desiderasse ricevere il pane eucaristico. "Certamente," rispose
Carlo "se non ne sono indegno." Fu recata l'ostia santa. Carlo
debolmente sforzossi di sollevarsi e mettersi inginocchioni. Il
sacerdote lo esortò a starsi disteso, assicurandolo che Dio avrebbe
accettata la umiliazione dell'anima, e non ricerca quella del corpo.
Al Re fu così difficile inghiottire l'ostia, che fu mestieri aprire
la porta per chiedere un bicchier d'acqua. Terminato il rito, il
monaco pose un crocifisso in sugli occhi del penitente, ed
esortandolo di volgere i suoi estremi pensieri alle pene del
Redentore, si partì. La ceremonia era durata circa tre quarti d'ora;
nel qual tempo i cortigiani che riempivano l'anticamera, s'erano
vicendevolmente comunicati i loro sospetti con bisbigli ed occhiate
espressive. La porta in fine fu spalancata, e la folla di nuovo
invase la stanza del moribondo.
La sera era molto inoltrata. Il Re pareva assai sollevato a cagione
di ciò che era ivi seguito. Gli furono condotti innanzi al letto i
suoi figli naturali, i Duchi di Crafton, di Southampton e di
Northumberland, nati dalla Duchessa di Cleveland; il Duca di
Saint-Albans nato da Eleonora Gwynn, e il Duca di Richmond dalla
Duchessa di Portsmouth. Carlo gli benedisse, ma in ispecie parlò
tenere parole a Richmond. Un solo che avrebbe dovuto essere in quel
luogo, mancava. Il maggiore e più caramente diletto de' suoi
figliuoli errava in esilio; e il padre nè anche una volta ne
profferì il nome.
Nel corso della notte, Carlo raccomandò caldamente la Duchessa di
Portsmouth e il figlio di lei a Giacomo, dicendogli affettuosamente:
"Non lasciate morire di fame la povera Norina." La Regina mandò per
mezzo di Halifax scusandosi di starsi lontana, poichè era in tale
perturbamento da non potere riprendere il suo posto accanto al
letto; e lo pregava di perdonarle qualunque offesa gli avesse fatto
senza saperlo. "Essa mi chiede perdono, povera donna!" esclamò Carlo
"ed io con tutto il mio cuore la supplico di perdonarmi."
La luce mattutina cominciava a penetrare per le finestre di
Whitehall; e Carlo volle che gli assistenti alzassero le tende,
perchè potesse per l'ultima volta contemplare il giorno. Notò ch'era
tempo di caricare un oriuolo che era allato al suo letto. Di tali
lievi circostanze si serbò lungamente la memoria, perocchè provavano
senza alcun dubbio, che quando egli dichiarò d'essere cattolico
romano, trovavasi in pieno possesso di tutte le sue facoltà
intellettuali. Chiese a coloro che gli erano rimasti dintorno per
tutta la notte, lo scusassero dell'incomodo onde era stato loro
cagione, dicendo che senza sua colpa aveva tanto indugiato a morire;
ma sperava volessero compatirlo. Fu questo l'ultimo raggio di quella
squisita urbanità che spesso valse a calmare lo sdegno di una
nazione giustamente irritata. Tosto dopo l'alba del dì, il moribondo
perdè la parola. Innanzi le ore dieci era privo di sensi. Il popolo
correva in folla alle chiese in sull'ora del servizio mattutino.
Quando fu letta la preghiera per la salute del Re, alti gemiti e
singhiozzi mostravano quanta amarezza stringesse il cuore di
ciascuno. Il venerdì a mezzo il giorno, il 6 di febbraio, Carlo
tranquillamente rese l'anima a Dio(280).
II. In quel tempo, il basso popolo in tutta l'Europa, e in nessuno
altro luogo più che in Inghilterra, aveva costumanza di attribuire
la morte de' principi, e segnatamente quando il principe era
popolare e la morte inattesa, a qualche assassinio di specie
scelleratissima. Difatti, Giacomo I era stato accusato d'avere
propinato il veleno al Principe Enrico; Carlo I a Giacomo I; e
quando sotto la Repubblica la Principessa Elisabetta morì in
Carisbrook, fu detto chiaramente che Cromwell scendesse alla stolta
e codarda malvagità di mescolare droghe nocive nel cibo d'una
fanciulletta, cui egli non aveva motivo immaginabile di recar
nocumento(281). Pochi anni dopo, il rapido disfarsi del cadavere di
Cromwell venne da molti ascritto a una mortifera pozione
amministratagli nel medicamento. La morte di Carlo II non poteva
mancare di far nascere simiglianti voci. L'orecchio del pubblico era
stato ripetutamente pervertito da storielle di congiure papali
contro la vita di lui. E però la mente di molti era forte
predisposta a sospettare; e furono non poche le sciagurate
circostanze che agli animi così disposti potevano far credere alla
esistenza di un delitto. I quattordici dottori che avevano
consultato sul caso del Re, si contraddissero vicendevolmente, e
ciascuno sè stesso. Taluni pensavano che fosse un accesso
epilettico, e che si dovesse lasciar sonnecchiare il paziente senza
interromperlo. La maggior parte lo disse apoplettico, e per alcune
ore lo tormentò a guisa d'un Indiano posto al palo. Infine, fu
deliberato di chiamar febbre la sua infermità, e di ministrargli del
cortice. Uno de' medici, nondimeno, protestò assicurando la Regina
che i suoi confratelli ammazzerebbero il Re. Null'altro da
cosiffatti dottori era da aspettarsi, che dissensione ed
ondeggiamento. Ed era naturale che molti del volgo, dalla
perplessità de' grandi maestri dell'arte di guarire, concludessero
che la malattia aveva qualche straordinaria cagione. Possiamo
credere che un orribile sospetto turbasse la mente di Short, il
quale, comecchè esperto nella propria professione, a quanto pare,
era un uomo nervoso e fantastico; e forse le sue idee erano confuse
per paura delle odiose accuse a cui egli, come cattolico romano, era
peculiarmente esposto. Non è mestieri, dunque, far le meraviglie se
la plebe ripetesse e credesse innumerevoli storielle. La lingua di
Sua Maestà erasi gonfiata tanto, da agguagliare quella d'un bue. Un
ammasso di polvere deleteria gli era stata trovata nel cervello. Sul
petto aveva delle macchie azzurre, e delle nere per le spalle.
Qualche cosa era stata messa dentro la sua tabacchiera, qualche
altra nel brodo, o nel piatto d'uova con l'ambragrigia, che ei
prediligeva tanto. La Duchessa di Portsmouth gli aveva dato il
veleno in una tazza di cioccolata; la Regina in un vaso di pere
candite. Tali novelle deve la storia raccontare, poichè valgono a
darci idea della intelligenza e virtù degli uomini che erano corrivi
a crederle. Che nessuna voce della medesima sorta abbia mai, ne'
tempi presenti, trovata fede tra noi, anche quando individui da'
quali pendevano grandi interessi, sono morti d'impreveduti accessi
di malattia, deve attribuirsi in parte al progresso della scienza
medica e della chimica; ma parte anco - possiamo sperarlo - ai
progressi che la nazione ha fatti nel buon senso, nella giustizia e
nella umanità(282).
III. Finita ogni cosa, Giacomo dalla stanza mortuaria si ritirò al
suo gabinetto, dove per un quarto d'ora rimase solo. Frattanto i
Consiglieri Privati, che si trovavano in Palazzo, adunaronsi. Il
nuovo re, uscito fuori, prese posto a capo d'una tavola; e secondo
l'usanza, iniziò il suo governo con un discorso al Consiglio.
Significò il dolore che sentiva per la perdita del fratello, e
promise di imitare la mitezza che aveva predistinto il passato
governo. Sapeva bene, disse egli, d'essere stato accusato come
amante del potere assoluto. Ma quella non era la sola menzogna che
si fosse detta contro lui. Era deliberato di mantenere il governo
stabilito sì della Chiesa come dello Stato. Conosceva appieno come
la Chiesa Anglicana fosse eminentemente leale; e però si sarebbe
sempre studiato di sostenerla e difenderla. Conosceva parimente come
le leggi dell'Inghilterra fossero sufficienti a farlo principe
grande quanto potesse mai desiderare. Non avrebbe rinunziato ai
propri diritti, ma avrebbe rispettati gli altrui. Aveva per innanzi
posta a repentaglio la propria vita per la difesa della patria; ed
ora avrebbe, più di chiunque altro, fatto ogni sforzo per sostenere
le giuste libertà di quella.
Tale discorso, non era, come avviene ne' tempi moderni in
simiglianti occasioni, studiosamente apparecchiato da' consiglieri
del sovrano. Era la espressione estemporanea de' sentimenti del
nuovo Re in un'ora di grande concitamento. I membri del Consiglio
proruppero in gridi di gioia e di gratitudine. Rochester Lord
Presidente, in nome de' suoi confratelli, espresse la speranza che
la generosa dichiarazione della Maestà Sua si rendesse pubblica. Il
Procuratore Generale, Heneage Finch, si offerse a far gli uffici di
scrivano. Era zelante partigiano della Chiesa, e come tale,
naturalmente desiderava che dovesse rimanere qualche durevole
ricordo delle graziose promesse ch'erano state, poco fa, profferite.
"Tali promesse" disse egli "hanno fatto sopra me una impressione
cotanto profonda, che posso ripeterle parola per parola." Le pose
quindi in iscritto. Giacomo le lesse, approvolle, e ordinò che
venissero pubblicate. In altri tempi, poi, disse d'aver fatto quel
passo senza la debita considerazione; le sue non premeditate
espressioni rispetto alla Chiesa Anglicana, essere state troppo
forti; e Finch, con destrezza che in quell'ora non fu notata, averle
rese anche più forti(283).
IV. Il Re era stanco per le lunghe vigilie e per molte violente
emozioni; quindi si ritrasse onde riposare. I Consiglieri Privati,
avendolo rispettosamente accompagnato fino alla stanza da letto,
ritornarono ai seggi loro, ad emanare ordini per la ceremonia della
proclamazione. Le guardie erano sotto le armi; gli araldi comparvero
co' loro magnifici abiti; e la solennità fu compita senza veruno
impedimento. Botti di vino furono poste nelle vie, e i passanti
venivano invitati a bere alla salute del nuovo sovrano. Ma benchè il
popolo in quella occasione acclamasse, non mostrava sembiante
gioioso. Le lagrime furono viste sugli occhi di molti; e fu notato
che non vi fu nè anche una fantesca in Londra, che non si fosse
studiata d'avere qualche frammento di velo bruno in onoranza di re
Carlo(284).
Il funerale provocò numerose critiche, come quello che si sarebbe
reputato appena convenevole ad un nobile e ricco suddito. I Tory
sordamente biasimavano la parsimonia del nuovo Re; i Whig lo
schernivano come privo di naturale affetto; e i fieri Convenzionisti
di Scozia esultavano, dicendo essere stata compita la maledizione in
antico scagliata contro i principi malvagi; il defunto tiranno
essere stato sepolto con funerali degni d'un somiero(285).
Nonostante, Giacomo iniziò il suo governo con non poca satisfazione
del pubblico. Il discorso ch'egli fece in Consiglio, comparve
stampato, e produsse impressione(286) a lui favorevolissima. Era
questo allora il principe che una fazione aveva già cacciato in
esilio, ed erasi provata di privare del diritto alla Corona, perchè
lo teneva nemico mortale della religione e delle leggi
d'Inghilterra. Egli aveva trionfato; oramai stava sul trono; e il
primo de' suoi atti fu quello di dichiararsi difensore della Chiesa,
e rispettatore de' diritti del popolo. Il giudicio che tutti i
partiti avevano fatto dell'indole di lui, aggiungeva peso ad ogni
parola che gli uscisse dal labbro. I Whig lo chiamavano superbo,
implacabile, ostinato, spregiatore dell'opinione pubblica. I Tory,
esaltando le sue virtù principesche, dolevansi spesso ch'egli
ponesse in non cale quelle arti onde si acquista la popolarità. La
stessa satira non lo aveva mai dipinto come uomo che fosse vago del
pubblico favore professando ciò che non sentiva, e promettendo ciò
che ei non aveva intendimento di mantenere. Nella domenica che seguì
alla sua ascensione al trono, molti predicatori da' pergami citavano
il suo discorso. "Adesso abbiamo a sostegno della Chiesa nostra"
sclamava un oratore realista "la parola d'un Re, e d'un Re che non
mancò mai alla propria parola." Questa espressiva sentenza tosto
propagossi per tutto il paese, e divenne la parola d'ordine di tutto
il partito Tory(287).
V. I grandi uffici dello Stato per la morte del Re erano rimasti
vacanti, e fu d'uopo che Giacomo deliberasse da chi dovessero essere
occupati. Pochi de' membri del Gabinetto passato avevano ragione di
aspettarsi il favore di lui. Sunderland, che era Segretario di
Stato, e Godolphin primo Lord del Tesoro, avevano sostenuta la Legge
d'Esclusione. Halifax, custode del sigillo privato, aveva avversata
quella legge con impareggiabile potenza di argomenti e di parole; ma
era nemico mortale della tirannide e del papismo. Vedeva con terrore
il progresso delle armi francesi nel continente, e la influenza
dell'oro francese nei consigli dell'Inghilterra. Se si fosse seguito
il suo parere, le leggi sarebbero state rigorosamente osservate; la
clemenza impartita ai vinti Whig; il Parlamento convocato in tempo
debito; fatto qualche tentativo per riconciliare le nostre
domestiche fazioni; e i principii della Triplice Alleanza avrebbero
nuovamente diretta la nostra politica estera. Egli era, quindi,
incorso nell'acre odio di Giacomo. Il Lord Cancelliere Guildford,
appena poteva dirsi d'appartenere ad alcuno dei partiti in che la
Corte era scissa. Non potevasi in nessuna guisa chiamare amico alla
libertà; e nondimeno egli aveva tale riverenza per la lettera della
legge, da non essere utile strumento di tirannide. Per la qual cosa,
i Tory lo mostravano a dito come un Barcamenante, e Giacomo lo
aborriva e insieme spregiava. Ormond, che era Lord maggiordomo e
vicerè d'Irlanda, in quel tempo stanziava in Dublino. I diritti
ch'egli aveva alla gratitudine del Re, erano superiori a quelli
d'ogni altro suddito. Aveva strenuamente pugnato per Carlo I, era
stato compagno d'esilio di Carlo II; e dopo la Restaurazione, a
dispetto di molte provocazioni, aveva serbata senza macchia la
propria lealtà. Comecchè, predominante la Cabala, fosse caduto in
disgrazia, non era mai trascorso ad alcuna faziosa opposizione, e
nei giorni della Congiura Papale e della Legge d'Esclusione, era
stato primo tra i sostenitori del trono. Adesso era vecchio, e di
recente era stato visitato dalla più(288) cruda sciagura. Aveva
accompagnato al sepolcro un figlio, il valoroso Ossory, che avrebbe
dovuto chiudere gli occhi del genitore. I grandi servigi, l'età
veneranda e le sventure domestiche rendevano Ormond obietto di
universale interesse alla nazione. I Cavalieri lo consideravano, e
per diritto d'anzianità e per diritto di merito, loro capo; e i Whig
sapevano ch'egli, per quanto fosse stato ognora fedele alla causa
della monarchia, non era amico nè della tirannide nè del papismo.
Ma, comunque godesse tanto la pubblica stima, poco era il favore che
poteva aspettarsi dal nuovo signore. Giacomo, mentre anche egli era
nella condizione di suddito, aveva sollecitato il proprio fratello a
cangiare onninamente l'amministrazione dell'Irlanda. Carlo aveva
assentito, deliberando che tra pochi mesi Rochester verrebbe
nominato Lord Luogotenente(289).
VI. Rochester era l'unico membro del Gabinetto che godesse altamente
il favore del nuovo Re. Comunemente credevasi ch'egli verrebbe tosto
messo a capo del governo, e che tutti gli altri Ministri sarebbero
cangiati. Tale espettazione era bene fondata, ma solamente in parte.
Rochester fu fatto Lord Tesoriere, e così diventò primo Ministro.
Non fu nominato nè Lord Grande Ammiraglio, nè Banco
dell'Ammiragliato. Il nuovo Re, che dilettavasi delle minuzie delle
faccende navali, e sarebbe riuscito un esperto scrivano
nell'arsenale di Chatham, deliberò di amministrare da sè il
ministero di marina. Sotto lui, il maneggio di quell'importante
dipartimento fu affidato a Samuele Pepys, del quale la biblioteca e
il diario hanno tramandata la memoria fino ai nostri tempi. Nessuno
de' servitori del defunto sovrano venne pubblicamente posto in
disgrazia. Sunderland fece prova di tali artificii e destrezza, mise
di mezzo tanti intercessori, e sapeva cotanti secreti, che gli si
lasciò il Gran Sigillo. Dell'ossequiosità, industria, espertezza e
taciturnità di Godolphin, mal poteva farsi senza. Non v'essendo più
mestieri di lui al Tesoro, fu fatto Ciambellano della Regina. Con
questi tre Lordi il Re consigliavasi in tutte le più importanti
questioni. In quanto ad Ormond, Halifax e Guildford, ei pensò non di
cacciarli via, ma soltanto umiliarli e dar loro molestia.
Ad Halifax fu detto di rendere il Sigillo Privato, ed accettare la
presidenza del Consiglio. Ei si sottopose con estrema ripugnanza;
imperocchè, quantunque il Presidente del Consiglio avesse sempre
avuta la precedenza sul Lord del Sigillo Privato, questo ufficio in
quella età era più importante di quello di Presidente. Rochester non
s'era dimenticato dello scherzo che gli era stato fatto pochi mesi
avanti, allorquando fu levato dal Tesoro; e alla sua volta provò il
piacere di cacciare a calci in alto il proprio rivale. Il Sigillo
Privato fu dato ad Enrico Conte di Clarendon, fratello maggiore di
Rochester.
A Barillon, Giacomo manifestò com'ei detestasse Halifax. "Lo conosco
pur troppo, e so di non potermene mai fidare. Ei non porrà le piani
nelle faccende dello Stato. Il posto che gli ho dato, servirà
appunto a mostrare al mondo la sua poca influenza." Ma reputò
convenevole di parlare ad Halifax con linguaggio ben differente.
"Tutto il passato è messo in oblio," disse il Re "tranne il servigio
che voi mi rendeste nel dibattimento sopra la Legge d'Esclusione."
Queste parole sono state di sovente citate, onde provare che Giacomo
non era così vendicativo siccome è stato chiamato dai suoi nemici.
E' pare anzi che provino che egli in nessun modo fosse meritevole
della lode di sincerità datagli da' suoi amici(290).
Ad Ormond fu fatto gentilmente sapere che più non erano necessarii i
suoi servigi in Irlanda, e venne invitato a Whitehall per adempire
l'ufficio di Maggiordomo. Egli si sottopose, ma non fece sembiante
di nascondere che ne era rimasto profondamente offeso. La vigilia
della sua partenza, diede un magnifico banchetto in Kilmainham
Hospital, edifizio pur allora terminato, agli ufficiali del presidio
di Dublino. Finito il pranzo, ei sorse, riempì di vino un bicchiere
fino all'orlo, e levandolo in alto, chiese se ne fosse caduta una
sola gocciola. "No, gentiluomini; dicano ciò che pur vogliono i
cortigiani, io non ho per anche perduto il senno; la mia mano non
trema ancora, e la mia mano non è più ferma del mio cuore. Alla
salute del re Giacomo!" Fu questo l'ultimo addio di Ormond alla
Irlanda. Egli lasciò il governo nelle mani dei Lordi Giudici, e
ritornò a Londra, dove fu accolto con inusitati segni di pubblica
riverenza. Molti grandi personaggi gli andarono incontro per via.
Una lunga fila di cocchi lo accompagnò fino a Saint-James-Square,
dove era il suo palazzo; e la piazza era piena di numerosa gente che
lo salutava con alte acclamazioni(291).
VII. Il Gran Sigillo fu lasciato a Guildford; ma nel tempo stesso
gli venne fatto un gran torto. Fu deliberato di chiamare, per
assisterlo nell'amministrazione, un altro legale di maggiore vigore
e audacia. Lo eletto fu Sir Giorgo Jeffreys, Capo Giudice della
Corte del Banco del Re. La pravità di quest'uomo è passata in
proverbio. Ambidue i grandi partiti inglesi hanno vituperato con
virulenza il nome di lui; perocchè i Whig lo consideravano come il
loro più barbaro nemico, e i Tory stimavano convenevole gettargli
addosso la infamia di tutti i delitti che deturparono il loro
trionfo. Uno esame schietto e diligente mostrerebbe che alcune
orrende novelle che si sono intorno a lui raccontate, sono false o
esagerate. Nulladimeno, lo storico spassionato non varrebbe a
scemare se non di poco la ingente massa d'infamia che si aggrava
sopra la memoria di quel giudice ribaldo.
Era uomo di mente pronta e vigorosa, ma d'indole inchinevole alla
insolenza e all'iracondia. Appena uscito di fanciullezza, aveva
esercitata la professione in Old Bailey, tribunale dove gli avvocati
hanno sempre usata licenza di parole ignota in quello di Westminster
Hall. Quivi per molti anni occupossi precipuamente negli esami e
riesami de' più incorreggibili scellerati della grande metropoli. I
giornalieri conflitti con le prostitute e co' ladri, svegliarono ed
esercitarono tanto le facoltà sue, che egli diventò il bravazzone
più consumato che si fosse mai conosciuto nella sua professione.
Ogni umanità verso i sentimenti altrui, ogni rispetto di sè stesso,
ogni senso di decenza furono cancellati dall'animo suo. Acquistò
immensa perizia nella rettorica con la quale il volgo esprime l'odio
e lo spregio. La profusione delle imprecazioni e oscene parole
ond'era composto il suo vocabolario, potevano appena trovare
agguaglio fra la marmaglia de' mercati. Il contegno e la voce di lui
dovettero sempre essere stati sgradevoli. Ma questi pregi naturali -
poichè sembra ch'ei tali gli reputasse - aveva a tal grado
d'eccellenza condotti, che pochi erano coloro i quali, ne' suoi
eccessi di rabbia, potevano tranquillamente vederlo o ascoltarlo. La
impudenza e la ferocia gli sedevano sul ciglio. Il lampo degli occhi
suoi ammaliava la infelice vittima sopra la quale ei li figgeva.
Nondimeno, e il ciglio e lo sguardo erano meno terribili della
sconcia forma della sua bocca. Il suo rabido urlo, siccome affermò
un tale che l'aveva spesso udito, sembrava il tuono del giorno del
giudizio finale. Queste qualità ei portò seco, ancor giovine d'anni,
dalla sbarra degli avvocati al banco de' giudici. Salì presto,
diventò Avvocato di Comune, e poi Cancelliere di Londra. Come
giudice nelle sessioni della Città, mostrò le tendenze medesime che
poi, asceso più in alto, gli acquistarono immortalità non
invidiabile. Si sarebbe già potuto in lui notare il vizio più odioso
di cui sia capace l'umana natura; cioè il godere dell'infelicità
altrui, soltanto perchè è infelicità. Vedevasi una esultanza
infernale nel modo onde profferiva le condanne dei rei. Il loro
pianto, le loro preghiere sembravano solleticarlo voluttuosamente;
ed egli amava di spaventarli, distendendosi con lussureggiante
amplificazione sopra tutti i particolari di ciò che loro toccava di
soffrire. Diffatti, quand'egli aveva occasione di ordinare che una
malfortunata avventuriera venisse pubblicamente fustigata,
"Carnefice," gridava "t'incarico di usare attenzione particolare a
cotesta signora! Flagellala sodo, flagellala a sangue! Siamo al dì
di Natale, tempo freddo perchè Madama si spogli. Vedi di scaldarle
bene le spalle(292)." Non fu meno faceto allorchè profferì la
sentenza contro il povero Lodovico Muggleton, quell'ebbro sarto che
si credeva profeta. "Villano sfacciato!" urlò Jeffreys "tu avrai un
gastigo dolce, dolce, dolce!" Una parte di questo dolce castigo fu
la gogna, in cui lo sciagurato fanatico rimase pressochè morto dalle
sassate(293).
Verso questo tempo, il cuore di Jeffreys era diventato duro come i
tiranni lo cercano nell'uomo che loro bisogni per mandare ad
esecuzione le loro peggiori voglie. Egli aveva fino allora sperato
nel Municipio di Londra per salire in alto. E però si era dichiarato
Testa-Rotonda, e mostrava più gran giubbilo sempre che gli accadeva
di dire ai preti papisti che verrebbero tagliati a pezzi, e che
vedrebbero ardere i propri intestini, di quel che mostrava quando
profferiva sentenze ordinarie di morte. Ma, appena conseguì tutto
ciò che la Città poteva dare, affrettossi a vendere alla Corte il
suo viso di bronzo e la sua lingua venefica. Chiffinch, il quale era
avvezzo a far da mezzano in più specie di contratti infami, gli
prestò aiuto. Egli aveva orditi molti amorosi e politici intrighi;
ma certo non. rendè mai ai suoi signori un servigio più scandaloso
di quello di presentare Jeffreys a Whitehall. Il rinnegato trovò
tosto un protettore nell'indurito e vendicativo Giacomo; ma fu
sempre trattato con disprezzo e disgusto da Carlo, il quale, non
ostante i suoi gravi difetti, non fu mai nè crudele nè insolente.
"Cotesto uomo" diceva il Re "non ha nè dottrina nè buon senso nè
modi, ed ha più impudenza di dieci sgualdrine(294)." Nonostante, era
d'uopo di tal ministero che non si sarebbe potuto affidare a persona
che fosse riverente delle leggi o sensibile alla vergogna; e così
Jeffreys, nella età in cui un avvocato si reputa avventuroso se
venga adoperato a condurre una causa importante, fu fatto Capo
Giudice del Banco del Re.
I suoi nemici non potevano negare ch'egli possedesse talune delle
doti che formano un gran giudice. Il suo sapere giuridico, a dir
vero, era quello che egli aveva potuto acquistare non esercitandosi
in cause importanti. Ma aveva una di quelle menti felicemente
costituite, le quali traverso al labirinto della sofisticheria, e
fra mezzo ad una selva di fatti di poco momento, vanno diritte al
vero punto. Nulladimeno, rade volte egli aveva pieno uso delle sue
facoltà intellettuali. Anco nelle cause civili, l'indole sua
violenta e dispotica gl'infermava perpetuamente il giudicio. A chi
entrava nella sala del suo tribunale, pareva d'entrare nella caverna
di una belva che non può essere domata da nessuno, e che
s'inferocisce di leggieri per le carezze come per le aggressioni.
Spesso avventava ai querelanti ed agli accusati, agli avvocati e ai
procuratori, ai testimoni e ai giurati un torrente di matte
ingiurie, miste di maledizioni e bestemmie. Se lo sguardo e il tono
della voce ispiravano terrore quando egli era semplice avvocato ed
ingegnavasi di acquistare clientela, adesso ch'era capo del più
formidabile tribunale del Regno, pochi erano coloro i quali non
tremassero al suo cospetto. Anche quando egli era sobrio, la sua
violenza non era poco spaventevole. Ma, generalmente, la sua ragione
era ottenebrata, e le sue malvage passioni irritate dall'ebrietà.
D'ordinario passava le serate immerso nella dissolutezza. Chi lo
avesse veduto col fiasco dinanzi, lo avrebbe giudicato uomo
grossolano, balordo, di bassa classe e amante de' triviali sollazzi,
ma socievole e di buon umore. In tali occasioni vedevasi circondato
da buffoni, scelti, per la più parte, fra i più vili mozzorecchi che
esercitavano il mestiere al suo tribunale. Costoro sbeffeggiavansi e
vituperavansi a vicenda per divertirlo. Egli s'associava al loro
osceno cicaleccio, e come gli si scaldava il cervello, li
abbracciava e baciava in una estasi di tenerezza ebbra. Ma
quantunque in sulle prime il vino sembrasse ammollirgli il cuore,
gli effetti che poche ore dopo in lui produceva erano assai
differenti. Spesso egli recavasi al seggio della giustizia, dopo
d'avere fatto lunga pezza attendere la Corte, e nondimeno senza
avere dormito tanto da svinazzarsi, con le guance infocate, e gli
occhi stralunati come quelli d'un maniaco. Trovandosi in siffatto
stato coloro che gli erano stati compagni nella gozzoviglia della
notte precedente, se erano savi, sottraevansi al suo sguardo;
perciocchè la rimembranza della familiarità alla quale gli aveva
ammessi, infiammava la malignità di lui; ed avrebbe sicuramente
afferrata la minima occasione per coprirli d'imprecazioni e
d'invettive. Fra le sue molte odiose specialità, non era meno odioso
il piacere che egli prendevasi a guardare in cagnesco e mortificare
pubblicamente coloro che, negli accessi della sua tenerezza da
briaco, aveva incoraggiati a fidarsi del suo favore.
I servigi che il Governo aveva sperato ch'ei gli dovesse rendere,
furono compiti non solo senza tergiversazione, ma con sollecitudine
e prospero successo. La sua prima impresa fu l'assassinio giuridico
d'Algernon Sidney. Ciò che seguì poi, fu perfettamente conforme a
tale principio. I Tory rispettabili lamentavano la infamia che la
barbarie ed impudenza di un uomo tanto altamente locato, recava alla
amministrazione della giustizia. Ma gli eccessi che empivano
d'orrore gli animi de' Tory, agli occhi di Giacomo erano argomenti
di stima. Jeffreys quindi, dopo la morte di Carlo, ottenne un seggio
nel Gabinetto e fu creato Pari. Quest'ultimo onore fu insigne prova
della regia approvazione; avvegnachè fino dal secolo decimoterzo, in
cui fu ricostituito il sistema giudiciale del Regno, nessun Capo
Giudice avesse seduto come Pari in Parlamento(295).
Guildford si trovò alleggerito di tutte le sue funzioni politiche, e
confinato nel suo solo ufficio di giudice così detto d'Equità. In
Consiglio Jeffreys trattavalo con aperta scortesia. La facoltà di
concedere ogni impiego pertinente al ramo legale, era nelle sole
mani del Capo Giudice; e gli avvocati sapevano bene che il modo più
sicuro di rendersi propizio il Capo Giudice, era quello di mancare
di rispetto al Lord Cancelliere.
VIII. Non erano trascorse molte ore da che Giacomo era Re,
allorquando nacque contesa tra i due Capi della Legge. I proventi
delle dogane erano stati concessi a Carlo, solo sua vita durante, e
quindi non potevano essere legalmente riscossi dal nuovo sovrano.
Era mestieri di alcune settimane per fare le elezioni della Camera
de' Comuni. Se infrattanto i dazi fossero rimasti sospesi, la
rendita ne avrebbe avuto detrimento; il corso regolare del traffico
sarebbe stato interrotto; il consumatore non ne avrebbe ritratto
utile veruno; e ci avrebbero guadagnato solamente quegli avventurati
speculatori, i cui carichi per avventura arrivassero durante lo
intervallo di tempo tra la morte di Carlo e l'adunarsi del
Parlamento. Il Tesoro era assediato dai mercatanti, i magazzini de'
quali erano ripieni di merci di cui avevano pagato il dazio; e
grandemente temevano di vedere altri negozianti vendere le loro
mercanzie a minor prezzo, e d'essere così ruinati. Gli spiriti
imparziali è d'uopo che ammettano come cotesto fosse uno de' casi in
cui un Governo si possa giustificare, deviando dal sentiero
rigorosamente costituzionale. Ma qualvolta è necessario deviare da
cosiffatto sentiero, la deviazione non dovrebbe essere maggiore di
quella che la necessità richiede. Guildford bene intese ciò, e
consigliò in modo da recargli onore. Propose di riscuotere i dazi,
ma di tenerli nello Scacchiere, separati dall'altra pecunia, fino a
che si fosse adunato il Parlamento. In tal guisa il Re, violando la
lettera della legge, avrebbe mostrato ch'ei desiderava conformarsi
allo spirito di quella. Jeffreys porse un consiglio assai diverso.
Suggerì di emanare un editto, che dichiarasse essere volontà e
desiderio di Sua Maestà continuarsi a pagare le dogane. Tale
consiglio concordava appieno con l'indole del Re. La giudiciosa
proposta del Lord Cancelliere fu messa da parte come degna d'un
Whig, o - e ciò era anche peggio - di un Barcamenante. Comparve un
decreto, secondo la forma suggerita dal Capo Giudice. Taluni
s'aspettavano uno scoppio violento di pubblico sdegno; ma rimasero
ingannati. Lo spirito della opposizione non s'era ancora riacceso, e
la Corte poteva con sicurtà avventurarsi a fare passi tali che,
cinque anni innanzi, avrebbero prodotto una ribellione. Nella Città
di Londra, poco fa così turbolenta, non fu udito nè anche un
mormorio(296).
IX. Il proclama che annunziava la riscossione delle dogane, dava
medesimamente lo annunzio che tra breve tempo si sarebbe ragunato il
Parlamento. Giacomo, non senza molti tristi presentimenti s'induceva
a convocar gli Stati del Regno. A dir vero, il momento era assai
propizio per una elezione generale. Giammai, dal dì che la Casa
degli Stuardi cominciò a regnare, i Corpi costituenti erano stati
cotanto favorevolmente disposti verso la Corte. Ma la mente del
nuovo Sovrano era compresa d'una paura, che anche dopo tanti anni
non può rammentarsi senza sdegno e rossore. Egli temeva che,
convocando il suo Parlamento, sarebbe incorso nel dispiacere del Re
di Francia.
X. Al Re di Francia importava poco quale de' due partiti inglesi
trionfasse nelle elezioni; imperocchè tutti i Parlamenti ch'eransi
radunati dopo la Ristaurazione, in qualunque modo fossero disposti
rispetto alla politica interna, erano stati gelosi del crescente
potere della Casa de' Borboni. Intorno a ciò poco differivano i Whig
dai bruschi gentiluomini di provincia, i quali costituivano la forza
precipua del partito Tory. Luigi, quindi, non era stato avaro nè di
corruzione nè di minacce a fine d'impedire che Carlo convocasse le
Camere; e Giacomo, che fin da principio era stato partecipe del
segreto onde procedeva la politica estera del fratello, ora essendo
Re, era divenuto mercenario e vassallo della Francia.
Rochester, Godolphin e Sunderland, che formavano il Gabinetto
intimo, sapevano pur troppo che il loro defunto signore era
assuefatto a ricevere danari dalla Corte di Versailles. Giacomo li
richiese di consiglio in quanto alla utilità di convocare la
Legislatura. Essi riconobbero la grande importanza di tenersi Luigi
bene edificato; ma pareva loro che la convocazione del Parlamento
non fosse questione di scelta. Per quanto paziente sembrasse la
nazione, tale pazienza aveva i suoi limiti. Il principio che il Re
non potesse legittimamente prendere la pecunia del suddito senza il
consenso della Camera de' Comuni, aveva profonde radici nella mente
del popolo; e comecchè, in un bisogno estraordinario, anche i Whig
avrebbero volentieri pagato, per poche settimane, dazi non imposti
con apposita legge, egli era certo che gli stessi Tory si sarebbero
opposti qualora tali tasse irregolari si fossero mantenute più lungo
tempo delle circostanze speciali che sole le giustificavano. Era,
dunque, mestieri che le Camere si adunassero; e così essendo,
giovava convocarle il più presto possibile. Anche il breve indugio,
necessario a richiederne il parere della Corte di Versailles, poteva
produrre danni irreparabili. Il malcontento e il sospetto si
sarebbero rapidamente sparsi fra il popolo. Halifax avrebbe mosso
lamento, dicendo che si violavano i principii fondamentali della
Costituzione. Il Lord Cancelliere, da quel codardamente pedante e
speciale avvocato ch'egli era, avrebbe fatto lo stesso. Ciò che
poteva farsi di buona grazia, sarebbe in fine stato fatto di mala
grazia. Que' ministri medesimi, ai quali Sua Maestà studiavasi di
far perdere la pubblica stima, avrebbero acquistata popolarità a
danno di quella. Il mal umore della nazione avrebbe gravemente
influito sull'esito delle elezioni. Tali argomenti non ammettevano
risposta. Per la quale cosa, il Re annunziò al paese, essere sua
intenzione di convocare il Parlamento. Ma sentiva la tormentosa
ansietà di purgarsi della colpa d'avere agito indebitamente e con
poco rispetto verso la Francia. Trasse Barillon in una secreta
stanza, e si scusò di avere osato fare un passo di così grave
momento, senza averne ottenuta l'approvazione da Luigi. "Assicurate
il vostro signore" disse Giacomo "della gratitudine e dello affetto
che sento per lui. Conosco bene di non potere far nulla senza la sua
protezione. Conosco parimente in quali impacci cadde il mio fratello
per non avere fermamente aderito alla Francia. Provvederò con ogni
studio perchè le Camere non s'immischino negli affari esteri. Se
scoprirò ne' membri la minima tendenza a far male, li manderò a
badare alle loro faccende. Fate intendere ciò al mio buon fratello.
Spero ch'egli non s'impermalisca se ho agito senza consultarlo. Egli
ha diritto d'essere consultato; ed è mio desiderio consigliarmi con
lui in ogni cosa. Ma nel caso presente l'indugio, anche d'una
settimana, avrebbe potuto recare serie conseguenze."
Queste vergognose scuse, il dì seguente, furono ripetute da
Rochester. Barillon le ricevè con cortesia. Rochester, reso più
audace, chiese danari. "Saranno ben collocati" diss'egli. "Il vostro
signore non potrebbe meglio impiegare le sue entrate. Fategli
intendere come importante egli sia che il Re d'Inghilterra dipenda,
non dal proprio popolo, ma dalla sola amicizia della Francia(297)."
Barillon fu sollecito a comunicare a Luigi il desiderio del Governo
inglese; ma Luigi lo aveva prevenuto. La prima cosa ch'egli fece,
saputa la morte di Carlo, fu di raccogliere cambiali sopra
l'Inghilterra fino alla somma di cinquecentomila lire, equivalenti a
trentasettemila cinquecento sterline. Non era agevole a que' tempi,
dopo un giorno d'annunzio, procurarsi simili cambiali in Parigi. In
poche ore, nondimeno, lo acquisto fu fatto, e un corriere spedito a
Londra(298). Appena Barillon ricevè le cambiali, volò a Whitehall a
recare la fausta nuova. Giacomo non arrossì di spargere, o simulare
di spargere, lacrime di gioia e di gratitudine. "Nessun altro che il
Re vostro" disse "è capace di così belle e nobili azioni. Io non gli
sarò mai grato tanto che basti. Assicuratelo che lo affetto che gli
porto, durerà quanto la mia vita." Rochester, Sunderland e Godolphin
corsero, l'uno dopo l'altro, ad abbracciare lo ambasciatore,
susurrandogli all'orecchio ch'egli aveva dato nuova vita al loro
signore(299).
Ma, quantunque a Giacomo e ai suoi tre consiglieri piacesse la
prontezza di Luigi, non rimasero punto satisfatti della somma della
pecunia donata. Nulladimeno, perchè temevano d'offenderlo
mostrandosi importunamente mendichi, non fecero se non accennare i
desideri loro. Dichiararono, non avere intendimento di
mercanteggiare con un tanto generoso benefattore quale era il Re di
Francia, e fidarsi onninamente alla sua munificenza. Nel tempo
stesso, provaronsi d'ingraziarselo con un gran sacrificio dell'onor
nazionale. Sapevasi bene che uno de' fini precipui della sua
politica, era quello di aggiungere ai propri dominii le provincie
del Belgio. L'Inghilterra era vincolata da un trattato, già concluso
con la Spagna nel tempo in che Danby era Lord Tesoriere, con lo
scopo di avversare ogni tentativo che la Francia avesse potuto fare
a insignorirsi di quelle provincie. I tre Ministri fecero sapere a
Barillon, come il loro signore considerasse non obbligatorio cotale
trattato. Era stato fatto, dicevano essi, da Carlo, il quale avrebbe
potuto forse tenersene vincolato; ma il suo fratello non si reputava
obbligato ad osservarlo. Il Cristianissimo, quindi, poteva oramai,
senza temere opposizione da parte della Inghilterra, procedere ad
incorporare al proprio Impero il Brabante e l'Hainault(300).
XI. Nel tempo stesso, fu deliberato di spedire un'ambasceria
straordinaria, per assicurare Luigi dello affetto e della
gratitudine che gli portava Giacomo. A tale missione fu prescelto un
uomo che non occupava per anche un posto molto eminente, ma la cui
rinomanza, stranamente mista d'infamia e di gloria, empì in tempi
posteriori tutto il mondo incivilito.
Tosto dopo la Restaurazione, in que' gioiosi e corrotti tempi
celebrati dalla vivace penna di Hamilton, Giacomo, giovane ed
ardente amatore di sensuali diletti, erasi invaghito di Arabella
Churchill, una dello dame di Corte della sua prima moglie. La
giovinetta non era bella; ma Giacomo, non avendo gusto delicato, se
ne fece una concubina. Era figlia d'un povero Cavaliere, assiduo in
Whitehall, e resosi ridicolo publicando un volume in foglio, scritto
con istile pesante ed affettato - da lungo tempo caduto in oblio -
in lode della monarchia e dei monarchi. Grandissimi erano i bisogni
dei Churchill, ardente la lealtà loro, e il sentimento che
provarono, come seppero la seduzione d'Arabella, sembra che fosse
una sorpresa di gioia, pensando che una fanciulla di sì poca beltà
avesse sortito una tanta onorificenza.
Ella fu grandemente utile ai propri parenti; ma niuno di costoro fu
fortunato al pari del suo maggior fratello Giovanni, bel giovane, il
quale era vessillifero nelle Guardie a piedi. Elevossi rapidamente
nella Corte e nello esercito, e presto si rese notevole come uomo di
moda e dedito ai piaceri. Aveva dignitosa la persona, bello il viso,
seducente la parola, ma con tanto contegno, che i più impertinenti
zerbini non ardivano trattarlo con la minima libertà: l'indole sua
era tale, che egli nelle più moleste e provocanti occasioni non
perdeva mai la signoria di sè stesso. Era stato sì pessimamente
educato, da non sapere compitare i vocaboli più comuni della propria
lingua; ma lo acuto e vigoroso intendimento largamente suppliva al
difetto della dottrina che s'impara ne' libri. Non era loquace; ma
sempre che gli era forza di parlare in pubblico, la sua naturale
eloquenza muoveva ad invidia i più esperti oratori. Aveva animo
singolarmente freddo e imperturbabile. Per molti anni di ansietà e
di periglio, egli non perdè mai, nè anche per un istante, il
perfetto uso del suo ammirevole giudicio.
Nel ventesimoterzo degli anni suoi, fu mandato col suo reggimento a
congiungersi con le armi francesi, che allora procedevano contro la
Olanda. La sua serena intrepidezza lo faceva predistinguere fra le
migliaia di valorosi soldati. La sua perizia nell'arte militare
imponeva rispetto ai vecchi ufficiali. Venne pubblicamente
ringraziato al cospetto dell'esercito, ed ebbe molti segni di stima
e fiducia da Turenna, che allora era nella maggiore altezza della
sua gloria.
Sventuratamente, le splendide doti di Giovanni Churchill erano
congiunte con altre della specie più sordida. Ben per tempo
cominciarono a mostrarsi in lui alcune tendenze che sono
singolarmente sgradevoli. Era cupido di guadagno ne' suoi stessi
vizi, e imponeva contribuzioni alle dame arricchite delle spoglie di
amanti più liberali. Per breve tempo ei fu l'obietto della violenta
ma volubile tenerezza della Duchessa di Cleveland. Una volta fu
sorpreso dal Re in compagnia di lei, e gli fu forza saltar giù dalla
finestra. La dama rimunerò tale rischiosa prova di galanteria con un
dono di cinquemila lire sterline. Il prudente giovine eroe comprò
subito con quel danaro una rendita annua di cinquecento sterline,
assicurata sopra terreni(301). Già i suoi scrigni contenevano gran
copia di pecunia, che cinquanta anni dopo, allorchè era Duca e
Principe dello Impero, e il più ricco suddito d'Europa, rimaneva
intatta(302).
Finita la guerra, egli ebbe un ufficio nella famiglia del Duca di
York; accompagnò il suo protettore ai Paesi Bassi e a Edimburgo, ed
in ricompensa de' suoi servigi fu creato Pari di Scozia, ed ebbe il
comando del solo reggimento di dragoni che fosse nelle milizie
inglesi(303). La sua moglie ottenne un posto nella famiglia della
principessa di Danimarca, figlia minore di Giacomo.
Lord Churchill, adunque, fu spedito ambasciatore straordinario a
Versailles. Gli fu ingiunto di significare la fervida gratitudine
che sentiva il Governo inglese per la pecunia così generosamente
data. In origine s'era pensato che nel tempo stesso dovesse chiedere
a Luigi una somma maggiore; ma meglio considerando la cosa,
compresero che la poco delicata cupidigia avrebbe stomacato il
benefattore, che erasi spontaneamente mostrato cotanto liberale. A
Churchill, quindi, fu fatto comandamento di porgere grazie per ciò
ch'era passato, e non far motto intorno al da venire(304).
Ma Giacomo e i Ministri suoi, anche mentre protestavano come non
intendessero d'essere importuni, studiavansi di accennare, con modi
molto intelligibili, ciò che desideravano e speravano. Lo
ambasciatore francese era per loro un destro, zelante e forse non
disinteressato intercessore. Luigi oppose talune difficoltà,
probabilmente col fine di accrescere il pregio de' propri doni.
Nondimeno, in poche settimane, Barillon ricevè da Versailles un
milione e cinquecento lire, oltre i denari già mandati. Tal somma,
che equivaleva a cento dodici mila sterline, egli ebbe istruzione di
ripartire cautamente. Ebbe potestà di dare al Governo inglese trenta
mila lire sterline da impiegarsi a corrompere i membri della nuova
Camera de' Comuni. Il rimanente doveva egli tenere con sè per
servirsene in qualche caso straordinario, come sarebbe uno
scioglimento delle Camere, o una insurrezione(305).
La turpezza di cotesti negoziati è universalmente riconosciuta; ma
la loro vera natura sembra essere soventi volte fraintesa(306):
perocchè, quantunque dopo pubblicato il carteggio di Barillon, la
politica estera de' due ultimi Re della Casa Stuarda non abbia mai
trovato fra noi chi osasse difenderla, vi è tuttavia un partito che
s'affatica a scusare la loro politica interna. Eppure, egli è certo
che tra l'una e l'altra era necessaria e indissolubile connessione.
Se essi per pochi mesi avessero tenuto alto l'onore del loro paese
presso gli esteri, sarebbero stati costretti a cangiare intieramente
il sistema d'amministrazione interna. È cosa assurda, quindi,
lodarli d'avere ricusato di governare concordemente col Parlamento,
e biasimarli per essersi sottoposti alla dittatura di Luigi; poichè
essi non avevano se non una sola via da scegliere; dipendere, cioè,
o da Luigi o dal Parlamento.
Giacomo - volendo rendergli giustizia - avrebbe con gioia voluto
trovare una via di mezzo; ma non ve n'era alcuna. Si rese schiavo
della Francia; ma sarebbe erroneo rappresentarlo come schiavo
contento. Egli aveva alterigia tanto da sdegnarsi con sè medesimo
per essersi sottomesso a così duro vassallaggio, e da essere
impaziente di svincolarsene: la quale disposizione era studiosamente
incoraggiata dagli agenti di molte Potenze straniere.
XII. La sua successione al trono aveva svegliato speranze e timori
in ogni Corte del continente; e i primordii del suo governo venivano
invigilati dagli stranieri con interesse non meno profondo di quello
che sentivano i sudditi di lui. Un solo Governo desiderava che le
turbolenze le quali per tre generazioni avevano sconvolta
l'Inghilterra, durassero eterne. Tutti gli altri, repubblicani o
monarchici, protestanti o cattolici romani, volevano vederle
felicemente terminate.
L'indole della lunga contesa tra gli Stuardi e i Parlamenti loro,
era imperfettissimamente intesa da' politici stranieri; ma nessun
uomo di Stato poteva non conoscere lo effetto da quella contesa
prodotto sull'equilibrio politico d'Europa. In circostanze
ordinarie, le simpatie delle Corti di Vienna e di Madrid sarebbero
state, senza dubbio, per un principe che lottava contro i sudditi, e
segnatamente per un principe cattolico romano, persecutore di
sudditi eretici: ma tutte coteste simpatie erano in allora vinte da
un più forte sentimento. Il timore e l'odio ispirato dalla
grandezza, ingiustizia ed arroganza del Re francese, erano al colmo.
I suoi vicini dubitavano se fosse(307) più pericoloso essere in
guerra o in pace con lui; perciocchè in pace ei seguitava a
saccheggiarli e oltraggiarli; in guerra essi avevano provato invano
la sorte delle armi contro lui. In tanta perplessità, tenevano
ansiosamente gli occhi vôlti all'Inghilterra. Agirebbe ella giusta i
principii della Triplice Alleanza, o giusta quelli del Trattato di
Dover? Da ciò dipendevano le sorti di tutti i suoi vicini. Aiutati
dall'Inghilterra, gli altri Stati potevano opporre a Luigi nuova
resistenza; ma non poteva da quella sperarsi nessun aiuto finchè non
vi regnasse la concordia. Innanzi che cominciasse il conflitto tra
il trono e il Parlamento, era stata una potenza di primo ordine; il
dì in cui il conflitto ebbe fine, essa ridivenne potenza di primo
ordine: ma mentre l'esito della contesa era dubbio, rimase
condannata alla inazione e al vassallaggio. Era stata grande sotto i
Plantageneti e i Tudor; divenne nuovamente grande sotto i principi
che regnarono dopo la Rivoluzione: ma sotto i Re della Casa Stuarda,
fu come se non esistesse nella carta geografica dell'Europa. Aveva
perduto una specie d'energia senza acquistarne un'altra. Quella
specie di forza onde essa nel secolo decimoquarto aveva potuto
umiliare Francia e Spagna, aveva cessato di esistere. Quella specie
di forza che nel decimottavo secolo umiliò nuovamente Francia e
Spagna, non era ancora posta in azione. Il Governo non era più una
monarchia limitata, secondo la forma politica delle età di mezzo;
non era divenuto una monarchia limitata secondo la forma dei moderni
tempi: co' vizi di due diversi sistemi non aveva il vigore di
nessuno. Gli elementi della nostra politica, invece di armonizzare,
avversavansi vicendevolmente e s'annientavano. Tutto era
transizione, conflitto e disordine. Il fine precipuo del sovrano era
quello di abbattere i privilegi della Legislatura; quello della
Legislatura era di usurpare le prerogative del sovrano. Il Re era
sollecito d'accettare aiuti stranieri che lo liberassero dalla
sciagura d'essere dipendente da un fazioso Parlamento. Il Parlamento
negava al Re i mezzi di sostenere l'onor nazionale, temendo con
molta ragione che verrebbero adoperati a stabilire il dispotismo nel
paese. Lo effetto di tali gelosie fu che la patria nostra, con tutti
i suoi grandi mezzi, fosse di sì poco peso nella Cristianità, come
lo era il Ducato di Savoia o quello di Lorena, e certamente di assai
minor peso che non era la piccola provincia d'Olanda.
XIII. La Francia aveva grande interesse a prolungare questo stato di
cose(308): tutti gli altri potentati lo avevano a condurlo a fine.
Era desiderio generale dell'Europa, che Giacomo governasse a seconda
della legge e della pubblica opinione. Dallo stesso Escuriale
vennero lettere esprimenti la speranza che il nuovo Re fosse in
buona armonia col Parlamento e col popolo(309). Perfino dal Vaticano
giunsero avvertimenti contro lo smoderato zelo per la fede cattolica
romana. Benedetto Odescalchi, che teneva il seggio papale col nome
d'Innocenzo XI, sentì, come sovrano temporale, tutto il timore onde
gli altri principi invigilavano il progresso della potenza francese.
Aveva anche particolari cagioni d'inquietudine. Fu fortuna per la
religione protestante, che nel momento in cui l'ultimo Re cattolico
romano salì sul trono dell'Inghilterra, la Chiesa cattolica romana
fosse lacerata da dissensioni e minacciata da un nuovo scisma. Un
conflitto simile a quello che arse nel secolo undecimo tra
gl'imperatori e i sommi pontefici, era sorto tra Luigi ed Innocenzo.
Luigi, zelante fino alla bacchettoneria per le dottrine della Chiesa
di Roma, ma tenace della sua regia autorità, accusava il Papa di
usurpare i diritti secolari della Corona francese, ed era alla sua
volta accusato dal Papa di usurpare il potere spirituale delle
Chiavi. Il Re, superbo come egli era, incontrò uno spirito anche più
risoluto del suo. Innocenzo, nelle relazioni private, era il più
mansueto e gentile degli uomini; ma qualvolta parlava officialmente
dalla cattedra di San Pietro, favellava col tono di Gregorio VII e
di Sisto V. La lotta si fece grave. Gli agenti del Re furono
scomunicati; gli aderenti del Papa banditi. Il Re creò vescovi i
difensori della sua autorità. Il Papa rifiutò di approvarli. Quelli
si posero al possesso de' palazzi e delle rendite vescovili; ma
erano incompetenti ad esercitare gli episcopali uffici. Innanzi che
la contesa avesse fine, in Francia erano trenta prelati che non
avevano potestà di conferire gli ordini o la cresima(310).
Se qualunque altro principe, tranne Luigi, fosse stato in quei tempi
involto in simigliante contesa col Vaticano, tutti i Governi
protestanti si sarebbero messi dalla parte di lui. Ma tanta era la
paura e il dispetto che l'ambizione e insolenza del Re francese
ispiravano, che chiunque avesse avuto il coraggio di vigorosamente
avversarlo, era sicuro della universale simpatia. Anche i luterani e
i calvinisti, che avevano sempre detestato il Papa, non potevano
frenarsi dal desiderargli esito prospero contro un tiranno che
ambiva alla monarchia universale. E' fu così che, nel secolo nostro,
molti i quali consideravano Pio VII come l'anticristo, gioivano nel
vedere l'anticristo far fronte al gigantesco potere di Napoleone.
Il risentimento che Innocenzo provava verso la Francia, lo dispose a
guardare con occhio mite e liberale gli affari dell'Inghilterra. Il
ritorno del popolo inglese alla greggia di cui egli era pastore, gli
avrebbe senza dubbio racconsolata l'anima. Ma egli era bastevolmente
savio da non credere che una nazione cotanto ardita e tenace potesse
ricondursi al grembo della Chiesa di Roma col violento e
incostituzionale esercizio dell'autorità regia. Non era difficile
prevedere che qualora Giacomo con mezzi illegali e popolari si
fosse(311) studiato di promuovere gl'interessi della propria
religione, la prova sarebbe fallita; l'odio che gl'isolani eretici
sentivano per la vera fede, sarebbe diventato più forte e più feroce
che mai; e nelle menti di tutti sarebbe nata una indissolubile
colleganza tra il protestantismo e la libertà civile, tra il papismo
e il potere arbitrario. Frattanto, il Re sarebbe divenuto obietto
d'avversione e sospetto al suo popolo. L'Inghilterra sarebbe stata,
come sotto Giacomo I, Carlo I e Carlo II, una potenza di terzo
ordine; e la Francia avrebbe dominato irrefrenata oltre le Alpi e il
Reno. Dall'altro canto, era probabile che Giacomo, operando con
prudenza e moderazione, osservando strettamente le leggi, e
sforzandosi di acquistare la fiducia del suo Parlamento, avrebbe
potuto ottenere per coloro che professavano la sua religione, non
poco alleggiamento. Dapprima si sarebbe venuto alla abolizione degli
statuti penali; tosto dopo a quella delle incapacità civili.
Infrattanto, il Re e la nazione inglese congiunti, si sarebbero
potuti porre a capo della coalizzazione europea, avrebbero opposto
un argine insormontabile alla cupidità di Luigi.
Innocenzo fu reso più fermo nel proprio giudicio dal parere de'
principali inglesi che erano alla sua Corte. Fra essi, il più
illustre era Filippo Howard, discendente dalle famiglie più nobili
della Gran Brettagna; da un lato nipote del Conte d'Arundel,
dall'altro del Duca di Lennox. Filippo era già da lungo tempo membro
del sacro collegio; veniva comunemente chiamato il Cardinale
d'Inghilterra; ed era precipuo consigliere della Santa Sede per le
faccende concernenti la sua patria. Era stato cacciato in esilio dai
clamori dei bacchettoni protestanti, ed uno de' suoi, lo sventurato
Stafford, era caduto vittima della loro rabbia. Nè i propri danni nè
quelli di casa sua gli avevano acceso tanto il cervello, da renderlo
un imprudente consigliere. Ogni lettera, quindi, che dal Vaticano
arrivasse a Whitehall, raccomandava pazienza, moderazione, e
rispetto ai pregiudizii del popolo Inglese(312).
XIV. Grande era il conflitto che ardeva nella mente di Giacomo.
Saremmo verso lui ingiusti, ove supponessimo che la condizione di
vassallo gli tornasse gradita. Egli amava l'autorità e gli affari;
aveva alto concetto della dignità propria; anzi non era affatto
privo di un sentimento che aveva qualche affinità con l'amore di
patria. Gli si straziava l'anima pensando che il Regno da lui
governato, fosse di minor conto nel mondo, che non erano altri Stati
i quali avevano minori vantaggi naturali; e prestava facile ascolto
ai Ministri stranieri, sempre che lo incitavano a manifestare la
dignità del suo grado, porsi a capo di una grande confederazione,
farsi protettore delle oltraggiate nazioni, e domare l'orgoglio di
quella Potenza che teneva in timore il continente. Tali esortazioni
gli facevano battere il cuore con emozioni incognite al suo
spensierato ed effeminato fratello. Ma tali emozioni tosto cedevano
a più forte sentimento. Una politica estera vigorosa,
necessariamente presupponeva politica interna conciliatrice. Era
impossibile far fronte alla possanza francese, e a un tempo
calpestare le libertà della Inghilterra. Il Potere Esecutivo non
avrebbe potuto imprendere nulla di grande senza lo assenso della
Camera de' Comuni, nè ottenerne lo aiuto senza agire a seconda delle
opinioni di quella. In tal guisa, Giacomo accorgevasi di non potere
conseguire insieme le due cose ch'ei più desiderava. Il secondo de'
suoi desiderii era quello d'essere temuto e rispettato dai Governi
stranieri; ma il primo era di essere signore assoluto nel proprio
Regno. Fra gli oggetti incompatibili cui il suo cuore aspirava, egli
per qualche tempo procedè piegando ora di qua ora di là. Il
conflitto dell'animo diede ai suoi atti pubblici una strana
sembianza d'irresolutezza e di falsità. Difatti, coloro i quali
senza il filo d'Arianna tentavano d'esplorare il laberinto della sua
politica, non sapevano intendere come lo stesso uomo nella settimana
stessa potesse mostrarsi così superbo e così vile. Anco Luigi
rendevano perplesso gli andamenti d'un alleato il quale, in poche
ore, passava dall'omaggio alla disfida, e dalla disfida all'omaggio.
Nondimeno, ora che ci è appieno manifesta la condotta di Giacomo,
sembra che cotesta incoerenza possa agevolmente spiegarsi.
Allorquando egli si assise sopra il trono, era in dubbio se il Regno
si sarebbe tranquillamente sottoposto all'autorità sua. Gli
Esclusionisti, poco fa così potenti, avrebbero potuto, correndo
all'armi, insorgergli contro. Egli avrebbe potuto avere grande
bisogno dell'oro e delle milizie della Francia: fu quindi per
alquanti giorni pago di far la parte di piaggiatore e di mendicante.
Si scusò umilmente d'avere osato convocare il suo Parlamento senza
licenza del Governo francese; e lo pregò vivamente di concedergli un
sussidio. Sparse lacrime di gioia sopra le cambiali francesi; mandò
a Versailles una speciale ambasceria per significare la gratitudine,
lo affetto, la sommissione ch'egli aveva per Luigi. Ma appena
partita l'ambasceria, variò di sentimenti. Era stato da per tutto
proclamato Re senza il minimo tumulto, senza il più lieve grido
sedizioso. Da ogni parte dell'isola gli giungevano nuove ad
assicurarlo che i suoi sudditi erano tranquilli ed obbedienti.
Riprese animo, e sentì come la relazione disonorante da lui
contratta con un potentato straniero, gli fosse intollerabile.
Divenne altero, puntiglioso, vanitoso, rissoso. Parlava così
altamente intorno alla dignità della propria Corona e all'equilibrio
politico, che tutta la sua Corte aspettavasi ad un pieno
rivolgimento nella politica estera del Governo inglese. Comandò a
Churchill di mandargli una relazione minuta del ceremoniale di
Versailles, affinchè gli onori onde ivi era stata accolta la
legazione inglese, venissero debitamente contraccambiati, ma non più
che contraccambiati, al rappresentante della Francia a Whitehall. La
nuova di questo mutamento fu accolta con gioia a Madrid, a Vienna e
all'Aja(313). Il Re Luigi, in sulle prime, ne rise, dicendo: "Il mio
buono alleato parla alto; ma egli ama tanto i miei zecchini, quanto
li amava il suo fratello." Nonostante, il variato contegno di
Giacomo e, le speranze che ne avevano concepite i due rami di Casa
d'Austria, cominciarono a richiamare più seria attenzione. Esiste
tuttora una notevolissima lettera, nella quale il Re francese mostra
sospetto d'essere stato ingannato, credendo che lo stesso danaro da
lui mandato a Westminster(314), verrebbe adoperato a' suoi
danni(315).
Verso questo tempo, la Inghilterra s'era riavuta dalla tristezza ed
ansietà cagionatale dalla morte del buon Carlo. I Tory fecero grandi
proteste d'affetto verso il nuovo signore. La paura teneva domo il
rancore dei Whig. Quella vasta massa di gente che non sono
stabilmente Whig nè Tory, ma che pendono a vicenda ora verso gli uni
ora verso gli altri, stava dalla parte de' Tory. La reazione che
aveva tenuto dietro alla dissoluzione del Parlamento d'Oxford, non
aveva consunta la propria forza.
XV. Il Re non indugiò punto a porre alla prova la lealtà de' suoi
amici protestanti. Mentre egli era suddito, soleva ascoltare la
messa a uscio chiuso, in un piccolo oratorio, accomodato a uso della
consorte. Adesso comandò che le porte si spalancassero, affinchè
tutti coloro che andavano a complirlo, potessero vedere il servizio
divino. Alla elevazione dell'ostia, seguì una strana confusione
nell'anticamera. I cattolici romani prostraronsi in ginocchio; i
protestanti uscirono frettolosamente fuori. Tosto un nuovo pulpito
fu eretto in palazzo, d'onde, nella quaresima, sacerdoti papisti
predicavano, con grave sconcerto de' zelanti fedeli della Chiesa
Anglicana(316).
Alla predetta innovazione seguì altra più grave. Giunta la settimana
di Passione, il Re deliberò di assistere alla messa con la pompa
medesima di che usavano circuirsi i suoi predecessori, andando ai
tempii della religione anglicana. Palesò il suo intendimento ai tre
Ministri del Gabinetto intimo, e ingiunse loro di accompagnarlo.
Sunderland, pel quale tutte le religioni valevano lo stesso, fu
pronto ad assentire. Godolphin, come Ciamberlano della Regina, era
già assuefatto a darle mano quando essa recavasi all'oratorio, e non
ebbe scrupolo d'inchinarsi officialmente nel tempio di Rimmon. Ma
Rochester ne rimase gravemente conturbato. La influenza ch'egli
esercitava sul paese, originava principalmente dal concetto, in che
il clero e i gentiluomini Tory lo tenevano, di amico sincero e
zelante della Chiesa. La sua ortodossia era considerata come piena
espiazione di falli che altrimenti lo avrebbero reso il più
impopolare uomo del Regno, avvegnachè avesse indole oltremodo
arrogante e violenta, e modi quasi brutali(317). Ei temeva che,
arrendendosi alle voglie del principe, avrebbe perduta in gran parte
la stima del proprio partito. Infine, non senza qualche contrasto,
ottenne licenza di passare fuori di città i giorni santi. Tutti gli
altri dignitari civili ebbero comandamento di trovarsi al proprio
posto nella domenica della Pasqua. Così, dopo un intervallo di cento
ventisette anni, i riti della Chiesa di Roma furono celebrati in
Westminster con regia magnificenza. Le guardie reali erano
schierate. I cavalieri della Giarrettiera portavano i loro collari.
Il Duca di Somerset, secondo per grado fra i nobili secolari del
reame, portava la spada dello Stato. Un gran codazzo di grandi Lordi
accompagnò il Re al suo seggio. Ma fu notato che Ormond e Halifax
rimasero nell'anticamera. Pochi anni innanzi, essi avevano
valorosamente propugnata la causa di Giacomo contro alcuni di coloro
che ora mostravansi ossequiosissimi. Ormond non aveva partecipato
alla strage de' cattolici romani. Halifax aveva animosamente votato
per la non colpabilità di Stafford. E mentre i voltafaccia, che
avevano preteso raccapricciar al solo pensiero di un Re papista, e
senza misericordia versato il sangue innocente di un Pari papista,
adesso spingevansi l'un l'altro per farsi più da presso a un altare
papista, l'illustre Barcamenante si sarebbe giustamente potuto
inorgoglire di quello impopolare soprannome(318).
XVI. Una settimana dopo cotesta cerimonia, Giacomo fece un
sacrificio de' suoi pregiudizi religiosi, assai maggiore di
qualunque altro fin allora egli avesse richiesto da' suoi sudditi
protestanti. Si fece incoronare il giorno vigesimoterzo d'aprile, in
che ricorre la festività del Santo patrono del Regno. Tutto
Westminster fu splendidamente adornato. La presenza della Regina e
delle mogli de' Pari dava alla solennità uno incanto che era mancato
alla magnifica inaugurazione del Re defunto. Nondimeno coloro che
ricordavansi di quella cerimonia, affermarono che l'incoronazione di
Giacomo fu meschina. L'antica usanza richiedeva che avanti la
incoronazione il sovrano con tutti i suoi araldi, giudici,
Consiglieri, Lordi e gran dignitari, cavalcasse solennemente dalla
Torre a Westminster. L'ultima e più magnifica di tali cavalcate fu
quella che traversò la metropoli, allorquando i sentimenti eccitati
dalla Restaurazione erano ancor vivi. Lungo il cammino innalzavansi
archi trionfali. Tutto Cornhill, Cheapside, Saint Paul's Church
Yard, Fleet Street, e lo Strand erano fiancheggiati da file di
palchi. La città intera in tal modo poteva contemplare il principato
nella sua forma più splendida e solenne. Giacomo ordinò che si
calcolasse la spesa di simigliante processione, e fu riferito che
ascenderebbe a circa la metà più della somma da esso proposta per
coprire di ciondoli la sua sposa. Deliberò, quindi, d'essere prodigo
dove aveva mestieri d'esser parco, e spilorcio dove avrebbe dovuto
essere generoso. Più di cento mila lire sterline furono spese negli
abiti della Regina; e la processione fu posta da parte. La insania
di questo partito si conosce a prima vista: imperciocchè, se la
pompa è utile in politica, lo è quando si adopera come mezzo di
abbagliare la fantasia della moltitudine. E veramente, è grandissima
assurdità escludere la plebe da uno spettacolo, il cui scopo
principale è quello di produrre una impressione nell'animo della
plebe. Giacomo avrebbe fatto mostra d'una più giudiziosa
munificenza, e d'una parsimonia più giudiziosa, se avesse traversata
Londra da levante a ponente con la solita pompa, e ordinato che gli
abiti della propria moglie fossero stati meno sopraccarichi di perle
e di diamanti. Nulladimeno i suoi successori per lungo tempo
seguirono lo esempio di lui; e in uno spettacolo al quale venivano
ammesse solo tre o quattro mila persone, si profondevano somme che,
bene impiegate, avrebbero pôrto squisitissimo diletto ad una gran
parte della nazione. In fine, venne in parte richiamato a vita lo
antico costume. Il dì della incoronazione della regina Vittoria vi
fu una processione, nella quale si sarebbero potuti notare molti
mancamenti, ma che fu ammirata con interesse e diletto da mezzo
milione di sudditi; e senza dubbio veruno, apprestò più piacere ed
eccitò maggiore entusiasmo, della costosa solennità che facevasi fra
mezzo a uno eletto numero di persone dentro l'Abbadia.
Giacomo aveva fatto comandamento a Sancroft di abbreviare il
rituale. La ragione che venne pubblicamente addotta, fu che il
giorno era sì corto, da non potersi compiere tutto ciò ch'era da
farsi. Ma chiunque si faccia ad esaminare i cangiamenti fattivi, si
accorgerà che il vero fine fu quello di scartare talune cose le
quali altamente offendevano i sentimenti religiosi d'un cattolico
romano zelante. L'ufficio della comunione non fu letto. Fu omessa la
cerimonia di presentare in dono al sovrano una Bibbia riccamente
rilegata, e di esortarlo a pregiare sopra tutti i tesori della terra
un volume ch'egli, secondo gl'insegnamenti ricevuti, reputava
adulterato con false dottrine. Nulladimeno, ciò che rimaneva dopo
tali omissioni, avrebbe potuto far nascere scrupoli nella mente di
un uomo, il quale sinceramente avesse creduto che la Chiesa
Anglicana era una società ereticale, nel cui seno non poteva
acquistarsi la eterna salvezza. Il re fece una oblazione all'altare.
Ripetè i responsi alle litanie cantate dai vescovi. Ricevè da que'
falsi profeti la unzione, simbolo della divina assistenza, e
s'inginocchiò simulando devozione, mentre essi invocavano lo Spirito
Santo, al quale erano, secondo egli credeva, maligni ed implacabili
nemici. Tali sono le incoerenze della umana natura, che cotesto
uomo, il quale per un fanatico zelo verso la propria religione perdè
tre Regni, amò commettere un atto ch'era poco meno d'una apostasia,
più presto che rinunziare al fanciullesco diletto della simbolica
fantocciata della incoronazione(319).
Francesco Turner, vescovo d'Ely, predicò agli astanti. Era uno di
quegli scrittori che seguitavano ad affettare lo stile antiquato
dell'arcivescovo Williams e del vescovo Andrews. Il sermone era
tessuto di quei concetti strani, che sessanta anni innanzi avrebbero
potuto destare ammirazione, ma allora movevano a scherno una
generazione d'uditori assuefatta alla pure eloquenza di Sprat, di
South e di Tillotson. Salomone era Re Giacomo; Adonia, Monmouth;
Joab era uno de' congiurati di Rye House; Shimei, un libellista
Whig; Abiathar, un onesto ma traviato Cavaliere. Una frase del libro
delle croniche fu stiracchiata a significare che il Re era superiore
al Parlamento; un'altra fu adatta a provare ch'egli solo avrebbe
dovuto comandare le milizie cittadine. Verso la fine del discorso,
l'oratore timidamente alluse alla nuova e impacciata condizione in
cui la Chiesa trovavasi di faccia al sovrano, e rammentò agli
uditori come lo imperatore Costanzo Cloro, benchè non fosse
cristiano, avesse tenuto in onoranza i cristiani fedeli alla propria
religione, e avesse spregiati coloro che cercavano guadagnarsi,
apostatando, il favore di lui. Il servizio religioso nella Abbadia,
fu seguito da un banchetto solenne nella Sala; il banchetto da
magnifici fuochi artificiali, e i fuochi da molte cattive
poesie(320).
XVII. Fu questo il momento in cui lo entusiasmo del partito Tory
pervenne alla sua maggiore altezza. Dal dì in che Giacomo fu asceso
sul trono, s'erano sempre avvicendati indirizzi, in cui quel partito
esprimeva profonda venerazione per la persona e la dignità del
monarca, e acre abborrimento per i vinti Whig. I magistrati di
Middlesex rendevano grazie a Dio per avere dispersi i disegni di
que' regicidi ed Esclusionisti, i quali, non paghi d'avere
assassinato un monarca santo, tentavano di distruggere le fondamenta
della monarchia. La città di Gloucester esecrò i ribaldi sitibondi
di sangue, che avevano tentato di privare la Maestà Sua del diritto
ereditario. I borghesi di Wigan assicurarono il sovrano, che lo
avrebbero difeso contro tutti gli Achitophel cospiratori, e i
ribelli Assalonni. I gran giurati di Suffolk dissero sperare, che il
Parlamento avrebbe proscritti gli Esclusionisti. Molti Consigli
municipali giurarono di non rieleggere mai più alla Camera de'
Comuni chiunque avesse votato a favore della legge che voleva
privare Giacomo del diritto di successione. Perfino la metropoli
mostrò profondo ossequio. I legali e i commercianti fra loro
gareggiavano di servilità. I collegi dei Tribunali, e quelli di
Cancelleria, mandarono fervide professioni di sommissione e
d'affetto. Tutte le grandi società commerciali, la Compagnia delle
Indie Orientali, la Compagnia Affricana, la Compagnia di Turchia, la
Compagnia di Moscovia, la Compagnia di Hudson Bay, i Mercanti di
Maryland, i Mercanti della Giammaica, i Mercanti Avventurieri,
dichiararono che accettavano ben volentieri lo editto regio, il
quale ingiungeva loro di continuare a pagare i diritti doganali.
Bristol, seconda città dell'isola, fece eco al voto di Londra. Ma in
nessuno altro luogo lo spirito di lealtà fu più fervido di quel che
fosse nelle due università. Oxford dichiarò che non si sarebbe mai
dilungata da quei principii religiosi che la obbligavano a prestare
obbedienza al Re senza limiti o restrizioni. Cambridge, con
severissime parole, dannò la violenza e il tradimento di que'
torbidi spiriti che s'erano malignamente studiati di trarre la
corrente della successione fuori del suo proprio alveo(321).
XVIII. Simiglianti indirizzi, per uno spazio considerevole di tempo,
riempirono ciascun numero della Gazzetta di Londra. Ma non erano i
soli indirizzi i mezzi onde i Tory mostravano il proprio zelo.
Pubblicati i decreti per le elezioni parlamentari, il paese fu in
grande concitamento. Non v'era mai stata elezione generale che, come
questa, fosse accompagnata da circostanze cotanto favorevoli alla
Corte. Centinaia di migliaia che la Congiura papale aveva cacciato
dentro il partito Whig, furono ricacciati al partito Tory dalla
congiura di Rye House. Nelle Contee, il Governo poteva esser sicuro
d'una immensa maggioranza di gentiluomini possidenti trecento e più
lire sterline l'anno, e di tutti gli ecclesiastici fino a uno. Quei
borghi che un tempo erano cittadelle di Whig, erano di fresco stati
con sentenza legale privati de' loro Statuti, o avevano prevenuta la
sentenza, spontaneamente rinunziandovi. Erano poi stati ricostituiti
in modo da rieleggere senza dubbio rappresentanti devoti alla
Corona. Dove non era da fidarsi dei cittadini, la franchigia
elettorale era stata affidata agli scudieri delle vicinanze. In
alcuni dei più piccoli municipii occidentali, i collegi elettorali
erano in gran parte composti di Capitani e di Luogotenenti delle
Guardie. I seggi elettorali avevano dovecchessia interesse per la
Corte. In ciascuna Contea il Lord Luogotenente e i suoi deputati
formavano un potente, operoso e vigilante comitato, col fine di
carezzare e intimidire i liberi possidenti. Le popolazioni erano
ammonite da migliaia di pulpiti a non votare a favore di nessun
candidato Whig, perocchè ne dovevano render conto a Colui che aveva
ordinato che vi fossero i potentati, e aveva detto la ribellione
essere peccato non meno grave della stregoneria. Di tutti cotesti
elementi il partito predominante non solo usò quanto potè, ma abusò
in modo così svergognato, che gli uomini gravi e saggi, i quali si
erano mantenuti fedeli alla monarchia mentre era in pericolo, e non
portavano nessun affetto ai repubblicani e agli scismatici,
tiraronsi da parte, e da siffatti primordii previdero lo appressarsi
di tempi tristissimi(322).
Nondimeno i Whig, comecchè patissero la giusta pena de' propri
errori, e fossero sconfitti, scoraggiati, disordinati, non vollero
cedere senza sforzi. Erano tuttavia numerosi nelle classi dei
trafficanti e degli artigiani delle città, e in quelle de' piccoli
possidenti e de' contadini sparsi per le campagne. In taluni
distretti, come, a cagione d'esempio, nelle Contee di Dorset e di
Somerset, formavano la gran maggioranza della popolazione. Nulla
potevano nei borghi ricostituiti; ma in ogni Contea dove avevano
probabilità di prospero successo, lottarono disperatamente. Nella
Contea di Bedford, che all'ultimo Parlamento era stata rappresentata
dallo sfortunato Russell, essi rimasero vincitori nella prova ad
alzata di mani, ma perdenti in quella dello squittinio(323). In
Essex ottennero mille trecento voti contro mille ottocento(324).
Nella elezione della Contea di Northampton, il popolo procedè così
violentemente ostile al candidato della Corte, che fu necessario
appostare nella piazza di mercato della città della Contea una
coorte di soldati, ai quali fu dato ordine di caricare a palla gli
archibugi(325). La storia della contesa per la elezione della Contea
di Buckingham, è anche più degna di considerazione. Il candidato
Whig, che aveva nome Tommaso Wharton, figlio primogenito di Filippo
Lord Wharton, era uomo predistinto e per destrezza e per audacia, e
destinato a rappresentare una parte cospicua, benchè non sempre
commendevole, nella politica di vari sovrani. Nella Camera de'
Comuni era stato uno de' membri, i quali avevano portata la Legge
d'Esclusione alla barra di quella de' Lordi. La Corte, adunque, era
intesa ad usare ogni mezzo buono o cattivo per escluderlo dal
Parlamento. Il Lord Capo Giudice Jeffreys recossi in persona nella
Contea di Buckingham, a fine di sostenere un gentiluomo chiamato
Hacket, che apparteneva al partito Tory. Immaginarono uno
strattagemma, che essi pensavano dovesse produrre buono effetto. Fu
annunziato che la elezione si farebbe in Ailesbury; e Wharton, la
cui perizia in tutte le astuzie di condurre una elezione era senza
rivali, ordinò tutto, credendo vera la cosa; allorquando, con
improvviso annunzio, lo sceriffo fece sapere che lo squittinio
seguirebbe in Newport Pagnell. Wharton e i suoi partigiani vi si
recarono frettolosamente, e trovarono che Hacket, il quale sapeva il
secreto, aveva già preso per conto suo tutte le locande e gli
alberghi. I liberi possidenti Whig furono costretti a legare i
propri cavalli alle(326) siepi, e dormire a cielo scoperto sui prati
che circondavano la città. E' non fu senza difficoltà grandissima
che si potè provvedere improvvisamente al vitto di tanto numero
d'uomini e d'animali; quantunque Wharton, che non curava affatto
spesa alcuna quando gli si accendevano in cuore l'ambizione e lo
spirito di parte, sborsasse in un solo giorno mille cinquecento lire
sterline, somma immensa per que' tempi. Nonostante, sembra che tanta
ingiustizia avesse ridato coraggio ai possidenti di Bucks, animosi
figli degli elettori di Giovanni Hampden. Wharton non solo sortì
vittorioso della prova, ma potè ottenere la elezione d'un altro uomo
d'opinioni moderate, e sconfiggere il candidato del Capo
Giudice(327).
Nella contea di Chester la lotta durò sei giorni. I Whig ebbero
circa mille settecento voti, i Tory circa due mila. Il popolo minuto
parteggiò con veemenza a favore de' Whig, e gridando: "Abbasso i
Vescovi!" insultò il clero per le vie di Chester, stramazzò a terra
un gentiluomo Tory, ruppe le finestre e bastonò i commissari di
polizia. Fu chiamata la milizia cittadina a chetare il tumulto, e fu
fatta rimanere in armi, onde proteggere il trionfo de' vincitori.
Appena finito lo squittinio, cinque grossi cannoni dal castello
annunziarono al paese circostante la vittoria della Chiesa e della
Corona. Le campane sonarono a festa. Gli eletti furono condotti
solennemente alla croce della città(328), accompagnati da una banda
musicale e da un lungo codazzo di cavallieri e scudieri. La
processione andava cantando: "Letizia al gran Cesare!" ode
cortigiana, la quale era stata, poco innanzi, scritta da Durfey, e
quantunque, al pari di tutti gli scritti di lui, fosse estremamente
spregevole, in quel tempo era quasi tanto popolare, quanto pochi
anni dopo lo fu Lillibullero(329). Attorno la croce stavano
schierate le civiche milizie; fu acceso un fuoco di gioia; la Legge
d'Esclusione venne bruciata; e si bevve con fragorose acclamazioni
alla salute di Re Giacomo. Il dì seguente era domenica. La milizia
schierossi in fila lungo le vie conducenti al duomo. I due
rappresentanti della Contea furono condotti con gran pompa al coro
dai magistrati della città; ascoltarono la predica del Decano, che
probabilmente ragionò del debito d'obbedienza passiva; e poi furono
festeggiati dal Gonfaloniere(330).
In Northumberland, il trionfo di Sir Giovanni Fenwik, cortigiano che
acquistò poscia trista rinomanza, fu accompagnato da circostanze che
destarono interesse in Londra, e che non furono stimate indegne
d'essere rammentate, nei dispacci de' Ministri stranieri. Newcastle
fu illuminato con gran mucchi di carbone acceso. I campanili
mandarono suoni di esultanza. Un esemplare della Legge d'Esclusione,
ed una cassetta nera simigliante a quella che, secondo la favola
popolare, conteneva il contratto di nozze tra Carlo II e Lucia
Walters, vennero pubblicamente date alle fiamme con alte
acclamazioni(331).
L'esito generale delle elezioni sorpassò le più ardenti speranze
della Corte. Giacomo vide con gioia, come non gli fosse necessario
di spendere un soldo a comperare i voti. Disse che, tranne circa
quaranta membri, la Camera de' Comuni era quale doveva essere ove
egli l'avesse nominata da sè(332). Oltrechè, stava in poter suo,
secondo che allora consentivano le leggi, tenerla sino alla fine del
suo regno.
Essendo sicuro d'essere sostenuto dal Parlamento, poteva oramai
appagare la libidine di vendetta. Aveva indole implacabile; e mentre
era ancor suddito, aveva patito ingiurie e indegnità tali, che
avrebbero mosso anche un animo placabile a fiero e durevole
risentimento. Una setta d'uomini, in ispecie, aveva, con inusitata e
indicibile crudeltà e vigliaccheria, aggredito l'onore e la vita di
lui; voglio dire i testimoni della congiura. L'odio ch'ei loro
portava, parrebbe degno di scusa; poichè fino ai dì nostri il solo
profferirne il nome muove a schifo ed orrore gli uomini di tutte le
sètte e di tutti i partiti.
XIX. Alcuni di cotesti sciagurati erano in luogo dove non poteva
giungere il braccio della umana giustizia. Bedloe era morto da
ribaldo, senza dare il minimo segno di rimorso e di vergogna(333).
Dugdale gli era andato dietro, reso insano, secondo che dicevasi,
dalle furie della pessima coscienza, con acute strida scongiurando
coloro che stavano attorno al suo letto, d'allontanare lo spettro di
Lord Stafford(334). Carstairs anch'esso era morto. La sua fine fu
tutta orrore e disperazione; e sul punto di mandare l'ultimo flato,
aveva detto ai suoi assistenti di gittarlo a guisa d'un cane in un
fosso, non essendo degno di riposare in un cimitero cristiano(335).
Ma Oates e Dangerfield erano in potere dello austero principe da
essi oltraggiato. Giacomo, breve tempo avanti che ascendesse sul
trono, aveva intentato un processo civile contro Oates per
diffamazione; e i giurati lo avevano condannato a pagare la enorme
multa di cento mila lire sterline(336). Lo accusato, non potendo
pagare, era stato preso, e viveva in carcere senza speranza
d'uscire. Gli Alti Giurati di Middlesex, poche settimane avanti la
morte di Carlo, avevano ammessi contro lui due atti d'accusa come
colpevole di spergiuro. Appena finite le elezioni, si cominciò il
processo.
Tra le classi alte e le medie, ad Oates non rimaneva né anche un
amico. Tutti i Whig intelligenti erano convinti, che quando anche il
suo racconto fosse in alcun modo fondato sul fatto, egli vi aveva
edificato sopra un romanzo. Un numero considerevole di fanatici,
nondimeno, lo considerava tuttavia come pubblico benefattore.
Costoro bene sapevano che qualora ei fosse convinto di reità, la sua
sentenza sarebbe severissima; e però infaticabilmente studiavansi a
procacciargli la fuga. Quantunque fino allora fosse rinchiuso per
debiti, venne posto in ferri dalle autorità della prigione del Banco
del Re; ed anche ciò non era bastevole a tenerlo in sicura custodia.
Al mastino che stava dinanzi all'uscio del suo carcere, fu dato il
veleno; e nella medesima notte che precedè il suo processo, una
scala di fune fu introdotta nella sua cella.
Il giorno ch'ei fu condotto alla barra, Westminster Hall era
affollata di spettatori, fra' quali vedevansi molti cattolici
romani, ansiosi di contemplare la miseria e la umiliazione del loro
persecutore(337). Pochi anni prima, il suo collo corto, le sue gambe
ineguali come quelle d'un tasso, la sua fronte bassa a guisa di
quella d'un babbuino, le sue guance chiazzate di sangue, la
mostruosa lunghezza del suo mento, erano famigliari a quanti
frequentavano le corti di giustizia. Era in que' giorni diventato
l'idolo della nazione: dovunque ei si mostrasse, ciascuno gli faceva
di cappello. La vita e gli averi de' magnati del reame erano stati
in sua balía. Ma adesso i tempi erano cangiati; e molti di coloro
che per lo innanzi lo avevano considerato liberatore della patria,
rabbrividivano alla vista di quegli osceni sembianti, sopra i quali
pareva che il dito di Dio avesse scritto: scellerato(338)!
E' fu provato, senza possibilità di dubbio, che questo uomo aveva,
con false testimonianze, premeditatamente assassinate varie persone
innocenti. Egli invocò invano i più eminenti membri del Parlamento,
dai quali era stato ricompensato ed esaltato, perchè testificassero
a favor suo. Parecchi di coloro ch'egli aveva chiamati al tribunale,
assentaronsi. Nessuno disse la minima cosa che tendesse a scolparlo.
Uno di loro, cioè a dire il Conte di Huntingdon, lo rimproverò
aspramente d'avere ingannate le Camere, e gettata sopra esse la
colpa d'aver versato il sangue innocente. I giudici guardavano
fieri, ed avvilirono lo accusato con crudeltà tale, che anche nei
casi più atroci mal conviene al carattere di ministro della
giustizia. Eppure ei non mostrò segno di timore o vergogna, e con la
insolenza della disperazione affrontò la tempesta delle invettive
che scoppiava contro lui dalla barra, dal seggio e dal banco de'
testimoni. Fu dichiarato convinto sopra ambedue gli atti d'accusa.
Quantunque, moralmente considerata, la sua colpa fosse assassinio
della più grave specie, nondimeno agli occhi della legge era
semplice delitto. Il tribunale, nondimeno, voleva che la pena da
darglisi fosse più severa di quella de' felloni o traditori, e non
solo farlo morire, ma farlo morire tra orribili tormenti. Fu
condannato ad essere spogliato degli abiti clericali, posto alla
gogna in Palace Yard, e condotto attorno Westminster Hall con un
cartello fittogli sulla testa, nel quale fosse scritta la sua
infamia; e posto nuovamente alla gogna di faccia alla Borsa Reale,
fustigato da Aldgate a Newgate, e dopo un intervallo di due giorni
fustigato un'altra volta da Newgate a Tyburn. Se, contro ogni
probabilità, egli fosse sopravvissuto a questa orribile pena, doveva
rimanere in carcere per tutta la vita, donde doveva essere tratto
cinque volte l'anno, e messo alla gogna in diversi luoghi della
metropoli(339).
La cruda sentenza venne crudamente eseguita. Oates, il giorno in cui
fu posto alla gogna in Palace Yard, sostenne una pioggia di sassate,
e corse pericolo di essere fatto in brani(340). Ma nella città, i
suoi partigiani si raccolsero, suscitarono un tumulto, e
rovesciarono la gogna(341). Ciò non ostante, non riuscì loro di
liberarlo. Fu creduto che per sottrarsi all'orrendo destino che lo
aspettava, tentasse d'avvelenarsi: però il cibo e la bevanda furono
sottoposti a rigoroso esame. Il dì seguente, fu tratto fuori di
carcere per subire la prima fustigazione. A buon'ora, innumerevole
turba di popolo riempiva tutte le vie, da Aldgate sino a Old Bailey.
Il carnefice menava la frusta con tanto insolita severità, da
mostrare che avesse ricevuto speciali ammonimenti. Il sangue correva
a rivi. Per qualche tempo il colpevole fece mostra d'una strana
costanza; ma in fine, sì ostinata fortezza gli venne meno. Urlava in
modo spaventevole; perdè i sensi più volte: ma non perciò restava il
flagello. Come fu sciolto, e' parve d'avere sopportato quanto la
forma umana può sopportare senza dissolversi. Giacomo venne
supplicato a risparmiargli la seconda fustigazione. Ei rispose in
brevi e chiare parole: "Dovrà subire la pena finchè gli rimarrà
fiato in corpo." Tentossi di ottenere la intercessione della Regina;
ma essa sdegnosamente ricusò di dire una sola parola a pro di un
tanto scellerato. Dopo un intervallo di sole quarantotto ore, Oates
fu nuovamente tratto di carcere. Non aveva forza da tenersi in
piedi, e fu d'uopo trascinarlo sopra una treggia a Tyburn. Pareva
affatto insensibile; e i Tory riferivano ch'egli si fosse stordito
bevendo liquori spiritosi. Un tale, che nel secondo giorno contò il
numero delle frustate, affermò che fossero mille settecento. Al
tristo uomo rimase la vita, ma in guisa che gl'ignoranti e i
bacchettoni fra' suoi ammiratori reputarono la sua guarigione un
miracolo, e l'adducevano come argomento della innocenza di lui. Le
porte del carcere gli si richiusero sopra. Per molti mesi stette
incatenato nel più oscuro buco di Newgate. Fu detto che ivi si
abbandonasse alla malinconia, e per giorni interi sedendo con le
mani incrociate, e col cappello fitto in sugli occhi, mandasse cupi
gemiti. E' non fu nella sola Inghilterra che questi avvenimenti
svegliarono grande interesse. Milioni di cattolici romani, i quali
non sapevano nulla delle nostre istituzioni e fazioni, avevano udito
come nella nostra isola avesse infuriato una barbarissima
persecuzione contro i credenti nella vera fede, come molti uomini
pii avessero patito il martirio, e Tito Oates fosse stato il
principale assassino. E però grande fu la gioia ne' lontani paesi
appena si seppe che la mano della giustizia divina lo aveva
raggiunto. Per tutta l'Europa correvano certe incisioni, dove egli
era rappresentato alla gogna e in atto di subire la flagellazione; e
gli epigrammisti, in molte lingue, scherzarono sul titolo di dottore
ch'egli pretendeva d'avere ottenuto nella Università di Salamanca, e
notavano che non potendo farlo arrossire in fronte, era giusto che
lo facessero arrossire su per la schiena(342).
Per quanto orribili fossero i tormenti di Oates, non potevano
agguagliarsi a' suoi misfatti. Un'antica legge dell'Inghilterra, che
s'era lasciata cadere in disuso, trattava come assassino il falso
testimone, che spergiurando fosse stato cagione di morte ad
alcuno(343). Ciò era savio ed equo, imperocchè un simigliante
testimonio, davvero è il peggiore degli assassini. Alla colpa di
spargere il sangue innocente, egli aggiunge quella di violare il più
solenne contratto che possa esistere tra uomo e uomo, e di rendere
le istituzioni - alle quali è da desiderarsi che il pubblico porti
rispetto e fiducia - strumento di terribili danni, e obietto di
generale diffidenza. Il dolore cagionato da un assassinio ordinario
non è da paragonarsi al dolore cagionato dallo assassinio, di cui le
corti di giustizia diventano agenti. La semplice estinzione della
vita è piccolissima parte di ciò che rende orribile il patibolo. La
prolungata mortale agonia del condannato, la vergogna e la miseria
de' suoi congiunti, la macchia d'infamia che discende fino alla
terza o quarta generazione, sono cose più spaventevoli della morte
stessa. Generalmente, potrebbe di sicuro affermarsi che il padre di
una numerosa famiglia si lascerebbe più presto privare di tutti i
propri figliuoli, morti per disgrazia o per malattia, che perdere un
solo di loro per le mani del carnefice. L'assassinio cagionato da
falsa testimonianza è, dunque, la specie più grave degli assassinii;
ed Oates era reo di molti simiglianti assassinii. Nondimeno, non può
giustificarsi la pena che gli venne inflitta. Nel dannarlo ad essere
spogliato dell'abito ecclesiastico e incarcerato a vita, sembra che
i giudici avessero ecceduto il loro potere legale. Certo erano
competenti a infliggere la fustigazione, nè la legge assegnava
termine al numero delle frustate: ma lo spirito della legge
manifestamente voleva che nessun delitto venisse punito con severità
maggiore di quella con cui si puniscono le più atroci fellonie. Il
peggiore de' felloni poteva essere condannato alla forca. I giudici,
secondo che credevano, dannarono Oates ad essere flagellato a morte.
Dire che la legge fosse difettosa, non è scusa sufficiente(344):
imperocchè le leggi difettive dovrebbero essere riformate dal Corpo
legislativo, non mai stiracchiate dai tribunali, e, quel che è
peggio, stiracchiate a fine di dare la tortura e la morte. Che Oates
fosse uomo malvagio, non è scusa sufficiente: imperocchè il
colpevole è quasi sempre il primo a patire le severità che poscia si
considerano come precedenti per opprimere l'innocente. Tale era il
caso d'Oates. Il flagellare senza misericordia divenne tosto la
punizione ordinaria de' falli politici di non molta gravità.
Individui accusati di avere imprudentemente profferite parole ostili
al Governo, vennero condannati a tormenti così crudeli, che essi,
con non simulata serietà, chiedevano d'essere processati come rei di
delitti capitali, e mandati alle forche. Avventuratamente, a'
progressi di tanto male posero argine la Rivoluzione, e la Legge de'
Diritti, con quello articolo che condanna ogni punizione crudele e
inusitata.
XX. La ribalderia di Dangerfield non aveva, al pari di quella
d'Oates, cagionata la morte di molte vittime innocenti; perocchè
Dangerfield non si diede al mestiere di testimonio se non quando la
congiura era andata in fumo, e i giurati s'erano fatti
increduli(345). Gli fu intentato il processo, non come reo di
spergiuro, ma per diffamazione. Mentre ferveva il commovimento
cagionato dalla Legge d'Esclusione, egli aveva stampata una
narrazione che conteneva alcuni falsi e odiosi addebiti contro Carlo
e Giacomo. Per tale pubblicazione, egli, dopo cinque anni, fu
improvvisamente preso, condotto innanti al Consiglio Privato,
accusato, processato, convinto, e dannato alla fustigazione da
Aldgate a Newgate, e da Newgate a Tyburn. Lo sciagurato, durante il
processo, tenne sfrontato contegno; ma appena udì profferire la
sentenza, si abbandonò allo strazio della disperazione; si dette per
ispacciato, e scelse un testo biblico per il suo funebre sermone. Il
suo presentimento era giusto. A dir vero, non fu flagellato con
tanta severità con quanta lo era stato Oates; ma non aveva la forza
ferrea della mente e del corpo d'Oates. Dopo la esecuzione della
sentenza, Dangerfield fu posto in una carrozza d'affitto per
ritornare al proprio carcere. Passato il canto di Hatton Garden, un
gentiluomo Tory di Gray's Inn, di nome Francis, fermò la vettura e
gridò con brutale ironia: "E bene, amico, vi hanno scaldata la
schiena stamane?" Il prigione grondante sangue, infuriato a
quell'insulto, gli rispose con una maledizione. Francis gli avventò
tosto al viso una mazzata, che lo ferì in un occhio. Dangerfield fu
portato morente a Newgate. Questo codardo oltraggio mosse a sdegno
gli astanti, i quali posero le mani addosso a Francis, sì che
stettero per farlo in brani. Alla vista del corpo di Dangerfield,
orribilmente lacerato dalle fustigazioni, molti inchinavano a
credere che la sua morte fosse stata massimamente, se non al tutto,
cagionata dalle frustate ricevute. Il Governo e il Capo Giudice
stimarono convenevole darne tutta la colpa a Francis, il quale,
comecchè sembri al più d'essere stato reo d'omicidio aggravante, fu
processato e mandato al patibolo come assassino. Le sue estreme
parole sono uno de' più curiosi monumenti di que' tempi. Quel feroce
spirito che lo aveva condotto in sulle forche, gli durò fino
all'ultimo istante della vita. Mescolò vanti di lealtà e ingiurie
contro i Whig con giaculatorie, nelle quali raccomandava l'anima
propria alla misericordia divina. S'era sparsa la voce che la sua
moglie amoreggiasse con Dangerfield, uomo di grande bellezza e
famoso per avventure galanti, e che il marito mosso dalla gelosia
gli avesse avventato il colpo fatale. Il morente marito, con
serietà, mezzo ridicola e mezzo patetica, rivendicò l'onore della
consorte, dicendo ch'ella era una donna virtuosa, che era nata da
parenti leali, ed ove fosse stata propensa a violare la fede
coniugale, avrebbe almeno scelto per drudo un Tory o un
Anglicano(346).
XXI. Verso il medesimo tempo, un accusato che aveva pochissima
somiglianza con Oates o Dangerfield, comparve avanti la Corte del
Banco del Re. Non v'era illustre capo-parte che fosse mai passato
traverso a molti anni di dissensioni civili e religiose con maggiore
innocenza di Riccardo Baxter. Apparteneva alla classe più mite e
temperata della setta puritana. Allorquando scoppiò la guerra
civile, egli era giovane. Credeva che le Camere avessero ragione, e
non ebbe scrupolo di esercitare l'ufficio di cappellano in un
reggimento dello esercito parlamentare: ma il suo lucido ed alquanto
scettico intendimento, non che il suo forte senso di giustizia, lo
tennero lontano da ogni eccesso. Fece ogni sforzo per frenare la
violenza fanatica della soldatesca. Vituperò i procedimenti
dell'Alta Corte di Giustizia. A tempo della Repubblica ebbe
ardimento di manifestare in molte occasioni, e una volta anche al
cospetto di Cromwell, amore e riverenza alle antiche istituzioni
della patria. Mentre la famiglia reale era in esilio, Baxter passò
la vita per lo più in Kidderminster, esercitando assiduamente i
doveri di parroco. Di gran cuore contribuì alla Ristaurazione, e
sinceramente desiderava d'indurre a concordia gli Episcopali e i
Presbiteriani. Perocchè con liberalità, per que' tempi rarissima,
considerava le questioni di politica ecclesiastica di poco conto in
paragone de' grandi principii del Cristianesimo; ed anco quando la
prelatura era esosa alla potestà dominatrice, non congiunse mai la
propria voce al grido contro i vescovi. Baxter fallì nella impresa
di conciliare le avverse fazioni. Accomunò le proprie sorti a quelle
de' suoi amici proscritti, ricusò la mitra di Hereford, rinunziò
alla parrocchia di Kidderminster, dedicandosi quasi interamente agli
studi. I suoi scritti teologici, comecchè fossero sì moderati da non
piacere ai bacchettoni d'ogni partito, acquistarono immensa
riputazione. Gli zelanti ecclesiastici lo chiamavano Testa-Rotonda;
e molti Non-Conformisti lo accusavano di Erastianismo e
d'Arminianismo. Ma la integrità del cuore, la purità della vita, il
vigore della intelligenza, la vastità della dottrina erano in lui
riconosciute dagli uomini migliori e più savi d'ogni setta. Le sue
opinioni politiche, malgrado l'oppressione da lui e da' suoi
confratelli sofferta, erano moderate. Procedeva amico a quel piccolo
partito che era in odio ai Whig ed ai Tory, dicendo di non potere
indursi a maledire i Barcamenanti, qualvolta rammentava Colui che
aveva benedetti i facitori della pace(347).
In un Commentario al Testamento Nuovo, aveva alquanto amaramente
lamentata la persecuzione che i Dissenzienti pativano. Che gli
uomini i quali per non usare il Libro delle Preghiere, erano stati
cacciati dalle loro case, privati degli averi e sepolti nelle
carceri, osassero mormorarne, tenevasi allora per grave delitto
contro lo Stato e la Chiesa. Ruggiero Lestrange, campione del
Governo e oracolo del Clero, levò il grido di guerra
nell'Osservatore. Fu intentato un processo. Baxter chiese gli si
concedesse qualche tempo ad apparecchiare la propria difesa. Nel
giorno stesso in cui Oates era posto alla berlina in Palace Yard, lo
illustre capo de' Puritani, oppresso dagli anni e dalle infermità,
andò a Westminster Hall per fare tale richiesta. Jeffreys con gran
tempesta di rabbia gridò: "Nè anche un minuto per salvare la sua
vita. Io so bene condurmi coi santi egualmente che coi peccatori. In
un lato della berlina adesso sta Oates; e se Baxter fosse
nell'altro, i due più grandi ribaldi del Regno starebbero insieme."
Quando si aperse il processo in Guildhall, una folla di coloro che
amavano e riverivano Baxter, riempiva la corte. Stava accanto
all'accusato il Dottore Guglielmo Bates, uno de' più cospicui fra i
teologi Non-Conformisti. Pollexfen e Wallop, rinomatissimi avvocati
Whig, lo difendevano. Pollexfen aveva appena principiato a favellare
avanti ai Giurati, allorquando il Capo Giudice proruppe in queste
oscene parole: "Pollexfen, io vi conosco bene; e vi terrò a mente.
Voi siete il protettore della fazione. Costui è un vecchio ribaldo,
un birbone scismatico, un ipocrita tristo. Odia la Liturgia, e non
vorrebbe altro usare che lunghissimi piagnistei senza libro." E
quindi sua Signoria levò in alto gli occhi, giunse le mani, e
cominciò a cantare col naso, imitando a suo credere il modo di
pregare di Baxter: "Signore, noi siamo il tuo popolo, il tuo popolo
peculiare, il tuo diletto popolo." Pollexfen gentilmente rammentò
alla corte come la Maestà del Re defunto avesse reputato Baxter
degno d'un vescovato. "E che ambiva, dunque, il vecchio bestione"
esclamò Jeffreys "che non lo accettò?" Qui il suo furore giunse
quasi alla insania. Chiamò Baxter un cane, e giurò che sarebbe stata
semplice giustizia il flagellare un tanto ribaldo per le vie della
città.
Wallop s'interpose, ma non ebbe miglior ventura del suo collega.
"Voi v'immischiate in tutte coteste sudicie cause, o signor Wallop,"
disse il giudice. "I gentiluomini togati dovrebbero aver vergogna
d'aiutare così faziosi ribaldi." Lo avvocato si provò di nuovo a
farsi ascoltare, ma indarno. "Se non farete il debito vostro," gridò
Jeffreys "ve lo insegnerò bene io."
Wallop si pose a sedere; e Baxter tentò di dire qualche parola da
sè. Ma il Capo Giudice gli dette sulla voce con un torrente
d'ingiurie e d'invettive, mescolate con citazioni di Hudibras. "Mio
Signore," disse il vecchio "sono stato molto biasimato dai
Dissenzienti per avere rispettosamente favellato de' vescovi." -
"Baxter a favore dei vescovi!" urlò il Giudice "questa davvero è una
cosa buffa! Lo so bene io ciò che voi intendete per vescovi;
furfanti come voi, vescovi di Kidderminster, faziosi e piagnolosi
presbiteriani!" Baxter provossi nuovamente a parlare, e Jeffreys ad
urlare di nuovo: "Riccardo, Riccardo, o che tu pensi che ti
lasceremo attoscar la corte? Riccardo, tu sei un vecchio furfante.
Tu hai scritti tanti libri da riempirne un baroccio, e ciascuno de'
tuoi libri è pieno, come un uovo, di pensieri sediziosi. Grazie al
cielo, ti terrò io gli occhi addosso. Veggo che molti della tua
confraternita aspettano di vedere quale sarà la sorte del loro
valoroso Don Chisciotte. Ed eccolo lì" seguitò fissando il feroce
sguardo sopra Bates, "ecco lì un Dottore del partito che ti sta
presso; ma, per grazia di Dio onnipotente, vi schiaccerò tutti
quanti."
Baxter stette cheto. Ma uno de' più giovani avvocati della difesa
fece un ultimo sforzo, e imprese a mostrare come le parole
incriminate non comportassero il costrutto dato ad esse dall'Accusa.
A tale scopo si pose a leggerne il contesto. In un istante fu
interrotto dagli urli di Jeffreys. "Voi non trasformerete la corte
in un conventicolo." E qui udendo alcuni gemiti che partivano da
coloro che circondavano Baxter, Jeffreys esclamò; "piagnolosi
bestioni!"
I testimoni della difesa, fra' quali erano diversi chierici della
Chiesa Stabilita, stavano lì ad aspettare. Ma il Capo Giudice non
volle ascoltarli. "Crede ella la Signoria vostra," disse Baxter "che
vi siano Giurati che vogliano dichiarare reo convinto un uomo con un
processo come questo?" - "Ve ne assicuro, Signor Baxter" rispose
Jeffreys "non ve ne date pensiero." Jeffreys aveva ragione. Gli
sceriffi erano strumenti del Governo. I Giurati, scelti dagli
sceriffi fra i più feroci zelanti del partito Tory, si ritrassero
per un momento a deliberare, e dichiararono Baxter colpevole. "Mio
signore," disse egli partendosi dalla corte "un tempo eravi un Capo
Giudice che mi avrebbe molto diversamente trattato." Ed alludeva al
suo dotto e virtuoso amico Sir Matteo Hale. "Non vi è uomo onesto in
Inghilterra," rispose Jeffreys "che non ti tenga per furfante(348)."
La condanna per que' tempi fu mite. Ciò che seguisse fra' giudici
mentre deliberarono, non può con certezza sapersi. Credettero i
Non-Conformisti, ed è grandemente probabile, che il Capo Giudice
fosse vinto da' suoi tre confratelli. Dicesi ch'egli proponesse che
Baxter patisse la fustigazione legato a coda di cavallo, e
trascinato per le vie di Londra. La maggioranza stimò che un teologo
illustre, al quale venticinque anni innanzi era stata profferta una
mitra, e che adesso contava anni settanta d'età, sarebbe stato
bastevolmente punito della colpa di poche parole pungenti con una
multa e la prigione(349).
XXII. Il modo onde Baxter fu trattato da un giudice che era membro
del Gabinetto, e il prediletto del sovrano, mostrava, in modo da non
indurre in errore, i sentimenti che in quel tempo il Governo nutriva
verso i Protestanti Non-Conformisti. Ma tali sentimenti erano già
stati manifestati da più forti e terribili segni. Il Parlamento di
Scozia erasi ragunato, Giacomo ne aveva appositamente affrettate le
sessioni, e posposte quelle delle Camere Inglesi, sperando che lo
esempio d'Edimburgo avrebbe prodotto un buono effetto in
Westminster; dacchè il corpo legislativo del suo Regno
Settentrionale era ossequioso al pari di quegli Stati Provinciali
che Luigi XIV lasciava trastullare con alcune delle loro antiche
funzioni in Bretagna e in Borgogna. Nessuno che non fosse episcopale
poteva aver seggio nel Parlamento Scozzese, e nè anche essere
elettore; e in Iscozia, un episcopale era sempre Tory. Da
un'assemblea siffattamente costituita, poca era la opposizione da
temersi alle voglie del Re: oltrechè quell'assemblea non poteva
adottare legge che non fosse innanzi approvata da un comitato di
cortigiani.
Tutto ciò che chiese il Governo, venne di leggieri consentito.
Rispetto alle finanze, a dir vero, la liberalità degli Stati
Scozzesi era di poco momento. Dettero, non per tanto, ciò che
comportavano i loro pochi mezzi. Concessero, a perpetuità, alla
Corona i dazi già concessi al Re defunto, e che in allora erano
stati estimati a quaranta mila sterline l'anno. Assegnarono
parimente a Giacomo, sua vita durante, una rendita annua di duecento
sedici mila lire scozzesi; somma equivalente a diciotto mila lire
sterline. La intera somma che poterono concedere, fu di sessanta
mila lire sterline l'anno; poco più di quello che versavasi ogni
quindici giorni nello Scacchiere Inglese(350).
Avendo poca pecunia da dare, gli Stati supplirono al difetto con
proteste di lealtà e barbari ordinamenti. Il Re, in una lettera, che
venne loro letta nel dì in cui si aprì la sessione, li richiedeva
con virulente parole di fare nuove leggi penali contro gli ostinati
presbiteriani, e si mostrava dolente che le faccende dello Stato
gl'impedissero di proporle egli stesso in persona dal trono. I suoi
comandamenti furono obbediti. Passò senza ostacolo uno statuto
formato da' Ministri della Corona, il quale anche fra gli statuti di
quello sventurato paese e di quel tempo sventuratissimo, è
predistinto per atrocità. Fu decretato, con poche ma enfatiche
parole, che chiunque avesse osato predicare in un conventicolo in
casa, o intervenire come predicatore o come uditore ad un
conventicolo all'aria aperta, sarebbe stato punito con la morte e la
confisca de' beni(351).
XXIII. Questa legge, approvata ad istanza del Re da un'assemblea
schiava delle voglie di lui, è degna di particolare considerazione:
imperciocchè dagli scrittori ignoranti Giacomo è stato giudicato
come principe lesto di cervello e poco giudizioso nella scelta dei
mezzi, ma intento ad uno de' fini più nobili cui possa tendere un
Sovrano; a quello, cioè, di stabilire la piena libertà religiosa. Nè
può negarsi che alcune parti della sua vita, ove si sceverino dallo
insieme e superficialmente si considerino, sembrano far credere tale
il suo carattere.
Mentre egli era suddito, aveva per molti anni patita la
persecuzione, la quale aveva in lui prodotti gli effetti consueti.
La sua mente, torpida e angusta come ella era, aveva profittato di
quella severa disciplina. Allorchè fu escluso dalla Corte, dallo
Ammiragliato e dal Consiglio, e stette in pericolo di rimanere
escluso anco dal trono, solo perchè non sapeva frenarsi dal credere
nella transustanziazione e nella autorità della Sede Romana,
progredì così rapidamente nelle dottrine della tolleranza, da
lasciarsi addietro Milton e Locke. Qual cosa, diceva di sovente, può
essere più ingiusta che il punire le speculazioni dello intelletto
con pene che dovrebbero infliggersi ai soli atti? Quale più
impolitica che il rifiutare i servigi de' buoni soldati, marinai,
giureconsulti, diplomatici, finanzieri, solo perchè professano
dottrine erronee intorno al numero de' sacramenti o alla
pluripresenza de' Santi? Aveva imparato a mente i luoghi comuni che
tutte le sètte ripetono con tanta facondia semprechè patiscono
oppressione, e dimenticano con tanta facilità semprechè possono
rendere il contraccambio. E veramente, ei recitava così bene la sua
lezione, che coloro ai quali fosse accaduto di udirlo favellare
intorno a quella materia, gli davano più credito di buon senso e di
eloquenza, ch'ei veramente non meritasse. Con la manifestazione de'
suoi principii, egli illudeva molti spiriti accesi di carità del
prossimo, e forse sè stesso. Ma il suo zelo pei diritti della
coscienza finì al finire del predominio del partito Whig. Come la
fortuna cangiò, come egli più non ebbe timore delle persecuzioni
altrui, come ebbe in mano la potestà di perseguitare gli altri, le
vere inclinazioni dell'indole sua cominciarono a mostrarsi.
Abborriva i Puritani con odio multiforme, con odio religioso,
politico, ereditario e personale. Gli considerava come nemici di
Dio, nemici della autorità legittima nella Chiesa e nello Stato,
nemici della bisava, dell'avo, del padre, della madre, del fratello,
e suoi propri. Egli, che si era così altamente doluto delle leggi
contro i papisti, adesso affermò di non sapere immaginare in che
modo altri potesse avere la impudenza di proporre la revoca delle
leggi contro i Puritani(352). Egli, il cui têma prediletto era stato
la ingiustizia di imporre agli ufficiali civili giuramenti
religiosi, stabilì in Iscozia, mentre vi governava da vicerè, il più
severo atto di prova religiosa che fosse mai conosciuta nel
Regno(353). Egli, che aveva mostrata giusta indignazione allorquando
i sacerdoti della sua fede venivano appesi alle forche e squartati,
spassavasi a udire le strida de' Convenzionisti, e a vederli
contorcersi mentre sentivansi dirompere le gambe nello
stivaletto(354). Così, divenuto Re, chiese subito ed ottenne dagli
ossequiosi Stati di Scozia, come il più sicuro pegno della lealtà
loro, la legge più sanguinaria che sia stata mai fatta nell'isola
nostra contro i Protestanti Non-Conformisti.
XXIV. Con questa legge pienamente concordava lo spirito di tutta
l'amministrazione del Governo. La feroce persecuzione che infuriò
mentre egli era vicerè in Iscozia, si fece più ardente che mai il
giorno che ei divenne sovrano. Quelle Contee in cui i Convenzionisti
erano in maggior numero, furono abbandonate alla licenza della
soldatesca. A' soldati era mescolata una milizia cittadina, composta
de' più violenti e dissoluti tra coloro che si chiamavano
Episcopali. Predistinguevansi fra le bande che opprimevano e
devastavano quei malarrivati distretti, i dragoni capitanati da
Giovanni Graham di Claverhouse. Corse la voce che questi uomini
malvagi erano soliti, ne' loro baccani, giuocare ai tormenti dello
inferno, e chiamarsi vicendevolmente coi nomi de' demoni e delle
anime dannate(355). Il capo di questo inferno sulla terra, soldato
insigne per coraggio e perizia nell'arte militare, ma rapace e
profano, d'indole violenta e di cuor duro, ha lasciato un nome, che,
in qualunque luogo del globo stanzi la razza scozzese, è ricordato
con odio peculiare e fortissimo. Riepilogare in brevi pagine tutti i
delitti con che costui e i suoi pari spinsero alla frenesia il
contadiname delle pianure occidentali, sarebbe opera interminabile.
Servano pochi esempi, che trarrò tutti dalla storia di soli quindici
giorni; quegli stessi quindici giorni in cui il Parlamento Scozzese,
alle premurose richieste di Giacomo, fece una nuova legge di non mai
udita severità contro i Dissenzienti.
Giovanni Brown, povero vetturino della Contea di Lanark, era, a
cagione della sua esimia pietà, comunemente chiamato il vetturino
cristiano. Molti anni dopo, allorchè la Scozia giunse a godere pace,
prosperità e libertà religiosa, i vecchi che serbavano ricordo de'
giorni della sciagura, lo descrivevano come uomo versato nelle cose
divine, di vita intemerata, e d'indole così pacifica, che i tiranni
non poterono trovare in lui altra colpa, che d'essersi allontanato
dal culto pubblico degli Episcopali. Il dì primo di maggio, egli
stava a segar fratte, allorchè fu preso dai dragoni di Claverhouse,
esaminato all'infretta, convinto di non-conformismo, e dannato a
morire. Dicesi che anche fra i soldati non trovossi chi volesse fare
da carnefice; imperocchè la moglie del povero uomo era lì presente,
aveva per mano un fanciulletto, ed era agevole accorgersi che tra
breve avrebbe dato nascimento ad un'altra creatura; ed anche quegli
uomini di cuore duro e feroce, che si soprannominavano Belzebù ed
Apollione, sentivano raccapriccio della scelleratezza di ucciderle
in faccia il marito. Questi, infrattanto, levando alto lo spirito
per la prossima sua partita verso l'eternità, mandava alte e fervide
preci come uomo ispirato, allorchè Claverhouse invaso di furore lo
stese a terra morto con un'archibugiata. Fu riferito da testimoni
degni di fede, che la vedova nella sua dolorosa disperazione
gridasse: "Ebbene, o signore, ebbene! verrà il giorno da renderne
conto;" e che lo assassino rispondesse: "Agli uomini posso
rispondere di ciò che ho fatto; in quanto a Dio, so io il modo di
farlo star cheto." Nonostante, corse voce che anche sull'arida
coscienza e sull'adamantino cuore di lui, i detti della morente
vittima facessero tale un'impressione, che non fu mai
cancellata(356).
Il dì quinto di maggio, due artigiani, detti Pietro Gillies e
Giovanni(357) Bryce, furono processati nella Contea di Ayr da un
tribunale militare, composto di quindici soldati. Esiste tuttora
l'Atto d'Accusa. I prigioni erano incolpati, non di alcun fatto di
ribellione, ma di tenere le medesime perniciose dottrine che avevano
spinto altrui a ribellare, e di non avere agito giusta quelle
dottrine solo perchè era mancata loro l'occasione. Il processo fu
brevissimo: in poche ore i due colpevoli furono convinti, impiccati
e gettati in un fosso sotto le forche(358).
Il giorno undecimo di maggio fu segnalato da più d'un grande
delitto. Taluni rigorosi calvinisti, dalla dottrina della
riprovazione avevano dedotta la conseguenza, che pregare per chi
fosse predestinato(359) a dannarsi, era atto di ribellione agli
eterni decreti dell'Ente Supremo. Tre poveri lavoranti,
profondamente imbevuti di cotali principii, furono presi da un
ufficiale nelle vicinanze di Glasgow. Fu loro chiesto se volessero
pregare pel Re Giacomo VII. Assentirono di farlo, a condizione
ch'egli fosse uno degli eletti. Una fila di moschettieri fu fatta
schierare. I due prigioni inginocchiaronsi; vennero loro bendati gli
occhi; e un'ora dopo d'essere stati presi, il sangue loro era
leccato dai cani(360).
Mentre tali cose seguivano in Clydesdale, un atto non meno orribile
commettevasi in Eskdale. Uno de' Convenzionisti proscritti, vinto
dalla infermità, aveva trovato ricovero nella casa d'una vedova
rispettabile, e quivi era morto. Il cadavere fu scoperto dal signore
di Westerhall, tirannello, che al tempo della Convenzione aveva
mostrato stemperatissimo zelo a pro della Chiesa presbiteriana, e
dopo la Restaurazione comprato con l'apostasia il favore del
Governo, e sentiva pel partito da lui abbandonato l'odio implacabile
d'un apostata. Costui atterrò la casa della povera donna, se ne
prese la roba, e lasciando lei coi figlioletti ad errare su per la
campagna, trascinò il suo figlio Andrea, ancora fanciullo, dinanzi a
Claverhouse, il quale a caso passava per quelle contrade.
Claverhouse era a quei tempi stranamente mite. Alcuni credevano
ch'egli, dopo la morte del vetturino cristiano successa dieci giorni
prima, non fosse affatto in sè. Ma Westerhall, volendo porgere
argomento della propria lealtà, giunse ad estorcere da lui la
licenza. Caricati gli archibusi, al giovanetto fu ingiunto di
tirarsi il berretto in su gli occhi. Ei rifiutò e stette
imperterrito, tenendo in mano la Bibbia in faccia agli assassini.
"Vi posso guardare in viso," disse egli, "io non ho fatto nulla di
cui debba arrossire. Ma in che modo guarderete voi in quel giorno
nel quale sarete giudicati secondo ciò che è scritto in questo
libro?" Cadde morto, e fu sotterrato nel pantano(361).
Nel dì medesimo, due donne, di nome Margherita Maclachlan e
Margherita Wilson, vedova d'età matura l'una, giovinetta di anni
diciotto l'altra, morirono per la loro religione nella Contea di
Wigton. Fu loro offerta la vita a patto che consentissero ad
abiurare la dottrina dei ribelli Convenzionisti, e d'assistere al
culto episcopale. E ricusando, furono condannate ad essere annegate.
Vennero condotte ad un luogo che il Solway inonda due volte al
giorno, e legate a due pali fitti nella sabbia tra il segno più
basso e il più alto del flusso e riflusso dell'acque. La vedova fu
posta più davvicino alle onde che s'avanzavano, con la speranza che
la sua suprema agonia atterrendo la giovine, l'avrebbe indotta a
cedere. Lo spettacolo fu spaventevole. Ma il coraggio della
sopravvivente fu sostenuto da un entusiasmo grandissimo, al pari di
qualunque altro di cui faccia ricordo il martirologio. Vedeva il
mare farsi sempre più da presso, ma non dette segno di paura. Pregò,
e cantò versetti di salmi, finchè la sua voce si estinse nelle
acque. Dopo che ebbe sentita l'amarezza della morte, con crudele
misericordia, fu slegata e resa alla vita. Risensata, gli amici e i
vicini impietositi la supplicavano a cedere. "Cara Margherita, di'
solamente: Dio salvi il Re!" La povera fanciulla, ognor ferma nella
sua severa credenza, con voce affannosa mormorò: "Dio lo salvi, se
tale è la sua volontà!" I suoi amici affollaronsi dattorno
all'impazientito ufficiale: "Ella l'ha detto; davvero, signore, ella
lo ha detto." - "Farà ella l'abiura?" chiese l'ufficiale. "Giammai,"
ella esclamò. "Io sono di Cristo, lasciatemi morire." E le acque per
l'ultima volta le si chiusero sopra(362).
In tal guisa la Scozia era governata da quel principe che
gl'ignoranti hanno rappresentato come amico alla libertà religiosa,
che ebbe la sventura d'essere troppo savio e buono per il tempo in
cui gli toccò di vivere. Che anzi, ei pensava che quelle stesse
leggi le quali gli concedevano di governare a quel modo, fossero
assai miti. Mentre i suoi ufficiali commettevano i raccontati
assassinii, egli istigava il Parlamento scozzese a fare una nuova
legge, in paragone della quale tutte le precedenti potrebbero
chiamarsi temperatissime.
In Inghilterra l'autorità di lui, benchè grande, era infrenata da
antiche e venerande leggi, che nè anche i Tory avrebbero con
pazienza veduto rompere. Quivi ei non poteva tradurre i Dissenzienti
dinanzi ai tribunali militari, o gioire in Consiglio della voluttà
di vederli svenire sotto la tortura dello stivaletto. Quivi non
poteva annegare le fanciulle ricusanti di fare l'abiura, o fucilare
i poveri campagnuoli che avessero dubitato lui essere uno degli
eletti. Eppure, anco in Inghilterra, continuò a perseguitare, per
quanto il suo potere si estendeva, i Puritani; finchè gli eventi che
verranno da noi raccontati, lo indussero a concepire la idea di
unire i Puritani e i Papisti in colleganza, onde umiliare e
spogliare la Chiesa Anglicana.
XXV. Anche in que' primi anni del suo regno, ei portava singolare
affetto ad una setta di protestanti Dissenzienti, chiamata la
Società degli Amici. La sua parzialità per questa singolare
confraternita non può attribuirsi a sentimento religioso, perocchè
fra i credenti nella divina missione di Cristo, i Cattolici Romani e
i Quacqueri sono quelli fra' quali è maggiore distanza. Parrebbe un
paradosso affermare che questa medesima discrepanza costituisse un
vincolo tra gli uni e gli altri: eppure tale era il caso.
Imperciocchè essi deviavano in direzione cotanto opposta da ciò che
dalla maggior parte della nazione era reputato vero, che perfino gli
spiriti più liberi li consideravano entrambi come egualmente
discosti dai confini della più larga tolleranza. Così le due sètte
estreme, appunto perchè erano tali, avevano un interesse comune,
diverso da quello delle sètte intermedie. I Quacqueri erano anche
innocenti d'ogni offesa contro Giacomo e la sua casa. Non erano
esistiti in forma di comunità, se non quando la guerra tra il padre
di lui e il Lungo Parlamento era presso a finire. Erano stati
crudelmente perseguitati da alcuni de' governi rivoluzionarii. Dopo
la Restaurazione, malgrado molte vessazioni, eransi mansuetamente
sottomessi alla autorità regia; come quelli che, quantunque
ragionando sopra premesse che i teologi anglicani consideravano
eterodosse, s'erano ridotti al pari di essi alla conclusione, che
nessuno eccesso di tirannia dalla parte del principe può
giustificare la resistenza dalla parte del suddito. Nessun libello
contro il Governo era stato mai attribuito ad un Quacquero(363).
Niuno di loro era stato implicato mai in qualche congiura contro il
Governo. La loro società non aveva fatto eco ai clamori per la Legge
d'Esclusione, ed aveva solennemente riprovata la Congiura di Rye
House come disegno infernale e opera del demonio(364). E veramente,
gli Amici allora presero poca parte nelle civili contese; perciocchè
non trovavansi, come adesso, congregati nelle grandi città, ma
generalmente erano addetti all'agricoltura; occupazione, dalla quale
a poco a poco sono stati distolti per le vessazioni derivate loro
dallo strano scrupolo di pagare la decima. Vivevano, quindi, molto
lontani dalla lotta politica. Evitavano parimente, per principio,
anco nel domestico ritiro, ogni discorso politico; avvegnachè il
ragionare di siffatte cose, secondo l'opinione loro, non fosse
favorevole alla spiritualità della mente, e tendesse a disturbare
l'austera compostezza del loro contegno. Nelle annuali ragunanze di
quei tempi, i confratelli venivano ripetutamente ammoniti a non
discorrere intorno a faccende di Stato(365). Persone che oggi sono
in vita, rammentano come que' vecchi venerandi che serbavano i
costumi dell'antecedente generazione, riprovassero per sistema tali
discorsi mondani(366). Era, dunque, naturale che Giacomo facesse
gran distinzione tra questa gente innocua, e quelle fiere e
irrequiete sètte che consideravano qual dovere di Cristiano il
resistere alla tirannide; che in Germania, in Francia e in Olanda
avevano mossa guerra ai principi legittimi, e che pel corso di
quattro generazioni avevano nutrita singolare nimistà contro la Casa
degli Stuardi.
Accadde, inoltre, di potere grandemente alleggiare i Cattolici
Romani e i Quacqueri, senza mitigare le sciagure dei Puritani. Una
legge, allora in vigore, puniva severamente chiunque ricusasse di
prestare il giuramento di supremazia quante volte venisse richiesto.
Questa legge non toccava i Presbiteriani, gl'Indipendenti o i
Battisti, imperocchè tutti erano pronti a chiamare Dio in testimonio
onde provare com'essi avessero rinunziato ad ogni relazione
spirituale coi prelati e co' potentati forestieri. Ma il Cattolico
Romano non voleva giurare che il Papa non avesse giurisdizione in
Inghilterra, nè il Quacquero prestare giuramento di nessuna specie.
Dall'altra parte, nè l'uno nè l'altro era colpito dal così detto
Five Mile Act; legge che tra tutte quelle le quali contenevansi nel
Libro degli Statuti, era forse la più molesta ai Puritani
Non-Conformisti(367).
XXVI. I Quacqueri avevano in Corte uno zelante e potente avvocato.
Benchè, come classe, poco s'immischiassero nelle cose del mondo, e
schivassero le politiche, quale occupazione nociva ai loro interessi
spirituali; uno di loro, molto dagli altri predistinto per grado ed
opulenza, viveva fra le alte classi, ed aveva sempre aperta la via
all'orecchio del Re. Costui era il celebre Guglielmo Penn. Il padre
suo aveva avuto alto comando nella flotta, era stato commissario
dell'ammiragliato, aveva seduto nel Parlamento, era stato fatto
cavaliere, e gli era stata data la speranza d'una paría. Il figlio
era stato educato liberalmente, e destinato alla professione delle
armi: se non che, mentre era ancora giovane, aveva danneggiato il
proprio avvenire e disgustati gli amici, collegandosi a quella che a
que' tempi comunemente consideravasi come masnada di stolti eretici.
Era stato talvolta chiuso nella prigione della Torre, tal'altra a
Newgate. Era stato processato in Old Bailey, per avere predicato in
onta alla legge. Nondimeno, dopo qualche tempo erasi riconciliato
con la propria famiglia, e gli era riuscito ottenere protezione così
potente, che mentre tutte le carceri dell'Inghilterra erano ripiene
de' suoi confratelli, a lui fu per molti anni permesso di professare
senza molestia la propria credenza. Verso la fine del regno di
Carlo, per saldo di un vecchio debito che aveva con lui la Corona,
ottenne la concessione nell'America Settentrionale, d'un'immensa
contrada allora popolata soltanto di cacciatori Indiani, e invitò i
suoi amici perseguitati a stabilirvisi. Allorchè Giacomo salì sul
trono, la colonia di Penn era tuttavia nella infanzia.
Tra Giacomo e Penn da lungo tempo era stata dimestichezza. Il
Quacquero, quindi, divenne cortigiano, e quasi prediletto. Ciascun
giorno dalla galleria era chiamato alle segrete stanze del principe,
e talvolta aveva lunghe udienze, intanto che i Pari del Regno
stavano ad aspettare nelle anticamere. Corse voce ch'egli avesse più
potenza effettiva di giovare e di nuocere, di quanta ne avessero
molti nobili che occupavano alti uffici. Tosto fu circuito da
adulatori e da supplicanti. La sua casa in Kensington talvolta,
verso l'ora in cui si levava da letto, era affollata da più di
dugento chiedenti. Nondimeno, caro gli costava tale apparenza di
prosperità. Anche gli uomini della sua setta lo trattavano con
freddezza, e lo ricompensavano de' servigi loro resi, parlandone
male. Lo accusavano altamente d'essere papista, anzi gesuita. Taluni
affermavano ch'egli fosse stato educato in Saint-Omer, ed altri che
avesse ricevuti gli ordini sacri in Roma. Tali calunnie, a dir vero,
potevano trovare credenza solo nella insensata moltitudine; ma a
queste calunnie mescolavansi accuse assai meglio fondate(368).
Il dire intera la verità intorno a Penn, è impresa che richiede
qualche coraggio; perocchè egli è più presto un personaggio mistico
che storico. Nazioni rivali e sètte avverse fra loro, sono state
concordi a canonizzarlo. La Inghilterra va orgogliosa del nome di
lui. Una grande Repubblica oltre l'Atlantico, gli porta una
riverenza simile a quella che gli Ateniesi sentivano per Teseo e i
Romani per Quirino. La spettabile società di cui egli era membro,
l'onora come un apostolo. Gli uomini pii d'altre credenze,
generalmente, lo considerano come splendido esempio di virtù
cristiana. Frattanto, ammiratori di differentissima specie ne hanno
celebrate le lodi. I filosofi francesi del secolo decimottavo gli
perdonavano quelle ch'essi chiamavano superstiziose fantasticherie,
in grazia dello spregio in cui teneva i preti, e della benevolenza
cosmopolita, che egli imparzialmente mostrava agli uomini di tutte
le razze e di tutte le religioni. In tal modo il nome di lui, per
tutto il mondo incivilito, è divenuto sinonimo di probità e di
filantropia.
Nè egli è al tutto immeritevole di questa grande riputazione. Fuori
d'ogni dubbio, era uomo d'insigni virtù. Aveva un forte sentimento
de' doveri religiosi, ed un fervido desiderio di promuovere la
felicità del genere umano. In uno o due punti d'alta importanza,
egli aveva idee più esatte di quelle che erano, nel suo tempo,
comuni anche fra gli uomini di mente elevata; e come signore e
legislatore d'una provincia, la quale, essendo quasi priva
d'abitatori allorquando egli ne ebbe il possesso, gli apriva un
campo vergine da farvi morali esperimenti, ebbe la rara e buona
ventura di potere porre in pratica le proprie teorie senza patti di
nessuna sorta, e nondimeno senza scossa per le istituzioni
esistenti. E' sarà sempre onorevolmente ricordato come fondatore
d'una colonia, la quale nelle sue relazioni con genti selvagge non
abusò della forza che nasce dallo incivilimento, e come legislatore
il quale, in un tempo di persecuzione, fece della libertà religiosa
la pietra angolare della politica. Ma la vita e gli scritti suoi
porgono abbondevoli prove che testificano come egli non fosse uomo
di vigoroso giudicio. Non aveva l'arte di leggere addentro
nell'indole altrui. La fiducia ch'ei poneva in genti meno di lui
virtuose, lo trasse in gravi errori ed infortunii. Lo entusiasmo per
un gran principio, sovente lo spingeva a violarne altri ch'egli
avrebbe dovuto tener sacri. Nè la sua rettitudine stette salda alle
tentazioni alle quali ei rimaneva esposto in quella società
splendida e culta, ma profondamente corrotta, con cui alla Corte di
Re Giacomo egli usava. Tutta la Corte era in perpetuo fermento
d'intrighi di galanteria e d'intrighi d'ambizione. Continuo era il
traffico degli onori, degli uffici e delle grazie. Era perciò
naturale che un uomo il quale ogni giorno vedevasi in palazzo, e,
siccome era a tutti noto, aveva libero accesso alla regia maestà,
venisse frequentemente importunato ad usare la propria influenza per
fini che una rigorosa morale debbe condannare. La integrità di Penn
era rimasta incrollabile contro gli assalti della maldicenza e della
persecuzione. Ma poscia, aggredito dai sorrisi del Re, dalle
blandizie delle donne, dalla insinuante eloquenza e dalle delicate
lusinghe de' vecchi diplomatici e cortigiani, la sua fermezza
cominciò a cedere. Titoli e frasi, già da lui spesso riprovati, gli
uscivano, secondo le occasioni, dalle labbra e dalla penna. Non
sarebbe nessun male ove egli non fosse stato reo di altro che
d'essersi lasciato andare ai complimenti mondani. Sventuratamente,
non può nascondersi come egli fosse parte precipua in certi fatti,
condannati non solo dal rigido codice della Società cui egli
apparteneva, ma dal senso universale di tutti gli uomini onesti.
Protestò, poi, solennemente che le sue mani erano pure d'ogni
illecito guadagno, e che non aveva ricevuta gratificazione nessuna
da coloro i quali erano stati da lui giovati, quantunque gli sarebbe
stato facile, mentre aveva influenza in Corte, mettere insieme
centoventimila lire sterline(369). Tale asserzione è degna di piena
fede. Ma la mancia si può offrire alla vanità come si offre alla
cupidigia; ed è impossibile negare che Penn, blandito, si lasciò
condurre a fatti ingiustificabili, de' quali altri raccolse gli
utili.
XXVII. L'uso ch'ei primamente fece del proprio credito, fu altamente
commendevole. Espose con vigorosa eloquenza i patimenti dei
Quacqueri al nuovo Re, il quale con gioia vide come fosse possibile
concedere il perdono a cotesti tranquilli settarii e ai Cattolici
Romani, senza mostrare simile favore alle altre sètte parimente
perseguitate. Fu fatta una lista de' prigioni che erano sotto
processo come rei di non avere voluto prestare giuramento, o andare
alla chiesa, e il certificato della cui lealtà era stato presentato
al Governo. Costoro furono assoluti, ordinandosi ad un tempo di non
intentare simiglianti processi, finchè non fosse resa manifesta la
volontà del Re. In tal guisa circa millecinquecento Quacqueri, ed
anche un maggior numero di Cattolici Romani riebbero la libertà
loro(370).
Era già arrivato il tempo in cui doveva adunarsi il Parlamento
inglese. I membri della nuova Camera de' Comuni giunti alla
metropoli, erano così numerosi, da dubitarsi molto se la sala loro,
così come era, li potesse contener tutti. Spesero i giorni che
immediatamente precessero l'apertura della sessione, a ragionare tra
loro e con gli agenti del Governo intorno alle pubbliche faccende.
Una gran ragunanza del partito realista fu tenuta a Fountain Tavern
nello Strand; e Ruggiero Lestrange, che di recente dal Re era stato
fatto cavaliere ed eletto al Parlamento dalla città di Winchester,
fu parte principale nelle loro consulte(371).
Conobbesi tosto, che molti della Camera dei Comuni avevano idee che
non concordavano interamente con quelle della Corte. I Tory
gentiluomini di provincia, senza escluderne quasi nessuno, volevano
mantenere l'Atto di Prova e l'Habeas Corpus; e taluni di loro
parlavano di votare la rendita solo per un certo numero d'anni. Ma
erano prontissimi a far leggi severe contro i Whig, e avrebbero
volentieri veduto tutti i propugnatori della Legge d'Esclusione
dichiarati incapaci d'occupare gli uffici. Il Re, dall'altro canto,
desiderava ottenere dal Parlamento una rendita a vita, l'ammissione
dei Cattolici Romani agl'impieghi, e la revoca dell'Habeas Corpus.
Queste tre cose gli stavano a cuore; e non era per nulla disposto ad
accettare come compenso una legge penale contro gli Esclusionisti.
Tale, legge, invece gli sarebbe stata assai sgradevole; imperciocchè
una classe di Esclusionisti godeva i suoi favori; quella classe, io
dico, di cui Sunderland era rappresentante, che erasi collegata coi
Whig nei dì della congiura, solo perchè i Whig predominavano, e che
aveva mutata faccia al cangiare della fortuna. Giacomo giustamente
considerava cotesti rinnegati come i più utili strumenti di cui
potesse giovarsi. Dai Cavalieri, uomini di fervido cuore, che gli
erano stati fidi nell'avversità, non avrebbe potuto aspettarsi nella
prosperità una cieca obbedienza. Coloro i quali spinti, non dallo
zelo per la libertà e la religione, ma solamente da egoistica
cupidigia e paura, avevano cooperato ad opprimerlo quando trovavasi
debole, erano pur troppo gli uomini che, spinti da simile paura e
cupidigia, lo avrebbero aiutato, adesso ch'era forte, ad opprimere
il suo popolo(372). Quantunque ei fosse vendicativo, non lo era
senza ragione. Non può ricordarsi un solo esempio in cui egli
mostrasse generosa commiserazione a coloro che lo avevano avversato
onestamente e per il bene pubblico. Ma di frequente risparmiava e
promoveva coloro che per qualche vile motivo s'erano indotti ad
offenderlo: imperocchè quella abiettezza che li manifestava come
opportuni strumenti di tirannide, era agli occhi suoi cosa di tanto
pregio, che la perdonava anche quando veniva adoperata a suo danno.
I desiderii del Re furono manifestati per diverse vie ai membri Tory
della Camera Bassa. Fu agevole persuadere la maggior parte di loro a
deporre ogni pensiero di una legge penale contro gli Esclusionisti,
ed a consentire di concedere alla Maestà Sua la rendita a vita. Ma
rispetto all'Atto di Prova e all'Habeas Corpus, gli emissarii del
Governo non poterono ottenere assicurazioni soddisfacenti(373).
XXVIII. Il dì diciannovesimo di Maggio fu aperta la sessione. I
seggi della Camera de' Comuni presentavano un singolare spettacolo.
Il grande partito che negli ultimi tre Parlamenti aveva predominato,
era adesso diventato una misera minoranza, essendo poco più della
quindicesima parte di tutti i rappresentanti. Dei cinquecento
tredici Cavalieri e borghesi, solo cento trenta cinque nei
precedenti tempi avevano seduto in quel luogo. È cosa evidente che
una congrega d'uomini nuovi ed inesperti, doveva essere, in alcuni
importantissimi requisiti, al disotto di quel che generalmente sono
le nostre assemblee legislative(374).
L'ufficio di dirigere la Camera fu affidato da Giacomo a due Pari
del Regno di Scozia. Uno di essi, Carlo Middleton, conte di
Middleton, dopo d'avere occupato in Edimburgo uffici cospicui, era
stato ammesso, poco avanti la morte di Carlo, al Consiglio Privato,
e nominato uno de' Segretarii di Stato. A lui fu aggiunto Riccardo
Graham, visconte Preston, che per lungo tempo aveva tenuto il posto
d'inviato a Versailles.
La prima faccenda di cui si occupassero i Comuni, fu quella
d'eleggere un Presidente. Era stato lungamente discusso nel
Gabinetto chi dovesse essere l'uomo da scegliersi. Guildford aveva
raccomandato Sir Tommaso Meres, il quale, come lui, apparteneva alla
classe de' Barcamenanti. Jeffreys, che non lasciava fuggire
occasione alcuna per molestare il Lord Cancelliere, sosteneva la
candidatura di Sir Giovanni Trevor. Costui, che era cresciuto
facendo mezzo il beccaliti e mezzo il giocatore, aveva portato nella
vita politica sentimenti e principii degni d'ambedue i suoi
mestieri; era divenuto parassito del Capo Giudice, e in ogni caso
avrebbe potuto imitare, non senza riuscita, lo stile vituperevole
del suo protettore. Il prediletto di Jeffreys, come era da
aspettarsi, venne preferito da Giacomo; e proposto da Middleton, fu
eletto senza opposizione(375).
XXIX. Fin qui le cose procedettero senza intoppo. Ma un avversario
di non comune prodezza, vigilava aspettando l'ora di mostrarsi. Era
questi Eduardo Seymour, del Castello di Berry Pomeroy,
rappresentante della città d'Exeter. La sua nascita lo agguagliava
ai più nobili sudditi d'Europa. Egli era il legittimo discendente
maschio di quel Duca di Somerset, che era stato cognato ad Enrico
VIII, e Protettore del Regno d'Inghilterra. Secondo l'antico diploma
di creazione del ducato di Somerset, il figlio maggiore del
Protettore era stato posposto al più giovane, dal quale discendevano
i Duchi di Somerset. Dal primogenito discendeva la famiglia
stabilita a Berry Pomeroy. Le ricchezze di Seymour erano grandi, e
vasta la sua influenza nelle contrade occidentali dell'Inghilterra.
Nè la sua sola importanza era quella che gli derivava dal sangue e
dall'opulenza. Era uno de' più destri favellatori e degli uomini di
affari nel Regno: aveva per molti anni seduto nella Camera de'
Comuni, ne aveva studiato le regole e gli usi, e ne intendeva
perfettamente l'indole. Nel regno decorso era stato eletto
Presidente, con circostanze che resero peculiarmente onorevole
quell'ufficio. Pel corso di molte generazioni, nessuno che non fosse
giureconsulto era stato chiamato al seggio presidenziale; ed egli fu
il primo gentiluomo di provincia, il quale, in grazia dell'abilità e
doti sue, ruppe quella antica costumanza. Aveva poscia occupati alti
uffici politici, ed era stato membro del Gabinetto. Ma il suo altero
e non pieghevole carattere spiacque tanto, che gli fu forza
ritrarsi. Era Tory e partigiano della Chiesa Anglicana; aveva
intrepidamente avversata la Legge d'Esclusione; era stato perseguito
dai Whig mentre le sorti loro volgevano prospere: poteva quindi con
sicurtà rischiarsi a favellare con tale un linguaggio, che qualunque
altro uomo sospettato di sentimenti repubblicani, usandolo, sarebbe
stato gettato dentro la Torre. Era stato lungo tempo capo di una
forte colleganza parlamentare, che chiamavasi l'Alleanza
Occidentale, e comprendeva molti gentiluomini delle Contee di Devon,
Somerset e Cornwall(376).
In tutte le Camere de' Comuni, un membro che abbia eloquenza, sapere
e pratica degli affari, e insieme ricchezze ed illustre nascimento,
è d'uopo che venga altamente predistinto. Ma in una Camera dalla
quale erano esclusi molti degli oratori e de' periti eminenti del
secolo, e che era popolata di genti che non avevano mai udita una
discussione, la influenza d'un tanto uomo era singolarmente
formidabile. Veramente, a Seymour mancava il peso del carattere
morale, come colui che era licenzioso, profano, corrotto, e così
superbo da sdegnare ogni cortesia, e tuttavia non tanto da aborrire
dagli illeciti guadagni. Ma era uno alleato così utile, e un nemico
così malefico, che spesso veniva corteggiato anco da coloro che
maggiormente lo detestavano(377).
Adesso ei trovavasi di cattivo umore contro il Governo. Il
riordinamento de' borghi occidentali aveva indebolita la influenza
di lui in vari luoghi. Il suo orgoglio aveva sofferto
all'esaltamento di Trevor al seggio presidenziale; e ben tosto ei
colse il destro di vendicarsene.
XXX. Il dì ventesimosecondo di maggio, fu ordinato ai Comuni di
recarsi alla barra de' Lordi, dove il Re dal trono profferì un
discorso innanzi ambedue le Camere. Dichiarò d'essere fermo a
mantenere il governo stabilito nella Chiesa e nello Stato. Ma scemò
lo effetto di questa dichiarazione con istrani ammonimenti ai
Comuni. Disse di temere che essi fossero per avventura disposti a
concedergli danari alla spicciolata di quando in quando, con la
speranza di così forzarlo a convocarli spesso. Ma gli avvertiva che
egli non era uomo da essere raggirato, e che ove essi desiderassero
ragunarsi di frequente, dovevano con lui condursi bene. Ed essendo
manifestissima cosa che il governo non poteva tirare avanti senza
pecunia, sotto coteste espressioni chiaramente sottintendevasi, che
qualora essi non avessero voluto dargliene quanta ei ne desiderava,
se la sarebbe presa da sè. Strano a dirsi! una simigliante
allocuzione fu accolta con fragorosi applausi dai gentiluomini Tory
che stavano alla barra. Cotali acclamazioni erano allora d'uso.
Adesso, da molti anni in qua, i Parlamenti hanno adottato il grave e
decoroso costume d'ascoltare con rispettoso silenzio tutte
l'espressioni, accettabili o non accettabili, che vengono profferite
dal trono(378).
Era allora usanza che, dopo avere il Re con brevi parole significato
le ragioni di convocare il Parlamento, il Ministro che teneva il
Gran Sigillo, spiegasse con più larghezza alle Camere la condizione
delle pubbliche cose. Guildford, ad imitazione de' suoi predecessori
Clarendon, Bridgeman, Shaftesbury e Nottingham, aveva apparecchiato
una elaborata orazione; ma, con suo grave dolore, trovò non esservi
mestieri de' suoi servigi(379).
XXXI. Appena i Comuni furono ritornati nella propria sala, venne
proposto che si formassero in comitato a fine di stabilire la
rendita da darsi al Re.
Allora alzossi Seymour. Qual fosse l'attitudine di lui, che era capo
di gentiluomini dissoluti e di spiriti alteri, con la testa coperta
di ricci artificiali che gli cadevano profusamente giù attorno alle
spalle, e con una espressione mista di voluttà o di sdegno negli
occhi e sulle labbra, possiamo argomentarlo dal suo ritratto, che
conservasi ancora. Lo altero Cavaliere disse: non desiderare che il
Parlamento negasse alla Corona i mezzi di condurre il governo. Ma
era quello un vero Parlamento? Non si vedevano forse sui banchi
molti, i quali, siccome era noto a tutti, non avevano diritto di
sedervi, molti la cui elezione era macchiata di corruzione, molti
che erano stati imposti con modi minacciosi agli elettori
ripugnanti, e molti eletti da corpi municipali che non avevano
esistenza legale? Non erano stati i collegi elettorali riordinati in
onta a statuti regi e d'immemorabile prescrizione? Gli ufficiali che
avevano raccolto il risultamento della votazione, non erano stati in
ogni dove ciechi agenti della Corte? Vedendo che il principio
supremo della rappresentanza era stato così sistematicamente
violato, non sapeva con qual nome chiamare una caterva di
gentiluomini ch'egli si vedeva dintorno con l'onorando nome di
Camera de' Comuni. Eppure, non v'era mai stato momento in cui tanto
importasse al bene pubblico che il carattere del Parlamento fosse
irreprensibile. Grandi pericoli pendevano sopra la costituzione
ecclesiastica e civile del Regno. Era cosa notissima a tutti, e
quindi non bisognevole d'esser provata, che l'Atto di Prova, difesa
della religione, e l'Habeas Corpus, difesa della libertà, erano
fatti segno alla distruzione. "Innanzi di procedere a fare l'ufficio
di legislatori sopra questioni di sì grave momento, sinceriamoci
almeno se siamo veramente un corpo legislativo. Il primo degli atti
nostri sia quello d'inquisire intorno al modo onde sono state
condotte le elezioni, e di porre ogni studio che la inchiesta
proceda imparzialmente. Imperocchè, ove la nazione trovasse non
potersi ottenere riparo con mezzi pacifici, potremmo forse tra breve
tempo subire la giustizia che ricusiamo di rendere." Concluse
proponendo che, innanzi di concedere alcuna somma di denaro alla
Corona, la Camera esaminasse le petizioni contro le elezioni, e che
a nessuno de' membri non aventi diritto a sedere in quel luogo, si
concedesse di votare.
Non fu udito un solo applauso. Nessun membro osò secondare la
proposta. E davvero Seymour aveva dette cose che niuno altro avrebbe
impunemente potuto dire. La proposta fu messa da parte, e nè anche
registrata ne' processi verbali; ma aveva prodotto potentissimo
effetto. Barillon scrisse al proprio signore, che molti i quali non
avevano osato applaudire quell'insigne discorso, lo avevano in cuor
loro approvato; che se ne parlava per tutte le conversazioni di
Londra; e che la impressione da esso fatta nel pubblico, sembrava
dover essere durevole(380).
XXXII. I Comuni, senza indugio formatisi in comitato, votarono
concedendo al Re la intera rendita della quale aveva fruito il suo
fratello(381).
XXXIII. E' pare che gli zelanti amici della Chiesa, i quali
formavano la maggioranza della Camera, pensassero che la prontezza
onde avevano obbedito alle voglie del Re nella quistione della
rendita, desse loro ragione a sperare, da parte di lui, qualche
concessione. Dicevano che, avendo essi fatto molto a beneficio di
lui, era ormai tempo ch'egli facesse qualche cosa a beneficio della
nazione. La Camera, dunque, si formò in comitato di religione, onde
esaminare i mezzi migliori a provvedere alla sicurtà della Chiesa
stabilita. In quel comitato due deliberazioni furono unanimemente
adottate. La prima esprimeva fervido affetto per la Chiesa
Anglicana. La seconda supplicava il Re perchè mandasse ad esecuzione
le leggi penali contro coloro che non aderivano a quella
Chiesa(382).
I Whig avrebbero, senza dubbio, voluto vedere che ai protestanti
dissenzienti fosse(383) conceduta tolleranza, e solo i cattolici
romani fossero perseguitati. Ma erano pochi e scuorati. Tenevansi,
quindi, per quanto potevano, fuori di vista; evitavano il nome del
proprio partito; astenevansi di significare ad un ostile uditorio le
loro opinioni particolari, e fermamente sostenevano ogni proposta
tendente a turbare la concordia che fino allora esisteva tra il
Parlamento e la Corte.
Appena i procedimenti del Comitato di Religione furono conosciuti in
Whitehall, il Re andò in gran furore. Nè possiamo giustamente
biasimarlo per essersi risentito della condotta de' Tory. Se essi
erano disposti a volere che il codice penale venisse eseguito con
rigore, avrebbero apertamente dovuto sostenere la Legge
d'Esclusione. Dacchè porre un papista sul trono, ed insistere poi
ch'egli perseguitasse a morte i seguaci di quella fede, nella quale
soltanto, secondo i suoi principii, poteva trovarsi la eterna
salute, era assurdo. Mitigando con un reggimento temperato la
severità delle sanguinose leggi d'Elisabetta, il Re non violava
nessun principio costituzionale: solo esercitava un potere ch'era
sempre stato inerente alla Corona. Anzi, solamente faceva ciò che
poscia fu fatto da parecchi sovrani zelanti delle dottrine della
Riforma; cioè da Guglielmo, da Anna, e dai principi della Casa di
Brunswick. Se avesse patito che i preti cattolici romani, ai quali
poteva senza violazione della legge salvare la vita, fossero
impiccati, strascinati e squartati, per aver praticato quello ch'ei
considerava come loro debito precipuo, si sarebbe attirato addosso
l'odio e lo spregio anche di coloro, ai pregiudizi de' quali egli
aveva fatta così vergognosa concessione; e se si fosse contentato di
concedere ai membri della sua propria Chiesa una tolleranza pratica,
facendo largo uso della sua indubitata prerogativa di far grazia, i
posteri lo avrebbero unanimemente applaudito.
I Comuni, probabilmente, considerata bene la cosa, conobbero di
avere operato in modo assurdo. Rimasero anco conturbati sentendo
come il Re, cui essi tributavano superstiziosa riverenza, fosse
grandemente sdegnato. Furono quindi solleciti ad espiare l'offesa.
Nella Camera, con unanime voto, disfecero la deliberazione
unanimemente fatta in Comitato, e adottarono la proposta di
rimettersi con intera fiducia alla graziosa promessa che la Maestà
Sua aveva loro data di proteggere quella religione che loro era cara
più della stessa vita(384).
XXXIV. Tre giorni dopo, il Re fece sapere alla Camera, avere suo
fratello lasciati certi debiti, e le provvigioni della flotta e
dell'artiglieria essere pressochè esauste. Fu subitamente
determinato d'imporre nuove tasse. La persona a cui venne affidata
la cura di trovarne le vie e i mezzi, fu Sir Dudley North, fratello
minore del Lord Cancelliere. Dudley North era uno de' più abili
uomini del suo tempo. Fino dagli anni suoi primi, era stato mandato
in Levante, dove erasi lungo tempo occupato di faccende mercantili.
Molti, in cosiffatta occupazione avrebbero lasciate irrugginire le
facoltà del proprio intelletto; perocchè in Costantinopoli e Smirne
v'erano pochi libri e pochi uomini intelligenti. Ma il giovane
mercante aveva sortita una di quelle vigorose intelligenze che non
dipendono da esterni sussidii. Nella sua solitudine, meditava
profondamente sopra la filosofia del traffico, e speculò a poco a
poco una teoria compiuta ed ammirevole, che in sostanza era quella
che fu esposta un secolo dopo da Adamo Smith. Dopo molti anni di
esilio, Dudley North ritornò in Inghilterra signore d'un gran
patrimonio, e si pose a trafficare nella Città di Londra come
mercante della Turchia. Il suo nome, per il profondo sapere pratico
e speculativo nelle cose commerciali, giunse speditamente a notizia
degli uomini di Stato. Il Governo trovò in lui un savio consigliere,
e insieme uno schiavo senza scrupoli; come quello che aveva rare
doti intellettuali, ma principii dissoluti e cuor duro. Mentre
infuriava la reazione de' Tory, egli aveva consentito ad accettare
l'ufficio di Sceriffo ad espresso fine di cooperare alle vendette
della Corte. I suoi giurati non mancavano mai di profferire
condanne; e in un giorno di giudiciale macello, carri carichi di
gambe e braccia dei Whig squartati, furono, con grande ribrezzo
della sua moglie, trascinati avanti la sua bella casa in Bisinghall
Street(385), perch'egli ordinasse ciò che fosse da farsene. De' suoi
servigi era stato rimeritato con le insegne di cavaliere, con quelle
d'aldermanno, e con l'ufficio di Commissario delle Dogane. Era stato
mandato al Parlamento dagli elettori di Banbury; e comecchè fosse
uomo nuovo, egli fu colui sopra il quale il Lord Tesoriere riposava
principalmente per governare le faccende della finanza nella Camera
Bassa(386).
Ancorchè i Comuni fossero unanimi nel deliberare la concessione
d'altra pecunia alla Corona, non erano punto concordi intorno al
donde dovesse cavarsi. Fu tostamente risoluto, che parte della somma
richiesta si raccogliesse per mezzo d'una imposta addizionale, a
termine d'anni otto, sopra il vino e l'aceto: ma al Governo ciò non
bastava. Furono messi in campo vari assurdi disegni. Molti
gentiluomini provinciali inchinavano a imporre una tassa gravosa
sopra tutti gli edifici nuovi della metropoli. Speravano che
simigliante tassa avrebbe impedito lo accrescersi d'una città, per
la quale da lungo tempo sentiva gelosia ed avversione l'aristocrazia
rurale. Il progetto di Dudley North era d'imporre, per un termine di
otto anni, nuovi dazi sullo zucchero e sul tabacco. Ne sorsero
grandi clamori. I trafficanti di generi coloniali, i droghieri, i
raffinatori dello zucchero, i tabaccai, fecero petizioni alla
Camera, ed assediarono gli uffici pubblici. Il popolo di Bristol,
che aveva grande interesse nel traffico con la Virginia e la
Giammaica, spedì una deputazione che fu ascoltata alla Camera de'
Comuni. Rochester tentennò alquanto; ma North, con lo spirito pronto
e la perfetta conoscenza delle faccende commerciali, prevalse, sì
nel Tesoro come nel Parlamento, contro ogni opposizione. I vecchi
membri rimasero attoniti vedendo un uomo che appena da quindici
giorni sedeva nella Camera, e che aveva passata la più parte della
vita in paesi stranieri, assumere, con fiducia di sè, ed abilmente
condurre, tutte le funzioni di Cancelliere dello Scacchiere(387).
La sua proposta fu adottata; e così la Corona venne in possesso
d'una entrata netta di circa un milione e novecento mila lire
sterline, cavate dalla sola Inghilterra. Tale somma era più che
bastevole a mantenere il Governo in tempo di pace(388).
XXXV. I Lordi, infrattanto, avevano discusse varie importanti
questioni. Fra i Pari, la parte Tory era stata sempre forte.
Comprendeva l'intero banco de' Vescovi; e negli ultimi quattro anni,
corsi dopo l'ultimo scioglimento, era stata maggiormente afforzata
con la creazione di alcuni nuovi Pari. Di costoro i più cospicui
erano il Lord Tesoriere Rochester, il Lord Cancelliere Guildford, il
Lord Capo Giudice Jeffreys, Lord Godolphin e Lord Churchill, il
quale dopo il suo ritorno da Versailles, era stato fatto barone del
Regno d'Inghilterra.
I Pari tosto si posero ad esaminare il caso di quattro loro
colleghi, i quali erano stati, sotto il regno di Carlo, posti in
istato d'accusa; ma non essendosene mai fatto il processo, dopo una
lunga prigionía, erano stati ammessi dalla Corte del Banco del Re a
dar cauzione. Tre di cotesti nobili che rimanevano sotto malleveria,
erano cattolici romani; il quarto era il Conte di Danby, protestante
di gran conto e influenza. Da che era caduto dal potere, e dai
Comuni stato accusato di tradimento, quattro Parlamenti erano stati
disciolti; ma ei non era stato nè assoluto nè condannato. Nel 1679,
i Lordi, rispetto(389) alla situazione di lui, avevano discussa la
questione, se un atto d'accusa a cagione d'uno scioglimento si
dovesse considerare come terminato o non terminato. Avevano
risoluto, dopo lunga discussione ed esame de' precedenti, che l'atto
d'accusa dovesse tenersi come pendente. Questa deliberazione adesso
venne da loro abrogata. Pochi Nobili Whig protestarono contro tale
partito, ma non ottennero nulla. I Comuni in silenzio sobbarcaronsi
alla decisione della Camera Alta. Danby riprese il suo seggio fra
mezzo ai Pari, e divenne un membro operoso e potente della fazione
Tory(390).
La questione costituzionale, intorno a cui, nel breve spazio di sei
anni, i Tory avevano a quel modo profferite due affatto contrarie
sentenze, si stette a dormire per più d'un secolo, e finalmente fu
ridestata dallo scioglimento delle Camere che avvenne durante il
lungo processo di Warren Hastings. Era allora necessario determinare
se la regola stabilita nel 1679, o la opposta del 1685, fosse da
reputarsi come legge del Regno. La questione fu lungamente discussa
in ambe le Camere; e nella discussione venne adoperata tutta
l'abilità legale e parlamentare che fosse in un secolo singolarmente
fecondo d'uomini esperti nelle scienze giuridiche e negli usi del
Parlamento. I giureconsulti non erano inegualmente divisi. Thurlow,
Kenyon, Scott ed Erskine, sostenevano che lo scioglimento avesse
posto fine all'atto d'accusa. La opposta dottrina fu manifestata da
Mansfield, Camden, Loughborough e Grant. Ma quegli uomini di Stato,
i quali fondavano i loro argomenti non sopra antecedenti o analogie
pratiche, ma sopra profondi e larghi principii costituzionali, poco
differivano nelle opinioni loro. Pitt e Grenville, al pari di Burk e
Fox, sostennero che l'accusa rimaneva tuttavia pendente. Ambedue le
Camere, a gran maggioranza, posero da parte la decisione del 1685, e
pronunciarono che quella del 1679 era conforme alla legge del
Parlamento.
XXXVI. Tra tutti i delitti nazionali, commessi mentre il popolo era
invaso dalla paura eccitata dalle fandonie d'Oates, il più celebre
era stato lo assassinio giudiciale di Stafford. La condanna di
quello infelice gentiluomo veniva adesso da ogni uomo imparziale
considerata come ingiusta. I testimoni precipui dell'accusa erano
stati convinti rei di parecchi spergiuri. In tali circostanze, era
debito del Corpo Legislativo di rendere giustizia alla memoria d'una
vittima innocente, e di cancellare una macchia immeritata da un nome
lungo tempo illustre negli Annali d'Inghilterra. La Camera Alta, in
onta al mormorare di pochi Pari, i quali non volevano ammettere
d'avere sparso un sangue innocente, passò una legge intesa a cassare
il decreto di morte infamante contro Stafford. Nei Comuni, la legge
fu letta due volte, senza ricorrere allo scrutinio di divisione; e
ordinarono che venisse istituito un comitato. Ma nel dì stabilito
per tale faccenda, giunsero nuove, che nelle contrade occidentali
dell'Inghilterra era scoppiata una formidabile ribellione. Fu per
ciò necessario posporre parecchi importanti affari. L'ammenda dovuta
alla memoria di Stafford, fu, come supponevasi, per breve tempo
differita. Ma il pessimo governo di Giacomo, in pochi mesi, fece
cangiare la pubblica opinione. Pel corso di varie generazioni, i
Cattolici Romani non furono in istato di poter chiedere riparazione
delle ingiustizie sofferte, e reputavansi fortunati se era loro
concesso di vivere senza molestia nella oscurità e nel silenzio.
Alla perfine, regnante Giorgio IV, vale a dire cento quaranta e più
anni dopo che il sangue di Stafford era stato sparso in Tower Hill,
la tarda espiazione fu compita. Una legge, che annullò la sentenza
di morte infamante, e restituì alla danneggiata famiglia le antiche
dignità, fu dai ministri del Re presentata al Parlamento, e,
lietamente accolta da tutti gli uomini pubblici di ogni partito,
passò senza un solo voto contrario(391).
Adesso è mestieri che io racconti la origine e il progresso di
quella ribellione, che improvvisamente interruppe le deliberazioni
delle Camere.
CAPITOLO QUINTO.
SOMMARIO.
I. I Whig fuorusciti nel Continente. - II. Loro corrispondenti in
Inghilterra. - III. Carattere dei principali fuorusciti; Ayloffe. -
IV.Wade; Goodenough. - V. Rumbold. - VI. Lord Grey. - VII. Monmouth.
- VIII. Ferguson. - IX. Fuorusciti scozzesi; il Conte d'Argyle. - X.
Sir Patrizio Hume. - XI. Sir Giovanni Cochrane; Fletcher di Saltoun.
- XII. Condotta irragionevole de' fuorusciti scozzesi. - XIII.
Apparecchi per un tentativo contro l'Inghilterra e la Scozia. - XIV.
Giovanni Locke. - XV. Apparecchi fatti dal Governo a difendere la
Scozia. - XVI. Colloquio di Giacomo con gli ambasciatori olandesi;
sforzi inefficaci del Principe d'Orange e degli Stati Generali per
impedire Argyle d'imbarcarsi. - XVII. Argyle si parte dall'Olanda. -
XVIII. Sbarca in Iscozia. - XIX. Contende coi suoi seguaci. - XX.
Disposizione del popolo scozzese. - XXI. Le forze d'Argyle vengono
disperse, ed egli è fatto prigioniero. - XXII È decapitato. - XXIII.
Decapitazione di Rumbold. - XXIV. Morte di Ayloffe. - XXV.
Devastazione della contea d'Argyle; sforzi inefficaci a impedire che
Monmouth partisse dall'Olanda. - XXVI. Suo arrivo a Lyme. - XXVII.
Suo Proclama. - XXVIII. Sua popolarità nelle contrade occidentali
dell'Inghilterra. - XXIX. Scontro tra i ribelli e le milizie civiche
in Bridport. - XXX. Scontro tra i ribelli e le milizie civiche in
Axminster. - XXXI. Le nuove della ribellione giungono a Londra. -
XXXII. Lealtà del Parlamento. - XXXIII. Accoglienza fatta a Monmouth
in Taunton - XXXIV. Egli prende il titolo di Re. - XXXV. Accoglienza
fattagli in Bridgewater. - XXXVI. Apparecchi del Governo per
opporglisi. - XXXVII. Disegno di Monmouth rispetto a Bristol. -
XXXVIII. Lo abbandona. - XXXIX. Scaramuccia seguita in Philip's
Norton. - XL. Monmouth è scuorato. - XLI. Ritorna a Bridgewater. -
XLII. L'esercito regio pone il campo presso Sedgemoor. - XLIII
Battaglia di Sedgemoor. - XLIV. I ribelli vengono inseguiti. - XLV.
Esecuzioni militari; fuga di Monmouth. - XLVI. È preso. - XLVII.
Scrive una lettera al Re. - XLVIII. E condotto a Londra. - XLIX. Suo
incontro col Re - L. Sua decapitazione. - LI. La memoria di lui è
cara al popolo basso. - LII. Crudeltà de' soldati nelle contrade
occidentali; Kirke. - LIII Jeffreys si reca nelle contrade
occidentali. - LIV. Processo di Alice Lisle. - LV. Il tribunale di
sangue. - LVI. Abramo Holmes. - LVII. Cristoforo Battiscombe. -
LVIII. Gli Hewling. - LIX. Punizione di Tutchin. - LX. I ribelli
sono deportati. - LXI. Confische ed estorsioni. - LXII. Rapacità
della Regina e delle sue dame. - LXIII. Caso di Grey. - LXIV. Casi
di Cochrane, di Storey, di Wade, di Goodenough(392) e di Ferguson. -
LXV. Jeffreys è creato Lord Cancelliere. Processo ed esecuzione
giudiciale di Cornish. - LXVI. Processi ed esecuzioni di Fernley e
d'Elisabetta Gaunt. - LXVII. Processo ed esecuzione di Bateman. -
LXVIII. Crudele persecuzione contro i Protestanti Dissenzienti.
I. Verso la fine del regno di Carlo II, alcuni Whig che erano stati
profondamente implicati nella congiura cotanto fatale al loro
partito, e sapevano come fossero fatti segno all'ira implacabile del
Governo, avevano cercato asilo nei Paesi Bassi.
Cotesti fuorusciti erano generalmente uomini d'indole ardente e di
debole giudizio. Stavano anche sotto la influenza di quella
illusione che sembra appartenere segnatamente alla condizione di
esule. Un uomo politico, cacciato in bando da una fazione avversa,
comunemente guarda traverso ad un falso strumento la società ch'egli
ha lasciata. I desiderii, le speranze, i rancori suoi gli fanno
apparire ogni cosa scolorata e scontorta. Ei pensa che ogni lieve
malcontento debba produrre una rivoluzione. Ogni baruffa gli sembra
una ribellione. Non intende come la patria non lo pianga nel modo
medesimo ch'egli la piange. Immagina che tutti i suoi vecchi
colleghi, i quali godono tuttavia i domestici comodi e le agiatezze
loro, siano tormentati dai medesimi sentimenti che gli rendono grave
la vita. Come la espatriazione diventa più lunga, i suoi
vaneggiamenti si accrescono. Il correre del tempo, che tempera lo
ardore degli amici da lui lasciati indietro, gli accresce la fiamma
nel cuore. Ciascun giorno che passa gli rende maggiore la impazienza
ch'ei sente di rivedere la terra natia, e ciascun giorno la sua
terra natia lo rimembra e lo compiange meno. Tale illusione diventa
quasi una insania, ogni qual volta molti esuli che soffrono per la
medesima causa, si trovano insieme in terra straniera. La precipua
delle loro faccende è quella di ragionare intorno a ciò che essi
erano un tempo, e a ciò che potrebbero essere in futuro; di
incitarsi a vicenda contro il comune nemico; di pascersi con
frenetiche speranze di vittoria e di vendetta. Così essi diventano
maturi per certe intraprese, che a prima vista verrebbero giudicate
disperate da chiunque non sia stato dalla passione privato del senso
di calcolare le probabilità di prospero successo.
II. In tali condizioni erano molti de' fuorusciti che s'erano
insieme ridotti nel continente. Il carteggio che tenevano
coll'Inghilterra, era per la più parte tale, da eccitare gli animi
loro, e da farli farneticare. Le idee che avevano rispetto alla
disposizione dell'opinione pubblica, venivano loro precipuamente dai
peggiori uomini del partito Whig; uomini che erano cospiratori e
libellisti per mestiere, perseguiti dagli ufficiali della giustizia,
forzati ad andar svicolando travestiti per i chiassuoli della città,
e talvolta a starsi nascosti per intere settimane nelle soffitte o
nelle cantine. Gli uomini di Stato che erano stati l'ornamento del
partito patriottico, che avevano poscia governati i Consigli della
Convenzione, avrebbero porto ammonimenti assai diversi da quelli,
che davano uomini come Giovanni Wildman ed Enrico Danvers.
Wildman aveva servito quaranta anni innanzi nell'esercito
parlamentare; ma s'era meglio fatto notare come agitatore che come
soldato, ed aveva ben presto abbandonato il mestiere delle armi per
un altro più adatto all'indole sua. L'odio ch'egli sentiva per la
monarchia, lo aveva implicato in una lunga serie di congiure, prima
contro il Protettore e poi contro gli Stuardi. Ma al fanatismo
congiungeva grandissima sollecitudine per la propria sicurezza.
Aveva l'arte maravigliosa di rasentare l'abisso del tradimento,
senza precipitarvisi. Niuno intendeva meglio il modo d'incitare
altrui alle disperate intraprese con parole, le quali, ripetute
dinanzi ai giurati, potessero parere innocenti, o, alla peggio,
ambigue. Tanta era la sua astuzia, che quantunque ei perpetuamente
congiurasse, e fosse conosciuto ch'ei stesse congiurando; e
quantunque un governo vendicativo gli avesse lungamente tenuto gli
occhi addosso; ei schivò ogni pericolo, e morì nel proprio letto,
dopo d'avere veduto, pel corso di due generazioni, i suoi complici
finire sulle forche(393). Danvers era un uomo della medesima genía,
caldo di cervello e vile di cuore, sempre spinto dallo entusiasmo
sull'orlo del pericolo, e sempre dalla codardia fermato su
quell'orlo. Esercitava non poca influenza sopra una parte de'
Battisti, aveva scritto molto in difesa delle loro peculiari
opinioni; e studiandosi di palliare i delitti di Mattia e di
Giovanni di Leida, erasi attirata sul capo la severa censura dei più
rispettabili Puritani. Forse, s'egli avesse avuto un po' di
coragggio, avrebbe calcate le orme degli sciagurati ch'ei difendeva.
In quel tempo, viveva nascosto per sottrarsi alla caccia che gli
davano gli ufficiali della giustizia; imperciocchè il Governo,
avendolo scoperto autore d'uno scritto pieno di gravissime calunnie,
aveva dato ordini per arrestarlo(394).
III. È facile immaginare quale specie di notizie e di consigli,
uomini come questi che abbiamo descritti, potessero mandare ai
fuorusciti nelle Fiandre. Pochi esempi serviranno a darci idea del
carattere di quei fuorusciti.
Uno de' più cospicui fra loro, era Giovanni Ayloffe, legale,
congiunto d'affinità con gli Hyde, e per mezzo loro con Giacomo.
Ayloffe si era ben per tempo reso notevole per un capriccioso
insulto fatto al Governo. Allorquando la prevalenza della corte di
Versailles aveva destata universale inquietudine, egli erasi
rischiato a porre nel seggio presidenziale della Camera de' Comuni
una scarpa di legno, che presso gl'Inglesi era simbolo della
tirannia francese. Erasi poscia implicato nella congiura de' Whig;
ma non abbiamo ragione di credere ch'egli fosse partecipe del
disegno di assassinare i due reali fratelli. Era uomo fornito di
doti e di coraggio; ma il suo carattere morale non era commendevole.
I teologi puritani bisbigliavano ch'egli fosse uno spensierato
Gallione(395), o qualche cosa di peggio; e che qualunque si fosse lo
zelo ch'ei professava per la libertà civile, i Santocchi avrebbero
fatto bene ad evitare ogni relazione con lui(396).
IV. Nataniele Wade, era, al pari d'Ayloffe, legale. Aveva abitato
lungo tempo in Bristol, e nel circostante paese erasi acquistata
rinomanza di repubblicano. Un tempo aveva concepito il disegno di
emigrare a New Jersey, dove sperava trovare istituzioni, meglio che
quelle d'Inghilterra, accomodate alle sue voglie. La sua operosità
nel condurre le elezioni lo aveva reso noto ad alcuni nobili Whig, i
quali se n'erano giovati nello esercizio della sua professione, e lo
avevano in fine ammesso ai loro più secreti consigli. S'era molto
immischiato nel piano della insurrezione, togliendosi l'incarico di
sommuovere e capitanare il popolo della propria città. Era stato
anche nel segreto delle più odiose congiure contro la vita di Carlo
e di Giacomo. Ma dichiarò sempre, che quantunque fosse a parte del
secreto, lo aveva abborrito, tentando perfino di dissuadere i suoi
colleghi dal mandare ad esecuzione il loro disegno. E' sembra che
Wade, come uomo educato alle occupazioni civili, possedesse in modo
non ordinario quella specie di destrezza e di vigore che fanno un
buon soldato. Per isventura, i suoi principii e il suo coraggio
dettero prova di non essere di forza bastevole a sostenerlo, quando,
finito il conflitto, egli nel fondo d'un carcere non aveva altra
scelta che la morte o la infamia(397).
Un altro de' fuorusciti aveva nome Riccardo Goodenough, che
primamente era stato Sotto-Sceriffo di Londra. In lui il suo partito
aveva lungo tempo confidato per disonesti servigi, e in ispecie per
la scelta de' giurati che ne' processi politici non patissero
scrupoli. Erasi molto intromesso nelle parti più nere ed atroci
della congiura de' Whig, che erano state con sommo studio nascoste
agli uomini più rispettabili di quel partito. Nè, ad attenuargli la
colpa, è possibile allegare che ei fosse traviato dallo zelo del
bene pubblico; poichè si vedrà in progresso, come, dopo d'avere coi
propri delitti infamata una nobile causa, la tradì, onde sottrarsi
alla ben meritata pena(398).
V. Uomo di differentissimo carattere era Riccardo Rumbold. Era stato
commissario nello stesso reggimento di Cromwell; era stato posto a
guardia del palco dinanzi alla Sala del Banchetto, nel dì della
decapitazione del Re; aveva combattuto a Dunbar e a Worcester, e
sempre mostrato in altissimo grado le qualità che predistinguevano
l'invincibile esercito nel quale egli serviva; vero coraggio,
ardente entusiasmo sì nelle cose politiche che nelle religiose, e
insieme tutta la padronanza di sè, che caratterizza gli uomini che
la buona disciplina de' campi educò a comandare e obbedire.
Allorquando le truppe repubblicane furono disciolte, Rumbold divenne
birrajo, ed esercitava il proprio traffico presso Hoddeston, in quel
fabbricato da cui la congiura di Rye House deriva il nome. Era stato
proposto, comecchè non affatto deliberato, ne' colloqui de' più
avventati e scoscienziati malcontenti, di appostare in Rye House
uomini armati, onde aggredire le guardie che dovevano scortare Carlo
e Giacomo da Newmarket a Londra. In tali colloqui, Rumbold aveva
sostenuta una parte, dalla quale egli avrebbe rifuggito con orrore,
se il suo chiaro intendimento non fosse stato ottenebrato, e il suo
robusto cuore corrotto dallo spirito di parte(399).
VI. Assai superiore per posizione a tutti cotesti esuli de' quali
abbiamo finora favellato, era Ford Grey, Lord Grey di Wark. Era
stato Esclusionista zelante, aveva cooperato al disegno d'una
insurrezione, ed era stato rinchiuso nella Torre; ma gli era venuto
fatto, ubbriacando i suoi custodi, di fuggire nel continente. Aveva
egregie qualità di mente e modi piacevoli; ma la sua vita era stata
macchiata da un delitto di famiglia. La sua moglie apparteneva alla
nobile casa di Berkeley. Lady Enrichetta Berkeley, sorella di lei,
aveva con Lord Grey la familiarità propria d'un fratello e d'una
sorella. Ne nacque una fatale relazione. Lo spirito elevato e le
vigorose passioni di Lady Enrichetta ruppero ogni freno di virtù e
decoro. La fuga scandalosa de' due amanti palesò a tutto il reame la
vergogna di due illustri famiglie. A Grey e ad alcuni altri, che gli
erano stati mezzani in amore, fu intentato un processo come rei di
congiura. Nella Corte del Banco del Re seguì una scena che non ha
pari nella storia d'Inghilterra. Il seduttore, con intrepido
aspetto, comparve accompagnato dalla sua druda. Nè anche in
quell'estremo caso, i grandi Lordi Whig si scostarono dal fianco di
lui. Coloro ch'erano stati da lui offesi, gli stavano di contro, ed
appena lo videro, trascorsero ad eccessi di rabbia. Il vecchio Conte
di Berkeley coprì di rimproveri e maledizioni la sciagurata
Enrichetta. La Contessa fece il suo deposto, interrotta da frequenti
singhiozzi, ed infine si svenne. I giurati profferirono la sentenza
di reità. Alzatisi i giudici, Lord Berkeley invocò lo aiuto di tutti
i suoi amici per impossessarsi della propria figliuola. I partigiani
di Grey le si strinsero attorno. Da ambe le parti snudaronsi i
ferri; successe una zuffa in Westminster Hall; e non senza molta
difficoltà, ai giudici e agli uscieri riuscì di partire i
combattenti. Nei tempi nostri un simile processo tornerebbe fatale
ad un uomo pubblico; ma in quel secolo, la idea della moralità fra'
grandi era sì bassa, e lo spirito di parte così violento, che Grey
seguitò ad esercitare considerevole influenza, ancorchè i Puritani,
che erano una classe assai forte del partito Whig, lo trattassero
con alquanta freddezza(400).
Una parte del carattere, o per meglio dire, della fortuna di Grey, è
degna d'essere notata. Ammettevasi che dovunque, tranne in campo di
battaglia, egli mostrasse grandissimo coraggio. Più d'una volta, in
circostanze impacciose, dove ne andava la vita e la libertà sua, il
contegno dignitoso, e la perfetta signoria ch'egli mostrò delle
proprie facoltà, gli erano argomento di lode anche presso coloro che
non gli portavano nè amore nè stima. Ma come soldato, egli incorse,
meno forse per proprio difetto che per mala ventura, il degradante
addebito di codardia.
VII. In ciò egli differiva grandemente dal Duca di Monmouth, suo
amico. Monmouth, ardente e intrepido in campo di battaglia,
mostravasi altrove effeminato ed irresoluto. Lo illustre nascimento,
il coraggio, e le frivole grazie ond'egli era adorno, lo avevano
locato in un posto, pel quale egli era assolutamente inadatto. Dopo
d'avere veduta la rovina d'un partito, del quale egli era capo di
nome, erasi ritirato in Olanda. Il principe e la principessa
d'Orange, dopo ciò, non lo consideravano più come rivale. Gli
facevano ospitale accoglienza, sperando che col trattarlo
cortesemente si sarebbero acquistato un diritto alla gratitudine del
padre di lui. Sapevano come lo affetto paterno non fosse estinto,
come lettere e sussidii pecuniarii continuassero tuttavia a venire
da Whitehall al ritiro di Monmouth, e come Carlo guardasse in
cagnesco coloro che studiavansi di corteggiarlo sparlando dell'esule
figliuolo. Al Duca era stata data speranza, che dopo breve tempo,
non porgendo cagione di dispiacere, sarebbe stato richiamato alla
patria, e rimesso in tutti i suoi alti onori e comandi. Infiammato
da tali espettazioni, era stato, per così dire, l'anima dell'Aja per
tutto lo inverno precedente. In una serie di feste da ballo nelle
magnifiche sale del Palazzo d'Orange, che da ogni lato risplende coi
più vivi colori di Jordaens e di Hondthorst, egli era stato la più
cospicua figura(401). Aveva fatta conoscere alle dame d'Olanda la
country-dance inglese; le quali, in ricambio, gli avevano insegnato
a patinare sopra i canali. La principessa lo aveva accompagnato
nelle sue spedizioni sul ghiaccio; e la figura che ella vi faceva
equilibrata sopra una gamba, e coperta di sottane più corte di
quelle usate generalmente dalle dame che tengono rigoroso decoro,
era stata cagione di meraviglia e diletto ai ministri stranieri.
L'austera gravità che serbavasi sempre nella corte dello Statoldero,
sembrava essere sparita di faccia alla influenza del giovane
inglese, che ammaliava chiunque. Anche il grave e pensieroso
Guglielmo, come il suo ospite appariva nelle sue stanze, si
abbandonava al buon umore(402).
Monmouth, frattanto, studiosamente evitava ciò che avrebbe potuto
offendere coloro dai quali sperava protezione. Vedeva poco i Whig in
generale, e punto quegli uomini violenti ch'erano stati implicati
nella parte peggiore della congiura Whig. E però i suoi antichi
colleghi altamente lo accusavano di volubilità e
d'ingratitudine(403).
VIII. Ma nessuno degli esuli lo accusava con più veemenza ed
acrimonia, di quel che facesse Roberto Ferguson, il Giuda della
celebre satira di Dryden. Ferguson era oriundo Scozzese, ma aveva
lungamente abitato in Inghilterra. A tempo della Restaurazione aveva
occupato un beneficio in Kent. Era stato educato al
Presbiterianismo; ma cacciato via dai Presbiteriani, era divenuto
Indipendente. Era stato maestro in un'accademia eretta dai
Dissenzienti in Islington, come rivale della scuola di Westminster e
di Charter House; ed aveva predicato innanzi a numerose congreghe in
Moorfields. Aveva parimente pubblicato alcuni trattati teologici,
che oggimai dormono nei polverosi scaffali di qualche vecchia
biblioteca: benchè avesse sempre sulle labbra testi delle Scritture,
coloro che ebbero con lui faccende pecuniarie, presto si accôrsero
ch'egli era un pretto scroccone.
Finalmente, posta da canto la teologia, si dette a trafficare di
politica. Apparteneva a quella classe di gente, che fanno l'ufficio
di rendere ai partiti esasperati que' servigi, dai quali gli onesti
rifuggono per disgusto, e i prudenti per paura; voglio dire alla
classe de' fanatici bricconi. Violento, maligno, spregiatore del
vero, insensibile alla vergogna, insaziabile di rinomanza, godente
negl'intrighi, nei tumulti, ne' danni per voluttà di far male, si
affaccendò per molti anni nelle più luride sorgenti delle fazioni.
Passava la vita fra i calunniatori e i falsi testimoni. Gli era
stata affidata una cassa segreta, con la quale pagava certi agenti
sì vili, da non essere riconosciuti dagli onesti del partito; ed era
direttore d'una tipografia clandestina, che giornalmente pubblicava
fogli anonimi. Gloriavasi di avere trovato il modo di sparger satire
attorno la terrazza di Windsor, e perfino di porle sotto il
guanciale del Re. Così traeva la vita fra mille astuzie, assumeva
mille nomi, e ad un tempo aveva quattro diverse abitazioni in
diversi quartieri di Londra. S'era profondamente ravvolto nella
congiura di Rye House; e v'è ragione di credere ch'egli fosse il
primo autore di que' sanguinarii disegni che screditarono cotanto il
partito Whig. Scoperta la congiura, e scoraggiati i congiurati,
disse loro addio con un sorriso, aggiungendo ch'essi erano novizi,
ch'egli era assuefatto a combattere, a celarsi, a trasfigurirsi, e
che non avrebbe mai cessato di congiurare fino allo estremo momento
di sua vita. Fuggì al Continente; ma pare che anche quivi non si
tenesse sicuro. I ministri inglesi alle corti straniere avevano
ordine d'invigilarlo. Il Governo francese offerse una rimunerazione
di cinquecento zecchini a chiunque lo avesse arrestato. Nè gli era
agevole sottrarsi agli sguardi altrui; perocchè il largo accento
scozzese, la lunga e magra persona, le guance infossate, il lampo
degli occhi pungenti ai quali faceva ombra la parrucca, le guance
chiazzate di sangue, le spalle sformatamente ricurve, e il
portamento distinto da quello degli altri per un andare impacciato
affatto suo, lo rendevano segno agli altrui sguardi in qualsivoglia
luogo si fosse mostrato. Ma quantunque ei fosse, come sembra,
perseguito con animosità particolare, corse voce che ciò fosse una
finzione, e che gli ufficiali della giustizia avessero ordini di
chiudere gli occhi. Ch'egli fosse un acre malcontento, non potrebbe
dubitarsi. Ma v'è forte ragione di credere che avesse provveduto
alla propria sicurtà facendosi in Whitehall passare per ispia de'
Whig, e informando tanto il Governo quanto bastava a mantenere il
suo credito. Questa ipotesi spiega in modo semplice ciò che a' suoi
colleghi sembrava in lui straordinaria noncuranza e audacia.
Trovandosi fuor di pericolo, egli sempre consigliava i mezzi più
pericolosi e violenti, e irrideva con somma soddisfazione la
pusillanimità di coloro i quali, non essendosi muniti delle infami
cautele sopra cui egli riposava, inchinavano a riflettere due volte
innanzi che ponessero a repentaglio la propria vita, e le cose più
care della vita stessa(404).
Appena giunto ai Paesi Bassi, cominciò a immaginare nuovi disegni
contro il Governo Inglese, e trovò fra i suoi compagni d'esilio
uomini pronti ad ascoltare i suoi perfidi consigli. Monmouth,
nondimeno, si tenne ostinatamente da parte; e senza lo aiuto della
immensa popolarità di Monmouth, era impossibile tentare cosa alcuna.
Nulladimeno, tale era la impazienza e temerità degli esuli, che
provaronsi a trovare un altro capo. Mandarono una imbasciata a quel
solitario ritiro sulle sponde del lago Leman, dove Edmondo Ludlow,
un dì predistinto fra i capi dell'armata parlamentare e fra' membri
dell'Alta Corte di Giustizia, viveva da molti anni nascosto alla
vendetta degli Stuardi risaliti sul trono. L'austero vecchio
regicida, nondimeno, rifiutò di abbandonare il proprio eremo,
dicendo la sua opera essere finita: se l'Inghilterra poteva ancora
salvarsi, ciò spettare ad uomini più giovani di lui(405).
L'inattesa morte di Carlo cangiò onninamente lo aspetto delle cose.
Ogni speranza che i Whig proscritti avevano vagheggiata di ritornare
pacificamente alla terra natía, si spense con la vita di un principe
spensierato e d'indole buona, e con l'ascensione al trono d'un
principe ostinato in ogni cosa, e in ispecie nella vendetta.
Ferguson trovossi nel suo proprio elemento. Privo d'ingegno e come
scrittore e come uomo di stato, possedeva in altissimo grado le
qualità non invidiabili di tentatore; ed ora, con la malefica
operosità d'uno spirito perverso, correva da fuoruscito a
fuoruscito, sussurrava negli orecchi di ciascuno, e suscitava in
ogni cuore odio feroce e stemperati desiderii.
Non disperò più di poter sedurre Monmouth. Le condizioni di quello
sventurato giovane erano affatto cangiate. Mentre egli stavasi a
danzare e patinare all'Aja, aspettando tutti i dì essere richiamato
a Londra, rimase oppresso dal cordoglio alla nuova della morte del
padre, e della assunzione dello zio al trono. La notte che seguì
all'arrivo dell'infausta notizia, coloro che alloggiavano accanto a
lui, poterono distintamente udirne i singhiozzi e le laceranti
strida. Il dì dopo abbandonò l'Aja, promettendo sull'onor suo al
Principe e alla Principessa d'Orange di non tentar nulla contro il
Governo inglese, e ricevendo da loro pecunia per provvedere ai più
urgenti bisogni(406).
Il prospetto del futuro che stava dinanzi agli occhi a Monmouth, non
era splendido. Non aveva probabilità d'essere richiamato dal bando.
Nel continente ei non poteva più vivere fra la magnificenza e le
feste d'una corte. I suoi cugini nell'Aja parevano seguitare a
trattarlo con vera cortesia; ma non potevano apertamente ciò fare
senza grave risico di produrre una rottura tra l'Inghilterra e
l'Olanda. Guglielmo gli dette un amichevole e savio consiglio. Alla
guerra che ardeva in Ungheria fra lo imperatore e i Turchi erano
rivolti gli occhi di tutta l'Europa, con interesse quasi simile a
quello che cinquecento anni innanzi avevano destato le Crociate.
Molti valorosi gentiluomini, sì protestanti che cattolici,
combattevano da volontarii nella causa comune della Cristianità. Il
principe consigliò Monmouth ad accorrere al campo imperiale,
assicurandolo che, così facendo, non gli sarebbero mancati i mezzi
di fare una comparsa degna d'un gentiluomo inglese(407). Era questo
un egregio consiglio, ma il Duca non seppe deliberarsi a seguirlo.
Si ritrasse a Brusselles, accompagnato da Enrichetta Wentworth,
Baronessa Wentworth di Newcastle; donzella d'alto lignaggio e di
grandi ricchezze, la quale, amandolo passionatamente, aveva per lui
sacrificato l'onore di fanciulla e la speranza d'uno illustre
connubio, lo aveva seguito nell'esilio, ed era da lui considerata
come sposa in faccia a Dio. La soave compagnia della donna diletta
gli sanò tosto le piaghe dell'anima. Gli parve d'avere trovata la
felicità nel ritiro e nella quiete, e d'avere dimenticato che egli
era già stato ornamento d'una splendida corte, capo d'un gran
partito, comandante d'eserciti ed aspirante ad un trono.
Ma altri non lo lasciò tranquillo. Ferguson adoperò tutte le arti
della tentazione. Grey, che non sapeva(408) dove rivolgersi a
trovare uno scudo, ed era pronto ad ogni intrapresa, comunque
disperata, prestò il suo aiuto. Non vi fu arte di cui non si
giovassero per istrappare Monmouth dal proprio ritiro. Ai primi
inviti che gli pervennero dagli antichi colleghi, diede risposte
punto favorevoli. Disse che le difficoltà d'uno sbarco in
Inghilterra erano insuperabili; protestò d'essere stanco della vita
pubblica, e chiese che gli lasciassero godere la sua felicità
novellamente trovata. Ma era poco assuefatto a resistere ai destri
ed urgenti incitatori. Dicesi, inoltre, che ad abbandonare il suo
ritiro fosse indotto dalla stessa potente cagione che glielo rendeva
beato. Lady Wentworth desiderava di vederlo Re, e gli offeriva le
sue rendite, le sue gioie e il suo credito. Monmouth non era
convinto; ma non ebbe fermezza bastevole a resistere a tali
sollecitazioni(409).
IX. Gli esuli inglesi lo accolsero con gioia, ed unanimemente lo
riconobbero loro capo. Ma v'era un'altra classe di fuorusciti che
non inchinavano a riconoscere la supremazia di lui. Un pessimo
governo, quale non era mai stato nella parte meridionale dell'isola
nostra, aveva cacciati dalla Scozia al continente molti fuggiaschi,
la cui intemperanza di zelo nelle cose pubbliche e nelle religiose
era estrema quanto la oppressione che avevano sofferta. Costoro non
volevano seguire un condottiero inglese. Anche travagliati dalla
povertà e dall'esilio, serbavano il loro puntiglioso orgoglio
nazionale, e non avrebbero consentito che la patria loro venisse, in
essi, degradata alla condizione di provincia. Avevano un capitano
fra loro, cioè Arcibaldo, nono Conte di Argyle, il quale come capo
della grande tribù di Campbell, era noto ai popoli delle montagne
sotto l'orgoglioso nome di Mac Callum More. Il Marchese di Argyle
suo padre era stato capo de' Convenzionisti scozzesi, aveva
grandemente cooperato alla rovina di Carlo I; e i realisti non
reputavano ch'egli avesse debitamente espiata la offesa, per aver
dato il vano titolo di Re a Carlo II, ed averlo tenuto in un palazzo
a guisa di prigioniero di Stato. Ritornata la famiglia reale, il
Marchese fu messo a morte. Il suo marchesato rimase estinto; ma al
figlio suo fu concesso di ereditare l'antica Contea, ed era tuttavia
annoverato fra i maggiori nobili della Scozia. La condotta tenuta
dal Conte negli ultimi venti anni che seguirono la Restaurazione,
era stata, secondo che egli stesso poi disse, criminosamente
moderata. In talune occasioni aveva avversato il Governo che
affliggeva la sua patria, ma con freddezza e cautela. Per la sua
tolleranza nelle cose ecclesiastiche, aveva porto argomento di
scandalo ai Presbiteriani; ed era stato così lontano dal mostrarsi
inchinevole alla resistenza, che, allorquando i Convenzionisti erano
stati sì crudelmente perseguiti da insorgere, egli aveva condotto in
campo una numerosa torma di suoi dipendenti, ad aiutare il Governo.
Tale era stato il suo contegno politico, finchè il Duca di York
venne in Edimburgo rivestito di tutta l'autorità regia. Il dispotico
vicerè si accôrse tosto di non potere sperare pieno sostegno dal
Conte d'Argyle. E dacchè il più potente capo del Regno non era da
guadagnarsi al Governo, fu reputato necessario distruggerlo. Per
ragioni così frivole, che anche i più fanatici partigiani e i più
cavillosi ne sentirono rossore, fu tratto dinanzi ai tribunali,
processato come reo di tradimento, convinto, e dannato a morire. I
fautori degli Stuardi poscia asserirono che il Governo non aveva mai
avuto intendimento di mandare ad esecuzione quella sentenza, e che
solo scopo di tale Processo era stato di spaventare il Conte, onde
ei s'inducesse a cedere la sua vasta giurisdizione nelle montagne. O
che Giacomo avesse inteso di commettere un assassinio, siccome i
suoi nemici sospettarono; o solamente, secondo che i suoi amici
affermarono, di commettere una estorsione minacciando di commettere
un assassinio; adesso non può con certezza asserirsi. "Io non so
nulla delle leggi scozzesi" diceva Halifax a Re Carlo; "questo solo
io so, che noi non dovremmo impiccare un cane per le cagioni onde
Lord Argyle è stato condannato(410)."
Argyle fuggì travestito in Inghilterra, donde passò in Frisia. In
quella quieta provincia il padre suo aveva comprata una piccola
terra, come luogo di rifugio per la famiglia nelle civili
perturbazioni. Dicevasi fra gli Scozzesi che tale compra era stata
fatta dopo che un indovino celtico aveva predetto che Mac Callum
More un giorno verrebbe cacciato dall'antica casa di sua famiglia in
Inverary(411). Ma è probabile che il Marchese, preveggente nelle
faccende politiche, fosse stato a ciò persuaso forse più dagli
indizi de' tempi, che dalle visioni di qualsivoglia profeta. In
Frisia, il Conte Arcibaldo visse in tanta quiete, che non sapevasi
dove egli avesse trovato ricovero. Dal suo ritiro aveva mantenuto
carteggio coi suoi amici rimasti nella Gran Brettagna, aveva
partecipato alla congiura de' Whig, e combinato coi capi di quella
un disegno d'invasione in Iscozia(412). Scoperta la congiura di Rye
House, quel disegno era stato messo da parte; ma dopo la morte di
Carlo, divenne di nuovo l'oggetto de' pensieri del Conte.
Dimorando sul continente, egli aveva molto più che negli anni
trascorsi della propria vita, profondamente meditato sopra le
questioni religiose. In un certo modo, lo effetto di tali
meditazioni era stato pernicioso alla mente di lui. La sua
parzialità per la forma sinodale del governo ecclesiastico adesso
era giunta fino alla bacchettoneria. Qualvolta ripensava a quanto
lungo tempo ei si era conformato al culto stabilito, sentivasi
opprimere dalla vergogna e dal rimorso, e si mostrava in mille guise
dispostissimo ad espiare la propria defezione con la violenza e la
intolleranza. Nondimeno, tra breve tempo, ebbe occasione di provare
che il timore e lo amore di una più alta Possanza gli avevano dato
il vigore bisognevole a sostenere i conflitti più formidabili, fra'
quali possa trovarsi la umana natura.
Ai suoi compagni d'infortunio il suo aiuto era di massimo momento.
Comecchè ei fosse proscritto e fuggiasco, era tuttavia, in certo
senso, il più potente suddito de' dominii britannici. Per ricchezze,
anche prima ch'ei fosse stato condannato a morte infamante, era
forse inferiore non solo ai grandi Nobili d'Inghilterra, ma ai più
opulenti scudieri di Kent e di Norfolk. Ma la sua autorità
patriarcale, autorità che non può acquistarsi per ricchezze nè
perdersi per condanna infamante, lo rendeva, come capo d'insorti,
veramente formidabile. Nessun Lord delle contrade meridionali
dell'Isola poteva esser sicuro che, avventurandosi a resistere al
Governo, i suoi guarda-caccia e cacciatori lo seguirebbero. Un Conte
Bedford, un Duca di Devonshire, non poteva promettere di condurre
seco dieci uomini in campo. Mac Callum More, senza un soldo e
spoglio della sua Contea, avrebbe potuto in ogni istante suscitare
una grave guerra civile. Non aveva se non a mostrarsi sulla costa di
Lorn, perchè tra pochi giorni gli si raccogliesse un esercito
dintorno. Le forze che in tempi prosperi ei poteva condurre in
campo, ascendevano a cinque mila combattenti, intesi ad obbedirlo,
avvezzi all'uso della targa e dello spadone, non tementi di venire
alle mani con le truppe regolari anche in aperta pianura, e forse
superiori a quelle per certe qualità necessarie a difendere i passi
di aspre montagne, coperti di nebbia e tagliati da rapidi torrenti.
Ciò che tali forze, bene dirette, fossero capaci di fare, anco
contro vecchi soldati ed esperti capitani, si vide pochi anni poi a
Killiecrankie.
X. Ma per quanto fosse grande il diritto d'Argyle alla fiducia degli
esuli scozzesi, era fra loro una fazione che non gli procedeva
amichevole, e desiderava giovarsi del nome e dell'influenza di lui,
senza affidargli nessun potere effettivo. Capo di questa fazione era
un gentiluomo delle pianure, il quale era stato implicato nella
congiura Whig, e con difficoltà erasi sottratto alla vendetta della
Corte; cioè Sir Patrizio Hume di Polwarth, nella Contea di Berwick.
Si è molto dubitato della integrità di lui, ma senza sufficiente
ragione. Nulladimeno, è d'uopo ammettere ch'egli tanto nocque alla
propria causa con la perversità, quanto avrebbe potuto fare con la
tradigione. Era incapace egualmente d'esser capo, o seguace;
concettoso di sè, sofistico, di storto cervello, interminabile
ciarliero, tardo ad andare incontro all'inimico, ed attivo solo
contro i propri colleghi.
XI. Con Hume era in intima relazione un altro esule scozzese di gran
conto, il quale aveva molti dei medesimi difetti, quantunque non
nello stesso grado; voglio dire Sir Giovanni Cochrane, secondo
figlio del Conte di Dundonald.
Uomo di assai più elevato carattere era Andrea Fletcher di Saltown,
insigne per dottrina e facondia, insigne anche per coraggio,
disinteresse e spirito patriottico; ma d'irritabile e intrattabile
indole. Al pari di molti de' suoi più illustri contemporanei,
Milton, a cagione d'esempio, Harrington, Marvel e Sidney, per il
pessimo governo di varii successivi principi, Fletcher aveva
concepito una forte ripugnanza alla monarchia ereditaria. Eppure non
amava la democrazia. Era capo d'un'antica famiglia normanna, ed
orgoglioso della propria stirpe; bel parlatore, forbito scrittore, e
vanitoso della sua superiorità intellettuale. E come gentiluomo e
come dotto, guardava con disdegno la plebe; ed era tanto poco
inchinevole a porre nelle mani di quella il potere politico, da
crederla perfino inetta a fruire della libertà personale. Ella è
curiosissima circostanza, come questo uomo, il più onesto, intrepido
e irremovibile repubblicano de' tempi suoi, dovesse essere stato
l'autore di un sistema, in cui gran parte delle classi operaie di
Scozia venivano ridotte in ischiavitù. Davvero, ei vivamente
somigliava a quei senatori romani, i quali mentre odiavano il nome
di Re, difendevano con inflessibile orgoglio i privilegi dell'ordine
loro contro le usurpazioni della moltitudine, e governavano gli
schiavi e le schiave loro per mezzo del ceppo e del flagello.
XII. Amsterdam fu il luogo dove ragunaronsi i fuorusciti scozzesi ed
inglesi. Argyle ci andò dalla Frisia, Monmouth dal Brabante. Tosto
si conobbe, gli esuli quasi nulla avere di comune, tranne l'odio
contro Giacomo, e la impazienza di rimpatriare. Gli Scozzesi
sentivano gelosia degl'Inglesi, e questi di quelli. Le alte pretese
di Monmouth offendevano Argyle, il quale, altero dell'antica nobiltà
e d'essere legittimamente disceso da sangue regio, non amava punto
rendere omaggio a colui ch'era frutto d'un amore vagabondo ed
ignobile. Ma fra tutte le dissensioni che turbavano la piccola banda
de' fuorusciti, la più seria fu quella che sorse tra Argyle e parte
de' suoi seguaci. Alcuni degli esuli scozzesi, in un lungo corso
d'opposizione alla tirannide, avevano acquistata tanta infermità
d'intendimento e di tempra, da render loro insopportabile il freno
più giusto e necessario. Sapevano di non potere tentar nulla senza
Argyle. Avrebbero dovuto conoscere, che non volendo correre diritto
alla propria rovina, era mestieri o che ponessero piena fiducia nel
loro capo, o che deponessero ogni pensiero d'impresa militare. La
esperienza ha pienamente provato che, in guerra, ogni operazione,
dalle altissime alle infime, dovrebbe essere diretta da una mente
sola, e che ogni agente subordinato dovrebbe obbedire
implicitamente, valorosamente e con dimostrazione di contento, agli
ordini ch'egli disapprova, o le cui ragioni ei non conosce. Le
assemblee rappresentative, le pubbliche discussioni, e tutti gli
altri impedimenti, onde ne' civili negozi i governanti sono
infrenati perchè non abusino del potere che hanno tra mani, in un
campo di battaglia sono cose fuori di luogo. Machiavelli
dirittamente attribuiva molti dei disastri di Venezia e di Firenze
alla gelosia che spingeva quelle repubbliche a immischiarsi in ogni
atto de' loro capitani(413). La usanza che era in Olanda di mandare
negli eserciti deputati, senza il cui consentimento non potesse
farsi nulla d'importante, fu quasi egualmente perniciosa. Senza
dubbio, non è punto certo che un capitano, al quale nell'ora del
pericolo sia stato affidato un potere dittatorio, lo deponga
pacificamente nell'ora del trionfo; e questa è una delle tante
considerazioni che dovrebbe fare esitare gli uomini innanzi che si
determinassero a rivendicare con la spada la libertà pubblica. Ma
ove deliberino tentare le sorti della guerra, essendo savii,
porranno nelle mani del loro capo quella piena autorità, senza la
quale non può bene condursi la guerra. Può darsi, che dandogli tale
autorità, egli diventi un Cromwell o un Napoleone; ma è quasi certo
che, negandogliela, la intrapresa loro finisca come quella di
Argyle.
Alcuni dei fuorusciti scozzesi, infiammati d'entusiasmo
repubblicano, ed affatto privi dell'arte necessaria a condurre i
grandi negozi, adoperarono tutta la industria e lo ingegno loro non
a ragunare mezzi per l'aggressione che erano per fare contro un
formidabile nemico, ma a trovar modi onde infrenare il potere del
loro capo, ed assicurarsi contro la sua ambizione. La contenta
stupidità onde insistevano a riordinare un'armata come se avessero a
riordinare una repubblica, sarebbe incredibile, se non l'avesse
ricordata con franchezza e anche con vanto uno di loro(414).
XIII. Alla perfine, composte tutte le differenze, fu deliberato di
fare un tentativo sulle coste occidentali della Scozia, che sarebbe
tostamente seguito da una discesa in Inghilterra.
Argyle doveva esercitare il comando, di solo nome, in Iscozia; ma ei
venne sottoposto al freno d'un Comitato, che riserbava a sè tutte le
parti più importanti dell'amministrazione militare. Questo Comitato
aveva potestà d'indicare il luogo dove dovesse approdare la
spedizione, nominare gli ufficiali, soprintendere alla leva delle
milizie, aver cura delle provigioni e della munizione. Ciò che
rimaneva al Generale, era il dirigere le evoluzioni dell'armata nel
campo; e fu forzato a promettere che anche in campo, tranne nel caso
d'una sorpresa, non avrebbe nulla fatto senza lo assenso di un
Consiglio di Guerra.
Monmouth doveva comandare in Inghilterra. La sua anima debole,
secondo il consueto, erasi informata dal sentire di coloro che lo
circondavano. Le ambiziose speranze, le quali parevano estinte, gli
si riaccesero rapidamente in cuore. Rimembrava lo affetto con che lo
avevano sempre accolto i popoli delle città e delle campagne, e
s'aspettava di vederli insorgere a centinaia di migliaia per dargli
il benvenuto. Rimembrava il buon volere onde i soldati lo avevano
ognora obbedito, e lusingavasi di vederseli venire intorno a
reggimenti interi. Avvicendavansi di continuo i messaggi
incoraggianti che gli erano mandati da Londra. Lo assicuravano che
la violenza e la ingiustizia con che s'erano fatte le elezioni,
avevano reso frenetica la nazione; che la prudenza de' principali
Whig con difficoltà era pervenuta a impedire uno scoppio sanguinoso
d'ira popolare nel dì della incoronazione; e che tutti i grandi
Lordi i quali avevano sostenuta la Legge d'Esclusione, erano
impazienti di raccogliersi intorno a lui. Wildman, che amava di
inculcare il tradimento con parabole, mandò a lui dicendo che il
Conte di Richmond, appunto duecento anni avanti, era sbarcato in
Inghilterra con una mano d'uomini, e pochi giorni appresso era stato
incoronato, nel campo di Bosworth, col diadema strappato dalla
fronte di Riccardo. Danvers si tolse il carico di fare insorgere la
Città. Il duca fu tratto a credere che, appena innalzato il proprio
vessillo, le Contee di Bedford e di Buckingham, Hampshire e Chester,
sarebbero corse alle armi(415). Gli si accese, quindi, nell'animo il
desio di una intrapresa, dalla quale poche settimane innanzi erasi
mostrato aborrente. I suoi concittadini non gl'imposero restrizioni
assurde, come quelle che avevano con tanto studio trovate i
fuorusciti scozzesi. La sola cosa che da lui richiesero, fu la
promessa di non assumere il nome di Re, se prima le sue pretese non
fossero sottoposte al giudicio di un libero Parlamento.
Fu deliberato che due Inglesi, Ayloffe e Rumbold, avrebbero
accompagnato Argyle in Iscozia, e che Fletcher sarebbe andato con
Monmouth in Inghilterra. Fletcher, fino da principio, erasi
sinistramente augurato dell'impresa; ma il suo spirito cavalleresco
non gli concedeva di schivare un rischio, al quale gli amici suoi
parevano impazienti di esporsi. Allorquando Grey ridisse,
approvando, ciò che Wildman aveva detto intorno a Richmond e a
Riccardo, il dotto e riflessivo Scozzese notò giustamente, come il
secolo decimoquinto assai differisse dal decimosettimo. Richmond era
sicuro dello aiuto de' baroni, ciascuno de' quali poteva condurre in
campo un'armata di possidenti feudali; e Riccardo non aveva nè anche
un reggimento di soldati regolari(416).
Gli esuli poterono, in parte coi propri mezzi, in parte con le
contribuzioni che avevano raccolto dai loro benevoli in Olanda,
raccogliere una somma di pecunia bastevole alle due spedizioni. Poco
ottennero da Londra, donde aspettavansi sei mila lire sterline; ma
invece di danaro, Wildman mandò scuse: il che avrebbe dovuto aprire
gli occhi a tutti coloro i quali non erano ostinatamente ciechi. Il
duca supplì al difetto impegnando le proprie gioie e quelle di Lady
Wentworth. Comprarono armi, munizioni e provigioni, ed
equipaggiarono varie navi che erano in Amsterdam(417).
XIV. È da notarsi che il più illustre e gravemente danneggiato degli
esuli inglesi, si tenne molto lontano da cotesti temerarii consigli.
Giovanni Locke odiava da filosofo la tirannia e la persecuzione; ma
in grazia dello intendimento e dell'indole sua, serbossi immune
dalle violenze di parte. Aveva avuta grande domestichezza con
Shaftesbury, e per ciò era caduto in disgrazia della Corte.
Nondimeno, la sua prudenza era stata sì grande, che poco avrebbe
giovato il trascinarlo anche dinanzi ai tribunali parziali e
corrotti di quel tempo. Se non che potevano nuocergli in una sola
cosa. Essendo egli studente di Christ College nella Università di
Oxford, pensarono di cacciarlo da quel celebre collegio, lui che era
il più grande uomo del quale il collegio si fosse potuto gloriare!
Ma ciò non era facile. Locke in Oxford erasi astenuto d'esprimere
qualsiasi opinione intorno alla politica allora vigente. Venne
circuito di spie. Dottori in divinità e Maestri d'Arti non
vergognarono di fare il più vile di tutti i mestieri; quello, cioè,
d'invigilare le labbra d'un collega, onde riferirne le parole e
rovinarlo. La conversazione nella sala veniva appositamente rivolta
a subietti delicati; voglio dire alla Legge di Esclusione, e al
carattere del Conte di Shaftesbury: ma invano. Locke, senza
lasciarsi trasportare da' moti dell'animo, e senza dissimulare,
mantenne sì fermo silenzio e contegno, che gli strumenti del
Governo, stizziti, confessarono di non aver mai veduto un uomo che
al pari di lui sapesse così bene signoreggiare la propria lingua e
le proprie passioni. Vedendo che il tradimento non giovava a nulla,
fecero uso del potere arbitrario. Dopo d'avere indarno tentato di
prendere Locke in fallo, il Governo determinò di punirlo innocente.
Da Whitehall giunsero in Oxford ordini di cacciarlo via; ordini che
il Decano de' Canonici si affrettò a mandare ad esecuzione.
Locke viaggiava nel continente per riacquistare la salute, allorchè
gli giunse la nuova che era stato privato di tetto e di pane senza
processo, e senza nè anche un avviso. La ingiustizia colla quale era
stato trattato, lo avrebbe reso degno di scusa s'egli si fosse
appigliato a mezzi violenti per ottenere un riparo. Ma non era uomo
da lasciarsi acciecare da un risentimento personale: non si augurava
alcun bene de' disegni di coloro che s'erano ragunati in Amsterdam;
e chetamente si ritrasse in Utrecht, dove, mentre i suoi compagni di
sventura apparecchiavano la propria distruzione, egli attendeva a
scrivere la sua celebre Lettera sopra la Tolleranza(418).
XV. Al Governo inglese pervenne, senza dubbio, la nuova che qualche
cosa macchinavasi dai fuorusciti. Pare che in prima non sospettasse
d'una invasione in Inghilterra, ma temeva che Argyle sarebbe tra
breve comparso in armi fra mezzo agli uomini della sua tribù. E però
fu pubblicato un proclama, con cui si ordinava di porre la Scozia in
istato di difesa. Fu fatto comandamento che le milizie civiche si
tenessero apparecchiate. Tutte le tribù ostili al nome di Campbell,
si posero in moto. Giovanni Murray, Marchese d'Athol, fu fatto
Luogotenente della Contea d'Argyle, ed a capo di una gran torma de'
suoi seguaci, occupò il castello d'Inverary. Parecchi individui
sospetti vennero messi in carcere. Altri furono astretti a dare
ostaggi. Mandarono vascelli da guerra ad incrociare presso l'isola
di Bute; e parte dell'esercito d'Irlanda fu fatto marciare verso la
costa di Ulster(419).
XVI. Intanto che in Iscozia facevansi tali apparecchi, Giacomo
chiamò a sè Arnaldo Van Citters, che stava in Inghilterra come
ambasciatore delle Provincie Unite; ed Everardo Van Dykvelt, il
quale, dopo la morte di Carlo, era stato inviato dagli Stati
Generali con missione speciale di condoglianza e congratulazione. Il
Re disse d'avere ricevuto da fonti incontrastabili nuova dei disegni
che macchinavano contro il suo trono i suoi sudditi fuorusciti in
Olanda. Alcuni di loro erano gente da forche, cui null'altro che una
singolare provvidenza di Dio aveva impedito di commettere un
esecrando assassinio; e stava fra loro il signore del luogo scelto
ad eseguirvi il macello. "Tra tutti i viventi" soggiunse il Re
"Argyle ha i maggiori mezzi di nuocermi; e tra tutti i luoghi, la
Olanda è quello d'onde può partire un colpo contro me." Citters e
Dykvelt assicurarono la Maestà Sua, che ciò ch'ella aveva detto,
sarebbe stato sollecitamente comunicato al Governo da essi
rappresentato, e speravano fermamente che verrebbe fatto ogni sforzo
a satisfare il desiderio di quella(420).
Gli ambasciatori, esprimendo tale speranza, dirittamente parlavano.
Il Principe d'Orange e gli Stati Generali erano a quel tempo molto
desiderosi che della ospitalità olandese non si facesse abuso
rispetto a cose delle quali il Governo inglese avesse potuto muovere
giusta doglianza. Giacomo aveva poco innanzi dette parole che
facevano sperare come ei non si sarebbe pazientemente sottoposto al
predominio della Francia. Pareva probabile che avrebbe assentito a
formare un'alleanza con le Provincie Unite e la Casa d'Austria. Era,
quindi, nell'Aja estrema sollecitudine di evitare tutto ciò che lo
avesse potuto offendere. Lo interesse personale di Guglielmo era
anche in questa occasione identico a quello del suo suocero.
Ma il caso era uno di quelli che richiedono rapidità e vigoria
d'azione; e la natura delle istituzioni batave rendeva ciò
impossibile. La Unione d'Utrecht, rozzamente formatasi fra mezzo al
trambusto d'una rivoluzione a fine di ovviare agli estremi bisogni
della cosa pubblica, non era stata deliberatamente riesaminata e
resa più perfetta in tempi tranquilli. Ciascuna delle sette
repubbliche avvincolate da quella Unione, serbavano quasi tutti i
diritti di sovranità, e li difendevano gelosamente contro il Governo
centrale. E come le Autorità federali non avevano i mezzi di farsi
prontamente obbedire dalle provinciali, così queste non gli avevano
per ottenere pronta obbedienza dalle municipali. La sola Olanda
comprendeva diciotto città, ciascuna delle quali era per molti
rispetti uno stato indipendente, e geloso che altri s'immischiasse
nelle sue faccende. Se i reggitori di una tale città ricevevano
dall'Aja un ordine che fosse loro spiacevole, o non se ne davano
punto pensiero, o languidamente e tardi lo eseguivano. In alcuni
Consigli municipali, a dir vero, la influenza del Principe d'Orange
era onnipotente. Ma per isventura, il luogo dove gli esuli inglesi
eransi raccolti, e i loro navigli stavano equipaggiati, era la ricca
e popolosa Amsterdam, i cui magistrati erano capi della fazione
avversa al governo federale ed alla Casa di Nassau.
L'amministrazione marittima delle Provincie Unite era condotta da
cinque diversi uffici d'Ammiragliato; uno de' quali, residente in
Amsterdam, in parte era nominato dalle Autorità della città, e
sembra che fosse animato dallo spirito di quelle.
Tutte le cure del Governo federale adoperate a porre ad effetto ciò
che Giacomo desiderava, andarono a vuoto per i sutterfugi de'
reggitori d'Amsterdam, e per gli errori del Colonnello Bevil
Skelton, che pur allora era arrivato in Olanda come inviato del
Governo inglese. Skelton aveva abitato in Olanda al tempo delle
civili perturbazioni della Inghilterra, e quindi veniva reputato
adatto a quell'ufficio(421); ma veramente, egli non era buono nè per
quella nè per qual si fosse altra situazione diplomatica. Taluni
espertissimi giudici degli umani caratteri affermarono ch'egli era
il più leggiero, volubile, passionato, presuntuoso e ciarliero degli
uomini(422). Non fece diligenti indagini intorno a ciò che i
refugiati facevano, finchè tre navi equipaggiate per la spedizione
di Scozia si posero in salvo fuori del Zuyder Zee, finchè le armi,
le munizioni e le vettovaglie furono sul bordo, e i fuorusciti
s'imbarcarono. Allora, invece di rivolgersi, siccome avrebbe dovuto
fare, agli Stati Generali, che ragunavansi accanto alla sua casa,
spedì un messo ai magistrati d'Amsterdam, richiedendoli di fermare
le navi sospette. I magistrati d'Amsterdam risposero, che lo
ingresso nel Zuyder Zee era fuori della loro giurisdizione, e lo
rimandarono al Governo federale. Vedevasi chiaramente che ciò era
una pretta scusa, e che se gli Stati d'Amsterdam avessero davvero
voluto impedire la partenza di Argyle, non avrebbero messa in mezzo
difficoltà veruna. Skelton, quindi, si rivolse agli Stati Generali,
i quali mostraronsi dispostissimi a fare quanto egli chiedeva; e
perchè il caso era urgente, misero da banda la usanza che
ordinariamente osservavano nella espedizione degli affari. Nel dì
medesimo ch'egli fece loro la sua dimanda, fu spedito allo
Ammiragliato d'Amsterdam un ordine esattamente conforme a quanto
egli aveva richiesto. Ma tale ordine, a cagione di certe erronee
informazioni da lui ricevute, non descriveva precisamente la
situazione delle navi. Dicevasi che fossero nel Texel, ma erano nel
Vlie. Lo Ammiragliato d'Amsterdam si giovò di cotesto errore per non
far nulla; e innanzi che lo sbaglio venisse chiarito, le tre navi
ormai veleggiavano(423).
XVII. Le ultime ore che Argyle passò sulle coste d'Olanda, furono
ore di grande ansietà. Gli stava da presso un vascello da guerra
olandese, che in un istante, scaricando le batterie, avrebbe potuto
far finire la sua spedizione. Attorno alla sua piccola flotta vagava
una barca, sopra la quale si stavano co' cannocchiali in mano
parecchi individui, ch'egli credeva spie. Ma nulla fu tentato
d'efficace a fermarlo, e nel pomeriggio del dì secondo di maggio
prese il largo, con un vento favorevole.
Il viaggio fu prospero. Il dì 6 erano in vista alle Orcadi. Argyle,
sconsigliatamente, gettò l'áncora a Kirkwall, e concesse a due de'
suoi che scendessero a terra. Il vescovo gli fece prendere. Gli
esuli tennero sopra a questa sciagura una lunga e animata
discussione; imperocchè, dal principio sino al fine della
spedizione, comunque fredda e irresoluta fosse stata la loro
condotta, nel discutere non mostrarono mai difetto di calore e di
perseveranza. Alcuni opinavano di aggredire Kirkwall; altri di
procedere senza indugio verso la contea di Argyle. Finalmente, al
Conte venne fatto di porre le mani addosso ad alcuni gentiluomini
che abitavano presso la costa dell'isola, e propose al vescovo uno
scambio di prigionieri. Il vescovo non rispose; e la flotta, dopo
d'avere perduti tre giorni, rimise alla vela.
XVIII. Questo indugio corse pieno di pericoli. Si seppe immantinente
in Edimburgo, che la squadra de' ribelli aveva toccato le Orcadi.
Furono subito poste in movimento le truppe. Allorquando il Conte
arrivò alla sua provincia, trovò fatti gli apparecchi a respingerlo.
In Dunstaffnage mandò a terra Carlo, suo secondo figlio, perchè
chiamasse alle armi i Campbell. Ma Carlo tornò con triste nuove. I
pastori e i pescatori erano pronti a raccogliersi sotto il vessillo
di Mac Callum More; ma de' capi delle tribù, alcuni erano in
carcere, altri fuggiaschi. Que' gentiluomini che erano rimasti nelle
loro case, o erano bene affetti al Governo, o temevano di muoversi;
e, ricusarono infino di vedere il figlio del loro capo. Da
Dunstaffnage la piccola flotta processe a Campbelltown, presso la
riva meridionale della penisola di Kintyre. Quivi il Conte pubblicò
un proclama, scritto in Olanda, sotto la direzione del Comitato, da
Giacomo Stewart, avvocato scozzese, il quale pochi mesi dopo adoperò
la sua penna a scopo ben differente. In quella scrittura erano
esposte, con vigoria di parole che talvolta trascorrevano alla
scurrilità, molte doglianze vere, e molte immaginarie. Vi si
accennava come Carlo fosse morto di veleno. Dichiaravasi che fine
precipuo della spedizione era di sopprimere onninamente non solo il
Papismo, ma la Prelatura, che veniva chiamata la radice e il
germoglio più tristo del Papismo; e tutti gli onesti Scozzesi
venivano esortati ad operare valorosamente per la causa della loro
patria e del loro Dio.
Per quanto Argyle fosse zelante di quella ch'egli considerava come
religione pura, non ebbe scrupolo di praticare un rito mezzo papale
e mezzo pagano. La croce di tasso misteriosa, pria accesa, e poi
spenta nel sangue di una capra, fu mandata a convocare tutti i
Campbell dagli anni sedici ai sessanta. L'istmo di Tarbet fu
stabilito come luogo di convegno. La rassegna, ancorchè fosse
piccola in paragone di quel che sarebbe stata se il coraggio e il
vigore delle tribù non fossero stati oppressi, fu nondimeno
formidabile. Tutte le forze raccolte ascendevano a mille ottocento
uomini. Argyle partì i suoi montanari in tre reggimenti, e si pose a
nominare gli ufficiali.
XIX. Le dispute, già cominciate in Olanda, non erano mai cessate per
tutto il corso della spedizione; ma a Tarbet si fecero più violente
che mai. Il Comitato voleva immischiarsi anche nell'autorità
patriarcale che il Conte esercitava sopra i Campbell, e non voleva
concedergli di stabilire a suo arbitrio i gradi militari de' suoi
consorti. Mentre cotesti litigiosi faccendieri studiavansi di
spogliarlo del potere ch'egli aveva sopra le montagne, mandavano e
ricevevano lettere, senza mai mostrarle a colui che aveva nome di
Generale, dagli uomini delle pianure. Hume e i suoi colleghi s'erano
riserbata la soprintendenza delle provigioni, e conducevano questa
parte importantissima dell'amministrazione della guerra con una
profusione che male si sarebbe potuta distinguere dalla disonestà;
lasciavano guastar l'armi, consumare le vettovaglie, e vivevano
gozzovigliando, là dove avrebbero dovuto a tutti i loro sottoposti
porgere esempio di temperanza.
La grande questione era di determinare se la sede della guerra
dovesse essere nelle montagne o nelle pianure. La prima cosa che il
Conte voleva conseguire, era di stabilire la propria autorità negli
aviti dominii, cacciare gl'invasori che dalla Contea di Perth
s'erano gettati su quella di Argyle, e insignorirsi dell'antica
residenza della propria famiglia in Inverary. Allora avrebbe potuto
sperare di avere quattro o cinquemila spade sotto il suo comando.
Con tali forze avrebbe potuto difendere quelle selvagge contrade
contro il potere dello intero Regno di Scozia, e assicurarsi un
ottimo punto ad offendere l'inimico. Pare che questo partito
fosse(424) il più savio fra quanti gliene rimanessero. Rumbold,
ch'era stato educato in una insigne scuola militare, e come Inglese
poteva tenersi per arbitro imparziale fra le fazioni scozzesi, fece
ogni sforzo per rinvigorire il braccio del Conte. Ma Hume e Cochrane
erano estremamente intrattabili. La gelosia che sentivano d'Argyle
era, in verità, più forte del desiderio che avevano perchè la
impresa avesse prospero successo. S'accôrsero come egli tra i suoi
monti e laghi, e a capo di un'armata massimamente composta delle sue
proprie tribù, avrebbe potuto vincere ogni opposizione ed esercitare
piena autorità di Generale. Andavano sussurrando, che i soli ai
quali la buona causa stesse a cuore, erano gli uomini delle pianure,
e che i Campbell erano corsi alle armi nè per la libertà nè per la
Chiesa di Dio, ma solo per Mac Callum More. Cochrane dichiarò che,
se fosse dipeso da lui, sarebbe andato alla Contea d'Ayr, senza
avere altro in mano che un forcone. Argyle, dopo una lunga
resistenza, assentì, contro il proprio giudicio, a dividere la sua
piccola armata; e si rimase con Rumbold nelle montagne. Cochrane e
Hume capitanavano le forze che s'imbarcarono per invadere le
pianure.
Cochrane mirava alla Contea di Ayr; ma la costa di Ayr era guardata
dalle fregate inglesi, e agli avventurieri fu forza risalire la
corrente del Clyde fino a Greenock, allora piccolo villaggio di
pescatori, che consisteva in una sola fila di tugurii di legno, e
adesso è ricco e florido porto, i cui proventi doganali ascendono a
una somma cinque volte maggiore della intera rendita che gli Stuardi
ricavavano dal Regno di Scozia. Parte della milizia civica era
appostata in Greenock; ma Cochrane, che pativa difetto di
provigioni, deliberò d'approdare. Hume si oppose. Cochrane fece
comandamento ad un ufficiale, chiamato Elphinstone, che immantinente
conducesse in una barca venti uomini sulla spiaggia. Ma lo spirito
litigioso de' capi erasi propagato in tutte le file. Elphinstone
rispose, ch'egli non era tenuto ad obbedire se non ai comandi
ragionevoli; che considerava quell'ordine come irragionevole; in
somma, che non voleva andarci. Il Maggiore Fullarton, prode uomo,
stimato da tutti, ma peculiarmente diletto ad Argyle, assunse
l'incarico di andare a terra con soli dodici uomini; e così fece,
malgrado il fuoco che veniva dalla costa. Ne seguì una lieve zuffa.
La milizia civica indietreggiò. Cochrane entrò in Greenock e fece
provigioni di vettovaglie, ma non trovò le genti disposte ad
insorgere.
XX. Difatti, l'opinione pubblica in Iscozia non era quale gli esuli,
traviati dallo acciecamento comune agli esuli in tutti i tempi,
avevano supposto che fosse. Il Governo certamente era meritevole
d'odio, e tenuto in abborrimento; ma i malcontenti, scissi in
partiti, erano l'uno all'altro così avversi quasi come ai
governanti, nè alcuno di tali partiti inchinava a congiungersi con
gl'invasori. Molti credevano che la insurrezione non avesse
probabilità di prospero successo; lo spirito di molti altri era
prostrato per lunga e crudele oppressione. Eravi, a vero dire, una
classe d'entusiasti, poco avvezzi a calcolare le probabilità, e
dalla oppressione non domati, ma resi frenetici. Costoro vedevano
poca differenza tra Argyle e Giacomo. L'ira loro era giunta a tal
segno, che quello che a chiunque altro sarebbe sembrato bollente
zelo, pareva loro tepidezza Laodicea. La vita trascorsa del Conte
era macchiata di ciò ch'essi consideravano come vilissima apostasia.
Quegli stessi montanari da lui adesso condotti ad estirpare la
prelatura, pochi anni prima erano stati da lui medesimo chiamati a
sostenerla. E siffatti schiavi, che nulla sapevano e nulla curavansi
della religione, pronti a combattere per il Governo sinodale, per lo
Episcopato, per il Papismo, secondo che a Mac Callum More fosse
piaciuto comandar loro, potevano eglino essere buoni alleati del
popolo di Dio? Il proclama, per quanto indecente e intollerante
fosse nella forma, agli occhi di cotesti fanatici era componimento
codardo e mondano. Una riforma qual Argyle intendeva stabilire, e
quale fu poi stabilita da altro più potente e fortunato liberatore,
sembrava loro che non valesse un conflitto. Essi avevano mestieri
non solo della libertà di coscienza per sè stessi, ma d'assoluto
dominio sopra la coscienza altrui; non solo della dottrina, della
politica, e del culto de' Presbiteriani, ma della Convenzione in
tutto il suo estremo rigore. Nulla poteva contentarli se non questo,
che ogni fine per cui esiste la società civile venisse sacrificato
al predominio d'un sistema teologico. Chiunque credeva che nessuna
forma di Governo ecclesiastico valesse il violare la carità
cristiana, e raccomandava armonia e tolleranza, secondo la frase
loro, tentennava tra Jehovah e Baal. Chiunque condannava quegli
atti, come lo assassinio del Cardinale Beatoun e dell'Arcivescovo
Sharpe, cadeva nel medesimo peccato per cui Saul era stato detto
indegno d'essere re d'Israele. Tutte le usanze che fra gli uomini
inciviliti e cristiani mitigano gli orrori della guerra, erano
abominazioni al cospetto del Signore. Non doveva darsi nè accettare
quartiere. Un Indiano furibondo che meni coltellate a destra e a
sinistra, un cane arrabbiato inseguito dalla folla, erano gli esempj
da imitarsi dai guerrieri che combattevano per la propria difesa. A
tutte le ragioni che dirigono la condotta degli uomini di Stato e
dei capitani, le menti di quegli zelanti erano al tutto
inaccessibili. Se un uomo si fosse rischiato ad addurle, era
argomento bastevole per escluderlo dal numero de' fedeli. Se non
v'era la benedizione del Cielo, di poca efficacia sarebbero state le
arti degli astuti politici, e de' vecchi capitani, le armi venute
dall'Olanda, i reggimenti de' non rigenerati Celti discesi dalle
montagne di Lorn. Se, dall'altro canto, il tempo del Signore era
giunto, egli poteva, come in antico, ordinare che le cose stolte del
mondo confondessero le savie, e poteva salvare con pochi egualmente
che con molti. Gli spadoni d'Athol e le baionette di Claverhouse
sarebbero state impotenti a resistere ad armi frivole come la fionda
di David o la secchia di Gedeone(425).
Cochrane avendo veduto essere impossibile fare insorgere le
popolazioni a mezzodì del Clyde, andò a congiungersi con Argyle, che
era nell'isola di Bute. Il Conte di nuovo propose di fare un
tentativo sopra Inverary, e di nuovo incontrò pertinacissima
opposizione. Gli abitanti delle marine si posero dalla parte di Hume
e di Cochrane. I montanari obbedirono ciecamente ai comandi del loro
capo. V'era ragione di temere che i due partiti venissero a
conflitto; e il timore d'un tanto disastro indusse il Comitato a
fare qualche concessione. Il castello di Ealan Chiering, posto sulle
bocche di Loch Riddan, fu scelto come capo luogo d'armi. Quivi
sbarcarono le provigioni militari. La squadra ancorò presso alle
mura in un luogo, dove rimaneva protetta da rocce e secche tali, che
pensavasi nessuna fregata le potesse passare. Vi fecero nuovi
ripari; eressero una batteria di piccoli cannoni presi dalle navi.
Il comando del forte fu sconsigliatamente affidato ad Elphinstone,
il quale aveva per prova fatto conoscere d'essere più disposto a
disputare coi comandanti, che a combattere con l'inimico.
Adesso per poche ore si fece mostra di qualche energia. Rumbold
prese il castello di Ardkinglass. Il Conte scaramucciò
vittoriosamente con le truppe d'Athol, e stava per procedere verso
Inverary, quando le gravissime nuove giunte dalle navi, e i litigi
nel Comitato, lo forzarono a tornare addietro. Le fregate regie
s'erano spinte più presso ad Ealan Chiering di quel che si credeva
possibile. I gentiluomini delle pianure ricusarono positivamente di
avanzarsi oltre verso le montagne. Argyle corse frettolosamente ad
Ealan Chiering. Ivi propose di aggredire le fregate. Vero è che le
sue navi erano poco atte a sostenere simigliante incontro; ma
sarebbero state soccorse da una flottiglia di trenta grosse barche
da pescare, ciascuna delle quali era bene equipaggiata di montanari
armati. Il Comitato, nondimeno, ricusò di porgere ascolto a tale
proposta, e ne rese impossibile la esecuzione facendo nascere un
tumulto fra' marinaj.
Quindi, tutto fu confusione e scoraggimento. Le provvigioni erano
state così male amministrate dal Comitato, che mancavano le
vettovaglie alle truppe. I montanari perciò disertavano a centinaia;
e il Conte, col cuore lacerato dalla propria sciagura, cesse alla
urgenza di coloro che pertinacemente seguitavano ad insistere
ch'egli marciasse verso le pianure.
La piccola armata, adunque, si affrettò a giungere alla sponda di
Loch Long, traversò sulle barche quel passo, ed approdò alla Contea
di Dumbarton. Ivi, il dì seguente, pervenne la nuova che le fregate
avevano forzato il passo, che tutte le navi del Conte erano state
prese, e che Elphinstone era fuggito da Ealan Chiering, lasciando il
castello e le munizioni al nemico.
Ciò che rimaneva a fare, era d'invadere, malgrado ogni svantaggio,
le pianure. Argyle deliberò di spingersi arditamente fino a Glasgow.
Ma appena ebbe ciò detto, coloro stessi, i quali fino a quel momento
lo avevano istigato a piombare celeremente sulle pianure,
spaventati, disputavano, protestavano; e quando videro che nè
ragionamenti nè rimostranze giovavano, fecero disegno d'insignorirsi
delle barche e fuggire, lasciando il loro Generale e gli uomini suoi
a vincere o perire senza soccorso. Tale disegno andò fallito; e i
vigliacchi che lo avevano concepito, furono costretti a dividere co'
più valorosi i rischi della estrema prova dell'armi.
Mentre gl'insorgenti procedevano fra mezzo al paese che giace tra
Loch Long e Loch Lomond, furono continuamente infestati dalle
milizie civiche. Seguirono alcune scaramucce, in cui il Conte ebbe
prospera la ventura; ma le bande da lui respinte, nello
indietreggiare, sparsero la nuova del suo avvicinarsi, e tosto dopo
ch'egli ebbe varcato il fiume Leven, trovò un forte corpo di truppe
regolari ed irregolari apparecchiato a fargli fronte.
Egli opinava doversi dare battaglia. Ayloffe assentiva. Ma Hume
dichiarò, che provocare il nemico sarebbe stata demenza. Vide un
reggimento in uniforme scarlatto. Pensò che altri ve ne fossero
dietro. Aggredire tante forze sarebbe stato un correre a morire. Il
miglior partito da prendere, era quello di tenersi cheti fino a
notte, ed allora ritirarsi.
Ne seguì un aspro alterco, che Rumbold, ponendosi di mezzo, a stento
riuscì a sedare. Era la sera. Le armate nemiche accampavano a poca
distanza l'una dall'altra. Il Conte provossi a proporre
un'aggressione notturna, e di nuovo le sue parole andarono a vuoto.
XXI. Dacchè erasi deliberato di non combattere, altro non rimaneva a
fare che prendere il partito proposto da Hume. Era probabile che,
levando il campo secretamente, e procedendo tutta la notte traverso
scopeti e pantani, il Conte si sarebbe vantaggiato di molte miglia
sull'inimico, e sarebbe potuto giungere senza altri ostacoli a
Glasgow. Lasciarono accesi i fuochi del campo e si posero a
marciare. E qui i disastri cominciarono ad avvicendarsi. Le guide,
perduta la traccia traverso agli scopeti, condussero l'armata nei
marosi. Non fu possibile serbare l'ordine militare fra soldati
indisciplinati e scoraggiati, sotto un cielo tenebroso e in un
terreno traditore e ineguale. La paura in mille guise si sparse
nelle disordinate file. Ciascuna ombra, ciascun rumore pareva
indicare lo avvicinarsi del nemico. Alcuni ufficiali contribuirono a
spargere il terrore che avevano debito di calmare. L'armata aveva
preso sembiante d'una caterva di plebe, e cominciò a disperdersi.
Gl'insorti fuggivano a torme sotto il velo della notte. Rumbold, e
alcuni altri uomini valorosi, i quali nessun pericolo avrebbe
atterriti, smarrirono il cammino, e non poterono ricongiungersi col
corpo principale dell'armata. Allo spuntare del giorno, soli
cinquecento fuggiaschi si raccolsero in Kilpatrick, stanchi e
scuorati.
Ogni pensiero di continuare la guerra era cessato; ed era chiaro che
i capi della spedizione avrebbero incontrate non poche difficoltà a
salvare la vita. Si dettero a fuggire per varie direzioni. Hume
giunse salvo sul continente. Cochrane fu preso e mandato a Londra.
Argyle sperava di trovare un asilo sicuro sotto il tetto d'uno de'
suoi antichi servi che abitava presso Kilpatrick. Ma gli fallì la
speranza; e gli fu forza di varcare il Clyde. Prese le vesti di
contadino, dicendo d'essere la guida del Maggiore Fullarton, la cui
coraggiosa fedeltà stette salda contro ogni pericolo. I due amici
viaggiarono insieme per la Contea di Renfrew fino a Inchinnan. Ivi
il Black Cart e il White Cart - due fiumi che ora scorrono traverso
a prospere città, e muovono le ruote di molte fattorie, ma allora
compivano il loro corso tranquillo fra mezzo a pascoli e scopeti -
si congiungono insieme innanzi di gettarsi nel Clyde. L'unico guado
per cui i viandanti potessero passare, era guardato da una mano di
milizia civica. Vennero fatte loro alcune dimande. Fullarton
provossi di far cadere il sospetto sopra sè solo, perchè al compagno
non si badasse. Ma gl'interrogatori suspicavano che la guida non
fosse il rozzo villano che pareva. Gli posero le mani addosso.
Argyle si spinse d'un salto nelle acque, ma immantinente fu preso.
Lottò per breve tempo contro cinque aggressori; ma non avendo altre
armi, tranne le sue pistole da tasca, le quali, inoltre, erano sì
bagnate, a cagione d'essersi immerso nell'acqua, che non vollero
prendere fuoco, fu gettato a terra da un colpo di spadone, e messo
in custodia.
Confessò d'essere il Conte d'Argyle, forse sperando che il suo gran
nome avrebbe mossi a riverenza e pietà coloro dai quali era stato
preso. E davvero, ne furono molto commossi, come quelli che erano
semplici Scozzesi d'umile condizione; e benchè fossero corsi alle
armi a pro della Corona, probabilmente preferivano l'ordinamento e
il culto della Chiesa Calvinistica, ed erano assuefatti a riverire
il loro prigione come capo d'una casa illustre e campione della Fede
Protestante. Ma quantunque fossero manifestamente commossi, tanto
che alcuni ne piangevano, non vollero perdere una pingue
rimunerazione, ed incorrere nella vendetta d'un Governo implacabile.
Condussero, quindi, il prigione a Renfrew. L'uomo che fu parte
principale nella presura del Conte, chiamavasi Riddell. Per questa
ragione, tutta la stirpe de' Riddell, per più d'un secolo, fu tenuta
in abborrimento dalla gran tribù di Campbell. I nostri vecchi si
ricordano ancora che quando un Riddell andava ad una fiera nella
Contea d'Argyle, era costretto ad assumere un falso nome.
Ora comincia la parte più splendida della vita d'Argyle. Fin qui la
sciagurata impresa non gli aveva arrecato se non rimprovero e
scherno. Il più grande de' suoi errori fu di non avere risolutamente
ricusato d'accettare il nome senza il potere di Generale. Se si
fosse tenuto tranquillo nel suo ritiro di Frisia, in pochi anni
sarebbe stato richiamato onorevolmente alla patria, e sarebbe stato
annoverato fra i principali ornamenti e sostegni della Monarchia
costituzionale. Se avesse condotta la espedizione a seconda del
proprio giudicio, e menato con seco nessuni altri seguaci che quelli
i quali erano implicitamente apparecchiati ad obbedire a tutti gli
ordini suoi, è possibile ch'egli avesse compito qualche cosa di
grande; avvegnachè sembri non avere avuto difetto di coraggio,
d'operosità, d'espertezza, ma solamente d'autorità. Avrebbe dovuto
conoscere che tra tutti i difetti, questo è il più fatale. Non pochi
eserciti hanno vinto sotto capitani privi di doti eminenti. Ma quale
esercito comandato da un circolo che sempre discuta, ha mai evitato
il disonore e la sconfitta?
La grave calamità che era accaduta ad Argyle, fece sì ch'egli
potesse mostrare con prove evidenti quale specie d'uomo ei si fosse.
Dal giorno in cui abbandonò la Frisia, fino a quello in che i suoi
seguaci si dispersero a Kilpatrick, egli non aveva mai operato
liberamente. Aveva portata la responsabilità d'una lunga serie di
azioni, che in cuor suo disapprovava. Finalmente, era libero d'agire
a suo modo. La cattività gli aveva ridata la nobile libertà di
governare sè stesso in tutte le parole ed azioni sue, secondo il
senso ch'egli aveva del diritto e della convenienza. Da
quell'istante, diventò come ispirato di nuova virtù e saviezza. Il
suo intelletto parve rinvigorirsi e concentrarsi, il suo carattere
morale elevarsi, e ad un tempo addolcirsi. La insolenza de'
vincitori non tralasciò nulla che potesse porre alla prova la tempra
d'un uomo altero della sua antica nobiltà e del suo dominio
patriarcale. Il prigione fu trascinato in trionfo per le vie
d'Edimburgo. Andò a piedi e col capo scoperto per tutta quella
strada maestra, che, ombreggiata da anneriti e giganteschi edifici
di pietra, da Holyrood conduce al Castello. Lo precedeva il
carnefice, portando il ferale strumento che doveva recidergli la
testa. Il partito vittorioso non aveva dimenticato come,
trentacinque anni innanzi, il padre d'Argyle avesse capitanata la
fazione che pose a morte Montrose. Prima di quell'avvenimento, la
casa di Graham e quella di Campbell non si portavano scambievole
affetto; e poscia, erano sempre state in mortale conflitto. Posero
cura che il prigione passasse per la medesima porta e per le vie
medesime per le quali Montrose era stato trascinato al medesimo
patibolo(426). Come il Conte pervenne al Castello, gli furono posti
i ceppi ai piedi, e gli fu detto che soli pochi giorni gli
rimanevano a vivere. Era stato deliberato di non fargli processo per
il nuovo delitto, ma porlo a morte per virtù della sentenza
profferitagli contro vari anni prima; sentenza cotanto
sciaguratamente ingiusta, che i legisti più servili e senza cuore
che fossero in quel tempo, non ne potevano parlare senza sentirne
vergogna.
Ma nè la ignominiosa processione di High Street, nè il vicino
spettacolo della morte, valsero a perturbare la gentile e maestosa
pazienza d'Argyle. La sua forza d'animo ebbe a sottostare a più dura
prova. Gli fu posta avanti gli occhi una lista di domande per ordine
del Consiglio Privato. Rispose solo a quelle alle quali poteva
rispondere senza porre a pericolo nessuno de' suoi amici, e ricusò
di dire più oltre. Gli fu detto, che ove non s'inducesse a
rispondere appieno, sarebbe stato messo alla tortura. Giacomo, che
di certo dolevasi di non potere gustare la voluttà di vedere con gli
occhi propri Argyle posto allo stivaletto, spedì ad Edimburgo
positivi comandamenti di non tralasciare cosa alcuna che potesse
strappare dalle labbra del traditore confessioni contro gl'implicati
nel tradimento. Ma ogni minaccia fu vana. Con i tormenti e la morte
innanzi lo sguardo, Mac Callum More pensò assai meno a sè stesso,
che a' poveri uomini suoi. "Sono stato oggi occupato" scrisse egli
dal carcere "a trattare per loro, e non senza qualche speranza. Ma
questa sera sono giunti ordini che mi dannano a morire lunedì o
martedì; e debbo essere posto alla tortura, ove io non risponda con
giuramento alle domande. Nonostante, spero che Dio mi sosterrà."
La tortura non gli fu inflitta. Forse la magnanimità della vittima
aveva commossi i vincitori ad insolita commiserazione. Notò egli
stesso, come essi in prima lo avessero aspramente trattato, e poi
tosto cominciassero ad usargli cortesia e rispetto. Dio, diceva
egli, aveva mansuefatti i loro cuori. Vero è che a liberarsi dalle
estreme crudeltà de' suoi nemici, non tradì nessuno degli amici
suoi. L'ultimo dì della sua vita scrisse queste parole: "Non ho
nominato nessuno per recargli danno. Ringrazio Dio che mi ha
mirabilmente sostenuto."
Compose il proprio epitaffio, che è una breve poesia, pregna di
pensiero e di spirito, di stile semplice e vigoroso, e non
ispregevole per la versificazione. In esso lamentava che, quantunque
i suoi nemici gli avessero ripetutamente decretata la morte, i suoi
amici gli erano stati anche più crudeli. Il commento di tali
espressioni è da trovarsi in una lettera ch'egli diresse ad una
signora in Olanda. Ella lo aveva provveduto d'una grossa somma di
danari per la spedizione, e perciò ei la reputava come avente
diritto a conoscere appieno le cagioni onde la impresa era andata in
fallo. Lavò la fama de' suoi colleghi della macchia di tradimento;
ma descrisse la insania, la ignoranza, la faziosa perversità loro,
con parole che la loro propria testimonianza provò poi essere ben
meritate. Dubitò poscia di avere fatto uso d'un linguaggio troppo
severo per un cristiano presso a morire, ed in un foglio separato,
pregò i suoi amici a cancellare ciò ch'egli aveva detto di quegli
uomini. "Soltanto è d'uopo ch'io confessi" aggiunse egli, con tono
mansueto "che essi erano irrefrenabili."
La più parte delle sue ore estreme ei passò con molta divozione
orando, o conversando affettuosamente con alcuni de' suoi. Non
mostrò pentirsi della sua ultima impresa, ma deplorò con somma
emozione d'essersi in prima mostrato compiacente nelle cose
religiose alla volontà del Governo. Disse che Iddio lo puniva
meritamente. Chi per tanto tempo era stato colpevole di codardia e
dissimulazione, era indegno d'essere lo strumento di salvazione per
lo Stato e la Chiesa. Nondimeno, spesso ripeteva, la causa per la
quale egli aveva combattuto, essere la causa di Dio, e dovere
sicuramente trionfare. "Non intendo d'esser profeta. Ma ho in cuore
un forte presentimento, che il dì della liberazione è presso a
spuntare." Non è cosa strana che molti zelanti Presbiteriani
avessero impressi nella propria mente i detti di lui, e gli avessero
poi attribuiti a ispirazione divina.
La fede e la speranza religiosa, congiunte al coraggio ed alla
tranquillità naturale della mente, avevano con tanta efficacia
ricomposto il suo spirito nel dì in cui egli doveva morire, che
desinò con appetito, fu gaio nel conversare, e, finito il pranzo, si
distese, secondo aveva costume, onde con un breve ristoro di sonno
il corpo e la mente si trovassero in pieno vigore nel momento
ch'egli doveva salire sul palco. In quel mentre, uno de' Lordi del
Consiglio, che, stato probabilmente educato Presbiteriano, s'era
dallo interesse lasciato sedurre a congiungersi con gli oppressori
di quella Chiesa di cui egli era stato parte, andò al Castello
recando un messaggio da parte de' suoi confratelli, chiese del
Conte, e gli fu risposto che il Conte dormiva. Il Consigliere
Privato pensò che ciò fosse un sutterfugio per negargli l'accesso,
ed insisté di volere entrare. La porta del carcere gli fu
spalancata; e vide Argyle carico di ferri, disteso sul letto,
dormendo il placido sonno dell'infanzia. Il rinnegato si sentì
rimordere la coscienza; volse le spalle, e coll'animo turbato,
uscendo precipitosamente dal Castello, andò a ricoverarsi nella casa
di una sua parente che abitava lì presso. Ivi si gettò sur un letto,
e cadde in un'angoscia di rimorso e di rossore. La donna, spaventata
agli sguardi e ai gemiti di lui, credé che gli fosse sopraggiunto un
accidente, e lo pregava di bere una tazza di vino dolce di Spagna.
"No, no," disse egli "ciò non mi farà bene." Lo pregò che le dicesse
qual cosa gli dava tanto disturbo. "Sono stato" rispose egli "nel
carcere di Argyle, e l'ho veduto, non ostante che fra un'ora l'anima
sua debba andare all'eternità, dormire, quanto uomo possa fare,
dolcemente; mentre io..."
Il Conte, levatosi di letto, erasi apparecchiato a sostenere gli
estremi dolori della vita. Prima, fu condotto per High Street nel
Palazzo del Consiglio, nel quale doveva rimanere quel poco che
mancava all'ora della esecuzione della giustizia. In
quell'intervallo di tempo, chiese penna e calamaio e scrisse a sua
moglie. "Cuor mio! Dio è immutabile. Egli mi è stato sempre largo di
bontà e di grazia; e non v'è luogo che me ne privi. Perdona a tutti
i falli miei; e consolati in lui, nel quale soltanto è da trovarsi
ogni consolazione. Il Signore sia teco, e ti benedica e ti conforti,
o mia cara. Addio."
XXII. Era giunto il momento di partire dal Palagio del Consiglio. I
sacerdoti che assistevano il prigioniero, non erano della sua
medesima religione; ma li ascoltò cortesemente, e gli esortò a
premunire il gregge loro affidato contro quelle dottrine che tutte
le Chiese protestanti concordemente condannavano. Salì sul palco,
dove la vecchia rozza guigliottina di Scozia, chiamata la Damigella
(the Maiden), lo aspettava; e rivolse al popolo un discorso, tessuto
del frasario speciale della sua setta, ma imbevuto dello spirito
d'una pietà tranquilla. Disse come egli perdonasse i suoi nemici,
dai quali sperava d'essere perdonato. Una sola acre espressione gli
uscì dal labbro. Uno de' sacerdoti episcopali che lo assistevano, si
fece in sull'orlo del palco, e gridò: "Milord muore Protestante." -
"Sì!" disse il Conte, spingendosi avanti, "sì! e non solo
Protestante, ma acerrimo odiatore del papismo e della prelatura e
d'ogni superstizione." Allora abbracciò i suoi amici, pose nelle
loro mani alcuni ricordi perchè li recassero alla consorte e ai
figli suoi, s'inginocchiò, chinò la testa sul ceppo, orò brevemente,
e fece segno al carnefice. Il suo mozzo capo fu affisso alla cima
del Tolbooth, dove quello di Montrose s'era dianzi disfatto(427).
XXIII. La testa di Rumbold, uomo schietto e valoroso, comecchè non
iscevro di biasimo, vedevasi già sul West Port d'Edimburgo.
Circondato da colleghi faziosi e codardi, finchè durò la
espedizione, erasi condotto da soldato educato alla scuola del Gran
Protettore, aveva in Consiglio sostenuta valorosamente l'autorità
d'Argyle, ed in campo s'era reso ammirevole per la sua tranquilla
intrepidezza. Dopo la dispersione dell'armata, fu aggredito da una
mano di milizia civica. Si difese disperatamente, e si sarebbe
aperta una via fra mezzo ai nemici, se questi non gli avessero
azzoppato il cavallo. Mortalmente ferito, fu menato in Edimburgo.
Era desiderio del Governo che ei fosse giustiziato in Inghilterra.
Ma era così presso a morire, che se non veniva appeso alle forche in
Iscozia, non si sarebbe potuto impiccare affatto; e i vincitori non
sapevano rinunciare al piacere d'impiccarlo. Non era da aspettarsi
che avrebbero mostrato misericordia ad uno il quale era considerato
come capo della congiura di Rye House, ed era possessore dello
edifizio da cui quella aveva derivato il nome; ma la insolenza onde
trattarono quell'uomo moribondo, parrebbe ai nostri tempi più miti
quasi incredibile. Uno del Consiglio Privato di Scozia lo chiamò
maledetto scellerato. "Io sono in pace con Dio" rispose Rumbold con
calma; "come dunque posso io essere maledetto?"
In fretta fu processato, convinto, e condannato ad essere tra poche
ore appeso alle forche, e squartato, presso la croce della città in
High Street. Quantunque non potesse tenersi sulle proprie gambe
senza che venisse sorretto da due uomini, si mantenne forte fino
allo estremo momento, e sotto il patibolo alzò la sua debole voce
contro il papismo e la tirannide con tanta veemenza, che gli
officiali comandarono si desse ne' tamburi perchè il popolo non
l'udisse. Diceva d'essere stato amico della Monarchia temperata. Ma
non aveva voluto mai credere che la Provvidenza avesse mandato nel
mondo pochi uomini in isprone e stivale, pronti a cavalcare, e
milioni pronti a lasciarsi imbrigliare e cavalcare. "Voglio" esclamò
egli "benedire e magnificare il santo nome di Dio, che mi ha ridotto
a questo punto non per male alcuno che io abbia fatto, ma per avere
propugnata la sua causa in tempi infausti. Se ogni capello del mio
capo fosse un uomo, li porrei a rischio tutti per questa contesa."
E mentre era processato, e innanzi di essere giustiziato, parlò
dell'assassinio con lo abborrimento convenevole a buon cristiano e
valoroso soldato. Protestò, sulla fede di moribondo, di non avere
mai avuto pensiero di commettere tanta scelleratezza. Ma confessò
francamente d'avere, conversando coi suoi compagni di congiura,
nominato la propria casa come luogo dove Carlo e Giacomo si
sarebbero potuti assalire con prospero successo; e molto essersi
ragionato sopra ciò, sebbene nulla si fosse concluso. Potrebbe a
prima vista sembrare che cosiffatta confessione fosse incompatibile
colla dichiarazione da lui fatta, di aver sempre abborrito dallo
assassinio. Ma pare che egli ragionasse secondo una distinzione che
aveva tratti in inganno molti de' suoi contemporanei. Per nulla al
mondo si sarebbe mai indotto a porre il veleno nel cibo de' due
Principi, od a trafiggergli con un pugnale nel sonno. Ma piombare
inaspettatamente sopra la torma delle Guardie del Corpo che
circuivano il cocchio reale, scambiare colpi di spada e correre la
sorte di uccidere o essere ucciso, era, secondo lui, una operazione
militare legittima. Le imboscate e le sorprese annoveravansi fra gli
ordinari accidenti della guerra. Ciascun vecchio soldato, fosse
Cavaliere o Testa-Rotonda, si era trovato in simiglianti imprese. Se
il Re fosse caduto morto in una scaramuccia, sarebbe caduto per
legittima battaglia, e non per assassinio. Precisamente de' medesimi
argomenti si giovarono, dopo la Rivoluzione, Giacomo stesso e i suoi
più fidi seguaci, per giustificare un iniquo attentato contro la
vita di Guglielmo III. Una banda di Giacomisti ebbe lo incarico di
assalire il Principe d'Orange ne' suoi quartieri invernali. Il
significato nascosto sotto questa speciosa frase, era di segare la
gola al Principe mentre da Richmond andava in cocchio a Kensington.
Parrà strano che simiglianti fallacie, che sono la feccia delle
dottrine de' casuisti gesuiti, potessero sedurre uomini di spirito
eroico, sì Whig che Tory, a commettere un delitto, che le leggi
divine ed umane hanno giustamente notato d'infamia. Ma non vi è
sofisma tanto enorme che non inganni le menti rese insane dallo
spirito di parte(428).
Argyle, che sopravvisse di poche ore a Rumbold, lasciò testimonianza
della virtù del valoroso Inglese. "Il povero Rumbold era mio gran
sostegno, e valente uomo, e morì da cristiano(429)."
XXIV. Ayloffe mostrò tanto disprezzo della morte, quanto ne avevano
mostrato Argyle e Rumbold: ma la sua fine non edificò, come la loro,
le anime pie. Quantunque la simpatia politica lo avesse fatto
avvicinare ai Puritani, ei non aveva simpatia religiosa per essi, i
quali lo consideravano poco meno d'un ateo. Apparteneva a quella
classe de' Whig che cercavano esempi da imitare meglio fra i
patriotti di Grecia e di Roma, che fra i profeti e i giudici
d'Israele. Fu fatto prigione e condotto a Glasgow(430). Quivi tentò
di uccidersi con un piccolo coltello; ma comecchè si facesse varie
ferite, nessuna di esse fu mortale, ed egli ebbe forze bastevoli a
sostenere il viaggio a Londra. Tratto dinanzi al Consiglio Privato,
fu interrogato dal Re stesso; ma ebbe tanta altezza di animo, da non
provvedere alla propria salute accusando altrui. Corse voce fra i
Whig che il Re gli dicesse: "Fareste bene ad essere schietto con me,
signore Ayloffe. Voi sapete che è in mio potere il perdonarvi."
Allora il prigione, rompendo l'austero silenzio, rispose: "Ciò
potrebbe essere nel vostro potere, non mai nell'indole vostra." Fu
giustiziato, per virtù dell'antica condanna, innanzi la porta del
Tempio, e morì con istoico contegno(431).
XXV. In quel mentre, la vendetta de' vincitori piombò spietatissima
sulle popolazioni della Contea d'Argyle. Molti de' Campbell furono
senza processo impiccati da Athol; il quale con difficoltà venne
impedito dal Consiglio Privato di fare altre uccisioni. La contrada,
per la estensione di trenta miglia d'intorno a Inverary, fu
devastata. Le case furono arse, le ruote de' mulini fatte in pezzi,
gli alberi fruttiferi tagliati, e fino le radici seccate col fuoco.
Le reti de' pescatori, solo mezzo di sussistenza a molti abitanti
della costa, furono distrutte. Trecento, e più, ribelli e
malcontenti vennero deportati alle colonie. Molti di loro furono
anche condannati alla mutilazione. In un solo giorno, il carnefice
d'Edimburgo tagliò le orecchie a trentacinque prigioni. Parecchie
donne, dopo essere state segnate sulla guancia con un ferro rovente,
furono mandate oltre l'Atlantico. Pensavasi anche di ottenere dal
Parlamento una Legge che proscrivesse il nome di Campbell, come
ottanta anni prima era stato proscritto quello di Mac Gregor(432).
E' pare che la espedizione di Argyle avesse fatto poco senso nelle
contrade meridionali dell'Isola. La nuova del suo sbarco giunse in
Londra poco avanti che si adunasse il Parlamento Inglese. Il Re ne
dètte lo annunzio dal trono; e le Camere lo assicurarono che lo
avrebbero difeso contro ogni nemico. Null'altro fu chiesto loro.
Sopra la Scozia non avevano autorità nessuna; e una guerra che
ardeva così lontano, e della quale quasi fino da principio poteva di
leggieri prevedersi l'esito, destò solo un languido interesse in
Londra.
Ma una settimana innanzi la dispersione finale dell'armata d'Argyle,
la Inghilterra era agitata dalla nuova dello sbarco sulle sue
spiaggie d'un più formidabile invasore. I fuorusciti avevano
stabilito che Monmouth muoverebbe dall'Olanda sei giorni dopo la
partenza degli Scozzesi. Egli aveva differita per breve tempo la
spedizione, forse sperando che la maggior parte delle soldatesche,
stanzianti nel mezzodì, si sarebbero fatte marciare verso tramontana
appena scoppiata la guerra nelle montagne, e quindi non avrebbe
trovate forze pronte ad opporglisi. Allorquando poi volle partirsi,
il vento spirava contrario e impetuoso.
Mentre la sua flotta stavasi a sbattere nel Texel, una contesa erasi
desta fra le Autorità olandesi. Gli Stati Generali e il Principe
d'Orange stavano da una parte; la magistratura e lo Ammiraglio
d'Amsterdam, dall'altra.
Skelton aveva porta agli Stati Generali una lista di fuorusciti, la
dimora de' quali nelle Provincie Unite recava inquietudine al suo
signore. Gli Stati Generali, desiderosi di assentire ad ogni
ragionevole richiesta di Giacomo, ne mandarono copie alle Autorità
Municipali. Ai magistrati delle città tutte fu ingiunto di usare
ogni mezzo ad impedire che i Whig proscritti molestassero il Governo
Inglese. Generalmente, questi ordini furono osservati. A
Rotterdam(433) in ispecie, dove la influenza di Guglielmo era
onnipotente, si fece mostra di tale operosità, da meritarsi i più
caldi ringraziamenti di Giacomo. Ma la sede principale degli esuli
era Amsterdam, i cui governanti non volevano veder nulla, udire
nulla, sapere nulla. Il Gran Sergente della città, che stava
giornalmente in comunicazione con Ferguson, riferì all'Aja, come
egli non sapesse dove trovare un solo de' fuorusciti; e con questa
scusa al Governo federale fu forza di tenersi pago. Vero è che gli
esuli inglesi erano sì ben conosciuti ad Amsterdam, che il popolo
appiccava loro gli occhi addosso come se fossero stati Chinesi(434).
Pochi giorni dopo, Skelton ricevè ordini dalla sua Corte perchè
chiedesse, che a cagione de' pericoli che minacciavano il trono del
suo signore, i tre reggimenti scozzesi ai servigi delle Provincie
Unite, fossero senza indugio rimandati nella Gran Bretagna. Si
rivolse al Principe d'Orange; il quale si tolse il carico di
maneggiare il negozio, ma predisse che Amsterdam avrebbe opposta
qualche difficoltà. La predizione avverossi. I Deputati d'Amsterdam
ricusarono d'acconsentire; il che fu cagione di qualche ritardo. Ma
la questione non era di quelle che, per virtù della Costituzione
della repubblica, una sola città poteva, contro il desiderio della
maggioranza, impedire che si mandassero ad esecuzione. La influenza
di Guglielmo prevalse; e le truppe furono speditamente
imbarcate(435).
Skelton infrattanto adoperavasi, certo non con molto giudizio e
moderazione, a fermare le navi equipaggiate dai fuorusciti inglesi.
Rimproverò fortemente lo Ammiragliato d'Amsterdam, dicendo che per
la negligenza di quello, una banda di ribelli aveva potuto invadere
la Gran Bretagna. A un secondo errore della medesima specie non vi
sarebbe stata nessuna scusa. Chiese che senza tardanza un grosso
legno, chiamato l'Helderenbergh, fosse sequestrato. Spacciavasi
destinato per le Canarie. Ma in verità, era stato noleggiato da
Monmouth, portava ventisei cannoni, ed era carico d'armi e di
munizioni. Lo Ammiragliato d'Amsterdam rispose, che la libertà del
traffico e della navigazione non doveva violarsi per lievi ragioni,
e che l'Helderenbergh non poteva essere fermato senza comandamento
degli Stati Generali. Skelton, che pare avesse costume di cominciare
le cose a rovescio, ricorse agli Stati Generali, e questi dettero
gli ordini necessari. Allora lo Ammiragliato d'Amsterdam allegò, che
nel Texel non vi fossero forze navali bastevoli a fermare un legno
grosso come era l'Helderenbergh, e lasciò che Monmouth facesse vela
senza molestia(436).
Il tempo era cattivo, il viaggio lungo, e vari vascelli da guerra
inglesi incrociavano nel Canale. Ma Monmouth evitò i pericoli del
mare e dell'inimico. Passando lungo le rupi della Contea di Dorset,
pensò di mandare sur una barca alla riva uno de' fuorusciti, che
aveva nome Tommaso Dare. Questo uomo, quantunque basso di
intelligenza e di modi, esercitava grande influenza in Tauton. Gli
fu ingiunto di quivi recarsi frettolosamente, attraversando il
paese, ed annunziare agli amici suoi, che Monmouth avrebbe tra breve
toccato il suolo dell'Inghilterra(437).
XXVI. La mattina del dì undecimo di giugno, l'Helderenbergh,
accompagnato da due più piccoli legni, comparve nel porto di Lyme.
Questa città è formata da un piccolo gruppo di ripidi ed angusti
viottoli, giacenti sur una costa selvaggia, piena di rocce, e
battuta da un mare procelloso. Era a que' giorni notevole per una
pila costruitavi nei tempi de' Plantageneti, con pietre ineguali e
non cementate. Questo antico lavoro, conosciuto sotto il nome di
Cob, chiudeva l'unico porto, dove, per uno spazio di molte miglia, i
pescatori potevansi riparare dalle tempeste del Canale.
L'apparizione di cotesti tre legni forestieri senza bandiera, rese
perplessi gli abitatori di Lyme; ai quali crebbe la inquietudine
come non videro ritornare gli ufficiali di Dogana, che, secondo la
usanza, si erano recati sul bordo. Il popolo della(438) città corse
sulle alture, si stette lungo tempo a guardare con ansietà, ma non
sapeva intendere un tanto mistero. Finalmente, sette barche
spiccaronsi dalla più grande delle strane navi, e corsero difilate
alla spiaggia. Scesero a terra circa ottanta uomini, bene armati e
bene in arnese. Erano fra loro Monmouth, Grey, Fletcher, Ferguson,
Wade ed Antonio Buyse, ufficiale già stato a servizio dello Elettore
di Brandenburgo(439).
Monmouth impose silenzio, prostrassi in ginocchio, e ringraziò Dio
per avere scampati gli amici della libertà e della religione pura
da' pericoli del mare, ed implorò la benedizione divina sopra quanto
gli restava da fare per terra. Snudò la spada, e condusse i suoi
uomini su per le rupi alla città.
Appena saputosi sotto quale condottiero ed a che fine la spedizione
era arrivata, lo entusiasmo del popolaccio ruppe ogni freno. La
piccola città fu tutta in subbuglio; erano le genti che, correndo
per ogni verso, andavano gridando: "Monmouth! Monmouth! La Religione
Protestante!" Intanto, nella piazza del mercato venne inalberata una
bandiera azzurra, che era la insegna degli avventurieri. Le
provigioni militari furono poste nel palazzo civico; e una
Dichiarazione, nella quale manifestavasi lo scopo della impresa, fu
letta presso la croce della città(440).
XXVII. Tale Dichiarazione, capo lavoro del genio di Ferguson, non
era un manifesto dignitoso quale avrebbe dovuto essere quello di un
condottiero che brandiva la spada a propugnare una gran causa, ma un
libello di bassissima specie e per concetto e per elocuzione(441).
Conteneva molte verissime accuse contro il governo, ma erano
espresse con lo stile prolisso e gonfio di un cattivo articolo;
oltrechè comprendeva molti(442) addebiti che recavano disonore a
coloro soltanto che li scagliavano. Vi si affermava come cosa certa,
che il Duca di York aveva incendiata Londra, strangolato Godfrey,
mozzato il capo ad Essex, avvelenato il Re defunto. A cagione di
quei nefandi e snaturati delitti, e principalmente di quel fatto
esecrabile, cioè dell'orribile e barbaro parricidio - tale era la
facondia e tale la felicità dello scrivere di Ferguson - Giacomo
veniva dichiarato mortale e sanguinoso nemico, tiranno, assassino ed
usurpatore. Con lui non doveva venirsi a condizioni. La spada non
doveva riporsi nel fodero finchè ei non avesse ricevuto il castigo
che meritano i traditori. Il governo era da riordinarsi secondo i
principii favorevoli alla libertà. Tolleranza per tutte le sètte
protestanti; Parlamenti annui, da non prorogarsi e disciogliersi a
volontà del Principe; la milizia cittadina unico esercito stanziale,
comandato dagli Sceriffi, e questi da eleggersi dai liberi
possidenti. In fine, Monmouth dichiarava come egli potesse provare
d'essere nato di legittimo matrimonio, ed essere, per diritto di
eredità, Re d'Inghilterra; ma per allora poneva da parte i suoi
diritti, li sottoponeva al giudicio di un libero Parlamento; e
intanto desiderava essere considerato solo come Capitano Generale
dei Protestanti inglesi, i quali eransi armati a distruggere la
tirannide e il papismo.
XXVIII. Disonorevole come era tale Manifesto a coloro che lo avevano
messo fuori, non era fatto senza arte a fine di incitare le passioni
del volgo. Nelle contrade occidentali produsse grande effetto. I
gentiluomini e il clero di quelle parti dell'Inghilterra, tranne
pochi, erano Tory. Ma i piccoli possidenti, i trafficanti delle
città, i contadini e gli artigiani, erano generalmente animati dal
vecchio spirito delle Teste-Rotonde. Molti erano Dissenzienti, ed
esasperati da piccole persecuzioni, dispostissimi a gettarsi in una
disperata impresa. Il grosso del popolo abborriva dal Papismo, e
adorava Monmouth, il quale non gli era straniero. Il viaggio ch'egli
nella state del 1680 fece nelle Contee di Somerset e di Devon, era
ancora vivo nella memoria di tutti. In quella occasione, era stato
sontuosamente ospitato da Tommaso Thynne in Longleat Hall, che era
allora, e forse anche oggi, la più magnifica casa campestre
dell'Inghilterra. Da Longleat ad Exeter, lungo le siepi, stavano di
qua e di là schierati numerosi spettatori che lo acclamavano. Le
strade erano sparse di fronde e di fiori. La moltitudine, ansiosa di
vedere e toccare il suo prediletto, rompeva le palizzate de' parchi,
ed affollavasi ne' luoghi dove egli era festeggiato. Quando arrivò a
Chard, la sua scorta componevasi di cinquemila cavalli. Ad Exeter
tutto il popolo del Devonshire erasi raccolto per salutarlo. Era
notevole parte dello spettacolo una compagnia di novecento giovani,
i quali, coperti di bianco uniforme, lo precedevano verso la
città(443). Il giro di fortuna, che aveva scissi dalla sua causa i
gentiluomini, non aveva prodotto nessuno effetto nel popolo basso.
Per esso egli era sempre il buon Duca, il Duca protestante, lo erede
legittimo, che una vile congiura aveva privato del proprio retaggio.
Le genti correvano in folla al suo vessillo. Tutti gli scrivani
ch'egli potè adoperare, non bastavano a notare i nomi delle reclute.
Non era anche stato ventiquattro ore sulle rive dell'Inghilterra, e
trovavasi a capo di mille cinquecento uomini. Dare arrivò da Taunton
con quaranta cavalli d'aspetto non molto marziale, e recò nuove
incoraggianti intorno allo stato dell'opinione pubblica nella Contea
di Somerset. Fin qui tutto pareva procedere prosperamente(444).
Ma in Bridport andavansi ragunando forze per farsegli contro. Ivi
arrivò, nel dì decimoterzo di giugno, il reggimento rosso della
guardia civica della Contea di Dorset. Quello della Contea di
Somerset, ovvero reggimento giallo, di cui era colonnello Guglielmo
Porter, gentiluomo Tory di non poca importanza, aspettavasi per il
giorno seguente(445). Il Duca deliberò di avventurare subitamente il
colpo. Parte delle sue truppe apparecchiavasi già a marciare verso
Bridport, allorquando un disastroso evento pose in iscompiglio tutto
il campo.
Fletcher e Saltoun erano stati destinati a comandare, sottoposti a
Grey, la cavalleria. Fletcher aveva un cattivo cavallo; e veramente
pochi animali erano nel campo che non fossero stati tolti
all'aratro. Come gli fu ordinato di partire per Bridport, pensò che
l'urgenza del caso gli dovesse essere scusa a giovarsi, senza
licenza, d'un bel cavallo che apparteneva a Dare. Questi se ne
offese, e parlò dure parole a Fletcher; il quale si tenne cheto più
di quanto si sarebbero aspettato coloro che lo conoscevano. In fine
Dare, reso più audace dal contegno paziente con che l'altro
sosteneva la insolenza di lui, rischiossi a minacciare con una
bacchetta il ben nato ed altero Scozzese. Fletcher si sentì
ribollire il sangue, trasse fuori una pistola e stese Dare a terra
morto. Così repentina e violenta vendetta non sarebbe stata riputata
strana in Iscozia, dove le leggi erano state sempre deboli; dove
chiunque non si fosse fatta ragione da sè, non era verosimile che la
ottenesse da altri; e dove, perciò, della vita umana facevasi così
poco pregio, quanto nelle peggio governate provincie della Italia.
Ma le genti delle contrade meridionali dell'Isola, non erano avvezze
a vedere fare uso delle armi micidiali, e spargersi il sangue per
una parola e un gesto aspro, tranne in duello fra gentiluomini
pugnanti con armi uguali. Sorse, dunque, un grido universale di
vendetta contro lo straniero che aveva assassinato un Inglese.
Monmouth non potè far fronte ai clamori. Fletcher, il quale, appena
calmato l'impeto della rabbia, si sentì opprimere dal rimorso e dal
cordoglio, ricoveratosi sopra l'Helderenbergh, fuggì sul continente,
e andò in Ungheria, dove valorosamente pugnò contro il comune nemico
del nome cristiano(446).
XXIX. Qualunque fossero state le condizioni degl'insorgenti, alla
perdita d'un uomo d'egregie doti d'animo, non poteva di leggieri
supplirsi. La mattina del giorno seguente, che era il dì
decimoquarto di giugno, Grey, accompagnato da Wade, si mosse con
circa cinquecento uomini a dare l'assalto a Bridport. Ne seguì un
fatto d'arme confuso e non decisivo, quale era da aspettarsi da due
bande di contadini, che comandate da gentiluomini e da avvocati di
provincia, erano venute alle mani. Per qualche tempo gli uomini di
Monmouth fecero rinculare la guardia civica. Poi essa stette ferma,
e costrinse gl'inimici a ritirarsi disordinatamente. Grey, con la
sua cavalleria, non si fermò mai finchè non si vide di nuovo salvo a
Lyme; ma Wade raccolse i fanti e li condusse innanzi con buon
ordine(447).
Levossi allora un violento grido contro Grey; e taluni degli
avventurieri incitavano Monmouth a trattarlo severamente. Monmouth,
nondimeno, non volle prestare ascolto a cotesti consigli. La sua
mitezza è stata da parecchi scrittori attribuita a bontà d'indole,
la quale spesso diventava debolezza. Altri hanno supposto ch'egli
non volesse condursi violentemente col solo Pari che servisse nella
sua armata. Nonostante, è probabile che il Duca, il quale, comunque
non fosse grandissimo capitano, s'intendeva di guerra molto meglio
de' predicatori e dei legisti che sempre lo tempestavano con
consigli, fece concessioni che gente affatto inesperta nelle
faccende militari non avrebbe mai pensato di fare. Per rendere
giustizia ad un uomo che ha avuti pochi difensori, è d'uopo
osservare, che la parte assegnata a Grey, per tutto il tempo che
durò la campagna, era tale, che se egli fosse stato il più ardito ed
esperto de' soldati, non avrebbe potuto mai compierla in modo da
acquistargli credito. È noto che un soldato a cavallo richiede un
più lungo esercizio di un soldato a piedi, e che il cavallo da
guerra richiede anche esso più lungo esercizio del suo cavaliere.
Qualche cosa può farsi con una fanteria immatura, purchè abbia
entusiasmo e coraggio; ma nulla può esservi più inconvenevole d'una
cavalleria nuova e inesperta, composta di possidenti e di
trafficanti montati sopra cavalli da soma e da posta: e tale era la
cavalleria di Grey. Non è da maravigliarsi che i suoi non
sostenessero risoluti l'impeto del fuoco nemico, e non menassero
vigorosamente le armi, ma che potessero tenere i posti loro.
Le reclute seguitavano ad accorrere a torme. Gli armamenti e gli
esercizi militari continuavano ogni giorno. In questo mentre, la
nuova della insurrezione erasi sparsa per ogni dove. La sera stessa
in cui il Duca pose piede a terra, Gregorio Alford, gonfaloniere di
Lyme, Tory zelante ed acerrimo persecutore de' non conformisti,
mandò i suoi servi ad annunziare la cosa ai gentiluomini delle(448)
Contee di Somerset e di Dorset, ed egli stesso cavalcò alla volta
del paese occidentale. A notte avanzata fermossi in Honiton, dove
scrisse in poche parole le triste nuove, e le spedì a Londra(449).
Volò poi ad Exeter, dove trovò Cristoforo Monk, Duca di Albemarle.
Questo nobile uomo, figlio ed erede di Giorgio Monk restauratore
degli Stuardi, era Lord Luogotenente del Devonshire, ed allora
stavasi a passare a rassegna la guardia civica. Aveva pronti sotto
il suo comando quattromila militi cittadini. E' pare ch'egli
credesse(450) di potere con tali forze spegnere ad un tratto la
ribellione. E però marciò alla volta di Lyme.
XXX. Ma come, nel pomeriggio del lunedì 15 di giugno, egli giunse ad
Axminster, vi trovò gl'insorgenti pronti a fargli fronte. Gli si
presentarono con risoluto aspetto; posero quattro pezzi da campagna
contro le truppe regie. Le spesse siepi che da ambo i lati
fiancheggiavano gli angusti stradali, erano guarnite di file di
moschettieri. Albemarle, nondimeno, aveva meno timore degli
apparecchi dell'inimico, che dello spirito che manifestavano le
proprie milizie. Tale era la reputazione di Monmouth tra le
popolazioni della Contea di Devon, che se le milizie civiche
avessero potuto scoprire il suo ben noto aspetto, sarebbero corse in
massa a porsi sotto il suo vessillo.
Albemarle, quindi, comunque fosse superiore di forze, stimò savio
consiglio di ritirarsi. La ritirata tosto prese sembianza di
sconfitta. Tutto il paese era sparso d'armi e d'uniformi militari,
che i fuggenti gettavano via; ed ove Monmouth gli avesse
vigorosamente inseguiti, avrebbe probabilmente preso Exeter senza
colpo ferire. Ma ei fu satisfatto dell'ottenuto vantaggio, ed amò
meglio che le sue reclute fossero più esercitate innanzi di
avventurarsi a fatti rischiosi. Per la qual cosa mosse alla volta di
Taunton, dove arrivò il dì decimottavo di giugno, precisamente una
settimana dopo il suo sbarco(451).
XXXI. La Corte e il Parlamento s'erano grandemente commossi alle
nuove giunte dall'occidente dell'isola. Alle ore cinque della
mattina del sabato 13 di giugno, il Re aveva ricevuta la lettera che
il Gonfaloniere di Lyme gli aveva spedita da Honiton. Il Consiglio
Privato fu subitamente convocato. Si dettero ordini perchè si
rafforzasse ogni compagnia di fanteria, ed ogni squadrone di
cavalleria. Vennero istituite commissioni(452) per far leva di nuovi
reggimenti.
XXXII. La lettera di Alford fu presentata alla Camera de' Lordi, e
la sostanza ne venne con un messaggio(453) comunicata a quella de'
Comuni. I Comuni esaminarono i corrieri ch'erano arrivati
dall'occidente, e tosto ordinarono di promulgare un decreto che
condannasse Monmouth come reo di crimenlese. Si votarono indirizzi
al Re, onde assicurarlo che i suoi Pari e il suo popolo erano
deliberati di porre per lui la vita e gli averi contro tutti i suoi
nemici. Nella prossima tornata, le Camere ordinarono che il
Manifesto dei ribelli venisse bruciato per mano del boia; e il
decreto di morte infamante passò per tutti gli stadii consueti. Tale
decreto nel medesimo giorno fu approvato dal Re; e una rimunerazione
di cinquemila lire sterline fu promessa a chiunque avesse arrestato
Monmouth(454).
Il fatto che Monmouth era in armi contro il Governo, era così
notorio, che il decreto di morte infamante divenne legge con la
lieve opposizione di uno o due Pari, e rade volte è stato con
severità censurato anco dagli storici Whig. Nulladimeno, qualvolta
si consideri di quanta importanza egli sia che gli uffici
legislativi si tengano distinti dai giudiciali; che la voce
pubblica, comunque forte ed universale, non si abbia per prova
legale della colpa; e che si osservi la regola che nessun uomo si
debba condannare alla morte senza porgergli modo a difendersi; e con
quanta facilità e speditezza le violazioni de' grandi principii, una
volta fatte, si allarghino; - saremo probabilmente disposti a
credere che al partito preso dal Parlamento poteva farsi qualche
obiezione. Nessuna delle due Camere aveva ragione alcuna, che anche
un giudice corrotto come Jeffreys potesse ingiungere ai giurati di
considerare come prova del delitto di Monmouth. I messaggeri
esaminati dai Comuni non avevano prestato giuramento, e perciò
avrebbero potuto raccontare prette fandonie, senza incorrere nella
pena dello spergiuro. I Lordi, che avrebbero potuto fargli giurare,
a quanto sembra, non esaminarono nessuno de' testimoni, e non
avevano sottocchio altra prova all'infuori della lettera del
Gonfaloniere di Lyme, la quale dinanzi alla Legge non era prova
nessuna. Gli estremi pericoli, egli è vero, giustificano gli estremi
rimedi. Ma il decreto di morte infamante era un rimedio che non
poteva mandarsi ad esecuzione mentre durava il pericolo, e, cessato
quello, diveniva superfluo. Intanto che Monmouth era in armi,
tornava impossibile giustiziarlo. Se era vinto e preso, non vi
sarebbe stato rischio o difficoltà a fargli il Processo. Tempo dopo
fu ricordato, come curiosa circostanza, che fra i Tory zelanti i
quali dalla Camera de' Comuni recarono il decreto alla barra de'
Lordi, era Sir Giovanni Fenwick, rappresentante di
Northumberland(455). Questo gentiluomo, pochi anni dopo, ebbe
occasione di riesaminare la faccenda, e concluse che i decreti di
morte infamante erano affatto ingiustificabili.
In quell'ora di pericolo, il Parlamento porse altre prove di lealtà.
I comuni dettero al Re la potestà di levare una somma straordinaria
di quattrocentomila lire sterline per i suoi presentissimi bisogni;
e perchè egli non incontrasse difficoltà a trovare la pecunia, si
posero a immaginare nuove imposte. Il disegno di tassare le case
novellamente edificate nella metropoli, fu rimesso in campo e
validamente sostenuto dai gentiluomini di provincia. Fu deliberato
non solo di tassare tali case, ma di fare una legge che proibisse di
porre le fondamenta di nuovi edifici dentro un dato circuito
attenente alla città. Siffatta deliberazione, nondimeno, non fu
posta in effetto. Uomini potenti che possedevano terre ne' suburbii,
e speravano di vedere nuove strade e piazze sorgere nelle
possessioni loro, si valsero di tutta la loro influenza contro quel
progetto. Fecero considerare come si richiedesse non poco tempo a
provvedere a' particolari della nuova legge; mentre i bisogni del Re
erano così urgenti, ch'egli aveva creduto necessario accelerare i
procedimenti della Camera, gentilmente esortandola a sbrigarsi. Per
lo che, il disegno di tassare gli edifizi fu messo da parte, e
furono imposti nuovi dazi per cinque anni sopra le sete, le tele e i
liquori spiritosi forestieri(456).
I Tory della Camera Bassa, dipoi, misero fuori quella che essi
chiamavano Legge per la sicurezza della persona e del Governo del
Re. Proposero che verrebbe considerato delitto d'alto tradimento il
dire che Monmouth fosse legittimo, il profferire parole tendenti a
muovere odio o dispregio contro la persona o il Governo del Sovrano,
o il fare proposta in Parlamento di cangiare l'ordine della
successione. Alcuni di tali provvedimenti destarono disgusto e
timore generale. I Whig, benchè fossero pochi e deboli, provaronsi
di riannodarsi, e si trovarono rinforzati da un numero considerevole
di moderati e assennati Cavalieri. Dicevano come fosse facile anche
ad un uomo onesto frantendere le parole, che facilmente potevano
male interpretarsi da un ribaldo. Ciò che si fosse detto
metaforicamente, poteva essere inteso alla lettera, e in senso serio
ciò che dicevasi per ischerzo. Una particella, un tempo, un modo, un
punto ammirativo potevano costituire la differenza tra la colpa e la
innocenza. Lo stesso Salvatore del genere umano, nella cui vita
intemerata, la malizia non potè trovare argomento d'accusa, era
stato tratto al tribunale per parole parlate. Falsi testimoni
avevano soppressa una sillaba che avrebbe mostrato chiaramente
quelle tali parole essere state dette in senso figurato, e così
avevano dato al Sinedrio pretesto, sotto il quale fu consumato il
più iniquo degli assassinii giudiciali.
Dopo cotesto esempio, chi avrebbe potuto affermare che, se le
semplici parole venissero dichiarate delitto d'alto tradimento, il
più leale de' sudditi avrebbe potuto tenersi sicuro della propria
vita? Tali argomenti produssero un effetto sì grande, che il
Comitato fece alla Legge non poche modificazioni, che la resero
assai più mite. Ma la clausola che dichiarava reo di crimenlese
qualunque de' membri del Parlamento avesse proposta la esclusione
d'un principe del sangue reale dal trono, sembra non essere stata
posta in discussione, e venne adottata. Ed era cosa di nessuna
importanza; ma serve a provare la ignoranza ed inespertezza de'
cervelli riscaldati di que' realisti, de' quali abbondava la Camera
de' Comuni. Se avessero imparati i primi rudimenti della
legislazione, avrebbero veduto che l'atto che essi consideravano di
tanto momento, sarebbe stato superfluo mentre il Parlamento era
disposto a mantenere l'ordine della successione, e sarebbe stato
revocato appena fosse venuto un Parlamento inchinevole a
cangiarlo(457).
Il decreto, con le modificazioni fatte, fu approvato e recato alla
Camera de' Lordi, ma non divenne Legge. Il Re aveva ottenuto dal
Parlamento tutti i sussidi pecuniari che si sarebbe potuto
aspettare; e pensò che, mentre ardeva la ribellione, i nobili e i
gentiluomini a lui fidi sarebbero stati più utili nelle loro Contee
che in Westminster. Gli esortò quindi a terminare le loro
deliberazioni, e nel dì 2 di luglio li accommiatò. Nello stesso
giorno, approvò una Legge che richiamava a vita quella censura della
stampa, che era spirata nel 1679. Fu espressa con poche parole poste
alla fine di uno Statuto contenente varie provvisioni fatte nel
finire della sessione. I cortigiani non credevano di avere riportata
una vittoria. I Whig non mormorarono punto. Nella Camera de' Lordi,
e in quella dei Comuni non vi furono dispareri, o anco, per quanto
si possa adesso conoscere, discussione alcuna intorno a una
questione che nella età nostra porrebbe in commovimento la società
intera. E davvero, il mutamento era lieve e quasi impercettibile;
imperocchè, dopo la scoperta della congiura di Rye House, la libertà
della stampa esisteva solo di nome. Per molti mesi quasi nessun
foglio avverso alla Corte era stato pubblicato alla macchia; ed alla
macchia simili fogli si sarebbero, anche dopo la nuova Legge, potuti
stampare(458).
Le Camere si chiusero. Non furono prorogate, ma soltanto aggiornate,
affinchè, venuta l'ora di ragunarsi di nuovo, avessero potuto
ripigliare i loro lavori dal punto in cui gli avevano lasciati
interrotti(459).
XXXIII. Mentre il Parlamento divisava rigorose leggi contro Monmouth
e i suoi partigiani, questi era stato accolto in Taunton con modo da
fargli sperare che la impresa avrebbe avuto prospero fine. Taunton,
al pari della più parte delle città nelle contrade meridionali
dell'Inghilterra, era in que' tempi più importante di quello che sia
ai nostri. Quelle città non sono ite in decadenza; chè anzi sono,
tranne pochissime, più grandi e più ricche, meglio fabbricate e
meglio popolate che non erano nel secolo decimosettimo. Ma, comecchè
abbiano fatto positivi progressi, relativamente hanno
indietreggiato. Sono state superate per ricchezza e popolazione
dalle grandi città manifatturiere e commerciali del settentrione;
città che, a tempo degli Stuardi, appena cominciavano ad essere
conosciute come sedi dell'industria. Taunton, allorchè vi andò
Monmouth, era un luogo d'insigne prosperità. Aveva abbondevoli
mercati, e celebri lanifici. La popolazione vantavasi dicendo che la
terra era irrigata di latte e di miele. Nè così favellavano solo i
naturali del luogo; ogni straniero che salisse sopra la leggiadra
torre di Santa Maria Maddalena, confessava di contemplare la più
fertile delle valli d'Inghilterra. Era una contrada rigogliosa di
pometi e di verdi pascoli, fra i quali sorgevano con vaga apparenza
case, capanne e campanili di villaggio. I cittadini da lungo tempo
pendevano alle dottrine presbiteriane e ai principii politici de'
Whig. A tempo della grande guerra civile, Taunton, traverso a tutte
le vicissitudini, erasi tenuta fida al Parlamento, era stata due
volte cinta di stretto assedio da Goring, e due volte difesa dalla
eroica virtù di Roberto Blake, che poscia divenne il celeberrimo
Ammiraglio della Repubblica. Strade intere erano state incendiate
dalle bombe e dalle granate de' Cavalieri. I viveri erano stati così
scarsi, che il Governatore aveva fermamente annunziato di far
distribuire al presidio carni di cavallo. Ma nè fuoco nè fame
valsero mai a domare lo spirito di que' cittadini(460).
La Restaurazione non aveva cangiata l'indole degli abitatori di
Taunton, i quali seguitavano tuttavia a celebrare lo anniversario
del fausto giorno in cui fu levato lo assedio posto alla città
dall'armata regia; e il loro ostinato affetto alla vecchia causa,
aveva destato in Whitehall tanta ira e timore, che il loro canale
era stato riempito, e le loro mura distrutte fino dalle
fondamenta(461). Lo spirito puritano ne' cuori loro, era stato
tenuto sempre desto dai precetti e dallo esempio di uno tra i più
celebri uomini del clero dissenziente; voglio dire, di Giuseppe
Alleine. Alleine era l'autore d'un Trattato che aveva per titolo
"Ammonimento ai non Convertiti;" libro che è anche oggi popolare in
Inghilterra e in America. Dal fondo della prigione, dove lo avevano
sepolto i vittoriosi Cavalieri, diresse ai suoi diletti amici di
Taunton molte epistole imbevute dello spirito d'una pietà veramente
eroica. La sua salute in breve tempo soggiacque agli effetti dello
studio, degli affanni e della persecuzione; ma la sua memoria rimase
lungamente cara e riverita da coloro ch'egli aveva ammoniti e
catechizzati(462).
I figli degli uomini, che quaranta anni innanzi avevano difese le
mura di Taunton contro i realisti, adesso accoglievano Monmouth con
acclamazioni di gioia e d'affetto. Ogni uscio, ogni finestra era
adornata di festoni di fiori. Nessuno mostravasi nelle vie senza
portare fitta al cappello una verde fronda, insegna della causa
popolare. Le damigelle delle più insigni famiglie della città
tessevano i vessilli degl'insorgenti. E in ispecie una bandiera,
nella quale a magnifici ricami erano rappresentati gli emblemi della
regia dignità, fu offerta a Monmouth da un drappello di fanciulle.
Egli accettò il dono con quelle incantevoli maniere che erano tutte
sue. La damigella che guidava la processione, lo presentò anco d'una
piccola Bibbia di gran pregio. Egli la prese con riverenza, e disse:
"Io vengo a difendere le verità che si contengono in questo libro, o
a suggellarle, qualora bisogni, col sangue mio(463)."
Ma intanto che Monmouth beavasi degli applausi della moltitudine,
non poteva non accorgersi, con timore e rammarico, che le classi
alte procedevano, quasi senza eccezione, ostili alla sua intrapresa,
e che nessuna delle Contee, dove ei si era mostrato, insorgeva. Era
stato assicurato da agenti che dicevano di saperlo da Wildman, come
tutta l'aristocrazia Whig agognasse a correre alle armi. Ciò non
ostante, era scorsa più d'una settimana da che la sua bandiera era
stata inalberata in Lyme. I lavoranti, i piccoli fattori, i bottegai
coi loro giovani, i predicatori dissenzienti, erano corsi in folla
al campo de' ribelli; ma nè anche un solo Pari, o baronetto, o
cavaliere, o membro della Camera de' Comuni, tranne qualche scudiere
di sì poca importanza da non essere mai stato commissario di pace,
erasi congiunto con gl'invasori. Ferguson, il quale fino dalla morte
di Carlo era sempre stato l'angiolo malvagio di Monmouth, trovò lì
pronto il consiglio. Il Duca, evitando di assumere il titolo di Re,
erasi messo in una falsa postura. Se si fosse dichiarato sovrano
d'Inghilterra, la sua causa avrebbe avuto sembiante di legalità.
Adesso era impossibile conciliare il suo Manifesto coi principii
della Costituzione. Era chiaro che o Monmouth o il suo zio era il Re
legittimo. Monmouth non si rischiò a chiamarsi Re legittimo, e
nondimeno negava che il suo zio lo fosse. Coloro che stavano per
Giacomo, pugnavano per il solo uomo il quale s'era avventurato a
pretendere al trono; e però, secondo le leggi del reame, facevano il
proprio debito. Coloro che parteggiavano per Monmouth, combattevano
per un sistema politico ignoto, che era da stabilirsi da una
Convenzione non ancora esistente. Non è meraviglia che gli uomini
cospicui per grado ed opulenza, si tenessero alieni da una
intrapresa che minacciava distruggere quel sistema, nella cui durata
essi avevano cotanto interesse. Se il Duca avesse proclamata la
propria legittimità ed assunta la Corona, avrebbe a un tratto
abbattuta la predetta obiezione. La questione non sarebbe più stata
tra l'antica Costituzione e la nuova; sarebbe bensì stata semplice
questione di diritto ereditario tra due principi.
XXXIV. Con simiglianti argomenti, Ferguson, quasi immediatamente
dopo lo sbarco, aveva con insistenza stimolato il Duca a proclamarsi
Re; e Grey opinava nel modo medesimo. Monmouth avrebbe assai
volentieri seguito il loro consiglio; ma Wade ed altri repubblicani
lo avversavano, e il loro capo con la usata pieghevolezza cesse alle
ragioni che adducevano. In Taunton la questione fu rimessa in campo.
Monmouth chiamò a sè coloro che dissentivano, li assicurò che ei non
vedeva altro modo ad ottenere lo aiuto dell'aristocrazia di
qualunque partito si fosse, e gli riuscì di strappare loro mal grado
il consentimento. La mattina del dì ventesimo di giugno, egli fu
proclamato Re nella piazza di Taunton. I suoi seguaci ripetevano il
suo titolo con gioia ed affetto. Ma potendo nascere confusione, ove
si fosse chiamato Re Giacomo II, lo chiamavano spesso col nome
strano di Re Monmouth; col quale nome il male arrivato principe era
spesso ricordato, a memoria di uomini tuttora viventi, nelle Contee
occidentali(464).
In meno di ventiquattro ore, dopo ch'egli ebbe assunto il titolo di
Re, promulgò vari proclami muniti della sua firma. Con uno poneva a
prezzo la testa del rivale. Con un altro dichiarava illegale
assemblea il Parlamento allora ragunato in Westminster, e comandava
ai membri che si sciogliessero. Col terzo, inibiva al popolo di
pagare le tasse all'usurpatore. Col quarto dichiarava Albemarle
traditore(465).
Albemarle mandò cotesti proclami a Londra, solo come esempi di
follia e d'impertinenza. Non fecero altro effetto, che quello di
destare maraviglia e disprezzo; nè Monmouth aveva ragione di credere
che l'assunzione del titolo regio avesse migliorate le sue
condizioni. Soltanto una settimana era corsa da che egli si era
solennemente obbligato a non prendere la Corona, finchè un libero
Parlamento non avesse riconosciuti i suoi diritti. Rompendo quella
promessa, era incorso nello addebito di leggerezza, se non di
perfidia. La classe ch'egli aveva sperato di trarre al suo partito,
seguitò a tenersi in disparte. Le ragioni che impedivano ai gran
Lordi e gentiluomini Whig di riconoscere lui come Re, erano per lo
meno forti al pari di quelle onde erano stati impediti dal correre a
lui come loro Capitano generale. Egli è vero che aborrivano la
persona, la religione e la politica di Giacomo; ma questi più non
era giovine. La maggiore delle sue figlie era giustamente diletta al
popolo, come quella che fermamente aderiva alla fede riformata; ed
era moglie di un principe che era il capo ereditario de' Protestanti
del Continente, d'un principe ch'era stato educato in una
repubblica, e che supponevasi avere sentimenti convenevoli a un Re
costituzionale. Era egli savio partito esporsi agli orrori della
guerra civile per la semplice probabilità di ottenere subitamente
ciò che la natura, senza spargimento di sangue, senza violazione
della legge, avrebbe con ogni probabilità, fra non molti anni,
fatto? Forse v'erano ragioni per cacciar via Giacomo; ma dov'erano
le ragioni per innalzare Monmouth? Escludere un principe dal trono
per cagione d'inettitudine, era un partito consono ai principii de'
Whig. Ma non era principio alcuno, secondo il quale si potessero
escludere gli eredi legittimi, i quali venivano riputati non solo
irreprensibili, ma altamente meritevoli della pubblica fiducia.
Nessun uomo di senno avrebbe creduto che Monmouth fosse legittimo,
o, per meglio dire, ch'ei si tenesse legittimo. Egli era, dunque,
non un semplice usurpatore, ma un usurpatore di pessima specie; cioè
un impostore. S'egli avesse voluto provare il suo preteso diritto
con forme legali, lo avrebbe potuto fare solo per mezzo di falsi
documenti e di spergiuri. Tutti gli onesti e savi uomini non amavano
vedere una frode, - la quale, ove fosse stata adoperata ad ottenere
il possesso d'una cosa, sarebbe stata punita con il flagello e la
gogna, - ricompensata col trono dell'Inghilterra. La vecchia nobiltà
del reame, non sapeva patire che il bastardo di Lucia Walters fosse
preferito ai legittimi discendenti dei Fitzalans e dei De Veres.
Coloro che sapevano spingere più lungi gli sguardi, era d'uopo
s'accorgessero, che ove a Monmouth fosse riuscito di abbattere il
Governo esistente, ne sarebbe nata una guerra tra lui e la Casa
d'Orange; guerra che avrebbe potuto durare più lungo tempo e
produrre maggiori calamità di quella delle Rose; guerra che avrebbe
forse divisi i protestanti d'Europa in partiti avversi, avrebbe
accese le ostilità fra l'Inghilterra e l'Olanda, e le avrebbe rese
entrambe facile preda della Francia. E' sembra, adunque, che tutti i
principali Whig opinassero che la impresa di Monmouth non potesse
non finire con qualche grande disastro per la nazione, ma che la sua
sconfitta sarebbe stata un disastro minore della sua vittoria.
E' non fu solo per la inazione della Aristocrazia Whig che
gl'invasori rimasero sconcertati. La ricchezza e la potenza di
Londra, nella precedente generazione, erano bastate, e potevano
nuovamente bastare a far traboccare la bilancia in un conflitto
civile. I Londrini avevano per innanzi date assai prove dell'odio
loro contro il papismo, e dell'affetto loro verso il Duca
Protestante. Egli aveva troppo di leggieri creduto che, appena posto
il piede nell'isola, la metropoli sarebbe insorta. Ma, benchè avesse
ricevuto la nuova che migliaia di cittadini eransi arruolati come
volontari per combattere a pro della buona causa, nulla fu fatto.
Vero è che gli agitatori che avevano promesso di sorgere al primo
segno, e che s'erano forse immaginati, mentre il pericolo era
lontano, che avrebbero avuto animo di mantenere la loro promessa,
scoraggiaronsi appena videro avvicinarsi il tempo critico. Wildman
s'impaurì tanto, che sembrava avesse perduto lo intendimento.
Danvers, in prima, scusò la propria inazione dicendo che non avrebbe
prese le armi finchè Monmouth non si fosse proclamato Re; e
allorquando Monmouth ciò fece, il vigliacco gli volse le spalle,
dichiarando che i buoni repubblicani rimanevano sciolti d'ogni
promessa fatta ad un capo che aveva così vergognosamente rotta la
fede. In ogni tempo gli esempi più vili della umana natura sono da
trovarsi fra' demagoghi(466)!
Il giorno che seguì a quello in cui Monmouth aveva assunto il nome
di Re, ei marciò da Taunton a Bridgewater. Fu notato come egli non
fosse di buon umore. Le acclamazioni delle migliaia di fedeli che lo
circuivano per ogni dove si volgesse, non valsero a cacciare la nube
che gli sedeva sul ciglio. Coloro che lo avevano veduto cinque anni
innanzi mentre viaggiava la Contea di Somerset, non potevano senza
commiserazione osservare i segni del cordoglio e dell'ansietà sopra
quelle soavi e piacevoli sembianze che avevano conquiso il cuore di
tanti(467).
Ferguson era d'umore assai diverso. In costui la ribalderia era
mescolata con una strana vanità, che rendeva immagine d'insania. Il
pensiero ch'egli avesse suscitata una ribellione e conceduta una
Corona, aveva dato volta al suo cervello. Pavoneggiavasi brandendo
la spada, e gridando alla folla ragunata a vedere l'armata partirsi
da Taunton: "Guardatemi! Voi avete sentito parlare di me. Io sono
Ferguson, la cui testa è stata messa a prezzo per tante centinaia di
lire sterline." E quest'uomo, senza principii e insieme infermo di
cervello, signoreggiava lo intelletto e la coscienza dello
sventurato Monmouth(468)!
XXXV. Bridgewater era una delle poche città le quali avessero
tuttavia alcuni magistrati Whig. Il gonfaloniere e gli aldermanni
uscirono vestiti degli abiti propri della dignità loro ad accogliere
il Duca, e, precedendolo, lo condussero nella maggior piazza, e lo
proclamarono Re. Le sue truppe trovarono comodi alloggiamenti, e
furono provviste del bisognevole con poca spesa, o gratuitamente,
dal popolo della città e de' luoghi circostanti. Egli andò ad
alloggiare nel Castello, edifizio che era già stato onorato da altri
principi. L'armata s'accampò lì presso. Essa allora comprendeva
circa seimila uomini, e se non ci fosse stato difetto d'armi, si
sarebbe potuta aumentare del doppio. Il Duca aveva seco portato dal
continente una scarsa provvista di picche e d'archibugi. Molti de'
suoi seguaci, quindi, non avevano altre armi che gli strumenti che
essi usavano nell'agricoltura o nelle miniere. Il più formidabile di
questi rozzi strumenti da guerra, era formato della lama di una
falce legata alla punta d'un palo(469). Ai decurioni delle campagne
circostanti a Taunton e Bridgewater, fu fatto comandamento di
cercare falci dove che si fosse, e portarne quante ne avessero
potuto trovare al campo. Nientedimeno, e' fu impossibile, anche con
questi ingegni, satisfare alle richieste; e gran numero di gente
desiderosa di farsi iscrivere ne' ruoli militari, fu rimandata(470).
I fanti erano divisi in sei reggimenti. Molti di loro avevano
appartenuto alla milizia civica, e portavano tuttavia i loro
uniformi rossi e gialli. I cavalli erano circa mille; ma la più
parte degli uomini avevano grossi puledri, quali allora si
lasciavano crescere a branco nelle maremme della Contea di Somerset,
a fine di fornire Londra con cavalli da cocchio e da carretta.
Questi animali erano così disadatti agli usi militari, che non
avevano nè anche imparato ad obbedire alla briglia, ed appena
sentivano il suono del tamburo o lo scoppio d'un'arma, non era
possibile governarli. Una piccola legione di quaranta Guardie del
Corpo, bene armate sopra buoni cavalli a proprie spese, stavano
presso a Monmouth. Il popolo di Bridgewater, che s'era arricchito
esercitando un utile traffico nella costa, lo provvide di una
piccola somma di danari(471).
XXXVI. Per tutto questo tempo, le forze militari del governo s'erano
venute ragunando. Ad occidente dell'armata ribelle, Albemarle aveva
ancora un grosso corpo di milizie civiche del Devonshire. Ad
oriente, la guardia cittadina della Contea di Wilt erasi raccolta
sotto il comando di Tommaso Herbert, Conte di Pembroke. Fra
tramontana e levante, Enrico Somerset, Duca di Beaufort, era in
armi. La potenza di Beaufort, somigliava alquanto quella de' grandi
baroni del secolo decimoquinto. Era presidente del Paese di Galles e
Lord Luogotenente di quattro Contee inglesi. Le sue gite officiali
per le vaste regioni, nelle quali egli rappresentava la maestà del
trono, erano per magnificenza poco inferiori al viaggio del sovrano.
L'ordinamento della sua casa rammentava le usanze d'una generazione
più antica. La terra, per gran tratto, intorno i suoi giardini,
apparteneva a lui; e i contadini che la coltivavano, erano parte
della sua famiglia. Nove mense ogni giorno stavano nel suo palazzo
apparecchiate a duecento persone. Una folla di gentiluomini e di
paggi erano sottoposti agli ordini del suo maggiordomo. Una intera
truppa di cavalleria obbediva al suo cavallerizzo maggiore. La
rinomanza della cucina, delle cantine, delle mute, delle stalle,
risonava alto per tutta la Inghilterra. I gentiluomini di molte
miglia all'intorno, andavano alteri della magnificenza del loro
grande vicino, e nel tempo stesso erano ammaliati della indole buona
e de' modi affabili di lui. Egli era zelante Cavaliere della vecchia
scuola. In questa occasione, quindi, adoperò tutta la sua influenza
ed autorità a difesa della Corona, ed occupò Bristol con le civiche
milizie della Contea di Gloucester, le quali pare che fossero meglio
disciplinate dell'altre(472).
Nelle Contee più discoste da quella di Somerset, i sostenitori del
trono stavano all'erta. La milizia di Sussex cominciò a muoversi
verso occidente sotto il comando di Riccardo Lord Lumley, il quale,
quantunque di recente avesse abjurata la religione cattolica romana,
mantenevasi fermamente fedele a un re cattolico romano. Giacomo
Bertie, Conte d'Abingdon, ragunò le milizie della Contea d'Oxford.
Giovanni Fell, Vescovo d'Oxford, che era anche Decano di
Christchurch, intimò a tutti i sotto-graduati della sua Università
di prendere le armi per difendere la Corona. Gli uomini in sottana
affollaronsi a dare i loro nomi. Il solo Christchurch fornì circa
cento lancieri e moschettieri. I giovani nobili e i gentiluomini de'
Comuni vi agivano come ufficiali; e il figlio maggiore del Lord
Luogotenente era colonnello(473).
Ma il Re sperava soprattutto nelle truppe regolari. Churchill era
stato diretto verso occidente coi così detti Azzurri; Feversham gli
teneva dietro con tutte le forze che s'erano potute togliere dalle
vicinanze di Londra. Un corriere era partito per la Olanda, recando
una lettera, nella quale ordinavasi a Skelton d'ottenere che i tre
reggimenti inglesi al servizio olandese, venissero tosto spediti al
Tamigi. Come ei ne fece la richiesta, il partito avverso alla casa
d'Orange, con a capo i deputati d'Amsterdam, nuovamente provossi di
suscitare cagioni d'indugio. Ma l'energia di Guglielmo, il quale
aveva nella faccenda un interesse quasi uguale a quello di Giacomo,
e vedeva con grave inquietudine i progressi di Monmouth, vinse ogni
opposizione; e dopo pochi giorni i reggimenti imbarcaronsi(474).
Approdati in Inghilterra, erano già arrivati in ottime condizioni a
Gravesend, e Giacomo li aveva passati a rassegna in Blackheath.
Disse più volte allo ambasciatore olandese di non avere mai in vita
sua veduti soldati più belli o meglio disciplinati, e dichiaravasi
gratissimo al Principe d'Orange ed agli Stati per un rinforzo
cotanto utile ed opportuno. Se non che tale soddisfazione non era
intera. Per quanto laudevolmente quegli uomini eseguissero i
militari esercizi, erano alquanto imbevuti delle opinioni politiche
e religiose del popolo olandese. Uno de' soldati venne fucilato, ad
un altro venne inflitta la pena della frusta per avere bevuto alla
salute del Duca di Monmouth. Non fu, dunque, riputato savio
consiglio il porli dove era maggiore il pericolo. Furono trattenuti
ne' dintorni di Londra sino alla fine della campagna. Ma, in grazia
del loro arrivo, il Re potè mandare verso occidente quelle fanterie
delle quali, senza i reggimenti predetti, vi sarebbe stato bisogno
nella metropoli(475).
Mentre il Governo in questa guisa apparecchiavasi al conflitto coi
ribelli in campo, non furono trascurate certe cautele di specie
diversa. Nella sola Londra, duecento persone che stimavansi potere
mettersi a capo di un movimento Whig, vennero imprigionate. Fra
queste, erano molti grandi mercatanti. Chiunque era esoso alla
Corte, si dètte in preda al timore. Una tristezza universale si
sparse per tutta la città. Gli affari languivano alla Borsa; e i
teatri erano tanto deserti, che un'opera nuova, scritta da Dryden, e
posta in iscena con decorazioni d'insolita magnificenza, non potè
andare innanzi, perocchè i proventi non servivano alle spese della
rappresentazione(476). I magistrati e il clero mostravansi da per
tutto operosi. In ogni dove, i Dissenzienti erano strettamente
tenuti d'occhio. Nelle Contee di Chester e di Shrop, ardeva feroce
la persecuzione; in quella di Northampton, si fecero numerosi
imprigionamenti; e le carceri d'Oxford rigurgitavano di prigioni.
Nessun teologo puritano, comunque di moderate opinioni e di cauta
condotta, era sicuro di non essere strappato dalla propria famiglia
e sepolto in un carcere(477).
Frattanto Monmouth avanzavasi da Bridgewater, molestato sempre da
Churchill, il quale pare facesse tutto ciò che con una mano d'uomini
era possibile ad un valoroso ed esperto soldato di fare. L'armata
ribelle, molestata dall'inimico e da una forte pioggia, la sera del
dì 22 giugno, fermossi a Glastonbury. Le case della piccola città
non potevano apprestare ricovero a tanto numero d'armati: parecchi
dei quali, perciò, acquartieraronsi(478) nelle Chiese, altri
accesero i loro fuochi fra mezzo alle venerande rovine dell'Abbadia,
che un tempo era stata la più ricca delle case religiose dell'isola
nostra. Da Glastonbury il Duca marciò verso Wells, da dove si
condusse a Stepton Mallet(479).
XXXVII. Pare che fin qui egli errasse di luogo in luogo, senza altro
scopo che di raccogliere uomini. Adesso era d'uopo formare un piano
di operazioni militari. Fu suo primo pensiero di prendere Bristol.
Molti de' precipui abitatori di quel luogo importante erano Whig.
Quivi anche erasi esteso uno de' fili della congiura de' Whig.
Presidiavano la città le milizie della Contea di Gloucester. Se egli
avesse potuto vincere Beaufort, e le sue bande rurali, prima dello
arrivo delle truppe regolari, i ribelli avrebbero a un tratto avuto
in mano abbondevoli mezzi pecuniari; il credito delle armi di
Monmouth si sarebbe alto levato; e i suoi amici in ogni parte del
Regno avrebbero avuto coraggio di palesarsi. Bristol aveva certe
fortificazioni, le quali a settentrione dell'Avon, verso la Contea
di Gloucester, erano deboli; ma a mezzodì, verso quella di Somerset,
erano più solide. Fu, quindi, deliberato di dare lo assalto dal lato
di Gloucester. Ma a ciò fare, era necessario andarci per un cammino
circolare, e valicare l'Avon a Keynsham. Il ponte a Keynsham era
stato in parte distrutto dalla milizia civica, ed era impraticabile.
Fu, quindi, spedito innanzi un numero d'uomini a farvi i necessari
ripari. Gli altri li seguivano più lentamente, e il dì
ventesimoquarto di giugno fecero alto a Pensford per riposarsi.
Pensford distava solo cinque miglia da Bristol, dal lato della
Contea di Gloucester; ma questo lato, al quale poteva arrivarsi solo
girando intorno per Keynsham, era lontano una giornata di
cammino(480).
E quella fu notte dì gran tumulto ed aspettazione in Bristol. I
fautori di Monmouth sapevano ch'egli era quasi a vista della città,
e immaginavano che sarebbe stato fra loro avanti lo spuntare del
giorno. Circa un'ora dopo il tramonto, un legno mercantile che era
presso nel canale, prese fuoco. Tale accidente, in un porto pieno di
navi, destò grande spavento. Tutto il fiume fu in iscompiglio. Le
vie brulicavano di gente. Gridi sediziosi risonavano fra la
confusione e le tenebre. Poscia fu detto, e da' Tory e dai Whig, che
il fuoco era stato appiccato dagli amici di Monmouth, sperando che
le milizie civiche sarebbero accorse a impedire che l'incendio si
allargasse; e che in quel mentre, l'armata ribelle, fatto impeto,
sarebbe entrata nella città dal lato di Somerset. Se fu tale lo
scopo degl'incendiarii, esso andò del tutto fallito. Beaufort,
invece di mandare i suoi uomini al canale, li tenne tutta notte
sotto le armi attorno il bel tempio di Santa Maria Redcliff, a
mezzodì dell'Avon. Ei disse che avrebbe meglio veduto ardere
Bristol, anzi l'avrebbe arsa egli stesso, che lasciarla occupare dai
traditori. Col soccorso di una coorte di cavalleria regolare, che
poche ore avanti eragli giunta da Chippenham, ei potè impedire lo
scoppio d'una insurrezione. Gli sarebbe stato impossibile frenare i
malcontenti dentro le mura, e respingere a un tempo un assalto di
fuori: ma l'assalto non avvenne. Lo incendio, che era stato cagione
di tanto commovimento in Bristol, vedevasi distintamente da
Pensford. Monmouth, nondimeno, non reputò utile cangiare il suo
disegno. Si tenne cheto fino al sorgere del sole, e poi si condusse
a Keynsham, dove trovò accomodato il ponte. Deliberò di lasciare
l'armata a riposarsi, nel pomeriggio, ed appena giunta la notte,
procedere alla volta di Bristol(481).
Ma non era più a tempo. Le forze del Re si appressavano. Il
Colonnello Oglethorpe, capitanando circa cento Guardie del Corpo, e
facendo impeto contro Keynsham, sgominò due legioni della cavalleria
ribelle che rischiossi a fargli fronte, e si ritrasse, con poco suo
danno e con molto dell'inimico.
XXXVIII. In siffatte circostanze, Monmouth reputò necessario porre
da parte la impresa di Bristol(482). Ma quale era il partito da
prendere? Ne furono posti in campo e discussi parecchi. Fu detto che
Monmouth avrebbe potuto accelerare il passo verso Gloucester,
valicare il Severn, rompere il ponte, e a destra, protetto dal
fiume, gettarsi, attraversando la Contea di Worcester, in quelle di
Shrop e di Chester. Egli, anni innanzi, aveva viaggiati que' luoghi,
e v'era stato accolto come nelle Contee di Somerset e di Devon. La
sua presenza avrebbe riacceso lo zelo in cuore ai suoi vecchi amici;
e il suo esercito in pochi giorni si sarebbe raddoppiato.
Ciò non ostante, considerata pienamente la cosa, parve che cotale
disegno, comecchè specioso, fosse ineseguibile. I ribelli erano male
calzati, e stanchi a cagione delle diuturne fatiche sostenute,
trascinandosi tra il fango e sotto gravissime pioggie. Molestati ed
impediti, come sarebbero stati ad ogni passo, dalla cavalleria
nemica, non potevano sperare di giungere a Gloucester senza cadere
in mano del corpo principale delle truppe regie, ed essere forzati
ad un generale fatto d'arme con ogni svantaggio.
Fu, dunque, proposto di entrare nella Contea di Wilt. Coloro i quali
affermavano di conoscere que' luoghi, assicuravano il Duca, che ivi
avrebbe raccolti tali rinforzi, da potere con sicurtà dare
battaglia(483).
Seguì questo consiglio, e volse il passo verso la Contea di Wilt.
Primamente intimò a Bath di aprirgli le porte. Ma Bath era
fortemente presidiata dalle milizie del Re; e Feversham si
approssimava. I ribelli, quindi, non si provarono d'aggredire le
mura, ma corsero in fretta a Philip's Norton, dove fermaronsi la
sera del dì 26 giugno.
Feversham vi si condusse anch'egli. La mattina del dì seguente, a
buon'ora, rimasero commossi alla nuova ch'egli era lì presso.
Ordinaronsi, disponendosi in fila lungo le siepi del cammino che
conduceva alla città.
XXXIX. L'avanguardia dell'armata regia tosto comparve. Era composta
di circa cinquecento uomini, capitanati dal Duca di Grafton, giovine
di spirito audace e di maniere rozze, il quale era forse desideroso
di mostrarsi in nulla partecipe allo sleale attentato del suo
fratello naturale. Grafton tra breve si trovò in un profondo calle,
da ambo i lati del quale muovevagli addosso una tempesta
d'archibugiate. Non ostante, si spinse arditamente oltre, finchè
pervenne all'ingresso di Philip's Norton. Ivi trovò chiuso il
cammino da una barricata, d'onde un altro vivissimo fuoco gli veniva
di fronte. I suoi uomini si perdettero d'animo, e indietreggiarono
fuggendo. Innanzi che uscissero dal calle, più di cento tra loro
erano morti o feriti. La ritirata di Grafton fu tagliata da una mano
di cavalleria nemica; ma egli si aperse fra mezzo a quelli
valorosamente il cammino, e si pose in salvo(484).
L'avanguardo in tal guisa respinto, si congiunse col corpo
principale dell'esercito regio. Le due armate allora si trovarono
faccia a faccia; e ricambiaronsi poche archibugiate, che furono di
poco o di punto effetto. Nessuna era impaziente di venire alle mani.
Feversham non voleva combattere fino a che non fosse arrivata
l'artiglieria, e si ripiegò verso Bradford. Monmouth, appena
sopraggiunta la notte, abbandonò la propria posizione, marciò verso
mezzodì, e sul fare del giorno pervenne a Frome, dove sperava
trovare rinforzi.
Frome gli era favorevole quanto Taunton o Bridgewater, ma non potè
far nulla per lui. Pochi giorni avanti, eravi stata una
insurrezione, e il Manifesto di Monmouth era stato attaccato in
piazza. Ma la nuova di tale movimento era pervenuta al Conte di
Pembroke, che trovavasi non molto discosto con le civiche milizie
della Contea di Wilt. Era, quindi, con esse accorso a Frome; aveva
messa in rotta una folla di campagnuoli, i quali, armati di falci e
tridenti, tentavano di fargli fronte; era entrato nella città ed
aveva disarmati gli abitanti. E però non v'erano armi, e Monmouth
non poteva apprestarne(485).
XL. L'armata ribelle trovavasi in triste condizioni. La marcia del
dì precedente l'aveva stancata. La pioggia era caduta a torrenti; e
le strade erano diventate pantani. Non v'era nuova dei promessi
soccorsi della Contea di Wilt. Arrivò un messo, annunziando che le
forze d'Argyle erano state disperse in Iscozia. Un altro disse che
Feversham, congiuntosi con l'artiglieria, era sulle mosse. Monmouth
intendeva le cose di guerra tanto, da accorgersi che i suoi seguaci,
con tutto il loro zelo e coraggio, non avrebbero potuto resistere ai
soldati regolari. Erasi fino allora illuso sperando che alcuni di
que' reggimenti, da lui per innanzi comandati, sarebbero corsi sotto
il suo vessillo; ma adesso era costretto a deporre tale speranza.
Qui l'animo gli venne meno. Appena poteva far mostra di fermezza
bastevole a dare ordini. Nella propria sciagura, amaramente dolevasi
de' sinistri consiglieri, dai quali era stato indotto ad abbandonare
il suo beato ritiro di Brabante. E segnatamente contro Wildman
trascorse a virulente imprecazioni(486). Ed allora, nel debole ed
agitato cervello gli sorse un vergognoso pensiero; quello, cioè, di
abbandonare alla vendetta del Governo le migliaia d'uomini - i
quali, da lui chiamati e accorsi per amore di lui, avevano
abbandonato le abitazioni e i campi propri; - partirsi di nascosto,
co' suoi più alti ufficiali; condursi a qualche porto di mare
innanzi che nascesse il sospetto della sua fuga, e rifuggirsi nel
continente, dove fra le braccia di Lady Wentworth avrebbe
dimenticata la propria ambizione e vergogna. Seriamente discusse
cotesto disegno co' principali de' suoi consiglieri. Taluni di loro,
tementi per la propria vita, lo ascoltarono approvando; ma Grey, il
quale, secondo la confessione anche de' suoi detrattori, era
intrepido sempre, tranne quando le spade gli lampeggiavano dinanzi e
le palle gli fischiavano d'intorno, si oppose con estremo calore
alla ostinata proposta, e supplicò il Duca ad esporsi a ogni
pericolo, più presto che ricompensare con la ingratitudine e col
tradimento il fervido affetto dimostratogli dal contadiname delle
contrade occidentali(487).
Il pensiero della fuga venne, dunque, abbandonato; ma non era
agevole formare un piano qualunque di campagna. Procedere verso
Londra sarebbe stata demenza; imperocchè la via che ivi conduce,
attraversa diritta il vasto piano di Salisbury, sul quale le truppe,
e soprattutto la cavalleria regolare, avrebbero pugnato con ogni
vantaggio contro uomini indisciplinati. In questo mentre, arrivò al
campo la nuova che i campagnuoli delle maremme presso Axbridge erano
insorti a difendere la religione protestante, s'erano armati di
tridenti, correggiati e forconi, e si andavano ragunando a migliaia
presso Bridgewater. Monmouth deliberò di ritornare in quel luogo, e
rafforzarsi di questi nuovi collegati(488).
I ribelli, adunque, si mossero alla volta di Wells, e vi arrivarono
con contegno non amichevole. Erano tutti, salvo pochi, avversi alla
prelatura; e mostrarono la propria avversione in modo da recar loro
pochissimo onore. Non solo strapparono il piombo dal tetto del
magnifico Duomo, onde farne palle da archibugio, - cosa che poteva
essere escusata da' bisogni della guerra, - ma profanamente ne
distrussero gli ornati. Grey con molta difficoltà potè, ponendosi
dinanzi all'altare con la spada sguainata, salvarlo dagli insulti di
alcuni ribaldi, i quali vi volevano crapoleggiare dintorno(489).
XLI. Il giovedì, 2 di luglio, Monmouth rientrò in Bridgewater, in
condizioni meno liete di quelle onde vi era giunto dieci giorni
prima. Il rinforzo che vi trovò, era di poco conto. L'armata regia
era lì presso. Per un istante divisò di fortificare la terra; e
furono chiamati centinaia di lavoranti a scavare fossi ed alzare
ripari. Poi, mutando consiglio, pensò di gettarsi nella Contea di
Chester; disegno ch'egli aveva respinto come ineseguibile mentre
trovavasi in Keynsham, e che certamente non era meglio eseguibile
adesso che egli stava in Bridgewater(490).
XLII. Mentre tentennava tra pensieri egualmente disperati,
comparvero le forze regie. Erano composte di circa duemila
cinquecento soldati regolari, e di circa mille e cinquecento militi
cittadini della Contea di Wilt. La mattina della domenica, 5 luglio,
a buon'ora partiti da Somerton, piantarono le tende, quel giorno
stesso, a circa tre miglia da Bridgewater nel piano di Sedgemoor.
Il Dottore Pietro Mew, vescovo di Winchester, gli accompagnava.
Questo prelato aveva in gioventù sua portate le armi a difesa di
Carlo I contro il Parlamento. Nè gli anni nè la professione gli
avevano al tutto estinto nell'animo lo spirito guerresco; e forse
credeva che l'apparizione di uno de' padri della Chiesa protestante
nel campo regio, avrebbe rinvigorito il sentimento di lealtà in
cuore a quegli onesti che ondeggiavano fra l'abborrimento del
papismo e quello della ribellione.
Il campanile della chiesa parrocchiale di Bridgewater, dicesi sia il
più alto che si trovi nella Contea di Somerset, e vi si goda la
vista di tutto il paese circostante. Monmouth, insieme con alcuni
de' suoi ufficiali, vi salì fino alla cima, ed osservò con un
cannocchiale la posizione dell'inimico. Vedeva uno spazio piano,
adesso rigoglioso di campi da grano e d'alberi fruttiferi, ma
allora, secondo che suona il suo nome, per la più parte tristo
pantano. Quando le pioggie erano copiose, e il Parret, coi ruscelli
che vi si gettavano dentro, straripava, cotesto spazio era affatto
inondato. In antico era parte di quella vasta palude, famosa nelle
nostre vecchie cronache, per avere fermate le incursioni di due
successive razze d'invasori. Aveva per lungo tempo protetti i Celti
dalle aggressioni dei Re di Wessex, e difeso Alfredo dalla
persecuzione dei Danesi. In quei tempi remoti, questa regione non
poteva traversarsi se non con navicelli. Era un immenso stagno,
sparso di molte isolette di terreno ineguale e traditore, coperto di
folti giunchi, fra mezzo ai quali brulicavano i cervi e i porci
selvatici. Anche ai tempi de' Tudor, il viandante, che da Ilchester
recavasi a Bridgewater, era costretto a camminare per una curva di
parecchie miglia onde evitare le acque. Allorquando Monmouth gettò
gli occhi sopra Sedgemoor, lo spazio predetto era stato in parte
acconciato dall'arte, ed era intersecato da molti larghi e profondi
fossi, che in quel paese si chiamano rhines. In mezzo al pantano
sorgevano, aggruppati attorno ai campanili delle chiese, pochi
villaggi, i nomi dei quali sembrano accennare che un tempo erano
circondati dalle acque. In uno di essi, detto Weston Zoyland, era la
cavalleria regia, e il quartiere generale di Feversham. Molte
persone tuttora viventi hanno veduta la figlia della fantesca che in
quel giorno lo servì a pranzo; e un gran piatto di porcellana di
Persia, che gli fu posto dinanzi, serbasi anche oggi con gran cura
in que' dintorni. È da notarsi che la popolazione della Contea di
Somerset non è, come ne' distretti manifatturieri, composta di soli
emigranti da luoghi lontani. Non è raro trovare contadini che
coltivano il medesimo podere coltivato dai loro progenitori al tempo
che i Plantageneti regnavano in Inghilterra. Le tradizioni della
Contea di Somerset riescono, quindi, non poco utili allo
storico(491).
A maggior distanza da Bridgewater(492), giace il villaggio di
Middlezoy. In esso e ne' suoi dintorni erasi acquartierata la
milizia civica della Contea di Wilt, sotto il comando di Pembroke.
Sopra lo aperto scopeto, non lungi da Chedzoy, stavano accampati
vari battaglioni di fanteria regolare. Monmouth ad essi rivolse
tristamente lo sguardo. Non poteva non rammentarsi come, pochi anni
innanzi, capitanando una colonna di quegli stessi soldati, aveva
posti in fuga i feroci entusiasti che difendevano Bothwell Bridge.
Poteva bene distinguere nell'armata nemica la valorosa legione, che
allora dal nome del suo colonnello, chiamavasi reggimento di
Dumbarton; ma che da lungo tempo è stata conosciuta come il primo
reggimento di linea, e che in tutte le quattro parti del mondo ha
nobilmente mantenuta la sua reputazione primitiva. "Conosco quegli
uomini," disse Monmouth; "essi combatteranno. Se io non avessi altri
che loro soli, tutto anderebbe bene(493)."
Ciò nulla ostante, lo aspetto del nemico non era tale da scoraggiare
affatto. Le tre divisioni della regia armata giacevano assai
discoste l'una dall'altra. In tutti i loro movimenti era apparenza
di trascuraggine e di lassa disciplina. Sapevasi che erano intenti a
briacarsi col sidro di Zoyland. Era ben nota la incapacità di
Feversham, comandante supremo, il quale anche in quell'ora di tanto
momento ad altro non pensava che a mangiare e dormire. Churchill, a
dir vero, era capitano pari ad impresa assai più rischiosa di quella
di sconfiggere una masnada di male armati e mal esercitati
contadini. Ma il genio che in tempi posteriori umiliò sei
Marescialli di Francia, non occupava adesso il luogo che gli
conveniva. Feversham parlava poco con Churchill, e in modo da non
animarlo a dare consigli. Il Luogotenente, col sentimento del
proprio sapere nell'arte militare, impaziente di sottostare ad un
capo ch'egli spregiava, e tremante per la salute dell'armata, seppe,
nonostante, così bene frenarsi e dissimulare(494) ciò ch'egli
sentiva, che Feversham ne lodò la operosa subordinazione, e promise
di riferirlo al Re(495).
Monmouth, osservata la disposizione delle forze regie, e bene
istrutto della condizione in cui erano, pensò che un assalto
notturno sarebbe potuto riuscire. Deliberò di correre la sorte, e
subito fece i necessari apparecchi.
Era giorno di domenica; e i suoi seguaci, la maggior parte dei quali
erano stati educati al culto puritano, passarono gran parte del
giorno in esercizi religiosi. Il piano del Castello, dove era
accampata l'armata, presentava uno spettacolo, quale, dopo lo
scioglimento dell'esercito di Cromwell, la Inghilterra non aveva mai
più veduto. I predicatori dissenzienti, che avevano prese le armi
contro il papismo, alcuni de' quali avevano forse anche pugnato
nella grande guerra civile, oravano e predicavano in abito scarlatto
e in istivali, con la spada a fianco. Ferguson era uno di coloro che
arringavano. Tolse a testo del suo sermone la tremenda imprecazione
con che gl'Israeliti dimoranti oltre il Giordano, purgavansi
dell'addebito che stoltamente loro davano i confratelli dell'opposta
sponda del fiume. "Il Signore Iddio degli Dei, il Signore Iddio
degli Dei, egli conosce, e Israele egli conoscerà. Se ciò sia
ribellione o trasgressione contro il Signore, non ci salvare in quel
giorno(496)."
Che si dovesse dare un assalto col favore della notturna tenebra,
non era un secreto in Bridgewater. La terra era piena di donne, che
dalla circostante regione vi erano accorse a centinaia per rivedere
ancora i mariti, i figliuoli, gli amanti e i fratelli loro. Molti in
quel giorno si dissero il doloroso addio, e molti si divisero per
non rivedersi più mai(497). La nuova del preparato assalto pervenne
all'orecchio d'una fanciulla, che era zelante pel Re. Ancorchè ella
fosse d'indole modesta, ebbe l'animo di andare da sè fino a
Feversham, e riferirgliene. Uscì cauta da Bridgewater, e si avviò ai
regi accampamenti. Ma quel campo non era luogo dove l'innocenza
potesse tenersi sicura. Anco gli ufficiali, spregiando dall'un canto
le forze irregolari dell'inimico, e dall'altro il negligente
capitano al quale essi erano sottoposti, stemperatamente
abbandonatisi al vino, erano pronti ad ogni eccesso di crudeltà e
licenza. Uno di loro pose le mani addosso alla malarrivata
fanciulla, ricusò di ascoltare il messaggio che recava, e la
oltraggiò brutalmente. Ella fuggì straziata dalla rabbia e dalla
vergogna, lasciando le scellerate soldatesche al proprio
destino(498).
Appressavasi già l'ora del gran rischio. La notte non sorgeva male
adatta ad una tanta intrapresa. La luna era nella sua pienezza, le
bandiere del Nord splendevano ai suoi raggi. Ma la nebbia del padule
era sì folta sopra Sedgemoor, da non potersi nulla discernere a
cinquanta passi di distanza(499).
XLIII. Battevano le ore undici, allorquando il Duca, con le sue
Guardie del corpo, uscì dal Castello. La sua mente non era nello
stato convenevole a chi tra breve debba tentare un colpo decisivo.
Gli stessi fanciulli, che affollavansi a vederlo passare, si
accorgevano - e lo rammentarono poi lungamente - come il suo viso
fosse tristo, e pieno di sinistro augurio. L'armata marciò per un
sentiero circolare, lungo pressochè sei miglia, verso gli
accampamenti regi in Sedgemoor. Parte di quel cammino serba fino ai
giorni presenti il nome di sentiero della Guerra (War Lane). I fanti
erano condotti dallo stesso Monmouth; i cavalli affidati a Grey,
malgrado le proteste di molti, che rimembravano lo sciagurato fatto
di Bridport. Fu ordinato che si osservasse il più rigoroso silenzio,
non si battessero tamburi, non si scaricasse arma. La parola la
quale doveva fra le tenebre servire di riconoscimento agl'insorti,
era Soho. Senza dubbio era stata prescelta per alludere a Soho
Fields in Londra, dove sorgeva il palazzo del Duca(500).
Verso l'un'ora, nella mattina di lunedì, 6 di luglio, i ribelli
erano sullo scopeto. Ma tra loro e il nemico giacevano tre grossi
rigagni pieni d'acqua e di mota. Monmouth sapeva di doverne passare
due, chiamati Black Ditch, e Langmoor Rhine. Ma, strano a dirsi!
neppure da un solo de' suoi esploratori gli era stata fatta menzione
d'un fosso, chiamato Bussex Rhine, che copriva da presso il campo
regio.
I carri che trasportavano le munizioni, rimasero all'ingresso dello
scopeto. I cavalli e i fanti, ordinati in lunga, e stretta colonna,
passarono sur un argine il Black Ditch. Ve n'era un altro simile
traverso al Langmoor Rhine; ma la guida, in mezzo alla nebbia,
smarrì la via: innanzi che si provvedesse allo sbaglio, ci fu
qualche indugio e tumulto. In fine passarono; ma nella confusione
prese fuoco una pistola. Alcune delle Guardie a cavallo che facevano
la scolta, udirono lo scoppio, e si accôrsero come una gran
moltitudine di gente avanzavasi fra mezzo alla nebbia. Scaricarono
le loro carabine, e corsero di galoppo per varie direzioni a
chiamare all'armi. Alcune andarono a Weston Zoyland, dove era la
cavalleria. Un soldato a cavallo dette di sproni, e corse al campo
dove era la fanteria, gridando con gran forza che l'inimico era per
giungere. I tamburi del reggimento di Dumbarton batterono alle armi,
e i soldati corsero alle proprie file. Ed era tempo, perocchè
Monmouth andava disponendo l'armata per dare lo assalto. Ordinò a
Grey di precedere con la cavalleria, mentre egli stesso lo seguiva a
capo de' fanti. Grey si spinse innanzi finchè i passi gli vennero
inaspettatamente troncati dal Bussex Rhine. Sul lato opposto del
fosso la fanteria reale ordinavasi frettolosamente a battaglia.
"Per chi siete voi?" chiese gridando un ufficiale delle Guardie a
piedi. "Pel Re" rispose una voce dalle file della cavalleria
ribelle. "Per quale Re?" disse l'altro. "Re Monmouth" fu la
risposta, accompagnata col grido di guerra che quaranta anni prima
era stato inscritto sui vessilli de' reggimenti parlamentari: "Dio
sia con noi." E immantinente, le truppe reali fecero tale scarica
d'archibugi, che pose in fuga per ogni banda i cavalli
degl'insorgenti. Il mondo attribuisce questa ignominiosa rotta alla
pusillanimità di Grey. Nulladimeno, non è in nessuna guisa certo che
Churchill avrebbe fatta miglior prova a capo d'uomini i quali non
avevano mai per innanzi maneggiate armi a cavallo, e i cui cavalli
non erano avvezzi, non solo a starsi fermi al fuoco, ma ad obbedire
al freno.
Pochi momenti dopo che la cavalleria del Duca erasi dispersa per il
pantano, giunse correndo la fanteria, guidata fra le tenebre dalle
micce accese del reggimento di Dumbarton.
Monmouth rimase attonito, vedendo che un largo e profondo fosso
giaceva tra lui e il campo ch'egli aveva sperato di sorprendere.
Gl'insorti fermaronsi sull'argine e fecero fuoco, che fu ricambiato
da una parte della fanteria reale, schierata sull'argine opposto.
Per tre quarti d'ora, il fuoco degli archibugi non cessò mai. I
contadini del Somerset si condussero come vecchi soldati, tranne che
dettero troppo alta la mira alle artiglierie loro.
Ma le altre divisioni dell'armata regia erano tutte in movimento. Le
Guardie del Corpo e gli Azzurri vennero a spron battuto da Weston
Zoyland, e dispersero in un attimo alcuni cavalli di Grey, i quali
tentavano di raccogliersi. I fuggenti sparsero la paura fra i loro
compagni del retroguardo, ai quali erano affidate le munizioni. I
vagonieri retrocessero a gran passi senza fermarsi, finchè si videro
molte miglia lontani dal campo di battaglia. Monmouth fino allora
aveva sostenuta la parte propria come un robusto ed esperto
guerriero. Era stato veduto a piedi, impugnando la picca, e
incoraggiando con la voce e con l'esempio la propria fanteria. Ma
conosceva sì bene le cose militari, da accorgersi che tutto era
finito. I suoi uomini avevano perduto il vantaggio che avrebbero
potuto derivare dal buio e dalla sorpresa. Erano stati abbandonati
dalla cavalleria e dai vagoni della munizione. Le forze del Re erano
unite e in buon ordine. Feversham, desto dal fuoco, alzatosi di
letto, annodata bene la cravatta, e guardatosi allo specchio, era
venuto a vedere ciò che facevano i suoi. Intanto, - e ciò fu di
maggiore importanza, - Churchill aveva rapidamente disposte in guisa
affatto nuova le fanterie. Il giorno era presso a spuntare. L'esito
d'un conflitto alla luce del sole, in un piano aperto, non poteva
essere dubbio. Nondimeno, Monmouth avrebbe dovuto sentire come a lui
non convenisse fuggire, mentre migliaia d'uomini, che dallo affetto
che gli portavano erano stati spinti alla propria rovina,
seguitavano a combattere per la sua causa. Ma le vane speranze e lo
intenso amore della vita prevalsero. Vide che, indugiando, la
cavalleria regia gli avrebbe potuto impedire la ritirata. Montò,
quindi, a cavallo e uscì dal campo.
Nondimeno, i suoi fanti, comunque abbandonati, fecero estrema
resistenza. Le Guardie del Corpo gli strinsero dalla diritta, gli
Azzurri da mancina; ma i villani della Contea di Somerset, con le
falci loro e le punte degli archibugi, fecero fronte, come fossero
vecchi soldati, alla cavalleria reale. Oglethorpe fece vigorosa
prova per romperli, e fu validamente respinto. Sarsfield, egregio
ufficiale irlandese, il cui nome acquistò dipoi una trista
celebrità, gli assaltò dall'altro lato; ma indietreggiarono i suoi,
ed egli stesso fu gettato a terra, dove rimase alcun tempo come
morto. Gli sforzi de' robusti campagnuoli non potevano lungamente
durare. Non avevano più polvere. Gridavano spesso: "Munizione! per
l'amor di Dio; munizione!" Ma munizione non v'era. Quand'ecco
sopraggiunge l'artiglieria regia. Era stata collocata a mezzo
miglio, nella strada maestra, da Weston Zoyland a Bridgewater. Erano
così difettosi gli arnesi da guerra dell'armata inglese, che vi
sarebbe stata molta difficoltà a strascinare i grossi cannoni al
luogo dove ardeva la guerra, se il vescovo di Winchester non avesse
offerti all'uopo i cavalli della propria carrozza. Questo
immischiarsi di un prelato cristiano in un negozio di sangue, è
stato, con istrana incoerenza, riprovato da scrittori Whig, i quali
non vedono nulla di criminoso nella condotta de' numerosi ministri
puritani che in quell'occasione avevano prese le armi contro il
Governo. Anche dopo arrivati i cannoni, vi era cotale difetto di
artiglieri, che un sergente del reggimento di Dumbarton dovette
badare da sè al maneggio di alcuni di quelli(501). Ciò non ostante,
i cannoni, comunque male adoperati, tosto posero fine alla pugna. Le
picche dei battaglioni ribelli cominciarono a piegare; le file si
ruppero; la cavalleria reale fece impeto di nuovo, rovesciando ogni
cosa che le si parava dinanzi; la fanteria si mosse traverso al
fosso. Anco in tanta estremità, i minatori di Mendip si tennero
ostinatamente fermi, e venderono cara la vita loro. Ma in pochi
minuti la rotta degl'insorti fu compiuta. De' soldati, trecento
erano morti o feriti. De' ribelli, più d'un migliaio giacevano
esanimi sullo scopeto(502).
In tal modo ebbe fine l'ultimo combattimento, che meriti il nome di
battaglia combattuta sul suolo inglese. La impressione che ne rimase
nei semplici abitatori di quelle vicinanze, fu profonda e durevole;
impressione che, a dir vero, si è spesso rinnovata. Imperocchè,
anche ai tempi nostri, lo aratro e la marra non rade volte
disseppelliscono funebri ricordi, teschi, stinchi, e armi
stranamente formate di villici strumenti. I vecchi contadini, non è
guari, raccontavano che nella loro fanciullezza solevano giocare
sullo scopeto alla battaglia fra gli uomini di Re Giacomo e quelli
di Re Monmouth, e che questi sempre gridavano: Soho(503)!
Ciò che sembra il più straordinario nella battaglia di Sedgemoor, è
che l'esito ne sia stato dubbio per un momento, e che i ribelli
abbiano cotanto resistito. Che cinque o sei mila carbonai e
contadini potessero per un'ora sola lottare con mezzo il numero di
quella cavalleria e fanteria regolare, ai dì nostri verrebbe
reputato miracolo. Ma forse scemerebbe la nostra maraviglia, ove
considerassimo che al tempo di Giacomo II, la disciplina delle
milizie regolari era estremamente lassa; e dall'altro canto, il
contadiname era accostumato a servire nella guardia civica. La
diversità, quindi, tra un reggimento di fanti e un reggimento di
villani pur allora reclutati, comunque considerevole, non era punto
ciò che sarebbe adesso. Monmouth non conduceva una pretta marmaglia
ad assaltare buoni soldati; imperocchè i suoi seguaci non erano
affatto ignari del mestiere del soldato; e le truppe di Feversham,
in paragone delle odierne truppe inglesi, potevano quasi chiamarsi
una marmaglia.
Battevano le ore quattro; il sole levavasi sull'orizzonte,
allorquando la sconfitta armata inondò le vie di Bridgewater. Gli
urli, il sangue, le ferite, i visi cadaverici degli uomini che
cadevano a terra per non più rialzarsi, empirono d'orrore e spavento
la città tutta. Oltredichè i vincitori gl'inseguivano da presso.
Coloro fra gli abitanti i quali avevano favorita la insurrezione,
aspettavansi il saccheggio e la strage, e imploravano protezione ai
loro vicini che professavano la religione cattolica romana, o erano
conosciuti come Tory; e gli stessi più virulenti storici Whig
affermano, come cosa certa, che tale protezione venne cortesemente e
generosamente concessa(504).
XLIV. Per tutto quel giorno, i vincitori continuarono ad inseguire i
fuggitivi. Gli abitatori de' villaggi circostanti, lungo tempo
ricordarono con che strepito di zampe e tempesta di maledizioni la
cavalleria, a guisa di turbine, passava. Innanzi che fosse sera,
cinquecento prigioni erano stipati dentro la chiesa parrocchiale di
Western Zoyland. Ottanta di loro erano feriti; e cinque spirarono
fra le sacre pareti. Gran numero di lavoranti furono forzati a
seppellire gli uccisi. Pochi, che erano manifestamente partigiani
de' vinti, vennero riserbati all'osceno ufficio di squartare i
prigionieri. Gli uomini delle decurie delle vicine parrocchie,
furono adoperati ad alzar forche e procurare catene. E tutto ciò
seguiva mentre le campane di Weston Zoyland e Chedzoy suonavano a
festa, e i soldati cantavano e facevano baccano fra mezzo ai
cadaveri sullo scopeto: imperciocchè i fattori delle vicinanze,
appena saputo l'esito del combattimento, erano stati solleciti a
mandare fiaschi ripieni del loro miglior sidro, come offerte di
pace, ai vincitori(505).
XLV. Feversham era stimato uomo di buona indole; ma era forestiere,
ignaro delle leggi e non curante del sentire degl'Inglesi. Avvezzo
alla licenza militare della Francia, aveva imparato dal vincitore
del Palatinato, suo congiunto, non a vincere, ma a devastare. Un
considerevole numero di prigioni furono subito destinati ad essere
messi a morte. Fra essi era un uomo famoso per velocità nel correre.
Gli si fece sperare che gli verrebbe concessa la vita, se egli
avesse vinto nella corsa un puledro delle maremme. Lo spazio ch'egli
corse insieme col cavallo è tuttora segnato da termini ben
conosciuti sullo scopeto, ed è lungo circa tre quarti di miglio.
Feversham non vergognò, dopo d'avere veduta la prova, d'impiccare lo
sciagurato. Il dì dopo, si vide una lunga fila di forche innalzate
lungo la via maestra da Bridgewater a Weston Zoyland. Da ciascuna
pendeva un prigioniero. Quattro di loro furono lasciati a marcire
ne' ferri(506).
In quel mentre, Monmouth, accompagnato da Grey e da pochi altri
amici, fuggiva dal campo di battaglia. A Chedzoy fece sosta un
momento per montare un cavallo fresco, e nascondere il suo nastro
azzurro e la decorazione dell'ordine di Giorgio. Poi si mosse in
fretta alla volta di Bristol Channel. Dalle alture a tramontana del
campo di battaglia, vide il lampo e il fumo dell'ultima scarica che
facevano i suoi abbandonati seguaci. Avanti le ore sei, egli
trovavasi venti miglia lungi da Sedgemoor. Alcuni de' suoi compagni
lo consigliavano a traversare le acque e rifuggirsi nel paese di
Galles; e questo, indubitabilmente, sarebbe stato il miglior partito
da prendere. Egli vi sarebbe arrivato innanzi che vi fosse giunta la
nuova della sua sconfitta; e in una contrada così selvaggia e rimota
dalla sede del Governo, avrebbe potuto lungamente rimanere
sconosciuto. Nulladimeno, deliberò di spingersi nella Contea di
Hamp, sperando di potersi nascondere ne' tuguri de' predatori di
cervi fra le quercie di New Forest, fino a che si fosse potuto
procurare i mezzi d'imbarcarsi pel continente. E però, con Grey e
col Tedesco, volse i passi al sud-est. Ma il cammino era pieno di
pericoli, perciocchè ai tre fuggitivi era forza passare per luoghi
dove ciascuno già sapeva la nuova dell'esito della battaglia, e dove
niun passeggiero di apparenza sospetta si sarebbe potuto sottrarre
ad uno stretto esame. Cavalcarono tutto il giorno, schivando città e
villaggi. Nè ciò allora era così difficile come adesso potrebbe
sembrare: imperocchè gli uomini d'allora potevano ricordarsi del
tempo in cui il cervo selvatico vagava liberamente per le foreste
dalle rive dell'Avon, nella contea di Wilt fino alla costa
meridionale di quella di Hamp(507). Alla perfine, in Cranbourne
Chase, ai cavalli mancarono le forze. Monmouth e i suoi colleghi,
quindi, gli abbandonarono, nascondendo le briglie e le selle; e
procuratisi abiti contadineschi, travestironsi, e continuarono a
piedi verso New Forest. Passarono la notte all'aria aperta; ma prima
che spuntasse l'alba, si videro per ogni parte circondati di mille
traversie. Lord Lumley che stanziava a Ringwood con un grosso corpo
di milizie civiche di Sussex, ne aveva mandate legioni per ogni
verso. Sir Guglielmo Portman, con la civica di Somerset, aveva
formata una catena di posti militari, dal mare fino alla estremità
settentrionale di Dorset. Alle ore cinque della mattina del dì 7,
Grey, che vagava diviso da' suoi amici, fu preso da due delle
vedette di Sussex. Si sobbarcò alla propria sorte con la calma di
colui al quale la perplessità è più insoffribile della disperazione.
"Dacchè mettemmo piede a terra" disse egli "non ho avuto un buon
desinare o una sola notte di riposo." Mal poteva dubitarsi che il
capo de' ribelli fosse poco lontano. Gl'inseguenti accrebbero la
loro operosa vigilanza. Le capanne sparse su per l'aprico paese fra
i confini delle Contee di Dorset e di Hamp, vennero rigorosamente
ricercate da Lumley; e il contadino con cui Monmouth aveva barattato
gli abiti, fu scoperto. Portman giunse con una grossa legione di
cavalleria e di fanteria a prestare mano forte a coloro che erano
intenti alla ricerca; i quali tosto volsero la propria attenzione ad
un luogo bene adatto a ricoverare i fuggitivi. Era un vasto tratto
di terra diviso da uno spazio chiuso dalla campagna aperta, partito
con numerose siepi in piccoli poderi; in alcuni de' quali la segala,
i piselli e l'avena, erano sì alti, da potervisi nascondere un uomo;
altri erano coperti di fratte e di scope. Una donnicciola riferì
d'avere veduti due stranieri nascosti in que' luoghi. La cupidigia
della vicina ricompensa, rinfiammò lo zelo de' soldati. Fu
stabilito, che chiunque avesse fatto il debito proprio, avrebbe
avuta parte del promesso premio di cinque mila lire sterline. Fatte
strettissimamente guardare le siepi esteriori, si posero con
infaticabile cura a frugare dentro lo spazio interno, scagliando
parimente tra le fratte vari cani di squisitissimo odorato. Il sole
era volto al tramonto, senza che avessero potuto nulla trovare; ma
tutta la notte si tennero in istretta vigilanza. Trenta volte i
fuggitivi rischiaronsi a varcare la siepe esteriore; ma ogni passo
trovavano guardato. Una volta, scoperti, fu loro fatto fuoco
addosso: allora, dividendosi, si nascosero in differenti luoghi.
XLVI. Il dì seguente, al sorgere del sole, ricominciata la ricerca,
Buyse venne ritrovato. Ei confessò d'essersi poche ore innanzi
diviso dal Duca. Gl'inseguenti, adunque, si posero a frugare con
maggior cura dentro il grano e le macchie, finchè scoprirono
nascosto in un fosso un uomo di scarno aspetto. Gli si gettarono
addosso. Alcuni stavano per fare fuoco; ma Portman impedì ogni
violenza. Il prigioniero era in abito di pastore; la sua barba,
grigia anzi tempo, era lunga di parecchi giorni. Tremava
grandemente, e non poteva parlare. Anche coloro che lo conoscevano
di persona, dubitarono in prima s'egli fosse lo elegante e leggiadro
Monmouth. Portman gli frugò nelle tasche, e fra parecchi piselli
raccolti nella rabbia della fame, vi trovò un oriuolo, una borsa
d'oro, un albo pieno di canzoni, di ricette, di preghiere e di
malie, e l'ordine di Giorgio, del quale, molti anni prima, il Re
Carlo II aveva decorato il prediletto figliuolo. Subitamente furono
spediti nunzii a Whitehall, che recarono la lieta nuova e la
decorazione dell'ordine di Giorgio, come segno della verità del
fatto. Il prigioniero, sotto strettissima guardia, fu condotto a
Ringwood(508).
Tutto era perduto, null'altro a lui rimanendo che apparecchiarsi a
sostenere la morte in modo convenevole ad uomo che non s'era creduto
indegno di portare la corona di Guglielmo il Conquistatore e di
Riccardo Cuor di Lione, dell'eroe di Cressy e dell'eroe d'Agincourt.
Egli avrebbe potuto richiamare alla mente altri domestici esempi,
anco meglio convenienti alla propria condizione. In duecento anni,
due sovrani, il cui sangue scorreva nelle sue vene, l'uno de' quali
era una delicata donna, s'erano trovati nella condizione medesima in
cui egli stava; - avevano mostrato nel carcere e sul palco una
virtù, della quale nella prospera fortuna sembravano incapaci, e
quasi redensero i loro grandi delitti ed errori sopportando con
cristiana mansuetudine e con dignità principesca le pene inflitte
loro dai nemici vittoriosi. Monmouth non era mai stato accusato di
codardia; e quand'anche avesse avuto difetto di coraggio naturale,
si sarebbe sperato che in quella estremità gliene dessero la
disperazione e l'orgoglio. A lui erano rivolti gli occhi di tutto il
mondo. La più tarda posterità avrebbe saputo come egli, in quel
solenne momento, si fosse condotto. Verso i valorosi contadini
dell'occidente egli era in debito di mostrare, che essi non avevano
sparso il proprio sangue per un capo indegno del loro affetto. Verso
colei che aveva tutto sacrificato per amor suo, egli era in debito
di mostrarsi in guisa, che ella, dovendo piangere di lui, non ne
avesse ad arrossire. Non era degno di lui il lamentarsi o il
supplicare. Oltredichè, la propria ragione gli avrebbe dovuto
addimostrare, essere vano ogni lamento ed ogni preghiera. A ciò
ch'egli aveva fatto, non potea esservi perdono. Trovavasi fra gli
artigli di un uomo che non perdonava giammai.
Ma la forza d'animo di Monmouth non era di quella specie che nasce
dalla riflessione e dal rispetto di sè; nè la natura gli aveva
largito uno di que' cuori robusti, da' quali nè avversità nè
pericolo valgono a strappare un segno di debolezza. Il suo coraggio
innalzavasi e cadeva coi suoi spiriti animali. Nel campo di
battaglia lo sostenevano lo eccitamento dell'azione, la speranza
della vittoria, e la misteriosa potenza dell'esempio altrui. Tutti
cotesti sostegni adesso più non erano. L'idolo della Corte e della
plebe, avvezzo ad essere amato e adorato dovunque si fosse mostrato,
ora vedevasi cinto da rigidi carcerieri, negli occhi de' quali ei
leggeva la propria sorte. Dopo poche ore di trista prigionia, egli
doveva patire violenta e vergognosa morte. Il cuore gli venne meno.
La vita gli parve degna d'essere comprata con ogni specie
d'umiliazione; nè il suo intelletto, stato sempre debole, ed ora
perturbato dal terrore, poteva intendere che la umiliazione lo
avrebbe avvilito, ma salvato non mai.
XLVII. Appena giunto a Ringwood, scrisse al Re una lettera, come
poteva dettarla un uomo cui un codardo timore abbia tolto ogni senso
di vergogna. Con caldissime parole espresse il rimorso ch'egli
sentiva pel tradimento commesso. Affermò, che allorquando aveva ai
proprii cugini nell'Aja promesso di non suscitare commovimenti in
Inghilterra, egli intendeva osservare pienamente la promessa. Per
sua sventura, era stato poi sedotto al misfatto da certe orride
genti, le quali gli avevano con varie calunnie scaldato il cervello,
e sofisticando lo avevano traviato: ma oramai abborriva que' tristi;
abborriva sè stesso. Pregava, con pietosi detti, d'essere ammesso
alla presenza del Re. Aveva da palesargli un secreto che ei non
poteva fidare alla penna, un secreto che era racchiuso in una sola
parola; e s'egli avesse potuto dire quella tale parola, il trono
sarebbe fatto sicuro d'ogni pericolo. Il dì seguente scrisse altre
lettere alla Regina vedova, e al Lord Tesoriere, pregandoli ad
intercedere per lui(509).
Appena si seppe in Londra ch'egli si era siffattamente avvilito,
ognuno ne rimase attonito; e nessuno quanto Barillon, il quale
aveva, stando in Inghilterra, vedute due sanguinose proscrizioni, in
cui non poche vittime sì dell'opposizione che della Corte, senza
preghi e piagnistei donneschi, eransi sobbarcate al proprio
fato(510).
XLVIII. Monmouth e Grey rimasero due giorni in Ringvood. Furono poi
menati a Londra, sotto la guardia di un grosso corpo di milizie
regolari e civiche. Nel cocchio del Duca era un ufficiale, che aveva
ordine di pugnalarlo se si fosse tentato di liberarlo. In ogni città
giacente lungo il cammino, stavano schierati i militi cittadini
delle vicinanze, sotto il comando de' precipui gentiluomini. La
marcia durò tre giorni fino a Wauxhall, dove un reggimento comandato
da Giorgio Legge, Lord Dartmouth, era apparecchiato a ricevere i
prigionieri. I quali furono posti in una barca, e pel fiume condotti
a Whitehall Stairs. Lumley e Portman guardarono a vicenda giorno e
notte il Duca, finchè lo ebbero messo dentro il Palazzo(511).
Il contegno di Monmouth e quello di Grey nel viaggio, riempirono di
ammirazione chiunque li vedeva. Monmouth era affatto prostrato. Grey
non solo era tranquillo, ma brioso; parlava piacevolmente di
cavalli, di cani, di cacce, e alludeva perfino scherzevolmente al
pericolo in cui trovavasi.
Il Re non è da biasimarsi d'avere dannato Monmouth a morire.
Chiunque si faccia capo d'una ribellione contro un Governo
stabilito, rischia la vita sull'esito di quella; e la ribellione era
la parte minore de' delitti di Monmouth. Egli aveva dichiarato
contro il proprio zio una guerra a morte. Nel manifesto promulgato
in Lyme, aveva condannato Giacomo alla esecrazione come incendiario,
come assassino, che aveva strangolato un uomo innocente e mozzo il
capo ad un altro, e infine come avvelenatore del proprio fratello.
Perdonare ad un nemico che non aveva abborrito di ricorrere a
cosiffatte enormezze, sarebbe stato un atto di generosità rara, e
forse biasimevole. Ma vederlo e non perdonargli la vita, era un
offendere ogni senso d'umanità e di decenza(512). Se non che, il Re
era risoluto di mostrarsi implacabile. Il prigioniero, le braccia
legate con un laccio di seta dietro le spalle, fu menato al cospetto
dell'inesorabile parente da lui oltraggiato.
XLIX. Monmouth prostrossi a terra, trascinandosi a piedi del Re.
Pianse; tentò di stringere con le incatenate braccia le ginocchia
dello zio. Lo supplicò di concedergli la vita, solo la vita, la vita
ad ogni costo. Confessò d'essere reo d'un gran delitto, ma provossi
di darne la colpa agli altri, e in ispecie ad Argyle; il quale
avrebbe meglio poste le proprie gambe nello stivaletto, che salvare
la vita con tanto avvilimento. A nome de' vincoli del sangue, della
memoria del Re defunto, che era stato il migliore e più sincero de'
fratelli, lo sventurato implorò mercè ai piedi di Giacomo. Giacomo
con gravità rispose essere tardi il pentirsi; a lui spiacere la
sciagura che il prigioniero s'era voluto chiamare sul capo, ma il
delitto non esser tale da potersi usare clemenza. Un proclama pieno
d'atroci calunnie era stato pubblicato. Il regio titolo era stato
assunto. Per così gravi tradimenti non potere esserci perdono in
questo mondo. Lo esterrefatto Duca giurò non aver mai voluto
usurpare la Corona, ma essere stato da altri tratto in quel fatale
errore. In quanto al proclama, egli non era colui che lo aveva
scritto; non lo aveva nè anche letto; lo aveva firmato senza
gettarvi gli occhi sopra: era tutta opera di Ferguson, di quel
sanguinario e scellerato Ferguson. "Sperate voi ch'io creda" disse
Giacomo, con ben meritato disprezzo, "che abbiate apposta la vostra
firma ad una scrittura di tanto momento, senza saperne il
contenuto?" Ma gli rimaneva a scendere oltre in fondo alla infamia.
Egli era il gran campione della religione protestante, lo interesse
della quale gli era servito di pretesto a congiurare contro il
Governo del proprio padre, e gettare la patria nelle calamità della
guerra civile: e nondimeno, non vergognò di accennare come egli
fosse proclive a riconciliarsi con la Chiesa di Roma. Il Re gli
offerse volentieri ogni aiuto spirituale, ma non fe' motto di
perdono o di clemenza. "Non v'è dunque speranza?" chiese Monmouth.
Giacomo non rispose, e gli volse le spalle. Allora Monmouth si
sforzò di rifarsi d'animo, e si alzò, ritirandosi con una fermezza
da lui non mostrata mai dopo la propria caduta(513).
Poi Grey comparve alla regia presenza. Egli si condusse con tale
decoro e fortezza, che commosse anche l'austero e astioso Giacomo:
non si scusò punto, e non si piegò punto a chiedere la vita. Ambi i
prigionieri furono mandati pel fiume alla Torre. Non vi fu tumulto;
ma molte migliaia di persone, con l'ansietà e il cordoglio dipinti
sul volto, provaronsi di vedere i due sciagurati. Appena il Duca si
vide lontano dallo aspetto del Re, la risolutezza rinatagli in cuore
svanì. Andando al carcere gemeva, accusava i suoi seguaci, e con
abbiettezza implorava Dartmouth intercedesse per lui. "So bene,
Milord, che amavate mio padre. Per l'amore di lui, per l'amore di
Dio, ingegnatevi di trovar modo ad ottenermi mercè." Dartmouth
rispose che il Re aveva parlato il vero, e che un suddito che aveva
assunto il titolo regio, si era chiuso ogni via al perdono(514).
Poco dopo che Monmouth venne rinchiuso nella Torre, gli fu
annunziato che la moglie, per ordine del Re, era arrivata per
vederlo. Era in compagnia del Conte di Clarendon Lord del Sigillo
Privato. Il marito le fece freddissima accoglienza, e rivolse quasi
sempre la parola a Clarendon, implorando intercedesse per lui.
Clarendon non gli porse nessuna speranza; e la sera stessa due
prelati, Turner vescovo di Ely, e Ken vescovo di Bath e Wells,
arrivarono alla Torre, recando un solenne messaggio da parte del Re.
Era la notte del lunedì. Il mercoledì prossimo Monmouth doveva
morire.
Ei cadde in grande agitazione; il sangue gli fuggì dalle guance, e
per qualche tempo non potè profferire parola. La più parte del breve
spazio di tempo che gli rimaneva, egli spese provandosi indarno di
ottenere, se non perdono, almeno una sospensione della sentenza.
Scrisse al Re ed a vari cortigiani lettere compassionevoli, ma
indarno. Gli furono dalla Corte mandati alcuni sacerdoti cattolici;
i quali tosto s'accorsero ch'egli avrebbe volentieri comprata la
vita rinnegando la religione di cui in modo speciale erasi
dichiarato difensore: nondimeno, se gli era forza morire, sarebbe
morto senza la loro assoluzione, egualmente che con quella(515).
Nè Ken e Turner rimasero satisfatti delle opinioni di lui. Secondo
loro, come secondo la maggior parte de' loro confratelli, la
dottrina della non-resistenza era il segno distintivo della Chiesa
Anglicana. I due Vescovi insistettero perchè Monmouth confessasse,
che snudando la spada contro il Governo, egli aveva commesso un gran
peccato; e in ciò lo trovarono ostinatamente eterodosso. Nè era
questa la sola delle sue eresie. Sosteneva che la sua relazione con
Lady Wentworth fosse irreprensibile agli occhi di Dio. Diceva
d'avere contratto matrimonio mentre era fanciullo. Non si era dato
mai pensiero della sua Duchessa. La felicità ch'egli non aveva
trovata in casa propria, l'aveva cercata in seno a dissoluti amori,
dannati dalla religione e dalla morale. Enrichetta era stata colei
che lo aveva redento da una vita di vizi. Ad essa egli era stato
rigorosamente fedele. Entrambi d'accordo avevano pôrte al cielo
ferventi preghiere perchè li guidasse. Dopo le quali preghiere, il
loro scambievole affetto erasi afforzato: non potevano, quindi, più
oltre dubitare che al cospetto di Dio essi erano come due sposi. I
vescovi rimasero così scandalezzati a coteste idee intorno al
vincolo coniugale, che ricusarono di ministrargli la comunione.
Tutto ciò che da lui poterono ottenere, fu la promessa, che nella
unica notte che gli restava a vivere, pregasse Iddio a largirgli
lume bastevole onde conoscere se fosse nell'errore.
Il mercoledì mattina, a sua particolare richiesta, il Dottore
Tommaso Tenison, che allora era vicario di San Martino, e in
quell'importante ufficio erasi acquistato la pubblica stima, andò
alla Torre. Da Tenison, uomo noto per moderatezza d'opinioni, il
Duca aspettavasi indulgenza maggiore di quanta gliene avessero
potuto mostrare Ken e Turner. Ma Tenison, qualunque fossero le sue
opinioni concernenti la non-resistenza in astratto, reputava la
recente ribellione sconsiderata ed iniqua, e le idee di Monmouth
rispetto al matrimonio pericolosissimo inganno. Monmouth fu
ostinato, dicendo d'avere pregato il cielo perchè lo illuminasse. I
suoi sentimenti rimanevano sempre gli stessi; e non poteva dubitare
d'essere nella diritta via. Tenison lo esortò con modo più mite di
quello che avevano adoperato i due vescovi. Ma al pari di loro,
pensò di non potere in coscienza amministrare la eucaristia ad un
uomo la cui penitenza era così poco soddisfacente(516).
L'ora appressavasi: ogni speranza era spenta: Monmouth da un timore
pusillanime era passato all'apatia della disperazione. Gli furono
condotti i figliuoli, perchè desse loro l'estremo vale; erano
accompagnati dalla moglie. Le parlò cortesemente, ma senza emozione.
Comecchè fosse donna di gran forza d'animo, e avesse poca cagione ad
amarlo, il suo dolore fu tanto, che nessuno degli astanti potè
frenare le lacrime. Egli solo non ne rimase commosso(517).
L. Battevano le ore dieci. Il cocchio del Luogotenente della Torre
era pronto. Monmouth pregò i suoi consiglieri spirituali lo
accompagnassero al luogo del patibolo; e quelli acconsentirono: ma
gli dissero, che, secondo il loro giudicio, egli stava per morire
male apparecchiato; e che dovendolo accompagnare, stimavano debito
loro esortarlo fino allo estremo momento. Passando dinanzi alle
milizie schierate, le salutò con un sorriso, e con passi fermi
ascese sul palco. Tower Hill era coperto fino ai tetti d'una
innumerevole folla di spettatori, i quali in solenne silenzio, rotto
solo da sospiri e da pianti, aspettavano d'udire le supreme parole
dell'idolo del popolo. "Dirò poco:" cominciò egli "io qui vengo non
a parlare, ma a morire. Io muoio protestante della Chiesa
Anglicana." I vescovi lo interruppero, dicendo che ove non
confessasse la resistenza essere peccato, egli non era membro della
loro Chiesa. Cominciò a parlare d'Enrichetta, e disse: lei essere
virtuosa ed onorata giovine; lui averla amata fino allo estremo, e
non poter morire senza esprimere ciò che sentiva. I vescovi di nuovo
lo pregarono non parlasse in quel modo. Seguì un alterco. I
sacerdoti sono stati accusati d'avere trattato aspramente un
moribondo. Ma sembra che solo adempissero quello che essi reputavano
debito proprio. Monmouth conosceva i loro principii, e se avesse
voluto schivare la importunità loro, non avrebbe dovuto richiedere
la loro assistenza. I loro argomenti generali contro la dottrina
della resistenza, non fecero in lui effetto veruno. Ma allorquando
gli favellarono della rovina alla quale aveva trascinati i suoi
valorosi ed affettuosi seguaci, del sangue che era stato sparso,
delle anime che s'erano presentate senza i debiti apparecchi al
tribunale di Dio, ei ne fu commosso, e disse con flebile voce: "Lo
confesso, e me ne dolgo." I sacerdoti fecero con lui lunghe e
ferventi preci; ed egli li accompagnò fino al punto in cui
invocavano la benedizione divina sul Re. Egli tacque. "Signore,"
disse uno di loro "non pregate con noi per il Re?" Monmouth, dopo
una tenzone fra il sì e il no, esclamò "Amen." Ma indarno i prelati
lo scongiurarono di dirigere ai soldati ed al popolo poche parole
onde esortarli ad obbedire al Governo. "Io non vo' fare discorsi"
rispose. - "Solo poche parole, o Milord." Volse le spalle, chiamò il
suo servo, gli pose nelle mani un astuccio da stecchini, ultimo
pegno d'un amore sventurato, dicendogli: "Recalo a colei." Allora si
fe' presso al carnefice Giovanni Ketch, scellerato uomo che aveva
macellate molte valorose e nobili vittime, e il cui nome per un
secolo e mezzo è stato regolarmente appiccato a tutti coloro che gli
succedevano nell'odioso mestiere(518). "Ecco" disse il Duca "sei
ghinee per voi. Non fate a me ciò che faceste a Lord Russell. Mi è
stato detto che gli deste tre o quattro colpi. Il mio servo vi darà
dell'altro oro, se voi farete bene l'ufficio vostro." Allora
spogliossi, tastò il taglio della scure, disse che temeva non fosse
bene affilato e adattò il capo sul ceppo. I sacerdoti frattanto
seguitavano ad esclamare con gran forza: "Dio accolga il vostro
pentimento; Dio accolga il vostro imperfetto pentimento."
Il boia si pose in atto di fare il proprio ufficio. Ma erasi
conturbato alle parole del Duca. Il primo colpo fece soltanto un
lieve taglio. Il Duca si divincolò, rizzossi dal ceppo, fulminando
cogli occhi il carnefice, poi ripiegò il capo. Il colpo fu ripetuto
due e tre volte, ma tuttavia il capo non era separato dal tronco il
quale seguiva a divincolarsi. La folla mandava urli d'orrore e di
rabbia. Ketch, bestemiando, gittò via la scure, e disse: "Non posso
farlo; il cuore mi manca." - "Ripiglia la scure," gridò lo sceriffo.
- "Gettatelo giù dal palco," urlò la folla. Finalmente il carnefice
riprese la scure, e con due altri colpi lo finì; ma gli fu d'uopo
usare un coltello per ispiccare il capo dal collo. La folla fu presa
da tanta frenesia di rabbia, che il boia fu quasi per essere
sbranato, e venne condotto via fra mezzo a numerose guardie(519).
In quel mentre, molti tuffavano i loro fazzoletti nel sangue di
Monmouth; avvengachè da gran parte della folla venisse considerato
come un martire, che era morto per la religione protestante. Il capo
mozzo e il tronco furono posti in un feretro coperto d'una coltre di
velluto nero, e sotterrati senza pompa sotto la tavola della
comunione della Cappella di San Pietro nella Torre. Dopo quattro
anni, il pavimento del santuario fu di nuovo smosso; e accanto alle
ossa di Monmouth, furono sepolte quelle di Jeffreys. In vero, non
v'è sulla terra luogo più tristo di questo piccolo cimitero. La idea
della morte ivi è congiunta, non come in Westminster o in San Paolo,
con quella del genio e della virtù, della venerazione pubblica e
della fama gloriosa; non come nelle nostre chiese e campisanti più
umili, con ciò che v'è di più dolcemente diletto nella carità
sociale e domestica: ma con ciò che vi è di più funesto nella umana
natura e nelle sorti umane; col barbaro trionfo di nemici
implacabili; con la incostanza, la ingratitudine, la codardia degli
amici; con tutte le miserie della grandezza caduta e della fama
infame. Ivi sono state deposte, per tanti anni e tanti, dalle ruvide
mani de' carcerieri, senza pianto di amici, le reliquie di uomini
che sono stati capitani d'eserciti, capi di partiti, oracoli di
senati, ed ornamenti di Corti. Ivi fu trasportato, avanti alla
finestra dove Giovanna Grey soleva pregare, lo sbranato cadavere di
Guildford Dudley. Ivi riposa, accanto al fratello da lui
assassinato, Eduardo Seymour, Duca di Somerset, e Protettore del
Regno. Ivi è fatto cenere il tronco di Giovanni Fisher, Vescovo di
Rochester e Cardinale di San Vitale, uomo degno di essere vissuto in
età migliore, e d'esser morto per una miglior causa. Ivi giace
Giovanni Dudley, Duca di Northumberland, Lord Grande Ammiraglio; e
Tommaso Cromwell, Conte di Essex, Lord Tesoriere. Ivi anche è un
altro Essex, sul quale la natura aveva profuso invano tutto il
tesoro de' suoi doni; e che il valore, la grazia, lo ingegno, il
regio favore, i plausi popolari condussero a prematura e ignominiosa
morte. Nè molto discosto dormono due capi della gran Casa di Howard;
Tommaso, quarto Duca di Norfolk, e Filippo, undecimo Conte
d'Arundel. Qua e colà, fra le spesse sepolture d'irrequieti ed
ambiziosi uomini di Stato, giacciono alcune vittime più delicate;
Margherita di Salisbury, ultima reliquia dell'altero nome di
Plantageneto; e quelle due leggiadre regine spente dalla gelosa
rabbia d'Enrico. Con le ceneri di questi cotali fu mescolata la
cenere di Monmouth(520).
Pochi mesi dopo, il tranquillo villaggio di Toddlington, nella
Contea di Bedford, vide un assai più tristo funerale. Presso a quel
villaggio innalzavasi una antica e splendida magione, dove abitavano
i Wentworth. La loro sepoltura era sempre stata sotto l'arcata di
mezzo della chiesa parrocchiale. Quivi, nella primavera che seguì
alla morte di Monmouth, fu trasportato il feretro della giovine
baronessa Wentworth di Nettlestede. La famiglia le innalzò un
sontuoso mausoleo: ma un suo ricordo meno dispendioso fu per lungo
tempo ammirato con più profondo interesse. Il suo nome intagliato da
lui ch'ella aveva cotanto amato, potevasi, pochi anni sono,
discernere sul tronco d'un albero del parco contiguo.
LI. Lady Wentworth non era la sola che amasse con immenso affetto la
memoria del Duca. La immagine di lui rimase impressa nel cuore del
popolo, finchè la generazione che lo aveva conosciuto non fu spenta.
Nastri, fiocchi, ed altre simiglianti inezie portate da lui, furono
venerate come preziose reliquie da coloro che avevano sotto lui
pugnato a Sedgemoor. I vecchi che gli sopravvissero, desideravano,
sul punto di morire, che que' cari ricordi fossero con loro sepolti.
Un bottone d'oro filato, che a mala pena potè evitare tale destino,
anche oggi si vede in una casa d'onde si scuopre il campo della
battaglia. Anzi, tanta era la devozione che il popolo portava al suo
prediletto, che, non ostante la più forte prova che possa rendere
indubitabile il fatto d'una morte, molti seguitavano a illudersi
della speranza che il Duca fosse vivo, e dovesse tosto mostrarsi in
armi. Un uomo, dicevano, che mirabilmente somigliava Monmouth, si
era sacrificato per salvare lo eroe de' protestanti. Il volgo
continuò per lungo tempo, in ogni grave occasione, a bisbigliare che
il giorno era vicino, e che il Re Monmouth sarebbe tra poco
riapparso. Nel 1686, un ribaldo che si spacciava pel Duca, ed aveva
ragunata pecunia in diversi villaggi della Contea di Wilt, fu preso
e fustigato da Newgate fino a Tyburn. Nel 1698, allorchè la
Inghilterra da parecchi anni godeva la libertà costituzionale sotto
una nuova dinastia, il figlio di un locandiere si fece credere, fra
mezzo ai piccoli possidenti di Sussex, il loro amato Monmouth, e
frodò molti che non erano dell'infima classe. Gli venne fatta una
colletta di cinquecento lire sterline. I fattori gli diedero un
cavallo. Le mogli loro gli mandarono ceste piene di polli e
d'anitre, e gli si mostrarono generose, secondo che fu detto, di
favori più teneri; imperocchè, rispetto alla galanteria per lo meno,
la copia non era indegna di rappresentare l'originale. Come
quell'impostore fu gettato in prigione, i suoi creduli seguaci lo
mantenevano con lusso. Alcuni di loro comparvero in tribunale per
dargli animo allorquando fu processato nella Corte di Horsham. E
tanto durò lo inganno, che Giorgio III era già da parecchi anni sul
trono, che Voltaire estimò necessario confutare seriamente la
ipotesi, che l'uomo dalla maschera di ferro fosse il Duca di
Monmouth(521).
Forse egli è un fatto poco meno notevole, che fino ad oggi gli
abitatori di alcuni luoghi delle contrade occidentali d'Inghilterra,
qualvolta qualche legge concernente i loro interessi discutesi nella
Camera de' Lordi, si reputano in diritto di chiedere soccorso al
Duca di Buccleuch, discendente dello sventurato capo pel quale i
loro antecessori versarono il proprio sangue.
La storia di Monmouth basterebbe sola a confutare lo addebito
d'incostanza che di frequente suole gettarsi sopra il basso popolo.
I popoli talvolta sono incostanti, perchè sono esseri umani. Ma che
siano tali paragonati alla gente educata, voglio dire alle
aristocrazie o ai principi, può sicuramente negarsi. Sarebbe agevole
recare esempi di demagoghi, la cui popolarità sia rimasta ferma,
laddove i sovrani e i parlamenti hanno tolta la già data fiducia a
molti uomini di Stato. Mentre Swift seguitò a vivere molti anni
scemo delle facoltà intellettive, la plebe irlandese continuava
sempre ad accendere fuochi di gioia nel giorno natalizio del celebre
scrittore, in commemorazione de' servigi, che, secondo la comune
credenza, egli aveva resi alla patria nel tempo in cui la sua mente
era in pieno vigore. Mentre sette ministeri furono innalzati al
potere e cacciati via a cagione degli intrighi di Corte, o de'
mutamenti d'opinione delle alte classi della società, il dissoluto
Wilkes non perdè mai l'affezione d'una marmaglia da lui spogliata e
derisa. Gli uomini politici che, nel 1807, s'erano studiati
d'ingraziarsi a Giorgio III difendendo Carolina di Brunswick, non
arrossirono, nel 1820, di ambire al favore di Giorgio IV,
perseguitandola. Ma nel 1820, come nel 1807, tutta la classe degli
operai con fanatico ardore parteggiava per lei. La cosa medesima
avvenne di Monmouth. Nel 1680, era stato adorato e dai gentiluomini
e da' contadini delle contrade occidentali. Nel 1685 mostrossi di
nuovo. Ai gentiluomini era diventato obietto d'avversione; dai
contadini era tuttavia amato con un affetto forte come la morte, con
un affetto non estinguibile per infortuni o per falli, per la fuga
da Sedgemoor, per la lettera di Ringwood, o per le querule ed
abiette supplicazioni in Whitehall. Lo addebito che equamente può
darsi al popolo, sta in ciò, ch'esso non è incostante, ma elegge
sempre il suo prediletto così male, che la sua costanza diventi
vizio, e non virtù.
LII. Mentre la decapitazione di Monmouth occupava le menti di tutti
in Londra, le Contee che erano insorte contro il Governo pativano
tutte le enormezze che una feroce soldatesca possa commettere.
Feversham era stato chiamato a Corte, dove lo aspettavano onori e
rimunerazioni ch'ei poco meritava. Fu fatto cavaliere della
Giarrettiera, e capitano del primo e più lucroso reggimento delle
Guardie del Corpo: ma la Corte e la Città ridevano delle sue imprese
militari; e lo spirito di Buckingham fece l'ultime sue prove a
schernire il guerriero che aveva riportata una vittoria standosi a
poltrire sul letto(522). Feversham lasciò il comando in Bridgewater
al Colonnello Percy Kirke, avventuriero militare, ch'erasi educato
al vizio nella peggiore di tutte le scuole, cioè in Tangeri. Kirke,
pel corso d'alcuni anni, aveva comandato il presidio di quella
città, occupato in continue ostilità contro le tribù de' Barbari,
ignari delle leggi che governano le nazioni incivilite e cristiane.
Dentro le mura della propria fortezza egli imperava da despota.
L'unico freno alla sua tirannide era il timore d'esser chiamato a
render conto da un lontano e spensierato Governo. Poteva, quindi,
con sicurtà sbrigliarsi ai più audaci eccessi di rapacità, di
crudeltà, di licenza. Viveva con immensa dissolutezza, e con le
estorsioni procuravasi i mezzi di satisfarla. Nessuna mercatanzia
poteva vendersi finchè Kirke non l'avesse rifiutata. Non si poteva
decidere questioni di diritto finchè Kirke non ne avesse ricevuto il
prezzo. Una volta, solo per capriccio di malignità, versò tutto il
vino della cantina di un oste. Un'altra volta cacciò via tutti gli
Ebrei da Tangeri; due de' quali egli mandò alla Inquisizione
Spagnuola, che tosto li arse vivi. Sotto cotesto giogo di ferro non
s'udiva un lamento, imperocchè il terrore teneva in freno l'odio.
Due individui che gli si erano mostrati disobbedienti, furono
trovati morti; e fu universale credenza che fossero stati
assassinati per ordine di Kirke. Quando i soldati spiacevangli, li
faceva flagellare con severità spietata; ma li compensava
permettendo che dormissero alle vedette, vagassero, rubassero,
percotessero e insultassero i mercatanti e gli operai.
Allorchè Tangeri fu abbandonata, Kirke ritornò in Inghilterra.
Seguitò a tenere il comando de' suoi vecchi soldati, i quali
talvolta chiamavansi Primo Reggimento Tangeri, e tal altra
Reggimento Regina Caterina. E perchè erano stati ordinati con lo
scopo di far guerra ad un popolo infedele, portavano nella bandiera
un emblema cristiano, lo Agnello Pasquale. In allusione a siffatto
emblema e in senso di acre ironia, cotesti uomini, i più feroci
delle inglesi milizie, chiamavansi gli Agnelli di Kirke (Kirk's
Lambs). Questo reggimento, che ora è il secondo di linea, serba
tuttora l'antica insegna, che poscia riceveva nuovo splendore per le
decorazioni acquistate onoratamente in Egitto, in Ispagna e nel
cuore dell'Asia(523).
Tale era il capitano e tali i soldati, i quali furono scagliati
addosso alle popolazioni della Contea di Somerset. Kirke da
Bridgewater marciò a Taunton. Era accompagnato da due carriaggi
pieni di ribelli feriti, le cui piaghe non erano fasciate, e da una
lunga fila di prigioni che andavano a piedi, due a due incatenati.
Vari di costoro egli impiccò appena giunto a Taunton, senza forma
nessuna di processo. Non fu loro conceduto nè anche dire l'ultimo
addio ai più stretti parenti. Serviva di forca la insegna di White
Hart Inn. Dicesi che gl'impiccamenti si facessero di faccia alle
finestre dove i soldati di Tangeri gozzovigliavano, e che ad ogni
brindisi si impiccasse un prigioniero. Come i morenti dimenavano le
gambe nell'ultima agonia, il colonnello faceva battere i tamburi,
dicendo di volere accompagnare con la musica la danza de' ribelli.
La tradizione vuole che ad uno de' prigioni non fu nè anche concessa
la grazia di farlo prontamente morire. Due volte fu appeso al posto,
e due calato a terra. Due volte gli fu chiesto se era pentito del
tradimento, e due egli rispose che se la impresa era da farsi
nuovamente, egli l'avrebbe rifatta daccapo. Allora gli fu messo il
capestro per l'ultima volta. Fu tanto il numero de' cadaveri
squartati, che il carnefice stavasi nel sangue fino alle gambe. Era
aiutato da un povero uomo, il quale essendo caduto in sospetto, fu
forzato a redimere la propria vita bollendo nella pece i cadaveri
de' propri fratelli. Il contadino che aveva assentito a compiere
questo ufficio, ritornò poscia al proprio aratro. Ma un segno come
quello di Caino gli rimase impresso sulla fronte. Era conosciuto nel
suo villaggio col nome di Maso Bolli-uomini (Boilman). I villici per
lungo tempo seguitarono a narrare, che, quantunque egli con la sua
opera di peccato e di vergogna si salvasse dalla vendetta degli
Agnelli, non aveva evitata quella del cielo. Infuriante una forte
procella, ei corse a ricoverarsi sotto una quercia, e lì fu
incenerito da un fulmine(524).
Il numero di coloro che in tal guisa furono macellati, non si
conosce con certezza. Nove furono registrati ne' libri mortuari
della parrocchia di Taunton; ma que' libri contengono i nomi di
coloro che ebbero sepoltura cristiana. Coloro che furono impiccati
in catene, e coloro, le teste e le membra de' quali furono mandate
ai circostanti villaggi, dovettero essere un numero molto maggiore.
Credevasi in Londra, a quel tempo, che Kirke, nella settimana che
seguì alla battaglia, facesse morire cento prigioni(525).
Nondimeno, la crudeltà non era l'unica passione di questo uomo.
Amava il danaro, e non era novizio nell'arte di estorcere. Per
quaranta lire sterline poteva ottenersi un salvocondotto, col quale,
comecchè fosse di nessun valore al cospetto della legge, il
compratore poteva passare senza molestia per i posti militari degli
Agnelli, onde ridursi ad un porto di mare, e rifugiarsi ad un paese
straniero. Le navi che dovevano mettere alla vela per la Nuova
Inghilterra, trovaronsi in quell'occasione così affollate di
fuggitivi di Sedgemoor, che si correva pericolo le provvigioni non
bastassero al viaggio(526).
Kirke, non ostante la rozza e feroce indole sua, amava anche i
piaceri; e nulla è più probabile di ciò ch'egli si giovasse del
proprio potere a sbramare le sue lussuriose voglie. Fu detto ch'egli
avesse vinta la virtù d'una donna onesta, promettendole di salvare
la vita ad un uomo da lei svisceratamente amato; e dopo ch'ella ebbe
ceduto, le mostrasse appeso alle forche il cadavere di colui, per
amore del quale la sventurata aveva sacrificato il proprio onore.
Ogni giudice imparziale è forza che non presti fede a siffatta
novella, non essendovi prova che la confermi. La più antica autorità
su cui si possa appoggiare, è una poesia scritta da Pomfret. Gli
storici più insigni di quell'età, mentre discorrono i delitti di
Kirke, o non ricordano punto cotesta atrocissima scelleratezza, o la
rammentano come cosa vociferata, ma senza prove. Coloro che la
raccontano, la descrivono con tali varianti, da renderla
incredibile. Alcuni pongono la scena in Taunton, altri in Exeter.
Chi dice la eroina della novella fosse una fanciulla, chi una sposa.
Questi affermano che colui che ella intendeva redimere col proprio
disonore, le fosse padre: quegli altri fratello, ed altri ancora
marito. Inoltre la storiella, innanzi che Kirke fosse nato, era
stata detta di molti altri oppressori, ed era divenuta têma
avidamente trattato dagli scrittori di drammi e di novelle. Due
uomini politici del secolo decimoquinto, Rhynsault, il prediletto di
Carlo il Temerario Duca di Borgogna, ed Oliviero le Dain, il
prediletto di Luigi XI di Francia, erano stati accusati del medesimo
delitto. Cintio lo aveva tolto a subietto di un suo romanzo;
Whetstone dal racconto di Cintio aveva desunto il rozzo dramma di
Promo e Cassandra; e Shakespeare avea tolto da Whetstone lo
intrecciò della sua insigne Tragicommedia, che chiamò Misura per
Misura. E come Kirke non fu il primo, così non fu nè anche l'ultimo,
cui la voce popolare attribuisse cotesto eccesso di malvagità.
Mentre in Francia infuriava la reazione che seguì alla tirannide de'
Giacobini, una similissima colpa fu apposta a Giuseppe Lebon, che
era uno de' più odiosi strumenti del Comitato di Salute Pubblica; e
dopo esame, anco i suoi persecutori conclusero che non aveva alcun
fondamento(527).
Il Governo era mal satisfatto di Kirke, non per la barbarie con che
aveva trattati i suoi prigioni poveri, ma per la venale mitezza che
aveva dimostra ai colpevoli ricchi(528). Fu, dunque, sollecitamente
richiamato. Nel medesimo tempo era per compiersi una meno illegale e
insieme più cruda strage. La vendetta venne differita per alcune
settimane. Desideravasi che non si principiasse il giro per le
contrade occidentali finchè gli altri non fossero terminati.
Infrattanto, le carceri delle Contee di Somerset e di Dorset
rigurgitavano(529) di migliaia di prigioni. Il migliore amico e
protettore di cotesti infelici in quella estremità, fu uno che
abborriva le loro opinioni religiose e politiche, e al quale essi
avevano senza provocazione fatto del male; voglio dire il vescovo
Ken. Il buon prelato adoperò ogni mezzo per ammansare i carcerieri,
e dalla sua propria mensa vescovile diede soccorsi per potere
migliorare il rozzo e scarso alimento di coloro che gli avevano
guasta la sua cara Chiesa Cattedrale. La sua condotta in quel caso
era in armonia con tutta la sua vita. Aveva, a dir vero, intenebrato
lo intelletto da molte superstizioni e molti pregiudizi; ma il suo
carattere morale, ove imparzialmente si giudichi, sta al paragone
con qualsivoglia altro nella storia ecclesiastica, e sembra farsi da
presso, per quanto concede la infermità della umana natura, alla
perfezione ideale della virtù cristiana(530).
LIII. Questa sua opera di carità non durò lungo tempo. Pensavasi già
a spopolare rapidamente ed efficacemente le carceri. In sul
principiare di settembre, Jeffreys, accompagnato da quattro altri
giudici, cominciò quel giro la cui memoria durerà quanto la nostra
razza e la lingua nostra. Gli ufficiali che comandavano le truppe
nei distretti dove egli doveva recarsi, ebbero ordini di prestargli
qualunque forza militare avesse potuto richiedere. La ferocità
dell'indole sua non aveva mestieri di sprone; e nondimeno gli fu
dato incitamento. Al Lord Cancelliere andavano mancando la salute e
gli spiriti. Era stato profondamente afflitto dalla freddezza del Re
e dalla insolenza del Capo Giudice; e poco era il conforto che
poteva trovare gettando lo sguardo sopra la trascorsa sua vita, la
quale, se non era infamata da alcuno atroce delitto, era lorda di
vigliaccheria, di amore di sè e di servilità. L'infelice ne rimase
così profondamente umiliato, che allorquando comparve per l'ultima
volta in Westminster Hall, aveva in mano un mazzetto di fiori per
nascondersi il viso; perocchè, secondo egli stesso confessò poscia,
non poteva sostenere lo aspetto della tribuna e degli uditori. E'
sembra che la idea della vicina morte gl'inspirasse insolito
coraggio. Deliberò di alleggiare la propria coscienza(531), chiese
un'udienza al Re, parlò con zelo dei pericoli che inseparabilmente
accompagnano i violenti ed arbitrari consigli, e riprovò le illegali
crudeltà commesse dai soldati nella Contea di Somerset. Poco dopo si
partì da Londra per andare a morire. Mandò l'ultimo fiato pochi
giorni dopo che i giudici erano partiti per le contrade occidentali.
Venne subito dato annunzio a Jeffreys, che poteva aspettarsi il Gran
Sigillo in premio di fedeli e vigorosi servigi(532).
LIV. In Whinchester il Capo Giudice aprì le sessioni della sua
commissione. La Contea di Hamp non era stata il teatro della guerra;
ma molti de' vinti ribelli s'erano, come il loro capo, quivi
rifuggiti. Due di loro, Giovanni Hickes, teologo non-conformista, e
Riccardo Nelthorpe, giureconsulto posto fuori la legge per avere
avuta parte nella congiura di Rye House, avevano cercato asilo nella
casa di Alice, vedova di Giovanni Lisle. Giovanni Lisle aveva seduto
nel Lungo Parlamento e nella Alta Corte di Giustizia, era stato
Commissario del Gran Sigillo a tempo della Repubblica, ed era stato
creato Lord da Cromwell. Questi titoli datigli dal Protettore, non
erano stati riconosciuti da nessuno de' Governi che avevano retta la
Inghilterra dopo la caduta della casa di Cromwell; ma sembra che,
conversando, venissero dati a Lisle anche da' realisti. La vedova di
lui, quindi, era comunemente conosciuta col nome di Lady Alice. Era
imparentata a molte rispettabili e ad alcune nobili famiglie, ed era
generalmente stimata anco dai gentiluomini Tory della sua Contea.
Imperciocchè costoro bene conoscevano, avere essa riprovati taluni
atti di violenza a' quali il suo marito aveva partecipato, sparse
amare lacrime sopra la sorte di Carlo I, e protetti e aiutati nella
loro miseria molti Cavalieri. La stessa donnesca cortesia, onde era
stata mossa a mostrarsi amichevole ai realisti, mentre loro volgeva
avversa la sorte, non gli consentì di ricusare un pane e un
nascondiglio agli sciagurati che adesso la scongiuravano di
proteggerli. Gli accolse in casa propria, dette loro cibo e bevanda,
e luogo di riposo. Il dì dopo, la sua casa fu circuita di soldati.
Cercarono dappertutto. Hickes fu trovato nascosto nella cantina, e
Nelthorpe dentro il camino. Se Lady Alice conosceva gli ospiti suoi
essere stati implicati nella insurrezione, senza dubbio era rea di
ciò che rigorosamente si chiama delitto capitale. Imperocchè la
legge che distingue il principale dallo accessorio, rispetto ad alto
tradimento, era allora, ed è tuttavia tale, che disonora la
Giurisprudenza inglese. Nei casi di fellonia, una distinzione
fondata sopra la giustizia e la ragione è da farsi tra principale ed
accessorio dopo il fatto. Chiunque asconda alla giustizia un uomo
ch'egli sa essere un assassino, comunque meriti una pena, non è
meritevole della pena debita all'assassino; ma chiunque dia ricovero
ad un uomo ch'egli sa essere traditore, è, secondo la sentenza di
tutti i nostri giuristi, reo d'alto tradimento. Non è mestieri
dimostrare l'assurdità e la crudeltà d'una legge che comprende nella
medesima definizione, e punisce della stessa pena, delitti che
stanno agli opposti estremi nell'ordine della colpa. Il sentimento
che fa rabbrividire il suddito più leale al pensiero di porre a
vergognosa morte il ribelle, che vinto, inseguito, e in agonia
mortale, chiegga un morso di pane e un po' d'acqua, può essere
debolezza; ma è debolezza strettamente congiunta alla virtù;
debolezza la quale, nel modo onde è formato l'essere umano, mal
possiamo sradicare dall'animo, senza svellere con essa molti altri
nobili e benevoli sentimenti. Un savio e buono legislatore potrebbe
reputare giusto non sanzionare tal debolezza; ma quasi sempre vi si
mostrerà connivente, e la punirà con moderazione. In nessun caso la
considererà come un delitto della più brutta specie. Se Flora
Macdonald bene operasse nascondendo il condannato erede degli
Stuardi, se un valoroso soldato de' tempi nostri bene operasse
aiutando Lavalette a fuggire, sono quistioni intorno alle quali i
casuisti potrebbero variamente opinare: ma porre tali azioni nella
medesima classe coi delitti di Guido Faux e di Fieschi, è un fare
oltraggio alla umanità e al senso comune. Tale, nondimeno, è la
classificazione della nostra legge. È manifesto che nulla altro che
un mite Governo potrebbe rendere sopportabile siffatta condizione
della legge. Ed è giusto dire, che pel corso di molte generazioni
nessun Governo inglese, tranne uno solo, ha trattato con rigore le
persone ree solamente di avere protetto gli sconfitti e gl'insorti
fuggitivi. Alle donne, in ispecie, è stato concesso, come per una
tal quale tacita prescrizione, il diritto d'usare fra mezzo alle
devastazioni e alle vendette quella pietà, che è il più caro di
tutti i loro vezzi. Sino dallo scoppio della gran guerra civile,
numerosi ribelli, alcuni de' quali erano uomini ben altrimenti
importanti che Hickes e Nelthorpe, sono stati protetti, contro la
severità di governi vittoriosi, dalla destrezza e generosità
femminile. Ma nessun sovrano inglese cui sia fuggita di mano la
preda, salvo il feroce e implacabile Giacomo, ebbe mai la barbarie
nè anche di pensare a porre una donna a cruda e vergognosa morte,
per una cotanto veniale e caritatevole trasgressione.
Per quanto odiosa fosse la legge, fu d'uopo stiracchiarla a fine di
uccidere Alice Lisle. Secondo la dottrina sostenuta da' più insigni
autori, ella non poteva essere dichiarata convinta, fino a che non
fossero stati dichiarati tali i ribelli da essa ospitati(533). Ciò
non ostante, fu trascinata al tribunale innanzi che a Hickes o a
Nelthorpe fosse fatto il processo. In quel caso non era agevole
ottenere una sentenza a seconda delle voglie del principe. I
testimoni tergiversavano. I Giurati, che erano i principali
gentiluomini della Contea di Hamp, raccapricciavano al pensiero di
mandare una povera creatura a morire, per essersi condotta in guisa
da meritare lode meglio che biasimo. Jeffreys era furibondo;
avvegnachè, essendo questo il primo caso di crimenlese ch'egli
trattava nell'intrapreso giro, sembrasse assai probabile che la
preda gli avesse a fuggire dalle unghie. Tempestava, malediceva,
bestemmiava con parole di che nessun uomo bene educato avrebbe fatto
uso in una corsa o in un combattimento di galli. Uno de' testimoni,
chiamato Dunne, in parte commosso per Lady Alice, in parte atterrito
dalle minacce e maledizioni del Capo Giudice, perdè affatto il
cervello, e in fine si tacque. "Oh! come è dura la verità" disse
Jeffreys "ad uscir fuori dalle labbra d'un ribaldo e bugiardo
presbiteriano!" Il testimone, dopo pochi minuti, balbettò poche
parole vuote di senso: "Vi fu mai" esclamò il Giudice con una
bestemmia, "vi fu egli mai sopra la faccia della terra un
simigliante scellerato? Credi tu che vi è un Dio? Credi tu nel fuoco
dell'inferno? Tra tutti i testimoni che mi sono capitati fra le
mani, non ne ho mai veduto uno simile a te." Il povero uomo,
insensato per terrore, nuovamente si tacque; e nuovamente Jeffreys
urlò: "Spero, Signori Giurati, che voi notiate l'orribile condotta
di costui. Come si può egli fare a meno di non abborrire costoro e
la religione che professano? Un Turco è un santo in agguaglio di
codesto sciagurato. Un pagano arrossirebbe di tanta ribalderia. Gesù
benedetto! Fra quale genia di vipere ci è toccato di vivere!" - "Io
non so che dire, mio signore," disse tremando Dunne. Il Giudice di
nuovo con una mitraglia di bestemmie. "Vi fu egli mai al mondo"
gridò "più impudente briccone? Fate lume, ch'io possa vedere il suo
viso di bronzo. Voi, o gentiluomini, che siete consiglieri della
Corona, badate di pronunciare contro costui una sentenza che lo
dichiari spergiuro." Dopo che i testimoni furono siffattamente
esaminati, Lady Alice fu chiamata a difendersi. Cominciò dicendo, -
il che poteva esser vero, - che quantunque ella si fosse accorta del
turbamento di Hickes allorquando lo accolse in casa, non sapeva nè
sospettava che fosse implicato nella ribellione. Egli era ministro
di Dio, ed uomo di pace. Non poteva ella, dunque, pensare ch'egli
avesse prese le armi contro il Governo; e aveva supposto ch'ei si
volesse nascondere perchè v'erano contro lui mandati d'arresto per
avere predicato in piazza. Il Capo Giudice si mise a tempestare: "Ma
ve lo dirò io. Non v'è un solo tra questi bugiardi e piagnolosi
presbiteriani, che, d'un modo o d'un altro, non abbia avuto mano
nella ribellione. Il Presbiterianismo comprende ogni specie di
scelleraggine. Null'altro fuorchè il Presbiterianismo ha potuto
rendere Dunne ribaldo. Mostrami un presbiteriano, e ti mostrerò un
bugiardo." Riepilogò il caso col medesimo tono, declamò per un'ora
contro i Whig e i Dissenzienti, e rammentò ai Giurati come il marito
della colpevole avesse avuto parte nella morte di Carlo I; fatto non
provato da veruna testimonianza; e se provato, sarebbe stato di
nessun peso nel caso della donna. I Giurati si ritrassero, e
rimasero lungo tempo a deliberare. Il Giudice divenne impaziente,
dicendo di non potere intendere in che modo, in un caso così chiaro,
essi s'erano alzati dal seggio. Mandò un messo a dire loro, che se
non si spicciavano subito, avrebbe aggiornata la Corte, e gli
avrebbe chiusi a chiave tutta la notte. Così posti alla tortura,
uscirono fuori, ma per dire che dubitavano se esistesse la reità.
Jeffreys li rimproverò con veemenza; ed essi, dopo un'altra
deliberazione, profferirono ripugnanti l'opinione che affermava la
esistenza della colpa.
Il dì seguente fu pronunciata la sentenza. Jeffreys ordinò che Lady
Alice fosse arsa viva quel giorno stesso. Questo eccesso di barbarie
mosse a pietà ed a sdegno anche i più ardenti partigiani della
Corona. Il clero della Cattedrale di Winchester protestò dinanzi al
Capo Giudice, il quale, comunque di brutale natura, non era così
stolto da porsi al pericolo d'una contesa sopra tale subietto con
una classe tenuta in tanta riverenza dal partito Tory. Consentì a
differire a cinque giorni la esecuzione della sentenza. Nel qual
tempo, gli amici della sventurata scongiurarono Giacomo a mostrarsi
clemente. Varie dame d'alto grado intercessero per lei. Feversham,
la cui influenza in Corte era cresciuta per la fresca vittoria, e
che, come ne corse la voce, era stato comprato all'uopo, parlò a
favore di Lady Alice. Clarendon, cognato del Re, orò similmente per
lei. Ma tutto fu vano. Il più che potè ottenersi, fu che la condanna
al fuoco venisse(534) commutata con la decapitazione. La donna si
sobbarcò con coraggiosa calma al proprio fato, e le fu mozzo il capo
sul palco nel mercato di Winchester(535).
LV. Nell'Hampshire, Alice Lisle fu la sola vittima; ma il giorno che
seguì alla sua decapitazione, Jeffreys giunse a Dorchester, città
principale della Contea nella quale Monmouth era sbarcato, ed ebbe
principio la strage giudiciale.
Il tribunale, per ordine del Capo Giudice, fu parato di scarlatto;
la qual novità parve al popolo indicare sanguinosi proponimenti. Si
disse anche, che quando il prete il quale predicò in occasione
dell'aprirsi della Corte, insistè sul dovere della misericordia, il
Giudice sorrideva ferocemente digrignando i denti; la qual cosa fu
tenuta a sinistro augurio di ciò che era per eseguire(536).
Trecento e più erano i prigioni ai quali doveva farsi il processo.
La impresa pareva grave; ma Jeffreys aveva immaginato come renderla
lieve. Fece intendere che l'unico mezzo di ottenere perdono o
mitezza di pena, era il confessarsi colpevole. Ventinove individui,
i quali confidavano nello spirito patrio, dichiarati convinti,
furono senza alcun indugio legati insieme. Gli altri prigioni si
confessarono rei a centinaia. Contro dugentonovantadue fu profferita
sentenza di morte. Coloro che vennero impiccati nella Contea di
Dorset furono settantaquattro.
Da Dorchester Jeffreys si condusse ad Exeter. La guerra civile era
giunta appena alle frontiere del Devonshire. Quivi, dunque,
comparativamente poche furono le persone condannate a morire. La
Contea di Somerset, sede precipua della ribellione, era stata
serbata all'ultima e più tremenda vendetta. In quella Contea,
dugentotrentatrè prigioni in pochi giorni furono impiccati,
strascinati per le vie, e squartati. In ogni luogo dove due strade
s'incrociassero, in ogni mercato, sul prato d'ogni grosso villaggio
che avesse dati soldati a Monmouth, cadaveri in catene sbattuti dal
vento, o teschi e membra confitti sui pali, attoscavano l'aria, e
facevano inorridire i viandanti. In molte parrocchie, il contadiname
non poteva ragunarsi nella casa di Dio, senza vedere il teschio del
vicino digrignante i denti dal portico. Il Capo Giudice si trovava
nel proprio elemento. Come procedeva l'opera di sangue, ei si
sentiva rifare d'animo. Sghignazzava, mandava gridi di gioia,
scherzava, bestemmiava da farsi credere da mattina a sera briaco. Ma
in lui non era facile distinguere la frenesia prodotta dalle
malvagie passioni, da quella cagionatagli da' liquori spiritosi. Uno
de' prigioni protestò che i testimoni addottigli contro non erano
degni di fede. Uno di loro, ei disse, era un papista, l'altro una
prostituta. "Svergognato ribelle," esclamò il Giudice "osi fare
riflessioni sui testimoni del Re? Ti vedo, scellerato, già ti vedo
col capestro al collo." Un altro dichiarò d'essere buon protestante.
"Protestante!" disse Jeffreys; "volete intendere presbiteriano; ci
scommetterei. Io so fiutare un presbiteriano a quaranta miglia di
distanza." Un malarrivato uomo mosse a pietà anche i Tory più
acerrimi. "Milord," dissero eglino "questa povera creatura vive
della carità della parrocchia." - "Non pensate," disse il Giudice
"libererò io la parrocchia di cotesto carico." Non erano solo i
prigioni coloro che erano segno al suo furore. Gentiluomini e nobili
di gran conto e d'intemerata lealtà, i quali provavansi di fargli
conoscere qualche circostanza attenuante, erano quasi certi di
ricevere ciò che egli, nello sconcio dialetto da lui imparato nelle
osterie di Whitechapel, chiamava un colpettino con la parte aspra
della sua lingua. A Lord Starnell, Pari Tory, il quale non potè
frenare il ribrezzo ch'egli provava vedendo l'iniquissimo modo di
macellare i suoi vicini, in punizione venne appeso alla porta del
parco un cadavere in catene(537). Da tali spettacoli ebbero origine
molti terribili racconti, che gli agricoltori della Contea di
Somerset solevano narrare col bicchiere colmo di sidro ai fuochi di
Natale. Negli ultimi quaranta anni, i contadini, in alcune contrade,
ben conoscevano i luoghi maledetti, e dopo il tramonto vi passavano
mal volentieri(538).
Jeffreys gloriavasi d'avere impiccati più traditori egli solo, che
non tutti insieme i suoi predecessori dal tempo della Conquista in
poi. Certo è che il numero dei giustiziati da lui in un mese e in
una Contea, sorpassò quello di tutti i delinquenti politici che sono
stati giustiziati nell'isola nostra dalla Rivoluzione in qua. Le
ribellioni del 1715 o del 1745, durarono più lungamente, e furono
più estese e di più formidabile aspetto di quella che fu spenta in
Sedgemoor. Non si è comunemente creduto che dopo la ribellione del
1715 e quella del 1745, la Casa di Hannover si mostrasse clemente.
Eppure, tutte le esecuzioni capitali del 1715 e del 1745 congiunte
insieme, parranno poche in confronto di quelle che infamarono il
Tribunale di Sangue. Il numero dei ribelli impiccati in quella
occasione da Jeffreys fu di trecento venti(539).
Tanta strage doveva disgustare chiunque, anche se quegli sciagurati
fossero stati generalmente esosi. Invece, per la maggior parte,
erano uomini di vita irreprensibile, e profondamente religiosi.
Consideravano sè stessi, ed erano considerati da moltissimi loro
vicini, non come malfattori, ma come martiri che suggellavano col
proprio sangue la verità della religione protestante. Pochi de'
condannati si mostrarono pentiti del già fatto. Molti, animati
dall'antico spirito puritano, andarono incontro alla morte, non solo
con fortezza, ma con esultanza. Invano i ministri della Chiesa
stabilita gli ammonivano intorno alla colpa della ribellione, e alla
importanza della assoluzione del prete. La pretesa del Re ad
autorità illimitata nelle cose temporali, e la pretesa del clero al
potere spirituale di legare e di sciogliere, movevano a riso
quegl'intrepidi settarii. Taluni di loro composero inni in prigione,
e li cantavano sulla funebre treggia che li menava a guastare.
Cristo - cantavano essi, mentre spogliavansi per patire il macello -
sarebbe tra breve venuto in terra a redimere Sion, ed a far guerra a
Babilonia; avrebbe innalzato il proprio vessillo, suonata la tromba,
e reso ai suoi nemici dieci volte più quel male che era stato fatto
ai suoi servi. Le estreme parole loro furono notate; le loro lettere
d'addio serbate come tesori; ed in tal modo, mescendovi qualche
invenzione o esagerazione, formossi un copioso supplemento al
martirologio de' tempi di Maria la Bevisangue(540).
LVI. È pregio dell'opera fare speciale menzione di alcuni casi.
Abramo Holmes, ufficiale veterano dello esercito parlamentare, uno
di quei zelanti che non vorrebbero altro Re che Re Gesù Cristo, era
stato preso in Sedgemoor. Nel furore della battaglia gli era stato
orribilmente fracassato un braccio, e non essendovi lì pronto un
chirurgo, il robusto vecchio soldato se lo amputò da sè. Fu condotto
a Londra, ed esaminato dal Re in Consiglio; ma non volle
sottomettersi. "Io sono un uomo vecchio," disse egli "e i giorni che
mi rimangono a vivere non valgono il prezzo d'una bugia o d'un atto
di viltà. Io sono stato sempre repubblicano, e lo sono ancora." Fu
rimandato alle contrade occidentali, ed ivi impiccato. Il popolo
s'atterrì nel vedere che le bestie le quali dovevano trascinarlo
alla forca, divennero restie e tornarono indietro. Holmes anch'egli
dubitava l'Angelo del Signore, come nei tempi antichi, non istesse
in sulla via con la spada in pugno, invisibile all'occhio umano, ma
visibile a quello degli animali. "Fermate, signori," egli esclamò
"lasciatemi andare a piedi. In questo fatto si asconde più di ciò
che voi pensate. Rammentatevi come l'asina vedesse colui che il
profeta non poteva vedere." Andò con piè fermo alla forca,
sorridendo favellò al popolo, pregò fervidamente Dio perchè
affrettasse la caduta dell'Anticristo e la liberazione della
Inghilterra; salì la scala, e per iscusarsi che non saliva
speditamente disse: "Voi lo vedete, io ho un braccio solo(541)."
LVII. Non meno animosamente morì Cristoforo Battiscombe, giovine
avvocato di buona famiglia ed agiata, il quale in Dorchester,
piacevole città di provincia, altera del gusto e della cultura che
vi regnava, veniva da tutti ammirato come esempio del gentiluomo
compito. Grande fu l'interesse a salvargli la vita. Si credeva in
que' luoghi, che fosse promesso sposo d'una giovine signora di
gentile lignaggio, sorella dello Sceriffo; che ella si gettasse ai
piedi di Jeffreys per implorare mercè, e che Jeffreys la cacciasse
via con uno scherzo così osceno, che ripeterlo offenderebbe la
decenza e l'umanità. Il suo amante patì la pena con pietà e coraggio
in Lyme(542).
LVIII. Interesse anche maggiore destò la sorte di due valorosi
fratelli, Guglielmo e Beniamino Hewling. Erano giovani, avvenenti,
compiti, e bene imparentati. L'avo loro materno chiamavasi Kiffin;
era uno de' principali mercatanti di Londra, e generalmente
considerato come capo dei Battisti. Jeffreys trattò nel Processo con
insigne brutalità Guglielmo Hewling, dicendogli: "Voi avete un nonno
che merita d'essere impiccato splendidamente al pari di voi." Il
povero giovanetto, che aveva soli diciannove anni, soffrì la morte
con tanta mansuetudine e fortezza d'animo, che un ufficiale
dell'armata, il quale assisteva alla esecuzione della sentenza, e
[**Nell'originale "e e"] s'era reso notevole per asprezza e
severità, ne fu stranamente intenerito, e disse: "Non credo che il
Lord Capo Giudice stesso potrebbe sostenere questo spettacolo."
Nutrivasi speranza che a Beniamino sarebbe concesso il perdono. E
davvero, una vittima di teneri anni bastava allo strazio d'una sola
famiglia. Lo stesso Jeffreys era, o simulava d'essere, proclive alla
clemenza. Vero è che uno de' suoi congiunti, dal quale egli sperava
molto, e che perciò non poteva essere da lui trattato come
generalmente lo erano gli altri intercessori, favellò vigorosamente
a favore della derelitta famiglia. Fu quindi differita la esecuzione
della sentenza, onde riferirsi a Londra. Una sorella del condannato
andò con una supplica a Whitehall. Molti de' cortigiani le
desiderarono prospero successo; e Churchill, che fra i non pochi
suoi falli non annoverava la crudeltà, ottenne che venisse ammessa
alla presenza del sovrano.
"Con tutto il cuore desidero che la vostra preghiera venga
esaudita," disse egli, mentre con la donna aspettava in anticamera.
"Ma non v'illudete di speranze. Questo marmo" e toccò con la mano il
caminetto "non è più duro del Re." La predizione avverossi. Giacomo
fu inesorabile. Beniamino Hewling morì con animo indomito fra i
lamenti degli spettatori, ai quali non poterono frenarsi di fare eco
i soldati che stavano schierati intorno alla forca(543).
LIX. Eppure, i ribelli dannati a morire erano meno degni di
commiserazione, che coloro i quali rimasero in vita. Parecchi
prigioni, ai quali Jeffreys non potè in nessuna guisa apporre il
delitto di crimenlese, furono dichiarati rei di cattiva condotta, e
condannati ad una fustigazione non meno terribile di quella inflitta
ad Oates. Una donna, accusata di alcune sconsiderate parole quali
erano state profferite da mezze le donne delle contrade dove
infuriava la guerra, fu condannata ad essere flagellata in tutte le
città di mercato della Contea di Dorset. Patì parte della pena
innanzi che Jeffreys fosse ritornato a Londra; ma come egli più non
fu nelle contrade occidentali, i carcerieri, con la caritatevole
connivenza de' magistrati, presero sopra di sè la responsabilità di
non darle altre torture. Una sentenza anche più terribile fu
profferita contro un giovinetto chiamato Tutchin, processato come
reo di parole sediziose. Secondo il costume, il Giudice con detti
osceni e scurrili lo interruppe mentre si difendeva: "Voi siete un
ribelle; e tutta la vostra famiglia, da Adamo in qua, è stata di
ribelli. Mi si dice che siate poeta; io rimerò versi con voi." La
condanna fu sette anni di prigionia, e la fustigazione, da
infliggerglisi ciascun anno in tutte le città di mercato della
Contea di Dorset. Le donne che trovavansi nelle gallerie, dettero in
uno scoppio di pianto. L'istruttore del processo alzossi grandemente
turbato, dicendo: "Milord, lo accusato è assai giovane; e molte sono
le città di mercato nella Contea. La sentenza equivale ad una
fustigazione ogni quindici giorni per sette anni." - "Se egli è
giovane d'anni," disse Jeffreys è vecchio di ribalderia. Donne, voi
non conoscete bene, come lo conosco io, questo bricconcello. La pena
non è nè anche metà di quella che meriterebbe. S'interessi anche
tutta l'Inghilterra, nulla m'indurrà a mitigarla." Tutchin in preda
alla disperazione scongiurò, e forse con ischiettezza, lo
impiccassero. Avventuratamente per lui, in quella occasione cadde
malato di vajuolo, e fu lasciato libero. E posciachè pareva molto
probabile che la sentenza non verrebbe mai eseguita, il Capo Giudice
si indusse al perdono in compenso d'una grossa mancia che gettò il
condannato in fondo alla miseria. L'indole di Tutchin, per lo
innanzi non mite, fu esasperata fino alla frenesia per effetto di
ciò ch'egli aveva sofferto. E' visse per diventare uno de' più
virulenti e pertinaci avversari della Casa Stuarda e del partito
Tory(544).
LX. Il numero de' prigioni deportati da Jeffreys fu ottocento
quarantuno. Costoro, assai più miseri de' loro colleghi dannati a
morte, furono distribuiti a branchi e concessi a persone godenti il
favore della Corte. Le condizioni del dono, furono che i condannati
verrebbero trasportati oltremare come schiavi, che non sarebbero
emancipati per dieci anni, e che il luogo del loro confine fosse
qualcuna delle isole dell'Indie Occidentali. Questa ultima
condizione fu con sommo studio immaginata per accrescere la
infelicità degli esuli. Nella Nuova Inghilterra o nella Nuova Jersey
avrebbero potuto trovare una popolazione disposta a mitigare le loro
miserie, ed un clima non isfavorevole alla salute ed alle forze
loro. Fu quindi deliberato mandarli in quelle colonie nelle quali un
puritano non avrebbe potuto aspettarsi di destare un poco di
compassione, e dove un lavorante nato sotto la zona temperata
avrebbe avuto poca salute. Ed erano tali le condizioni del traffico
degli schiavi, che que' nuovi infelici, non ostante la lunghezza del
viaggio e le infermità in cui sarebbero probabilmente caduti,
valevano molto. Jeffreys calcolò che, l'un per l'altro, pagate tutte
le spese, valevano da dieci a quindici lire sterline ciascuno. E
però ci furono molte ostinate contese a farseli concedere. Alcuni
Tory delle contrade occidentali d'Inghilterra credettero d'avere, a
cagione degli sforzi fatti e de' danni sofferti nel tempo della
insurrezione, diritto a essere partecipi degli utili che erano stati
sollecitamente carpiti dai parassiti di Whitehall. Nondimeno i
cortigiani la vinsero(545).
La sciagura degli esuli uguagliava appieno quella de' Negri che
oggidì vengono trasportati da Congo al Brasile. Da' migliori
documenti che finora si conoscano, risulta che la quinta parte di
coloro che furono imbarcati, vennero, avanti che finisse il viaggio,
gettati in pasto ai pesci. Questa mercanzia umana fu stivata nel
fondo di piccoli legni. Così poco era lo spazio, che gl'infelici,
molti de' quali erano anche tormentati dalle ferite non per anche
richiuse, non potevano tutti insieme giacere senza che l'uno si
ponesse sull'altro. Non gli lasciavano mai venire sul ponte. I
boccaporti erano sempre guardati da sentinelle armate di coltelli e
di tromboni. In fondo alla nave tutto era tenebre, puzzo, lamenti,
morbi e morte. Di novantanove condannati che trasportava una nave,
ventidue morirono prima che giungessero alla Giammaica, quantunque
il viaggio fosse fatto con insolita celerità. Quei che rimasero
vivi, quando arrivarono al luogo del loro servaggio, avevano
sembianza di scheletri. Per alcune settimane avevano avuto cattivo
biscotto ed acqua fetida in così poca quantità, che sarebbe appena
bastato ad uno solo quel tanto che doveva servire per cinque.
Trovavansi quindi in tale stato, che un mercatante al quale erano
stati affidati, reputò necessario, innanzi che li vendesse,
ingrassarli(546).
LXI. Intanto, una folla di avidi delatori contrastavansi e
dividevansi a brani le sostanze de' ribelli che erano stati
giustiziati, e degli altri infelicissimi che consumavansi sotto il
sole del Tropico. Secondo la legge. un suddito condannato come reo
di crimenlese, perde gli averi; la qual legge dopo il Tribunale di
Sangue fu eseguita con un rigore crudele ad un'ora e ridicolo. Le
sconsolate vedove e i miseri orfani de' lavoranti i cui cadaveri
erano appesi sui canti delle piazze, venivano intimati a comparire
dinanzi agli agenti del Tesoro, perchè rendessero ragione di ciò che
fosse divenuto di una cesta, d'un'oca, d'un pezzo di lardo, d'un
fiasco di sidro, d'un sacco di fave, d'un mannello di fieno(547).
Mentre i piccoli impiegati del Governo spogliavano le famiglie de'
contadini giustiziati, il Capo Giudice rapidamente accumulava un
patrimonio, saccheggiando l'alta classe de' Whig. Faceva largo
traffico di grazie. L'affare più lucrativo di questa specie ch'egli
facesse, fu con un gentiluomo chiamato Edmondo Prideaux. È certo che
Prideaux non aveva prese le armi contro il Governo; ed è probabile
che il suo unico delitto fosse la ricchezza avuta in retaggio dal
padre, illustre legale, che aveva occupato uffici eminenti sotto il
Protettore. Jeffreys non lasciò intentato alcun mezzo per farlo
comparire reo di tradigione. Offerse la grazia ad alcuni prigioni, a
patto di testificare contro Prideaux. Questo sventurato giacque
lungo tempo in carcere; e infine, vinto dal timore della forca,
consentì a pagare quindici mila lire sterline, onde esserne
liberato. Questa gran somma di danaro andò tutta nelle mani di
Jeffreys; il quale comprò una terra, cui il popolo pose il nome di
Aceldama, alludendo a quel campo maledetto che era stato comperato
col prezzo d'un sangue innocente(548).
In questo lavoro d'estorsione, egli era abilmente aiutato dalla
ciurma de' parassiti che avevano costume di ubriacarsi e ridere con
lui. L'ufficio di questi uomini era di mercanteggiare coi condannati
vinti dal terrore della morte, e coi genitori tremanti per la vita
de' figli. Parte di questo bottino andava a Jeffreys. Dicesi, che
con uno di questi compagnoni gozzovigliando, giuocasse la grazia di
un ricco traditore. Non era senza pericolo il ricorrere ad altro
intercessore che ai suoi cagnotti; perocchè egli era gelosissimo di
codesto monopolio di clemenza. Altri sospettò perfino ch'egli avesse
fatti impiccare taluni, soltanto perchè s'erano ingegnati d'ottenere
la regia clemenza per vie indipendenti da lui(549).
LXII. Alcuni cortigiani, nondimeno, studiaronsi di partecipare
alquanto di cotesto traffico. Le donne della corte della Regina si
resero notevoli per rapacità e durezza di cuore. Parte del disonore
da esse acquistato cade sulla loro signora; imperocchè solo per la
relazione che avevano con essa poterono arricchirsi con quel turpe
traffico; e non è dubbio che ella con una parola, con uno sguardo,
avrebbe potuto frenarle. Invece, le inanimiva col pessimo esempio,
se non voglia credersi con espressa approvazione. Pare ch'ella fosse
una delle molte creature che sostengono l'avversa meglio che la
prospera fortuna. Mentre il suo marito era suddito ed esule, escluso
dai pubblici uffici, e in presentissimo pericolo di perdere il
diritto al trono, con la soavità e la umiltà de' modi ella rendeva a
sè cortesi anche coloro che maggiormente abborrivano la religione di
lei. Ma la sua buona indole scomparve appena la fortuna mutò
aspetto. La mansueta ed affabile Duchessa divenne una sgraziata ed
altera Regina(550). Le sciagure che poi ebbe a patire, l'hanno resa
obietto di qualche interesse; ma tale interesse si accrescerebbe non
poco, ove alcuno potesse dimostrare che ella, nel tempo della sua
grandezza, salvasse o almeno si provasse di salvare una sola vittima
dalla più spaventevole proscrizione che sia mai stata in
Inghilterra. Sventuratamente, la sola richiesta che si conosca fatta
da lei rispetto ai ribelli, fu che le fossero donati cento di quelli
condannati alla deportazione(551). L'utile ch'ella ne trasse,
computando quelli che nel viaggio morirono di fame o di febbre, non
può estimarsi a meno di un migliaio di ghinee. Non possiamo,
adunque, maravigliarci che le sue serve imitassero la sua avidità,
indegna di una principessa; e la sua crudeltà, innaturale ad una
donna. Richiesero mille lire sterline da Ruggiero Hoare, mercante di
Bridgewater, che aveva contribuito alla cassa militare dell'armata
ribelle. Ma la preda sopra la quale gettarono con maggiore avidità
li artigli, fu tale, che anche i cuori più crudi se ne sarebbero
astenuti. Già alcune delle fanciulle che avevano in Tauton offerta a
Monmouth la bandiera, avevano crudelmente scontato il loro delitto.
Una di loro era stata gettata in un carcere, dove una infermità
contagiosa faceva strage. Ammalatasi, vi morì. Un'altra erasi
presentata in tribunale dinanzi a Jeffreys implorando misericordia.
"Portala via, carceriere," urlò il Giudice, con uno di quegli atroci
sguardi che spesso avevano atterrito animi più robusti che non era
quello della malarrivata fanciulla. Ella dètte in uno scoppio di
lacrime, si gettò il cappuccio sul viso; seguì il carceriere, e
presa di spavento, dopo poche ore era freddo cadavere. La maggior
parte, però, delle donzelle che erano andate in processione, viveva
tuttavia. Alcune di esse non avevano nè anche dieci anni d'età.
Tutte avevano agito secondo gli ordini della loro maestra di scuola,
senza sapere che commettevano un delitto. Le dame di corte della
Regina chiesero al Re licenza di estorcere danari dai genitori di
quelle povere creature; e la licenza fu data. In Taunton giunse
l'ordine di prendere e mettere in carcere tutte quelle tenere
fanciulle. Sir Francesco Warre di Hestercombe, rappresentante Tory
di Bridgewater, fu pregato di togliersi il carico di riscuotere il
danaro del riscatto. Gli fu scritto di manifestare con vigorosi
termini, come le dame di Corte non avrebbero patito indugio alcuno,
e fossero deliberate di tradurre le colpevoli dinanzi al tribunale,
se non veniva tosto sborsata una convenevole somma di danari, e per
somma convenevole intendevano sette mila lire sterline. Warre ricusò
di immischiarsi, menomamente in un affare così scandaloso. Le dame
di corte allora si rivolsero a Guglielmo Penn, il quale accettò la
commissione. Eppure parrebbe che un po' di quel pertinace scrupolo
ch'egli aveva spesso mostrato circa al togliersi il cappello di
capo, non sarebbe stato fuori di luogo in simigliante occasione.
Forse egli fe' tacere i rimorsi della propria coscienza, ripetendo a
sè stesso che nessuna parte della estorta pecunia rimarrebbe nelle
sue mani; che ricusando egli il mandato delle dame, esse avrebbero
trovato agenti meno umani; che compiacendole, avrebbe accresciuta la
propria influenza in Corte: e che mercè tale influenza, egli aveva
potuto e poteva ancora rendere grandi servigi ai suoi oppressi
confratelli. Le dame d'onore, infine, furono costrette a contentarsi
di meno del terzo della somma che avevano primamente richiesta(552).
Nessun sovrano inglese ha mai porto maggior prove d'indole feroce,
di quel che facesse Giacomo II; e nondimeno, la sua crudeltà non era
odiosa quanto la sua clemenza, o forse sarebbe più esatto il dire,
che la clemenza e crudeltà sue erano tali da infamarsi
vicendevolmente. Il ribrezzo che sentiamo alla sorte de' semplici
villani, de' fanciulli, delle dame delicate, si accresce qualvolta
ci facciamo a considerare a chi e per quali ragioni egli accordava
il perdono.
La regola secondo la quale un principe, dopo una ribellione,
dovrebbe condursi nello scegliere i ribelli perchè siano puniti, è
singolarmente chiara. Contro i capi, gli uomini cospicui per
ricchezza e educazione, i quali con la potenza e le arti proprie
abbiano indotta la moltitudine ad errare, il Governo deve mostrarsi
dirittamente severo. Ma lo ingannato volgo, finita la strage sul
campo di battaglia, è d'uopo che venga trattato con estrema
clemenza. Questa regola, così manifestamente concorde alla giustizia
ed alla umanità, non solo non venne osservata, ma fu invertita.
Mentre coloro i quali si sarebbero dovuti mandare impuniti, venivano
tratti a centinaia al macello, i pochi che si sarebbero potuti
giustamente abbandonare allo estremo rigore della legge, erano
risparmiati. Cotesta bizzarra clemenza ha resi perplessi alcuni
scrittori, e ad altri è stato subietto di ridicoli elogi. Non era nè
al tutto misteriosa, nè al tutto degna di lode: e può in ciascun
caso attribuirsi ad una cagione sordida o ad una malefica, a sete di
pecunia o a sete di sangue.
LXIII. Nel caso di Grey non erano circostanze attenuanti. Per le sue
doti, il suo sapere, il grado che per retaggio ei teneva nello
Stato, e l'alto comando che aveva avuto nell'armata ribelle, sarebbe
stato agli occhi d'un Governo giusto, obietto più meritevole di
castigo di quello che fossero Alice Lisle, Guglielmo Hewling, o
chiunque altri delle centinaia di contadini ignoranti, de' quali i
teschi e gli squartati corpi erano esposti nelle città della Contea
di Somerset. Ma il patrimonio di Grey era grande, e rigorosamente
ipotecato. Egli altro non aveva de' suoi beni che una rendita
vitalizia, e non poteva perdere più di ciò che fruiva. Se veniva
punito di morte, le sue terre erano subito devolute allo erede
prossimo. Se gli si concedeva il perdono, poteva pagare un grosso
riscatto. Gli fu quindi concesso di redimersi, dando una scritta
d'obbligo per quaranta mila lire sterline al Lord Tesoriere, ed
altre somme minori ad altri cortigiani(553).
LXIV. Sir Giovanni Cochrane aveva tenuto fra i ribelli scozzesi il
grado medesimo occupato da Grey nelle contrade occidentali
d'Inghilterra. Che Cochrane fosse perdonato da un principe oltremodo
vendicativo, pareva incredibile. Ma Cochrane era cadetto d'una ricca
famiglia; non poteva, dunque, da lui ottenersi danaro se non col
salvargli la vita. Il padre suo, Lord Dundonald, offerse cinque mila
lire sterline di mancia ai preti della casa reale; e la grazia fu
conceduta(554).
Samuele Storey, rinomato seminatore di sedizioni, che era stato
commissario nella armata ribelle, e con veementi arringhe, in cui
Giacomo era descritto come incendiario ed avvelenatore, aveva
infiammato l'ignorante popolaccio della Contea di Somerset, ottenne
il perdono; imperocchè aiutò mirabilmente Jeffreys ad estorcere le
quindici mila lire sterline a Prideaux(555).
Nessuno dei traditori aveva meno diritto a sperare grazia che Wade,
Goodenough e Ferguson. Questi tre capi della ribellione erano
fuggiti insieme dal campo di Sedgemoor, ed erano giunti salvi alla
costa; ma avevano trovato una fregata in crociera presso il luogo
dove speravano imbarcarsi. Si erano quindi l'uno dall'altro partiti.
Wade e Goodenough, in breve tempo scoperti, furono menati a Londra.
Comunque fossero stati profondamente implicati nella congiura di Rye
House, comunque si fossero resi notevoli fra' capi della
insurrezione delle contrade occidentali, fu loro lasciata la vita,
perchè potevano rivelare cose, onde il Re togliesse cagione ad
uccidere e spogliare taluni ch'egli odiava, ma ai quali non aveva
fino allora potuto trovare delitto da apporre(556).
In qual modo Ferguson fosse fuggito, fu, ed è tuttavia, un mistero.
Di tutti gl'inimici del Governo, egli era, senza dubbio nessuno, il
più reo. Era stato il primo macchinatore della congiura per
assassinare Carlo e Giacomo. Aveva scritto il manifesto, che per
insolenza, malignità e bugiarderia, non ha paragone fra i libelli di
que' procellosi tempi. Aveva incitato Monmouth prima ad invadere il
Regno, e poi ad usurpare la corona. Era ragionevole credere che si
sarebbe con ogni studio cercato l'arcitraditore, come spesso lo
chiamavano; alle quali ricerche un uomo così singolare per aspetto e
loquela mal poteva sottrarsi. Affermavasi con sicurezza nelle
botteghe da caffè in Londra, che Ferguson fosse(557) stato preso;
notizia che fu creduta da uomini i quali avevano buoni mezzi di
sapere il vero. Dopo, si seppe ch'egli era sano e salvo sul
continente. Corse molto il sospetto che egli di continuo
carteggiasse col Governo, contro cui di continuo macchinava
congiure; che mentre incitava i suoi colleghi ad ogni eccesso
d'imprudenza, desse a Whitehall tante notizie rispetto ai loro
procedimenti, quante sarebbero potute bastare a salvargli la vita; e
che perciò si fossero dati ordini a lasciarlo fuggire(558).
Jeffreys, compiuta l'opera, ritornò a chiedere il meritato premio.
Giunse a Windsor, lasciandosi addietro strage, lutto e terrore.
L'odio che gli portavano le genti della Contea di Somerset, è senza
esempio nella storia nostra. Non fu spento dal tempo o da politici
mutamenti, fu lungamente tramandato di generazione in generazione, e
si sfogò ferocemente sopra la sua innocente progenie. Da molti anni
era già morto, il suo nome e il suo titolo erano già estinti,
allorchè la contessa di Pomfret, viaggiando per la strada
d'occidente, fu insultata dalla plebe, e si accôrse di non rimanere
in sicurtà fra i discendenti di coloro che avevano veduto il
Tribunale di Sangue(559).
Ma alla Corte, Jeffreys fu cordialmente accolto. Era il giudice
tanto gradito al proprio signore. Giacomo aveva con interesse e
diletto tenuto dietro alla missione di lui. Nelle sue sale ed a
mensa aveva spesso favellato della devastazione che si stava facendo
tra i suoi disaffezionati sudditi, con esultanza che rendeva
attoniti i ministri stranieri. Di propria mano aveva scritto
racconti di quella ch'egli, con frase faceta, chiamava la campagna
del suo Lord Capo Giudice nelle contrade occidentali. Scrisse
all'Aja, come parecchie centinaia di ribelli fossero stati
condannati. Alcuni di loro erano già stati impiccati, altri lo
sarebbero; i rimanenti verrebbero deportati alle piantagioni. Non
giovò a nulla lo avere Ken scritto per implorare mercè al traviato
popolo, e lo avere dipinto con commovente eloquenza l'orribile stato
della propria diocesi. Lamentava come fosse impossibile procedere
per le strade maestre senza vedere qualche terribile spettacolo, e
come l'aria della Contea di Somerset fosse pregna di morte. Il Re
lesse, e rimase, secondo il detto di Churchill, più duro del marmo
de' camini di Whitehall.
LXV. A Windsor, il Gran Sigillo d'Inghilterra fu posto nelle mani di
Jeffreys, e nel prossimo numero della Gazzetta di Londra fu
solennemente annunziato che cosiffatto onore era la rimunerazione
de' molti insigni servigi da lui resi alla Corona(560). In un
periodo posteriore di tempo, allorquando gli uomini tutti di tutti i
partiti parlavano con raccapriccio del Tribunale di Sangue, il
malvagio Giudice e il Re malvagio provaronsi di scolparsi,
gettandosi scambievolmente il biasimo addosso. Jeffreys, rinchiuso
nella Torre, protestò che negli atti più feroci di crudeltà da lui
commessi, non aveva travarcati gli ordini espressi del proprio
signore; che anzi non gli aveva osservati con quella severità che
gli era stata ingiunta. Giacomo, in Saint Germain, avrebbe voluto
far credere ch'egli era stato inchinevole alla clemenza, e che la
violenza del ministro gli aveva attirato sul capo un biasimo non
meritato. Ma niuna di queste due anime crude può mandarsi assoluta,
l'una a detrimento dell'altra. La falsità della scusa addotta da
Giacomo è provata da ciò che scrisse di proprio pugno. Quella di
Jeffrey, quando anche fosse vera in fatto, è estremamente indegna.
La strage delle contrade occidentali era finita; quella di Londra
era presso a cominciare. Il Governo singolarmente desiderava trovare
vittime fra i grandi mercatanti Whig della Città. Nel regno
precedente essi erano stati parte formidabile della potenza
dell'Opposizione. Erano ricchi; e la loro opulenza non era, al pari
di quella di molti nobili e gentiluomini di provincia, protetta da
ipoteche contro la confisca. Nel caso di Grey, e d'altri uomini
nella medesima condizione, era impossibile saziare ad un'ora la
crudeltà e la rapacità; ma un ricco trafficante poteva essere
mandato alle forche, e insieme spogliato. I grandi del commercio,
nondimeno, ancorchè comunemente fossero ostili al papismo e al
potere arbitrario, erano stati scrupolosi o timidi tanto, da non
incorrere nel delitto d'alto tradimento. Uno de' più considerevoli
fra essi, era Enrico Cornish. Era stato Aldermanno quando la Città
possedeva il suo antico statuto; teneva l'ufficio di Sceriffo mentre
la questione della Legge d'Esclusione occupava le menti di tutti. In
politica era Whig, in religione pendeva verso le opinioni
presbiteriane; ma era d'indole cauta e temperata. Non è stato
provato con testimoni di fede degni, ch'egli si spingesse mai fino
all'orlo dell'alto tradimento, senza tuttavia gettarvisi dentro.
Mentre era Sceriffo, gli aveva ripugnato l'animo a servirsi, come
suo deputato, di un uomo irruente e immorale quale era Goodenough.
Scoperta la congiura di Rye House, la Corte sperò grandemente di
trovarvi implicato Cornish; speranze che andarono a vuoto. Uno de'
congiurati, a dir vero, cioè Giovanni Rumsay, era pronto a giurare
ogni cosa; ma un solo testimone non fu riputato sufficiente, e un
secondo non fu possibile trovare. Da quel tempo erano corsi due e
più anni. Cornish si credeva sicuro, ma l'occhio del tiranno
vegliava sopra di lui. Goodenough, atterrito dal prossimo spettacolo
della morte, e scusando la propria malignità colla sfavorevole
opinione in cui lo aveva sempre tenuto il suo antico padrone,
assentì a fare la parte di quel testimone che fino allora non s'era
potuto trovare. Cornish venne preso mentre negoziava alla Borsa,
condotto in carcere, tenuto per alcuni giorni in istretta
solitudine, e tratto senza essere punto preparato al tribunale di
Old Bailey. L'accusa era interamente fondata sopra la testimonianza
di Rumsay e di Goodenough. Entrambi, siccome essi medesimi
confessarono, erano complici della congiura onde accusavano il
prigione. Entrambi erano fortemente stimolati da speranza e timore
ad incriminarlo. Furono addotti anche testimoni che provavano come
Goodenough gli fosse nemico personale. La storiella che disse
Rumsay, era incompatibile con quella ch'egli aveva raccontata
allorquando comparve in tribunale a testificare contro Lord Russell.
Ma queste ragioni furono addotte invano. Al banco sedevano tre
giudici che avevano seguito Jeffreys nella sua missione di sangue
alle contrade occidentali; e fu notato da coloro che ne osservavano
il contegno, ch'essi erano tornati dalla strage di Taunton con
feroce ed irritato animo. Egli è pur troppo vero che il gusto del
sangue è un appetito che anco gli uomini di non crudele natura
possono per abitudine agevolmente acquistare. La barra e il seggio
si congiunsero ad atterrire il malfortunato Whig. I Giurati, eletti
dal cortigiano Sceriffo, decisero di leggieri esistere la colpa; e,
malgrado il mormorare dello indignato pubblico, Cornish fu fatto
morire dieci giorni dopo essere stato imprigionato. E perchè fosse
intera la degradazione, la forca fu innalzata dove King Street si
congiunge con Cheapside di faccia alla casa nella quale
quell'infelice, riverito da tutti, era lungamente vissuto; voglio
dire di faccia alla Borsa, dove egli aveva sempre avuto immenso
credito, ed al Guildhall, dove s'era reso cospicuo come capo
popolare. Ei morì animosamente, profferendo molte pie parole; ma co'
gesti e con lo sguardo mostrò tale forte risentimento per la
barbarie ed ingiustizia onde era stato trattato, che i suoi nemici
sparsero una vile calunnia, dicendo come egli fosse ubriaco o fuori
di sè allorquando venne condotto al patibolo. Guglielmo Penn,
nondimeno, che stava presso alla forca, e i cui pregiudizi erano
tutti a favore del Governo, affermò poscia di non avere veduto nel
contegno di Cornish null'altro che la indignazione naturale d'un
uomo innocente, tratto al macello con forme legali. La testa
dell'assassinato magistrato fu posta sopra il Guildhall(561).
LXVI. Per quanto iniquo fosse il riferito caso, non era
l'iniquissimo de' tanti che infamarono le sessioni autunnali di
quell'anno in Old Bailey. Fra gl'implicati nella congiura di Rye
House, era un uomo chiamato Giacomo Burton. Per confessione propria,
s'era trovato presente allorchè i suoi complici avevano discusso
intorno al disegno d'assassinio. Scoperta la congiura, fu promesso
un premio a chi lo avesse arrestato. Ei venne salvato da morte da
una vecchia matrona, di nome Elisabetta Gaunt, che professava le
dottrine de' Battisti. Questa donna, con le maniere e le frasi
peculiari alla sua sètta, era armata di un grande spirito di carità.
Spendeva la vita a soccorrere gl'infelici di qualunque opinione
religiosa si fossero, ed era ben conosciuta come colei che di
continuo andava visitando le carceri. Le opinioni politiche e
teologiche, non che la inchinevolezza alla commiserazione, la
indussero a fare tutto ciò che potè a fine di salvare Burton.
Provvide che una barca lo trasportasse a Gravesend, dove s'imbarcò
sopra un legno che andava ad Amsterdam. Nel partirsi, ella gli pose
in mano una somma di denari, che, rispetto ai suoi mezzi, era assai
grande. Burton, dopo d'essere vissuto lungo tempo in esilio, ritornò
con Monmouth in Inghilterra, pugnò in Sedgemoor, fuggì a Londra, ed
ebbe asilo in casa di Giovanni Fernley, barbiere in Whitechapel.
Fernley era poverissimo. Sapeva che un premio di cento lire sterline
era stato offerto dal Governo per la cattura di Burton. Ma l'onesto
uomo era incapace di tradire colui che nell'estremo pericolo aveva
trovato ricovero sotto il suo tetto. Sventuratamente si sparse la
voce, che Giacomo era maggiormente rigoroso contro coloro i quali
davano ricetto ai ribelli, che contro i ribelli stessi. Aveva
pubblicamente dichiarato, che di tutte le specie di crimenlese,
quella di sottrarre i traditori alla sua vendetta, era la più
imperdonabile. Burton lo seppe; si diede nelle mani del Governo,
accusando Fernley ed Elisabetta Gaunt come rei di averlo ricoverato
ed aiutato a fuggire. Furono tratti al tribunale. Lo scellerato al
quale avevano salvata la vita, ebbe cuore e faccia di comparire come
precipuo testimone contro loro. Dichiarati convinti, Fernley fu
condannato alla forca, Elisabetta Gaunt al fuoco. Anche dopo gli
orribili fatti di quell'anno, molti credevano impossibile che
coteste sentenze si mandassero ad esecuzione. Ma il Re fu senza
pietà. Fernley venne impiccato. Elisabetta Gaunt fu arsa viva in
Tyburn il dì medesimo nel quale Cornish fu tratto a morte in
Cheapside. Lasciò un foglio, scritto, a dir vero, in istile non
leggiadro, ma tale che fu letto da migliaia di persone con
commiserazione e raccapriccio. "Il mio fallo" diceva essa "è stato
tale da essere perdonato da un principe. Altro non ho fatto che
aiutare una povera famiglia, ed ecco! è forza ch'io muoia per avere
ciò fatto." Querelavasi della insolenza de' giudici, della ferocia
del carceriere, e della tirannia del maggiore di tutti, al piacere
del quale essa e tante altre vittime erano state immolate. Perdonava
le ingiurie che le erano state da loro fatte; ma come implacabili
nemici di quella buona causa, che pure sarebbe risorta e
trionferebbe, li abbandonava al giudizio del Re dei Re. Fino allo
estremo mantenne forte e tranquillo l'animo: il che rammentò agli
spettatori le più eroiche morti di cui avevano letta la descrizione
nel libro di Fox. Guglielmo Penn, che, a quanto pare, piacevasi
sommamente di quegli spettacoli che gli uomini d'indole mite
comunemente sogliono schivare, da Cheapside, dove aveva veduto
impiccare Cornish, corse in fretta a Tyburn per vedere ardere
Elisabetta Gaunt. Riferì poscia, che come ella si pose con calma a
disporre la paglia in guisa che il suo patire fosse più breve, a
tutti gli astanti scoppiarono le lagrime. Fu notato che mentre
compivasi il più iniquo assassinio giudiciale che avesse infamato
que' tristissimi tempi, si sfrenò tale una procella, che non ve
n'era mai stata un'altra somigliante dopo quel grande uragano che
aveva infuriato mentre giaceva sul letto di morte Oliviero. Gli
oppressi Puritani contarono, non senza trista soddisfazione, le case
atterrate, le navi sbalzate dall'impeto della procella; e sentivano
alquanto racconsolarsi pensando che il cielo mostrasse spaventevoli
segni della ira sua contro la iniquità che affliggeva la terra. Da
quel terribile giorno in poi, nessuna donna in Inghilterra ha patita
la pena di morte per delitto politico(562).
LXVII. Ciò che Goodenough(563) aveva fatto, non fu reputato
bastevole a meritarsi la grazia. Il Governo voleva ancora una
vittima di non alta condizione; un chirurgo, cioè, di nome Bateman.
Aveva, come tale, servito Shaftesbury, ed erasi mostrato zelante
Esclusionista. Forse era stato anche partecipe del segreto della
congiura Whig; ma gli è certo, lui non essere stato uno de' precipui
congiurati; perocchè nella congerie delle deposizioni pubblicate dal
Governo, il suo nome si incontra una volta sola, e non implicato in
nessun delitto che toccasse l'alto tradimento. Dal suo atto
d'accusa, e dalla relazione che ci rimane intorno al suo processo,
chiaro si deduce che non gli venne mai apposta la colpa di avere
partecipato al disegno di assassinare i due reali fratelli. La
malignità con che un uomo cotanto oscuro, reo di sì lieve fallo,
venne perseguitato, mentre a traditori assai più rei e bene
altrimenti notevoli fu conceduto redimersi testificando contro lui,
sembrava richiedere spiegazione; e una spiegazione disonorevole fu
data. Allorchè Oates, dopo la patita flagellazione, fu portato privo
di sensi, e come tutti pensavano, nell'estrema agonia, a Newgate,
Bateman gli aveva cavato sangue e fasciate le ferite. E questo fu
per lui delitto imperdonabile. I testimoni addottigli contro, erano
uomini di tristissima fama; i quali, inoltre, giuravano ciò che
veniva loro ingiunto, a fine di salvare la propria vita. Nessuno di
loro aveva fino allora ottenuto il perdono; e il popolo soleva dire
che essi pescavano la preda, come corvi di mare, con la corda al
collo. Il prigione, istupidito dal sentirsi male, non potè proferire
parola, o intendere ciò che accadeva. Il figlio e la figlia di lui
gli stavano accanto sul banco degli accusati. Lessero, come meglio
poterono, alcuni appunti ch'egli aveva notati, ed esaminarono i
testimoni. E tutto fu invano. Bateman fu dichiarato convinto,
impiccato e squartato(564).
LXVIII. Giammai, nè anche sotto la tirannia di Laud, le condizioni
de' Puritani erano state deplorabili come in quel tempo; giammai le
spie erano state così affaccendate a scoprire ragunanze; giammai i
magistrati, i grandi Giurati, i rettori e i sorvegliatori delle
chiese erano stati così vigilanti. Molti Dissenzienti furono citati
dinanzi le Corti ecclesiastiche. Ad altri era forza comprare la
connivenza degli agenti del Governo con doni di fiaschi di vino, e
di guanti pieni di ghinee. Riusciva impossibile ai Separatisti
ragunarsi insieme a pregare, senza usar cautele simili a quelle che
adoperano i coniatori di monete false, e i ricettatori di robe
rubate. Cangiavano spesso il luogo dell'adunanza. Gli uffici divini
talvolta facevansi innanzi lo spuntare del giorno, tal'altra nel
cuore della notte. Attorno all'edifizio dove stavasi raccolto il
piccolo gregge, ponevano sentinelle a dare lo annunzio se vedevano
appressarsi una persona estranea. Il ministro travestito veniva
introdotto per il giardino e la corte di dietro. In alcune case vi
erano usci invisibili, per i quali, in caso di pericolo, egli se ne
sarebbe potuto andare. Se accadeva che i Non-Conformisti abitassero
in case contigue, le pareti erano spesso forate, in guisa che vi
fosse secreta comunicazione di casa in casa. Non cantavano salmi, e
adoperavano diversi ingegni a impedire che la voce del predicatore,
negl'istanti di fervore, fosse udita oltre le pareti. Non ostanti
tutte coteste cautele, tornava impossibile eludere la vigilanza dei
delatori. Ne' suburbii di Londra, segnatamente, la legge veniva
eseguita col massimo rigore. Vari ricchi gentiluomini furono
accusati di tenere conventicoli. Inquisironsi minutamente le loro
case, e furono fatti sequestri equivalenti alla somma di molte
migliaia di lire sterline. I settarii più fieri ed audaci, così
cacciati dalle case, ragunavansi all'aria aperta, deliberati di
opporre forza alla forza. Un giudice di Middlesex(565) che aveva
saputo esservi una ragunanza di settari in un renaio, prese seco un
numeroso branco di agenti di polizia, piombò sopra l'assemblea e
pose le mani addosso al predicatore. Ma la congrega che era composta
di circa duecento uomini, liberò tosto il pastore, ponendo in fuga
il magistrato e i suoi uomini(566). Simili fatti, nondimeno, non
accadevano d'ordinario. Generalmente parlando, lo spirito puritano
non era stato mai, ne' tempi anteriori o posteriori, con tanta
efficacia domato, come lo fu in quell'anno. I libellisti Tory
vantavansi come nessuno de' fanatici osasse muovere la lingua o la
penna a difendere le proprie opinioni religiose. I Ministri
Dissenzienti, comunque fossero uomini egregi per dottrina e doti
d'animo, non potevano rischiarsi a passeggiare per le vie, temendo
di patire oltraggi; i quali non solo non erano repressi, ma venivano
promossi da coloro che avevano debito di tutelare la pace. Alcuni
teologi di gran fama, fra' quali Riccardo Baxter, erano sepolti in
carcere. Altri, e fra essi Giovanni Howe, i quali per venticinque
anni s'erano mantenuti intrepidi contro l'oppressione, si persero
d'animo, ed abbandonarono il Regno. Gran numero di gente, assuefatta
ad intervenire alle conventicole, andava alle parrocchie. E fu
notato che gli scismatici, i quali dal terrore erano stati costretti
a uniformarsi al culto del Governo, potevano di leggieri
distinguersi alla difficoltà che avevano a trovare le collette nel
libro delle preghiere, ed alla mal destra maniera onde chinavano il
capo al nome di Gesù(567).
Per lunghi anni, lo autunno del 1685 fu ricordato dai
Non-Conformisti come tempo di calamità e di terrore. Nulladimeno, in
quell'autunno si sarebbero potuti discernere i primi lievi indizi di
un gran mutamento di fortuna; e innanzi che scorressero diciotto
mesi, lo intollerante Re e la Chiesa intollerante mostravansi, a
vicendevole rovina, ansiosi di procacciarsi il soccorso del partito
al quale entrambi avevano recato cotanto male.
FINE DEL VOLUME PRIMO.
VOLUME SECONDO.
CAPITOLO SESTO.
SOMMARIO.
I. La potenza di Giacomo giunge alla sua maggiore altezza
nell'autunno del 1685. - II. Sua politica estera. - III. Suoi
disegni di politica interna; l'Atto dell'Habeas Corpus. - IV.
L'esercito stanziale. - V. Disegni in favore della Religione
Cattolica Romana. - VI. Violazione dell'Atto di Prova; disgrazia di
Halifax - VII. Malcontento generale. - VIII. Persecuzione degli
Ugonotti francesi. - IX. Effetti da tale persecuzione prodotti in
Inghilterra. - X. Ragunanza del Parlamento; discorso del Re;
opposizione nella Camera de' Comuni. - XI. Sentimenti de' Governi
stranieri. - XII. Comitato della Camera de' Comuni intorno al
discorso del Re. - XIII. Sconfitta del Governo. - XIV. Seconda
sconfitta del Governo; invettive fatte dal Re ai Comuni. - XV. Coke
messo in prigione, per aver mancato di rispetto al Re. - XVI.
Opposizione al Governo nella Camera de' Lordi; il Conte di
Devonshire. - XVII. Il Vescovo di Londra. - XVIII. Il Visconte
Mordaunt. - XIX. Proroga. - XX. Processi di Lord Gerard e di
Hampden. - XXI. Processo di Delamere. - XXII. Effetti dell'essere
stato dichiarato non colpevole. - XXIII. Partiti in Corte;
Sentimenti de' Tory protestanti. - XXIV. Pubblicazione di scritti
trovati nella cassa forte di Carlo II. - XXV. Sentimenti degli
uomini più rispettabili fra' Cattolici Romani. - XXVI. Cabala dei
Cattolici Romani irruenti. - XXVII. Castelmaine; Jermin; White;
Tyrconnel. - XXVIII. Sentimenti de' ministri dei Governi stranieri.
- XXIX. Il Papa e la Compagnia di Gesù in vicendevole opposizione. -
XXX. La Compagnia di Gesù. - XXXI. Padre Petre. - XXXII. Umori ed
opinioni del Re. - XXXIII. È incoraggiato ne' suoi errori da
Sunderland. - XXXIV. Perfidia di Jeffreys. - XXXV. Godolphin; la
Regina; amori del Re. - XXXVI. Caterina Sedley. - XXXVII. Intrighi
di Rochester in favore di Caterina Sedley. - XXXVIII. La influenza
di Rochester decade. - XXXIX. Castelmaine è inviato a Roma; Giacomo
tratta male gli Ugonotti. - XL. La potestà di dispensare. - XLI.
Destituzione de' Giudici disubbidienti. - XLII. Caso di Sir Eduardo
Hales. - XLIII. Ai Romani Cattolici è dato diritto ad occupare i
beneficii ecclesiastici; Sclater; Walker. - XLIV. La Decania di
Christchurch è data ad un Cattolico Romano. - XLV. Distribuzione de'
Vescovati. - XLVI. Determinazione di Giacomo ad usare la propria
supremazia ecclesiastica contro la Chiesa. - XLVII. Difficoltà a ciò
fare. - XLVIII. Crea una nuova Corte d'Alta Commissione. - XLIX.
Procedimenti contro il Vescovo di Londra. - L. Malcontento nato al
comparire in pubblico de' riti e de' vestimenti cattolici romani. -
LI. Tumulti. - LII. È formato un campo militare in Hounslow. - LIII.
Samuele Johnson. - LIV. Ugo Speke. - LV. Procedimento contro
Johnson. - LVI. Zelo del Clero Anglicano contro il papismo; scritti
di controversia. - LVII. I Cattolici Romani rimangono vinti. -
LVIII. Condizioni della Scozia. - LIX. Queensberry; Perth; Melfort.
- LX. Loro apostasia. - LXI. Favore mostrato alla Religione
Cattolica Romana in Iscozia; tumulti in Edimburgo. - LXII. Collera
del Re. - LXIII. Suoi intendimenti rispetto alla Scozia. - LXIV. Una
Deputazione de' Consiglieri Privati Scozzesi è mandata a Londra. -
LXV. Suoi negoziati(568) col Re; ragunanza degli Stati Scozzesi. -
LXVI. Si mostrano disubbidienti. - LXVII. Le loro sessioni vengono
aggiornate; sistema arbitrario di governo in Iscozia. - LXVIII.
Irlanda. - LXIX. Condizioni delle leggi rispetto a cose religiose. -
LXX. Ostilità delle razze; Contadini aborigeni. - LXXI. Aristocrazie
aborigene. - LXXII. Condizioni della colonia inglese. - LXXIII.
Condotta che Giacomo avrebbe dovuto seguire. - LXXIV. Suoi errori -
LXXV. Clarendon giunge in Irlanda come Lord Luogotenente. - LXXVI.
Sue mortificazioni; paura sparsa fra i coloni. - LXVII. Arrivo di
Tyrconnel a Dublino come Generale d'armi. - LXXVIII. Parzialità e
violenza di lui. - LXXIX. Si studia di far revocare l'Atto(569) di
Stabilimento; ritorna in Inghilterra. - LXXX. Il Re è mal satisfatto
di Clarendon. - LXXXI. Rochester è aggredito dalla Cabala gesuitica.
- LXXXII. Giacomo si studia di convertire Rochester. - LXXXIII.
Destituzione di Rochester. - LXXXIV. Destituzione di Clarendon;
Tyrconnel Lord Deputato. - LXXXV. Scoraggiamento de' coloni inglesi
in Irlanda. - LXXXVI. Effetti della caduta degli Hydes.
I. Giacomo trovavasi oramai giunto al più alto grado di potenza e
prosperità. Sì in Inghilterra che in Iscozia aveva vinti i suoi
nemici, e puniti con una severità che aveva ne' cuori loro suscitato
acerbissimo odio, ma ad un tempo gli aveva efficacemente disanimati.
Il partito Whig pareva spento. Il nome di Whig non usavasi mai,
tranne come vocabolo di rimprovero. Il Parlamento piegava sommessa
la fronte ai voleri del re, il quale aveva potestà di tenerselo sino
alla fine del proprio regno. La Chiesa faceva più che mai clamorose
proteste di affetto verso lui, proteste ch'ella aveva confermate col
fatto a tempo della trascorsa insurrezione. I giudici erano suoi
strumenti; e qualora non si fossero mostrati tali, stava in lui di
cacciarli d'ufficio. I corpi municipali erano pieni di sue creature.
Le sue entrate eccedevano d'assai quelle de' suoi predecessori. Ei
si gonfiò d'orgoglio. Non era più l'uomo il quale, pochi mesi
innanzi, tormentato dal dubbio che il trono potesse essergli
abbattuto in un'ora sola, aveva implorato con supplicazioni indegne
di un re il soccorso dello straniero, ed accettatolo con lacrime di
gratitudine. Vagheggiava con la fantasia visioni di dominio e di
gloria. Vedevasi già il sovrano predominante d'Europa, il campione
di molti Stati oppressi da una sola monarchia troppo potente. Fino
dal mese di giugno, aveva assicurate le Provincie Unite, che, appena
rassettate le faccende dell'Inghilterra, avrebbe mostrato al mondo
quanto poco ei temesse la Francia. Giusta siffatte assicuranze, in
meno d'un mese dopo la battaglia di Sedgemoor, concluse con gli
Stati Generali un trattato, secondo i principii della triplice
alleanza. Fu considerata e all'Aja e a Versailles come circostanza
significantissima, che Halifax, perpetuo ed acerrimo nemico della
influenza francese, il quale quasi mai, dall'inizio del regno, era
stato consultato sopra alcuno importante negozio, fosse precipuo
operatore della lega, in modo da parere che le sue sole parole
trovassero ascolto all'orecchio del principe. E fu circostanza non
meno significativa, che innanzi non ne fosse stato fatto pur motto a
Barillon. Egli e il suo signore furono presi alla sprovvista. Luigi
ne rimase sconcertato, e mostrò grave e non irragionevole ansietà
rispetto ai futuri disegni di un principe, il quale, poco avanti,
era stato suo pensionato e vassallo. Correva molto la voce che
Guglielmo d'Orange si affaccendasse a formare una grande
confederazione, che doveva comprendere i due rami della Casa
d'Austria, le Provincie Unite, il regno di Svezia e lo Elettorato di
Brandenburgo. Adesso pareva che tale confederazione dovesse avere a
capo il re e il Parlamento d'Inghilterra(570).
II. Difatti, furono iniziate pratiche tendenti a simile scopo. La
Spagna propose di formare una stretta lega con Giacomo; il quale
accolse favorevolmente la proposta, comecchè chiaro apparisse che
tale alleanza sarebbe stata poco meno che una dichiarazione contro
la Francia. Ma ei differì la sua ultima risoluzione fino alla nuova
ragunanza del Parlamento. Le sorti della Cristianità pendevano dalla
disposizione in cui egli avrebbe trovata la Camera de' Comuni. Se
essa era inchinevole ad approvare i suoi divisamenti di politica
interna, non vi sarebbe stata cosa alcuna che gli avesse impedito
d'intervenire con vigore ed autorità nella gran contesa che tosto
doveva travagliarsi nel continente. Se la Camera era disubbidiente,
egli sarebbe stato costretto a deporre ogni pensiero d'arbitrato tra
le nazioni contendenti, ad implorare nuovamente lo aiuto della
Francia, a sottoporsi di nuovo alla dittatura francese, a diventare
potentato di terza o quarta classe, e a rifarsi del dispregio, in
che lo avrebbero tenuto gli stranieri, trionfando della legge e
della pubblica opinione nel proprio regno.
III. E veramente, non sembrava facile ch'egli chiedesse ai Comuni
più di quello che essi inchinavano a concedere. Avevano già date
abbondevoli prove d'essere desiderosi di serbare intatte le regie
prerogative, e di non patire eccessivi scrupoli a notare le
usurpazioni ch'egli faceva contro i diritti del popolo. Certo,
undici dodicesimi de' rappresentanti o dipendevano dalla Corte, o
erano zelanti Cavalieri di provincia. Poche erano le cose che una
tale Assemblea avrebbe pertinacemente ricusate al Sovrano; e fu
fortuna per la nazione, che tali poche cose fossero quelle appunto
che a Giacomo stavano più a cuore.
Uno de' suoi fini era quello d'ottenere la revoca dell'Habeas
Corpus, che egli odiava, come era naturale che un tiranno odiasse il
freno più vigoroso che la legislazione impose mai alla tirannide.
Cotesto odio gli rimase impresso in mente fino all'ultimo dì di sua
vita, e si manifesta negli avvertimenti ch'egli scrisse in esilio
per erudimento del figlio(571). Ma l'Habeas Corpus, quantunque fosse
una legge fatta mentre i Whig dominavano, non era meno cara ai Tory
che ai Whig. Non è da maravigliare che questa gran legge fosse
tenuta in tanto pregio da tutti gl'Inglesi, senza distinzione di
partito; perocchè, non per indiretta, ma per diretta operazione
contribuisce alla sicurezza e felicità di ogni abitante del
Regno(572). IV. Giacomo vagheggiava un altro disegno, odioso
al partito che lo aveva posto sul trono, e ve lo manteneva.
Desiderava formare un grande esercito stanziale. Erasi giovato
dell'ultima insurrezione per accrescere considerevolmente le forze
militari lasciate dal fratello. I corpi che oggidì si chiamano i
primi sei reggimenti delle guardie a cavallo, il terzo e quarto
reggimento dei dragoni, e i nove reggimenti di fanteria, dal settimo
al decimoquinto inclusivamente, erano stati pur allora formati(573).
Lo effetto di tale aumento, e del richiamo del presidio di Tangeri,
fu che il numero delle truppe regolari in Inghilterra, erasi in
pochi mesi accresciuto da sei mila a circa ventimila uomini. Nessuno
de' Re nostri in tempo di pace aveva avuto mai tante forze sotto il
suo comando. E Giacomo non ne era nè anche soddisfatto. Ripeteva
spesso, come non fosse da riposare sulla fedeltà delle milizie
civiche, le quali partecipavano di tutte le passioni della classe a
cui appartenevano; che in Sedgemoor s'erano trovati nell'armata
ribelle più militi cittadini che non fossero nel campo regio; e che
se il trono fosse stato difeso soltanto dalle milizie delle Contee,
Monmouth avrebbe marciato trionfante da Lyme a Londra.
La rendita, per quanto potesse sembrare grande, in agguaglio di
quella de' Re precedenti, serviva appena a questa nuova spesa. Gran
parte de' proventi delle nuove tasse spendevasi nel mantenimento
della flotta. Sul finire del regno antecedente, l'intera spesa
dell'armata, incluso il presidio di Tangeri, era stata minore di
trecento mila lire sterline annue. Adesso non sarebbero bastate
seicento mila sterline(574). Se nuovi aumenti dovevano farsi, era
necessario chiedere altra pecunia al Parlamento; e non era probabile
che esso si sarebbe mostrato proclive a concedere. Il semplice nome
d'esercito stanziale era in odio a tutta la nazione, e a nessuna
parte di quella più in odio, che ai gentiluomini Cavalieri, i quali
riempivano la Camera Bassa. Nella loro mente, la idea d'un esercito
stanziale richiamava l'immagine della Coda del Parlamento, del
Protettore, delle spoliazioni della Chiesa, della purgazione delle
Università, dell'abolizione della Parìa, dell'assassinio del Re, del
tristo regno de' Santocchi, del piagnisteo e dell'ascetismo, delle
multe e de' sequestri, degl'insulti che i Generali, usciti dalla
feccia del popolo, avevano recato alle più antiche ed onorevoli
famiglie del reame. Inoltre, non v'era quasi baronetto o scudiere
nel Parlamento, che non andasse non poco debitore della propria
importanza nella propria Contea al grado ch'egli aveva nella milizia
civica. Se essa veniva abolita, era mestieri che i gentiluomini
inglesi perdessero gran parte della loro dignità ed influenza. Era,
dunque, probabile che il Re incontrasse maggiori difficoltà ad
ottenere i mezzi per il mantenimento dello esercito, che ad ottenere
la revoca dell'Habeas Corpus.
V. Ma ambidue i predetti disegni erano subordinati al grande
divisamento al quale il Re con tutta l'anima intendeva, ma che era
aborrito da quei gentiluomini Tory, i quali erano pronti a spargere
il proprio sangue per difendere i diritti di lui; aborrito da quella
Chiesa che non aveva mai, per lo spazio di tre generazioni di
discordie civili, vacillato nella fedeltà verso la sua casa;
aborrito perfino da quell'armata alla quale, negli estremi, era
d'uopo ch'ei s'affidasse.
La sua religione era tuttavia proscritta. Molte leggi rigorose
contro i Cattolici Romani contenevansi nel Libro degli Statuti, e
non molto tempo innanzi erano state rigorosamente eseguite. L'Atto
di Prova escludeva dagli ufficii civili e militari tutti coloro che
dissentivano dalla Chiesa d'Inghilterra; e un Atto posteriore,
proposto ed approvato allorché le fandonie di Oates avevano resa
frenetica la nazione, ordinava che niuno potesse sedere in nessuna
delle Camere del Parlamento se prima non avesse solennemente
abiurato la dottrina della transustanziazione. Che il Re desiderasse
ottenere piena tolleranza per la Chiesa alla quale egli apparteneva,
era cosa naturale e giusta; nè v'è ragione alcuna a dubitare che,
con un po' di pazienza, di prudenza e di giustizia, avrebbe ottenuta
tale tolleranza.
La immensa avversione e paura che il popolo inglese provava per la
religione di Giacomo, non era da attribuirsi solamente o
principalmente ad animosità teologica. Tutti i dottori della Chiesa
Anglicana, non che i più illustri non-conformisti, unanimemente
ammettevano che la eterna salute potesse trovarsi anche nella Chiesa
Romana: che anzi alcuni credenti di quella Chiesa annoveravansi fra
i più illustri eroi della virtù cristiana. È noto che le leggi
penali contro il papismo erano ostinatamente difese da molti, che
reputavano l'Arianismo, il Quacquerismo, il Giudaismo, considerati
spiritualmente, più pericolosi del papismo, e non erano disposti a
fare simiglianti leggi contro gli Ariani, i Quacqueri o i Giudei.
È facile comprendere perché il Cattolico Romano venisse trattato con
meno indulgenza di quella che usavasi ad uomini i quali non
credevano nella dottrina de' Padri di Nicea, e anche a coloro che
non erano stati ammessi nel grembo della Fede Cristiana. Era fra
gl'Inglesi fortissima la convinzione che il Cattolico Romano, sempre
che si trattava dell'interesse della propria religione, si credesse
sciolto da tutti gli ordinarii dettami della morale; che anzi
reputasse meritorio violarli, se, così facendo, poteva liberare dal
danno o dal biasimo la Chiesa di cui egli era membro.
Nè questa opinione era priva d'una certa apparenza di ragione. Era
impossibile negare, che varii celebri casuisti cattolici romani
avessero scritto a difesa del parlare equivoco, della restrizione
mentale, dello spergiuro, e perfino dell'assassinio. Nè, come
dicevasi, le speculazioni di cotesta odiosa scuola di sofisti erano
state sterili di frutti. La strage della festività di San
Bartolommeo, lo assassinio del primo Guglielmo d'Orange, quello
d'Enrico III di Francia, le molte congiure macchinate a' danni
d'Elisabetta, e sopra tutte quella delle polveri, venivano di
continuo citate come esempii della stretta connessione tra la
viziosa teoria e la pratica viziosa. Allegavasi, come ciascuno di
cotali delitti fosse stato suggerito e lodato da' teologi cattolici
romani. Le lettere che Eduardo Digby scrisse dalla Torre col succo
di limone alla propria moglie, erano state di fresco pubblicate, e
citavansi spesso. Egli era uomo dotto e gentiluomo onesto in ogni
cosa, e forte animato del sentimento del dovere verso Dio. E
nondimeno, era stato profondamente implicato nella congiura ordita a
fare saltare in aria il Re, i Lordi e i Comuni; e sul punto di
andare alla eternità, aveva dichiarato di non sapere intendere in
che guisa un Cattolico Romano potesse stimare peccaminoso un tale
disegno. La conseguenza che il popolo deduceva da siffatte cose, era
che, per quanto onesto si volesse immaginare il carattere d'un
papista, non vi era eccesso di fraude e di crudeltà, di cui egli non
fosse capace ogni qualvolta ne andasse della securtà e dell'onore
della propria religione.
La straordinaria credenza che ebbero le favole di Oates, è
massimamente da attribuirsi al prevalere di tale opinione. Era
inutile che lo accusato Cattolico Romano allegasse la integrità,
umanità e lealtà da lui mostrate in tutto il corso della propria
vita. Era inutile ch'egli adducesse a schiere testimoni rispettabili
appartenenti alla sua religione, per contraddire i mostruosi romanzi
inventati dall'uomo più infame del genere umano. Era inutile che,
col capestro al collo, invocasse sopra il suo capo la vendetta di
quel Dio, al cospetto del quale, tra pochi momenti, egli doveva
presentarsi, se ei fosse stato reo di avere meditato alcun male
contro il suo principe, o i suoi concittadini protestanti. Le
testimonianze addotte in proprio favore servivano solo a provare
quanto poco valessero i giuramenti de' papisti. Le sue stesse virtù
facevano presumere la sua propria reità. Il vedersi dinanzi agli
occhi la morte e il giudicio, rendeva più verisimile ch'egli negasse
ciò che, senza danno d'una causa santissima, non avrebbe potuto
confessare. Tra gl'infelici convinti rei dell'assassinio di Godfrey,
era stato Enrico Berry, protestante di fama non buona. È cosa
notevole e bene provata, che le estreme parole di Berry
contribuirono più a togliere credenza alla congiura, di quel che
facessero le dichiarazioni di tutti i pii ed onorevoli Cattolici
Romani che patirono la medesima sorte(575). E non erano solo
lo stolto volgo, i soli zelanti, nello intelletto de' quali il
fanatismo aveva spento ogni ragione e carità, coloro che
consideravano il Cattolico Romano come uomo che, per la facilità
della propria coscienza, di leggieri diventava falso testimonio,
incendiario, o assassino; come uomo che trattandosi della propria
religione non abborriva da qual si fosse atrocità, e non si teneva
vincolato da nessuna specie di giuramento. Se in quell'età v'erano
due che per intendimento o per indole inclinassero alla tolleranza,
que' due erano Tillotson e Locke. Nonostante, Tillotson, che per
essersi sempre mostrato indulgente a varie classi di scismatici ed
eretici, ebbe rimprovero d'eterodosso, disse dal pulpito alla Camera
de' Comuni, essere loro debito di provvedere con somma efficacia
contro la propaganda d'una religione più malefica della irreligione
stessa; d'una religione che richiedeva da' suoi proseliti servigii
direttamente opposti ai principii della morale. Confessò come per
indole ei fosse prono alla dolcezza; ma il proprio dovere verso la
società lo forzava, in quella sola circostanza, ad essere severo.
Dichiarò che, secondo egli pensava, i Pagani che non avevano mai
udito il nome di Cristo ed erano solo diretti dal lume della ragione
naturale, erano membri della civile comunanza più degni di fiducia,
che gli uomini educati nelle scuole de' casisti papali(576). Locke,
nel celebre trattato, nel quale si affaticò a dimostrare che anche
le più grossolane forme dell'idolatria non erano da inibirsi con
leggi penali, sostenne che quella Chiesa la quale insegnava agli
uomini di non serbare fede agli eretici, non aveva diritto alla
tolleranza(577).
Egli è evidente che, in tali circostanze, il grandissimo dei servigi
che un Inglese cattolico romano avrebbe potuto rendere ai propri
confratelli, era quello di provare al pubblico, che qualunque cosa
alcuni temerari, in tempi di forti commovimenti, avessero potuto
scrivere o fare, la sua Chiesa non ammetteva che il fine giustifichi
i mezzi incompatibili con la morale. E Giacomo poteva mirabilmente
rendere alla fede un tanto servigio. Era Re, e il più potente di
quanti principi fossero stati sul trono d'Inghilterra a memoria
degli uomini più vecchi. Stava in lui far cessare o rendere perpetuo
il rimprovero che si faceva alla sua religione.
S'egli si fosse uniformato alle leggi, se avesse mantenute le fatte
promissioni, se si fosse astenuto dall'adoperare alcun mezzo iniquo
a propagare le sue proprie opinioni teologiche, se avesse sospesa
l'azione degli statuti penali, usando largamente della sua
incontrastabile prerogativa di far grazia, a un tempo astenendosi di
violare la costituzione civile ed ecclesiastica del Regno; il
sentire del suo popolo si sarebbe rapidamente cangiato. Un tanto
esempio di buona fede scrupolosamente osservato da un principe
papista verso una nazione protestante, avrebbe spenti i comuni
sospetti. Quegli uomini che vedevano come a un Cattolico Romano si
concedesse dirigere il potere esecutivo, comandare le forze di terra
e di mare, convocare o sciogliere il Parlamento, nominare i Vescovi
e Decani della Chiesa d'Inghilterra, avrebbero tosto cessato di
temere che vi fosse gran male, permettendo ad un Cattolico Romano
d'essere capitano d'una compagnia, o aldermanno d'un borgo. E forse,
in pochi anni, la setta per tanto tempo detestata dalla nazione,
sarebbe stata, con plauso universale, ammessa agli uffici e al
Parlamento.
Se, dall'altro canto, Giacomo avesse tentato di promuovere
gl'interessi della Chiesa, violando le leggi fondamentali del suo
regno e le solenni promesse da lui ripetutamente fatte al cospetto
di tutto il mondo, mal potrebbe dubitarsi che gli addebiti che,
secondo l'andazzo, facevansi contro la Religione Cattolica, si
considerassero da tutti i Protestanti come pienamente stabiliti.
Imperocchè, se mai si fosse potuto sperare che un Cattolico Romano
fosse capace di mantenere fede agli eretici, si sarebbe potuto
supporre che Giacomo mantenesse fede al clero Anglicano. Ad esso
egli andava debitore della sua corona; e se esso non avesse
potentemente avversata la legge d'Esclusione, egli sarebbe stato un
esule. Aveva più volte ed enfaticamente riconosciuto i propri
obblighi verso quello, e giurato di non attentare minimamente ai
diritti spettanti alla Chiesa. S'egli non poteva sentirsi obbligato
da cosiffatti vincoli, risultava manifestamente che, in ogni cosa
concernente la sua superstizione, non v'era vincolo di gratitudine o
di onore che potesse obbligarlo. Era quindi impossibile aver fiducia
in lui; e se i suoi popoli non potevano fidarsi di lui, qual altro
membro della sua Chiesa era egli meritevole di fiducia? Non era
reputato costituzionalmente e per usanza traditore. Per il brusco
contegno e la mancanza di riguardo verso gli altrui sentimenti,
s'era scroccato una fama di sincero ch'egli affatto non meritava. I
suoi panegiristi affettano di chiamarlo Giacomo il Giusto. Se dunque
diventando papista, volesse supporsi ch'egli fosse parimente
divenuto dissimulatore e spergiuro, quale conclusione doveva
ricavarne un popolo ormai disposto a credere che il papismo avesse
perniciosa influenza sul carattere morale dell'uomo?
VI. Per tali ragioni, molti de' più illustri cattolici, e fra gli
altri il sommo Pontefice, opinavano che gl'interessi della loro
Chiesa nell'isola nostra verrebbero più efficacemente promossi da
una politica costituzionale e moderata. Ma cosiffatte ragioni non
facevano punto effetto nel tardo intelletto e nella imperiosa indole
di Giacomo. Nel suo ardore a rimuovere gl'impedimenti che gravavano
i suoi correligionari, egli appigliossi ad un partito tale, da
persuadere ai più culti e moderati protestanti di quel tempo, che
per la salute dello Stato era necessario mantenere in vigore i
suddetti impedimenti. Alla politica di lui gl'Inglesi Cattolici
erano debitori di tre anni di sfrenato e insolente trionfo, e cento
quaranta anni di servitù ed abiezione.
Molti Cattolici Romani occupavano uffici ne' reggimenti novellamente
formati. Questa violazione della legge per qualche tempo non fu
censurata; perocchè le genti non erano disposte a notare ogni
irregolarità che commettesse un Re chiamato appena sul trono a
difendere la corona e la vita contro i ribelli. Ma il pericolo non
era più. Gl'insorti erano stati vinti e puniti. Il loro malaugurato
attentato aveva accresciuta forza al Governo che speravano
abbattere. Nondimeno, Giacomo seguitò a concedere comandi militari
ad individui privi delle qualità richieste dalla legge; e dopo poco
si seppe ch'egli era risoluto di non considerarsi vincolato
dall'Atto di Prova, che sperava d'indurre il Parlamento a revocarlo,
e che ove il Parlamento si fosse mostrato disubbidiente, egli
avrebbe fatto da sè.
Appena sparsa cotesta voce, un profondo mormorare, foriero di
procella, gli dette avviso che lo spirito, innanzi al quale l'avo,
il padre e il fratello di lui erano stati costretti a
indietreggiare, come che tacesse, non era spento. L'opposizione
mostrossi primamente nel Gabinetto. Halifax non ardì nascondere il
disgusto e la trepidazione che gli stavano in cuore. In Consiglio
animosamente espresse que' sentimenti, che, come tosto si vide,
concitavano tutta la nazione. Da nessuno de' suoi colleghi fu
secondato; e non si parlò altrimenti della cosa. Fu chiamato alle
stanze reali. Giacomo si studiò di sedurlo co' complimenti e con le
blandizie, ma non ottenne nulla. Halifax ricusò positivamente di
promettere che avrebbe nella Camera de' Lordi votato a favore della
revoca sia dell'Atto di Prova, sia dell'Habeas Corpus.
Taluni di coloro che stavano dintorno al Re, lo consigliarono a non
cacciare all'opposizione, in sulla vigilia del ragunarsi del
Parlamento, il più eloquente ed esperto uomo di Stato che fosse nel
Regno. Gli dissero che Halifax amava la dignità e gli emolumenti
dell'ufficio; che mentre seguitava a rimanere Lord Presidente, non
gli sarebbe stato possibile adoperare tutta la propria forza contro
il Governo, e che destituirlo era il medesimo che emanciparlo da
ogni ritegno. Il Re si tenne ostinato. Ad Halifax fu fatto sapere
che non v'era più mestieri de' suoi servigi, e il suo nome fu casso
dal Libro del Consiglio(578).
VII. La sua destituzione produsse gran senso non solo in
Inghilterra, ma anche in Parigi, in Vienna e nell'Aja; imperciocchè
bene sapevasi, come egli si fosse sempre studiato di frustrare la
influenza che la Francia esercitava nelle cose politiche della Gran
Brettagna. Luigi si mostrò grandemente lieto della nuova. I ministri
delle Provincie Unite e quelli di Casa d'Austria, dall'altro canto,
esaltavano la saviezza e la virtù del deposto uomo di Stato, in modo
da offendere la Corte di Whitehall. Giacomo, in ispecie, era
incollerito contro il segretario della legazione imperiale, il quale
non si astenne dal dire che gli eminenti servigi resi da Halifax nel
dibattimento intorno alla Legge d'Esclusione, erano stati rimunerati
con somma ingratitudine(579).
Dopo poco tempo si conobbe che molti sarebbero stati i seguaci di
Halifax. Una parte de' Tory, guidati da Danby loro antico capo,
cominciarono a parlare un linguaggio che olezzava di spirito Whig.
Persino i prelati accennavano esservi un punto in cui la lealtà
verso il principe doveva cedere a più alte ragioni. Il malcontento
de' capi dell'armata era anche più straordinario e più formidabile.
Principiavano già ad apparire i primi segni di que' sentimenti che,
tre anni dipoi, spinsero molti ufficiali d'alto grado a disertare la
bandiera regia. Uomini che per lo avanti non avevano mai avuto
scrupolo alcuno, subitamente divennero scrupolosi. Churchill
sussurrava(580) sottovoce, che il Re andava troppo oltre. Kirke, pur
allora ritornato dalle stragi d'occidente, giurava di difendere la
religione protestante. E quand'anche, ei diceva, avesse ad abiurare
la fede alla quale era stato educato, non sarebbe mai diventato
papista. Egli era già vincolato da una solenne promessa allo
imperatore di Marocco, al quale aveva giurato che se mai si fosse
indotto ad apostatare, si sarebbe fatto Musulmano(581).
VIII. Mentre la nazione, agitata da molte veementi emozioni,
aspettava ansiosa il ragunarsi delle Camere, giunsero di Francia
nuove, che accrebbero lo universale eccitamento.
La diuturna ed eroica lotta degli Ugonotti col Governo francese era
stata condotta a fine dalla destrezza e dal vigore di Richelieu. Il
grande uomo di Stato gli vinse; ma confermò loro la libertà di
coscienza ad essi conceduta dallo editto di Nantes. Fu loro
promesso, sotto alcune non incomode restrizioni, d'adorare Dio
secondo il loro rituale, e di scrivere in difesa della loro
dottrina. Erano ammissibili agli uffici politici e militari; nè la
eresia loro, per uno spazio considerevole di tempo, impedì ad essi
praticamente d'innalzarsi nel mondo. Alcuni di loro comandavano lo
armate dello Stato, ed altri presiedevano a' dipartimenti
d'importanza nell'amministrazione civile. Finalmente, variò la
fortuna. Luigi XIV, fino dagli anni suoi primi, aveva sentita contro
i Calvinisti un'avversione religiosa e insieme politica. Come
zelante Cattolico Romano, detestava i loro domini teologici. Come
principe amante del potere assoluto, detestava quelle teorie
repubblicane, che erano frammiste alla teologia ginevrina. A poco a
poco privò gli scismatici di tutti i loro privilegi. S'intromise
nella educazione de' fanciulli protestanti, confiscò gli averi
lasciati in legato ai Concistori protestanti, e con frivoli pretesti
chiuse tutte le chiese protestanti. I ministri protestanti furono
spogliati da' riscuotitori delle tasse. I magistrati protestanti
furono privati dell'onore della nobiltà. Agli ufficiali protestanti
della Casa Reale fu annunziato che Sua Maestà più non aveva mestieri
de' loro servigi. Furono dati ordini perchè nessun protestante fosse
ammesso alla professione di legale. La oppressa setta mostrò qualche
lieve segno di quello spirito che, nel secolo precedente, aveva
sfidata la potenza della Casa di Valois. Ne seguirono stragi e pene
capitali. Furono acquartierate compagnie di dragoni nelle città dove
gli eretici erano numerosi, e nelle abitazioni rurali di
gentiluomini eretici; e la crudeltà e la licenza di cotesti feroci
missionari, era approvata o debolmente biasimata dal Governo.
Nondimeno, lo editto di Nantes, quantunque fosse stato violato di
fatto in tutte le sue più essenziali provvisioni, non era stato per
anche formalmente revocato; e il Re più volte dichiarò in solenni
atti pubblici, d'essere deliberato a mantenerlo. Ma i bacchettoni e
gli adulatori, che governavano l'orecchio del Re, gli porsero un
consiglio ch'ei volentieri accolse. Gli dimostrarono la sua politica
di rigore avere già prodotti stupendi effetti, poca o nessuna
resistenza essersi fatta al suo volere, migliaia d'Ugonotti essersi
già convertiti; e conclusero che, ove egli facesse l'unico passo che
rimaneva a compire l'opera, coloro che seguitavano a ricalcitrare,
si sarebbero sollecitamente sottomessi; la Francia sarebbe purgata
della macchia d'eresia; e il suo principe si sarebbe acquistata una
corona celeste non meno gloriosa di quella di San Luigi. Tali
argomenti vinsero l'animo del Re. Il colpo finale fu dato. Lo editto
di Nantes venne revocato; e comparvero, rapidamente succedendosi,
numerosi decreti contro i settarii. I fanciulli e le fanciulle
furono strappati dalle braccia de' genitori, e mandati ad educarsi
nei conventi. A tutti i Ministri Calvinisti fu ingiunto o di
abiurare la loro religione, o dentro quindici giorni uscire dal
territorio della Francia. Agli altri credenti della Chiesa Riformata
fu inibito di partirsi dal Regno; e a fine d'impedire loro la fuga,
i porti e i confini vennero rigorosamente guardati. In tal modo, il
traviato gregge - sperava il principe - diviso dai malvagi pastori,
sarebbe tosto ritornato in grembo alla vera fede. Ma, a dispetto di
tutta la vigilanza della polizia militare, numerosissimi furono gli
emigrati. Fu calcolato che in pochi mesi cinquantamila famiglie
dissero per sempre addio alla Francia. Nè i fuggenti erano tali da
importar poco alla patria che li perdeva. Erano per lo più persone
intelligenti, industriose e di austera morale. Trovavansi fra loro
nomi illustri nella milizia, nelle scienze, nelle lettere, nelle
arti. Parecchi degli esuli offersero le spade loro a Guglielmo
d'Orange, e si resero notevoli pel furore onde combatterono contro
il loro persecutore. Altri vendicaronsi con armi anco più
formidabili, e per mezzo delle stamperie d'Olanda, d'Inghilterra, di
Germania, infiammarono per trenta anni gli animi di tutta l'Europa
contro il Governo Francese. Una classe più pacifica di gente istituì
manifattorie di seta nel suburbio orientale di Londra. Una compagnia
d'esuli insegnò ai Sassoni a fare le stoffe e i cappelli, di che
fino allora la sola Francia aveva tenuto il monopolio. Un'altra
piantò le prime viti nelle vicinanze del Capo di Buona
Speranza(582).
In circostanze ordinarie, le Corti di Spagna e di Roma avrebbero
fatto plauso ad un principe che aveva vigorosamente guerreggiato
contro la eresia. Ma tanto era l'odio ispirato dalla ingiustizia ed
alterigia di Luigi, che, fattosi egli persecutore, le Corti di Roma
e di Spagna presero le parti della libertà religiosa, e forte
riprovarono le crudeltà di scagliare senza freno sopra genti
inoffensive una feroce e licenziosa soldatesca(583). Un grido
unanime di dolore e di rabbia levossi da' petti di tutti i
protestanti d'Europa. La nuova della revoca dello editto di Nantes
giunse in Inghilterra circa una settimana innanzi che si aggiornasse
il Parlamento. Apparve allora manifesto, che lo spirito di Gardiner
e del Duca d'Alba(584) seguitava sempre ad animare la Chiesa
Cattolica Romana. Luigi non era da meno di Giacomo per generosità ed
umanità, e certo eragli superiore in tutte le doti e i requisiti
d'uomo di Stato. Luigi, al pari di di Giacomo, aveva ripetutamente
promesso di rispettare i privilegi de' suoi sudditi protestanti.
Nulladimeno, Luigi adesso era diventato scopertamente persecutore
della religione riformata. Quale ragione, dunque, eravi a dubitare
che Giacomo aspettasse solo la occasione di seguire lo esempio del
Re francese? Egli andava già formando, a dispetto della legge, una
forza militare composta in gran parte di Cattolici Romani. Vi era
nulla d'irragionevole nel timore che tale forza potesse venire
adoperata a fare ciò che i dragoni francesi(585) avevano fatto?
IX. Giacomo rimase conturbato quasi al pari de' suoi sudditi per la
condotta della Corte di Versailles. A dir vero, essa aveva agito in
modo che parea volesse essergli d'impaccio e di molestia. Egli stava
sul punto di chiedere al corpo legislativo protestante piena
tolleranza pei Cattolici Romani. Nulla, quindi, gli poteva giungere
tanto importuno, quanto la nuova che in uno Stato vicino, un Governo
cattolico romano avesse pur allora privati della tolleranza i
protestanti. La sua vessazione fu accresciuta da un discorso che il
Vescovo di Valenza, a nome del clero gallicano, diresse a Luigi XIV.
L'oratore diceva, come il pio sovrano dell'Inghilterra sperasse dal
Re Cristianissimo soccorso contro una nazione eretica. Fu notato che
i membri della Camera de' Comuni mostravansi singolarmente ansiosi
di procurarsi esemplari di cotesta arringa, la quale venne letta da
tutti gl'Inglesi con isdegno e timore(586). Giacomo voleva frustrare
la impressione da siffatte cose prodotta, ed in quel momento
mostrare all'Europa di non essere schiavo della Francia. Dichiarò
quindi pubblicamente, com'egli disapprovasse il modo onde gli
Ugonotti erano stati trattati; largì agli esuli qualche soccorso dal
suo tesoro privato; e con lettere munite del gran sigillo, invitò i
suoi sudditi ad imitare la liberalità sua. In pochi mesi chiaro si
conobbe, come la mostrata commiserazione fosse finta a blandire il
Parlamento; come egli sentisse verso i fuorusciti odio mortale; e
come di nulla tanto si dolesse, quanto della propria impotenza a
fare ciò che Luigi aveva compito.
X. Il dì 9 di novembre, le Camere si ragunarono. I Comuni furono
chiamati alla barra de' Lordi a udire il discorso della Corona,
profferito dal Re stesso sul trono. Lo avea composto da sè.
Congratulossi coi suoi amatissimi sudditi di vedere spenta la
ribellione nelle Contrade Occidentali; ma soggiunse che la celerità
onde quella ribellione era nata e formidabilmente cresciuta, e la
lunghezza del tempo in che essa aveva infuriato, dovevano convincere
ciascuno quanto poco conto si potesse fare delle milizie cittadine.
Aveva per ciò aumentata l'armata regolare. Le spese a mantenerla
quinci innanzi sarebbero più che raddoppiate; ed aveva fiducia che i
Comuni gli concederebbero i mezzi a provvedervi. Annunziò poi agli
uditori d'avere impiegati parecchi ufficiali i quali non s'erano
sottoposti all'Atto di Prova; ma egli li conosceva ben degni della
pubblica fiducia. Temeva che gli uomini astuti si sarebbero giovati
di cotesta irregolarità per turbare la concordia che esisteva tra
lui e il Parlamento. Ma gli era forza di parlare schietto,
dichiarando di essere fermissimo a non dividersi, da servi sulla cui
fedeltà ei poteva riposare, e del cui soccorso forse tra poco tempo
avrebbe egli avuto mestieri(587). La esplicita dichiarazione,
ch'egli aveva rotte le leggi dalla nazione reputate principalissime
tutrici della religione stabilita, e ch'egli era determinato a
persistere nel violarle, non era atta a mansuefare gli esasperati
animi de' suoi sudditi. I Lordi, rade volte inchinevoli ad iniziare
l'opposizione al Governo, consentirono a votare formali rendimenti
di grazie per le cose espresse dal Re nel proprio discorso. Ma i
Comuni furono meno proclivi. Ritornati alla sala delle loro
adunanze, vi fu un profondo silenzio; e sui visi di molti
spettabilissimi rappresentanti era dipinta la profonda inquietudine
degli animi. Infine, Middleton alzossi, e propose che la Camera
subitamente si formasse in Comitato intorno al discorso del Re; ma
Sir Edmondo Jennings, Tory zelante della Contea di York, che
supponevasi esprimesse il pensiero di Danby, protestò contro, e
chiese tempo a considerare maturamente la cosa. Sir Tommaso Clarges,
zio materno del Duca di Albemarle, e da lungo tempo rinomato in
Parlamento come uomo atto agli affari ed economo della pubblica
pecunia, fece eco alle parole di Jennings. Il sentire della Camera
de' Comuni non poteva non esser chiaro a tutti. Sir Giovanni Ernley,
Cancelliere dello Scacchiere, insistè onde lo indugio non fosse più
di quarantotto ore; ma gli fu forza cedere, e deliberossi di
differire la discussione a tre giorni(588).
Questo intervallo di tempo fu bene adoperato da coloro che erano
capi della opposizione alla Corte. E davvero, non era lieve la
impresa che si studiavano di compiere. In tre giorni dovevano
riordinare un partito patriottico. Non è agevole ne' giorni nostri
intendere la difficoltà di ciò fare; perocchè oggidì può dirsi che
la intera nazione assista alle deliberazioni de' Lordi e dei Comuni.
Ciò che vien detto dai capi del ministero o della opposizione dopo
la mezza notte, si legge all'alba da tutta la metropoli, nel
pomeriggio dagli abitanti di Northumberland e di Cornwall, e nella
mattina seguente in Irlanda e nelle montagne della Scozia. Nell'età
nostra, quindi, tutti gli stadii della legislazione, le regole della
discussione, la strategia delle fazioni, le opinioni, gli umori, lo
stile d'ogni membro di ambedue le Camere, sono cose familiari a
centinaia di migliaia d'uomini. Chiunque adesso entri in Parlamento,
possiede ciò che nel secolo decimosettimo si sarebbe reputato gran
tesoro di scienza parlamentare. La quale allora nessuno avrebbe
potuto acquistare senza aver fatto il tirocinio nel Parlamento. La
diversità fra un membro antico ed uno nuovo, era quanta la diversità
che corre tra un vecchio soldato ed una recluta di recente tolta
all'aratro; e il Parlamento di Giacomo comprendeva un affatto
insolito numero di nuovi membri, i quali dalle loro rurali residenze
s'erano recati a Westminster, privi di sapere politico, e pieni di
violenti pregiudizi. Questi gentiluomini odiavano i papisti, ma non
portavano odio meno forte ai Whig, e sentivano pel Re superstiziosa
venerazione. Di cotesti materiali formare una opposizione, era un
fatto che richiedeva arte e delicatezza infinite. Molti uomini di
grande importanza, nondimeno, assunsero la impresa e la compirono
con esito felice. Vari esperti politici Whig che non sedevano in
quel Parlamento, davano utili consigli ed erudimenti. Nel dì che
precesse al fissato per la discussione, si tennero molti convegni,
dove gli esperti capi ammaestrarono i novizi; e tosto si vide come
tali sforzi non fossero stati invano(589).
XI. Le legazioni straniere furono tutte in commovimento. Intendevasi
bene che fra pochi giorni si sarebbe risoluta la gran questione, se
il Re d'Inghilterra sarebbe o no il vassallo di quello di Francia. I
ministri di casa d'Austria desideravano ardentemente che Giacomo
satisfacesse al Parlamento. Papa Innocenzo aveva inviati a Londra
due uomini, ai quali aveva commesso di inculcare moderazione e con
gli ammonimenti e con lo esempio. Uno era Giovanni Leyburn,
Domenicano inglese, già stato segretario del Cardinale Howard; ed
uomo che, fornito di qualche dottrina e d'una ricca vena di naturale
arguzia, era il più cauto, destro e taciturno de' viventi. Era stato
di recente consacrato vescovo d'Adrumeto, e fatto Vicario Apostolico
della Gran Brettagna. Ferdinando, conte d'Adda, italiano, di non
grande abilità, ma d'indole mite e di modi cortesi, era stato
nominato Nunzio. Questi due personaggi furono lietamente accolti da
Giacomo. Nessun vescovo cattolico romano, per più di un secolo e
mezzo, aveva esercitata autorità spirituale nell'isola. Nessun
Nunzio ivi era stato ricevuto per lo spazio de' centoventisette anni
ch'erano scorsi dopo la morte di Maria. Leyburn fu alloggiato in
Whitehall, ed ebbe una pensione di mille lire sterline l'anno. Adda
non aveva per anche assunto carattere pubblico. Egli passava per un
forestiere d'alto lignaggio, che per curiosità era venuto a Londra;
andava giornalmente a Corte, ed era trattato con segni d'alta stima.
Ambedue gli emissari del pontefice, fecero ogni sforzo per iscemare,
quanto fosse possibile, l'odiosità inseparabile dagli uffici che
occupavano, e frenare il temerario zelo di Giacomo. Il Nunzio
segnatamente dichiarò, che niuna cosa poteva recare maggior
detrimento agli interessi della Chiesa di Roma, che una rottura tra
il Re e il Parlamento(590).
Barillon agiva per un altro verso. Gli ordini che aveva ricevuti in
questa occasione da Versailles, sono degnissimi di studio;
imperocchè porgono la chiave a conoscere la politica seguita
sistematicamente dal suo signore verso l'Inghilterra nei venti anni
che precessero la nostra Rivoluzione. Luigi scriveva, come le
notizie giunte da Madrid fossero sinistre. Ivi fermamente speravasi
che Giacomo avrebbe fatta stretta colleganza con la Casa d'Austria,
appena si fosse assicurato che il Parlamento non gli darebbe
molestia. In tali circostanze, importava molto alla Francia fare in
modo che il Parlamento si mostrasse disubbidiente. A Barillon,
quindi, fu dato comandamento di fare, con tutte le possibili
cautele, la parte d'arruffamatassa. In Corte, non doveva lasciare
fuggire il destro di stimolare lo zelo religioso e l'orgoglio regio
di Giacomo; ma nel tempo stesso, doveva ingegnarsi di tenere secrete
pratiche coi malcontenti. Siffatte relazioni erano rischiose e
richiedevano somma destrezza; nondimeno, avrebbe forse trovato mezzo
d'incitare, - senza mettere a repentaglio sè stesso o il proprio
Governo, - lo zelo dell'opposizione per le leggi e le libertà
dell'Inghilterra, e lasciare intendere che quelle leggi o libertà
non erano dal Re di Francia guardate di mal occhio(591).
XII. Luigi, quando dettava coteste istruzioni, non prevedeva come
presto e pienamente la ostinatezza e stupidità di Giacomo gli
dovessero togliere dall'animo ogni inquietudine. Il dì 11 di
novembre, la Camera de' Comuni si formò in Comitato per discutere il
discorso della Corona. Heneage Finch, Procuratore Generale, teneva
il seggio. La discussione fu condotta con peregrino ingegno e
destrezza da' capi del nuovo partito patriottico. Non uscì loro
dalle labbra espressione alcuna d'irreverenza pel sovrano, o di
simpatia pei ribelli. Della insurrezione delle Contrade Occidentali
parlarono sempre con abborrimento. Non fecero pur motto delle
barbarie di Kirke o di Jeffreys. Ammisero che le gravi spese
cagionate da' trascorsi disturbi, giustificavano il Re a domandare
un aumento di pecuniari sussidi; ma si opposero fortemente ad
accrescere l'armata, e alla infrazione dell'Atto di Prova.
Pare che i cortigiani avessero studiosamente schivato ogni discorso
intorno all'Atto di Prova. Favellarono, nondimeno, con vigore a
dimostrare quanto l'armata regolare fosse superiore alla civica
milizia. Uno di loro, con modo insultante, chiese se la difesa del
reame era da affidarsi alle sole guardie del Re. Un altro disse che
gli si mostrasse in che guisa i militi civici della Contea del
Devonshire, i quali, sgominati, fuggirono dinanzi ai contadini
armati di falci che seguivano Monmouth, avrebbero potuto affrontare
le guardie reali di Luigi. Ma cosiffatte ragioni facevano poco
effetto nell'animo de' Cavalieri, che serbavano amara rimembranza
del Governo del Protettore. Il sentimento comune a tutti loro fu
espresso da Eduardo Seymour, primo de' gentiluomini Tory
dell'Inghilterra. Egli ammise che la milizia civica non era in
condizioni soddisfacenti, ma sostenne che poteva riordinarsi. Tale
riordinamento avrebbe richiesto danari; ma, per parte sua, avrebbe
più volentieri dato un milione a mantenere una forza dalla quale ei
non aveva nulla a temere, che mezzo milione a mantenere una forza
della quale gli era d'uopo vivere in continua trepidazione.
Disciplinate le legioni della Civica, rafforzata la flotta, la
patria rimarrebbe sicura. Un esercito stanziale avrebbe, se non
altro, emunto il pubblico tesoro. Il soldato era uomo rapito alle
arti utili. Non produceva nulla; consumava il frutto della industria
altrui; e tiranneggiava coloro da' quali era mantenuto. Ma la
nazione adesso era minacciata non solo di un esercito stanziale, ma
d'un esercito stanziale papista; di un esercito stanziale comandato
da ufficiali che potevano essere gentili ed onorevoli, ma erano per
principio nemici alla Costituzione del Regno. Sir Guglielmo Twisden,
rappresentante della Contea di Kent, parlò nel medesimo senso con
detti pungenti, e ne ebbe plauso. Sir Riccardo Temple, uno de' pochi
Whig che sedevano in quel Parlamento, accomodando la favella agli
umori del suo uditorio, rammentò alla Camera, come un esercito
stanziale si fosse sperimentato pericoloso sì alla giusta autorità
de' principi, che alla libertà delle nazioni. Sir Giovanni Maynard,
il più dotto giureconsulto de' suoi tempi, prese parte alla
discussione. Aveva più di ottanta anni, e poteva bene rammentarsi
delle contese politiche del regno di Giacomo I. Aveva seduto nel
Lungo Parlamento, e parteggiando per le Teste-Rotonde, aveva sempre
porti consigli di mitezza, ed erasi affaticato a compire una
riconciliazione generale. Per le doti della mente, non iscemate
punto dalla vecchiezza, e per la scienza nella propria professione,
onde egli aveva sì lungamente imposto rispetto in Westminster Hall,
governava l'uditorio nella Camera de' Comuni. Anch'egli si dichiarò
avverso allo aumento delle milizie regolari.
Dopo molto disputare, fu deliberato di concedere un sussidio alla
Corona; ma fu parimente deliberato di presentare una legge per
riordinare la milizia civica. Questa ultima deliberazione equivaleva
ad una dichiarazione contro l'idea di formare un esercito stanziale.
Il Re ne ebbe assai dispiacere; e si lasciò correre la voce, che se
le cose seguitavano ad andare a questo modo, la sessione del
Parlamento non avrebbe avuto lunga durata(592). La dimane
riprincipiò la contesa. Il linguaggio del partito patriottico fu
visibilmente più audace e pungente, che non era stato il dì innanzi.
Il paragrafo del discorso del Re, che si riferiva al sussidio da
concedersi, precedette quello che si riferiva all'Atto di Prova.
Fondandosi sopra ciò, Middleton propose che il paragrafo riferentesi
al sussidio, venisse discusso il primo nel comitato. Quei della
opposizione proposero la questione pregiudiciale. Allegavano come
l'usanza ragionevole e costituzionale fosse di non concedere pecunia
innanzi che fosse provveduto agli abusi; la quale usanza sarebbe
finita, se la Camera si fosse reputata servilmente vincolata a
seguire l'ordine in cui le cose venivano rammentate dal Re sul
trono.
Fecesi uno squittinio di divisione intorno alla questione se la
proposta di Middleton fosse da adottarsi. Il Presidente ordinò che
coloro i quali opinavano pel no, andassero nell'antisala. Se ne
offesero molto, e querelaronsi altamente di siffatta servilità e
parzialità; imperocchè pensavano, secondo la intricata e sottile
regola che allora vigeva, e che ai dì nostri venne messa da parte,
sostituendovene un'altra più ragionevole e conveniente, avere il
diritto di rimanere ai loro seggi; e tutti gli uomini più esperti
degli usi parlamentari di quella età sostenevano, che coloro i quali
rimanevano nella sala, avevano un vantaggio sopra coloro che
uscivano fuori: imperciocchè i seggi erano così difettosi, che niuno
il quale avesse avuta la fortuna di trovare un buon posto, amava di
perderlo. Ciò non ostante, con isbalordimento de' Ministri, molti di
coloro da' cui voti la Corte onninamente dipendeva, furono veduti
muoversi verso la porta. Fra loro era Carlo Fox, pagatore delle
truppe, e figlio di Stefano Fox, scrivano della Corte Regia di
Palazzo. Il pagatore era stato indotto da' suoi amici ad assentarsi
durante la discussione. Ma fu tanta la sua ansietà, che entrò nella
stanza del Presidente, udì parte del dibattimento, ritirossi; e dopo
d'avere per una o due ore ondeggiato fra la propria coscienza e
cinque mila lire sterline di paga annua, prese un'animosa
risoluzione e si rificcò nella sala, appunto mentre facevasi la
votazione. Due ufficiali dell'armata, il Colonnello Giovanni Darcy,
figlio di Lord Conyers, e il Capitano Giacomo Kendall, andarono
nell'antisala. Middleton scese alla barra e li rimproverò
aspramente. In ispecie, diresse la parola a Kendall, servitore
bisognoso della Corona, che da un collegio elettorale di Cornwall,
ligio agli ordini del Re, era stato mandato al Parlamento, e che di
recente aveva ottenuto un dono di cento ribelli condannati alla
deportazione. "Signore," disse Middleton "non comandate voi un
reggimento di cavalleria a' servigi di Sua Maestà?" - "Sì, o
Milord," rispose Kendall "ma mio fratello è morto ora che è poco, e
mi ha lasciato settecento lire sterline l'anno."
XIII. Come i questori compirono l'ufficio loro, i voti affermativi
furono cento ottantadue, i negativi cento ottantatre. In quella
Camera di Comuni, che era stata messa insieme per mezzo di raggiri,
di corruzione e di violenza; in quella Camera di Comuni, della quale
Giacomo aveva detto che più di undici dodicesimi de' membri erano
quali dovevano essere se gli avesse nominati da sè, la Corte aveva
avuta una sconfitta sopra una questione vitale(593). A cagione
di questo voto, le espressioni adoperate dal Re parlando dell'Atto
di Prova furono, il dì 13 novembre, poste in discussione. E' fu
risoluto, dopo molto discutere, di fargli un indirizzo, a
rammentargli come ei non potesse legalmente seguitare a tenere in
ufficio uomini che ricusassero di uniformarsi alla legge, e a
sollecitarlo perchè prendesse gli opportuni provvedimenti a quietare
i sospetti e le gelosie del popolo(594).
Fu poi proposto che i Lordi venissero richiesti di aderire allo
indirizzo. Adesso è impossibile chiarirsi se mai tale proposta fosse
stata onestamente fatta dalla opposizione, sperante che il concorso
dei Pari avrebbe aggiunto peso alla rimostranza, o fatta
artificiosamente dai cortigiani con la speranza che ne seguisse un
dissenso fra le due Camere. La proposta venne rigettata(595).
La Camera si era formata in Comitato onde deliberare intorno la
pecunia da concedersi. Il Re chiedeva un milione(596) e quattrocento
mila lire sterline; ma i Ministri s'accorsero che sarebbe stato vano
domandare una sì grossa somma. Il Cancelliere dello Scacchiere
propose un milione e dugento mila lire sterline. I capi della
opposizione risposero, che concedere tanta pecunia sarebbe stato il
medesimo che approvare la permanenza delle forze militari allora
esistenti: mentre essi erano disposti solo a dar tanto da bastare
pel mantenimento delle truppe regolari finchè le milizie civiche
venissero riformate; e però proposero quattro cento mila lire
sterline. I cortigiani si misero ad urlare contro siffatta proposta,
come indegna della Camera e irriverente al Re. Ma trovarono vigorosa
resistenza. Uno de' rappresentanti le Contee Occidentali, voglio
dire Giovanni Windham, che era deputato di Salisbury, si oppose
vivamente, dicendo come egli avesse sempre avuto terrore ed
abborrimento per gli eserciti stanziali; massime da che la recente
esperienza l'aveva riconfermato in tale pensiero. Si provò poi di
toccare d'una cosa che fino allora era stata con sommo studio
schivata. Dipinse la desolazione delle Contee Occidentali. Disse che
i popoli erano stanchi della oppressura delle truppe, stanchi degli
alloggi, delle depredazioni, e di scelleratezze anche peggiori che
la legge chiamava fellonie, ma che essendo commesse da tale classe
di felloni, non era possibile ottenerne giustizia. I ministri del Re
avevano detto alla Camera, che erano stati fatti buoni provvedimenti
pel governo dell'armata; ma nessuno avrebbe osato dire che fossero
stati mandati ad esecuzione. Quale ne era la necessaria conseguenza?
Il contrasto tra i paterni ammonimenti profferiti dal trono e la
intollerabile tirannia de' soldati, non provava egli che l'armata
era anche allora troppa e pel principe e pel popolo? I Comuni
potevano, perfettamente coerenti a sè stessi, senza menomare la
fiducia che avevano posta nelle intenzioni di Sua Maestà, ricusare
che venisse aumentata una forza che, manifestamente, la Maestà Sua
non avrebbe potuto tenere in freno.
XIV. La proposta delle quattrocento mila lire sterline, non passò
per dodici voti di minoranza. Questa vittoria, riportata dai
Ministri, era una quasi sconfitta. I capi del partito patriottico,
non punto scoraggiati, indietreggiarono un poco, per ritornare alla
prova, e proposero la somma di settecentomila lire sterline. Il
Comitato votò nuovamente, e i cortigiani furono sconfitti con
dugentododici voti contro centosessanta(597). Il dì dopo, i
Comuni andarono solennemente a Whitehall recando l'indirizzo, dove
si parlava dell'Atto di Prova. Il Re li accolse seduto sul trono.
L'indirizzo era scritto con parole spiranti riverenza ed affetto;
imperocchè la maggior parte di coloro che avevano votato a favore di
quello, erano fervidamente anzi superstiziosamente realisti, e
avevano di leggieri assentito ad inserirvi alcune frasi di
complimento, omettendo ogni parola che i cortigiani avevano reputata
offensiva. La risposta di Giacomo fu una fredda e austera
riprensione. Manifestò dispiacere e maraviglia nel vedere che i
Comuni avevano così poco profittato degli ammonimenti dati loro.
"Ma," soggiunse "quantunque possiate seguitare a fare a modo vostro,
io sarò fermissimo in tutte le promesse che vi ho fatte(598)."
I Comuni si radunarono nella loro sala mal satisfatti, e alquanto
intimoriti. La più parte di loro portavano al Re alta riverenza. Tre
anni d'oltraggi, e d'insulti più duri degli oltraggi stessi,
bastavano appena a sciogliere i vincoli onde i gentiluomini
Cavalieri erano legati al trono.
Il Presidente ridisse la sostanza della risposta del Sovrano.
Successe per alcun tempo un solenne silenzio; poi si lesse
regolarmente l'ordine del giorno; e la Camera si formò in Comitato
per discutere la legge di riforma della milizia civica.
XV. Nondimeno, servirono poche ore perchè la opposizione si
rifacesse d'animo. Come, sul cadere del giorno, il Presidente
riprese il seggio, Wharton, il più ardito ed operoso de' Whig,
propose di stabilire il giorno in cui la risposta del Re si dovesse
prendere in considerazione. Giovanni Coke, rappresentante di Derby,
quantunque fosse Tory conosciuto, secondò le parole di Wharton,
dicendo: "Spero che noi tutti saremo Inglesi, e che poche parole
altere non varranno a intimorirci e distoglierci dal proprio
dovere."
E furono parole coraggiose, ma non savie. "Notate le sue parole! -
Alla barra! - Alla Torre!" gridavano da ogni canto della sala. I più
moderati proposero, che l'offensore venisse severamente ripreso: ma
i Ministri insisterono con veemenza perchè fosse mandato in
prigione. Dissero che la Camera poteva perdonare le offese fatte ad
essa, ma non aveva ragione di rimettere un insulto fatto alla
Corona. Coke fu condotto alla Torre. La indiscretezza di un solo
uomo aveva interamente disordinato il sistema di strategia con tanta
arte congegnato dai capi della opposizione. Invano, in quel momento,
Eduardo Seymour tentò di riordinare i suoi aderenti, esortandoli a
stabilire il giorno per discutere la risposta del Re, ed esprimendo
la fiducia che la discussione sarebbe stata condotta col rispetto
debito de' sudditi verso il sovrano. I rappresentanti erano tanto
intimiditi dal dispiacere del Re, e tanto esasperati dalla rozzezza
di Coke, che non sarebbe stato savio partito fare squittinio di
divisione(599).
La Camera si aggiornò; e i Ministri s'illusero credendo che lo
spirito della opposizione fosse domo. Ma la mattina del dì 19
novembre, nuovi e sinistri segni comparvero. Era giunto il tempo di
prendere in considerazione le petizioni arrivate da ogni parte
dell'Inghilterra contro le ultime elezioni. Allorquando, nella prima
adunanza del Parlamento, Seymour s'era altamente querelato del
Governo, il quale usando la forza e la fraude aveva impedito che la
opinione de' collegi elettorali liberamente si manifestasse, non
aveva trovato niuno che lo secondasse. Ma molti che allora s'erano
da lui scostati, avevano poi ripreso animo, e con a capo Sir
Giovanni Lowther, rappresentante di Cumberland, innanzi lo
aggiornamento avevano manifestata la necessità d'inquisire intorno
agli abusi che avevano tanto commossa l'opinione pubblica. La Camera
adesso trovavasi più stizzita; e molti alzavano la voce in tono di
minaccia e d'accusa. Ai Ministri fu detto, che la nazione aspettava
e doveva avere solenne giustizia de' torti patiti. Intanto
accennavasi destramente, che la migliore espiazione che ogni
gentiluomo eletto con illeciti mezzi potesse fare agli occhi del
pubblico, era di usare il mal conseguito potere in difesa della
religione e delle libertà della patria. Niun rappresentante, che in
tanta ora di pericolo facesse il debito proprio, aveva nulla a
temere. Forse potevano trovarsi argomenti per escluderlo dal
Parlamento; ma la opposizione prometteva di adoperare tutta la
propria influenza a farlo rieleggere(600). XVI. Il giorno
stesso chiaramente si conobbe, che lo spirito d'opposizione(601)
erasi propagato dalla Camera de' Comuni a quella de' Lordi, e
perfino al banco de' vescovi. Guglielmo Cavendish, Conte di
Devonshire, aperse lo arringo nella Camera Alta, e a ciò fare aveva
i necessari requisiti. Per ricchezze ed influenza a nessuno de'
Nobili inglesi era secondo; e la voce pubblica lo diceva il più
compito gentiluomo de' tempi suoi. La magnificenza, il gusto, lo
ingegno, la classica dottrina, l'altezza dello spirito, la grazia e
la urbanità de' modi, erano qualità che i suoi stessi nemici gli
consentivano. Sventuratamente, i panegiristi suoi non potrebbero
sostenere che la sua morale rimanesse incontaminata dal contagio a
que' tempi sparso dappertutto. Quantunque ei procedesse avverso al
papismo e al potere arbitrario, aveva sempre abborrito dagli
esagerati provvedimenti; era, come vide perduta la Legge
d'Esclusione, inchinato ad un compromesso, e non s'era mai
immischiato negli illegali ed imprudenti disegni che avevano
screditato il partito Whig. Ma benchè gli spiacesse in parte la
condotta de' propri amici, ei non aveva mai mancato di compire con
zelo gli ardui e perigliosi doveri d'amicizia. S'era mostrato al
fianco di Russell alla sbarra; nel tristo giorno della sua
decapitazione, gli aveva detto addio, fra amplessi affettuosi e
copiose ed amarissime lacrime; anzi, s'era offerto di mettere a
repentaglio la propria vita per procurargli la fuga(602). Questo
grand'uomo, adunque, propose in Parlamento di fissare un giorno per
esaminare il discorso del Re. Dal lato opposto sostenevasi, che i
Lordi col deliberare rendimenti di grazie al Sovrano per il
discorso, s'erano privati del diritto di muovere querela. Ma Halifax
trattò con ispregio simile risposta. "Cosiffatti ringraziamenti"
disse egli con quella piacevolezza di sarcasmo di cui era maestro
"non includono approvazione. Siamo gratissimi sempre che il nostro
Sovrano si degna di rivolgerci la parola. E in ispecie siamo grati
quando, come ha fatto nella presente occasione, ci parla chiaro ed
accenna ciò che ci tocchi a patire(603)."
XVII. Il dottore Enrico Compton, vescovo di Londra. parlò fortemente
a favore della proposta. Quantunque ei non avesse ricco corredo di
insigni doti, nè fosse profondamente versato negli studi della
propria professione, la Camera sempre lo ascoltava con riverenza;
imperocchè egli era uno de' pochi ecclesiastici che in quell'età
potesse vantare nobiltà di sangue. Ed egli e la sua famiglia avevano
dato prove di lealtà. Suo padre, secondo Conte di Northampton, aveva
strenuamente combattuto per Carlo I, e circuito dai soldati
dell'armata parlamentare, era caduto con la spada in pugno,
ricusando di concedere o d'accettare quartiere. Lo stesso vescovo,
innanzi di ricevere gli ordini sacri, era stato nelle Guardie; e
ancorchè generalmente facesse ogni sforzo per mostrare la gravità e
la sobrietà convenevoli ad un prelato, di quando in quando si vedeva
in lui sfavillare qualche scintilla dell'antico spirito militare.
Gli era stata affidata la educazione religiosa delle due
Principesse, e aveva adempito a quel solenne dovere in modo da
soddisfare tutti i buoni Protestanti, e da assicurargli
considerevole influenza sopra le menti delle sue discepole, e
massime della Principessa Anna(604). Adesso dichiarò d'avere potestà
di manifestare l'opinione de' suoi confratelli, i quali insieme con
lui pensavano che la intera Costituzione civile ed ecclesiastica del
reame fosse in pericolo(605).
XVIII. Uno de' più segnalati discorsi di quel giorno uscì dalle
labbra d'un giovane, che con la bizzarria de' suoi casi era
destinato a rendere attonita la Europa. Aveva nome Carlo Mordaunt,
Visconte Mordaunt, grandemente rinomato anni dopo come Conte di
Peterborough. Aveva già date numerose prove di coraggio, di
capacità, e di quella stranezza di cervello che rese quel coraggio e
quella capacità inutili alla propria patria. S'era perfino messo in
mente di rivaleggiare con Bourdaloue e Bossuet. Quantunque ei fosse
conosciuto come libero pensatore, aveva vegliato tutta notte in un
viaggio di mare per comporre sermoni, e con difficoltà gli era stato
impedito di edificare con un pio discorso la ciurma di un vascello
da guerra. Adesso favellò per la prima volta nella Camera de' Pari
con singolare eloquenza, con ardore, con audacia. Biasimò i Comuni
di non essersi messi in una via più ardimentosa, dicendo: "Essi
hanno avuto timore di parlare schietto. Hanno ragionato di sospetti
e di gelosie. Che c'entrano qui le gelosie ed i sospetti? Essi sono
sentimenti che provansi per danni incerti e futuri; e il male che
stiamo esaminando non è futuro nè incerto. Esiste un esercito
stanziale. È comandato da ufficiali papisti. Non abbiamo nemico
straniero. Non v'è ribellione nel paese nostro. A che fine, dunque,
si mantengono tanto numerose forze se non per abbattere le nostre
leggi, e stabilire il potere arbitrario, cotanto giustamente
abborrito dagli Inglesi(606)?"
Jeffreys parlò contro la proposta con quel rozzo e feroce stile di
cui egli era maestro; ma si accôrse subito non essere così agevole
atterrire gli alteri e potenti baroni d'Inghilterra nella loro sala,
come lo era intimidire gli avvocati, il cui pane dipendeva dal
favore, o gli accusati le cui teste erano nelle mani di lui. Un uomo
che abbia passata la vita ad aggredire ed imporre ad altrui, sia
quale si voglia supporre il suo coraggio ed ingegno, generalmente,
qualvolta è rigorosamente aggredito, fa meschina figura:
imperciocchè, non essendo avvezzo a starsi sulla difensiva, si
confonde; e il sapere che tutti gl'insultati da lui godono della sua
confusione, lo confonde vie maggiormente. Jeffreys, per la prima
volta da che era divenuto grand'uomo, veniva incontrato a condizioni
uguali da avversari che non lo temevano. A soddisfazione universale,
era quella la prima volta ch'egli passava dallo estremo
dell'insolenza allo estremo dell'abbiettezza, e non potè frenarsi di
spargere lacrime di rabbia e di dispetto(607). Nulla, a dir vero,
mancò ad umiliarlo; poichè la sala era piena di circa cento Pari,
numero maggiore anche di quello che vi s'era trovato nel gran dì del
voto intorno alla Legge d'Esclusione. Arrogi che v'era presente
anche il Re. Carlo aveva avuto costume di assistere alle tornate
della Camera de' Lordi per sollazzo, e spesso era solito dire che
una discussione gli era di piacevole intertenimento al pari d'una
commedia. Giacomo ci andò non per divertirsi, ma con la speranza che
la propria presenza fosse di qualche freno alla discussione. E
s'ingannò. Gli umori della Camera si manifestarono con tanto vigore,
che dopo una pungentissima orazione fatta da Halifax a concludere, i
cortigiani non vollero avventurarsi allo squittinio di divisione. Fu
stabilito un giorno prossimo a prendere in considerazione il
discorso del Re; e fu ordinato che tutti i Pari i quali non fossero
in luoghi molto distanti da Westminster, si trovassero al proprio
posto(608).
XIX. Il dì seguente, il Re in tutta pompa andò alla Camera de'
Lordi. L'Usciere della Verga Nera intimò ai Comuni di recarsi alla
sbarra; e il Cancelliere annunziò che il Parlamento era prorogato
fino al giorno decimo di febbraio(609). I membri che avevano votato
contro la Corte, furono destituiti dai pubblici uffici. Carlo Fox fu
cacciato dalla Pagatoria. Il vescovo di Londra cessò d'essere Decano
della Cappella Reale, e il suo nome fu casso dalla lista de'
Consiglieri Privati.
Lo effetto della proroga fu di porre fine ad un processo della più
alta importanza. Tommaso Grey, Conte di Stamford, discendente da una
delle più illustri famiglie dell'Inghilterra, incolpato di
crimenlese, era stato di recente preso e posto in istretta prigionia
dentro la Torre. Lo accusavano d'essere stato implicato nella
congiura di Rye House. La esistenza del fatto era stata dichiarata
dai Grandi Giurati della Città di Londra, e la causa era stata
portata alla Camera de' Lordi, che erano il solo tribunale dinanzi a
cui un Pari secolare, durante la sessione del Parlamento, potesse
essere processato per grave delitto. Il dì stabilito allo esame del
caso era il primo di decembre; erano stati dati ordini perchè nella
sala di Westminster si facessero gli apparecchi bisognevoli. A
cagione della proroga, la causa venne differita ad un tempo
indefinito; e Stamford fu tosto messo in libertà(610).
Tre altri Whig di grande importanza stavano già incarcerati
allorquando si chiuse la sessione: cioè Carlo Gerard, Lord Gerard di
Brandon, primogenito del conte di Maclesfield; Giovanni Hampden,
nipote del rinomato capo del Lungo Parlamento; ed Enrico Booth, Lord
Delamere. Gerard e Hampden erano accusati come complici della
Congiura di Rye House, Delamere, di avere favorita la insurrezione
delle Contrade Occidentali.
XX. Non era intendimento del Governo far morire Gerard o Hampden.
Grey, prima che acconsentisse a testificare contro di loro, aveva
patteggiato per la vita loro(611). Ma v'era anche una ragione più
forte a lasciarli vivi. Erano eredi di grosso patrimonio; ma i
genitori loro vivevano ancora. La Corte, quindi, poteva ottenere
poco in via di confisca, ma molto in via di riscatto. Gerard fu
processato, e dalle assai scarse notizie che ci rimangono, e' sembra
che si difendesse con grande animo e con vigorose parole. Vantò gli
sforzi e i sacrifici fatti dalla sua famiglia per la causa di Carlo
I, e provò che Rumsey, quel desso che inventando una storiella aveva
assassinato Russell, e poi Cornish dicendone un'altra, era testimone
affatto indegno di fede. I Giurati, dopo qualche esitazione, lo
dissero colpevole. Dopo una lunga prigionia, a Gerard fu concesso di
redimersi(612). Hampden aveva ereditate le opinioni politiche e gran
parte delle esimie doti dell'avo, ma era degenerato dalla probità e
dal coraggio onde l'avo erasi tanto predistinto. E' pare che lo
accusato, per crudele astuzia del Governo, fosse lungamente tenuto
in una agonia di dubbio, affinchè la sua famiglia s'inducesse a
pagare assai caro il perdono. Il suo spirito prostrossi sotto il
terrore della morte. Condotto al banco degli accusati, non solo si
confessò reo, ma disonorò il nome illustre ch'egli portava, con
sommissioni e suppliche abiette. Protestò di non essere stato
partecipe del secreto disegno di assassinare Carlo e Giacomo, ma
confessò di avere meditata la ribellione; dichiarossi profondamente
pentito del fallo, implorò la intercessione de' Giudici, giurando
che ove la reale clemenza si stendesse sopra lui, dedicherebbe
intera la vita a mostrare la propria gratitudine. I Whig a tanta
pusillanimità divennero furiosi, ed altamente dichiararono lui
meritare più biasimo di Grey, il quale, diventando testimonio del
Governo, aveva serbato un certo decoro. Ad Hampden fu perdonata la
vita; ma la sua famiglia pagò alcune migliaia di lire sterline al
Cancelliere. Altri cortigiani di minore momento estorsero da lui
altre somme più tenui. Lo sciagurato aveva spirito bastevole a
sentire la vergogna in cui s'era gettato. Sopravvisse di parecchi
anni al giorno della propria ignominia. Ei visse per vedere il
proprio partito trionfante, avere in esso importantissima parte,
innalzarsi nello Stato, e far tremare i propri persecutori. Ma una
rimembranza insopportabile gli attoscava tanta prosperità. Non
riacquistò mai la gaiezza dello spirito, e finalmente di propria
mano si tolse la vita(613). XXI. Che Delamere, ove avesse
avuto mestieri della regia clemenza, l'avrebbe potuta ottenere, non
è molto probabile. Egli è certo che tutto il vantaggio che la
lettera della legge dava al Governo, fu adoperato contro lui senza
scrupolo o vergogna. Era in condizioni diverse da quelle in cui
trovavasi Stamford. L'accusa contro costui era stata portata dinanzi
alla Camera de' Lordi mentre il Parlamento era in sessione, e però
non poteva essere processato se non alla riapertura del Parlamento.
Tutti i Pari avrebbero allora avuto un voto da dare, e sarebbero
stati giudici di diritto e di fatto. Ma l'atto d'accusa contro
Delamere non fu prodotto fuori se non dopo la proroga(614). Egli
era, quindi, soggetto alla giurisdizione della corte del Lord Gran
Maggiordomo. Questa corte, alla quale appartiene mentre è chiuso il
Parlamento la cognizione de' delitti di tradimento e di fellonia
commessi dai Pari secolari, era allora siffattamente costituita, che
nessuno accusato di delitto politico poteva sperare un processo
imparziale. Il Re nominava il Lord Gran Maggiordomo. Questi, a
proprio arbitrio, nominava vari Pari a giudicare il loro accusato
confratello. Al numero loro non era limite. Una semplice maggioranza
di voti, purchè fosse di dodici, serviva a dichiarare colpevole. Il
Gran Maggiordomo era solo giudice di diritto; e i Lordi erano
Giurati per pronunciare sul fatto. Jeffreys fu nominato Gran
Maggiordomo. Scelse trenta Pari, e la scelta fu qual poteva
aspettarsi da siffatto uomo in simiglianti tempi. Tutti que' trenta
per opinioni politiche procedevano avversi allo accusato. Quindici
erano colonnelli di reggimenti, e potevano essere destituiti a
volontà del Re. Tra gli altri quindici erano il Lord Tesoriere,
principale segretario di Stato, il Maggiordomo e il Sindaco di
Palazzo, il Capitano della Banda de' Gentiluomini Pensionisti, il
Ciamberlano della Regina, ed altri individui fortemente vincolati
alla Corte. Nondimeno, Delamere aveva alcuni grandi vantaggi sopra i
colpevoli di minor grado processati in Old Bailay. Quivi i Giurati,
violenti uomini di partito, presi per un solo giorno dagli Sceriffi
cortigiani fra la massa della società, e rimandati poi nella massa,
non avevano freno di rossore; e poco avvezzi a giudicare della
evidenza del caso, seguivano senza scrupolo le voglie del seggio. Ma
nella corte del Gran Maggiordomo, ogni Giurato era uomo esperto ne'
gravi negozi, e considerevolmente noto al pubblico; e doveva
profferire separatamente, e sull'onor suo, la propria opinione
dinanzi a un numeroso concorso. Quella opinione, insieme col suo
nome, sarebbe andata in tutte le parti del mondo e rimasta nella
storia. Inoltre, quantunque i nobili scelti fossero tutti Tory e
quasi tutti impiegati, molti di loro avevano cominciato a sentire
inquietudine della condotta del Re, e dubitavano un giorno non
s'avessero a trovare nel caso di Delamere.
Jeffreys si condusse, secondo l'usato, con iniquità ed insolenza.
Serbava in petto un vecchio rancore che lo irritava. Era stato capo
Giudice di Chester allorquando Delamere, che allora chiamavasi il
Signor Booth, rappresentava quella Contea in Parlamento. Booth aveva
mosso amarissima querela nella Camera de' Comuni perchè i più cari
interessi de' suoi elettori erano affidati ad un buffone
briaco(615). Il giudice vendicativo, ora non arrossì di adoperare
artifici tali, che sarebbero stati criminosi anche in un avvocato.
Ricordò ai Lordi Giurati con significantissime parole, che Delamere
in Parlamento erasi opposto alla condanna infamante di Monmouth;
fatto che non era nè poteva essere provato. Ma non era in potestà di
Jeffreys intimorire un sinodo di Pari, come era avvezzo a fare verso
i Giurati ordinari. La testimonianza addotta dalla Corona si sarebbe
forse reputata ampiamente bastevole nel giorno giuridico nelle
Contrade Occidentali o nelle sessioni di Città, ma non poteva per un
momento imporre ad uomini come Rochester, Godolphin e Churchill; nè
essi, con tutti i falli loro, erano sì depravati, da condannare a
morte un uomo contro le più semplici norme della giustizia. Grey,
Wade e Goodenough furono dal Governo addotti come testimoni, ma
poterono solo ripetere ciò che avevano udito dire da Monmouth e
dagli emissari di Wildman. Fu dimostrato con incontrastabile
evidenza che un ribaldo, di nome Saxton, principale testimonio
dell'accusa, già stato implicato nella ribellione, ed ora
affaccendato a procacciarsi il perdono testificando contro tutti
gl'invisi al Governo, aveva detto gran numero di menzogne. Tutti i
Lordi Giurati, da Churchill, il quale come il più giovane de' baroni
parlò primo, fino al Tesoriere, dichiararono sull'onor loro, che
Delamere non era colpevole. La gravità e la pompa del processo fece
profonda impressione nell'animo del Nuncio, ancorchè fosse
assuefatto alle cerimonie della Corte di Roma, le quali per
solennità e magnificenza vincono tutte le cerimonie del mondo(616).
Il Re, che v'era presente, e non poteva muovere lamento della
sentenza evidentemente giusta, montò in furore contro Saxton,
giurando che lo sciagurato sarebbe stato prima posto alla berlina,
come reo di spergiuro, innanzi a Westminster Hall; e poi mandato
nelle contrade occidentali, per essere appeso alle forche e
squartato come reo di tradimento(617).
XXII. La pubblica esultanza, come si seppe che Delamere era stato
assoluto, fu grande. Il regno del terrore era finito. L'innocente
incominciava a respirare liberamente, e il falso accusatore a
tremare. Non può leggersi senza lacrime una lettera scritta in
questa occasione. Giunse alla vedova di Russell nella sua solitudine
la nuova, e le suscitò nell'anima un misto di sentimenti diversi.
"Rendo grazie a Dio" scriveva ella, "che ha posto alcun freno allo
spargimento del sangue in questo misero paese. Ma mentre me ne
rallegro con altrui, mi tiro da parte a piangere. Più non mi sento
capace di godere; ma ogni nuova circostanza, il paragonare la mia
notte di dolore, dopo un tanto giorno, con le loro notti di gioia, o
per un pensiero o per un altro, mi tortura l'anima. Comecchè io sia
lungi dal desiderare che le loro ore trascorrano come le mie, non
posso frenarmi talvolta di lamentare che le mie non siano simili
alle loro(618)."
Adesso il vento era cangiato. La morte di Stafford, accolta con
segni di tenerezza e di rimorso dalla plebaglia, alla cui rabbia
egli era stato sacrificato, stabilisce il finire di una
proscrizione. Il proscioglimento di Delamere stabilisce il chiudersi
d'un'altra. I delitti che avevano disonorato il procelloso tribunato
di Shaftesbury, erano stati terribilmente espiati. Il sangue
degl'innocenti papisti era stato più che dieci volte vendicato dal
sangue de' fervidi protestanti. Un'altra grande reazione era
incominciata. Le fazioni andavano speditamente prendendo nuove
forme. I vecchi collegati scindevansi. Si congiungevano i vecchi
nemici. I mali umori spandevansi in tutto il partito fino allora
predominante. Una speranza, comunque per allora debole e indistinta,
di vittoria e vendetta, rianimava il partito che pareva estinto. In
siffatte condizioni si chiuse il 1685, anno torbido e pieno
d'eventi, e incominciò il 1686.
XXIII. La proroga aveva disimpacciato il Re dalle moderate
rimostranze delle Camere; ma gli toccava udirne altre, simili per lo
effetto, ma formulate con parole anche più caute e sommesse. Taluni,
che fino allora lo avevano servito con cecità tale da nuocere alla
loro fama e al pubblico bene, cominciarono a provare dolorosi
presentimenti, e di quando in quando risicavansi a significare alcun
che di ciò che sentivano.
Per molti anni lo zelo del Tory inglese per la monarchia ereditaria
e per la religione stabilita, erano insieme venuti crescendo e
scambievolmente afforzandosi. Ei non aveva mai pensato che questi
due sentimenti, i quali parevano inseparabili e pressochè identici,
si sarebbero un giorno potuti trovare non solo distinti, ma
incompatibili. Dal principio della lotta tra gli Stuardi e i Comuni,
la causa della Corona e quella della gerarchia erano state
apparentemente una causa sola. Carlo I veniva dalla Chiesa
considerato come martire. Se Carlo II aveva contro quella
congiurato, aveva congiurato secretamente. In pubblico s'era sempre
confessato grato e devoto figliuolo, erasi inginocchiato dinanzi
agli altari di essa; e malgrado i suoi corrotti costumi, gli era
riuscito di persuadere il maggior numero degli aderenti alla Chiesa,
che egli sinceramente la preferisse. Per tutti i conflitti che
l'onesto Cavaliere avesse fino allora potuto sostenere contro i Whig
e le Teste-Rotonde, non aveva almeno dovuto patire nessun conflitto
nella mente propria. Egli s'era veduto piano ed aperto dinanzi agli
occhi il sentiero del dovere. Traverso al bene e al male, ei doveva
mantenersi fedele alla Chiesa e al Re. Ma se que' due augusti e
venerandi poteri, i quali fino allora sembravano così strettamente
congiunti, che i fedeli all'uno non potevano essere perfidi
all'altro, venissero divisi da mortale nimistà, a quale partito
doveva il realista ortodosso appigliarsi? Quale condizione sarebbe
stata più critica che quella di trovarsi ondeggiante tra due doveri
egualmente sacri, tra due affetti egualmente fervidi? Come poteva
egli rendere a Cesare ciò ch'era di Cesare, e non negare a Dio parte
di ciò ch'era di Dio? Nessuno che avesse siffattamente sentito,
poteva mirare, senza profondo timore e neri presentimenti, il
contrasto tra il Re e il Parlamento intorno all'Atto di Prova. Se
Giacomo anche ora si fosse indotto a ripensare sul proprio disegno,
a lasciare riaprire le Camere, e cedere ai desiderii loro, tutto
poteva rivolgersi a bene.
Così opinavano i due cognati del Re, i Conti cioè, di Clarendon e di
Rochester. La potenza e il favore che godevano questi gentiluomini,
sembrava veramente grande. Il più giovane de' fratelli era Lord
Tesoriere e primo ministro; il maggiore, dopo di avere per alquanti
mesi tenuto il Sigillo Privato, era stato nominato Luogotenente
d'Irlanda. Il venerando Ormond pensava medesimamente. Middleton e
Preston, che, come dirigenti la Camera de' Comuni, avevano di
recente sperimentato quanto cara fosse a' gentiluomini realisti
d'Inghilterra la religione stabilita, davano consigli di
moderazione.
In sul principio del nuovo anno, i sopraddetti uomini di Stato, e il
numeroso partito da essi rappresentato, ebbero a patire una crudele
mortificazione. Che il Re defunto fosse Cattolico Romano, era stato
per molti mesi sospettato e bisbigliato, ma non annunziato
formalmente. Tale manifestazione non si sarebbe potuta fare senza
grave scandalo. Carlo erasi innumerevoli volte dichiarato
protestante, ed aveva avuto costumanza di ricevere dai vescovi della
Chiesa stabilita il sacramento della eucaristia. Que' Protestanti
che lo avevano sostenuto ne' pericoli, e che di lui serbavano
tuttavia affettuosa rimembranza, dovevano provare sdegno e rossore
al sentire che la intera sua vita era stata una menzogna; che mentre
confessava d'appartenere alla loro religione, gli aveva veramente
tenuti per eretici; e che i demagoghi, i quali lo avevano chiamato
papista nascosto, erano stati i soli che avessero formato un esatto
giudicio del suo carattere. Anche Luigi intendeva tanto lo stato
dell'opinione pubblica in Inghilterra, da accorgersi come il
divulgare il vero potesse recar nocumento, ed aveva, d'accordo,
fatta promissione di tenere strettamente segreta la conversione di
Carlo(619). Giacomo, nel principio del suo regno, aveva pensato
doversi in tanto negozio procedere cauto, e non erasi rischiato a
seppellire il fratello, secondo il rito della Chiesa di Roma. Per
qualche tempo, quindi, ciascuno potè liberamente credere ciò che
volesse. I papisti dicevano che il defunto principe era loro
proselite. I Whig lo esecravano come ipocrita e rinnegato. I Tory
consideravano la voce della sua apostasia come una calunnia che i
papisti e i Whig, per ragioni differentissime, avevano interesse a
spargere.
XXIV. Giacomo ora fece un passo che pose in gran perturbazione tutto
il partito anglicano. Due scritture, in cui erano concisamente
esposti gli argomenti d'ordinario usati dai Cattolici Romani nella
controversia coi Protestanti, s'erano trovate nella cassa forte di
Carlo, e sembravano di mano sua. Le quali scritture Giacomo mostrò,
menandone trionfo, a parecchi Protestanti, e dichiarò sapere che il
suo fratello era vissuto e morto Cattolico Romano(620). Uno di
coloro ai quali i manoscritti furono mostrati, fu lo arcivescovo
Sancroft. Li lesse grandemente commosso, e rimase tacito. Tale
silenzio era solo lo effetto naturale di una lotta tra la riverenza
e la repugnanza. Ma Giacomo suppose che il Primate tacesse per la
forza irresistibile della ragione, e seriamente lo sfidò a produrre,
col soccorso di tutto il seggio episcopale, una soddisfacente
risposta. "Datemi una risposta solida e in istile da gentiluomini; e
forse potrà far sì, secondo che molto vi sta a cuore, di convertirmi
alla vostra Chiesa." Lo arcivescovo dolcemente rispose, che, secondo
lui, cotale risposta poteva farsi senza molta difficoltà; ma non
accettò la controversia, adducendo per iscusa la riverenza alla
memoria del suo defunto signore. Il Re considerò la scusa come un
sutterfugio d'un vinto avversario(621). Se egli avesse conosciuta la
letteratura polemica de' centocinquanta anni precedenti, avrebbe
saputo che i documenti ai quali ei dava tanto peso, gli avrebbe
potuti comporre ogni giovinetto di quindici anni della scuola di
Doaggio, e che non contenevano cosa alcuna, la quale, secondo
l'opinione di(622) tutti i teologi protestanti, non fosse stata
dieci mila volte confutata. Nella sua stolta esultanza, ordinò che
quegli scritti si stampassero col più squisito lusso tipografico, e
vi appiccicò dietro una dichiarazione munita della sua firma, ad
attestare che gli originali erano scritti di pugno del fratello.
Giacomo ne distribuì con le proprie mani tutti gli esemplari ai
cortigiani, e alle persone del popolo che si affollavano attorno il
suo cocchio. Ne dette un esemplare ad una giovine di vile
condizione, ch'egli supponeva appartenere alla religione da lui
professata, e le assicurò che leggendolo se ne troverebbe edificata
grandemente e confortata. In ricambio di questa cortesia, pochi
giorni dopo, ella gli mandò una lettera, scongiurandolo di uscire
dalla mistica Babilonia, e rimuovere dalle sue labbra la coppa delle
fornicazioni(623).
XXV. Tali cose davano somma inquietudine ai Tory aderenti alla
Chiesa Anglicana. Nè i più spettabili Cattolici Romani ne rimanevano
meglio satisfatti. Si sarebbero, in verità, potuti scusare, se in
cosiffatte circostanze la passione gli avesse resi sordi alla voce
della prudenza e della giustizia, come quelli che avevano molto
sofferto. La gelosia de' Protestanti gli aveva gittati giù dal grado
in cui erano nati, aveva chiuse le porte del Parlamento agli eredi
de' Baroni che avevano firmata la Magna Carta, e deciso che il
comando d'una compagnia di pedoni non fosse da fidarsi ai
discendenti dei capitani che avevano vinto a Flodden e a San
Quintino. Non v'era un solo Pari eminente, fido alla vecchia
religione, del quale l'onore, gli averi, la vita non fossero stati
in pericolo; che non avesse passati molti mesi rinchiuso dentro la
Torre, che più volte non si fosse aspettata la miseranda sorte di
Stafford. Uomini che erano stati così lungamente e con tale crudeltà
oppressati, si sarebbero potuti perdonare, se avessero avidamente
côlta la prima occasione a conseguire a un tempo grandezza e
vendetta. Ma nè fanatismo, nè ambizione, nè rancore di torti patiti,
nè ebrietà prodotta dalla súbita buona fortuna, poterono far sì che
i più cospicui Cattolici Romani non si accorgessero come la
prosperità che finalmente erano pervenuti a godere, fosse solo
temporanea, e non usata saggiamente, potrebbe tornar loro fatale.
Avevano con dura esperienza imparato, che l'avversione del popolo
alla religione loro non era fantasia che sarebbe svanita al comando
d'un principe, ma profondo sentimento, tramandato crescendo per
cinque generazioni, spanto(624) in tutte le classi e in tutti i
partiti, e avvincolato non meno strettamente coi principii de' Tory
che con quelli de' Whig. Certo, il Re poteva, nello esercizio della
sua prerogativa di far grazia, sospendere le leggi penali. Avrebbe
in appresso potuto, operando con discrezione, ottenere dal
Parlamento la revoca de' decreti che privavano de' diritti civili
gli aderenti alla religione di lui. Ma tentando di domare il
sentimento protestante della Inghilterra con mezzi bruschi, era
facile vedere che la violenta compressione d'una molla così potente
ed elastica, sarebbe seguita da uno scatto egualmente violento. I
Pari Cattolici Romani, tentando prematuramente di entrare a forza
nel Consiglio Privato e nella Camera de' Lordi, avrebbero potuto
perdere le case e le vaste possessioni loro, e finire la vita o da
traditori in Tower Hill, o da mendicanti alle porte de' conventi
d'Italia.
Così pensava Guglielmo Herbert, conte di Powis, generalmente
considerato come capo della aristocrazia cattolica romana, il quale,
secondo le fandonie di Oates, doveva essere primo ministro se la
congiura papale sortiva prospero successo. Medesimamente opinava
Giovanni Bellasyse. In gioventù, aveva valorosamente pugnato per
Carlo I; dopo la Restaurazione era stato rimunerato con onori e con
gradi militari, e gli aveva deposti dopo che fu promulgato l'Atto di
Prova. A questi insigni capi del partito cattolico facevano eco
tutti i più nobili ed opulenti membri della loro Chiesa, tranne Lord
Arundell di Wardour, uomo decrepito e pressochè rimbambito.
XXVI. Ma in Corte era un piccolo nucleo di Cattolici Romani, che
avevano il cuore esulcerato da vecchie ingiurie, il cervello
inebriato dal recente innalzamento; che erano impazienti di
rampicarsi alle dignità dello Stato, ed avendo poco da perdere, non
si davano punto pensiero del giorno del rendimento de' conti.
XXVII. Uno di costoro era Ruggiero Palmer, conte di Castelmaine in
Irlanda, e marito della Duchessa di Cleveland. Sapevasi da tutti
ch'egli aveva comperato il suo titolo col disonore della moglie e
col proprio. Il suo patrimonio era scarso. L'indole sua, scortese
per natura, era stata esasperata dalle domestiche vessazioni, dai
pubblici rimproveri, e da ciò ch'egli aveva patito a tempo della
congiura papale. Era stato lungamente in carcere, e in fine era
stato processato per delitto capitale. Fortunatamente per lui, non
fu tratto al banco degli accusati se non dopo che erasi spento il
primo scoppio del furore popolare, e i falsi testimoni avevano
perduto ogni credito. Gli era, quindi, riuscito di campare a gran
pena dal pericolo(625). Con Castelmaine era collegato uno de' più
prediletti de' cento amanti di sua moglie; cioè Enrico Jermyn, che
da Giacomo di recente era stato fatto Pari col titolo di Lord Dover.
Jermyn, venti e più anni innanzi, erasi reso notevole con isconci
amori e disperati duelli. Adesso trovavasi rovinato dal giuoco, ed
era ansioso di rifare il patrimonio col mezzo degli uffici lucrosi,
dai quali lo escludevano le leggi(626). Al medesimo branco
apparteneva un intrigante ed importuno Irlandese, chiamato White,
che aveva molto viaggiato, aveva servito la Casa d'Austria con un
impiego mezzo tra l'inviato e la spia, e che in rimunerazione de'
servigi resi era stato fatto marchese d'Albeville(627).
Tosto dopo la proroga, questa trista fazione s'afforzò di un nuovo
aiuto. Riccardo Talbot, conte di Tyrconnel, il più feroce ed
implacabile di quanti avevano in odio le libertà e la religione
dell'Inghilterra, da Dublino era giunto alla Corte.
Talbot discendeva da una antica famiglia normanna, la quale, da
lungo tempo stabilita in Leicester, era degenerata, aveva adottati i
costumi de' Celti, e come essi aderito alla vecchia religione, e
partecipato alla ribellione del 1641. In gioventù egli era stato uno
de' più rinomati scrocconi e bravazzoni di Londra; era stato
presentato a Carlo ed a Giacomo mentre erano esuli in Fiandra, come
un uomo adatto e pronto ad assassinare infamemente il Protettore.
Subito dopo la Restaurazione, Talbot si provò d'ottenere il favore
della famiglia reale con un servigio anche più infame. Bisognava un
pretesto per mezzo del quale giustificare il Duca di York a rompere
la promessa di matrimonio onde egli aveva ottenuto da Anna Hyde
l'estrema prova d'affetto che possa dare una donna. Talbot,
d'accordo con alcuni de' suoi dissoluti compagni, imprese di
apprestare siffatto pretesto. Concertarono di dipingere la povera
giovinetta come donna priva di virtù, di pudore, di delicatezza, e
inventare lunghe storielle di teneri ritrovi e di rapiti favori.
Talbot, segnatamente, riferì come in una delle secrete visite a lei
fatte, avesse per caso versato il calamaio del Cancelliere sopra un
fascio di scritture, e con quanta destrezza, perchè il vero non si
scoprisse, ella ne avesse data la colpa alla sua scimmia. Tali
storielle, che se fossero state vere, non sarebbero uscite dalle
labbra di nessuno che non fosse il più vile degli uomini, erano
prette invenzioni. Talbot tosto fu costretto a confessare che erano
tali, e lo fece senza ombra di rossore. L'oltraggiata donna divenne
duchessa di York. Ove il suo sposo fosse stato uomo diritto ed
onorevole, avrebbe con indignazione e disprezzo cacciato via dal
proprio cospetto gli sciagurati che gli avevano calunniata la
consorte. Ma una delle particolarità del carattere di Giacomo era
che nessuna azione, comunque si fosse malvagia e vergognosa, fatta
col desiderio di ottenere il suo favore, gli sembrava mai degna
d'essere riprovata. Talbot seguitò a frequentare la Corte,
mostravasi quotidianamente con fronte di bronzo dinanzi alla
principessa di cui aveva tentata la rovina, ed ottenne il posto
lucroso di principale lenone del Re. Dopo non molto tempo, Whitehall
si mise sossopra alla nuova che Riccardo (Dick) Talbot, come veniva
comunemente chiamato, aveva concepito il disegno di assassinare il
Duca d'Ormond. Il bravo fu mandato alla Torre; ma dopo pochi giorni
fu visto chiassando per le sale di palazzo, e recando letterine
d'amore su e giù tra il suo signore e le più brutte dame di Corte.
Invano i vecchi e discreti consiglieri supplicavano i due principi a
non proteggere quel ribaldo, che altro merito non aveva, tranne la
prestanza della persona e il gusto nel vestirsi. Talbot non solo era
bene accolto nella reggia quando la bottiglia e i dadi giravano
attorno, ma veniva attentamente udito in negozi di grave momento.
Affettava il carattere di un patriotto irlandese, e patrocinava con
grande audacia, e talvolta con esito prospero, la causa de' suoi
concittadini, i beni de' quali erano stati confiscati. Studiavasi,
nulladimeno, di farsi ben pagare de' servigi che rendeva, e gli
venne fatto di acquistare, parte vendendo protezione, parte
scroccando, e parte facendo il lenone, una rendita di tremila lire
sterline l'anno; imperocchè, sotto la maschera di leggiero, di
prodigo, d'improvvido e di impudente bisbetico, egli era pur troppo
uno de' più venali e cupidi uomini del mondo. Oramai non era più
giovane, e scontava con acerbi dolori le stemperatezze della
gioventù; ma gli anni e le infermità non gli avevano essenzialmente
mutato il carattere e i modi. Sempre che apriva la bocca,
schiamazzava, imprecava e bestemmiava con sì terribile violenza, che
i più superficiali osservatori lo giudicavano il più feroce de'
libertini. Il popolo non sapeva intendere come un uomo il quale
anche da sobrio, era più furioso e vanitoso d'altri ubbriaco, e che
sembrava affatto incapace di mascherare il più lieve moto dell'animo
o di serbare il minimo secreto, potesse veramente essere un
adulatore di cuore freddo, d'occhio acuto e d'ingegno macchinatore.
Non pertanto, tale era Talbot. E davvero la sua ipocrisia era d'una
specie più squisita e più rara che non fosse quella che regnava nel
Parlamento di Barebone. Perocchè lo ipocrita perfetto non è colui
che asconde il vizio sotto i sembianti della virtù, ma colui il
quale si serve del vizio che egli non si vergogna di mostrare, come
di maschera per celare un altro vizio più nero e proficuo, che gli
giova di tenere nascosto.
Talbot, fatto da Giacomo conte di Tyrconnel, aveva comandate le
truppe in Irlanda ne' nove mesi che corsero dalla morte di Carlo al
principio del viceregno di Clarendon. Quando il nuovo Luogotenente
stava per partire da Londra alla volta di Dublino, il Generale fu
chiamato da Dublino a Londra. Dick Talbot(628) era da lungo tempo
conosciuto nel cammino che doveva fare. Fra Chester e la Metropoli
non v'era quasi locanda nella quale non avesse attaccato lite.
Dovunque giungeva, affaticava i cavalli a dispetto della legge,
imprecava ai cuochi ed ai postiglioni, e quasi destava tumulti con
le sue insolenti rodomonterie. Andava dicendo che la Riforma aveva
rovinato ogni cosa. Ma il bel tempo era presso. Tra breve i
Cattolici si sarebbero rialzati, e si sarebbero rifatti sugli
eretici. Infuriando e bestemmiando sempre come un indemoniato, ei
giunse alla Corte(629); dove tosto si collegò strettamente con
Castelmaine, Dover ed Albeville. Costoro ad una voce gridavano
guerra alla costituzione della Chiesa e dello Stato. Dicevano al
loro signore, ch'egli per la sua religione e per la dignità della
sua Corona, era in debito di affrontare intrepidamente il grido
degli eretici demagoghi, e mostrare fin da principio al Parlamento
ch'egli sarebbe il signore a dispetto della opposizione, e che il
solo effetto della opposizione sarebbe stato di renderlo signore
severo.
XXVIII. Ciascuno de' due partiti in che la Corte era divisa, aveva
zelanti alleati stranieri. I ministri di Spagna, dello Impero e
degli Stati Generali erano adesso desiderosi di sostenere Rochester,
come per lo innanzi lo erano stati verso Halifax. Barillon adoperava
tutta la propria influenza dalla parte opposta, ed era aiutato da un
altro agente francese, inferiore a lui per grado, ma assai superiore
per ingegno; voglio dire da Bonrepaux. Barillon non era privo di
buone qualità, ed aveva grande corredo di quelle doti onde allora
andavano predistinti i gentiluomini francesi. Ma la sua capacità non
era quale il suo alto ufficio richiedeva. Era divenuto pigro e a sè
troppo indulgente; amava i piaceri della società e della tavola,
meglio delle faccende; e nelle grandi occasioni era d'uopo che da
Versailles venissero ammonimenti, ed anche riprensioni, per
ispingerlo ad operare(630). Bonrepaux si era alzato dalla oscurità a
cagione della intelligenza ed industria che aveva mostrata come
impiegato nel dipartimento della marina, ed aveva riputazione
d'iniziato ai misteri della politica mercantile. Alla fine del 1685,
fu mandato a Londra con varie commissioni d'alta importanza. Doveva
stabilire le basi per un trattato di Commercio, indagare e riferire
in che condizioni trovavansi la flotta e gli arsenali inglesi, e
fare qualche proposta ai fuorusciti Ugonotti, i quali supponevasi
che fossero tanto prostrati dalla penuria e dall'esilio, che
avrebbero di gran cuore accettato quasi qualunque patto di
riconciliazione. Il nuovo inviato nasceva da parenti plebei; era di
statura quasi nano, d'aspetto sì brutto da muovere a scherno, e
parlava con l'accento di Guascogna dove era nato: ma vigoroso buon
senso, acutezza di mente, e vivacità di spirito lo rendevano
eminentemente adatto al suo ufficio. In onta ad ogni svantaggio di
nascita e di persona, fu tosto stimato come assai piacevole
compagno, ed espertissimo diplomatico. Mentre folleggiava con la
duchessa di Mazzarino, studiavasi di discutere di cose letterarie
con Waller e Saint Evremond, e carteggiare con la Fontaine, onde
bene erudirsi nella politica inglese. Per la perizia ch'egli aveva
nelle cose marittime, venne in grazia di Giacomo; il quale, per
molti anni, prestò non poca attenzione alle faccende dello
Ammiragliato, e le intendeva quanto egli era capace d'intendere cosa
alcuna al mondo. Conversavano entrambi ogni giorno lungamente e
liberamente intorno alle condizioni delle navi e degli arsenali. Lo
effetto di tale dimestichezza fu quale era da aspettarsi: val quanto
dire, che lo acuto e vigilante francese concepì sommo pregio per le
doti e il carattere del re, dicendo il mondo avere male giudicato
Sua Maestà Britannica, che aveva meno capacità, e non maggiori virtù
di Carlo(631).
I due inviati di Luigi, comecchè mirassero ad un medesimo fine, con
molto accorgimento presero vie diverse. Si partirono fra loro la
Corte. Bonrepaux usava principalmente con Rochester e gli aderenti
di lui. Le relazioni di Barillon erano principalmente con la opposta
fazione. Conseguenza ne fu, ch'essi soventi volte guardassero un
medesimo fatto da diversi punti di veduta. Il migliore racconto che
esista intorno alla contesa che a quel tempo ferveva in Whitehall, è
da trovarsi ne' loro dispacci.
XXIX. Come ciascuno de' due partiti nella Corte di Giacomo era
sostenuto da principi stranieri, così ciascuno aveva il sostegno
d'una autorità ecclesiastica, alla quale il Re mostrava gran
deferenza. Il sommo pontefice inchinava alla moderazione; e i suoi
sentimenti erano espressi dal Nunzio e dal Vicario Apostolico(632).
Dall'altra parte, stava una corporazione che col suo peso
controbilanciava anche quello del Papato; stava, cioè, la potente
Compagnia di Gesù.
È circostanza importantissima e degna di considerazione, che queste
due grandi potenze spirituali, un tempo, a quanto pareva,
inseparabilmente collegate, fossero fra loro opposte. Per un periodo
di tempo poco minore di mille anni, il clero regolare era stato il
sostegno precipuo della Santa Sede. Essa lo aveva protetto da'
vescovi che volevano immischiarsi nelle sue faccende, e ne era stata
ampiamente ricompensata. Senza gli sforzi dei regolari, è probabile
che il Vescovo di Roma si sarebbe ridotto ad essere il presidente
onorario d'una aristocrazia di prelati. E' fu col soccorso de'
Benedettini, che Gregorio VII potè lottare ad un tempo contro
gl'Imperatori della Casa di Franconia, e contro il clero secolare.
E' fu col soccorso de' Domenicani e de' Francescani, che Innocenzo
III spense la setta degli Albigesi.
XXX. Nel secolo decimosesto, il Papato, esposto a nuovi pericoli e
più formidabili di quanti lo avessero per innanzi minacciato, fu
salvato da un nuovo ordine religioso, animato da vigoroso entusiasmo
e costituito con insigne magistero. Allorquando i Gesuiti accorsero
alla liberazione del Papato, lo trovarono in estremo pericolo; ma da
quel momento le sue sorti mutarono aspetto. Al protestantismo, che
per una intera generazione aveva abbattuto tutto ciò che aveva
incontrato per via, fu mozzo lo andare avanti, e fu rapidamente
fatto indietreggiare dalle Alpi fino alle sponde del Baltico. Non
era scorso un secolo da che la Compagnia di Gesù esisteva, e il
mondo era pieno de' ricordi di quanto essa aveva fatto e sofferto
per la fede. Non v'è comunità religiosa che possa gloriarsi d'una
schiera di uomini così variamente cospicui; nessuna aveva esteso le
proprie operazioni sopra uno spazio sì vasto; e nondimeno, in
nessuna v'era stata cotanto perfetta unità di sentimento e d'azione.
Non era contrada nel mondo, non sentiero nella vita attiva o
speculativa, in cui non si trovassero i Gesuiti. Dirigevano i
Consigli dei re: decifravano iscrizioni latine: osservavano il moto
de' Satelliti di Giove: pubblicavano intere biblioteche,
controversia, casistica, storia, trattati d'ottica, odi alcaiche,
edizioni dei Santi Padri, madrigali, catechismi e satire. La
educazione letteraria della gioventù era quasi interamente nelle
loro mani, e condotta con esquisita maestria. Sembra che avessero
scoperto il punto preciso al quale possa condursi la cultura
intellettuale senza il rischio della intellettuale emancipazione.
Gli stessi nemici loro erano costretti a confessare, che nell'arte
di governare e formare le menti de' giovani, i Gesuiti non avevano
rivali. Infrattanto, con assiduità e prospero successo coltivavano
la eloquenza del pulpito. Con assiduità e successo anche maggiore si
dettero al ministero del confessionale. Per tutta la Europa
Cattolica, i secreti d'ogni Governo, e quasi d'ogni notevole
famiglia, erano in poter loro. Girovagavano da un paese protestante
ad un altro, travestendosi in infinite fogge, da galanti cavalieri,
da semplici contadini, da predicatori puritani. Viaggiavano fin dove
nè l'avidità mercantile nè la curiosità della scienza aveva persuaso
altri ad andare. Trovavansi in abito di mandarini a dirigere
l'osservatorio astronomico di Pechino. Si vedevano con la marra in
mano ammaestrare nell'agricoltura i selvaggi del Paraguay. Ciò non
ostante, in qualunque parte risedessero, qualunque mestiere
esercitassero, il loro spirito era sempre lo stesso; cioè piena
devozione alla causa comune, implicita obbedienza all'autorità
centrale. Nessuno s'era scelto da sè il luogo dove abitare e la
vocazione da seguire. Se il Gesuita dovesse vivere sotto il cerchio
artico o sotto l'equatore, se dovesse passare tutti i suoi giorni a
classificare gemme e a collazionare manoscritti nel Vaticano, o a
persuadere i barbari dell'emisfero meridionale perchè non si
divorassero l'un l'altro, erano cose che egli con profonda
sommissione lasciava all'altrui pensiero. Se lo volevano a Lima,
trovavasi con la prima flotta a veleggiare sull'Atlantico. Se di lui
vi era bisogno in Bagdad, si vedeva traverso al deserto fra la prima
caravana. Se v'era bisogno del suo ministero in qualche regione dove
la sua vita fosse meno sicura di quella d'un lupo, dove fosse
delitto l'ospitarlo, dove i teschi e i corpi squartati de' suoi
confratelli gl'indicavano quale sorte egli dovesse aspettarsi,
andava senza lamento o esitazione al proprio destino. Nè questo
spirito eroico è oggimai estinto. Allorchè, ai tempi nostri, una
nuova e terribile pestilenza girò infuriando attorno al globo,
mentre in alcune grandi città lo spavento aveva rotti tutti i
vincoli che congiungono la società, mentre il clero secolare aveva
abbandonato il proprio gregge, mentre non v'era oro che bastasse a
comperare il soccorso del medico, mentre i più potenti affetti di
natura cedevano allo amore della vita, il Gesuita vedevasi presso a
quel lettuccio che il vescovo e il curato, il medico e la balia, il
padre e la madre avevano abbandonato; vedevasi, dico, piegare la
persona sulle labbra infette, per raccogliere il fioco accento del
moribondo che si confessava, e tenergli dinanzi agli occhi fino
all'ultimo istante della vita la immagine del Redentore spirante
sulla croce.
Ma, con l'ammirevole energia, il disinteresse, e l'abnegazione che
facevano il carattere della Società, erano mescolati grandi vizi.
Dicevasi, e non senza fondamento, che l'ardente spirito pubblico che
rendeva il Gesuita spregiatore degli agi, della libertà e della vita
propria, lo induceva parimente a spregiare il vero e a non sentire
pietà; che nessun mezzo il quale potesse promuovere l'utile della
sua religione, sembravagli illecito, e che col vocabolo d'utilità
della propria religione ei troppo spesso intendeva l'utile della
Società sua. Affermavasi, che nelle più atroci congiure di cui
faccia ricordanza la storia, l'azione di lui poteva distintamente
scoprirsi; che, solo costante nello affetto per la confraternita
alla quale egli apparteneva, in parecchi Stati era l'inimico più
pericoloso della libertà, in altri il più pericoloso nemico
dell'ordine. Le più grandi vittorie che vantasse avere riportate pel
bene della Chiesa, erano, secondo il giudicio di molti illustri
membri di quella, più apparenti che reali. Si era, in verità,
affaticato con maraviglioso buon esito a ridurre il mondo sotto le
leggi della Chiesa; ma lo aveva fatto rilassando le leggi in guisa
che si adattassero ai gusti mondani. Invece di studiarsi d'inalzare
la natura umana alla meta stabilita dai precetti ed esempi divini,
egli aveva abbassata quella meta al di sotto dell'umana natura.
Gloriavasi d'una moltitudine di convertiti, che per mano sua avevano
ricevuto il battesimo nelle più rimote regioni dell'Oriente; ma
correva la voce, che ad alcuni di que' convertiti, i fatti da' quali
dipende tutta la dottrina del Vangelo erano stati astutamente
nascosti, e che ad altri era stato permesso di schivare la
persecuzione coll'inchinarsi dinanzi alle immagini de' falsi Dei,
mentre internamente recitavano Pater ed Ave. Nè simiglianti arti
erano adoperate solo ne' paesi pagani. Non era da maravigliare che
genti d'ogni grado, e specialmente quelle in alto locate, si
affollassero attorno ai confessionali nei tempii de' Gesuiti;
imperocchè da que' tribunali di penitenza nessuno se ne andava poco
contento. Ivi il sacerdote era tutto a tutti. Mostrava tanto rigore
quanto bastasse perchè coloro che gli s'inginocchiavano dinanzi non
ricorressero alle chiese de' Domenicani o dei Francescani. Se aveva
da fare con un'anima veramente divota, parlava con le caute parole
degli antichi padri cristiani; ma con quella gran parte degli uomini
che hanno religione abbastanza da sentire rimorso quando commettono
il male, e non abbastanza da astenersi di commetterlo, il Gesuita
seguiva un sistema diverso. Non potendo ritrarli dalla colpa,
studiavasi di salvarli dal rimorso. Aveva agli ordini suoi un
deposito immenso di farmachi per le coscienze perturbate. Ne' libri
composti da' casisti suoi confratelli, e stampati con licenza de'
suoi superiori, trovavasi in gran copia dottrine di conforto per
ogni generazione di peccatori. Ivi il mercatante fallito imparava in
che modo potesse, senza peccato, nascondere le mercanzie alle
indagini de' suoi creditori. Il servo apprendeva come potere, senza
peccato, rubare le argenterie del proprio padrone. Il mezzano
d'amore veniva fatto certo, ad un cristiano esser lecito sostentare
la vita recando lettere e messaggi tra le donne maritate e i loro
amanti. Gli alteri e puntigliosi gentiluomini di Francia ricevevano
lietamente una decisione a favore del duello. Gl'Italiani, avvezzi a
vendicarsi con modi più vili e crudeli, godevano d'imparare che essi
potevano, senza peccato, tirare, nascosti dietro a una siepe,
archibugiate ai loro nemici. Allo inganno era lasciata licenza
bastevole a distruggere il valore del contratto e del testimonio fra
gli uomini. E veramente, se l'umana società non si disciolse, se vi
fu alcuna certezza della vita e degli averi, egli fu perchè il senso
comune e la umanità frenavano i popoli dal fare ciò che la Società
di Gesù assicurava loro che potessero fare con sicura coscienza.
Erano così stranamente mescolati il bene e il male nel carattere di
que' celebri padri; e in tale mistura stava il secreto della loro
gigantesca potenza. La quale non poteva appartenere nè ai pretti
ipocriti, nè ai rigidi moralisti; ma poteva solo conseguirsi da
uomini che con vero entusiasmo correvano dietro ad un fine, e nel
tempo stesso non pativano scrupoli rispetto ai mezzi di giungervi.
Fin da principio, i Gesuiti erano vincolati da un voto speciale
d'obbedienza verso il papa. Avevano missione di domare ogni
insubordinazione in seno della Chiesa, non che di respingere le
ostilità degli aperti nemici di quella. La loro dottrina era
similissima a quella che oggidì di qua dalle Alpi si chiama
oltremontana, e differiva dalla dottrina di Bossuet quasi quanto da
quella di Lutero. Dannavano le libertà gallicane, il diritto de'
concili ecumenici a sindacare la Santa Sede, e il diritto che
vantavano i vescovi a un mandato divino indipendente da Roma.
Lainez, a nome di tutta la confraternita, proclamò nel Concilio di
Trento, fra gli applausi delle creature di Pio IV e le mormorazioni
de' prelati francesi e spagnuoli, che il governo dei fedeli era
stato affidato da Cristo al solo Papa, e che nel solo Papa era
accentrata tutta l'autorità sacerdotale, e che per mezzo del solo
Papa i sacerdoti e i vescovi erano rivestiti di tutta l'autorità
loro(633). Per molti anni la colleganza tra il Sommo Pontefice e la
Società di Gesù non era stata rotta. Ed ove lo fosse stata allorchè
Giacomo II ascese al trono d'Inghilterra, ove la influenza de'
Gesuiti, non che quella del Papa, avesse promossa una politica
costituzionale moderata, è probabile che la grande rivoluzione, la
quale in breve tempo cangiò le condizioni dell'Europa, non sarebbe
accaduta. Ma anche avanti la metà del secolo diciassettesimo, la
Società, inorgoglita da' servigi resi alla Chiesa, fidente nella
propria forza, era divenuta disdegnosa del giogo. Sorse una
generazione di Gesuiti disposti a lasciarsi proteggere e guidare
dalla Corte di Francia, meglio che da quella di Roma; la quale
disposizione non era lieve allorchè Innocenzo XI ascese al trono
pontificio.
In quel tempo, i Gesuiti combattevano una guerra a morte contro un
nemico da loro in prima spregiato, ma pel quale poscia erano stati
costretti a sentire riverenza e timore. Mentre erano pervenuti al
più alto grado di prosperità, furono sfidati da una mano di
avversarii, che, a dir vero, non avevano influenza sopra i potenti
del mondo, ma avevano fortissima fede religiosa ed energia
intellettuale. Travagliavansi in una lunga, strana e gloriosa lotta
del genio contro il potere. I Gesuiti chiamarono in soccorso loro,
ministeri, tribunali, università, che risposero alla chiamata. Porto
Reale si richiamò, e non invano, ai cuori ed alle menti di milioni
d'uomini. I dittatori della Cristianità si trovarono, in un subito,
nella condizione di colpevoli. Furono accusati di avere
sistematicamente abbassata la mêta della morale evangelica a fine
d'accrescere la loro influenza; e l'accusa fu formulata in modo che
tirò a sè l'attenzione dello intero mondo, imperocchè il principale
accusatore era Biagio Pascal. Le sue doti intellettuali erano quali
rade volte sono state impartite ad alcuna umana creatura; e dello
zelo veemente che l'animava, erano solenni argomenti le penitenze e
le vigilie che anzi tempo trascinarono al sepolcro il macero suo
corpo. Aveva lo spirito di San Bernardo; ma la squisitezza, il brio,
la purità, la energia, la semplicità della sua eloquenza, nessuno ha
mai raggiunto, tranne i grandissimi oratori greci. Tutta Europa
lesse e ammirò i suoi scritti, piangendo e ridendo ad un tempo. I
Gesuiti si provarono di rispondergli, ma le loro deboli risposte
furono ricevute dal pubblico con fischi di scherno. Non che avessero
difetto d'ingegno, e di quelle doti le quali si acquistano con
elaborata educazione; ma tale educazione, quantunque possa suscitare
le forze di una mente ordinaria, tende a spegnere, più presto che a
promuovere, il genio originale. Fu universalmente riconosciuto che
nella contesa letteraria i Giansenisti rimasero vincitori. Ai
Gesuiti null'altro restava, che opprimere la setta da essi non
potuta confutare. Luigi XIV era il loro sostegno precipuo. La sua
coscienza, fino dagli anni suoi primi, era nelle mani loro; egli
aveva da loro imparato ad aborrire il Giansenismo, come aborriva il
Protestantismo, e molto più di quanto aborrisse l'Ateismo. Innocenzo
XI, dall'altra parte, pendeva verso le opinioni giansenistiche.
Quindi fu che la Compagnia di Gesù trovossi in una situazione non
contemplata mai dal suo fondatore. I Gesuiti si scissero dal Sommo
Pontefice, e collegaronsi fortemente con un principe che si
spacciava campione delle gallicane libertà e nemico delle pretese
oltremontane. In tal guisa la Compagnia divenne in Inghilterra
strumento de' disegni di Luigi, e cooperò con successo tale che i
Cattolici Romani poi lungamente ed amaramente deplorarono, ad
accrescere la rottura tra il Re e il Parlamento, ad impacciare il
Nunzio, a minare il potere del Lord Tesoriere, ed a promuovere i
disperatissimi intendimenti di Tyrconnel.
Così, da una parte stavano gli Hydes e tutti i Tory aderenti alla
Chiesa Anglicana, Powis e tutti i più rispettabili gentiluomini e
nobili, credenti nella religione del Re, gli Stati Generali, la Casa
d'Austria e il Pontefice. Dall'altra parte erano pochi avventurieri
cattolici romani, senza fortuna e senza riputazione, spalleggiati
dalla Francia e da' Gesuiti.
XXXI. Il principale rappresentante de' Gesuiti in Whitehall, era un
Inglese padre della Compagnia, il quale per qualche tempo era stato
vice-provinciale, prediletto da Giacomo con peculiare favore, e di
recente fatto scrivano del gabinetto intimo. Quest'uomo, chiamato
Eduardo Petre, discendeva da onorevole famiglia. Aveva modi cortesi
e facondo parlare; ma era debole, vano, ambizioso e cupido. Di tutti
i pessimi consiglieri che andavano a Whitehall, egli forse fu il
fabbro principale nella rovina della Casa Stuarda.
XXXII. La ostinata e imperiosa natura del Re faceva grandemente
prevalere coloro che lo consigliavano a star fermo, a non cedere in
nulla, e a rendersi temuto. Una massima politica gli s'era
cosiffattamente abbarbicata al cervello, che non v'era ragione che
bastasse a sradicarla. A dir vero, egli non era assuefatto a porgere
ascolto alla ragione. Il suo modo d'argomentare, se così si debba
chiamare, era quello che non di rado s'osserva negli individui tardi
di cervello e caparbi, avvezzi ad essere circuiti dai loro
sottoposti. Asseriva una cosa; e qualvolta i savi uomini provavansi
di mostrargli rispettosamente essere erronea, l'asseriva di nuovo
con le stessissime parole, e pensava che così facendo tutte le
obiezioni sparissero(634). "Non farò mai concessioni" spesso ei
ripeteva; "mio padre le fece, e gli fu mozzo il capo(635)." Se fosse
stato vero che le concessioni erano tornate fatali a Carlo I, un
uomo di buon senso avrebbe conosciuto, un solo esperimento non
essere bastevole a stabilire una regola generale anche nelle scienze
molto meno complicate di quella di governare; che dal principio del
mondo fino a noi, non vi furono mai due fatti politici, le cui
condizioni fossero esattamente simili; e che l'unico modo d'imparare
dalla storia prudenza civile, è quello di esaminare e raffrontare un
infinito numero di casi. Ma se l'unico esempio sul quale
appoggiavasi il Re, era buono a provare alcuna cosa, provava solo
ch'egli aveva torto. Mal può dubitarsi che, se Carlo avesse
francamente fatte al Corto Parlamento, che si ragunò nella primavera
del 1640, solo mezze le concessioni ch'egli, pochi mesi dopo, fece
al Lungo Parlamento, sarebbe vissuto e morto da Re potentissimo.
Dall'altro canto, non può punto dubitarsi che, se egli avesse
ricusato di fare concessione alcuna al Lungo Parlamento, e avesse
ricorso alle armi a difesa della imposta pel mantenimento della
flotta, e a difesa della Camera Stellata, avrebbe veduto nelle file
degli inimici Hyde e Falkland accanto a Hollis e Hampden. Ma, certo,
non avrebbe potuto ricorrere alle armi; poichè nè anche venti
Cavalieri sarebbero accorsi al suo vessillo. Solo alle concessioni
fatte egli era debitore del soccorso prestatogli dalla gran classe
de' nobili e de' gentiluomini, i quali pugnarono per tanto tempo e
con tanto valore per la causa di lui. Ma sarebbe stato inutile
dimostrare a Giacomo simiglianti cose.
Un altro fatale errore gli si era fitto in mente, e vi stette finchè
lo condusse alla rovina. Credeva fermamente, che per qualunque cosa
egli avesse potuto fare, i credenti nella Chiesa Anglicana avrebbero
sempre agito a seconda de' loro principii. Sapeva d'essere stato
proclamato da dieci mila pulpiti. La Università di Oxford aveva
solennemente dichiarato, che anche una tirannide terribile quanto
quella de' più depravati Cesari, non giustificava i sudditi a
resistere alla regia autorità: e da ciò egli era cotanto stolto da
concludere, che lo intero corpo de' Tory gentiluomini e chierici, si
sarebbero da lui lasciati spogliare, opprimere ed insultare, senza
alzare una mano a difendersi. E' sembra strano che un uomo possa
avere trapassato l'anno cinquantesimo della propria vita, senza
scoprire che il popolo talvolta fa ciò che stima illecito: e Giacomo
altro fare non doveva che frugarsi nell'anima, per trovarvi
abbondevoli prove a conoscere, che anche un forte sentimento de'
religiosi doveri non sempre serve a impedire che la fragile creatura
umana indulga alle proprie passioni, a dispetto delle leggi divine
ed a rischio di terribili pene. Avrebbe dovuto sapere, che comunque
egli giudicasse atto peccaminoso lo adulterio, era un adultero; ma
nulla valeva a convincerlo che chiunque per principio credeva la
ribellione essere peccato, si potesse anche in grande estremità
indurre a ribellare. Credeva che la Chiesa Anglicana fosse una
vittima paziente, ch'egli poteva senza pericolo oltraggiare e
torturare a suo libito; nè si accorse mai del suo errore se non dopo
che vide le Università pronte a coniare le loro argenterie per
sussidiare la cassa militare de' suoi nemici, e un vescovo
lungamente rinomato per la lealtà sua, gettar via la sottana, e
cingendo una spada, prendere il comando d'un reggimento d'insorti.
XXXIII. A coteste fatali follie il Re era studiosamente incoraggiato
da un ministro, che era già stato esclusionista, e tuttavia
seguitava a chiamarsi protestante; voglio dire dal Duca di
Sunderland. Le cagioni della condotta di questo immorale uomo
politico, sono state spesso erroneamente esposte. Mentre ancora
viveva, fu dai Giacomisti accusato di avere, anche avanti il
cominciamento del regno di Giacomo, il pensiero di produrre una
rivoluzione a favore del principe d'Orange, e d'avere, con tale
scopo, consigliato il Re a commettere numerose aggressioni contro la
costituzione civile ed ecclesiastica del reame: frivola storiella
che è stata fino ai dì nostri ripetuta da ignoranti scrittori. Ma
nessuno storico bene erudito nel vero, qualunque si vogliano
supporre i suoi pregiudicii, si è indotto ad accoglierla, come
quella che non riposa sopra nessuna prova; e non v'è prova che basti
a convincere gli uomini assennati, che Sunderland deliberatamente si
gettasse nella colpa e nella infamia onde produrre un mutamento di
cose, nel quale ei vedeva chiaramente di non poter vantaggiare, e
seguíto il quale, di fatto ei perdè le immense ricchezze e la
influenza che sotto Giacomo possedeva. Nè vi è la più lieve cagione
per ricorrere ad una sì strana ipotesi, poichè il vero traspare
dalla superficie stessa de' fatti. Per quanto tortuosa e subdola
fosse la via nella quale cotesto uomo procedeva, la ragione che ve
lo aveva spinto era semplice. La sua condotta è da attribuirsi alla
possanza della cupidigia e del timore che avvicendavansi in un'anima
molto subietta ad entrambe cotali passioni, e che aveva occhio lesto
anzichè acuto. Aveva mestieri di assai più potere e pecunia. L'uno
ei poteva ottenere solamente a danno di Rochester, e l'unico modo di
conseguirlo a detrimento di Rochester, era quello di accrescere
l'avversione che il Re sentiva pei moderati consigli di Rochester.
Danari, ei con grande agevolezza e in gran copia poteva ottenere
dalla corte di Versailles; e Sunderland fu sollecito a vendersi a
quella. Non aveva nessun vizio gioviale o generoso. Curava poco il
vino e la beltà, ma bramava la ricchezza con insaziabile e
irrefrenabile cupidigia. La passione del giuoco gl'infuriava
tempestosamente nell'anima, nè era stata domata da perdite
rovinosissime. Il suo avito patrimonio era grande. Egli aveva
lungamente occupato uffici lucrosi, e non avea trascurata arte
nessuna a renderli più lucrosi; ma la sua mala ventura a' giuochi di
sorte fu tanta, che i suoi beni diventavano quotidianamente più
gravati di debiti. Sperando di disimpacciarsi da tante molestie,
rivelava a Barillon tutti i disegni che il governo inglese meditasse
ostili alla Francia, ed accennò che, pei tempi che correvano, un
Segretario di Stato poteva rendere servigi che Luigi avrebbe fatto
opera savia a pagare largamente. Lo ambasciatore disse al proprio
signore, che sei mila ghinee era la minore gratificazione che
potesse offrirsi ad un così importante ministro. Luigi assentì a
dare venticinque mila scudi, somma equivalente a circa cinque mila
seicento lire sterline. Fu stabilito che Sunderland riceverebbe
annualmente la predetta somma, e che egli in ricompensa farebbe ogni
sforzo per impedire il ragunarsi del Parlamento. Si collegò
quindi alla cabala gesuitica, e usò così destramente dell'influenza
della cabala, che gli venne fatto di succedere ad Halifax nell'alta
dignità di Lord Presidente, senza rinunziare all'ufficio
maggiormente lucroso di Segretario(636). Sentì nondimeno di non
potere ottenere l'equivalente influenza in Corte, finchè fosse
riputato aderente alla Chiesa Anglicana. Tutte le religioni per lui
erano una medesima cosa. Nelle private conversazioni aveva costume
di parlare con profano dispregio delle cose più sacre. Deliberò,
dunque, di dare al Re il diletto e la gloria di avere compita una
conversione. Se non che, eravi d'uopo qualche destrezza a ciò fare.
Non v'è uomo che sia affatto non curante dell'opinione dei suoi
simili; ed anche Sunderland, quantunque non sentisse molto la
vergogna, rifuggiva dalla infamia della pubblica apostasia.
Rappresentò la parte sua con esimio magistero. Agli occhi del mondo
mostravasi protestante; nelle secreto stanze del re, assumeva il
contegno di uno che, seriamente affaccendato ad indagare il vero,
pressochè persuaso a dichiararsi Cattolico Romano, ed aspettando
d'essere maggiormente illuminato, era pronto a rendere tutti i
possibili servigi ai credenti nella vecchia fede. Giacomo, che non
ebbe mai grande discernimento, e nelle materie religiose era affatto
cieco, in onta alla esperienza che aveva della umana malvagità,
della malvagità de' cortigiani come classe, e di quella di
Sunderland come individuo, si lasciò gabbare inducendosi a credere
che la grazia aveva toccato il più falso e indurito de' cuori umani.
Per molti mesi lo astuto ministro fu considerato in Corte come buon
catecumeno, senza mostrarsi al pubblico in sembianza di
rinnegato(637).
Poco dopo, mostrò al Re l'utilità d'istituire un comitato secreto di
Cattolici Romani, onde consigliare intorno a tutte le cose spettanti
all'interesse della loro religione. Il comitato adunavasi talvolta
nelle stanze di Chiffinch, e tal'altra negli appartamenti ufficiali
di Sunderland, il quale, quantunque fosse tuttavia protestante di
nome, era ammesso a tutte le deliberazioni di quello, e tosto giunse
a predominarne tutti i membri. Ogni venerdì la cabala gesuitica
desinava col Segretario. A mensa conversavano liberamente: e non
risparmiavano nè anche le debolezze del Principe, verso il quale
intendevano mostrarsi indulgenti. A Petre, Sunderland promise un
cappello cardinalizio; a Castelmaine, una magnifica ambasciata a
Roma; a Dover, un lucroso comando nelle guardie; e a Tyrconnel, un
alto impiego in Irlanda. In tal guisa, stretti insieme dai più forti
vincoli dell'interesse, costoro cooperavano a cacciare di seggio il
Lord Tesoriere(638).
XXXIV. V'erano due membri protestanti del Gabinetto, i quali non
presero decisamente parte al conflitto. Jeffreys, in questo tempo,
era torturato da una crudele infermità interna, esacerbata dalla
intemperanza. In un pranzo che un ricco Aldermanno dette ad alcuni
de' principali membri del Governo, il Lord Tesoriere e il Lord
Cancelliere ubriacaronsi tanto, che si spogliarono quasi ignudi, e
vennero a stento impediti dallo arrampicarsi ad un piuolo per bere
alla salute di Sua Maestà. Al pio Tesoriere non toccò altro che i
pungoli della maldicenza per l'osceno baccano; ma il Cancelliere fu
assalito da un violento accesso del suo vecchio male. Per qualche
tempo fu creduto in gravissimo pericolo di vita. Giacomo mostrossi
inquietissimo, pensando di dovere perdere un ministro che gli
conveniva sì bene, e disse, con qualche verità, la perdita di un
tanto uomo non potersi così di leggieri riparare. Jeffreys, venuto
in convalescenza, promise di sostenere ambedue i partiti, aspettando
di vedere quale di loro fosse rimasto vittorioso. Esistono tuttora
alcune curiose prove della sua doppiezza. È stato già notato che i
due diplomatici francesi i quali trovavansi in Londra, s'erano
divisi fra loro la Corte. Bonrepaux era di continuo con Rochester, e
Barillon stava con Sunderland. A Luigi nella medesima settimana fu
scritto da Bonrepaux, che il Cancelliere era tutto dalla parte del
Tesoriere, e da Barillon che il Cancelliere era in lega col
Segretario(639).
XXXV. Godolphin, cauto e taciturno, fece ogni sforzo a serbarsi
neutrale. Le opinioni e i desiderii suoi erano senza dubbio con
Rochester; ma, per debito d'ufficio, gli era necessario starsi
sempre presso alla Regina, ch'ei naturalmente voleva tenersi bene
edificata. Certo, v'è ragione a credere ch'egli sentisse per lei un
affetto più romantico di quello che spesso nasce nel cuore dei
vecchi uomini di Stato; e certe circostanze che adesso è uopo
riferire, l'avevano interamente gettato nelle mani della cabala
gesuitica(640).
Il Re, per quanto fosse uomo d'indole severa e di grave contegno,
rimaneva sotto lo impero delle malie donnesche, quasi al pari del
suo vivace ed amabile fratello. Se non che, la beltà delle leggiadre
dame di Carlo non era qualità necessaria a muovere i sensi di
Giacomo. Barbera Palmer, Eleonora Gwynn e Luisa de Querouaille
annoveravansi tra le più avvenenti donne de' tempi loro. Giacomo,
mentre era giovane, aveva perduta la libertà propria, era disceso
dal proprio grado, e incorso nel dispiacere della propria famiglia
per le grossolane fattezze di Anna Hyde. Tosto, a gran sollazzo di
tutta la Corte, venne rapito alle braccia di una disavvenente
consorte da una concubina anche più disavvenente, cioè da Arabella
Churchill. La sua seconda moglie, quantunque avesse venti anni meno
di lui, e non fosse spiacevole di viso e di persona, ebbe spessi
motivi a lamentare la incostanza del marito. Ma di tutte le sue
illecite relazioni, la più forte era quella che lo avvincolava a
Caterina Sedley.
XXXVI. Questa donna era figliuola di Sir Carlo Sedley, uno de' più
gai e dissoluti ingegni della Restaurazione. La licenza de' suoi
scritti non è compensata da molta grazia e vivacità; ma il prestigio
del suo conversare era riconosciuto anche dagli uomini più sobri che
non facevano stima del suo carattere. Sedergli accanto in teatro, e
udirlo a giudicare d'una nuova produzione, consideravasi quale
insigne favore(641). Dryden lo aveva onorato ponendolo precipuo
interlocutore nel Dialogo intorno alla Poesia Drammatica. I costumi
di Sedley erano tali, che anche in quell'età porsero grave argomento
di scandalo. Una volta, dopo un baccano, si mostrò ignudo al balcone
d'una taverna presso Covent Garden, arringando la gente che passava
con linguaggio così sconcio e insolente, che fu ricacciato dentro da
una pioggia di sassate, venne processato per indecente condotta,
condannato ad una grossa multa, e dalla Corte del Banco del Re
ricevette una invettiva espressa con energiche parole(642). La sua
figlia ne aveva ereditate le doti e la impudenza. Non aveva alcuna
leggiadria di persona, tranne due occhi brillanti, lo splendore de'
quali, agli uomini di gusto squisito, sembrava fiero e punto
donnesco. Era magra di forme, e feroce di portamento. Carlo, benchè
amasse di conversare secolei, rideva a vederla sì brutta, e soleva
dire che i preti l'avrebbero dovuta prescrivere a Giacomo come
penitenza. Ella conosceva bene di non essere bella, e liberamente
scherzava sulla propria disavvenenza. Nondimeno, con istrana
incoerenza a sè stessa, amava ornare magnificamente la propria
persona, e attirarsi i pungentissimi scherzi del pubblico,
comparendo in teatro impiastrata, dipinta, coperta di trine di
Bruxelles, e fiammeggiante di diamanti, affettando il grazioso
contegno d'una giovinetta di diciotto anni(643).
Non è agevole a spiegare di che natura fosse la influenza che ella
esercitava sopra l'animo di Giacomo. Ei più non era giovine. Era
religioso; almeno desiderava fare per la propria religione sforzi e
sacrifici, da cui la più parte di coloro che si chiamano uomini
religiosi avrebbero abborrito. Sembra strano che vi fossero al mondo
attrattive le quali valessero a gettarlo in un modo di vita ch'egli
avrebbe dovuto considerare altamente criminoso: e in questo caso,
niuno poteva intendere in che consistevano tali attrattive. La
stessa Caterina era stupefatta della violenta passione del suo reale
amante. "E' non può essere per la mia bellezza" diceva essa, "poichè
bisogna che egli veda che io non sono punto bella; non può essere
per il mio spirito, poichè egli non ne ha tanto da conoscere ch'io
ne abbia alcuno."
Il Re, come fu asceso al trono, pel sentimento della nuova
responsabilità che pesava sopra lui, aperse per qualche tempo
l'anima propria alle impressioni religiose. Fece ed annunziò molte
buone determinazioni, parlò pubblicamente con gran severità degli
empii e licenziosi costumi di quel tempo, e in privato assicurò la
Regina e il confessore che non avrebbe mai più veduta Caterina
Sedley. Le scrisse difatti scongiurandola di abbandonare gli
appartamenti da lei occupati in Whitehall, e di trasferirsi in una
casa in Saint James's Square, che le era stata, a spese di lui,
splendidamente addobbata. Le promise nel tempo stesso di darle una
grossa pensione dalla sua borsa privata. Caterina, destra, forte,
intrepida, e conscia del proprio potere, lo compiacque. Dopo pochi
mesi, cominciossi a vociferare che Chiffinch aveva di nuovo ripreso
l'esercizio del proprio ufficio, e che la druda spesso andava e
veniva per l'uscio segreto, pel quale fu fatto passare Padre
Huddleston allorquando portò l'Eucaristia al moribondo Carlo. E'
sembra che i ministri protestanti del Re sperassero che la cecità
del loro signore per cotesta donna, lo avrebbe guarito della cecità
assai più perniciosa che lo spingeva a' danni della loro religione.
Caterina aveva tutti i requisiti che le erano necessari a governare
i sentimenti e gli scrupoli del Re, e porgli in piena luce dinanzi
allo sguardo tutte le difficoltà e i pericoli contro ai quali ei
correva ad urtare a capo fitto.
XXXVII. Rochester, campione della Chiesa, sforzossi di accrescere
siffatta influenza. Ormond, che è popolarmente considerato come la
personificazione di tutto ciò che v'è di più puro ed elevato in un
Inglese Cavaliere, approvò quel disegno. Perfino Lady Rochester non
arrossì di cooperarvi, e con riprovevolissimi mezzi. Si tolse lo
incarico di dirigere la gelosia dell'offesa moglie contro una
giovinetta che era al tutto innocente. Tutta la Corte notò i modi
freddi ed aspri con che la Regina trattava la povera fanciulla
sospetta; ma la cagione del mal umore della Maestà Sua era un
mistero. Per alcun tempo, cotesto intrigo andò innanzi con prospero
successo e con segretezza. Caterina spesso ripeteva chiaramente al
Re ciò che i Lordi protestanti del Consiglio osavano appena
accennare con delicate parole. Gli diceva come la sua Corona
corresse gravissimo pericolo: il vecchio pazzo Arundell e il
furfante Tyrconnel lo condurrebbero alla rovina. Può darsi che le
carezze di lei avessero potuto fare ciò che gli sforzi insieme
congiunti della Camera de' Lordi e di quella de' Comuni, della Casa
d'Austria e della Santa Sede, non erano riusciti ad ottenere, se non
fosse stata una strana avventura che fece onninamente mutare aspetto
alle cose. Giacomo, in un accesso di amorosa insania, deliberò di
creare la sua druda Contessa di Dorchester di proprio diritto.
Caterina misurò tutto il pericolo di tal passo, e ricusò un onore
che le avrebbe suscitata contro la invidia altrui. Lo amante
ostinossi, e pose di forza il diploma nelle mani di lei. Ella infine
accettò ad un patto, che serve a mostrare quanta fiducia avesse
nella propria potenza e nella debolezza di lui. Gli fece
solennemente promettere di non lasciarla giammai; ma che volendola
lasciare, le dovesse annunziare egli stesso la propria risoluzione,
e concederle un abboccamento.
Appena divulgossi la nuova dello innalzamento di lei, tutto il
palazzo fu sossopra. La Regina sentì ribollirsi nelle vene il
fervido sangue italiano. Altera della giovinezza e dell'avvenenza
propria, dell'alto grado e della intemerata castità, non potè senza
strazio di dolore e di rabbia vedersi abbandonata ed insultata per
una simile rivale. Rochester, rammentando forse con quanta pazienza,
dopo una breve lotta, Caterina di Braganza aveva acconsentito ad
usare cortesia alle concubine di Carlo, aveva sperato che, dopo un
poco di lamento e di sdegno, Maria di Modena si sarebbe mostrata
egualmente sommessa. E' non fu così. Nè anche si provò di ascondere
agli occhi del mondo la violenza delle proprie emozioni.
Quotidianamente, i cortigiani che andavano a vederla desinare,
notavano come le vivande erano riportate via senza ch'ella le avesse
assaggiate. Le lacrime le scorrevano giù per le guance alla presenza
di tutto il cerchio de' ministri e degli ambasciatori. Al Re parlò
con veemenza. "Lasciatemi andare" esclamò. "Avete fatta la vostra
druda contessa; fatela regina. Strappate dal mio capo la corona, e
mettetela sopra il suo. Solo lasciatemi seppellire in qualche
convento, ch'io non la vegga mai più." Poi, con più calma, gli
chiese in che guisa egli potesse conciliare la sua riprovevole
condotta con lo spirito religioso di cui faceva mostra. "Voi siete
pronto" disse ella "a porre a repentaglio il vostro Regno per la
salute dell'anima vostra, e nondimeno vi dannate l'anima per amore
di siffatta donna." Padre Petre, prostrato sulle ginocchia,
secondava la Regina. Era suo debito così fare; e lo adempiva
valorosamente, poichè era connesso con l'utile proprio. Il Re per
qualche tempo si confessò peccatore, e si mostrò pentito. Nelle ore
in che lo assalivano i rimorsi, faceva severe penitenze. Maria serbò
fino all'ultimo dì di sua vita, e morente la legò al convento di
Chaillot, la disciplina con che Giacomo aveva scontate le proprie
peccata flagellandosi vigorosamente le spalle. Nulla, fuorchè lo
allontanamento di Caterina, avrebbe potuto porre fine a cotesto
conflitto tra un abietto amore ed una superstizione abietta. Giacomo
le scrisse, supplicandola e comandandole di partire. Confessava di
averle promesso che le avrebbe detto addio col proprio labbro. "Ma
conosco pur troppo" soggiungeva "lo impero che voi avete sopra di
me. Non avrei forza d'animo bastevole a tenermi fermo nella mia
risoluzione, se consentissi a rivedervi." Le offerse un legno per
trasportarla, con tutti i comodi e il decoro, alle Fiandre; e le
minacciò che ove non si fosse indotta ad andarsene quietamente,
sarebbe stata mandata via per forza. La donna, in sulle prime, provò
di destare la pietà del Re fingendosi inferma. Poscia prese il
contegno d'una martire, ed impudentemente si spacciò di patir tanto
per la religione protestante. Riprese quindi i modi di Giovanni
Hampden, sfidando il re a mandarla via; nel quale caso se ne sarebbe
richiamata ai tribunali. Finchè la Magna Carta e l'Habeas Corpus
erano leggi del Regno, ella voleva starsi dove meglio le talentasse.
"E in Fiandra" gridò ella "giammai! Ho imparato una cosa dalla
Duchessa di Mazzarino mia amica, ed è di non fidarmi mai d'un paese
dove siano conventi." Alla perfine, elesse l'Irlanda come luogo
d'esilio, probabilmente perchè ivi era vicerè il fratello di
Rochester suo protettore. E dopo molto indugiare, ella si partì,
lasciando vittoriosa la Regina(644).
La storia di questo stranissimo intrigo sarebbe incompiuta, ove non
aggiungessi che esiste tuttora una meditazione religiosa, scritta di
mano propria dal Lord Tesoriere, nel giorno stesso in cui la notizia
ch'egli si provava di governare il suo signore per mezzo d'una
concubina, fu trasmessa da Bonrepaux a Versailles. Nessun
componimento di Ken o di Leighton è imbevuto di spirito più fervido
e di pietà più esaltata, che questa religiosa effusione. Non può
tenersi in sospetto d'ipocrisia; imperocchè manifesto si conosce che
quello scritto doveva solo servire per uso privato dello scrittore,
e non fu pubblicato se non cento e più anni dopo ch'egli giaceva
cenere ed ossa dentro il sepolcro. Fino a tal segno la storia supera
in istranezza la finzione! ed è pur troppo vero che la natura ha
capricci che l'arte non osa imitare. Un poeta drammatico mal si
rischierebbe a porre sulla scena un principe severo, nel verno degli
anni, pronto a sacrificare la corona per giovare la propria
religione, instancabile nel fare proseliti, che ad un'ora
abbandonava ed insultava la moglie giovine e bella, per vaghezza di
una druda che non aveva nè giovinezza nè beltà. Anche meno, se pure
è possibile, un drammaturgo ardirebbe immaginare un uomo di Stato
che si abbassi al vergognoso mestiere di mezzano d'amore, e chiami
la propria moglie ad aiutarlo in quel disonorevole ufficio; e
nulladimanco, nei momenti d'ozio, ridottosi nel domestico ritiro,
innalzi l'anima a Dio, spargendo lacrime di penitenza e recitando
devote giaculatorie(645). XXXVIII. Il Tesoriere presto
s'accôrse che servendosi di mezzi scandalosi per giungere ad un
laudevole fine, aveva commesso non solo un delitto ma uno sbaglio.
Adesso la Regina gli era divenuta nemica. Ella fece sembiante, a dir
vero, di ascoltare con cortesia le parole con che gli Hydes
tentarono di scusare, come meglio poterono, la propria condotta; e
in alcune occasioni mostrò di usare la sua influenza a favor loro:
ma avrebbe dovuto essere o da più o da meno che non è una donna, se
avesse veramente dimenticata la congiura ordinata dalla famiglia
della prima moglie di Giacomo contro la sua dignità e felicità
domestica. I Gesuiti, con rigorose parole, dimostrarono al Re il
pericolo dal quale era, quasi per miracolo, campato, dicendo come la
riputazione, la pace e l'anima di lui fossero state poste a
repentaglio per le trame del suo primo ministro. Il Nunzio, che
volentieri avrebbe frustrato la influenza del partito violento, e
cooperato cogli uomini moderati del Gabinetto, non potè onestamente
e decentemente dividersi in questa occasione da Padre Petre. Lo
stesso Giacomo, dopo che il mare lo ebbe partito dalle malíe onde
era stato sì fortemente affascinato, non potè non sentire ira e
dispregio verso coloro i quali s'erano studiati di governarlo per
mezzo de' suoi vizi. Le cose successe era mestieri che gli facessero
maggiormente stimare la sua Chiesa, e disistimare quella
d'Inghilterra. I Gesuiti che, come correva la moda, erano chiamati i
più pericolosi de' consiglieri spirituali, sofisti che sovvertivano
tutto il sistema della morale evangelica, adulatori che andavano
debitori del proprio potere principalmente alla indulgenza con cui
trattavano i peccati de' grandi, lo avevano ritratto da una vita
colpevole con rimproveri acri ed arditi, come quelli che Natan fece
a David, o Giovanni Battista ad Erode. Dall'altra parte, i fervidi
Protestanti, che parlavano sempre della rilassatezza de' casisti
papali, e della malvagità di operare il male perchè se ne potesse
conseguire il bene, avevano tentato di procurare il bene della
propria Chiesa per una via considerata da ogni cristiano come
gravemente criminosa. La vittoria della cabala de' pessimi
consiglieri fu quindi compiuta. Il Re trattò freddamente Rochester.
I cortigiani e i ministri stranieri tosto si accorsero che il Lord
Tesoriere era primo ministro solamente di nome. Seguitò a dare
consigli ogni giorno, ed ebbe l'onta di vederli ogni giorno
rigettati. Nulladimeno, non sapeva indursi ad abbandonare
quell'apparenza di potere, e gli emolumenti che direttamente e
indirettamente ei ricavava dal suo alto ufficio. Fece quindi quanto
potè per nascondere agli occhi del pubblico l'amarezza dell'anima
sua. Ma le sue violenti passioni e le sue intemperanti abitudini non
gli concedevano di sostenere la parte di simulatore. Il suo
conturbato aspetto, sempre che egli usciva dalla sala del Consiglio,
mostrava che non erano stati lieti i momenti ivi passati; e quando
il bicchiere gli scaldava il cervello, gli fuggivano di bocca parole
che manifestamente rivelavano la inquietudine dell'animo(646).
E aveva ragione d'essere inquieto. Gl'indiscreti e impopolari
provvedimenti si succedevano rapidamente l'un l'altro. Ogni pensiero
di ritornare alla politica della Triplice Alleanza era abbandonato.
Il Re esplicitamente confessò ai ministri di que' potentati
continentali, coi quali già aveva avuto intendimento di collegarsi,
che aveva affatto mutato pensiero, e che l'Inghilterra doveva
seguitare ad essere, come era stata sotto l'avo, il padre e il
fratello suoi, di nessun conto in Europa. "Non sono in condizioni"
ei disse allo Ambasciatore Spagnuolo "d'impacciarmi di ciò che
accade fuori de' miei Stati. Sono risoluto di lasciare che le
faccende straniere piglino il loro corso, di consolidare l'autorità
mia nel mio Regno, e di fare qualche cosa a pro della mia
religione." Pochi giorni dipoi manifestò i medesimi intendimenti
agli Stati Generali(647). Da quel tempo sino alla fine del suo
ignominioso regno, non fece alcuno positivo sforzo a trarsi di
vassallaggio, quantunque non potesse mai, senza dare in furore,
sentirsi chiamare vassallo.
I due fatti onde il pubblico si accôrse che Sunderland e il suo
partito avevano vinto, furono la proroga del Parlamento dal febbraio
al maggio, e la partenza di Castelmaine per Roma, col grado
d'ambasciatore di primissima classe(648).
Fino allora tutti gli affari del Governo Inglese alla Corte Papale
erano stati affidati a Giovanni Caryl. Questo gentiluomo era noto ai
suoi coetanei come persona ricca e educata, e come autore di due
opere drammatiche applaudite; cioè d'una tragedia in versi rimati,
che era stata resa popolare dall'insigne attore Betterton; e di una
commedia, che d'ogni suo pregio va debitrice alle(649) scene rubate
a Molière. Questi componimenti sono da lungo tempo caduti in oblio;
ma ciò che Caryl non valse a fare a suo pro, è stato fatto per lui
da un più possente ingegno. Un mezzo verso nel Riccio Rapito ha reso
immortale il suo nome.
XXXIX. Caryl, il quale al pari di tutti gli altri rispettabili
Cattolici Romani era nemico alle misure violente, aveva con buon
senso e buon animo adempiuto il suo delicato incarico a Roma. La
commissione affidatagli ei compì lodevolmente; ma non aveva
carattere officiale, e studiosamente schivò ogni dimostrazione. E
però i suoi servigi furono quasi di nessuna spesa al Governo, e non
provocarono mormorazioni. Al suo ufficio venne adesso sostituita una
dispendiosa e pomposa ambasciata, che offese grandissimamente il
popolo inglese, mentre non piacque punto alla Corte di Roma.
Castelmaine ebbe lo incarico di domandare un cappello cardinalizio
pel suo alleato Padre Petre.
Verso il medesimo tempo, il Re cominciò a mostrare, in modo non
equivoco, ciò che veramente sentiva verso gli esuli Ugonotti. Mentre
sperava di sedurre il Parlamento a mostrarsi sommesso, e intendeva
di farsi capo della coalizzazione europea contro la Francia, aveva
simulato di biasimare la revoca dello editto di Nantes, e
commiserare quegli infelici dalla persecuzione cacciati lungi dalle
patrie contrade. Aveva fatto annunziare che in ogni chiesa del Regno
si sarebbe fatta, con la sua approvazione, una colletta a beneficio
loro. Un apposito proclama era stato compilato con parole che
avrebbero ferito l'orgoglio di un sovrano meno irritabile e
vanaglorioso di Luigi. Ma adesso tutto mutò d'aspetto. I principii
del trattato di Dover diventarono di nuovo i fondamenti della
politica estera dell'Inghilterra. Si fecero quindi ampie apologie
per la scortesia con cui il Governo Inglese aveva agito verso la
Francia mostrando favore ai fuorusciti francesi. Il proclama che era
spiaciuto a Luigi, fu revocato(650). I ministri Ugonotti furono
avvertiti di parlare con riverenza del loro oppressore ne' loro
pubblici discorsi; se no, avrebbero corso pericolo. Giacomo non solo
cessò di manifestare commiserazione per que' malarrivati, ma
dichiarò di credere che essi covassero perfidissimi disegni, e
confessò di avere errato proteggendoli. Giovanni Claude, uno de' più
illustri fuorusciti, aveva pubblicato nel continente un piccolo
volume, nel quale dipingeva con tinte vigorose i patimenti de' suoi
confratelli. Barillon chiese che il libro venisse solennemente
vituperato. Giacomo assentì, e in pieno Consiglio dichiarò, come
fosse suo piacere che il libello di Claude venisse bruciato dinanzi
la Borsa Reale per mano del boia. Anche Jeffreys ne rimase attonito,
e provossi di mostrare che siffatto procedimento era senza esempio;
che il libro era scritto in lingua straniera; che era stato stampato
in una tipografia straniera; che si riferiva interamente a fatti
successi in un paese straniero; e che nessun Governo inglese s'era
mai impacciato di tali opere. Giacomo non patì che la questione
venisse discussa. "La mia deliberazione" disse egli "è fatta. Oramai
è nata l'usanza di trattare i Re con poco rispetto, ed è mestieri
che tutti vicendevolmente si difendano. Un Re dovrebbe essere sempre
il sostegno dell'altro; ed io ho ragioni particolari per rendere al
Re di Francia questo atto di rispetto." I consiglieri stettero muti.
L'ordine fu emanato; e il libro di Claude fu dato alle fiamme, non
senza alte mormorazioni di molti che erano stati ognora riputati
fermi realisti(651).
La colletta, già promessa, fu per lungo tempo per vari pretesti
differita. Il Re volentieri avrebbe mancato alla sua parola; ma
l'aveva così solennemente data, che non poteva, senza somma
vergogna, ritirarla(652). Non per tanto, nulla fu omesso che potesse
intiepidire lo zelo delle congregazioni. Aspettavasi che, secondo la
costumanza solita in simili casi, il popolo venisse esortato dai
pulpiti. Ma Giacomo era determinato di non tollerare declamazioni
contro la religione e l'alleato suo. Lo arcivescovo di Canterbury
ebbe, perciò, ordine di far sapere al clero, che si doveva
semplicemente leggere il regio proclama, senza presumere di
predicare intorno ai patimenti de' protestanti francesi(653).
Nondimeno, le offerte furono in tanta copia, che, fatta ogni
deduzione, la somma di quaranta mila lire sterline venne depositata
nella Camera di Londra. Forse non v'è stata nell'età nostra colletta
così generosa in proporzione de' mezzi della nazione(654).
Il Re rimase amaramente mortificato da sì generosa colletta, fattasi
in ubbidienza(655) al suo invito. Sapeva bene, disse egli, che cosa
significava tale liberalità. Era un puro dispetto che i Whig avevano
inteso di fare a lui ed alla sua religione(656); ed aveva già deciso
che la somma raccolta non servisse per coloro che i donatori
volevano beneficare. Era stato per parecchie settimane in istretta
comunicazione intorno a questo negozio con la Legazione Francese; ed
approvante la Corte Francese, si appigliò ad un partito che non può
di leggieri conciliarsi co' principii di tolleranza ch'egli poscia
pretese di professare. I fuorusciti erano zelanti del culto e della
disciplina de' Calvinisti. Giacomo, quindi, fece comandamento che a
niuno fosse dato un tozzo di pane o una cesta di carbone, se prima
non avesse prestato il giuramento a seconda del rituale
anglicano(657). È cosa strana che questo inospitale provvedimento
fosse stato immaginato da un principe, il quale considerava l'Atto
di Prova come un oltraggio fatto ai diritti della coscienza:
imperocchè, per quanto ingiusto possa essere l'imporre un Atto di
Prova con sacramento onde chiarirsi se gli uomini meritino occupare
gli uffici civili e militari, è senza alcun dubbio assai più
ingiusto imporre il detto sacramento per conoscere se essi, nella
estrema miseria, meritino carità. Nè Giacomo aveva la scusa che
potrebbe allegarsi a scemare la colpa da tutti quasi i persecutori;
perocchè la religione ch'egli imponeva ai fuorusciti, a pena di
lasciarli morire di fame, non era la religione ch'egli professava.
La sua condotta, adunque, verso loro era meno scusabile di quella di
Luigi: poichè costui gli oppressava sperando di ricondurli da una
dannevole eresia alla vera Chiesa; Giacomo gli opprimeva solo onde
costringerli ad apostatare da una dannevole eresia, ed abbracciarne
un'altra.
Una Commissione, nella quale era il Cancelliere, fu istituita a
distribuire le pubbliche limosine. Nella prima adunanza, Jeffreys
manifestò la volontà del Re. Disse che i fuorusciti erano troppo
generalmente nemici della monarchia e dello episcopato. Se volevano
ottenere qualche sussidio, era mestieri che si convertissero alla
Chiesa Anglicana, e prestassero il giuramento nelle mani del suo
cappellano. Molti esuli che erano andati pieni di gratitudine e di
speranza a chiedere qualche soccorso, udirono la propria sentenza, e
con la disperazione nel cuore partironsi.
XL. Si appressava il mese di maggio, mese stabilito per la ragunanza
delle Camere; ma furono di nuovo prorogate sino a novembre(658). Non
era strano che il Re aborrisse di vederle adunate; imperciocchè era
risoluto di abbracciare una politica che egli sapeva bene essere da
loro detestata. Da' suoi predecessori aveva ereditate due
prerogative, i confini delle quali non sono stati rigorosamente
definiti, e che, esercitate illimitatamente, basterebbero a
sovvertire tutto l'ordinamento politico dello Stato e della Chiesa.
Erano il potere di dispensare e la supremazia ecclesiastica. Per
virtù dell'uno, il Re propose di ammettere i Cattolici Romani, non
solo agli uffici civili e militari, ma anche agli spirituali. Per
virtù dell'altra, sperava di rendere il clero anglicano strumento
della distruzione della loro propria Chiesa.
Questo disegno si venne gradatamente esplicando da sè. Non si stimò
sicuro cominciare concedendo allo intero corpo de' Cattolici Romani
dispensa dagli statuti che imponevano pene e giuramenti; perciocchè
non v'era cosa che fosse così pienamente stabilita come la
illegalità di una tale dispensa. La Cabala nel 1672 aveva promulgata
una dichiarazione generale d'Indulgenza. I Comuni, appena adunatisi,
protestarono contro. Carlo II aveva ordinato che fosse cassata in
sua presenza, ed aveva di propria bocca e con un messaggio scritto
data assicurazione alle Camere, che l'atto che aveva cagionato tanto
lamento, non sarebbe stato mai considerato come esempio precedente.
Sarebbe stato difficile trovare in tutti i collegi d'avvocati un
giureconsulto di qualche riputazione, che avesse voluto difendere
una prerogativa, alla quale il Sovrano, assiso sul trono in pieno
Parlamento, aveva solennemente pochi anni innanzi rinunziato. E
però, il primo fine che Giacomo si prefisse(659), fu quello
d'ottenere che le Corti di Diritto Comune riconoscessero ch'egli,
almeno fino a questo segno, possedeva la potestà di dispensare.
XLI. Ma, quantunque le sue pretese fossero modiche in agguaglio di
quelle che manifestò pochi mesi dopo, si accôrse tosto che gli stava
contro l'opinione di quasi tutta Westminster(660) Hall. Quattro de'
giudici gli fecero intendere, che in questa occasione non potevano
secondare il suo proponimento; ed è da notarsi che tutti e quattro
erano Tory violenti, e fra essi v'erano uomini che avevano
accompagnato Jeffreys nella sua missione di sangue, e che avevano
assentito alla morte di Cornish e d'Elisabetta Gaunt. Jones, Capo
Giudice de' Piati Comuni, uomo che non s'era mai prima ricusato a
nessuna bassa azione, comunque crudele e servile, adesso parlò nel
gabinetto regio con parole che sarebbero state convenevoli alle
labbra de' magistrati più integerrimi di cui faccia ricordo la
storia nostra. Gli fu detto chiaramente, o di smettere la propria
opinione, o lasciare l'impiego. "In quanto al mio impiego" rispose,
"poco mi curo. Ormai son vecchio, e mi son logorata la vita in
servizio della Corona; ma rimango mortificato nel vedere che Vostra
Maestà mi stimi capace di dare un giudicio che nessuno, tranne un
uomo stolto e disonesto, potrebbe(661) dare." - "Ho risoluto" disse
il Re "di avere dodici giudici i quali la pensino come me in questo
negozio." - "La Maestà Vostra" rispose Jones "potrebbe trovare
dodici giudici che la pensino come Voi, ma non dodici
giurisperiti(662)." Fu destituito, con Montague, Capo Barone dello
Scacchiere; e due altri giudici inferiori, Neville e Charlton. Uno
de' nuovi giudici era Cristoforo Milton, fratello minore del gran
poeta. Poco si sa di Cristoforo, salvo che a tempo della guerra
civile era stato realista, e che adesso, giunto alla vecchiezza,
pendeva verso il papismo. Non pare che si convertisse mai
formalmente alla Chiesa di Roma; ma certo scrupoleggiava a
comunicare con la Chiesa d'Inghilterra, ed aveva quindi un forte
interesse a difendere la potestà di dispensare(663).
Il Re trovò i suoi consiglieri giuristi disubbidienti quanto i
giudici. Il primo che seppe di dovere difendere la potestà di
dispensare, fu l'Avvocato Generale Heneage Finch. Senza tanti
andirivieni, ricusò di farlo, e il dì dopo fu destituito
dall'ufficio(664). Al Procuratore Generale Sawyer fu ingiunto di
rilasciare ordini per autorizzare i membri della Chiesa di Roma ad
occupare i beneficii pertinenti a quella d'Inghilterra. Sawyer era
stato profondamente implicato nelle più crude e inique persecuzioni
di quel tempo, ed era da' Whig abborrito come uomo che aveva le mani
imbrattate del sangue di Russell e di Sidney; ma in questa occasione
non mostrò difetto d'onestà e di fermezza. "Sire," disse egli
"questo non importa dispensare semplicemente da uno statuto; ma vale
il medesimo che annullare l'intero Diritto Statutario, da Elisabetta
fino a noi. Io non oso porvi mano; e scongiuro la Maestà Vostra a
considerare se una tanta aggressione ai diritti della Chiesa sia
d'accordo con le ultime promesse che avete generosamente
fatte(665)." Sawyer sarebbe stato come Finch destituito, se il
Governo avesse potuto trovargli un successore: ma ciò non era cosa
di poco momento. Era necessario, a proteggere i diritti della
Corona, che uno almeno de' legali della Corona fosse uomo dotto,
abile ed esperto; e non era da trovarsi un tale uomo che difendesse
la potestà di dispensare. Al Procuratore Generale fu, dunque, per
pochi mesi lasciato l'impiego. Tommaso Powis, uomo da nulla, che non
aveva altri requisiti, dalla servilità all'infuori, per occupare
qualche alto ufficio, fu nominato Avvocato Generale.
XLII. Gli apparecchi preliminari erano ormai compiti. V'erano un
Avvocato Generale per difendere la potestà di dispensare, e dodici
giudici per decidere a favore di quella. La questione, adunque, fu
sollecitamente messa in campo. Sir Eduardo Hales, gentiluomo di
Kent, erasi convertito al papismo in tempi ne' quali niuno poteva
impunemente dichiararsi papista. Aveva tenuta secreta la propria
conversione, e tutte le volte che ne veniva richiesto, affermava
d'essere Protestante con solennità tale, da dare poco credito ai
suoi principii. Come Giacomo ascese al trono, non vi fu mestieri di
simulazione. Sir Eduardo apostatò pubblicamente, e ne ebbe in
ricompensa il comando d'un reggimento di fanteria. Lo aveva tenuto
per più di tre mesi senza prestare il giuramento. Era quindi
soggetto alla pena di cinquecento lire sterline, che chi lo avesse
accusato poteva ricuperare per via d'azione di debito. Un uomo di
condizione servile fu adoperato a portare l'azione nella Corte del
Banco del Re. Sir Eduardo non negò i fatti allegati contro lui, ma
disse di possedere lettere patenti, che lo autorizzavano a tenere il
suo ufficio, malgrado l'Atto di Prova. Lo accusatore ammise che le
ragioni di Sir Eduardo erano vere in fatto, ma negò che quella fosse
una soddisfacente risposta. Così fu fatta una semplice questione di
diritto da decidersi dalla Corte. Un avvocato che era notissimo
strumento del Governo, comparve per il simulato accusatore, e fece
alcune lievi obiezioni alle ragioni allegate dall'accusato. Il nuovo
Avvocato Generale rispose. Il Procuratore Generale non prese parte
al giudicio. Il Lord Capo Giudice, Sir Eduardo Herbert, profferì la
sentenza. Annunziò d'avere esposta la questione a tutti i dodici
giudici, e che undici di loro opinavano che il Re potesse
legittimamente dispensare dagli statuti penali nei casi particolari,
e per ragioni di grave importanza. Il Barone Street, l'unico che
dette il voto contrario, non fu destituito dall'ufficio. Era uomo
così immorale, che era abborrito perfino dai suoi stessi parenti, e
che il Principe d'Orange, a tempo della Rivoluzione, fu avvertito di
non ammetterlo al suo cospetto. Il carattere di Street rende
impossibile il credere che egli avesse voluto mostrarsi più
scrupoloso de' suoi colleghi. Il carattere di Giacomo rende
impossibile il credere che un Barone dello Scacchiere, mostratosi
disubbidiente, fosse stato lasciato nell'impiego. Non può esservi
alcun dubbio ragionevole che il giudice dissenziente, come
l'accusatore e il costui difensore, non avessero agito d'accordo.
Importava assai che vi fosse grande preponderanza d'autorità a
favore della potestà di dispensare; ed era al pari importante che il
Banco, che era stato studiosamente ricomposto per quella
circostanza, avesse l'apparenza d'essere indipendente. Ad un
giudice, quindi, che era il meno rispettabile de' dodici, fu
permesso, e più probabilmente comandato, di votare contro la
prerogativa(666).
La potestà in tal modo riconosciuta dalle Corti di Legge, non fu
lasciata inoperosa. Un mese dopo la sentenza proferita dal Banco del
Re, quattro Lordi cattolici romani furono chiamati al Consiglio
Privato. Due di loro, Powis e Bellasyse, appartenevano al partito
moderato, e probabilmente accettarono l'ufficio con repugnanza e con
molti tristi presentimenti. Gli altri due, Arundell e Dover, non
avevano cosiffatti presentimenti(667).
XLIII. La potestà di dispensare fu, nel medesimo tempo, adoperata a
rendere i Cattolici Romani atti ad occupare i beneficii
ecclesiastici. Il nuovo Avvocato Generale prontamente emanò i
decreti che Sawyer aveva ricusato di fare. Uno di questi decreti fu
in favore d'uno sciagurato che aveva nome Eduardo Sclater, e che
possedendo due beneficii, voleva tenerli a qualunque costo, e in
tutte le vicissitudini. La domenica delle Palme del 1686, egli
amministrò la comunione ai suoi parrocchiani secondo il rito della
Chiesa Anglicana. Nella seguente domenica della Pasqua, celebrò la
Messa. La regia dispensa lo autorizzò a fruire degli emolumenti de'
suoi beneficii. Alle rimostranze de' patroni che gli avevano
conferiti, rispose con insolenti parole di provocazione; e mentre
alla causa de' Cattolici Romani spirava prospero il vento, ei
pubblicò un assurdo trattato in difesa della propria apostasia. Ma
pochi giorni dopo la Rivoluzione, una gran folla convenne nel tempio
di Santa Maria nel Savoy, per vederlo rientrare nel grembo della
religione da lui abbandonata. Leggendo l'abjura, le lacrime gli
scendevano copiose giù per le guance, e profferì un'acre invettiva
contro i preti papisti, dalle arti de' quali era stato sedotto(668).
Con non minore infamia si condusse Obadia Walker. Era vecchio prete
della Chiesa Anglicana, e ben noto nella Università d'Oxford come
uomo dotto. Sotto il regno di Carlo, era venuto in sospetto
d'inclinare al papismo, ma esteriormente erasi conformato alla
religione stabilita, ed infine era stato eletto Maestro o Rettore
del Collegio Universitario. Subito dopo che Giacomo ascese al trono,
Walker deliberò di gettar via la maschera con che fino allora s'era
coperto. Si astenne dal culto anglicano, e con alcuni convittori e
sottograduati da lui pervertiti, ascoltava giornalmente la Messa nel
proprio appartamento. Uno de' primi atti del nuovo Avvocato
Generale, fu di fare un decreto che autorizzava Walker e i suoi
proseliti a ritenere i loro beneficii, non ostante la loro
apostasia. Furono tosto chiamati de' muratori, perchè trasformassero
in oratorio due file di stanze. In pochi giorni nel Collegio
Universitario celebraronsi pubblicamente i riti cattolici romani. Vi
fu posto a cappellano un Gesuita. Vi fu allogata una tipografia con
licenza regia, per istampare i libri cattolici romani. Per lo spazio
di due anni e mezzo, Walker seguitò a guerreggiare contro il
protestantismo con tutto il rancore d'un rinnegato: ma quando la
fortuna mutò faccia, ei mostrò che gli mancava il coraggio d'un
martire. Fu tratto alla barra della Camera de' Comuni perchè
rendesse ragione della propria condotta, e fu tanto vigliacco da
protestare di non aver mai mutato religione, nè mai cordialmente
approvate le dottrine della Chiesa di Roma, e di non essersi mai
provato a convertire a quella nessun uomo. Non valeva l'incomodo di
violare gli obblighi più sacri della legge e della fede data per
convertire uomini come Walker(669).
XLIV. Dopo breve tempo, il Re fece un passo più innanzi. A Sclater e
Walker era stato solamente permesso di tenere, dopo d'essersi fatti
papisti, i beneficii già loro concessi mentre si dicevano
protestanti. Conferire un'alta dignità nella Chiesa Anglicana ad un
aperto nemico di quella, era un atto più audace che rompeva le leggi
e la reale promessa. Ma non v'era provvedimento che a Giacomo
paresse ardito. Il decanato di Christchurch divenne vacante.
Quell'ufficio, e per dignità e per emolumenti, era uno de' più
considerevoli nella Università di Oxford. Al decano era affidato il
governo di un maggior numero di giovani di cospicue parentele e di
grandi speranze, che si potesse trovare in qualunque altro collegio.
Egli era parimente il capo di una cattedrale. Con ambedue questi
caratteri, era necessario ch'egli appartenesse alla Chiesa
Anglicana. Nondimeno, Giovanni Massey, che manifestamente era membro
della Chiesa di Roma, e che altro merito non aveva, tranne d'esser
membro di quella Chiesa, fu, per virtù della potestà di dispensare,
nominato all'ufficio predetto; e tosto dentro le mura di
Christchurch fu innalzato un altare, dove ogni giorno si celebrava
la Messa(670). Al Nunzio il Re disse, che come aveva fatto in
Oxford, così tra breve farebbe in Cambrigde(671).
XLV. Non pertanto, anche ciò era lieve male in paragone di quello
che i Protestanti avevano buone ragioni a temere. Sembrava assai
probabile che l'intero governo della Chiesa Anglicana verrebbe, tra
poco tempo, posto nelle mani de' suoi mortali nemici. V'erano tre
insigni sedi vacanti; quella di York, quella di Chester e quella
d'Oxford. Il vescovato d'Oxford fu dato a Samuele Parker, parassito;
la cui religione, se pure egli aveva religione alcuna, era quella di
Roma; e che si chiamava protestante, solo perchè aveva l'impaccio
d'una moglie. "Io voleva" disse il Re ad Adda "nominare un aperto
cattolico: ma il tempo non è ancora giunto. Parker è bene disposto
per noi; sente come noi; ed a poco per volta convertirà tutto il suo
clero(672)." Il vescovato di Chester, vacante per la morte di
Giovanni Pearson, uomo di grande rinomanza e come filologo e come
teologo, fu conferito a Tommaso Cartwright, anche più abietto
parassito di Parker. Lo arcivescovato di York rimase varii anni
vacante. E non potendosi a ciò allegare nessuna buona ragione,
sospettavasi che il Re differisse la nomina, finchè si potesse
rischiare di porre quell'insigne mitra sul capo d'un papista. E
veramente, egli è molto probabile che il senno e la buona
disposizione del Papa salvassero da tanto oltraggio la Chiesa
Anglicana. Senza speciale dispensa del Papa, nessun Gesuita poteva
divenire vescovo; e non vi fu mai modo d'indurre Innocenzo ad
accordarla a Petre.
XLVI. Giacomo nè anche dissimulò lo intendimento che aveva di
giovarsi con vigore e sistematicamente di tutti i poteri che aveva
come capo della Chiesa stabilita, per distruggerla. Disse con chiare
parole, che per opera della divina Provvidenza, l'Atto di Supremazia
sarebbe stato il mezzo di richiudere la fatale ferita da esso
inflitta nel corpo della Chiesa universale. Enrico ed Elisabetta
avevano usurpato un dominio che di diritto apparteneva alla Sede.
Tale dominio, nel corso della successione, era venuto nelle mani di
un principe ortodosso, il quale lo terrebbe come deposito
appartenente alla Santa Sede. La legge gli dava potestà di reprimere
gli abusi spirituali: e il primo di quelli ch'egli intendeva
reprimere, era la libertà con cui il clero anglicano difendeva la
propria religione e combatteva contro le dottrine di Roma(673).
XLVII. Ma incontrò un grande ostacolo. La supremazia ecclesiastica
di che egli andava rivestito, non era punto la stessa alta e
terribile prerogativa da Elisabetta, da Giacomo I e da Carlo I
esercitata. L'atto che dava alla Corona una quasi infinita autorità
visitatoria sopra la Chiesa, quantunque non fosse mai stato
formalmente abrogato, aveva veramente perduto in gran parte il
primitivo vigore. La legge in sostanza rimaneva, ma senza nessuna
formidabile sanzione, e senza efficace sistema di procedura; ed era
perciò poco più che una lettera morta.
Lo statuto che rese ad Elisabetta il dominio spirituale, assunto dal
padre e deposto dalla sorella, conteneva una clausula che dava al
Sovrano autorità di costituire un tribunale che poteva inchiedere e
riformare, e punire i delitti ecclesiastici. Per virtù di tale
clausula, fu creata la Corte dell'Alta Commissione; Corte che per
molti anni era stata terribile ai non-conformisti, e sotto la cruda
amministrazione di Laud divenne argomento di timore e d'odio, anche
a coloro che amavano maggiormente la Chiesa stabilita. Adunatosi il
Lungo Parlamento, l'Alta Commissione venne generalmente giudicata
come il più grave degli abusi che la nazione sosteneva. E però fu
fatta alquanto frettolosamente una legge, la quale non solo privò la
Corona della potestà di nominare visitatori per soprintendere alle
faccende della Chiesa, ma abolì senza distinzione ogni specie di
corti ecclesiastiche.
Dopo la Restaurazione, i Cavalieri, che erano numerosissimi nella
Camera de' Comuni, per quanto fossero zelanti della prerogativa,
rammentavano ancora con amarezza la tirannia dell'Alta Commissione,
e non erano punto disposti a richiamare a vita una cotanto odiosa
istituzione. Pensavano, ad un'ora, e non senza ragione, che lo
statuto il quale aveva distrutte tutte le corti cristiane del reame
senza nulla sostituirvi, fosse soggetto a gravi obiezioni. E però lo
revocarono, tranne nella parte che riferivasi all'Alta Commissione.
Così le Corti Arcidiaconali, le Concistoriali, quella
dell'Arcivescovo di Canterbury, l'altra così detta de' Peculiari, e
la Corte dei Delegati furono richiamate a vita; ma l'atto per virtù
del quale ad Elisabetta ed a' suoi successori era stata concessa la
potestà di nominare Commissioni con autorità visitatoria sopra la
Chiesa, non solo non fu rimesso in vigore, ma con parole
estremamente forti fu dichiarato pienamente abrogato. È, dunque,
chiaro, quanto può esserlo qualunque punto di diritto
costituzionale, che Giacomo II non era competente a istituire una
Commissione, con potestà di visitare e governare la Chiesa
Anglicana(674). Che se così fosse stato, poco valeva che l'Atto di
Supremazia, con parole alto sonanti, gli desse facoltà da correggere
ciò che non era equo in quella Chiesa. Null'altro, fuorchè una
macchina formidabile come quella, ch'era stata distrutta dal Lungo
Parlamento, poteva forzare il clero anglicano a divenire strumento
del Re per la distruzione della dottrina e del culto anglicano.
Egli, perciò, nell'aprile del 1686, deliberò di creare una nuova
Corte d'Alta Commissione. Il disegno non fu mandato subitamente ad
esecuzione. Fu avversato da tutti i ministri che non erano ligii
alla Francia ed a' Gesuiti. I giureconsulti lo considerarono come
oltraggiosa violazione della legge, e gli aderenti alla Chiesa
Anglicana come un'aggressione alla Chiesa loro. Forse la contesa
sarebbe durata più a lungo, se non fosse accaduto un fatto che ferì
l'orgoglio e infiammò la collera del Re. Egli, come capo supremo
ordinario, aveva dato ordini affinchè il clero anglicano si
astenesse di toccare i punti controversi della dottrina. In tal
guisa, mentre tutte le Domeniche e le festività dentro il ricinto
de' reali palazzi recitavansi sermoni a difesa della religione
cattolica romana, alla Chiesa dello Stato, alla Chiesa della
grandissima parte della nazione era inibito di spiegare e difendere
i propri principii. Lo spirito di tutto l'ordine clericale destossi
contro cotesta ingiustizia. Guglielmo Sherlock, teologo insigne, che
aveva scritto con asprezza contro i Whig e i Dissenzienti, e ne era
stato rimunerato dal Governo coll'ufficio di Maestro o Rettore del
Tempio e con una pensione, fu uno de' primi a incorrere nello sdegno
del Re. Gli fu sospesa la pensione, ed ei venne severamente
redarguito(675). Poco appresso Giovanni Sharp, Decano di Norwich e
Rettore di Saint Giles-in-the-Fields, fece più grave offesa a
Giacomo. Era uomo dotto e di fervida pietà, predicatore di gran
fama, e prete esemplare. In politica, come tutti i suoi confratelli,
era Tory, ed era pur allora stato fatto regio cappellano. Ricevè una
lettera di un anonimo, il quale simulava venire da uno de' suoi
parrocchiani che era stato vinto dagli argomenti de' teologi
cattolici romani, ed agognava d'imparare se la Chiesa Anglicana
fosse parte della vera Chiesa di Cristo. Nessun teologo che non
avesse perduto ogni senso de' religiosi doveri o dell'onore del
proprio ministero, poteva ricusare di rispondere. La Domenica
prossima, Sharp fece un vigoroso discorso contro le alte pretese
della Chiesa di Roma. Alcune delle sue espressioni vennero
esagerate, scontorte, e recate dai ciarlieri a Whitehall. Fu
falsamente riferito, ch'egli avesse vituperosamente parlato dello
disquisizioni teologiche già trovate nella cassa forte di Carlo, e
pubblicate da Giacomo. Compton, vescovo di Londra, ebbe da
Sunderland ordini di sospendere Sharp, fino a tanto che il Re avesse
altrimenti provveduto. Il vescovo si sentì grandemente perplesso. La
sua recente condotta nella Camera dei Lordi aveva profondamente
offesa la Corte. Il suo nome era già stato casso dalla lista de'
Consiglieri Privati. Egli era già stato cacciato dall'ufficio che
occupava nella cappella reale. Non voleva aggiungere nuove
provocazioni; ma l'atto che gli s'imponeva era un atto giudiciale.
Intese essere ingiusto, e i migliori consiglieri gli assicuravano
essere illegale infliggere una pena senza che al supposto colpevole
fosse dato modo a difendersi. E però, con umilissime parole, espose
al Re le difficoltà ad eseguire l'ordine ricevuto, e avvertì
privatamente Sharp a non mostrarsi per allora in pulpito. Per quanto
ragionevoli fossero gli scrupoli di Compton, per quanto ossequiose
le sue scuse, Giacomo montò in gran furore. Quale insolenza allegare
o la giustizia naturale o la legge positiva in opposizione ad un
espresso comandamento del Sovrano! Sharp fu dimenticato. Il vescovo
divenne segno alla vendetta del Governo(676).
XLVIII. Il Re sentì più penosamente che mai la mancanza di quella
arme tremenda che un tempo aveva costretti i disobbedienti
ecclesiastici a cedere. Probabilmente, sapeva che per poche acri
parole profferite contro il governo di Carlo I, il vescovo Williams
era stato dall'Alta Commissione sospeso da tutte le dignità e
funzioni ecclesiastiche. Il disegno di richiamare a vita quel
formidabile tribunale, fu più che mai affrettato. Nel mese di
luglio, Londra fu in commovimento per la nuova che il Re, sfidando
direttamente due atti del Parlamento formulati in vigorosissimi
termini, affidava l'intero governo della Chiesa a sette
Commissari(677). Le parole con che la giurisdizione loro veniva
significata, erano, come suol dirsi, elastiche, e potevano essere
stiracchiate per ogni verso. Tutti i collegi e le scuole di
grammatica, anche quelli ch'erano stati istituiti dalla liberalità
di benefattori privati, furono sottoposti alla autorità della nuova
Commissione. Tutti coloro che per guadagnarsi il pane avevano
mestieri d'impiego nella Chiesa o nelle istituzioni accademiche, dal
Primate fino al più piccolo curato, dai vicecancellieri d'Oxford e
di Cambridge fino al più umile pedagogo che insegnava il Corderio,
rimasero in preda alle voglie del Re. Se qualcuno di quelle molte
migliaia di uomini cadeva in sospetto di aver fatto o detto la
minima cosa spiacevole al Governo, i Commissari potevano citarlo
dinanzi al loro tribunale. Nel modo di contenersi con lui, non erano
vincolati da alcun freno, come quelli che erano accusatori a un
tempo e giudici. Allo accusato non davasi copia dell'atto d'accusa.
Era esaminato e riesaminato; ed ove le sue risposte non fossero
soddisfacenti, poteva essere sospeso dall'ufficio, destituito,
dichiarato incapace di occupare beneficio alcuno per lo avvenire.
S'egli fosse stato contumace, poteva essere scomunicato, o, in altre
parole, privato di tutti i diritti civili, e imprigionato a vita.
Poteva anco, a discrezione della Corte, essere condannato a pagare
le spese del processo che lo aveva ridotto ad accattare. Non v'era
appello. I Commissarii avevano ordine di eseguire l'ufficio loro,
non ostante alcuna legge che fosse o paresse essere incompatibile
con le norme ricevute. Da ultimo, perchè nessuno dubitasse essere
stata intenzione del Governo ristabilire quella terribile Corte
dalla quale il Lungo Parlamento aveva liberata la nazione, al nuovo
tribunale fu ingiunto di usare un suggello in cui fosse il medesimo
segno e la epigrafe medesima che erano nel suggello della vecchia
Alta Commissione(678). Capo della Commissione era il
Cancelliere. La presenza e lo assenso di lui erano necessarii ad
ogni atto. Ciascuno ben conosceva con quanta ingiustizia, insolenza,
e barbarie egli s'era condotto nei tribunali, dove, fino ad un certo
segno, era infrenato dalle leggi dell'Inghilterra. Non era quindi
difficile prevedere come si sarebbe portato in una situazione in cui
egli aveva pieno arbitrio di fare da sè forme di procedura o regole
ad investigare i casi.
Degli altri sei Commissarii, tre erano prelati e tre laici. A capo
della lista era il nome dello Arcivescovo Sancroft. Ma egli era
pienamente convinto che la Corte era illegale, che tutti i suoi
giudicii sarebbero stati nulli, e che sedendovici sarebbe incorso in
grave responsabilità. Deliberò quindi di non accettare il regio
mandato. Nulladimeno, non agì in questa occasione con quel coraggio
e con quella sincerità ch'ei mostrò allorchè, due anni dopo, si
trovò ridotto agli estremi. Pregò lo scusassero, allegando gli
affari e la mal ferma salute. Gli altri membri della Commissione,
egli soggiunse, erano uomini di tanta abilità, da non avere mestieri
del suo aiuto. Queste poco sincere scuse sedevano male sul labbro
del Primate di tutta l'Inghilterra in quella occasione; nè valsero a
salvarlo dalla collera del Re. Egli è vero che il nome di Sancroft
non fu cancellato dalla lista de' Consiglieri Privati; ma, con amara
mortificazione degli amici della Chiesa, non fu più chiamato ne'
giorni di sessione. "Se egli" disse il Re "è sì malato da non potere
andare alla Commissione, è cortesia alleggiarlo dal carico di venire
al Consiglio(679)."
Il Governo non incontrò uguale difficoltà con Nataniele Crewe,
Vescovo della grande e ricca diocesi di Durham, uomo di nobile
stirpe, e nella sua professione salito tanto alto, che quasi non
poteva desiderare di salire di più; ma abietto, vano e codardo. Era
stato fatto decano della Cappella Reale, allorquando il vescovo di
Londra fu cacciato di Palazzo. L'onore di sedere fra il numero de'
Commissarii ecclesiastici toccò a Crewe. Nulla giovò che alcuni de'
suoi amici gli mostrassero il rischio a cui egli si esponeva sedendo
in un tribunale illegale. Non vergognò di rispondere, ch'ei non
poteva vivere privo del sorriso del Re, ed, esultando, significò la
speranza che il suo nome sarebbe rimasto nella storia: speranza che
non gli andò al tutto fallita(680).
Tommaso Sprat, vescovo di Rochester, fu il terzo Commissario
clericale. Era uomo, allo ingegno del quale la posterità non ha reso
giustizia. Sventuratamente per la sua riputazione, i suoi versi sono
stati stampati nelle raccolte de' Poeti Inglesi; e chi lo voglia
giudicare da' suoi versi, è forza che lo consideri come un imitatore
servile, che senza una scintilla dell'ammirevole genio di Cowley,
scimmiottava ciò che nello stile di Cowley era meno commendevole: ma
chi conosce le prose di Sprat, farà un diverso giudicio delle sue
facoltà intellettuali. E veramente, era grande maestro della nostra
lingua, e possedeva ad un'ora la eloquenza dell'oratore, del
controversista e dello storico. Il suo carattere morale avrebbe
riportato poco biasimo, se egli fosse stato addetto ad una
professione meno sacra; imperocchè il peggio che intorno a lui si
possa dire, è d'essere stato indolente, lussurioso e mondano; ma
tali falli, quantunque nei secolari non sogliano comunemente
considerarsi come bruttissimi, sono scandalosi in un prelato. Lo
arcivescovato di York era vacante; Sprat sperava d'ottenerlo, e però
accettò l'ufficio nella Commissione ecclesiastica: ma era uomo di sì
buona indole, da non potersi condurre con durezza; ed aveva tanto
buon senso, da vedere che avrebbe in futuro potuto essere chiamato a
render conto di sè dinanzi al Parlamento. Per la qual cosa, benchè
egli acconsentisse di accettare l'ufficio, si studiò di acquistare,
quanto gli fu possibile, meno nemici(681).
I tre altri Commissari furono il Lord Tesoriere, il Lord Presidente,
e il Capo Giudice del Banco del Re. Rochester, disapprovando la cosa
e brontolando, assentì a servire. Quantunque gli toccasse di soffrir
molto alla Corte. non sapeva indursi ad abbandonarla. Quantunque
molto amasse la Chiesa, non sapeva indursi a sacrificare per essa il
suo bianco bastone, il potere di disporre degl'impieghi, la sua paga
di ottomila lire sterline l'anno, e gli assai più grossi emolumenti
indiretti del suo ufficio. Scusò con gli altri la propria condotta,
e forse con sè stesso, allegando che, come Commissario, avrebbe
potuto impedire molti danni; ed ove egli avesse ricusato quel posto,
sarebbe stato occupato da qualcun altro meno di lui devoto alla
religione protestante. Sunderland rappresentava la cabala gesuitica.
La sentenza di recente profferita da Herbert intorno alla questione
della potestà di dispensare, era bastevole argomento a provare che
non avrebbe abborrito di obbedire ciecamente a tutte le voglie di
Giacomo.
XLIX. Appena apertasi la Commissione, il vescovo di Londra fu citato
dinanzi al nuovo tribunale. Obbedì. "Io voglio da voi" disse
Jeffreys "una risposta diretta e positiva. Perchè non avete sospeso
il Dottor Sharp?"
Il vescovo chiese copia dell'atto che istituiva la Commissione, per
conoscere per virtù di quale autorità egli fosse così interrogato.
"Se intendete" disse Jeffreys "contrastare all'autorità nostra,
userò altri mezzi con voi. In quanto all'atto che chiedete, non
dubito punto che lo abbiate veduto. In ogni caso, potreste vederlo
per un soldo in qualunque bottega di caffè." E' pare che la
insolente risposta del Cancelliere muovesse a sdegno gli altri
Commissari, sì che gli fu forza di addurre qualche scusa contorta.
Ritornò poi al punto dal quale erasi dilungato, dicendo: "Questa non
è una Corte dove le accuse si mostrano in iscritto. La nostra
procedura è sommaria, e verbale. La questione è chiarissima. Perchè
non avete voi obbedito al Re?" Con qualche difficoltà Compton potè
ottenere un breve indugio, e l'assistenza d'un avvocato. Udite le
ragioni da lui allegate, fu manifesto a tutti che il vescovo aveva
semplicemente fatto ciò ch'egli era tenuto a fare. Il Tesoriere, il
Capo Giudice e Sprat opinarono di mandarlo assoluto. Il Re arse di
sdegno. E' pareva che la sua Commissione Ecclesiastica gli volesse
anch'ella mancare, come gli aveva mancato il suo Parlamento Tory. A
Rochester disse di eleggere tra il dichiarare colpevole il vescovo,
o lasciare l'ufficio del Tesoro. Rochester fu sì vile, che si
arrese. Compton fu sospeso dalle sue funzioni spirituali; il carico
della sua grande diocesi fu commesso ai suoi giudici, Sprat e Crewe.
Seguitò, non per tanto, a risedere nel proprio palazzo e ricevere le
rendite; perocchè sapevasi che ove avessero tentato di privarlo de'
suoi emolumenti temporali, ei si sarebbe posto sotto la protezione
del diritto comune; e lo stesso Herbert dichiarò, che i tribunali di
diritto comune avrebbero profferita sentenza contro la Corona. Ciò
indusse il Re a star cheto. Solo alquanti giorni erano corsi dacchè
egli aveva a suo modo raffazzonate le Corti di Westminster Hall,
onde ottenere una sentenza favorevole alla sua potestà di
dispensare; e adesso si accôrse che, ove non le avesse di nuovo
raffazzonate, non avrebbe potuto ottenere una decisione in favore
degli atti della sua Commissione Ecclesiastica. Deliberò, quindi, di
differire per breve tempo la confisca de' beni liberi de' chierici
disubbidienti(682).
L. Gli umori della nazione, a dir vero, erano tali da renderlo
esitante. Per alcuni mesi, il malcontento era venuto grandemente e
con rapidità crescendo. Il Parlamento da lungo tempo aveva inibita
la celebrazione del culto cattolico romano. Pel corso di varie
generazioni, nessun prete cattolico romano aveva osato mostrarsi in
pubblico con le insegne del proprio ufficio. Contro il clero
regolare, e contro gl'irrequieti e sottili Gesuiti, erano state
fatte molte leggi rigorose. Ogni Gesuita che avesse posto piede nel
Regno, era soggetto ad essere impiccato, strascinato e squartato.
Coloro che lo avessero scoperto, ricevevano un premio. Non godeva nè
anche il beneficio della regola generale, che gli uomini non sono
tenuti ad accusare sè stessi. Chiunque fosse in sospetto di essere
Gesuita, poteva essere interrogato; e ricusando di rispondere,
incarcerato a vita(683). Tali leggi, benchè non fossero state poste
rigorosamente in esecuzione, tranne in tempi di speciale pericolo, e
benchè non avessero mai impedito i Gesuiti di venire in Inghilterra,
avevano reso necessario il travestirsi. Ma adesso ogni travestimento
fu messo da parte. Alcuni insani uomini appartenenti alla religione
del Re, incoraggiati da lui, ebbero l'orgoglio di sfidare leggi che
senza verun dubbio erano ancor valide, e sentimenti abbarbicati nel
cuore del popolo come non lo erano stati mai nei tempi trascorsi.
Sorsero in ogni dove, per tutto il paese, cappelle cattoliche
romane. Cocolle, cordoni e rosari vedevansi di continuo per le vie,
e rendevano attonita una popolazione di cui l'uomo più vecchio non
aveva mai veduto, tranne sulla scena, un abito monacale. Un convento
fu innalzato in Clerkenwell, nel luogo dell'antico chiostro di San
Giovanni. I Francescani occuparono un edificio in Lincoln's Inn
Fields. I Carmelitani furono acquartierati nella Città. Una congrega
di Benedettini ebbe alloggio nel Palazzo di San Giacomo. Nel Savoy
fu edificata ai Gesuiti una vasta casa, con una chiesa e una
scuola(684). L'arte e la cura onde cotesti padri avevano, per
parecchie generazioni, educata la gioventù, avevano strappate le
lodi alle labbra ripugnanti de' Protestanti più savi. Bacone aveva
detto, che il metodo d'istruzione adoperato nei collegi de' Gesuiti,
era il migliore che fino allora si conoscesse nel mondo, ed aveva
mostrato amaro rincrescimento pensando che un sistema cotanto
ammirevole di disciplina intellettuale e morale dovesse servire agli
interessi d'una religione cotanto corrotta(685). Non era improbabile
che il nuovo collegio nel Savoy, sotto la protezione del Re, sarebbe
diventato formidabile rivale delle grandi scuole di Eaton, di
Westminster e di Winchester. Poco dopo aperta, la scuola contava
quattrocento fanciulli, metà circa de' quali erano Protestanti.
Costoro non erano tenuti ad assistere alla Messa; ma non poteva
esservi dubbio che la influenza di esperti precettori appartenenti
alla Chiesa Cattolica Romana, e versati in tutte le arti che valgono
a conseguire la fiducia e l'affetto della gioventù, non avrebbe
fatto molti proseliti.
LI. Siffatte cose produssero sommo eccitamento fra il basso popolo,
il quale sempre è mosso da ciò che tocca i sensi, più presto che da
ciò che si dirige alla ragione. Migliaia di rozze e ignoranti
persone, per le quali la potestà di dispensare e la Commissione
Ecclesiastica erano parole vuote di senso, videro con indignazione e
terrore un collegio di Gesuiti sorgere sulle rive del Tamigi, frati
in sottana e cappuccio passeggiare nello Strand, i devoti accorrere
in folla alle porte de' tempii dove adoravansi le sculte immagini.
In parecchi luoghi del paese scoppiarono tumulti. In Coventry e in
Worcester, il culto cattolico romano fu violentemente
interrotto(686). In Bristol la marmaglia, spalleggiata, secondo fu
detto, dai magistrati, dette un profano ed indecente spettacolo, in
cui la Vergine Maria era rappresentata da un buffone, e un'ostia
finta era portata in processione. Il presidio fu chiamato a
reprimere la plebaglia. Questa, che sempre era stata lì più che in
altro luogo del Regno ferocissima, oppose resistenza. Seguirono da
ambe le parti percosse e ferite(687). Grande era l'agitazione nella
capitale, e maggiore nella Città propriamente detta, che in
Westminster. Imperocchè il popolo era avvezzo a vedere le cappelle
private degli Ambasciatori Cattolici Romani; ma la Città, a memoria
d'uomo vivente, non era stata mai profanata da cerimonie
idolatriche. Nondimeno, l'inviato dell'Elettore Palatino,
incoraggiato dal Re, eresse una cappella in Lime Street. I capi del
municipio, quantunque fossero uomini posti in quell'ufficio perchè
riconosciuti come Tory, protestarono contro questo fatto, che,
dicevano essi, i più dotti gentiluomini in abito lungo consideravano
illegale. Il Lord Gonfaloniere ricevè ordine di presentarsi dinanzi
al Consiglio Privato. "Badate a quel che fate" disse il Re,
"obbeditemi; e non v'impacciate con gentiluomini in abito lungo, o
in abito corto." Il Cancelliere tosto cominciò ad inveire contro il
malarrivato magistrato, con quella stessa eloquenza che soleva
adoperare in Old Bailey. La cappella fu aperta. Tutto il vicinato si
pose subito in movimento. Gran torme di popolo accorsero a Cheapside
per aggredire la nuova chiesa. I sacerdoti furono insultati. Un
crocifisso fu strappato dal luogo, e posto sopra il pozzo della
parrocchia. Il Lord Gonfaloniere uscì fuori a quietare il tumulto,
ma fu accolto col grido di "Non vogliamo Dio di legno." La milizia
civica ebbe comandamento di sgominare la folla; ma partecipava al
sentimento del popolo; e voci corsero per le file che dicevano: "Noi
non possiamo in coscienza combattere a pro del papismo(688)."
Lo Elettore Palatino era, come Giacomo, sincero e zelante Cattolico,
e imperava, al pari di lui, sopra una popolazione protestante; ma i
due principi si somigliavano poco per indole e per intendimento. Lo
Elettore aveva promesso di rispettare i diritti della Chiesa ch'egli
trovò stabilita ne' suoi domini. Aveva rigorosamente mantenuta la
promessa, e non s'era lasciato trascinare a nessun atto di violenza
dai predicatori, i quali abborrendo dalla sua credenza,
dimenticavano di quando in quando il rispetto che gli dovevano(689).
Seppe, e gliene increbbe, che l'atto imprudente del suo
rappresentante aveva grandemente offeso il popolo di Londra; e, a
suo sommo onore, dichiarò ch'egli avrebbe rinunziato al privilegio
al quale, come principe straniero, aveva diritto, anzi che mettere a
rischio la tranquillità d'una grande metropoli. "Anch'io" scrisse
egli a Giacomo "ho sudditi protestanti; e so con quanta cautela e
destrezza debba agire un principe Cattolico posto in cosiffatte
condizioni." Giacomo, invece di sentire gratitudine per questa mite
e savia condotta, mise la lettera in canzone avanti ai ministri
stranieri; e deliberò che lo Elettore, volesse o non volesse,
avrebbe una cappella nella Città; e qualora la milizia cittadina
avesse ricusato di fare il debito proprio, si sarebbero chiamate le
guardie(690).
LII. Lo effetto che cotesti perturbamenti produssero sul commercio,
fu assai grave. Il ministro olandese scrisse agli Stati Generali,
che gli affari alla Borsa erano arrestati. I Commissari delle Dogane
riferirono al Re, come nel mese che seguì l'apertura della Cappella
in Lime Street, gl'incassi del porto del Tamigi fossero scemati
d'alcune migliaia di lire sterline(691). Vari Aldermanni, i quali,
comecchè fossero realisti zelanti, nominati in ufficio sotto il
nuovo statuto municipale, avevano molto interesse alla prosperità
commerciale della città loro, e non amavano nè il papismo nè la
legge marziale, dettero la loro rinunzia. Ma il Re era risoluto a
non cedere. Formò un campo militare in Hounslow Heath, dove, in una
circonferenza di circa due miglia e mezzo, raccolse quattordici
battaglioni di fanteria, e trentadue squadroni di cavalleria, che
insieme facevano un'armata di tredici mila combattenti. Ventisei
pezzi d'artiglieria, e molti carriaggi carichi d'armi e di
munizioni, furono trascinati dalla Torre, traverso alla città, a
Hounslow(692). I Londrini, vedendo ragunarsi queste grandi forze
militari nei dintorni della terra, sentirono un terrore, che in
breve scemò coll'avvezzarvisi. Visitare Hounslow ne' giorni festivi
divenne un sollazzo. Il campo offriva lo aspetto d'una vasta fiera.
Confusa coi moschettieri e coi dragoni, una moltitudine di lindi
gentiluomini e dame di Soho Square, di borsaiuoli e di sgualdrine di
Whitefriars co' visi imbellettati, d'infermi in portantine, di frati
in cappucci e sottane, di servitori coperti di ricche livree, di
merciaiuoli ambulanti, di fruttaiuole, di impertinenti garzoni di
bottega e di stupefatti villani, passava di continuo e ripassava fra
mezzo alle lunghe file delle tende. In alcuni padiglioni udivasi il
baccano dei beoni, in altri le bestemmie de' giocatori. E davvero,
il luogo pareva un allegro suburbio della metropoli. Il Re, come ben
si conobbe due anni dopo, aveva commesso un grande errore. Aveva
dimenticato che la vicinanza agisce in più modi. Aveva sperato che
lo esercito avrebbe atterrita Londra; ma lo effetto di questo
provvedimento fu, che i sentimenti e le opinioni de' cittadini di
Londra invasero pienamente l'esercito(693).
Erano appena formati gli accampamenti, allorquando corse voce di
litigi tra i soldati protestanti e i papisti(694). Un breve scritto
intitolato: Indirizzo a tutti gl'Inglesi protestanti dell'armata, -
era stato con attività distribuito nel campo. Lo scrittore con
veementi parole esortava le truppe a pugnare in difesa, non del
Messale, ma della Bibbia, della Magna Charta e della Petizione de'
Diritti. Il Governo lo vedeva di mal occhio. Era uomo notevole per
carattere, e la cui storia può riuscire istruttiva.
LIII. Aveva nome Samuele Johnson, era prete della Chiesa Anglicana,
e già stato cappellano di Lord Russell. Johnson era uno di quelli
uomini mortalmente odiati da' loro oppositori, e meno amati che
rispettati da' loro colleghi. La sua morale era pura, fervido il
sentimento religioso che gli stava nel cuore, non ispregevoli la
dottrina e le doti dello ingegno, debole il giudicio, e l'indole
acre, torbida e invincibilmente ostinata. Per la sua professione,
egli era venuto in odio agli zelanti sostenitori della monarchia;
perocchè un repubblicano con gli ordini sacri appariva un ente
strano, e quasi contro natura. Mentre Carlo regnava, Johnson aveva
pubblicato un libro col titolo di Giuliano Apostata. Era suo scopo
mostrare, che i Cristiani del quarto secolo non ammettevano la
dottrina della non-resistenza. Era agevole addurre passi di
Crisostomo e di Girolamo, scritti con uno spirito assai diverso da
quello de' teologi anglicani che predicavano contro la Legge
d'Esclusione. Johnson, nulladimeno, trascorse anche più oltre. Tentò
di richiamare a vita l'odioso addebito che, per manifestissime
ragioni, Libanio aveva gettato sopra i soldati cristiani di
Giuliano; ed affermò che il dardo che uccise l'imperiale rinnegato,
partì non dagl'inimici, ma da qualche Rumbold o Ferguson delle
legioni romane. Ne seguì caldissima controversia. I disputatori Whig
e Tory lottarono accanitamente intorno ad un passo oscuro, nel quale
Gregorio Nazianzeno loda un pio vescovo che andava ad infliggere la
fustigazione ad alcuno. I Whig sostenevano che l'uomo santo andasse
a fustigare lo imperatore; i Tory, che egli volesse fustigare, a
tutto dire, un capitano delle Guardie. Johnson compose una risposta
ai suoi avversarii, nella quale fece un elaborato paragone tra
Giuliano e Giacomo, allora Duca di York. Giuliano per molti anni
aveva fatto sembiante di aborrire la idolatria, mentre in cuor suo
era idolatra. Giuliano aveva, per giungere a certi suoi fini, in
alcune occasioni simulato di rispettare i diritti della coscienza.
Giuliano aveva punite le città che erano zelanti per la vera
religione, spogliandole de' loro privilegii municipali. Giuliano da'
suoi adulatori era stato chiamato il Giusto. Giacomo si sentì
provocato a segno, da non poterlo patire. Johnson fu accusato di
calunnia, convinto reo, e condannato ad una multa che egli non aveva
mezzi di pagare. Fu quindi gettato in un carcere; e sembrava
probabile che vi dovesse rimanere per tutta la vita(695).
LIV. Sopra la stanza ch'egli occupava nella prigione del Banco del
Re, era rinchiuso un altro condannato, il cui carattere è degno di
studio. Chiamavasi Ugo Speke, ed era giovane di buona famiglia, ma
di singolarmente bassa e depravata indole. In lui la passione del
mal fare e di giungere per vie torte ai suoi fini, era quasi
frenesia. Arruffare senza essere scoperto, era a lui occupazione e
diletto; ed aveva grande arte di giovarsi degli onesti entusiasti
come di strumenti della sua fredda malignità. Aveva tentato, per
mezzo di uno de' suoi fantocci, di spingere Carlo e Giacomo ad
assassinare Essex nella Torre. Scopertosi lui essere stato lo
istigatore a quel delitto, quantunque gli fosse riuscito gettare in
gran parte la colpa sull'uomo da lui sedotto, non gli era venuto
fatto di sottrarsi al castigo. Adesso era in carcere; ma col danaro
potè procacciarsi i comodi che ai più poveri prigioni mancavano, ed
era tenuto con tanto poco rigore, da comunicare di continuo con uno
de' suoi colleghi che dirigeva una tipografia clandestina.
LV. Johnson era l'uomo adatto ai fini di Speke. Era zelante ed
intrepido, dotto ed esperto disputatore, ma semplice come un
fanciullo. Una stretta amicizia nacque fra' due compagni di
prigione. Johnson scriveva diversi acri e virulenti trattati, che
Speke faceva giungere allo stampatore. Allorquando formossi il campo
militare in Hounslow, Speke incitò Johnson a comporre un indirizzo
per istigare le truppe al disordine. Detto, fatto. Ne furono tirate
molte migliaia di copie e portate alla stanza di Speke, da dove
furono sparse per tutto il paese, e in ispecie fra' soldati. Un
Governo più mite di quello che allora reggeva l'Inghilterra si
sarebbe risentito a simigliante provocazione. Si fecero rigorose
ricerche. Un agente subordinato, di cui eransi serviti per
distribuire l'indirizzo, salvò sè, tradendo Johnson; e Johnson non
era uomo da salvarsi tradendo Speke. Se ne fece processo, e lo
scrittore fu dichiarato reo. Giuliano Johnson, come comunemente lo
chiamavano, fu condannato ad essere tre volte posto alla berlina, e
fustigato da Newgate a Tyburn. Il giudice, Sir Francesco Withins,
disse al condannato di dovere rendere grazie al Procuratore
Generale, che aveva mostrata moderazione, là dove poteva considerare
il delitto come crimenlese. "Io non gli debbo punto ringraziamenti"
rispose intrepidamente Johnson. "Debbo io, il cui solo delitto è
quello di avere difeso la Chiesa e le leggi, mostrarmi grato
d'essere flagellato a guisa d'un cane, mentre gli scrivacchiatori
papisti si lasciano ogni giorno impunemente insultare la Chiesa e
violare le leggi?" La energia con che egli favellò fu tale, che i
giudici e i legali della Corona stimarono necessario difendersi, e
protestarono di non saper nulla di pubblicazioni papiste, a cui il
prigione alludeva. Il quale immantinente si trasse di tasca alcuni
libri o ninnoli cattolici romani, che allora vendevansi liberamente
sotto la regia protezione; lesse ad alta voce i titoli di que'
libri, e gettò un rosario sul banco agli Avvocati del Re; e forte
gridando, disse: "Io presento questa prova dinanzi a Dio, a questo
tribunale ed al popolo inglese. Ora vedremo se il Signor Procuratore
Generale farà il proprio dovere."
Fu deliberato che innanzi di mandare ad esecuzione la sentenza,
Johnson fosse degradato della dignità sacerdotale. I prelati ai
quali dalla Commissione Ecclesiastica era stata affidata la cura
della diocesi di Londra, lo citarono dinanzi a loro nelle stanze del
Capitolo della Cattedrale di San Paolo. Il modo onde egli subì la
ceremonia, fece profonda impressione nell'animo di molti. Mentre lo
spogliavano degli abiti sacerdotali, esclamò: "Voi mi private
dell'abito sacro, perchè mi sono studiato di tenervi addosso il
vostro." L'unica formalità che parve contristarlo, fu l'avergli
strappato dalle mani la Bibbia. Lottò debolmente perchè non gliela
togliessero, la baciò e diede in uno scoppio di pianto. "Voi non
potete" disse egli "privarmi delle speranze che io debbo a quel
libro santo." Tentossi di ottenere che gli fosse perdonata la
fustigazione. Un sacerdote cattolico romano, a cui fu fatta la
promessa di duecento lire sterline, s'offerse d'intercedere per lui.
Fu fatta una colletta, e raccolta la somma; e il prete fece ogni
possibile sforzo, ma invano. "Il signore Johnson" rispose il Re "ha
lo spirito d'un martire; ed è giusto che divenga tale." Guglielmo
III, pochi anni dopo, disse d'uno de' più arrabbiati e imperterriti
Giacomiti: "Egli s'è fitta in cuore la voglia d'essere martire, ed
io mi son fitto in capo di privarlo della gloria del martirio."
Questi due detti basterebbero soli a spiegare lo differentissime
sorti di quei due Principi.
Giunse il dì stabilito per la fustigazione. Fu adoperato un flagello
di nove funi. Trecento diciassette furono i colpi; ma il paziente
non fe' motto. Dopo, confessò che il tormento era stato crudele; ma
mentre ci veniva trascinato, richiamava al pensiero la pazienza con
che il Salvatore aveva portata la croce al Golgota; e ne ebbe tanto
conforto, che se non fosse stato impedito dal timore d'incorrere
nella taccia di vanaglorioso, avrebbe cantato un salmo con la voce
ferma e lieta con che avrebbe adorato Dio nella congregazione. E fu
eroismo da farci desiderare che fosse meno macchiato d'intemperanza
e d'intolleranza(696).
LVI. Fra il clero anglicano, Johnson non trovò compatimento. Aveva
tentato di giustificare la ribellione; aveva anche accennato di
approvare il regicidio; e i preti della Chiesa d'Inghilterra,
malgrado tanta provocazione, sostenevano tenacemente la dottrina
della non-resistenza. Ma inquieti e impauriti vedevano il progresso
di quella che essi consideravano dannosa superstizione; e mentre
aborrivano dal pensiero di difendere la propria religione con la
spada, battagliavano con armi di specie diversa. Il predicare contro
gli errori del papismo, adesso era da loro considerato come dovere e
punto d'onore. Il clero di Londra, il quale per meriti ed influenza
primeggiava fra l'ordine sacerdotale, porse un esempio che
intrepidamente seguirono i suoi confratelli in tutto il Regno. Se
pochi spiriti audaci avessero osato tanto, sarebbero stati
probabilmente riconvenuti dinanzi alla Commissione Ecclesiastica; ma
era quasi impossibile punire un fallo che veniva commesso ogni
Domenica da migliaia di teologi, da Berwick fino a Penzance. Le
tipografie della metropoli, d'Oxford e di Cambridge, erano in
continuo moto. La legge che sottoponeva la stampa alla censura, non
impediva gli sforzi de' controversisti protestanti; perocchè
conteneva una clausula a favore delle due Università, ed autorizzava
la pubblicazione delle opere teologiche approvate dallo Arcivescovo
di Canterbury. Non era, quindi, in potestà del Governo lo imporre
silenzio ai difensori della religione dello Stato. Erano una
numerosa, imperterrita e ben formata legione di combattenti.
Comprendeva eloquenti favellatori, esperti dialettici, dotti
profondamente versati nella lettura degli scritti de' Santi Padri,
ed in ogni ramo di storia ecclesiastica. Alcuni di loro, tempo dopo,
rivolsero vicendevolmente gli uni contro gli altri le armi
formidabili, da essi già impugnate contro il nemico comune; e a
cagione delle feroci contese e delle insolenti vittorie loro,
recarono biasimo alla Chiesa che avevano salvata. Ma adesso erano
una falange unita. Stava nel vanguardo una fila di fermi ed esperti
veterani; Tillotson, Stillingfleet, Sherlock, Prideaux, Whitby,
Patrick, Tenison, Wake. Il retroguardo era composto dai più insigni
baccellieri, che studiavano per conseguire il diaconato. Predistinto
fra le reclute che Cambridge mandava al campo di battaglia, era uno
scolare del gran Newton. Aveva nome Enrico Wharton, e pochi mesi
prima era stato capo disputatore, ossia principe della sua classe:
la sua morte poco appresso fu compianta dagli uomini di ogni
partito, qual perdita irreparabile per le lettere(697). Oxford
anch'essa s'inorgogliva d'un giovane, le cui grandi doti
intellettuali, che facevano il primo esperimento in questo
conflitto, turbarono poscia per quaranta anni la Chiesa e lo Stato;
voglio dire di Francesco Atterbury. Da tali ingegni venivano
discusse tutte le questioni tra papisti e protestanti, ora in istile
sì popolare che potessero intendere i fanciulli e le donne, ora con
estremo acume di logica, ed ora con immenso corredo di dottrina. Le
pretese della Santa Sede, l'autorità della tradizione, il
purgatorio, la transustanziazione, il sacrificio della Messa,
l'adorazione dell'ostia, il negare il calice ai laici, la
confessione, la penitenza, le indulgenze, l'estrema unzione, la
invocazione dei santi, l'adorazione delle immagini, il celibato del
clero, i voti monastici, l'uso di celebrare il culto pubblico in una
lingua ignota al popolo, la corruttela della Corte di Roma, la
storia della Riforma, i caratteri de' principali riformatori,
venivano copiosamente discussi. Gran numero di assurde leggende di
miracoli fatti da' santi e dalle reliquie furono tradotte
dall'italiano, e pubblicate come esempi delle arti pretine che
avevano ingannata gran parte della Cristianità. Molti degli scritti
pubblicati dai teologi anglicani nel breve regno di Giacomo II,
probabilmente perirono. Coloro che possono anche oggi trovarsi nelle
nostre grandi biblioteche, formano una congerie di circa ventimila
pagine(698).
LVII. I Cattolici Romani non cessero senza lottare. Uno di loro,
chiamato Enrico Hills, era stato nominato stampatore della casa e
cappella reale, e posto dal Re a capo d'un grande ufficio in Londra,
dal quale uscivano a centinaia libri e libercoli teologici. Non meno
operosi in Oxford erano i torchi d'Obadia Walker. Ma, salvo qualche
cattiva traduzione degli ammirevoli scritti di Bossuet, quelle
tipografie non pubblicarono cosa alcuna che avesse il minimo pregio.
Nessun savio e sincero Cattolico Romano poteva negare che i campioni
della sua Chiesa, e per ingegno e per dottrina, erano di gran lunga
inferiori ai loro avversari. Il più grande degli scrittori cattolici
sarebbe stato reputato di terzo ordine. Molti di loro, anche
qualvolta avessero qualche cosa da dire, non sapevano come dirla. La
loro religione gli aveva esclusi dalle scuole e università inglesi;
nè fino al tempo in cui Giacomo ascese al trono, essi avevano
reputata l'Inghilterra gradita o nè anche sicura residenza. Avevano
però spesa la più gran parte della loro vita sul continente, e quasi
disimparata la lingua materna. Quando predicavano, il loro accento
mezzo forestiero moveva a riso l'uditorio. Pronunziavano le parole a
mo' di vetturini. La loro locuzione era deturpata da frasi
straniere; e quando intendevano essere eloquenti, imitavano, come
meglio potevano, quello che consideravasi come bello stile in quelle
accademie italiane dove la rettorica, a que' tempi, era caduta nella
più gran corruzione. Disputatori impacciati da tutti cotesti
svantaggi, non avrebbero potuto, anche qualora il vero fosse stato
dalla loro parte, far fronte ad uomini, lo stile de' quali rifulge
mirabilmente di purità e di grazia(699). Le condizioni in cui
la Inghilterra trovatasi nel 1686, non possono esser meglio
descritte che con le parole dello Ambasciatore Francese. "Il
malcontento" dice egli "è grande e universale; ma il timore di
cadere in mali maggiori trattiene tutti coloro che hanno qualche
cosa da perdere. Il Re apertamente manifesta la gioia che prova
trovandosi in condizione da potere menare arditissimi colpi. Egli
ama vedere che altri se ne congratuli con lui. Me ne ha parlato,
assicurandomi che non vorrà indietreggiare(700)."
LVIII. Frattanto, nelle altre parti del Regno erano accaduti
importantissimi fatti. Le condizioni de' protestanti Episcopali di
Scozia grandemente differivano da quelle in cui trovavansi i loro
confratelli inglesi. Nelle contrade meridionali dell'isola, la
religione dello Stato era quella del popolo, ed aveva forza al tutto
indipendente da quella che derivava dal sostegno del Governo. I
conformisti sinceri erano in molto maggior numero de' papisti e de'
Protestanti dissenzienti, insieme congiunti. La Chiesa stabilita in
Iscozia era la Chiesa di pochi. La più parte della popolazione delle
pianure aderiva fermamente alla disciplina de' Presbiteriani. La
gran massa de' Protestanti scozzesi abborriva dalla prelatura, come
istituzione contraria alle divine scritture e d'origine straniera. I
discepoli di Knox la consideravano quale reliquia delle abominazioni
della grande Babele. Quel popolo, altero della memoria di Wallace e
di Bruce, amaramente rammentava come la Scozia, dacchè i suoi
sovrani erano ascesi al trono dell'Inghilterra, fosse stata
indipendente solo di nome. L'ordinamento episcopale alla mente di
ciascuno richiamava la immagine di tutti i danni prodotti da
venticinque anni di corrotto e crudele Governo. Nulladimeno, tale
ordinamento, quantunque sopra un'angusta base e fra mezzo a
terribili procelle, stette, tentennante, a dir vero, ma sostenuto
dai magistrati civili, e sperante d'essere soccorso, sempre che si
facesse grave il pericolo, dalla potenza inglese. I ricordi del
Parlamento di Scozia erano pieni zeppi di leggi spiranti vendetta
contro coloro che in qualunque modo traviassero dalla meta
prescritta. Secondo un Atto parlamentare, fatto a tempo di Knox e
impregnato del suo spirito, era gravissimo delitto ascoltare la
Messa; delitto che, ripetuto tre volte, diventava capitale(701). Un
altro Atto, di fresco approvato ad istanza di Giacomo, puniva di
morte chiunque avesse osato predicare in un conventicolo
presbiteriano qualunque, ed anche coloro che fossero intervenuti ad
un conventicolo all'aria aperta(702). La Eucaristia non era, come in
Inghilterra, degradata alla condizione di Atto di Prova civile; ma
niuno poteva occupare qualsifosse ufficio, aver seggio in
Parlamento, o anche diritto di votare nelle elezioni parlamentari,
senza firmare, prestando giuramento, una dichiarazione che
riprovasse con fortissime parole i principii e de' papisti e quelli
de' Convenzionisti(703).
LIX. Nel Consiglio Privato di Scozia erano due partiti, rispondenti
a quelli che lottavano tra loro in Whitehall. Guglielmo Douglas,
Duca di Queensberry, era Lord Tesoriere, e per vari anni era stato
considerato come primo ministro. Era strettamente vincolato, per
parentela e per simiglianza d'indole e d'opinioni, al Tesoriere
d'Inghilterra. Entrambi erano Tory, entrambi uomini di cervello
fervido e di forti pregiudicii, entrambi pronti a secondare il loro
signore in ogni aggressione contro le libertà civili del suo popolo;
ma entrambi portavano sincero affetto alla Chiesa dello Stato.
Queensberry aveva fin dapprima annunziato alla Corte, che non
avrebbe partecipato a qualunque innovazione concernente la Chiesa.
Ma fra' suoi colleghi erano vari uomini, non meno di Sunderland,
spregiatori d'ogni principio. E veramente, la Camera del Consiglio
d'Edimburgo era stata, per lo spazio di venticinque anni, scuola di
vizi pubblici e privati; ed alcuni uomini politici ivi educati,
avevano una così peculiare durezza di cuore e di fronte, che
Westminster, anche in quella pessima età, non aveva nulla da
contrapporvi. Il Cancelliere Drummond, Conte di Perth, e suo
fratello Lord Giovanni Melfort(704), Segretario di Stato,
studiavansi di supplantare Queensberry. Il Cancelliere aveva già un
incontrastabile diritto al regio favore, come quello che aveva posto
in uso una piccola vite per torturare le dita, la quale recava così
esquisito tormento, che aveva strappato confessioni dalle labbra
anche di coloro che lo stivaletto, dalla Maestà Sua tanto amato, non
aveva potuto indurre a confessare(705).
LX. Ma era ben noto che la barbarie non apriva, così agevolmente
come l'apostasia, il varco al cuore di Giacomo. Alla apostasia,
dunque, Perth e Melfort ricorsero con certa audace abiettezza, che
nessuno inglese uomo di Stato avrebbe potuto sperar di uguagliare.
Dichiararono che ambidue erano stati convertiti dagli scritti
trovati entro la cassa forte di Carlo II, e che avevano incominciato
a confessarsi e ad ascoltare la Messa(706). Quanto poco entrasse la
coscienza nella conversione di Perth, ne fu chiaro argomento l'avere
egli sposata, pochi giorni dopo, a dispetto delle leggi della
religione da lui pur allora abbracciata, una sua cugina germana,
senza provvedersi d'una dispensa. Come il buon Pontefice seppe la
nuova del fatto, disse, con quello spregio e disdegno convenevole
alla dignità sua, quella essere una strana specie di
conversione(707). Ma Giacomo ne rimase più agevolmente satisfatto. I
due apostati s'appresentarono a Whitehall, dove riceverono tali
assicurazioni di favore, che provaronsi di apporre direttamente
addebiti al Tesoriere. Ma tali addebiti erano così manifestamente
frivoli, che a Giacomo fu forza di assolvere lo accusato ministro; e
molti credettero che il Cancelliere si fosse rovinato per la maligna
voglia di rovinare il rivale. Taluno, nondimeno, faceva più esatto
giudicio. Halifax, al quale Perth manifestò qualche timore, rispose,
con un sorriso di scherno, che non v'era punto pericolo. "Sta' di
buon animo, Milord; la tua fede ti ha salvato." La profezia fu vera.
Perth e Melfort ritornarono a Edimburgo capi del Governo della loro
patria(708). Un altro membro dei Consiglio Privato di Scozia, cioè
Alessandro Stuart, conte di Murrey, discendente ed erede del
Reggente, abiurò quella religione della quale il suo illustre
antenato era stato precipuo campione, e si dichiarò membro della
Chiesa di Roma. Devoto, come sempre era stato Queensberry, alla
causa della regia prerogativa, non poteva resistere ai suoi
competitori, i quali ambivano, mostrandosi ligii al Sovrano,
acquistarne la grazia. Gli toccava sostenere mille mortificazioni ed
umiliazioni, simili a quelle che, verso quel tempo, cominciarono ad
amareggiare la vita del suo amico Rochester.
LXI. Giunsero a Edimburgo lettere regie che autorizzavano i papisti
ad occupare gli uffici senza essere sottoposti all'Atto di Prova. Al
clero fu fatto rigoroso comandamento di non fare nelle prediche
riflessioni sulla Religione Cattolica Romana. Il Cancelliere si
tolse il carico di mandare i mazzieri del Consiglio Privato attorno
per le poche tipografie e librerie che allora si trovavano in
Edimburgo, ad ordinar loro di non pubblicare nessuna opera senza sua
licenza. Intendevasi bene che tale ordine doveva impedire la
circolazione degli scritti protestanti. Un onesto cartolaro disse ai
mazzieri, ch'egli aveva in bottega un libro che con dure parole
discorreva del papismo, e chiese di sapere se lo potesse vendere.
Coloro domandarono di vederlo, ed egli mostrò loro un esemplare
della Bibbia(709). Un carico d'immagini, di rosari, di croci e di
turiboli, giunse a Leith, diretto a Lord Perth. La importazione di
tali cose da lungo tempo consideravasi illegale; ma adesso
gl'impiegati delle dogane le lasciarono passare liberamente(710).
Poco dopo si seppe che una cappella papalina era stata accomodata
nella casa del Cancelliere, e che vi si celebrava regolarmente la
Messa. Insorse la plebe, ed assaltò ferocemente il luogo dove
celebravansi i riti idolatrici. Strappò le inferriate delle
finestre. Lady Perth, ed alcune altre donne sue amiche, furono
imbrattate di fango. Uno de' faziosi fu preso, e condannato per
ordine del Consiglio Privato alla fustigazione. I suoi compagni lo
liberarono, e bastonarono il boia. La città per tutta la notte fu in
tumulto. Gli studenti della Università si congiunsero alla folla,
incoraggiando gl'insorti. I borghesi zelanti bevevano alla salute
de' giovani collegiali, a confusione de' papisti; e vicendevolmente
facevansi animo ad affrontare i soldati. Questi, che erano già sotto
le armi, furono ricevuti con una pioggia di sassate, nella quale un
ufficiale rimase ferito. Fu dato ordine di far fuoco; e vari
cittadini furono uccisi. Il tumulto fu serio; ma i Drummonds,
infiammati dall'odio e dall'ambizione, stranamente lo esagerarono.
Queensberry fece osservare, che la loro relazione avrebbe fatto
credere, a chiunque non fosse stato testimonio oculare, che in
Edimburgo fosse seguita una sedizione formidabile quanto quella di
Masaniello. Essi, all'incontro, accusarono il Tesoriere non solo di
scemare la gravita del delitto, ma d'averlo suggerito, e fecero ogni
possibile sforzo a procurarsi una prova della colpa di lui. Ad uno
de' capi, che cadde nelle mani del Governo, fu offerta la grazia, a
patto che confessasse d'essere stato incitato a tumultuare da
Queensberry: ma lo stesso entusiasmo religioso che(711) aveva spinto
lo sventurato prigione ad illegittima violenza, gl'impedì di
comprare la propria vita con una calunnia. Egli e vari altri de'
suoi complici furono impiccati. Un soldato che accusavano d'avere
gridato, mentre infuriava la sommossa, come egli desiderasse di dare
addosso con la spada ad un papista, venne fucilato; in Edimburgo fu
ristabilita la tranquillità: ma coloro che patirono il rigore del
Governo furono considerati come martiri; e il Cancelliere papista
divenne segno ad un odio mortale, che tra non molto tempo fu
ampiamente appagato(712).
LXII. La collera si accese nell'animo del Re. La nuova del tumulto
gli pervenne mentre la Regina, aiutata dai Gesuiti, aveva pur allora
riportata vittoria sopra Lady Dorchester(713) e i suoi collegati
protestanti. I malcontenti si accorgerebbero, disse egli, che il
solo effetto della resistenza che avevano fatta alla sua volontà,
era di renderlo sempre più fermo nel proprio proponimento(714).
Spedì ordini al Consiglio Scozzese di punire con estrema severità i
colpevoli, e d'adoperare senza ritegno lo stivaletto(715). Simulò di
essere profondamente convinto della innocenza del Tesoriere, e gli
scrisse cortesissime parole; alle quali parole tennero dietro
scortesissimi atti. Il Tesoro scozzese fu affidato ad una
Commissione, in onta alle calde insistenze di Rochester, il quale
probabilmente previde la propria sorte in quella del proprio
parente(716). Queensberry fu nominato Primo Commissario, e
Presidente del Consiglio Privato; ma la sua caduta, quantunque
siffattamente addolcita, era sempre una caduta. Gli fu tolto anche
il comando del Castello d'Edimburgo, ed in quel posto di fiducia gli
successe(717) il Duca di Gordon, cattolico romano(718).
LXIII. Giunse da Londra al Consiglio Privato una lettera, nella
quale erano appieno dichiarati gl'intendimenti del Re. Ei voleva che
i Cattolici Romani fossero esenti dalle leggi che imponevano pene e
incapacità civili a coloro che non si uniformassero alla religione
dello Stato; voleva, inoltre, che si perseguissero senza pietà i
Convenzionisti(719). Ciò incontrò grave opposizione in Consiglio.
Alcuni non amavano vedere rilassate le leggi esistenti. Altri, che a
ciò non erano punto contrari, sentivano ancora quanto sarebbe stato
mostruoso ammettere i Cattolici Romani alle dignità dello Stato, e
frattanto non revocare l'Atto che puniva di morte chiunque
intervenisse ad un conventicolo presbiteriano. La risposta del
Consiglio, quindi, non fu, secondo l'usato, ossequiosa.
LXIV. Il Re riprese severamente gl'irriverenti consiglieri, e ordinò
che tre di loro, cioè il Duca di Hamilton, Sir Giorgio Lockhart e il
Generale Drummond, si recassero a Westminster presso lui. L'abilità
e la istruzione di Hamilton, quantunque non fossero tali da bastare
a trarre un uomo dall'oscurità, sembravano altamente rispettabili in
uno che era primo Pari di Scozia. Lockhart era stato da lungo tempo
considerato come uno de' principali giureconsulti, logici, ed
oratori che fossero mai stati nella sua patria, e godeva anche
quella specie di stima che deriva dalle vaste possessioni; perocchè
la sua opulenza era quale a que' tempi pochi de' nobili scozzesi
possedevano(720). Era stato, da ultimo, fatto Presidente della Corte
di Sessione. Drummond, fratello minore di Perth e di Melfort, era
comandante delle forze in Iscozia. Era uomo dissoluto e profano; ma,
per un sentimento d'onore, che mancava affatto ai suoi confratelli,
abborriva dalla pubblica apostasia. Visse e morì, secondo
l'espressiva frase d'un suo concittadino, da cattivo cristiano, ma
da buon protestante(721).
Giacomo si compiacque dell'ossequiose parole con che gli favellarono
i tre consiglieri, allorchè primamente comparvero al suo cospetto.
Parlò assai bene di loro a Barillon, e in specie esaltò Lockhart,
come il più esperto ed eloquente degli Scozzesi. Nondimeno, poco
appresso si accôrse di non averli esattamente giudicati; e corse
voce alla Corte, che fossero stati pervertiti dalle genti con le
quali avevano usato famigliarmente in Londra. Hamilton stava molto
in compagnia de' saldi partigiani della Chiesa Anglicana; e temevasi
che Lockhart, il quale era congiunto alla famiglia Wharton, fosse
caduto in una compagnia anche peggiore. E veramente, egli era
naturale che quelli uomini di Stato, pur allora arrivati da un paese
dove era quasi sconosciuta ogni altra specie d'opposizione, tranne
quella che facevasi per mezzo d'aperta insurrezione o d'assassinio,
e dove tutto ciò che non fosse furore eslege veniva considerato come
avvilimento, rimanessero maravigliati vedendo il caldo e vigoroso e,
nondimeno, sobrio scontento che regnava in Inghilterra, e nascesse
in loro il pensiero di far prova di resistenza costituzionale alle
voglie del Re. Dichiararonsi però dispostissimi ad alleggiare
grandemente i Cattolici Romani, ma a due condizioni: primo, che una
simile indulgenza venisse anco concessa ai settari calvinisti; e
poi, che il Re promettesse solennemente di non tentar nulla a danno
della religione protestante.
LXV. Ambedue coteste condizioni spiacquero sommamente a Giacomo.
Nondimeno, assentì con ripugnanza, dopo parecchi giorni di
contrasto, che i presbiteriani venissero trattati con qualche
indulgenza; ma non volle affatto concedere loro la piena libertà
ch'egli voleva pei membri della sua propria religione(722). La
seconda condizione proposta da' tre consiglieri Scozzesi, ei ricusò
positivamente d'ammettere, dicendo: la religione protestante essere
falsa; per lo che egli non voleva promettere di non giovarsi del
proprio potere a danno d'una falsa religione. La disputa fu lunga, e
non condusse a conclusione che soddisfacesse ad alcuna delle
parti(723).
Appressavasi il tempo stabilito alla ragunanza degli Stati Scozzesi;
ed era d'uopo che i tre consiglieri si partissero da Londra per
trovarsi all'apertura del Parlamento in Edimburgo. In questa
occasione, Queensberry ricevette un altro affronto. Nell'antecedente
sessione aveva occupato l'ufficio di Lord Alto Commissario, e, come
tale, rappresentava la maestà del Re assente. Simile dignità, che
era la grandissima alla quale un nobile scozzese potesse aspirare,
fu adesso conferita al rinnegato Murray.
LXVI. Il dì vigesimonono d'aprile, il Parlamento s'adunò in
Edimburgo. Vi si lesse una lettera, nella quale il Re esortava gli
Stati ad alleggiare i suoi sudditi cattolici romani, ed offriva in
ricambio il libero traffico con la Inghilterra, e una amnistia pei
delitti politici. Fu istituita una Commissione onde compilare la
risposta da farsi al Re. Tale Commissione, quantunque fosse nominata
da Murray e composta di Consiglieri Privati e di cortigiani, scrisse
una risposta, piena, a dir vero, di espressioni di riverenza e
d'ossequio, ma che chiaramente indicava che il Parlamento avrebbe
respinto la richiesta del Re. Gli Stati - diceva la Commissione -
sarebbero andati sin dove avrebbe loro consentito la propria
coscienza, per compiacere ai desiderii della Maestà Sua rispetto ai
sudditi appartenenti alla Religione Cattolica Romana. Queste
espressioni non soddisfecero punto il Cancelliere: nondimeno, gli fu
forza accettarle, ed incontrò anche qualche difficoltà a persuadere
il Parlamento perchè le adottasse. Alcuni zelanti partigiani del
protestantismo obiettarono contro le parole Religione Cattolica
Romana, dicendo non esistere tale religione; bensì una apostasia
idolatra, che dalle leggi era punita col capestro: non essere quindi
convenevole ad un Cristiano ricordarla con nomi onorevoli. Chiamare
Cattolica una simile superstizione, era un rinunziare interamente
alla questione che agitavasi fra Roma e le Chiese riformate.
L'offerta del libero traffico con la Inghilterra, fu considerata
come un insulto. "I nostri padri" disse un oratore "venderono il
loro Re per l'oro del mezzogiorno; e sopra noi pesa tuttavia il
rimprovero di quell'iniquo mercato. Non si dica di noi, che abbiamo
venduto il nostro Dio!" Sir Giovanni Lauder di Fountainhall, uno de'
Senatori del Collegio di Giustizia, propose le parole "le persone
comunemente chiamate Cattoliche Romane." - "E che! vorreste voi dare
tal soprannome a Sua Maestà?" esclamò il Cancelliere. La risposta,
così come fu formata dalla Commissione, passò; ma una grande e
rispettabile minoranza votò contro le parole proposte, perchè troppo
cortigiane(724). E' fu notato che i rappresentanti della città
mostraronsi, quasi tutti, contrari al Governo. Fino allora essi
erano stati di poco peso nel Parlamento, e generalmente considerati
come sottoposti ai nobili potenti. Eglino adesso per la prima volta
mostrarono indipendenza e risolutezza e spirito di colleganza tali,
che la Corte ne ebbe terrore(725).
La risposta spiacque talmente a Giacomo, che non permise che si
stampasse nella Gazzetta. Subito dopo, gli giunse la nuova, che una
certa legge ch'egli voleva vedere approvata, non sarebbe stata nè
anche proposta. I Lordi degli Articoli, che avevano l'ufficio di
formulare gli atti, intorno ai quali poscia gli Stati dovevano
deliberare, erano virtualmente nominati dal Re. E anche i Lordi
degli Articoli mostraronsi disubbidienti. Come si ragunarono i tre
Consiglieri Privati, che erano di recente ritornati da Londra, si
fecero capi della opposizione alle voglie del Re. Hamilton dichiarò
apertamente di non poter fare ciò che gli veniva chiesto. Egli era
suddito fido e leale; ma v'era un limite imposto dalla coscienza.
"La coscienza!" esclamò il Cancelliere "la coscienza è una parola
vaga, che significa ogni cosa, o niente." Lockhart, che sedeva in
Parlamento come rappresentante della grande Contea di Lanark,
l'interruppe dicendo: "Se la coscienza è una parola vuota di senso,
la cambieremo con altra frase, che spero significhi qualche cosa.
Tolgasi dunque via il vocabolo coscienza, e si adotti - le leggi
fondamentali di Scozia." Queste parole fecero nascere una virulenta
discussione. Il Generale Drummond, che rappresentava la Contea di
Perth, dichiarò di concordare con l'opinione di Hamilton e di
Lockhart. La maggior parte de' vescovi ivi presenti furono del
medesimo parere(726).
Bene si scorgeva che nè anche nel Comitato degli Articoli Giacomo
poteva avere una maggioranza. Tali nuove lo afflissero e lo
irritarono. Parlò in tono d'ira e di minaccia, e punì alcuni de'
suoi sediziosi ministri, sperando che ciò agli altri servisse
d'ammonimento. Parecchi furono cacciati di Consiglio; altri privati
delle pensioni, che erano molta parte delle loro entrate. Sir
Giorgio Mackenzie di Rosehaugh fu la più cospicua di quelle vittime.
Aveva lungamente occupato l'ufficio di Lord Avvocato, ed aveva avuta
tanta parte nella persecuzione de' Convenzionisti, che fino ai dì
nostri presso l'austero e religioso contadiname di Scozia serba una
odiosa rinomanza, quasi simile a quella di Claverhouse. Mackenzie
non aveva profondi studii giuridici; ma come ingegno dotto,
spiritoso e fecondo, era altamente riputato fra' suoi concittadini;
e la sua rinomanza si era sparsa per tutte le botteghe di Città in
Londra e pei chiostri di Oxford. Quel che ci rimane delle sue
orazioni forensi, lo fa estimare uomo fornito di egregie doti
intellettuali; se non che il suo stile è imbrattato di quelle
ch'egli certamente considerava come grazie ciceroniane: cioè di
esclamazioni, che mostrano più arte che passione, e di
amplificazioni studiate, in cui gli epiteti sono, l'uno sopra
l'altro, accumulati in pesantissimo modo. Adesso, per la prima
volta, aveva manifestati scrupoli; e però, nonostante tutti i suoi
diritti alla gratitudine del Governo, fu destituito del suo ufficio.
Si ritrasse in campagna, e poco dopo andò a Londra onde scolparsi,
ma gli fu negato l'accesso alla regia presenza(727). Intanto che il
Re in tal guisa provavasi di atterrire i Lordi degli Articoli, e
indurli alla cieca ubbidienza, la pubblica opinione gl'inanimiva a
non cedere. Gli estremi sforzi del Cancelliere non poterono far sì,
che il sentire della nazione non si manifestasse dal pulpito e dalla
stampa. Un libretto scritto con tale audacia ed acrimonia che nessun
tipografo volle rischiarsi a stamparlo, girava per tutti i luoghi
manoscritto. Le scritture degli avversarii avevano molto minore
effetto, quantunque fossero diffuse a spese pubbliche, e gli
Scozzesi difensori del Governo fossero soccorsi da un collega
inglese di gran fama; voglio dire da Lestrange, che era stato
mandato a Edimburgo ed alloggiava in Holyrood House(728).
Alla perfine, dopo tre settimane di continuo discutere, i Lordi
degli Articoli vennero ad una risoluzione. Proposero semplicemente,
che ai Cattolici Romani fosse permesso di adorare Dio nelle case
private, senza incorrere nelle pene comminate dalle leggi; e tosto
si conobbe, che quantunque tale provvisione fosse assai lontana
dalle richieste e speranze del Re, gli Stati o non l'avrebbero
approvata affatto, o l'avrebbero approvata con grandi restrizioni e
modificazioni.
Mentre ferveva la contesa, Londra era in grande ansietà. Ogni
relazione, ogni rigo giunto da Edimburgo, era avidamente letto. Un
giorno spargevasi la voce che Hamilton avesse ceduto, e che il
Governo l'avrebbe vinta in tutto. Un altro arrivava la nuova che la
opposizione si fosse rianimata, e si mostrasse più ostinata che mai.
Nei momenti più critici, ordinavasi agli ufficii postali di mandare
a Whitehall le valigie della Scozia. Per tutta una settimana, nè
anche una lettera privata che venisse di là dal Tweed, fu
distribuita in Londra. Ai tempi nostri, un simile interrompimento di
comunicazione metterebbe sossopra l'isola intera; ma allora v'era
così poco traffico e carteggio tra l'Inghilterra e la Scozia, che il
danno fu probabilmente molto minore di quello che oggidì arrechi un
breve indugio nello arrivo della valigia delle Indie. Mentre i mezzi
ordinari di sapere le nuove erano in tal modo intercetti, la folla
nelle gallerie di Whitehall osservava intentamente il contegno del
Re e de' suoi ministri. Fu detto, a grande soddisfazione del popolo,
che ogni qualvolta giungeva un corriere dal Nord, gl'inimici della
religione protestante avevano aspetti sempre più tristi. Finalmente,
con universale esultanza, fu annunziato che la lotta era terminata,
il Governo non aveva potuto fare adottare le proposte misure, e il
Lord Alto Commissario aveva aggiornato il Parlamento(729).
LXVII. Se Giacomo non fosse stato sordo ad ogni ammonimento, questi
fatti sarebbero bastati ad ammonirlo. Pochi mesi avanti, il più
ossequioso de' Parlamenti Inglesi aveva ricusato di cedere ai voleri
di lui. Ma il più ossequioso de' Parlamenti Inglesi poteva
considerarsi come un'assemblea animosa e indipendente in agguaglio
di qualunque Parlamento che fosse mai stato in Iscozia; e lo spirito
servile de' Parlamenti Scozzesi, era da trovarsi in altissimo grado
estratto, dirò così, e condensato ne' Lordi degli Articoli. Ed anche
costoro s'erano mostrati disubbidienti. Era, dunque, chiaro che
tutte le classi, tutte le istituzioni che fino a quell'anno erano
state considerate come i più forti puntelli della monarchia,
persistendo il Re nella sua insana politica, fossero da reputarsi
come parte della forza dell'opposizione. Nulladimanco, tutti cotesti
segni gli tornavano inutili. Ad ogni querela egli dava una sola e
medesima risposta; cioè che non cederebbe mai, perocchè le
concessioni erano state la rovina di suo padre; e alla sua
invincibile fermezza facevano plauso la Legazione Francese e la
cabala gesuitica.
Quindi dichiarò d'essere stato troppo generoso allorchè s'indusse a
richiedere che gli Stati Scozzesi assentissero ai suoi desiderii. La
regia prerogativa gli dava potestà di proteggere gli amici e di
punire gli oppositori suoi. Fidavasi che in Iscozia la sua potestà
di dispensare non gli verrebbe contrastata da nessuna corte di
legge. Ivi esisteva un Atto di Supremazia, il quale dava al Sovrano
tale un predominio sopra la Chiesa, che avrebbe potuto satisfare
anco Enrico VIII. E però i Papisti furono ammessi in folla agli
ufficii ed agli onori. Il vescovo di Dunkeld, che come Lord del
Parlamento aveva fatta opposizione al Governo, fu arbitrariamente
cacciato dalla sua sede, e gli fu dato un successore. Queensberry fu
destituito da tutti i suoi impieghi, ed ebbe ordine di rimanere in
Edimburgo, finchè fossero ricerchi ed approvati i conti del Tesoro
per tutto il tempo della sua amministrazione(730). E perchè i
rappresentanti delle città erano stati i più sediziosi del
Parlamento, fu deliberato di modificare ogni borgo in tutto il
Regno. Simile cangiamento era stato poco innanzi fatto in
Inghilterra per mezzo di sentenze giudiciarie; ma in quanto alla
Scozia, un semplice mandato del Principe reputavasi sufficiente.
Furono inibite tutte le elezioni de' Magistrati e Consigli
municipali; e il Re assunse il diritto di nominare da sè
gl'individui a quegli ufficii(731). In una lettera formale al
Consiglio Privato annunziò che intendeva di erigere una Cappella
Cattolica Romana nel palazzo di Holyrood; e comandò che i Giudici
considerassero come nulle tutte le leggi contro i papisti, a pena
d'incorrere nella sua disgrazia. Confortò nondimeno i Protestanti
Episcopali, assicurando loro che comunque egli fosse deliberato di
proteggere la Chiesa Cattolica Romana contro loro, era egualmente
deliberato a protegger loro contro ogni usurpazione dalla parte de'
fanatici. A cotesta lettera Perth propose una risposta, espressa con
servilissime parole. Il Consiglio comprendeva molti papisti; e i
membri protestanti che continuavano a sedervi, erano intimiditi
dalla ostinazione e severità del Re; ed osavano appena sommessamente
mormorare. Hamilton profferì alcune parole contro la potestà di
dispensare, ma affrettossi a palliarle spiegandole. Lockhart disse,
che avrebbe amato meglio perdere il capo, anzi che apporre la sua
firma ad una lettera quale era quella composta dal Cancelliere; ma
ebbe destrezza di dire tali cose così piano, che fu udito dai soli
amici. Le parole di Perth furono approvate con frivolissime
modificazioni; gli ordini del Re furono eseguiti; ma un cupo
scontento si diffuse in tutta quella minoranza della nazione
scozzese, con l'aiuto della quale il Governo fino allora aveva
tenuto in freno la maggioranza(732).
LXVIII. Allorquando lo storico di questo perturbato regno rivolge lo
sguardo alla Irlanda, l'opera sua diventa singolarmente difficile e
delicata. Ei procede - per usare la squisita immagine adoperata in
simigliante occasione da un poeta latino - sopra un fuoco
d'ingannatrici ceneri coperto. Il secolo decimosettimo, in quello
sventurato paese, ha lasciato al decimonono un fatale retaggio di
maligne passioni. Nessuna delle due razze ha perdonato di cuore i
vicendevoli torti recati dai Sassoni difensori di Londonderry, e dai
Celti difensori di Limerick. Fino ai dì nostri, una più che spartana
alterigia deturpa le molte insigni qualità che caratterizzano i
figli de' vincitori; mentre un sentimento da Iloti, misto d'odio e
di paura, si manifesta troppo spesso ne' figli de' vinti.
Nessuna delle caste avverse può equamente andare assoluta dal
biasimo; ma il maggior biasimo tocca a quell'insensato e testardo
principe, il quale, posto in condizioni di poterle riconciliare,
adoperò tutta la sua possa a soffiare nel fuoco della nimistà loro,
e in fine le costrinse ad affrontarsi e pugnare per la vita e la
morte.
LXIX. Gli aggravi che i membri della sua Chiesa sostenevano in
Irlanda, differivano grandemente da quelli ch'egli tentava di far
cessare in Inghilterra e in Iscozia. Il Libro degli Statuti
Irlandesi, poscia deturpato da una intolleranza barbara quanto
quella de' tempi barbarici, allora conteneva appena un solo Atto, e
non molto rigoroso, che imponesse penalità ai papisti, considerati
come tali. Al di qua del Canale di San Giorgio, ciascun prete che
avesse ricevuto un neofito nel grembo della Chiesa di Roma, era
soggetto ad essere appeso alle forche e squartato. Al di là del
Canale non correva simile pericolo. Un Gesuita che approdasse a
Dover, metteva a repentaglio la vita, mentre poteva in sicurtà
passeggiare per le vie di Dublino. Tra noi, niuno poteva occupare un
ufficio, o anche procacciarsi da vivere come avvocato o maestro di
scuola, senza avere solennemente prestato il giuramento di
supremazia; ma in Irlanda un pubblico funzionario non era tenuto a
prestare tale giuramento, se non quando gli veniva formalmente
imposto(733). La qual cosa non escludeva dagl'impieghi niuno che il
Governo avesse voluto promuovere. La prova sacramentale e la
dichiarazione contro la transustanziazione erano ignote; ed ambedue
le Camere del Parlamento ammettevano nel proprio seno gl'individui
di qualunque setta religiosa si fossero.
LXX. Parrebbe, adunque, che l'Irlandese Cattolico Romano fosse in
posizione tale, da essere invidiato da' suoi confratelli
d'Inghilterra e di Scozia. In fatto, nondimeno, le sue condizioni
erano più misere ed ardue delle loro; imperciocchè, quantunque non
fosse perseguitato come Cattolico Romano, era oppresso come
Irlandese. Nel suo paese, il medesimo confine che partiva le
religioni, divideva le razze; ed egli apparteneva alla razza vinta,
soggiogata ed avvilita. Nel medesimo suolo stanziavano due
popolazioni, localmente mescolate, ma mortalmente e politicamente
divise. La differenza di religione non era la sola, e forse nè anche
la principale differenza che esistesse tra loro. Discendevano da
genti diverse, parlavano diversa lingua. Non solo differivano di
carattere, ma l'una era opposta all'altra, quanto lo possono essere
due qualunque altri caratteri di razze diverse in Europa:
differivano per grado di civiltà. Tra coteste due popolazioni non
poteva essere se non poca simpatia; e secoli di calamità e di danni
hanno fatto nascere un forte vicendevole abborrimento. La relazione
che la minoranza aveva con la maggioranza, somigliava a quella de'
commilitoni di Guglielmo il Conquistatore co' villani sassoni, o a
quella de' seguaci di Cortes cogl'Indiani del Messico.
Il nome d'Irlandesi allora davasi esclusivamente ai Celti, e a
quelle famiglie, le quali, ancorchè non fossero d'origine celtica,
avevano nel decorso degli anni adottati i celtici costumi. Queste
genti, che erano probabilmente un po' meno d'un milione, aderivano,
tranne poche, alla Chiesa di Roma. Fra mezzo a loro risedevano circa
dugento mila coloni, alteri del loro sangue sassone e della loro
fede protestante(734).
La grande preponderanza del numero da una parte, era più che
controbilanciata da una gran superiorità d'intelligenza, di vigore e
d'ordine, dall'altra. Sembra che gl'Inglesi ivi stabiliti fossero
per istruzione, energia e perseveranza più presto sopra che sotto
l'ordinario livello della popolazione della madre patria.
All'incontro, il contadiname aborigeno era in uno stato quasi
selvaggio. Non lavoravano, se non quando sentivano il pungolo della
fame. Contentavansi d'abitazioni inferiori a quelle che in paesi più
prosperi servivano per i bestiami domestici. Già la patata, radice
la quale può essere coltivata quasi senza arte, industria o spesa, e
non può lungamente tenersi ammassata in gran quantità, era divenuta
lo alimento del popolo comune(735). Da genti che siffattamente
vivevano, non era da aspettarsi diligenza nè preveggenza. Anche a
poche miglia da Dublino, il viandante, in un suolo che è il più
fertile e verdeggiante che sia nel mondo, vedeva con disgusto le
misere capanne, innanzi alle quali i barbari, squallidi e seminudi,
stavano attoniti a guardarlo mentre passava(736).
LXXI. L'aristocrazia aborigena serbava ancora l'orgoglio della sua
nascita, ma aveva perduto la influenza che deriva dalla ricchezza e
dal potere. Le terre de' signori erano state da Cromwell partite
fra' suoi seguaci. Parte, a dir vero, del vasto territorio da lui
confiscato, era stato reso, dopo la restaurazione della Casa
Stuarda, agli antichi proprietari: ma grandissima parte rimaneva in
mano degl'Inglesi, ivi stabiliti sotto la guarentigia di un Atto del
Parlamento. Questo atto era rimasto in vigore pel corso di
venticinque anni; e per virtù di quello, erano state fatte ipoteche,
concessioni, vendite e fitti innumerevoli. Gli antichi gentiluomini
irlandesi erano dispersi per tutto il mondo. I discendenti de'
capitani Milesii brulicavano in tutte le corti e in tutti i campi
militari del Continente. Quelli spogliati possidenti che rimanevano
tuttavia nella patria loro, ripensavano amaramente alle loro
perdite, piangevano la dignità od opulenza di che erano stati
privati, e nutrivano le feroci speranze d'un'altra rivoluzione. Un
individuo appartenente a cotesto ceto, veniva dipinto da' suoi
concittadini come un gentiluomo che sarebbe dovizioso ove gli fosse
resa giustizia, e che sarebbe provveduto d'un ricco stato ove
potesse riaverlo(737). Rade volte ei si dava a qualche pacifica
occupazione. Reputava il commercio più disonorevole del ladroneccio.
Talvolta ei diventava predone; tal'altra, a dispetto della legge,
studiavasi di vivere a spese degli antichi affittuari di sua
famiglia, i quali, per quanto tristi fossero le loro condizioni, non
potevano ricusare parte del loro alimento ad uno che essi
seguitavano a considerare come legittimo signore(738). Quel
gentiluomo che avesse avuta la sorte di serbare o riavere qualcuna
delle sue terre, spesso viveva a guisa di principotto d'una tribù
selvaggia, e delle umiliazioni che la razza dominante gli faceva
soffrire, rifacevasi governando dispoticamente i propri vassalli,
immerso nelle voluttà d'un rozzo harem, o abbrutendosi
quotidianamente con liquori spiritosi(739). Politicamente, ei non
contava nulla. Egli è vero che non v'era statuto che lo escludesse
dalla Camera de' Comuni; ma aveva quasi tanto poca probabilità ad
essere eletto membro del Parlamento, quanto negli Stati Uniti ne ha
un mulatto ad essere eletto senatore. Difatti, un solo papista,
dalla Ristaurazione in poi, era stato eletto al Parlamento
Irlandese. Il potere legislativo ed esecutivo era interamente nelle
mani dei coloni inglesi; la preponderanza de' quali era sostenuta da
un'armata stanziale di sette mila uomini, del cui zelo per ciò che
chiamavasi gl'interessi inglesi, il Governo di Londra poteva
fidarsi(740).
Rigorosamente esaminando la cosa, si conoscerà che nè l'Irlandismo
nè l'Inglesismo formavano un corpo perfettamente omogeneo. La
distinzione fra gl'Irlandesi di razza celtica, e gl'Irlandesi
discendenti dai seguaci di Strongbow e di De Burgh, non era affatto
cancellata. I Fitz alcuna volta osavano parlare con dispregio degli
O' e dei Mac; e questi talvolta siffatto dispregio ricambiavano con
l'odio. Nella precedente generazione, uno de' più potenti degli O'
Neill ricusò di mostrare il più lieve segno di rispetto a un
gentiluomo cattolico romano d'origine normanda. "Dicesi che la sua
famiglia sia rimasta tra noi per quattro cento anni. Non importa. Io
odio quel villano come se fosse arrivato ieri(741)." Nulladimeno, e'
pare che tali sentimenti fossero rari, e che la lotta la quale da
lungo tempo ardeva fra i Celti aborigeni e gl'Inglesi degeneri,
avesse pressochè ceduto alla lotta più feroce che divideva ambedue
le razze dalla colonia moderna e protestante.
LXXII. La colonia era anch'essa lacerata da intestine contese, sì
nazionali che religiose. Di quei che la componevano, i più erano
Inglesi; ma non pochi erano delle contrade meridionali della Scozia.
Metà appartenevano alla Chiesa Anglicana; gli altri erano
Dissenzienti. Ma in Irlanda lo Scozzese e l'Inglese erano fortemente
vincolati dalla comune origine: l'Anglicano e il Presbiteriano lo
erano dal protestantismo comune. Tutti i coloni avevano comuni la
lingua e gl'interessi pecuniarii. Erano circondati da nemici comuni,
e potevano vivere sicuri per mezzo di cautele e sforzi comuni. Per
le quali cose, le poche leggi penali che erano state fatte in
Irlanda contro i Protestanti Non-Conformisti, erano lettera
morta(742). La bacchettoneria dei più ostinati partigiani della
Chiesa, non poteva allignare al di là del Canale di San Giorgio.
Appena il Cavaliere giungeva in Irlanda e vedeva che senza valido e
coraggioso aiuto de' suoi compatriotti puritani, egli e tutta la sua
famiglia avrebbe corso pericolo d'essere assassinato da' ladroni
papisti, l'odio ch'ei sentiva contro il Puritanismo, cominciava, suo
malgrado, ad intiepidire e spegnersi. Fu notato da uomini illustri
di ambedue i partiti, che un Protestante il quale in Irlanda veniva
chiamato Tory, in Inghilterra sarebbe stato tenuto per Whig
moderato(743).
I Protestanti Non-Conformisti da parte loro tolleravano, con
pazienza maggiore di quanta potesse da loro aspettarsi, la vista del
più assurdo ordinamento ecclesiastico che sia mai stato nel mondo.
Quattro arcivescovi e diciotto vescovi erano impiegati a reggere
circa la quinta parte del numero degli Anglicani che abitavano nella
sola diocesi di Londra. Del clero parrocchiale, gran parte erano
pluralisti, e risedevano lungi dalle loro cure. V'erano alcuni che
dai propri beneficii ricavavano poco meno di mille lire sterline di
rendita annua, senza mai adempire al loro ufficio spirituale. E non
pertanto. questa istituzione mostruosa ai Puritani stabiliti in
Irlanda, spiaceva meno che la Chiesa Anglicana ai settari inglesi.
Imperocchè in Irlanda le scissure religiose erano subordinate alle
nazionali; e il Presbiteriano, mentre come teologo non poteva non
condannare la gerarchia stabilita, sentiva per essa una specie di
compiacimento, qualvolta la considerava come un sontuoso e pomposo
trofeo della vittoria riportata dalla illustre razza da cui
discendeva(744).
In tal modo i mali che pativano i Romani Cattolici irlandesi, non
avevano nulla di comune con quelli de' Cattolici inglesi. Il
Cattolico Romano delle Contee di Lancaster o di Stafford altro far
non doveva che diventare protestante, e subito trovavasi, per ogni
rispetto, nel medesimo livello in cui erano i suoi vicini: ma se i
Cattolici Romani di Munster o di Connaught si fossero fatti
protestanti, sarebbero sempre rimasti un popolo soggetto. Tutti i
danni che il Cattolico Romano avesse potuto patire, in Inghilterra,
erano effetto di durissime leggi, e vi si poteva porre rimedio con
leggi più liberali. Ma fra le due popolazioni che abitavano in
Irlanda, era una ineguaglianza, la quale non essendo cagionata dalle
leggi, non poteva per virtù di quelle cessare. Lo impero che l'una
esercitava sull'altra, era quello della opulenza, sopra la povertà,
del sapere sopra l'ignoranza, e della cultura sopra la barbarie.
LXXIII. E' parve che lo stesso Giacomo, in sul principio del suo
regno, conoscesse perfettamente le sopra esposte cose. I
perturbamenti dell'Irlanda, diceva egli, nascevano non dalle
differenze tra Cattolici e Protestanti, ma da quelle tra Irlandesi
ed Inglesi(745). Le conseguenze che da tali premesse avrebbe dovuto
dedurre, erano chiare; ma, sventuratamente, per lui e per l'Irlanda,
ei non seppe conoscerle.
Se si fosse potuta mitigare la sola animosità nazionale, non v'è
dubbio che l'animosità religiosa, non essendo tenuta desta da crude
leggi penali, e da rigorosi Atti di Prova, si sarebbe spenta da sè.
Calmare una animosità nazionale simile a quella che vicendevolmente
sentivano le due razze abitatrici della Irlanda, non poteva essere
opera di pochi anni. Nondimeno, un savio e buon principe vi avrebbe
potuto molto contribuire; e Giacomo l'avrebbe potuto imprendere con
vantaggi che nessuno de' suoi predecessori o successori ebbe
giammai. Come Inglese e Cattolico Romano, egli apparteneva mezzo
alla casta dominatrice e mezzo alla dominata, e però aveva i
requisiti necessari a far la parte di mediatore fra esse. Nè riesce
difficile indicare la via ch'egli avrebbe dovuto prendere. Avrebbe
dovuto dichiarare inviolabile la proprietà territoriale esistente,
ed annunziare ciò in modo così efficace da calmare l'ansietà de'
nuovi possidenti, e da estinguere le sinistre speranze che i vecchi
proprietari potessero nutrire. Poco importava chiarirsi se vi fosse
ingiustizia nel passaggio de' beni da uno ad un altro individuo.
Quel passaggio, giusto o ingiusto, era seguito tanti anni innanzi,
che rovesciarlo sarebbe stato il medesimo che crollare le fondamenta
della società. È d'uopo che ci sia un limite di tempo ad ogni
diritto. Dopo trentacinque anni di non interrotto possesso, dopo
venticinque anni di possesso solennemente guarentito dalle leggi,
dopo innumerevoli fitti e cessioni, ipoteche e legati, era troppo
tardi porre ad esame la validità de' titoli. Nondimeno, qualche cosa
si sarebbe potuta fare a guarire, i cuori lacerati e rialzare, le
prostrate fortune de' gentiluomini irlandesi. I coloni erano in
prospere condizioni. Avevano grandemente migliorate le loro terre
facendovi su fabbricati, piantagioni e chiuse. In pochi anni la
rendita era quasi raddoppiata; il commercio era vivo; e le pubbliche
entrate, che ascendevano quasi a trecento mila sterline l'anno,
erano più che bastevoli alle spese del Governo locale, e davano un
avanzo che mandavasi in Inghilterra. Non v'era dubbio alcuno, che il
primo Parlamento che si fosse ragunato in Dublino, ancorchè
rappresentasse quasi esclusivamente gl'interessi inglesi, in
ricompensa alla promessa che il Re avrebbe fatta di mantenere
quegl'interessi ne' loro diritti legali, gli avrebbe volentieri
concessa una considerevolissima somma onde indennizzare, almeno in
parte, le famiglie irlandesi ingiustamente spogliate. In cotesto
modo, a' tempi nostri, il Governo Francese pose fine ai litigi nati
dalla più vasta confisca che sia mai stata in Europa. E in simil
modo, se Giacomo avesse seguito il parere de' suoi consiglieri
protestanti, avrebbe almeno grandemente mitigato uno dei precipui
mali che affliggevano l'Irlanda(746).
Fatto ciò, egli avrebbe dovuto affaticarsi a porre in armonia le
razze avverse, proteggendo imparzialmente i diritti e frenando gli
eccessi di entrambe. Avrebbe dovuto punire con pari severità
l'indigeno che trascorreva alla licenza della barbarie, e il colono
che abusava della forza della civiltà. Fino al punto cui poteva
giungere la legittima autorità della Corona - e in Irlanda era molto
estesa - niuno che per occupare un ufficio avesse i requisiti
d'integro e di esperto, avrebbe dovuto esserne escluso a cagione
della razza alla quale apparteneva e della religione che professava.
È probabile che un Re Cattolico Romano, potendo liberamente disporre
d'una grossa rendita, avrebbe, senza grave difficoltà, potuto
persuadere i prelati e i preti cattolici romani a cooperare con lui
nella grande impresa della riconciliazione. Molto, nondimeno,
sarebbe rimasto a farsi dalla mano riparatrice del tempo. La razza
natia avrebbe dovuto imparare dalla colonia la industria e la
preveggenza, le arti del vivere civile, e la lingua
dell'Inghilterra. Non poteva essere uguaglianza tra uomini che
abitavano dentro case, e uomini che stavansi dentro porcili; tra gli
uni che si cibavano di pane, o gli altri che alimentavansi di
patate; tra quelli che parlavano la nobile favella di grandi
filosofi e poeti, e questi che, con pervertito orgoglio, vantavansi
di non potere contorcere la loro bocca a balbettare un gergo nel
quale erano scritti gli Augumenti delle Scienze e il Paradiso
perduto(747). Nulladimeno, non è irragionevole il credere che se la
moderata politica la quale siamo venuti esponendo, fosse stata
fermamente seguita dal Governo, ogni distinzione si sarebbe andata a
poco a poco cancellando; e adesso non vi sarebbe vestigio della
ostilità che ha formata la sciagura della Irlanda, come non ne
esiste della avversione che un tempo regnava tra i Sassoni e i
Normanni in Inghilterra.
LXXIV. E fu sventura che Giacomo, invece di farsi mediatore,
divenisse il più feroce e dissennato uomo di parte. Invece di
calmare il rancore delle due popolazioni, l'infiammò fino ad un
punto non mai prima veduto. Deliberò di invertire(748) la loro
posizione relativa, e porre i coloni protestanti sotto i piedi de'
Celti papisti. Appartenere alla Chiesa Anglicana, essere di razza
inglese, era agli occhi suoi un demerito per conseguire gli uffici
civili e militari. Meditava il disegno di confiscare nuovamente e
partire il suolo di mezza l'isola; e manifestava così chiaramente
tale pensiero, che una classe degli abitatori dell'Irlanda fu tosto
agitata da terrori ch'ei poscia invano volle calmare, e l'altra da
speranze ch'egli poi vanamente si studiò di frenare. Ma questa era
piccolissima parte della sua colpa e demenza. Stabilì
deliberatamente, non solo di dare agli abitatori aborigeni
dell'isola l'intero possesso del loro paese, ma di giovarsene anche
come strumenti per istabilire la tirannide in Inghilterra. L'esito
di questo divisamento fu quale era da prevedersi. I coloni si posero
in sulle difese, con la invincibile pertinacia della loro razza. La
madre patria considerava come sua propria la causa loro. Allora
seguì una lotta disperata per una terribile partita di giuoco, sulla
quale ambe le parti posero ogni cosa più caramente diletta: nè
possiamo giustamente biasimare l'Irlandese o l'Inglese per avere, in
tanta estremità, ubbidito alla legge della propria difesa. Il
conflitto fu tremendo, ma breve. Il più debole cedette. La sua sorte
fu crudele; e nondimeno la crudeltà onde fu trattato, era degna, non
di difesa, ma di scusa; imperocchè, quantunque egli avesse sofferto
tutto ciò che la tirannia possa infliggere, non patì più di quanto
egli stesso avesse inflitto altrui. Lo effetto dell'insano attentato
di soggiogare la Inghilterra per mezzo della Irlanda, fu che
gl'Irlandesi divennero servitori degl'Inglesi. Gli antichi
possidenti sforzandosi di ricuperare ciò che avevano perduto,
perderono la maggior parte di ciò che era loro rimasto. Il breve
predominio del papismo produsse poi tal numero di leggi barbare
contro il papismo, che il libro statutario d'Irlanda è passato in
proverbio d'infamia per tutta la Cristianità. Tali furono gli amari
frutti della politica di Giacomo.
Abbiamo già veduto che uno de' primi suoi atti, dopo che ascese al
trono, fu quello di richiamare Ormond dalla Irlanda. Ormond in quel
Regno era considerato come capo degl'interessi inglesi; aderiva
fermamente alla religione protestante; e il suo potere eccedeva
d'assai quello di un ordinario Lord Luogotenente, prima perchè per
grado ed opulenza era il più grande fra' coloni, e poi perchè non
solo era capo dell'amministrazione civile, ma anco comandante delle
forze. Il Re, in quel tempo, non voleva affidare interamente ad un
Irlandese il Governo. Vero è ch'egli avea detto che un vicerè nativo
dell'isola, sarebbe presto diventato sovrano indipendente(749). Per
allora, quindi, ei pensò di partire il potere di che Ormond era
rivestito, dando l'amministrazione civile ad un Lord Luogotenente
inglese e protestante, e il comando delle armi ad un Irlandese
Cattolico Romano. Lord Luogotenente fu fatto Clarendon; Comandante
dello esercito Tyrconnel.
Tyrconnel discendeva, secondo che sopra abbiamo detto, da una di
quelle degeneri famiglie di Pale, che comunemente erano annoverate
fra la popolazione primigenia d'Irlanda. Talvolta chiacchierando
parlava con albagia normanna dei barbari Celti(750), ma in fatto
parteggiava per i naturali dell'isola. Odiava i coloni protestanti,
i quali lo rimeritavano di pari abborrimento. Clarendon sentiva
assai diversamente; ma per indole, interesse e principii, era un
ossequioso cortigiano. Aveva animo basso; trovavasi in circostanze
impacciate; ed aveva la mente profondamente imbevuta delle dottrine
che la Chiesa Anglicana aveva a quei tempi con tanta assiduità
propagate. Nondimeno, era fornito di doti non ispregevoli; e sotto
un buon Re, forse sarebbe stato un rispettabile vicerè.
LXXV. Circa nove mesi erano scorsi dal richiamo d'Ormond allo arrivo
di Clarendon in Dublino. In quell'intervallo di tempo, il Re era
rappresentato da un Consiglio di Lordi Giudici; ma l'amministrazione
militare era nelle mani di Tyrconnel. Già i disegni della Corte
cominciavano a svolgersi. Un ordine reale giunse da Whitehall per
disarmare la popolazione. Tale ordine fu rigorosamente eseguito da
Tyrconnel, rispetto agl'Inglesi. Benchè le campagne fossero
infestate da bande di ladroni, un gentiluomo protestante appena
poteva impetrare licenza di tenere un paio di pistole. Al
contadiname del paese, dall'altra parte, fu concesso di tenere le
armi(751). La esultanza de' coloni perciò fu grande; allorchè,
finalmente, nel dicembre del 1685, Tyrconnel fu chiamato a Londra, e
Clarendon spedito a Dublino. Ma tosto si conobbe che la direzione
del Governo Irlandese era di fatto in Londra, non in Dublino. Ogni
corriere postale che giungeva dal Canale di San Giorgio, recava
nuove della infinita influenza che Tyrconnel esercitava nelle cose
irlandesi. Dicevasi che sarebbe fatto Marchese, Duca, comandante
delle armi; che gli sarebbe affidata la impresa di riordinare
l'armata e le Corti di Giustizia(752).
LXXVI. Clarendon rimase amaramente mortificato al trovarsi come un
membro subordinato in quella amministrazione, della quale egli aveva
creduto d'essere il capo. Lamentavasi che qualunque cosa egli
facesse, fosse male rappresentata da' suoi detrattori: e che i più
gravi provvedimenti intorno al paese da lui governato, erano fatti
in Westminster, resi noti al pubblico, discussi nelle botteghe di
Caffè, scritti in migliaia di lettere private, vari giorni prima che
ne fosse dato avviso al Lord Luogotenente. Poco importargli, diceva,
la sua dignità personale; ma non esser cosa lieve, che il
rappresentante della maestà del trono fosse reso zimbello al
pubblico disprezzo(753). La paura rapidamente si diffuse fra
gl'Inglesi appena conobbero che il vicerè, loro concittadino e
protestante, non poteva proteggerli secondo che avevano sperato.
Cominciarono a fare amaro esperimento di ciò che importi essere una
casta soggetta. Erano molestati dagl'indigeni con accuse di
crimenlese e di sedizione. Questo protestante aveva carteggiato con
Monmouth; quell'altro aveva con poco rispetto favellato del Re
quattro o cinque anni innanzi, mentre si discuteva la Legge
d'Esclusione; e la testimonianza del più infame degli uomini serviva
a provare la colpa. Il Lord Luogotenente riferì, che temeva, ove non
si fosse posto fine a siffatto modo d'agire, in Dublino tra breve
sarebbe stato il regno del terrore simile a quello che s'era veduto
in Londra, allorchè l'onore e la vita de' cittadini erano nelle mani
di Oates e di Bedloe(754).
A Clarendon fu, dopo poco tempo, annunziato, in un conciso dispaccio
di Sunderland, il principe avere deliberato di fare senza indugio un
pieno cangiamento nel Governo civile e militare dell'Irlanda, e di
porre negli uffici un gran numero di Cattolici Romani; e si
aggiungeva, con pochissima grazia, che la Maestà Sua aveva in tali
cose chiesto consiglio a uomini più competenti del suo inesperto
Lord Luogotenente(755).
Avanti che cotesta lettera fosse pervenuta al vicerè, la nuova di
ciò che vi si conteneva era per vari mezzi arrivata in Irlanda. Il
terrore de' coloni fu immenso. Essendo inferiori di numero alla
popolazione indigena, la loro condizione sarebbe stata tristissima
se la popolazione indigena si fosse armata contro loro di tutti i
poteri dello Stato: e tale, nientemeno, era la minaccia. Gli Inglesi
abitanti di Dublino passava l'uno accanto all'altro per le vie con
afflitto sembiante. Nella Borsa i negozi erano sospesi. I possidenti
affrettavansi a vendere a qualunque prezzo le loro terre, e mandare
in Inghilterra le somme ricavate. I trafficanti cominciavano ad
assestare i loro conti, ed apparecchiavansi a ritirarsi dai
commerci. Lo effetto della paura tosto si risentì nella pubblica
rendita(756). Clarendon tentò d'ispirare agli impauriti quella
fiducia ch'ei non aveva in cuore. Assicurò loro, che la proprietà
sarebbe stata considerata come sacra; e disse di sapere di certa
scienza, che il Re era determinato di mantenere l'Atto, così
chiamato, di Stabilimento, che guarentiva i loro diritti sulle
terre. Ma al Governo in Inghilterra egli scriveva in tono diverso.
Rischiossi per fino a querelarsi del Re, e senza biasimare lo
intendimento che Sua Maestà aveva d'impiegare i Cattolici Romani,
suggerì con vigorose parole, che i Cattolici Romani destinati agli
impieghi fossero inglesi(757).
La risposta di Giacomo fu secca e fredda. Dichiarò, come egli non
intendesse privare i coloni inglesi delle terre loro, ma molti di
loro ei teneva suoi nemici; e dacchè consentiva di lasciare tutta
l'opulenza nelle mani degl'inimici, era maggiormente necessario che
l'amministrazione civile e militare fosse posta in quelle degli
amici suoi(758).
Per le quali cose, vari Cattolici Romani furono chiamati al
Consiglio Privato; e spedironsi ordini ai municipii perchè
ammettessero i Cattolici Romani ai privilegi municipali(759). A
molti ufficiali dell'esercito fu arbitrariamente tolto e grado e
pane. Invano il Lord Luogotenente patrocinò la causa di parecchi,
che egli sapeva essere buoni soldati e leali sudditi. Fra costoro
erano vecchi Cavalieri, che avevano strenuamente pugnato per la
monarchia, e che portavano onorate cicatrici. Ne' loro posti furono
messi uomini i quali altro merito non avevano che la loro religione.
Dicevasi che de' nuovi capitani e luogotenenti alcuni erano stati
bifolchi, altri servitori, altri anche predoni; taluni erano così
assuefatti a portare scarponi, che inciampavano e procedevano
stranamente impacciati ne' loro stivali da soldati. Non pochi degli
ufficiali destituiti arruolaronsi nell'esercito olandese, e quattro
anni dopo provarono il diletto di sconfiggere ignominiosamente i
loro successori, e cacciarli oltre le acque del Boyne(760).
L'angoscia e il timore di Clarendon si accrebbero ad una nuova che
gli giunse per vie private. Senza la sua approvazione, senza nè
anche fargliene saper nulla, facevansi apparecchi per armare e
disciplinare tutta la popolazione celtica dell'isola di cui egli era
governatore di solo nome. Tyrconnel da Londra dirigeva le cose; e i
prelati cattolici erano suoi agenti. Ciascun prete era stato
richiesto di compilare una lista di tutti i suoi parrocchiani
maschi, atti alle armi, e mandarla al suo Vescovo(761).
LXVII. Già correva voce che Tyrconnel sarebbe tra breve ritornato a
Dublino, investito di poteri straordinari e indipendenti; e la voce
ogni giorno maggiormente spandevasi. Il Lord Luogotenente, che per
nessuno insulto al mondo sapeva indursi a rinunziare alla pompa e
agli emolumenti del suo ufficio, dichiarò che avrebbe piegata la
fronte dinanzi al volere del Re, e si sarebbe mostrato in ogni cosa
suddito obbediente e fedele. Disse di non avere mai in vita sua
avuto il minimo litigio con Tyrconnel, ed era sicuro che nè anche
adesso nascerebbe differenza tra loro(762). E' pare che Clarendon
non si rammentasse della congiura fatta a rovinare la fama della sua
innocente sorella, della quale congiura Tyrconnel era stato precipuo
macchinatore. Simigliante ingiuria non è tale che un uomo d'alto
animo possa agevolmente perdonare. Ma nella malvagia corte nella
quale gli Hydes si erano tanto tempo affaccendati a farsi lo stato,
simiglianti ingiurie venivano di leggeri perdonate e poste in oblio,
non mai per magnanimità di carità cristiana, ma per semplice
abiettezza e difetto di senso morale. Nel giugno 1686, Tyrconnel
giunse in Irlanda. Il regio mandato l'autorizzava solamente a
comandare le truppe; ma aveva istruzioni concernenti tutte le parti
dell'amministrazione, e a un tratto si recò in mano il Governo
effettivo dell'isola. Il dì dopo il suo arrivo, esplicitamente
dichiarò, che gli uffici dovevano largamente darsi ai Cattolici
Romani, e che per ciò era d'uopo mandar via i Protestanti. Si dette
con pertinacia ed ardore a riordinare l'armata. E davvero ch'era
questa l'unica delle funzioni di comandante supremo ch'egli potesse
adempire: poichè, quantunque fosse coraggioso nelle risse e ne'
duelli, non conosceva punto l'arte militare. Alla prima rassegna
ch'egli fece, coloro i quali gli stavano da presso poterono
chiaramente accorgersi che egli non sapeva guidare un
reggimento(763).
LXXVIII. Cacciare dall'armata gl'Inglesi e porvi gl'Irlandesi, era,
secondo la sua opinione, il principio e il fine dell'amministrazione
della guerra. Ebbe l'insolenza di cassare il capitano delle Guardie
del Corpo del Lord Luogotenente; nè Clarendon seppe di ciò ch'era
seguíto, se non quando vide un Cattolico Romano, il cui volto gli
giungeva nuovo, scortare il suo cocchio di gala(764). Il cangiamento
non si limitò ai soli ufficiali. Le file furono pienamente disfatte
e rifatte. Quattro o cinquecento soldati furono reietti da un solo
reggimento, principalmente sotto pretesto d'essere di statura
inferiore a quella richiesta dalla legge. Nulladimeno, anche
l'occhio più inesperto conobbe a un tratto che essi erano più atti e
meglio formati de' loro successori, il cui aspetto selvaggio e
squallido disgustava i riguardanti(765). Ai nuovi ufficiali fu
ingiunto di non arruolare nessun soldato protestante. I reclutatori,
invece di battere i loro tamburi per raccogliere volontari nelle
fiere e nei mercati, secondo l'antica usanza, recavansi ai luoghi a'
quali i Cattolici Romani solevano andare in devoto pellegrinaggio.
In poche settimane, il Generale aveva posto nello esercito più di
due mila reclute indigene; e chi gli stava dappresso, con sicurtà
affermava che pel dì di Natale in tutta l'armata non sarebbe rimasto
nè anche un soldato di razza inglese(766).
In tutte le questioni che sorgessero nel Consiglio Privato,
Tyrconnel mostravasi similmente violento e parziale. Giovanni
Keating, Capo giudice de' Piati Comuni, uomo insigne per abilità,
integrità e lealtà, espose con modi assai miti, che tutto ciò che il
Generale potesse ragionevolmente chiedere per la sua propria Chiesa,
era la perfetta uguaglianza. Disse, il Re aver voluto manifestamente
intendere, che nessun uomo meritevole della fiducia pubblica dovesse
essere escluso perchè Cattolico Romano, e nessuno immeritevole della
pubblica fiducia dovesse essere ammesso perchè Protestante.
Tyrconnel subito cominciò a vomitare imprecazioni e bestemmie. "Io
non so che rispondere a ciò; ma devono essere tutti Cattolici
Romani(767)." I più assennati Irlandesi aderenti alla Religione
Cattolica rimasero atterriti alla demenza di lui, e provaronsi di
rimproverarlo; ma li cacciò via imprecando(768). La sua brutalità
trascorreva tant'oltre, che molti lo credevano ammattito. Eppure,
era meno strana della svergognata volubilità con che gli uscivano di
bocca le bugie. Lungo tempo prima aveva acquistato il soprannome di
Lying Dick Talbot (il bugiardo Guglielmo Talbot); e a Whitehall ogni
strana finzione veniva chiamata una delle verità di Dick Talbot.
Adesso giornalmente mostrava d'essere ben meritevole di cotesta non
invidiabile riputazione. E davvero in lui il mentire era una
infermità. Dopo d'aver dato ordini di destituire gli ufficiali
inglesi, era capace di condurli nelle sue segrete stanze, e
assicurarli della fiducia ed amicizia che sentiva per loro, dicendo:
"Dio mi confonda, mi sperda, mi fulmini s'io non avrò a cuore i
vostri interessi." Talvolta coloro ai quali aveva fatto simili
giuramenti, sapevano, innanzi che il giorno si chiudesse, d'essere
stati destituiti(769).
LIX. Al suo arrivo, quantunque bestemmiasse oscenamente contro
l'Atto di Stabilimento, e chiamasse gl'interessi inglesi cosa
iniqua, cosa scellerata, cosa maledetta, simulò nondimeno d'esser
convinto che la distribuzione delle proprietà, non si poteva, dopo
sì lungo corso d'anni, alterare(770). Ma giorni dopo, cangiò
linguaggio. In Consiglio si mise a declamare con veemenza intorno
alla necessità di rendere le terre agli antichi padroni. Ma non
aveva per anche ottenuto l'assenso del Re a codesto fatale disegno.
Nella mente di Giacomo, il sentimento nazionale tenzonava ancora
debolmente contro la superstizione. Egli era uomo inglese; era Re
inglese; e non poteva, senza tristi presentimenti, acconsentire alla
destruzione della maggior colonia che l'Inghilterra avesse mai
fondata. Gl'inglesi Cattolici Romani, ai quali aveva costume di
chiedere consiglio, furono di quasi unanime opinione a favore
dell'Atto di Stabilimento. Non solo l'onesto e moderato Powis, ma il
dissoluto e testardo Dover, porsero savi e patriottici consigli.
Tyrconnel mal poteva sperare di frustrare da lungi lo effetto che
tali ammonimenti producevano nella mente del Re. Deliberò, quindi,
di difendere in persona la causa della sua casta; e però, verso la
fine d'Agosto, partì per l'Inghilterra.
LXXX. Sì la presenza che l'assenza di lui erano egualmente cagione
di timore al Lord Luogotenente. Gli era veramente doloroso vedersi
ogni giorno umiliato dal suo nemico; ma non eragli di minor dolore
il sapere che il suo nemico ogni giorno susurrava calunnie(771) e
pessimi consigli alle orecchie del Principe. Clarendon era
tormentato da molte e diverse vessazioni. In una sua gita
nell'interno dell'isola, s'era veduto trattare con disprezzo dalla
popolazione irlandese. I preti cattolici romani esortavano le loro
congregazioni a non fargli nessun atto di riverenza. I gentiluomini
indigeni invece di andare a complirlo, rimanevano nelle proprie
case. Il contadiname indigeno da per tutto cantava canzoni in lingua
ersa in lode di Tyrconnel, il quale tra breve sarebbe riapparso ad
umiliare pienamente i loro oppressori(772). Il vicerè era appena
ritornato a Dublino dalla sua poco soddisfacente gita, allorquando
gli giunsero lettere che gli annunciavano il Re essere seriamente
sdegnato contro di lui. La Maestà sua - dicevano tali lettere -
aspettarsi che i suoi ministri non solo adempissero i suoi
comandamenti, ma gli adempissero di cuore e con esultanza. Esser
vero che il Lord Luogotenente non aveva ricusato di cooperare alla
riforma dell'armata e dell'amministrazione civile, ma averlo fatto
con ripugnanza e con negligenza: il suo aspetto avere tradito il
sentimento dell'animo: tutti essersi accorti com'egli disapprovasse
la politica che gli era stato commesso di recare ad effetto(773).
Immerso in amarissima angoscia, scrisse lettere onde difendersi; ma
gli fu bruscamente annunziato, la sua difesa non essere
soddisfacente. Allora, con abiettissime parole, dichiarò che non
avrebbe tentato di giustificarsi; si sarebbe sobbarcato riverente
alla sentenza, qualunque si fosse, del principe; si sarebbe
prostrato nella polvere onde implorare perdono, dacchè egli
sincerissimamente pentivasi, e riputava glorioso il morire pel suo
sovrano: ma gli era impossibile di vivere percosso dall'ira di lui.
Tali parole non movevano da sola ipocrisia d'interesse, ma, almeno
in parte, da animo prettamente servile e meschino; avvegnachè, nelle
lettere di confidenza non destinate ad andare sotto gli occhi del
Re, Clarendon si spassionasse nel medesimo tono lamentevole con la
propria famiglia: sè essere degno di pietà, sè ruinato, sè non aver
forza da sostenere la collera del Re, sè non curare punto la vita
ove non vi fosse mezzo a placare l'ira dell'adorato principe(774).
Il misero si sentì accrescere in cuore lo spavento, come seppe
essersi già deliberato in Whitehall di richiamare lui, e fargli
succedere il suo rivale e calunniatore Tyrconnel(775). E in tanto,
per alcun tempo l'avvenire parve rischiararsi; il Re era di buon
umore; e per pochi giorni Clarendon s'illuse credendo che la
intercessione del fratello fosse prevalsa, e la tempesta
abbonacciata(776).
LXXXI. La tempesta, invece, era appena incominciata. Mentre
Clarendon studiavasi di appoggiarsi a Rochester, Rochester non
bastava a sostenere sè stesso. Come in Irlanda il fratello maggiore,
quantunque avesse le Guardie d'onore, la spada dello Stato e il
titolo d'Eccellenza, era sottoposto di fatto al Comandante delle
armi; così in Inghilterra il fratello minore, quantunque ritenesse
il bastone bianco e la precedenza, in grazia del suo alto ufficio,
sopra i grandi nobili ereditari, andava diventando un semplice
impiegato nelle finanze. Il Parlamento fu nuovamente prorogato a un
tempo lontano, contro i noti desiderii del Tesoriere. Nè anche gli
fu detto che doveva esservi un'altra proroga, ma ei ne lesse la
nuova nella Gazzetta. La effettiva direzione degli affari era
passata nelle mani della cabala, che il venerdì pranzava a casa di
Sunderland. Il Gabinetto si ragunava solo per udire la lettura de'
dispacci giunti dalle Corti straniere; nè tali dispacci contenevano
più di quel che si sapesse alla Borsa Reale; imperocchè tutte le
legazioni inglesi avevano ricevuto ordini di porre nelle lettere
officiali solo i discorsi ordinari delle anticamere, e comunicare
privatamente i segreti importanti a Giacomo stesso, a Sunderland o a
Petre(777). E di ciò la vincitrice fazione non era paga. Coloro de'
quali il Re si fidava, gli dicevano che la ostinatezza con che la
nazione avversava i disegni di lui, era veramente da attribuirsi a
Rochester. In che guisa avrebbe potuto il popolo credere che il
sovrano fosse incrollabilmente risoluto a perseverare nella via
nella quale s'era messo, vedendogli a lato, ostensibilmente primo
per possanza e fiducia fra i suoi consiglieri, un uomo che, come
tutti sapevano, disapprovava grandemente quella via? Ogni passo che
il principe aveva fatto ad umiliare la Chiesa Anglicana, ed esaltare
quella di Roma, era stato avversato dal Tesoriere. Era pur vero, che
qualvolta aveva sperimentata vana ogni opposizione, egli si era
sottomesso di malavoglia; chè anzi aveva cooperato a mandare ad
esecuzione quegli stessi progetti ch'egli aveva con estremo calore
contrastati. Egli era vero che, quantunque abborrisse la Commissione
Ecclesiastica, aveva consentito di essere uno de' Commissari. Era
anche vero, che mentre dichiarava di non trovare nessuna cagione di
biasimo nella condotta del vescovo di Londra, aveva ripugnantemente
votato a favore della sentenza che lo cacciò dalla sua sede. Ma ciò
non era bastevole. Un principe dedito ad un'intrapresa così grave ed
ardua come quella in cui Giacomo s'era messo, aveva diritto
d'esigere dal suo primo ministro, non una acquiescenza fatta mal
volentieri e senza grazia, ma una zelante e fortissima cooperazione.
Mentre con tali consigli la cabala tentava di continuo l'animo di
Giacomo, gli giungevano per la posta-di-un-soldo molte lettere
cieche, ripiene di calunnie contro il Lord Tesoriere. Questo modo
d'aggressione era stato immaginato da Tyrconnel, e concordava
perfettamente con ogni azione della sua vita infame(778).
Il Re esitava. E' sembra, a dir vero, che portasse singolare affetto
al suo cognato, e per l'affinità, e per la lunga dimestichezza, e
per molti scambievoli buoni uffici. Pareva probabile che finchè
Rochester avesse continuato a sottoporsi, quantunque lento e
mormorando, alle voglie del Re, sarebbe rimasto, di nome, primo
ministro. Sunderland, quindi, con finissima astuzia suggerì al
proprio signore la convenevolezza di chiedere a Rochester l'unica
prova d'obbedienza; prova che Rochester, senza alcun dubbio, non
avrebbe mai data. Per allora - tale era il linguaggio dello scaltro
segretario - tornava al Re impossibile consigliarsi col primo de'
suoi ministri intorno a ciò che gli stava più a cuore.
LXXXII. Era doloroso il pensare che i pregiudicii religiosi, in sì
grave negozio, dovessero privare il Governo di un tanto aiuto. Forse
non era impossibile vincere simiglianti pregiudicii. Allora lo
ingannatore bisbigliò sapere che Rochester di recente avesse
manifestato qualche dubbio intorno i punti in questione tra i
Protestanti e i Cattolici(779). Ciò fu bastevole perchè il Re
prendesse un partito. Cominciò a lusingarsi di potersi sottrarre
alla necessità di allontanare da sè un amico, e nel tempo stesso
assicurarsi un esperto coadiutore alla grand'opera ch'era in via di
compiere. Fu anche solleticato dalla speranza d'acquistare il merito
e la gloria di avere salvata un'anima dalla eterna perdizione. E'
pare in verità, che intorno questo tempo fosse invaso da un insolito
e violento accesso di zelo per la sua religione: la qual cosa è più
da notarsi in quanto era pur allora ricaduto, dopo un breve
intervallo d'astinenza, nella dissolutezza; che tutti i teologi
cristiani condannano come peccaminosa, e che in un uomo maturo, ed
ammogliato ad una giovine e leggiadra donna, anche dai mondani è
giudicata riprovevole. Lady Dorchester era ritornata da Dublino, e
nuovamente divenuta concubina del Re. Politicamente il suo ritorno
non era d'alcuna importanza. Aveva imparato per propria esperienza,
essere stoltezza ogni prova di salvare il suo amante dalla
distruzione a cui correva diritto. E però lasciò che i Gesuiti lo
guidassero nella condotta politica. Nondimeno, ella era la sola di
parecchie donne abbandonate, che a quel tempo dividesse con la
Chiesa Cattolica l'impero nel cuore di lui(780). Sembra ch'ei
pensasse di fare ammenda di aver trascurata la salute dell'anima
propria, dandosi cura delle anime altrui. Si pose, adunque, ad
operare con sincera volontà, ma con la volontà d'un animo aspro,
severo ed arbitrario, per la conversione del suo cognato. In ogni
udienza accordata al Tesoriere, il tempo era speso ad argomentare
intorno all'autorità della Chiesa ed al culto delle immagini.
Rochester aveva fermo in cuore di non abiurare la propria religione;
ma non pativa scrupoli a ricorrere, per difendersi, ad artifici
disonorevoli al pari di quelli che altri aveva adoperati ad
offenderlo. Simulava di parlare come uomo che ondeggi nel dubbio,
mostrava desiderio di essere illuminato ove si trovasse nell'errore,
si faceva prestare libri papisti, ed ascoltava cortesemente i
teologi papisti. Ebbe vari colloqui con Leyburn vicario apostolico,
con Godden cappellano e limosiniere della Regina vedova, e con
Bonaventura Giffard, teologo educato alla polemica nelle scuole di
Doaggio. Fu stabilito che vi sarebbe una disputa formale tra cotesti
dottori ed alcuni ecclesiastici protestanti. Il Re disse a
Rochester, di scegliere qualunque ministro della Chiesa Anglicana,
da due soli all'infuori. I due esclusi erano Tillotson e
Stillingfleet. Tillotson, il più popolare predicatore di que' tempi,
e per costumi l'uomo più inoffensivo del mondo, aveva stretta
relazione con alcuni dei principali Whig; e Stillingfleet, che avea
voce di destro maneggiatore di tutte le armi della controversia, era
anche più esoso a Giacomo per avere pubblicata una risposta agli
scritti trovati nella cassa forte di Carlo II. Rochester elesse i
due regi Cappellani, che per avventura trovavansi di servizio. Uno
di loro chiamavasi Simone Patrick, i cui commentari sopra la Bibbia
formano ancora parte delle biblioteche teologiche; l'altro era Jane,
Tory virulento, il quale aveva cooperato a formulare il decreto, con
cui la università d'Oxford aveva abbracciate le peggiori follie di
Filmer. La conferenza seguì in Whitehall il dì 30 novembre.
Rochester, che voleva non si sapesse lui avere consentito a porgere
ascolto agli argomenti de' preti papisti, si fece promettere
secretezza. Non fu presente altro uditore che il Re. La discussione
versò intorno alla presenza reale. I teologi cattolici romani
assunsero l'incarico di provarla. Patrik e Jane ragionarono poco; nè
era mestieri consumare(781) molte parole, perocchè lo stesso Conte
imprese a difendere la dottrina della sua Chiesa; e come soleva
succedergli, tosto riscaldato dal conflitto, perdè il proprio
contegno, e domandò con gran forza, se era da sperarsi ch'egli si
inducesse mai a cangiare religione per argomenti sì frivoli. Poi si
rammentò del rischio che egli correva, cominciò nuovamente a
dissimulare, lodò i dottori per l'arte e la dottrina che avevano
mostrata nella disputa, e chiese tempo a meditare sopra ciò che
avevano detto(782). Comecchè Giacomo fosse di tardo
intendimento, non poteva non accorgersi che il cognato non diceva da
senno. Il Re disse a Barillon, che il linguaggio di Rochester non
era quello d'un uomo che sinceramente desideri di giungere al vero.
Nondimeno, non amava di proporre al cognato direttamente di eleggere
o l'apostasia o la destituzione: ma tre dì dopo la conferenza,
Barillon recossi a visitare il Tesoriere, e con lunga
circonlocuzione e molte espressioni d'amichevole affetto, gli rivelò
la spiacevole verità. "Intendete forse" disse Rochester imbrogliato
dalle confuse e cerimoniose frasi del ministro francese, "intendete
forse che ove io non mi faccia Cattolico, la conseguenza ne sarà che
debba perdere il mio posto?" - "Non parlo punto di conseguenze"
rispose lo scaltro diplomatico. "Vengo solamente come amico a dirvi
ch'io spero che abbiate cura di tenere il vostro posto." - "Ma
certo," disse Rochester "ciò chiaramente significa che o mi debba
fare Cattolico, o andar via." Gli fece molte dimande onde chiarirsi
se Barillon parlasse per ordine del principe, ma non potè ricavarne
se non vaghe e misteriose risposte. Infine, simulando una fiducia
ch'egli non aveva punto, disse a Barillon che s'era lasciato
ingannare dalle oziose ciarle de' maligni, e concluse: "Vi dico che
il Re non mi destituirà, e ch'io non rinunzierò mai. Io conosco lui;
egli conosce me; e non ho timore di nessuno." Il Francese rispose
essere lieto, essere incantato di sentir ciò; e che l'unica cagione
onde era stato mosso ad intromettersi in cotesta faccenda, era stata
la sincera ansietà ch'egli provava per la prosperità e l'onore del
suo egregio amico il Tesoriere. E in tal guisa partironsi, ciascuno
illudendosi d'avere gabbato l'altro(783).
Intanto, malgrado le promesse di serbare il secreto, la nuova che il
Lord Tesoriere avesse consentito ad essere ammaestrato nelle
dottrine del papismo, erasi sparsa per tutta Londra. Patrick e Jane
erano stati veduti entrare per quella porta misteriosa che conduceva
alle stanze di Chiffinch. Alcuni Cattolici Romani che rigiravano in
Corte, avevano indiscretamente o ad arte propalato tutto ciò che
sapevano, ed altro ancora. I Tory aderenti alla Chiesa Anglicana,
stavano ad aspettare più fondate notizie. Incresceva loro il pensare
che il loro capo si fosse mostrato ondeggiante nelle proprie
opinioni; ma non sapevano indursi a credere ch'ei sarebbe sceso alla
abbiettezza d'un rinnegato. Lo sventurato ministro, straziato a
un'ora dalle sue feroci passioni e dai suoi bassi desiderii,
molestato dal pubblico biasimo e dalle parole allusive di Barillon,
trepidante di perdere la riputazione e l'ufficio, si condusse alle
secrete stanze del Re, col proponimento di mantenere lo impiego, ove
avesse potuto farlo, abbassandosi ad ogni specie d'infamia, tranne
una sola. Farebbe sembiante di tentennare nelle sue opinioni
religiose, e d'essere mezzo convertito; prometterebbe di sostenere
con ogni sua possa quella politica fino allora da lui oppugnata: ma
nel caso che ei si vedesse ridotto agli estremi, ricuserebbe di
abbandonare la propria religione. Cominciò, dunque, con dire al Re:
lo affare che importava tanto alla Maestà Sua, non sonnacchiare;
Jane e Giffard attendere a rovistare libri intorno ai punti
controversi fra le due Chiese; ed appena finite le loro
lucubrazioni, essere convenevole un altro colloquio. Lamentò quindi
amaramente come la città tutta sapesse ciò che avrebbe dovuto
tenersi gelosamente nascosto, e come taluni, i quali per la loro
posizione potevano supporsi bene informati, riferissero strane cose
intorno agl'intendimenti del principe. "Si vocifera" disse egli "che
ove io non faccia siccome la Maestà Vostra vorrebbe, non sarei più
oltre tollerato nel mio ufficio." Il Re rispose con qualche
espressione di cortesia, essere malagevole impedire i chiacchiericci
del popolo, nè doversi badare alle scempie storielle. Siffatte
inconcludenti parole non potevano calmare la perturbata mente del
ministro; il quale, anzi, sentendosi violentemente agitato cominciò
a supplicare per lo impiego come avrebbe fatto per la propria vita.
"La Maestà Vostra vede bene ch'io fo tutto ciò che posso per
obbedirvi. E davvero ch'io farò tutto il possibile per obbedirvi in
ogni cosa. Vi servirò come vorrete. Anzi farò ogni sforzo per
abbracciare la vostra fede; ma non mi si dica, che mentre mi provo
di piegare a ciò l'animo mio, ove io nol possa, debba perdere ogni
cosa. Imperocchè bisogna dire alla Maestà Vostra esservi altri
riguardi..." - "Bisogna dirmi! bisogna dirmi!" esclamò il Re con una
bestemmia. La minima parola che suonasse onesta e vigorosa, sfuggita
fra mezzo a tanto abietto supplicare, bastò a muoverlo ad ira.
"Spero" disse il misero Rochester "di non avervi offeso, o Sire.
Vostra Maestà certamente non avrebbe fatto buon giudicio di me,
qualora non avessi parlato in cotesta guisa." Il Re ritornò in sè,
protestò di non sentirsi offeso, e consigliò il Tesoriere a
spregiare le ciarle, e ragionar nuovamente con Jane e Giffard(784).
LXXXIII. Dopo siffatto colloquio, corsero quindici giorni innanzi
che gli giungesse il colpo fatale. Rochester spese que' quindici
giorni a intrigare e supplicare. Studiossi di rendere a sè
favorevoli quei Cattolici Romani che maggiormente influivano in
Corte. Diceva loro di non potere rinunziare alla propria religione;
ma, tranne ciò solo, esser pronto a far tutto quanto potessero
desiderare. Soggiungeva che ove egli potesse rimanere in ufficio,
avrebbero trovato più utile alla loro causa lui protestante, che
qualunque altro della loro religione(785). Si disse che la moglie di
Rochester, la quale giaceva inferma, avesse implorato l'onore d'una
visita della molto offesa Regina col fine di muoverla a
compassione(786). Ma gli Hydes scesero invano a tanta abiezione.
Petre gli odiava implacabilmente, ed aveva giurata la loro
rovina(787). La sera del diciassette dicembre, il Conte fu chiamato
alle stanze del Re. Giacomo era stranamente commosso, e perfino
aveva le lacrime sugli occhi. Quello istante, a dir vero, non poteva
non isvegliare rimembranze tali da muovere anche un cuor duro. Disse
rincrescergli grandemente che il proprio dovere gl'imponesse di
sacrificare le sue inclinazioni private. Essere ormai
impreteribilmente necessario, che coloro i quali stavano a capo de'
suoi affari, abbracciassero le opinioni e i sentimenti suoi. Si
confessò singolarmente obbligato a Rochester, e aggiunse non essere
meritevole del più lieve biasimo il modo onde le finanze erano state
da lui amministrate: ma l'ufficio di Lord Tesoriere era di sì grave
momento, che, in generale, non era da fidarsi ad una sola persona, e
da un Re Cattolico Romano non poteva fidarsi ad un uomo zelante
della Chiesa d'Inghilterra. "Pensateci meglio, Milord," continuò il
Re "rileggete gli scritti trovati nella cassa forte di mio fratello.
Vi concederò anche qualche altro po' di tempo, se così desideriate."
Rochester si accôrse che tutto era finito, e che il miglior partito
che gli rimanesse a prendere, era quello di ritirarsi con quanto più
danaro e credito gli fosse possibile; e bene vi riuscì. Ottenne una
pensione vitalizia di quattro mila lire sterline annue per due vite,
su' proventi dell'ufficio postale. Aveva accumulato gran copia di
pecunia dagli averi de' traditori, e serbava la obbligazione scritta
di quaranta mila sterline firmata da Grey, e una concessione di
tutte le terre che la Corona aveva nei vasti beni di Grey(788).
Niuno era stato mai cacciato dal proprio impiego a condizioni così
vantaggiose. Al plauso de' sinceri amici della Chiesa Anglicana,
Rochester aveva ben poco diritto. Per mantenersi in ufficio, aveva
seduto in quel tribunale illegalmente creato con lo scopo di
perseguitarla. Per mantenersi in ufficio, aveva disonestamente
votato la degradazione de' più cospicui ministri di quella, aveva
simulato di dubitare della ortodossia, ascoltato con apparenza di
docilità i maestri che la chiamavano scismatica ed eretica, e s'era
offerto di secondare i più accaniti nemici cospiranti a
distruggerla. La maggior lode che egli potesse meritare, consisteva
nello avere aborrito dalla enorme malvagità e vigliaccheria di
abiurare pubblicamente, per amore di guadagno, la religione nella
quale egli era nato e cresciuto, da lui creduta vera, e per lungo
tempo e con ostentazione da lui professata. E nondimeno, la maggior
parte degli aderenti alla Chiesa Anglicana, lo esaltavano, quasi
fosse stato il più intrepido e puro de' martiri. Frugarono dentro il
Vecchio e il Nuovo Testamento, dentro i Martirologi d'Eusebio e di
Fox, per trovare esempi di paragone alla sua eroica pietà. Ei fu
detto Daniele nella caverna de' leoni, Shadrach nella fornace
ardente, Pietro nella prigione d'Erode, Paolo al tribunale di
Nerone, Ignazio nell'anfiteatro, Latimer nei ceppi. Tra i molti
fatti che provano come a que' tempi fosse bassa la idea dell'onore e
della virtù negli uomini pubblici, il più convincente è forse
l'ammirazione destata dalla costanza di Rochester.
LXXXIV. Nella sua caduta trascinò seco Clarendon. Il dì settimo di
gennaio 1687, la Gazzetta annunziò al popolo di Londra, che il
Tesoro era stato affidato ad una Commissione. Il giorno seguente,
giunse a Dublino un dispaccio, in cui formalmente dicevasi che
dentro un mese Tyrconnel avrebbe preso le redini del Governo
d'Irlanda. Non senza grande difficoltà costui aveva vinti i numerosi
ostacoli che lo impedivano nel cammino dell'ambizione. Sapevasi come
egli in cuore nutrisse la voglia di sterminare la colonia inglese in
Irlanda. E però gli era necessario di vincere parecchi scrupoli che
stavano nell'animo del Re. Doveva conquidere la opposizione, non
solo de' membri protestanti del Governo, non solo de' moderati e
rispettabili capi de' Cattolici Romani, ma altresì di parecchi
membri della cabala gesuitica(789). Sunderland rifuggiva dal
pensiero di un rivolgimento religioso, politico e sociale, in
Irlanda. Dalla Regina Tyrconnel era personalmente detestato. Per la
qual cosa, Powis venne proposto come l'uomo più atto alla dignità di
vicerè. Era di nascita illustre; e comecchè fosse sinceramente
Cattolico Romano, veniva dagl'imparziali Protestanti considerato
come uomo onesto, e buono Inglese. Non pertanto, ogni opposizione
cesse alla energia ed astuzia di Tyrconnel(790), il quale si mostrò
infaticabile a strisciarsi, a bravazzare, a corrompere. Petre fu
vinto dall'adulazione. Sunderland si arrese alle promesse ed alle
minacce. Un prezzo immenso, - niente meno che cinque mila lire
sterline annue sopra la Irlanda, redimibili col pagamento di
cinquanta mila lire sterline, - gli fu offerto. Ove tale proposta
fosse respinta, Tyrconnel minacciava di rivelare al Re che il Lord
Presidente, ne' desinari ch'ei soleva dare alla cabala tutti i
venerdì, aveva dipinto la Maestà Sua come uno imbecille, ch'era
forza governare per mezzo d'una donna o d'un prete. Sunderland,
pallido e tremante, offrì d'ottenere a Tyrconnel il supremo comando
delle milizie, enormi emolumenti, in fine qual si fosse cosa, tranne
l'ufficio di vicerè: ma ogni qualunque proposta venne ricusata; e fu
mestieri cedere. La stessa Maria di Modena non andò immune della
taccia di corruzione. Esisteva in Londra una famosa collana di
perle, la quale stimavasi valere dieci mila lire sterline.
Apparteneva già al principe Rupert, dal quale era stata lasciata a
Margherita Hugues, cortigiana, che verso la fine della vita di lui,
lo aveva grandemente dominato. Tyrconnel menava vanto di avere col
dono di siffatta collana comperato la protezione della Regina.
Furono nondimeno taluni, i quali sospettarono che cotesta asserzione
fosse una delle verità di Dick Talbot, e che la non avesse miglior
fondamento delle calunnie ventisei anni innanzi da lui inventate a
denigrare la fama di Anna Hyde. Ai cortigiani cattolici romani parlò
della incertezza onde essi tenevano gli uffici, gli onori e gli
emolumenti loro. Disse, il Re poter morire da un giorno all'altro,
lasciando tutti loro a discrezione di un ostile Governo, e d'una
plebaglia ostile. Ma se la religione degli avi potesse predominare
in Irlanda, se gli interessi inglesi potessero distruggersi,
rimarrebbe loro, nel peggiore evento, assicurato un asilo dove
riparare, venire a patti, o vantaggiosamente difendersi. Ad un prete
papista fu promessa la mitra di Waterford, perchè predicasse in San
Giacomo contro l'Atto di Stabilimento; e il suo sermone, comecchè
suscitasse profondo disgusto nel cuore di tutti gl'Inglesi che
stavano ad ascoltarlo, non andò privo d'effetto. Era cessata la
lotta che lo amore di patria aveva fino allora nella mente del Re
mantenuta contro la bacchettoneria. "Vi sono cose tali da eseguirsi
in Irlanda," disse Giacomo "cose tali, che nessuno Inglese vorrà mai
fare(791)."
Alla perfine, tolto di mezzo ogni ostacolo, Tyrconnel, nel febbraio
del 1687, cominciò a governare la sua terra natia con la potestà e
gli emolumenti di Lord Luogotenente, ma col titolo più modesto di
Lord Deputato.
LXXXV. Il suo arrivo sparse lo sgomento fra tutta la popolazione
inglese. Clarendon fu accompagnato, o sollecitamente seguito a
traverso il Canale di San Giorgio, da moltissimi de' più illustri
abitatori di Dublino, gentiluomini, trafficanti ed artigiani. Si
disse che mille e cinquecento famiglie in pochi giorni emigrassero.
Nè tanta paura era irragionevole. La impresa di porre tutti i coloni
sotto i piedi degli Irlandesi, faceva rapidi progressi. In breve,
quasi ogni Consigliere Privato, Giudice, Sceriffo, Gonfaloniere,
Aldermanno e Giudice di Pace, fu Celta e Cattolico Romano. Sembrava
che le cose presto si volessero disporre in modo, che da una
elezione generale sorgerebbe una Camera di Comuni propensa ad
abrogare l'Atto di Stabilimento(792). Coloro i quali fino allora
erano stati signori dell'isola, adesso lamentavano, nell'amaritudine
dell'anime loro, d'essere divenuti preda e ludibrio dei loro propri
servi e manuali; le case essere bruciate, e gli armenti rubati
impunemente; i nuovi soldati scorrazzare il paese saccheggiando,
insultando, stuprando, mutilando qua, facendo colà saltare per aria
sopra un lenzuolo un Protestante, legandone un altro pei capelli e
flagellandolo; e nulla giovare il richiamarsi alle leggi: i giudici,
gli sceriffi, i giurati, i testimoni irlandesi, tutti congiurare a
salvare gl'Irlandesi delinquenti; e tra breve tempo, anche senza
apposito Atto del Parlamento, tutto il suolo dover cangiare padroni;
avvegnachè, governante Tyrconnel, in ogni causa di sfratto, i
Giudici avevano sempre sentenziato contro l'Inglese, ed a favore
dell'Irlandese(793). Mentre Clarendon rimaneva in Dublino, il
Sigillo Privato era stato affidato ad una Commissione. I suoi amici
speravano che, ritornato a Londra, gli sarebbe tosto reso l'ufficio.
Ma il Re e la cabala gesuitica volevano intera la caduta degli
Hydes. Lord Arundell(794) di Wardour, Cattolico Romano, ricevè il
Sigillo Privato. Bellasyse, Cattolico Romano, fu fatto Primo Lord
del Tesoro; e Dover, altro Cattolico Romano, ebbe un posto in
quell'ufficio. La nomina di un giuocatore rovinato ad un impiego di
tanta fiducia, sarebbe sola bastata a disgustare il pubblico. Il
dissoluto Etherege, che allora dimorava in Ratisbona come inviato
del Governo inglese, non potè frenarsi dallo esprimere, con un
sarcasmo, la speranza che il suo vecchio compagno Dover avrebbe
custoditi i danari del Re meglio che i propri. Perchè le finanze non
fossero rovinate da' papisti privi di capacità ed esperienza,
l'ossequioso, diligente e taciturno Godolphin fu nominato
Commissario del Tesoro; ma seguitò a rimanere Ciamberlano della
Regina(795).
LXXXVI. La destituzione de' due fratelli forma una grande epoca
nella storia del regno di Giacomo. Da quel tempo apparve manifesto
come ciò ch'egli voleva, non fosse la libertà di coscienza pe' suoi
correligionarii, ma la libertà di perseguitare i membri delle altre
Chiese. Pretendendo di non volere Atti di Prova, egli ne aveva
imposto uno. Pensava che fosse cosa dura, cosa mostruosa, che uomini
abili e leali fossero esclusi da' pubblici uffici solo perchè erano
Cattolici Romani. E nulladimeno, aveva cacciato via un Tesoriere
ch'egli teneva leale ed abile, solo perchè era protestante.
Corse la voce, essere vicina una proscrizione generale, ed ogni
pubblico funzionario dovere eleggere fra la perdita dell'anima o
dell'impiego(796). E chi, a dir vero, avrebbe potuto sperare di
mantenersi dopo che gli Hydes erano caduti? Erano cognati del Re,
zii e tutori naturali delle sue figliuole; gli erano stati amici
fino dagli anni suoi primi, fermi seguaci nell'avversità e nel
pericolo, servi ossequiosi dopo che era asceso sul trono. Loro sola
colpa era la religione, e per essa erano stati messi da parte.
Ineffabilmente perturbato, ciascuno cominciò a volgere attorno lo
sguardo desioso di trovare scampo all'imminente pericolo; e tosto
gli occhi di tutti posaronsi sopra un uomo, il quale da un raro
concorso di doti personali e di circostanze fortuite veniva indicato
come liberatore.
CAPITOLO SETTIMO.
SOMMARIO.
I. Guglielmo principe d'Orange. Suo aspetto. - II. Sua vita
giovanile. - III. Sue opinioni teologiche. - IV. Sue doti militari.
- V. Suo amore de' pericoli; sua salute cagionevole; freddezza de'
suoi modi e forza delle sue emozioni. - VI. Sua amicizia per
Bentinck. - VII. Maria Principessa d'Orange. - VIII. Gilberto
Burnet. - IX. Mette d'accordo il Principe e la Principessa. - X
Relazioni tra Guglielmo e i Partiti inglesi. - XI. Suoi sentimenti
verso la Inghilterra, verso l'Olanda e la Francia. - XII. Coerenza
della sua politica. - XIII. Trattato d'Augusta. - XIV. Guglielmo
diviene capo della Opposizione inglese. - XV. Mordaunt propone a
Guglielmo(797)di andare in Inghilterra. - XVI. Guglielmo ricusa il
consiglio. - XVII. Malumori in Inghilterra dopo la caduta degli
Hydes. - XVIII. Conversioni al Papismo; Peterborough; Salisbury. -
XIX. Wycherley; Tindal; Haines. - XX. Dryden. - XXI. La Cerva e la
Pantera. - XXII. La Corte muta politica verso i Puritani. - XXIII.
Concede alla Scozia una certa tolleranza. - XXIV. Tenta con segrete
conferenze di corrompere gli avversari. - XXV. Non vi riesce;
l'Ammiraglio Herbert. - XXVI. Dichiarazione d'Indulgenza. - XXVII.
Umori de' Protestanti Dissenzienti. - XXVIII. Umori della Chiesa
Anglicana. - XXIX. La Corte e la Chiesa si contendono il favore de'
Puritani. - XXX. Lettera ad un Dissenziente(798). - XXXI. Condotta
dei Dissenzienti - XXXII. Alcuni di loro parteggiano per la Corte;
Care; Alsop; Rosewell; Lobb - XXXIII. Penn. - XXXIV. La maggior
parte de' Puritani si dichiarano avversi alla Corte; Baxter; Howe -
XXXV. Bunyan. - XXXVI. Kiffin - XXXVII. Il Principe e la Principessa
d'Orange si mostrano ostili alla Dichiarazione d'Indulgenza. -
XXXVIII. Loro modo di vedere intorno alla difesa de' Cattolici
Romani In Inghilterra. - XXXIX. Nimistà di Giacomo per Burnet. - XL.
Missione di Dykvelt in Inghilterra. - XLI. Negoziati di Dykvelt con
gli statisti inglesi; Danby. - XLII. Nottingham. - XLIII. Halifax;
Devonshire. - XLIV. Eduardo Russell. - XLV. Compton; Hebert;
Churchill. - XLVI. Lady Churchill e la Principessa Anna. - XLVII.
Dykvelt ritorna all'Aja, recando lettere di molti uomini cospicui
d'Inghilterra. - XLVIII. Missione di Zulestein - XLIX. La inimicizia
tra Giacomo e Guglielmo s'accresce(799) - L. Influenza della stampa
olandese - LI. Carteggio di Stewart e Fagel - LII. Ambasceria di
Castelmaine a Roma.
I. Il luogo che Guglielmo Enrico, Principe d'Orange, occupa nella
storia d'Inghilterra e in quella del genere umano, è siffattamente
grande, da far desiderare che il suo carattere venga con molta
diligenza pennelleggiato(800).
All'epoca cui richiama la presente narrazione, egli toccava l'anno
trentasettesimo dell'età sua. Ma e nel corpo e nella mente sembrava
più vecchio di quel che sogliono gli uomini di pari numero d'anni. E
veramente, potrebbe dirsi ch'egli non sia mai stato giovane. I suoi
sembianti sono a noi famigliari quasi come lo poterono essere ai
suoi capitani e consiglieri. Scultori, pittori, intagliatori, posero
ogni arte nel tramandare ai posteri le fattezze di lui; e la sua
fisionomia(801) era tale, che, vista una volta, non poteva
dimenticarsi mai più. Il suo nome ci sveglia in mente a un tratto la
immagine d'una figura debole e delicata, con ampia ed elevata
fronte, naso ricurvo ed aquilino, occhio sì lucido e acuto da
rivaleggiare con quello dell'aquila, ciglio pensoso e alquanto
tristo, bocca ferma ed alquanto sdegnosa, guance pallide, scarne, e
profondamente solcate dalla infermità e dalle cure. Un aspetto sì
pensoso, severo e solenne, mal si giudicherebbe quello d'un uomo
felice o di buon umore: ma indica manifestamente una capacità pari
alle più ardue imprese, e una fortezza che non cede a sciagure e
pericoli.
II. La natura aveva con profusione conceduto a Guglielmo le doti
d'un gran dominatore; e la educazione le aveva in modo non comune
esplicate. Dotato di vigoroso buon senso naturale, di rara forza di
volontà, trovossi, appena la sua mente cominciò a concepire, figlio
orbato di padre e di madre, capo d'una grande ma depressa e
disanimata parte, ed erede di vaste e indefinite pretese, le quali
destavano paura e avversione nella oligarchia che allora predominava
nelle Provincie Unite. Il popolo, che per un secolo s'era mostrato
teneramente affettuoso alla famiglia di Guglielmo, sempre che lo
vedeva, a chiari segni indicava di considerarlo come suo legittimo
capo. Gli abili ed esperti ministri della Repubblica, implacabili
nemici al nome di lui, recavansi quotidianamente a fargli simulati
complimenti, e ad osservare i progressi della sua mente. I primi
moti della sua ambizione vennero con istudio invigilati: ogni parola
che gli uscisse spensieratamente dal labbro, era notata, nè egli
aveva da presso alcuno del cui senno potesse fidarsi. Toccava appena
il quindicesimo degli anni suoi, allorquando tutti i famigliari che
amavano il suo bene, o godevano in alcun modo la sua fiducia, furono
dal geloso Governo rimossi dalla sua casa. Indarno ei protestò con
energia superiore alla sua età; e taluni videro più volte le lagrime
spuntare sugli occhi del giovine prigioniero di Stato. La sua
salute, naturalmente delicata, rimase qualche tempo depressa dalle
emozioni che la sua trista situazione destavagli in cuore.
Simiglianti condizioni traviano e snervano l'animo debole, ma nel
forte suscitano tutta la vigoria di cui sia capace. Circuito da
trame, nelle quali un giovane d'indole ordinaria sarebbe perito,
Guglielmo imparò a procedere cauto e fermo ad un tempo. Assai prima
ch'ei giungesse alla virilità, sapeva il modo di mantenere un
secreto, frustrare l'altrui curiosità con secche e caute risposte,
nascondere le passioni sotto l'apparenza di una grave tranquillità.
Intanto ei progrediva poco nella educazione letteraria e socievole.
I modi de' nobili in Olanda difettavano, a quei tempi, di quella
grazia che trovavasi in grado perfettissimo ne' gentiluomini
francesi, e che, in grado inferiore, adornava la Corte
d'Inghilterra; e i modi di Guglielmo erano prettamente olandesi. Gli
stessi suoi concittadini lo reputavano brusco. Ai forestieri spesso
ei sembrava grossolano. Nelle sue relazioni colle persone in
generale, ci pareva ignorante o non curante di quelle arti che
accrescono il pregio d'un favore, e scemano l'amarezza d'un rifiuto.
Amava poco le lettere e le scienze. I trovati di Newton e di
Leibnizio, i poemi di Dryden e di Boileau gli erano ignoti. Le
rappresentazioni drammatiche lo annoiavano; e sia che Oreste
vaneggiasse o Tartuffo stringesse la mano d'Elmira, ei volgeva gli
occhi dal proscenio per parlare d'affari di Stato. Aveva, a dir
vero, un certo ingegno pel sarcasmo, e non di rado adoperava, senza
saperlo, una certa eloquenza manierata, ma vigorosa ed originale.
Nulladimeno, non pretendeva minimamente a mostrarsi ciò che dicesi
bello spirito ed oratore. Aveva intera rivolta la mente a quelli
studi che formano i valorosi e sagaci uomini di affari. Fino da
fanciullo ascoltava con interesse le discussioni concernenti leghe,
finanze e guerre. Di geometria sapeva quanto bisogna alla
costruzione di un rivellino o di un'opera a corno. Di lingue, con
l'aiuto d'una singolare memoria, imparò tanto da potere intendere e
rispondere senza altrui sussidio ad ogni cosa che gli venisse detta,
ad ogni lettera che gli fosse scritta. Il suo idioma natio era
l'olandese. Intendeva il latino, l'italiano e lo spagnuolo. Parlava
e scriveva il francese, lo inglese e il tedesco, inelegantemente, a
dir vero, ed inesattamente, ma con facilità e in guisa da farsi
intendere. Non v'erano qualità che potessero essere più proprie ad
un uomo destinato ad organizzare grandi alleanze, ed a comandare
eserciti, raccolti da diversi paesi.
III. Le circostanze lo avevano costretto ad intendere ad una specie
di questioni filosofiche, le quali, a quanto sembra, lo
interessarono più di quel che fosse da aspettarsi dall'indole sua.
Fra' protestanti dell'isola nostra, erano due grandi partiti
religiosi, che quasi esattamente coincidevano coi due grandi partiti
politici. I capi della oligarchia municipale erano Arminiani,
comunemente dalla moltitudine considerati poco migliori de' papisti.
I principi d'Orange erano quasi sempre stati i protettori del
Calvinismo, ed andavano debitori di non piccola parte della
popolarità loro allo zelo da essi mostrato per le dottrine della
elezione e della perseveranza finale; zelo non sempre illuminato
dalla scienza o temperato dall'umanità. Guglielmo, fin da fanciullo,
era stato diligentemente erudito nel sistema teologico al quale la
sua famiglia aderiva, e prediligevalo con parzialità maggiore di
quella che gli uomini generalmente sentono per una fede ereditaria.
Aveva meditato intorno ai grandi enimmi ch'erano stati discussi nel
Sinodo di Dort, ed aveva trovato nella austera ed inflessibile
logica della Scuola Ginevrina qualche cosa che armonizzava con lo
intelletto e l'indole suoi. Certo, egli non imitò mai la
intolleranza di cui avevano porto esempio alcuni de' suoi antenati.
Abborriva da ogni specie di persecuzione: aborrimento ch'egli
confessò non solo quando il confessarlo era manifestamente atto
politico, ma in parecchi casi in cui sembrava che la simulazione o
il silenzio dovessero maggiormente giovargli. Nondimeno le sue
opinioni teologiche erano più definite di quelle degli avi suoi. La
dottrina della predestinazione egli teneva come pietra angolare
della sua religione; e dichiarò più volte, che ove fosse costretto
ad abbandonarla, avrebbe con essa perduto ogni fede nella Divina
Provvidenza, e sarebbe divenuto un pretto epicureo. Tranne in questo
solo caso, fino dai suoi primi anni egli rivolse tutta la vigoria
del suo robusto intelletto dalla speculazione alla pratica. I
requisiti necessari a condurre importanti affari, in lui erano
maturi in un'epoca della vita, nella quale per la più parte degli
uomini appena cominciano a fiorire. Da Ottavio in poi, il mondo non
aveva mai veduto altro esempio di precocità nell'arte di governare.
I più esperti diplomatici rimanevano attoniti udendo le osservazioni
che a diciassette anni il Principe faceva sugli affari di Stato, ed
anche più attoniti vedendo un giovinetto, posto in circostanze tali
da farlo apparire passionato, mostrare un contegno composto e
imperturbabile al pari del loro. A diciotto anni egli sedeva fra'
padri della repubblica, grave, discreto e giudizioso, come il più
vecchio di loro. A ventun anno, in un giorno di tristezza e di
terrore, ei fu posto a capo del Governo. A ventitrè anni godeva per
tutta la Europa rinomanza di soldato e d'uomo politico. Aveva
schiacciate le fazioni domestiche; era l'anima d'una potente
coalizione, ed aveva pugnato onorevolmente in campo contro alcuni
de' più grandi generali di quel tempo.
IV. Per inclinazione di natura era più guerriero che uomo di Stato;
ma, a somiglianza dell'avo, il tacito Principe che fondò la
Repubblica Batava, egli tiene un posto più elevato fra gli uomini di
Stato che fra' guerrieri. Veramente l'esito delle battaglie non è
prova infallibile dello ingegno d'un capitano; e sarebbe cosa
singolarmente ingiusta giudicare con siffatta prova Guglielmo;
imperocchè gli toccò sempre di combattere con capitani, profondi
maestri dell'arte militare, e con milizie per disciplina molto
superiori alle sue. Nulladimeno abbiamo ragione di credere che egli
non pareggiasse punto, come generale nel campo, alcuni che per doti
intellettuali erano a lui molto inferiori. Ai suoi familiari ei
ragionava sopra tale subietto con la magnanima franchezza d'uomo che
aveva fatto grandi cose, e che poteva confessare i propri difetti.
Diceva di non aver fatto mai il necessario tirocinio dell'arte
militare. Da fanciullo era stato preposto a capo di un'armata. Fra i
suoi ufficiali non era alcuno che potesse ammaestrarlo. Solo i
propri errori e le conseguenze loro gli avevano servito di scuola.
"Darei volentieri" esclamò un giorno "buona parte delle mie
possessioni pel vantaggio di aver militato in poche campagne sotto
il Principe di Condé, prima che avessi comandato un esercito contro
lui." Non è improbabile che l'ostacolo onde Guglielmo fu impedito di
conseguire eccellenza nella strategica, contribuisse a rinvigorirgli
lo intelletto. Le sue battaglie non lo mostrano un gran tattico, ma
gli dànno diritto alla rinomanza di grand'uomo. Non v'era disastro
che gli potesse far perdere la fermezza o lo impero della propria
mente. Rimediava alle proprie sconfitte con celerità talmente
maravigliosa, che avanti che gl'inimici cantassero il Te Deum, era
nuovamente pronto al conflitto; nè l'avversa fortuna gli fece mai
perdere il rispetto e la fiducia de' soldati; fiducia e rispetto
ch'egli massimamente doveva al proprio coraggio. La più parte degli
uomini hanno o con la educazione possono acquistare il coraggio di
cui un soldato ha mestieri per condursi senza infamia in una
campagna; ma un coraggio simile a quello di Guglielmo, è veramente
raro. Egli sostenne ogni prova; guerre, ferite, penose ed opprimenti
infermità, fortune di mare, imminente e continuo pericolo d'essere
assassinato; pericolo che ha prostrato uomini di vigorosissima
tempra; pericolo che angosciò fortemente il carattere adamantino di
Cromwell. Eppure non vi fu occhio che potesse scoprire qual fosse la
cosa che il Principe d'Orange temeva. I suoi consiglieri con
difficoltà lo potevano indurre a munirsi contro le pistole e i
pugnali de' cospiratori(802). I vecchi marinari maravigliavano
vedendo la compostezza ch'egli serbava fra mezzo agli ardui scogli
d'un pericoloso littorale. Nelle battaglie il suo valore lo rendeva
cospicuo fra le migliaia di strenui guerrieri, meritavagli il plauso
degl'inimici, e non veniva mai posto in dubbio nè anche dalle
avverse fazioni. Nella sua prima campagna si espose al pericolo come
uomo che cerchi la morte, fu sempre primo allo assalto ed ultimo
alla ritirata, combattè con la spada in pugno dove più ferveva la
mischia; e con una palla d'archibugio fitta nel braccio e col sangue
che gli scorreva giù per la corazza, rimase fermo al suo posto,
agitando il cappello sotto il fuoco più vivo. Gli amici lo pregavano
di avere più cura della propria vita, che era di inestimabile prezzo
alla salute della patria; e il più illustre de' suoi antagonisti, il
Principe di Condé, notò, dopo la sanguinosa giornata di Seneff, come
il Principe d'Orange in ogni cosa si fosse portato da vecchio
generale, tranne nello avere esposto sè stesso al pericolo come un
giovine soldato. Guglielmo negò d'essere reo di temerità, dicendo
ch'era sempre rimaso nel posto del pericolo, mosso dal sentimento
del proprio dovere e dal pensiero del bene pubblico. Le milizie da
lui comandate erano poco assuefatte alla guerra, ed aborrivano da
uno stretto scontro colle agguerrite soldatesche di Francia. Era
quindi mestieri che il loro capitano mostrasse il modo di vincere le
battaglie. E veramente, più d'una volta al pericolo d'una giornata
che pareva disperatamente perduta, ei riparò arditamente riordinando
le sgominate schiere, e tagliando con la propria spada i codardi che
davano lo esempio della fuga. Alcuna volta, nondimeno, e' pareva che
sentisse uno strano compiacimento nell'arrisicare la propria
persona. Taluni notarono che non si mostrò mai di così allegro
umore, di modi così graziosi ed affabili, come fra mezzo al tumulto
od alla strage d'una battaglia. Perfino ne' sollazzi amava lo
eccitamento del pericolo. Le carte, gli scacchi, il biliardo non gli
andavano punto a sangue. La caccia era la prediletta delle sue
ricreazioni; e tanto maggiormente piacevagli, quanto era più
rischiosa. Talvolta spiccava tali salti, che i più audaci de' suoi
compagni non osavano seguirlo. Sembra anche ch'egli reputasse come
esercizi effeminati le più difficili cacce dell'Inghilterra, e fra
mezzo alle immense foreste di Windsor con doloroso desio ripensasse
alle belve che egli aveva costume di inseguire ne' boschi di
Guelders, ai lupi, ai cignali, ai grossi cervi dall'enormi
corna(803).
V. Cotesta impetuosità d'anima diventa straordinario fenomeno, solo
che si consideri come egli fosse singolarmente delicato di corpo.
Fino da fanciullo egli era stato debole e malaticcio. In sulla
virilità la sua salute erasi intristita per un forte accesso di
vajolo. Era asmatico, e pareva volesse andare in consunzione. La sua
gracile persona era travagliata da una continua tosse secca. Ei non
poteva dormire se non appoggiando il capo sopra parecchi guanciali,
e non poteva trarre il respiro se non nell'aria più pura. Spesso era
torturato da crudeli dolori al capo; tosto stancavasi al moto. I
medici mantenevano ognora deste le speranze de' suoi nemici,
predicendo l'epoca in cui, se pure v'era certezza alcuna nella
scienza, avrebbe cessato di vivere. Nonostante, in una vita che
poteva dirsi una continua malattia, la forza dell'anima non gli
fallì mai, in ogni grave occasione, a sostenere il suo infermo e
languido corpo.
Era nato con violente passioni e con gagliardo sentire; ma la forza
delle sue emozioni non era minimamente da altri sospettata. Agli
occhi del mondo ei nascondeva la gioia, il dolore, l'affezione, il
risentimento sotto il velo d'una calma flemmatica, che lo faceva
reputare il più freddo degli uomini. Coloro che gli recavano buone
nuove, rade volte potevano in lui scoprire il più lieve segno di
contento. Chi lo vedeva dopo una disfatta, in vano cercava di
leggergli in volto il dispiacere dell'animo. Lodava e riprendeva,
premiava e puniva con l'austera tranquillità d'un capitano di
Mohawk; ma coloro che bene lo conoscevano e gli stavano da presso
sapevano pur troppo che sotto cotesto ghiaccio ardeva perpetuamente
un gran fuoco. Rade volte l'ira gli faceva perdere il contegno. Ma
quando davvero lo invadeva la rabbia, il primo scoppio ne era
tremendo, si che altri appena reputavasi sicuro a farglisi da
presso. In simiglianti rari casi, nulladimeno, appena riacquistava
lo impero delle proprie facoltà, faceva tali riparazioni a coloro
che ne avevano patito il danno, da tentarli a desiderare ch'egli
andasse nuovamente in collera. Nell'affetto procedeva impetuoso come
nell'ira. Amando, egli amava con tutta la vigoria della sua
vigorosissima anima. Quando la morte lo privava dell'oggetto amato,
que' pochi che erano testimoni del suo strazio, temevano non volesse
perdere il senno o la vita. A' pochi intimi amici, nella cui fedeltà
e secretezza ei poteva onninamente riposare, era un uomo ben diverso
dal riserbato e stoico Guglielmo, che la moltitudine supponeva privo
d'ogni mite sentimento. Era cortese, cordiale, aperto, ed anche
festevole e faceto, da rimanere a mensa lunghe ore, ed abbandonarsi
all'allegria del conversare.
VI. Fra tutti i suoi più cari, ei prediligeva singolarmente un
gentiluomo chiamato Bentinck, discendente da una nobile famiglia
batava, e destinato ad essere fondatore d'una delle maggiori case
patrizie dell'Inghilterra. La fedeltà di Bentinck era stata
sottoposta a prove non comuni. Mentre le Provincia Unite lottavano a
difendere la propria esistenza contro la potenza francese, il
giovine Principe, nel quale erano poste tutte le loro speranze,
infermò di vajuolo. Tal malattia era stata fatale a parecchi della
sua famiglia; e quanto a lui, in sulle prime si manifestò
peculiarmente maligna. Grande era la costernazione pubblica. Le
strade dell'Aja erano affollate da mane a sera di gente ansiosa di
sapere le nuove di Sua Altezza. Infine il male prese un corso meno
sinistro. La salvezza dello infermo fu attribuita in parte alla sua
singolare tranquillità di spirito, e in parte alla intrepida e
instancabile amicizia di Bentinck. Dalle sole mani di Bentinck
Guglielmo prendeva i farmachi e il nutrimento. Il solo Bentinck era
colui che alzava Guglielmo da letto e ve lo riponeva. "Se Bentinck
dormisse o non dormisse mai nel tempo ch'io giacqui infermo" diceva
Guglielmo grandemente intenerito a Temple; "non so. Ma questo io so,
che per sedici giorni e sedici notti, non chiesi mai cosa alcuna che
Bentinck all'istante non fosse accanto al mio letto." Innanzi che
questo amico fedele finisse di prestare i propri servigi, fu preso
dal contagio. Non pertanto, ei non curò la febbre e lo stordimento
del capo ond'era travagliato, finchè il suo signore fu dichiarato
convalescente. Allora Bentinck chiese d'andare a casa; e ne era
tempo, imperocchè non poteva più sostenersi sulle proprie gambe.
Corse gravissimo pericolo, ma risanò; e non appena si senti in forze
da sorgere dal letto, corse all'armata, dove per molte ardue
campagne fu sempre veduto da presso a Guglielmo, come vi era già
stato in pericoli di altra specie.
È questa la origine d'una amicizia fervida e pura più di qualunque
altra di cui faccia ricordo la storia antica o la moderna. I
discendenti di Bentinck serbano tuttavia molle lettere da Guglielmo
scritte al loro antenato; e non è troppo il dire che chiunque non le
abbia studiate, non potrà mai formarsi una giusta idea dell'indole
del Principe. Egli, che i suoi ammiratori generalmente reputavano il
più freddo e inaffabile degli uomini, in coteste lettere dimentica
ogni distinzione di grado, ed apre l'anima sua con la ingenuità d'un
fanciullo. Partecipa senza riserbo arcani di gravissimo momento.
Palesa con tutta semplicità vasti disegni concernenti tutti i
governi europei. Miste a siffatte cose trovansi altre d'assai
diversa natura, ma forse di non minore interesse. Tutte le sue
avventure, i suoi sentimenti, le sue lunghe corse ad inseguire un
enorme cervo, il suo folleggiare nella festa di Santo Uberto, il
vegetare delle sue piantagioni, i suoi poponi andati a male, in che
condizione sono i suoi cavalli, il desiderio ch'egli ha di trovare
un buon palafreno per la sua moglie; il suo dispiacere udendo che un
suo famigliare dopo d'avere rapito l'onore ad una fanciulla di buona
famiglia, ricusi di sposarla; il suo mal di mare, la sua tosse, il
suo mal di capo, i suoi accessi di divozione, la gratitudine ch'egli
sente per la divina Provvidenza che lo ha scampato da un grave
pericolo, gli sforzi ch'egli fa a sottoporsi alla volontà divina
dopo un disastro: queste e simiglianti cose ivi sono descritte con
una amabile garrulità, tale da non aspettarsi dal più discreto e
calmo uomo di Stato de' tempi suoi. Va anche maggiormente notata la
spensierata espansione della sua tenerezza, e il fraterno interesse
ch'egli prende nella domestica felicità dell'amico. Se nasce un
figlio a Bentinck, Guglielmo gli dice: "Io spero ch'egli viva, per
essere buono come voi; ed ove io abbia un figliuolo, le nostre
creature si ameranno, lo spero, come ci siamo amati noi(804)." Per
tutta la vita egli seguita ad amare i piccoli Bentinck con affetto
paterno. Gli chiama coi più cari nomi; nell'assenza del padre prende
cura di loro; e quantunque gli rincresca di rifiutare loro cosa
alcuna, non permette che vadano alla caccia, dove potrebbero correre
il pericolo di ricevere un colpo di corno dal cervo inseguito, o
abbandonarsi alle intemperanze d'una gozzoviglia(805). Se la loro
madre si ammala nell'assenza del marito, Guglielmo, fra mezzo ad
affari di gravissimo momento, trova il tempo di spedire parecchi
corrieri in un giorno per recargli notizie della salute di lei(806).
Una volta, come essa dopo una grave infermità è dichiarata fuori di
pericolo, il Principe con fervidissime espressioni rende grazie a
Dio: "Io scrivo lacrimando di gioia" dice egli(807). Serpe una
singolare magia in coteste lettere, scritte da un uomo, la cui
irresistibile energia ed inflessibile fermezza imponevano riverenza
ai nemici, il cui freddo e poco grazioso contegno respingeva
l'affetto di quasi tutti i partigiani, e la cui mente era occupata
da giganteschi disegni che hanno cangiata la faccia del mondo.
E tanto affetto non era mal collocato. Bentinck allora fu detto da
Temple il migliore e più sincero ministro che alcun principe abbia
mai avuta la fortuna di possedere, e continuò per tutta la vita a
meritarsi un nome tanto onorevole. I due amici veramente erano fatti
l'uno per l'altro. Guglielmo non aveva mestieri di chi lo dirigesse
o lo lusingasse. Avendo ferma e giusta fiducia nel proprio giudizio,
non amava i consiglieri che inclinavano molto a suggerire o ad
obiettare. Nel tempo stesso, aveva discernimento ed altezza di mente
bastevoli a sdegnare l'adulazione. Il confidente di un tal principe
doveva essere uomo non di genio inventivo, o di predominante
carattere, ma valoroso e fedele, capace d'eseguire puntualmente gli
ordini ricevuti, di serbare inviolabilmente il secreto, di notare
con occhio vigilante i fatti e riferirli con verità: e tale era
Bentinck.
VII. Guglielmo nel matrimonio non fu meno fortunato che
nell'amicizia. Nulladimeno, il matrimonio in sulle prime non parve
dovere essergli fonte di felicità domestica. A quel parentado egli
era stato indotto principalmente da cagioni politiche; nè sembrava
probabile che alcuna forte affezione dovesse nascere tra una
avvenente fanciulla di sedici anni, di buona indole e intelligente,
ma ignorante e semplice; ed uno sposo, il quale, comecchè non
giungesse ai ventotto anni, era per costituzione più vecchio del
padre di lei, ed aveva modi agghiaccianti, e tenea di continuo la
mente occupata d'affari pubblici e di cacce. Per qualche tempo
Guglielmo fu marito negligente. Fu strappato alle braccia della
moglie da altre donne, e in ispecie da Elisabetta Villiers(808), che
era una delle dame di lei, e che quantunque fosse priva di
attrattive personali e sfigurata da un occhio guercio, aveva ingegno
tale da rendersi gradevole a Guglielmo(809). Per vero dire, egli
vergognavasi de' propri falli, e con ogni studio cercava
nasconderli; ma, non ostanti tutte le sue cautele, Maria bene
conosceva la infedeltà del marito. Spie e delatori, istigati dal
padre di lei, fecero ogni sforzo per infiammarla all'ira. Un uomo di
assai diverso carattere, l'ottimo Ken, il quale fu suo cappellano
all'Aja per parecchi mesi, prese tanto fuoco vedendo i torti che
ella soffriva, che con più zelo che giudizio minacciò di
rimproverare severamente lo infido marito(810). Ella, non pertanto,
sosteneva le proprie ingiurie con tanta mansuetudine e pazienza, che
meritò e, a poco a poco, ottenne la stima e la gratitudine di
Guglielmo. Rimaneva nondimeno un'altra cagione che teneva divisi i
loro cuori. Poteva probabilmente giungere il giorno, in cui la
Principessa, la quale era stata educata solo a ricamare, leggere la
Bibbia e i Doveri dell'Uomo, diverrebbe sovrana d'un gran Regno,
terrebbe la bilancia della politica europea; mentre lo sposo di lei,
ambizioso, esperto de' pubblici negozi e inchinevole alle grandi
intraprese, non troverebbe nel Governo d'Inghilterra luogo a sè
convenevole, e avrebbe potere quale e quanto e finchè a lei piacesse
concedergliene. Non è strano che un uomo come Guglielmo, amante
dell'autorità e conscio del proprio genio a comandare, sentisse
fortemente quella gelosia, la quale in poche ore di sovranità pose
la dissensione tra Guildford Dudley e Lady Giovanna, e produsse una
rottura anche più tragica fra Darnley e la Regina di Scozia. La
Principessa d'Orange non aveva il più lieve sospetto de' pensieri
del marito. Il vescovo Compton, suo istitutore, con gran cura
l'aveva erudita nelle cose di religione, insegnandole specialmente a
guardarsi dalle arti de' teologi cattolici romani; ma l'aveva
lasciata profondamente ignara della sua posizione e della
Costituzione inglese. Ella sapeva che, per dovere conjugale, era
tenuta ad obbedire al proprio sposo; e non le era mai venuto in
mente come la relazione in cui stavano entrambi potesse essere
invertita. Nove anni erano corsi di matrimonio innanzi ch'ella
sapesse la cagione del malcontento di Guglielmo; nè l'avrebbe mai
saputa da lui. Generalmente, ei per natura inchinava più presto a
chiudere in cuore che a sfogare i propri dolori; ed in cotesta
peculiare occasione le sue labbra rendeva mute una ragionevole
delicatezza. In fine, per mezzo di Gilberto Burnet, i due coniugi,
avuta una spiegazione, pienamente riconciliaronsi.
VIII. La fama di Burnet è stata assalita con singolare malizia e
pertinacia. Tali aggressioni cominciarono fino dai suoi primi anni,
e continuano tuttavia con non minore virulenza, comecchè egli da
cento venticinque e più anni riposi sotterra. Veramente, egli è il
bersaglio più adatto che l'animosità delle fazioni e gli spiriti
petulanti possano mai desiderare; imperciocchè i suoi difetti
d'intendimento e d'indole sono così visibili, che facile è a ognuno
il notarli. Non erano quei difetti che ordinariamente si reputano
comuni a tutti i suoi concittadini. Solo fra tutti i non pochi
Scozzesi che si sono inalzati a grandezza e prosperità in
Inghilterra, egli aveva quel carattere che gli scrittori satirici, i
drammatici, i romanzieri sogliono concordemente ascrivere ai
venturieri irlandesi. Gli spiriti animali, le millanterie, la
vanità, la propensione a spropositare, la provocante indiscretezza,
la indomita audacia di lui apprestavano inesauribile materia agli
scherni de' Tory. Nè i suoi nemici trascuravano di complirlo
talvolta, più con piacenteria che con delicatezza, per la spaziosità
delle sue spalle, la grossezza delle sue gambe, il buon successo de'
suoi disegni matrimoniali con qualche amorosa e ricca vedova. Ciò
non ostante, Burnet, benchè per molti rispetti fosse subietto di
scherno ed anche di grave riprensione, non era uomo spregevole.
Aveva vivissima intelligenza, instancabile industria, vasta e
svariata dottrina. Era, a un sol tempo, storico, antiquario,
teologo, predicatore, articolista, disputatore ed operoso capo
politico; e in ciascuna di coteste cose emergeva cospicuo fra' suoi
competitori. I molti vivaci e brevissimi scritti ch'egli pubblicò
sopra i fatti di que' tempi, oggimai son noti solo agli amatori di
curiosità letterarie; ma la Storia de' suoi Tempi, la Storia della
Riforma, la Esposizione degli Articoli, il Discorso de' Doveri d'un
Pastore, la Vita di Hale, la Vita di Wilmot, vengono anche a' dì
nostri ristampati, nè vi è buona biblioteca privata che non gli
abbia ne' suoi scaffali. Contro questi argomenti tutti gli sforzi
dei detrattori riescono vani. Uno scrittore, le cui opere voluminose
in diversi rami della letteratura, trovano numerosi lettori cento
trenta anni dopo la sua morte, può avere avuto grandi difetti, ma è
mestieri che abbia anche avuto meriti grandi; e Burnet aveva grandi
meriti, cioè fecondo e vigoroso intelletto e stile, ancorchè ben
lontano dalla intemerata purità del bello scrivere, sempre chiaro,
spesso vivace, e talvolta inalzantesi fino alla solenne e calorosa
eloquenza. Nel pulpito, lo effetto de' suoi discorsi, ch'egli
recitava senza sussidio di manoscritto, era accresciuto dalla
nobiltà della sua persona, e da un modo patetico di porgere. Spesso
veniva interrotto dal profondo fremito del suo uditorio; e quando,
dopo d'avere predicato tanto che fosse trascorsa l'ora dell'oriuolo
a polvere - che a que' giorni era parte degli ordegni del pulpito, -
egli lo prendeva in mano, la congrega clamorosamente lo incoraggiava
a seguitare finchè la polvere non fosse passata di nuovo(811). Sì
nel suo carattere morale, che nello intellettuale, i grandi difetti
erano più che compensati da grandi meriti. Tuttochè spesso fosse
traviato dai pregiudizi e dalla passione, era uomo onesto per
eccellenza. Tuttochè non sapesse resistere alle seduzioni della
vanità, aveva spirito superiore ad ogni influenza di cupidigia o
timore. Era, per indole, cortese, generoso, grato,
compassionevole(812). Il suo zelo religioso, comunque fermo ed
ardente, era per lo più temperato d'umanità, e di rispetto pei
diritti della coscienza. Vigorosamente aderendo a quello ch'egli
credeva spirito del Cristianesimo, considerava con indifferenza i
riti, i nomi e le forme dell'ordinamento della Chiesa; e non era
punto inchinevole ad essere severo anche con gl'infedeli e gli
eretici la cui vita fosse pura, e i cui errori sembrassero più
presto effetto d'intelligenza pervertita, che di cuore depravato;
ma, al pari di molti dabbene uomini di quella età, considerava il
caso della Chiesa di Roma come una eccezione a tutte le regole
ordinarie.
Burnet, per alcuni anni, ebbe rinomanza europea. La sua Storia della
Riforma era stata accolta con istrepitosi applausi da tutti i
Protestanti, mentre i Cattolici Romani l'avevano giudicata come un
colpo mortale inflitto alla loro credenza. Il più grande dottore che
la Chiesa di Roma abbia mai avuto dopo lo scisma del secolo
decimosesto, voglio dire Bossuet vescovo di Meaux, tolse lo incarico
di farne una elaborata confutazione. Burnet era stato onorato con un
voto di ringraziamento da uno de' più zelanti Parlamenti del tempo
in cui ferveva la concitazione della Congiura Papale, ed era stato
esortato, a nome della Camera de' Comuni d'Inghilterra, a seguitare
i suoi studi storici. Era stato ammesso alla familiarità di Carlo e
di Giacomo, era vissuto in intimità con parecchi egregi uomini di
Stato, segnatamente con Halifax, ed era stato direttore spirituale
di molti grandi personaggi. Aveva redento dallo ateismo e dalla
licenza Giovanni Wilmot, Conte di Rochester, ch'era uno de' più
splendidi libertini di quel secolo. Lord Stafford, vittima di Oates,
comunque Cattolico Romano, aveva, nelle ore estreme di sua vita,
ricevuto il conforto delle esortazioni di Burnet intorno a que'
punti di dottrina sui quali tutti i cristiani concordano. Pochi anni
dopo, un'altra vittima più illustre, cioè Lord Russell(813), era
stata accompagnata da Burnet dalla Torre al patibolo in Lincoln's
Inn Fields. La Corte non aveva trascurato mezzo alcuno per trarre a
sè un teologo cotanto profondo ed operoso. Non vi fu cosa che non
tentasse, regie blandizie e promesse di alte dignità; ma Burnet,
quantunque fino dalla giovinezza fosse imbevuto delle servili
dottrine che erano in quel tempo comuni al clero, era divenuto Whig
per convinzione; e traverso a tutte le vicissitudini, fermamente
aderiva ai propri principii. Nondimeno, ei non fu partecipe di
quella congiura che recò tanto disonore e calamità al partito Whig,
e non solo aborriva dai disegni d'assassinio concepiti da
Goodenough, e da Ferguson, ma opinava che anche il suo diletto ed
onorato amico Russell(814) si fosse spinto troppo oltre contro il
Governo. Finalmente arrivò tempo in cui la stessa innocenza non era
arra di sicurezza. Burnet, comecchè non fosse reo di nessuna
trasgressione della legge, fu fatto segno alla vendetta della Corte.
Si rifugiò nel Continente, e dopo d'avere speso un anno a viaggiare
la Svizzera, l'Italia e la Germania - viaggi de' quali egli ci ha
lasciata una piacevole descrizione, - nella state del 1686 giunse
all'Aia, e vi fu accolto con cortesia e riverenza. Conversò più
volte e liberamente con la Principessa intorno alle cose politiche e
religiose, e tosto le divenne direttore spirituale e confidente.
Guglielmo gli usò ospitalità più graziosa di quel che si potesse
sperare. Imperciocchè, fra tutti i difetti umani, quei che più
l'offendevano, erano l'officiosità e l'indiscretezza; e Burnet, a
confessione anche de' suoi amici e ammiratori, era il più officioso
e indiscreto degli uomini. Ma il savio Principe s'accôrse che quel
petulante e ciarliero teologo, il quale sempre cicalava di secreti,
faceva impertinenti domande, sciorinava consigli non richiesti, era,
nonostante, uomo retto, animoso, esperto, e ben conosceva gli umori
e i disegni delle sètte e delle fazioni inglesi. Burnet aveva gran
fama d'uomo eloquente e dotto. Guglielmo non era uomo erudito; ma da
molti anni era stato capo del Governo Olandese in un tempo, in cui
la stampa olandese era una delle macchine più formidabili che
muovessero l'opinione pubblica dell'Europa; e benchè egli non
gustasse i piaceri delle lettere, era savio ed osservatore tanto, da
pregiare l'utilità dello aiuto de' letterati. Sapeva bene che un
libercolo popolare talvolta poteva tornare proficuo al pari d'una
vittoria riportata in campo. Sentiva parimente la importanza di
avere sempre da presso alcun uomo ben esperto nell'ordinamento
politico ed ecclesiastico dell'isola nostra; e Burnet aveva in sommo
grado i requisiti ad essere un dizionario vivente delle cose
inglesi, perocchè le sue cognizioni, quantunque non sempre accurate,
erano immensamente vaste; e sì in Inghilterra che in Iscozia, pochi
erano gli uomini insigni di qual si fosse partito politico o
religioso, co' quali egli non avesse conversato. Per le quali cose
ottenne tanta parte di favore e di fiducia, quanta ne era concessa
solo a coloro che formavano il piccolo nucleo intimo de' privati
amici del Principe. Quando il dottore si prendeva qualche libertà,
il che non rade volte avveniva, il suo protettore diventava oltre
l'usato freddo e severo, e tal fiata gli usciva dalle labbra qualche
pungente sarcasmo che avrebbe fatto ammutolire chiunque. Tranne in
cotesti casi, nondimeno, l'amicizia tra questi due uomini singolari
durò, con qualche temporanea interruzione, fino alla morte. Certo,
e' non era agevole ferire la sensibilità di Burnet. La compiacenza
ch'egli provava di sè, gli spiriti animali, la mancanza di tatto in
lui erano tali, che quantunque spesso offendesse altri, giammai egli
ne rimaneva offeso.
IX. Per cosiffatto carattere, egli aveva i requisiti necessari ad
essere paciere tra Guglielmo e Maria. Ogni qualvolta coloro che
dovrebbero vicendevolmente stimarsi ed amarsi, si trovano per
avventura divisi, come spesso accade, per qualche differenza che
sole poche parole franche e chiare basterebbero a comporre, debbono
riputarsi bene avventurati ove abbiano un indiscreto amico che
palesi intera la verità. Burnet, senza andirivieni, rivelò alla
Principessa il pensiero che turbava la mente del suo consorte. E fu
quella la prima volta in cui ella seppe, non senza grandemente
maravigliarne, come diventando Regina d'Inghilterra, Guglielmo non
dovesse secolei sedere sul trono. Dichiarò quindi caldamente d'esser
pronta a porgere qual si fosse prova di sommessione e d'affetto
conjugale. Burnet, assicurando e giurando di non parlare per
suggerimento altrui, disse in lei sola stare intero il rimedio. Ella
poteva di leggieri, appena assunta la Corona, indurre il Parlamento
non solo a concedere al marito il titolo di Re, ma con un atto
legislativo in lui trasferire il Governo dello Stato. "Ma Vostra
Altezza Reale" aggiunse egli "dovrebbe, innanzi di parlare,
maturamente considerare la cosa; imperocchè egli è un passo, che una
volta fatto, non potrebbe facilmente e senza pericolo disfarsi." -
"Non ho bisogno di tempo alcuno a considerare ciò ch'io fo" rispose
Maria. "A me basta di cogliere questa occasione per mostrare il mio
rispetto pel Principe. Riportategli ciò ch'io vi dico; e conducetelo
a me, perchè egli possa udirlo ripetere dal mio labbro stesso."
Burnet andò in traccia di Guglielmo; ma Guglielmo trovavasi molte
miglia lontano a dar la caccia ad un cervo. E' non fu se non il
giorno susseguente, che ebbe luogo il colloquio fra' due conjugi.
"Non avevo mai saputo fino a ieri" disse Maria "che vi fosse tale
differenza tra le leggi dell'Inghilterra e quelle di Dio. Ma adesso
vi prometto che voi sarete colui che governerà sempre; e in
ricambio, questo solo vi chiedo, che come io osserverò il divino
comandamento, il quale vuole che le mogli obbediscano ai mariti, voi
osserviate l'altro che ingiunge ai mariti d'amare le proprie mogli."
Tanta generosità d'affetto, pienamente conquise il cuore di
Guglielmo. Da quel tempo fino al di funesto in cui egli fu
trasportato convulso lungi da lei che giaceva sul letto di morte,
fra loro fu sempre vera amicizia e piena confidenza. Esistono ancora
molte delle lettere che ella gli scrisse, e porgono numerosi
argomenti come a questo uomo così inamabile, quale sembrava agli
occhi del pubblico, fosse riuscito d'ispirare ad una bella e
virtuosa donna, a lui superiore per nascita, una passione che era
quasi idolatria.
Il servigio in tal guisa reso da Burnet alla propria patria, era di
sommo momento, perocchè era giunto il tempo in cui molto importava
alla pubblica salvezza che il Principe e la Principessa fossero
pienamente concordi.
X. Fino dal tempo in cui fu spenta la insurrezione delle Contrade
Occidentali, gravi cagioni di dissenso avevano scisso Guglielmo dai
Whig e dai Tory. Aveva con rincrescimento veduti i tentativi fatti
da' Whig a privare il Governo di certi poteri ch'egli riputava
necessari alla efficacia e dignità di quello. Aveva con molto
maggiore rincrescimento veduto il modo onde molti di loro s'erano
contenuti verso le pretensioni di Monmouth(815). E' pareva che
l'opposizione volesse avvilire la Corona d'Inghilterra, e porla sul
capo di un bastardo e di un impostore. Nel tempo stesso, il sistema
religioso del Principe grandemente differiva da ciò che formava il
segno distintivo della credenza de' Tory. Costoro erano tutti
Arminiani e Prelatisti; spregiavano le Chiese protestanti del
continente, e consideravano ogni rigo della loro liturgia e rubrica
sacro quasi al pari del vangelo. Le sue opinioni concernenti la
metafisica della teologia, erano calviniste: le sue opinioni
rispetto all'ordinamento e ai modi del culto, erano larghe.
Ammetteva lo episcopato essere una forma legittima e convenevole di
governo ecclesiastico; ma parlava con parole acri e sprezzanti della
bacchettoneria di coloro i quali giudicavano la ordinazione de'
vescovi essenziale alla società cristiana. Non aveva punto scrupolo
intorno ai vestimenti e ai gesti prescritti dal libro della
Preghiera Comune; ma confessava che i riti della Chiesa Anglicana
sarebbero migliori se più si allontanassero da' riti della Chiesa di
Roma. Era stato udito mormorare con segni di cattivo augurio,
allorquando nella cappella privata della sua moglie ei vide un
altare acconcio secondo il rito anglicano, e non parve molto
satisfatto di vedere nelle mani di lei il libro di Hooker sopra
l'Ordinamento Ecclesiastico(816).
XI. Egli, adunque, da lungo tempo seguiva con occhio vigile il
progresso della contesa tra le fazioni inglesi; ma senza sentire
forte predilezione per nessuna di quelle. In verità, fino all'ultimo
giorno di sua vita, ei non divenne nè Whig nè Tory. Difettava di ciò
che è fondamento ad ambi cotesti caratteri; imperciocchè egli non
diventò mai Inglese. È vero che salvò l'Inghilterra; ma non l'amò
mai, e non fu mai da essa riamato. Per lui l'isola nostra fu sempre
terra d'esilio, ch'egli visitava con ripugnanza e abbandonava con
diletto. Anche mentre le rendeva quei servigi, de' quali fino ai
nostri giorni sentiamo i felici effetti, il bene di quella non era
lo scopo precipuo delle sue azioni. S'ei sentiva amore di patria, lo
sentiva tutto per la Olanda. Quivi era la splendida tomba entro la
quale riposava il grande uomo politico, di cui egli aveva ereditato
il sangue, il nome, l'indole, il genio. Quivi il semplice suono del
suo titolo era una magica parola, che per tre generazioni aveva
destato lo affettuoso entusiasmo de' contadini e degli artigiani.
L'olandese era lo idioma ch'egli aveva imparato dalla balia;
olandesi gli amici della sua giovinezza. I sollazzi, gli edifizi, le
campagne della sua terra natia gli empivano il cuore. Ad essa ei
volgeva sempre desioso lo sguardo da un'altra patria più altera e
più bella. Nella galleria di Whitehall egli amaramente ripensava
alla sua avita casa nel Bosco all'Aja; e non sentivasi mai tanto
felice, quanto nel giorno in cui dalla magnificenza di Windsor
passava alla sua molto più modesta abitazione in Loo. Nel suo
splendido esilio ei trovava consolazione creandosi d'intorno, con
edifici, piantagioni, escavazioni, una scena che gli rammentasse le
uniformi moli di rossi mattoni, i lunghi canali, e le simmetriche
aiuole di fiori, fra mezzo ai quali egli aveva trascorsi i suoi
giovani anni. E nonostante, cotesto suo affetto per la sua terra
materna era subordinato ad un altro sentimento che da gran tempo
aveva signoreggiato nell'anima sua, erasi mescolato a tutte le sue
passioni, lo aveva spinto a maravigliose imprese, lo aveva sostenuto
nelle mortificazioni, ne' dolori, nelle infermità, e che verso la
fine della sua vita sembrò per alcun tempo languire, ma tosto
ridestossi più fiero che mai, e seguitò ad animarlo fino all'ora
suprema, in cui i ministri di Dio recitavano accanto al suo letto di
morte la prece de' moribondi. Questo sentimento era la inimicizia
alla Francia, e al Re magnifico, il quale in più sensi rappresentava
la Francia, e a virtù e pregi eminentemente francesi congiungeva
quell'ambizione irrequieta, scevra di scrupoli e vanagloriosa, che
ha più volte ridesto contro la Francia il risentimento dell'Europa.
Non è difficile rintracciare il progresso del sentimento che a poco
a poco s'insignorì interamente dell'anima di Guglielmo. Mentre egli
era ancora fanciullo, la sua patria era stata aggredita da Luigi,
sfidando con ostentazione la giustizia e il diritto pubblico; era
stata corsa, devastata, ed abbandonata ad ogni eccesso di
ladroneria, di licenza e di crudeltà. Gli Olandesi sgomenti, s'erano
umiliati dinanzi all'orgoglioso vincitore, chiedendo mercè. Era
stato loro risposto, che ove desiderassero ottenere la pace, era
mestieri rinunciare alla indipendenza, e rendere ogni anno omaggio
alla Casa de' Borboni. L'oltraggiata nazione, disperando d'ogni
altro umano argomento, aveva aperte le sue dighe, chiamando in
soccorso le onde marine contro la tirannia francese. E' fu nelle
angosce di quel conflitto, allorquando i contadini tremebondi
fuggivano dinanzi agli invasori, centinaia di ameni giardini e di
ville erano sepolte sotto le acque, le deliberazioni del Senato
erano interrotte dagli svenimenti e dal pianto de' vecchi senatori,
i quali non potevano sopportare il pensiero di sopravvivere alla
libertà ed alla gloria della loro terra natia; e' fu in que'
terribili giorni, che Guglielmo fu chiamato a capo dello Stato. Per
alcun tempo la resistenza gli parve impossibile. Cercava da per
tutto soccorso, e lo cercava invano. Spagna era snervata, Germania
conturbata, Inghilterra corrotta. Null'altro partito sembrava
rimanere al giovine Statoldero, che quello di morire con la spada in
pugno, o farsi lo Enea d'una grande emigrazione, e creare un'altra
Olanda in contrade inaccessibili alla tirannia della Francia.
Nessuno ostacolo sarebbe allora rimasto a infrenare il progresso
della Casa Borbonica. In pochi anni essa avrebbe potuto annettere ai
propri domini la Lorena e le Fiandre, Castiglia ed Aragona, Napoli e
Milano, il Messico e il Perù. Luigi avrebbe potuto assumere la
Corona imperiale, porre un principe della sua famiglia sopra il
trono della Polonia, divenire solo signore dell'Europa dai deserti
della Scizia fino all'Oceano Atlantico, e dell'America dalle regioni
nordiche del tropico del Cancro, fino alle regioni meridionali del
tropico del Capricorno. Tale era il prospetto del futuro che stava
dinanzi agli occhi di Guglielmo nel suo primo entrare nella vita
politica, e che non gli sparì mai dallo sguardo fino all'estremo de'
suoi giorni. La Monarchia Francese era per lui ciò che la Repubblica
Romana era per Annibale, ciò che la Potenza Ottomana era per
Scanderbeg, ciò che la dominazione inglese era per Wallace. Questa
intensa e invincibile animosità era rafforzata dalla religione.
Centinaia di concionatori calvinisti predicavano, che il medesimo
potere che aveva suscitato Sansone per essere il flagello de'
Filistei, e che aveva chiamato Gedeone dall'aja per domare i
Madianiti, aveva suscitato Guglielmo d'Orange per essere il campione
di tutte le nazioni libere, e di tutte le Chiese pure; pensiero che
non fu senza influenza sulla mente di lui. Alla fiducia che lo
eroico fatalista aveva posta nel suo alto destino e nella sua sacra
causa, è da attribuirsi in parte la singolare indifferenza onde egli
affrontava il pericolo. Aveva debito di compire un'altra impresa; e
finchè non fosse compita, nulla gli avrebbe potuto nuocere. E però,
per virtù di questo pensiero, egli, malgrado i pronostici de'
medici, si riebbe da infermità che sembravano disperate; lo aperto
navicello in cui egli si gettò nel fitto buio della notte fra mezzo
alle frementi onde dell'Oceano, e presso ad una traditrice spiaggia,
lo condusse a terra; e in venti campi di battaglia, le palle de'
cannoni gli fischiarono d'intorno senza toccarlo. Lo ardore e la
perseveranza con che egli si dedicò alla propria missione, mal
troverebbero agguaglio nella storia degli uomini illustri.
Considerando il suo gran fine, ei reputava la vita altrui di sì poco
pregio, come la propria. Pur troppo, anche i più miti e generosi
soldati di quella età avevano l'abitudine di curar poco lo
spargimento del sangue, e le devastazioni inseparabili dalle grandi
imprese militari; e il cuore di Guglielmo era indurito non solo
dalla insensibilità acquistata nell'esercizio della guerra, ma da
quella specie di insensibilità più severa, la quale nasce dalla
coscienza del dovere. Tre grandi coalizioni, tre lunghe e sanguinose
guerre, in cui tutta Europa dalla Vistola fino all'Oceano
occidentale era in armi, devono attribuirsi alla sua invincibile
energia. Allorquando nel 1678 gli Stati Generali, esausti e
scuorati, desideravano posa, la sua voce tuonava contro coloro che
volevano riporre la spada nel fodero. Se la pace fu fatta, ciò
avvenne solo perchè egli non potè infondere ne' cuori altrui uno
spirito fiero e risoluto come il suo. In sullo estremo istante, con
la speranza di rompere le pratiche che ei sapeva pressochè concluse,
combattè una delle più sanguinose ed ostinate battaglie, de' tempi
suoi. Dal giorno in cui fu firmata la pace di Nimega egli cominciò a
meditare un'altra coalizione. La sua contesa con Luigi, tradotta dal
campo di battaglia al gabinetto, venne poco dopo esacerbata da un
privato litigio. Per ingegno, indole, modi ed opinioni, i due rivali
erano l'uno all'altro diametralmente opposti. Luigi, gentile e
dignitoso, prodigo e voluttuoso, amante della pompa ed abborrente
dai pericoli, munificente protettore delle arti e delle lettere, e
crudele persecutore de' Calvinisti, offriva un notevole contrasto
verso Guglielmo, semplice nelle sue inclinazioni, di poco grazioso
portamento, infaticabile e intrepido in guerra, non curante degli
ameni studi, e fermo partigiano de' teologi Ginevrini. I due nemici
non osservarono lungamente quelle cortesie che i loro pari, anche
oppugnantisi con le armi, rade volte trascurano. Guglielmo, a dir
vero, giunse fino ad offrire i suoi migliori servigi al Re di
Francia. Ma tali cortesie vennero estimate al loro giusto pregio, e
ricompensate con una riprensione. Il gran Re affettava disprezzo pel
principotto servitore d'una federazione di città commercianti; e ad
ogni segno di spregio lo intrepido Statoldero rispondeva con una
nuova disfida. Guglielmo prendeva il suo titolo - titolo che le
vicissitudini del secolo precedente avevano reso uno de' più
illustri in Europa - da una città che giace sulle rive del Rodano
non lungi da Avignone; e che, al pari d'Avignone, quantunque da ogni
lato circuita dal territorio francese, era propriamente feudo non
della Corona di Francia, ma dello Impero. Luigi, con quella
ostentazione spregiatrice del diritto pubblico, la quale formava il
suo carattere, occupò Orange, ne smantellò le fortificazioni e ne
confiscò le rendite. Guglielmo dichiarò ad alta voce a molti
cospicui personaggi, i quali con lui sedevano a mensa, che avrebbe
fatto pentire il Re Cristianissimo dell'oltraggio ricevuto; ed
allorchè dal Conte d'Avaux gli fu chiesto conto delle parole
profferite, ricusò positivamente o di ritrattarle o di spiegarle. La
querela andò tanto oltre, che il ministro francese non poteva
rischiarsi di comparire nelle sale della Principessa per timore di
essere insultato(817).
I sentimenti di Guglielmo verso la Francia, spiegano tutta la sua
politica verso la Inghilterra. Il suo spirito pubblico era europeo.
Il fine principale d'ogni suo studio non era l'isola nostra, non era
nè anche la sua Olanda, ma la grande comunità delle nazioni
minacciata di essere soggiogata da uno Stato troppo potente. Coloro
i quali commettono lo errore di considerarlo come uomo di Stato
inglese, è forza che guardino la intera sua vita in una falsa luce,
e non perverranno a scoprire nessun principio buono o cattivo, Whig
o Tory, al quale possano riferirsi le sue più importanti azioni. Ma
ove lo consideriamo come uomo, il cui fine speciale era quello di
congiungere una torma di Stati deboli, divisi e sgomenti, in ferma e
vigorosa concordia contro un comune nemico; ove lo consideriamo come
uomo, agli occhi del quale la Inghilterra importava principalmente,
perchè, senza essa, la grande coalizione da lui desiderata, sarebbe
stata incompiuta; saremo costretti ad ammettere che non vi è stata
una vita sì lunga, di cui facciano ricordo le storie, maggiormente
uniforme dal principio sino alla fine, quanto quella di cotesto gran
Principe(818).
XII. Col filo che adesso abbiamo tra le mani, potremo senza
difficoltà rintracciare la via dritta in effetto, sebbene in
apparenza talvolta tortuosa, ch'egli prese verso le nostre interne
fazioni. Chiaramente vedeva (ciò che non era sfuggito agli occhi di
uomini meno sagaci di lui) come la impresa alla quale egli con tutta
l'anima intendeva, potesse avere probabilità di prospero successo
con la Inghilterra amica, d'esito incerto con la Inghilterra
neutrale, e di disperatissimo fine ove la Inghilterra agisse come
aveva agito ai tempi della Cabala. Con non minore chiarezza, vedeva
che tra la politica estera e la interna del Governo Inglese v'era
stretta connessione; che il sovrano del nostro paese, operando
d'accordo col Parlamento, deve sempre di necessità esercitare grande
influenza negli affari della Cristianità, e deve anche avere un
evidente interesse di avversare lo indebito ingrandimento d'ogni
potentato continentale; che, dall'altro canto, il sovrano privo
della fiducia del Parlamento e impedito nella sua via, non può avere
se non poco peso nella politica europea, e che quel poco peso
potrebbe anche gettarsi tutto nel lato nocivo della bilancia. Il
principe, adunque, desiderava massimamente la concordia fra il Trono
e il Parlamento. Il modo di stabilirla, e quale delle due parti
dovesse fare concessioni all'altra, erano, secondo lui, cose
d'importanza secondaria. Avrebbe gradito, senza alcun dubbio, di
vedere una piena riconciliazione senza il sacrificio d'un briciolo
della regia prerogativa; perocchè alla integrità di quella egli
aveva diritto di reversibilità; ed egli, per indole, era cupido di
potere e intollerante di freno, almeno quanto qualunque degli
Stuardi. Ma non v'era gioiello della Corona ch'egli non fosse
apparecchiato a sacrificare, anche dopo che la Corona era passata
sul suo capo, qualvolta fosse convinto siffatto sacrificio essere
impreteribilmente necessario al suo grande disegno. E però, nel
tempo della congiura papale, comecchè egli disapprovasse la violenza
con cui la opposizione assaliva la regia autorità, esortò il Governo
a desistere. La condotta della Camera de' Comuni rispetto(819) agli
affari interni, diceva egli, era molto irragionevole: ma finchè
rimaneva malcontenta, le libertà della Europa pericolavano; ed a
questa suprema ragione ogni altra doveva cedere. Giusta siffatti
principii egli operò allorquando la Legge d'Esclusione pose la
nazione tutta in commovimento. Non v'è ragione a credere ch'egli
incoraggiasse la opposizione a spingere innanzi quella legge, e
ricusare ogni patto che le venisse offerto dal trono. Ma come chiaro
si conobbe che, ove non si fosse posta in campo quella legge, vi
sarebbe stata seria rottura tra i Comuni e la Corte, egli
intelligibilmente, benchè con assai decoroso riserbo, manifestò la
propria opinione, dicendo il Governo dovere ad ogni costo
riconciliarsi coi rappresentanti del popolo. Allorchè una violenta e
rapida mutazione dell'opinione pubblica aveva lasciato per alcun
tempo il partito Whig privo d'ogni soccorso, Guglielmo tentò di
giungere al suo scopo supremo per una nuova via, forse all'indole
sua più convenevole di quella ch'egli aveva anteriormente presa. Pei
cangiati umori della nazione, era poco probabile che venisse eletto
un Parlamento disposto ad opporsi alle voglie del Sovrano. Carlo per
alcun tempo fu solo padrone. Il Principe quindi rivolse ogni
pensiero a renderselo favorevole. Nella state del 1683, quasi nel
momento medesimo in cui la scoperta della congiura di Rye House
sconfisse i Whig e rese trionfante il Re, succedevano altrove fatti
tali che Guglielmo non poteva vedere senza estrema ansietà e timore.
Il Turco aveva condotte le sue schiere fino ai suburbii di Vienna.
La grande Monarchia Austriaca, nel cui soccorso il Principe aveva
calcolato, sembrava giunta alla estrema rovina. Per la qual cosa, ei
mandò in fretta Bentinck dall'Aja a Londra, ingiungendogli di nulla
omettere che fosse necessario a riconciliargli la Corte
d'Inghilterra, e peculiarmente significare, con le più calde
espressioni, l'orrore che il suo signore aveva sentito per la
congiura de' Whig.
Nel corso de' diciotto susseguenti mesi, vi fu qualche speranza che
la influenza di Halifax prevalesse, e che la Corte di Whitehall
ritornasse alla politica della Triplice Alleanza. Guglielmo nutrì
avidamente in cuore tale speranza, e fece ogni sforzo per conseguire
l'amicizia di Carlo. La ospitalità che Monmouth trovò all'Aja, deve
principalmente attribuirsi alla brama che il Principe aveva di
appagare i segreti desideri del padre di Monmouth. Appena morto
Carlo, Guglielmo mirando ognora intentamente al supremo suo scopo,
di nuovo cangiò contegno. Aveva ospitato Monmouth per piacere al Re
defunto. Affinchè il Re Giacomo non avesse argomento di querelarsi,
Monmouth ebbe commiato. Abbiamo veduto come, scoppiata la
insurrezione delle contrade occidentali, i reggimenti inglesi che
servivano in Olanda, fossero, alla prima richiesta, mercè gli sforzi
del Principe, mandati alla patria loro. Per vero dire, Guglielmo
anche si offerse a comandare in persona contro i ribelli; e che tale
offerta fosse perfettamente sincera, non potrà mai dubitarsi, solo
che si leggano le sue lettere confidenziali a Bentinck(820).
Il Principe manifestamente in quel tempo sperava, che il gran
disegno al quale nella mente sua ogni altra cosa era subordinata,
fosse approvato e sostenuto dal suo suocero. L'altero linguaggio che
allora Giacomo teneva verso la Francia, la prontezza con che egli
consentì ad una alleanza difensiva con le Provincie Unite, la
inclinazione ch'egli mostrava a collegarsi con la Casa d'Austria,
accrescevano cotesta speranza. Ma poco dopo rabbuiossi la scena. La
caduta di Halifax, la rottura tra Giacomo e il Parlamento, la
proroga, lo annunzio distintamente fatto dal Re ai ministri
stranieri che oramai la politica estera non lo distrarrebbe dallo
intendere a trovare provvedimenti onde rinvigorire la regia
prerogativa e promuovere gl'interessi della sua Chiesa, posero fine
a tanta illusione. Chiaro vedevasi, che arrivato il tempo critico
per la Europa, la Inghilterra, signoreggiata da Giacomo, o sarebbe
rimasta inoperosa, o avrebbe operato in unione della Francia.
XIII. E la crisi europea era imminente. La Casa d'Austria, dopo una
serie di vittorie, erasi assicurata d'ogni pericolo da parte della
Turchia, e non trovavasi più nella necessità di sostenere
pazientemente le usurpazioni e gl'insulti di Luigi. Per lo che, nel
luglio del 1686, fu firmato in Augusta un trattato, col quale i
Principi dello Impero collegavansi strettamente insieme a
vicendevole difesa. Il Re di Spagna e di Svezia erano parti di
cotesta alleanza; l'uno come Sovrano delle provincie comprese nel
circolo della Borgogna, l'altro come Duca di Pomerania. I
confederati dichiaravano di non avere intendimento alcuno di
aggredire, nè voglia d'offendere nessun potentato, ma erano bene
risoluti di non tollerare la minima infrazione dei diritti che il
Corpo Germanico possedeva sotto la sanzione del diritto pubblico e
della pubblica fede. Vincolavansi tutti a difendersi in caso di
bisogno, e stabilivano le forze che ogni membro della lega dovesse
apprestare, ove fosse mestieri respingere l'aggressione(821). Il
nome di Guglielmo non si leggeva in quell'atto; ma tutti sapevano
che esso era opera di lui, e prevedevano che tra breve tempo egli
sarebbe nuovamente il capitano d'una coalizione contro la Francia.
In cosiffatte circostanze, tra lui e il vassallo della Francia non
poteva esistere buono e cordiale intendimento. Non v'era aperta
rottura, non ricambio di minacce o di rimproveri; ma il suocero e il
genero s'erano per sempre l'uno dall'altro separati.
XIV. Nel tempo medesimo in cui il Principe era così diviso dalla
Corte d'Inghilterra, andavano disparendo le cagioni che avevano fino
allora prodotto freddezza tra lui e i due grandi partiti del popolo
inglese. Gran parte, che formava forse una maggioranza numerica, dei
Whig, aveva prestato favore a Monmouth: ma Monmouth non era più. I
Tory, dall'altro canto, avevano temuto che gl'interessi della Chiesa
anglicana non avessero ad essere sicuri sotto lo impero d'un uomo
educato fra' presbiteriani olandesi, e, come ciascuno sapeva, di
larghe opinioni rispetto ai vestimenti, alle cerimonie, allo
episcopato: ma dacchè quella Chiesa diletta era stata minacciata da
molto maggiori pericoli, cosiffatti timori erano quasi spenti. In
tal guisa, nello istante medesimo, ambidue i grandi partiti
cominciarono a porre le speranze e lo affetto loro nello stesso
capo. I vecchi repubblicani non potevano ricusare la loro fiducia ad
un uomo, il quale aveva per molti anni degnamente tenuta la più alta
magistratura d'una repubblica. I vecchi realisti credevano di agire
secondo i loro principii, tributando profonda riverenza ad un
Principe cotanto vicino al trono. In tali condizioni, era cosa di
massima importanza la perfetta unione tra Guglielmo e Maria. Un
malinteso tra la erede presuntiva della Corona e il marito, avrebbe
prodotto uno scisma in quella vasta massa che da ogni parte andavasi
raccogliendo intorno al vessillo d'un solo capo. Avventuratamente,
ogni pericolo di questo malinteso fu tolto dallo intervento di
Burnet; e il Principe divenne lo incontrastato capo di tutto quel
gran partito che faceva opposizione al Governo, partito che quasi
comprendeva la intera nazione.
Non v'è ragione a credere che egli verso questo tempo meditasse la
grande impresa alla quale poscia fu da una dura necessità
trascinato. Scorgeva bene che la opinione pubblica dell'Inghilterra,
comecchè i cuori fossero esasperati dagli aggravi del Governo, non
era punto matura per la rivoluzione. Avrebbe senza dubbio voluto
evitare lo scandolo che doveva produrre una lotta mortale tra
persone strette con vincoli di consanguineità e d'affinità. Anche
per ambizione, gli ripugnava il riconoscere dalla violenza quella
grandezza alla quale egli sarebbe pervenuto pel corso ordinario
della natura e della legge: perocchè, bene sapeva che ove la corona
fosse regolarmente toccata in sorte alla sua moglie, le regie
prerogative non patirebbero detrimento; ed all'incontro, se ei
l'ottenesse per elezione, gli verrebbe concessa con quelle
condizioni che agli elettori piacesse d'imporre. Egli, adunque, fece
pensiero, come sembra, di attendere con pazienza il giorno in cui
potesse(822) con incontrastato titolo governare, e di contentarsi
infrattanto di esercitare grande influenza sopra gli affari della
Inghilterra, come primo Principe del sangue, e capo del partito che
decisamente preponderava nella nazione, e che certo, appena ragunato
il Parlamento, avrebbe decisamente preponderato in ambedue le
Camere.
XV. Egli è vero che già a Guglielmo, da un uomo meno savio e più
impetuoso ch'egli non fosse, era stato consigliato di appigliarsi a
più audace partito. Questo consigliere era il giovane Lord Mordaunt.
In quel tempo non era sorto un uomo che avesse genio più inventivo e
spirito più ardimentoso di lui. Se la impresa era splendida,
Mordaunt rade volte chiedeva se fosse fattibile. La sua vita fu un
bizzarro romanzo, composto di misteriosi intrighi d'amore e di
politica, di violente e rapide variazioni di scena e di fortuna, e
di vittorie somiglievoli a quelle d'Amadigi e di Lancillotto, più
presto che a quelle di Lussemburgo e d'Eugenio. Gli episodii
disseminati nella sua strana istoria erano cónsoni a tutto il tenore
della vita sua. V'erano notturni incontri con ladroni generosi; e
dame nobili e belle liberate dalle mani de' loro rapitori. Mordaunt
essendosi reso notevole per la eloquenza e l'audacia con che nella
Camera de' Lordi erasi opposto alla Corte, tosto dopo la proroga del
Parlamento, si rifuggì all'Aja, e propose a Guglielmo di fare una
subita discesa in Inghilterra. Erasi persuaso che sarebbe stato così
facile sorprendere tre grandi Regni, come lungo tempo dopo gli tornò
facile sorprendere Barcellona.
XVI. Guglielmo ascoltò, ripensò, e rispose, con parole vaghe: il
bene dell'Inghilterra stargli tanto a cuore, che non lo perderebbe
mai d'occhio(823). Qualunque fossero i suoi intendimenti, non era
probabile ch'ei si scegliesse a confidente un temerario e
vanaglorioso cavaliere errante. Questi due mortali null'altro
avevano di comune che il coraggio personale, il quale in entrambi
giungeva all'altezza d'un favoloso eroismo. Mordaunt aveva bisogno
solamente di eccitarsi nel conflitto, e di rendere attonito il
mondo. Guglielmo mirava perpetuamente ad un solo gran fine, al quale
era trascinato da una forte passione, ch'egli reputava sacro dovere.
Onde ridursi a quel fine, faceva prova d'una pazienza, siccome una
volta egli disse, simile a quella con cui aveva veduto nel canale un
marinaio lottare contro la corrente, spesso ricacciato indietro, ma
non cessando mai di spingersi innanzi, satisfatto se potesse con
molte ore di fatica, avanzare di pochi passi(824). Il Principe
pensava che le imprese le quali non lo facevano avvicinare a cotesto
fine, per quanto il volgo potesse estimarle gloriose, fossero vanità
fanciullesche.
S'avvisò, quindi, di ricusare il consiglio di Mordaunt; e senza
alcun dubbio ei fece bene. Se Guglielmo nel 1686, o anche nel 1687,
avesse tentato di fare ciò che egli fece con tanto prospero esito
nel 1688, è probabile che molti Whig, alla sua chiamata, sarebbero
corsi alle armi; ma avrebbe, ad un'ora, sperimentato la nazione non
essere per anche apparecchiata ad accogliere un liberatore armato
che veniva da terra straniera, e la Chiesa non essere stata
provocata e insultata fino a porre in dimenticanza la dottrina
politica, della quale s'era per tanto tempo singolarmente
inorgoglita. I vecchi Cavalieri sarebbero accorsi intorno al regio
vessillo: si sarebbe, probabilmente, in tutti i tre Regni accesa una
guerra civile, lunga e sanguinosa al pari di quella della precedente
generazione. E mentre nelle Isole Britanniche infuriasse siffatta
guerra, che non avrebbe mai potuto tentare Luigi nel continente? E
quale speranza sarebbe rimasta alla Olanda, emunta di forze militari
ed abbandonata dal suo Statoldero?
XVII. Guglielmo, adunque, fu pago per allora di provvedere in modo
da rendere concorde e rianimare la potente opposizione dalla quale
era riconosciuto come capo. E ciò non era difficile. La caduta degli
Hydes aveva destato in tutta la Inghilterra strano timore e forte
sdegno. Tutti accorgevansi, oggimai trattarsi di sapere non se il
protestantismo sarebbe predominante, ma se sarebbe tollerato. Al
Tesoriere era succeduta una Commissione, della quale era capo un
papista. Il Sigillo Privato era stato affidato ad un papista. Al
Lord Luogotenente d'Irlanda era succeduto un uomo, il quale non
aveva nessun altro merito per quell'alto ufficio, tranne d'essere
papista. L'ultima persona che un Governo, sollecito del bene dello
Stato, avrebbe dovuto mandare a Dublino, era Tyrconnel. Per le sue
maniere brutali era indegno di rappresentare la maestà della Corona.
Per la pochezza dello intendimento e la violenza dell'indole, era
inetto a maneggiare gravi affari di Stato. L'odio mortale ch'egli
sentiva pei possessori della più parte del suolo d'Irlanda, lo
rendeva segnatamente inabile a governare quel Regno. Ma la sua
intemperante bacchettoneria era reputata bastevole espiazione della
intemperanza delle altre sue passioni; e a contemplazione del suo
odio contro la fede riformata, lo lasciavano abbandonarsi senza
freno al suo odio contro il nome inglese. Tale era allora il vero
intendimento del Re intorno ai diritti della coscienza! Voleva che
il Parlamento abrogasse tutte le incapacità delle quali erano
gravati i papisti, solo perchè potesse alla sua volta imporre pari
incapacità ai Protestanti. Chiaro vedevasi che sotto un simigliante
Principe l'apostasia era il solo sentiero da condurre alla
grandezza. E non pertanto, era un sentiero pel quale pochi
rischiavansi di procedere; avvegnachè lo spirito nazionale fosse
ormai desto, e ad ogni rinnegato toccasse soffrire tanto scherno ed
abborrimento da parte del pubblico, che anche i cuori più induriti e
nudi di vergogna non potevano non sentirlo.
XVIII. Non può negarsi che alcune notevoli conversioni di recente
avevano avuto luogo; ma tutte erano tali da accrescere poco credito
alla Chiesa di Roma. Due uomini d'alto grado, Enrico Mordaunt Conte
di Peterborough, e Giacomo Cecil Conte di Salisbury, avevano
abbracciata quella religione. Ma Peterborough, il quale era stato
operoso soldato, cortigiano e diplomatico, allora giaceva affranto
dagli anni e dalle infermità; e coloro che lo vedevano procedere per
le sale di Whitehall barcollante, appoggiato ad un bastoncello e
ravvolto di pannilani e d'impiastri, della sua diserzione
confortavansi pensando ch'egli s'era mantenuto fido alla religione
degli avi finchè le sue facoltà intellettive non furono spente(825).
La imbecillità di Salisbury era passata in proverbio. Oltremodo
sensuale, era tanto ingrassato che appena si poteva muovere, e quel
corpo tardo era degno abitacolo d'un'anima stupida. Le satire di
que' tempi lo dipingono come uomo nato stampato per farsi ingannare,
il quale fino allora essendo stato vittima de' giuocatori, poteva di
leggieri essere vittima dei frati. Una pasquinata, la quale circa
l'epoca del ritiro di Rochester, fu appiccata alla porta della casa
di Salisbury nello Strand, esprimeva con grossolane parole l'orrore
con cui il savio Roberto Cecil, ove fosse potuto sorgere dal
sepolcro, avrebbe veduto quale abbietta creatura era l'erede de'
suoi titoli ed onori(826).
XIX. Questi due uomini erano i più alti per grado fra' proseliti di
Giacomo. V'erano altri rinnegati di un'altra specie; uomini di doti
insigni, ma privi d'ogni principio e d'ogni senso della propria
dignità. Abbiamo ragione di credere che fra costoro fosse Guglielmo
Wycherley, il più licenzioso e insensibile scrittore d'una scuola
singolarmente insensibile e licenziosa(827). È certo che Matteo
Tindal, il quale più tardi acquistò grande rinomanza scrivendo
contro il Cristianesimo, fu in quel tempo ricevuto nel grembo della
Chiesa infallibile; fatto, che, come può agevolmente supporsi, i
teologi coi quali egli poscia appiccò controversia, non lasciarono
punto nell'oblio(828). Altro più infame apostata fu Giuseppe Haines,
il cui nome adesso giace quasi dimenticato, ma che era ben noto a
que' tempi come avventuriere di versatile ingegno, scroccone,
falsificatore di monete, falso testimonio, mallevadore impostore,
maestro di ballo, buffone, comico, poeta. Taluni de' suoi prologhi
ed epiloghi furono molto ammirati da' suoi contemporanei, i quali
universalmente gli rendevano lode di buono attore. Costui si fece
Cattolico Romano, e si recò in Italia come addetto all'ambasciata di
Castelmaine; ma tosto, per riprovevole condotta, venne cacciato via.
Se è da prestarsi fede ad una tradizione lungamente conservatasi,
Haines ebbe la impudenza d'asserire che la Vergine Maria gli era
apparsa per esortarlo alla penitenza. Dopo la Rivoluzione, si provò
di pacificarsi coi suoi concittadini con una ammenda più scandolosa
dell'offesa stessa. Una notte, innanzi di rappresentare la parte sua
in una farsa, comparve sul proscenio, avvolto in un bianco lenzuolo,
con una torcia in mano, recitando una profana ed indecente
filastrocca di versi, ch'egli chiamò la propria ritrattazione(829).
XX. Col nome di Haines correva congiunto in molti libelli il nome di
un rinnegato più illustre, cioè di Giovanni Dryden. A quel tempo
egli era in sul declinare degli anni suoi. Dopo molti successi ora
prosperi ora sinistri, l'opinione generale lo considerava come primo
fra i poeti inglesi coetanei. I suoi diritti alla gratitudine di
Giacomo erano molto superiori a quelli di qualunque altro scrittore
del Regno. Ma Giacomo pregiava poco i versi, e molto il danaro. Dal
dì in cui egli ascese al trono, si diede a fare piccole riforme
economiche, e tali che acquistano sempre al Governo la taccia di
spilorceria, senza recare alcun manifesto giovamento alle finanze.
Una delle vittime di questa insensata parsimonia, fu il Poeta
Laureato. E' fu ordinato, che nella patente, la quale a cagion della
nuova successione al trono, doveva rinnovarsi, l'annuo onorario in
origine concesso a Jonson, e continuato ai suoi successori, si
omettesse(830). Fu questo l'unico pensiero che il Re, nel primo anno
del suo regno, si degnò di volgere al possente poeta satirico, il
quale, mentre ardeva il conflitto intorno alla Legge d'Esclusione,
aveva sparso il terrore nel partito de' Whig. Dryden era povero, e
mal sopportava la povertà. Sapeva poco e davasi poco pensiero delle
cose di religione. Se aveva in petto profondamente radicato alcun
sentimento, era l'avversione contro i preti di tutte le religioni,
Leviti, Auguri, Muftì, Cattolici Romani, Presbiteriani, Anglicani.
La natura non gli aveva largito anima elevata; e le sue occupazioni
non erano state punto tali, da fargli acquistare altezza e
delicatezza d'animo. Per molti anni erasi guadagnato il pane
quotidiano arruffianando la sua musa al pervertito gusto della
platea, e grossolanamente adulando ricchi e nobili protettori.
Rispetto di sè, e senso squisito di convenevolezza, non potevano
trovarsi in un uomo il quale aveva trascinata una vita di mendicità
e di adulazione. Pensando che ove egli seguitasse a chiamarsi
protestante, i suoi servigi non verrebbero rimunerati, si dichiarò
papista. Cessò subitamente la parsimonia del Re. A Dryden fu
conceduta una annua pensione di cento lire sterline, ed ebbe il
carico di difendere in verso e in prosa la sua nuova religione.
Due illustri scrittori, Samuele Johnson e Gualtiero Scott, hanno
fatto ogni sforzo per persuadere sè ed altrui, che cotesta
memorabile conversione fosse sincera. Era cosa naturale che
volessero cancellare una macchia disonorevole dalla memoria d'un
ingegno da essi giustamente ammirato, e col quale concordavano
rispetto ad opinioni politiche; ma lo storico imparziale è uopo che
pronunci un giudizio assai dal loro differente. Vi sarà sempre forte
presunzione contro la sincerità d'una conversione ogni qualvolta
riesca a utile del convertito. Nel caso di Dryden, non vi ha nulla
che contrappesi siffatta presunzione. I suoi scritti teologici
provano ad esuberanza ch'egli non si studiò mai con diligenza ed
amore di imparare il vero, e che le sue nozioni intorno alla Chiesa
abbandonata e alla Chiesa abbracciata da lui, erano
superficialissime. Nè la sua condotta dopo la conversione, fu quella
d'un uomo da un profondo senso de' propri doveri costretto a fare un
così solenne passo. Ove egli fosse stato tale, la medesima
convinzione che lo aveva condotto ad abbracciare la Chiesa di Roma,
gli avrebbe certo impedito di violare gravemente e per abitudine i
precetti da quella Chiesa, come da ogni altra società cristiana,
riconosciuti obbligatorii. Tra i suoi scritti precedenti e tra'
susseguenti alla sua conversione, vi sarebbe stata notevole
diversità. Avrebbe sentito rimorso de' suoi trenta anni di vita
letteraria, durante i quali egli aveva sistematicamente adoperata la
sua rara potenza di linguaggio e di versificazione a corrompere il
pubblico. Dalla sua penna non sarebbe uscita, da quell'ora in poi,
una sola parola tendente a rendere spregevole la virtù, e ad
infiammare le licenziose passioni. Ed è sventuratamente vero, che i
drammi da lui scritti dopo la sua pretesa conversione, non sono
punto meno impuri o profani di quelli della sua giovinezza. Anche
traducendo, scostavasi dai suoi originali per andare in cerca
d'immagini, che, ove le avesse trovate negli originali stessi,
avrebbe dovuto schivare. Ciò che in quelli era cattivo, nelle sue
versioni diventava peggiore; ciò che era puro, passando nella sua
mente, contraeva qualche macchia. Le più grossolane satire di
Giovenale egli rese più riprovevoli; inserì descrizioni lascive
nelle Novelle di Boccaccio; e corruppe la dolce e limpida poesia
delle Georgiche con lordure che avrebbero stomacato Virgilio.
XXI. Lo aiuto di Dryden fu accolto con gioia da quei teologi
cattolici romani, i quali con difficoltà sostenevano un conflitto
contro i più illustri ingegni della Chiesa Stabilita. Non potevano
non riconoscere il fatto, che il loro stile, sfigurato da barbarismi
contratti in Roma e in Doaggio, faceva meschina figura in paragone
della eloquenza di Tillotson e Sherlock. Per lo che, pareva loro non
essere lieve acquisto la cooperazione del più grande scrittore
vivente dell'idioma inglese. Il primo servigio che a lui fu chiesto
in prezzo della sua pensione, fu di difendere in prosa la sua Chiesa
contro Stillingfleet. Ma l'arte di dir bene le cose diventa inutile
ad un uomo che non abbia nulla da dire; e tale era il caso di
Dryden. Vide come egli non valesse a sostenere il combattimento con
un uomo da lunghi anni assuefatto a maneggiare le armi della
controversia. Il battagliere veterano disarmò il novizio, gli
inflisse qualche ferita di dispregio, e si volse contro più
formidabili combattenti. Dryden allora impugnò un'arma, nella quale
non era agevole trovare chi potesse vincerlo. Si ritrasse alcun
tempo dal trambusto de' caffè e de' teatri per rinchiudersi in un
quieto luogo nella Contea di Huntingdon, ed ivi compose con insolita
cura e fatica il suo celebre poema intorno ai punti disputati tra la
Chiesa di Roma e quella d'Inghilterra. Rappresentò la Romana sotto
la similitudine d'una candida cerva, sempre in pericolo di morte, e
nondimeno destinata a non morire. Le belve della foresta
congiuravano a spegnerla. Il Tremante coniglio, a dir vero, si
teneva strettamente neutrale; ma la volpe Sociniana, il lupo
Presbiteriano, l'orso Indipendente, il cignale Anabattista,
avventavano sguardi feroci alla intemerata creatura. Nondimeno ella
poteva rischiarsi a bere insieme con loro alla fonte comune sotto la
protezione del leone Regale. La Chiesa Anglicana era significata
dalla pantera con la pelle macchiata, ma bella, anco troppo bella
per bestia da preda. La cerva e la pantera, egualmente esose al
feroce popolo della foresta, si ritrassero da parte per ragionare
intorno al pericolo comune. Quindi seguitarono a discutere intorno
ai punti delle loro differenze, e dimenando le code e leccandosi le
ganasce, tennero un lungo colloquio sopra la presenza reale,
l'autorità de' papi e de' concili, le leggi penali, l'Atto di Prova,
gli spergiuri d'Oates, i servigi resi da Butler, benchè non
ricompensati, al partito de' Cavalieri, i libercoli di
Stillingfleet, e le ampie spalle e i fortunati negozi matrimoniali
di Burnet.
L'assurdità di questo poetico disegno è manifestissima. E in vero,
cosiffatta allegoria non poteva regolarmente procedere oltre a dieci
versi. Non v'è magistero di forma che possa servire di compenso agli
errori di un tal disegno. E nulladimeno, la Favola della Cerva e
della Pantera è senza verun dubbio la produzione più pregevole della
letteratura inglese del breve e torbido regno di Giacomo II. In
nessuna delle opere di Dryden si potrebbero trovare brani più
patetici e splendidi, maggior pieghevolezza ed energia di stile, e
più piacevole e variata armonia.
Il poema comparve alla luce con ogni vantaggio che la regia
protezione potesse impartire. Una magnifica edizione ne fu fatta per
la Scozia nella tipografia cattolica romana di Holyrood House. Ma le
genti non erano in umore da lasciarsi ammaliare dal lucido stile e
dagli armoniosi versi dello apostata. Il disgusto eccitato dalla sua
venalità, il timore eccitato dalla politica di cui egli s'era fatto
panegirista, non erano cose da cantarsi per addormentare le menti.
Il pubblico fu infiammato di giustissimo sdegno da coloro cui gli
scherni del poeta scottavano, e da coloro che erano invidi della sua
rinomanza. Non ostante le restrizioni che avvincolavano la stampa,
ogni giorno apparivano satire intorno alla vita e agli scritti di
lui. Ora lo chiamavano Bayes, ora il Poeta Squab. Gli rammentavano
come in gioventù avesse tributato alla Casa di Cromwell le medesime
servili lusinghe le quali egli adesso tributava alla Casa degli(831)
Stuardi. Alcuni de' suoi avversari maliziosamente ristamparono i
versi pieni di sarcasmo già da lui scritti contro il papismo,
allorquando non gli avrebbe nulla giovato l'essere papista. Tra i
molti componimenti satirici venuti alla luce in tale occasione, il
più notevole fu opera di due giovani, i quali di recente avevano
compiti i loro studi in Cambridge, ed erano stati accolti come
novizi di belle speranze ne' caffè letterari di Londra; voglio dire
Carlo Montague e Matteo Prior. Montague era di nobile schiatta; la
origine di Prior era talmente oscura, che nessun biografo ha potuto
rinvenirla: entrambi poscia giunsero in alto; entrambi allo amore
delle lettere congiungevano arte mirabile in quella specie d'affari
di che i letterati generalmente sentono disgusto. Tra i cinquanta
poeti de' quali Johnson ha scritto le vite, Montague e Prior sono i
soli che avessero profonda conoscenza del commercio e delle finanze.
Non andò guari, e presero vie l'una dall'altra diverse. La loro
giovanile amicizia si sciolse. Uno di loro divenne capo del partito
Whig, e fu processato dai Tory. All'altro furono affidati tutti i
misteri della diplomazia de' Tory, e fu lungamente tenuto in
istretta prigionia dai Whig. Infine, dopo molti anni di
vicissitudini, i due colleghi, ch'erano stati lungo tempo divisi, si
ricongiunsero nell'Abbadia di Westminster.
XXII. Chiunque abbia attentamente letto il racconto della Cerva e
della Pantera, si sarà dovuto accorgere che mentre Dryden lo stava
componendo, grande variazione era seguita ne' disegni di coloro che
si servivano di lui come loro interprete. In sul principio, la
Chiesa Anglicana è rammentata con tenerezza e rispetto, e viene
esortata a collegarsi co' Cattolici Romani contro le sètte de'
Puritani; ma alla fine del componimento, e nella prefazione scritta
dopo che quello fu compiuto, i Protestanti Dissenzienti vengono
invitati a far causa comune coi Cattolici Romani contro la Chiesa
d'Inghilterra.
Sì fatto mutamento di linguaggio nel poeta cortigiano indicava un
grande mutamento nella politica della Corte. Il primitivo scopo di
Giacomo era stato quello d'ottenere per la propria Chiesa non solo
piena immunità da tutte le pene e da tutte le incapacità civili, ma
ampia partecipazione ai beneficii ecclesiastici ed universitari, e
nel tempo stesso di rinvigorire le leggi contro le sètte puritane.
Tutte le dispense speciali da lui concedute, erano state a pro de'
Cattolici Romani. Tutte le leggi più dure contro i Presbiteriani,
gl'Indipendenti, i Battisti, erano state per qualche tempo da lui
mandate severamente ad esecuzione. Mentre Hale comandava un
reggimento, mentre Powis sedeva nel Consiglio, mentre Massey era
decano, mentre i breviari e i messali stampavansi in Oxford muniti
di regia licenza, mentre l'Ostia esponevasi pubblicamente in Londra
sotto la protezione delle picche e degli archibugi delle guardie
reali, mentre frati e monaci vestiti degli abiti loro passeggiavano
per le vie della metropoli, Baxter era sepolto in carcere; Howe era
in esilio; le leggi dette Five-Mile-Act, e Conventicle-Act, erano in
pieno vigore; gli scrittori puritani erano costretti a ricorrere
alle tipografie straniere o clandestine; le congregazioni puritane
potevano riunirsi solamente di notte o in luoghi vasti, e i ministri
puritani erano forzati a predicare travestiti da carbonai o da
marinari. In Iscozia il Re, mentre non trascurava sforzo nessuno ad
estorcere dagli Stati pieno alleggiamento pei Cattolici Romani,
aveva chiesto ed ottenuto nuovi statuti di severità senza esempio
contro i presbiteriani. La sua condotta verso gli esuli Ugonotti
aveva con non minore chiarezza rivelato il suo cuore. Abbiamo di
sopra veduto, che quando la pubblica munificenza aveva posto nelle
mani del Re una grossa somma per alleggiare la sciagura di que'
miseri, egli, rompendo ogni legge d'ospitalità e di buona fede,
impose loro di rinunziare al culto calvinista, cui essi forte
aderivano, ed abbracciare quello della Chiesa Anglicana, innanzi
d'ottenere la più piccola parte delle limosine che erano state a lui
affidate.
Tale fu la sua politica finchè nutrì la speranza che la Chiesa
Anglicana avrebbe consentito a predominare insieme con la Chiesa di
Roma. Tanta speranza un tempo fu per lui una certezza. Lo entusiasmo
con che i Tory lo avevano salutato nello ascendere ch'egli fece al
trono, le elezioni, il rispettoso linguaggio e le ampie concessioni
del suo Parlamento, la insurrezione delle Contrade Occidentali
spenta, prostrato il partito che aveva tentato di privarlo della
corona; queste e simiglianti altre cose lo avevano spinto oltre i
confini della ragione. Era sicuro che ogni ostacolo cederebbe
innanzi la sua potenza e fermezza. Il Parlamento gli oppose
resistenza. Egli adoperò il cipiglio e le minacce; ma a nulla
giovarono. Si provò di prorogarlo; ma dal giorno della proroga la
opposizione ai suoi disegni era divenuta ognora più forte. Sembrava
chiaro che volendo mandare ad effetto il proprio pensiero, gli era
mestieri farlo sfidando quel gran partito che aveva dato segnalate
prove di fedeltà al suo grado, alla sua famiglia, alla sua persona.
Tutto il clero anglicano, tutti i gentiluomini(832) Cavalieri gli
stavano contro. Invano egli, per virtù della sua supremazia
ecclesiastica, aveva comandato al clero che si astenesse dal
discutere i punti controversi. In ogni chiesa parrocchiale del
Regno, tutte le domeniche i sacerdoti esortavano i fedeli a
guardarsi dagli errori di Roma: esortazioni che erano le sole
efficaci, perocchè venivano accompagnate da proteste di riverenza
verso il Sovrano, e da giuramenti di sopportare pazientemente ciò
che gli sarebbe piaciuto di infliggere. I Cavalieri e scudieri
realisti, i quali in quarantacinque anni di guerra e di fazioni
avevano con esimio valore difeso il trono, adesso andavano con
franche parole dicendo, essere risoluti di difendere con pari valore
la Chiesa. Per quanto duro d'intelletto fosse Giacomo, per quanto ei
fosse d'indole dispotica, conobbe ch'era tempo di appigliarsi ad
altra via. Non poteva a un tratto rischiarsi ad oltraggiare tutti i
suoi sudditi protestanti. Se si fosse potuto indurre a fare
concessioni al partito predominante in ambe le Camere, a lasciare
alla Chiesa Stabilita tutti gli emolumenti, i privilegi, le dignità,
avrebbe potuto sturbare le ragunanze de' presbiteriani, ed empire le
carceri di predicatori Battisti. Ma se era risoluto di spogliare la
gerarchia, gli era mestieri privarsi della voluttà di perseguire i
Dissenzienti. Se doveva da quinci innanzi appiccare lite co' suoi
vecchi amici, gli era necessario far tregua coi vecchi nemici.
Poteva opprimere la Chiesa Anglicana solo formando contro essa una
vasta coalizione, che comprendesse le sètte, le quali, benchè e per
dottrine e per ordinamento differissero l'una dall'altra molto più
che da quella, potevano, perchè erano egualmente gelose della sua
grandezza e ne temevano la intolleranza, essere indotte a far posa
alle loro animosità finchè la ponessero in condizione di non poterle
più opprimere.
Cosiffatto disegno piacevagli singolarmente per questa ragione.
Potendo riuscirgli di riconciliare fra loro i protestanti
non-conformisti, gli era dato sperare di porsi al sicuro contro ogni
probabilità di ribellione. Secondo i teologi anglicani, nessun
suddito per qual si fosse provocazione poteva equamente resistere
con la forza all'unto del Signore. La dottrina de' Puritani era ben
diversa. Essi non avevano scrupolo a trucidare i tiranni con la
spada di Gedeone. Molti di loro non temevano d'usare la daga di
Ehud. E forse in quel mentre meditavano un'insurrezione simile a
quella delle Contrade Occidentali, una congiura come quella di Rye
House. Giacomo quindi pensò di potere senza pericolo perseguitare la
Chiesa qualora gli fosse riuscito di amicarsi i Dissenzienti. Il
partito, i cui principii non gli offrivano nessuna guarentigia, si
sarebbe a lui accostato per interesse. Il partito del quale egli
aggrediva gl'interessi, sarebbe stato impedito d'insorgere per
principio politico.
Mosso da tali considerazioni, Giacomo, dal tempo in cui si divise di
mal umore dal suo Parlamento, cominciò a meditare una lega generale
di tutti i non-conformisti, cattolici e protestanti, contro la
religione dello Stato. Fino dal Natale del 1685, gli agenti delle
Provincie Unite scrivevano al loro Governo, essersi deliberato di
concedere, e pubblicare tra breve una tolleranza generale(833). Si
vide col fatto che tale annunzio era prematuro. E' sembra nondimeno,
che i separatisti fossero trattati con più mitezza nel 1686, che
nell'anno precedente. Ma solo a poco a poco, e dopo lunga tenzone
con le proprie inclinazioni, il Re potè indursi a formare colleganza
con coloro ch'egli sopra tutti aborriva. Doveva vincere un odio non
lieve o capriccioso, non nato e cresciuto pur allora, ma, ereditario
nella sua famiglia, rinvigorito da gravissimi torti inflitti e
sofferti pel corso di cento venti anni di vicende, e immedesimato a
tutti i suoi sentimenti religiosi, politici, domestici e personali.
Quattro generazioni di Stuardi avevano mosso guerra mortale a
quattro generazioni di Puritani; e per tutta quella lunga guerra non
v'era stato nessuno fra gli Stuardi che al pari di lui odiasse i
Puritani, e fosse da loro odiato. Eransi provati a disonorarlo, e ad
escluderlo dal trono; lo avevano chiamato incendiario, scannatore,
avvelenatore; lo avevano cacciato dallo Ammiragliato e dal
Consiglio; lo avevano più volte bandito; avevano congiurato ad
assassinarlo; gli erano a migliaia insorti contro impugnando le
armi. Ei se ne era vendicato con una strage non mai fino allora
veduta in Inghilterra. I loro capi e le loro squartate membra
stavansi tuttavia fitti sulle pertiche a imputridire in tutte le
piazze delle Contee di Somerset e di Dorset. Donne venerande per età
e tenute in grande onoranza per religione e carità da' settarii,
erano state decapitate e bruciate vive per falli sì lievi, che
nessun buon principe avrebbe giudicate meritevoli nè anche d'una
severa riprensione. Tali erano state, anco in Inghilterra, le
relazioni tra il Re e i Puritani; e in Iscozia, la tirannia del Re e
il furore de' Puritani erano tali, che nessuno Inglese gli avrebbe
potuti concepire. Porre in oblio una nimistà così lunga e mortale
non era lieve impresa per un cuore singolarmente duro e implacabile
qual era quello di Giacomo.
La tenzone che travagliava l'animo del Re, non isfuggì all'occhio di
Barillon. Alla fine di gennaio 1687, egli spedì a Versailles una
lettera notevolissima. Il Re - tale era la sostanza di cotesto
documento - era quasi convinto di non potere ottenere piena libertà
a pro de' Cattolici Romani, e a un tempo mantenere le leggi contro i
Protestanti Dissenzienti. Per la qual cosa, inclinava al partito di
concedere una indulgenza generale; ma in cuor suo amerebbe meglio di
potere anche adesso dividere la sua protezione e il suo favore tra
la Chiesa di Roma e quella d'Inghilterra, escludendone tutte le
altre sètte religiose(834).
XXIII. Pochissimi giorni dopo che fu scritto cotale dispaccio,
Giacomo, esitando e di poco buona grazia, fece i primi passi a
negoziare coi Puritani. Aveva fatto pensiero di cominciare dalla
Scozia, dove la sua potestà di dispensare era stata riconosciuta
dagli Stati verso lui ossequenti. Il dì 12 febbraio, quindi, fu
pubblicata in Edimburgo una ordinanza ad alleggiare le coscienze
scrupolose(835), la quale prova come fosse esatto il giudicio di
Barillon. Fino nello stesso atto di fare concessioni ai
Presbiteriani, Giacomo non poteva nascondere il disgusto che sentiva
per essi. I Cattolici ebbero piena tolleranza. I Quacqueri ebbero
poca ragione di dolersi. Ma la indulgenza concessa ai Presbiteriani,
che formavano la maggioranza del popolo scozzese, fu inceppata da
condizioni tali, da renderla pressochè inutile. Al vecchio Atto di
Prova, il quale escludeva egualmente i Cattolici e i Presbiteriani
dagli uffici, fu sostituito un nuovo Atto di Prova che ammetteva i
Cattolici, ma escludeva la maggior parte de' Presbiteriani. Ai
Cattolici era lecito edificare cappelle, e anche portare l'Ostia
processionalmente in ogni luogo, tranne nelle strade maestre de'
borghi reali; ai Quacqueri era lecito di ragunarsi ne' pubblici
edifici: ma ai Presbiteriani fu inibito di adorare Dio altrove che
nelle private abitazioni; non dovevano osare di erigere edifici per
ragunarvisi; non potevano servirsi nè anche di una loggia o di un
granaio per gli esercizi religiosi; e fu loro distintamente
notificato, che ove avessero ardimento di tenere conventicole
all'aria aperta, la legge che puniva di morte i predicatori e gli
uditori, verrebbe eseguita senza misericordia. Qualunque prete
cattolico poteva dir Messa; qualunque Quacquero poteva arringare
innanzi ai suoi confratelli: ma il Consiglio Privato ebbe
comandamento di impedire che nessun ministro presbiteriano
predicasse, senza speciale licenza del Governo. Ogni parola di
cotesto Atto e delle lettere onde fu accompagnato, mostra quanto
costasse al Re di mitigare minimamente il rigore col quale egli
aveva sempre trattato i vecchi nemici della sua famiglia(836).
XXIV. Veramente, abbiamo ragione di credere, che allorquando egli
pubblicò cotesta ordinanza, non era pienamente risoluto di far lega
coi Puritani, e che il suo scopo era solo di concedere loro tanto
favore che bastasse ad atterrire i credenti della Chiesa Anglicana e
indurli a cedere. Onde egli aspettò per un mese a fine di vedere lo
effetto che produrrebbe in Inghilterra l'editto promulgato in
Edimburgo. Quel mese fu da lui impiegato assiduamente, giusta il
consiglio di Petre, in ciò che chiamavasi ingabinettare. Londra era
molto affollata di gente. Aspettavasi d'ora in ora la riapertura
delle Camere pel disbrigo degli affari, e molti de' membri erano in
città. Il Re si pose a indagare l'animo di ciascuno partitamente.
Lusingavasi che i Tory zelanti - e di siffatti uomini, tranne
pochissimi, era composta la Camera de' Comuni - avrebbero difficoltà
a resistere alle calde dimande, fatte loro non in comune, ma
separatamente a ciascuno, non dal trono, ma nella familiarità della
conversazione. I rappresentanti, perciò, i quali recavansi a
Whitehall per rendere riverenza al sovrano, erano tratti in
disparte, e ricevevano l'onore di lunghi colloqui. Il Re li pregava,
a nome della lealtà loro, a compiacerlo nella sola cosa che gli
stesse a cuore. Diceva andarci dell'onor suo; le leggi fatte sotto
il suo predecessore da Parlamenti faziosi contro i Cattolici Romani,
avere avuto di mira lui solo; tali leggi avergli inflitta una
macchia, averlo espulso dall'Ammiragliato e dal Consiglio Privato;
avere egli diritto che tutti coloro dai quali era amato e riverito,
dovessero cooperare ad abrogare quelle leggi. Come si accôrse che i
rappresentanti rimanevano duri alle sue esortazioni, si mise ad
intimidirli e a corromperli. A coloro che ricusarono di cedere alle
sue voglie, fu a chiare note detto, che non dovevano aspettarsi il
più lieve segno della grazia sovrana. Per quanto ei fosse spilorcio,
aperse e profuse i suoi tesori. Parecchi di coloro, ch'erano stati
invitati a conferire con lui, uscirono dalle regie stanze con le
mani piene d'oro dato dal Re stesso.
XXV. I Giudici, che a quel tempo facevano il giro ufficiale di
primavera, ebbero ordine di vedere quei rappresentanti che
rimanevano in provincia, e investigare i loro intendimenti. Il
risultamento di tali investigazioni fu, che la grande maggioranza
della Camera de' Comuni era risolutamente decisa ad opporsi alle
misure della Corte(837). Fra coloro la cui fermezza destò universale
ammirazione, si rese notevole Arturo Herbert, fratello del Capo
Giudice, rappresentante di Dover, Maestro Guardaroba e
Contrammiraglio d'Inghilterra. Arturo Herbert era molto amato da'
marinai, ed aveva voce d'essere uno de' migliori ufficiali
appartenenti al ceto aristocratico. Supponevasi comunemente ch'egli
avrebbe di leggeri aderito alle voglie del Re, imperciocchè era non
curante della religione, amante di godere e di spendere; non aveva
patrimonio; i suoi impieghi gli fruttavano quattromila lire sterline
l'anno; ed era da lungo tempo annoverato tra i più fidi partigiani
di Giacomo. Non per tanto, allorchè il Contrammiraglio fu condotto
alle secrete stanze del suo signore e gli fu richiesta la promessa
di votare contro la revoca dell'Atto di Prova, rispose che l'onore e
la coscienza non gli consentivano di farlo. "Nessuno dubita
dell'onor vostro," disse il Re "ma un uomo che conduce la vita come
voi, non dovrebbe parlare di coscienza." A questo rimprovero, che
usciva con cattiva grazia dalle labbra del drudo di Caterina Sedley,
Herbert animosamente rispose: "Io ho i miei difetti, o Sire; ma
potrei nominare taluni i quali parlano di coscienza assai più di
quel che io ho costume di fare, e intanto menano una vita sciolta
come la mia." Fu destituito da tutti i suoi impieghi; e i suoi conti
d'entrata e uscita come Maestro Guardaroba, furono sindacati con
grande, e - come egli se ne dolse - ingiusta severità(838).
Oggimai vedevasi chiaramente, che era mestieri abbandonare la
speranza d'una lega tra la Chiesa d'Inghilterra e quella di Roma a
fine di partire tra esse gli uffici e gli emolumenti. Null'altro
rimaneva, che tentare una coalizione tra la Chiesa di Roma e le
sètte puritane contro la Chiesa Anglicana.
XXVI. Il diciottesimo giorno di marzo, il Re annunziò al Consiglio
Privato il pensiero di prorogare il Parlamento sino alla fine di
novembre, e concedere, di propria autorità, a tutti i suoi sudditi
piena libertà di coscienza(839). Il di quarto d'aprile, fu
promulgata la memorabile Dichiarazione d'Indulgenza.
In questa Dichiarazione, il Re significava essere suo desiderio di
vedere il suo popolo rientrare in grembo di quella Chiesa alla quale
egli apparteneva. Ma poichè ciò non poteva conseguirsi, annunziava
ch'era suo intendimento proteggere ciascuno nel pieno esercizio
della propria religione. Ripeteva tutte quelle frasi che otto anni
innanzi, quando anch'egli pativa oppressione, s'udivano di continuo
sulle sue labbra, ma che aveva cessato d'usare fino dal giorno in
cui, per un volgere di fortuna, era venuto in condizione di farsi
oppressore. Diceva, essere da lungo tempo convinto, che la coscienza
non doveva forzarsi; che la persecuzione tornava nociva allo
incremento della popolazione e del commercio, e non conduceva mai al
fine vagheggiato dal persecutore. Ripeteva la promessa, già più
volte fatta e più volte violata, di volere proteggere la Chiesa
dello Stato nel godimento de' suoi diritti. Procedeva quindi ad
annullare, di propria autorità, una lunga serie di Statuti.
Sospendeva tutte le leggi penali contro tutte le classi de'
non-conformisti. Autorizzava i Cattolici Romani e i Protestanti
Dissenzienti a esercitare pubblicamente il loro culto. Inibiva a'
suoi sudditi - pena la collera sovrana - di molestare alcuna
religiosa assemblea. Abrogava parimente quegli Atti che imponevano
la prova religiosa come requisito ad occupare gli uffici civili e
militari(840).
Che la Dichiarazione d'Indulgenza fosse atto incostituzionale, è
cosa, intorno alla quale entrambi i grandi partiti inglesi hanno
sempre pienamente concordato. Chiunque sia capace di ragionare sopra
una questione politica, deve intendere che un monarca competente ad
emanare una simigliante dichiarazione, è niente meno che un monarca
assoluto. Nè a difesa di Giacomo possono allegarsi quelle ragioni
con le quali molti atti arbitrari degli Stuardi sono stati difesi o
scusati. Non può dirsi ch'ei s'ingannasse circa i confini della
regia prerogativa, come quelli che non erano esattamente definiti.
Imperciocchè è innegabile ch'egli li travarcava, non ostante che gli
stesse dinanzi allo sguardo un esempio recente che in quel caso
precisamente li stabiliva. Quindici anni innanzi, una Dichiarazione
d'Indulgenza era stata promulgata dal suo fratello per consiglio
della Cabala. Ove cotesta Dichiarazione si paragoni con quella di
Giacomo, potrebbe reputarsi modesta e cauta. La Dichiarazione di
Carlo dispensava solo dalle leggi penali. La Dichiarazione di
Giacomo dispensava anco da tutti gli Atti di Prova religiosa. La
Dichiarazione di Carlo permetteva ai Cattolici Romani di celebrare
il loro culto solamente nelle private abitazioni. Per virtù della
Dichiarazione di Giacomo, essi potevano erigere e adornare i tempii,
ed anche andare processionalmente lungo Fleet Street con croci,
immagini e gonfaloni. E non ostante ciò, la Dichiarazione di Carlo
era stata nel modo più solenne giudicata illegale. La Camera de'
Comuni aveva deliberato, che il Re non aveva potestà di dispensare
dagli Statuti nelle materie ecclesiastiche. Carlo aveva ordinato che
quell'istrumento venisse cancellato in presenza sua, aveva con le
proprie mani strappato il sigillo, e con un messaggio munito della
sua firma, e colle proprie labbra dal trono in pieno Parlamento,
aveva chiaramente promesso ad ambe le Camere, che quell'Atto, il
quale aveva loro recato si grave offesa, non verrebbe mai
considerato come esempio. Le Camere a pieni voti, tranne un solo,
avevano ringraziato il Re per essersi degnato di compiacere ai
desiderii loro. Non v'è questione costituzionale che sia stata
decisa con maggiore delicatezza, chiarezza ed unanimità.
I difensori di Giacomo, ad escusarlo, hanno spesso allegato il
giudizio della Corte del Banco del Re intorno alla querela
collusivamente deposta contro Sir Eduardo Hales: ma tale argomento è
di nessun valore; imperocchè quella sentenza, come è a tutti noto,
fu ottenuta da Giacomo per mezzo di sollecitazioni e di minacce,
cacciando via i magistrati scrupolosi, e sostituendone altri più
cortigiani. E nondimeno, quella sentenza, tuttochè dal fôro e dalla
nazione venisse generalmente considerata come incostituzionale,
giunse solo ad affermare, che il sovrano, per ispeciali ragioni di
Stato, può gl'individui nominatamente esentare dagli Statuti
portanti incapacità. Ma nessun tribunale, di faccia alla solenne
decisione parlamentare del 1673, si era arrischialo ad affermare,
che il Re avesse facoltà d'autorizzare con un solo editto tutti i
suoi sudditi a disubbidire ad interi volumi di leggi.
XXVII. Tali, nonostante, erano le condizioni de' partiti, che
credevasi certo, la Dichiarazione di Giacomo, quantunque fosse il
più audace degli attentati fatti dagli Stuardi contro le pubbliche
libertà, dover piacere a quegli stessi cittadini, i quali avevano
con più coraggio e pertinacia resistito a tutti gli altri attentati
degli Stuardi contro le libertà pubbliche. Non era supponibile che
il Protestante non-conformista, da' suoi concittadini diviso da dure
leggi rigorosamente eseguite, volesse contrastare la validità d'un
decreto che lo alleggiava da insopportabili aggravi. Un osservatore
pacato e filosofo avrebbe indubitatamente affermato, che nessun male
derivante da tutte le leggi intolleranti fatte dai Parlamenti, era
da paragonarsi a quello che sarebbe nato, ove il potere legislativo
dal Parlamento fosse passato nelle mani del principe. Ma tanta
pacatezza e filosofia non è da trovarsi in coloro che gemono nella
sciagura, e ai quali s'offre la tentazione d'essere subitamente
liberati. Un teologo puritano non poteva punto negare, che la
potestà di dispensare pretesa dalla Corona, era incompatibile co'
principii fondamentali della Costituzione. Ma anderebbe forse
scusato s'egli avesse detto: Che importa a me della Costituzione?
L'Atto d'Uniformità lo aveva, in onta alle promissioni sovrane,
privato di un beneficio ch'era sua proprietà, e lo aveva ridotto
miserabile e dipendente. L'Atto, chiamato Five-Mile-Act, lo aveva
bandito dalla sua abitazione, da' parenti, dagli amici, da quasi
tutti i luoghi pubblici. Per vigore del Conventicle-Act, gli erano
stati tolti i beni, ed egli era stato seppellito in carcere fra
mezzo ai ladroni ed agli assassini. Fuori di prigione si vedeva ai
fianchi gli ufficiali della giustizia; era costretto a dar la mancia
alle spie perchè non lo denunciassero; passava ignominiosamente
travestito, per finestre e bugigattoli onde riunirsi al proprio
gregge; e versando l'onda battesimale e amministrando il pane
eucaristico, tendeva gli orecchi ansiosamente ascoltando il segno
che l'avvertisse come gli uscieri si avvicinavano. Non era egli uno
scherno pretendere che un uomo in siffatta guisa oppresso patisse il
martirio per gli averi e la libertà de' suoi spogliatori ed
oppressori? La Dichiarazione, per quanto potesse sembrare dispotica
ai suoi felici vicini, lo liberava da tanti mali. Egli fu chiamato
ad eleggere, non tra la libertà e la schiavitù, ma fra due gioghi;
ed è naturale ch'egli stimasse il giogo del Re più lieve di quello
della Chiesa Anglicana.
XXVIII. Mentre tali pensieri agitavansi in mente ai Dissenzienti, il
partito anglicano era compreso di maraviglia e di terrore. Cotesto
nuovo rivolgimento delle pubbliche cose era, a dir vero, terribile.
La Casa Stuarda in lega co' repubblicani e coi regicidi contro i
Cavalieri d'Inghilterra; il papismo in lega co' Puritani contro un
ordinamento ecclesiastico, del quale i Puritani non querelavansi, se
non che riteneva troppo de' riti papali: erano portenti tali da
confondere tutti i calcoli degli uomini di Stato. La Chiesa doveva,
adunque, essere aggredita da ogni parte; e capo della aggressione
doveva essere colui che, per virtù della costituzione, era capo
della Chiesa stessa. Era, quindi, naturale che rimanesse
maravigliata e atterrita. E misti alla maraviglia e al terrore,
destaronsi altri sinistri umori: risentimento contro lo spergiuro
Principe, da essa fino allora affettuosamente servito; e rimorso
delle crudeltà, a commettere le quali egli era stato complice della
Chiesa, e adesso pareva dovernela punire. Ed era giusta punizione,
imperocchè essa raccoglieva ciò che aveva seminato. Dopo la
Restaurazione, trovandosi al più alto grado di sua potenza, non
aveva ella altro spirito che vendetta. Aveva inanimati, incitati e
quasi costretti gli Stuardi a rimunerare con perfida ingratitudine i
recenti servigi de' Presbiteriani. Se nella stagione della
prosperità ella si fosse interposta, come era suo debito, a pro de'
propri nemici, gli avrebbe ora nella sciagura trovati amici. Forse
non era troppo tardi; forse poteva anche riuscire di volgere la
strategia del suo infido oppressore contro lui stesso. Esisteva fra
il Clero Anglicano un partito moderato, il quale era stato sempre
animato da miti sentimenti verso i Protestanti Dissenzienti. Cotesto
partito non era numeroso; ma s'era reso rispettabile per l'abilità,
la dottrina, e la virtù di coloro che lo componevano. Gli alti
dignitari ecclesiastici gli erano stati poco favorevoli, e i
bacchettoni della scuola di Laud lo avevano senza pietà oltraggiato:
ma dal giorno in cui apparve la Dichiarazione d'Indulgenza fino a
quando la potenza di Giacomo cessò d'incutere terrore, tutta quanta
la Chiesa Anglicana sembrò animata dallo spirito, e guidata dai
consigli de' calunniati Latitudinarii.
XXIX. Allora seguì, per così dire, una concorrenza al rincaro più
strana d'ogni altra, di cui serbi ricordo la storia. Da una parte il
Re, dall'altra la Chiesa, studiavano acquistarsi, ciascuno a danno
dell'altro, i favori di coloro ad opprimere i quali, fino a quel
tempo, il Re e la Chiesa erano andati d'accordo. I Protestanti
Dissenzienti, pochi mesi innanzi, erano una classe spregiata e
proscritta; adesso tenevano la bilancia del potere. La durezza usata
loro venne universalmente condannata. La Corte si provò di gettare
tutta la colpa sopra la gerarchia; la quale la rigettava in viso
alla Corte. Il Re dichiarò d'avere a malincuore perseguito i
Separatisti, solo perchè i suoi affari erano in tali condizioni, che
egli non poteva rischiarsi a spiacere al clero anglicano. Il clero
protestava d'avere avuto parte in una severità contraria alle
proprie inclinazioni, solo per deferenza all'autorità del Re. Il Re
mise insieme una raccolta di storielle concernenti rettori e vicari,
i quali con minacce di persecuzione avevano estorto danaro dai
Protestanti Dissenzienti. Ne parlò molto e pubblicamente; minacciò
d'istituire un'inchiesta, la quale avrebbe mostrato al mondo i
parrochi nelle loro genuine sembianze: e di fatto, creò diverse
Commissioni, incaricando certi agenti, de' quali credeva potersi
fidare, d'indagare quanta pecunia in diversi luoghi del reame gli
aderenti alla religione dello Stato avevano estorta da' settari. I
difensori della Chiesa, dall'altro canto, citavano esempi di onesti
sacerdoti, i quali dalla Corte erano stati ripresi e minacciati per
avere dal pulpito inculcata la tolleranza, e ricusato di spiare e
denunziare le piccole congregazioni di Non-Conformisti. Il Re
asseriva che parecchi partigiani della Chiesa Anglicana, coi quali
aveva conferito in secreto, gli avevano offerte ampie concessioni a
favore de' Cattolici, a patto che la persecuzione contro i Puritani
avesse a continuare. Gli accusati partigiani della Chiesa
animosamente dicevano falsa l'accusa, aggiungendo che ove avessero
voluto consentire ciò che il Re domandava, questi avrebbe volentieri
conceduto loro che si indennizzassero perseguitando e spogliando i
Protestanti Dissenzienti(841).
La Corte era cangiata d'aspetto. L'abito da prete non poteva
mostrarvisi senza provocare gli scherni e i maliziosi bisbigli de'
cortigiani. Le dame di Corte, invece, astenevansi di ridere, e i
ciamberlani s'inchinavano profondamente quando per la reggia
vedevano il viso e il vestire de' Puritani, che da tanto tempo erano
stati ne' circoli del bel mondo materia di scherno. Taunton, che pel
corso di due generazioni era stata il baluardo del partito delle
Teste-Rotonde nelle Contrade Occidentali, che aveva due volte
respinto le armi di Carlo I, che s'era levata come un solo uomo a
favore di Monmouth, e che da Kirke e da Jeffreys era stata
trasmutata in macello di carne umana, sembrava avere repentinamente
acquistato nel cuore del Re il posto una volta occupato da
Oxford(842). Il Re faceva forza a sè stesso, per mostrarsi
lusinghevolmente cortese a' più egregi fra' Dissenzienti. A chi
offerse danari, a chi uffici municipali, a chi grazie pei parenti ed
amici, i quali, implicati nella congiura di Rye House o nella
ribellione di Monmouth, ramingavano nel continente, o sudavano fra
le piantagioni americane. Simulò perfino di consentire co' Puritani
inglesi nella cortesia che mostravano ai loro confratelli stranieri.
Furono pubblicati in Edimburgo un secondo e un terzo proclama, co'
quali considerevolmente egli slargava la futile tolleranza concessa
ai presbiteriani dallo editto di febbraio(843). I banditi Ugonotti,
che il Re per molti mesi aveva guardati in cagnesco, privandoli
della limosina fatta loro dalla nazione, adesso ricevevano
alleggiamento e carezze. Il Consiglio emanò un ordine per destare a
favor loro la pubblica liberalità. La condizione di conformarsi al
culto anglicano, che il Re aveva loro imposta per ottenere parte
della limosina, sembra questa volta essere stata tacitamente
abrogata; e i difensori della politica del Re ebbero la sfrontatezza
di affermare, che quella condizione - la quale, come risulta
incontrastabilmente da' fatti, era stata immaginata da lui d'accordo
con Barillon - fosse stata adottata ad istanza de' prelati della
Chiesa Anglicana(844).
Mentre il Re in cotesto modo studiavasi di blandire i suoi antichi
avversari, gli amici della Chiesa non erano meno di lui operosi.
Appena vedevansi i segni di quell'acrimonia e di quel disprezzo con
che, dopo la Restaurazione, i prelati e i preti solevano trattare i
settarii. Coloro che poco innanzi erano additati come scismatici o
fanatici, adesso erano divenuti diletti confratelli protestanti;
deboli uomini forse, ma tuttavia confratelli, i cui scrupoli
meritavano pietoso compatimento. Ove essi in cotesta crisi si
mostrassero sinceri alla causa della Costituzione inglese e della
religione riformata, la loro generosità verrebbe tosto e largamente
rimunerata. Invece di una indulgenza di nessun valore legale, ne
otterrebbero una vera, assicurata con un atto del Parlamento. Anzi,
molti aderenti alla Chiesa Anglicana, i quali fino allora s'erano
fatti notare per la loro inflessibile venerazione d'ogni gesto e
d'ogni parola prescritta nel Libro della Preghiera Comune,
dichiaravansi oramai favorevoli, non solo alla tolleranza, ma anche
alla comprensione. Dicevano che la disputa intorno al vestire e allo
atteggiarsi, aveva per lungo tempo diviso coloro i quali
concordavano intorno ai punti essenziali della religione. Finita la
lotta mortale contro il comune nemico, vedrebbero come il clero
anglicano si mostrerebbe pronto a far loro ogni concessione. Se i
Dissenzienti dimandassero allora ciò che è ragionevole, non solo
sarebbero loro concessi gli uffici civili, ma gli ecclesiastici; e
Baxter e Howe, senza macchia veruna d'onore e di coscienza,
potrebbero assidersi fra i vescovi.
XXX. Fra tutti i numerosi scritti co' quali in quel tempo la Corte e
la Chiesa ingegnavansi di trarre a sè il Puritano, che oggimai, per
uno strano volgere di fortuna, era divenuto arbitro delle sorti de'
suoi persecutori, d'un solo è serbata fino ai dì nostri ricordanza;
cioè della Lettera a un Dissenziente. In questo articoletto,
tratteggiato con gran magistero, tutti gli argomenti atti a
convincere un Non-Conformista com'era di suo dovere e interesse il
preferire la lega con la Chiesa alla lega con la Corte, sono
condensati nel più breve spazio, con lucidissimo ordine disposti,
illustrati con spiritosa vivacità, e rinvigoriti con eloquenza, la
quale, ancorchè fervida e veemente, non travarca i confini del buon
senso e della convenevolezza. La sensazione da esso prodotta fu
immensa; imperocchè, essendo un solo foglio volante, ne furono
spediti per la posta ventimila e più esemplari; e non vi fu luogo
nel Regno, in cui non ne fosse sentito lo effetto. Tosto comparvero
alla luce ventiquattro risposte; ma la voce pubblica le disse tutte
cattive, e peggiore di tutte quella di Lestrange(845). Il Governo ne
fu fortemente irritato, e fece ogni sforzo a scoprire lo autore
della Lettera; ma non fu possibile trovarne prove legali. Ad alcuni
parve riconoscervi le opinioni e lo stile di Temple(846). Ma, a dir
vero, quella larghezza e acutezza di concepimento, quella vivacità
di fantasia, quello stile terso ed energico, quella calma dignità,
mezzo cortigiana e mezzo filosofica, non perturbata mai dalla
estrema concitazione del conflitto, erano qualità appartenenti al
solo Halifax. XXXI. I Dissenzienti ondeggiavano; nè vanno di ciò
rimproverati, avvegnachè il Re gli alleviasse da' mali che essi
soffrivano. Molti insigni pastori erano stati liberati dalla
prigionia; altri eransi rischiati a ritornare dallo esilio. Le
congregazioni che fino allora s'erano tenute di furto e fra le
tenebre, adesso ragunavansi in pieno giorno; cantavano salmi ad alta
voce, tanto da farsi udire dai magistrati, da' sagrestani e dagli
agenti di polizia. Parecchi modesti edifici per servigio del culto
puritano, cominciarono a sorgere in tutta la Inghilterra. Un
diligente viaggiatore potrebbe anche oggi notare la data del 1687,
in alcuno de' più vecchi di siffatti edifici. Nondimeno, per un
giudizioso Dissenziente, le profferte della Chiesa erano più
accettabili di quelle fatte dal Re. La Dichiarazione era nulla al
cospetto della legge. Sospendeva gli statuti penali contro i
Non-Conformisti, solo finchè rimanevano sospesi i principii
fondamentali della Costituzione, e l'autorità legittima del corpo
legislativo. E che era mai il valore di privilegi posseduti con
tanta ignominia e con sì poca sicurezza? Il trono da un giorno
all'altro avrebbe potuto divenire vacante, e toccare in sorte ad un
Sovrano fedele osservatore della religione dello Stato. Si sarebbe
potuto ragunare un Parlamento composto di credenti nella Chiesa
Anglicana. Quanto deplorabile sarebbe allora la situazione de'
Dissenzienti, collegati co' Gesuiti contro la Costituzione! La
Chiesa offriva una indulgenza molto differente da quella concessa da
Giacomo, e valida e sacra al pari della Magna Carta. Ambedue i
partiti avversi offrivano libertà ai Separatisti: ma l'uno voleva
che essi la comperassero col sacrifizio della libertà civile;
l'altro gl'invitava a godere della libertà civile e della religiosa.
Per tali ragioni, quando anche si fosse potuto prestar fede alla
sincerità della Corte, un Dissenziente avrebbe ragionevolmente
dovuto congiungere la propria sorte con quella della Chiesa. Ma qual
guarentigia della propria sincerità offriva la Corte? La condotta
fino a quel tempo tenuta da Giacomo era nota a ciascuno. Per vero
dire, non era impossibile che un persecutore si fosse potuto col
ragionamento e con la esperienza convincere dell'utilità della
tolleranza. Ma Giacomo non asseriva d'essersi pur allora convinto:
all'incontro, non lasciava sfuggire nessuna occasione per protestare
come egli da molti anni per principio abborrisse da ogni
intolleranza. E nulladimeno, in pochi mesi, aveva perseguitato a
morte uomini, donne, giovinette, per la loro religione. Aveva egli
agito contro la evidenza e le proprie convinzioni? O adesso mentiva
per calcolo? Da questo dilemma non v'era modo a svincolarsi; ed
ambedue le supposizioni erano fatali alla pretesa onestà del Re. Era
parimente manifesto, ch'egli s'era compiutamente sottoposto ai
Gesuiti. Solo pochi giorni innanzi la pubblicazione della
Indulgenza, la Società di Gesù era stata da lui onorata, malgrado i
ben noti desiderii della Santa Sede, con un nuovo segno di fiducia
ed approvazione. Il Padre Mansueto, dell'Ordine de' Francescani, suo
confessore, riverito da tutti per la sua indole dolce e per la sua
vita irreprensibile, ma da lungo tempo in odio a Tyrconnel e Petre,
era stato posto da parte. Il posto vacante era stato dato ad un
Inglese, di nome Warner, il quale, apostatando dalla religione del
proprio paese, erasi fatto Gesuita. Tale nomina non fu punto
gradevole ai Cattolici Romani moderati ed al Nunzio; e da ogni
protestante venne considerata come prova dello assoluto predominio
de' Gesuiti sull'animo del Re(847). Siano quante si vogliano le lodi
alle quali que' reverendi possano giustamente pretendere, gli stessi
adulatori non potrebbero loro attribuire le qualità di largamente
liberali o rigorosamente veraci. Che, trattandosi dello interesse
dell'ordine, non avessero mai avuto scrupoli a chiamare in loro
aiuto la spada de' Principi, o violare il vero e la buona fede, era
stato asserito al cospetto del mondo, non solo da' protestanti loro
accusatori, ma da uomini altresì della cui virtù e del cui genio
gloriavasi la Chiesa di Roma. Era incredibile che un cieco discepolo
de' Gesuiti, per principio fosse zelante della libertà di coscienza;
ma non era nè incredibile nè improbabile ch'egli si reputasse
giustificato, dissimulando i propri veri sentimenti, onde rendere
servigio alla propria vera religione. Era certo che il Re in cuor
suo gli Anglicani preferiva ai Puritani. Era certo parimente, che
mentre aveva speranza di trarre al suo partito i credenti della
Chiesa d'Inghilterra, non s'era menomamente mostrato cortese verso i
Puritani. Poteva, adunque, dubitarsi, che ove gli Anglicani si
fossero anche allora arresi ai suoi desiderii, non avrebbe
volentieri sacrificato i Puritani? Per la parola da lui più volte
data, ei non s'era astenuto dallo invadere i diritti legittimi di
quel clero, il quale aveva date cotante prove di affetto e di
fedeltà verso la casa di lui. Di qual sicurtà sarebbe adunque la sua
parola alle sètte che da lui divideva la rimembranza di mille
imperdonabili ferite fatte e ricevute?
XXXII. Calmato il primo concitamento, prodotto dalla promulgazione
della Indulgenza, e' parve che una rottura avesse avuto luogo nel
partito puritano. La minoranza, capitanata da pochi faccendieri che
difettavano di senno e miravano al proprio interesse, sosteneva il
Re. Enrico Care, il quale da gran tempo era stato il più acre ed
indefesso articolista de' Non-Conformisti, e ne' giorni della
Congiura Papale aveva osteggiato Giacomo con estremo furore in un
Giornale settimanale detto Pacco di Notizie da Roma, adesso alzava
la voce ad adulare, come l'aveva già alzata a vomitare calunnie ed
insulti(848). Lo agente precipuo adoperato dal Governo a raggirare i
Presbiteriani, era Vincenzo Alsop, teologo di qualche riputazione, e
come predicatore e come scrittore. Il suo figliuolo, che era incorso
nelle pene comminate a' rei di crimenlese, ottenne la grazia; e in
tal guisa il padre adoperò tutta la propria influenza a pro della
Corte(849). Con Alsop si congiunse Tommaso Rosewell. Costui, mentre
infuriava la persecuzione contro i Dissenzienti dopo la scoperta
della Congiura di Rye House, era stato falsamente accusato di avere
predicato contro il Governo, era stato processato da Jeffreys, e in
onta alla evidenza de' fatti, convinto da' giurati corrotti e
dannato a morte. La ingiustizia della sentenza era sì enorme, che
gli stessi cortigiani ne vergognarono. Un gentiluomo Tory che era
stato presente al processo, corse di subito a Carlo, dichiarando che
la testa del suddito più leale in Inghilterra non sarebbe più in
sicuro, qualora Rosewell venisse punito. Gli stessi giurati punse il
rimorso quando ripensarono sopra ciò che avevano fatto, e
sforzaronsi di salvare la vita a quel misero. In fine, egli ottenne
perdono, ma a patto di dare una forte cauzione di buona condotta per
tutta la vita, e di presentarsi periodicamente al Banco della Corte
del Re. Oggimai per volere del Re fu liberato da cotesto carico; e
in tal modo divenne partigiano della Corte(850).
Lo incarico di trarre al partito della Corte gl'indipendenti, venne
affidato ad uno de' loro ministri, chiamato Stefano Lobb. Lobb era
uomo debole, violento ed ambizioso. S'era spinto tanto oltre nella
opposizione, ch'era stato nominatamente proscritto in parecchi
editti. Adesso si rappacificò col Governo, e trascese tanto a
mostrarsi servile, quanto aveva trasceso a mostrarsi fazioso. Si
collegò con la cabala gesuitica, e caldamente suggerì cose, dalle
quali abborrivano i più savi ed onesti Cattolici Romani. Fu notato
come egli di continuo fosse in palazzo, e spesso nelle secrete
stanze del Re; come menasse una vita splendida, alla quale i teologi
puritani erano poco assuefatti; e fosse perpetuamente circondato da
sollecitatori, imploranti protezione ad ottenere grazie od
uffici(851).
XXXIII. Con Lobb era in grande intimità Guglielmo Penn. Penn non era
stato mai uomo di vigoroso intelletto. La vita da lui per due anni
menata, gli aveva non poco guasto il senso morale; e se la coscienza
mai gli rimordesse, confortavasi pensando di tendere a buono e
nobile scopo, e di non ricevere paga in danaro pe' propri servigii.
Per influenza di questi, e d'altri uomini meno cospicui, diverse
corporazioni di Dissenzienti presentarono al Re indirizzi in
rendimento di grazie. Gli scrittori Tory hanno dirittamente notato,
che il linguaggio di cotesti scritti era così disgustevolmente
servile, come qualunque altra cosa che possa trovarsi ne' più
ampollosi elogi che i Vescovi facevano degli Stuardi. Ma,
diligentemente esaminando, è agevole accorgersi che tale vergogna
pesa sopra pochi del partito puritano. Non v'era città di mercato in
Inghilterra, in cui non fosse almeno un nucleo di Separatisti. Non
fu trascurato sforzo veruno per indurli a ringraziare il Re della
largita Indulgenza. Lettere circolari, con preghiera di firmarle,
correvano per ogni angolo del Regno, in tanto numero, che le valigie
postali - come scherzevolmente dicevasi - erano troppo gravi per
essere trasportate dai cavalli da posta. E nulladimeno, tutti
gl'indirizzi che poteronsi ottenere da tutti i Presbiteriani,
Indipendenti e Battisti, sparsi per la Inghilterra, non giunsero, in
sei mesi, al numero di sessanta; nè v'è ragione a credere che
fossero muniti di numerose firme(852).
XXXIV. La massima parte de' protestanti non-conformisti, con
fermezza aderenti alla libertà civile, e non fidenti nelle promesse
del Re e de' Gesuiti, immutabilmente ricusarono di rendere grazie
per un favore, il quale, come bene poteva auspicarsi, nascondeva una
trama. Così pensavano tutti i più illustri capi di quel partito. Uno
di essi era Baxter. Secondo che abbiamo osservato, era stato
processato tosto dopo l'ascensione di Giacomo al trono; era stato
brutalmente insultato da Jeffreys, e convinto da giurati, quali in
que' tempi gli Sceriffi cortigiani avevano costume di scegliere.
Baxter da circa un anno e mezzo era rimasto in carcere, allorquando
la Corte cominciò seriamente a pensare di collegarsi coi
non-conformisti. Non solo gli fu data libertà, ma gli venne detto
che ove volesse abitare in Londra, poteva farlo, senza temere che la
legge chiamata Five-Act-Mile gli fosse applicata. Il Governo forse
sperava che la rimembranza de' mali sofferti, e il sentimento del
conseguito riposo, avrebbe in lui prodotto il medesimo effetto che
destò in Rosewell e Lobb. Vana speranza! perocchè Baxter non era
uomo da lasciarsi ingannare o corrompere. Ricusò di firmare
qualunque indirizzo per rendere al Sovrano grazie della compartita
Indulgenza, e adoperò tutta l'autorità sua a promuovere la concordia
tra la Chiesa e i Presbiteriani(853). Se vi fu uomo da'
Protestanti Dissenzienti maggiormente stimato di Baxter, egli era
Giovanni Howe. Ad Howe, come a Baxter, tornava personalmente utile
il mutamento nella politica pur allora seguito. La tirannide stessa
la quale aveva sepolto Baxter in carcere, aveva cacciato Howe in
bando; e tosto dopo che Baxter era stato tratto fuori della prigione
del Banco del Re, Howe da Utrecht ritornava in Inghilterra.
Aspettavasi a Whitehall, che Howe adoperasse a beneficio della Corte
tutta l'autorità ch'egli esercitava sopra i suoi confratelli. Il Re
stesso condiscese a chiedere il soccorso del suddito da lui già
oppresso. E' sembra che Howe tentennasse; ma gli Hampden, ai quali
era vincolato di stretta amistanza, lo mantennero fermamente fedele
alla causa della Costituzione. Una ragunanza di ministri
presbiteriani fu tenuta in sua casa, onde considerare le condizioni
de' tempi, e stabilire il cammino da prendersi. La Corte era ansiosa
di conoscerne il risultamento. Due messi regii erano presenti alla
discussione, e recarono la trista nuova, che Howe s'era dichiarato
decisamente avverso alla potestà di dispensare, e, dopo lunghe
dispute, aveva tratto alla propria opinione la maggioranza della
assemblea(854).
XXXV. Ai nomi di Baxter e di Howe è d'uopo aggiungere quello di un
uomo loro inferiore e per grado sociale e per istruzione, ma uguale
per virtù, e superiore per ingegno; voglio dire Giovanni
Bunyan(855). Aveva esercitato il mestiere di calderaio, e servito
come semplice soldato nello esercito parlamentare. Ancora nel fiore
degli anni, s'era sentito torturare dal rimorso pei peccati della
sua gioventù, il più grave de' quali sembra essere stato di quelli
che il mondo reputa veniali. Un vivo sentire e una potente
immaginazione rendevano nel cuor suo singolarmente terribile il
conflitto. Gli pareva d'essere colpito da una sentenza di
riprovazione, d'avere bestemmiato contro lo Spirito Santo, d'avere
venduto Cristo, di essere ossesso dal demonio. Ora udiva alte voci
dal cielo che lo ammonivano; ora si sentiva dalle furie infernali
susurrare agli orecchi empi consigli. Gli apparivano visioni di
lontane montagne sopra le cui cime il sole mandava coruschi i suoi
raggi; ma dalle quali egli era diviso da un vasto deserto di neve.
Sentiva dietro le spalle il demonio tirarlo per gli abiti. Pensava
portare impresso sulla fronte il segno di Caino. Temeva d'esser
presso a scoppiare al pari di Giuda. La tortura della mente gli
rovinò la salute. Un giorno, dibattevasi come uomo colpito da
paralisi. Un altro, ei si sentiva ardere in petto un vivo fuoco.
Torna difficile lo intendere in che guisa egli potesse sopravvivere
a uno strazio sì forte e sì lungo. In fine, squarciaronsi le nubi
che gli ottenebravano la mente. Dal fondo della disperazione, il
penitente innalzossi a uno stato di calma beata. Adesso sentivasi
tratto da irresistibile impulso ad impartire agli altri la
beatitudine ch'egli godeva(856). Si aggregò ai Battisti, e divenne
predicatore e scrittore. La sua educazione era stata quella d'un
artigiano. Non sapeva altra lingua che la inglese, così come era
parlata dal volgo. Non aveva studiato nessuno insigne modello di
scrivere, ad eccezione - eccezione, a dir vero, importantissima -
della nostra egregia versione della Bibbia. Scriveva con cattiva
ortografia. Commetteva di frequente errori grammaticali.
Nulladimeno, la innata forza del genio e la esperienza di tutte le
passioni religiose, dalla disperazione fino all'estasi, supplivano
in lui abbondantemente al difetto della dottrina. La sua rozza
eloquenza concitava e faceva stemperare in lacrime coloro che
ascoltavano svogliatamente gli elaborati discorsi di grandi filosofi
ed ebraisti. I suoi scritti erano grandemente popolari nelle infime
classi. Uno di essi, intitolato il Viaggio del Pellegrino, venne,
vivente ancora l'autore, tradotto in varie lingue straniere. E non
per tanto, era pressochè sconosciuto agli uomini dotti e culti; e da
quasi un secolo formava il diletto de' pii abitatori delle capanne e
degli artigiani, innanzi che venisse pubblicamente commendato da
alcuno letterato eminente. Alla perfine, i critici s'indussero a
ricercare dove giacesse il segreto d'una popolarità cotanto ampia e
durevole; e furono costretti a confessare, che la ignorante
moltitudine aveva giudicato più dirittamente dei dotti, e che lo
spregiato libercolo era veramente un capo-lavoro. Bunyan(857), per
certo, è il primo degli scrittori d'Allegorie, come Demostene è il
primo degli oratori, e Shakespeare(858) il primo de' poeti
drammatici. Altri allegoristi hanno fatto prova di uguale ingegno;
ma a nessun altro di loro è mai riuscito di toccare il cuore, e
trasmutare in astrazioni oggetti di terrore, di pietà e
d'affetto(859).
Mal potrebbe dirsi che alcun Dissenziente inglese avesse più di
Giovanni Bunyan(860) provato il rigore delle leggi penali. De'
ventisette anni corsi dopo la Restaurazione, ne aveva passati dodici
in carcere. Persisteva a predicare, ma gli era uopo travestirsi da
carrettiere. Spesso veniva introdotto nelle ragunanze per qualche
uscio segreto, con la casacca sur una spalla e la frusta in mano. Se
avesse pensato alla salvezza ed agli agi suoi, avrebbe plaudito alla
pubblicazione della Indulgenza. Adesso, in fine, gli era dato
liberamente pregare e predicare di pieno giorno. Il suo uditorio
s'andava rapidamente accrescendo; migliaia di cuori pendevano dallo
sue labbra; e in Bedford, dove egli d'ordinario stanziava, furono
raccolti in abbondanza danari a edificare una sala d'adunanza.
L'autorità di lui sul basso popolo era tanta, che il Governo
volentieri gli avrebbe dato qualche ufficio municipale: ma il suo
vigoroso intendimento e il suo robusto animo inglese resistettero
contro ogni tentazione ed inganno. Vedeva chiaramente come la
concessa tolleranza altro non fosse che un amo per trarre alla
rovina il partito puritano; nè accettando un ufficio, a conseguire
il quale egli non aveva i requisiti legali, voleva riconoscere la
validità della potestà di dispensare. Uno degli ultimi atti della
gloriosa sua vita fu di ricusare un convegno al quale ei venne
invitato da un agente del Governo(861).
XXXVI. Per quanto grande fosse fra' Battisti l'autorità di
Bunyan(862), quella di Guglielmo Kiffin era anco maggiore. Kiffin
era primo tra loro e per ricchezze e per grado. Aveva costume di
compartire nelle loro ragunanze i suoi doni spirituali; ma non
sosteneva la vita con la predicazione. Conduceva esteso traffico;
aveva gran credito nella Borsa di Londra; ed aveva accumulato un
gran patrimonio. Forse in quella occasione non v'era uomo che
potesse rendere alla Corte maggiori servigi. Ma tra lui e la Corte
stava la rimembranza d'un terribile fatto. Egli era l'avo de' due
Hewling, que' prestanti giovani, i quali, fra tutte le vittime del
Tribunale di Sangue, erano stati i più universalmente compianti.
Della trista sorte di uno di loro, Giacomo era in guisa speciale
responsabile. Jeffreys aveva differita la esecuzione della sentenza
pel minore de' fratelli. La sorella del malarrivato giovane era
stata introdotta da Churchill al cospetto di Giacomo, ed aveva
implorata mercè; ma il cuore del Re era rimasto duro come un
macigno. Grande, a tanta sciagura, era stato il dolore della
famiglia; ma Kiffin era colui che destava più compassione. Aveva
settanta anni di età allorquando rimase deserto e superstite a
coloro che dovevano chiudergli i moribondi lumi. Gli adulatori
venali e senza cuore di Whitehall, da sè giudicando gli altri,
pensavano che il venerando vecchio si sarebbe agevolmente
riconciliato, ove il Re gli gittasse sulle spalle la veste di
Aldermanno, e gli desse qualche compensazione pecuniaria pei beni
confiscati ai nepoti. Penn ebbe incarico di sedurlo, ma invano.
Giacomo volle provare quale effetto produrrebbero le regie
blandizie. Kiffin fu chiamato a palazzo. Vi trovò una eletta brigata
di nobili e di gentiluomini. Appena egli comparve, il Re gli si fece
incontro volgendogli graziose parole, e concluse: "Io ho notato il
vostro nome, signore Kiffin, nella lista degli Aldermanni di
Londra." Il vegliardo fisse gli occhi negli occhi del Re, e dando in
uno scoppio di pianto, rispose: "Sire, io son logoro affatto: mi
sento inetto a servire Vostra Maestà o la Città. Ahi! Sire, la morte
delle mie povere creature mi ha trafitto il cuore. La ferita mi
sanguina più che mai, e la porterò meco sotterra." Il Re per un
istante ammutolì confuso; poi disse: "Signore Kiffin, troverò io un
balsamo a cotesta piaga." Certamente Giacomo non intendeva dire cosa
crudele o insolente; all'opposto e' sembra che fosse, contro
l'usato, di modi dolci e cortesi. Nondimeno, la storia non rammenta
parole uscitegli dal labbro, che, al pari delle poche riferite,
porgano più sinistra idea del suo carattere. Sono parole d'un uomo
di cuor duro e di mente abietta, inetto a concepire che v'hanno
dolori, a mitigare i quali non valgono nè pensioni nè onorificenze
d'uffici(863).
La parte de' Dissidenti favorevoli alla nuova politica del Re, se in
prima era poco numerosa, tosto cominciò a scemare; imperciocchè i
Non-Conformisti non guari dopo s'accôrsero che la Indulgenza aveva
ristretto più presto che esteso i loro privilegi spirituali. La
precipua caratteristica del Puritano era lo abborrimento de' riti
della Chiesa di Roma. Egli aveva abbandonata la Chiesa Anglicana,
perocchè stimava ch'essa somigliasse molto alla sua superba e
voluttuosa sorella, la maliarda dalla coppa d'oro e dal manto di
porpora. Adesso vedeva che una delle condizioni implicite di quella
colleganza, da parecchi de' suoi pastori fatta con la Corte, era che
la religione della Corte dovesse essere trattata con rispetto e
dolcezza. Sentì quindi amaro desio de' giorni della persecuzione.
Mentre erano in vigore le leggi penali, egli aveva ascoltata la
parola di vita furtivamente e con suo pericolo: ma tuttavia l'aveva
ascoltata. Quando i confratelli ragunavansi nella più secreta
stanza, quando le scolte erano ai posti loro, le porte ben chiuse, e
il predicatore, travestito da macellaio o da vetturino, s'era
introdotto su pe' tetti, allora almeno poteva adorare Dio secondo il
vero culto. La verità divina non era minimamente taciuta o
timidamente espressa per umani riguardi. Tutte le dottrine
distintive della teologia puritana erano pienamente, e perfino con
modi rozzi, significate. Alla Chiesa di Roma non usavasi punto
indulgenza. La Bestia, lo Anticristo, l'Uomo del Peccato, la mistica
Jezabelle, la mistica Babilonia, erano le frasi ordinariamente
adoperate a descrivere quella augusta e incantevole superstizione.
In siffatto modo avevano favellato un tempo Alsop, Lobb, Rosewell ed
altri ministri, i quali erano stati poco innanzi accolti nella
reggia; ma così più non favellavano. Teologi che avevano in animo di
conseguire la grazia e la fiducia del Re, non potevano rischiarsi a
parlare aspramente della religione del Re. Le congregazioni per ciò
altamente dolevansi, che dopo promulgata la Dichiarazione che
pretendeva dar loro piena libertà di coscienza, non avevano mai più
udito predicare fedelmente e con franchezza il Vangelo. Per lo
innanzi erano stati costretti a procacciarsi di furto il cibo
spirituale; ma avutolo, lo trovavano condito a seconda del gusto
loro. Adesso potevano liberamente cibarsi; ma quel cibo aveva
perduto tutto il suo sapore. Adunavansi di giorno e dentro comodi
edifici; ma udivano discorsi meno soddisfacenti di quelli che
avrebbero udito da' rettori anglicani. Nella chiesa parrocchiale il
culto e la idolatria di Roma venivano ogni domenica energicamente
riprovati; ma nella sala dell'adunanza, il pastore che pochi mesi
prima aveva vituperato il clero anglicano quasi al pari de' papisti,
adesso con gran cura astenevasi dal biasimare il papismo, o
esprimeva quel biasimo con parole sì delicate, da non offendere nè
anche le orecchie di Padre Petre. Nè era possibile addurre ragione
plausibile a giustificare siffatto mutamento. Le dottrine cattoliche
romane non avevano patita la minima variazione. A memoria d'uomo
vivente, i preti cattolici romani non erano stati mai cotanto
operosi a fare proseliti; non erano mai usciti da' torchi tanti
scritti cattolici romani; tutti coloro, ai quali importavano le cose
di religione, non avevano mai con tanto calore atteso al conflitto
tra i Cattolici Romani e i Presbiteriani. Che poteva pensarsi della
sincerità di teologi i quali non s'erano mai stanchi di irridere al
papismo, quando esso era comparativamente innocuo e privo di
soccorso, e che adesso, giunto il tempo di vero pericolo per la fede
riformata, schivavano studiosamente di profferire una sola parola
offensiva contro un Gesuita? La loro condotta di leggeri spiegavasi.
Era noto che parecchi di loro avevano ottenuto il perdono.
Sospettavasi che altri avessero ricevuto danari. Il loro modello
poteva trovarsi in quel debole apostolo, il quale, vinto dalla
paura, rinnegò il Maestro, cui aveva pur dianzi giurato immutabile
affetto; e in quell'altro apostolo più vigliacco, che vendè il
proprio Signore per un pugno di monete(864). In cotal modo i
ministri Dissenzienti i quali s'erano dati alla Corte, andavano
rapidamente perdendo l'autorità da essi un dì esercitata sopra i
loro confratelli. Dall'altra banda, i settari sentivansi tratti da
un forte sentimento religioso verso que' prelati e preti della
Chiesa Anglicana, i quali, in onta a' comandamenti, alle minacce,
alle promesse del Re, facevano ostinata guerra alla Chiesa di Roma.
Gli Anglicani e i Puritani, sì lungamente divisi da nimistà mortale,
si venivano sempre più ravvicinando, ed ogni passo che facevano
verso l'unione, accresceva la influenza di colui che era capo
d'entrambi. Guglielmo, per ogni rispetto, era l'uomo adatto a fare
la parte di mediatore tra questi due grandi partiti della nazione
inglese. Non poteva dirsi aderente nè all'uno nè all'altro.
Nondimeno, nessuno di quelli, non traviando dalla ragione, poteva
non considerarlo come amico. Il suo sistema teologico concordava con
quello de' Puritani. Nel tempo stesso, ei reputava lo episcopato,
non quale istituzione divina, ma qual forma veramente legale ed
utile di Governo ecclesiastico. Le questioni di gesti, di
vestimenti, di feste, di liturgie, egli considerava come di nessuna
importanza. Avrebbe meglio gradito un culto più semplice, e simile a
quello al quale fin da fanciullo egli era assuefatto. Ma era
apparecchiato ad uniformarsi a qualunque rituale fosse stato accetto
alla nazione; e solo insisteva che altri non pretendesse dovere egli
perseguitare i suoi confratelli protestanti a' quali la coscienza
non consentiva di seguire lo esempio di lui. Due anni innanzi, i
numerosi bacchettoni di ambe le sètte lo avrebbero giudicato un
pretto Laodiceo, nè caldo nè freddo, e solo degno d'essere respinto.
Ma lo zelo che aveva già infiammato gli Anglicani contro i
Dissenzienti, e i Dissenzienti contro gli Anglicani, s'era talmente
mitigato nella avversità e nel pericolo comuni, che la tiepidezza,
un tempo attribuita a Guglielmo come un delitto, oggimai veniva
annoverata fra le precipue virtù sue.
XXXVII. Tutti erano ansiosi di sapere ciò che egli pensasse intorno
alla Dichiarazione d'Indulgenza. Per qualche tempo, in Whitehall
speravasi che, pel suo ben noto rispetto verso i diritti della
coscienza, egli si sarebbe almeno astenuto dal disapprovare
pubblicamente una politica che aveva una speciosa apparenza di
liberalità. Penn spedì in gran copia disquisizioni all'Aja, e
perfino ci andò da sè, sperando nessuno resisterebbe alla sua
eloquenza, della quale egli aveva alto concetto. Ma, comunque
arringasse intorno al subietto con una facondia tale da stancare i
suoi uditori, e comecchè assicurasse d'essergli stato rivelato da un
uomo al quale era concesso di conversare con gli angioli, lo
approssimarsi di una età d'oro per la libertà religiosa, non fece la
menoma impressione sopra l'animo del principe(865). "Voi mi
chiedete" disse Guglielmo ad uno degli agenti del Re "di secondare
una guerra contro la mia propria religione. Io non posso con sicurtà
di coscienza farlo, e nol farò, no, nè anche per la Corona
d'Inghilterra, nè per lo impero del mondo." Tali parole vennero
ridette al Re, e grandemente lo perturbarono(866). Scrisse di
propria mano urgentissime lettere. Talvolta usò il tono d'un uomo
offeso. Egli era il capo della famiglia reale, e come tale aveva
diritto d'esigere obbedienza da' membri di quella; e gli tornava
duro vedersi avversato nella cosa che gli stava più a cuore. Altra
volta, adoperando una seduzione, alla quale credevano Guglielmo non
potere resistere, gli fu fatto sapere, che ove egli cedesse in
cotesto solo punto, il Governo inglese in ricompensa lo avrebbe con
tutte le sue forze aiutato nella lotta contro la Francia. Ma non era
uomo da lasciarsi cogliere alla rete. Bene sapeva che Giacomo, senza
il concorso del Parlamento, non avrebbe in guisa alcuna potuto
rendere efficaci servigi alla causa comune a tutta l'Europa; e non
era dubbio, che ove venisse ragunato il Parlamento, ambedue le
Camere avrebbero, prima d'ogni altra cosa, chiesta l'abrogazione
della Indulgenza.
La Principessa assenti a tutto ciò che le fu detto dal marito. I
loro concordi pareri, espressi con parole ferme, ma temperate,
furono comunicati al Re. Dichiaravano, profondamente rincrescere
loro il cammino nel quale la Maestà Sua erasi messa: esser convinti,
aver egli usurpata una prerogativa che per legge non gli
apparteneva: contro siffatta usurpazione protestare, non solo come
amici alla libertà civile, ma come membri della regale famiglia, i
quali avevano grande interesse a mantenere i diritti di quella
Corona che un giorno essi avrebbero forse portato; imperocchè erasi
per esperienza veduto, come in Inghilterra il governo dispotico non
potesse mancare di far nascere una reazione più perniciosa dello
stesso dispotismo; e poteva ragionevolmente temersi, che la nazione
impaurita ed esacerbata dalla minaccia della tirannide, potrebbe
prendere a schifo anco la monarchia costituzionale. E però
consigliavano il Re di governare il paese secondo lo leggi.
Ammettevano, la legge potersi variare in meglio dalla autorità
competente, e alcuni articoli della Dichiarazione meritare d'essere
formulati in un Atto di Parlamento. Aggiungevano, ch'essi non erano
persecutori, e avrebbero quindi con satisfazione veduto i
Protestanti Dissenzienti alleggiati, ma con modo convenevole, da
tutti gli statuti penali: avrebbero, con pari satisfazione, veduto
ammetterli, ma con modo egualmente convenevole, agli uffici civili.
Quivi era d'uopo alle Altezze Loro fermarsi; imperciocchè non
potevano non temere grandemente, che se i Cattolici Romani venissero
dichiarati capaci ad occupare impieghi di pubblica fiducia,
gravissimi mali ne nascerebbero; e lasciavano senza ambiguità
intendere, che tali timori originavano precipuamente dalla condotta
di Giacomo(867).
XXXVIII. La opinione manifestata dal Principe e dalla Principessa
intorno alle incapacità che gravavano i Cattolici Romani, era quella
di quasi tutti gli uomini di Stato e i filosofi che allora erano
zelanti della libertà politica e religiosa. Nella età nostra,
all'incontro, gli uomini illuminati hanno soventi volte con
rincrescimento asserito, che in cotesto subietto Guglielmo sembra
minore, ove si agguagli al suo suocero. Vero è che alcune
considerazioni necessarie a rettamente giudicare, sono sfuggite alla
mente di molti scrittori del secolo decimonono. Vi sono due
opposti errori, in cui coloro che studiano gli annali della patria
nostra, continuamente pericolano di cadere: lo errore di giudicare
il presente per mezzo del passato; e lo errore di giudicare il
passato per mezzo del presente. Il primo appartiene alle menti
inchinevoli a venerare ciò che è vecchio: il secondo alle menti
corrive ad ammirare ciò che è nuovo. L'uno può sempre osservarsi ne'
ragionamenti de' politici conservatori intorno alle questioni de'
loro tempi; l'altro, nelle speculazioni degli scrittori della scuola
liberale sempre che discutono intorno ai fatti d'un età trascorsa.
Quello è più pernicioso in un uomo di Stato; questo in uno storico.
Non è agevole a chi, ne' tempi nostri, imprende a trattare della
rivoluzione che detronizzò gli Stuardi, tenersi fermamente per lo
diritto mezzo fra cotesti due estremi. La questione se i membri
della Chiesa Cattolica Romana potevano senza pericolo ammettersi al
Parlamento e agli uffici, perturbò la patria nostra, regnante
Giacomo II; quietò alla caduta di lui; e dopo d'essere rimasta
sopita per più d'un secolo, fu ridestata da quel grande concitamento
dello spirito umano, dopo il ragunarsi della Assemblea Nazionale in
Francia. Pel corso di trenta anni, la contesa progredì in ambedue le
Camere del Parlamento, in ogni collegio elettorale, in ogni cerchio
sociale. Distrusse ministeri, sgominò partiti; in una parte dello
Impero rese impossibile ogni specie(868) di Governo; e in fine ci
condusse all'orlo d'una guerra civile. Anche terminata la lotta, le
passioni che ne erano nate, continuarono ad infuriare. Era pressochè
impossibile a chiunque avesse la mente dominata da cotali passioni,
il vedere nella loro vera luce gli eventi degli anni 1687 e 1688.
Parecchi uomini politici, muovendo da questa retta sentenza, che la
Rivoluzione è stata un gran bene alla patria nostra, giunsero alla
falsa conclusione, che non si poteva senza pericolo abolire nessuno
Atto di Prova, cui gli uomini di Stato della Rivoluzione avevano
creduto necessario d'imporre, a fine di proteggere la religione e la
libertà nostra. Altri, muovendo dalla retta sentenza, che le
incapacità imposte ai Cattolici Romani non avevano prodotto altro
che danno, giunsero alla falsa conclusione, che in nessun tempo le
predette incapacità furono mai necessarie. Il primo errore serpeva
per entro alle orazioni dell'acuto e dotto Eldon; il secondo influì
anche sopra un intelletto grave e filosofico, qual era quello di
Mackintosh.
Nonostante, esaminando bene la cosa, si vedrà forse che noi possiamo
difendere la condotta che era unanimemente approvata da tutti gli
statisti inglesi del secolo decimosettimo, senza porre in questione
la saviezza della condotta unanimemente approvata da tutti
gl'inglesi statisti del tempo nostro.
Senza dubbio, egli è un male che alcun cittadino sia escluso dagli
uffici civili a cagione delle sue opinioni religiose; ma talvolta
alla umana saggezza altro non rimane che lo scegliere fra diversi
mali. Può una nazione trovarsi in tale situazione, che la
maggioranza debba o imporre incapacità o sottoporvisi; e ciò che in
condizioni ordinarie può giustamente biasimarsi come persecuzione,
possa essere considerato come retto mezzo di difesa: e siffatta,
nell'anno 1687, era la situazione dell'Inghilterra.
Secondo la Costituzione del Regno, Giacomo aveva potestà di nominare
quasi tutti i pubblici ufficiali; politici, giudiciali,
ecclesiastici, militari e marittimi. Nello esercizio di tale potestà
egli non era, al pari de' Sovrani de' giorni nostri, costretto ad
agire secondo il consiglio de' ministri approvati dalla Camera de'
Comuni. Era quindi evidente, che, a meno ch'egli non fosse
strettamente obbligato per legge a non concedere uffici ad altri che
ai Protestanti, starebbe in lui di non concederli ad altri che ai
Cattolici Romani. I Cattolici Romani erano pochi di numero, e fra
loro non v'era un solo uomo de' cui servigi la cosa pubblica non
potesse fare a meno. La proporzione in che essi stavano verso la
popolazione dell'Inghilterra, era assai minore di quel che sia nei
giorni nostri. Imperciocchè, adesso, dalla Irlanda l'onda della
emigrazione di continuo si versa sulle nostre grandi città; ma nel
secolo decimosettimo non era in Londra nè anche una colonia
irlandese. Quarantanove cinquantesimi degli abitanti del reame,
quarantanove cinquantesimi dei possidenti del reame, pressochè tutti
gli uomini abili, esperti e dotti nella politica, nella
giurisprudenza, nell'arte militare, erano Protestanti. Nondimeno, il
Re, stranamente acciecato, s'era fitto in capo di servirsi della sua
potestà di conferire gl'impieghi, come di un mezzo a fare proseliti.
Appartenere alla Chiesa di lui, era agli occhi suoi il primo di
tutti i requisiti ad ottenere un ufficio. Appartenere alla Chiesa
dello Stato, era una positiva incapacità. Biasimava, egli è vero,
con parole, cui hanno fatto plauso alcuni creduli amici della
libertà religiosa, la mostruosa ingiustizia di quell'Atto di Prova,
che escludeva una piccola minoranza della nazione da' pubblici
impieghi; ma nel tempo stesso studiavasi d'imporre un Atto di Prova
che escludesse la maggioranza. Gli pareva ingiusto che un uomo il
quale fosse buon finanziere e suddito leale, dovesse essere escluso
dall'ufficio di Lord Tesoriere solamente perchè era papista. Ma egli
stesso aveva cacciato via un Lord Tesoriere, da lui tenuto per buon
finanziere e leale suddito, solamente perchè era Protestante. Aveva
più volte e chiaramente detto, che non avrebbe mai posto il bianco
bastone nelle mani d'un eretico. Quanto agli altri grandi uffici
dello Stato, aveva tenuto la medesima condotta. Già il Lord
Presidente, il Lord del Sigillo Privato, il Lord Ciamberlano, il
Lord detto Groom of the Stole, il primo Lord del Tesoro, un
Segretario di Stato, il Lord Alto Commissario di Scozia, il
Cancelliere e il Segretario di Scozia, erano, o facevano mostra
d'essere, Cattolici Romani. Molti di costoro nati nella Chiesa
Anglicana, s'erano resi colpevoli d'apostasia pubblica o segreta,
onde ottenere i loro alti uffici, o mantenervisi. Tutti i
Protestanti che seguitavano a rimanere in alcuni impieghi
d'importanza, di continuo temevano d'essere destituiti. Non finirei
mai se volessi notare gli altri impieghi occupati dai Cattolici
Romani, i quali già brulicavano in ogni dipartimento del pubblico
servizio. Essi erano Lordi Luogotenenti, Deputati Luogotenenti,
Magistrati, Giudici di Pace, Commissari delle Dogane, Legati presso
le Corti straniere, Colonnelli di Reggimento, Governatori di
fortezze. La proporzione degli emolumenti che la Corona aveva
potestà di concedere e che i Cattolici avevano in pochi mesi
ottenuti, era dieci volte maggiore di quel che sarebbe stata sotto
un governo imparziale. E v'era anche peggio. Ad essi fu data potestà
di governare la Chiesa Anglicana. Uomini che avevano assicurato al
Re di professare la religione di lui, sedevano nell'Alta
Commissione, ed esercitavano giurisdizione suprema nelle cose
spirituali sopra tutti i prelati e i preti della Religione dello
Stato. Beneficii ecclesiastici di grande dignità erano stati
impartiti ad uomini che o professavano apertamente il papismo, o lo
professavano di furto. E tutto ciò compivasi mentre le leggi contro
il papismo non erano per anche abrogate, e mentre Giacomo aveva non
poco interesse a simulare rispetto ai diritti della coscienza.
Quale, dunque, sarebbe verosimilmente stata la sua condotta, se i
suoi sudditi avessero consentito con un Atto legislativo a liberarlo
anco dall'ombra della restrizione? È egli possibile dubitare, che
facendo uso strettamente legale della prerogativa, i Protestanti
sarebbero stati esclusi dagli uffici, come lo fossero mai stati i
Cattolici Romani per virtù d'Atto Parlamentare?
Con quanta ostinazione Giacomo fosse deliberato a compartire ai suoi
correligionari gli emolumenti dello Stato fuori d'ogni proporzione
col numero e con l'importanza loro, si raccoglie dalle istruzioni
ch'egli, esule e vecchio, scrisse per ammaestramento di suo figlio.
Non è possibile senza un sentimento di pietà e di scherno leggere
quelle espansioni d'una mente alla quale tutti gli ammonimenti della
esperienza e dell'avversità erano tornati vani. Ivi il Pretendente è
avvertito, ove ascendesse mai sul trono d'Inghilterra, a partire gli
uffici, e conferirne ai membri della Chiesa di Roma tanta parte,
quanta sarebbe loro bastata se invece d'essere la cinquantesima
parte della nazione, ne fossero stati la metà. Un Segretario di
Stato, un Commissario del Tesoro, un Segretario di Guerra, il
maggior numero de' grandi dignitari della Casa Reale, il maggior
numero degli ufficiali dell'esercito, debbono sempre essere
Cattolici. Tali erano gl'intendimenti di Giacomo dopo che la sua
perversa bacchettoneria gli aveva chiamato sul capo una punizione la
quale aveva spaventato il mondo intero. È egli, quindi, possibile
dubitare quale sarebbe stata la sua condotta se il suo popolo,
tratto in inganno dal vuoto nome di libertà religiosa, lo avesse
lasciato senza freno procedere per la sua via? E' sembra che
anco Penn, per quanto intemperante e dissennato fosse il suo zelo
per la dichiarazione, sentisse come la parzialità onde gli onori e
gli emolumenti erano prodigati ai Cattolici Romani, poteva
ragionevolmente destare gelosia nella nazione. Ei confessava, che,
abrogando l'Atto di Prova, i Protestanti avrebbero diritto ad un
compenso, o, come egli diceva, equivalente; e giunse fino a indicare
varie specie di compensi. Per parecchi giorni la parola equivalente,
dalla Francia pur allora passata in Inghilterra, s'udiva sulle
labbra di tutti gli oratori delle botteghe di caffè: se non che
poche pagine, condite di acuta logica e delicato sarcasmo, scritte
da Halifax, posero fine a que' futili disegni. Una delle proposte di
Penn era di fare una legge la quale dividesse in tre parti uguali
gl'impieghi che la Corona aveva potestà di concedere, e desse una di
queste tre parti ai membri della Chiesa di Roma. Ed anche con
siffatto ordinamento, i membri della Chiesa di Roma avrebbero
ottenuto gli uffici in proporzione quasi venti volte maggiore di
quel che sarebbe stato giusto; e nondimeno, non abbiamo ragione a
credere che il Re volesse consentire a cotale ordinamento. Ma ove
avesse consentito, quale guarentigia avrebbe egli offerto di
mantenere il patto? Il dilemma proposto da Halifax non ammetteva
risposta. Se le leggi vi legano, osservate quella che esiste; se non
vi legano, è inutile farne una nuova(869).
È chiaro, adunque, che la questione non era di vedere se gli uffici
secolari dovessero essere accessibili agl'individui di tutte le
sètte. Finchè Giacomo rimaneva sul trono, era inevitabile la
esclusione; e si trattava di sapere quali dovevano rimanere esclusi,
i Papisti o i Protestanti, i pochi o i molti, centomila inglesi o
cinque milioni.
Cotali sono i gravi argomenti pei quali la condotta del Principe
d'Orange verso i Cattolici Romani d'Inghilterra si può conciliare
co' principii della libertà religiosa. Questi argomenti, come
potrebbe notarsi, non hanno relazione alcuna con la teologia
cattolica romana. Potrebbe anche notarsi, che essi tornarono vani
dopo che la Corona si fu rafferma in una dinastia di sovrani
protestanti, e dopo che la Camera de' Comuni nello Stato ebbe
acquistata tanta preponderanza, che nessun sovrano, siano qualunque
si vogliano supporre le sue opinioni o le sue tendenze, avrebbe
potuto imitare lo esempio di Giacomo. La nazione, non per tanto,
dopo i terrori, le lotte, i pericoli suoi, rimase piena d'umori
sospettosi e vendicativi. E però que' mezzi di difesa, un tempo
dalla necessità giustificati, e dalla sola necessità giustificabili,
furono ostinatamente adoperati anco dopo che non furono più
necessari, e non furono messi da banda finchè il volgare pregiudizio
mantenne un conflitto di molti anni contro la nazione. Ma ne' tempi
di Giacomo la nazione e il pregiudizio volgare stavano insieme
congiunti. I fanatici ed ignoranti volevano escludere dagli uffici
il Cattolico Romano perchè adorava gl'idoli di legno e di pietra;
perchè era segnato del segno della bestia, aveva arsa Londra,
strangolato sir Edmondsbury Godfrey; e il più savio e tollerante
politico, mentre sorrideva agl'inganni che traviavano la plebe,
riusciva, per diverso cammino, alla stessa conclusione.
Il gran pensiero di Guglielmo oramai era quello di congiungere in un
solo corpo le numerose parti del popolo, le quali lo consideravano
come loro capo comune. A compire cotesta opera fu aiutato da alcuni
abili e fidi uomini, fra' quali gli furono di singolare utilità
Burnet e Dykvelt.
XXXIX. Quanto a Burnet, a dir vero, era mestieri servirsene con
qualche cautela. La cortesia onde egli era stato accolto all'Aja,
aveva destata la rabbia di Giacomo. Il quale scrisse a Maria varie
lettere piene d'invettive contro lo insolente e sedizioso teologo da
lei protetto. Ma cosiffatte accuse fecero in lei sì poco effetto,
che scrisse al padre lettere di risposta dettate dallo stesso
Burnet. In fine, nel gennaio del 1687, il Re ricorse a più vigorosi
mezzi. Skelton, che aveva rappresentato il governo inglese appo le
Provincie Unite, era stato inviato a Parigi, e gli era stato
sostituito Albeville, il più debole e vile di tutti i componenti la
cabala gesuitica. Albeville non curavasi d'altro che del danaro, e
lo prendeva da tutti coloro che gliel'offrissero. Era pagato a un
tempo dalla Francia e dall'Olanda; anzi abbassavasi fino al di sotto
della miserabile dignità della corruzione, ed accettava mance sì
frivole, ch'erano degne più presto d'un facchino o d'un servitore
che d'un inviato, baronetto inglese e insignito di un marchesato in
paese straniero. Una volta accettò con molta compiacenza una
gratificazione di cinquanta zecchini in prezzo d'un servigio da lui
reso agli Stati Generali. Costui ebbe incarico di chiedere che
Burnet non fosse più oltre tollerato all'Aja. Guglielmo che non
voleva perdere un amico sì utile, rispose tosto con la sua solita
freddezza: "Io non so, o Signore, che il Dottore da che è stato qui,
abbia fatto o detto cosa, di cui sua Maestà possa muovere giusto
lamento." Ma Giacomo instette; il tempo d'una aperta rottura non era
per anche arrivato; e fu mestieri cedere. Per diciotto e più mesi
Burnet non comparve mai dinanzi al Principe o alla Principessa: ma
abitava loro da presso; sapeva ogni cosa che seguisse; veniva
continuamente richiesto di consiglio; la sua penna era adoperata in
tutte le più importanti occorrenze; e molti de' più pungenti ed
efficaci articoli, che intorno a quel tempo pubblicavansi in Londra,
venivano dirittamente a lui attribuiti.
Oltre misura s'accrebbe la rabbia di Giacomo, il quale era sempre
stato non poco inchinevole all'ira. Per nessuno de' suoi nemici, nè
anche per coloro che lo avevano con lo spergiuro incolpato di
tradimento e d'assassinio, aveva egli mai sentito lo sdegno onde
adesso era acceso contro Burnet. Sua Maestà quotidianamente
vituperava il Dottore con parole indegne d'un Re, e meditava
vendicarsene con modo proditorio. Il solo sangue non sarebbe bastato
a sbramare quell'odio frenetico. Lo insolente teologo, innanzi che
gli fosse concessa la morte, doveva patire i tormenti della tortura.
Fortunatamente egli era scozzese; e in Iscozia, avanti che fosse
appeso alle forche nel Grassmarket, potevano dirompergli le gambe
con lo stivaletto. Per la qual cosa venne contro lui istituito un
processo in Edimburgo: ma s'era naturalizzato in Olanda; aveva
sposata una olandese; e sapevasi certo che il governo della sua
patria adottiva non lo avrebbe(870) consegnato. Fu quindi deliberato
di coglierlo alla rete e rapirlo. Con grossa somma di pecunia si
presero a soldo alcuni facinorosi uomini per compire la perigliosa
ed infame opera. Un ordine di sborsare tre mila lire sterline a
cotesto uso fu scritto per esser firmato nell'ufficio del Segretario
di stato. A Luigi fu palesato il disegno, e vi prese un caldo
interesse. Diceva di volere fare ogni sforzo perchè lo scellerato
fosse dato nelle mani del Governo inglese, promettendo ad un tempo
asilo sicuro in Francia ai ministri della vendetta di Giacomo.
Burnet bene sapeva d'essere in grave pericolo; ma la timidità non
andava annoverata fra' suoi difetti. Stampò una coraggiosa risposta
alle colpe che gli erano state apposte da' tribunali di Edimburgo.
Diceva saper bene che lo volevano ammazzare senza processo; ma
affidarsi nel Re dei Re, al cospetto del quale il sangue innocente
non grida invano vendetta anco contro i possenti principi della
terra. Invitò a desinare alcuni amici suoi, e in sulla fine disse
loro in solenne contegno l'ultimo addio, come uomo dannato a morire,
col quale non era quinci innanzi per loro sicuro il conversare. Non
pertanto seguitò a mostrarsi in tutti i luoghi pubblici dell'Aja con
tanta audacia da muovere gli amici suoi a rimproverarlo di insana
temerità(871).
XL. Mentre Burnet era segretario di Guglielmo per gli affari inglesi
in Olanda, Dykvelt non era stato meno utilmente mandato in
Inghilterra. Dykvelt apparteneva a quella insigne classe d'uomini
pubblici, i quali avendo imparato la politica nella nobile scuola di
Giovanni De Witt, dopo la caduta di quel gran ministro, pensavano di
adempiere meglio al debito loro verso la repubblica collegandosi col
Principe di Orange. Fra tutti i diplomatici a' servigi delle
Provincie Unite nessuno per destrezza, indole e modi, era superiore
a Dykvelt. Nella conoscenza degli affari inglesi, a quanto sembra,
nessuno l'uguagliava. Trovato un pretesto, egli in sul principio del
1687 fu spedito in Inghilterra per una commissione speciale, munito
di lettere di credenza dagli Stati Generali. Ma in verità egli non
andava ambasciatore al Governo, bensì alla opposizione; e intorno al
modo di condursi ricevè istruzioni peculiari scritte da Burnet ed
approvate da Guglielmo(872).
XLI. Dykvelt scrisse come Giacomo fosse amaramente mortificato della
condotta del Principe e della Principessa. "Il dovere del mio
nepote" disse il Re "è quello di rinvigorire il mio braccio, ed
invece gli è piaciuto di contrariarmi sempre." Dykvelt rispose che
nelle faccende private Sua Altezza aveva mostrato ed era pronto a
mostrare la più grande deferenza ai voleri del Re; ma non era
ragionevole pretendere ch'egli, principe protestante, cooperasse con
altri a' danni della religione protestante(873). Il Re si tacque, ma
non calmossi. Vedeva, con tanto cattivo umore da non poterlo
nascondere, Dykvelt ordinare e disciplinare le varie frazioni della
opposizione, con una maestria, che sarebbe stata argomento di lode
in uno statista inglese, e che era maravigliosa in uno straniero. Al
clero diceva che avrebbe nel principe d'Orange trovato un amico allo
episcopato e al Libro della Preghiera Comune. Incoraggiava i
Non-Conformisti ad aspettarsi da lui, non solo tolleranza, ma
comprensione ovvero assimilazione alla Chiesa dello Stato. Seppe
conciliarsi perfino i Cattolici Romani; ed alcuni de' più
rispettabili fra loro dichiararono al cospetto del Re d'essere
soddisfatti delle proposte di Dykvelt, e d'amar meglio una
tolleranza assicurata con un Atto legislativo, che un predominio
illegale e precario(874). I capi di tutti i più importanti partiti
della nazione conferivano spesso in presenza del destro diplomatico.
In siffatte ragunanze le opinioni del partito Tory erano
principalmente espresse da' Conti di Danby e di Nottingham.
Quantunque otto e più anni fossero decorsi dacchè Danby era caduto
dal potere, ei godeva tuttavia grande reputazione fra' vecchi
Cavalieri di Inghilterra; e molti anche di que' Whig, i quali lo
avevano per innanzi osteggiato, adesso inchinavano a credere ch'egli
portasse la pena di falli non suoi, e che il suo zelo per la regia
prerogativa, comecchè lo avesse di sovente fatto traviare, fosse
contemperato da due sentimenti che gli tornavano ad onore: dallo
zelo per la religione dello Stato, e dallo zelo per la dignità e la
indipendenza della patria. Era parimente tenuto in grande stima
all'Aja, dove non era stato mai dimenticato come egli fosse colui,
il quale, malgrado la Francia e i Papisti, aveva indotto Carlo a
concedere la mano della Principessa Maria al cugino di lei.
XLII. Daniele Finch, Conte di Nottingham, gentiluomo il cui nome
spesso s'incontrerà nella storia di tre regni pieni di
vicissitudini, discendeva da una famiglia sopra tutte eminente nel
fôro. Uno de' suoi congiunti era stato Guardasigilli di Carlo I,
aveva prostituito le insigni qualità e la dottrina onde era adorno,
a riprovevoli fini, ed era stato perseguitato dalla vendetta della
Camera de' Comuni allora governata da Falkland. Heneage Finch nella
susseguente generazione aveva acquistata più onorevole rinomanza.
Tosto dopo la Ristaurazione era stato fatto Avvocato Generale. S'era
quindi inalzato al grado di Procuratore Generale, di Lord
Guardasigilli, di Lord Cancelliere, di Barone Finch, di Conte di
Nottingham. In tutta la sua prospera carriera aveva sempre mantenuta
la prerogativa tanto alto quanto più glielo avevano conceduto la
onestà e la decenza; ma non s'era mai implicato in nessuna
cospirazione contro le leggi fondamentali del Regno. Fra mezzo a una
Corte corrotta aveva mantenuta intemerata la propria integrità.
Godeva alta riputazione d'oratore, quantunque il suo stile formato
sopra scrittori anteriori alle guerre civili, venisse verso gli
ultimi suoi anni giudicato duro e pedantesco dagl'ingegni della
sorgente generazione. In Westminster Hall lo rammentano tuttora con
riverenza, come colui che, primo tra tutti, da quella confusione che
in antico dicevasi Equità, trasse un nuovo sistema di
giurisprudenza, regolare e compiuto al pari di quello il quale a' dì
nostri amministrano i Giudici del Diritto Comune(875). Parte
considerevole delle doti morali o intellettuali di questo gran
magistrato aveva ereditate col titolo di Nottingham il maggiore de'
suoi figli. Il conte Daniele era onorevole e virtuoso uomo. Comecchè
fosse schiavo d'alcuni assurdi pregiudicii, e soggetto a strani
accessi di capriccio, non può tacciarsi d'avere deviato dal sentiero
della rettitudine per correre dietro ad illeciti guadagni o ad
illeciti diletti. Come il padre suo, egli era egregio parlatore,
penetrante, ma prolisso, e solenne con troppa monotonia. La sua
persona era in perfetta armonia con la sua eloquenza. Il suo
atteggiamento era secco e diritto, il colore della pelle sì bruno
che si sarebbe potuto riputare nato in un clima più caldo del
nostro; e i suoi austeri sembianti componeva in guisa da somigliare
al capo de' piagnoni in un funerale. Dicevasi comunemente ch'egli
sembrasse un grande di Spagna, più presto che un gentiluomo inglese.
I soprannomi di Dismal (lugubre, tristo), Don Dismallo, Don Diego,
gli furono apposti dagli spiriti arguti, e non sono per anche caduti
nell'oblio. Aveva studiosamente atteso alla scienza ch'era stata
cagione dello inalzamento di sua famiglia, e per uomo del suo grado
e della sua ricchezza, egli era assai dotto nelle patrie leggi.
Amava fervidamente la Chiesa Anglicana, e mostrava ad essa riverenza
in due modi non comuni fra que' Lordi, i quali in quel tempo
menavano vanto d'esserle caldi amici, pubblicando, cioè, scritti a
difenderne i dogmi, e conducendo la vita secondo i precetti di
quella. Al pari degli altri zelanti della Chiesa Anglicana, aveva,
fino a poco innanzi, tenacemente sostenuta l'autorità monarchica. Ma
alla politica adottata dalla Corte, dopo che fu spenta la
insurrezione delle Contrade Occidentali, egli era acremente ostile,
e lo divenne maggiormente dal dì in cui il suo minor fratello
Heneage Finch era stato destituito dall'ufficio di Avvocato Generale
per avere ricusato di difendere la potestà di dispensare, pretesa
dal Re(876).
XLIII. Con questi due Conti del partito Tory oggimai trovavasi
congiunto Halifax, lo spettabile capo de' Barcamenanti. E' pare che
in quel tempo Halifax avesse un gran predominio sulla mente di
Nottingham. Tra Halifax e Danby era una nimistà, la quale, già nota
nella Corte di Carlo, poi perturbò la Corte di Guglielmo, ma come
molte altre nimicizie, fu sopita dalla tirannia di Giacomo. I due
avversari di frequente trovavansi insieme nelle ragunanze tenute da
Dykvelt, e concordavano nel biasimare la politica del Governo, nel
riverire il Principe d'Orange. La diversità del carattere di cotesti
due uomini di Stato vedevasi a chiari segni nelle loro relazioni con
l'oratore olandese. Halifax mostrava ammirevole ingegno nel
discutere, ma ripugnava a venire ad alcuna ardimentosa e
irrevocabile deliberazione. Danby, assai meno sottile ed eloquente,
aveva più energia, risolutezza, e pratica sagacia.
Non pochi de' Whig più cospicui di continuo comunicavano con
Dykvelt. Ma i capi delle grandi famiglie Cavendish e Russell non
poterono prendervi quella parte attiva e notevole ch'era da
aspettarsi dal grado e dalle opinioni loro. Sopra la fama e le sorti
di Devonshire pesava in quel tempo una nube. Egli aveva una
malaugurata contesa con la Corte, non per una ragione politica ed
onorevole, ma per una rissa privata, nella quale anche i più caldi
de' suoi amici non lo reputavano affatto scevro di biasimo.
Trovandosi a Whitehall era stato insultato da un uomo che aveva nome
Colepepper, ed era uno di que' bravazzoni i quali infestavano le
sale di Corte, e studiavano di procacciarsi il favore del Governo
affrontando i membri dell'opposizione. Il Re stesso si mostrò
grandemente sdegnato pel modo con che uno de' più illustri Pari del
Regno era stato trattato dentro la reggia; e a placare Devonshire
promise che Colepepper non metterebbe mai più il piede in palazzo.
Nulladimeno, poco dopo, lo interdetto fu tolto; e il risentimento
del Conte destossi di nuovo. I suoi servi ne abbracciarono la causa;
e per le vie di Westminster si videro scene che parevano richiamare
la memoria di tempi barbari. Il Consiglio Privato consumava il suo
tempo nelle accuse e recriminazioni delle parti avverse. La moglie
di Colepepper dichiarò come la vita di lei e quella del marito
fossero in continuo pericolo, e le case loro fossero state assalite
da facinorosi coperti della livrea di Cavendish. Devonshire disse
che dalle finestre di Colepepper gli era stato tirato un colpo di
pistola. Colepepper negò il fatto, confessando a un tempo stesso,
che una pistola, carica solo a polvere, era stata scaricata in un
momento di terrore a fine di chiamare all'armi le guardie. Mentre
ferveva il litigio, il Conte incontrò Colepepper nella gran sala di
Whitehall, e gli parve di vedere in sulla fronte al bravazzone
un'aria di fiducia e di trionfo. Nulla d'inconvenevole accadde al
cospetto del Re, ma appena entrambi trovaronsi fuori la sala, lungi
dalla presenza di lui, Devonshire propose di terminare in
sull'istante la contesa con la spada. L'altro ricusò la disfida.
Allora l'altero ed animoso Pari, dimenticando la riverenza dovuta al
luogo, ed al proprio carattere, diede un colpo di mazza in viso a
Colepepper. Tutti concordemente biasimarono quest'atto come
indiscretissimo e indecentissimo; nè lo stesso Devonshire, come si
sentì calmare il sangue, ci potè ripensare senza rincrescimento e
vergogna. Il Governo nondimeno, con la solita insania, lo trattò con
tanto rigore, che in breve egli si acquistò la universale simpatia
della nazione. Una accusa criminale fu deposta presso il Banco del
Re. Lo accusato allegò i suoi privilegi di Pari; ma ciò con una
pronta sentenza non fu ammesso; nè si può negare che tale sentenza,
fosse o non fosse conforme alle regole pratiche della legge inglese,
era in istretta conformità coi grandi principii sopra i quali ogni
legge dovrebbe appoggiarsi. Null'altro dunque rimanevagli che il
confessarsi reo. Il tribunale, per le successive destituzioni, era
stato ridotto ad una sommissione così assoluta, che il governo il
quale aveva intentato il processo, potè dettare la condanna. I
giudici andarono in corpo da Jeffreys, il quale insistè che
condannassero il reo ad una pena di trentamila lire stelline.
Siffatta somma, ragguagliata alle rendite de' nobili di quella età,
risponderebbe a centocinquantamila sterline del decimonono secolo.
In presenza del Cancelliere i giudici non profferirono verbo di
disapprovazione; ma appena partitisi, Sir Giovanni Powell(877), nel
quale s'era ridotto tutto quel poco d'onestà che rimanesse nel
tribunale, mormorò dicendo la multa essere enorme, e solo la decima
parte essere bene bastevole. I suoi confratelli non furono d'accordo
con lui; nè egli in cotesto caso fece prova di quel coraggio, con
che pochi mesi dopo, in un memorando giorno, redense la propria
fama. Il Conte quindi fu condannato ad una pena di trentamila lire
sterline, e alla carcere fino alla estinzione del pagamento. Una
tanta somma di pecunia non si sarebbe in un solo giorno potuta
mettere insieme nè anche dal grandissimo de' nobili. La sentenza
della carcerazione nondimeno fu più agevolmente pronunziata che
eseguita. Devonshire erasi ritirato a Chatsworth, dove attendeva a
trasformare la vecchia magione gotica della sua famiglia in un
edificio degno di Palladio. Il distretto del Peak era in quei tempi
rozzo come oggidì trovasi Connemara, e lo sceriffo credeva, o
simulava, essere difficile metter le mani addosso al signore d'una
regione così selvaggia fra mezzo a cotanti fedeli famigliari e
dipendenti. In tal guisa passarono parecchi giorni: ma in fine il
Conte e lo sceriffo furono entrambi imprigionati. Intanto una folla
d'intercessori cominciò a darsi moto. Si disse che la Contessa
vedova di Devonshire era stata ammessa alle secrete stanze del Re,
al quale aveva rammentato come il valoroso Carlo Cavendish cognato
di lei fosse morto in Gainsborough combattendo a difesa della
Corona, ed aveva mostrato certe scritte nelle quali Carlo I e Carlo
II riconoscevano di avere ricevuto grosse somme prestate loro da suo
marito a tempo delle guerre civili. Siffatte somme non erano state
mai rese, e computatovi i frutti, ammontavano ad una somma maggiore
della immensa multa imposta dalla Corte del Banco del Re. Vi era
altra ragione che sembra avere avuto agli occhi di Giacomo maggior
peso che la rimembranza de' servigi resi al trono. Forse sarebbe
stato mestieri convocare il Parlamento, e credevasi che allora
Devonshire avrebbe prodotto un ricorso contro la sentenza per
difetto di forma. Il punto, intorno al quale egli intendeva di
appellarsi contro la sentenza del Banco del Re, riferivasi ai
privilegi della paria. Il tribunale che doveva di ciò giudicare era
la Camera de' Pari; e così essendo, la Corte non poteva essere
sicura neppure del voto dei più cortigiani fra' nobili. Non era
dubbio alcuno che la sentenza verrebbe annullata, e che il Governo
per volere abbracciar troppo perderebbe ogni cosa cosa. E però
Giacomo inchinava a venire a patti. A Devonshire fu fatto sapere che
ove egli firmasse una scritta d'obbligo di trenta mila sterline, e
in tal guisa si precludesse la vita a intentare un'azione per
difetto di forma, sarebbe liberato di prigione, e dipenderebbe dalla
sua futura condotta l'uso da farsi di cotale documento. S'egli
votasse a favore della potestà di dispensare, non se ne parlerebbe
altrimenti; ma s'egli amasse meglio di mantenere la propria
popolarità, gli si farebbe pagare trenta mila lire sterline. Ei
ricusò, per qualche tempo, di consentire a tale proposta; ma
divenutagli insopportabile la prigionia, firmò la scritta d'obbligo
e fu scarcerato: e comecchè consentisse a gravare di tal pesante
carico il suo patrimonio, nulla potè indurlo a promettere
d'abbandonare il partito e i principii suoi. Seguitò ad essere
partecipe di tutti gli arcani della opposizione: ma per alquanti
mesi i suoi amici politici reputarono esser meglio per lui e per la
causa comune ch'egli si tenesse in fondo alla scena(878).
XLIV. Il Conte di Bedford non s'era mai più riavuto dal colpo con
che, quattro anni innanzi, la sventura gli aveva trafitto il cuore.
Per sentimenti personali, non che per opinioni politiche, egli
procedeva ostile alla Corte: ma non era operoso nel combinare i
mezzi d'avversarla. Nelle ragunanze de' malcontenti lo suppliva il
suo nepote, cioè il celebre Eduardo Russell, uomo d'incontrastato
coraggio ed abilità, ma di principii sciolti e d'indole torbida. Era
marino, s'era segnalato nell'arte sua, e sotto il precedente regno
aveva occupato un ufficio in palazzo. Ma tutti i vincoli onde era
legato alla famiglia reale erano stati infranti dalla morte del suo
cugino Guglielmo. L'audace, irrequieto e vendicativo marino ormai
sedeva nei Consigli, che, secondo lo Inviato Olandese,
rappresentavano la più ardita ed operosa parte dell'opposizione, di
quegli uomini, i quali sotto i nomi di Teste rotonde, Esclusionisti
e Whig avevano mantenuta con varia fortuna una contesa di
quarantacinque anni contro tre Re successivi. Cotesto partito,
dianzi depresso e quasi estinto, ma ora nuovamente risorto e pieno
di vita e pressochè predominante, non pativa gli scrupoli de' Tory o
de' Barcamenanti, ed era pronto a snudare il ferro contro il tiranno
nel primo giorno in cui il ferro si sarebbe potuto snudare con
ragionevole speranza di buon esito.
XLV. Rimane ancora a far menzione di tre uomini co' quali Dykvelt
tenne relazioni di confidenza, e con l'aiuto de' quali egli sperava
di assicurarsi del buon volere di tre grandi classi di cittadini. Il
Vescovo Compton assunse lo incarico di acquistare il favore del
clero: l'Ammiraglio Herbert imprese di esercitare la propria
influenza sulla flotta; e per mezzo di Churchill doveva crearsi un
partito nell'esercito.
Non è mestieri ragionare della condotta di Compton e di quella
d'Herbert. Avendo essi nelle cose temporali servito con zelo e
fedeltà la Corona, erano incorsi nella collera del Re, ricusando di
farsi strumenti a distruggere la propria religione. Entrambi avevano
dalla esperienza imparato come agevolmente Giacomo ponesse in oblio
gli obblighi, e con quanta acrimonia rammentasse quelle ch'egli
considerava offese. Il Vescovo con una sentenza illegale era stato
sospeso dalle sue funzioni. Lo Ammiraglio in un solo istante dalla
opulenza aveva ruinato a povertà. La situazione di Churchill era ben
differente. Egli pel regio favore era stato inalzato dalla oscurità
ad alto grado, e dalla povertà alla ricchezza. Avendo cominciata la
propria carriera da semplice porta-bandiera e da povero, a
trentasette anni trovavasi Maggiore Generale, Pari di Scozia e Pari
d'Inghilterra: comandava una compagnia delle Guardie del Corpo:
occupava varii lucrosi impieghi; e fino allora nessun indizio
mostrava ch'egli avesse minimamente perduto quel favore al quale
tanto doveva. Era vincolato a Giacomo, non solo per debito comune di
fedeltà, ma per onor militare, per gratitudine personale, e, siccome
pareva ai frivoli osservatori, pei più forti legami dell'utile
proprio. Ma Churchill non era osservatore superficiale, e conosceva
profondamente dove stava il suo vero utile. Se il suo signore
conseguisse piena libertà di concedere gli uffici ai papisti, non
rimarrebbe in quelli nemmeno un solo de' protestanti. Per qualche
tempo pochi de' più prediletti servitori della Corona forse
sarebbero esenti dalla proscrizione universale, sperando che
s'inducessero a cangiare religione; ma anche essi tra breve
cadrebbero, l'uno dopo l'altro, come era già caduto Rochester.
Churchill avrebbe potuto schivare cotesto pericolo, ed acquistare
maggior grazia presso il Re uniformandosi alla Chiesa di Roma; e
pareva probabile con un uomo che non era meno notevole per avarizia
ed abiettezza, che per capacità e valore, non aborrirebbe dal
pensiero di ascoltare la Messa. Ma v'ha tale incoerenza nella umana
natura, che esiste qualche parte sensibile anche nelle coscienze più
dure. E così costui, che doveva il proprio inalzamento al disonore
della sorella, ch'era stato mantenuto dalla più prodiga, imperiosa e
svergognata delle bagasce, e la cui vita pubblica, a coloro che
possono tenere fitti gli occhi allo abbagliante splendore del genio
e della gloria, sembrerà un prodigio di turpitudini, credeva nella
religione ch'egli aveva succhiata col latte, e rifuggiva dal
pensiero di abiurarla formalmente. Egli si stava fra un terribile
dilemma. Tra i mali terreni quello che più egli temeva era la
povertà. L'unico delitto del quale il suo cuore aveva ribrezzo, era
l'apostasia. Ed ove la corte giungesse a conseguire il fine al quale
aspirava, non v'era dubbio ch'egli sarebbe stato costretto ad
eleggere o l'apostasia, o la povertà. Per le quali considerazioni
deliberò di attraversare i disegni della Corte; e tosto si vide come
non v'era colpa nè infamia nella quale egli non fosse pronto ad
incorrere, onde far fronte al bisogno di rinunciare o agl'impieghi o
alla propria religione(879).
XLVI. E' non era soltanto come comandante d'alto grado nelle
milizie, e cospicuo per arte e coraggio, che Churchill potesse
giovare l'opposizione. Era, se non assolutamente essenziale,
importantissimo al buon successo de' disegni di Guglielmo, che la
sua cognata, la quale nell'ordine della successione alla Corona
d'Inghilterra stava tra la sua moglie e lui, cooperasse di pieno
accordo con essi. Tutti gli ostacoli che gli si paravano dinanzi si
sarebbero grandemente accresciuti, se Anna si fosse dichiarata
favorevole alla Indulgenza. Il partito al quale ella si sarebbe
appigliata dipendeva dalla volontà altrui, perocchè era donna di
tardo intendimento, e quantunque nel suo carattere fossero i semi di
una caparbietà e inflessibilità ereditarie, che molti anni dipoi
gran potere e grandi provocazioni fecero germogliare e crescere,
nondimeno era allora schiava obbediente ad una donna di carattere
più vivo ed imperioso. Colei, dalla quale Anna lasciava
dispoticamente governarsi, era la moglie di Churchill, donna che
poscia ebbe grande influenza sopra le sorti della Inghilterra e
dell'Europa.
La celebre favorita chiamavasi Sara Jennings. Francesca sua sorella
maggiore aveva acquistata rinomanza di beltà e leggerezza di
carattere fra mezzo la folla delle donne belle e dissolute che
adornarono e disonorarono Whitehall finchè durò l'intemperante
carnevale della Restaurazione. Una volta si travestì da fruttaiuola
e corse gridando per le vie(880). Le persone gravi predicevano che
una fanciulla così poco discreta e delicata difficilmente troverebbe
marito. Nondimeno ebbe tre mariti, e adesso era la moglie di
Tyrconnel. Sara, dotata di bellezza meno regolare, aveva forse
maggiori attrattive. Il suo viso era espressivo; le sue forme non
avevano difetto di vezzi donneschi; e i suoi copiosi e leggiadri
capelli non per anche sfigurati dalla polvere, secondo il barbaro
costume, che, vivente lei, fu introdotto in Inghilterra, formavano
l'ammirazione di tutti.
Tra i galanti giovani che tentavano di conquiderle il cuore, ella
prescelse il Colonnello Churchill, giovane, bello, grazioso,
insinuante, eloquente, valoroso. Certo egli ne era innamorato,
imperocchè non aveva patrimonio, tranne l'annua rendita da lui
acquistata cogl'infami doni della Duchessa di Cleveland: aveva
avidità insaziabile di ricchezze: Sara era povera; e a lui era stata
proposta la mano di un'altra poco avvenente ma ricca fanciulla. Dopo
una interna lotta fra i due partiti, l'amore vinse l'avarizia; il
vincolo maritale non fece che accrescergli in cuore la passione; e
fino all'ultima ora della vita di lui, Sara gustò il diletto
d'essere la sola fra le umane creature la quale potesse far traviare
quell'acuto e fermo intelletto, e fosse fervidamente amata da quel
gelido cuore, e servilmente temuta da quell'animo intrepido.
Secondo l'opinione del mondo, il fido amore di Churchill ebbe ampia
rimunerazione. La sua moglie, comunque scarsa di sostanze, gli portò
una dote, che impiegata con giudizio, lo inalzò al grado di Duca, di
Principe dello Impero, di capitano generale d'una grande coalizione,
di arbitro tra principi potenti, e, ciò ch'egli pregiava sopra ogni
cosa, lo rese il più ricco suddito che fosse in Europa. Ella era
cresciuta fino dall'infanzia con la Principessa Anna, e ne' cuori di
entrambe era nata stretta amicizia. Per indole l'una poco somigliava
all'altra. Anna era inerte e taciturna. Verso coloro ch'erano cari
al suo cuore, mostravasi soave. La ira ne' suoi sembianti prendeva
forma di tristezza. Chiudeva in petto forte sentimento di religione,
ed amava anche con bacchettoneria il rito e l'ordinamento della
Chiesa Anglicana. Sara era vivace e volubile, dominava coloro ai
quali prodigava le sue carezze, e ogni qual volta sentivasi offesa,
sfogava la propria rabbia con pianti e impetuosi rimproveri. Non
pretendeva affatto a mostrarsi una santa, e rasentò la taccia
d'irreligiosa. Allora non era per anche ciò che ella divenne quando
certi vizi le sviluppò in cuore la prosperità, e certi altri
l'avversità, quando il buon successo e le lusinghe le avevano dato
volta al cervello, quando il suo cuore esulcerarono mortificazioni e
disastri. Ella visse tanto da ridursi la più odiosa e misera delle
umane creature, vecchia strega in guerra con tutti i suoi, in guerra
coi propri figli, e co' figliuoli de' figli, grande e ricca, ma
apprezzatrice della grandezza e delle ricchezze, perchè con esse
ella poteva affrontare l'opinione pubblica, e sfrenatamente sbramare
l'odio suo contro i vivi e i morti. Regnante Giacomo, ella veniva
considerata solo come una leggiadra ed altera giovine, la quale a
volte mostravasi di cattivo umore o bisbetica, difetti che le
venivano di leggieri perdonati in grazia della sua leggiadria.
È comune opinione che le differenze d'inclinazione, di mente,
d'indole non siano d'impedimento all'amicizia, e che sovente la più
stretta intimità esista tra due anime, l'una delle quali possegga
ciò di cui l'altra difetta. Lady Churchill era amata e quasi adorata
da Anna, la quale non poteva vivere divisa dall'oggetto della sua
romanzesca tenerezza. Anna prese marito, e fu moglie fedele ed
affettuosa. Ma il Principe Giorgio, uomo pesante, che amava di cuore
sopra ogni cosa un buon desinare e un buon fiasco, non acquistò mai
su lei una influenza da paragonarsi a quella che esercitava l'amica,
e tosto si sottopose anch'egli con istupida pazienza allo impero di
quel vigoroso e predominante spirito che governava la moglie. Dai
regali sposi nacquero figliuoli; ed Anna non difettava di sentimento
materno. Ma la tenerezza che ella sentiva per le proprie creature
era languida, in agguaglio allo affetto con che amava la compagna
della sua infanzia. In fine la Principessa divenne insofferente de'
riguardi che la convenienza imponevale: non poteva sentirsi chiamare
Madama ed Altezza Reale da colei che le era più che sorella. Tali
parole, per vero, erano necessarie nella galleria o nel salone; ma
smettevansi nelle segrete stanze. Anna chiamavasi la signora Morley,
e Lady Churchill la signora Freeman; e sotto questi fanciulleschi
nomi corse per venti anni un carteggio da cui finalmente dipesero le
sorti di governi e dinastie. Ma per allora Anna non aveva potere
politico nè patronato. L'amica Sara faceva l'ufficio di Maggiordoma,
con un onorario di sole quattrocento lire sterline annue.
Nonostante, vi è ragione a credere che in quel tempo Churchill
potesse per mezzo della moglie appagare la passione onde era
governato. La principessa, quantunque avesse una pingue entrata e
gusti semplici, contrasse debiti, che furono da suo padre non senza
brontolare pagati: e fu detto che di cotesti impacci pecuniarii era
stata cagione la sua prodiga bontà verso la prediletta amica(881).
Alla perfine era giunto il tempo in cui cotesta singolare amicizia
doveva esercitare grande influenza sopra gli affari dello Stato.
Aspettavasi con grande ansietà sapere qual parte seguirebbe la
Principessa Anna nella contesa che agitava la Inghilterra tutta
quanta. Da un lato stava il dovere filiale; dall'altro la salvezza
della religione, da lei sinceramente amata. Un carattere meno inerte
avrebbe lungamente tentennato fra motivi così forti e rispettabili.
Ma la influenza dei Churchill risolvè la questione; e la loro
protettrice divenne parte importante di quella vasta lega che aveva
per capo il Principe d'Orange.
XLVII. Nel giugno del 1686 Dykvelt ritornò all'Aja. Presentò agli
Stati Generali una lettera del Re, che encomiava la condotta tenuta
da lui nella sua dimora in Londra. Cotesti encomii, nulladimeno,
erano prettamente formali. Giacomo nelle comunicazioni private,
scritte di propria mano, acremente querelavasi che il Legato era
vissuto in grande intimità coi più faziosi che fossero nel Regno, e
gli aveva animati a persistere ne' loro maligni proponimenti.
Dykvelt recò parimente un fascio di lettere de' più eminenti tra
coloro co' quali erasi abboccato nel suo soggiorno in Inghilterra.
Costoro generalmente esprimevano infinita riverenza ed affetto per
Guglielmo, e quanto alle loro mire, riferivansi alle informazioni
orali che ne averebbe date il portatore delle lettere. Halifax
ragionava colla sua consueta acutezza e vivacità intorno alle
condizioni e alle speranze del paese, ma adoperava gran cura a non
impegnarsi in nessuna pericolosa linea di condotta. Danby scrisse in
un tono più audace e risoluto, e non potè frenarsi dallo schernire
delicatamente gli scrupoli del suo egregio rivale. Ma la più
notevole fra tutte era la lettera di Churchill. Era scritta con
quella eloquenza naturale, la quale, per quanto egli fosse
letterato, non gli mancava mai nelle grandi occasioni, e con un'aria
di magnanimità, che egli, perfido qual era, sapeva assumere con
singolare destrezza. Diceva, la Principessa Anna avergli fatto
comandamento di assicurare i suoi illustri parenti dell'Aja ch'essa
era, con l'aiuto di Dio, deliberatissima a perdere piuttosto la
vita, che rendersi colpevole d'apostasia. Quanto a sè stesso,
gl'impieghi e la grazia del Re erano nulla, trattandosi della sua
religione. E concludeva dichiarando altamente, che se non poteva
pretendere di avere menata la vita d'un santo, sarebbe pronto,
venuta l'occasione, a morire da martire(882).
XLVIII. Dykvelt era così bene riuscito nella sua commissione, che
tosto trovossi un pretesto a spedire un altro agente onde continuare
l'opera con sì buoni auspici incominciata. Il nuovo Inviato, che
poscia fondò una nobile casa inglese estinta ai tempi nostri, era
cugino illegittimo di Guglielmo; e portava un titolo tratto dalla
signoria di Zulestein. La parentela di Zulestein con la Casa
d'Orange gli dava importanza agli occhi del pubblico. Aveva il
portamento d'un valoroso soldato; per ingegno diplomatico e scienza
cedeva di molto a Dykvelt(883), ma anche tale inferiorità aveva i
suoi vantaggi. Un militare, il quale non s'era mai impacciato di
cose politiche, poteva, senza ombra di sospetto, tenere con
l'aristocrazia inglese relazioni, che, ove egli fosse stato rinomato
maestro degli intrighi di Stato, sarebbero state rigorosamente
spiate. Zulestein, dopo una breve assenza, fece ritorno alla patria
recando lettere e messaggi orali non meno importanti di quelli
ch'erano stati affidati al suo predecessore. Da quel tempo s'istituì
un carteggio regolare tra il Principe e la opposizione. Agenti di
varie condizioni andavano e venivano dal Tamigi all'Aja. Fra questi
fu utilissimo uno Scozzese non privo d'ingegno, e fornito di grande
attività, il quale aveva nome Johnstone. Era cugino di Burnet, e
figlio d'un illustre convenzionista, il quale poco dopo la
Restaurazione era stato dannato a morire come reo d'alto tradimento,
e veniva onorato come martire dal proprio partito.
XLIX. La rottura tra il re d'Inghilterra e il Principe d'Orange
facevasi sempre maggiore. Una grave contesa era nata a cagione dei
sei reggimenti che erano al soldo delle Provincie Unite. Il Re
desiderava che venissero posti sotto il comando d'ufficiali romani.
Il Principe fermamente s'opponeva. Il Re aveva ricorso ai soliti
luoghi comuni della tolleranza. Il Principe rispondeva ch'egli altro
non faceva che seguire lo esempio di Sua Maestà. Era a tutti noto
che uomini abili e leali erano stati in Inghilterra cacciati da'
loro uffici, solo per essere protestanti. Era quindi ragione che lo
Statoldero e gli Stati Generali tenessero ai papisti chiuso l'adito
agli alti impieghi pubblici. La risposta del Principe provocò l'ira
di Giacomo a tal segno, ch'egli nel suo furore perdè d'occhio la
verità e il buon senso. Diceva con veemenza esser falso ch'egli
avesse cacciato alcuno per motivi religiosi. E se lo avesse fatto,
che importava ciò al Principe o agli Stati? Erano essi suoi padroni?
Dovevano essi sedere a scranna per giudicare della condotta de'
Sovrani stranieri? Da quel dì egli ebbe voglia di richiamare i suoi
sudditi ch'erano a' servigi del Governo Olandese. Pensava che
facendoli venire in Inghilterra, avrebbe reso più forte sè, e più
deboli i suoi peggiori nemici. Ma v'erano difficoltà tali di finanza
che era impossibile non se ne accorgesse. Il numero de' soldati
ch'egli manteneva, comecchè fosse maggiore che ne' tempi trascorsi,
e amministrato con parsimonia, era quale le sue rendite potessero
sopportare. Se allo esercito si aggiungessero i battaglioni che
erano al soldo dell'Olanda, il Tesoro fallirebbe. Forse si potrebbe
indurre Luigi a prenderli al suo servizio. Così verrebbero
allontanati da un paese dove rimanevano sempre esposti alla
corruttrice influenza d'un governo repubblicano e d'un culto
calvinista, e sarebbero posti in un paese dove niuno rischiavasi a
far fronte ai comandi del Sovrano o alle dottrine della vera Chiesa.
I soldati tosto disimparerebbero ogni eresia politica e religiosa.
Il Principe loro naturale potrebbe in pochi dì richiamarli a
prestargli mano forte, e in ogni occorrenza esser sicuro della
fedeltà loro.
S'aprirono intorno a questo negozio pratiche tra Whitehall e
Versailles. Luigi aveva quanti soldati gli bisognavano; e se così
non fosse stato, non avrebbe mai voluto milizie inglesi al suo
soldo; imperciocchè la paga in Inghilterra, per quanto oggimai ci
possa sembrare poca, era maggiore di quella che si dava in Francia.
Nel tempo stesso era un gran che privare Guglielmo di sì belle
milizie. Dopo un carteggio che durò alcune settimane, a Barillon fu
data podestà di promettere che ove Giacomo richiamasse dall'Olanda i
soldati inglesi, Luigi pagherebbe la spesa a mantenerne due mila in
Inghilterra. Tale offerta Giacomo accettò con calde espressioni di
gratitudine. Ordinate le cose a quel modo, chiese agli Stati
Generali che gli mandassero i sei reggimenti. Gli Stati Generali
ligi a Guglielmo, risposero che simigliante domanda, in siffatte
circostanze, non era autorizzata dai Trattati esistenti, e
positivamente ricusarono d'ammetterla. È cosa notevole come
Amsterdam, la quale aveva votato per tenere le predette milizie in
Olanda, mentre Giacomo ne aveva mestieri contro gl'insorti delle
Contrade Occidentali, adesso fece ogni sforzo perchè si cedesse alla
domanda del Re. In ambedue i casi, il solo scopo di coloro che
reggevano quella grande città era quello di opporsi ai desiderii del
Principe d'Orange(884).
L. Ma le armi d'Olanda erano a Giacomo meno formidabili di quel che
fossero i torchj olandesi. All'Aja stampavansi quotidianamente libri
e libercoli inglesi contro il Governo di lui; nè vi era vigilanza a
impedire che migliaia di esemplari ne fossero introdotte di
contrabbando nelle Contee poste lungo l'oceano germanico. Fra tutte
coteste pubblicazioni ne va predistinta una per la sua importanza e
per lo immenso effetto che produsse. La opinione che intorno
all'Atto d'Indulgenza tenevano il Principe e la Principessa
d'Orange, era ben nota a tutti coloro che prendevano interesse alle
cose pubbliche. Ma perchè tale opinione non era stata officialmente
annunciata, molti che non avevano mezzi di ricorrere a buone fonti,
erano ingannati o rimanevano perplessi vedendo la sicurezza con che
i partigiani della Corte asserivano le Altezze Loro approvare i
recenti Atti del Re. Smentire pubblicamente tal voce sarebbe stato
un mezzo semplice ed ovvio, se il solo scopo di Guglielmo fosse
stato quello di vantaggiare i propri interessi in Inghilterra. Ma
egli considerava la Inghilterra principalmente come strumento
necessario alla esecuzione de' suoi grandi disegni intorno l'Europa;
ai quali egli sperava di ottenere la cooperazione di ambedue le Case
d'Austria, de' Principi Italiani ed anche del Sommo Pontefice. V'era
ragione a temere, una dichiarazione soddisfacente ai Protestanti
inglesi non eccitasse sospetto e sinistri umori in Madrid, in
Vienna, in Torino ed in Roma. A tal fine il Principe si astenne
lungo tempo dallo esprimere i propri sentimenti. In fine gli fu
fatto notare come il suo prolungato silenzio avesse destato
inquietudine e diffidenza fra coloro che volevano il suo bene, e
fosse ormai tempo di parlare: deliberò quindi di manifestare il
proprio intendimento.
LI. Un Whig scozzese, chiamato Giacomo Stewart, parecchi anni
innanzi, s'era rifugiato in Olanda onde sottrarsi allo stivaletto e
alle forche, ed aveva stretto amicizia col Gran Pensionario Fagel,
il quale godeva largamente la fiducia e la grazia dello Statoldero.
Stewart era colui che aveva scritto il virulento Manifesto d'Argyle.
Appena promulgata la Indulgenza, Stewart pensò di cogliere il destro
non solo ad ottenere perdono, ma a meritarsi una ricompensa. Offerse
al governo(885) al quale egli era stato nemico i propri servigi, che
furono accettati, e mandò a Fagel una lettera dicendo essere stata
scritta per ordine di Giacomo. In essa il Pensionario veniva
richiesto di adoperare tutta la sua influenza sul Principe e la
Principessa onde indurli a secondare la politica del padre loro.
Dopo alcuni giorni d'indugio Fagel mandò una risposta profondamente
pensata, e scritta con arte squisitissima. Niuno che mediti quel
notevole documento, può non accorgersi che quantunque fosse composto
con lo intendimento di rassicurare e piacere ai Protestanti inglesi,
non vi si contiene una sola parola che possa recare offesa nè anche
al Vaticano. Vi si diceva che Guglielmo e Maria approverebbero
volentieri l'abrogazione d'ogni legge penale contro ogni Inglese di
qualunque classe si fosse, per cagione d'opinioni religiose. Ma
bisognava distinguere punizione da incapacità. Ammettere agli uffici
i Cattolici Romani, non sarebbe, secondo opinavano le Altezze loro,
vantaggioso nè al bene dell'Inghilterra, nè a quello degli stessi
Cattolici Romani. Il Manifesto fu tradotto in varie lingue, e sparso
profusamente per tutta l'Europa. Della versione inglese, fatta con
gran cura da Burnet, ne furono introdotti nelle Contee Orientali
circa cinquantamila esemplari, e furono rapidamente diffusi per
tutto il reame. Nessuno scritto politico ebbe mai esito cotanto
felice. I Protestanti dell'isola nostra fecero plauso alla mirabile
fermezza con che Guglielmo dichiarava di non potere assentire che i
papisti avessero partecipazione alcuna alle cose di Governo. Ai
Principi Cattolici Romani, dall'altro canto, piaceva lo stile mite e
sobrio con cui era vestito il concetto del Principe, e la speranza
ivi espressa che sotto il suo governo nessun credente della Chiesa
di Roma riceverebbe molestia per motivo di religione.
LII. È probabile che anche il Pontefice leggesse con piacere cotesta
celebre lettera. Alcuni mesi innanzi aveva dato commiato a
Castelmaine in un modo tale da mostrare poco riguardo pel Re
d'Inghilterra. A Papa Innocenzo spiaceva affatto la politica interna
non che la esterna del Governo Britannico. Vedeva come gl'ingiusti e
impolitici provvedimenti della cabala gesuitica avessero a rendere
perpetue le leggi penali più presto che giungere ad abrogare l'Atto
di Prova. La sua contesa con la Corte di Versailles diveniva sempre
più grave; nè poteva egli o come Principe temporale o come Sommo
Pontefice sentire schietta amistà pel vassallo di quella Corte.
Castelmaine non aveva i requisiti necessari a spegnere cotesta
ripugnanza. Conosceva bene Roma, e, come laico, era profondamente
erudito nelle controversie teologiche(886). Ma non aveva la
destrezza che il suo ufficio richiedeva; e quand'anche fosse stato
abilissimo diplomatico, v'era una ragione che lo avrebbe reso
inadatto a compire convenevolmente la sua commissione. Tutta Europa
conoscevalo come il marito della più svergognata femmina, e non
altrimenti. Era impossibile parlare con lui senza richiamarsi alla
memoria il modo onde erasi acquistato il titolo ch'egli portava. Ciò
sarebbe stato ben poco, s'egli fosse stato ambasciatore a qualche
dissoluta Corte, come quella in cui aveva pur dianzi dominato la
Marchesa di Montespan. Ma era manifestamente inconvenevole lo averlo
inviato ad un'ambasciata di natura più presto spirituale che
temporale e ad un Pontefice di austerità antica. I Protestanti in
tutta Europa lo ponevano in canzone; ed Innocenzo, già
sfavorevolmente disposto verso il Governo Inglese, considerò il
complimento fattogli quasi come affronto. A Castelmaine era stata
assegnata una paga di cento lire sterline per settimana; ma egli ne
mosse lamento dicendo che tre volte tanto appena sarebbe bastato:
imperocchè in Roma i Ministri de' grandi potentati continentali si
sforzavano di vincersi vicendevolmente per isplendidezza agli occhi
di un popolo, il quale per essere avvezzo a vedere tanta
magnificenza di edifizi, di decorazioni e di cerimonie, era di
difficile contentatura. Dichiarò sempre di averci rimesso del suo.
Lo accompagnavano vari giovani delle migliori famiglie cattoliche
dell'Inghilterra, come sarebbero i Ratcliffe, gli Arundell, e i
Tichborne. In Roma alloggiava in palazzo Panfili a mezzogiorno della
magnifica Piazza Navona. Fino da' primi giorni era stato
privatamente ricevuto da Papa Innocenzo; ma la pubblica udienza fu
lungamente ritardata. E veramente gli apparecchi che andava facendo
Castelmaine erano così sontuosi, che quantunque fossero incominciati
alla Pasqua di Resurrezione del 1686 non furono compiti se non nel
novembre dell'anno stesso; nel quale mese il Papa ebbe, o simulò
d'avere un accesso di podagra che fece differire la cerimonia.
Finalmente nel gennaio del 1687 la solenne presentazione seguì con
insolita pompa. I cocchi già lavorati appositamente in Roma, erano
così magnifici che vennero reputati degni d'essere trasmessi ai
posteri per mezzo di belle incisioni, e celebrati dai poeti in
diverse lingue(887). La facciata del palazzo della legazione in quel
solenne giorno era decorata con pitture di assurde e gigantesche
allegorie. V'erano effigiati San Giorgio col piede sul collo di Tito
Oates, ed Ercole che con la mazza percoteva College, il manuale
protestante, il quale invano tentava difendersi col suo correggiato.
Dopo cotesta pubblica dimostrazione, Castelmaine invitò tutti i più
notevoli personaggi che allora si trovassero in Roma, ad un
banchetto in quella gaia e splendida sala, la quale Pietro da
Cortona ornò con pitture rappresentanti i fatti dell'Eneide. La
intiera città corse a vedere la solennità; e a stento una compagnia
di Svizzeri potè mantenere l'ordine fra gli spettatori. I nobili
dello Stato Pontificio in contraccambio offrirono dispendiosi
intertenimenti allo Ambasciatore; e i poeti e i belli spiriti furono
invitati a tributare a lui e al suo signore iperboliche adulazioni,
quali sogliono usarsi quando il genio e il gusto trovansi in gran
decadenza. Fra tutti cotesti adulatori va predistinta una testa
coronata. Erano corsi trenta e più anni da che Cristina, figlia del
grande Gustavo, era volontariamente discesa dal trono di Svezia.
Dopo lungo pellegrinare, nel corso del quale ella commise molte
follie e molti delitti, erasi finalmente fermata in Roma, dove
occupavasi di calcoli astrologici, d'intrighi di conclave, e
sollazzavasi con pitture, gemme, manoscritti, e medaglie. In
quell'occasione ella compose alcune stanze in italiano in lode del
Principe inglese, il quale, al pari di lei, nato da stirpe di Re
fino allora considerati come campioni della Riforma, erasi, come
lei, riconciliato all'antica Chiesa. Una splendida ragunanza ebbe
luogo nel suo palazzo; i suoi versi, posti in musica, furono cantati
fra gli applausi(888) universali; ed un suo famigliare, uomo
letterato, recitò una orazione sul medesimo subietto, scritta in un
stile sì florido e intemperante, che pare offendesse il severo
orecchio degli Inglesi che v'erano presenti. I Gesuiti, nemici del
Papa, devoti agli interessi della Francia, e inchinevoli a
glorificare Giacomo, accolsero la legazione inglese con estrema
pompa in quella principesca casa dove riposano le ossa d'Ignazio di
Loyola, rinchiuse in un monumento di lapislazzuli e d'oro. La
scultura e la pittura, la poesia e l'eloquenza furono adoperate ad
onorare gli stranieri: ma le arti tutte erano miseramente
degenerate. Vi fu profusione di turgida ed impura latinità, indegna
d'un Ordine così erudito; e talune delle iscrizioni che adornavano
le pareti, peccavano in cosa ben altrimenti più seria che non fosse
lo stile. In una dicevasi che Giacomo aveva spedito al cielo il
proprio fratello come suo messaggiero, ed in un'altra che Giacomo
aveva apprestate le ali, con che il fratello erasi levato all'eteree
regioni. V'era anco un più sciagurato distico, al quale per allora
si badò poco, ma che pochi mesi dopo fu rammentato ed ebbe sinistra
interpretazione. "O Re," diceva il poeta "cessa di sospirare per
avere un figlio. Quand'anche la natura si mostrasse avversa al tuo
desiderio, le stelle troveranno modo di compiacerti."
Fra mezzo a tanti festeggiamenti, Castelmaine ebbe a soffrire
mortificazioni ed umiliazioni crudeli. Il Pontefice trattavalo con
estrema freddezza e riserbo. Qualvolta lo Ambasciatore lo
sollecitava d'una risposta alla richiesta fatta di concedere un
cappello cardinalizio a Petre, Papa Innocenzio, facendosi venire un
violento colpo di tosse, poneva fine al colloquio. Si sparse per
tutta Roma la voce di coteste singolari udienze. Pasquino non
tacque. Tutti i curiosi e i ciarlieri della città più sfaccendata
del mondo, tranne solo i Gesuiti e i Prelati partigiani della
Francia, facevano le matte risate alla sconfitta di Castelmaine; ed
egli ch'era poco dolce d'indole, ne divenne furioso, e fece correre
in giro uno scritto mordace contro il Papa. Castelmaine così
ponevasi dalla parte del torto; e lo scaltro Italiano acquistava
vantaggio e voleva giovarsene. Dichiarò senza ambagi come la regola
che escludeva i Gesuiti dalle dignità ecclesiastiche non si dovesse
violare in favore di Padre Petre. Castelmaine offeso minacciò di
andarsene via da Roma. Innocenzo rispose, con una mansueta
impertinenza, tanto più provocante quanto non poteva distinguersi
dalla semplicità, che Sua Eccellenza se ne andasse pure se così le
piacesse. "Ma se noi dobbiamo perderlo" aggiunse il venerando
Pontefice, "speriamo ch'egli badi alla propria salute nel fare il
viaggio. Gl'Inglesi non sanno quanto sia pernicioso in questi nostri
paesi il viaggiare sotto i calori del giorno. Sarebbe bene adunque
ch'egli si partisse avanti l'alba onde a mezzodì si potesse
riposare." Con tale salutare consiglio e col dono d'un rosario, il
malarrivato ambasciatore ebbe commiato. Pochi mesi di poi comparve
alla luce, in italiano e in inglese, una pomposa storia della sua
legazione, stampata magnificamente in foglio e adorna d'incisioni.
Il frontespizio, a grande scandalo di tutti i Protestanti,
rappresentava Castelmaine nel suo abito di Pari, con la corona di
Conte nelle mani, in atto di baciare il piede a Papa Innocenzo(889).
CAPITOLO OTTAVO.
SOMMARIO.
I. Consacrazione del Nunzio nel Palazzo di San Giacomo; Sua solenne
presentazione a Corte. - II. Il Duca di Somerset. - III.
Scioglimento del Parlamento. Delitti militari illegalmente puniti -
IV. Atti dell'Alta Commissione. - V. Le Università. - VI. Processi
contro la Università di Cambridge. - VII. Il Conte di Mulgrave -
VIII. Condizioni d'Oxford. - IX. Il Collegio della Maddalena in
Oxford. - X. Il Re raccomanda Antonio Farmer per la presidenza. -
XI. I Convittori del Collegio della Maddalena sono citati dinanzi
l'Alta Commissione. - XII. Parker raccomandato per Presidente; la
Certosa. - XIII. Viaggio del Re. - XIV. Il Re in Oxford; riprende i
Convittori della Maddalena. - XV. Penn tenta di farsi mediatore. -
XVI. Commissarii speciali ecclesiastici mandati in Oxford. - XVII.
Protesta di Hough; Parker entra in ufficio. - XVIII. I Convittori
sono cacciati via. - XIX. Il Collegio della Maddalena diventa
seminario papale. - XX. Risentimento del Clero. - XXI. Disegni della
Cabala Gesuitica rispetto alla successione - XXII. Disegni di
Giacomo e Tyrconnel a fine di impedire che la Principessa d'Orange
succedesse nel regno d'Irlanda. - XXIII. La Regina è incinta; il
fatto non è creduto da nessuno. - XXIV. Umori de' Collegi
elettorali, e dei Pari. - XXV. Giacomo delibera di convocare il
Parlamento adulterando le elezioni. - XXVI. Il Consiglio de'
Regolatori. - XXVII. Destituzioni di molti Lordi Luogotenenti; il
Conte d'Oxford. - XXVIII. Il Conte di Shrewsbury. - XXIX. Il Conte
di Dorset. - XXX. Domande fatte ai magistrati. - XXXI. Loro
risposta; i disegni del Re riescono vani. - XXXII. Lista di
Sceriffi. - XXXIII. Carattere dei gentiluomini Cattolici Romani
nelle campagne - XXXIV. Umori de' Dissenzienti; Regolamento dei
Municipi. - XXXV. Inquisizione in tutti i Dipartimenti del Governo -
XXXVI. Destituzione di Sawyer. - XXXVII. Williams avvocato Generale.
- XXXVIII. Seconda Dichiarazione d'Indulgenza. - XXXIX. Il Clero
riceve ordine di leggerla. - XL. Il Clero esita a farlo;
Patriottismo de' Protestanti non-conformisti di Londra. - XLI.
Consulte del Clero di Londra. - XLII. Consulte nel Palazzo Lambeth.
- XLIII. Petizione de' sette Vescovi presentata al Re. - XLIV. Il
Clero di Londra disubbidisce agli ordini reali. - XLV. Il Governo
esita. - XLVI. Delibera di fare ai Vescovi un processo per calunnia.
- XLVII. Vengono esaminati dal Consiglio Privato. - XLVIII.
Incarcerati nella Torre di Londra - XLIX. Nascita del Pretendente;
universalmente creduta supposta. - L. I Vescovi, tradotti dinanzi
il Banco del Re, son posti in libertà sotto cauzione. - LI.
Agitazioni nel pubblico. - LII. Inquietudini di Sunderland. - LIII.
Fa professione di Cattolico Romano. - LIV. Processo de' Vescovi. -
LV. Sentenza; esultanza del popolo. - LVI. Stato singolare
dell'opinione pubblica in quel tempo.
I. Le aperte scortesie del Pontefice erano bastevoli a irritare il
più mansueto de' principi; ma il solo effetto che produssero
sull'animo di Giacomo fu quello di renderlo più prodigo di carezze e
di complimenti. Mentre Castelmaine, coll'anima esasperata dallo
sdegno, cammino faceva alla volta dell'Inghilterra, il Nunzio era
colmato di onori tali che se fosse dipeso da lui li avrebbe
ricusati. Per una finzione d'uso frequente nella Chiesa di Roma, era
stato poco innanzi insignito della dignità vescovile senza diocesi.
Gli era stato dato il titolo di Vescovo d'Amasia, città del Ponto e
patria di Strabone e di Mitridate. Giacomo insistè perchè la
cerimonia della consacrazione fosse fatta entro la Cappella del
Palazzo di San Giacomo. Leyburn Vicario Apostolico, e due prelati
irlandesi officiarono. Le porte furono spalancate al pubblico; e fu
notato come parecchi Puritani, i quali pur dianzi s'erano fatti
cortigiani, fossero fra gli spettatori. La sera di quel dì medesimo,
Adda, vestito degli abiti alla nuova dignità convenevoli, si recò
allo appartamento della Regina. Re Giacomo in presenza di tutta la
Corte cadde sulle ginocchia implorando la benedizione. E in onta del
freno imposto dall'uso cortigianesco, gli astanti indarno
studiaronsi di nascondere il disgusto che loro ispirava
quell'atto(890). E davvero da lunghissimo tempo non s'era visto un
sovrano inglese piegare il ginocchio innanzi ad uomo mortale; e
coloro i quali contemplarono quello strano spettacolo, non potevano
non richiamare alla memoria il giorno di vergogna, in cui Re
Giovanni rese omaggio per la sua corona nelle mani di Pandolfo.
II. Breve tempo dopo, una cerimonia anche di più ostentata solennità
ebbe luogo in onore della Santa Sede. E' fu deliberato che il Nunzio
andasse processionalmente a Corte. In tale occasione alcuni, della
cui obbedienza il Re era sicuro, mostrarono per la prima volta segni
di spirito disubbidiente. Si rese notevole fra tutti Carlo Seymour,
secondo Pari secolare del Regno, e comunemente chiamato l'orgoglioso
Duca di Somerset. E certo egli era uomo, in cui l'orgoglio della
stirpe e del grado era quasi infermità di mente. Le sostanze da lui
ereditate non erano pari all'alto posto ch'egli teneva
nell'aristocrazia inglese; ma era diventato signore della più vasta
possessione territoriale d'Inghilterra sposando la figlia ed erede
dell'ultimo Percy, il quale portava l'antica corona ducale di
Northumberland. Somerset aveva soli venticinque anni, ed era poco
noto al pubblico. Era Ciamberlano del Re, e colonnello di uno de'
reggimenti levati a tempo della insurrezione delle Contrade
Occidentali. Non aveva avuto scrupolo di portare la Spada dello
Stato nella Cappella reale, ne' giorni di festa: ma adesso
risolutamente ricusò di mischiarsi al corteggio che doveva
festeggiare il Nunzio. Taluni di sua famiglia lo supplicarono a non
tirarsi sul capo la collera del Re; ma i loro preghi furono vani. Il
Re stesso si provò a rimproverarlo dicendo: "Io credeva, Milord,
farvi un grande onore eleggendovi ad accompagnare il ministro della
prima testa coronata del mondo." - "Sire," rispose il Duca "mi si
assicura che io non possa obbedire a Vostra Maestà senza contraffare
alla legge." - "Farò che voi temiate me al pari della legge,"
riprese insolentemente il Re: "non sapete che io sono superiore alla
legge?" - "Vostra Maestà potrebbe essere superiore alla legge"
rispose Somerset, "ma io non lo sono; e mentre obbedisco alla legge,
non ho timore di nulla." Il Re gli volse altamente irato le spalle,
e tosto lo destituì d'ogni ufficio nella casa reale e nello
esercito(891).
Nondimeno in una cosa Giacomo usò alquanto di prudenza. Non si
rischiò di esporre il Nunzio in solenne processione agli occhi della
vasta popolazione di Londra. La ceremonia fu fatta il dì 3 luglio
1687, in Windsor. La gente accorse in folla a quella piccola città,
tanto che mancarono i viveri e gli alloggi; e molte persone d'alta
condizione rimasero tutta la giornata nelle loro carrozze aspettando
di vedere lo spettacolo. In fine, in sul tardi del pomeriggio,
comparve il maresciallo del palazzo seguito da' suoi uomini a
cavallo. Quindi veniva una lunga fila di volanti, e da ultimo in un
cocchio di Corte procedeva Adda coperto d'una veste purpurea, con
una croce che gli luccicava sul petto. Era seguito dalle carrozze
de' principali cortigiani e ministri di Stato. Ed in questo corteo
gli spettatori riconobbero con indignazione l'armi e le livree di
Crewe vescovo di Durham, e di Cartwright Vescovo di Chester(892).
III. Il dì susseguente leggevasi nella gazzetta un decreto che
discioglieva il Parlamento, il quale di tutti i quindici Parlamenti
convocati dagli Stuardi era stato il più ossequioso(893).
Intanto nuove difficoltà sorgevano in Westminster Hall. Pochi mesi
erano corsi da che erano stati destituiti alcuni giudici e
sostituiti altri a fine d'ottenere una sentenza favorevole alla
Corona nella causa di Sir Eduardo Hales; e già era necessario fare
nuovi cangiamenti.
Il Re aveva appena formato quello esercito, con l'aiuto del quale
principalmente egli sperava di compire i propri disegni, allorchè si
avvide di non poterlo tenere in freno. In tempo di guerra nel Regno
un soldato ribelle o disertore poteva esser giudicato da un
tribunale militare, e la sentenza eseguita dal Provosto Maresciallo.
Ma adesso v'era perfetta pace. Il diritto comune d'Inghilterra,
originato in una età in cui ogni uomo portava le armi secondo le
occorrenze, e giammai di continuo, non faceva distinzione, in tempo
di pace, da un soldato ad un altro suddito qualunque; nè v'era Atto
alcuno somiglievole a quello, per virtù del quale l'autorità
necessaria al governo delle truppe regolari, annualmente si affida
al Sovrano. Alcuni vecchi statuti, a dir vero, dichiaravano in certi
casi speciali crimenlese la diserzione. Ma tali statuti erano
applicabili solo ai soldati nell'atto di prestare servizio al Re in
guerra, e non potevansi senza aperta mala fede stiracchiare tanto da
applicarli al caso di colui, il quale, in tempo di profonda quiete
dentro e fuori lo Stato, sentendosi stanco di rimanere più oltre
negli accampamenti di Hounslow facesse ritorno al suo villaggio
nativo. Sembra che il Governo non avesse potestà di ritenere un tale
uomo più di quella che non ne abbia un fornaio o un sartore sopra i
suoi lavoranti. Il soldato e i suoi ufficiali agli occhi della legge
erano in pari condizione. S'egli bestemmiava contro loro, era punito
come reo di bestemmia; se gli batteva, era processato per offesa.
Vero è che le milizie regolari avevano minor freno delle civiche.
Perocchè queste erano un corpo istituito da un Atto parlamentare, il
quale aveva provveduto che si potessero, per violazione di
disciplina, infliggere sommariamente pene leggiere.
Non sembra che sotto il regno di Carlo II si fosse fatta molto
sentire la inconvenevolezza pratica di siffatta condizione della
legge. Ciò potrebbe forse spiegarsi dicendo che fino all'ultimo anno
del suo regno, le forze ch'egli manteneva in Inghilterra, erano
precipuamente composte di soldati appartenenti alla casa reale, la
cui paga era tanta che la destituzione dal servizio sarebbe stata
dalla più parte di loro considerata come una sciagura. Lo stipendio
di un soldato comune nelle Guardie del Corpo era una provvisione
degna del figlio minore d'un gentiluomo. Anche le Guardie a piedi
erano pagate quanto i manifattori in tempi prosperi, ed erano quindi
in condizioni tali da essere invidiati dalla classe de' lavoranti.
Il ritorno del presidio di Tangeri, e le leve de' nuovi reggimenti
avevano apportata una seria riforma. Adesso erano in Inghilterra
molte migliaia di soldati, ciascuno de' quali riceveva soli otto
soldi di paga per giorno. Il timore d'essere licenziati non era
bastevole a tenerli dentro gli stretti confini del dovere: e le pene
corporali non potevano legalmente dagli ufficiali essere inflitte.
Giacomo aveva quindi due sole vie ad eleggere, o lasciare che la sua
armata si disciogliesse da sè, o indurre i Giudici a dichiarare che
la legge fosse ciò che ogni giureconsulto sapeva non essere.
A ciò fare importava segnatamente esser sicuro della cooperazione di
due tribunali; la Corte del Banco del Re che era il primo tribunale
criminale del Regno, e la Corte chiamata del goal-delivery, che
sedeva in Old Bailey, ed aveva giurisdizione sopra i delitti
commessi nella capitale. In ambedue queste Corti v'erano grandi
difficoltà. Herbert, Capo Giudice del Banco del Re, per quanto fino
allora si fosse mostrato servile, non avrebbe osato di trascorrere
più oltre. Più ostinata resistenza era da aspettarsi da Giovanni
Holt, il quale, come Recorder della città di Londra, occupava il
banco in Old Bailey. Holt era uomo eminentemente dotto nella
giurisprudenza, dotato di mente lucida, coraggioso ed onesto; e
comecchè non fosse stato mai fazioso, le sue opinioni politiche
sentivano di spirito Whig. Nulladimeno dinanzi alla volontà del Re
disparvero tutti gli ostacoli. Ad Holt fu tolto l'ufficio. Herbert
ed un altro giudice furono cacciati dal Banco del Re; e que' posti
vacanti vennero dati ad uomini nei quali il Governo poteva
pienamente confidare. E per vero dire, ei fu mestieri scendere a ciò
che vi era di più basso nel ceto legale per trovare uomini pronti a
rendere i servigi richiesti dal Re. La ignoranza del nuovo Capo
Giudice Sir Roberto Wright passava in proverbio; e pure la ignoranza
non era il peggiore de' suoi difetti. Era stato rovinato da' vizii,
aveva ricorso a mezzi infami per far danari, ed una volta fece un
falso affidavit, ovvero dichiarazione con giuramento, per guadagnare
cinquecento sterline. Povero, dissoluto e svergognato, era divenuto
uno de' parassiti di Jeffreys, che lo promosse nel medesimo tempo in
cui lo caricava d'insulti. Tale era l'uomo scelto da Giacomo a Lord
Capo Giudice d'Inghilterra. Un certo Roberto Allibone, che era nelle
leggi anche più ignorante di Wright, e come cattolico romano non
poteva occupare impieghi, fu fatto secondo giudice del Banco del Re.
Sir Bartolommeo Shower, ugualmente noto come Tory servile ed oratore
noioso, fu nominato Recorder di Londra. Dopo tali variazioni, a
parecchi disertori fu fatto il processo. Vennero dichiarati rei a
dispetto della lettera e dello spirito della legge. Alcuni furono
condannati a morte nel Banco del Re, altri in Old Bailey. Vennero
impiccati al cospetto de' reggimenti ai quali appartenevano; e
s'ebbe cura che la esecuzione della sentenza fosse annunziata nella
gazzetta di Londra, la quale di rado dava notizia di siffatti
eventi(894). IV. Era da credersi che la legge, violata con
tanta impudenza da Corti la cui autorità derivava interamente da
quella, e che avevano costume di toglierla a guida ne' loro
giudizii, sarebbe poco rispettata da un tribunale istituito da un
capriccio tirannico. La nuova Alta Commissione nei primi mesi della
sua esistenza aveva semplicemente inibito ad alcuni chierici lo
esercizio delle loro funzioni spirituali; essa non aveva attentato
ai diritti di proprietà. Ma sul principio del 1687, e' fu deliberato
di colpire cotesti diritti, e di porre in mente ad ogni prete e
prelato anglicano la convinzione, che, ricusando di aiutare il
Governo a distruggere la Chiesa di cui egli era ministro, verrebbe
in un attimo ridotto alla miseria.
Sarebbe stata prudenza farne la prima prova sopra qualche oscuro
individuo. Ma era tanta la cecità del Governo, che in una età più
credula si sarebbe chiamata fatalità. A un tratto dunque fu
dichiarata la guerra alle due più venerabili corporazioni del reame,
voglio dire alle Università d'Oxford, e di Cambridge.
V. Que' due grandi corpi da lunghissimi anni erano stati molto
potenti; e la potenza loro in sul declinare del secolo decimo
settimo era giunta al più alto grado. Nessuno de' paesi vicini
poteva gloriarsi di centri di dottrina splendidi ed opulenti al pari
di quelli. Le scuole d'Edimburgo e di Glasgow, di Leida e di
Utrecht, di Lovanio e di Lipsia, di Padova e di Bologna, sembravano
dappoco ai dotti ch'erano stati educati ne' magnifici istituti di
Wykeham e di Wolsey, di Enrico VI, e d'Enrico VIII. Le lettere e le
scienze nel sistema accademico d'Inghilterra, erano circondate di
gran pompa, avevano una magistratura, ed erano strettamente connesse
con tutte le più auguste istituzioni dello Stato. Essere Cancelliere
d'una Università reputavasi onorificenza, alla quale ardentemente
ambivano i magnati del Regno. Rappresentare una Università in
Parlamento era scopo all'ambizione degli uomini di Stato. I nobili e
perfino i principi inorgoglivansi di ricevere da una Università il
privilegio d'indossare la veste scarlatta di dottore. I curiosi
erano attratti alle Università dal diletto di ammirare quegli
antichi edifizi ricchi di memorie del medio evo, quelle moderne
fabbriche che mostravano quanto potessero gli squisiti ingegni di
Jones e di Wren, quelle magnifiche sale e cappelle, i Musei, i
giardini botanici, e le sole grandi Biblioteche pubbliche che a quei
tempi esistessero nel Regno. La pompa che Oxford mostrava nelle
solennità, rivaleggiava con quella de' principi sovrani. Quando il
venerando Duca d'Ormond Cancelliere di quell'Università, coperto del
suo manto ricamato, sedeva sul trono sotto la dipinta volta del
teatro di Sheldon, circondato da centinaia di graduati vestiti
secondo l'ordine loro, mentre i più nobili giovani dell'Inghilterra
solennemente a lui presentavansi come candidati pe' grandi
accademici, egli faceva una comparsa regale quasi al pari del suo
signore nella Sala del Banchetto in Whitehall. Nella Università
s'erano educati gl'intelletti di quasi tutti i più eminenti
chierici, laici, medici, begli spiriti, poeti, ed oratori del reame,
e gran parte de' nobili e dei ricchi gentiluomini. È anche da
notarsi che la relazione tra lo scolare e la scuola non rompevasi
alla sua partenza da quella. Spesso egli seguitava ad essere per
tutta la vita membro del corpo accademico, e come tale votava in
tutte le elezioni di maggiore importanza. Serbava quindi per le sue
antiche passeggiate lungo il Cam e l'Isis una memoria più
affettuosa, che gli uomini educati spesso non sentono per il luogo
della loro educazione. In tutta Inghilterra non era angolo in cui le
due Università non avessero grati e zelanti figli. Ogni attentato
contro l'onore e gli interessi di Cambridge e di Oxford non poteva
non provocare il risentimento d'una possente, operosa e intelligente
classe, sparsa in ogni Contea da Northumberland fino a Cornwall.
I graduati residenti, come corpo, allora non erano forse
positivamente superiori a quelli de' tempi nostri: ma in paragone
delle altre classi sociali occupavano una posizione più alta:
imperocchè Cambridge ed Oxford erano allora le sole due città
provinciali del Regno, nelle quali si trovasse un gran numero
d'uomini eminenti per cultura intellettuale. Anche la metropoli
teneva in grande riverenza l'autorità delle Università non solo
nelle questioni di teologia, di filosofia naturale e d'antichità
classiche, ma altresì in quelle materie nelle quali le metropoli
generalmente pretendono il diritto di giudicare in ultimo appello.
Dal Caffè Will e dalla platea del teatro regio di Drury Lane i
critici riferivansi al giudizio de' due grandi centri del sapere e
del gusto. Le produzioni drammatiche, ch'erano state con entusiasmo
applaudite in Londra, non riputavansi fuori di pericolo finchè non
avessero sperimentato il severo giudizio degli uditori assuefatti a
studiare Sofocle e Terenzio(895).
Le Università d'Inghilterra avevano adoperata tutta la loro
influenza morale ed intellettuale a pro della Corona. Carlo I aveva
fatto d'Oxford il suo quartiere generale; e tutti i Collegi a
impinguare la sua cassa militare avevano fuse le loro argenterie.
Cambridge non era meno benevola alla Corona. Aveva mandata anche
essa a' regi accampamenti gran parte delle sue argenterie, e avrebbe
parimenti dato il resto se la città non fosse stata presa dalle
soldatesche del Parlamento. Ambedue le Università dai vittoriosi
Puritani erano state severissimamente trattate; ambedue avevano con
gioia plaudito alla Restaurazione; fermamente avversata la Legge
d'Esclusione; e mostrato profondo orrore alla scoperta della
Congiura di Rye-House. Cambridge non solo aveva deposto Monmouth
dall'ufficio di Cancelliere, ma ad esprimere come forte abborrisse
il tradimento di lui, con modo indegno della sede della sapienza
aveva data alle fiamme la tela in cui il pennello di Kneller aveva
con isquisitissimo magistero dipinto il ritratto del Duca(896).
Oxford, la quale era più presso agli insorti delle Contrade
Occidentali, aveva date prove maggiori della sua lealtà. Gli
studenti, con l'approvazione de' loro maestri, avevano a centinaia
preso le armi per difendere i diritti ereditari del Re. Tali erano
le corporazioni che Giacomo aveva deliberato di insultare e
spogliare, rompendo apertamente le leggi e la fede data.
VI. Parecchi Atti di Parlamento, chiari quanto qualunque altro che
si contenga nel libro degli Statuti, avevano provveduto che niuno si
potesse ammettere ad alcun grado in ambe le Università senza
prestare il giuramento di supremazia, e un altro di simile
carattere, detto giuramento di obbedienza. Nonostante, nel febbraio
del 1687, giunse a Cambridge una lettera del Re che ingiungeva fosse
ammesso al grado di Maestro dell'Arti un monaco benedettino chiamato
Albano Francis.
Gli ufficiali accademici, ondeggiando tra la riverenza pel Re e la
riverenza per le leggi, stavansi gravemente contristati. Mandarono
in gran diligenza messaggi al Duca d'Albemarle, successore di
Monmouth nella dignità di Cancelliere dell'Università. Lo pregavano
di presentare nel suo vero aspetto il caso al Sovrano. Intanto
l'archivista e i bidelli andarono ad annunziare a Francis che ove
egli prestasse i giuramenti secondo richiedeva la legge, sarebbe
subito ammesso. Francis ricusò di giurare(897), inveì contro gli
ufficiali della Università mancatori di rispetto al comando sovrano,
e trovandoli inflessibili, montò a cavallo, e corse a recare le sue
doglianze a Whitehall.
I Capi de' Collegi allora si ragunarono a consiglio. Vennero
consultati i migliori giureconsulti, e tutti unanimemente
giudicarono il corpo universitario avere bene operato. Ma già era
per via un'altra lettera scritta da Sunderland con altere e
minacciose parole. Albemarle annunziò contristatissimo alla
Università avere egli fatto ogni sforzo, ma essere stato freddamente
e con poca grazia accolto dal Re. Il corpo accademico, impaurito
della collera sovrana, e sinceramente desideroso di compiacere ai
voleri del Re, ma deliberato di non violare le patrie leggi, gli
sottopose le più umili e riverenti spiegazioni, ma indarno. Poco
dopo al Vice-Cancelliere e al Senato universitario fu formalmente
intimato di comparire, pel dì 21 aprile, dinanzi alla nuova Alta
Commissione; il Vice-Cancelliere in persona; il Senato, che è
composto di tutti i Dottori e Maestri dell'Università, per mezzo di
suoi deputati.
VII. Giunto il dì stabilito, la sala del Consiglio era affollata.
Jeffreys teneva il seggio presidenziale. Rochester, dopo che gli era
stato tolto il bianco bastone, non era più membro, e gli era
succeduto al posto il Lord Ciamberlano Giovanni Sheffield Conte di
Mulgrave. La sorte di questo gentiluomo da un solo lato è simile a
quella del suo collega Sprat. Mulgrave scrisse versi appena al
disopra della mediocrità; ma perchè era uomo d'alto grado nel mondo
politico ed elegante, i suoi versi trovarono ammiratori. Il tempo
sciolse il prestigio, ma, sciaguratamente per lui, ciò non avvenne
se non dopo che i suoi poetici componimenti per diritto di
prescrizione erano stati inseriti in tutte le raccolte de' Poeti
inglesi. Per la qual cosa fino a' dì nostri i suoi insipidi Saggi in
verso e le sue scempiate canzoni ad Amoretta e Gloriana ristampansi
accanto al Como di Milton e al Festino d'Alessandro di Dryden. Onde
è che adesso Mulgrave è conosciuto come poetastro, e come tale
meritamente spregiato. Nondimeno, egli era, a dir vero, come
affermano anche coloro che non lo amavano nè lo stimavano, uomo
d'insigni doti intellettuali, e nella eloquenza parlamentare punto
inferiore a qual si fosse oratore de' tempi suoi. Il suo carattere
morale era spregevole. Egli era libertino senza quella larghezza di
cuore e di mano che talvolta rende amabile il libertinismo, ed
altero aristocratico senza quella altezza di sentimenti, che
talvolta rende rispettabile l'aristocratica alterigia. Gli scrittori
satirici di quell'età gli apposero il soprannome di Lord
Tuttorgoglio. Eppure cotesto suo orgoglio egli accompagnava con
tutti i vizi più abietti. Molti maravigliavansi come un uomo, che
aveva così alta opinione della propria dignità, fosse tanto
difficile e misero in tutte le sue faccende pecuniarie. Aveva
gravemente offesa la famiglia regale osando accogliere in petto la
speranza di ottenere il cuore e la mano della Principessa Anna.
Disilluso di cotanta speranza, s'era sforzato di riacquistare con
ogni bassezza la grazia che per presunzione egli aveva perduta. Il
suo epitaffio, composto da lui stesso, rivela tuttora a coloro che
traversano l'Abbadia di Westminster, ch'egli visse e morì da
scettico nelle cose di religione; e dalle memorie che ci ha
lasciate, impariamo come uno de' suoi più ordinari subietti di
scherzo fosse la superstizione romana. Ma appena Giacomo salì al
trono, Mulgrave cominciò a manifestare forte inclinazione verso il
papismo, e in fine privatamente fece sembiante d'esser convertito.
Questa abietta ipocrisia era stata ricompensata con un posto nella
Commissione Ecclesiastica(898).
Innanzi cotesto formidabile tribunale si appresentò il Dottore
Giovanni Pechell Vice-Cancelliere della Università di Cambridge. Era
uomo di non grande abilità e vigoria di carattere, ma lo
accompagnavano otto insigni accademici eletti a rappresentare il
Senato. Uno di loro era Isacco Newton, Convittore del Collegio della
Trinità e Professore di Matematiche. Il suo genio era allora nel
massimo vigore. La grande opera, che lo ha collocato di sopra ai
geometri e a' naturalisti di tutti i tempi e di tutte le nazioni,
stavasi stampando per ordine della Società Reale, ed era pressochè
pronta a pubblicarsi. Egli amava fermamente la libertà civile e la
religione protestante; ma per le sue abitudini, valeva poco ne'
conflitti della vita attiva. E però tenne un modesto silenzio fra
mezzo ai deputati, lasciando ad uomini maggiormente esperti nelle
faccende lo incarico di difendere la causa della sua diletta
Università.
Non vi fu mai caso più chiaro di cotesto. La legge non ammetteva
stiracchiature. La pratica aveva quasi invariabilmente seguita
sempre la legge. Poteva forse essere accaduto che in un giorno di
solennità, nel conferirsi gran numero di gradi onorari, fosse
passato fra la folla qualcuno senza prestare i giuramenti. Ma tale
irregolarità, semplice effetto della inavvertenza e della fretta,
non poteva citarsi come esempio. Ambasciatori stranieri di diverse
nazioni, ed in ispecie un Musulmano, erano stati ammessi senza
giuramento; ma poteva dubitarsi se a cosiffatti casi fossero
applicabili la ragione e lo spirito degli Atti del Parlamento. Non
pretendevasi nè anco che alcuno il quale, richiesto, avesse ricusato
di prestare i giuramenti, ottenesse mai un grado accademico; e
questo era precisamente il caso di Francis. I deputati mostraronsi
pronti a provare che, regnante Carlo II, parecchi ordini regali
erano stati considerati come nulli, perocchè le persone raccomandate
non si erano volute uniformare alla legge, e che, in simili casi, il
Governo aveva sempre approvato l'operare dell'Università. Ma
Jeffreys non volle udire nulla. Disse il Vice-Cancelliere essere
uomo debole, ignorante e timido, per lo che disfrenò tutta la
insolenza che era per tanti anni stata il terrore di Old Bailey. Lo
sventurato Dottore, non avvezzo a tale spettacolo, cadde in
disperata agitazione di mente, e perdè la parola. Allorchè gli altri
accademici, che potevano meglio difendere la propria causa,
provaronsi di parlare, furono duramente fatti tacere: "Voi non siete
Vice-Cancelliere; quando lo sarete, parlerete; per ora è vostro
debito tenere chiuse le labbra." Furono cacciati fuori la sala senza
che potessero farsi ascoltare. Poco tempo dopo, citati di nuovo a
presentarsi, fu loro annunziato che la Commissione aveva deliberato
di sospendere Pechell dall'ufficio, e toglierli tutti gli emolumenti
ch'erano come sua proprietà. "Quanto a voi altri," disse Jeffreys
"che per la più parte siete ecclesiastici, vi manderò a casa con un
testo della Scrittura. Andate, e non peccate mai più, perchè non vi
accada peggio(899)."
VIII. Siffatto procedere potrebbe sembrare bastevolmente ingiusto e
violento. Ma il Re aveva già incominciato a trattare Oxford con
tanto rigore, che quello mostrato contro Cambridge potrebbe
chiamarsi dolcezza. Già il Collegio della Università era stato
trasmutato da Obadia Walker in seminario cattolico romano. Già il
Collegio della Chiesa-di-Cristo era governato da un decano
cattolico. La Messa celebravasi giornalmente in ambidue cotesti
collegi. La tranquilla e maestosa città, un tempo sì devota ai
principii monarchici, era agitata da passioni non mai per lo innanzi
conosciute. I sottograduati, con connivenza de' loro superiori,
facevano le fischiate ai membri della congregazione di Walker, e
cantavano satire sotto le sue finestre. Sono giunti fino a noi
alcuni frammenti delle serenate che mettevano in subbuglio(900)
High-Street. Lo intercalare d'una ballata diceva: "Il vecchio Obadia
- Canta l'Ave Maria."
Come i comici giunsero in Oxford, l'opinione pubblica si manifestò
con maggior forza. Venne rappresentata la produzione drammatica di
Howard intitolata il Comitato. Questo componimento, scritto poco
dopo la Restaurazione, dipingeva i Puritani in sembianti odiosi e
spregevoli, e però era stato per venticinque anni applaudito dagli
Oxfordiani. Adesso piaceva più che mai; imperciocchè per fortuna uno
de' precipui caratteri era un vecchio ipocrita che aveva nome
Obadia. Gli uditori diedero in fragoroso scoppio d'applausi quando,
nell'ultima scena, Obadia viene strascinato fuori con un capestro al
collo; e i clamori raddoppiarono quando uno degli attori, alterando
la commedia, annunziò che Obadia meritava d'essere impiccato per
avere rinnegata la propria religione. Il Re rimase grandemente
irritato a tale insulto. Era cotanto rivoluzionario lo spirito della
Università, che uno de' nuovi reggimenti - quel desso che ora
chiamasi Secondo de' Dragoni delle Guardie - fu acquartierato in
Oxford, onde impedire uno scoppio(901).
Dopo cotesti fatti Giacomo avrebbe dovuto convincersi che la via da
lui presa doveva di necessità condurlo a ruina. Ai clamori di Londra
era da lungo tempo assuefatto. S'erano levati contro lui ora
giustamente ed ora a torto. Egli li aveva più volte affrontati, e
poteva forse tuttavia affrontarli. Ma che Oxford, sede della lealtà,
quartiere generale dello esercito de' Cavalieri, luogo dove il padre
e il fratello trasferirono la corte loro quando non si tenevano più
sicuri nella loro tempestosa metropoli, luogo dove gli scritti de'
grandi intelletti repubblicani erano stati di recente dati alle
fiamme, fosse ora agitata da sinistri umori; che quegli animosi
giovani, i quali pochi mesi innanzi avevano ardentemente prese le
armi contro gl'insorti delle Contrade Occidentali, avessero ad
essere con difficoltà tenuti in freno dalla carabina e dalla spada,
erano segni di cattivo augurio per la casa degli Stuardi. Tali
ammonimenti, nondimeno, tornarono inutili allo stupido, inflessibile
e testardo tiranno. Era deliberato di dare alla sua Chiesa i più
ricchi e splendidi stabilimenti d'Inghilterra. A nulla giovarono le
rimostranze de' migliori e più savi tra' suoi consiglieri cattolici
romani. Gli dimostrarono come egli potesse rendere grandi servigi
alla causa della sua religione, senza violare i diritti di
proprietà. Un assegnamento annuo di due mila lire sterline, che
agevolmente poteva trarsi dal suo tesoro privato, sarebbe bastato a
mantenere un collegio di Gesuiti. Siffatto collegio provveduto di
abili, dotti e zelanti precettori, sorgerebbe come formidabile
rivale alle vecchie istituzioni accademiche, le quali mostravano non
pochi segni di quella languidezza, che è quasi inseparabile dal
sentirsi sicuro ed opulento. Il collegio di Re Giacomo tosto
verrebbe considerato, anche dagli stessi Protestanti, il primo
istituto d'educazione nell'isola e per scienza e per disciplina
morale. Ciò sarebbe il mezzo più efficace e meno odioso con che
umiliare la Chiesa Anglicana ed esaltare la cattolica. Il Conte
d'Ailesbury, uno de' più fidi servitori della regale famiglia,
quantunque Protestante, offerse mille lire sterline per mandare ad
esecuzione quel disegno, più presto che vedere che il suo signore
violasse i diritti di proprietà, e rompesse la fede data alla Chiesa
dello Stato(902). Tale proposta, nondimeno, non piacque al Re, come
quella che, a dir vero, per molte ragioni, era poco convenevole alla
dura indole di lui. Imperciocchè aveva non poco diletto a domare e
sconfiggere l'altrui volontà, e gli doleva privarsi de' propri
danari. Ciò ch'egli non aveva la generosità di fare a proprie spese,
voleva farlo a spese degli altri. Deliberato di conseguire un fine,
l'orgoglio e l'ostinazione gl'impedivano di retrocedere; e a poco
per volta si era già ridotto a commettere atti di turchesca
tirannide, atti che ridussero la nazione a convincersi che la
proprietà di un libero possidente inglese sotto un Re cattolico
romano non era punto sicura, come non lo era quella d'un greco sotto
la dominazione musulmana.
IX. Il Collegio della Maddalena in Oxford, fondato nel secolo
decimoquinto da Guglielmo di Waynflete Vescovo di Winchester e Lord
Gran Cancelliere, era uno de' più cospicui de' nostri istituti
accademici. Una graziosa torre, in cima alla quale all'alba del di
primo di maggio i coristi cantavano un inno latino, presentavasi da
lungi all'occhio del viandante che veniva da Londra. Come egli
appressavasi, la vedeva sorgere fra' merli sopra una vasta mole
bassa ed irregolare, ma singolarmente veneranda, la quale, cinta di
verdura, signoreggiava le lente acque del Cherwell. Egli entrava per
una porta sormontata da una leggiadra finestra, e penetrava in uno
spazioso chiostro ornato d'immagini rappresentanti le virtù e i
vizi, rozzamente scolpite in pietra grigia dai muratori del secolo
decimoquinto. La mensa della società era con profusione
apparecchiata in un magnifico refettorio adorno di pitture e di
fantastici intagli. Il servizio di chiesa facevasi mattina e sera in
una cappella, ch'era stata molto danneggiata da' Riformatori e dai
Puritani, ma tuttavia, così guasta, era edificio d'insigne bellezza,
ai tempi nostri ristaurato con arte e con gusto squisiti. I vasti
giardini lungo la riva del fiume, erano notevoli per la grandezza
degli alberi, fra mezzo ai quali torreggiava una delle maraviglie
della vegetazione dell'isola, cioè una quercia gigantesca, secondo
che comunemente dicevasi, d'un secolo più antica del più antico
collegio dell'Università.
Gli statuti collegiali ordinavano che i Re d'Inghilterra e i
Principi di Galles dovessero alloggiare alla Maddalena. Eduardo IV
vi aveva abitato quando la fabbrica non era peranche finita.
Riccardo III vi aveva tenuto corte, udito le dispute nella sala,
regalmente festeggiato, e a rimunerare i suoi ospiti aveva loro
fatto presenti di daini delle sue foreste. Due eredi presuntivi
della Corona, anzi tempo spenti, Arturo fratello maggiore di Enrico
VIII, ed Enrico fratello maggiore di Carlo I, erano stati membri di
quel collegio. Un altro Principe del sangue, l'ultimo e migliore
degli Arcivescovi cattolici romani di Canterbury, il buon Reginaldo
Polo, vi aveva fatti i suoi studi. A' tempi della guerra civile il
Collegio della Maddalena era rimasto fido alla Corona. Ivi Rupert
aveva stabilito il suo quartiere generale; e le sue trombe s'udivano
per quei quieti chiostri quando egli ragunava i suoi cavalli per
muovere a qualcuna delle sue più audaci intraprese. La maggior parte
de' collegiali erano ecclesiastici, e non potevano aiutare il Re se
non con preci e pecunia. Ma un collega loro, il quale era Dottore in
Diritto Civile, fece leva d'una schiera di sottograduati, e cadde
valorosamente combattendo alla loro testa contro i soldati d'Essex.
Posate le armi, e venuta la Inghilterra sotto la dominazione delle
Teste-Rotonde, sei settimi dei membri del collegio ricusarono di
sottomettersi agli usurpatori: per la qual cosa furono cacciati
dalle loro abitazioni, e privati delle rendite. Coloro che
sopravvissero alla Restaurazione, fecero ritorno alle loro gradite
stanze. Adesso era loro succeduta una generazione d'uomini, i quali
ne avevano ereditato le opinioni e lo spirito. Mentre infuriava la
ribellione delle Contrade Occidentali, tutti coloro che nel Collegio
della Maddalena la età o la professione non impediva dal portare le
armi, erano ardentemente accorsi a combattere a pro della Corona. E'
sarebbe difficile trovare in tutto il Regno una corporazione, che al
pari di cotesta fosse meritevole della gratitudine degli
Stuardi(903).
La società era composta d'un Presidente, di quaranta Convittori
(Fellows), di trenta scolari chiamati Demies, e d'un convenevole
numero di cappellani, cherici e coristi. A tempo della visita
generale sotto il regno di Enrico VIII, le rendite del collegio
erano molto maggiori di quelle d'ogni altro simigliante istituto nel
reame, maggiori quasi per metà di quelle del magnifico istituto da
Enrico VI fondato in Cambridge; e assai più del doppio di quelle che
Guglielmo Wykeham aveva assegnato al suo collegio in Oxford. Sotto
Giacomo II le ricchezze della Maddalena erano immense, e la fama le
esagerava. Dicevasi comunemente che il collegio fosse più ricco
delle più ricche Abadie del continente; e il popolo affermava che,
finiti i fitti esistenti, la entrata crescerebbe fino alla somma
prodigiosa di quaranta mila lire sterline l'anno(904). I
Convittori, per virtù degli statuti compilati dal fondatore, avevano
potestà di eleggere il presidente fra coloro che erano allora o
erano stati convittori o della Maddalena o del Collegio Nuovo.
Avevano per lo più siffatta potestà liberamente esercitato. Ma
alcuna volta il Re aveva raccomandato qualche partigiano della Corte
alla scelta degli elettori; e in tali casi il collegio s'era
mostrato riverente ai desiderii del Sovrano.
Nel marzo del 1687, il Presidente della Maddalena finì di vivere.
Aspirava a succedergli uno de' Convittori, cioè il Dottore Tommaso
Smith, volgarmente soprannominato Rabbi Smith, insigne viaggiatore,
bibliofilo, antiquario, ed orientalista, già stato cappellano di
legazione a Costantinopoli, e adoperato a collazionare il
Manoscritto Alessandrino. Credeva di meritare la protezione del
Governo come uomo dotto e come Tory zelante. E davvero era
ardentemente e fermamente il più realista che si potesse trovare in
tutta la Chiesa Anglicana. Da lungo tempo aveva stretta amicizia con
Parker Vescovo d'Oxford, per mezzo del quale egli sperava ottenere
dal Re una lettera commendatizia al collegio; Parker gli promise di
fare il possibile, ma tosto riferì di avere incontrato parecchie
difficoltà. "Il re" disse egli "non raccomanderà alcuno che non sia
amico alla religione della Maestà Sua. Che potreste voi fare per
compiacerlo in quanto a ciò?" Smith rispose che ove egli fosse fatto
Presidente, farebbe ogni sforzo per promuovere le lettere, la vera
religione di Cristo, e la lealtà verso il Sovrano. "Ciò non
servirebbe" disse il Vescovo. "Se è così" rispose animosamente
Smith, "sia chi si voglia il Presidente: io non posso promettere
altro."
X. La elezione era stabilita pel dì 13 aprile, e ai Convittori fu
annunziato di ragunarsi. Dicevasi che il Re manderebbe una lettera a
raccomandare pel posto vacante un certo Antonio Farmer. Era stato
membro della Università di Cambridge ed aveva schivato di essere
espulso, accortamente ritirandosi a tempo. S'era quindi collegato
co' Dissidenti; e poi, recatosi ad Oxford, era entrato nel Collegio
della Maddalena, dove si rese notevole per ogni generazione di vizi.
Quasi sempre strascinavasi al collegio a notte avanzata, senza
potere profferire parola, come colui ch'era briaco. Acquistò fama
per essersi messo a capo d'un tumulto in Abingdon. Frequentava
sempre i convegni de' libertini. In fine, fattosi lenone, era
disceso anche al di sotto della ordinaria sozzura del suo mestiere,
ricevendo danari da certi dissoluti giovani per aver loro resi
servigi tali che il labbro pudico della storia non può ricordare
senza arrossirne. Cotesto sciagurato, nondimeno, aveva simulato di
farsi papista, e la sua apostasia fu considerata come bastevole
espiazione di tutti i suoi vizi. E comecchè fosse ancora giovine
d'anni, fu dalla Corte scelto a governare una grave e religiosa
società, nella quale era tuttavia fresca la scandalosa memoria del
suo depravato vivere.
Come cattolico romano, egli, secondo la legge comune del paese, non
poteva occupare veruno ufficio accademico. Per non essere mai stato
Convittore della Maddalena o del Collegio Nuovo, non poteva, in
virtù d'un ordinamento speciale di Guglielmo Waynflete, essere
eletto Presidente. Guglielmo aveva anche comandato a coloro che
dovevano fruire della liberalità sua, di badare peculiarmente alla
moralità di colui che dovevano eleggere a loro capo; e quand'anche
egli non avesse lasciato scritto cotale comandamento, una
corporazione composta in massima parte di ecclesiastici non poteva
decentemente affidare ad un uomo quale era Farmer il governo d'un
istituto d'educazione.
I Convittori rispettosamente esposero al Re le difficoltà in cui si
troverebbero, ove, come ne correva la voce, Farmer venisse loro
raccomandato; e pregavano, che qualora piacesse alla Maestà Sua
immischiarsi nella elezione, proponesse qualche persona a favore
della quale potessero legalmente e con sicura coscienza votare. La
rispettosa preghiera fu posta in non cale. La lettera del Re giunse,
e fu recata da Roberto Charnock, che dianzi s'era fatto papista,
uomo fornito di coraggio e di qualità, ma di sì violenta indole che
pochi anni dopo commise un atroce delitto ed ebbe miseranda fine. Il
dì 13 aprile, la società congregossi nella cappella. Speravano tutti
che il Re si movesse alla rimostranza che gli avevano presentata.
L'assemblea quindi si aggiornò al dì 15, che era l'ultimo giorno,
nel quale, secondo gli statuti del collegio, la elezione doveva aver
luogo. Giunto il predetto giorno, i Convittori ragunaronsi di
nuovo entro la cappella. Non v'era risposta alcuna da Whitehall. Due
o tre degli anziani, fra' quali era Smith, inchinavano a posporre
ancora la elezione, più presto che fare un passo che avrebbe potuto
offendere il Re. Ma il testo degli statuti, che i membri del
collegio avevano giurato di osservare, era chiaro. Fu quindi
generale opinione di non ammettere altro indugio. Ne seguì vivissima
discussione. Gli elettori erano sì concitati che non potevano starsi
ne' loro seggi, e tumultuavano. Coloro che volevano la elezione
immediata, richiamavansi a' loro giuramenti ed alle prescrizioni del
fondatore, del quale mangiavano il pane, e ripetevano il Re non
avere diritto d'imporre un candidato anche avente i necessari
requisiti. Fra mezzo alla contesa udironsi alcune parole spiacevoli
alle orecchie d'un Tory, sì che Smith irritato esclamò: lo spirito
di Ferguson avere invaso i cuori de' suoi confratelli. Finalmente e'
fu deliberato di fare subito la elezione. Charnock uscì fuori della
cappella. Gli altri Convittori, ricevuta la comunione, procederono a
votare, e sortì eletto Giovanni Hough uomo di grande virtù e
prudenza, il quale avendo sostenuto con fortezza la persecuzione, e
con mansuetudine la prosperità, elevatosi a più alte dignità e
rifiutatene anche di maggiori, morì estremamente vecchio, senza
perdere la vigoria della mente, cinquantasei e più anni dopo quel
memorando giorno.
La società affrettossi a far conoscere al Re le circostanze che
avevano reso necessario lo eleggere senza altro indugio il
Presidente, e pregarono il Duca di Ormond, come patrono della
Università, e il Vescovo di Winchester, come ispettore del Collegio
della Maddalena, perchè volessero assumersi l'ufficio
d'intercessori: ma il Re, torpido di mente, era siffattamente
incollerito che non volle ascoltare spiegazioni.
XI. Ne' primi giorni di giugno, i Convittori furono citati ad
appresentarsi dinanzi all'Alta Commissione in Whitehall. Cinque di
loro, come deputati degli altri, obbedirono. Jeffreys gli trattò
secondo suo costume. Quando uno di loro, ch'era un venerando Dottore
nomato Fairfax, espresse qualche dubbio intorno alla validità della
Commissione, il Cancelliere cominciò ad urlare a guisa di belva
feroce: "Chi è costui? Chi gli ha dato lo incarico di venire a far
lo impudente in questo luogo? Chiappatelo; mettetelo in secreta. Che
fa egli senza custode? Egli è pazzo, ed è sotto la mia custodia. Mi
maraviglio che nessuno sia venuto a richiedermelo per tenerlo in
buona guardia." Poichè si fu così sfogato, e furono lette le
deposizioni concernenti il carattere morale del candidato proposto
dal Re, nessuno de' Commissari ebbe la sfrontatezza di asserire che
un tale uomo potesse convenevolmente essere eletto capo d'un gran
collegio. Obadia Walker e gli altri papisti d'Oxford i quali
trovavansi lì presenti a difendere gl'interessi del loro proselito,
rimasero estremamente confusi. La Commissione dichiarò nulla la
elezione di Hough, e sospese Fairfax dall'ufficio di Convittore: ma
non fu più ragionato di Farmer; e nel mese di agosto giunse ai
Convittori una lettera del Re, il quale proponeva loro Parker,
Vescovo d'Oxford.
XII. Parker non era apertamente papista. Nondimeno esisteva contro
lui un impedimento, il quale, quando anche la presidenza fosse stata
vacante, sarebbe stato decisivo: imperocchè egli non era mai stato
Convittore nè della Maddalena, nè del Collegio Nuovo. Ma la
presidenza non era vacante: Hough era stato debitamente eletto; e
tutti i membri del Collegio erano tenuti per sacramento a sostenerlo
nell'ufficio. E però, significando la lealtà e il rincrescimento
loro, scusaronsi di non potere obbedire ai comandi del Re.
Mentre Oxford in siffatto modo opponeva ferma resistenza alla
tirannide, altri altrove non meno ferma opposizione faceva. Tempo
innanzi, Giacomo, ai rettori della Certosa, che erano uomini
d'altissimo grado e reputatissimi nel Regno, aveva comandato
d'ammettere un certo Popham cattolico romano allo Spedale loro
sottoposto. Il Direttore Tommaso Burnet, ecclesiastico insigne per
ingegno, dottrina e virtù, ebbe il coraggio di dir loro, quantunque
il feroce Jeffreys fosse del seggio, come ciò che da loro volevasi
era contrario alla volontà del fondatore, non che ad un Atto del
Parlamento. "E che importa ciò?" disse un cortigiano che era uno de'
governatori. "Importa molto, io credo," rispose una voce resa fioca
dagli anni e dal dolore, e che non pertanto moveva da tal uomo da
essere udita con rispetto, cioè la voce del venerando Ormond. "Un
Atto di Parlamento" seguitò il patriarca de' Cavalieri "non è,
secondo il mio giudicio, cosa di lieve momento." Fu messa innanzi la
questione se Popham dovesse essere ammesso, e fu risoluta pel no. Il
Cancelliere, che non potè sfogarsi bestemmiando e imprecando contro
Ormond, uscì fuori spumante di rabbia e fu seguito da pochi altri,
di guisa che i membri rimasti non furono più in numero legale, e non
poterono fare una formale risposta all'ordine sovrano.
L'altra adunanza ebbe luogo solo due giorni dopo che l'Alta
Commissione aveva con sua sentenza cassato la elezione di Hough e
sospeso Fairfax. Un secondo ordine sovrano, munito del Gran Sigillo,
fu presentato ai rettori: ma il tirannesco modo con cui era stato
trattato il Collegio della Maddalena, aveva maggiormente destato il
loro coraggio invece di domarlo. Scrissero una lettera a Sunderland,
onde pregarlo ad annunziare al Re come essi in quel negozio non
potessero obbedire alla Maestà Sua, senza violare la legge e mancare
al debito loro.
E' non è dubbio veruno che se cotesto documento fosse stato
sottoscritto da nomi ordinari, il Re sarebbe trascorso a qualche
eccesso. Ma anche a lui imponevano riverenza i grandi nomi di
Ormond, Halifax, Danby, e Nottingham, capi di tutti i vari partiti
ai quali egli andava debitore della Corona. E però fu pago di
ordinare che Jeffreys pensasse quale fosse la via da prendersi. Una
volta fu annunciato che verrebbe istituito un processo nella Corte
del Banco del Re; un'altra, che la Commissione Ecclesiastica
evocherebbe a sè la faccenda; ma tali minacce a poco a poco
svanirono(905).
XIII. La estate era bene inoltrata allorquando il Re intraprese un
viaggio, il più lungo e più magnifico che da molti anni i sovrani
d'Inghilterra avessero fatto. Da Windsor il dì 16 agosto egli passò
a Portsmouth, girò attorno le fortificazioni, toccò parecchie
persone scrofolose, e quindi imbarcatosi in uno de' suoi legni
giunse a Southampton. Da Southampton viaggiò a Bath, dove rimase
pochi giorni e lasciò la Regina. Nel partirsi fu accompagnato dal
Grande Sceriffo della Contea di Somerset e da una numerosa coorte di
gentiluomini fino ai confini, dove il Grande Sceriffo della Contea
di Gloucester con un non meno splendido accompagnamento stavasi ad
aspettarlo. Il Duca di Beaufort corse ad incontrare i cocchi del Re
e li condusse a Badminton, dove era apparecchiato un banchetto degno
della rinomata magnificenza della sua casa. Nel pomeriggio, la
cavalcata procedè fino a Gloucester; e a due miglia dalla città fu
salutata dal Vescovo e dal clero. A Porta Orientale aspettavala il
Gonfaloniere recando le chiavi. Le campane sonavano a festa; e le
fontane versavano vino mentre il Re traversava le vie per andare al
ricinto che chiude il venerando Duomo. Dormì quella notte nel
decanato, e la dimane partì per Worcester. Da Worcester andò a
Ludlow, Shrewsbury, e Chester, e venne in ogni luogo accolto con
segni di riverenza e di gioia, dimostrazioni ch'egli ebbe la
debolezza di considerare come prove che il malcontento, provocato
dagli atti suoi, era ormai cessato, e che egli poteva di leggieri
riportare piena vittoria. Barillon, il quale era più sagace, scrisse
a Luigi che il Re d'Inghilterra illudevasi, che il viaggio non aveva
recato nessun bene positivo, e che quegli stessi gentiluomini delle
Contee di Worcester e di Shrop i quali avevano creduto loro debito
accogliere il loro ospite e Sovrano con ogni segno d'onorificenza,
si troverebbero più disubbidienti che mai quando verrebbe fuori la
questione intorno all'Atto di Prova(906).
Lungo il viaggio, al regio corteo si congiunsero due cortigiani per
indole ed opinioni l'uno dall'altro grandemente diversi. Penn
trovavasi a Chester per un giro pastorale. La popolarità e
l'autorità ch'egli aveva fra' suoi confratelli erano grandemente
scemate sino da quando egli s'era fatto strumento del Re e dei
Gesuiti(907). Ei fu, nondimeno, assai graziosamente accolto da
Giacomo, e la domenica gli fu concesso di arringare in piazza,
mentre Cartwright predicava dentro il Duomo, e il Re ascoltava la
Messa ad un altare appositamente accomodato nel Palazzo della
Contea. E per vero dire si disse che la Maestà Sua si degnasse di
recarsi alla ragunanza de' Quacqueri, ed ascoltare con gravità la
melodiosa eloquenza dell'amico suo(908).
Il furioso Tyrconnel era arrivato da Dublino per rendere conto della
propria amministrazione. Tutti i più spettabili Inglesi cattolici lo
guardavano di mal occhio, considerandolo come nemico della loro
razza e scandalo della religione loro. Ma egli fu cordialmente
accolto dal suo signore, il quale lo accomiatò dandogli più che mai
assicurazioni di fiducia e di appoggio. Piacque grandemente a
Giacomo l'udire che tra breve lo intero Governo d'Irlanda si
ridurrebbe in mano de' soli Cattolici Romani. Ai coloni inglesi era
stato già tolto ogni potere politico; null'altro rimaneva che
privarli delle loro sostanze; oltraggio, ch'era differito finchè si
fosse a ciò fare assicurata la cooperazione d'un Parlamento
irlandese(909).
Dalla Contea di Chester il Re si volse verso il mezzogiorno, e
indubitabilmente credendo che i Convittori del Collegio della
Maddalena, comunque turbolenti, non ardirebbero disobbedire ad un
comandamento uscito dalle stesse sue labbra, s'avviò a Oxford.
Cammino facendo, visitò vari luoghi che peculiarmente lo
interessavano, come Re, come fratello, e come figlio. Visitò il
tetto ospitale di Boscobel e gli avanzi della quercia tanto famosa
nella storia di sua famiglia. Cavalcò al campo d'Edgehill, dove i
Cavalieri primamente pugnarono coi soldati del Parlamento. Il dì 3
di settembre, pranzò solennemente nel palazzo di Woodstock, antica e
rinomata magione, della quale adesso non resta nè anco una pietra,
ma il cui sito sul prato del parco di Blenheim è indicato da due
sicomori che sorgono presso al magnifico ponte.
XIV. La sera ei giunse ad Oxford, e vi fu ricevuto co' soliti onori.
Gli studenti con indosso l'abito accademico erano schierati a
salutarlo a destra e a sinistra dallo ingresso della città fino alla
porta maggiore dalla Chiesa-di-Cristo. Prese stanza al decanato,
dove fra gli altri preparamenti a convenevolmente riceverlo, trovò
una cappella acconcia alla celebrazione della Messa(910). Il dì
seguente al suo arrivo i Convittori della Maddalena ebbero ordine di
appresentarsi a lui. Quando gli furono dinanzi, gli ricevè con
insolenza maggiore di quella che i Puritani avevano usata ai loro
antecessori. "Voi non vi siete condotti meco da gentiluomini,"
esclamò Giacomo. "Voi siete stati male educati e avete mancato al
proprio dovere." E quelli, cadendo sulle proprie ginocchia, gli
porgevano una petizione, ch'egli non volle ricevere. "È questa la
lealtà di cui mena sì gran vanto la vostra Chiesa Anglicana? Non
avrei mai creduto che tanti chierici della Chiesa d'Inghilterra si
trovassero immischiati in siffatto negozio. Andate via, andate. Io
sono il Re, e voglio essere ubbidito. Adunatevi sull'istante nella
vostra cappella, ed eleggete il Vescovo d'Oxford. Coloro che
ricuseranno, ci pensino prima. Sentiranno sui loro capi tutto il
peso della mia mano. Sapranno che importi spiacere al loro Re." I
Convittori, rimanendo tuttavia inginocchioni, di nuovo porsero la
petizione. Ma il Re irato, gettandola via, gridò: "Toglietevi dal
mio cospetto, vi dico; non riceverò nulla da voi, finchè non abbiate
eletto il Vescovo."
Se ne andarono, e senza un momento d'indugio ragunaronsi nella loro
cappella. Proposero se si avesse ad obbedire ai comandi del Re.
Smith era assente. Il solo Charnock dètte il voto affermativo. Gli
altri Convittori che ivi trovavansi, dichiararono d'essere in ogni
cosa pronti ad obbedire al Re, ma di non volere violare gli statuti
e i giuramenti loro.
Il Re, gravemente incollerito e mortificato per la sua sconfitta, si
partì da Oxford e andò a raggiungere la Regina in Bath. Per la
ostinazione e violenza sue ei s'era posto in una impacciosa
situazione. Aveva avuta molta fiducia nello effetto del suo cipiglio
e delle sue sdegnose parole, ed aveva sull'esito della contesa
incautamente giocato non il solo credito del suo Governo, ma la sua
dignità personale. Poteva egli cedere ai suoi sudditi da lui
minacciati a voce alta e con furiosi gesti? E nondimeno poteva egli
rischiarsi a destituire in un solo giorno una folla di rispettabili
ecclesiastici, rei soltanto di avere adempito ciò che la nazione
intera considerava come debito loro? Forse si sarebbe potuta trovare
una via ad uscirne da questo dilemma. Forse il collegio si sarebbe
potuto ridurre alla sommissione per mezzo del terrore, delle
carezze, della corruzione.
XV. E però si dètte incarico a Penn d'accomodare la faccenda. Egli
aveva tanto buon senso da non approvare il violento ed ingiusto
procedere del Governo, e perfino rischiossi ad esprimere in parte il
proprio intendimento. Giacomo, come sempre, ostinavasi nel torto. Il
Quacquero cortigiano fece ogni sforzo per sedurre il collegio ad
uscire dalla diritta via. Parimente provossi ad intimidirlo, dicendo
il collegio correre a certa rovina; il Re essere grandemente
corrucciato; il caso potere farsi, come da tutti generalmente
credevasi, gravissimo; non esservi fanciullo il quale non pensasse
che Sua Maestà voleva fare a suo modo, e non avrebbe sofferto di
essere avversata. Per le quali cose Penn esortava i Convittori a non
confidare nella rettitudine della loro causa, ma a sottomettersi, o
almeno a temporeggiare. Tali consigli parvero stranissimi sulle
labbra d'un uomo, il quale era stato espulso dalla Università per
avere suscitato un tumulto in occasione della cotta da prete, il
quale aveva corso pericolo d'essere diseredato più presto che far di
cappello ai principi del sangue, ed era stato più volte messo in
carcere per avere arringato nelle conventicole. Non gli riuscì di
intimorire i Convittori della Maddalena. I quali rispondendo ai suoi
ammonimenti rammentarongli come nella passata generazione
trentaquattro sopra quaranta Convittori avevano lietamente
abbandonato i loro diletti chiostri e giardini, la sala, la
cappella, andando alla ventura senza tetto nè pane, piuttosto che
violare il giuramento di fedeltà al legittimo Sovrano. Il Re adesso
volendoli costringere a rompere un altro giuramento, si sarebbe
accorto che l'antico coraggio non era spento nel Collegio della
Maddalena.
Allora Penn provò maniere più dolci. Ebbe un colloquio con Hough e
alcuni de' Convittori, e dopo molte proteste di simpatia ed amicizia
cominciò ad accennare ad un compromesso. Il Re non patirebbe
contradizione. Era forza che il collegio cedesse. Parker doveva
essere eletto. Ma costui era di mal ferma salute; tutti i suoi
beneficii tra breve diverrebbero vacanti. "Il Dottore Hough" disse
Penn "potrebbe allora diventare Vescovo d'Oxford. Vi piacerebbe ciò,
o signori?" Penn aveva spesa la vita a declamare contro un culto
salariato. Sosteneva d'essere tenuto a ricusare il pagamento della
decima, e ciò quando aveva comperato terreni soggetti alla decima, e
gli era stato concesso redimerli pagando un tanto. Secondo i suoi
stessi principii, egli commetteva un grave peccato adoperandosi ad
ottenere un beneficio ad onorevolissime condizioni per il più pio
degli ecclesiastici. Nulladimeno fino a tal segno i suoi costumi
erano stati corrotti dalle sue cattive relazioni, e il suo
intendimento s'era intenebrato per intemperante zelo d'una sola
cosa, ch'ei non si fece scrupolo di diventare mezzano di turpissima
simonia, e di usare un vescovato come amo a indurre un ecclesiastico
allo spergiuro. Hough rispose con cortese dispregio non richiedere
altro dalla Corona che la sola giustizia. "Noi stiamo fermi"
diss'egli "sui nostri statuti e i giuramenti nostri: ma, anche
ponendo da parte giuramenti e statuti, sentiamo il debito di
difendere la nostra religione. I papisti ci hanno rubato il Collegio
dell'Università, e quello della Chiesa-di-Cristo. Adesso combattono
a toglierci la Maddalena. Tra breve avranno il resto."
Penn ebbe la stoltezza di rispondere ch'egli in verità credeva
adesso i papisti sarebbero contenti. "Il Collegio dell'Università è
molto piacevole. La Chiesa-di-Cristo è un luogo magnifico. La
Maddalena è un bello edificio; convenevole la posizione; deliziosi i
viali lungo il fiume. Se i Cattolici Romani sono ragionevoli,
potrebbero di ciò chiamarsi satisfatti." Questa assurda confessione
sarebbe sola bastata a rendere impossibile che Hough e i suoi
confratelli cedessero. Le pratiche furono rotte; e il Re
affrettossi, siccome aveva minacciato, a far provare ai
disobbedienti tutto il peso dell'ira sua.
XVI. A Cartwright Vescovo di Chester, a Wright Capo Giudice del
Banco del Re, e a Sir Tommaso Jenner, uno de' Baroni dello
Scacchiere, fu data commissione speciale di esercitare potestà di
ispezione sul collegio. Il dì 20 ottobre giunsero in Oxford scortati
da tre compagnie di dragoni con le spade sguainate. Il giorno
susseguente presero i loro seggi nella sala della Maddalena.
Cartwright pronunciò una orazione piena di sensi di lealtà, che
pochi anni innanzi sarebbe stata ricolma d'applausi, e che ora,
invece, fu ascoltata con indignazione. Ne seguì una lunga disputa.
Il Presidente difese con arte, contegno e coraggio i propri
diritti(911). Protestò grande rispetto per l'autorità regia; ma
fermamente sostenne che per virtù delle leggi inglesi era libero
possessore della casa e delle rendite annesse all'ufficio di
Presidente; di siffatta proprietà sua ei non poteva essere privato
da un atto arbitrario del Sovrano. "Vi sottometterete" chiese il
Vescovo "alla nostra ispezione?" - "Mi ci sottometto" rispose
destramente Hough "tanto quanto è compatibile con le leggi, e non
più." - "Volete voi consegnare le chiavi delle vostre stanze?" disse
Cartwright. Hough rimase tacito. L'altro ripetè la dimanda, e Hough
rispose con un cortese ma fermo rifiuto. I commissari lo
dichiararono intruso, e imposero ai Convittori di non più
riconoscere l'autorità di lui, e di assistere alla istallazione del
Vescovo d'Oxford. Charnock fu pronto a promettere obbedienza; Smith
diede una risposta evasiva; ma tutti gli altri membri del collegio
dichiararono fermamente di riconoscere Hough come loro legittimo
capo.
XVII. Allora Hough supplicò i Commissari perchè gli dessero licenza
di dire poche parole. Cortesemente consentirono quelli, perocchè
speravano ch'egli in grazia dell'indole sua calma e soave
cominciasse a cedere. "Milordi," disse egli "oggidì voi mi avete
privato della mia libera proprietà: protesto quindi contro ogni
vostro atto come illegale, ingiusto e nullo; e me ne appello al Re
nostro sovrano nelle sue corti di giustizia." Un alto rumore
d'applauso levossi fra mezzo agli uditori che riempivano la sala. I
Commissari andarono in sulle furie. Invano fecero ricercare de'
perturbatori, e volsero la rabbia loro contro il solo Hough. "Non
crediate di far bravazzate con noi," disse Jenner. - "Io sosterrò
l'autorità della Maestà Sua" esclamò Wright "finchè avrò fiato in
corpo. Tutto questo nasce dalla vostra sediziosa protesta. Voi avete
turbata la pace, e ne renderete ragione dinanzi al Banco del Re.
V'impongo di presentarvi alla prima sessione sotto pena di mille
lire sterline. Vedremo se la potestà civile vi possa mettere la
testa a partito; ed ove ciò non basti, proverete l'autorità
militare." E veramente Oxford era in tale fermento che i Commissari
vivevano inquieti. A' soldati fu fatto comandamento di caricare le
loro carabine. Dicevasi che si fosse spedito a Londra un messo per
affrettare l'arrivo d'un rinforzo di milizie. Ciò non ostante, non
seguì alcun disturbo. Il Vescovo d'Oxford fu pacificamente istallato
per procura: ma soli due membri del collegio erano presenti alla
cerimonia. Numerosi segni indicavano che lo spirito di resistenza
s'era sparso anco nella plebe. Il portinaio del collegio gettò via
le chiavi; il camarlingo ricusò di cancellare dal libro delle spese
il nome di Hough, e fu tosto cacciato. In tutta la città non fu
possibile trovare un magnano che forzasse la serratura delle stanze
del Presidente, e fu d'uopo che gli stessi servitori de'
Commissari(912) rompessero le porte con barre di ferro. I sermoni
recitati la susseguente Domenica nella chiesa dell'Università erano
pieni di considerazioni tali, che Cartwright ne rimase ferito nel
vivo; ma erano espresse con tal arte, ch'egli non potè mostrare
ragionevole risentimento.
A questo punto, ove Giacomo non fosse stato affatto accecato, le
cose si sarebbero potute fermare. I Convittori generalmente non
erano inchinevoli a spingere più oltre la resistenza. Opinavano che
ricusando di assistere all'ammissione del Presidente intruso,
porgerebbero sufficiente prova di rispetto agli statuti e ai
giuramenti loro, e che, trovandosi egli in possesso dell'ufficio,
potrebbero equamente riconoscerlo per loro capo, finchè una sentenza
d'un tribunale competente lo rimovesse. Solo uno de' Convittori,
voglio dire il Dottore Fairfax, ricusava di cedere. I Commissari
sarebbero volentieri venuti a cotesti patti; e per poche ore vi fu
una tregua che molti credevano probabile finisse con un pacifico
accomodamento: ma tosto ogni cosa andò sossopra. I convittori si
accòrsero che l'opinione pubblica accusavali di codardia. I
cittadini già parlavano ironicamente della coscienza de' membri
della Maddalena, ed affermavano che il coraggioso Hough e l'onesto
Fairfax erano stati traditi e abbandonati. Anche più molesto
giungeva loro lo scherno di Obadia Walker e de' suoi confratelli
rinnegati. In tal guisa dunque, dicevano gli apostati, dovevano
finire tutti i paroloni con che il Collegio aveva dichiarato di
difendere ad ogni costo il suo legittimo Presidente, e la sua
religione protestante! Mentre i Convittori acremente molestati dal
pubblico biasimo, pentivansi della condizionata sommissione alla
quale avevano assentito, seppero che il Re non ne era punto
soddisfatto. Diceva egli non bastare ch'essi fossero pronti a
riconoscere il Vescovo d'Oxford come Presidente di fatto; era d'uopo
che distintamente riconoscessero la legalità della Commissione e di
tutto ciò che essa aveva operato. Era d'uopo che confessassero
d'avere mancato al debito loro, che si dichiarassero pentiti,
promettessero di condursi meglio in avvenire, e chiedessero perdono
alla Maestà Sua prostrandosi ai suoi piedi. I due Convittori, de'
quali il Re non aveva cagione a dolersi, furono esentati
dall'obbligo di scendere a tanta umiliazione.
Giacomo - ed è tutto dire - non commise mai un errore più madornale.
I Convittori già forte pentiti d'avere concesso tanto, e incitati
dal pubblico biasimo, ardentemente colsero il destro di riacquistare
la pubblica stima. Dichiararono quindi unanimemente che non
avrebbero mai chiesto perdono d'avere ragione, o ammesso la legalità
della ispezione del collegio e della destituzione del loro
Presidente.
XVIII. Allora il Re, secondo che avea minacciato, fece loro sentire
tutto il peso della sua mano. Con un solo decreto furono tutti
dannati ad essere espulsi. E poichè sapevasi che molti nobili e
gentiluomini, i quali avevano patronato di beneficii, gli avrebbero
volentieri dati a coloro che tanto soffrivano per le leggi della
Inghilterra e la religione protestante, l'Alta Commissione dichiarò
i cacciati Convittori incapaci d'occupare beneficii ecclesiastici; e
coloro i quali non avevano per anche presi gli ordini sacri,
incapaci di ricevere il carattere clericale. Giacomo poteva gioire
pensando d'avere tolto a molti di loro gli agi e le speranze di
maggiori dignità, e di averli gettati in una disperata indigenza.
Ma tutti questi rigori produssero un effetto onninamente contrario a
quello ch'egli s'era augurato. Lo spirito inglese, quell'indomito
spirito che nessun Re della Casa Stuarda potè mai giungere per
esperienza ad intendere, destossi vigorosissimo contro una tanta
ingiustizia. Oxford, sede tranquilla delle lettere e della lealtà,
era in condizioni somiglievoli a quelle in cui trovavasi la città di
Londra il giorno dopo che Carlo I tentò di porre le mani addosso ai
cinque rappresentanti della Camera. Il Vice-Cancelliere, invitato a
pranzo dai Commissari nel dì stesso della espulsione, ricusò
dicendo: "Il mio gusto è ben differente da quello del Colonnello
Kirke. Non posso mangiare con appetito accanto ad una forca." Gli
scolari ricusavano di far di cappello ai nuovi rettori della
Maddalena. A Smith fu apposto il soprannome di Dottore Birba, e
venne pubblicamente insultato in un Caffè. Allorchè Charnock ordinò
ai Demies di fare i loro esercizi accademici dinanzi a lui, quelli
risposero che essendo privi de' loro legittimi direttori, non
volevano sottomettersi all'autorità usurpata. Congregavansi da sè e
per gli studi e per gli uffici divini. A corromperli vennero loro
offerti lucrosi posti di Convittori che erano per allora stati
dichiarati vacanti: ma tutti i sottograduati, uno dopo l'altro,
animosamente risposero le loro coscienze non consentire ch'essi
traessero profitto(913) dalla ingiustizia. Un solo giovanetto,
che venne indotto ad accettare un posto, fu dai colleghi cacciato
fuori dalla sala. Vari giovani di altri collegi vennero invitati; ma
ogni prova fu vana. Il più ricco istituto che fosse nel Regno
sembrava avere perduta ogni attrattiva per gli studenti bisognosi.
Frattanto, in Londra e per tutto il reame, facevansi collette per
soccorrere i cacciati Convittori. La Principessa d'Orange, a somma
soddisfazione di tutti i Protestanti, si firmò per dugento lire
sterline. E nondimeno il Re persisteva a procedere nell'intrapreso
cammino. Alla cacciata de' Convittori seguì quella d'una folla di
Demies. Intanto il nuovo Presidente andava languendo per infermità
di corpo e d'animo. Aveva fatto un ultimo e debole sforzo a servire
il Governo pubblicando, mentre il collegio era in aperta ribellione
contro l'autorità sua, una difesa della Dichiarazione d'Indulgenza,
o per dir meglio una difesa della dottrina della transustanziazione.
Questo scritto provocò molte risposte, ed in ispecie una dettata con
istraordinaria vigoria ed acrimonia da Burnet. Parecchi giorni dopo
la espulsione dei Demies, Parker morì nella casa stessa, della quale
egli s'era violentemente impossessato. Si disse che il rimorso e la
vergogna lo facessero morire di crepacuore. Le sue ossa giacciono
nella leggiadra cappella del collegio: ma nessun monumento ne indica
il luogo.
XIX. Allora il Re volle mandare ad esecuzione tutto il suo disegno.
Il collegio fu trasformato in seminario papale. Bonaventura Giffard,
vescovo cattolico di Madura, fu nominato Presidente. Nella Cappella
celebravansi i riti cattolici romani. In un solo giorno dodici
Cattolici Romani furono ammessi come Convittori. Alcuni abietti
Protestanti chiesero il convittorato, ma fu loro risposto con aperto
rifiuto. Smith, realista esagerato, ma tuttavia sincero credente
nella Chiesa Anglicana, non potè patire di vedere tanta
trasformazione, e si assentò. Gli fu fatto comandamento di ritornare
alla sua residenza, e non avendo obbedito, fu espulso anch'egli: e
in tal guisa l'opera della spoliazione fu compiuta(914).
La natura del sistema accademico dell'Inghilterra è tale che nessuna
cosa, la quale tocchi seriamente lo interesse e l'onore dell'una o
dell'altra Università può mancare di produrre grave concitamento in
tutto il paese. Per la quale cosa ogni colpo che andasse a
percuotere il Collegio della Maddalena, era sentito fino al più
remoto angolo del Regno. Ne' caffè di Londra, ne' tribunali, ne'
recinti di tutte le cattedrali, ne' presbiterii e nelle ville sparse
per le più remote Contee, gli uomini tutti sentivano commiserazione
per gli sciagurati e sdegno contro il Governo. La protesta di Hough
venne in ogni dove applaudita, in ogni dove destava orrore la
violenza contro il suo domicilio; ed in fine la cacciata de'
Convittori ruppe que' vincoli, un tempo sì forti e sì cari, che
congiungevano la Chiesa Anglicana alla Casa Stuarda.
XX. Amari risentimenti e crudeli sospetti da' cuori di tutti
cacciarono via lo affetto e la fiducia. Non v'era canonico, non
rettore, non vicario, la cui mente non fosse perturbata dal
pensiero, che, per quanto la sua indole fosse quieta, ed oscura la
sua condizione, potesse in pochi mesi essere cacciato dalla propria
abitazione con un editto arbitrario, e ridursi a mendicare lacero e
stanco con la moglie e i figliuoli, e vedere occupata da qualche
apostata quella proprietà che era a lui assicurata da leggi
d'antichità immemorabile e dalla parola sovrana. Tale era dunque la
ricompensa di quella eroica lealtà che non venne mai meno fra mezzo
alle vicende di cinquant'anni procellosi! Egli era per questo che il
clero aveva sostenuto la spoliazione e la persecuzione nella causa
di Carlo I! Egli era per questo ch'esso aveva favoreggiato Carlo II,
nella sua dura contesa coi Whig! Egli era per questo ch'esso si era
spinto in capo alla pugna contro coloro che studiavansi di privare
Giacomo del suo diritto ereditario! Alla sola fedeltà del clero, il
tiranno era debitore di quel potere ch'egli adesso adoperava ad
opprimerlo e rovinarlo. Il clero da lungo tempo era assuefatto a
raccontare con acerbe parole tutto ciò che aveva sofferto sotto il
dominio de' Puritani. Ma i Puritani potevano in alcun modo
escusarsi. Erano aperti nemici; avevano torti da vendicare; e anche
rifoggiando la costituzione ecclesiastica del paese e cacciando
chiunque aveva ricusato di riconoscere la loro Convenzione, non
erano stati affatto privi di pietà. A colui, al quale avevano tolti
i beneficii, avevano almeno lasciato tanto da poter sostenere la
vita. Ma l'odio che il Re sentiva contro la Chiesa, la quale lo
aveva salvato dallo esilio e posto sul trono, non era tale da
potersi di leggieri saziare. Null'altro, fuorchè la estrema rovina
delle sue vittime, l'avrebbe potuto far pago. Non bastava che
fossero espulsi dalle loro case e spogliati degli averi: furono con
maligno studio chiusi dinanzi a loro tutti i sentieri della vita ne'
quali gli uomini della loro professione potessero procacciarsi la
sussistenza; e nulla rimase loro che il precario ed umiliante mezzo
d'andare accattando per lo amore di Dio.
Il Clero Anglicano, quindi, e quelli tra' laici, i quali erano
partigiani dello episcopato protestante, provavano oggimai pel Re
quei sentimenti che la ingiustizia congiunta alla ingratitudine
fanno naturalmente nascere e crescere nel cuore umano. Nulladimeno
il credente nella Chiesa Anglicana doveva vincere non pochi scrupoli
di coscienza e d'onore innanzi d'indursi a resistere con la forza al
Governo. Gli era stato insegnato che la obbedienza passiva era
comandata senza restrizione o eccezione dalle leggi divine: ed era
dottrina ch'egli professava con ostentazione. Aveva sempre spregiata
la idea che potrebbe succedere un caso estremo il quale
giustificasse colui che sguainasse la spada contro la tirannide
regia. Per lo che i propri principii e la vergogna gl'impedivano
d'imitare lo esempio delle ribelli Teste-Rotonde, mentre restava
speranza di pacifico e legittimo rimedio: la quale speranza poteva
ragionevolmente durare finchè la Principessa d'Orange rimaneva erede
immediata della Corona. Se ci potesse pazientemente sostenere questa
dura prova della sua fede, le leggi della natura farebbero per lui
ciò ch'egli non potrebbe fare da sè senza peccato e senza disonore.
A' danni della Chiesa verrebbe il rimedio; i beni e la dignità sue
sarebbero tutelati da nuove guarentigie; ed a quei perversi
ministri, da' quali ne' dì dell'avversità aveva patito offese ed
insulti, sarebbe inflitta memorabile pena.
XXI. L'avvenimento che la Chiesa Anglicana considerava in futuro
come un pacifico ed onorevole fine di tutte le sue perturbazioni,
era tale che nè anche i membri più scioperati della cabala gesuitica
potevano pensarvi senza gravi timori. Se il loro signore morendo non
lasciasse loro altra sicurtà contro le leggi penali se non una
Dichiarazione che l'opinione pubblica universalmente considerava
come nulla, se un Parlamento animato dallo stesso spirito che aveva
predominato nel Parlamento di Carlo II si ragunasse intorno al trono
d'un sovrano protestante, non era egli probabile che seguisse una
terribile rappresaglia, che le vecchie leggi contro il papismo
venissero rigorosamente poste in vigore, e che altre nuove e più
severe se ne aggiungessero al libro degli Statuti? I malvagi
consiglieri tormentava da lungo un cupo timore, e parecchi di loro
meditavano strani e disperati rimedi. Giacomo era appena asceso sul
trono allorquando cominciò a correre sorda una voce per le sale di
Whitehall, che, ove la Principessa Anna consentisse a farsi
cattolica romana, non sarebbe impossibile, col soccorso di Re Luigi,
trasferire in lei il diritto ereditario che spettava alla maggiore
sorella. Dalla Legazione Francese tale disegno venne caldamente
approvato; e Bonrepaux asserì di credere che Giacomo vi avrebbe
agevolmente consentito(915). Nondimeno e' fu in breve tempo a tutti
manifesto che Anna irremovibilmente aderiva alla Chiesa Anglicana.
Il perchè ogni pensiero di farla Regina fu messo da banda.
Nonostante, una mano di fanatici continuavano ancora a nutrire la
perversa speranza di giungere a cangiare l'ordine della successione.
Il piano da essi immaginato fu espresso in uno scritto di cui rimane
una rozza traduzione francese. Dicevano come era da sperare che il
Re potesse stabilire la vera religione senza appigliarsi a partiti
estremi, ma nel peggior caso potrebbe lasciare la sua corona a
disposizione di Luigi. Era meglio per gl'Inglesi essere vassalli
della Francia che schiavi del demonio(916). Questo stranissimo
documento corse tanto per le mani de' gesuiti e de' cortigiani, che
alcuni insigni Cattolici, ne' quali la bacchettoneria non aveva
spento lo amore della patria, ne dettero una copia allo Ambasciatore
Olandese. Costui lo pose nelle mani di Giacomo; il quale grandemente
agitato lo disse foggiato da qualche articolista in Olanda. Il
Ministro Olandese risolutamente rispose che poteva provare il
contrario con la testimonianza di vari cospicui membri della Chiesa
di Sua Maestà; anzi non gli sarebbe tornato difficile additarne lo
scrittore, il quale, al postutto, aveva espresso semplicemente ciò
che molti preti e molti faccendieri politici andavano tuttodì
dicendo nelle sale del palazzo. Il Re non credè opportuno chiedere
chi fosse cotesto scrittore, ma lasciando da parte l'accusa di
falsità, protestò in tono veemente e solenne che non gli era mai
venuto in capo il minimo pensiero di diseredare la maggiore delle
sue figliuole. "Nessuno" disse egli "osò giammai accennarmene. Non
gli avrei mai prestato ascolto: perocchè Dio non ci comanda di
propagare la vera religione per mezzo dell'ingiustizia; e questa
sarebbe la più stolta e snaturata ingiustizia." Nonostante siffatte
proteste, Barillon(917), pochi giorni dopo, scrisse alla sua Corte
che Giacomo aveva incominciato a porgere ascolto a consigli
concernenti un cambiamento nell'ordine della successione; che la
questione, senza alcun dubbio, era delicatissima, ma v'era ragione a
sperare che col tempo e coll'accortezza si troverebbe una via a
porre la Corona in capo a qualche Cattolico Romano escludendone le
due Principesse(918). Per molti mesi tale questione seguitò a
discutersi da' più arrabbiati e stravaganti papisti cortigiani, i
quali giunsero per fino a nominare i candidati alla regia
dignità(919).
XXII. Nulladimeno e' non è probabile che Giacomo intendesse mai
appigliarsi a così insano partito. Doveva conoscere che la
Inghilterra non avrebbe nè anche per un solo giorno sopportato il
giogo d'un usurpatore, il quale per giunta fosse papista, e che ogni
attentato contro i diritti della Principessa Maria avrebbe provocato
mortale resistenza, e da parte di tutti coloro che avevano difesa la
Legge d'Esclusione, e da parte di tutti coloro che l'avevano
oppugnata. Non v'è nondimeno il minimo dubbio che il Re fosse
complice in una congiura meno assurda ma non meno ingiustificabile
contro i diritti delle proprie figliuole. Tyrconnel con
l'approvazione del suo signore, aveva ordita una trama a separare la
Irlanda dalla Monarchia Britannica, e porla sotto la protezione di
Luigi, appena la corona passasse ad un sovrano protestante.
Bonrepaux, al quale sopra ciò era stato chiesto consiglio, aveva
comunicato quel disegno alla sua Corte, e gli era stato risposto
d'assicurare a Tyrconnel che la Francia a compierlo presterebbe ogni
efficace soccorso(920). Coteste pratiche, delle quali, quantunque
forse non fossero esattamente conosciute all'Aja, v'era forte
sospetto, non debbono porsi da canto qualora si voglia equamente
giudicare della condotta che pochi mesi dopo tenne la Principessa
d'Orange. Coloro che l'accusano di avere violato il debito filiale,
è forza che ammettano che il suo fallo era grandemente escusato pei
torti da lei sofferti. Se per giovare alla propria religione ella
ruppe i più sacri vincoli del sangue, altro non fece che seguire lo
esempio del padre. Essa non consentì a rovesciarlo dal trono se non
quando fu certa ch'egli congiurava a diseredarla.
XXIII. Bonrepaux aveva appena ricevute lettere che gli dicevano come
Luigi avesse deliberato di aiutare Tyrconnel nella audace
intrapresa, allorquando fu forza abbandonarne il pensiero. Nel cuore
di Giacomo era già sceso il primo raggio d'una speranza di
consolazione e diletto. La Regina era incinta.
Innanzi la fine d'ottobre 1687, la nuova cominciò a bisbigliarsi. E'
fu notato come la Regina non fosse intervenuta a qualche pubblica
cerimonia, dicendo di non sentirsi bene in salute. E' fu detto che
portava sempre addosso molte reliquie alle quali ascrivevasi virtù
straordinaria. In breve la novella dalla reggia passò ai caffè della
Metropoli e si sparse per tutto il paese. Pochi ne accolsero con
gioia lo annunzio. Quasi tutta la nazione l'udì con un sentimento
misto di timore e di scherno. Certo non v'era nulla di strano nella
cosa. Il Re aveva pur allora compiuto il cinquantesimoquarto degli
anni suoi. La Regina era nel meriggio della vita. Aveva già
concepiti quattro figliuoli ch'erano morti; e lungo tempo dopo
sgravossi d'un altro bambino allorchè nessuno più aveva interesse a
crederlo supposto, e che perciò non fu mai reputato tale. Nondimeno
essendo corsi cinque anni dalla sua ultima gravidanza, la gente,
governata dallo inganno che agli uomini rende credibile ciò ch'essi
desiano, aveva cessato di temere ch'ella darebbe un erede al trono.
Dall'altra parte, nulla sembrava più naturale e probabile che una
pia frode immaginata dai Gesuiti. Era certo ch'essi dovevano
considerare lo scettro nelle mani della Principessa d'Orange come
una delle maggiori calamità che potessero accadere alla Chiesa. Era
medesimamente certo ch'essi non avrebbero avuto scrupolo alcuno a
fare ogni cosa necessaria a salvare la Chiesa loro da una grave
calamità. In parecchi libri, scritti da ingegni eminenti della
Compagnia e stampati con licenza de' superiori, insegnavasi
distintamente che mezzi più contrari alle idee della giustizia e
della umanità che non fosse quello d'introdurre un erede spurio in
una famiglia, potevano legittimamente adoperarsi per fini meno
importanti che non fosse la conversione d'un Regno eretico. S'era
sparsa la voce che alcuni de' regi consiglieri, e perfino il Re
stesso, cospirassero a fraudare la Principessa Maria, in tutto o in
parte, del suo legittimo retaggio. Nacque quindi nel popolo un
sospetto, a dir vero non bene fondato, ma in nessuna maniera così
assurdo come comunemente si suppone. La stoltezza di alcuni
Cattolici Romani confermava il pregiudicio del volgo. Ragionavano
del lieto evento come di cosa strana e miracolosa, come di opera di
quello stesso Potere Divino che aveva reso Sara felice ed orgogliosa
d'Isacco, ed aveva concesso Samuele alle preci di Anna. Era di
recente morta la Duchessa di Modena madre di Maria. Dicevasi che
poco tempo innanzi di morire ella supplicasse la Vergine di Loreto
con fervidi voti e ricche offerte, a dare un figlio a Giacomo. Lo
stesso Re nello antecedente agosto deviò dallo intrapreso viaggio
per visitare il Pozzo Santo, dove aveva pregato San Venifredo a fine
d'ottenere quel dono, senza il quale il suo gran disegno di
propagare la vera fede sarebbe rimasto incompiuto. Gl'imprudenti
zelatori che armeggiavano con siffatte novelle, predicevano con
sicurezza che la creatura non ancor nata sarebbe un maschio, ed
erano pronti a scommettere venti ghinee contro una. Affermavano che
il cielo non ci si sarebbe intromesso senza un gran fine. Un certo
fanatico annunciò che la Regina partorirebbe due gemelli, il
maggiore de' quali sarebbe Re d'Inghilterra, il minore Pontefice di
Roma. Maria non seppe nascondere il diletto con che udì tale
vaticinio, e le sue cameriste si accòrsero che parlandogliene le
recavano grandissima consolazione. I Cattolici Romani avrebbero
fatto assai meglio se avessero favellato della gravidanza come di
cosa naturale, e se si fossero mostrati temperanti nella loro
inattesa ventura. Il loro insolente tripudio destò la pubblica
indignazione. Dal Principe e dalla Principessa di Danimarca fino ai
vetturini e alle pettegole niuno alludeva senza dileggio allo
aspettato parto. I belli spiriti di Londra descrissero il nuovo
miracolo in versi, i quali, come può bene supporsi, non erano troppo
delicati. I rozzi scudieri delle campagne davano in uno scoppio di
riso qualvolta s'imbattevano in qualche persona semplice tanto da
credere che la Regina dovesse positivamente di nuovo esser madre.
Comparve un proclama del Re che ordinava al clero di leggere una
formula di preghiera e rendimento di grazie, la quale era stata
composta per cotesto lieto evento da Crewe e da Sprat. Il clero
obbedì: ma fu notato che le congregazioni non rispondevano nè
facevano segni di riverenza. Poco dopo in tutte le botteghe da caffè
andò in giro una satira brutale contro i prelati cortigiani che
avevano venduta la propria penna a Giacomo. Alla madre East toccò
ancora buona parte d'ingiurie. Con quel volgare monosillabo i nostri
antenati avevano degradato il nome della grande Casa d'Este, che
regnava in Modena(921). La nuova speranza che sollevò l'animo
del Re, sorgeva commista a non pochi timori. Qualche cosa di più che
non fosse il nascimento di un principe di Galles, era necessaria al
complemento de' disegni del partito gesuitico. Non era molto
verosimile che Giacomo vivesse fino a tanto che il suo figliuolo
fosse in età da esercitare la potestà regia. La legge non provvedeva
al caso d'un sovrano minorenne. Il regnante principe non era
competente a fare per testamento gli opportuni provvedimenti. Il
solo corpo legislativo poteva supplire a tale difetto. Se Giacomo,
innanzi che si fosse ciò fatto, morisse lasciando un successore di
tenera età, il potere sovrano indubitabilmente andrebbe nelle mani
de' Protestanti. Que' Tory, i quali aderivano fermamente alla
dottrina, che nulla poteva giustificarli a resistere al loro signore
sovrano, non patirebbero scrupoli a snudare la spada contro una
donna papista che osasse usurpare la tutela del reame e del Re
fanciullo. L'esito della contesa non era da porsi in dubbio. Il
Principe d'Orange o la sua moglie sarebbe Reggente. Il giovane Re
verrebbe posto nelle mani di istitutori eretici, le cui arti
potrebbero speditamente cancellare dalla sua mente le impressioni
ricevute nella prima fanciullezza. Egli sarebbe forse un altro
Eduardo VI; e la grazia, ottenuta da Dio ad intercessione della
Vergine Madre e di San Venifredo, diventerebbe una sciagura(922).
Questo era un pericolo al quale nulla, tranne un Atto del
Parlamento, poteva provvedere; ed ottenere tale Atto non era facile.
XXIV. Ogni cosa pareva indicare che ove le Camere venissero
convocate, si ragunerebbero in Westminster animate dallo spirito del
1640. L'esito delle elezioni delle Contee mal poteva porsi in
dubbio. Tutti i liberi possidenti, grandi e piccoli, chierici e
laici, erano forte esasperati contro il Governo. Nella maggior parte
di quelle città, dove il diritto di votare dipendeva dal pagare le
imposte o dall'occupare certe possessioni, nessun candidato della
corte ardirebbe mostrare il viso. Moltissimi de' membri della Camera
dei Comuni erano eletti dalle corporazioni municipali, le quali
erano state dianzi riordinate con lo scopo di distruggere la
influenza dei Whig e dei Dissenzienti. Più di cento collegi
elettorali erano stati spogliati del loro privilegio da tribunali
devoti alla Corona, o erano stati persuasi a rinunziarlo
volontariamente per evitare di esservi costretti. Ogni Gonfaloniere,
ogni Aldermanno, ogni cancelliere comunitativo da Berwick a Helstone
era Tory e credente nella Chiesa Anglicana: ma i Tory e gli
Anglicani adesso più non erano devoti al Sovrano. I nuovi municipi
erano più intrattabili degli antichi, e senza dubbio eleggerebbero
rappresentanti, il cui primo Atto sarebbe quello di incriminare
tutti i papisti del Consiglio Privato e tutti i componenti l'Alta
Commissione.
Nella Camera de' Lordi lo aspetto non era meno minaccioso che in
quella de' Comuni. Egli era certo che la immensa maggioranza de'
Pari secolari avverserebbe le proposte del Re: e fra tutti i
vescovi, che sette anni innanzi erano stati unanimi a difenderlo
contro coloro i quali sforzavansi di privarlo del suo diritto
ereditario, egli poteva sperare aiuto solo da quattro o cinque
adulatori, spregiati da' loro colleghi e da tuttaquanta la
nazione(923).
A quanti non erano accecati dalla passione, coteste difficoltà
parevano insuperabili. I meno scrupolosi schiavi del Potere
mostravano segni d'inquietudine. Dryden diceva sotto voce che il Re
provandosi d'acconciare le cose, le rendeva più triste, e così
dicendo sospirava gli aurei giorni dello spensierato e buon
Carlo(924). Perfino Jeffreys tentennava. Fintanto che rimase povero,
mostrossi in tutto e per tutto pronto ad affrontare l'odio pubblico
per amore di guadagno. Ma adesso, per mezzo della corruzione e delle
estorsioni, aveva accumulate grandi ricchezze; e desiderava
conservarle più presto che accrescerle. Il Re aspramente lo
rimproverò di lentezza. Temendo che gli venisse tolto il Gran
Sigillo, promise tutto ciò che gli fu chiesto: ma Barillon,
scrivendo la cosa a Luigi, notò che il Re d'Inghilterra poteva avere
poca fiducia in chiunque avesse qualche cosa da perdere(925).
XXV. Ciò non ostante, Giacomo deliberò di andare innanzi. La
sanzione del Parlamento era necessaria al suo sistema; ed era
manifestamente impossibile ottenerla da un libero e legittimo
Parlamento: ma non sarebbe stato affatto impossibile, per mezzo
della corruzione, delle minacce, dello arbitrio regio, dello
stiracchiamento della legge, mettere insieme un'assemblea che si
chiamasse Parlamento e registrasse vogliosamente ogni qualunque
editto del Sovrano. Dovevansi nominare tali relatori elettorali che
si giovassero del minimo pretesto a dichiarare debitamente eletti i
rappresentanti favorevoli al Re. Dovevasi far sapere ad ogni
impiegato, dal massimo all'infimo, che ove egli desiderasse di
ritenere l'ufficio era mestieri, in questa faccenda, mettere il voto
agli ordini del Governo. Intanto l'Alta Commissione terrebbe gli
occhi sul clero. I borghi, i quali erano già stati riformati per
servire ad un altro scopo, lo sarebbero di nuovo per servire a
questo. Il Re sperava con tali mezzi ottenere la maggioranza nella
Camera de' Comuni; e avuta questa, torrebbe a quella de' Lordi ogni
arma da nuocere. A lui incontrastabilmente la legge dava la potestà
di creare Pari senza limite alcuno; e adesso era risoluto
d'adoperarla. Non desiderava, e certo nessun sovrano potrebbe mai
desiderarlo, di rendere spregevole la più alta dignità che la Corona
possa concedere. Sperava che chiamando alcuni eredi presuntivi
all'assemblea nella quale col tempo dovevano sedere, e conferendo
titoli inglesi ad alcuni Lordi di Scozia e d'Irlanda, potrebbe
assicurarsi la desiderata maggioranza senza nobilitare uomini nuovi
in tanto numero da rendere ridicoli la coronetta e lo ermellino,
voglio dire i nomi di Duca e di Conte. Ma in caso di necessità non
v'era eccesso a cui egli non fosse pronto a trascorrere. Allorchè
fra mezzo una numerosa brigata taluno disse che i Pari sarebbero
intrattabili, "Stolto che siete," esclamò Sunderland rivolto a
Churchill, "le vostre compagnie di Guardie saranno tutte inalzate
alla dignità di Pari(926)."
Deliberato dunque di adulterare il Parlamento, Giacomo si pose con
metodo ed energia all'ardua opera. Comparve nella Gazzetta un
proclama ad annunziare come il Re volesse riesaminare le Commissioni
di Pace e di Luogotenenza, e ritenere ne' pubblici uffici solo que'
gentiluomini che fossero pronti a sostenere la sua politica(927). Un
comitato di sette consiglieri sedeva in Whitehall onde regolare -
era questo il vocabolo - le corporazioni municipali. In quel
comitato il solo Jeffreys rappresentava gl'interessi del
protestantismo; e il solo Powis i Cattolici moderati: tutti gli
altri membri appartenevano alla fazione gesuitica. Fra essi era
Petre, il quale aveva pur allora prestato giuramento di Consigliere
Privato. Finchè egli non prese seggio al Banco, la dignità ricevuta
era stata un segreto per ciascuno, fuori che per Sunderland. A
questa nuova violazione della legge il pubblico sdegno scoppiò in
violenti clamori; e fu notato che i Cattolici Romani ne sparlavano
più de' Protestanti. Il vano ed ambizioso Gesuita ebbe adesso lo
incarico di disfare e rifare mezzi i collegi elettorali del Regno.
Sotto la direzione del Comitato de' Consiglieri Privati fu istituito
un Sotto-Comitato composto di faccendieri di grado più basso, ai
quali erano affidate le minuzie dell'impresa. I Sotto-Comitati
locali in tutto il paese comunicavano col seggio centrale in
Westminster(928). XXVI. Coloro dai quali Giacomo precipuamente
sperava aiuto in cotesta nuova ed ardua intrapresa, erano i Lordi
Luogotenenti. A ciascuno di costoro furono mandati ordini in
iscritto perchè immediatamente si recasse nella propria Contea.
Quivi doveva chiamare dinanzi a sè tutti i Giudici di Pace, e far
loro parecchie domande congegnate in modo da chiarire come essi si
condurrebbero in una generale elezione. Doveva fedelmente notare le
loro risposte e trasmetterle al Governo. Doveva presentare una lista
di Cattolici Romani e di Dissenzienti che avessero più requisiti per
occupare gli uffici civili e militari. Doveva inoltre indagare le
condizioni de' borghi nella sua Contea, e riferire tutto ciò che
fosse necessario a guidare le operazioni dell'Ufficio de'
Regolatori. Gli fu ingiunto di eseguire cotesti ordini da sè, e
inibito di delegare qualunque altra persona(929).
XXVII. Il primo effetto che tali ordini produssero avrebbe tosto
fatto rinsavire un principe meno ebbro di Giacomo. Metà de' Lordi
Luogotenenti d'Inghilterra perentoriamente ricusarono di prestarsi
all'odioso servigio che da essi voleva il Governo; e furono
incontanente destituiti. Tutti coloro sopra i quali piombò questa
gloriosa sciagura, erano Pari di gran conto e fino allora
considerati come strenui propugnatori della monarchia. È pregio
dell'opera che di taluni sia fatto peculiare ricordo.
Il più nobile suddito inglese, e per vero, secondo che gl'Inglesi
solevano dire, il più nobile suddito che fosse in Europa, era Aubrey
De Vere, ventesimo ed ultimo degli antichi Conti d'Oxford. Derivava
il suo titolo, per una non interrotta linea mascolina, da un tempo
in cui le famiglie di Howard e di Seymour erano ancora nella
oscurità, quando i Neville e i Percy avevano solo rinomanza
provinciale, e quando il gran nome di Plantageneto non s'era per
anche udito in Inghilterra. Uno dei capi della famiglia De Vere era
rivestito d'alto comando in Hastings: un altro aveva marciato con
Goffredo e Tancredi sopra cumuli di teste musulmane al Sepolcro di
Cristo. Il primo Conte d'Oxford era stato ministro ad Enrico
Beauclerc. Il terzo Conte si era reso notevole fra' Lordi, i quali
strapparono la Magna Charta a Giovanni. Il settimo Conte aveva
strenuamente pugnato a Cressy e Pointiers(930). Il decimoterzo Conte
tra mezzo a molte vicende di fortuna era stato capo del partito
della Rosa Rossa, ed aveva capitanato il vanguardo nella battaglia
campale di Bosworth. Il decimosettimo Conte nella Corte d'Elisabetta
s'era acquistato onorato seggio fra i vetusti poeti inglesi. Il
decimonono Conte era caduto combattendo per la Religione Protestante
e per la libertà della Europa sotto le mura di Maastricht(931). Il
suo figlio Aubrey, nel quale si estinse la più lunga e più illustre
discendenza de' Nobili inglesi, uomo di morale dissoluta, ma
d'indole inoffensiva e di maniere cortigianesche, era Lord
Luogotenente d'Essex, e Colonnello degli Azzurri. Non era di
carattere fazioso, e per interesse propendeva ad evitare ogni
rottura con la Corte; perocchè il suo patrimonio era impacciato; e
il suo comando militare, lucroso. Fu chiamato alle stanze del Re, il
quale gli chiese quale fosse il suo intendimento. "Sire," rispose
Oxford "verserò per la Maestà Vostra contro tutti i suoi nemici fino
l'ultima stilla del mio sangue. Ma in cotesto affare ne va la
coscienza, e non posso obbedire." Gli furono in sull'istante tolti
il reggimento e la luogotenenza(932).
XXVIII. Inferiore per antichità e splendore alla casa De Vere, ma ad
essa sola, era quella di Talbot. Dal regno di Eduardo III in poi, i
Talbot avevano sempre seduto fra' Pari del Regno. La Contea di
Shrewsbury era stata, nel secolo decimoquinto, concessa a Giovanni
Talbot, lo antagonista della Pulcella d'Orleans. I suoi concittadini
lo avevano lungo tempo ricordato con riverenza ed affetto quale uno
de' più illustri fra quei guerrieri, che s'erano sforzati a fondare
un grande impero inglese nel Continente d'Europa. Lo indomito
coraggio, di cui egli fece prova fra mezzo ai disastri, aveva per
lui destato uno interesse maggiore di quello che avevano ispirato
capitani più fortunati; e la sua morte aveva apprestato al nostro
antico teatro una commoventissima scena. I suoi posteri, per dugento
anni, goderono de' più grandi onori. Capo della famiglia a tempo
della Restaurazione era Francesco, undecimo Conte, e Cattolico
Romano. La sua morte era stata accompagnata da vicissitudini, che
anche in que' licenziosi tempi che seguirono alla caduta della
tirannide dei Puritani, avevano in tutti destato orrore e pietà. Il
Duca di Buckingham nel corso de' suoi scandalosi amori s'invaghì per
un istante della Contessa di Shrewsbury. Ella agevolmente gli si
arrese. Il marito sfidò il drudo, e cadde morto. Taluni affermarono
che l'abbandonata donna, travestita da uomo, si stette a vedere il
duello, ed altri che essa strinse al seno il vittorioso amante
ancora lordo del sangue del suo marito. Le dignità dell'ucciso
passarono al suo figliuolo, ancora infante, che aveva nome Carlo.
Giunto l'orfanello alla virilità, tutti confessavano che fra'
giovani Nobili dell'Inghilterra a nessuno, quanto a lui, la natura
era stata prodiga de' suoi doni. Aveva prestante la persona,
singolarmente dolce l'indole, tanto alto lo ingegno, che ove gli
fosse toccato di nascere in umile condizione, si sarebbe potuto
inalzare alle maggiori dignità civili. Tante squisite doti egli
aveva siffattamente perfezionate, che innanzi che uscisse di
minorità, era reputato uno de' più egregi gentiluomini e sapienti
de' tempi suoi. Della sua dottrina porgono testimonio libri d'ogni
genere, che tuttora esistono, postillati di sua mano. Parlava il
francese al pari d'un ciamberlano della Corte di Re Luigi, e
l'italiano come un cittadino di Firenze. Era impossibile che un
tanto giovane non desiderasse sapere le ragioni per cui la sua
famiglia aveva ricusato di uniformarsi alla religione dello Stato.
Studiò con somma cura le dottrine controverse, sottopose i suoi
dubbi ad alcuni sacerdoti della sua propria religione, pose le loro
risposte sotto gli occhi di Tillotson, ponderò lungamente e con
attenzione gli argomenti prodotti da ambe le parti, e dopo due anni
d'esame si fece Protestante. La Chiesa Anglicana accolse con gioia
lo illustre convertito. Egli godeva grande popolarità, la quale
divenne maggiore dopo che si seppe come il Re avesse indarno
adoperate sollecitazioni e promesse a farlo ritornare alla abiurata
superstizione. Nondimeno il carattere del giovine Conte non si
esplicò in modo affatto soddisfacente a coloro che avevano
principalmente cooperato a convertirlo. I suoi costumi non
ischivarono il contagio del libertinismo comune alle classi elevate.
E veramente la scossa, che aveva distrutti i suoi pregiudizi, aveva
nel tempo stesso rese fluttuanti le sue opinioni lasciandolo in
piena balía al proprio sentire. Ma comecchè i suoi principii
difettassero di fermezza, i suoi impulsi erano così generosi, la sua
indole sì blanda, i suoi modi cotanto graziosi e semplici, che
tornava impossibile non amarlo. Lo chiamarono tosto il Re de' Cuori,
e per tutto il corso d'una lunga, fortunosa ed agitatissima vita,
non demeritò mai tal nome(933).
Shrewsbury era Lord Luogotenente della Contea di Stafford e
colonnello d'uno de' reggimenti di cavalleria fatti in occasione
della insurrezione delle Contrade Occidentali, e perchè ricusò di
ubbidire alle voglie de' Regolatori, fu privato di entrambi gli
uffici.
XXIX. Nessuno de' Nobili inglesi aveva reputazione nel pubblico al
pari di Carlo Sackville Conte di Dorset. E davvero egli era insigne
uomo. In gioventù era stato uno de' più famosi libertini de'
licenziosi tempi della Restaurazione. Era stato il terrore delle
guardie di Città, aveva passate molte notti nel corpo di guardia, e
infine fu rinchiuso nella prigione di Newgate. La sua passione per
Bettina Morrice, e per Norina Gwynn, che lo chiamava il suo Carlo I,
aveva apprestato non poca materia di sollazzo e di scandalo alla
città(934). Nondimeno fra mezzo alle follie e ai vizi, ciascuno
riconosceva il suo coraggio, il suo squisito intendimento, e la
natia bontà del suo cuore. Dicevano che gli eccessi, ai quali s'era
abbandonato, fossero a lui comuni con tutta la classe de' gaii
giovani Cavalieri; ma la sua pietà pel dolore altrui e la generosità
con che egli espiava i suoi torti, erano qualità tutte sue. I
colleghi maravigliavansi della distinzione che il pubblico faceva
tra lui ed essi. "Qualunque cosa egli faccia," diceva Wilmot "non ha
mai torto." L'opinione del mondo divenne più favorevole a Dorset
quando il fuoco dell'anima sua fu temperato dagli anni e dal
matrimonio. Le sue graziose maniere, il suo gaio conversare, la
dolcezza del suo cuore, la generosità della sua mano, universalmente
lodavansi. Dicevasi non vi fosse giorno in cui qualche sventurata
famiglia non avesse cagione a benedire il nome di lui. E
nulladimeno, con tutta la sua buona indole, erano tali le punture
de' suoi sarcasmi, che coloro i quali erano da tutta la città temuti
pel loro spirito satirico, temevano forte la lingua di Dorset. Tutti
i partiti politici lo stimavano e carezzavano: ma la politica non
gli andava molto a sangue. S'egli dalla necessità avesse avuto
incitamento a cercare ventura, probabilmente si sarebbe inalzato ai
più alti uffici pubblici; ma la sua schiatta era sì illustre e la
sua opulenza sì vasta, che mancavano a lui gli sproni più potenti
che stimolano gli uomini a gettarsi ne' pubblici affari. La parte
che egli ebbe nel Parlamento e nella Diplomazia basta a dimostrare
che a lui null'altro mancava che la inclinazione per gareggiare con
Danby e con Sunderland: ma ei si volse a studi che maggiormente gli
talentavano. Al pari di molti, i quali, forniti di doti naturali,
sono per indole ed abitudine indolenti, divenne buontempone(935),
voluttuoso, e maestro in quelle dilettevoli conoscenze che si
acquistano senza severa applicazione. Era universalmente tenuto pel
miglior giudice che fosse nella Corte in materia di pittura,
scultura, architettura e teatri. Nelle questioni di lettere amene i
suoi giudizi erano considerati in tutti i Caffè come inappellabili.
Varie egregie produzioni drammatiche, che non erano state applaudite
alla prima rappresentazione, si sostennero col solo soccorso della
autorità di lui contro i clamori della platea, e si avventurarono
con prospero esito ad una seconda prova. La squisitezza del suo
gusto nella letteratura francese ebbe le lodi di Saint-Evremond e di
La Fontaine. La Inghilterra non aveva mai avuto un uguale protettore
delle lettere. La sua bontà estendevasi con pari giudizio e
liberalità a tutti, senza riguardo di sètte o di fazioni.
Gl'ingegni, l'uno all'altro avversi per gelosia letteraria o per
diversità d'opinioni politiche, concordavano a riconoscere la sua
imparziale cortesia. Dryden confessava d'essere stato salvato dalla
rovina per la principesca generosità di Dorset. E nel tempo medesimo
Montague e Prior, che avevano scritto pungenti satire contro Dryden,
furono posti da Dorset nella vita pubblica; e la migliore commedia
di Shadwell, mortale nemico di Dryden, fu scritta in una villa di
Dorset. Il magnifico Conte, ove ne avesse avuta voglia, avrebbe
potuto rivaleggiare con coloro ai quali contentavasi d'essere
benefattore; imperciocchè i versi ch'egli alcuna volta compose, per
quanto non fossero studiati, rivelano un ingegno, il quale,
assiduamente coltivato, avrebbe prodotto qualche cosa di grande. Nel
volumetto delle sue opere si trovano canzoni che hanno la spontanea
vigoria di Suckling, e satire nelle quali scintilla lo arguto
spirito di Butler(936).
Dorset era Lord Luogotenente di Sussex, e sopra Sussex i Regolatori
tenevano con ansietà fitti gli occhi: imperocchè in nessuna altra
Contea, tranne Cornwall e Wiltshire, era sì gran numero di piccoli
borghi. Gli fu ingiunto di recarsi al suo posto. Niuno di coloro che
lo conoscevano aspettavasi ch'egli obbedisse. Rispose come
conveniva, e gli fu annunciato non esservi più mestieri de' suoi
servigi. Si accrebbe lo interesse che ispiravano le sue nobili ed
amabili qualità, poichè si seppe ch'egli aveva ricevuto per la posta
una lettera cieca, in cui si diceva che, ove egli non si prestasse
prontamente ai desiderii del Re, tutto il suo ingegno e la sua
popolarità non lo avrebbero salvato dallo assassinio. Simile
ammonimento era stato mandato a Shrewsbury. Le lettere di minaccia
erano allora più rare di quello che divennero poi. Non è quindi
strano che il popolo esasperato inchinasse a credere che i migliori
e più nobili uomini d'Inghilterra dovevano veramente essere vittime
de' pugnali papisti(937). Appunto quando coteste lettere formavano
il chiacchiericcio di tutta Londra, trovossi in sulla via mutilato
il cadavere d'un cospicuo Puritano. Tosto si conobbe che il braccio
dello assassino non era stato mosso da cagione religiosa o politica.
Ma i primi sospetti della plebe caddero sopra i papisti. Lo sbranato
corpo fu portato in processione alla casa de' Gesuiti nel Savoy; e
per poche ore il terrore e la rabbia del popolaccio non furono meno
violenti che nel giorno in cui l'assassinato Godfrey fu portato alla
sepoltura(938).
Le altre destituzioni vanno con maggior brevità riferite. Il Duca di
Somerset, al quale pochi mesi prima era stato tolto il comando del
reggimento, adesso fu privato della luogotenenza di East-Riding
nella Contea di York. Il North-Riding fu tolto al Visconte
Fauconberg, il Shropshire al Visconte Newport, e la Contea di
Lancastro al Conte di Derby, nipote dello strenuo cavaliere, che
animosamente era corso incontro alla morte per difendere la Casa
Stuarda. Il Conte di Pembroke, il quale di recente aveva con fedeltà
e coraggio difesa la Corona contro Monmouth, fu destituito nel
Wiltshire, il Conte di Rutland nella Contea di Leicester, il Conte
di Bridgewater in quella di Buckingham, il Conte di Thanet in
Cumberland, il Conte di Northampton nella Contea di Warwick, il
Conte d'Abingdon in quella di Oxford, e in quella di Derby il Conte
di Scarsdale. Questi fu anche destituito dall'ufficio di colonnello
di cavalleria, e da un altro ufficio nella casa della Principessa di
Danimarca. Essa lottò per mantenerlo al suo servizio, e cedette solo
ad un comando perentorio del padre. Il Conte di Gainsborough fu
cacciato non solo dalla luogotenenza di Hampshire, ma anche dal
governo di Portsmouth e dalla ispezione di New-Forest, due posti che
egli pochi mesi prima aveva comperati per cinquemila lire
sterline(939).
Il Re non potè trovare nessuno de' grandi Lordi, e, per dir vero,
de' Lordi Protestanti di nessuna specie, i quali volessero accettare
gli uffici vacanti. E gli fu mestieri assegnare due Contee a
Jeffreys, uomo nuovo che possedeva pochi beni territoriali, e due a
Preston, il quale non era nè anche Pari Inglese. Le altre Contee le
quali rimasero senza governatori, furono affidate ad alcuni ben noti
Cattolici, o a cortigiani che avevano secretamente promesso a
Giacomo di dichiararsi cattolici appena lo potessero prudentemente
fare.
XXX. Alla perfine la nuova macchina fu messa in azione; e tosto da
ogni parte del Regno arrivarono nuove che non era punto riuscita. Il
catechismo, a norma del quale i Lordi Luogotenenti dovevano saggiare
le opinioni de' gentiluomini delle campagne, comprendeva tre
questioni. Dovevasi chiedere ad ogni magistrato, e ad ogni
luogotenente deputato, primo, se nel caso ch'egli venisse eletto
rappresentante al Parlamento, voterebbe a favore d'una proposta
formata secondo i principii della Dichiarazione d'Indulgenza;
secondo, se, come elettore, sosterrebbe i candidati impegnati a
votare a favore di quella proposta; terzo, se, come uomo privato
seconderebbe i benevoli disegni del Re vivendo in pace con gli
uomini di qualunque religione si fossero(940).
XXXI. Appena furono spedite le domande, una formula di risposta,
congegnata con ammirevole arte, fu mandata in giro per tutto il
Reame, e venne generalmente adottata; ed era del seguente tenore:
"Come membro della Camera de' Comuni, ove avessi l'onore di esserlo,
sarà mio debito ponderare con gran cura tutte le ragioni che nella
discussione si adducessero pro e contro una legge d'Indulgenza, e
quindi voterò secondo la convinzione della mia coscienza. Come
elettore, sosterrò que' candidati le cui opinioni intorno ai doveri
di rappresentante concorderanno con le mie. Come uomo privato,
desidero vivere in pace ed affetto con ciascuno." Questa risposta
più provocante d'un diretto rifiuto, come quella che olezzava un
poco di sì castigata e decorosa ironia da non destare risentimento,
fu tutto ciò che gli emissari della Corte poterono ricavare dalle
labbra di quasi tutti i gentiluomini delle campagne. Ragioni,
promesse, minacce, tutto fu vano. Il Duca di Norfolk, comecchè fosse
Protestante e non approvasse il procedere del Governo, aveva
acconsentito a servirlo da agente in due Contee. Prima andò in
Surrey dove s'accòrse di non potere far nulla(941). Poi passò a
Norfolk, e tornò indietro per annunziare al Re che di settanta
notevoli gentiluomini che erano in ufficio in quella grande
provincia, solo sei porgevano speranza che sosterrebbero la politica
della Corte(942). Il Duca di Bedford, la cui autorità estendevasi
sopra quattro Contee inglesi e sopra tutto il Principato di Galles,
ritornò a Whitehall con nuove non meno scoraggianti(943). Rochester
era Lord Luogotenente della Contea di Hertford. Aveva consumato
tutto quel poco di virtù che egli aveva in cuore lottando contro la
tentazione di vendere la propria fede religiosa. Lo vincolava
tuttavia alla Corte un'annua pensione di quattromila lire sterline;
e in ricambio era pronto a rendere al Governo qualunque servigio,
comunque illegale e disonorevole, purchè non si volesse da lui una
formale riconciliazione con Roma. Aveva volentieri accettato lo
incarico di corrompere la sua Contea; e lo eseguì, secondo era suo
costume, con indiscreto ardore e violenza. Ma la sua collera non
produsse alcuno effetto negli animi inflessibili degli scudieri ai
quali ei s'era rivolto. Ad una voce gli dissero di non volere
mandare al Parlamento un uomo, il quale fosse disposto a votare per
la distruzione delle guarentigie della fede protestante(944). La
medesima risposta fu data al Cancelliere nella Contea di
Buckingham(945). I gentiluomini di quella di Shrop, ragunati a
Ludlow, unanimemente ricusarono di vincolarsi con la promessa che il
Re chiedeva loro(946). Il Conte di Yarmouth riferì dal Wiltshire che
di sessanta magistrati e Deputati Luogotenenti, coi quali aveva
tenuto ragionamento, soli sette avevano date risposte favorevoli, ed
anche in que' sette non era da fidare(947). Il rinnegato
Peterborough non fece nulla di buono nella Contea di
Northampton(948). Il suo confratello rinnegato, Dover, ebbe la
medesima sorte nella Contea di Cambridge(949). Preston recò sinistre
nuove da Cumberland e Westmoreland(950). Le Contee di Dorset e di
Huntingdon erano animate del medesimo spirito. Il Conte di Bath,
dopo lunghe pratiche, ritornò dalle Contrade Occidentali con tristi
augurii. Aveva avuta potestà di fare le più seducenti offerte agli
abitatori di quella regione. In ispecie aveva loro promesso che ove
si mostrassero riverenti ai voleri del sovrano, il traffico del rame
sarebbe reso libero dalle oppressive restrizioni che lo gravavano.
Tutti i Giudici e i Deputati Luogotenenti di Devonshire e di
Cornwall, senza eccettuarne nè anche uno, dichiararono d'esser
pronti a porre a repentaglio vita e sostanze pel Re, ma la religione
protestante era ad essi più cara della roba e della vita. "Sire,"
soggiunse Bath "se Vostra Maestà destituisse tutti cotesti
gentiluomini, i successori loro darebbero precisamente la medesima
risposta(951)." Se vi era distretto in cui il Governo potesse
sperare esito prospero, era quello di Lancastro. Molto dubitavasi
del risultamento di ciò che quivi succedeva. In nessuna parte del
reame era sì gran numero di famiglie sempre fide alla vecchia
religione. I capi di molte di quelle famiglie, per virtù della
potestà di dispensare, erano stati fatti Giudici di Pace, e
comandanti delle milizie civiche. E nonostante, dalla Contea di
Lancastro il nuovo Luogotenente, ch'era cattolico romano, riferì
come due terzi dei deputati e de' magistrati procedessero avversi
alla Corte(952). Ma ciò che seguì in Lancastro irritò anche più
profondamente l'orgoglio del Re. Arabella Churchill, venti e più
anni innanzi, gli aveva partorito un figlio, che dipoi acquistò gran
fama d'essere il più esperto capitano d'Europa. Il giovinetto, che
aveva nome Giacomo Fitzjames, non aveva per anche dato segni di
dovere pervenire a quell'altezza a cui poscia pervenne: ma i suoi
modi erano così gentili e inoffensivi ch'egli non aveva altro nemico
che Maria di Modena, la quale da lungo tempo sentiva pel figlio
della concubina l'implacabile odio d'una moglie priva di figliuoli.
Alcuni della fazione gesuitica, avanti lo annunzio della gravidanza
della Regina, avevano seriamente pensato di contrapporlo come rivale
alla Principessa d'Orange(953). Ove si rammenti che Monmouth,
comecchè fosse creduto legittimo dal volgo, e fosse campione della
religione dello Stato, aveva pienamente fallito in un simigliante
tentativo, e' sembra straordinario che vi fossero uomini tanto
ciechi per fanatismo, da pensare di porre sul trono un giovane che
era universalmente conosciuto come bastardo papista. E' non parve
che il Re secondasse mai un così assurdo disegno. Il fanciullo,
nondimeno, fu riconosciuto, e gli furono prodigate tutte quelle
onorificenze che si possano concedere ad un suddito che non sia di
sangue regio. Era stato creato Duca di Berwick, ed allora occupava
non pochi onorevoli e lucrosi uffici, tolti a que' Nobili che
avevano ricusato di arrendersi ai desiderii sovrani. Successe al
Conte d'Oxford nel grado di colonnello degli Azzurri, e al Conte di
Gainsborough nella Luogotenenza di Hampshire, nella ispezione di
New-Forest, e nel Governo di Portsmouth(954). Berwick aspettavasi
che gli venisse incontro, alla frontiera di Hampshire, secondo era
costume, una lunga cavalcata di baronetti, cavalieri, e scudieri: ma
non ci fu una sola persona di riguardo che si mostrasse a dargli il
benvenuto. Ordinò per lettere ai gentiluomini che comparissero al
suo cospetto, ma solo cinque o sei obbedirono: gli altri non
aspettarono d'essere destituiti per dichiarare ch'essi non
parteciperebbero al Governo civile e militare della loro Contea,
mentre il Re vi era rappresentato da un papista; e deposero, di
propria volontà, i loro uffici(955). Sunderland, il quale era stato
nominato Lord Luogotenente della Contea di Northampton, trovò
qualche pretesto per non andare ad affrontare lo sdegno e lo spregio
de' gentiluomini di quella Contea; e le sue scuse furono di leggieri
ammesse, dacchè il Re aveva cominciato a intendere come non fosse da
porre speranza alcuna nei gentiluomini delle campagne(956).
È da notarsi che coloro i quali mostravansi così animosi non erano
gli antichi nemici della Casa Stuarda. Dalle commissioni di Pace e
di Luogotenenza erano stati già da lungo tempo eliminati tutti i
nomi repubblicani. Coloro, dai quali la Corte si era indarno
studiata d'ottenere la promessa di secondarla, erano, senza
eccettuarne nè anche uno, tutti Tory. I più vecchi di loro avevano
le cicatrici delle ferite riportate dalle spade delle Teste-Rotonde,
e le ricevute delle argenterie con le quali avevano soccorso Carlo I
in bisogno. I più giovani avevano fermamente parteggiato per Giacomo
contro Shaftesbury e Monmouth. Tali erano coloro che furono
destituiti in massa da quello stesso principe, al quale avevano dato
cotanto segnalate prove di fedeltà. Ma la cacciata dall'ufficio
altro non fece che renderli più inflessibili nel loro proponimento.
Essi consideravano come sacro punto d'onore difendersi animosamente
a vicenda in cotesta crisi. Non vi poteva essere dubbio che,
raccogliendo onestamente i suffragi de' liberi possidenti, non
verrebbe eletto nè anche un solo rappresentante favorevole alla
politica del Governo. Gli elettori con grande ansietà chiedevansi a
vicenda se fosse verosimile che i suffragi venissero onestamente
raccolti.
XXXII. Aspettavasi con impazienza la lista degli Sceriffi per l'anno
nuovo. Giunse nelle Contee mentre i Lordi Luogotenenti
affaccendavansi ne' loro maneggi elettorali, e fu ricevuta con
universale grido di timore e di sdegno. La maggior parte di coloro
che dovevano presedere alle elezioni delle Contee, erano Cattolici
Romani o Protestanti Dissenzienti, i quali avevano approvata la
Dichiarazione d'Indulgenza(957). Per qualche tempo regnò gravissimo
timore; ma poco dopo si spense. Eravi buona ragione a credere che vi
fosse un punto oltre il quale il Re non poteva nemmeno sperare la
cooperazione degli Sceriffi suoi correligionari.
XXXIII. Tra il cattolico cortigiano e il gentiluomo di campagna
cattolico era poca simpatia. La cabala che predominava in Whitehall
era composta in parte di fanatici, pronti a rompere tutti i
principii della morale e mandare a soqquadro il mondo a fine di
propagare la religione loro, e in parte d'ipocriti, i quali per
cupidigia di guadagno avevano rinnegata la fede in che erano
cresciuti, e adesso travarcavano i confini dello zelo che è proprio
dei neofiti. Entrambi, i fanatici cortigiani e gl'ipocriti, erano
generalmente privi d'ogni patrio sentimento, che in alcuni di loro
era stato spento dallo affetto per la propria Chiesa. Alcuni erano
Irlandesi, il cui patriottismo consisteva nell'odiare mortalmente i
Sassoni conquistatori dell'Irlanda. Altri erano traditori
stipendiati da un Potentato straniero. Taluni avevano passata gran
parte della loro vita lungi dal patrio suolo, e, od erano
cosmopoliti, od aborrivano i costumi e le istituzioni del paese
ch'erano deputati a governare. Tra cosiffatti uomini e il gentiluomo
rurale di Chester o di Stafford che aderiva alla vecchia Chiesa, non
era nulla di comune. Senza essere nè fanatico nè ipocrita, era
Cattolico Romano, perchè il padre e l'avo erano stati Cattolici; e
manteneva l'avita fede come generalmente gli uomini sogliono fare,
cioè con sincerità, ma con poco entusiasmo. In ogni altra cosa egli
era un semplice scudiere o possidente inglese; e se differiva da'
suoi vicini, differiva in ciò ch'egli era più semplice e
contadinesco di loro. Per le sue incapacità civili non aveva potuto
esplicare le sue doti intellettuali fino a quell'altezza - comunque
fosse moderata - alla quale giungevano ordinariamente gl'intelletti
de' protestanti gentiluomini delle campagne. Nella fanciullezza
escluso da Eaton e da Westminster, nella gioventù da Oxford e da
Cambridge, e nella virilità dal Parlamento e dalle magistrature,
generalmente ei vegetava tranquillo come gli olmi del viale che
conduceva alla rustica magione degli avi suoi. I campi, le cascine,
i cani, la canna da pescare, lo schioppo, il sidro, la birra e il
tabacco occupavano pressochè tutti i suoi pensieri. Co' suoi vicini,
malgrado la differenza di religione, era per lo più in amichevoli
relazioni: perocchè essi lo sperimentavano inoffensivo e scevro di
ambizione. Egli era quasi sempre di buona ed antica famiglia, e
sempre Cavaliere. Le sue peculiari opinioni, delle quali ei non
faceva pompa, non davano noia a nessuno. Egli non tormentava, al
pari del Puritano, sè ed altrui, scrupoleggiando sopra ogni cosa che
fosse dilettevole. All'incontro egli era allegro cacciatore, e
compagnevole quanto qualunque altro uomo, che avesse prestato il
giuramento di supremazia, e fatta la dichiarazione contro la
transustanziazione. Trovavasi co' suoi vicini all'agguato, inseguiva
con essi il fuggente animale, e finita la caccia, gli conduceva seco
a casa a mangiare un pasticcio e bere un bicchiere di vecchia birra.
L'oppressione da lui sofferta non era stata tale da spingerlo a
disperati eccessi. Anche quando la sua Chiesa pativa barbara
persecuzione, egli aveva corso lieve pericolo nella vita e negli
averi. I più impudenti e falsi testimoni mal potevano rischiarsi ad
oltraggiare il buon senso, accusando il gentiluomo cattolico come
reo di congiura. I papisti che Oates volle colpire, erano Pari,
Prelati, Gesuiti, Benedettini, faccendieri politici, rinomati
legisti, medici di Corte. Il gentiluomo cattolico delle campagne,
protetto dalla propria vita oscura e pacifica, e dal buon volere de'
suoi vicini, faceva il suo ricolto di fieno, o riempiva di caccia la
sua carniera senza molestia veruna, mentre Coleman(958) e
Langhorne(959), Whitbread e Pikering, lo Arcivescovo Plunkett e Lord
Stafford, morivano di capestro o di scure. Parecchi scellerati, a
dir vero avevano tentato accusare di tradimento Sir Tommaso
Gascoigne, vecchio baronetto cattolico della Contea di York: ma
dodici fra' migliori gentiluomini del West-Riding, che conoscevano
il suo modo di vivere, non poterono persuadersi che l'onesto vecchio
avesse assoldati sicari ad assassinare il Re; e in onta alle accuse,
che fecero poco onore ai giudici, lo dichiararono innocente.
Talvolta, in verità, il capo d'un'antica e rispettabile famiglia di
provincia forse amaramente considerava d'essere escluso, a cagione
delle sue religiose credenze, dagli uffici e dalle dignità che
uomini di più umile stirpe e meno opulenti erano reputati capaci
d'occupare: ma era poco inchinevole a rischiare le sostanze e la
vita in una lotta sproporzionatamente disuguale; e l'onesto suo
patriottismo avrebbe con raccapriccio aborrito dai pensieri di Petre
e di Tyrconnel. Certo ei sarebbe stato pronto, come ciascuno de'
suoi vicini protestanti, a cingersi la spada ed a porre le pistole
negli arcioni per difendere la terra natia contro i Francesi o i
papisti d'Irlanda. Tale era comunemente il carattere degli uomini
de' quali Giacomo voleva servirsi come di strumento a condurre a suo
modo le elezioni delle Contee. Ei tosto s'accòrse come essi non
fossero propensi a perdere la stima de' loro concittadini, e mettere
in pericolo il capo e la roba, rendendo al Sovrano infami e
criminosi servigi. Parecchi di loro non accettarono la nomina di
Sceriffo. Di coloro i quali accettarono l'ufficio, molti
dichiararono che farebbero onestamente il debito proprio, come se
fossero membri della Chiesa dello Stato, e non proclamerebbero
eletto alcun candidato che non riportasse la maggioranza de'
suffragi(960).
XXXIV. Se il Re poteva poco confidare ne' suoi Sceriffi Cattolici,
anche meno lo poteva ne' Puritani. Dacchè era stata pubblicata la
Dichiarazione(961) d'Indulgenza, erano corsi vari mesi pieni di
gravissimi eventi e di continue controversie. Il lungo discutere
aveva aperti gli occhi a molti Dissenzienti: ma gli Atti del
Governo, e segnatamente il rigore col quale aveva trattato il
Collegio della Maddalena, avevano contribuito, anche più della penna
di Halifax, a insospettire e collegare tutte le classi de'
Protestanti. Molti di que' settari che s'erano indotti ad esprimere
la propria gratitudine per la Indulgenza, adesso vergognavano del
proprio errore, ed erano desiderosi di fare ammenda accomunando le
loro sorti a quelle del maggior numero de' loro concittadini.
A cagione di cotesto mutamento seguito ne' Non-Conformisti, il
Governo trovò nella città ostacoli pressochè uguali a quelli che
aveva incontrato nelle Contee. Quando i Regolatori incominciarono
l'opera loro, reputarono come certo che ogni Dissenziente,
beneficiato dalla Indulgenza, sarebbe favorevole alla politica del
Re. Erano quindi sicuri di potere mettere in tutti gli uffici
municipali del Regno fermissimi amici. Nei nuovi statuti municipali
la Corona s'era riserbata la potestà di destituire, a suo arbitrio,
i magistrati, e adesso l'adoperò illimitatamente. Non era al pari
evidente che Giacomo avesse la potestà di nominare nuovi magistrati;
ma, l'avesse o non l'avesse, egli era deliberato d'arrogarsela. In
ogni parte, dal Tweed al Land's End tutti i funzionari Tory furono
destituiti, e negli uffici vacanti furono posti Presbiteriani,
Indipendenti, e Battisti. Nel nuovo statuto municipale di Londra la
Corona s'era riserbata la potestà di destituire i Maestri, i
Direttori, e gli Assessori di tutte le compagnie. E però più di
ottocento spettabilissimi cittadini, tutti aderenti a quel partito
che aveva avversata la Legge di Esclusione, furono con un solo
editto cacciati da' loro uffici. Poco dopo, comparve un supplemento
a cotesta lunga lista(962). Ma avevano appena prestato giuramento i
nuovi ufficiali, allorquando si conobbe come essi fossero
intrattabili quanto i loro predecessori. In Newcastle-on-Tyne i
Regolatori nominarono un Gonfaloniere Cattolico Romano, e Aldermanni
Puritani. Non dubitavasi punto che il corpo municipale,
siffattamente ricostituito, non votasse un indirizzo, dichiarando di
volere secondare i provvedimenti del Re. Ma quando fu proposto dal
Gonfaloniere, venne rigettato; onde egli corse furioso a Londra per
dire al Re che i Dissenzienti erano tutti birboni e ribelli, e che
in tutto il Municipio di Governo non poteva sperare altro che
quattro voti(963). In Reading furono destituiti ventiquattro
Aldermanni Tory, ed eletti altrettanti nuovi, de' quali ventitrè,
dichiaratisi immediatamente avversi alla Indulgenza, furono anche
essi cacciati via(964). In pochi giorni il borgo di Yarmouth fu
retto da tre diverse magistrature; tutte medesimamente ostili alla
corte(965). Questi sono semplici esempi di ciò che accadeva in tutto
il reame. Lo ambasciatore Olandese scrisse agli Stati che in molte
città i pubblici ufficiali entro un mese si erano mutati due volte e
anche tre, e lo erano stati invano(966). Dai ricordi del Consiglio
Privato si raccoglie che il numero delle regolazioni - tale è il
vocabolo che adoperavano - furono oltre a dugento(967). I Regolatori
conobbero, come, tranne in pochi Municipi, le cose s'erano mutate in
peggio. I Tory malcontenti, anco mentre mormoravano contro la
politica del Re, avevano sempre protestato del loro rispetto per la
persona e la dignità di lui, e riprovato ogni pensiero di
resistenza. Assai diverso era il linguaggio di alcuni tra' membri
de' Corpi Municipali. Dicevasi che taluni vecchi soldati della
Repubblica, i quali con maraviglia loro e del pubblico, erano stati
creati Aldermanni, rispondessero chiaramente agli agenti della Corte
che il sangue scorrerebbe a fiumi innanzi che si raffermasse in
Inghilterra il papismo e la tirannide(968).
I Regolatori conobbero essersi poco o nulla conseguito da ciò che
fino allora avevano fatto. Non vi era altro che un solo mezzo il
quale facesse loro sperare di ottenere lo scopo. Era mestieri
togliere gli statuti ai borghi, e concederne altri che limitassero
la franchigia elettorale a piccolissimi collegi d'elettorali
nominati dal Sovrano(969).
Ma in che guisa mandare siffatto(970) disegno ad esecuzione? In
pochi di tali statuti la Corona s'era riserbata il diritto di
revoca: ma gli altri egli poteva riprendere solo per rinunzia
volontariamente fatta dai Municipi, o per sentenza del Banco del Re.
Intanto pochi corpi municipali erano disposti a rinunziare
volontariamente ai loro statuti; e una sentenza secondo gli
intendimenti del Governo non poteva sperarsi nè anche da uno schiavo
qual era Wright. I mandati di Quo Warranto, pochi anni innanzi
spediti per ischiacciare il partito de' Whig, erano stati
disapprovati da ogni uomo imparziale. Eppure tali mandati avevano
almeno sembianza di giustizia; perocchè colpivano gli antichi corpi
municipali, de' quali pochi erano quelli in cui, col volgere degli
anni, non fosse nato qualche abuso bastevole a fornire un pretesto
per un processo penale. Ma i Corpi Municipali che ora volevasi
disfare erano tuttavia nella innocenza della infanzia, sì che il più
vecchio non aveva compiuto il quinto degli anni suoi. Era
impossibile che molti di essi avessero commesso delitti da meritarsi
la privazione del privilegio elettorale. Gli stessi giudici erano
inquieti, e dimostrarono al Re come ciò che da loro si voleva, fosse
diametralmente contrario ai più evidenti principii della legge e
della giustizia: ma ogni rimostranza fu vana. Ai borghi fu intimato
di rinunciare ai loro statuti. Pochi ubbidirono, e il modo onde il
Re si condusse con que' pochi non confortò gli altri a fidarsi di
lui. In varie città il diritto di votare fu tolto alla comunità, e
dato a pochi, ai quali fu chiesto il giuramento di eleggere i
candidati proposti dal Governo. In Tewkesbury, per modo d'esempio,
la franchigia fu data solo a tredici persone; e nondimeno anche
questo numero era grande. L'odio e il timore s'era talmente sparso
per tutta la popolazione, che tornava quasi impossibile mettere
insieme in una città, con qual si fosse specie d'imbroglio, tredici
individui ne' quali la Corte potesse avere piena fiducia. Corse la
voce che la maggioranza del nuovo collegio elettorale di Tewkesbury
fosse animata dal medesimo sentimento ch'era universale in tutta la
nazione, e che, arrivato il giorno decisivo, manderebbe Protestanti
sinceri al Parlamento. I Regolatori in gran collera minacciarono di
ridurre a tre soli il numero degli elettori(971). Frattanto la
maggior parte de' borghi negarono di rinunciare ai loro privilegi.
Barnstaple, Winchester, e Buckingham si resero notevoli per essersi
arditamente opposti. In Oxford la proposta che la città rinunziasse
alle franchigie fu rigettata da ottantadue voti contro due(972). Il
Temple e Westminster erano sossopra per lo strano affollamento degli
affari che giungevano da ogni angolo del Regno. Ogni legale di gran
nome era sopraccarico de' ricorsi de' Municipi che a lui si
volgevano per essere difesi. I litiganti privati querelavansi che le
loro faccende venivano trascurate(973). Era impossibile in
pochissimo tempo sbrigare tanto numero di cause. La tirannide se ne
accorgeva, ma non poteva patire il minimo indugio, e non trascurò
nulla che valesse ad atterrire i borghi disubbidienti, e indurli a
sottomettersi. In Buckingham alcuni degli ufficiali del Municipio
avevano detto di Jeffreys parole che non erano di lode. Fu loro
intentato un processo, e fatto intendere che ove non volessero
redimersi rinunziando ai loro statuti, non verrebbe loro usata ombra
di misericordia(974). In Winchester vennero adottati provvedimenti
anche più rigorosi. Una numerosa soldatesca fu spedita alla città a
solo fine di gravare e vessare gli abitanti(975): i quali stettero
fermi ed animosi; e l'opinione pubblica accusava Giacomo di volere
imitare la peggiore delle scelleratezze del suo confratello di
Francia. Dicevasi che principiavano già le dragonate; e vi era
cagione a temere tanta enormezza. Giacomo s'era fitto in mente il
pensiero che l'unico mezzo di far cedere una città ostinata era
quello di acquartierare i soldati in seno alle famiglie. Avrebbe
dovuto conoscere che questo provvedimento, sessanta anni innanzi,
aveva destato terribili mali umori, ed era stato solennemente
dichiarato illegale dalla Petizione dei Diritti. E difatti ne chiese
consiglio al Capo Giudice del Banco del Re(976): il risultamento
della consulta rimase secreto; ma in pochi giorni lo aspetto degli
affari si fece tale, che un timore più forte ed efficace che non
fosse quello di suscitare la collera del Re, cominciò a imporre
qualche freno anco ad un uomo abietto qual era Wright.
XXXV. Mentre i Lordi Luogotenenti interrogavano i Giudici di Pace,
mentre i Regolatori riformavano i borghi, in tutti i dipartimenti
dell'amministrazione pubblica facevasi rigorosa inquisizione. Ad
ognuno de' vecchi Cavalieri rovinati, i quali in ricambio del sangue
sparso e de' beni perduti per difendere la Corona, avevano ottenuto
qualche piccolo ufficio sotto la giurisdizione del Guardaroba o del
Maestro di caccia, fu intimato di eleggere fra il Re e la Chiesa. I
Commissari delle Dogane o dell'Excise ebbero comandamento di
appresentarsi alla Maestà Sua nell'Ufficio del Tesoro. Quivi egli
chiese loro la promessa di secondare la sua politica, e ingiunse di
farlo parimente promettere a' loro sottoposti(977). Un ufficiale di
Dogana rispose al regio comandamento in un modo tale da destare
compassione e riso. "Io ho" disse egli "quattordici ragioni per
ubbidire a Sua Maestà, una moglie e tredici figliuoli(978)." Tali
ragioni, per vero dire, ponevano alle strette; nulladimeno non
furono pochi gli esempi, nei quali, malgrado ragioni siffatte,
prevalse la riverenza della religione e lo amore della patria.
Abbiamo argomento di credere che il Governo allora meditasse
profondamente un colpo che avrebbe ridotto molte migliaia di
famiglie ad accattare, e perturbato tutto l'ordine sociale in
ciascuna parte del paese. Non era concesso vendere senza(979)
licenza, vino, birra, o caffè. S'era sparsa la voce che a chiunque
possedeva siffatta licenza sarebbe tra breve ingiunto di fare quella
promessa ch'era stata imposta ai pubblici impiegati, e, negando,
abbandonare il suo traffico(980). E' sembra certo, che ove si fosse
fatto un tal passo, i luoghi di pubblico divertimento o ritrovo
sarebbero a un tratto stati chiusi a centinaia in tutto il Regno.
Quale effetto avrebbe prodotto cotesto immischiarsi del Governo nei
comodi di tutte le classi, può di leggieri immaginarsi. Il
risentimento che fanno nascere gli aggravi non è sempre
proporzionato alla importanza loro; e non è affatto improbabile che
la revoca delle licenze avrebbe fatto ciò che la revoca degli
statuti municipali aveva mancato di fare. Le alte classi sociali
avrebbero sentita la mancanza della bottega di Saint-James-Street,
dove solevano prendere la cioccolata; e agli uomini di faccende
sarebbe mancata la tazza di caffé ch'essi erano assuefatti a bere
fumando la pipa e chiacchierando di cose politiche in Change-Alley.
I Circoli si sarebbero affannati a trovare un ricovero. Il viandante
avrebbe sul far della notte trovato deserta l'osteria, dove credeva
potere alloggiare e cenare. Il contadino avrebbe amaramente
ripensato alla botteghetta dove egli soleva bere la birra sulla
panca ne' giorni estivi, e accanto al camino in tempo d'inverno. Il
popolo, a cosiffatta provocazione, sarebbe forse insorto tuttoquanto
senza attendere il soccorso di stranieri alleati.
XXXVI. Non era da aspettarsi che un Principe, il quale voleva che
tutti i più umili servitori del Governo secondassero la sua politica
sotto pena d'essere destituiti, seguitasse a mantenere in ufficio un
Procuratore Generale, che non ascondeva la propria avversione a
quella politica. Sawyer era stato tollerato nel suo posto per
diciotto e più mesi, dopo ch'egli s'era dichiarato contrario alla
potestà di dispensare. Di tale strana indulgenza egli andava
debitore alla estrema difficoltà che incontrò il Governo a trovare
un uomo da sostituirgli. Per proteggere gl'interessi pecuniari della
Corona, era mestieri che almeno uno de' due capi della legge fosse
uomo dotto ed esperto; e non era punto facile indurre qual si fosse
legale dotto ed esperto ad esporsi al pericolo, commettendo
quotidianamente atti, che dal Parlamento alla prima riunione
verrebbero forse considerati come gravi delitti. Era stato
impossibile trovare un Avvocato Generale migliore di Powis, uomo che
non conosceva nessuna specie di freno, ma era incompetente ad
adempiere gli ordinari doveri del proprio ufficio. Per tali ragioni
fu creduto necessario partire il lavoro. Congiunsero insieme un
Procuratore, la cui scienza giuridica scemava di pregio pe' suoi
scrupoli di coscienza, con un Avvocato, nel quale la mancanza d'ogni
scrupolo compensava in alcun modo la mancanza del sapere. Quando il
Governo voleva fare osservare la legge si serviva di Sawyer; quando
desiderava violarla adoperava Powis. Cotesto accomodamento durò
finchè il Re potè assicurarsi de' servigi di un avvocato il quale
era ad un tempo e più vile di Powis e più abile di Sawyer.
XXXVII. Nessuno de' legali allora viventi aveva fatto più che
Guglielmo Williams virulenta opposizione alla Corte. Sotto Carlo II,
egli aveva acquistato reputazione e come Whig e come Esclusionista.
Prevalenti le fazioni, era stato eletto Presidente della Camera de'
Comuni. Dopo la proroga del Parlamento d'Oxford aveva comunemente
difeso i più turbolenti demagoghi accusati di sedizione. Nessuno gli
negava acutezza di mente e scienza; credevasi che i principali suoi
difetti fossero temerità e spirito di parte. Non v'era per anche il
menomo sospetto ch'egli avesse altri difetti, in paragone de' quali
la temerità e lo spirito di parte potevano considerarsi come virtù.
Il Governo cercava pretesto a colpirlo, e non gli fu difficile
trovarlo. Egli aveva pubblicato, per ordine della Camera de' Comuni,
una relazione scritta da Dangerfield, la quale, qualora fosse stata
pubblicata da un uomo privato, sarebbe stata indubitabilmente tenuta
per libello sedizioso. Williams fu accusato dinanzi la Corte del
Banco del Re; invano allegò i privilegi parlamentari; fu dichiarato
reo, e condannato ad una pena di dieci mila lire sterline. Ne pagò
una parte, e del rimanente firmò una scritta d'obbligo. Il Conte di
Peterborough, il quale era stato ingiuriosamente rammentato nella
relazione di Dangerfield, all'esito prospero del processo, intentò
un'azione civile contro Williams e chiese una forte somma per
rifacimento di danni. Williams era ridotto agli estremi, allorquando
gli si offrì una sola via di scampo, ed era via dalla quale con
raccapriccio avrebbe arretrato il piede ogni uomo fermo ne' suoi
principii ed animoso, affrontando più presto la miseria, la
prigione, o la morte. Pensò di vendersi al Governo del quale era
stato nemico e vittima; offrirsi d'assaltare con audacia da
disperato quelle libertà e quella religione, per le quali aveva
dianzi mostrato zelo intemperante; espiare i suoi principii Whig
rendendo servigi, dai quali i bacchettoni Tory, lordi ancora del
sangue di Russell e di Sidney, rifuggivano inorriditi. Il mercato fu
concluso; gli fu condonato il debito ch'egli aveva verso la Corona;
e per la mediazione del Re, Peterborough s'indusse ad un
compromesso. Sawyer fu cacciato; Powis fatto Procuratore Generale; e
Williams, nominato Avvocato Generale, ebbe la dignità di cavaliere,
e in gran copia il regio favore. E ancorchè per grado ei fosse il
secondo ufficiale della Corona nell'ordine giudiciario, aveva tanta
abilità, dottrina ed energia, che cacciò tosto nell'ombra il proprio
superiore(981).
Williams non era da lungo tempo in ufficio allorquando dovè essere
parte principale nel più memorabile processo di Stato, di cui
facciano ricordo gli Annali dell'Inghilterra.
XXXVIII. Il dì 27 aprile 1688, il Re promulgò una seconda
Dichiarazione d'Indulgenza. In essa citava per esteso la
Dichiarazione dello scorso aprile, e diceva che la sua vita passata
doveva oramai convincere il popolo ch'egli non era uomo da
retrocedere da un intrapreso cammino. Ma perchè alcuni faziosi si
andavano affaccendando a persuadere al pubblico ch'egli poteva
essere forzato a mutare proposito quanto alla Indulgenza, reputava
necessario dichiarare ch'egli era determinatissimo di compiere ciò
che aveva divisato, e che perciò aveva destituiti molti ufficiali
civili e militari disubbidienti. Annunciava che avrebbe convocato il
Parlamento nel novembre, al più tardi; ed esortava i suoi sudditi ad
eleggere rappresentanti tali che lo aiutassero a mandare ad effetto
la grande opera intrapresa(982). XXXIX. Questo Atto in sulle
prime fece poca impressione. Non conteneva nulla di nuovo; e tutti
maravigliavano come il Re avesse creduto valere lo incomodo di
pubblicare un solenne Manifesto semplicemente con lo scopo di
dichiarare ch'egli si manteneva sempre fermo nel proprio
proposito(983). Forse Giacomo si sentì pungere al vivo dalla
indifferenza onde venne dal pubblico accolto lo annunzio della presa
determinazione, e credè che la dignità e autorità sue ne
soffrirebbero ove ei senza indugio non compisse alcun che di nuovo e
di notevole. Il dì 4 maggio, quindi, egli fece un'Ordinanza in
Consiglio nella quale comandava che la nuova Dichiarazione venisse
letta per due domeniche successive fra mezzo al servizio divino, dai
ministri officianti in tutte le chiese e cappelle del Regno. In
Londra e ne' suburbii la lettura doveva aver luogo ne' dì 20 e 27
maggio, nelle altre parti d'Inghilterra nei dì 3 e 10 giugno. Ai
vescovi fu ingiunto di distribuire esemplari della Dichiarazione
nelle loro diocesi(984).
Ove si consideri come il clero della Chiesa stabilita, senza quasi
nessuna eccezione, reputasse la Indulgenza violazione delle leggi
del reame, infrazione della fede data dal Re, e colpo fatale contro
gl'interessi e la dignità della loro professione, non potrebbe punto
dubitarsi che la Ordinanza in Consiglio mirava ad essere accolta dal
clero come un affronto. Dicevasi comunemente fra il popolo che Petre
aveva affermato tale intenzione del Governo, usando una grossolana
metafora tolta dalla rettorica delle lingue orientali. Diceva che
avrebbe fatto al clero mangiar fango, il più schifoso e nauseante
fango. Ma per quanto tirannico e maligno fosse il mandato, il clero
anglicano ubbidirebbe egli? La indole del Re era arbitraria e
severa. La Commissione Ecclesiastica giudicava con modo pronto e
spicciativo, quasi fosse Corte Marziale. Chiunque si rischiasse a
resistere, dentro una sola settimana poteva esser cacciato dal suo
presbiterio, privato di tutte le sue entrate, dichiarato incapace di
occupare ogni altro beneficio ecclesiastico, e ridotto a mendicare
di porta in porta. Se, a dir vero, lo intero corpo del clero si
fosse collettivamente opposto agli ordini regi, era probabile che nè
anche Giacomo avrebbe osato di punire a un tratto diecimila
delinquenti. Ma non vi fu tempo di formare una estesa combinazione.
L'Ordinanza in Consiglio fu riferita nella Gazzetta del dì 7 di
maggio. Il dì 20 la Dichiarazione doveva essere letta da tutti i
pulpiti di Londra e de' luoghi circostanti. Non v'era sforzo in que'
tempi che bastasse a conoscere entro quindici giorni le intenzioni
della decima parte de' ministri parrocchiali sparsi in tutto il
Regno. Non era agevole raccogliere in breve gl'intendimenti de'
Vescovi. Era anche da temersi che, se il clero ricusasse di leggere
la Dichiarazione, e i Protestanti Dissenzienti interpretassero
sinistramente il rifiuto, ei dispererebbe d'ottenere tolleranza pel
credenti della Chiesa Anglicana, e darebbe compiuta vittoria alla
Corte.
XL. Il clero quindi esitava; ed era degno di scusa, imperocchè
parecchi laici eminenti, che godevano molto la pubblica fiducia,
inchinavano a consigliare obbedienza. Pensavano essi che non fosse
da sperarsi in una generale opposizione, e che una opposizione
parziale rovinerebbe gl'individui, con poca utilità della Chiesa e
della nazione. Così a quel tempo opinavano Halifax e Nottingham. Il
giorno era vicino, e nondimeno non v'era accordo nè risoluzione
presa(985).
In tali circostanze, i Protestanti Dissenzienti di Londra
acquistaronsi diritto alla eterna gratitudine del loro paese. Il
Governo gli aveva fino allora considerati come parte della sua
forza. Pochi de' loro più operosi e tonanti predicatori, corrotti
dai favori della Corte, avevano formato indirizzi ad approvare la
politica del Re. Altri irritati dalla rimembranza di gravissimi
danni recati loro dalla Chiesa Anglicana e dalla Casa Stuarda,
avevano veduto con crudele diletto il Principe tiranno dalla tiranna
gerarchia per fiera nimistà separarsi; ed entrambi affaccendarsi a
cercare, per nuocersi a vicenda, soccorso presso le sètte dianzi
perseguite e spregiate. Ma cotesto sentimento, comunque fosse
naturale, era stato lungamente appagato; ed era giunto il tempo in
cui era necessario eleggere: e i Non-Conformisti della città, con
insigne generosità d'animo, si collegarono coi membri della Chiesa a
difendere le leggi fondamentali del Regno. Baxter, Bates e Howe si
resero notevoli per gli sforzi fatti a formare tal colleganza: ma il
generoso entusiasmo che animava la intera classe de' Puritani rese
agevole il negozio. Lo zelo del gregge vinse quello de' pastori. A
quei predicatori Puritani e Indipendenti, che si mostravano
inchinevoli a secondare il Re contro l'ordinamento ecclesiastico, fu
chiaramente detto, che ove non cangiassero condotta, le loro
congregazioni non li avrebbero mai più ascoltati nè pagati. Alsop,
che s'era illuso di potere fra' suoi discepoli acquistare al Re un
gran numero di partigiani, s'accòrse d'essere spregiato ed abborrito
da coloro che dianzi gli prestavano riverenza come a guida
spirituale; cadde in profonda malinconia, e si sottrasse agli occhi
del pubblico. Giungevano deputazioni a vari membri del clero,
supplicandoli a non volere giudicare di tutti i Dissenzienti dalle
abbiette adulazioni onde di recente andava ripiena la Gazzetta di
Londra, ed esortandoli - poichè erano posti alla vanguardia di
questa grande battaglia - a mostrarsi imperterriti per difendere le
libertà dell'Inghilterra e la fede data in custodia ai Santi.
Coteste assicurazioni furono accolte con gioia e gratitudine.
Esisteva, nondimeno, molta ansietà e discordanza di opinioni fra
coloro ai quali apparteneva deliberare se la domenica del dì 20 si
dovesse o non si dovesse obbedire al comando del Re.
XLI. Il clero di Londra, allora universalmente reputato come il
fiore del ceto ecclesiastico, tenne una ragunanza, alla quale
intervennero quindici Dottori in Divinità. Tillotson Decano di
Canterbury, il più celebre predicatore di quel tempo, si mosse dal
letto dove giaceva infermo. Sherlock Maestro del Tempio, Patrick
Decano di Peterborough e Rettore della insigne parrocchia di San
Paolo in Convento-Garden, e Stillingfleet Arcidiacono di Londra e
Decano della Cattedrale di San Paolo vi assistevano. L'opinione
generale dell'Assemblea, a quanto sembra, era quella di doversi
obbedire all'Ordinanza in Consiglio. La disputa cominciava a
divenire procellosa, e avrebbe potuto produrre conseguenze fatali,
se non vi avesse posto fine con la sua fermezza e col suo senno il
Dottore Eduardo Fowler, Vicario di San Gilles in Cripplegate, uno
del piccolo ma cospicuo numero degli ecclesiastici i quali
accoppiavano lo amore della libertà civile, proprio della scuola di
Calvino, con le dottrine teologiche della scuola di Arminio(986).
Fowler dunque, levandosi, favellò in questa guisa: "Bisogna ch'io
parli chiaro. La questione è così semplice che il ragionare a lungo
non potrà chiarirla, bensì riscaldare i cervelli. Ciascuno dica un
Sì o un No. Io non m'intendo vincolato dal voto della maggioranza.
Mi rincrescerebbe di rompere l'unità. Ma in coscienza non posso
leggere questa Dichiarazione." Tillotson, Patrick, Sherlock e
Stillingfleet dichiararono d'essere della medesima opinione. La
maggioranza cede all'autorità d'una minoranza cotanto rispettabile.
Fu quindi posta in iscritto una deliberazione per la quale tutti
gl'intervenuti all'adunanza vincolavansi fra loro a non leggere la
Dichiarazione. Patrick fu il primo ad apporvi il proprio nome;
Fowler firmò dopo lui. Il documento fu mandato in giro per tutta la
città, e fu tosto sottoscritto da ottantacinque beneficiarii(987).
Intanto vari Vescovi stavansi ansiosamente a meditare intorno al
partito da abbracciarsi. Il dì 12 di maggio, una grave e dotta
comitiva sedeva a mensa in casa del Primate a Lambeth. Compton
Vescovo di Londra, Turner Vescovo d'Ely, White Vescovo di
Peterborough, e Tenison Rettore della Parrocchia di San Martino
erano fra gli ospiti. Il Conte di Clarendon, incrollabile zelatore
della Chiesa, v'era stato invitato. Cartwright Vescovo di Chester vi
s'era intruso, probabilmente per ispiare la ragunanza; e finchè vi
rimase, non vi fu conversazione confidenziale: ma appena partitosi;
venne proposta e discussa la grande quistione che agitava le menti
di tutti, ed opinarono generalmente che la Dichiarazione non si
dovesse leggere. Lettere furono tosto spedite a vari de' più
spettabili prelati della provincia di Canterbury, sollecitandoli a
recarsi senza il minimo indugio a Londra onde spalleggiare il loro
metropolitano in un caso così importante(988). E non dubitandosi
punto, che, ove tali lettere si mettessero all'ufficio postale in
Lombard-Street, verrebbero intercettate, spedironsi corrieri a
cavallo per deporle agli uffici postali delle più vicine città di
provincia. Il Vescovo di Winchester, il quale aveva dato segnalate
prove della sua lealtà in Sedgemoor, comecchè fosse infermo, volle
ubbidire alla chiamata, ma non ebbe forze bastevoli a soffrire il
moto della carrozza. La lettera diretta a Guglielmo Lloyd Vescovo di
Norwich, non ostanti tutte le cautele prese, fu trattenuta dal
postiere; e cotesto prelato, che non era secondo a nessuno de' suoi
confratelli per coraggio e zelo della causa comune al clero, non
giunse in Londra a tempo(989). Il Vescovo di Santo Asaph, che, come
il precedente, aveva nome Guglielmo Lloyd, uomo pio, dotto ed
onesto, ma di poca mente, mezzo ammattito dall'ostinatezza di volere
pescare nelle Profezie di Daniele e nell'Apocalisse non so quali
schiarimenti intorno al Papa e al Re di Francia, arrivò
frettolosamente alla Metropoli il dì 16(990). Nel giorno seguente vi
giunse lo egregio Ken Vescovo di Bath e Wells, Lake Vescovo di
Chichester, e Sir Giovanni Trelawney Vescovo di Bristol, baronetto
discendente da antica ed onorevole famiglia di Cornwall.
XLII. Il dì 18 ebbe luogo in Lambeth un'adunanza di prelati e di
altri eminenti teologi. Tillotson, Tenison, Stillingfleet, Patrick e
Sherlock erano presenti. Dopo lungo discutere, lo Arcivescovo
scrisse di propria mano una petizione che esprimeva il generale
intendimento dell'assemblea. Non era scritta con istile molto
felice, sì che la sintassi impacciata ed inelegante destò alquanto
dileggio contro Sancroft, il quale lo sostenne con meno pazienza di
quella onde egli fece prova in circostanze assai più ardue. Ma nella
sostanza nulla potrebbe essere formato con più magistero di cotesto
memorando documento. Protestavano caldamente contro ogni taccia di
slealtà ed intolleranza. Assicuravano il Re che la Chiesa era
tuttavia, come era sempre stata, fedele al trono; assicuravano che i
Vescovi, a tempo e a luogo, come Lordi del Parlamento e membri della
Alta Camera di Convocazione, mostrerebbero di sapere compatire gli
scrupoli di coscienza ne' Dissenzienti. Ma il Parlamento, sì sotto
il regno passato che sotto il presente, aveva decretato, il Sovrano
non essere costituzionalmente competente a dispensare dagli statuti
in materie ecclesiastiche. La Dichiarazione quindi era illegale; e i
supplicanti non potevano, per prudenza, coscienza, ed onore
partecipare alla solenne pubblicazione d'un Atto illegale nella casa
di Dio e fra mezzo agli uffici divini.
XLIII. Questo documento fu firmato dall'Arcivescovo e da sei de'
suoi suffraganei, Lloyd di Santo Asaph, Turner d'Ely, Lake di
Chichester, Ken di Bath e Wells, White di Peterborough, e Trelawney
di Bristol. Il vescovo di Londra, come sospeso dalle sue funzioni,
non firmò. Era la sera di venerdì in sul tardi: e la domenica
mattina la Dichiarazione doveva leggersi nelle chiese di Londra. Era
necessario che la petizione pervenisse senza indugio alle mani del
Re. I sei Vescovi si recarono a Whitehall(991). L'Arcivescovo, al
quale da lungo tempo era stato inibito l'accesso alla Corte, non
accompagnò i colleghi. Lloyd, lasciati i suoi confratelli in casa di
Lord Dartmouth ch'era presso al palazzo, s'appresentò a Sunderland,
pregandolo di leggere la petizione, e di dirgli quando al Re
piacerebbe di riceverla. Sunderland, temendo di compromettersi,
rifiutò di leggere lo scritto, ma si condusse subitamente alle regie
stanze. Giacomo ordinò di far passare i vescovi. Gli era stato
riferito dal suo cagnotto Cartwright, che essi erano inchinevoli ad
ubbidire al regio mandato, ma che desideravano si facesse qualche
lieve modificazione nella forma, al qual fine intendevano presentare
una umilissima dimanda. Per lo che la Maestà Sua era di buonissimo
umore. Come gli si furono inginocchiati dinanzi, disse cortesemente
si alzassero, e prese lo scritto dalle mani di Lloyd, dicendo:
"Questa è scrittura di Monsignore di Canterbury." - "Sì, o Sire,
scritta di sua propria mano," gli, fu risposto. Giacomo lesse la
petizione; la ripiegò; e turbossi nello aspetto dicendo: "Ciò mi
sorprende grandemente. Non me lo sarei mai aspettato dalla vostra
Chiesa, e segnatamente da alcuni di voi. Questo importa inalzare il
vessillo della ribellione." I vescovi si misero a protestare
fervidamente della loro lealtà: ma il Re, come era suo costume, non
cessava di ripetere le medesime parole: "Vi dico che è inalzare il
vessillo della ribellione." - "Ribellione!" esclamò Trelawney
cadendo sulle sue ginocchia; "Per lo amore di Dio, o Sire, non ci
dite parole così dure. Nessuno de' Trelawney può essere un ribelle.
Vi ricordi che la mia famiglia ha combattuto in difesa della Corona.
Vi rimembri de' servigi ch'io vi resi quando Monmouth aveva invaso
le Contrade Occidentali." - "Siamo noi che abbiamo spenta l'ultima
ribellione," disse Lake "e non ne susciteremo un'altra." - "Noi
ribelli!" esclamò Turner, noi siamo pronti a morire ai piedi di
Vostra Maestà." - "Sire," disse Ken con tono più fermo, "spero che
ci vogliate concedere quella libertà di coscienza che voi accordate
a tutto il genere umano." E nulladimeno Giacomo seguitava: "Questa è
ribellione. Questo importa inalzare il vessillo della ribellione. Fu
ella mai posta in dubbio, prima d'oggi, da un buono Anglicano la
potestà di dispensare? Alcuni di voi non hanno eglino predicato e
scritto a difenderla? È pretta ribellione. Voglio che la mia
Dichiarazione sia letta." - "Noi abbiamo due doveri da compiere,"
rispose Ken, "il nostro dovere verso Dio, e il nostro dovere verso
Vostra Maestà. Voi onoriamo: ma temiamo Dio." - "Merito io questo?"
gridò il Re viemaggiormente incollerito. "Io che sono stato tanto
amico della vostra Chiesa! Non mi aspettava tanto da alcuni di voi.
Io voglio essere ubbidito. La mia Dichiarazione deve essere
pubblicata. Voi siete trombe di sedizione. Che fate voi qui? Andate
alle vostre diocesi, e fate che io sia ubbidito. Terrò questo
scritto; non lo perderò mai, e mi ricorderò sempre che voi lo avete
firmato." - "Sia fatta la volontà di Dio," disse Ken. - "Dio mi ha
data la potestà di dispensare," disse il Re, ed io saprò mantenerla.
Vi dico che vi sono settemila credenti della vostra Chiesa, i quali
non hanno piegato il ginocchio dinanzi a Baal." I vescovi
rispettosamente partironsi(992). Quella stessa sera il documento da
loro presentato al Re, si vide messo a stampa, parola per parola;
trovavasi in tutte le botteghe da caffè, e si vendeva per le strade.
In ogni parte la gente si alzava da letto e fermava i rivenditori.
Si disse che lo stampatore in poche ore guadagnasse mille lire
sterline vendendo questo scritto a un soldo. Ciò forse è una
esagerazione: ma tuttavia prova che la vendita fu enorme. In che
guisa la petizione pervenisse allo stampatore è tuttora un mistero.
Sancroft dichiarò d'avere prese tutte le cautele perchè non fosse
pubblicata, e di non conoscerne altra copia, tranne quella scritta
di sua mano, e da Lloyd posta nelle mani del Re. La veracità dello
Arcivescovo non ammette il minimo sospetto. Pure non è punto
improbabile che alcuni de' teologi, i quali aiutarono a compilare la
petizione, possano averla tenuta a mente e mandata allo stampatore.
Nondimeno comunemente credevasi che qualche famigliare del Re fosse
stato indiscreto o traditore(993). Poco minore fu la impressione che
fece nel popolo una breve lettera, scritta con gran vigoria di
raziocinio e di stile, stampata alla macchia, e profusamente sparsa
il dì medesimo per la posta e per mezzo de' procacci. Ne fu mandata
copia ad ogni chierico del Regno. Lo scrittore non istudiavasi di
dissimulare il pericolo che correrebbero i disubbidienti al regio
mandato; ma dimostrava vivamente come era maggiore il pericolo di
cedere. "Se leggiamo la Dichiarazione," diceva egli, "cadiamo per
non rialzarci mai più; cadiamo incompianti e spregiati; cadiamo fra
le maledizioni d'un popolo che sarà rovinato dalla nostra
debolezza." Taluni credevano che questa lettera fosse venuta dalla
Olanda. Altri l'attribuirono a Sherlock. Ma Prideaux, Decano di
Norwich, il quale fu principale agente a spargerla, la credè lavoro
di Halifax.
La condotta de' prelati fu universalmente e immensamente applaudita:
ma taluni mormoravano dicendo che uomini sì gravi, se reputavansi
obbligati in coscienza a fare al Re una rimostranza, dovevano farla
assai prima. Era egli bene lasciarlo nel buio fino a trentasei ore
avanti il tempo stabilito per la lettura della Dichiarazione?
Quand'anche volesse revocare l'ordinanza in Consiglio, non era egli
troppo tardi? Così sembravano concludere che la petizione aveva lo
scopo, non di muovere il Re, ma d'infiammare gli umori del
popolo(994). Tali doglianze erano affatto prive di fondamento.
L'ordine del Re era giunto ai vescovi nuovo, inaspettato,
impacciante. Era debito loro consultarsi vicendevolmente, ed
indagare, per quanto fosse possibile, l'opinione del clero innanzi
di appigliarsi ad un partito. Il clero era sparso per tutto il
reame. Alcuni distavano gli uni dagli altri una settimana di
cammino. Giacomo concedeva loro solo quindici giorni ad informarsi,
riunirsi, discutere e decidere; e però non aveva diritto a credersi
leso per essere presso a finire i quindici giorni innanzi ch'egli
conoscesse la loro deliberazione. E non è vero ch'essi non gli
dessero tempo bastevole a revocare l'Ordinanza qualora avesse avuto
la prudenza di farlo. Avrebbe potuto convocare il Consiglio nel
sabato mattina, e innanzi che fosse notte, si sarebbe saputo per
tutta Londra e pe' suburbii, ch'egli aveva ceduto alle preghiere de'
padri della Chiesa Anglicana. Nonostante, il sabato scorse senza che
il Governo mostrasse segno di cedere, e giunse la domenica, giorno
lungamente memorabile.
XLIV. Nella città e nel circondario di Londra erano circa cento
chiese parrocchiali. Solo in quattro fu eseguito l'ordine del Re. In
San Gregorio la Dichiarazione fu letta da un ecclesiastico chiamato
Martin. Appena egli ebbe profferite le prime parole tutti gli
astanti alzaronsi ed uscirono. In San Matteo in Friday-Street uno
sciagurato che aveva nome Timoteo Hall, e che aveva disonorato
l'abito sacerdotale facendo da sensale alla Duchessa di Portsmouth
nella vendita delle grazie, e adesso nutriva speranza d'ottenere il
vescovato d'Oxford, fu similmente lasciato solo in chiesa. In
Serjeant's Inn in Chancery-Lane, il chierico disse di avere
dimenticato a casa lo scritto; e al Capo Giudice del Banco del Re,
il quale vi s'era condotto per vedere se si obbedisse al regio
mandato, fu forza contentarsi di siffatta scusa. Samuele Wesley,
padre di Giovanni e di Carlo Wesley, e Curato in una chiesa di
Londra, predicando in quel giorno, prese a testo l'animosa risposta
fatta dai tre Ebrei al tiranno Caldeo: "Sappi, o Re, che noi non
serviremo ai tuoi Dii, nè adoreremo la immagine d'oro da te
inalzata." Perfino nella cappella del Palazzo di San Giacomo il
ministro che officiava ebbe il coraggio di non ubbidire al comando
regio. I giovani di Westminster lungo tempo rammentaronsi della
scena che seguì quel giorno nell'Abbadia. Vi officiava, come Decano,
Sprat vescovo di Rochester. Appena cominciò a leggere la
Dichiarazione, la sua voce fu soffocata dalle mormorazioni e dal
rumore della gente che usciva in folla dal coro. Egli fu preso da sì
forte tremito che mal poteva tenere in mano lo scritto. Assai prima
ch'egli finisse di leggere, il luogo era abbandonato da tutti,
fuorchè da coloro che la propria condizione costringeva a
rimanervi(995).
La Chiesa non era mai stata tanto cara alla nazione quanto nel
pomeriggio di quel giorno. Ogni dissenso pareva sparito. Baxter dal
pergamo fece lo elogio de' vescovi e del clero parrocchiale. Il
Ministro Olandese, poche ore dopo, scrisse agli Stati Generali, che
il Clero Anglicano si era acquistata la pubblica stima tanto da non
credersi. Diceva che i Non-Conformisti con grido unanime asserivano
amar meglio rimanere sotto gli Statuti penali che separare la causa
loro da quella de' prelati(996).
Scorsa un'altra settimana d'ansietà e d'agitazione, giunse la
domenica. Nuovamente le chiese della Metropoli erano affollate di
migliaia e migliaia di persone. La Dichiarazione non fu letta in
nessuno altro luogo che in quelle poche chiese dove era stata letta
la precedente settimana. Il ministro, che aveva officiato nella
cappella del Palazzo di San Giacomo, era stato destituito, e in
vece(997) sua un ecclesiastico più ossequioso comparve con lo
scritto in mano; ma era tanto commosso che non potè profferire
parola. E veramente l'opinione pubblica si era manifestata in guisa
che nessuno, tranne il migliore e più nobile, o il peggiore e più
vile degli uomini, poteva senza scomporsi, affrontarla(998).
XLV. Il Re stesso per un momento rimase attonito dinanzi alla
violenta tempesta da lui suscitata. Che farebbe egli adesso? Andare
avanti, o retrocedere: ed era impossibile procedere senza pericolo e
tornare indietro senza umiliazione. Ebbe allora il pensiero di
emanare una seconda Ordinanza per ingiungere al clero con parole
d'ira e d'alterigia di pubblicare la Dichiarazione, minacciando a un
tempo che chiunque si mostrasse disubbidiente verrebbe subitamente
sospeso. L'Ordinanza fu scritta e mandata al tipografo, poi fu
ritirata; poi rimandata di nuovo alla stamperia, e di nuovo
ritirata(999). Coloro i quali volevano si adoperassero mezzi
rigorosi, consigliavano un diverso provvedimento: citare, cioè,
dinanzi alla Commissione Ecclesiastica i prelati che avevano firmata
la petizione, e deporli dalle loro sedi. Ma contro questo partito
sorsero forti obiezioni in Consiglio. Era stato annunziato che le
Camere verrebbero convocate innanzi la fine dell'anno. I Lordi
considererebbero come nulla la sentenza di deposizione contro i
vescovi, insisterebbero che Sancroft e i suoi colleghi fossero
ammessi ai loro seggi nel Parlamento, e ricuserebbero di riconoscere
un nuovo Arcivescovo di Canterbury o un nuovo Vescovo di Bath e
Wells. In tal modo, la sessione, la quale pareva dovere essere per
sè stessa bastevolmente procellosa, incomincerebbe con una mortale
contesa tra la Corona e i Pari. Se quindi reputavasi necessario
punire i vescovi, ciò doveva farsi secondo l'usanza delle Leggi
Inglesi. Sunderland fin da principio si era opposto, per quanto gli
fu possibile, alla Ordinanza in Consiglio. Adesso suggerì di
prendere una via, la quale se non era scevra d'inconvenienti, era la
più prudente e la più dignitosa che fra tanti sbagli rimanesse
aperta al Governo. Il Re con grazia e dignità annunzierebbe al mondo
essere profondamente dolente della indebita condotta della Chiesa
Anglicana, ma non potere porre in oblio tutti i servigi resi da
quella, in perigliosi tempi, al padre, al fratello ed a sè; non
volere egli, come fautore della libertà di coscienza, trattare
rigorosamente uomini ai quali la coscienza, comecchè mal consigliata
e piena d'irragionevoli scrupoli, non consentiva d'ubbidire ai suoi
comandi; per la qual cosa abbandonerebbe i colpevoli a quella pena
che loro infliggerebbe il rimorso, quando, meditando pacatamente
sulle azioni proprie, le raffrontassero con quelle dottrine di
lealtà, delle quali menavano sì gran vanto. Non solo Powis e
Bellasyse, i quali avevano sempre consigliato moderazione, ma anco
Dover ed Arundell inchinavano alla proposta di Sunderland. Jeffreys,
dall'altro canto, sosteneva che il Governo sarebbe disonorato ove
siffatti trasgressori, quali erano i sette vescovi, si punissero con
una semplice riprensione. Nondimeno ei non desiderava che venissero
citati dinanzi la Commissione Ecclesiastica, della quale egli era
capo, o per dir meglio, solo Giudice: imperocchè il peso dell'odio
pubblico che già lo premeva, era troppo anco per la sua svergognata
fronte e il suo cuore indurato; e rifuggiva dalla responsabilità in
cui sarebbe incorso pronunziando una sentenza illegale contro i
governanti della Chiesa amati tanto dalla nazione. E però propose di
perseguitarli criminalmente.
XLVI. Fu quindi determinato che lo Arcivescovo e gli altri sei che
avevano firmata la petizione, fossero tradotti dinanzi la Corte del
Banco del Re, come autori di un libello sedizioso. Non era da
dubitarsi che verrebbero dichiarati rei. I giudici e gli ufficiali
loro erano cagnotti della Corte. Dal dì in cui la Città di Londra
era stata privata dello Statuto Municipale, nè anche uno di coloro i
quali il Governo aveva voluto punire, era stato assoluto da'
Giurati. I prelati disubbidienti sarebbero probabilmente condannati
a rovinose multe ed a lunga prigionia, e si reputerebbero bene
avventurati di potersi redimere, secondando, e dentro e fuori il
Parlamento, i disegni del sovrano(1000).
Il dì 27 maggio fu intimato ai Vescovi di appresentarsi pel giorno
ottavo di giugno dinanzi il Consiglio del Re. Non sappiamo perchè
fosse loro dato sì lungo periodo di tempo. Forse Giacomo sperava che
alcuni de' colpevoli, paventando la sua collera, cedessero pria che
giungesse il giorno stabilito a leggere la Dichiarazione nelle loro
diocesi, e a fine di pacificarsi secolui, persuadessero il loro
clero ad obbedire al regio decreto. Se tale era la sua speranza,
egli sperò invano. Giunta la domenica del 3 giugno, in tutta
Inghilterra fu seguíto lo esempio della Metropoli. Già i Vescovi di
Norwich, Gloucester, Salisbury, Winchester, ed Exeter, avevano, in
pegno dell'approvazione loro, firmate alcune copie della petizione.
Il Vescovo di Worchester aveva rifiutato di distribuire la
Dichiarazione fra il suo clero. Il Vescovo di Hereford l'aveva
distribuita; ma comunemente credevasi che egli, per avere ciò fatto,
fosse straziato dal rimorso e dalla vergogna. Neppure un solo prete
di parrocchia fra cinquanta ubbidì alla Ordinanza in Consiglio.
Nella grande diocesi di Chester, la quale comprendeva la Contea di
Lancastro, Cartwright non potè persuadere altri che tre soli
ecclesiastici ad obbedire al Re. Nella diocesi di Norwich sono molte
centinaia di parrocchie, e non pertanto in sole quattro fu letta la
Dichiarazione. Il cortigiano Vescovo di Rochester non potè vincere
gli scrupoli del cappellano di Chatam, il cui pane dipendeva dal
Governo. Esiste tuttora una commovente lettera che questo buon
sacerdote scrisse al Segretario dello Ammiragliato. "Io non posso"
diceva egli "sperare la protezione di Vostra Eccellenza. Sia fatta
la volontà di Dio. Io scelgo i patimenti più presto che il
peccato(1001)."
XLVII. La sera dell'8 giugno i sette prelati, provvedutisi
dell'assistenza de' più illustri giureconsulti d'Inghilterra, si
condussero a palazzo, e furono introdotti nella camera del
Consiglio. La loro petizione era sulla tavola. Il Cancelliere la
prese in mano, e mostrandola allo Arcivescovo disse: "È questa la
carta scritta da Vostra Eccellenza Reverendissima, e presentata a
Sua Maestà da' sei Vescovi qui presenti?" Sancroft guardò il foglio,
e volgendosi al Re favellò in questa guisa: "Sire, io mi sto in
questo luogo in sembianza di colpevole; io non lo era mai stato per
lo innanzi, e non credevo mai che un giorno lo sarei. Meno anco
avrei potuto credere che fossi accusato d'offesa contro il mio Re:
ma se ho la sventura di trovarmi in questa condizione, prego Vostra
Maestà di non offendersi, se mi valgo del mio legittimo diritto,
ricusando di dire cosa che mi possa rendere reo." - "Cotesti sono
pretti cavilli," disse il Re. "Spero che Vostra Eccellenza non osi
negare la propria scrittura." - "Sire," disse Lloyd che aveva molto
studiato i casisti, "tutti i teologi concordano ad asserire che un
uomo in situazione pari alla nostra può ricusare di rispondere ad
una simile domanda." Il Re, che era tardo di mente quanto corrivo a
riscaldarsi il sangue, non intese le parole del prelato; ed
insisteva e andava viepiù montando in collera. "Sire," disse lo
Arcivescovo, "io non sono tenuto ad accusare me stesso. Nondimeno se
Vostra Maestà positivamente mi comanda di rispondere, obbedirò con
la fiducia che un principe giusto e generoso non permetta che ciò
ch'io dico per ubbidire agli ordini suoi, sia considerato come
argomento ad incriminarmi." - "Voi non dovete venire a patti col
vostro Sovrano," disse il Cancelliere. "No," esclamò il Re. "Io non
vi comando questo. Se a voi parrà di negare la vostra scrittura, non
ho più nulla a dire."
I Vescovi furono più volte fatti uscire dalla sala, e più volte
richiamati. Alla perfine, Giacomo positivamente comandò loro di
rispondere alla domanda. Non promise espressamente che la
confessione non verrebbe considerata come argomento contro di loro.
Ma essi non senza ragione supponevano che dopo la protesta fatta
dallo Arcivescovo e la risposta data dal Re, un tale impegno fosse
sottinteso nel suo comando. Sancroft riconobbe per suo lo scritto, e
i suoi confratelli ne seguirono lo esempio. Allora furono
interrogati intorno alla significanza d'alcune parole della
petizione, e intorno alla lettera che era andata in giro con tanto
effetto per tutto il Regno: ma le loro parole furono così
circospette, che il Consiglio non potè ricavare nulla dallo esame.
Il Cancelliere quindi annunziò loro che verrebbe fatto contro essi
un processo criminale nella Corte del Banco del Re, e intimò che
sottoscrivessero l'obbligo di presentarsi. Ricusarono allegando il
privilegio della Paria: imperocchè i migliori giuristi di
Westminster Hall avevano assicurato loro che nessun Pari poteva
esser costretto a firmare il predetto obbligo per accusa di libello;
ed essi non reputavansi in diritto di rinunciare al privilegio
dell'ordine loro. Il Re fu tanto stolto da stimarsi personalmente
offeso, perchè, in una questione legale, si richiamavano al parere
de' dottori della legge. "Voi prestate fede a chiunque, fuori che a
me," disse egli. E davvero sentivasi mortificato e trepidava come
quegli che s'era spinto tanto oltre, che, persistendo essi, a lui
non rimaneva altro partito che gettarli in carcere; e quantunque non
prevedesse punto tutte le conseguenze di un tale passo, forse le
prevedeva tanto da esserne perturbato. I Vescovi rimasero fermissimi
nel loro proposto. Fu quindi spedito un mandato al Luogotenente
della Torre per tenerli in custodia, ed apparecchiata una barca a
trasportarveli pel fiume(1002).
XLVIII. Sapevasi in tutta Londra che i Vescovi erano dinanzi al
Consiglio. La pubblica ansietà era infinita. Una grande moltitudine
s'accalcava nei cortili di Whitehall e nelle vie circostanti. Molti
avevano costume di recarsi sulle rive del Tamigi a godervi il fresco
nelle sere estive. Ma in cotesta sera tuttoquanto il fiume era
coperto di barche. Come i sette Vescovi comparvero circondati dalle
guardie, l'emozione del popolo ruppe ogni freno. La gente a migliaia
cadde inginocchioni pregando ad alta voce per coloro, i quali,
animati dal coraggio di Ridley e di Latimer, avevano affrontato il
tiranno reso insano di tutta la bacchettoneria di Maria la
Bevisangue. Molti gettaronsi nelle acque fino al petto, implorando
dai Padri Santi la benedizione. Per tutto il fiume, da Whitehall
fino al Ponte di Londra, la barca regia passò fra mezzo a due file
di gondole, dalle quali moveva unanime il grido: "Dio benedica alle
Vostre Eccellenze Reverendissime." Il Re grandemente impaurito,
comandò che si raddoppiasse il presidio della Torre, che le Guardie
si tenessero pronte a combattere, e che si staccassero due compagnie
da ogni reggimento nel Regno, e si dirigessero subito a Londra. Ma
le milizie ch'egli reputava mezzo precipuo a coartare il popolo,
partecipavano al sentire del popolo. Le stesse sentinelle che
facevano la guardia alla Porta de' Traditori, chiedevano la
benedizione ai martiri affidati alla loro custodia. Sir Eduardo
Hales, Luogotenente della Torre, era poco propenso a usare cortesia
a' suoi prigionieri: perocchè aveva rinnegata la Chiesa per la quale
essi tanto pativano, ed occupava vari uffici lucrosi per virtù di
quella potestà di dispensare, contro la quale essi avevano
protestato. Arse di sdegno allorchè seppe che i suoi soldati
bevevano alla salute de' Vescovi, e ordinò agli ufficiali che(1003)
provvedessero che lo scandalo non fosse ripetuto. Ma gli ufficiali
riferirono non esservi modo a impedire la cosa, e che il presidio
non voleva bere alla salute di nessun altro. Nè solo con siffatti
festeggiamenti i soldati mostravano riverenza ai padri della Chiesa.
Si videro entro la Torre tali segni di divozione, che i pii
sacerdoti ringraziavano Dio di avere fatto nascere il bene dal male,
e reso la persecuzione de' suoi servi fedeli mezzo di salvazione a
molte anime. Per tutto il giorno i cocchi e le livree de' primi
nobili dell'Inghilterra vedevansi attorno alle porte della prigione.
Migliaia di spettatori coprivano di continuo Tower-Hill(1004). Ma
fra le testimonianze della pubblica riverenza e simpatia che i
prelati ricevevano, ve ne fu una la quale, sopra tutte, recò sdegno
e paura al Re. Egli seppe che una deputazione di dieci ministri
Non-Conformisti erasi recata alla Torre. Ne fece venire quattro
dinanzi al suo cospetto, ed aspramente rimproverolli. Costoro
animosamente risposero come essi reputavano debito loro porre in
oblio i passati litigi, e collegarsi con gli uomini che difendevano
la Religione Protestante(1005).
XLIX. Le porte della Torre s'erano appena chiuse dietro a' prigioni,
allorquando sopraggiunse un fatto ad accrescere il pubblico
concitamento. Era stato annunziato che la Regina non avrebbe
partorito avanti il mese di Luglio. Ma il dì dopo che i Vescovi
s'erano presentati dinanzi al Consiglio, e' fu notato come il Re
fosse inquieto per lei. La sera, non pertanto, ella giuocò a carte
in Whitehall fin presso la mezzanotte. Poi fu menata in portantina
al Palazzo di San Giacomo, dove le era stato in fretta apparecchiato
un appartamento a riceverla. Allora si videro vari messi correre qua
e colà in cerca di medici, di preti, di Lordi del Consiglio, di dame
di Corte. In poche ore molti pubblici ufficiali e signore d'alto
grado si raccolsero nella camera della Regina. Ivi la domenica
mattina del dì 10 di giugno, giorno per lungo tempo celebrato come
sacro dai troppo fedeli partigiani d'una malvagia causa, nacque il
più sventurato de' principi, destinato a settanta anni di vita esule
e raminga, di vani disegni, di onori più amari degl'insulti, e di
speranze che fanno sanguinare il cuore.
Le calamità della povera creatura cominciarono innanzi la sua
nascita. La nazione sopra la quale, secondo il corso ordinario della
successione, egli doveva regnare, era profondamente persuasa che la
Regina non fosse gravida. Per quanto fossero evidenti le prove della
verità del parto, un numero considerevole di persone si sarebbe
forse ostinato a sostenere che i Gesuiti avessero destramente fatto
un giuoco di mano: e le prove, parte per caso, parte per grave
imprudenza, sottostavano a non poche obiezioni. Molti d'ambo i sessi
trovavansi dentro la camera della puerpera nel momento che nacque il
bambino, ma nessuno di loro godeva largamente la pubblica fiducia.
De' Consiglieri Privati, ivi presenti, mezzi erano Cattolici Romani;
e coloro che chiamavansi Protestanti venivano comunemente reputati
traditori della patria e di Dio. Molte delle cameriste erano
Francesi, Italiane e Portoghesi. Delle dame inglesi alcune erano
Papiste ed altre mogli di Papisti. Taluni che avevano diritto
speciale ad essere presenti, e la cui testimonianza avrebbe
satisfatto a tutti gl'intelletti accessibili alla ragione, erano
assenti; e di ciò il Re fu tenuto responsabile. Tra tutti gli
abitatori della isola, la Principessa Anna era colei che avesse
maggiore interesse nella cosa. Il sesso e la esperienza la rendevano
adatta a proteggere il diritto ereditario della sua sorella e suo
proprio. Le si era nell'anima fortemente insinuato il sospetto che
veniva confermato da circostanze frivole o immaginarie. Credeva che
la Regina con grande studio fuggisse la vigilanza della cognata, ed
attribuiva a colpa una riserva che forse nasceva da
delicatezza(1006). Incitata da tali sospetti, Anna aveva deliberato
di trovarsi presente e vigilare quando sarebbe giunto il gran
giorno. Ma non aveva estimato necessario trovarsi al suo posto un
mese innanzi, e come si disse, seguendo il consiglio del padre, era
andata a bere le acque di Bath. Sancroft, che pel suo eminente
ufficio era in debito di trovarsi presente, e nella cui probità la
nazione aveva piena fiducia, poche ore prima era stato rinchiuso da
Giacomo dentro la Torre. Gli Hydes erano protettori naturali de'
diritti delle due Principesse. Lo Ambasciatore Olandese poteva
essere considerato come rappresentante di Guglielmo, il quale, come
primo principe del sangue e marito della figlia maggiore del Re,
aveva sommo interesse a vedere con gli occhi propri ciò che seguiva.
Giacomo non pensò mai di chiamare nessuno, nè maschio nè femmina,
della famiglia Hyde; nè lo Ambasciatore Olandese fu invitato a
trovarsi presente.
I posteri hanno pienamente assoluto il Re della frode imputatagli
dal suo popolo. Ma torna impossibile lo assolverlo di quella insania
e testardaggine che spiegano e scusano lo errore de' suoi coetanei.
Conosceva benissimo i sospetti sparsi per tutto il reame(1007);
avrebbe dovuto sapere che non potevano dileguarsi alla sola
testimonianza de' membri della Chiesa di Roma, o di tali, che
sebbene si facessero chiamare membri della Chiesa d'Inghilterra, si
erano mostrati pronti a sacrificare gli interessi di quella per
ottenere il regio favore. Che il fatto fosse giunto imprevisto al
Re, è innegabile: ma ebbe dodici ore di tempo a disporre le cose.
Non gli fu difficile empire il palazzo di San Giacomo con una folla
di bacchettoni e di parassiti, nella cui parola la nazione non aveva
punto fiducia. Sarebbe stato egualmente facile invitare alcuni
eminenti personaggi, il cui affetto verso le Principesse e la
religione dello Stato non ammetteva dubbio nessuno.
Tempo dopo, allorquando egli aveva già caramente pagato il suo
temerario spregio della pubblica opinione, era usanza in San Germano
escusare lui gettandone sugli altri il biasimo. Alcuni Giacomisti
accusarono Anna di essersi appositamente tenuta da parte. Anzi non
vergognarono d'affermare che Sancroft aveva astutamente provocato il
Re per essere imprigionato nella Torre, onde mancasse il suo
attestato che avrebbe dissipate le calunnie de' malcontenti(1008).
L'assurdità di tali accuse è evidente. Era egli possibile che Anna o
Sancroft prevedessero che la Regina avesse ad ingannarsi d'un mese
ne' propri calcoli? Se ella avesse calcolato rettamente, Anna
sarebbe ritornata da Bath, e Sancroft sarebbe uscito dalla Torre per
trovarsi al posto loro pel tempo del parto. In ogni modo gli zii
paterni delle figlie del Re non erano nè lontani nè in carcere. Il
messo, il quale recò lo annunzio a tutto il drappello de' rinnegati,
Dover, Peterborough, Murray, Sunderland, e Mulgrave, lo avrebbe con
la stessa facilità recato a Clarendon, il quale, come essi, era
membro del Consiglio Privato. La sua casa in Jermyn Street non
distava più di dugento passi dalla camera della Regina, e nondimeno
gli toccò a sapere, dall'agitarsi e dal sussurrare della
congregazione nella Chiesa di San Giacomo, che la sua nipote non era
più la erede presuntiva della Corona(1009). Non fu egli chiamato
forse perchè era il più prossimo parente delle Principesse d'Orange
e di Danimarca, o perchè invariabilmente aderiva alla Chiesa
Anglicana?
La nazione diceva con grido unanime che v'era stato di mezzo una
impostura. I papisti, per parecchi mesi, avevano predetto nelle
prediche e negli scritti loro, in prosa e in verso, in inglese e in
latino, che Dio concederebbe alle preci della Chiesa un Principe di
Galles: e i loro vaticinii oggimai s'erano avverati. Tutti i
testimoni che non potevano essere ingannati o corrotti, erano stati
con sommo studio esclusi. Anna era stata gabbata mandandola a Bath.
Il Primate, la vigilia del dì stabilito a compiere la scellerata
opera, era stato gettato in carcere in onta ad ogni uso di legge e
ai privilegi della Paria. Non s'era permesso che vi si trovasse
presente nè anche un solo degli uomini o delle donne, che avessero
il più lieve interesse a smascherare la frode. La Regina era stata,
nel cuore della notte e improvvisamente, condotta al palazzo di San
Giacomo, perocchè in quello edifizio, meno adatto di Whitehall agli
onesti comodi, aveva stanze e aditi bene convenevoli alle intenzioni
de' Gesuiti. Quivi, fra una congrega di zelanti, i quali non
reputavano delitto nessuna cosa che tendesse a promuovere
gl'interessi della Chiesa loro, e di cortigiani che non istimavano
criminoso nulla che tendesse ad arricchirli ed inalzarli, un bambino
nato pur allora era stato messo di furto nel regio talamo, e quindi
mostrato in trionfo come lo erede di tre Regni. Col cervello
infiammato da tali sospetti, ingiusti a dir vero, ma non innaturali,
gli uomini affollavansi più che mai a rendere omaggio a quelle sante
vittime del tiranno, il quale, dopo d'avere per tanto tempo recato
iniquissimi danni al suo popolo, aveva adesso colma la misura della
iniquità sua, mostrandosi proditoriamente ingiusto contro le proprie
creature(1010).
Il Principe d'Orange, non sospettando di nessuna frode, e ignorando
qual fosse la opinione pubblica in Inghilterra, ordinò che si
facessero in casa sua preghiere pel bene del suo piccolo cognato, e
spedì Zulestein a Londra a congratularsi col suocero. Zulestein
maravigliò udendo tutte le persone nelle quali s'imbatteva, parlare
apertamente della infame frode praticata dai Gesuiti, e ad ogni
istante vedendo qualche nuova pasquinata intorno alla gravidanza; e
al parto. Però scrisse all'Aja che in dieci uomini nè anche uno solo
credeva che il fanciullo fosse nato dalla Regina(1011).
Infrattanto il contegno dei sette prelati accresceva lo interesse
che il caso loro aveva suscitato. La sera del Venerdì Nero - così il
popolo chiamava il giorno in cui furono arrestati - giunsero al
carcere all'ora del servizio divino. Recaronsi tosto alla cappella.
Accadde che nella seconda lezione fossero queste parole: "In ogni
cosa commendandoci, come ministri di Dio, nella molta pazienza,
nelle afflizioni, nella miseria, nelle percosse, nelle prigionie."
Tutti gli zelanti Anglicani gioirono della coincidenza, e
rammentarono quanta consolazione una simile coincidenza, quaranta
anni innanzi, aveva arrecata a Carlo I, in punto di morte.
La sera del giorno seguente, ch'era sabato 8 giugno, giunse una
lettera di Sunderland che ordinava al cappellano di leggere la
Dichiarazione pel dì seguente fra mezzo agli uffici divini. E poichè
il giorno stabilito dalla Ordinanza in Consiglio per la lettura da
farsi in Londra, era da lungo tempo spirato, questo nuovo atto del
Governo poteva considerarsi come vilissimo e puerile insulto fatto
ai venerandi prigioni. Il cappellano ricusò d'obbedire; fu
destituito, e la cappella venne chiusa(1012).
L. I vescovi edificavano tutti quelli che stavano loro d'intorno,
per la fermezza e la calma con che sostenevano la prigionia, per la
modestia e mansuetudine onde accoglievano gli applausi e le
benedizioni di tutto il paese, e per la lealtà ch'essi mostravano
verso il loro persecutore, il quale agognava a distruggerli.
Rimasero in carcere soli otto giorni. Il venerdì 15 giugno, ch'era
il primo giorno dell'apertura del giudizio, furono condotti dinanzi
al Banco del Re. Immensa folla di popolo stavasi lì ad aspettarli.
Dagli scali del fiume fino alla Corte gli spettatori erano in lunghe
file schierati, colmandoli di benedizioni o di applausi. "Amici,"
dicevano i prigioni passando "onorate il Re; e ricordatevi di noi
nelle vostre preci." Queste umili e pie parole commossero gli
spettatori fino alle lacrime. Come essi giunsero al cospetto de'
Giudici, il Procuratore Generale produsse la requisitoria, che aveva
avuto incarico di preparare, e propose che agli accusati si desse
ordine di favellare. I loro avvocati dall'altro canto obiettavano
dicendo che i vescovi erano stati illegalmente rinchiusi in carcere,
e quindi la loro presenza dinanzi la Corte non era regolare. Fu
dibattuta lungamente la questione se un Pari fosse tenuto a firmare
una obbligazione per presentarsi al giudizio, come incolpato di
libello, e fu risoluta dalla maggior parte de' giudici a favore
della Corona. I prigionieri allora si dichiararono non colpevoli. La
discussione della causa fu rimessa a quindici giorni, cioè al 29
giugno. Frattanto furono posti in libertà dopo d'essersi obbligati a
presentarsi pel dì stabilito. I legati della Corona operarono con
prudenza, non richiedendo mallevadorie. Imperciocchè Halifax aveva
ordinate le cose in modo che ventuno Pari secolari fra' più cospicui
fossero pronti a prestarsi come mallevadori, tre per ciascuno
accusato; ed una tanta manifestazione di sentimento fra' nobili
sarebbe stata di non lieve danno al Governo. Sapevasi ancora che uno
de' più ricchi Dissenzienti della città aveva sollecitato l'onore di
dare cauzione per Ken.
Ai vescovi fu allora concesso di andarsene a casa loro. Il volgo che
non s'intendeva punto della procedura giudiciaria che aveva avuto
luogo nel Banco del Re, e che aveva veduto i suoi prediletti pastori
condotti sotto stretta guardia a Westminster Hall, ed ora li vedeva
uscirne liberi, immaginò che la buona causa prosperasse, e diede in
uno scoppio d'applausi. Le campane sonavano in segno di gioia. Sprat
rimase attonito vedendo il campanile della sua Abbadia fare eco agli
altri, e lo fece subitamente tacere; ma ciò provocò sdegnose
mormorazioni. Ai vescovi riusciva difficile sottrarsi alle
importunità della folla che gli acclamava. Lloyd fu ritenuto nel
cortile di Palazzo dagli ammiratori che si accalcavano d'intorno a
toccargli la mano e baciargli il lembo della veste, finchè Clarendon
non senza difficoltà lo trasse seco conducendolo a casa per una via
traversa. Vuolsi che Cartwright fosse sì stolto da mischiarsi nella
folla. Alcuno che lo vide in abito episcopale chiese e ricevè la
benedizione. Ma un altro che gli stava accanto, gridò: "Sapete voi
chi è colui che vi ha data la benedizione?" - "Certo ch'io lo so,"
rispose il benedetto; "egli è uno de' Sette." - "No," riprese
l'altro, "è il vescovo papista di Chester." - "O papista cane,"
esclamò rabbiosamente il Protestante, "ripigliati la tua
benedizione."
Tale era il concorso e tale il concitamento del popolo, che lo
Ambasciatore d'Olanda rimase meravigliato vedendo finire il giorno
senza lo scoppio d'una insurrezione. Il re non era punto tranquillo.
Per trovarsi parato a reprimere ogni commovimento, la mattina aveva
passato in rivista in Hyde-Park vari battaglioni di fanteria. Non
ostante, non è certo che in caso di bisogno le sue truppe gli
avrebbero ubbidito. Quando Sancroft, nel pomeriggio, giunse a
Lambeth, trovò i granatieri, i quali avevano quartiere in quel
suburbio, dinanzi alla porta del suo palazzo. Schierati in fila a
destra e a sinistra, gli chiedevano la benedizione mentre egli
passava fra loro. A stento potè dissuaderli dallo accendere un falò
ad onorare il suo ritorno a casa. Quella sera nondimeno furono molti
i fuochi di gioia nella Città. Due Cattolici Romani che ebbero la
indiscretezza di percuotere alcuni fanciulli intervenuti a cotesti
festeggiamenti, furono presi dalla plebe, la quale strappò loro gli
abiti, e ignominiosamente li segnò in fronte con un ferro
infocato(1013).
Sir Eduardo Hales si recò presso i vescovi chiedendo d'essere
pagato. Essi rifiutarono di pagare cosa alcuna per una detenzione da
essi considerata illegale, ad un officiale la cui commissione,
secondo i principii loro, era nulla. Il Luogotenente accennò con
intelligibilissime parole che ove gli cadessero nuovamente tra le
mani, gli avrebbe messi ai ferri e fatti dormire sulla nuda terra. I
vescovi risposero: "Siamo in disgrazia del Re, e profondamente ce ne
rincresce; ma un suddito che ci minacci, invano perde il flato." Non
è agevole immaginare quale fosse la indignazione del popolo,
allorchè, concitato come era, seppe che un rinnegato della religione
protestante, il quale teneva un comando in onta alle leggi
fondamentali della Inghilterra, aveva osato minacciare a quegli
ecclesiastici, venerandi per età e dignità, tutte le barbarie della
Torre di Lollard(1014).
LI. Innanzi che giungesse il giorno stabilito pel processo,
l'agitazione erasi sparsa fino alle più remote parti dell'isola.
Dalla Scozia i vescovi riceverono lettere con le quali i
Presbiteriani di quel paese da tanto tempo e così acremente ostili
alla prelatura, gli assicuravano della loro simpatia(1015). Il
popolo di Cornwall, razza fiera, ardita, atletica, nella quale il
sentimento della terra natia è più forte che in qualunque altra
parte del Regno, fu grandemente commosso dal pericolo di Trelawney,
da essi venerato meno come Principe della Chiesa che come capo d'una
onorevole casata, ed erede, per venti generazioni, d'antenati i
quali erano famosi avanti che i Normanni ponessero piede in
Inghilterra. Per tutto il paese il contadiname cantava una ballata,
della quale tuttavia si rammenta lo intercalare che diceva così:
"Dovrà morire Trelawney, dovrà morire Trelawney? Allora trentamila
giovani di Cornwall ne vorranno sapere il perchè." I minatori di
fondo alle loro cave facevano eco a quel canto con questa leggiera
variante: "Allora ventimila di sotto terra ne vorranno sapere il
perchè(1016)."
I contadini in molte parti di quelle contrade ad alta voce parlavano
d'una strana speranza che non s'era mai spenta ne' loro cuori.
Dicevano che il Duca Protestante, il loro diletto Monmouth tra breve
si mostrerebbe, li condurrebbe alla vittoria, e calpesterebbe il Re
e i Gesuiti(1017).
I ministri erano costernati. Lo stesso Jeffreys sarebbe volentieri
tornato addietro. Egli incaricò Clarendon d'un amichevole messaggio
ai vescovi, e diede ad altrui la colpa della persecuzione da lui
consigliata. Sunderland di nuovo rischiossi a provare la necessità
di fare concessioni, dicendo come il fortunato nascimento dello
erede del trono apprestasse al Re il destro di ritirarsi da una
posizione piena di pericoli e d'inconvenevolezza senza acquistarsi
il rimprovero di timidità o di capriccio. In cosiffatti felici
eventi i sovrani avevano avuto costume di allegrare i sudditi con
atti di clemenza, e nulla poteva tornare di tanta utilità al
Principe di Galles, quanto l'essere, fino dalle fasce, pacificatore
del padre con l'agitata nazione. Ma il Re stava più che mai duro.
"Anderò avanti," diceva egli. "Finora sono stato troppo indulgente;
e la indulgenza trasse mio padre alla rovina(1018).
LII. L'artifizioso ministro si accòrse che Giacomo aveva per innanzi
seguito i consigli di lui solamente perchè concordavano
cogl'intendimenti suoi, e che dal momento in cui egli aveva
cominciato a consigliare il bene, lo aveva fatto indarno. Nel
processo contro il Collegio della Maddalena, Sunderland aveva
mostrato segni di lentezza. S'era dianzi provato a persuadere il Re
che il disegno di Tyrconnel di confiscare i beni de' coloni inglesi
in Irlanda era pieno di pericoli, e col soccorso di Powis e
Bellasyse aveva potuto ottenere che la esecuzione fosse differita ad
un altro anno. Ma cotesta timidità e scrupolosità spiaceva al Re e
gli aveva messo in cuore il sospetto(1019). Il giorno della
giustizia era giunto per Sunderland. Egli trovavasi nelle condizioni
in cui s'era, alcuni mesi prima, trovato Rochester. Entrambi questi
uomini di Stato provarono l'angoscia di tenersi dolorosamente
aggrappati al potere che visibilmente fuggiva loro di mano. Entrambi
videro i suggerimenti loro con ischerno rigettati. Entrambi
sentirono l'amarezza di leggere la collera e la diffidenza nel viso
e negli atti del loro signore; e nondimeno il paese gli chiamò
responsabili di que' delitti ed errori dai quali invano s'erano
sforzati a dissuaderlo. Mentre sospettava ch'essi si studiassero di
acquistarsi popolarità a danno dell'autorità e dignità loro, la voce
pubblica altamente accusavali che volessero conseguire il regio
favore a danno del proprio onore e del bene della nazione.
Nondimeno, malgrado tutte le mortificazioni e le umiliazioni,
ambidue si tennero attaccati allo ufficio con la tenacità d'un uomo
che stia per annegarsi. Ambidue tentarono di rendersi propizio il Re
simulando il desiderio di entrare nel grembo della sua Chiesa. Ma in
ciò vi fu un limite che Rochester non osò travarcare. Si spinse fino
sull'orlo dell'apostasia: ma retrocesse: e il mondo, a
contemplazione della fermezza onde egli ricusò di fare l'ultimo
passo, gli perdonò generosamente tutti i falli anteriori.
LIII. Sunderland, meno scrupoloso e suscettibile di rossore,
deliberò di scontare la sua moderazione e ricuperare la regia
confidenza, con un atto, che ad un cuore che senta la importanza
delle verità religiose, deve sembrare uno de' più infami delitti, e
che gli stessi mondani considerano come ultimo eccesso di bassezza.
Circa otto giorni innanzi il dì stabilito pel gran processo, venne
pubblicamente annunziato ch'egli era Papista. Il Re raccontava con
gioia questo nuovo trionfo della grazia divina. I cortigiani e gli
ambasciatori facevano ogni sforzo a non perdere il contegno, mentre
il rinnegato asseriva d'essere stato convinto da lungo tempo della
impossibilità di trovare salvazione fuori della Chiesa di Roma, e
che la sua coscienza non fu mai tranquilla finchè egli non ebbe
rinunciato alle eresie nelle quali era stato educato. La nuova in
breve si sparse. In tutti i Caffè raccontavasi come il primo
Ministro d'Inghilterra, a piedi nudi, e con torcetto in mano, si
fosse presentato alla porta della cappella regale, e umilmente
picchiasse per essere messo dentro; come un prete di dentro
dimandasse chi era egli; come Sunderland rispondesse: un povero
peccatore, che lungo tempo aveva errato lungi dalla vera Chiesa,
supplicare che la lo accogliesse e lo assolvesse; come allora le
porte si aprissero, e il neofito fosse ammesso ai santi
misteri(1020).
LIV. Questa scandalosa apostasia altro non fece che accrescere lo
interesse col quale la nazione aspettava il giorno in cui dovevano
decidersi le sorti de' sette animosi confessori della Chiesa
Anglicana. Il Re quindi pose ogni cura a mettere insieme un Collegio
di giurati ligi alle sue voglie. I legali della Corona ebbero ordine
di fare rigorosa inquisizione delle opinioni di coloro i cui nomi
erano registrati nel libro de' liberi possidenti. Sir Samuele Astry,
Cancelliere della Corona, il quale in simili casi doveva scegliere i
nomi, fu chiamato a palazzo ed ebbe un colloquio con Giacomo alla
presenza del Gran Cancelliere(1021). E' sembra che Sir Samuele
facesse ogni sforzo: imperocchè fra i quarantotto individui da lui
nominati, v'erano, come si disse, vari servitori del Re e vari
Cattolici Romani(1022). Ma poichè gli avvocati de' vescovi avevano
diritto di cassare otto nomi, e servi del Re e Cattolici furono
rigettati. I legali della Corona ne rigettarono altri dodici: in tal
guisa la lista venne ridotta a ventiquattro; e i dodici che
risponderebbero i primi all'appello nominale dovevano giudicare del
fatto.
Il dì 29 giugno Westminster Hall, Old-Place-Yard, e New-Place-Yard,
e tutte le vie circostanti per lungo tratto, erano accalcati di
gente. Simigliante uditorio non fu veduto nè prima nè poi nella
Corte del Banco del Re. Trentacinque Pari secolari del Regno furono
contati fra mezzo alla folla(1023).
Tutti e quattro i giudici della Corte erano ai loro seggi. Wright,
il quale presedeva, era stato inalzato al suo alto ufficio sopra
molti altri uomini di maggiore abilità e dottrina, solo perchè la
servilità sua non conosceva scrupoli. Allybone era Papista, e del
suo impiego andava debitore a quella potestà di dispensare, la cui
legalità era materia alla presente discussione. Holloway fino allora
era stato docile e utile strumento del Governo. Lo stesso Powell che
godeva somma riputazione d'onestà, aveva partecipato a certi atti
che era impossibile difendere. Nella famosa causa di Sir Eduardo
Hales, Powis, esitando alquanto, a dir vero, e dopo qualche indugio,
si era congiunto alla maggioranza del seggio, e in tal modo aveva
impresso al proprio carattere una macchia che fu pienamente
cancellata dalla onorevole condotta che ei tenne in questo giorno.
La difesa d'ambe le parti non era punto equilibrata. Il Governo
aveva da' suoi legali richiesto servigi così odiosi e disonorevoli
che tutti i più esperti giureconsulti del partito Tory avevano,
l'uno dopo l'altro, rifiutato di prestarsi, ed erano stati
destituiti da' loro uffici. Sir Tommaso Powis, Procuratore Generale,
era appena di terzo ordine nella sua professione. L'Avvocato
Generale Sir Guglielmo Williams aveva mente viva e indomito
coraggio, ma difettava di giudizio, amava il bisticciare, non sapeva
governare le proprie passioni, ed era in odio e dispregio a tutti i
partiti politici. I più notevoli assessori dell'uno e dell'altro
erano Serjeant Trinder Cattolico Romano, e Sir Bartolommeo Shower
Recorder di Londra, il quale era alquanto dotto negli studi legali,
ma con le sue nauseanti adulazioni e col perpetuamente ridire il già
detto apprestava materia di dileggio a Westminster Hall. Il Governo
voleva assicurarsi i servigi di Maynard; ma costui dichiarò che in
coscienza non poteva fare ciò che gli si chiedeva(1024).
Dall'altra parte si stavano quasi tutti i più illustri ingegni di
cui in quella età il fôro potesse gloriarsi. Sawyer e Finch, i
quali, quando Giacomo ascese al trono, erano Procuratore ed Avvocato
Generali, e mentre si perseguitavano i Whig sotto il regno di Carlo,
avevano servito la Corona con soverchio ardore ed esito prospero,
erano fra i difensori degli accusati. V'erano parimente altri due
uomini, i quali, dopo che l'attività di Maynard era scemata col
crescere degli anni, avevano reputazione d'essere i due migliori
legali che si potessero trovare ne' tribunali. L'uno chiamavasi
Pemberton, e nel tempo di Carlo II era stato Capo Giudice del Banco
del Re; destituito poscia perchè troppo umano e moderato, aveva
ripreso lo esercizio della sua professione. L'altro aveva nome
Pollexfen; era stato per lungo tempo il principale assessore de'
giudici nel loro periodico giro per le Contrade Occidentali, e
quantunque avesse perduta ogni popolarità difendendo la Corona nel
Tribunale di Sangue, e in specie arringando contro Alice Lisle, era
a tutti noto ch'egli fosse internamente Whig, per non dire
repubblicano. V'era anche Sir Creswell Levinz, uomo di grande
dottrina ed esperienza, ma singolarmente pusillanime. Era stato
destituito dal suo ufficio per avere avuto timore di servire ai fini
del Governo. Adesso temeva di mostrarsi fra gli avvocati de'
vescovi, e in sulle prime aveva ricusato d'assumerne la difesa: ma
l'intero corpo de' procuratori che solevano impiegarlo, lo minacciò
di non dargli più nessuna causa, qualora egli ricusasse di assumere
quella de' vescovi(1025).
Sir Giorgio Treby, abile e zelante Whig, il quale, vigente il
vecchio Statuto, era stato Recorder di Londra, difendeva anch'ei gli
accusati. Sir Giovanni Holt Avvocato Whig più illustre anco di
Treby, non fu chiamato alla difesa, a cagione, per quanto sembra, di
qualche pregiudizio che Sancroft aveva contro lui, ma venne
privatamente consultato dal Vescovo di Londra(1026). Il più giovane
fra i difensori era un avvocato chiamato Giovanni Somers. Non aveva
vantaggio di nascita o di ricchezza, nè fino allora aveva avuto il
destro di acquistare reputazione agli occhi del pubblico: ma il suo
genio, la sua industria, le sue grandi e varie qualità erano note a
parecchi suoi amici; e nonostanti le sue opinioni Whig, il suo
giusto e lucido modo d'argomentare, e la costante irreprensibilità
della condotta gli avevano già reso benevolo l'orecchio della Corte
del Banco del Re. Johnstone aveva ai Vescovi energicamente
dimostrata la importanza di averlo nella difesa; e dicesi che
Pollexfen dichiarasse non esservi in Westminster Hall un uomo che
potesse, al pari di Somers, trattare una questione storica e
costituzionale.
I giurati prestarono sacramento: erano tutti di condizione
rispettabile. Ne era capo Sir Ruggiero Langley, baronetto d'antica
ed onorevole famiglia. Gli erano colleghi un cavaliere e dieci
scudieri, parecchi de' quali erano conosciuti come ricchi
possidenti. V'erano alcuni Non-Conformisti, perocchè i Vescovi erano
saviamente deliberati di non mostrare diffidenza de' protestanti
Dissenzienti. Il solo Michele Arnold dava da temere, dacchè essendo
egli il birraio del palazzo, sospettavasi che votasse a favore del
Governo. Fu detto ch'egli amaramente si lamentasse della posizione
in cui si trovava. "Qualunque cosa io faccia," disse egli "sono
sicuro d'uscirne mezzo rovinato. Se dico: Non Colpevole, non venderò
più la mia birra al Re; e se dico: Colpevole, non ne venderò più a
nessun altro(1027)."
Finalmente incominciò il processo. Ed è tale, che anche letto con
freddezza dopo più d'un secolo e mezzo, serba tutto lo interesse
d'un dramma. Gli avvocati disputavano da ambo i lati con insolito
accanimento e veemenza; l'uditorio ascoltava con estrema ansietà,
quasi la sorte di ciascuno dipendesse dal detto che dovevano
profferire i giurati; e il volgere della fortuna era così subitaneo
e maraviglioso, che la moltitudine in un solo momento più volte
passò dall'ansietà alla gioia, e dalla gioia a più profonda ansietà.
I Vescovi erano accusati d'avere pubblicato, nella Contea di
Middlesex(1028), un falso, maligno, e sedizioso libello. Il
Procuratore e lo Avvocato tentarono di provare la scrittura. A
questo fine varie persone furono chiamate per testificare delle
firme de' Vescovi. Ma i testimoni sentivano tanta ripugnanza che la
Corte da nessuno di loro potè ottenere una sola chiara risposta.
Pemberton, Pollexfen, e Levinz dichiararono che nessuna delle
predette testimonianze era atta a convincere i giurati. Due de'
Giudici, cioè Holloway e Powell, furono della stessa opinione; e in
cuore agli spettatori crebbe la speranza. A un tratto i legali della
Corona dissero di volere prendere una via diversa. Powis, con
rossore e ripugnanza tali da non poterli dissimulare, pose nel banco
de' testimoni Blathwayt ch'era uno degli scrivani del Consiglio
Privato, e trovavasi presente quando i Vescovi furono interrogati
dal Re. Blathwayt giurò di averli uditi riconoscere le loro firme.
Tale testimonianza era decisiva. "Perchè dunque," disse il giudice
Holloway al Procuratore Generale "se avevate cotesta prova, non
l'avete prodotta in principio, senza farci perdere cotanto tempo?"
Allora si conobbe che la difesa della Corona non aveva voluto, senza
assoluto bisogno, valersi di questo modo di prova. Pemberton
interruppe Blathwayt, lo assoggettò ad un contro-esame, ed insistè
perchè raccontasse pienamente tutto ciò ch'era seguito fra il Re e
gli accusati. "Questa è curiosa davvero!" esclamò Williams. "Credete
voi" disse Powis "di potere liberamente fare ai testimoni tutte le
impertinenti domande che vi passano pel capo?" Gli avvocati de'
Vescovi non erano uomini da lasciarsi soverchiare. "Egli ha giurato"
rispose Pollexfen "di dire la verità, e tutta la verità; e a noi fa
mestieri una risposta, e l'avremo." Il testimone si confuse,
equivocò, simulò di fraintendere(1029) la domanda, implorò la
protezione della Corte. Ma era caduto in mani dalle quali non era
facile svincolarsi. Infine il Procuratore Generale s'interpose,
dicendo: "Se voi persistete a fare tali dimande, diteci almeno l'uso
che intendete di farne." Pemberton, il quale in tutto il
dibattimento aveva fatto il debito proprio da uomo coraggioso ed
accorto, rispose senza esitare: "Signori, risponderò al Procuratore,
ed agirò schiettamente con la Corte. Se i Vescovi riconobbero questo
scritto sulla promessa della Maestà Sua che la loro confessione non
verrebbe adoperata come arma a ferirli, spero che l'Accusa non se ne
voglia slealmente giovare." - "Voi attribuite a Sua Maestà una cosa
ch'io non ardisco nominare," disse Williams, "e dacchè vi piace di
essere tanto importuno, chiedo a nome del Re, che se ne prenda
ricordo." - "Che intendete dire, Signore Avvocato Generale?" disse,
interponendosi, Sawyer. "So io quello che dico," rispose lo
apostata; "voglio che nella Corte si prenda ricordo della domanda."
- "Prendete quanti ricordi vi aggrada, io non vi temo, Signore
Avvocato Generale," disse Pemberton. Seguì quindi un rumoroso ed
accanito alterco, che a stento fu fatto cessare dal Capo Giudice. In
altre circostanze probabilmente avrebbe ordinato di prendere ricordo
della domanda, e mandato Pemberton in carcere. Ma in quel gran
giorno egli era impaurito. Spesso gettava gli occhi su quel folto
drappello di Conti e di Baroni, che lo invigilavano, e forse alla
prima apertura del Parlamento potevano essergli giudici. Uno degli
astanti affermò che il Capo Giudice aveva tal viso come se credesse
ciascuno de' Pari ivi presenti avesse nella propria tasca un
capestro(1030).
Finalmente Blathwayt fu costretto a fare un minuto racconto di ciò
che aveva veduto con gli occhi propri. Da quanto egli disse pareva
che il Re non fosse venuto ad espresso patto coi Vescovi. Ma pareva
medesimamente che i Vescovi potessero con tutta ragione credere che
il patto fosse sottinteso. A dir vero, dalla ripugnanza che avevano
i legali della Corona a porre nel banco de' testimoni lo scrivano
del Consiglio, e dalla virulenza con che s'opposero al contro-esame
di Pemberton, chiaro si deduce che avessero la stessa opinione.
Nondimeno rimase provato che la scrittura era de' Vescovi. Ma surse
una nuova e più grave obiezione. Non bastava che i Vescovi avessero
scritto l'allegato libello; era necessario provare che lo avevano
scritto nella Contea di Middlesex(1031). La qual cosa non solo non
potevano provare il Procuratore e l'Avvocato Generale, ma la Difesa
aveva i mezzi di provare il contrario. Imperocchè avvenne che dal
tempo in cui fu pubblicata l'Ordinanza in Consiglio, fino a dopo che
la petizione era stata presentata al Re, Sancroft non fosse nè anche
una volta uscito dal suo palazzo di Lambeth. In tal guisa ruinava al
tutto il fondamento sul quale posava l'Accusa, e l'uditorio con gran
gioia aspettavasi che i Vescovi fossero immediatamente prosciolti.
I legali della Corona di nuovo cangiarono tattica, ed abbandonando
affatto l'accusa d'avere scritto un libello, impresero a provare che
i Vescovi avevano pubblicato un libello nella Contea di Middlessex.
E anche ciò era molto difficile a provare. La consegna della
petizione al Re, indubitabilmente, agli occhi della legge, era lo
stesso che pubblicarla. Ma in che guisa provare siffatta consegna?
Niuno nelle regie stanze s'era trovato presente all'udienza. La
scena era seguita solo tra il Re e gli accusati. Il Re non poteva
essere chiamato in testimonio; non v'era dunque altro mezzo a
provare la cosa che la confessione degli accusati. Indarno Blathwayt
venne nuovamente esaminato. Disse di rammentarsi bene che i Vescovi
avevano riconosciute le loro firme; ma non si ricordava affatto che
confessassero che lo scritto che era sul banco del Consiglio
Privato, fosse quel medesimo che avevano posto nelle mani del Re;
non si ricordava nè anco che venissero sopra ciò interrogati. Furono
chiamati vari altri ufficiali ch'erano di servizio al Consiglio
Privato, e fra essi Samuele Pepys segretario dello Ammiragliato; ma
nessuno di loro potè rammentarsi che si parlasse della consegna.
Nulla valse che Williams accatastasse le domande, finchè la difesa
de' Vescovi dichiarò che tante storture, tante sottigliezze, tanti
cavilli non s'erano mai veduti in nessuna corte di giustizia; e lo
stesso Wright fu costretto a confessare che il modo tenuto dallo
Avvocato Generale nello esame de' testimoni era contrario a tutte le
regole. Come i testimoni, l'uno dopo l'altro, negativamente
rispondevano, gli astanti davano in tali scoppi di riso e grida di
trionfo, che parevano far crollare la sala e che i giudici non
s'attentavano di reprimere.
Finalmente la vittoria de' Vescovi pareva assicurata. Se i loro
difensori si fossero taciuti, la sentenza favorevole sarebbe stata
sicura; perocchè non v'era nessuno attestato che dal più corrotto e
svergognato giudice potesse considerarsi come prova legale della
pubblicazione. Il Capo Giudice incominciava già a favellare ai
giurati, e avrebbe sicuramente loro inculcato di assolvere gli
accusati, allorquando Finch, con somma imprudenza, chiese licenza di
parlare, "Se volete essere ascoltato," disse Wright, "lo sarete: ma
voi non conoscete i vostri interessi." Gli altri difensori fecero si
che Finch tacesse, e pregarono il Capo Giudice a continuare. E già
ricominciava a favellare, allorchè giunse allo Avvocato Generale un
messo, recando la nuova che Lord Sunderland proverebbe la
pubblicazione, e arriverebbe fra un istante alla Corte. Wright
malignamente disse ai difensori non avessero a ringraziare altri che
sè stessi per la nuova piega che erano per prendere le cose. Lo
scoraggiamento si mostrò nello aspetto di ciascuno degli astanti.
Finch per alcune ore fu l'uomo più impopolare del paese. Perchè egli
non si stava seduto come avevano fatto i suoi colleghi, migliori di
lui, Sawyer, Pemberton, e Pollexfen? Il prurito d'immischiarsi in
ogni cosa, e l'ambizione ch'egli aveva di fare un bel discorso
avevano rovinato tutto.
Intanto il Lord Presidente fu condotto in portantina fra mezzo alla
sala. Come egli passava nessuno gli faceva di cappello; e s'udirono
molte voci che lo chiamavano "Papista cane." Giunse alla Corte
pallido e tremante, cogli occhi bassi; e nel fare la sua
deposizione, a quando a quando gli mancava la voce. Giurò che i
Vescovi gli avevano palesato lo intendimento di presentare una
petizione al Re, e che a tal fine erano stati introdotti nelle regie
stanze. Questo fatto congiunto con l'altro, che dopo d'essersi
partiti dalla presenza del Re, fu vista nelle mani di lui una
petizione munita delle loro firme, era tal prova che poteva
ragionevolmente convincere i giurati del fatto della pubblicazione.
La pubblicazione adunque rimase provata. Ma lo scritto in tal guisa
pubblicato era un libello falso, maligno, sedizioso? Fino a questo
punto s'era discusso se un fatto, che ciascuno sapeva esser vero,
potesse provarsi secondo le regole tecniche della scienza legale; ma
adesso la contesa divenne assai più grave. Era necessario esaminare
i limiti della prerogativa e della libertà, il diritto del Re a
dispensare dagli statuti, il diritto de' sudditi a presentare
petizioni a risarcimento di danni. Per tre ore gli avvocati degli
accusati argomentarono con gran forza a difendere i principii
fondamentali della costituzione, e provarono coi Giornali, ovvero
processi verbali della Camera de' Comuni, che i Vescovi avevano
detta la schietta verità quando dimostrarono al Re che la potestà di
dispensare ch'egli voleva arrogarsi, era stata più volte dichiarata
illegale dal Parlamento. Somers fu l'ultimo a perorare. Parlò poco
più di cinque minuti; ma ogni parola che gli usci dalle labbra era
pregna di significanza; e allorquando si assise, la sua reputazione
d'oratore e di giureconsulto costituzionale era stabilita. Esaminò,
una per una, tutte le parole adoperate dall'Accusa per esprimere il
delitto imputato ai Vescovi, e mostrò che ciascuna, sia aggettivo,
sia sostantivo, era affatto impropria. I Vescovi venivano accusati
d'avere scritto e pubblicato un libello falso, maligno, e sedizioso.
Lo scritto loro non era falso; perchè ogni fatto allegato provavano
i Giornali del Parlamento esser vero. Lo scritto non era maligno;
perchè gli accusati non avevano cercato pretesto ad una lotta, ma
erano stati messi dal Governo in posizione tale che dovevano od
opporsi al volere del Re, o violare i più sacri doveri della
coscienza e dell'onore. Lo scritto non era sedizioso; perchè non era
stato sparso dagli scrittori fra la plebe, ma privatamente messo da
loro nelle mani del solo Re; e non era un libello, ma era una
petizione decente, e tale che per le leggi della Inghilterra, anzi
per le leggi di Roma Imperiale, per le leggi di tutti gli Stati
inciviliti, un suddito che si creda gravato, può lecitamente
presentare al Sovrano.
Il Procuratore Generale nella sua risposta fu breve e fiacco. Lo
Avvocato Generale parlò diffusissimamente e con grande acrimonia, e
venne spesso interrotto da' clamori e dai fischi dell'uditorio.
Giunse perfino ad affermare che nessun suddito o corporazione di
sudditi, tranne le Camere del Parlamento, hanno diritto di
presentare petizioni al Re. A tali parole le gallerie divennero
furiose; e lo stesso Capo Giudice rimase attonito alla sfrontatezza
di cotesto giubba-rivoltata.
In fine Wright cominciò a riassumere la questione. Le sue parole
mostravano che la paura ch'egli aveva del Governo era temperata da
quella che gli aveva posta nell'animo un uditorio sì numeroso, sì
illustre e sì grandemente concitato. Disse che non darebbe parere
intorno alla questione della podestà di dispensare, poichè non lo
reputava necessario; che non poteva approvare in gran parte il
discorso dello Avvocato Generale; che i sudditi avevano diritto di
far petizioni, ma che la petizione della quale facevasi dibattimento
nella Corte, era formulata con parole sconvenevoli, e la legge la
considerava come libello. Medesimamente opinò Allybone, ma nel
favellare mostrò tanto grossolana ignoranza della legge e della
storia, da meritarsi il disprezzo di tutti gli astanti. Holloway
scansò la questione della potestà di dispensare, ma disse che la
petizione gli sembrava tale quale i sudditi che si credano gravati
hanno diritto di presentare; e quindi non era un libello. Powell
ebbe anche maggiore ardimento. Confessò che, secondo lui, la
Dichiarazione d'Indulgenza era nulla, e che la potestà di
dispensare, nel modo onde dianzi s'era esercitata, era onninamente
incompatibile con la legge. Se a tali usurpazioni della prerogativa
non si poneva freno, il Parlamento era finito. Tutta l'autorità
legislativa si ridurrebbe nelle mani del Re. "L'esito di questa
faccenda, o Signori," disse egli, "lo lascio a Dio e alla vostra
coscienza(1032)." Era ben tardi quando i giurati si ritrassero
a deliberare. E fu notte di forte ansietà. Ci rimangono alcune delle
lettere che furono scritte in quelle ore di perplessità, e che
perciò hanno per noi speciale interesse. "È assai tardi," scriveva
il Nunzio del Papa, "e la sentenza finora non si conosce. I giudici
e gli accusati se ne sono andati alle loro case. I giurati sono in
sessione. Domani sapremo l'esito di questa gran lotta."
Il patrocinatore de' Vescovi rimase tutta la notte con un numero di
servi nelle scale che conducevano alla stanza dove i giurati
deliberavano. Era impreteribile invigilare gli ufficiali che
guardavano l'uscio; perocchè essendo costoro in sospetto di
favoreggiare la Corona, ove non fossero rigorosamente sorvegliati,
avrebbero potuto apprestare de' cibi a qualche giurato cortigiano,
il quale avrebbe così affamato i colleghi. E però la gente dei
Vescovi faceva stretta guardia. Non fu concesso nè anche
d'introdurre una candela per accendere una pipa. Verso le ore
quattro di mattina si lasciarono passare alcuni vasi d'acqua da
lavarsi; e i giurati, ardendo di sete, la beverono tuttaquanta. Gran
numero di gente si aggirò fino all'alba per le vie circostanti. Ogni
ora giungeva da Whitehall un messo per sapere ciò che facevasi.
Dalla stanza si udivano spesso le voci e gli alterchi de' giurati:
ma non sapevasi nulla di certo(1033).
In sul principio, nove opinavano che non vi fosse colpa, e tre che
la vi fosse. Due della minoranza dopo poco cedettero; ma Arnold
rimaneva ostinato. Tommaso Austin ricchissimo gentiluomo di
campagna, il quale aveva prestata somma attenzione al detto de'
testimoni e alla discussione, ed aveva preso copiosi appunti, voleva
ragionare con Arnold; ma costui nol consentì, dicendo sgarbatamente
ch'egli non era assuefatto ad argomentare e discutere; la sua
coscienza non era satisfatta; e quindi egli non avrebbe dichiarati
innocenti i Vescovi. "Se dite questo," disse Austin, "guardatevi
bene. Io sono il più grasso e il più forte di tutti, e innanzi che
altri mi costringa a chiamare libello simile petizione, mi starò qui
finchè mi sarò ridotto alla grossezza d'una canna da pipa." Erano le
ore sei della mattina, allorquando Arnold cedè. Tosto si sparse la
voce che tutti i giurati erano d'accordo: ma il giudicio era sempre
un segreto(1034).
Alle ore dieci antimeridiane ragunossi di nuovo la Corte. La folla
era immensa. I giurati si assisero ai posti loro. Nessuno osava
alitare, era profondo silenzio.
LV. Sir Samuele Astry disse ai giurati: "Trovate voi gli accusati, o
alcuno di loro, colpevoli del delitto ad essi imputato, o gli
trovate non colpevoli?" Sir Ruggiero Langley rispose: "Non
colpevoli." Appena profferite queste parole, Halifax si alzò e
scosse in aria il cappello. A quel segno, i banchi e le gallerie
diedero in uno scoppio d'applausi. In un momento diecimila persone
accalcate dentro la spaziosa sala risposero con sì fragorose grida
di gioia che ne tremò il vecchio palco di quercia, e un istante dopo
l'innumerevole turba che stava fuori levò tal grido d'allegrezza che
fu udito fino a Temple-Bar, al quale grido risposero le barche che
coprivano il Tamigi. Un tonfo d'arme risonò sul fiume, e poi un
altro ancora, talmente che in pochi momenti la lieta nuova volò ai
quartieri di Savoy e di Blackfriars fino al Ponte di Londra, ed alla
selva di navi che oltre si distende. Come fu sparsa la nuova, le vie
e le piazze, i mercati e i caffè echeggiavano d'acclamazioni. Eppure
queste acclamazioni erano meno strane delle lacrime che si vedevano
negli occhi di tutti: imperocchè i cuori di tutti erano stati
trafitti a tal punto che l'austera natura degl'Inglesi, così poco
avvezzi a mostrare con segni esteriori le interne emozioni, non potè
resistere; e migliaia di persone singhiozzavano lacrimando di gioia.
Infrattanto di mezzo alla folla movevansi uomini a cavallo
dirigendosi per tutte le grandi vie, nunzi della vittoria riportata
dalla Chiesa e dalla patria nostre. E non pertanto l'acre e
intrepido animo dell'Avvocato Generale non impaurì a quella immensa
esplosione. Sforzandosi di farsi udire, non ostante i clamori,
richiese che i giudici facessero arrestare coloro, i quali con grida
sediziose avevano violata la dignità del tribunale. I giudici fecero
arrestare un popolano; ma pensando che sarebbe assurdo il punire un
solo individuo per un delitto di cui erano rei centinaia di
migliaia, lo mandarono via con una lieve riprensione(1035).
Era inutile in quel momento pensare a qualunque altra cosa. E
davvero i clamori della moltitudine erano tali, che per una mezza
ora non fu possibile dire una sola parola nella Corte. Williams
giunse alla sua vettura fra mezzo a una tempesta di fischi e
d'imprecazioni. Cartwright, che non poteva frenare la propria
curiosità, aveva avuta la stoltezza e la impudenza di recarsi a
Westminster per udire la sentenza. Agli abiti sacerdotali e alla
corpulenza fu riconosciuto, e fischiato passando per la sala.
"Badate" diceva uno "al lupo sotto veste d'agnello." - "Fate largo"
esclamò un altro "all'uomo che ha il papa nel ventre(1036)."
I prelati, a fin d'evitare la folla che chiedeva la loro
benedizione, si rifugiarono dentro la più vicina cappella, dove si
celebravano gli uffici divini. Quel dì molte chiese erano aperte in
tutta la metropoli, alle quali accorreva gran numero di persone pie.
Le campane di tutte le parrocchie nella città e ne' luoghi
circostanti sonavano a festa. Intanto i giurati non sapevano
distrigarsi dalla calca per uscire dalla sala. Erano costretti a
stringere le mani a centinaia. "Dio ve ne renda merito," esclamava
la gente; "Dio protegga le vostre famiglie; vi siete portati da
onesti e buoni gentiluomini; oggi voi ci avete salvato tutti." Come
i nobili, i quali erano intervenuti alla udienza per proteggere la
buona causa, si rimisero in carrozza, spargevano dagli sportelli
pugni di monete fra il popolo, dicendogli bevesse alla salute del
Re, de' Vescovi, e dei Giurati(1037).
Il Procuratore Generale recò la trista nuova a Sunderland, il quale
per avventura in quell'ora stavasi conversando col Nunzio. "Non vi
sono state mai a memoria d'uomo" disse Powis "grida e lacrime di
gioia come quelle d'oggi(1038)." Il Re in quel giorno era andato a
visitare il campo in Hounslow Heath. Sunderland subitamente spedì un
messo a dare la nuova a Giacomo, il quale in quello istante
trovavasi entro la tenda di Feversham. Ne rimase estremamente
turbato; esclamò in francese: "Peggio per loro!" e partì tosto per
Londra. Presente lui, la riverenza impedì ai soldati la libera
espansione de' loro cuori; ma appena egli si discostò dal campo,
furono udite alte acclamazioni. Ne rimase maravigliato, e chiese che
significasse quel frastuono. "Non è nulla," gli fu risposto: "i
soldati tripudiano per la liberazione de' Vescovi." - "E voi
chiamate nulla ciò?" disse Giacomo. E ripetè: "Peggio per
loro(1039)."
Ed aveva bene ragione d'essere di cattivo umore. La sua sconfitta
era stata piena ed umiliantissima. Se i prelati si fossero sottratti
alla condanna per difetto di forma nella procedura, o perchè non
avevano scritta la petizione in Middlessex, o perchè era stato
impossibile provare che avevano posto nelle mani del Re lo scritto
pel quale la Corona gli aveva chiamati in giudizio, la prerogativa
regia non avrebbe patito detrimento. Ma fu insigne ventura pel paese
che il fatto della pubblicazione venisse pienamente provato. La
Difesa quindi era stata costretta a combattere contro la potestà di
dispensare, e l'aveva combattuta con audacia, dottrina ed eloquenza.
Gli avvocati del Governo, come tutti vedevano, erano stati vinti
nella contesa. Nemmeno un solo dei giudici erasi rischiato ad
asserire che la Indulgenza fosse legale, chè anzi uno di loro
l'aveva con forti parole dichiarata illegale. La nazione intera ad
una voce diceva che la potestà di dispensare aveva ricevuto un colpo
fatale. Finch, che il giorno precedente era stato universalmente
vituperato, adesso ebbe plausi universali. Dicevasi ch'egli non
aveva fatto decidere la causa in un modo che avrebbe lasciata nel
dubbio la grande questione costituzionale: imperocchè una sentenza
che avesse assoluto i suoi clienti, senza condannare la
Dichiarazione d'Indulgenza, sarebbe stata una mezza vittoria. Vero è
che Finch non meritava nè il biasimo che gli fu dato mentre l'esito
della causa era ancora dubbio, nè le lodi che gli profusero dopo che
l'esito fu prospero. Era assurdo vituperarlo, perchè, nel breve
indugio di cui egli fu cagione, i legali della Corona scoprirono
inaspettatamente novelle prove. Era egualmente assurdo supporre
ch'egli per calcolo esponesse i suoi clienti al pericolo a fine di
stabilire un principio generale: ed era anche più assurdo
commendarlo di ciò che sarebbe stato violare gravemente il dovere
della sua professione.
A quel lieto giorno seguì una notte di non minore letizia. I
Vescovi, ed alcuni de' loro più rispettabili amici, indarno
sforzaronsi d'impedire ogni tumultuoso festeggiamento. Giammai a
memoria de' più vecchi, nè anche in quella sera nella quale si
sparse per tutta Londra la nuova che lo esercito di Scozia erasi
dichiarato a favore d'un libero Parlamento, giammai le vie della
città s'erano viste così splendenti di fuochi di gioia. Attorno ad
ogni luminaria la folla beveva alla salute de' vescovi ed alla
confusione de' Papisti. Le finestre erano illuminate con file di
candele; ciascuna fila ne aveva sette, e il torcetto di mezzo che
s'inalzava fra tutte, simboleggiava il Primate. S'udiva di continuo
lo scoppio delle bombe e delle arme da fuoco. Una catasta di fascine
ardeva di faccia alla porta maggiore di Whitehall; altre dinanzi
alle case de' Pari Cattolici Romani. Lord Arundell di Vardour
saviamente abbonì la marmaglia facendo distribuire un po' di moneta.
Ma nel palazzo Salisbury nello Strand si provarono di fare
resistenza. I servi di Lord Salisbury uscirono fuori e fecero fuoco;
uccisero soltanto lo scaccino della parrocchia ch'era lì per
ispengere le fiamme, e subito sconfitti furono ricacciati nel
palazzo. Nessuno degli spettacoli di quella notte diede tanto
sollazzo alla plebe quanto uno al quale pochi anni prima era
assuefatta, e che adesso volle rinnovellare, voglio dire il
bruciamento della effigie del Papa. Questo spettacolo, che un tempo
era famigliare, è oggimai da noi conosciuto solamente per mezzo di
descrizioni e d'incisioni. Una figura, in nulla somiglievole alle
rozze immagini di Guido Faux che ai tempi nostri si conducono in
processione il dì 5 novembre, ma fatta di cera con una certa arte, e
adorna, con spesa non lieve, degli abiti pontificali e della tiara,
era posta sopra una sedia somigliante a quella sulla quale i vescovi
di Roma nelle grandi solennità vengono condotti in San Pietro fino
allo altare maggiore. Sua Santità era generalmente accompagnata da
un corteo di Cardinali e di Gesuiti. Gli stava accanto,
chinandoglisi all'orecchio, un buffone travestito da demonio con le
corna e la coda. Non vi era Protestante ricco e zelante che si
mostrasse avaro di dare la sua ghinea per tal festa; e se debbasi
credere alla voce popolare, la spesa della processione talvolta
ascendeva a mille lire sterline. Dopo che la immagine del Papa era
stata solennemente condotta per alcune ore fra mezzo alla folla, era
data alle fiamme tra le fragorose acclamazioni degli astanti. Finchè
durò la popolarità di Oates e di Shaftesbury questa cerimonia ebbe
luogo ogni anno il dì natalizio della Regina Elisabetta, in
Fleet-Street, di faccia alle finestre del Circolo Whig. Ed era tanta
la celebrità di cotesto grottesco spettacolo, che Barillon una volta
pose a repentaglio la propria vita, sporgendo la persona, per meglio
vederlo, da un luogo ove erasi nascosto(1040). Ma dal giorno in cui
fu scoperta la congiura di Rye House fino a quello in cui furono
assoluti i sette Vescovi, la cerimonia era caduta in disuso. Adesso,
nondimeno, vari fantocci rappresentanti il Papa si videro in varie
parti di Londra. Il Nunzio ne rimase scandalizzato, e il Re sentì
questo insulto più di tutti gli affronti fino allora ricevuti. I
magistrati non poterono porvi impedimento alcuno. La domenica
albeggiava, e le campane delle Chiese parrocchiali chiamavano i
devoti alle preci mattutine, quando i fuochi cominciavano ad
estinguersi e la folla a disperdersi. Fu allora promulgato un editto
contro i perturbatori; molti de' quali - ed erano per la più parte
giovani di bottega - furono arrestati; ma alle sessioni di
Middlesex(1041) i giurati dichiararono non esservi luogo a
procedere. I magistrati, molti de' quali erano cattolici romani,
rimproverarono il Gran Giury, e gli rimandarono tre o quattro volte
gl'incolpati, ma non poterono ottenere nulla(1042).
LVI. Intanto la lieta nuova giungeva a volo in ogni parte del Regno,
e dovunque era ricevuta con gioia. Gloucester, Bedford, e Linchfield
mostrarono grande zelo: ma Bristol e Norwich, che per popolazione e
ricchezza erano dopo Londra le prime, furono solo a Londra seconde
per l'entusiasmo con che celebrarono il lieto evento.
La persecuzione de' Vescovi è un evento che sta da sè nella nostra
storia. Esso fu il primo ed ultimo(1043) fatto in cui due sentimenti
tremendamente potenti, due sentimenti che per lo più si sono
vicendevolmente avversati, e ciascuno de' quali, qualvolta sono
venuti in forte concitamento, è bastato a sconvolgere lo Stato,
erano congiunti in perfetta armonia. Questi sentimenti erano lo
affetto per la Chiesa e lo affetto per la libertà. Pel corso di
molte generazioni ogni violento scoppio del sentimento per la Chiesa
Anglicana è stato sempre, tranne una sola volta, avverso alla
libertà civile; ogni violento scoppio di zelo per la libertà è stato
sempre, tranne una sola volta, avverso all'autorità ed influenza
della prelatura e del elencato. Nel 1688 la causa della gerarchia fu
per un istante identica a quella del popolo. Novemila e più
ecclesiastici capitanati dal Primate e da' suoi più spettabili
suffraganei, si mostrarono pronti a soffrire la carcere e la perdita
degli averi per difendere il gran principio fondamentale della
nostra costituzione. Ne nacque una coalizione che comprendeva i più
zelanti Cavalieri, i più zelanti repubblicani, e tutte le classi
intermedie del popolo. Il coraggio che nella precedente generazione
aveva sostenuto Hampden, il coraggio che nella generazione
susseguente sostenne Sacheverell, si congiunsero insieme per
sostenere l'Arcivescovo il quale era Hampden e Sacheverell in una
sola persona. Le classi della società che hanno maggiore interesse a
mantenere l'ordine, che in tempi di politici commovimenti sono
sempre pronte a rafforzare il braccio al Governo, e che naturalmente
abborrono gli agitatori, si lasciarono, senza scrupolo, guidare
dall'uomo venerabile, che era primo Pari del Regno, primo ministro
della Chiesa, Tory in politica, santo per costumi; uomo che la
tirannide, malgrado lui, aveva fatto diventare demagogo. Coloro,
dall'altra banda, i quali avevano sempre abborrito l'Episcopato,
come rimasuglio del Papismo, e come strumento del potere assoluto,
domandavano ora colle ginocchia inchine la benedizione di un
prelato, che era pronto a soffrire la carcere e posare le stanche
sue membra sulla nuda terra, più presto che tradire gl'interessi
della Religione protestante e porre la prerogativa disopra alla
legge. Allo amore della Chiesa ed all'amore della libertà era
congiunto, in questa gran crisi, un altro sentimento che va
annoverato fra le più pregievoli peculiarità del nostro carattere
nazionale. Un individuo oppresso dal Governo, ove anche non abbia il
minimo diritto alla riverenza ed alla gratitudine pubblica,
generalmente desta simpatia nel popolo nostro. Così, al tempo degli
avi nostri, la persecuzione di Wilkes bastò a porre sossopra la
nazione. Noi stessi l'abbiamo veduta agitarsi quasi fino alla
insania pe' torti fatti alla Regina Carolina. È quindi probabile che
quando anche al processo contro i vescovi non fosse stato annesso un
grande interesse politico e religioso, la Inghilterra non avrebbe
veduto, senza sentirsi fortemente mossa ad ira e pietà, sette
vegliardi di intemerata virtù perseguitati dalla vendetta d'un
temerario ed inesorabile Principe, il quale doveva alla fedeltà loro
la Corona ch'egli portava.
Animati da cosiffatti sentimenti, i nostri antichi ordinaronsi in
vasta e stretta falange contro il Governo. Comprendeva tutti i
Protestanti di qual si fosse grado, partito o setta. Nella
vanguardia stavano i Lordi spirituali e secolari. Li seguivano i
gentiluomini possidenti e il clero, entrambe le Università, tutte le
corti di giustizia, i mercanti, i bottegaj, i fattori, i facchini
delle grandi città, i contadini che lavoravano la terra. La lega
contro il Re comprendeva gli ufficiali che comandavano sulle navi,
le sentinelle che guardavano il suo palazzo. I nomi di Whig(1044) e
di Tory furono per un momento posti in oblio. Il vecchio
Esclusionista stringeva la mano al vecchio abborrente. Episcopali,
Presbiteriani, Indipendenti, Battisti dimenticarono le loro lunghe
contese, per ricordarsi soltanto della comune fede protestante e del
pericolo comune. I teologi educati nella scuola di Laud parlavano a
voce alta non solo di tolleranza, ma di comprensione. Lo Arcivescovo
poco dopo d'essere stato assoluto pubblicò certa lettera pastorale
che è uno dei più notevoli componimenti di quella età. Fino dagli
anni suoi primi aveva combattuto contro i Non-Conformisti, e gli
aveva più volte assaliti con ingiusta e poco cristiana acrimonia. La
sua principale opera era indecente caricatura della teologia
calvinista(1045). Aveva composto pei dì 14 gennaio e 29 maggio certe
preci, le quali toccavano de' Puritani con parole sì ostili, che il
Governo aveva reputato necessario temperarle. Ma adesso il suo cuore
si era addolcito ed aperto. Solennemente ingiunse ai Vescovi e al
clero, usassero estrema benevolenza ai loro confratelli
Dissenzienti, li visitassero spesso, ospitalmente li trattassero,
cortesemente con essi conversassero, gli persuadessero, se fosse
possibile, ad uniformarsi alla Chiesa Anglicana; ma se non fosse
possibile, si congiungessero loro con sincero e cordiale affetto a
propugnare la benedetta causa della Riforma(1046). Molti
uomini pii negli anni susseguenti ripensavano con amaro desiderio a
quell'epoca. La dipingevano come la breve alba di una età d'oro fra
due età di ferro. Tali lamenti, comecchè fossero naturali, non erano
ragionevoli. La coalizione del 1688 nacque, e potè nascere, solo
dalla tirannide ch'era quasi frenesia, e dal pericolo che minacciava
a un tempo tutte le grandi istituzioni del paese. Se poscia non vi è
stata mai una somigliante colleganza, egli è perchè non vi è mai
stato simile pessimo governo. È mestieri rammentare, che quantunque
la concordia sia in sè migliore della discordia, la discordia può
indicare un migliore cammino di quello che indichi la concordia. Le
calamità e i pericoli soventi volte stringono gli uomini a
collegarsi. La prosperità e la sicurezza spesso gli spingono a
separarsi.
CAPITOLO NONO.
SOMMARIO.
I. Mutamento nell'opinione de' Tory circa la legalità della
Resistenza. - II. Russell propone al Principe d'Orange uno sbarco in
Inghilterra. - III. Enrico Sidney. - IV. Devonshire; Shrewsbury;
Halifax. - V. Danby. - VI. Il Vescovo Compton - VII. Nottingham;
Lumley - VIII. Invito mandato a Guglielmo. - IX. Condotta di Maria.
- X. Difficoltà della impresa di Guglielmo. - XI. Condotta di
Giacomo dopo il Processo dei Vescovi. - XII. Destituzioni e
Promozioni. - XIII. Procedimenti nell'Alta Commissione; Spart
rinunzia al suo ufficio. - XIV Malcontento del Clero; Affari
d'Oxford. - XV. Malcontento de' Gentiluomini. - XVI. Malcontento
dello Esercito. - XVII. Arrivo delle truppe Irlandesi; indignazione
pubblica. - XVIII. Lillibullero - XIX. Politica delle Provincie
Unite. - XX. Errori del Re di Francia. - XXI. Sua contesa col Papa
rispetto alle Franchigie. - XXII. Lo Arcivescovato di Colonia. -
XXIII. Destrezza di Guglielmo - XXIV. Suoi apparecchi militari e
navali. - XXV. Gli giungono dalla Inghilterra numerose assicurazioni
di soccorso. - XXVI. Sunderland. - XXVII. Ansietà di Guglielmo;
Ammonimenti dati a Giacomo. - XXVIII. Sforzi di Luigi per salvare
Giacomo. - XXIX. Giacomo li rende vani. - XXX. Le armi francesi
invadono la Germania. - XXXI. Guglielmo ottiene la Sanzione degli
Stati Generali alla sua impresa. - XXXII. Schomberg; Avventurieri
Inglesi all'Aja. - XXXIII. Manifesto di Guglielmo - XXXIV. Giacomo
si scuote alla presenza del pericolo; suoi mezzi marittimi. - XXXV.
Suoi mezzi militari. - XXXVI. Tenta di rendersi benevoli i sudditi.
- XXXVII. Dà udienza ai Vescovi. - XXXVIII. Le sue concessioni sono
mal ricevute. - XXXIX. Prove della nascita del Principe di Galles
presentate al Consiglio Privato. - XL. Disgrazia di Sunderland. -
XLI. Guglielmo prende commiato dagli Stati d'Olanda. - XLII.
S'imbarca, fa vela, ed è ricacciato addietro da una tempesta. -
XLIII. Il suo Manifesto giunge in Inghilterra; Giacomo interroga i
Lordi. - XLIV. Guglielmo fa vela di nuovo. - XLV. Passa lo Stretto.
- XLVI. Approda a Torbay. - XLVII. Entra in Exeter. - XLVIII.
Colloquio del Re coi Vescovi. - XLIX. Tumulti in Londra. - L. Uomini
d'alto grado cominciano ad accorrere al Principe. - LI. Lovelace. -
LII. Colchester; Abingdon. - LIII Diserzione di Cornbury. - LIV.
petizione de' Lordi per la convocazione del Parlamento. - LV. Il Re
va a Salisbury. - LVI. Seymour; Corte di Guglielmo in Exeter. -
LVII. Insurrezione nelle Contrade Settentrionali. - LVIII.
Scaramuccia in Wincanton. - LIX. Diserzione di Churchill e di
Grafton - LX. Lo esercito regio si ritira da Salisbury. - LXI.
Diserzione del Principe Giorgio e di Ormond. - LXII. Fuga della
Principessa Anna. - LXIII. Giacomo convoca un Consiglio di Lordi. -
LXIV. Nomina una Commissione per trattare con Guglielmo - LXV. È una
finzione. - LXVI. Dartmouth ricusa di mandare il Principe di Galles
in Francia. - LXVII. Agitazione di Londra. - LXVIII. Proclama
apocrifo. - LXIX. Insurrezione in varie parti del paese. - LXX.
Clarendon si reca presso il Principe in Salisbury; Dissenzione nel
campo del Principe. - LXXI. Il Principe giunge a Hungerford;
Scaramuccia in Reading; La Commissione del Re arriva a Hungerford. -
LXXII. Negoziati. - LXXIII. La Regina e il Principe di Galles sono
mandati in Francia; Lauzun. - LXXIV. Il Re s'apparecchia a fuggire.
- LXXV. Sua fuga.
I. Il processo vinto da' Vescovi non fu il solo evento che fa del
giorno decimoterzo di giugno 1688 una grande epoca nella storia. In
quel dì, mentre le campane di cento chiese sonavano a festa, mentre
numerose turbe di popolo affaccendavansi da Hyde-Park a Mile-End a
fare fuochi di gioia ed ardere le immagini del Papa per celebrare la
memoranda notte, fu spedito da Londra all'Aja un documento quasi
quanto la Magna Charta importantissimo alle libertà della
Inghilterra.
La persecuzione de' Vescovi, e la nascita del Principe di Galles
avevano prodotto un grande rivolgimento nell'opinione di molti Tory.
Nel momento stesso, in cui la loro Chiesa pativa gli ultimi eccessi
di danno e d'insulto, vedevansi costretti a perdere ogni speranza di
pacifica liberazione. Fino allora s'erano lusingati che la prova
alla quale era stata posta la lealtà loro, quantunque severa,
sarebbe temporanea, e che alle loro doglianze, verrebbe resa
giustizia senza che si rompesse il corso ordinario della successione
al trono. Adesso ravvisavano le cose in modo assai diverso. Per
quanto potessero addentrare lo sguardo nel futuro, altro non
vedevano che il mal governo degli ultimi tre anni prolungarsi a
tempo indefinito. La cuna dello erede presuntivo della Corona era
circondata di Gesuiti; i quali con sommo studio gli avrebbero nella
mente infantile istillato odio mortale contro quella Chiesa di cui
un giorno ei sarebbe stato capo, odio ispiratore di tutta la sua
vita, e ch'egli avrebbe trasmesso ai suoi successori. A questo
spettacolo di calamità non era confine; estendevasi al di là della
vita del più giovane de' viventi, al di là del secolo decimottavo.
Nessuno avrebbe potuto asserire per quante generazioni i Protestanti
sarebbero dannati a gemere sotto una oppressura, la quale, anche
allorchè reputavasi breve, era stata quasi insopportabile.
I più illustri fra' dottori anglicani di quell'epoca avevano
insegnato come nessuna infrazione di legge o di contratto, nessuno
eccesso di crudeltà, di rapacità, di licenza, dalla parte del Re
legittimo, bastasse a giustificare la resistenza che il popolo
potrebbe opporre alla forza di lui. Taluni di loro s'erano piaciuti
di mostrare la dottrina della non-resistenza in una forma cotanto
esagerata da scandalizzarne il buon senso del genere umano. Spesso e
con veemenza notavano che Nerone era capo del Governo Romano, mentre
San Paolo inculcava il debito d'ubbidire ai magistrati. La
conseguenza che ne deducevano era, che se un Re inglese, senza
autorità di legge ma a suo libito, perseguitasse i propri sudditi
ripugnanti ad adorare gli idoli; se li gettasse fra mezzo ai leoni
nella Torre; se, coprendoli d'una veste di pece, gli bruciasse per
illuminare il Parco di San Giacomo, e procedesse con siffatte stragi
fino a lasciare intere città e Contee senza un solo abitante, i
sopravviventi sarebbero tuttavia tenuti a sottomettersi, e lasciarsi
sbranare o arrostire vivi senza opporre la più lieve resistenza. Gli
argomenti addotti a sostenere cotesta sentenza erano futilissimi; ma
al difetto di solidi argomenti suppliva l'onnipotente sofisticare
dello interesse e della passione. Molti scrittori si sono
maravigliati che gli alteri Cavalieri d'Inghilterra potessero
mostrarsi caldi difensori per la più servile dottrina che sia mai
stata fra gli uomini. Vero è che essa in principio era pel Cavaliere
tutt'altro che servile; per l'opposto tendeva a renderlo non
schiavo, ma libero e signore di sè; lo esaltava esaltando il Re
ch'egli considerava suo protettore, suo amico, e capo del suo
diletto partito e della sua dilettissima Chiesa. Mentre i
Repubblicani dominavano, il Realista aveva sofferto danni ed
insulti, de' quali, mercè la restaurazione del governo legittimo,
egli aveva potuto prendersi la rivincita. Nella sua mente quindi la
idea della ribellione richiamava quella di degradazione e servaggio,
e la idea di autorità monarchica, quella di libertà e predominio.
Non gli era mai venuto in capo che potesse giungere il tempo in cui
un Re, uno Stuardo, perseguiterebbe i più leali del clero e de'
gentiluomini con animosità maggiore di quella Coda del Parlamento e
del protettore. Eppure siffatto tempo era giunto. Adesso era da
vedersi con che modo la pazienza che gli aderenti della Chiesa
confessavano d'avere imparata negli scritti di San Paolo
resisterebbe alla prova d'una persecuzione da non paragonarsi alla
severissima di Nerone. Lo evento fu tale che ciascuno, il quale per
poco conoscesse la natura umana, avrebbe di leggieri predetto.
L'oppressione fece sollecitamente ciò che la filosofia e la
eloquenza non avevano potuto fare. Il sistema di Filmer avrebbe
potuto sopravvivere agli assalti di Locke: ma non si riebbe mai dal
colpo mortale datogli da Giacomo.
Quella logica, la quale, mentre veniva adoperata a provare che i
Presbiteriani e gl'Indipendenti avrebbero dovuto sopportare
mansuetamente la prigione e la confisca, era stata giudicata tale da
non ammettere risposta, parve di pochissimo peso allorquando fu
questione di sapere se i Vescovi Anglicani dovevano essere
imprigionati, e le rendite de' Collegi Anglicani confiscate. Era
stato soventi volte ripetuto da' pergami di tutte le cattedrali del
paese, che il precetto apostolico di obbedire ai magistrati civili
fosse assoluto ed universale, e che fosse empia presunzione
nell'uomo il volere limitare un precetto al quale non aveva posto
limite alcuno la parola di Dio. E nondimeno adesso i teologi, la cui
sagacità stimolavano gl'imminenti pericoli ne' quali trovavansi di
essere privati de' loro benefizi e prebende per fare posto ai
papisti, trovavano vizioso il ragionamento dianzi reputato
convincentissimo. La morale della scrittura non era da interpretarsi
come gli Atti del Parlamento, o i trattati de' casisti delle scuole.
E davvero chi de' cristiani porse mai la guancia sinistra al
malfattore che lo aveva percosso nella destra? Chi de' cristiani
diede mai il suo mantello ai ladri che gli avevano rubato la veste?
Sì nel Vecchio che nel Nuovo Testamento le regole generali erano
sempre scritte senza eccezioni. A mo' d'esempio, il precetto
generale di non uccidere non era accompagnato dalla eccezione che
giustifica il guerriero che uccida altri a difesa del suo Re e della
sua patria. Il generale precetto di non giurare non era accompagnato
da nessuna eccezione a favore del testimonio che giuri di dire il
vero dinanzi ai giudici. E nondimeno la legalità della guerra
difensiva e del giuramento giudiciale era impugnata solo da pochi
oscuri settari, e positivamente affermata negli articoli della
Chiesa Anglicana. Tutti gli argomenti i quali dimostravano che il
Quacquero, ricusando di servire nella milizia o di baciare il
Vangelo, era irragionevole e perverso, potevan rivolgersi contro
coloro che negavano ai sudditi il diritto(1047) di resistere con la
forza alla eccessiva tirannia. Se ammettevasi che le autorità
bibliche che proibivano l'omicidio e quelle che proibivano il
giuramento, comunque espresse in forma generale, dovevano essere
interpretate in subordinazione al gran comandamento che ingiunge ad
ogni uomo il debito di promuovere il bene del prossimo, e
siffattamente interpretate non si trovavano applicabili ai casi in
cui l'omicidio e il giuramento potrebbe essere assolutamente
necessario a proteggere i più gravi interessi della società, non era
agevole negare che le autorità bibliche che inibivano la resistenza
si dovessero interpretare nel modo medesimo. Se allo antico popolo
di Dio era stato talvolta ordinato di distruggere la vita umana e
tal altra d'obbligarsi per sacramento, talvolta gli era stato anche
ordinato di resistere ai principi malvagi. Se i primitivi Padri
della Chiesa avevano in varie occasioni detto parole, che sembravano
sottintendere la riprovazione della resistenza, avevano parimente in
altre occasioni usato parole che sembravano sottintendere la
riprovazione d'ogni guerra e d'ogni giuramento. E veramente la
dottrina della obbedienza passiva, quale insegnavasi in Oxford sotto
il regno di Carlo II, può dedursi dalla Bibbia soltanto con un modo
d'interpretazione che irresistibilmente ci condurrebbe alle
conclusioni di Barclay e di Penn.
E' non era solo per mezzo degli argomenti tratti dalla lettera delle
Sante Scritture che i teologi anglicani, negli anni che
immediatamente seguirono alla Restaurazione, si studiavano di
provare la loro prediletta dottrina. Aveano tentato dimostrare, che,
quando anche(1048) la rivelazione non avesse parlato, la ragione
avrebbe insegnato ai savi uomini essere iniqua e insana ogni
resistenza al Governo stabilito. Universalmente ammettevasi che
cosiffatta resistenza, tranne nei casi estremi, non era
giustificabile. Ma chi avrebbe osato stabilire il confine fra i casi
estremi e gli ordinari? V'era egli governo al mondo sotto cui non
fossero malcontenti e faziosi i quali potessero dire, e forse
pensare, che le loro doglianze costituissero un caso estremo? Se
fosse stato possibile stabilire una regola chiara ed esatta che
inibisse agli uomini di ribellarsi contro Trajano, e ad un tempo
desse loro libertà di ribellarsi contro Caligola, tale regola
sarebbe stata sommamente benefica. Ma siffatta regola non v'è stata
nè vi sarà mai. Dire che la ribellione fosse legittima, date certe
circostanze, senza esattamente definirle, era come si dicesse che a
ciascuno era lecito ribellarsi tutte le volte che lo reputasse
opportuno; ed una società nella quale ciascuno potesse ribellarsi
ogni qual volta lo reputasse opportuno, sarebbe più infelice d'una
società governata dal più crudele e sfrenato despota. Era quindi
mestieri di mantenere in tutta la sua interezza il gran principio
della non-resistenza. Forse potevano addursi casi peculiari ne'
quali la resistenza tornasse utile ad un popolo: ma generalmente era
meglio che un popolo tollerasse con pazienza un cattivo governo,
anzi che alleggiarsi violando una legge dalla quale dipendeva la
sicurtà d'ogni governo.
Cotesti ragionamenti di leggieri potevano persuadere un partito
dominante e felice, ma non potevano sostenere lo esame di cervelli
fortemente concitati dalla ingiustizia e ingratitudine del principe.
Egli è vero che è impossibile stabilire lo esatto confine fra la
resistenza legittima e la illegittima: ma tale impossibilità sorge
dalla natura stessa del diritto e del torto, e si trova pressochè in
ciascuna parte della Scienza Morale. Una buona azione non è distinta
da una cattiva coi segni chiari che distinguono una figura esagona
da una quadra. V'è un punto in cui la virtù e il vizio si confondono
insieme. E chi ha potuto mai additare con esattezza il limite tra il
coraggio e la temerità, tra la prudenza e la codardia, tra la
liberalità e la prodigalità? Chi ha potuto mai dire fino a che punto
debba giungere la mercè verso gli offensori, e quando cessi di
meritare tal nome e diventi perniciosa debolezza? Quale casista o
legislatore ha potuto mai rettamente definire i confini del diritto
della propria difesa? Tutti i nostri giureconsulti sostengono che
una certa misura di pericolo di vita o di perdita di membra
giustifica un uomo ad uccidere l'aggressore: ma hanno disperato di
poter descrivere con precisi vocaboli, quanta e quale debba essere
la misura del pericolo. Dicono soltanto che non debba essere lieve
pericolo; ma un pericolo tale che dia grave timore ad un uomo di
spirito fermo; e chi oserebbe dire quale sia questo timore che
meriti d'essere chiamato grave, o qual sia la precisa tempra dello
spirito che meriti il nome di fermo? Senza dubbio è cosa
increscevole che l'indole de' vocaboli e quella delle cose non
ammettano leggi più accurate: nè è da negarsi che male possono
operare gli uomini qualvolta sono giudici in causa propria, e
procedere con subito impeto alla esecuzione del proprio giudicio. E
nulladimeno chi per ciò interdirebbe(1049) la propria difesa? Il
diritto che ha un popolo di resistere ad un cattivo governo, ha
stretta analogia col diritto che un individuo, privo di protezione
legale, ha ad uccidere lo aggressore. In ambi i casi il male deve
essere grave. In ambi i casi ogni regolare e pacifico modo di difesa
deve essere esaurito pria che la parte offesa si appigli ad un
partito estremo. In ambi i casi s'incorre in terribile
responsabilità. In ambi i casi la prova grava sulla coscienza di
colui che s'appiglia ad uno espediente sì disperato; ed ove non
riesca a difendersi, va giustamente soggetto alla più severe pene.
Ma in nessun caso potremmo assolutamente negare la esistenza del
diritto. Un uomo aggredito dagli assassini, non è tenuto a lasciarsi
torturare o scannare senza far uso delle proprie armi per la ragione
che nessuno ha mai potuto con precisione definire la misura del
pericolo che giustifica l'omicidio. Nè una società è tenuta a
sopportare passivamente gli eccessi della tirannide per la ragione
che nessuno ha mai potuto precisamente definire la misura del mal
governo che giustifica la ribellione.
Ma poteva ella la resistenza degli Inglesi ad un principe quale era
Giacomo chiamarsi propriamente ribellione? Egli è vero che i
migliori discepoli di Filmer sostenevano non esservi differenza
veruna tra l'ordinamento politico della patria nostra e quello della
Turchia, e che se il Re non confiscava il contenuto di tutte le
casse che erano in Lombard-Street, e non mandava i muti a recare il
capestro a Sancroft e ad Halifax, ciò era solo perchè egli era sì
benigno da non usare tutta la potestà datagli da Dio. Ma la maggior
parte de' Tory, quantunque nel fervore del conflitto potessero
adoperare parole che sembrassero approvare coteste enormi dottrine,
abborrivano cordialmente il dispotismo. Agli occhi loro il governo
inglese era una monarchia limitata. E come potrebbe chiamarsi
limitata una monarchia ove non si possa mai, nè anche come unico ed
estremo mezzo, adoperare la forza a fine di mantenere tali
limitazioni? In Moscovia, dove per virtù della costituzione dello
Stato il sovrano era assoluto, poteva con qualche apparenza di vero
sostenersi che, per qualunque eccesso egli commettesse, aveva
diritto, giusta i principii della religione cristiana, ad essere
obbedito da' suoi sudditi. Ma tra noi principe e popolo erano
vicendevolmente vincolati dalle leggi. Giacomo adunque era colui il
quale rendevasi meritevole del castigo minacciato a coloro che
insultassero la potestà costituita. Giacomo era colui che resisteva
ai comandamenti di Dio; che ricalcitrava contro l'autorità
legittima, alla quale doveva sottoporsi, non solo per timore, ma per
coscienza, e che, secondo il vero senso delle parole di Cristo, non
rendeva a Cesare ciò che era di Cesare.
Mossi da simiglianti considerazioni, i più illustri e savi fra i
Tory incominciarono ad accorgersi d'avere troppo stiracchiata la
dottrina della obbedienza passiva. La differenza fra costoro e i
Whig rispetto agli obblighi vicendevoli del Re e dei sudditi cessò
allora d'essere una differenza di principio. Certo rimanevano per
anche molte storielle controversie tra il partito che da lungo tempo
aveva propugnato la legalità della resistenza e i nuovi convertiti.
La memoria del Martire beato seguitava ad essere quanto mai riverita
da que' vecchi Cavalieri, i quali erano pronti a impugnare le armi
contro il degenere figlio, e seguitavano ad abborrire il Lungo
Parlamento, la Congiura di Rye House, e la insurrezione delle
contrade Occidentali. Ma non ostante i loro pensamenti intorno al
passato, il modo onde ravvisavano il presente era identico a quello
de' Whig: imperocchè ammettevano che la estrema oppressione potesse
giustificare la resistenza, ed affermavano che la oppressione, sotto
la quale la nazione allora gemeva, era estrema(1050).
Nulladimeno non è da supporsi che tutti i Tory, anche in quelle
circostanze, abbandonassero un domma che fino da fanciulli avevano
imparato a considerare come parte essenziale della dottrina
cristiana, che avevano per molti anni con veemente ostentazione
professato, e tentato di propagare per mezzo della persecuzione.
Molti manteneva fermi nei principii loro la coscienza, e molti il
rossore. Ma la maggior parte, anche di coloro che seguitavano
tuttavia a credere illegale ogni resistenza al sovrano, inchinavano,
nel caso d'un conflitto civile, a tenersi neutrali. Nessuna
provocazione gli avrebbe tratti a ribellare: ma ove la ribellione
scoppiasse, non sembra che si reputassero tenuti a combattere per
Giacomo II come avevano combattuto per Carlo I. Ai Cristiani di Roma
San Paolo aveva inibito di fare resistenza al governo di Nerone: ma
non v'era ragione a credere che lo Apostolo, se fosse stato vivo
allorquando le legioni e il Senato insorsero contro quel malvagio
imperatore, avrebbe comandato a' suoi confratelli di correre in armi
a difesa della tirannide. Il dovere della Chiesa perseguitata era
manifesto: soffrire con pazienza e porre la propria causa nelle mani
di Dio. Ma se a Dio, la cui provvidenza suscita perpetuamente il
bene dal male, piacesse, come soventi volte gli era piaciuto, di
rimediare ai danni per mezzo di tali le cui tristi passioni la
Chiesa co' suoi ammonimenti non aveva potuto mansuefare, essa poteva
con gratitudine accettare da Dio la liberazione, che a lei, secondo
le sue dottrine, non era concesso di compiere da sè. E però molti
de' Tory, i quali tuttavia abborrivano da ogni pensiero di aggredire
il Governo, non erano minimamente inchinevoli a difenderlo, e forse,
mentre gloriavansi de' loro scrupoli, in cuor loro godevano che
altri non fosse come essi scrupoloso.
I Whig s'accôrsero che il tempo per loro era arrivato. La questione
se dovessero snudare la spada contro il governo era stata per sei o
sette anni pretta questione di prudenza; e adesso la prudenza stessa
gl'incitava ad appigliarsi a più audaci partiti.
II. Nel maggio, innanzi al nascimento del Principe di Galles, e
mentre era tuttavia incerto se la Dichiarazione d'Indulgenza sarebbe
o non sarebbe letta nelle chiese, Eduardo Russell era andato
all'Aja. Aveva con vivi colori rappresentato al principe lo stato
del pubblico sentire, e lo aveva consigliato a mostrarsi in
Inghilterra capo d'una forte schiera di soldati, e chiamare il
popolo alle armi.
Guglielmo ad un solo sguardo conobbe la importanza della crisi. "O
adesso o mai," disse in latino a Dikwelt(1051). Con Russell tenne
parole più misurate, riconobbe i mali dello Stato essere tali da
richiedere straordinario rimedio, ma parlò calorosamente del caso
d'un esito sinistro, e delle calamità che da ciò ne verrebbero alla
Gran Brettagna e alla Europa. Sapeva bene che coloro i quali
parlavano con sonanti paroloni di sacrificare vita e roba pel bene
della patria esiterebbero ove si presentasse alle loro menti lo
spettacolo d'un altro Tribunale di Sangue. Per la qual cosa a lui
bisognavano non vaghe proteste di buon volere, ma inviti chiari e
promesse esplicite di appoggio, munite della firma di potenti e
cospicui uomini. Russell gli fece notare come fosse pericoloso
affidare il disegno a un gran numero di persone. Guglielmo ne
convenne, e disse bastargli poche firme, purchè fossero d'uomini di
Stato rappresentanti di grandi interessi(1052).
III. Con tale risposta Russell fece ritorno a Londra dove trovò il
pubblico concitamento maggiore e sempre crescente. La carcerazione
de' vescovi e il parto della Regina resero l'opera di lui più
agevole di quello ch'egli aveva presupposto. Non perdè tempo a
raccogliere i voti de' capi della opposizione, avendo a principale
coadiutore Enrico Sidney fratello d'Algernon(1053). È da notarsi che
Eduardo Russell ed Enrico Sidney erano stati addetti alla famiglia
di Giacomo; che entrambi, in parte per private e in parte per
pubbliche cagioni, gli divennero nemici; e che entrambi avevano da
vendicare il sangue de' congiunti, i quali, l'anno stesso, erano
caduti vittime della implacabile ferocia del tiranno. Qui finisce
ogni somiglianza tra loro. Russell, fornito di non poca abilità, era
orgoglioso, virulento, irrequieto, e violento. Sidney, dotato
d'indole dolce e d'amabilissimi modi, sembrava difettare di capacità
e di sapere, e starsi immerso nella voluttà e nell'indolenza. Era
assai bello di viso e di persona. In gioventù era stato il terrore
de' mariti, ed anche adesso che toccava quasi cinquanta anni, era il
prediletto delle donne e lo invidiato da' giovani. Per innanzi era
stato all'Aja con un pubblico ufficio, ed erasi acquistato in larga
misura la confidenza di Guglielmo. Molti ne maravigliavano:
imperciocchè e' sembrava che tra il più austero degli uomini di
Stato e il più dissoluto degli oziosi non vi potesse essere nulla di
comune. Swift, molti anni dopo, non poteva persuadersi in che modo
un uomo, ch'egli aveva conosciuto solo come un vecchio libertino,
frivolo e privo di lettere, avesse veramente avuto tanta parte in
una grande rivoluzione. Nondimeno un ingegno meno acuto di Swift si
sarebbe potuto accorgere che nell'indole umana esiste un certo
tatto, somiglievole ad un istinto, che spesso manca ai grandi
oratori e ai filosofi, e che spesso si trova in individui, i quali,
ove si giudichino dal conversare e dagli scritti loro, si
reputerebbero semplicioni. E davvero quando un uomo possiede cotesto
tatto, in un certo senso gli torna utile l'essere privo di quelle
doti più appariscenti che lo renderebbero oggetto di ammirazione,
d'invidia, e di timore. Sidney è un notevolissimo esempio di questa
verità. Poco capace, ignorante, e dissoluto come pareva essere,
intendeva, o per dire meglio, sentiva con chi era necessario tenersi
in riserbo, e con chi liberamente e con securtà comunicare. Per la
qual cosa egli compì ciò che Mordaunt con tutta la sua vivacità ed
immaginazione, o Burnet con tutta la sua svariata dottrina e fluida
eloquenza, non avrebbero potuto mai fare(1054).
IV. Co' vecchi Whig egli non poteva incontrare nessuna difficoltà;
come quelli che opinavano non esservi stato in molti anni un solo
momento, in cui i pubblici danni non giustificassero la resistenza.
Devonshire, che poteva considerarsi loro capo, e che aveva torti
privati e pubblici da vendicare, accolse con tutto il cuore il gran
disegno e si fece mallevadore di tutto il suo partito(1055).
Russell rivelò il secreto a Shrewsbury. Sidney saggiò Halifax.
Shrewsbury assunse la parte sua con coraggio e risolutezza tali, che
anni dopo parvero mancare al suo carattere. Tosto si profferì parato
a porre a repentaglio roba, onori, e vita. Halifax allo incontro
accolse i primi cenni della impresa in un modo da far temere che
fosse inutile, e forse pericoloso parlargliene esplicitamente. Certo
egli non era l'uomo per una tanta impresa. Aveva intelletto
inesauribilmente fecondo di distinzioni e d'obiezioni, e indole
tranquilla e repugnante alle avventure. Era pronto ad avversare la
Corte fino allo estremo nella Camera de' Lordi e con scritti
anonimi, ma poco disposto a cangiare i suoi ozi signorili per la mal
sicura ed agitata vita di cospiratore, a porsi nelle mani de'
complici, a vivere in perenne timore dello arrivo d'un mandato
d'arresto e de' regii messaggieri, e forse anco di finire i suoi
giorni sul palco, o di vivere accattando in qualche appartata via
dell'Aja. E però disse poche parole che chiaramente significavano la
sua ripugnanza a conoscere le arcane intenzioni de' suoi più arditi
e impetuosi amici. Sidney lo intese, e tacque(1056).
V. Si rivolse quindi a Danby, ed ebbe miglior ventura. E veramente
il pericolo e lo eccitamento, che riuscivano insoffribili alla mente
di Halifax più delicatamente organizzata, erano d'irresistibile
fascino allo audace ed attivo spirito di Danby. I differenti
caratteri di questi due uomini di Stato si leggevano ne' loro visi.
Il ciglio, l'occhio e la bocca di Halifax indicavano un potente
intelletto, e uno squisito senso di scherzo; ma la sua espressione
era quella d'uno scettico, d'un voluttuoso, d'un uomo ripugnante a
rischiare tutto in una sola partita, o ad essere martire d'un
principio. Chi conosce le fattezze di Halifax non maraviglierà che
sopra tutti gli scrittori egli si dilettasse di Montaigne(1057).
Danby era uno scheletro; e la sua faccia scarna e solcata di rughe,
benchè bella e nobile, esprimeva esattamente l'acutezza della sua
intelligenza e la sua irrequieta ambizione. Una volta ei si era già
inalzato dalla oscurità ai fastigi del potere; ne era caduto a
capofitto; aveva corso pericolo di vita; aveva passati degli anni in
carcere; adesso era libero: ma ciò non lo appagava: egli ardeva di
farsi nuovamente grande. Fedele alla Chiesa Anglicana, e ostile alla
influenza francese, non poteva sperare di divenire grande in una
Corte brulicante di Gesuiti ed ossequiosa alla Casa de' Borboni. Ma
s'egli fosse parte precipua d'una rivoluzione che farebbe svanire i
disegni de' Papisti, che porrebbe fine al vassallaggio sotto il
quale la Inghilterra da lunghi anni gemeva, e trasferirebbe la
potestà regia a due anime illustri da lui unite in matrimonio,
potrebbe risorgere dalla oscurità con nuovo splendore. I Whig,
l'animosità de' quali, nove anni innanzi, lo aveva cacciato
dall'ufficio, congiungerebbero, alla sua avventurata riapparizione,
i loro applausi agli applausi de' Cavalieri suoi vecchi amici. Già
egli s'era pienamente riconciliato con uno de' precipui personaggi
che lo avevano messo in istato d'accusa, cioè col conte di
Devonshire. Entrambi si erano incontrati in un villaggio nel Peak, e
s'erano ricambiati assicurazioni di benevolenza. Devonshire aveva
francamente confessato che i Whig erano rei d'una grande
ingiustizia, ma aveva dichiarato che adesso confessavano d'avere
errato. Danby, dal canto suo, aveva qualche ritrattazione a fare. Un
tempo aveva professato, o simulato di professare la dottrina
dell'obbedienza passiva nel senso più esteso del vocabolo. Mentre
egli era ministro e con la sua sanzione era stata proposta una
legge, la quale ove fosse stata approvata, avrebbe escluso dal
Parlamento e dagli uffici chiunque avesse ricusato di dichiarare con
giuramento la illegalità della resistenza. Ma il suo vigoroso
intendimento, ora affatto desto per l'ansietà del bene pubblico e
del proprio, non poteva lasciarsi ingannare, se pure lo avea mai
fatto innanzi, da cotali fanciullesche fallacie.
VI. Il perchè assentì, senza andirivieni, alla congiura, e sforzossi
di trarvi dentro Compton Vescovo di Londra, già sospeso, e non
incontrò difficoltà veruna a riuscirvi. Non v'era prelato che al
pari di Compton avesse patito la ingiustizia del Governo; nè v'era
prelato che potesse tanto sperare da un rivolgimento; imperciocchè
egli aveva diretta la educazione della Principessa d'Orange, e
credevasi che ne avesse in larga misura la fiducia. Come i suoi
confratelli egli, finchè non fu oppresso, aveva insegnato essere
delitto resistere alla oppressione; ma dacchè gli fu forza
appresentarsi all'Alta Commissione, un nuovo raggio di luce scese a
stenebrargli la mente(1058).
VII. Danby e Compton desideravano avere Nottingham compagno alla
impresa. Gli apersero intieramente il disegno, e quei lo approvò. Ma
dopo pochi giorni cominciò a sentirsi inquieto. Non aveva mente
abbastanza forte da emanciparsi dai pregiudicii della educazione.
Andò in giro da un teologo ad un altro proponendo loro con parole
generali casi ipotetici di tirannia, e chiedendo se in simili casi
la resistenza fosse legittima. Le risposte che n'ebbe accrebbero la
irrequietudine dell'animo suo, finchè disse ai suoi complici di non
potere andare più oltre con essi. Se lo stimavano capace di
tradirli, potevano pugnalarlo, chè non gli avrebbe biasimati,
imperocchè tirandosi indietro dopo essersi spinto tanto innanzi,
aveva loro dato diritto sopra la sua vita. Gli assicurò nondimeno
che non avevano nulla a temere da lui; ch'egli manterrebbe il
segreto; desiderava loro prospera fortuna, ma la sua coscienza non
gli consentiva di partecipare ad una ribellione. Ascoltarono
siffatte parole con sospetto e con isdegno. Sidney, le cui idee
intorno agli scrupoli di coscienza, erano
Footnote 1: Vedi la Introduzione, che Danby prepose agli scritti da
lui pubblicati, 1710; Burnet, I, 764.] estremamente vaghe, scrisse
al Principe che Nottingham s'era impaurito. È debito di giustizia,
nondimeno, il confessare che tutta la vita di Nottingham fu tale che
ci è forza credere la sua condotta in questa circostanza, quantunque
poco savia e irresoluta, essere stata onestissima(1059).
Gli agenti del Principe ebbero miglior ventura con Lord Lumley, il
quale, non ostanti i grandi servigi da lui resi nel tempo della
insurrezione delle Contrade Occidentali, sapeva d'essere abborrito
in Whitehall non solo come eretico, ma come rinnegato, e per ciò era
più ardente che non fossero la maggior parte de' nati Protestanti, a
prendere le armi in difesa del Protestantismo(1060).
VIII. Nel mese di giugno le ragunanze de' congiurati furono
frequenti; e fecero il passo decisivo nell'ultimo giorno del mese,
in quel giorno stesso in che i Vescovi furono dichiarati innocenti.
Spedirono all'Aja un invito formale ricopiato da Sidney, ma composto
da qualcuno più esperto di lui nell'arte di scrivere. In quel
documento assicurano a Guglielmo che diciannove ventesimi del popolo
inglese erano desiderosi di un mutamento, e coopererebbero ad
effettuarlo solo che potessero ottenere di fuori il soccorso di una
forza bastevole a impedire che coloro i quali corressero alle armi
fossero dispersi e macellati innanzi che si potessero in un modo
qualunque militarmente ordinare. Se Sua Altezza approdasse all'isola
accompagnato da una schiera di soldati, le genti a migliaia
correrebbero a porsi sotto la sua bandiera; sì che bene presto si
vedrebbe alla testa di forze assai superiori allo esercito regio
dell'Inghilterra. Oltre di che il Governo non poteva implicitamente
essere sicuro della obbedienza di cotesto esercito. Gli ufficiali
erano malcontenti; e i soldati sentivano contro il papismo quella
avversione che era comune a tutta la classe dalla quale erano stati
presi. Nella flotta il sentimento protestante era anche più forte.
Importava singolarmente fare un passo decisivo mentre le cose erano
in tali condizioni. La impresa diverrebbe vie maggiormente ardua ove
venisse differita fino a che il Re, riformando borghi e reggimenti,
mettesse insieme un parlamento ed una armata sopra cui potesse
riposare. I cospiratori, quindi, supplicavano il Principe di venire
fra loro al più tosto possibile. Gli davano parola d'onore che si
sarebbero associati a lui; e imprendevano a trarre al partito tanto
numero di persone da poterle impunemente rendere partecipi di un
così grave e pericoloso secreto. Rispetto ad una sola cosa si
credevano in debito di rimostrare con sua Altezza, cioè di non
essersi giovato della opinione che la massima parte del popolo
inglese aveva intorno al nascimento del regio infante, e d'avere,
invece, mandate congratulazioni a Whitehall, quasi sembrasse
riconoscere che il neonato, che chiamavasi Principe di Galles, fosse
il legittimo erede del trono. Ciò era un grave errore ed aveva
intiepidito lo zelo nel cuore di molti. Nè anche una in mille
persone dubitava che lo infante fosse un intruso; e il Principe
tradirebbe i propri interessi ove le sospettose circostanze che
avevano accompagnato il parto della Regina, non primeggiassero fra
le ragioni che lo costringevano a prendere le armi(1061).
Cotesto scritto fu firmato in cifra dai sette capi della congiura,
Shrewsbury, Devonshire, Danby, Lumley, Compton, Russell e Sidney.
Herbert si tolse il carico di messaggiero. Ed essendo la sua
commissione pericolosissima, si travestì da semplice marinaio ed
approdò sicuro in Olanda il dì dopo finito il processo de' Vescovi.
Appresentossi sull'istante al Principe; il quale, chiamati a sè
Bentinck e Dykvelt, si stette con loro parecchi giorni a deliberare.
Prima conseguenza di ciò fu che più non si leggesse(1062) nella
cappella della Principessa la preghiera pel Principe di
Galles(1063).
IX. Dalla consorte Guglielmo non poteva temere veruna opposizione.
Lo intelletto di Maria era stato pienamente soggiogato da quello di
lui; e ciò che è più estraordinario, egli ne acquistò intieramente
lo affetto. Egli le teneva luogo di genitori, da lei perduti per
morte e per allontanamento, di figli che il cielo aveva negati alle
sue preci, e di patria dalla quale ella era bandita. Nel cuore di
lei Guglielmo divideva lo impero soltanto con Dio. Probabilmente non
portò mai vero affetto al padre da lei lasciato nella prima
giovinezza, e da lunghi anni non riveduto: oltrechè dopo il suo
matrimonio, Giacomo non le aveva mostrato segni di tenerezza, nè si
era condotto in modo da destare teneri sentimenti nel cuore della
figlia. Anzi fece ogni possibile sforzo a perturbarle la felicità
domestica stabilendo nella stessa casa di Maria un sistema di
spionaggio, di sorveglianza e di chiacchiericcio. Egli possedeva
entrate molto maggiori di quelle de' predecessori suoi, ed aveva
assegnato alla figlia minore una provvisione annua di quarantamila
lire sterline(1064): ma la erede presuntiva del suo trono non aveva
mai ricevuto da lui il minimo soccorso pecuniario, ed appena aveva i
mezzi di poter fare una convenevole comparsa fra le principesse
d'Europa. Erasi provata ad intercedere appo lui a favore di Compton
suo precettore ed amico, il quale, accusato di non avere voluto
commettere un atto di flagrante ingiustizia, era stato sospeso dalle
funzioni episcopali: ma era stata respinta con mala grazia(1065).
Dal giorno in cui s'era chiaramente conosciuto che ella e il marito
erano deliberati di non partecipare alla distruzione della
Costituzione inglese, uno de' fini precipui della politica di
Giacomo era stato quello di nuocere ad entrambi. Aveva richiamate le
milizie inglesi dalla Olanda, congiurato con Tyrconnel e con la
Francia contro i diritti di Maria, ordito trame per privarla almeno
d'una delle tre Corone, che, alla morte di lui, le spettavano.
Adesso credevasi da quasi tutto il popolo e da molti personaggi alto
locati per grado e per abilità, che egli avesse introdotto nella
famiglia regale un Principe di Galles supposto, onde privare della
magnifica eredità la figliuola; e non v'è ragione a dubitare ch'essa
non partecipasse al comune sospetto. Era dunque impossibile che
amasse un cotal padre. I suoi principii religiosi, a dir vero, erano
siffattamente rigidi che probabilmente si sarebbe provata a compiere
quello che ella considerava suo dovere anche verso un padre da lei
non amato. Nondimeno nelle presenti circostanze giudicò che il
diritto di Giacomo ad essere obbedito doveva cedere ad un altro più
sacro diritto. E veramente tutti i teologi e pubblicisti concordano
ad affermare che quando la figlia del principe d'un paese è
congiunta in matrimonio al principe d'un altro, è tenuta a
dimenticare il suo popolo e la famiglia paterna, e nel caso d'una
rottura tra il suo marito e i suoi parenti, associarsi alle sorti
del marito. Questa è la regola incontrastabile anche ove il marito
abbia torto; ed a Maria la impresa meditata da Guglielmo sembrava
non solo giusta, ma santa.
X. E quantunque ella con ogni cura s'astenesse dal fare o dal dire
la più lieve cosa che potesse accrescere le difficoltà del consorte,
coteste difficoltà erano veramente gravi; erano poco intese anco da
coloro che lo avevano invitato, e sono state imperfettamente esposte
da coloro che hanno scritta la storia della sua espedizione.
Gli ostacoli che doveva aspettarsi d'incontrare in Inghilterra,
comecchè fossero i meno formidabili fra' molti che attraversavano il
suo disegno, erano tuttavia gravi. Accorgevasi che sarebbe stata
demenza imitare lo esempio di Monmouth, traversare il mare con pochi
avventurieri inglesi, e sperare in una generale insurrezione delle
popolazioni. Era necessario - e lo avevano detto tutti coloro dai
quali egli era stato invitato - di condurre seco un'armata. E, così
facendo, chi risponderebbe dello effetto che potrebbe produrre la
comparsa di cosiffatta armata? Il Governo era giustamente odiato: ma
il popolo inglese, non avvezzo a vedere mai le Potenze continentali
immischiarsi nelle cose d'Inghilterra, guarderebbe di buon occhio un
liberatore che venisse circondato da soldati stranieri? Se parte
delle regie milizie facesse risolutamente fronte agl'invasori, non
desterebbero esse ben presto la simpatia di milioni? Una sconfitta
sarebbe fatale alla impresa. Una vittoria sanguinosa riportata nel
cuore dell'isola da' mercenari degli Stati Generali sopra le Guardie
e le altre milizie del Re, sarebbe calamità grave quasi al pari
d'una sconfitta; sarebbe la più cruda ferita inflitta all'orgoglio
della più orgogliosa tra le nazioni. Il principe non avrebbe mai
portata con pace e sicurezza una corona siffattamente acquistata.
L'odio contro l'Alta Commissione e i Gesuiti cederebbe il posto
all'odio più intenso che susciterebbero gli stranieri conquistatori;
e molti che fino allora avevano sentito timore ed abborrimento per
la Potenza francese, direbbero, che, ove fosse mestieri sopportare
un giogo straniero, sarebbe minore ignominia sottoporsi alla Francia
anzi che all'Olanda.
Tali considerazioni erano bastevoli a rendere inquieto l'animo di
Guglielmo anche ove avesse potuto disporre di tutti i mezzi militari
delle provincie Unite. Ma in verità pareva assai dubbio che
ottenesse un solo battaglione. Tra tutte le difficoltà con le quali
gli toccava lottare, la maggiore, benchè poco notata dagli Storici
inglesi, sorgeva dalla costituzione stessa della Repubblica Batava.
Nessuno Stato è mai esistito per lungo ordine d'anni con un
ordinamento politico egualmente inconvenevole. Gli Stati Generali
non potevano fare guerra, pace, leghe, o imporre tasse senza il
consenso degli Stati di ciascuna provincia. Gli Stati d'una
provincia non potevano dare tale consenso senza quello di ogni
municipio, che partecipava alla rappresentanza. Ciascun municipio,
in un certo senso, era uno Stato sovrano, e come tale pretendeva al
diritto di comunicare direttamente con gli Ambasciatori stranieri, e
di stabilire con essi i mezzi a frustrare i disegni a' quali gli
altri municipii intendevano. In alcuni Consigli municipali era
potentissimo il partito che pel corso di varie generazioni sentiva
gelosia della influenza dello Statoldero. Capi di questo partito
erano i magistrati della nobile città d'Amsterdam, la quale in que'
tempi godeva della più grande prosperità. Dalla pace di Nimega in
poi non avevano cessato mai di tenere amichevoli relazioni con Re
Luigi per mezzo del suo esperto ed operoso ambasciatore il Conte
d'Avaux. Alcune proposte presentate dallo Statoldero come
indispensabili alla sicurtà della Repubblica, sanzionate da tutte le
provincie, tranne dagli Stati della Olanda, e sanzionate da
diciassette de' diciotto Consigli municipali d'Olanda, erano state
più volte respinte dal solo voto d'Amsterdam. L'unico rimedio
costituzionale in simiglianti casi era quello di mandare i deputati
delle città assenzienti alla città dissenziente onde fare una
rimostranza. Il numero dei deputati era illimitato; potevano
continuare a rimostrare per quanto tempo credessero necessario; e
intanto la città che ostinavasi a non cedere ai loro ragionamenti
era tenuta a mantenerli a sue spese. Questo modo assurdo di coartare
era stato una volta sperimentato con esito prospero nella piccola
città di Gorkum, ma non era verosimile che riuscisse efficace nella
potente e ricca Amsterdam, famosa in tutto il mondo per i suoi
bacini popolati di navi, i suoi canali circondati da vaste magioni,
il sue maestoso palazzo governativo coperto da cima a fondo di
peregrini marmi, i suoi magazzini ripieni dei più costosi prodotti
di Ceylan e di Surinam, e la sua Borsa che perpetuamente risonava di
tutti gl'idiomi parlati dalle nazioni civili(1066).
Le contese tra la maggioranza che spalleggiava lo Statoldero, e la
minoranza capitanata da' magistrati d'Amsterdam erano più volte
trascorse tanto oltre da far temere inevitabile lo spargimento del
sangue. Una volta, il Principe tentò di punire come traditori i
deputati disubbidienti; un'altra, le porte d'Amsterdam gli vennero
chiuse in faccia, e si fecero leve di milizie per difendere i
privilegi del Consiglio Municipale. E però non era verosimile che i
rettori di quella grande città consentissero ad una impresa
grandemente offensiva a Luigi da essi cotanto corteggiato, impresa
che probabilmente ingrandirebbe la Casa d'Orange da essi abborrita.
Nulladimeno senza cotesto consenso la impresa non poteva legalmente
eseguirsi. Vincere con la forza la opposizione loro, era un partito
al quale, in circostanze diverse, l'inflessibile e audace Statoldero
non avrebbe sdegnato d'appigliarsi. Ma in quel momento egli era
importantissimo schivare con sommo studio ogni atto che avesse
sembianza di tirannesco. Non poteva rischiarsi a violare le leggi
fondamentali della Olanda nell'istante medesimo in cui egli era per
isnudare la spada contro il suocero che violava le leggi
fondamentali della Inghilterra. Il rovesciare con violenza una
libera Costituzione sarebbe stato uno strano preludio a ristabilirne
violentemente un'altra(1067). E v'era anche un'altra
difficoltà, pochissimo notata dagli scrittori inglesi, alla quale
Guglielmo teneva sempre fitta la mente. Nella spedizione che egli
meditava, poteva aver prospero successo solamente appellandosi al
sentimento protestante dell'Inghilterra, e stimolandolo finchè
divenisse, per un certo tempo, il dominante e quasi esclusivo
sentimento della nazione. Ciò sarebbe stato agevolissimo qualora lo
scopo di tutta la sua politica fosse stato di produrre un
rivolgimento nella isola nostra e regnarvi. Ma contemplava un altro
fine ch'egli poteva conseguire con lo aiuto de' principi, sinceri
credenti nella Chiesa di Roma. Voleva congiungere lo Impero, il Re
Cattolico, e la Santa Sede insieme con l'Inghilterra e la Olanda in
una lega contro la preponderanza francese. Era quindi mestieri che,
mentre vibrava il più gran colpo che fosse mai dato in difesa del
protestantismo, si studiasse a non perdere il buon volere di que'
Governi che consideravano il protestantismo come mortale eresia.
Erano coteste le complicate difficoltà della grande impresa. Gli
statisti del continente ne vedevano una parte; gli Inglesi un'altra.
Solo una mente vasta e vigorosa le comprese tutte, e deliberò di
vincerle. Non era agevole rovesciare il Governo inglese per mezzo
d'un'armata straniera senza offendere l'orgoglio nazionale degli
Inglesi. Non era agevole ottenere dalla fazione Batava, partigiana
della Francia e avversa alla Casa d'Orange, il consenso ad una
impresa che distruggerebbe tutti i disegni della Francia e
inalzerebbe a grandezza la Casa d'Orange. Non era agevole condurre i
Protestanti entusiasti in una crociata contro il Papismo col plauso
di quasi tutti i governi papisti e del Papa stesso. E nondimeno
Guglielmo compiè tutte le sopradette cose. Tutti i suoi fini, anche
quelli che sembravano singolarmente incompatibili fra loro, egli
raggiunse pienamente e a un tratto. Le storie degli antichi e de'
moderni tempi non ricordano un simile trionfo di sapienza politica.
L'opera sarebbe veramente stata difficile anche per un uomo di Stato
qual era il Principe d'Orange, ove i suoi precipui oppositori non si
fossero trovati in preda ad un'ebbrezza tale che da molti, non
inchinevoli alla superstizione, fu attribuita a singolare giudizio
di Dio. Il Re d'Inghilterra non solo fu, come era sempre stato,
stupido e testardo: ma perfino i consigli dello astuto Re di Francia
parvero dettati dalla insania. Guglielmo fece ogni sforzo possibile
di saviezza e d'energia. Ma i suoi nemici posero ogni studio a
sgombrargli il terreno di quegli ostacoli cui nessuna saviezza od
energia avrebbe potuto vincere.
XI. Nel gran giorno in cui furono assoluti i Vescovi, e spedito lo
invito all'Aja, Giacomo, tristo ed agitato, da Hounslow fece ritorno
a Westminster. E non ostante che si sforzasse di mostrarsi in lieto
aspetto(1068), i fuochi di gioia, le bombe, e soprattutto il
bruciamento delle immagini del Papa in ogni quartiere di Londra non
erano cose da addolcirgli l'animo. Coloro che lo avevano veduto la
mattina, poterono leggergli nel viso e nel portamento le violente
emozioni che gli perturbavano la mente(1069). Per varii giorni parve
così ripugnante a parlare del processo, che nè anco Barillon potè
rischiarsi a fargliene motto(1070).
Tosto cominciò a farsi manifesto come la sconfitta e la
mortificazione avessero indurito il cuore del Re. Le prime parole
che egli profferì appena seppe che le vittime erano campate dagli
artigli della sua vendetta, furono: "Peggio per loro!" In pochi
giorni chiaramente si vide quale fosse il significato di coteste
parole, da lui, secondo il costume, ripetute molte volte. Accusava
sè stesso non d'avere perseguito i Vescovi, ma d'averlo fatto
dinanzi a un tribunale, dove le questioni di fatto erano decise dai
giurati, e dove i principii stabiliti dalla legge non potevano porsi
in non cale nemmeno da' giudici più servili. Deliberò adunque di
rimediare a tanto errore. Non solo i sette prelati che avevano
firmata la petizione, ma tutto il Clero Anglicano avrebbero ragione
di maledire quel giorno in cui avevano riportato vittoria sopra il
loro sovrano. Circa quindici giorni dopo il processo, fu emanato un
ordine che ingiungeva a tutti i Cancellieri della Diocesi e a tutti
gli Arcidiaconi di fare stretta inquisizione in tutti i luoghi
soggetti alla giurisdizione loro, e riferire all'Alta Commissione,
entro cinque settimane, i nomi di que' rettori, vicari e curati, che
avevano ricusato di leggere la Dichiarazione d'Indulgenza(1071). Il
Re godeva immaginando il terrore che sentirebbero i colpevoli
vedendosi citati dinanzi ad un tribunale che loro non avrebbe dato
quartiere(1072). Il numero de' rei era quasi, o senza quasi, dieci
mila: e dopo ciò ch'era accaduto al Collegio della Maddalena,
ciascuno di loro poteva a ragione aspettarsi d'essere interdetto da
tutte le sue funzioni spirituali, privato del suo benefizio,
dichiarato incapace di occuparne qualunque altro, e obbligato a
pagare le spese del processo che lo aveva ridotto a mendicare.
XII. Tale era la persecuzione che Giacomo, fremente di rabbia per la
sconfitta ricevuta a Westminster Hall, aveva pensato di far piombare
sopra il clero. Intanto si provò di mostrare ai legali con una
spicciativa distribuzione di premii e di castighi, che una intrepida
e svergognata servilità anche con poco prospero esito, era argomento
sicuro per meritarsi il regio favore; e chiunque, dopo anni di
ossequiosità, si attentasse deviare d'un attimo per far mostra di
onestà o di coraggio, rendevasi reo d'imperdonabile offesa. La
violenza e l'audacia che lo apostata Williams aveva mostrato nel
processo de' Vescovi lo aveva reso segno all'odio della intera
nazione(1073). Il re lo rimeritò col farlo baronetto. Holloway e
Powell avevano scemata alquanto la propria infamia dichiarando che,
secondo il loro giudizio, la petizione non era un libello. Il Re li
destituì(1074). Le sorti di Wright sembrarono per qualche tempo
ondeggiare nella incertezza. Nel riassunto ch'ei fece della
discussione s'era mostrato avverso a' Vescovi: ma aveva tollerato
che gli avvocati loro ponessero in questione la potestà di
dispensare. Aveva detto che la petizione era un libello: ma a bello
studio erasi astenuto dal chiamare legale la Dichiarazione; e per
tutto il corso del processo il suo contegno era stato quello di chi
ricordi che potrà giungere il giorno di renderne conto. A dir vero,
egli era ben meritevole d'indulgenza; imperocchè mal poteva
aspettarsi che vi fosse al mondo impudenza tale da star salda senza
traballare un momento al cospetto di tali giureconsulti e d'un tanto
uditorio. Nondimeno i membri della cabala gesuitica lo accusarono di
pusillanimità; il Cancelliere gli dette del somaro; ed era opinione
generale che verrebbe nominato un nuovo Capo Giudice(1075). Ma non
seguì nessun cangiamento. E davvero non sarebbe stata lieve impresa
il supplire al posto di Wright. I molti giurati che erano a lui
superiori per abilità e per dottrina, quasi senza nessuna eccezione,
procedevano avversi ai disegni del Governo; e i pochi che lo
vincevano per turpitudine e sfrontatezza, quasi senza nessuna
eccezione, trovavansi solo negli infimi gradi del ceto legale, e
sarebbero stati incompetenti a condurre gli affari ordinarii della
Corte del Banco del Re. Egli è vero che Williams aveva tutte le
qualità che Giacomo richiedeva in un magistrato; ma i suoi servigi
erano necessari alla barra; e qualora lo avessero da quivi rimosso,
la Corona sarebbe rimasta senza il concorso di un solo avvocato nè
anche di terzo ordine.
A null'altra cosa il Re era rimasto attonito e mortificato quanto al
vedere lo entusiasmo de' Dissenzienti nella causa de' Vescovi. Penn,
il quale quantunque avesse sacrificato ricchezze ed onorificenze
agli scrupoli della coscienza, sembrava immaginare che nessuno altri
che lui avesse coscienza, attribuì il malcontento de' Puritani ad
invidia e ad ambizione non appagata. Essi non avevano partecipato ai
benefizi promessi loro dalla Dichiarazione d'Indulgenza: nessuno di
loro era stato elevato ad alti ed onorevoli uffici; per la qual cosa
non era strano che fossero gelosi de' Cattolici Romani. Pochissimi
giorni dopo finito il processo de' Vescovi, Silas Titus, cospicuo
presbiteriano, virulento esclusionista, e uno degli accusatori di
Stafford, fu invitato ad occupare un seggio nel Consiglio Privato.
Egli era uno di coloro sopra i quali l'opposizione con grande
fiducia riposava. Ma la dignità offertagli, e la speranza di riavere
una grossa somma di pecunia dovutagli dalla Corona, vinsero la sua
virtù, e con estremo disgusto di tutti i Protestanti, prestò il
giuramento(1076).
XIII. I disegni vendicativi del Re contro la Chiesa non ebbero
effetto. Quasi tutti gli Arcidiaconi e Cancellieri diocesani
ricusarono di dare le richieste informazioni. Giunto il giorno che
il Governo aveva stabilito a citare tutto il clero per render conto
del delitto di disobbedienza, l'Alta Commissione ragunossi, e trovò
che quasi nessuno degli ufficiali ecclesiastici aveva trasmesso la
relazione ordinata. Nel tempo stesso fu deposta sul Banco una
scrittura di grave importanza. La mandava Sprat Vescovo di
Rochester. Pel corso di due anni, lusingato dalla speranza d'un
arcivescovato, erasi sobbarcato al rimprovero di perseguitare quella
Chiesa che egli era tenuto con ogni obbligo di coscienza e d'onore a
difendere. Ma, disilluso nella sua speranza, s'accorse che ove non
abiurasse la sua religione, non avrebbe probabilità di ascendere
alla sede metropolitana di York. Era di tanto buona indole che non
poteva godere della tirannide, ed aveva tanto discernimento da
vedere i segni della vicina retribuzione. Per lo che deliberò di
rinunciare al suo odioso ufficio: e comunicò la sua deliberazione ai
colleghi con una lettera, scritta, al pari di tutti i suoi
componimenti in prosa, con grande proprietà e dignità di stile.
Diceva essergli impossibile continuare più oltre a sedere nella
Commissione: avere egli, per obbedire ai comandamenti sovrani, letta
la Dichiarazione: ma non poter presumere di condannare migliaia di
pii e leali ecclesiastici, i quali ravvisavano in diverso aspetto la
cosa; e poichè si voleva punirli per avere agito secondo la loro
coscienza, ei dichiarava essere pronto a soffrire con loro più
presto che farsi strumento de' loro danni.
I Commissarii lessero e rimasero sbalorditi. Gli errori del loro
collega, la conosciuta scioltezza de' suoi principii, la conosciuta
bassezza del suo animo, davano maggior peso alla sua defezione. È
mestieri che un Governo sia in vero pericolo quando un uomo come
Sprat gli favella col linguaggio di Hampden. Il tribunale, dianzi
così insolente, a un tratto invilì. Gli ecclesiastici che ne avevano
sfidata l'autorità, non furono nè anco rimproverati. Non fu reputato
savio consiglio sospettare minimamente che si fossero di proposito
mostrati disobbedienti; fu loro semplicemente ingiunto di mandare le
relazioni dentro quattro mesi. La Commissione poi si sciolse
singolarmente perturbata come quella che aveva ricevuto un colpo
mortale(1077).
XIV. Mentre l'Alta Commissione retrocedeva da un conflitto con la
Chiesa, la Chiesa, con la coscienza della propria forza ed animata
da nuovo entusiasmo, provocò con parecchie disfide l'Alta
Commissione allo assalto. Tosto dopo l'assoluzione de' Vescovi, il
venerabile Ormond, il più illustre de' Cavalieri della gran guerra
civile, soccombeva al peso delle sue infermità. La nuova della sua
morte fu speditamente trasmessa ad Oxford. Sull'istante la
Università della quale egli da lungo tempo era stato Cancelliere,
ragunossi per eleggere il successore. Un partito voleva lo eloquente
ed egregio Halifax, un altro il grave ed ortodosso Nottingam. Alcuni
rammentarono il Conte d'Abingdon che abitava lì vicino ed era stato
pur allora destituito dalla Luogotenenza della Contea per non avere
voluto secondare il Re contro la religione dello Stato. Ma la
maggioranza, composta di centottanta graduati, votò a favore del
giovine Duca d'Ormond, nipote del defunto, e figlio del valoroso
Ossory. La fretta con che eseguirono la elezione nacque dal timore
che, indugiando un solo giorno, il Re potesse imporre loro qualche
candidato che tradirebbe i loro diritti. Siffatto timore era ben
ragionevole: imperciocchè solo due ore dopo sciolta l'adunanza,
giunse un ordine da Whitehall che richiedeva eleggessero Jeffreys.
Per buona sorte la elezione del giovane Ormond era già
irrevocabilmente fatta(1078). Alquanti giorni dopo l'infame Timoteo
Hall, il quale s'era reso notevole fra il clero di Londra leggendo
la Dichiarazione, fu rimunerato col vescovato di Oxford che era
rimasto vacante dopo la morte del non meno infame Parker. Hall
giunse alla sua sede: ma i canonici della cattedrale ricusarono di
assistere alla sua istallazione. La Università non volle concedergli
il titolo di Dottore: nè anche uno degli scolari ricorse a lui per
gli ordini sacri: nessuno gli faceva di cappello; ed ei si trovò
solo dentro il suo palazzo(1079).
Tosto dopo il Collegio della Maddalena doveva disporre d'un
benefizio vacante. Hough e i suoi cacciati confratelli ragunaronsi e
proposero un chierico; il vescovo di Gloucester, nella cui diocesi
era quel benefizio, diede senza esitare la investitura allo
eletto(1080).
XV. I gentiluomini non erano meno riottosi del clero. I tribunali in
quella estate avevano in tutto il paese un insolito aspetto. Ai
giudici, innanzi di mettersi in giro, era stato ordinato di
presentarsi al Re, il quale aveva loro fatto comandamento d'ispirare
ai grandi giurati, in tutto il Regno, il dovere di eleggere
rappresentanti al Parlamento disposti a secondare la sua politica.
Essi obbedirono declamando con veemenza contro il clero, ingiuriando
i vescovi, chiamando la memoranda petizione libello sedizioso,
criticando aspramente lo stile di Sancroft, il quale, a dir vero,
offriva pretesto alla critica, e dicendo che monsignore meritava le
sferzate per mano del Dottore Busby per avere scritto in cattivo
inglese. Ma il solo effetto di cotali indecenti declamazioni fu
d'accrescere il malcontento del popolo. Furono loro negate tutte le
dimostrazioni di quella riverenza che il popolo soleva mostrare alla
dignità giudiciale ed alla regia Commissione. Era antica usanza che
uomini rispettabili per nascita e ricchezza si unissero a cavallo
con lo Sceriffo quando egli scortava i giudici alla città della
Contea; ma siffatta processione adesso non fu possibile formare in
nessuna parte del reame. I successori di Powell e di Holloway
segnatamente furono trattati con notevole dispregio. Era loro stato
assegnato il giro d'Oxford; aspettavansi d'essere accolti in ogni
Contea da una cavalcata di gentiluomini realisti; ma come si
appressarono a Wallingford, dove dovevano aprire la loro commissione
per Berkshire, il solo Sceriffo uscì loro incontro. Come si
avvicinarono ad Oxford, la metropoli eminentemente realista di una
eminentemente realista provincia, furono anche quivi incontrati dal
solo Sceriffo(1081).
XVI. L'esercito non era meno disaffezionato del clero e de'
gentiluomini. Il presidio della Torre aveva bevuto alla salute de'
vescovi prigioni. Le Guardie a piedi in Lambeth avevano con ogni
dimostrazione di rispetto salutato il Primate che faceva ritorno al
suo palazzo. In nessun luogo quanto nel campo di Hounslow Heath la
nuova della liberazione de' vescovi era stata accolta con più
clamorosa gioia. In verità le grandi forze che il Re aveva ragunate
a fine d'atterrire la ricalcitrante metropoli erano divenute più
ricalcitranti alla metropoli stessa, ed incuteveno maggior timore
alla Corte, che ai cittadini. Per lo che in sul principio d'agosto
il campo fu sciolto, e le truppe furono acquartierate in varie parti
del Regno(1082).
Giacomo lusingavasi che sarebbe più agevole governare separati
battaglioni, che molte migliaia d'uomini insieme raccolti. Volle
farne esperienza col reggimento di fanteria comandato da Lord
Lichfield, e che ora chiamasi Duodecimo di Linea. Lo scelse
probabilmente per essere stato creato a tempo della insurrezione
delle Contrade Occidentali, nella Contea di Stafford, dove i
Cattolici Romani erano più numerosi e potenti che quasi in ciascuna
altra parte della Inghilterra. I soldati furono schierati alla
presenza del Re. Il Maggiore disse loro che Sua Maestà desiderava
ch'essi firmassero una scritta con la quale obbligavansi a
secondarlo nel mandare ad esecuzione i suoi intendimenti rispetto
all'Atto di Prova, e che coloro ai quali piacesse di non obbedire,
lasciassero in sull'istante il servigio. Il Re rimase sommamente
attonito vedendo intiere file di soldati porre giù le picche e gli
archibugi. Solo due ufficiali e pochi comuni, tutti Cattolici,
obbedirono. Egli rimase per poco in silenzio: poi comandò ai
disobbedienti di ripigliare le armi loro, e con irato ciglio disse:
"un'altra volta non vi farò più l'onore di consultarvi(1083)."
Chiaro vedevasi che essendo egli deliberato a persistere nel suo
proposito, gli era mestieri riformare lo esercito. Se non che a ciò
fare non poteva trovare i mezzi nell'isola nostra. I membri della
sua Chiesa, anche ne' distretti dove erano più numerosi, erano una
piccola minoranza rispetto alla popolazione. L'odio contro il
papismo erasi sparso in tutte le classi de' Protestanti, ed era
divenuto la suprema passione perfino negli agricoltori e negli
artigiani. Ma in un'altra parte de' suoi dominii la maggioranza del
popolo era animata da spirito assai differente. Non v'era limite al
numero de' soldati cattolici che la buona paga e i quartieri in
Inghilterra attirerebbero al di qua del Canale di San Giorgio.
Tyrconnel per qualche tempo aveva posto ogni cura a formare dal
contadiname della sua patria una forza militare della quale il suo
signore potesse fidarsi. Già quasi tutta l'armata d'Irlanda era
composta di papisti Celti per sangue e per lingua. Barillon più
volte fervidamente consigliò Giacomo a condurre in Inghilterra
quell'armata per coartare gl'Inglesi(1084).
XVII. Giacomo tentennava. Voleva essere circondato da milizie sopra
le quali potesse riposare: ma temeva l'esplosione del sentimento
nazionale che si sarebbe manifestato al comparire d'una gran forza
irlandese sopra il suolo d'Inghilterra. In fine, come segue spesso
allorquando una mente debole si prova di schivare due opposte
inconvenienze, egli s'attenne ad un partito che le congiunse tutte
quante. Fece venire tanti Irlandesi quanti non bastavano a tenere
sottomessa la sola città di Londra, o la sola Contea di York, ma più
che bastevoli a destare rabbia e paura in tutto il Regno da
Northumberland fino a Cornwall. Un battaglione dopo l'altro,
composti e disciplinati da Tyrconnel, approdavano sulle coste
occidentali e movevano verso la metropoli; e furono fatte venire non
poche reclute irlandesi per riempire i vuoti de' reggimenti
inglesi(1085).
Tra tutti gli errori commessi da Giacomo nessuno fu più fatale di
questo. Già aveva perduto lo affetto del suo popolo violando le
leggi, confiscando gli averi e perseguitando la religione. Nel cuore
di coloro, che un tempo erano stati fervidi zelatori della
monarchia, aveva già posto i semi della ribellione. E nondimeno
poteva ancora, con qualche probabilità di buona riuscita, rivolgersi
allo spirito patriottico de' suoi sudditi contro un invasore;
perocchè erano razza isolana per indole e geografica posizione. Le
loro antipatie nazionali in quella età erano, per vero dire,
irragionevolmente forti. Gl'Inglesi non erano assuefatti al freno e
allo immischiarsi dello straniero. La comparsa d'un'armata
forestiera nell'isola loro gli avrebbe spinti a correre sotto il
vessillo d'un Re ch'essi non avevano ragione di amare. Guglielmo
forse non avrebbe potuto vincere un tale ostacolo; ma Giacomo lo
tolse di mezzo. Nemmeno l'arrivo di una brigata di moschettieri del
Re Luigi avrebbe destato risentimento e vergogna quanto ne sentirono
i nostri antenati allorchè videro le schiere de' Papisti, pur allora
giunti da Dublino, marciare con pompa militare lungo le vie maestre.
Niun uomo di sangue inglese considerava come compatriotti
gl'Irlandesi aborigeni. Essi non appartenevano alla nostra razza;
erano distinti da noi per più particolarità morali e intellettuali,
che la diversità delle condizioni e della educazione, per quanto
fosse grande, non bastava a spiegare. Avevano aspetto e idioma tutto
proprio. Quando parlavano inglese, la loro pronunzia era ridicola;
le loro frasi grottesche, come sempre sono le frasi di chi pensi in
una lingua ed esprima i propri pensieri in un'altra. Per la qual
cosa per noi essi erano stranieri; e di tutti gli stranieri erano i
più odiati e tenuti in dispregio: i più odiati, perocchè per cinque
secoli erano sempre stati nostri nemici; i più tenuti in dispregio,
perocchè erano nostri nemici vinti, resi schiavi e spogliati. Lo
Inglese paragonava con orgoglio i propri campi colle desolate lande,
donde sbucavano i banditi a rubare ed assassinare, e la propria
abitazione co' tuguri dove il villano e il maiale di Shannon
s'avvoltolavano insieme nel sudiciume. Egli apparteneva ad una
società molto inferiore certamente per ricchezza e civiltà a quella
in che noi viviamo, ma tuttavia a una delle più opulente e
incivilite società del mondo: gl'Irlandesi erano rozzi quasi al pari
de' selvaggi di Labrador. Egli era uomo libero: gl'Irlandesi erano
servi ereditari della razza inglese. Egli adorava Dio con un culto
puro e ragionevole: gl'Irlandesi giacevano immersi nella idolatria e
nella superstizione. Egli sapeva che grandi torme d'Irlandesi erano
spesso fuggite dinanzi ad una mano d'Inglesi, e che la intera
popolazione d'Irlanda era stata tenuta in freno da una piccola
colonia inglese: e compiacevasi a concludere ch'egli nell'ordine di
natura era un essere più elevato dello Irlandese: imperocchè in tal
guisa una razza dominante sempre spiega la sua superiorità ed escusa
la sua tirannia. Nessuno oggimai nega agli Irlandesi vivacità, brio,
eloquenza, fra le nazioni del mondo: cento campi di battaglia
testificano che essi, ove abbiano buona disciplina, sono strenui
soldati. Nondimeno egli è certo, che un secolo e mezzo fa erano
generalmente spregiati nella isola nostra come gente stupida e
codarda. E questi erano gli uomini che dovevano tenere in freno la
Inghilterra a viva forza, mentre compivasi la distruzione della
libertà e della Chiesa sue! Al solo pensiero ribolliva il sangue
nelle vene d'ogni Inglese. Essere vinti da' Francesi o dagli
Spagnuoli sarebbe, in paragone, sembrato un destino tollerabile. Noi
eravamo assuefatti a trattare da pari a pari co' Francesi e con gli
Spagnuoli. Ne avevamo ora invidiata la prosperità, ora temuta la
potenza, ora gioito della loro amicizia. In onta al nostro
insocievole orgoglio, le consideravamo come grandi nazioni, e non
negavamo che andavano gloriose di uomini insigni nelle arti della
guerra e della pace. Ma essere soggiogati da una casta inferiore era
avvilimento oltre ogni credere grandissimo. Gl'Inglesi provavano
quel sentimento che proverebbero gli abitatori di Charleston e della
Nuova Orleans, se quelle città fossero occupate da un presidio di
Negri. I fatti genuini sarebbero stati sufficienti a suscitare
inquietudine e sdegno: ma cotesti fatti erano inoltre adulterati da
mille sinistre finzioni che correvano di caffè in caffè, di bettola
in bettola, e andando diventavano sempre più terribili. Il numero
delle truppe irlandesi venute fra noi poteva suscitare ragionevole e
grave timore rispetto a' disegni del Re: ma era ingrandito dieci
volte più dal pubblico timore. Poteva bene supporsi che il rozzo
fantaccino di Connaught posto con l'armi in mano fra mezzo a un
popolo straniero che egli odiava e dal quale egli era odiato,
commettesse qualche eccesso. Ma tali eccessi venivano esagerati
narrandoli; e per giunta agli oltraggi che lo straniero aveva
veramente commessi, gli venivano attribuiti tutti i delitti de' suoi
camerati inglesi. Da ogni parte del Regno sorse un grido contro i
barbari forestieri che invadevano le case private, prendevano
barocci e cavalli, estorcevano danari ed insultavano donne. Dicevasi
che cotesti uomini fossero i figliuoli di coloro, che quarantasette
anni innanzi avevano fatto strage di migliaia di Protestanti. La
ribellione del 1641, la quale anche narrata con calma susciterebbe
pietà ed orrore, e che era stata bruttamente esagerata da' nazionali
e religiosi rancori, era adesso divenuta la materia prediletta delle
conversazioni. Spaventevoli storielle di case bruciate con le
famiglie dentro, di donne e fanciulli macellati, di consanguinei
costretti dalla tortura ad assassinarsi a vicenda, di cadaveri
oltraggiati e mutilati, erano narrate e udite con piena credenza e
vivo interesse. Aggiungevasi poi che i codardi selvaggi che avevano
di sorpresa commesse tutte coteste crudeltà sopra una colonia senza
sospetto e priva d'ogni difesa, appena Cromwell si fu mostrato fra
loro a farne vendetta, percossi da subito terrore, avevano messe giù
le armi, e senza nè anche tentare le sorti di un solo combattimento
erano ricaduti nel ben meritato servaggio. A molti indizi
prevedevasi che il Lord Luogotenente meditava un'altra grande
spoliazione e strage della colonia Sassone. Già migliaia di coloni
protestanti, fuggendo la ingiustizia e la insolenza di Tyrconnel,
avevano riacceso lo sdegno della madre patria narrando tutto ciò che
avevano sofferto, e tutto ciò che avevano, con troppa ragione,
temuto. Fino a che segno l'opinione pubblica fosse stata esasperata
dalle querimonie de' fuggitivi era stato di recente mostrato in modo
da non indurre in errore. Tyrconnel aveva mandato per essere
approvata dal Re una proposta di revoca della legge che assicurava
il possesso di mezzo il suolo d'Irlanda, e aveva spediti a
Westminster due agenti cattolici suoi concittadini che erano stati
inalzati ad alti uffici nell'ordine giudiciario: Nugent,
Capo-Giudice della Corte del Banco del Re in Irlanda, uomo che
personificava tutti i vizi e le debolezze che gl'Inglesi reputavano
come facienti il carattere del papista celtico; e Rice, uno de'
Baroni dello Scacchiere Irlandese, uomo che per abilità e cognizioni
era il primo fra' suoi compatriotti e correligionari. Lo scopo della
missione era a tutti noto; e i due giudici non potevano rischiarsi a
comparire in pubblico. La plebaglia, riconoscendoli, gridava: "Fate
largo agli ambasciatori(1086) irlandesi;" e il loro cocchio veniva
scortato con solenne berlina da una turba d'uscieri e di corrieri
che portavano in mano bastoni con patate fitte in punta(1087).
E davvero, in quel tempo l'avversione de gl'Inglesi contro
gl'Irlandesi era sì forte ed universale, che la sentivano perfino i
più spettabili Cattolici Romani. Powis e Bellasyse anche in
Consiglio significarono con aspre e virulente parole la loro
antipatia contro gli stranieri(1088); antipatia che era anche più
forte fra gl'Inglesi Protestanti, e più forte ancora nell'armata. Nè
gli ufficiali, nè i soldati erano disposti a tollerare con pazienza
la predilezione che il loro signore mostrava ad una razza vinta e
forestiera. Il Duca di Berwick, colonnello dell'ottavo reggimento di
linea acquartierato in Portsmouth, ordinò che trenta uomini pur
allora giunti dall'Irlanda fossero inscritti ne' ruoli militari. I
soldati inglesi dichiararono di non volere servire insieme con
gl'intrusi. Giovanni Beaumont Luogotenente colonnello, a nome suo e
di cinque capitani, protestò al cospetto del Duca contro questo
insulto fatto alla nazione ed all'esercito inglese, dicendo: "Noi
componemmo il reggimento a nostre proprie spese per difendere la
corona della Maestà sua in perigliosi tempi. Allora non incontrammo
difficoltà a trovare centinaia di reclute inglesi. Noi possiamo
agevolmente tenere congiunta ogni compagnia senza ammettervi
gl'Irlandesi. E però reputiamo che ne vada dell'onor nostro nel
tollerare che ci vengano imposti cotesti stranieri; e chiediamo che
o ci sia permesso di comandare a soldati nostri concittadini, o che
si accetti la nostra rinuncia." Berwick scrisse a Windsor per sapere
in che guisa comportarsi. Il Re, grandemente esasperato, spedì
subito una legione di cavalleria a Portsmouth perchè gli conducesse
dinanzi i sei ufficiali disubbidienti. Furono tradotti avanti a un
Consiglio di guerra. Ricusarono di sottomettersi, e furono dannati
ad essere cassi da' ruoli, la qual pena allora era la massima che
una Corte marziale potesse infliggere. La intera nazione fe' plauso
agli ufficiali caduti in disgrazia: e l'opinione pubblica fu
maggiormente irritata dalla voce corsa, quantunque senza fondamento,
che essi mentre rimanevano in carcere, erano stati crudelmente
trattati(1089).
XVIII. L'opinione pubblica non manifestavasi allora con que' segni
che oggidì sono comuni fra noi, cioè con numerose ragunanze e
veementi arringhe. Nondimeno trovò una via ad esplodere. Tommaso
Wharton, il quale nell'ultimo Parlamento era stato rappresentante
della Contea di Buckingam ed aveva fama di libertino e di Whig,
scrisse una ballata satirica sopra Tyrconnel. In questa breve poesia
un Irlandese si congratulava con un altro suo concittadino, in un
gergo barbaro, pel prossimo trionfo del papismo e della razza
milesia. Diceva che lo erede protestante della Corona sarebbe
escluso. Gli ufficiali protestanti verrebbero cacciati. La Magna
Charta e i ciarlieri che si richiamavano ad essa verrebbero
impiccati alla medesima forca. Il buon Talbot verserebbe a torrenti
gl'impieghi sopra i suoi concittadini, e segherebbe la gola
agl'Inglesi. Questi versi, che non s'inalzavano punto sopra la
poesia plateale, avevano per intercalare un vocabolo che dicevasi
essere stato adoperato come parola d'ordine dagl'insorti d'Ulster
nel 1644. La nazione s'incapriccì de' versi e della musica. Da un
angolo all'altro, per l'intera Inghilterra, tutta la popolazione non
rifiniva mai di cantare cotesti versi scempi, che in ispecie
formavano il diletto dello esercito inglese. Settanta e più anni
dopo la Rivoluzione, un grande scrittore dipinse con arte squisita
un veterano che aveva combattuto sul Boyne e in Namur; e uno de'
tratti caratteristici del buon veterano consisteva nel fischiare il
Lilliburello(1090).
Wharthon poscia menò vanto d'avere cacciato con cotesti versi un Re
da tre Regni. Ma, a dir vero, la fama di Lilliburello fu lo effetto,
non già la cagione, di quel concitamento nel pubblico sentire, che
produsse la Rivoluzione.
Mentre Giacomo suscitava contro sè stesso tutti i sentimenti
nazionali, i quali, se non fosse stata la sua insania, avrebbero
potuto salvargli il trono, Luigi in modo diverso sforzavasi non meno
efficacemente a facilitare la intrapresa che Guglielmo stavasi
meditando.
XIX. In Olanda il partito favorevole alla Francia era una minoranza
bastevolmente forte, secondo l'ordinamento politico della Batava
Federazione, a impedire che lo Statoldero tentasse un gran colpo.
Tenersi bene edificata cotesta minoranza era uno scopo al quale, se
la Corte di Versailles fosse stata savia, doveva, in quelle
circostanze, essere posposto ogni altro qualunque. Luigi, nondimeno,
per qualche tempo aveva lavorato, quasi lo facesse di proposito, a
straniarsi da' suoi amici Olandesi; ed in fine, benchè non senza
difficoltà, gli venne fatto di renderseli nemici nel momento preciso
in cui il loro aiuto gli sarebbe stato d'inestimabile prezzo.
V'erano due cose, le quali gli Olandesi peculiarmente sentivano, la
religione e il commercio; e il Re di Francia aveva pur allora
assalito il commercio e la religione loro. La persecuzione degli
Ugonotti e la revoca dello editto di Nantes avevano da per tutto
destato in cuore de' Protestanti sdegno e dolore; sentimenti che in
Olanda erano più forti che altrove: imperocchè molti individui
oriundi Olandesi, fidando nelle ripetute e solenni dichiarazioni di
Luigi, il quale assicurava di mantenere la tolleranza dall'avo suo
concessa, s'erano, per cagione di commercio, stabiliti, e gran parte
di loro naturalizzati in Francia. Ogni corso di posta recava in
Olanda la nuova che costoro erano con estremo rigore trattati per
semplici motivi religiosi. Dicevasi che in casa di uno stavano
acquartierati i dragoni; un altro era stato posto ignudo presso al
fuoco fino a rimanerne mezzo arrostito. A tutti era, sotto
severissime pene, inibito di celebrare i riti della propria
religione, e di partirsi dal paese, al quale, sotto promesse
menzognere erano stati attirati. I partigiani della Casa d'Orange
schiamazzavano contro la crudeltà e la perfidia del tiranno.
L'opposizione era confusa e scuorata. Lo stesso Consiglio municipale
d'Amsterdam, comechè fosse fortemente favorevole agl'interessi della
Francia, e aderisse alla teologia arminiana, e fosse poco
inchinevole a biasimare Luigi e consentire co' Calvinisti da esso
perseguitati, non poteva rischiarsi ad avversare l'opinione
pubblica; perocchè in quella grande città non era un solo mercante
il quale non avesse qualche parente od amico fra coloro che pativano
tanto danno. Numerose petizioni firmate da nomi rispettabili
venivano presentate ai borgomastri, pregandoli a rimostrare
vigorosamente presso lo Ambasciatore Avaux. Fra' supplichevoli erano
taluni i quali osavano introdursi nel palazzo degli Stati, e cadendo
sulle loro ginocchia descrivevano, fra le lagrime e i singhiozzi, la
misera sorte de' loro cari, e supplicavano i magistrati ad
intercedere. I pergami delle Chiese risonavano d'invettive e di
lamenti. Da' torchi uscivano racconti che laceravano l'anima, e
virulente arringhe. Avaux conobbe tutto il pericolo, e riferì alla
sua Corte che anche i bene intenzionati - così egli sempre chiamava
i nemici della Casa d'Orange - o partecipavano all'universale
sentimento o ne erano impauriti; e consigliò si cedesse alquanto ai
loro desiderii. Le risposte giuntegli da Versailles furono gelide ed
acri. Ad alcune famiglie, non naturalizzate in Francia, era stato
concesso di ritornare alla patria loro: ma a que' naturali d'Olanda
che avevano ottenuto lettere di naturalizzazione Luigi ricusò ogni
indulgenza, dicendo che nessuna Potenza sulla terra doveva
immischiarsi fra lui e i suoi sudditi. Costoro avevano scelto di
essere annoverati fra' sudditi suoi, e nessun potentato straniero
aveva diritto a sindacarlo intorno al modo di trattarli. I
magistrati d'Amsterdam naturalmente sdegnaronsi della spregiante
ingratitudine del Principe al quale con ardore e senza ombra di
scrupolo avevano servito contro l'opinione universale de' loro
concittadini. Alla già riferita tenne dietro, poco dipoi, un'altra
provocazione che fu più profondamente sentita. Luigi cominciò a far
guerra al loro commercio. Dapprima con un editto proibì la
importazione delle aringhe ne' suoi dominii. Avaux s'affrettò a
scrivere alla sua Corte che un simigliante passo aveva destato
indignazione e timore, che sessantamila persone vivevano con la
pesca delle aringhe, e che gli Stati probabilmente adotterebbero
qualche provvedimento di rappresaglia. Gli fu risposto che il Re era
deliberato non solo a persistere, ma ben anco ad accrescere i dazi
su molte mercanzie delle quali la Olanda faceva lucroso traffico con
la Francia. La conseguenza di cotesti errori commessi in onta a
ripetuti ammonimenti, e, a quanto sembra, per ebbrezza di
caparbietà, fu, che nel momento in cui il voto d'un solo potente
membro della Batava Federazione avrebbe potuto impedire un evento
fatale a tutta la politica di Luigi, tal voto non osò manifestarsi.
Lo Ambasciatore con tutta la sua arte invano si studiò di
raggranellare quel partito, col cui soccorso, per vari anni era
riuscito a tenere in freno lo Statoldero.
XX. L'arroganza ed ostinazione del signore frustrava tutti gli
sforzi del servo; il quale finalmente fu costretto ad annunziare a
Versailles che non era più da confidare nella città d'Amsterdam da
sì gran tempo amica della Francia, che alcuni de' bene intenzionati
temevano per la loro religione, e che i pochi i quali ancora si
mantenevano fermi non potevano rischiarsi a significare i loro
intendimenti. La fervida eloquenza de' predicatori che declamavano
contro gli orrori della persecuzione francese, e le querimonie dei
falliti che attribuivano la propria rovina ai decreti francesi,
avevano concitato il popolo a tal segno che nessuno de' cittadini
poteva dichiararsi favorevole alla Francia senza imminente pericolo
di essere gettato dentro il più vicino canale. Tutti rammentavansi
che solo quindici anni innanzi il più illustre capo del partito
avverso alla Casa d'Orange era stato fatto in brani dalla infuriata
plebe nel ricinto stesso del palazzo degli Stati Generali; ed era
probabile che ugual sorte toccasse a coloro i quali, in quella gran
crisi, venissero accusati di secondare i disegni della Francia
contro la patria loro e contro la religione riformata(1091).
XXI. Mentre Luigi in tal guisa costringeva i suoi fautori in Olanda
a diventare, o a fingersi, suoi nemici, lavorava con non minore
efficacia a rimuovere tutti gli scrupoli che avrebbero potuto
impedire i principi cattolici del continente di secondare i disegni
di Guglielmo. Un nuovo litigio era sorto tra la Corte di Versailles
e il Vaticano, litigio nel quale il Re francese si mostrò più che in
ogni altra sua azione ingiusto ed insolente.
Era vecchio costume in Roma che nessuno ufficiale di giustizia o di
finanza potesse entrare nell'abitazione de' ministri che
rappresentavano gli Stati cattolici. In progresso non solo
l'abitazione, ma i luoghi circostanti reputavansi inviolabili. Era
punto d'onore per ogni ambasciatore estendere quanto più potesse i
confini del circondario che rimaneva sotto la sua protezione. Infine
i distretti privilegiati, dentro i quali il Governo papale non aveva
maggior potenza che nel Louvre o nell'Escuriale, comprendevano mezza
la città. Ogni asilo era pieno di contrabbandieri, di falliti
disonesti, di ladri e d'assassini. In ogni asilo erano magazzini di
cose rubate o di mercanzie fraudolentemente introdotte. Da ogni
asilo uomini facinorosi uscivano di notte a saccheggiare ed a
pugnalare la gente. In nessuna terra della Cristianità, quindi, la
legge era così impotente e la malvagità sì audace come nell'antica
metropoli della religione e dell'incivilimento. Intorno a siffatto
danno Innocenzo pensava come si conveniva ad un sacerdote e ad un
principe. Dichiarò dunque di non volere accogliere nessuno
Ambasciatore il quale si ostinasse a mantenere un diritto
distruggitore dell'ordine e della morale. Vi fu dapprima un gran
mormorare, ma egli si mostrò cotanto fermo che tutti i Governi,
tranne un solo, in breve tempo cederono. Lo Imperatore, che per
grado era il primo tra tutti i monarchi cristiani, la Corte di
Spagna, che predistinguevasi fra tutte per suscettibilità e
pertinacia ne' punti d'etichetta, rinunciarono al mostruoso
privilegio. Il solo Luigi si mostrò intrattabile, dicendo
importargli poco ciò che piacesse agli altri sovrani di fare. Per la
qual cosa spedì a Roma un'ambasceria, scortata da numeroso stuolo di
cavalli e di fanti. Lo Ambasciatore giunse al suo palazzo come un
generale che entri trionfante in una città conquistata. Il palazzo
era fortemente guardato; attorno al recinto privilegiato le
sentinelle facevano la ronda di giorno e di notte, come sopra le
mura d'una fortezza. Il Papa rimase fermo. "Confidano" esclamò egli
"ne' cocchi e ne' cavalli: ma noi invocheremo il nome di Dio nostro
signore." Diede di piglio alle sue armi spirituali, e pose la parte
della città presidiata da' Francesi sotto lo interdetto(1092).
Questo litigio era nel massimo fervore allorchè ne sorse un altro;
nel quale tutto il Corpo Germanico aveva interesse ugualmente che il
Papa.
XXII. Colonia e il distretto circostante governava un Arcivescovo
che era elettore dello Impero. Il diritto di eleggere il gran
prelato spettava, sotto certe condizioni, al Capitolo della
Cattedrale. Lo Arcivescovo era parimente Vescovo di Liegi, di
Munster e di Hildesheim. I suoi dominii erano vasti, e comprendevano
varie fortezze, le quali nel caso d'una campagna sul Reno sarebbero
state importantissime. In tempo di guerra poteva condurre in campo
venti mila uomini. Luigi aveva fatto ogni possibile sforzo a
rendersi bene affetto un così valido alleato, e v'era tanto riuscito
che Colonia rimaneva quasi divisa dalla Germania, e formava un
baluardo della Francia. Molti ecclesiastici ligi alla Corte di
Versailles erano stati messi nel Capitolo; e il Cardinale
Furstemburg, creatura di quella Corte, era stato nominato
Coadiutore. Nella state del 1688 l'Arcivescovato divenne
vacante. Furstemburg era il candidato della Casa de' Borboni. I
nemici di quella proponevano il giovine Principe Clemente di
Baviera. Furstemburg era già Vescovo, e quindi non poteva essere
trasferito ad altra diocesi senza speciale dispensa del pontefice, o
per una postulazione, nella quale era necessario che fossero
concordi i voti di due terzi del Capitolo di Colonia. Il Papa non
volle concedere la dispensa ad una creatura della Francia. Lo
Imperatore indusse più d'una terza parte del Capitolo a votare in
favore del Principe Bavaro. Infrattanto ne' Capitoli di Liegi, di
Munster, e di Hildesheim la maggioranza procedeva avversa alla
Francia. Luigi vide con isdegno e paura, come una vasta provincia
che egli aveva incominciato a considerare qual feudo della sua
Corona, fosse per divenire, non solo indipendente, ma ostile a lui.
In una scrittura dettata con grande acrimonia si querelò della
ingiustizia con che la Francia in tutte le occasioni era trattata
dalla Santa Sede, la quale era in debito di largire la sua paterna
protezione ad ogni parte della Cristianità. A molti segni vedevasi
come egli avesse deliberato di sostenere la pretesa del suo
candidato con le armi, contro il Papa, e i collegati del Papa(1093).
XXIII. In cotal modo Luigi, con due opposti errori, suscitò a un
tratto contro sè stesso il risentimento de' due partiti religiosi,
nei quali l'Europa occidentale era divisa. Inimicatasi una grande
classe de' cristiani col perseguitare gli Ugonotti, si inimicava
l'altra coll'insultare la Santa Sede. Tali errori egli commise in un
tempo in cui non poteva impunemente commetterne alcuno, e sotto gli
occhi d'un avversario, il quale per vigilanza, sagacia, ed energia
non era secondo a nessun uomo politico di cui serbi ricordo la
storia. Guglielmo vide con austero diletto i suoi avversari
affaticarsi a sgombrargli d'ogni ostacolo il cammino. Mentre
suscitavano contro sè stessi la nimistà di ogni setta, egli poneva
sommo studio a conciliarsele tutte. Con isquisito magistero presentò
ai vari Governi in differente aspetto il gran disegno ch'egli
meditava; ed è mestieri aggiungere che quantunque tali aspetti
fossero differenti, nessuno era falso. Esortò i Principi della
Germania settentrionale a collegarsi con lui per difendere la causa
comune di tutte le chiese riformate. Pose sotto gli occhi de' due
capi della Casa d'Austria il pericolo onde erano minacciati
dall'ambizione francese, e la necessità di redimere l'Inghilterra
dal vassallaggio e di congiungerla alla Federazione Europea(1094).
Mostrossi sdegnoso, e con tutta verità, d'ogni bacchettoneria.
Diceva che il vero nemico de' Cattolici Inglesi era quel monarca,
uomo corto di vista, e duro di cuore, il quale potendo agevolmente
ottenere ad essi una tolleranza legale, aveva calpestata la legge,
la libertà e il diritto di proprietà, per inalzarli ad un predominio
odioso e precario. Se si lasciava continuare nella sua insania ne
conseguiterebbe tra breve uno scoppio popolare, al quale terrebbe
dietro una barbara persecuzione de' papisti. Il Principe dichiarava
che lo evitare gli errori di tale persecuzione era uno de' precipui
suoi fini. Ove egli fosse avventurato nel suo disegno, adoprerebbe
lo acquistato potere come capo de' Protestanti, a proteggere i
credenti nella Chiesa di Roma. Forse le passioni destate dalla
tirannia di Giacomo renderebbero impossibile l'abrogazione delle
leggi penali, ma un savio governo ben poteva mitigarle. A nessuna
classe d'uomini poteva recare vantaggio la proposta spedizione
quanto a' que' pacifici e non ambiziosi Cattolici Romani, i quali
desideravano solamente seguire la propria vocazione e senza molestia
adorare il Creatore. I soli perdenti sarebbero i Tyrconnel, i Dover,
gli Albeville, e gli altri avventurieri politici, i quali in
ricompensa delle adulazioni e de' pessimi consigli avevano ottenuto
dal loro troppo credulo signore governi, reggimenti, ed ambasciate.
XXIV. Mentre Guglielmo sforzavasi a procacciarsi la simpatia dei
Protestanti e de' Cattolici, si studiava con non minor vigore e
prudenza a provvedersi dei mezzi militari che la sua impresa
richiedeva. Non poteva fare uno sbarco in Inghilterra senza la
sanzione delle Provincie Unite; ed ove l'avesse chiesta innanzi che
il suo disegno fosse maturo per mandarsi ad effetto, i suoi
intendimenti forse sarebbero avversati dalla fazione ostile alla sua
Casa, e certamente verrebbero divulgati in tutto il mondo. Per lo
che deliberò di fare con ispeditezza i necessari apparecchi, e
appena compiuti, giovarsi di qualche momento favorevole per
richiedere lo assenso alla Federazione. Gli agenti della Francia
notavano che si mostrava quanto mai affaccendato. Non passava giorno
senza che egli fosse veduto correre dalla sua villa all'Aja. Stavasi
sempre rinchiuso a colloquio co' suoi più cospicui aderenti.
Ventiquattro vascelli furono armati in addizione alle forze
ordinarie mantenute dalla Repubblica. Per avventura v'era un bel
pretesto ad accrescere la flotta: imperciocchè alcuni corsari
algerini avevano dianzi osato mostrarsi nell'Oceano Germanico.
Formossi un campo in Nimega, dove si raccolsero molte migliaia di
soldati. A fine di rinforzare cotesto esercito richiamaronsi i
presidii da' luoghi forti nel Brabante Olandese. Perfino la rinomata
fortezza di Bergopzoom fu lasciata quasi senza difesa. Pezzi da
campagna, bombe, e cassoni da tutti i magazzini delle Provincie
Unite furono trasportati al quartiere generale. Tutti i fornai di
Roterdam affaticavansi giorno e notte a fare biscotto. Tutti gli
armaiuoli d'Utrecht non bastavano ad eseguire le commissioni di
pistole ed archibugi. Tutti i sellai d'Amsterdam lavoravano
indefessamente a fare arnesi. Sei mila marinai furono aggiunti al
servizio della flotta. Si fece una leva di sette mila nuovi soldati.
Veramente non potevano essere formalmente arruolati senza lo assenso
della Federazione; ma erano bene ammaestrati e tenuti in tanta
disciplina che potevano senza difficoltà ordinarsi a reggimenti
dentro ventiquattro ore dopo ottenuto lo assenso. Tali preparamenti
richiedevano pecunia annoverata: ma Guglielmo con rigida economia
aveva accumulato per qualche grave occorrenza un tesoro di dugento
cinquanta mila lire sterline. Al rimanente provvide lo zelo de' suoi
partigiani. Oro in gran copia, o, come si disse, una somma non
minore di cento mila ghinee gli fu mandata dall'Inghilterra. Gli
Ugonotti, i quali avevano seco portato nello esilio molta quantità
di metalli preziosi, di gran cuore gli prestarono tutto ciò che
possedevano: imperciocchè ardentemente speravano, che, ove la
impresa avesse esito prospero, sarebbe loro resa la patria, e
temevano, che fallendo egli, non sarebbero nè anche sicuri nella
patria adottiva(1095).
XXV. Negli ultimi giorni di luglio e in tutto il mese d'agosto gli
apparecchi processero rapidamente, se non che allo ardente animo di
Guglielmo parevano andare troppo lenti. Intanto diventava più attiva
la comunicazione tra la Olanda e l'Inghilterra. I consueti modi di
trasmettere notizie e passeggieri più non furono reputati sicuri.
Una barca leggiera e maravigliosamente veloce andava e veniva di
continuo da Schevening(1096) alla costa orientale dell'isola
nostra(1097). Per questo mezzo giunsero a Guglielmo non poche
lettere scrittegli da uomini notevolissimi nella Chiesa, nello
Stato, e nello esercito. Due de' sette prelati che avevano firmata
la memoranda petizione, cioè Lloyd Vescovo di Santo Asaph, e
Trelawney Vescovo di Bristol, mentre erano in carcere, avevano bene
meditato sulla dottrina della resistenza, ed erano pronti ad
accogliere un liberatore armato. Un fratello del Vescovo di Bristol,
il colonnello Carlo Trelawney, che comandava uno de' reggimenti di
Tangeri, adesso conosciuto come il Quarto di Linea, si mostrò
ardente di snudare la spada a pro della Religione Protestante.
Simiglianti assicurazioni mandò il feroce Kirke. Churchill, in una
lettera scritta con qualche elevatezza di stile, indizio certo che
egli era per commettere una viltà, si dichiarò deliberato a compiere
il suo dovere verso Dio e la patria, e disse che poneva il proprio
onore assolutamente nelle mani del Principe d'Orange. Guglielmo
senza dubbio lesse queste parole con quell'amaro e cinico sorriso
che dava una poco piacevole espressione al suo volto. Non ispettava
a lui prender cura dell'onore degli altri; nè i più rigidi casisti
avevano giudicato illecito ad un generale lo invitare, giovarsi, e
rimunerare i servigi de' disertori ch'ei non potesse
spregiare(1098).
La lettera di Churchill fu recata da Sidney, la cui posizione in
Inghilterra era divenuta pericolosa, e il quale, prese molte cautele
a nascondere la sua traccia, era giunto in Olanda a mezzo
agosto(1099). Verso il medesimo tempo Shrewsbury ed Eduardo Russell
traversarono l'Oceano Germanico in un battello che avevano con
grande segretezza noleggiato, e comparvero all'Aja. Shrewsbury recò
seco dodici mila lire sterline, ch'aveva messe insieme ipotecando i
suoi beni, e le pose nella banca d'Amsterdam(1100). Devonshire,
Danby, e Lumley rimasero in Inghilterra, dove tolsero lo incarico di
correre alle armi appena il Principe d'Orange ponesse piede
nell'isola.
XXVI. Non v'è ragione a credere che in questa occorrenza Guglielmo
ricevesse assicurazioni di sostegno dalla parte d'un uomo bene dai
sopranotati diverso. La storia degl'intrighi di Sunderland è coperta
da un buio che non è probabile venga mai diradato da nessuno
scrittore: ma comunque sia impossibile scoprire intera la verità,
egli è agevole notare alcune finzioni palpabilissime. I Giacomiti,
per manifeste ragioni, affermarono che la rivoluzione del 1688 fu il
resultamento d'una congiura tramata lungo tempo innanzi, e
rappresentarono Sunderland come capo de' congiurati. Asserivano
ch'egli, per eseguire il suo arcano disegno, aveva incitato il suo
troppo fidente signore a dispensare dagli statuti, a creare un
tribunale illegale, a confiscare gli averi de' sudditi, e ad
imprigionare i padri della Chiesa Anglicana. Questo romanzo non ha
verun fondamento storico, e comechè sia stato più volte ripetuto
fino ai tempi nostri, non merita confutazione. Non vi è fatto più
certo di questo, che Sunderland si oppose quasi sempre agl'insani
provvedimenti di Giacomo, ed in ispecie alla persecuzione de'
Vescovi, la quale veramente produsse la crisi decisiva. Ma quando
anche cotesto fatto non fosse provato, rimarrebbe un altro valido
argomento che basterebbe a decidere la controversia. Qual
ragionevole motivo aveva Sunderland per desiderare una rivoluzione?
Nel sistema politico esistente egli trovavasi nella maggiore altezza
di onori e di prosperità. Come presidente del Consiglio aveva la
precedenza su tutti i Pari secolari. Come primo Segretario di Stato
era il più attivo e potente membro del Gabinetto. Poteva anche
sperare la dignità di Duca. Aveva ottenuto l'ordine della
giarrettiera dianzi portato dallo splendido e versatile Buckingham,
il quale, avendo consunto un patrimonio principesco e un vigoroso
intelletto, era disceso nella tomba abbandonato, spregiato, e col
cuore trafitto(1101). Il danaro che Sunderland amava più che li
onori, pioveva sopra lui in tanta copia, che amministrandolo
moderatamente, egli poteva sperare di farsi uno dei più ricchi
uomini d'Europa. Gli emolumenti diretti del suo ufficio, benchè
fossero considerevoli, erano piccola parte di ciò ch'egli
guadagnava. Dalla sola Francia riceveva regolarmente uno stipendio
annuo di circa sei mila sterline, oltre alle ampie gratificazioni
straordinarie. Aveva patteggiato con Tyrconnel per cinque mila lire
sterline l'anno, o cinquanta mila una volta sola, sopra l'Irlanda.
Quali somme accumulasse vendendo impieghi, titoli e grazie, può solo
immaginarsi, ma dovevano essere enormi. E' pareva che Giacomo
godesse di far nuotare nell'oro un uomo ch'egli pretendeva d'avere
convertito. Tutte le multe, tutte le confische andavano a
Sunderland. In ogni concessione fatta esigeva una decima. Se qualche
chiedente si rischiava implorare un favore direttamente dal Re,
Giacomo gli rispondeva: "Avete voi parlato col Lord Presidente?" Un
tale ardì dirgli che il Lord Presidente ingoiava tutto il danaro
della Corte. "Bene" rispose Sua Maestà "egli lo merita tutto(1102)."
Non vi sarebbe la minima esagerazione ad affermare che i guadagni
del Ministro giungevano a trenta mila lire sterline l'anno: ed è
mestieri rammentarsi che le rendite di trenta mila sterline erano in
quel tempo più rare di quello che siano ai dì nostri le rendite di
cento mila. È probabile che allora in tutto il Regno non vi fosse
alcun Pari, la cui entrata patrimoniale uguagliasse quella che
Sunderland traeva dal proprio ufficio.
Poteva quindi Sunderland sperare che, sorto un nuovo ordine di cose,
implicato, come egli era, in atti illegali ed impopolari, membro
dell'Alta Commissione, rinnegato che il popolo in tutti i luoghi di
pubblico convegno chiamava papista cane, egli conseguisse maggiore
opulenza e grandezza? Poteva inoltre sperare di sottrarsi alla ben
meritata pena?
Certo egli era assuefatto da lungo tempo a prevedere il giorno, in
cui Guglielmo e Maria, nel corso ordinario della natura e della
legge, sarebbero saliti sul trono d'Inghilterra, ed è probabile che
avesse tentato di aprirsi la via al favor loro con promesse e
servigi, i quali, ove fossero stati scoperti, non avrebbero
accresciuto il suo credito in Whitehall. Ma può con sicurtà
affermarsi che egli non desiderava di vederli inalzati al potere per
mezzo d'una rivoluzione, e che non prevedeva siffatta rivoluzione
allorquando, verso la fine di giugno 1688, abbracciò solennemente la
fede della Chiesa di Roma.
Appena, nondimeno, egli con quell'inespiabile delitto s'era reso
segno all'odio ed al disprezzo della intera nazione, quando seppe le
armi nazionali e forestiere apparecchiarsi a rivendicare in breve
tempo l'ordinamento politico ed ecclesiastico della Inghilterra. Da
quello istante sembra che tutti i suoi disegni si cangiassero. La
paura che gli aveva invilito l'animo gli stava scritta in viso sì
che ciascuno poteva accorgersene(1103). Mal poteva dubitarsi, che,
seguíta una rivoluzione, i pessimi consiglieri che circondavano il
trono verrebbero chiamati a rendere rigoroso conto; e Sunderland fra
cotesti consiglieri era primo per grado. La perdita dell'ufficio,
della mercede, delle pensioni, era il meno ch'egli avesse a temere.
La sua casa patrimoniale e i suoi boschi in Althorpe avrebbero corso
pericolo d'essere confiscati; forse ei sarebbe gettato per lunghi
anni in carcere; avrebbe finiti i suoi giorni in terra straniera
dopo d'avere trascinata la vita con una pensione assegnatagli dalla
generosità della Francia. Ed anche ciò non era il peggiore de' mali.
Lo sventurato ministro cominciava a sentirsi perturbata la mente da
sinistre visioni d'una innumerevole folla ragunata in Tower Hill e
schiamazzante di feroce gioia alla vista dello apostata, del palco
parato a bruno, di Burnet leggente la preghiera degli agonizzanti, e
di Ketch appoggiato sopra la scure che aveva troncate le teste di
Russell e di Monmouth. Gli rimaneva una via a salvarsi, via più
terribile per un animo nobile di quello che sia la prigione o il
patibolo; poteva forse, con una tradigione commessa a tempo,
conseguire il perdono dagl'inimici del Governo. Stava in lui di
render loro inestimabili servigi: poichè egli godeva della piena
fiducia del Re, aveva grande influenza nella cabala gesuitica, e la
cieca confidenza dello Ambasciatore Francese. Non mancava un mezzo
di comunicazione, mezzo degno del fine al quale egli voleva
giungere. La Contessa di Sunderland era una artificiosa donna, e
sotto il manto della divozione che ingannava gli uomini gravi,
conduceva di continuo amorosi e politici intrighi(1104). Il bello e
dissoluto Enrico Sidney era stato per lungo tempo il suo favorito
amante. Al marito piaceva di vederla in tal modo posta in
comunicazione con la Corte dell'Aja. Quando egli desiderava far
giungere un segreto messaggio in Olanda, parlava con la sua moglie;
la quale scriveva a Sidney; e Sidney comunicava la lettera a
Guglielmo. Una di coteste lettere, intercettata, fu recata a
Giacomo. Essa protestò fervidamente chiamandola apocrifa. Sunderland
con singolarissima astuzia si difese dicendo che era impossibile a
qualunque uomo essere cotanto vile da fare ciò ch'egli veramente
faceva. "E quando anche fosse carattere di Lady Sunderland"
soggiunse, "io non vi ho nulla da vedere. Vostra Maestà conosce le
mie domestiche sciagure. La relazione di mia moglie con Sidney è pur
troppo nota a tutti. Chi potrebbe mai credere ch'io scegliessi a mio
confidente l'uomo che mi ha offeso nell'onore, l'uomo che sopra
tutti i viventi io dovrei maggiormente odiare(1105)?" Questa difesa
fu reputata soddisfacente; e l'irco marito seguitò a comunicare
secretamente colla sua moglie adultera, l'adultera con l'amante, e
lo amante co' nemici di Giacomo.
Egli è probabilissimo che le prime positive assicurazioni dello
aiuto di Sunderland fossero oralmente da Sidney comunicate a
Guglielmo verso la metà d'agosto. Certo è che da quel tempo fino a
quando la spedizione fu pronta a far vela, la Contessa tenne col suo
amante un significantissimo carteggio. Poche delle sue lettere, in
parte scritte in cifra, esistono ancora, e contengono proteste di
buon volere e promesse di servigi miste con ardenti preghiere di
protezione. La scrittrice promette che il suo marito farà tutto ciò
che i suoi amici dell'Aja possono desiderare: suppone che gli sarà
mestieri per qualche tempo esulare: ma spera che il bando di lui non
sia perpetuo, e che egli non venga spogliato de' suoi beni
patrimoniali; e instantemente prega di sapere in che luogo sarà
meglio per lui rifugiarsi, finchè sia abbonacciata la prima furia
della tempesta popolare(1106).
XXVII. Lo aiuto di Sunderland fu bene accolto: imperciocchè
avvicinandosi il tempo di tentare il gran colpo, l'ansietà di
Guglielmo s'era fatta grandissima. Agli occhi altrui con la fredda
tranquillità dello aspetto ei nascondeva i suoi sentimenti, ma a
Bentinck apriva tutto il suo cuore. Gli apparecchi non erano
interamente compiuti. Il disegno era già sospettato e non poteva
oltre differirsi. Il Re di Francia o la città d'Amsterdam potevano
frustrarlo. Se Luigi mandasse una grande forza militare nel
Brabante, se la fazione che odiava lo Statoldero alzasse il capo,
tutto sarebbe finito. "Le mie pene, la mia irrequietudine," scriveva
il Principe "sono terribili. Non so in che guisa io proceda. Mai in
vita mia io ho sentito, come ora, il bisogno dello aiuto di
Dio(1107)." La moglie di Bentinck era in quel tempo pericolosamente
inferma, ed ambi gli amici sentivano per lei penosissima ansietà.
"Dio vi conforti," scriveva Guglielmo, "e vi dia animo a sostenere
la parte vostra in un'opera, dalla quale, per quanto è dato agli
uomini conoscere, dipende il bene della sua Chiesa(1108)."
E davvero egli era impossibile che un così vasto disegno contro il
Re d'Inghilterra rimanesse per molti giorni secreto. Non v'era arte
ad impedire che gli uomini savi s'accorgessero de' grandi apparati
militari e marittimi che Guglielmo andava facendo, e ne
sospettassero lo scopo. Sul principio d'agosto bisbigliavasi per
tutta Londra dello avvicinarsi d'un grande evento. Il debole e
corrotto Albeville in que' giorni trovavasi in Inghilterra, ed era o
simulava d'essere certo che il Governo Olandese non macchinava nulla
contro Giacomo. Ma mentre Albeville rimaneva lontano dal suo posto,
Avaux con arte somma compiva i doveri d'Ambasciatore Francese ed
Inglese presso gli Stati, e mandava copiose notizie a Barillon
egualmente che a Luigi. Avaux era persuaso che si meditava uno
sbarco in Inghilterra, e gli venne fatto di convincerne il suo
signore. Ogni corriere che giungesse a Westminster o dall'Aja o da
Versailles, recava seri ammonimenti(1109). Ma Giacomo trovavasi
involto in uno inganno, che, a quanto sembra, era artificiosamente
accresciuto da Sunderland. Lo astuto ministro diceva che il Principe
d'Orange non si rischierebbe mai ad una spedizione oltre mare,
lasciando la Olanda priva di difesa. Gli Stati rammentandosi de'
danni patiti e del pericolo di patirne maggiori nell'infausto anno
1672, non si porrebbero a repentaglio di vedere un esercito
straniero accamparsi nel piano fra Utrecht e Amsterdam. Non era
dubbio che fossero molti sinistri umori in Inghilterra: ma fra i
mali umori e la ribellione era immenso lo spazio. I più ricchi e
spettabili cittadini non erano minimamente disposti a rischiare
onori, vita e sostanze. Quanti uomini cospicui fra' Whig avevano
parlato con alto-sonanti parole, mentre Monmouth era ne' Paesi
Bassi! E nondimeno chi di loro accorse al suo vessillo allorchè egli
lo inalzò a ribellare l'Inghilterra? Era agevole ad intendere il
perchè Luigi simulava di prestar fede a cotesti vani rumori. Certo
egli sperava, atterrando il Re d'Inghilterra, indurlo a spalleggiare
la Francia nella contesa per lo arcivescovato di Colonia. Con tali
ragionamenti Giacomo era di leggieri tenuto in una stupida
sicurezza(1110). I timori e lo sdegno di Luigi quotidianamente
crescevano. Lo stile delle sue lettere si faceva sempre più pungente
ed energico(1111). Scriveva di non sapere intendere cotesto letargo
nella vigilia d'una tremenda crisi. Era il Re forse ammaliato? I
suoi ministri erano forse ciechi? Era egli possibile che nessuno in
Whitehall s'accorgesse di ciò che accadeva in Inghilterra e nel
continente? Tanta sicurezza mal poteva essere lo effetto della
imprevidenza. Qualche scelleraggine vi stava sotto. Giacomo
evidentemente trovavasi in cattive mani. Barillon fu rigorosamente
avvertito a non fidarsi alla cieca de' ministri inglesi: ma fu
avvertito invano. Sunderland aveva avvinto e Barillon e Giacomo in
un fascino tale che non v'era ammonimento che valesse a romperlo.
XXVIII. Luigi affaccendavasi ognora con maggior vigoria. Bonrepaux
il quale per perspicacia valeva molto più di Barillon, e aveva
sempre aborrito e diffidato di Sunderland, fu spedito a Londra per
offrire soccorsi marittimi. Ad Avaux nel tempo stesso fu ingiunto di
dichiarare agli Stati Generali che la Francia aveva preso Giacomo
sotto la sua protezione. Un gran corpo di truppe era pronto a
marciare alla frontiera olandese. Questa audace prova di salvare suo
malgrado lo accecato tiranno, fu fatta di pieno accordo con Skelton,
il quale allora era ambasciatore d'Inghilterra presso la Corte di
Versailles. Avaux uniformandosi alle ricevute istruzioni, chiese
agli Stati una udienza che gli venne subito concessa. L'assemblea
era oltre il consueto numerosa. Generalmente credevasi che il
Francese dovesse fare qualche comunicazione concernente il
commercio; e così supponendo il Presidente aveva apparecchiata una
convenevole risposta in iscritto. Ma appena Avaux cominciò ad
esporre la sua commissione, segni d'inquietudine apparvero in tutto
l'uditorio. Coloro che erano in voce di godere la confidenza del
Principe d'Orange, abbassaron gli occhi. L'agitazione si fece
maggiore allorchè lo Inviato annunziò che il suo signore era
intimamente stretto co' vincoli d'amistà e d'alleanza a Sua Maestà
Britannica, e che ogni aggressione contro la Inghilterra verrebbe
considerata come una dichiarazione di guerra alla Francia. Il
presidente, côlto di sorpresa, balbettò poche parole evasive; e la
conferenza si sciolse. Nel medesimo tempo fu notificato agli Stati
che Luigi aveva preso sotto la sua protezione il Cardinale
Furstemburg e il Capitolo di Colonia(1112).
I deputati erano nella massima agitazione. Alcuni consigliavano
indugio e cautela. Altri gridavano guerra. Fagel parlò con veementi
parole della insolenza francese, e pregò i colleghi a non lasciarsi
impaurire dalle minacce. Disse che la risposta più convenevole a
cosiffatte comunicazioni era quella di accrescere maggiormente le
forze di terra e di mare. Tosto fu spedito un corriere a richiamare
Guglielmo da Minden, dove teneva un colloquio di somma importanza
con lo Elettore di Brandenburgo.
XXIX. Ma non v'era ragione alcuna di timore. Giacomo correva da sè
alla propria rovina, ed ogni sforzo fatto a fermarlo lo spingeva più
rapidamente al proprio destino. Mentre il suo trono era consolidato,
il suo popolo sommesso, il più ossequioso de' Parlamenti pronto a
indovinarne i desiderii e compiacerlo, mentre le repubbliche e i
potentati stranieri gareggiavano a tenerselo bene edificato, mentre
stava solo in lui il divenire l'arbitro della Cristianità, egli
s'era abbassato a farsi lo schiavo e il mercenario della Francia. E
adesso mentre per una catena di delitti e di follie, s'era inimicato
co' vicini, co' sudditi, co' soldati, co' marinai, co' figli suoi,
ed altro rifugio non rimanevagli che la protezione della Francia, fu
preso da uno accesso d'orgoglio, e deliberò di far pompa
d'indipendenza agli occhi di tutto il mondo. Lo aiuto, ch'egli,
quando non ne aveva mestieri, non aveva vergognato di accettare con
lacrime di gioia, adesso che gli era necessario, lo aveva
sprezzantemente ricusato. Essendosi mostrato abietto mentre poteva
con convenevolezza mostrarsi puntiglioso a mantenere la propria
dignità, egli divenne con ingratitudine altero nel momento in cui
l'alterigia doveva gettarlo nello scherno e nella rovina. Ei si
mostrò risentito allo amichevole intervento che avrebbe potuto
salvarlo. Si vide mai un Re siffattamente trattato? Era egli un
fanciullo o un idiota, che altri avesse ad impacciarsi de' fatti
suoi? Era egli un principotto, un Cardinale Furstemburg, il quale
cadrebbe se non fosse sostenuto dal suo potente protettore? Doveva
egli perdere la stima di tutta Europa accettando un pomposo
protettorato che egli non aveva mai chiesto? Skelton fu richiamato a
rendere ragione della sua condotta, ed appena giunto a Londra fu
imprigionato nella Torre. Citters fu bene accolto in Whitehall ed
ebbe una lunga udienza. Egli poteva, con veracità maggiore di quella
che in simiglianti occasioni i diplomatici reputano necessaria,
smentire dalla parte degli Stati Generali qual si fosse disegno
ostile: imperciocchè gli Stati Generali fino allora non avevano
notizia officiale dello intendimento di Guglielmo; nè era affatto
impossibile che essi anche allora non gli dessero la loro
approvazione. Giacomo disse che non prestava punto fede alle voci
d'una invasione Olandese, e che la condotta del Governo Francese gli
aveva recato maraviglia e molestia. A Middleton fu ingiunto di
assicurare tutti i ministri stranieri come non esistesse tra la
Francia e l'Inghilterra quella lega, che la Corte di Versailles
voleva, pei propri fini, far credere. Al Nuncio il Re disse che i
disegni di Luigi erano manifestissimi e che verrebbero frustrati.
Questa officiosa protezione era un insulto e insieme una trappola.
"Il mio buon fratello" soggiunse Giacomo "ha ottime qualità; ma
l'adulazione e la vanità gli hanno dato volta al cervello(1113)."
Adda, al quale importava più Colonia che la Inghilterra, secondò
cotesto strano inganno. Albeville, che era già ritornato al suo
posto, ebbe comandamento di dare assicurazioni d'amistà agli Stati
Generali e di aggiungere parole che sarebbero state convenevoli
sulle labbra d'Elisabetta o di Cromwell. "Il mio Signore" disse egli
"per la sua potenza e pel suo animo si è inalzato al di sopra della
posizione dove la Francia pretende tenerlo. Vi è qualche differenza
tra un Re d'Inghilterra ed un Arcivescovo di Colonia." L'accoglienza
fatta a Bonrepaux in Whitehall fu fredda. I soccorsi marittimi
ch'egli offriva non furono affatto ricusati: ma gli fu forza
tornarsene senza avere nulla concluso; e agli Ambasciatori delle
Province Unite e della Casa d'Austria fu detto che l'ambasciata
francese non era stata gradita dal Re e non aveva prodotto nessun
effetto. Dopo la Rivoluzione Sunderland vantossi, e forse diceva il
vero, d'avere indotto il proprio signore a rifiutare lo aiuto
proffertogli dalla Francia(1114).
La ostinata demenza di Giacomo destò, come era naturale, lo sdegno
del suo potente vicino. Luigi si dolse che in ricambio de'
grandissimi servigi ch'egli poteva rendere al Governo inglese, quel
Governo gli aveva dato una mentita in faccia a tutta la Cristianità.
Notò giustamente che tutto ciò che era stato detto da Avaux rispetto
alla alleanza tra la Francia e la Gran Bretagna era vero secondo lo
spirito, comechè forse non vero secondo la lettera. Non esisteva
trattato compilato in articoli, munito di firme, sigilli e
ratifiche; ma pel corso di parecchi anni erano state ricambiate tra
le due Corti assicurazioni equivalenti, nell'opinione degli uomini
d'onore, ad un trattato. Luigi aggiunse che per quanto fosse elevato
il suo posto in Europa, non avrebbe mai sentita tanto assurda
gelosia della propria dignità da prendere per insulto un atto
suggerito dall'amicizia. Ma Giacomo era in condizioni
differentissime, e in breve conoscerebbe il pregio di un aiuto da
lui con sì poca buona grazia ricusato(1115).
Nulladimeno, malgrado la stupidità e la ingratitudine di Giacomo,
sarebbe stato savio provvedimento per Luigi il persistere nella
determinazione notificata agli Stati Generali. Avaux che per sagacia
e discernimento era degno antagonista di Guglielmo, era
assolutamente di questa opinione. Precipuo scopo del Governo
francese - così ragionava lo esperto Ambasciatore - dovrebbe essere
quello d'impedire la invasione della Inghilterra. Il modo
d'impedirla era d'invadere i Paesi Bassi sotto il dominio della
Spagna, e minacciare i batavi confini. Il Principe d'Orange era
cotanto impegnato nella sua intrapresa, da persistere quand'anco
vedesse la bianca bandiera sventolare sopra le mura di Brusselles.
Aveva già detto che ove gli Spagnuoli potessero fare in guisa da
tenere fino a primavera Ostenda, Mons e Namur, ci sarebbe ritornato
dalla Inghilterra con forze bastevoli a ricuperare tostamente le
perdute province. Ma comechè tale fosse la opinione del Principe,
tale non era quella degli Stati, i quali non avrebbero agevolmente
consentito a mandare il Capitano e il fiore dell'armata loro oltre
l'Oceano Germanico, mentre un formidabile nemico minacciava il loro
territorio(1116).
XXX. Luigi reputava savie coteste ragioni: ma era già deliberato di
agire in modo diverso. Forse era stato provocato dalla scortesia e
dalla caparbietà del Governo inglese, e voleva appagare lo sdegno a
spese del proprio interesse. Forse lo traviavano i consigli di
Louvois suo ministro della guerra, che aveva grande influenza e non
guardava di buon occhio Avaux. Il Re di Francia deliberò di tentare
altrove un grande ed inatteso colpo. Ritrasse le sue schiere dalle
Fiandre e le gettò nella Germania. Un'armata, sotto il comando
nominale del Delfino, ma veramente guidata dal Duca di Duras, e da
Vauban, padre della scienza delle fortificazioni, invase
Philipsburg. Un'altra, condotta dal Marchese di Bouffiers, prese
Worms, Magonza e Treveri. Una terza, comandata dal Marchese di
Humières, entrò in Bonn. Per tutta la linea del Reno, da Carlsruhe
fino a Colonia, lo esercito francese fu vittorioso. La nuova della
caduta di Philipsburg giunse a Versailles il dì d'Ognissanti, mentre
la Corte ascoltava la predica nella cappella. Il Re fece al
predicatore segno di fermarsi, annunziò la lieta nuova e
inginocchiandosi ringraziò Dio di questa gran vittoria. L'uditorio
ne pianse di gioia(1117). La notizia fu accolta con entusiasmo dallo
ardente e vanitoso popolo della Francia. I poeti celebrarono il
trionfo del loro magnifico protettore. Gli oratori esaltarono dai
pergami la sapienza e magnanimità del figlio primogenito della
Chiesa. Cantossi con insolita pompa il Te Deum, e le solenni melodie
dell'organo risonavano miste al clangore de' timpani ed allo squillo
delle trombe. Ma v'era poca ragione a rallegrarsi. Il grande uomo di
Stato che capitanava la Coalizione Europea, gioiva in cuor suo
vedendo così male diretta la energia del suo nemico. Luigi con la
sua prontezza aveva ottenuto qualche vantaggio in Germania: ma
poteva giovargli poco ove la Inghilterra, inoperosa e priva di
gloria sotto quattro Re successivi, riprendesse l'antico suo grado
fra i potentati d'Europa. Poche settimane bastavano per compire la
impresa dalla quale dipendeva il destino del mondo; e per poche
settimane le Province Unite potevano mantenersi sicure da ogni
pericolo.
XXXI. Guglielmo allora spinse i suoi apparecchi con indefessa
operosità e con minore segretezza di quella che per innanzi aveva
creduto necessaria. Giungevangli ogni giorno nuovo assicurazioni di
soccorso dalle Corti straniere. Ogni opposizione nell'Aja era
spenta. Invano Avaux in quegli estremi momenti studiossi con ogni
sua arte a rianimare la fazione che pel corso di tre generazioni
aveva avversato la Casa d'Orange. I capi di quella fazione, a dir
vero, non procedevano favorevoli allo Statoldero; come quelli che
ragionevolmente temevano che ove egli avesse prospera ventura in
Inghilterra, diventerebbe assoluto signore della Olanda. Nondimeno
gli errori della Corte di Versailles, e la destrezza onde egli se
n'era giovato, rendevano impossibile il continuare la lotta contro
di lui. Conobbe essere giunto il tempo di chiedere lo assenso degli
Stati. Amsterdam era il quartiere generale del partito ostile alla
razza, alla dignità, alla persona di lui; ed anche quivi ei non
aveva adesso nulla da temere. Alcuni dei precipui magistrati di
quella città avevano avuto più volte secreti colloqui con lui, con
Dykvelt e con Bentinck, ed erano stati indotti a promettere che
avrebbero secondato o almeno non avversato la grande intrapresa:
altri erano esasperati dagli editti commerciali di Luigi: altri
erano dolentissimi pei parenti e per gli amici tormentati dai
dragoni francesi: altri abborrivano dalla responsabilità di far
nascere uno scisma che potrebbe essere fatale alla Federazione
Batava: ed altri avevano paura del popolo, il quale, incitato dalle
arringhe de' zelanti predicatori, era pronto a porre le mani addosso
ad ogni traditore della Religione Protestante. La maggioranza quindi
di quel Consiglio municipale, che aveva da lungo tempo favorita la
Francia, si dichiarò favorevole alla impresa di Guglielmo. E però in
ogni parte delle Province Unite era svanito ogni timore
d'opposizione; e lo assenso di tutta la Federazione fu formalmente
dato in secrete ragunanze(1118).
Il Principe aveva già posto gli occhi sopra un generale che avesse
requisiti da essere a lui secondo nel comando. Ciò non era cosa di
lieve importanza. Un'archibugiata fortuita o il pugnale d'un
assassino avrebbe potuto in un istante lasciare lo esercito senza
capo; ed era mestieri che un successore fosse pronto ad occupare il
posto vacante. Nulladimeno egli era impossibile deputare a tanto
ufficio un Inglese senza offendere i Whig o i Tory; nè fra
gl'Inglesi v'era alcuno che avesse l'arte militare bisognevole a
condurre una campagna. Dall'altro canto non era agevole proporre uno
straniero senza offendere il senso nazionale degli alteri isolani.
Un solo era l'uomo in Europa contro il quale non poteva farsi
obiezione, cioè Federigo Conte di Schomberg, tedesco d'una famiglia
nobile del Palatinato. Era universalmente reputato il più grande
maestro dell'arte della guerra. La pietà e rettitudine sue, che non
avevano mai ceduto a fortissime tentazioni, lo rendevano ben
meritevole di riverenza e fiducia. Come che fosse Protestante, aveva
per molti anni militato al soldo di Luigi, e in onta alle inique
trame de' Gesuiti aveva strappato da lui, dopo una serie di gloriosi
fatti, il bastone di Maresciallo di Francia. Allorquando la
persecuzione cominciò ad infuriare, il valoroso veterano
ostinatamente ricusò di conseguire con l'apostasia il regio favore;
rinunziò, senza mormorare, a tutti i suoi onori e comandi; abbandonò
per sempre la sua patria adottiva, e rifugiossi alla Corte di
Berlino. Aveva settanta e più anni d'età, ma era in pieno vigore di
mente e di corpo. Era stato in Inghilterra, dove fu molto amato ed
onorato; e parlava la nostra favella non solo intelligibilmente, ma
con grazia e purezza; qualità di cui allora pochi stranieri potevano
menar vanto. Con lo assenso dello Elettore di Brandenburgo e con la
cordiale approvazione di tutti i capi de' partiti inglesi fu
nominato Luogotenente di Guglielmo(1119).
XXXII. L'Aja era allora piena di avventurieri di tutti i vari
partiti che la tirannia di Giacomo aveva congiunti in una strana
coalizione; vecchi realisti, che avevano sparso il proprio sangue in
difesa del trono; vecchi agitatori dell'esercito del Parlamento;
Tory, che erano stati perseguitati a tempo della Legge d'Esclusione;
Whig, che erano fuggiti al Continente per avere partecipato alla
Congiura di Rye House.
Primeggiavano in cotesto grande miscuglio Gherardo Conte di
Maclesfield, antico Cavaliere che aveva combattuto per Carlo I ed
esulato con Carlo II; Arcibaldo Campbell che era figlio primogenito
dello sventurato Argyle, dal quale non aveva altro ereditato che il
nome illustre e l'inalienabile affetto d'una numerosa tribù; Carlo
Paulet, Conte di Wiltshire, erede presuntivo del Marchesato di
Wincester; e Pellegrino Osborne, Lord Dumblane, erede presuntivo
della Contea di Danby. Notavasi fra i più importanti volontari
Mordaunt che esultava nella speranza di incontrare avventure, alle
quali irresistibilmente lo traeva la fiera sua indole. Fletcher di
Saltoun, mentre stavasi a guardare i confini della Cristianità
contro gl'infedeli, avendo saputo che vi era speranza di liberare la
patria, s'era affrettato ad offrire al liberatore lo aiuto della sua
spada. Sir Patrizio Hume, il quale dopo di essere fuggito dalla
Scozia era vissuto umilmente in Utrecht, adesso uscì dalla oscurità;
ma per fortuna in questa occasione la sua eloquenza poteva recare
poco danno; imperocchè il Principe d'Orange non era punto disposto
ad essere Luogotenente d'una società ciarliera come era stata quella
che aveva rovinata la impresa d'Argyle. Il sottile ed irrequieto
Wildman, che alcuni anni innanzi, non trovandosi sicuro in
Inghilterra, aveva cercato un asilo in Germania, adesso accorse alla
Corte del Principe. V'era anche Carstairs, ministro Presbiteriano di
Scozia, che per accorgimento e coraggio non era secondo a nessuno
degli uomini politici di quell'epoca. Fagel, parecchi anni prima,
gli aveva affidato segreti importantissimi, che i più orribili
tormenti dello stivaletto e delle tanaglie non gli avevano potuto
strappare dalle labbra. Per cotesta rara fortezza ei s'acquistò il
primo posto dopo Bentinck nella stima e fiducia del Principe(1120).
Ferguson non poteva rimanere quieto mentre apparecchiavasi una
rivoluzione. Si procurò un imbarco nella flotta e cominciò ad
affaccendarsi fra' suoi compagni d'esilio: ma trovò in tutti
diffidenza e disprezzo. Egli era stato grande uomo in quel nucleo
d'ignoranti e furibondi fuorusciti che avevano spinto il debole
Monmouth alla rovina: ma tra i gravi uomini di Stato e Capitani che
coadiuvavano il risoluto e sagace Guglielmo, non v'era luogo per un
agitatore di bassa sfera, mezzo maniaco e mezzo birbone.
XXXIII. La differenza fra la spedizione del 1685 e quella del 1688
risultava bastevolmente dalla differenza tra le dichiarazioni
pubblicate dai capi dell'una e dell'altra. Per Monmouth Ferguson
aveva scrivacchiato un assurdo e brutale libello, dove accusava Re
Giacomo d'avere bruciato Londra, strangolato Godfrey, fatto strage
d'Essex, e propinato il veleno a Carlo. La Dichiarazione di
Guglielmo fu scritta dal Gran Pensionario Fagel il quale aveva alta
riputazione di pubblicista. Quantunque fosse grave e dotta, nella
sua forma originale era troppo prolissa: ma venne compendiata e
tradotta in inglese da Burnet, il quale s'intendeva bene dell'arte
dello scrivere popolare. In un solenne preambolo stabiliva il
principio che in ogni società la rigorosa osservanza della legge era
egualmente necessaria alla felicità delle nazioni ed alla sicurezza
de' Governi. Il Principe d'Orange aveva quindi veduto con profondo
rammarico come le leggi fondamentali del Regno, al quale egli era
congiunto con stretti vincoli di sangue e di matrimonio, fossero
grandemente e sistematicamente violate. La potestà di dispensare
dagli Atti del Parlamento era stata stiracchiata a segno che tutta
l'autorità legislativa era ridotta nella sola Corona. Sentenze
repugnanti allo spirito della Costituzione erano state profferite
dai tribunali, destituendo i giudici incorruttibili, e sostituendo
loro uomini pronti ad obbedire implicitamente agli ordini del
Governo. Non ostanti le ripetute assicurazioni che il Re aveva date
di mantenere la religione dello Stato, persone manifestamente
avverse a quella erano state promosse non solo agli uffici civili,
ma anco ai beneficii ecclesiastici. Il governo della Chiesa, in onta
al chiarissimo senso degli Statuti, era stato affidato ad una nuova
Corte d'Alta Commissione, nella quale aveva seggio un uomo che
apertamente professava il Papismo. Uomini dabbene, per avere
ricusato di violare il dovere e i giuramenti loro, erano stati
spogliati della loro proprietà in dispregio della Magna Charta e
delle libertà d'Inghilterra. Intanto individui che legalmente non
potevano porre piede nell'isola erano stati posti a capo de'
seminari per corrompere le menti de' giovani. Luogotenenti, Deputati
Luogotenenti, Giudici di Pace erano stati a centinaia destituiti per
avere rifiutato di secondare una politica perniciosa ed
incostituzionale. Quasi tutti i borghi del Regno erano stati privati
delle loro franchigie. Le Corti di giustizia erano in condizioni
tali, che le loro sentenze, anche nelle cause civili, non ispiravano
più fiducia, e la loro servilità nelle criminali aveva fatto
spargere nel Regno il sangue innocente. Tutti cotesti abusi, venuti
in disgusto alla nazione inglese, il Governo aveva intenzione di
difendere, secondo che sembrava, con una armata di Papisti
Irlandesi. Nè ciò era tutto. I Principi più assoluti del mondo non
avevano reputato delitto in un suddito lo esporre modestamente e con
pace gli aggravi, e chiederne giustizia. Ma in Inghilterra le cose
erano giunte a tale eccesso che il supplicare veniva reputato
gravissimo delitto. Per nessuna altra colpa che quella d'avere
presentata al Sovrano una petizione scritta con rispettosissime
parole i padri della Chiesa Anglicana erano stati messi in carcere e
processati; e destituiti i giudici che diedero il voto in loro
favore. La convocazione d'un legittimo Parlamento poteva essere un
rimedio efficace a tutti cotesti mali: ma un simile Parlamento, a
meno che non fosse interamente cangiato il Governo, non era da
sperarsi dalla nazione. La Corte mostrava evidentemente la
intenzione di mettere insieme, rifoggiando a suo modo i municipii e
deputando ufficiali elettorali papisti, una Camera di Comuni che
fosse tale di solo nome. In fine, v'erano circostanze che facevano
sospettare non essere nato dalla Regina lo infante che chiamavasi
Principe di Galles. Per queste ragioni il Principe, in
contemplazione della sua stretta parentela con la regia famiglia, e
per gratitudine dello affetto che il popolo inglese aveva sempre
portato alla sua diletta consorte ed a lui, cedendo allo invito di
non pochi Lordi spirituali e secolari e di molti altri uomini d'ogni
grado, aveva deliberato di recarsi nell'isola con forze sufficenti a
reprimere la violenza. Lungi dalla sua mente ogni pensiero di
conquista. Protestava che finchè le sue milizie rimarrebbero in
Inghilterra, sarebbero tenute nella più rigorosa disciplina, ed
appena la nazione si fosse liberata dal giogo della tirannide,
sarebbero mandate via. Suo unico scopo era quello di far convocare
un libero e legittimo Parlamento; alla decisione del quale egli
faceva solenne sacramento di lasciare tutte le questioni pubbliche e
private.
Come questa dichiarazione cominciò a correre attorno per l'Aja,
apparvero segni di dissensione fra gl'Inglesi. Wildman, indefesso
nel male, indusse alcuni de' suoi concittadini, ed in ispecie il
testardo e leggiero Mordaunt a dichiarare che a tali patti non
prenderebbero le armi, dicendo che lo scritto era stato ideato per
piacere ai Cavalieri e ai parrochi; i danni della Chiesa e il
processo de' Vescovi vi facevano troppa figura; e non v'era pur
motto del tirannesco modo onde i Tory, innanzi che rompessero con la
Corte, avevano trattato i Whig. Wildman allora produsse un
contro-manifesto, da lui apparecchiato, il quale, ove fosse stato
abbracciato, avrebbe indignati il Clero Anglicano e quattro quinti
dell'aristocrazia territoriale. I principali Whig gli fecero
vigorosa opposizione; e segnatamente Russell dichiarò che ove
venisse adottato lo insano suggerimento di Wildman, si sarebbe
sciolta la coalizione dalla quale unicamente poteva il popolo
inglese sperare d'essere liberato. In fine la contesa fu ricomposta
per l'autorità di Guglielmo, il quale, col suo consueto buon senso,
stabilì che il manifesto rimanesse quasi come era stato congegnato
da Fagel e da Burnet(1121).
XXXIV. Mentre tali cose seguivano in Olanda, Giacomo erasi
finalmente accorto del proprio pericolo. Da varie parti gli
giungevano avvisi che mal potevano mettersi in non cale, finchè un
dispaccio d'Albeville gli tolse ogni dubbio. Dicesi che come il Re
lo ebbe letto, tosto impallidisse e perdesse per alcun tempo la
parola(1122). Ed era naturale che ne rimanesse atterrito: imperocchè
il primo vento che spirasse di levante avrebbe portato un esercito
ostile alle spiagge del suo reame. Tutta Europa, tranne un solo
potentato, attendeva con impazienza la nuova della sua caduta. Anzi
egli aveva respinto con un insulto lo amichevole intervento che lo
avrebbe potuto salvare. Le schiere francesi, che, s'egli non fosse
stato demente, avrebbero potuto atterrire gli Stati Generali,
stavansi ad assediare Philipsburg, o presidiavano Magonza. Tra pochi
giorni forse gli toccherebbe di pugnare sul territorio inglese a
difendere la propria corona e il diritto ereditario del suo
figliuolo infante. Grandi, a dir vero, erano in apparenza i suoi
mezzi. La flotta era in assai migliori condizioni di quello che
fosse nel tempo, in cui egli ascese al trono: e tali miglioramenti
in parte erano da attribuirsi a' suoi propri sforzi. Non aveva
nominato Lord Grande Ammiraglio o Consiglio d'Ammiragliato, ma aveva
riserbata a se stesso l'alta direzione degli affari marittimi con la
vigorosa assistenza di Pepys. Dice il proverbio che l'occhio del
padrone vale più di quello del ministro: e in una età di corruzione
e di peculato è verosimile che un dipartimento al quale un sovrano,
anche di pochissima mente, rivolge la propria attenzione, si
mantenga comparativamente libero dagli abusi. Sarebbe stato facile
trovare un ministro della marina più abile di Giacomo; ma non
sarebbe stato facile, fra gli uomini pubblici di quel tempo,
trovare, tranne Giacomo stesso, un ministro della marina, il quale
non rubasse sulle provigioni, non accettasse doni dai contraenti, e
non addebitasse la Corona de' non mai fatti ripari. E veramente il
Re era quasi il solo del quale si potesse esser certi che non
frodasse il Re. E però negli ultimi tre anni più che ne' precedenti
eravi stato meno sciupío e meno rubamenti negli arsenali. S'erano
costruiti parecchi vascelli atti a navigare. Giacomo aveva emanato
un opportuno decreto col quale, accrescendo la paga dei capitani,
rigorosamente inibiva loro di trasportare da un porto all'altro
mercanzie senza regia licenza. Lo effetto di queste riforme già era
visibile; e a Giacomo non riuscì difficile allestire in brevissimo
tempo una considerevole flotta. Trenta vascelli di linea, tutti di
terzo e quarto ordine, furono ragunati nel Tamigi sotto il comando
di Lord Dartmouth, la cui lealtà non ammetteva sospetto. Egli veniva
reputato nell'arte sua più esperto di tutti i marini patrizi, i
quali in quella età inalzavansi ai supremi comandi nella flotta
senza educazione marittima, ed erano a un tempo capitani di vascello
sul mare, e colonnelli di fanteria per terra(1123).
XXXV. L'armata regolare era più grande di quante ne avessero mai
comandate i re d'Inghilterra, e fu rapidamente accresciuta. Nei
reggimenti che esistevano vennero incorporate nuove compagnie.
Furono create commissioni a formarne altri. Quattro mila uomini
furono aggiunti alle forze militari dell'Inghilterra; tremila
speditamente fatti venire dalla Irlanda; altrettanti dalla Scozia
diretti verso il mezzogiorno. Giacomo stimava circa quaranta mila
uomini - senza contarvi la milizia civica - le forze che poteva
opporre agli invasori(1124).
La flotta e lo esercito, quindi, erano più che bastevoli a
respingere la invasione degli Olandesi. Ma poteva il Re fidarsi
dello esercito e della flotta? Le milizie urbane non accorrerebbero
a migliaia al vessillo del liberatore? Il partito, che pochi anni
innanzi aveva snudata la spada in favore di Monmouth, senza dubbio
accoglierebbe il Principe d'Orange. E dove era egli mai quel partito
che per quarantasette anni era stato l'egida della monarchia? Dove
erano quegli strenui gentiluomini i quali erano sempre stati pronti
a spargere il proprio sangue a difesa della Corona? Oltraggiati e
insultati, cacciati dalle magistrature e dalla milizia, mostravansi
senza maschera lieti del pericolo in cui vedevano travagliarsi lo
ingrato sovrano. Dove erano mai quei sacerdoti e prelati, i quali da
dieci mila pergami avevano predicato il debito d'obbedire all'unto
del Signore? Alcuni di loro erano stati messi in carcere, altri
spogliati degli averi, e tutti posti sotto al ferreo giogo dell'Alta
Commissione, ed avevano grandemente temuto un nuovo capriccio del
tiranno non li privasse della libera proprietà loro, lasciandoli
senza un tozzo di pane. E' sembrava incredibile che gli Anglicani,
anche in quegli estremi, dimenticassero pienamente quella dottrina
di cui menavano peculiare vanto. Ma poteva egli il loro oppressore
augurarsi di trovare fra essi quello spirito che nella precedente
generazione aveva trionfato sopra i soldati d'Essex e di Waller, e
dopo una disperata lotta ceduto solo al genio e vigore di Cromwell?
Il tiranno ne impaurì davvero. E cessando di ripetere che le
concessioni avevano sempre tratto i principi alla rovina, confessò
amaramente essergli d'uopo corteggiare di nuovo i Tory(1125).
XXXVI. Abbiamo ragione di credere che Halifax verso questo tempo
fosse invitato a rientrare nel governo, e che ciò non gli spiacesse.
La parte di mediatore fra il trono e la nazione era quella che
meglio gli stava, e che ei singolarmente ambiva. Non si sa in che
guisa si rompessero le pratiche con lui: ma non è improbabile che la
questione della potestà di dispensare fosse difficoltà
insormontabile. Per averla avversata, tre anni innanzi, era caduto
in disgrazia; e fra le cose che erano quinci succedute non ve n'era
alcuna che gli potesse far cangiare opinione. Giacomo, dall'altro
canto, era fermamente deliberato di non fare concessione alcuna
intorno a quel punto(1126). Rispetto alle altre cose era meno
pertinace. Emanò un proclama col quale solennemente prometteva
proteggere la chiesa d'Inghilterra e mantenere l'Atto d'Uniformità.
Dichiaravasi desideroso di fare grandi sacrifici alla concordia.
Diceva non volere più oltre insistere sull'ammissione de' Cattolici
Romani alla Camera de' Comuni; e sperava di sicuro che i suoi
sudditi giustamente apprezzerebbero la prova ch'egli porgeva a
volere appagare i loro desiderii. Tre giorni dopo espresse la
intenzione di porre nuovamente in ufficio i magistrati o i
luogotenenti deputati ch'egli aveva destituiti per avere ricusato di
secondare la politica del governo. Il dì dopo la comparsa di questa
notificazione Compton fu dalla sospensione prosciolto(1127).
XXXVII. Nel tempo medesimo il Re diede udienza a tutti i vescovi che
erano in Londra. Avevano chiesto d'essere ammessi alla presenza di
lui onde confortarlo de' loro consigli in quelle gravissime
circostanze. Il Primate favellò per tutti. Rispettosamente pregò il
Re a porre l'amministrazione nelle mani d'uomini che avessero i
debiti requisiti per condurre il governo; revocare tutti gli atti
consumati sotto pretesto della potestà di dispensare; annullare
l'Alta Commissione; riparare alle ingiustizie commesse contro il
Collegio della Maddalena, e rendere ai Municipii le loro antiche
franchigie. Accennò con molta chiarezza ad un desiderevole evento
che avrebbe pienamente consolidato il trono e resa la pace al
perturbato reame. Ove Sua Maestà s'inducesse a riesaminare i punti
controversi fra la Chiesa di Roma e quella d'Inghilterra, forse,
mercè la grazia divina, gli argomenti che i vescovi desideravano
esporle l'avrebbero convinta essere suo debito ritornare alla
religione del padre e dell'avo. Fin qui, disse Sancroft, aveva
espresso gl'intendimenti de' suoi confratelli. Ma v'era una cosa
intorno a cui non li aveva consultati, e ch'egli reputava suo dovere
esporre al sovrano. E veramente egli era il solo uomo del clero che
potesse toccare di tale subietto senza essere sospettato di mirare
al proprio interesse. La sede metropolitana di York da tre anni era
vacante. Lo arcivescovo supplicò il Re di darla a un pio e dotto
teologo, ed aggiunse che un siffatto teologo poteva senza difficoltà
trovarsi fra coloro che erano lì presenti. Il Re seppe frenarsi
tanto da rendere grazie ai Vescovi per quegli sgradevoli
ammonimenti, e promise loro di ponderare bene ciò che avevano
detto(1128). Quanto alla potestà di dispensare non volle cedere un
jota. Nessuno degl'individui incapaci fu rimosso dagli uffici civili
o militari. Ma alcuni de' suggerimenti di Sancroft vennero
abbracciati. Dentro quarantotto ore la Corte dell'Alta Commissione
fu abolita(1129). Fu risoluto di rendere alla Città di Londra lo
statuto toltole sei anni innanzi; e il Cancelliere fu mandato con
gran solennità a recare a Guildhall quella veneranda
cartapecora(1130). Sette giorni dopo fu annunziato al pubblico che
il Vescovo di Winchester, il quale per virtù del proprio ufficio era
Visitatore del Collegio della Maddalena, aveva avuto dal Re lo
incarico di riparare ai danni recati a quella società. E' non fu
senza una lunga lotta e un amarissimo affanno che Giacomo scese a
questa ultima umiliazione; e per vero dire non cedette finchè il
Vicario Apostolico Leyburn, il quale, a quanto sembra, si condusse
sempre da onesto e savio uomo, dichiarò che, secondo il suo
giudicio, il Presidente e i Convittori cacciati avevano patito
ingiustizia, e che per ragioni religiose e politiche era d'uopo
rendere loro il già tolto(1131). In pochi giorni fu pubblicato un
decreto che restituiva le tolte franchigie a tutti i
municipii(1132).
XXXVIII. Giacomo lusingavasi che concessioni sì grandi, fatte nel
breve spazio d'un mese, gli farebbero di nuovo acquistare lo affetto
del suo popolo. Non può dubitarsi che ove egli le avesse fatte pria
che vi fosse ragione ad attendere una invasione dalla Olanda,
avrebbero molto contribuito a riconciliarlo coi Tory. Ma i principi
che concedono al timore ciò che ricusano alla giustizia, non debbono
sperare gratitudine. Per tre anni il Re era stato duro ad ogni
argomento, ad ogni preghiera. Chi de' ministri aveva osato inalzare
la voce in favore della costituzione civile ed ecclesiastica del
Regno, era caduto in disgrazia. Un Parlamento eminentemente realista
erasi provato a protestare con dolci e rispettosi modi contro la
violazione delle leggi fondamentali della Inghilterra, ed era stato
acremente ripreso, prorogato, e disciolto. I giudici, ad uno ad uno,
erano stati privati dell'ermellino, per non essersi voluti indurre a
profferire sentenze contrarie ad ogni specie di leggi. Ai più
spettabili cavalieri era stato chiuso l'adito al governo delle loro
Contee perchè avevano ricusato di tradire le libertà pubbliche. Gli
ecclesiastici a centinaia erano stati privati de' loro beneficii,
perchè s'erano mantenuti fedeli ai propri giuramenti. Alcuni
prelati, alla cui ostinata fedeltà il Re era debitore della propria
corona, lo avevano supplicato in ginocchioni a non volere che si
violassero le leggi di Dio e della patria. La loro modesta petizione
era stata considerata come libello sedizioso. Erano stati forte
ripresi, minacciati, imprigionati, processati, e a mala pena avevano
scansata la estrema rovina. La nazione in fine, vedendo il diritto
soverchiato dalla forza, e perfino le supplicazioni reputarsi
delitto, cominciò a pensare al modo di commettere le proprie sorti
all'esito d'una guerra. L'oppressore seppe essere pronto un
liberatore armato, il quale sarebbe di gran cuore accolto da' Whig e
dai Tory, dai Dissenzienti e dagli Anglicani. E tutto cangiossi in
un attimo. Quel governo che aveva rimeritato i suoi servitori fidi e
costanti con la spoliazione e la persecuzione, quel governo che alle
solide ragioni ed alle commoventi preghiere aveva risposto con le
ingiurie e gl'insulti, si fece in un istante stranamente mite. La
Gazzetta in ciascun suo numero annunziava la riparazione di qualche
ingiustizia. Allora chiaramente si conobbe che non era da porre fede
nella equità, nell'umanità, nella solenne parola del Re, e che egli
avrebbe governato bene finchè esisteva il timore della resistenza. I
suoi sudditi, quindi, non erano punto disposti a ridargli quella
fiducia ch'egli aveva giustamente perduta, o a mitigare la pressura
che sola gli aveva strappato dalle mani i pochi buoni atti da lui
fatti in tutto il tempo del suo regnare. Cresceva sempre in cuore di
tutti l'ardente desiderio dello arrivo degli Olandesi. La plebe
aspramente imprecava e malediva ai venti che in quella stagione
ostinatissimi spiravano da ponente, e impedivano che l'armata del
Principe salpasse, e a un tempo portavano nuovi soldati irlandesi da
Dublino a Chester. Dicevano spirare vento papista, ed affollavansi
in Cheapside con gli occhi intenti sul campanile di Bow-Church
pregando che la banderuola indicasse lo spirare di un vento
protestante(1133).
Il sentimento universale fu accresciuto da un fatto, che, sebbene
fosse perfettamente accidentale, venne attribuito alla perfidia del
Re. Il Vescovo di Winchester annunziò che, obbedendo al regio
comando, egli doveva ribenedire i Convittori già cacciati dal
Collegio della Maddalena. E avendo per cotesta cerimonia stabilito
il dì 21 ottobre, il giorno precedente giunse in Oxford. La intera
Università era in grande aspettazione(1134). Gli espulsi Convittori
erano arrivati da ogni parte del Regno, bramosi di rientrare nelle
loro dilette abitazioni. Trecento gentiluomini a cavallo scortarono
il Vescovo Visitatore al suo alloggio. Mentre ei procedeva, le
campane sonavano a festa, e un'innumerevole folla di popolo che
accalcavasi per tutta High-Street mandava voci di acclamazione. Si
ritrasse onde riposarsi. La dimane dinanzi le porte della Maddalena
era accorsa una gran turba di gente: ma il Vescovo non compariva; e
tosto si seppe essere giunto un regio messo recandogli l'ordine di
partire immediatamente per Whitehall. Questo strano fatto destò in
tutti molta maraviglia ed ansietà: ma in poche ore si sparse una
nuova, la quale ad uomini non senza ragione disposti a pensare al
peggio parve chiaramente spiegare il perchè Giacomo aveva mutato
proponimento. La flotta olandese aveva messo alla vela, ed era stata
ricacciata indietro da una tempesta. Le ciarle popolari esagerarono
il disastro. Dicevasi, molti vascelli essersi perduti, migliaia di
cavalli periti; ogni pensiero d'uno sbarco in Inghilterra doversi
abbandonare almeno per quell'anno. Ed erano efficaci avvertimenti
alla nazione. Mentre Giacomo era atterrito dalla prossima invasione
e ribellione, aveva ordinato si rendesse giustizia a coloro che
erano stati illegalmente spogliati. Appena si vide sicuro dello
imminente pericolo, rivocò quegli ordini. Cotesta imputazione,
comechè allora fosse generalmente creduta e dopo venisse ripetuta da
scrittori che dovevano essere bene informati, era priva di
fondamento. È certo che il disastro della flotta olandese non
poteva, per nessuna guisa di comunicazione, sapersi in Westminster
se non alcune ore dopo che il Vescovo di Winchester avesse ricevuto
gli ordini di partirsi da Oxford. Il Re, nondimeno, aveva poca
ragione a dolersi dei sospetti de' suoi popoli. Se talvolta, senza
rigoroso esame de' fatti, attribuivano alla disonesta politica di
lui ciò che veramente era effetto del caso e della imprevidenza, la
colpa era tutta sua. Che a coloro, i quali hanno l'abitudine di
rompere la fede, non si presti credenza quando intendono serbarla,
ciò altro non è che giusta e ben meritata pena(1135).
È da notarsi che Giacomo, in questa occasione, incorse in un non
meritato addebito, soltanto per essersi mostrato corrivo a scolparsi
d'un'altra imputazione ch'egli egualmente non meritava. Il Vescovo
di Winchester era stato in gran fretta richiamato da Oxford per
trovarsi presente ad una straordinaria sessione del Consiglio
Privato, o, a dir meglio, Assemblea di Notabili convocata in
Whitehall. In questa solenne ragunanza oltre i Consiglieri Privati
furono chiamati tutti i Pari spirituali e secolari che per avventura
trovavansi nella metropoli e ne' luoghi circostanti, i Giudici, gli
Avvocati della Corona, il Lord Gonfaloniere e gli Aldermanni della
Città di Londra. Fu fatto intendere a Petre che farebbe bene
d'assentarsi: perocchè pochi Pari avrebbero tollerato di trovarsi in
compagnia di lui. Presso al capo del banco era posto un seggio per
la Regina vedova. La principessa Anna era stata invitata ad
assistervi, ma si scusò dicendo sentirsi poco bene di salute.
XXXIX. Giacomo disse a cotesto grande consesso ch'egli reputava
necessario produrre le prove della nascita del proprio figliuolo.
Uomini malvagi con le arti loro avevano invelenito a tal segno
l'animo del pubblico, che moltissimi credevano il Principe di Galles
non essere veramente nato dalla Regina. Ma la Provvidenza aveva
ordinate le cose in modo che forse giammai principe venne al mondo
in presenza di cotanti testimoni; i quali erano lì presenti per
deporre il vero. Dopo che furono raccolte e scritte tutte le
testimonianze, Giacomo con grande solennità dichiarò che lo addebito
datogli era onninamente falso, e ch'egli avrebbe piuttosto patito
mille morti che ledere i diritti di nessuna delle sue creature.
Tutti gli astanti ne parvero soddisfatti. Le prove testimoniali
vennero tosto pubblicate, e tutti gli uomini savi o imparziali le
stimarono decisive(1136). Ma i savi sono sempre pochi; e quasi
nessuno allora era imparziale. Tutta la nazione era persuasa che
ogni papista sincero si credeva tenuto a spergiurare, qualora lo
spergiuro giovasse alla propria Chiesa. Coloro che, nati
protestanti, per cupidigia di guadagno avevano simulato di
convertirsi al papismo, erano meno degni di fede anche de' sinceri
papisti. Il detto di tutti coloro che appartenevano a queste due
classi era quindi considerato come nullo. In tal guisa si trovò
grandemente scemato il peso delle testimonianze nelle quali Giacomo
confidava: le altre venivano malignamente esaminate. Trovavasi
sempre qualche obiezione contro i pochi testimoni protestanti che
avevano detto alcuna cosa d'importante. Questi era notissimo come
avido adulatore. Quell'altro non aveva per anche apostatato, ma era
stretto parente d'un apostata. La gente chiedeva, come aveva chiesto
in principio, perchè, se non v'era nulla di male, il Re, sapendo che
molti dubitavano della gravidanza della sua moglie, non aveva
provveduto sì che il parto fosse provato in modo più soddisfacente.
Non v'era nulla da sospettare ne' falsi calcoli, nello improvviso
cangiare d'abitazione, nell'assenza della Principessa Anna e dello
Arcivescovo di Canterbury? Perchè non era egli presente nessun
prelato della Chiesa Anglicana? Perchè non fu chiamato lo
Ambasciatore Olandese? Perchè, sopra tutto, agli Hyde, servi leali
della Corona, figli fedeli della Chiesa, e naturali tutori degli
interessi delle loro nepoti, non fu egli concesso di trovarsi fra la
folla de' papisti che riempivano le sale e giungevano fino al regio
talamo? Perchè, insomma, nella lunga lista degli astanti non era un
solo nome meritevole della fiducia e del rispetto del pubblico? La
vera risposta a coteste domande era che il Re, uomo di debole
intendimento e d'indole dispotica, aveva volentieri côlto quel
destro a manifestare il suo disprezzo per la opinione de' suoi
sudditi. Ma la moltitudine, non contenta di questa spiegazione,
attribuiva a una profondamente meditata scelleraggine ciò che era
effetto di demenza e caparbietà. Nè così pensava la sola
moltitudine. La Principessa Anna mentre stava ad abbigliarsi, il dì
dopo la sopra riferita adunanza, parlò del fatto con tali parole di
scherno che le sue cameriste ardirono celiarne anche esse. Alcuni
de' Lordi che avevano ascoltato lo esame de' testimoni, e ne
parevano sodisfatti, non ne erano punto convinti. Lloyd Vescovo di
Santo Asaph, uomo universalmente riverito per la pietà e dottrina
sue, seguitò finchè visse a credere alla esistenza d'un inganno.
XL. Non erano trascorse molte ore da che le prove testimoniali prese
nel Consiglio stavano nelle mani del pubblico, quando corse attorno
la voce che Sunderland era stato destituito di tutti i suoi uffici.
E' sembra che la nuova della sua disgrazia giungesse di sorpresa ai
politici dei Caffè; ma coloro che notavano attentamente ciò che
accadeva in Palazzo, non ne rimasero punto maravigliati. Non era
legalmente o palpabilmente provato ch'egli fosse reo di tradimento:
ma coloro che lo sorvegliavano da presso, forte sospettavano che per
un mezzo o per un altro egli fosse in comunicazione cogl'inimici del
Governo nel quale occupava un posto così alto. Con imperterrita
fronte imprecò sul proprio capo tutti i mali in questo e nell'altro
mondo ove fosse traditore. Protestò dicendo il suo solo delitto
essere quello d'avere servito troppo bene la Corona. Non aveva egli
dato pegni alla causa del Re? Non aveva egli rotto ogni ponte, che
nel caso d'un disastro potesse servirgli di ritirata? Non aveva
fatto il possibile per sostenere la potestà di dispensare; non aveva
seduto nell'Alta Commissione, e firmato l'ordine d'imprigionare i
Vescovi; non era comparso come testimonio contro loro, a risico
della vita, fra i fischi e le maledizioni delle migliaia di
spettatori che riempivano Westminster Hall? Non aveva egli data la
estrema prova di fedeltà abiurando la propria fede ed entrando nel
grembo della Chiesa detestata dalla nazione? Che poteva egli mai
sperare da un mutamento politico? E che non aveva egli mai da
temere? Questi ragionamenti, comechè fossero solidi ed espressi con
la più insinuante destrezza, non potevano spengere la impressione
prodotta dai bisbigli e dalle relazioni che giungevano da cento
parti diverse. Il Re divenne ogni dì sempre più freddo. Sunderland
tentò di sostenersi col soccorso della Regina; ottenne una udienza,
e trovavasi già nello appartamento di lei, allorchè entrò Middleton,
e per ordine del Re gli chiese i sigilli. Quella sera il caduto
ministro fu ammesso per l'ultima volta alle secrete stanze del
principe da lui lusingato e tradito. La scena fu stranissima.
Sunderland sostenne maravigliosamente la parte della virtù
calunniata. Disse non rincrescergli d'avere perduto il posto di
Segretario di Stato o di Presidente del Consiglio, se gli rimaneva
la fortuna di non demeritare la stima del suo Sovrano. "Deh! Sire,
non mi vogliate rendere il gentiluomo più infelice che sia ne'
vostri dominii, ricusando di dichiarare che non mi credete reo di
slealtà." Il Re non sapeva che rispondere. Non aveva prove positive
della colpa; e la energia e il tono patetico onde Sunderland mentiva
erano tali, che avrebbero ingannato uno intendimento più acuto di
quello con cui egli aveva da fare. Nella Legazione Francese le sue
proteste erano credute vere. Ivi dichiarò che rimarrebbe per pochi
giorni in Londra e si mostrerebbe alla Corte. Poi se ne anderebbe
nella sua abitazione campestre in Althorpe e si proverebbe a rifare
con la economia il dilapidato patrimonio. Ove scoppiasse una
rivoluzione si rifugierebbe in Francia, perocchè la sua mal
ricompensata lealtà non gli aveva lasciato altro asilo sulla
terra(1137). I Sigilli tolti a Sunderland furono affidati a
Preston. La Gazzetta nel medesimo numero in cui annunziò questo
cambiamento conteneva la notizia officiale del disastro della flotta
olandese(1138): disastro grave, quantunque lo fosse meno di quello
che il Re e i suoi pochi aderenti, traviati dal proprio desiderio,
erano inchinevoli a credere.
XLI. Il dì 16 ottobre, secondo il calendario inglese, fu convocata
una solenne adunanza degli Stati d'Olanda. Il Principe vi andò per
dir loro addio. Li ringraziò della benevolenza con la quale avevano
vegliato sopra la sua persona quando egli era orfano fanciullo,
della fiducia che avevano posta in lui durante il suo governo, e
dell'aiuto che gli avevan prestato in quella gran crisi. Li pregò a
credere che egli sempre aveva inteso con ogni studio promuovere il
bene della patria. Ora li lasciava, forse per non più ritornare. Ove
cadesse difendendo la religione riformata e la indipendenza della
Europa, raccomandava loro la sua diletta consorte. Il Gran
Pensionario gli rispose con tremula voce; e in tutto quel grave
senato non v'era alcuno che non lacrimasse. Ma Guglielmo non fu nè
anche per un istante abbandonato dal suo ferreo stoicismo, e si
stava fra' suoi amici che piangevano tranquillo ed austero come se
fosse per lasciarli onde partire per le sue foreste di Loo(1139).
I deputati delle principali città lo accompagnarono fino al suo
bargio. Gli stessi rappresentanti d'Amsterdam, da lungo tempo sede
precipua d'opposizione al governo di lui, erano fra mezzo al corteo.
In tutte le chiese dell'Aja si fecero pubbliche preci per lui.
XLII. In sulla sera giunse a Helvoetsluys e si recò sur una fregata
che aveva nome Brill. Tosto fece inalberare la sua bandiera, nella
quale era l'arme di Nassau inquartata con quella d'Inghilterra. Il
motto ricamato in lettere grandi tre piedi era felicemente scelto.
La Casa d'Orange da lungo tempo aveva assunta l'epigrafe ellittica:
"Io Manterrò," Adesso la ellissi fu compita con le parole: "Le
libertà d'Inghilterra e la Religione Protestante."
Erano corse poche ore da che il Principe era sulla nave, allorchè il
vento cominciò a spirare secondo. Il dì 19 la flotta salpò, e spinta
da un forte vento aveva corsa mezza la distanza dalla costa olandese
a quella d'Inghilterra. Ed ecco improvviso cangiare il vento, che
soffiando impetuoso da ponente suscitò una violenta tempesta. Le
navi disperse e sbattute ripararonsi, come meglio poterono, ai lidi
olandesi. Il Brill arrivò a Helvoetsluys il dì 21. Coloro che erano
sulla nave del Principe notarono maravigliando che nè pericolo nè
mortificazione valsero a perturbarlo un solo momento. Quantunque
soffrisse di mal di mare, ricusò di andare a terra: imperocchè
pensava che rimanendo sul bordo, ei significherebbe
efficacissimamente alla Europa che la sostenuta fortuna aveva solo
per breve tempo differita la esecuzione del suo disegno. In due o
tre giorni la flotta si raccolse. Solo un bastimento s'era perduto.
Non mancava nè anco uno de' soldati o marinaj. Alcuni cavalli erano
periti: ma tale perdita speditamente riparò il Principe: e innanzi
che la Gazzetta di Londra spargesse la nuova dello infortunio, egli
era nuovamente pronto a far vela(1140).
XLIII. Il Manifesto lo precedè di sole poche ore. Il dì primo di
novembre cominciò a bisbigliarsene misteriosamente fra' politici di
Londra: con gran segretezza correva di mano in mano, e fu introdotto
nelle buche dello Ufficio postale. Uno degli agenti venne arrestato,
e i pieghi che egli portava furono recati a Whitehall. Il Re lesse,
e grandemente turbossi. Il suo primo impulso fu di nascondere agli
occhi di tutti il Manifesto. Ne gettò nel fuoco tutti gli esemplari,
tranne un solo ch'egli quasi non osava fare uscire dalle sue proprie
mani(1141).
Il paragrafo onde egli fu maggiormente perturbato, era quello in cui
dicevasi che alcuni Pari spirituali e secolari avevano invitato il
Principe d'Orange a invadere la Inghilterra. Halifax, Clarendon e
Nottingham trovavansi in Londra, e vennero tosto chiamati al Palazzo
e interrogati. Halifax, comechè fosse conscio della propria
innocenza, in prima rifiutò di rispondere. "Vostra Maestà" disse
egli "mi chiede se io sia reo di crimenlese. Se sono sospettato, mi
traduca dinanzi ai miei Pari. E come può la Maestà Vostra riposare
sulla risposta d'un colpevole che si veda in pericolo di vita?
Quando anche io avessi invitato il Principe, senza il minimo
scrupolo risponderei: Non sono colpevole." Il Re disse che non
credeva Halifax reo, e che gli aveva fatta quella dimanda come un
gentiluomo chiede ad altro gentiluomo calunniato se vi sia il minimo
fondamento alla calunnia. "In questo caso" rispose Halifax "non ho
difficoltà ad assicurarvi, come gentiluomo che parli a gentiluomo,
sul mio onore, che è sacro quanto il mio giuramento, che non ho
invitato il Principe d'Orange(1142)." Clarendon e Nottingham diedero
la medesima risposta. Il Re desiderava anco più ardentemente di
sincerarsi della inclinazione de' Prelati. Se essi gli erano ostili,
il suo trono pericolava davvero. Ma ciò non era possibile. V'era
alcun che di mostruoso nel supporre che un Vescovo della Chiesa
Anglicana potesse ribellarsi contro il proprio Sovrano. Compton fu
chiamato alle stanze del Re, il quale gli chiese se credeva che
l'asserzione del Principe avesse il minimo fondamento. Il Vescovo
trovossi impacciato a rispondere, poichè era uno de' sette che
avevano sottoscritto lo invito; e la sua coscienza, che non era
molto destra, non gli concedeva, a quanto sembra, di dire un'aperta
bugia. "Sire," disse egli "io sono sicurissimo che non vi è uno tra'
miei colleghi che non sia, al pari di me, innocente in questo
negozio." Lo equivoco era ingegnoso: ma se la differenza fra il
peccato di siffatto equivoco e il peccato d'una menzogna vaglia uno
sforzo d'ingegno, è cosa da porsi in dubbio. Il Re ne fu satisfatto;
e disse: "Vi assolvo tutti da ogni sospetto, ma reputo necessario
che pubblicamente contraddiciate il calunnioso addebito datovi nel
Manifesto del Principe." Il Vescovo naturalmente chiese di vedere lo
scritto che egli doveva contradire; ma il Re non volle
consentirvi. Il dì seguente comparve un proclama che
minacciava le più severe pene a tutti coloro che osassero spargere o
semplicemente leggere il Manifesto di Guglielmo(1143). Il Primate e
i pochi Pari spirituali che per avventura trovavansi in Londra
riceverono ordine d'appresentarsi al Re. All'udienza v'era anche
Preston col Manifesto in mano. "Milordi," disse Giacomo "udite
questo paragrafo che tocca di voi." Preston allora lesse le parole
colle quali erano rammentati i Pari spirituali. Il Re continuò: "Io
non credo un jota di tutto questo: sono sicuro della vostra
innocenza; ma stimo necessario farvi sapere ciò di che siete
accusati."
Il Primate con mille rispettose espressioni protestò che il Re non
gli rendeva altro che giustizia. "Io sono nato suddito di Vostra
Maestà. Ho più volte confermata la fedeltà mia con giuramento. Non
posso avere se non un solo Re ad una volta. Non ho invitato il
Principe; e credo che nessuno de' miei confratelli lo abbia fatto."
- "Non io di certo," disse Crewe di Durham. "Nè anch'io," disse
Cartwright di Chester. A Crewe ed a Cartwright bene poteva prestarsi
fede; perocchè entrambi erano stati membri dell'Alta Commissione.
Quando toccò a Compton di rispondere, evase la domanda con un modo
che poteva fare invidia a un Gesuita: "Io diedi jeri la mia risposta
a vostra Maestà."
Il Re ripetè più volte che li credeva innocenti. Nondimeno disse
che, secondo il suo giudicio, sarebbe utile a sè e all'onor loro che
essi ne facessero pubblica discolpa. Richiese quindi che
protestassero in iscritto d'abborrire il disegno del Principe. I
Prelati rimasero taciti; il Re suppose che il silenzio significasse
assentimento, e dette loro commiato(1144).
Infrattanto l'armata navale di Guglielmo veleggiava l'Oceano
Germanico. Aveva salpato per la seconda volta la sera del giovedì,
primo di novembre. Il vento spirava prospero da levante. Il naviglio
per dodici ore fece via fra ponente e settentrione. Le navi leggiere
mandate dallo Ammiraglio inglese onde osservare, recarono la nuova
la quale confermò la comune opinione, cioè che il nemico si
proverebbe di approdare alla Contea di York. Improvvisamente, ad un
segnale fatto dal vascello del Principe, l'intiera flotta girò di
bordo e si diresse giù per la Manica. Il vento medesimo che spirava
secondo agl'invasori, impediva Dartmouth d'uscire dal Tamigi. I suoi
legni furono costretti ad ammainare; e due delle sue fregate che
erano uscite in alto mare, sconquassate dalla violenza delle onde,
furono respinte nel fiume(1145).
XLIV. La flotta olandese andando rapidamente col vento in poppa,
giunse allo Stretto verso le ore dieci antimeridiane nel sabato del
3 novembre. La precedeva lo stesso Guglielmo sul Brill. Seicento e
più navi, gonfie le vele dal prospero vento, lo seguivano. I legni
da trasporto tenevano il centro fiancheggiati da più di cinquanta
vascelli da guerra. Herbert col titolo di Luogotenente Generale
Ammiraglio comandava la intera flotta, e stavasi nel retroguardo: e
molti marinaj inglesi, infiammati dall'odio contro il papismo e
attirati dalla buona paga, erano sotto i suoi ordini. Non senza
difficoltà Guglielmo potè indurre alcuni ufficiali olandesi di
grande reputazione a sottoporsi alla autorità d'uno straniero. Ma
questo provvedimento era sommamente savio. Nella flotta del Re
esistevano molti mali umori ed un fervido zelo per la fede
protestante. A memoria de' vecchi marinaj la flotta inglese e la
olandese avevano tre volte con eroico coraggio e varia fortuna
conteso per lo impero del mare. I nostri marinaj non avevano
dimenticato Tromp che aveva minacciato di spazzare con una scopa il
Canale, o De Ruyter che aveva appiccato il fuoco agli arsenali del
Medway. Se le due nazioni rivali si trovassero nuovamente faccia a
faccia sull'elemento alla cui sovranità entrambe pretendevano, ogni
altro pensiero cederebbe alla vicendevole animosità; e ne seguirebbe
forse sanguinosa ed ostinata battaglia. Una sconfitta sarebbe stata
fatale alla impresa di Guglielmo. Anche la vittoria avrebbe
sconcertato i profondamente meditati disegni della sua politica. E
però egli saviamente provvide che ove i marinaj di Giacomo lo
inseguissero, sarebbero salutati nella patria lingua ed esortati da
un ammiraglio, sotto il comando del quale avevano già servito, e che
era da loro grandemente stimato, a non combattere contro i loro
colleghi a favore della tirannide papale. Con ciò si scanserebbe
forse un conflitto. Ed ove seguisse un conflitto, i due comandanti
avversari sarebbero entrambi inglesi; nè l'orgoglio degl'isolani si
sentirebbe offeso sapendo che Dartmouth era stato costretto a cedere
a Herbert(1146).
XLV. Fortunatamente le cautele di Guglielmo non furono necessarie.
Poco dopo mezzodì egli si lasciò addietro lo Stretto. La sua flotta
stendevasi fino ad una lega da Dover a tramontana e da Calais a
mezzogiorno. I vascelli dalle estremità destra e sinistra salutarono
a un tempo ambe le fortezze. Le trombe, i timpani, e i tamburi
udivansi distintamente dalla spiaggia francese e dalla inglese. Una
innumerevole turba di spettatori copriva il bianco littorale di
Kent; un'altra la costa di Piccardia. Rapin di Thoyras, che la
persecuzione aveva cacciato dalla sua patria, e che, preso servizio
nell'armata olandese, aveva accompagnato il Principe in Inghilterra,
descrisse, molti anni dipoi, cotesto spettacolo come il più
magnifico e commovente che occhio umano giammai contemplasse. Al
tramontare del sole la flotta aveva passato Beachy-Head. Si accesero
i lumi. Il mare per un tratto di non poche miglia pareva in fiamme.
Ma tutti i piloti tenevano fitti gli occhi per la intera notte alle
tre vaste lanterne che risplendevano su la poppa Brill(1147).
In quel mentre un messo corse per la posta da Dover Castle a
Whitehall recando la nuova che gli Olandesi avevano passato lo
Stretto e procedevano verso Ponente. E' fu mestieri cangiare in un
subito tutti i provvedimenti militari. Furono da per tutto spediti
messi. Gli ufficiali furono svegliati e fatti levare a mezza notte.
Nella domenica alle tre della mattina in Hyde Park(1148) fu una gran
rivista a lume di torce. Il Re, credendo che Guglielmo approderebbe
alla Contea di York, aveva mandato vari reggimenti verso il paese
settentrionale. Furono quindi spediti messi a richiamarli. Tutti i
soldati, tranne quelli che reputavansi necessari a mantenere la pace
nella metropoli, ebbero ordine di partire per l'occidente. Salisbury
doveva essere il punto di riunione: ma stimandosi possibile che
Portsmouth fosse la prima ad essere assaltata, tre battaglioni di
Guardie e una forte schiera di cavalleria partirono per quella
fortezza. In poche ore si seppe non esservi nulla da temere por
Portsmouth, e le sopradette truppe ebbero ordine di cangiare cammino
e correre in fretta a Salisbury(1149).
All'albeggiare del dì, domenica 4 novembre, le alture dell'isola di
Wight sorgevano dinanzi alla flotta olandese. Quel giorno era lo
anniversario della nascita e del matrimonio di Guglielmo. La mattina
abbassaronsi per qualche ora le vele, e sul bordo delle navi si
celebrarono i divini uffici. Nel pomeriggio e per tutta la notte il
naviglio seguitò a procedere. Torbay era il luogo dove il Principe
aveva intendimento di approdare. Ma nella mattina del lunedì, 5 di
novembre, era nuvolo. Il pilota del Brill non potè distinguere i
segnali e condusse la flotta troppo oltre a Ponente. Il pericolo era
grande. Ritornare contro il vento, impossibile. Il porto più vicino
era Plymouth; ma quivi stavasi un presidio sotto il comando di Lord
Bath; il quale si sarebbe potuto opporre allo sbarco, e ne sarebbero
forse nate gravi conseguenze. Inoltre non vi poteva essere dubbio
che in quel momento la flotta regia fosse uscita dal Tamigi e
venisse a piene vele giù per la Manica. Russell conobbe la gravità
del pericolo, e, rivoltosi a Burnet, esclamò: "Ormai potete recitare
le vostre preci, o Dottore: tutto è finito." In quell'istante il
vento cangiò; una brezza leggiera cominciò a spirare da Mezzogiorno:
la nebbia si disperse; ricomparve il sole; e alla luce temperata
d'un mezzodì d'autunno la flotta rivolse le prore, passò attorno
l'elevata punta di Berry-Head, e si diresse in salvamento al porto
di Torbay(1150).
XLVI. Da quell'epoca in poi quel porto ha grandemente cangiato
d'aspetto. Lo anfiteatro che circonda lo spazioso bacino, adesso
mostra in ogni dove i segni della prosperità e dello incivilimento.
Alla estremità fra Tramontana e Levante sorge un vasto locale di
bagni, ai quali accorrono le genti dalle più rimote parti dell'isola
nostra attrattevi dalla dolcezza di un aere d'Italia; imperocchè in
quel clima il mirto fiorisce a cielo aperto; e perfino i mesi del
verno sono più dolci che lo aprile in Northumberland. Contiene circa
diecimila abitatori. Le chiese e le cappelle novellamente edificate,
i bagni e le biblioteche, gli alberghi e i pubblici giardini, la
infermeria e il museo, le bianche strade che giacciono a guisa di
terrazze, l'una sovrapposta all'altra, le amene ville che sorgono
fra gli alberi e i fiori, offrono uno spettacolo grandemente diverso
da qualunque altro potesse nel secolo decimo settimo offrirne la
Inghilterra. All'opposita punta della baja giace, coperta da
Berry-Head, la città di Brixham, dove è il più ricco mercato di
pesci nell'isola. Ivi sul principio del secolo nostro sono stati
fatti una darsena e un porto, ma si sono sperimentati insufficienti
al traffico ognora crescente. Ha circa sessantamila abitanti, e
dugento navi con un tonnellaggio più del doppio maggiore di quello
del porto di Liverpool sotto i Re Stuardi. Ma Torbay, allorquando la
flotta olandese vi gettò l'ancora, conoscevasi solo come un seno di
mare dove i legni talvolta si rifugiavano cacciati dalle procelle
dello Atlantico. Le sue tranquille spiagge non erano disturbate dal
frastuono del commercio e del piacere; e i tuguri de' contadini e
de' pescatori sorgevano sparsi qua e là, dove ora il luogo è coperto
di popolosi mercati e di eleganti edifici.
Il contadiname della costa di Devonshire ricordava con affetto il
nome di Monmouth, e detestava il Papismo. E però corse alla spiaggia
recando vettovaglie e profferendosi a servire i liberatori. Subito
cominciò ad eseguirsi lo sbarco. Sessanta barche trasportarono le
truppe a terra. Le precedeva Mackay co' reggimenti inglesi. Gli
tenne dietro il Principe, il quale sbarcò dove adesso è la riviera
di Brixham. Il luogo è cangiato intieramente d'aspetto. Dove ora
vediamo un porto popolato di navi, e una piazza di mercato
brulicante di compratori e venditori, allora le acque rompevansi
contro una desolata scogliera: ma un frammento del sasso sopra il
quale il liberatore pose primamente il piede scendendo dalla sua
barca, è stato con gran cura conservato ed esposto alla pubblica
venerazione nel centro di quella riviera.
Il Principe, appena posto il piede a terra, chiese de' cavalli.
Procuraronsi nel vicino villaggio due bestie, quali i piccoli
possidenti di quel tempo solevano tenere. Guglielmo e Schomberg,
montativi sopra, andarono ad esaminare il paese.
Come Burnet scese alla spiaggia, corse al Principe. Ebbe luogo tra
loro un piacevole colloquio. Burnet, fattegli con sincera gioia le
sue congratulazioni, chiese con sollecitudine quali erano i suoi
disegni. I militari rade volte inchinano a consigliarsi con gli
uomini da sottana intorno a cose spettanti alla milizia; e Guglielmo
pei consiglieri che, senza professare l'arte della guerra,
s'immischiano nelle questioni della guerra, sentiva un disgusto
maggiore di quello che i soldati, in simili casi, ordinariamente
provano. Ma in quello istante egli era di assai buono umore, ed
invece d'esprimere il proprio dispiacere con una breve e pungente
riprensione, graziosamente stese la destra al suo cappellano,
rispondendogli con un'altra dimanda: "Orbene, Dottore, che pensate
voi adesso della predestinazione?" Il rimprovero era così delicato
che Burnet, il quale non avea prontissimo intendimento, non se ne
accôrse; e però rispose con gran fervore ch'egli non dimenticherebbe
mai il modo segnalato onde la Provvidenza aveva favorito la loro
intrapresa(1151).
Nel primo giorno le milizie scese a terra patirono molti disagi. Il
suolo per le cadute piogge era fangoso. I bagagli rimanevano
tuttavia sulle navi. Ufficiali d'alto grado furono costretti a
dormire con addosso gli abiti bagnati, sull'umido terreno: lo stesso
Principe dovette contentarsi d'una povera trabacca, dove fu dalla
sua nave portato un lettuccio che accomodarono sul suolo. La sua
bandiera venne inalberata sul tetto di frasche(1152). Era alquanto
difficile sbarcare i cavalli; e pareva probabile che a ciò fare si
richiedessero vari giorni. Ma la susseguente dimane le cose
cangiarono. Il vento calmossi; il mare era piano come un cristallo.
Alcuni pescatori additarono un luogo dove le navi potevano spingersi
fino a quaranta piedi dalla riva. E ciò fatto, in tre ore molte
centinaia di cavalli sani e salvi furono condotti nuotando fino alla
spiaggia.
Era appena terminato lo sbarco allorchè il vento ricominciò a
soffiare impetuoso da Ponente. L'inimico che veniva giù per la
Manica era stato impedito dal medesimo mutamento di tempo, che aveva
concesso a Guglielmo d'approdare. Per due giorni la flotta del Re
rimase immobile per la bonaccia in vista a Beachy-Head. Infine
Dartmouth potè muoversi. Passò l'isola di Wight, e da uno de' suoi
vascelli scoprivansi le cime degli alberi della flotta olandese
ancorata in Torbay. In quel momento sopravvenne una tempesta, e lo
costrinse a ricoverarsi nel porto di Portsmouth(1153). Allora
Giacomo, che poteva giudicare intorno a cose di marina, si dichiarò
sodisfattissimo della condotta del suo ammiraglio, il quale aveva
fatto ciò che uomo potesse fare, ed aveva ceduto solo alla
irresistibile contrarietà del vento e delle onde. Più tardi lo
sciagurato principe cominciò, senza ragione, a sospettare che
Dartmouth fosse reo di tradimento o almeno di lentezza(1154).
Il tempo aveva sì bene giovata la causa de' Protestanti, che taluni
più pii che savi crederono sicuramente le ordinarie leggi della
natura essere state sospese per la salvezza della libertà e della
religione d'Inghilterra. Precisamente cento anni innanzi, dicevano
essi, l'armata, invincibile da forza umana, era stata dispersa dal
soffio dell'ira di Dio. La libertà civile e la vera fede trovaronsi
di nuovo in pericolo, e di nuovo i docili elementi combatterono per
la buona causa. Il vento sbuffava forte da Levante mentre il
Principe voleva passare lo Stretto; cominciò a spirare da
Mezzogiorno allorchè egli desiderava d'approdare a Torbay; era
cessato affatto mentre facevasi lo sbarco, e divenne di nuovo
procelloso percotendo in faccia la flotta regia. Nè tralasciavano di
notare come per una straordinaria coincidenza il Principe fosse
giunto alle nostre spiagge nel giorno in cui la Chiesa Anglicana
celebrava con preci e rendimenti di grazie la memoria di quello
evento onde miracolosamente la casa regale e i tre Stati del Regno
avevano scansato la più nera congiura che ordissero mai i papisti.
Carstairs, i cui consigli ascoltava con attenzione il Principe, gli
suggerì che, appena eseguito lo sbarco, si rendessero solenni
ringraziamenti a Dio per la protezione manifestamente accordata alla
grande intrapresa. Questo provvedimento produsse ottimo effetto. I
soldati così, persuasi d'avere il favore del cielo, sentironsi
rianimati di nuovo coraggio; e il popolo inglese si formò la
migliore opinione d'un capitano e d'un esercito cotanto osservatori
dei religiosi doveri.
Martedì, 6 di novembre, l'armata di Guglielmo incominciò a marciare.
Alcuni reggimenti si avanzarono fino a Newton-Abbot. Un sasso
collocato nel centro di quella piccola città, indica tuttora il
luogo dove il Manifesto del Principe fu letto solennemente al
popolo. Le truppe si movevano lente: imperciocchè la pioggia cadeva
giù a torrenti; e le strade della Inghilterra erano allora in
condizioni che parevano terribili a genti avvezze alle eccellenti
vie della Olanda. Guglielmo si fermò per due giorni in Ford, sede
dell'antica e illustre famiglia di Courtenay nelle vicinanze di
Newton-Abbot. Ivi fu splendidamente alloggiato e festeggiato; ma è
da notarsi che il padrone di casa, comechè fosse conosciutissimo
Whig, non volle essere il primo a rischiare la vita e gli averi, e
cautamente si astenne di fare cosa, che, ove il Re vincesse, potesse
prendersi per delitto.
XLVII. Intanto Exeter era grandemente agitata. Il vescovo Lamplugh,
appena saputa la nuova dello arrivo degli Olandesi a Torbay,
atterrito corse a Londra. Il Decano fuggì anch'esso. I Magistrati
rimasero fedeli al Re, gli abitanti si dichiararono a favore del
Principe. Ogni cosa era in iscompiglio allorquando, il giovedì
mattina 8 novembre, un corpo di truppe, capitanate da Mordaunt,
comparve dinanzi alla città. V'era anco Burnet, al quale Guglielmo
aveva affidato lo incarico di preservare il clero della cattedrale
dai danni e dagl'insulti(1155). Il Gonfaloniere e gli Aldermanni
avevano ordinato che si chiudessero le porte, ma alla prima
intimazione vennero aperte. Apparecchiossi l'abitazione del Decano
per alloggiarvi il Principe; il quale vi arrivò il dì seguente,
venerdì 9 febbraio. I Magistrati erano stati sollecitati ad andargli
solennemente incontro alle porte della città, ma ostinatamente
ricusarono. Nondimeno la pompa di quel giorno poteva far senza di
loro. Non s'era mai visto in Devonshire un tanto spettacolo. Molti
fecero mezza giornata di cammino per incontrare il campione della
religione loro. Gli abitatori di tutti i villaggi circostanti
uscivano in folla. Una gran moltitudine composta principalmente di
giovani contadini armati de' loro bastoni si era raccolta sulla cima
di Haldon-Hill, d'onde l'armata, passato Chudleigh, primamente
scoprì la fertile convalle dell'Exe, e le due massicce torri
sorgenti fra la nuvola di fumo che copriva la metropoli del paese
occidentale. Lo stradale, per tutto il lungo pendío e il piano fino
alle sponde del fiume, era fiancheggiato da file di spettatori.
Dalla Porta Occidentale fino al ricinto della Cattedrale la folla e
le acclamazioni erano tali che rammentavano ai Londrini lo
affollarsi del popolo nel giorno festivo del Lord Gonfaloniere. Le
case erano parate a festa. Porte, finestre, veroni, e tetti
rigurgitavano di spettatori. Un occhio assuefatto alla pompa della
guerra, avrebbe trovato molto a ridire intorno a cosiffatto
spettacolo. Imperciocchè lo affannoso marciare sotto la pioggia per
istrade dove i piedi de' viandanti affondavano ad ogni passo non
aveva migliorato l'aspetto dei soldati nè degli arnesi loro. Ma la
popolazione di Devonshire, non avvezza punto allo splendore de'
campi bene ordinati, era compresa d'ammirazione e diletto.
Cominciarono a correre per tutto il Regno descrizioni di cotesto
marziale spettacolo, fatte in guisa da appagare la vaghezza che
sente il volgo pel maraviglioso. Imperocchè l'armata olandese,
composta d'uomini nati in vari climi, e che avevano militato sotto
varie bandiere, offriva una scena grottesca e insieme magnifica e
terribile agl'Isolani, i quali generalmente avevano confusissima
idea de' paesi stranieri. Macclesfield precedeva a cavallo guidando
dugento gentiluomini, la più parte d'origine inglese, coperti di
luccicanti elmi e corazze, e montati sopra destrieri fiamminghi.
Ciascuno di loro era accompagnato da un moro delle piantagioni di
zucchero sulle coste della Guiana. I cittadini d'Exeter i quali non
avevano mai veduto tanto numero d'individui della razza affricana,
guardavano stupefatti que' neri visi adorni di ricamati turbanti e
di bianche piume. Veniva poscia uno squadrone di cavalieri svedesi
vestiti di nere armature e di pelli, e con le spade in pugno.
Attiravano peculiarmente gli sguardi di tutti, poichè dicevasi che
fossero abitanti d'una terra cinta dai ghiacci dell'Oceano, nella
quale la notte durava sei mesi, e che ciascuno di loro avesse ucciso
l'enorme orso bianco di cui indossava la pelle. Quindi circondato da
una nobile compagnia di gentiluomini e di paggi procedeva
sventolando all'aura il vessillo del Principe. Il popolo affollato
su per i tetti e le finestre vi figgeva sopra gli sguardi leggendovi
con diletto la memoranda epigrafe: "La Religione Protestante e le
libertà della Inghilterra." Ma si accrebbero oltre misura le grida
di plauso allorquando, preceduto da quaranta battistrada, sopra un
candido destriero comparve il Principe chiuso nelle armi, con una
bianca piuma sull'elmo. Lo aspetto marziale con cui egli cavalcava,
la pensosa e imponente espressione della sua vasta fronte e del suo
occhio aquilino si ravvisano anche oggi nel dipinto di Kneller. Una
sola volta il suo austero sembiante si atteggiò al sorriso. Una
donna, grave d'anni, forse appartenente a quegli zelanti Puritani i
quali per ventotto anni di persecuzione avevano con ferma fede
aspettato la consolazione d'Israele, o forse madre di qualche
ribelle che aveva perduta la vita nella strage di Sedgemoor, o nel
più atroce macello del Tribunale di Sangue, uscì dalla folla, e
precipitandosi fra mezzo alle spade sguainate e ai frementi cavalli,
toccò la mano del liberatore, ed esclamò che oramai era felice.
Presso al Principe cavalcava un uomo sul quale parimente si
fissavano gli sguardi di tutti. Dicevano che egli era il gran Conte
Schomberg, il più valoroso soldato che fosse in Europa dopo la morte
di Turenna e di Condé; l'uomo, il cui genio e valore avevano salvato
la monarchia portoghese nel campo di Montes Claros, l'uomo che s'era
acquistato gloria anche maggiore deponendo il bastone di Maresciallo
di Francia per serbarsi fedele alla propria religione. Rammentavasi
parimente come i due eroi, i quali indissolubilmente congiunti dal
comune Protestantismo ora entravano in Exeter, un tempo erano stati
l'uno all'altro avversi sotto le mura di Maastricht(1156), e che la
energia del giovine principe era stata costretta a cedere alla
fredda scienza del veterano, il quale adesso cavalcava amico al
fianco di Guglielmo. Seguiva poi una colonna di fanti svizzeri
barbuti, famosi per valore e disciplina già da due secoli in tutte
le guerre del continente, ma non veduti mai fino allora in
Inghilterra. Venivano quindi parecchie legioni, le quali, secondo la
costumanza di quei tempi, portavano i nomi de' loro condottieri,
Bentinck, Solmes e Ginkell, Talmash e Mackay. Con peculiare
compiacenza gl'Inglesi miravano un valoroso reggimento che tuttavia
portava il nome dell'onorando e compianto Ossory. Lo effetto di
cotesto spettacolo era accresciuto dalla memoria delle famose gesta
delle quali erano stati parte molti dei guerrieri che adesso
entravano per Porta Orientale: imperocchè avevano ben altrimenti
militato che la guardia civica di Devonshire o i soldati del campo
di Hounslow. Alcuni di loro avevano respinto il feroce assalto de'
Francesi sul campo di Seneff, altri erano venuti alle mani con
gl'Infedeli per difendere la Cristianità nel gran giorno in cui fu
levato lo assedio di Vienna. L'accesa fantasia faceva nella
moltitudine aberrare gli stessi sensi. Lettere di notizie spargevano
per ogni contrada del Regno favolosi racconti della statura e della
forza degli invasori. Affermavasi che erano, quasi senza eccezione,
alti più di sei piedi, ed avevano sì enormi picche, spade ed
archibugi, che non s'era mai veduto nulla di simile in Inghilterra.
Nè la maraviglia nel popolo scemò quando comparve l'artiglieria, che
era composta di ventuno vasti cannoni di bronzo, ciascuno con gran
fatica trascinato da sedici cavalli. Molta curiosità destò anche una
strana macchina montata sopra ruote, ed era una fucina mobile
provveduta di tutti gli strumenti e i materiali bisognevoli a
riattare armi e carriaggi. Ma nessuna cosa suscitò tanto la
universale ammirazione quanto un ponte di barche che fu
celerissimamente gettato sull'Exe pel passaggio de' vagoni, e con la
medesima celerità levato, e in pezzi portato via. Era stato
costruito, se la fama porgeva il vero, secondo un disegno immaginato
dai Cristiani che guerreggiavano contro i Turchi sul Danubio. Gli
stranieri ispiravano affetto insieme ed ammirazione. Il loro
condottiere politico studiossi di acquartierarli in modo da recare
il minore incomodo possibile agli abitatori di Exeter e dei
circostanti villaggi. Fu mantenuta la più rigorosa disciplina. Non
solo s'impedì efficacemente il saccheggio e l'insulto, ma fu
ingiunto alle truppe di mostrarsi cortesi a tutte le classi. Coloro
i quali giudicavano d'un'armata dalla condotta di Kirke e de' suoi
Agnelli, rimanevano attoniti a vedere i soldati di Guglielmo non
bestemmiare mai parlando alle ostesse, o non prendere un ovo senza
pagarlo. In ricambio di cotesta moderazione il popolo li provvide
abbondantemente di vettovaglie a modico prezzo(1157). Era di
non poca importanza vedere il partito al quale in questa gran crisi
il Clero della Chiesa Anglicana si appiglierebbe. I membri del
Capitolo di Exeter furono i primi richiesti a dichiararsi. Burnet
fece sapere ai Canonici, ormai per la fuga del Decano rimasti senza
capo, che non sarebbe loro più oltre consentito di usare la
preghiera pel Principe di Galles, e che si celebrerebbe un solenne
servigio divino in onore del prospero arrivo del Principe d'Orange.
I Canonici non vollero mostrarsi ne' loro stalli; ma alcuni de'
coristi e prebendari intervennero. Guglielmo si condusse con gran
solennità militare alla Cattedrale; ed appena entratovi, il famoso
organo, che non era secondo a nessuno di quelli onde avea vanto la
Olanda, cominciò a suonare trionfalmente. Egli ascese al magnifico
seggio vescovile, adorno d'intagli del secolo decimoquinto. Gli
stava ai piedi Burnet, e da ambo i lati era schierata una turba di
guerrieri e di nobili. I cantori, vestiti di bianco, intonarono il
Te Deum. Finito il cantico, Burnet lesse il Manifesto del
Principe(1158); ma come ebbe profferite le prime parole i prebendari
e i cantori uscirono frettolosamente dal coro. Infine Burnet gridò:
"Dio salvi il Principe d'Orange!" E molte voci fervorosamente
risposero "Amen(1159)."
La domenica, 11 novembre, Burnet predicò dinanzi al Principe nella
Cattedrale, e si diffuse sopra la grande misericordia di Dio verso
la Chiesa e la nazione d'Inghilterra. Nel tempo stesso un evento
singolarissimo seguiva in un luogo sacro di minore importanza.
Ferguson ardeva di predicare in una ragunanza di presbiteriani. Il
ministro e gli anziani non lo consentirono: ma quel torbido e mezzo
demente uomo, immaginando che fossero giunti di nuovo i tempi di
Fleetwood e di Harrison, forzò lo ingresso, e con la spada in pugno
facendosi far largo, ascese sul pulpito, ed eruttò una feroce
invettiva contro il Re. Ma la stagione per siffatte follie non era
più; e cotesta scena altro non eccitò che scherno e disgusto(1160).
XLVIII. Mentre le sopra narrate cose accadevano in Devonshire,
l'agitazione in Londra era grandissima. Il Manifesto del Principe,
nonostanti tutte le cautele del Governo, correva per le mani di
ciascuno. Il dì sesto di novembre, Giacomo, ancora ignorando in qual
parte della costa gl'invasori erano sbarcati, chiamò alle sue stanze
il Primate ed altri tre Vescovi, cioè Compton di Londra, White di
Peterborough, e Sprat di Rochester. Il Re cortesemente si stette ad
ascoltare i prelati che facevano fervide proteste di lealtà, e li
assicurò che non aveva di loro il più lieve sospetto. "Ma dov'è"
soggiunse poi "lo scritto che mi dovevate portare?" - "Sire,"
rispose Sancroft "non abbiamo nessuno scritto da darvi. Non abbiamo
mestieri scolparci al cospetto del mondo. Non è cosa nuova per noi
il patire insulti e calunnie. La nostra coscienza ci assolve: la
Maestà Vostra ci assolve: e di ciò siamo satisfatti." - "Bene" disse
il Re. "Ma una dichiarazione fatta da voi mi è necessaria." E
mostrando loro un esemplare del Manifesto del Principe, "Ecco"
soggiunse, "ecco in che modo voi siete qui rammentati." - "Sire,"
rispose uno de' Vescovi, "nè anche una persona in cinquecento reputa
genuino cotesto documento." - "No!" esclamò fieramente il Re:
"eppure questi cinquecento condurranno il Principe d'Orange a
segarmi la gola." - "Dio nol voglia," esclamarono ad una voce i
prelati. Ma Giacomo che non fu mai di lucido intendimento, adesso lo
aveva onninamente turbato. Una delle peculiarità del suo carattere
consisteva in questo, che quando la sua opinione non veniva
adottata, ei credeva che si dubitasse della sua veracità. "Questo
scritto non è genuino!" esclamò egli svoltandone con le proprie mani
i fogli. "Non sono io degno di fede? La mia parola non val forse
nulla?" - "Ad ogni modo, o Sire," disse uno de' Vescovi "questo non
è affare ecclesiastico, ed entra nella sfera della potestà secolare.
Dio ha posta nelle mani vostre la spada; e non ispetta a noi
invadere le vostre funzioni." Allora lo Arcivescovo con quella dolce
e temperata malignità che reca più profonde ferite, chiese scusa di
non volere impacciarsi di documenti politici. "Io e i miei
confratelli, o Sire," soggiunse "abbiamo già crudelmente sofferto
per esserci voluti immischiare negli affari di Stato: e saremo sì
cauti da non farlo di nuovo. Una volta firmammo una innocentissima
petizione; la presentammo nella maniera più rispettosa; e ci fu
detto di avere commesso un grave delitto. La sola misericordia
divina potè salvarci. E, Sire, i vostri Procuratore ed Avvocato
Generali affermarono, come fondamento d'accusa, che noi fuori del
Parlamento siamo uomini privati, e quindi era criminosa presunzione
in noi lo immischiarsi di cose politiche. E ci aggredirono con tale
furore, che, quanto a me, io mi detti per ispacciato." - "Vi
ringrazio di ciò che dite, Monsignore di Canterbury," disse il Re;
"speravo che non vi reputaste perduto cadendo nelle mie mani."
Queste parole sarebbero state bene nella bocca d'un Sovrano
misericordioso, ma uscivano di mala grazia dalle labbra d'un
principe il quale aveva arsa viva una donna per avere ospitato uno
de' fuorusciti; d'un principe, il quale erasi mostrato duro come un
macigno verso il nipote, che disperatamente dolorando gli
abbracciava le ginocchia. Ma lo Arcivescovo non era uomo da
lasciarsi imporre silenzio. Egli riepilogò la storia delle proprie
vicende, enumerò gl'insulti che le creature della corte avevano
fatto alla Chiesa Anglicana, e fra gli altri non dimenticò gli
scherni ai quali era stato segno il suo stile. Il Re non aveva nulla
a dire se non che era inutile ripetere le vecchie doglianze, e
ch'egli aveva sperato coteste cose essere già cadute in oblio. Egli,
che non dimenticava mai la più lieve ingiuria, non sapeva intendere
in che guisa altri avessero a rammentarsi per poche settimane le più
mortali ingiurie che avesse fatto loro.
Infine il discorso fu ricondotto al subietto dal quale aveva
deviato. Il Re instava perchè i Vescovi dichiarassero con pubblico
documento aborrire dalla impresa del Principe. Ma essi protestando
sommessamente della loro lealtà, furono ostinatissimi a ricusare,
dicendo il Principe asserire che era stato invitato da' Pari
spirituali e secolari; l'addebito era a tutti comune; perchè dunque
non doveva essere comune anco la discolpa? "Io vedo come egli è,"
disse Giacomo. "Voi avete favellato con alcuni Pari secolari, i
quali vi hanno persuaso a contrariarmi in questo negozio." I Vescovi
solennemente affermarono che ciò non era vero. Ma sembrerebbe
strano, soggiunsero, che in una questione che spettava a cose
politiche e militari importantissime, non si avesse a far conto de'
Pari secolari, e la parte precipua fosse assegnata ai prelati. "Ma
questo" disse il Re "è il mio metodo. Io sono il Re vostro; e spetta
a me giudicare di ciò che meglio mi conviene. Io vo' fare a mio
modo; e richiedo che mi aiutiate." I Vescovi lo assicurarono di
aiutarlo come ministri di Dio con le loro preci, e come Pari del
Regno col loro consiglio nel Parlamento. Giacomo, al quale non
facevano mestieri nè le preci degli eretici nè consigli di
Parlamento, si sentì amaramente contrariato. Dopo un lungo alterco:
"Ho finito" disse egli, "io non vi dirò più nulla. Dacchè non volete
secondarmi, è uopo ch'io confidi in me solo e nelle mie armi(1161)."
XLIX. I Vescovi s'erano appena partiti dal cospetto del Re,
allorquando giunse un messo recando la nuova che il dì precedente il
Principe d'Orange era sbarcato in Devonshire. Nella susseguente
settimana Londra fu nella più violenta agitazione. La domenica, 11
novembre, si sparse la voce che dentro un monastero istituito in
Clerkenwell sotto la protezione del Re nascondevansi coltelli,
gratelle e caldaie per torturare gli eretici. Una gran folla si
raccolse attorno quell'edificio, e stava per demolirlo, allorchè
giunse la forza militare. La folla fu dispersa, e vari individui
rimasero morti. Fu fatta una inchiesta, e i Giurati diedero una
decisione tale che era indizio certo del pubblico sentire. Dissero
che alcuni leali e bene intenzionati individui, i quali erano
accorsi per disperdere i traditori e i pubblici nemici ragunatisi
intorno ad un convento cattolico, erano stati premeditatamente
assassinati dai soldati: e questo strano giudicio fu firmato da
tutti i Giurati. Gli ecclesiastici di Clerkenwell, naturalmente
impauriti a questi sinistri segni, volevano porre in salvo le cose
loro. Venne lor fatto di trafugare la maggior parte de' propri
mobili innanzi che traspirasse nella città la loro intenzione. Ma
finalmente la marmaglia ne ebbe sospetto. Gli ultimi due barocci
furono fermati in Holborn, e tutto ciò che v'era sopra fu arso nella
pubblica via. E n'ebbero tanto terrore i Cattolici, che tutti i
luoghi destinati al loro culto furono chiusi, tranne quelli che
appartenevano alla famiglia regale ed agli Ambasciatori
stranieri(1162).
Nulladimeno le cose non procedevano per anche affatto sfavorevoli a
Giacomo. Gl'invasori da parecchi giorni erano in Inghilterra, e non
pertanto nessun personaggio notevole si era con essi congiunto.
Nessuno scoppio di ribellione nè a settentrione nè a levante. Non
pareva che alcuno impiegato avesse tradito il proprio Sovrano.
L'armata regia s'andava speditamente raccogliendo in Salisbury, e
quantunque per disciplina fosse inferiore a quella di Guglielmo, la
superava per numero.
L. Senza dubbio il Principe rimase attonito e mortificato vedendo la
indolenza di coloro che lo aveano invitato alla impresa. Il basso
popolo di Devonshire lo aveva accolto con ogni segno di affetto: ma
nessuno de' Nobili, nessun gentiluomo di alta importanza era fino
allora accorso al quartiere generale. La spiegazione di questo
singolarissimo fatto è probabilmente da trovarsi in ciò, che egli
aveva approdato ad un luogo dell'isola, nel quale ei non era
aspettato. I suoi amici nel paese settentrionale avevano fatti i
necessari apparecchi ad insorgere, supponendo ch'egli si mostrerebbe
fra loro con un'armata. I suoi amici nelle contrade occidentali non
avevano fatto apparecchi di nessuna specie, e rimasero naturalmente
sconcertati trovandosi allo improvviso chiamati ad iniziare un
movimento sì grande e pieno di pericoli. Rammentavano, o, per dir
meglio, avevano dinanzi agli occhi i disastrosi effetti della
ribellione, forche, capi mozzi, membra squartate, famiglie tuttavia
coperte di vesti gramagliose per la morte di que' valorosi che
avevano amata la patria loro di grande ma imprudente amore. Dopo
esempi così terribili e recenti era naturale lo esitare. Era
medesimamente naturale, dall'altro canto, che Guglielmo, il quale,
fidandosi alle promesse giuntegli dalla Inghilterra, aveva posto a
repentaglio non solo la fama e le sorti sue, ma anche la prosperità
e la indipendenza della sua terra natia, ne rimanesse profondamente
mortificato. E n'ebbe tanto sdegno, che parlò di retrocedere a
Torbay, rimbarcare le sue truppe, e ritornare in Olanda abbandonando
coloro che lo avevano tradito al ben meritato destino. Infine il
lunedì, 12 novembre, un gentiluomo chiamato Burrington, che abitava
nelle vicinanze di Crediton, accorse al vessillo del Principe, e il
suo esempio fu seguito da alcuni altri di quei luoghi.
LI. E già parecchi personaggi di maggiore importanza da varie parti
del paese dirigevansi ad Exeter. Primo tra loro era Giovanni Lord
Lovelace, uomo cospicuo per gusto, per magnificenza e per audaci e
veementi opinioni Whig. Era stato per cagioni politiche cinque o sei
volte messo in carcere. L'ultimo delitto di cui gli facevano
addebito era il non avere egli voluto riconoscere la validità d'un
mandato d'arresto firmato da un Giudice di Pace cattolico. Tradotto
dinanzi il Consiglio Privato, aveva subito rigoroso esame, ma senza
esito alcuno. Ostinatamente ricusò di confessarsi reo; e le
testimonianze a lui contrarie non furono bastevoli a farlo
condannare. Fu posto in libertà; Ma avanti ch'egli si partisse,
Giacomo, acceso d'ira, esclamò(1163): "Milord, questa non è la prima
volta che voi mi gabbate." - "Sire," rispose Lovelace imperterrito
"io non ho mai gabbato Vostra Maestà, nè alcun altro; e i miei
accusatori, qualunque essi siano, mentiscono." Lovelace era stato
dipoi ammesso alla confidenza di coloro che tramavano la
rivoluzione(1164). La sua magione, edificata dagli avi suoi con le
spoglie de' galeoni spagnuoli che tornavano dalle Indie, inalzatasi
sopra le rovine d'un edifizio dedicato a Nostra Donna in quella
amenissima valle, fra mezzo alla quale il Tamigi, ancora non
contaminato dal contatto d'una grande capitale, e le cui acque non
erano costrette ad alzarsi ed abbassarsi pel flusso e riflusso del
mare, scorre sotto foreste di faggi attorno le vaghe colline di
Berkshire. Sotto la magnifica sala adorna delle opere de' pennelli
italiani, era un sotterraneo, nel quale talora s'erano trovate le
ossa di vetusti cenobiti. In questo tenebroso luogo alcuni zelanti e
audaci oppositori del Governo eransi molte volte nel cuor della
notte raccolti a secreto colloquio in que' giorni ne' quali la
Inghilterra ansiosamente aspettava il vento protestante(1165).
Adesso era giunto il tempo d'operare. Lovelace con settanta suoi
seguaci, bene armati a cavallo, partì dalla sua abitazione
dirigendosi verso ponente. Giunse alla Contea di Gloucester senza
incontrare veruno ostacolo. Ma Beaufort, governatore di quella
Contea, faceva ogni sforzo d'autorità e d'influenza a difesa della
Corona. Aveva chiamato alle armi la milizia civica, e ne aveva
appostata una forte schiera a Cirencester. Come Lovelace quivi
arrivò, gli fu fatto sapere che gli verrebbe negato il passo. Gli
era quindi forza o abbandonare il suo disegno o aprirsi la via
combattendo. Deliberò di combattere; e gli amici e fittajuoli suoi
valorosamente lo secondarono. Si venne alle mani; la milizia civica
perdè un ufficiale e sei o sette uomini; ma infine i seguaci di
Lovelace furono vinti, ed egli, fatto prigione, fu mandato al
castello di Gloucester(1166).
LII. Ad altri corse più prospera la fortuna. Nel giorno in cui
accadeva la scaramuccia in Cirencester, Riccardo Savage Lord
Colchester, figlio ed erede del conte Rivers, e padre, per un
illegittimo amore, di quello sventurato poeta i cui misfatti ed
infortuni formano una delle più nere pagine della storia letteraria,
giunse con tra sessanta o settanta cavalieri ad Exeter. Con lui vi
arrivò lo audace e turbulento Tommaso Wharton. Poche ore dopo
comparve Eduardo Russell, figlio del conte di Bedford e fratello del
virtuoso gentiluomo al quale era stato mozzo il capo sul palco. Un
altro arrivo di maggiore importanza fu poco dopo annunziato.
Colchester, Wharton, e Russell appartenevano a quel partito che era
stato sempre avverso alla corte. All'incontro Giacomo Bertie, conte
d'Abingdon, veniva considerato come partigiano del governo
dispotico. S'era mostrato fedele a Giacomo nel tempo in cui
discutevasi della Legge d'Esclusione. Mentre era Luogotenente
d'Oxford aveva agito con severità e vigore contro i fautori di
Monmouth, ed aveva acceso fuochi di gioia per celebrare la sconfitta
d'Argyle. Ma il timore del papismo lo aveva cacciato nella
opposizione fra' ribelli. Egli fu il primo Pari del Regno che
comparisse al quartiere generale del Principe d'Orange(1167).
Ma il Re aveva meno da temere da coloro i quali apertamente
procedevano avversi all'autorià(1168) sua, che dalla tenebrosa
congiura le cui fila eransi sparse nella sua armata e perfino nella
sua propria famiglia. Della quale congiura va considerato come
l'anima Churchill, uomo senza rivali per sagacia e destrezza, da
natura dotato d'una certa fredda intrepidezza che non gli veniva mai
meno nel combattere o nel mentire, occupante un posto elevato
nell'ordine militare, e oltre misura favorito dalla Principessa
Anna. Non era ancora tempo ch'egli facesse il colpo decisivo. Ma
anche allora, per mezzo d'un suo agente subordinato, inflisse una
ferita, se non mortale, gravissima alla causa regia.
LIII. Eduardo, visconte Cornbury, figlio primogenito del conte di
Clarendon, era un giovane di poca abilità, di stemperati costumi, e
d'indole violenta. Aveva da' suoi primi anni imparato a considerare
i suoi vincoli di sangue con la Principessa Anna come lo sgabello a
salire sublime, e lo avevano esortato a tenersela bene edificata.
Non era mai venuto in mente al padre suo che la lealtà ereditaria
degli Hyde potesse correre pericolo di contaminarsi dentro la
famiglia della figliuola prediletta del Re: ma in quella famiglia
signoreggiavano i Churchill; e Cornbury divenne loro strumento.
Comandava uno de' reggimenti de' Dragoni che era stato mandato nelle
contrade occidentali. Le cose erano state disposte in modo che per
poche ore il dì 14 novembre egli fosse il più anziano degli
ufficiali in Salisbury, e tutte le milizie ivi raccolte rimanessero
sottoposte alla sua autorità. E' sembra straordinario che in tanta
crisi, l'armata dalla quale ogni cosa dipendeva, fosse, anco per un
solo istante, lasciata sotto il comando d'un giovane colonnello,
privo d'abilità e di esperienza. Se non che mal può dubitarsi che
tale combinazione fosse lo effetto di un disegno profondamente
meditato, e non è dubbio nessuno a quale testa ed a qual cuore si
debba attribuire. Tosto fu dato ordine a' tre reggimenti di
cavalleria congregati in Salisbury di marciare verso ponente. Lo
stesso Cornbury, capitanandoli, li condusse prima a Blandford,
poscia a Dorchester, donde, dopo un'ora di riposo, partirono per
Axminster. Alcuni degli ufficiali cominciarono a sentire
inquietudine e chiesero la spiegazione di questi strani movimenti.
Cornbury rispose ch'egli aveva ordini di dare un notturno assalto ad
alcune schiere dal Principe d'Orange poste in Honiton. Non per ciò
si spense ogni sospetto. Alle ripetute insistenze Cornbury
evasivamente rispondeva, finchè gli ufficiali vivamente lo
sollecitarono mostrasse loro i pretesi ordini. Egli s'accòrse non
solo essergli impossibile di condurre più oltre, secondo che aveva
sperato, i tre reggimenti, ma trovarsi in grave pericolo. Per la
qual cosa riparò con pochi seguaci al quartiere generale degli
Olandesi. La maggior parte delle sue milizie ritornò a Salisbury: ma
alcuni soldati, già distaccati dal corpo, seguitarono a dirigersi ad
Honiton. Quivi trovaronsi in mezzo ad una grossa schiera bene
apparecchiata a riceverli. Resistere era impossibile. Il loro
condottiere li persuase a porsi sotto il vessillo di Guglielmo. A
gratificarli venne loro offerto un mese di paga, che fu dalla più
parte di loro accettata(1169).
La nuova di questi eventi giunse a Londra il dì 15. Giacomo in
quella mattina era di buonissimo umore. Il vescovo Lamplugh s'era
pur allora presentato a Corte arrivando da Exeter, ed era stato con
estrema cortesia accolto. "Monsignore," gli disse il Re "voi siete
un vero vecchio Cavaliere." L'arcivescovato di York, da due anni e
mezzo vacante, fu immediatamente conferito a Lamplugh in
rimunerazione della sua lealtà. Nel pomeriggio, il Re pur allora
s'era posto a desinare, quando giunse un messo recando la nuova
della diserzione di Cornbury. Giacomo lasciò intatto il pranzo,
mangiò un crostino di pane, bevve un bicchiere di vino, e si ritirò
alle sue stanze. Seppe dipoi che mentre alzavasi da mensa, vari
Lordi ne' quali egli poneva grandissima fiducia, stringevansi
vicendevolmente le destre nella contigua galleria congratulandosi
del prospero andamento delle cose. Quando la nuova fu recata agli
appartamenti della Regina, essa e le sue cameriste diedero in uno
scoppio di pianto, mettendo dolorose grida(1170).
E davvero il colpo era gravissimo. Egli è vero che la perdita che
direttamente faceva la Corona e il guadagno diretto degli invasori
ascendeva appena a dugento uomini ed altrettanti cavalli. Ma dove
avrebbe potuto d'allora in poi Giacomo trovare que' sentimenti che
formano la forza degli Stati e degli eserciti? Cornbury era lo erede
di una casa che primeggiava fra tutte pel suo affetto verso la
monarchia. Clarendon suo padre e Rochester suo zio erano uomini la
cui fedeltà riputavasi inaccessibile ad ogni qualsiasi tentazione.
Quale doveva essere la forza di quel sentimento contro cui nulla
giovavano gli ereditari pregiudizi più profondamente radicati, di
quel sentimento che poteva persuadere un giovine ufficiale d'alta
nascita alla diserzione, resa più colpevole dallo abuso di fiducia e
dalla menzogna? Lo avvenimento era assai più grave appunto perchè
Cornbury non era dotato di egregie qualità nè d'indole
intraprendente. Era impossibile dubitare che esistesse in alcun
luogo una mano più potente ed artificiosa che lo moveva. Tosto si
conobbe chi era cotesto motore. Intanto non v'era uomo nel campo
regio che fosse sicuro di non essere circondato da traditori. Il
grado politico, il grado militare, l'onore d'un gentiluomo, l'onore
d'un soldato, le più forti proteste di fedeltà, il più puro sangue
di Cavaliere, oramai non offrivano sicurtà alcuna. Ciascuno poteva
dubitare che gli ordini datigli da' suoi superiori non tendessero a
giovare l'inimico. Era quindi necessariamente distrutta quella cieca
obbedienza senza la quale gli eserciti diventano una semplice
marmaglia. Quale disciplina poteva esistere tra soldati che s'erano
dianzi sottratti ad una trama, ricusando di seguire il loro capitano
in una secreta spedizione, e insistendo che mostrasse gli ordini
sovrani?
Cornbury fu poco dopo seguito da una folla di disertori che lo
superavano per grado e capacità: ma per pochi giorni egli fu solo
nella sua vergogna ed acremente ripreso da molti i quali poscia,
imitandone lo esempio, gl'invidiarono la disonorevole precedenza.
Era fra costoro il suo proprio padre. Clarendon, appena saputane la
nuova, diede pateticamente in uno scoppio di rabbia e di dolore.
"Dio mio!" esclamò "che un mio figliuolo debba essere ribelle!"
Quindici giorni dopo era anche egli nel numero de' ribelli.
Nondimeno sarebbe ingiusto chiamarlo un ipocrita. Nelle rivoluzioni
la vita dell'uomo si svolge celerissima: la esperienza di molti anni
si trova concentrata tutta in poche ore: le vecchie abitudini di
pensiero e d'azione violentemente si rompono: le novità, che a primo
sguardo destano timore ed aborrimento, in pochi giorni diventano
familiari, tollerabili, seducenti. Molti, dotati di virtù più pura e
di maggiore animo che non fosse Clarendon, erano pronti, innanzi che
si chiudesse quell'anno memorabile, a fare ciò che al principio
dell'anno essi avrebbero giudicato iniquo ed infame.
Lo sventurato padre, come meglio potè ricomponendosi, fece chiedere
una privata udienza al Re, il quale gliela consentì. Giacomo con
insolita cortesia disse commiserare nel profondo del cuore i parenti
di Cornbury, e non reputarli tenuti a render conto del delitto
commesso dallo indegno giovane. Clarendon ritornò a casa sua non
osando guardare in viso i propri amici. Tosto nondimeno ei rimase
attonito sapendo che l'azione la quale, secondo che egli credè in
sulle prime, aveva per sempre disonorata la sua famiglia, era stata
applaudita da vari personaggi alto locati. La Principessa di
Danimarca sua nipote gli chiese perchè si teneva chiuso agli occhi
del mondo. Egli rispose, la scelleraggine del figlio averlo oppresso
di vergogna. Anna parve di non intendere punto, e soggiunse: "La
gente è molto inquieta rispetto al papismo. Io credo che molti altri
dello esercito faranno lo stesso(1171)."
Il Re, grandemente perturbato, chiamò a sè i precipui ufficiali che
erano in Londra. Churchill che verso quel tempo era stato promosso
al grado di Luogotenente Generale, si presentò con quella blanda
serenità di aspetto, che non era mai turbata da periglio o da
infamia. All'adunanza intervenne Enrico Fitzroy Duca di Grafton, il
quale per audacia ed operosità predistinguevasi tra i figli naturali
di Carlo II. Grafton era colonnello del primo reggimento delle
Guardie a piedi. A quanto pare, in quel tempo egli era sotto
l'impero di Churchill, ed apparecchiato a disertare dalla regia
bandiera, appena giungesse il momento opportuno. Erano anco ivi
presenti due altri traditori, cioè Kirke e Trelawney, i quali
comandavano due feroci e sfrenate bande, allora detti i reggimenti
di Tangeri. Entrambi, al pari degli altri ufficiali protestanti
dello esercito, da lungo tempo mal tolleravano la predilezione del
Re verso i suoi correligionari; e Trelawney in ispecie rammentava
con acre risentimento la persecuzione del vescovo di Bristol suo
fratello. Giacomo favellò all'assemblea con parole degne d'un
migliore uomo e d'una causa migliore. Disse potere darsi che taluni
degli ufficiali avessero scrupoli di coscienza per combattere in suo
favore. Quando così fosse, ei desiderava che dessero la loro
rinuncia. Ma li esortava e come gentiluomini e come soldati a non
imitare il vergognoso esempio di Cornbury. Tutti parevano commossi,
e nessuno lo era quanto Churchill. Egli fu il primo a giurare con
ben simulato entusiasmo d'essere pronto a spargere fino l'ultima
stilla del proprio sangue pel suo amato Sovrano. Simiglianti
proteste fece Grafton; e Kirke e Trelawney ne seguirono lo
esempio(1172).
LIV. Ingannato da tali assicuranze il Re si apparecchiò a recarsi in
Salisbury. Avanti la sua partenza seppe che un numero considerevole
di Pari secolari e spirituali desiderava un'udienza. Andavano,
guidati da Sancroft, per porre nelle mani di Giacomo una petizione,
nella quale lo pregavano a convocare un libero e legittimo
Parlamento, e aprire pratiche d'accordo col Principe d'Orange.
La storia di questa petizione è ben curiosa. E' sembra che due
grandi capi de' partiti, che da lungo tempo rivaleggiavano ed
osteggiavansi, ne concepissero ad un tempo il pensiero. Parlo di
Rochester e di Halifax. Ambedue, senza che l'uno sapesse dell'altro,
ne chiesero consiglio ai Vescovi. I Vescovi caldamente ne
approvarono la idea. Fu quindi proposto di ragunare un'assemblea di
Pari, onde deliberare intorno alla forma da darsi alla sopra
riferita petizione. E perchè era il tempo delle sessioni
giudiciarie, gli uomini di grado e di alta condizione
quotidianamente accorrevano a Westminster Hall come adesso
affollansi ai Circoli di Pall Mall in Saint James's-Street(1173).
Nulla poteva essere più facile ai Pari ivi presenti, che ritirarsi
in qualche stanza contigua, e sedersi a consulta. Ma sorsero
inaspettatamente alcuni ostacoli. Halifax prima si mostrò freddo,
poi contrario. Era sua indole obiettare ad ogni cosa, ed in questa
occasione le sue facoltà intellettive aguzzava la rivalità. Il
disegno, da lui approvato mentre consideravalo come suo proprio,
cominciò a dispiacergli appena seppe ch'era anco venuto in mente a
Rochester, dal quale egli era stato lungamente avversato e infine
cacciato dal posto, e che egli odiava, secondochè lo consentiva il
suo pacifico temperamento. Nottingham allora lasciava trascinarsi da
Halifax; ed entrambi dichiararono che non avrebbero posto i nomi
loro nella petizione qualora Rochester vi apponesse il suo.
Clarendon invano lo scongiurò. "Io non intendo mancare di rispetto a
Milord Rochester," rispose Halifax "ma egli è stato membro della
Commissione Ecclesiastica, gli atti della quale tra breve saranno
subietto di gravissima inchiesta; e non è convenevole che un uomo il
quale ha seduto in quel tribunale partecipi alla nostra petizione."
Nottingham con alte parole di stima personale verso Rochester fu
della opinione di Halifax. L'autorità di questi due Lordi
dissenzienti distolse vari altri dal sottoscrivere l'indirizzo; ma
gli Hyde e i Vescovi stettero fermi. Si raccolsero diciannove firme;
e i chiedenti recaronsi in corpo al cospetto del Re(1174).
Giacomo ricevè di mala grazia la petizione. Li assicurò stargli
molto a cuore la convocazione d'un libero Parlamento; e promise,
sulla fede di Re, che lo convocherebbe appena il Principe d'Orange
sgombrasse dall'isola. "Ma in che guisa" disse egli "può dirsi
libero un Parlamento mentre il Regno è invaso da un nemico, che può
disporre di quasi cento voti?" Ai prelati favellò con peculiare
acrimonia, dicendo: "L'altro giorno non potei indurvi a protestare
contro questa invasione: ma voi adesso siete abbastanza pronti a
dichiararvi contro me. Allora non v'era lecito immischiarvi di cose
politiche; ed ora non avete scrupolo a farlo. Voi avete suscitato
questo spirito di ribellione nel vostro gregge, e adesso lo
fomentate. Fareste meglio ad insegnare al popolo il modo di
obbedire, che insegnare a me il modo di governare." S'accese poi di
grande ira come vide sotto il nome di Grafton segnato presso quello
di Sancroft, ed aspramente gli disse: "Voi non sapete un jota di
religione, nè ve ne importa nulla; e nondimeno, in fè di Dio!
pretendete d'avere una coscienza." - "Egli è vero, o Sire," rispose
con impudente franchezza il nipote; "egli è vero che io ho poca
coscienza; ma appartengo ad un partito che ne ha molta(1175)."
LV. Per quanto fossero acri le parole del Re, lo erano meno di
quelle che profferì dopo che i Vescovi si furono dalla sua presenza
partiti. Disse d'avere già fatto troppo sperando di gratificarsi un
popolo irreverente ed ingrato; avere sempre abborrito dalla idea di
fare concessioni; ma vi s'era lasciato indurre; e adesso, come il
padre suo, vedeva per prova che le concessioni rendono i sudditi più
esigenti. Quinci innanzi non cederebbe in nulla, nè anche d'un
atomo; e secondo suo costume ripetè più volte e con forza: "Nè anche
d'un atomo." Non solo non farebbe proposte agli invasori, ma non ne
accetterebbe nessuna. Se gli Olandesi mandassero a chiedere tregua,
il primo messaggiero sarebbe rimandato senza risposta, il secondo
impiccato(1176). In tale umore Giacomo partì per Salisbury. Il suo
ultimo atto, avanti di partirsi, fu di nominare un Consiglio di
cinque Lordi, perchè lo rappresentassero durante la sua assenza. De'
cinque, due erano papisti, e per virtù della legge inabili ad
occupare gli uffici. Jeffreys era con essi, ma la nazione
detestavalo più dei papisti. A Preston e Godolphin, che erano gli
altri due membri, non si poteva nulla obiettare. Il dì, in che il Re
partì da Londra, il Principe di Galles fu mandato a Portsmouth.
Questa fortezza aveva uno strenuo presidio sotto il comando di
Berwick. Era lì presso la flotta comandata da Dartmouth; e
supponevasi, che ove le cose procedessero male, il regio infante si
sarebbe senza ostacolo potuto condurre in Francia(1177).
LVI. Il dì 19, Giacomo giunse a Salisbury, e pose il suo quartiere
generale nel palazzo del Vescovo. Da ogni parte gli arrivavano
sinistre nuove. Le Contee occidentali alla perfine erano insorte.
Appena si seppe la diserzione di Cornbury, molti ricchi possidenti
presero animo ed accorsero ad Exeter. Era fra essi Sir Guglielmo
Portman di Bryanstone, uno de' più grandi uomini della Contea di
Dorset, e Sir Francesco Warre di Hestercombe che aveva somma
riputazione nella Contea di Somerset(1178). Ma il più cospicuo de'
nuovi venuti era Seymour, che aveva di recente ereditato il titolo
di baronetto, - titolo che aggiungeva poco alla sua dignità, - e per
nascita, per influenza politica e per abilità parlamentare
primeggiava oltre ogni paragone fra' gentiluomini Tory
d'Inghilterra. Dicesi che nella prima udienza porgesse tale
argomento dell'altera indole sua, che recò maraviglia e sollazzo al
Principe. "Io credo, Sir Eduardo," disse Guglielmo per usargli una
cortesia "che voi siate della famiglia del Duca di Somerset." -
"Altezza, chiedo scusa," rispose Sir Eduardo che non dimenticava mai
d'essere il capo del ramo maggiore de' Seymours, "il Duca di
Somerset è della mia famiglia(1179)."
Il quartiere generale di Guglielmo allora cominciò a prendere la
sembianza d'una corte. Sessanta e più personaggi cospicui per grado
ed opulenza trovavansi in Exeter; e la mostra quotidiana delle
ricche livree e de' cocchi a sei cavalli nel ricinto della
Cattedrale rendeva in alcun modo immagine della magnificenza e
gaiezza di Whitehall. Il basso popolo anelava di correre alle armi,
sì che sarebbe stato agevole formare molti battaglioni di fanti. Ma
Schomberg, che faceva poco conto di soldati novellamente tolti allo
aratro, sosteneva che ove la impresa non avesse prospero successo
senza siffatto aiuto, non sarebbe riuscita affatto: e Guglielmo, che
quanto Schomberg bene intendevasi d'arte militare, era del medesimo
parere. E però difficilmente concedeva commissioni di reclutare
nuovi reggimenti, non accettando altri che uomini scelti.
Desideravasi che il Principe ricevesse pubblicamente in corpo tutti
i nobili e i gentiluomini che s'erano raccolti in Exeter. Rivolse
loro brevi, caute e dignitose parole. Disse che sebbene non
conoscesse di aspetto tutti coloro che gli stavano dinanzi, pure ne
aveva notati i nomi, e sapeva quale insigne reputazione godessero
nel paese loro. Dolcemente li rimproverò di lentezza ad accorrere,
ma espresse la ferma speranza che non sarebbe stato troppo tardi per
salvare il reame. "Adunque, o gentiluomini, amici, e confratelli
protestanti," soggiunse egli "noi con tutto il cuore diciamo a tutti
voi e ai seguaci vostri, siate ben venuti alla nostra corte ed al
nostro campo(1180)."
Seymour, accorto uomo politico, per la sua lunga esperienza nella
tattica delle fazioni, tosto conobbe che il partito che s'andava
raccogliendo sotto il vessillo del Principe aveva mestieri d'essere
organizzato. Lo chiamava una corda di sabbia: non v'era scopo comune
o formalmente determinato; nessuno s'era impegnato a nulla. Appena
si sciolse l'assemblea tenuta da Guglielmo nel Decanato, Seymour
fece chiamare Burnet, e gli suggerì il pensiero di formare
un'associazione, e d'obbligare tutti gl'Inglesi aderenti al Principe
ad apporre le loro firme ad un documento, in cui si dichiarassero
fedeli al loro condottiero e si vincolassero vicendevolmente. Burnet
riferì la cosa al Principe ed a Shrewsbury, i quali l'assentirono.
Fu convocata un'adunanza nella Cattedrale, dove fu letto, approvato,
e firmato un breve documento scritto da Burnet. I soscrittori
promettevano di eseguire concordemente le cose contenute nel
Manifesto di Guglielmo; difendere lui, ed a vicenda difendersi; fare
segnalata vendetta di chi attentasse alla vita di lui, ed anche, ove
siffatto attentato sventuratamente avesse effetto, persistere nella
impresa finchè le libertà e la religione del paese fossero
pienamente assicurate(1181).
Verso quel tempo arrivò ad Exeter un messaggiero del Conte di Bath,
il quale aveva il comando di Plymouth. Bath poneva sè, le sue truppe
e la fortezza da lui governata a disposizione del Principe.
Gl'invasori quindi non avevano più un solo nemico alle spalle(1182).
LVII. Mentre le contrade occidentali in tal guisa insorgevano ad
affrontare il Re, le settentrionali gli divampavano dietro. Il dì
16, Delamere corse alle armi nella Contea di Chester. Convocò i suoi
fittajuoli, gli esortò a seguirlo, promise loro che, ove cadessero
in battaglia, ei rinnoverebbe il fitto ai loro figli, ed ammonì
chiunque avesse un buon cavallo di andare al campo, o mandarvi altri
in sua vece(1183). Comparve a Manchester con cinquanta armati a
cavallo, il quale numero si triplicò innanzi ch'egli giungesse a
Boaden Downs.
Le circostanti contrade erano in somma agitazione. Era stato
provveduto che Danby prendesse York, e Devonshire si mostrasse in
Nottingham. Quivi non si temeva alcuna resistenza. Ma in York
trovavasi un piccolo presidio sotto il comando di Sir Giovanni
Reresby. Danby agì con rara destrezza. Era stata convocata pel dì 22
novembre una ragunanza de' gentiluomini e de' possidenti della
Contea di York per fare un indirizzo al Re sullo stato delle cose.
Tutti i Luogotenenti deputati dei tre Ridings, vari nobili, e una
folla di ricchi scudieri e di pingui possidenti erano andati alla
capitale della provincia. Quattro distaccamenti di milizia civica
erano sotto le armi per mantenere la pubblica tranquillità. Il
palazzo comunitativo era pieno di liberi possidenti, ed era appena
cominciata la discussione, allorquando levossi repentinamente il
grido che i Papisti, corsi alle armi, facevano strage de'
protestanti. I Papisti di York più verisimilmente studiavansi a
cercare dove nascondersi che ad aggredire i nemici, i quali per
numero li superavano in proporzione di cento ad uno. Ma in quel
tempo non vi era storiella orrenda o maravigliosa delle atrocità dei
Papisti, alle quali il popolo non prestasse fede. La ragunanza
sgomentata si disciolse. La intera città fu in iscompiglio. In quel
mentre Danby con circa cento uomini a cavallo corse dinanzi alla
milizia civica gridando: "Giù il Papismo! Viva il libero Parlamento!
Viva la religione protestante!" Le milizie risposero al grido.
Sorpresero tosto e disarmarono il presidio. Il governatore venne
arrestato; le porte furono chiuse, e in ogni dove poste sentinelle.
Lasciarono che la infuriata plebe atterrasse una cappella cattolica,
ma pare che non seguisse altro danno. Il dì seguente il palazzo
comunitativo era pieno de' più notabili gentiluomini della Contea, e
dei principali magistrati della città. Il Lord Gonfaloniere teneva
il seggio. Danby propose di scrivere una dichiarazione nella quale
fossero espresse le ragioni che inducevano gli amici della
Costituzione e della religione protestante a correre alle armi.
Questa dichiarazione fu calorosamente approvata, e in poche ore
munita delle firme di sei Pari, di cinque baronetti, di sei
cavalieri, e di molti gentiluomini di gran conto(1184).
Infrattanto Devonshire, capitanando una grossa legione di amici e
dipendenti suoi, partitosi dal palagio ch'egli stava erigendo in
Chatsworth, comparve armato in Derby. Quivi consegnò formalmente
alle autorità municipali uno scritto in cui erano esposte le ragioni
che lo avevano spinto alla impresa. Ne andò quindi a Nottingham, che
tosto divenne il centro della insurrezione delle contrade
settentrionali. Promulgò un proclama scritto con forti e ardite
parole. Vi si diceva che il vocabolo ribellione era uno spauracchio
che non poteva spaventare alcun uomo ragionevole. Era ella
ribellione difendere quelle leggi e quella religione che ogni Re
d'Inghilterra era tenuto per sacramento a tutelare? In che modo
siffatto giuramento fosse stato osservato, era questione la quale,
come speravasi, un libero Parlamento tra breve scioglierebbe. Nel
tempo stesso gl'insorti dichiaravano di non considerare qual
ribellione, ma quale legittima difesa, il resistere ad un tiranno,
che, tranne la propria volontà, non conosceva legge veruna. La
insurrezione del paese settentrionale diventava ogni giorno più
formidabile. Quattro potenti e ricchi Conti, cioè Manchester,
Stamford, Rutland, Chesterfield giunsero a Nottingham, e furono
seguiti da Lord Cholmondley e da Lord Grey di Ruthyn(1185).
Intanto le due armate nel mezzogiorno facevansi l'una all'altra
sempre più presso. Il Principe d'Orange, saputo lo arrivo del Re a
Salisbury, pensò essere tempo di partirsi da Exeter. Pose la città e
il paese circostante sotto il governo di Sir Eduardo Seymour, e il
mercoledì 21 novembre, scortato da molti de' più notevoli
gentiluomini delle contrade occidentali, si avviò ad Axminster, dove
rimase vari giorni.
Il Re ardeva di venire alle mani; ed era naturale ch'egli così
bramasse. Ogni ora che passava, scemava le sue forze, ed accresceva
quelle del nemico. Inoltre era importantissimo che le sue truppe
venissero allo spargimento del sangue: imperciochè una grande
battaglia, qualunque ne fosse l'esito, non poteva altro che nuocere
alla popolarità del Principe. Guglielmo intendeva profondamente
tutto ciò, ed era deliberato di evitare, quanto più potesse, un
combattimento. Dicesi che quando a Schomberg fu riferito che i
nemici si appressavano deliberatissimi a combattere, rispondesse col
contegno di capitano espertissimo nell'arte sua: "Sarà come vorremo
noi." Era, nondimeno, impossibile scansare qualunque scaramuccia tra
le vanguardie dei due eserciti. Guglielmo desiderava che in siffatte
piccole fazioni non accadesse nulla che potesse offendere l'orgoglio
o destare il sentimento di vendetta della nazione di cui s'era fatto
liberatore. E però con ammirevole prudenza pose i suoi reggimenti
inglesi in quei luoghi dove maggiore era il rischio d'una
collisione. E perchè gli avamposti dell'armata regia erano
Irlandesi, nei piccoli combattimenti(1186) di questa breve campagna
gl'invasori avevano seco la cordiale simpatia di tutti
gl'Inglesi. LVIII. Il primo di cotesti scontri ebbe luogo in
Wincanton. Il reggimento di Mackay, composto di soldati inglesi, era
presso a un corpo di regie truppe irlandesi, capitanate dal valoroso
Sarsfield loro concittadino. Mackay mandò un piccolo drappello de'
suoi sotto il comando d'un luogotenente chiamato Campbell, in cerca
di cavalli pel bagaglio. Campbell li trovò in Wincanton, e già
allontanavasi dalla città per ritornare al campo, allorquando vide
avvicinarsi un forte distaccamento delle truppe di Sarsfield.
Gl'Irlandesi erano in proporzione di quattro contro uno: ma Campbell
deliberò di combattere fino all'ultimo sangue. Con una mano di
coraggiosissimi uomini si appostò sul cammino. Gli altri suoi
soldati si posero lungo le siepi che fiancheggiavano da ambe le
parti lo stradale. Giunti gl'inimici, Campbell gridò: "Alto! Per chi
siete voi?" - "Io sono pel re Giacomo," rispose il condottiero delle
milizie regie. "Ed io pel Principe d'Orange, esclamò Campbell. "E
noi v'imprinciperemo bene," rispose imprecando l'Irlandese. "Fuoco!"
gridò Campbell: ed una grandine di fuoco piovve all'istante da ambe
le siepi. I soldati del Re riceverono tre bene aggiustate scariche
innanzi che potessero far fuoco. In fine venne loro fatto di
superare una delle siepi, ed avrebbero oppressa la piccola banda
degl'inimici, se i campagnuoli che portavano odio mortale
agl'Irlandesi non avessero sparsa la falsa nuova dello appressarsi
d'altre truppe del Principe. Sarsfield suonò a raccolta e ritirossi;
Campbell seguitò il cammino senza molestia, seco recando i cavalli
da bagaglio. Questo fatto, onorevole, senza dubbio, al valore ed
alla disciplina dell'armata del Principe, fu dalla voce pubblica
esagerato come una vittoria che i protestanti inglesi avevano
riportata contro un numero grandemente maggiore di barbari papisti,
venuti da Connaught ad opprimere l'isola nostra(1187).
Poche ore dopo la narrata scaramuccia seguì un evento che pose fine
ad ogni pericolo di più grave conflitto tra i due eserciti.
Churchill ed alcuni de' suoi principali complici erano in Salisbury.
Due de' congiurati, cioè Kirke e Trelawney, se n'erano andati a
Warminster dove i reggimenti loro stanziavano. Tutto era maturo per
eseguire la lungamente meditata tradigione.
Churchill consigliò il Re a visitare Warminster, onde ispezionarvi
le truppe. Giacomo assentì; ed il suo cocchio stavasi alla porta del
palagio vescovile, quando ei cominciò a versare abbondantemente
sangue dalle narici. Fu quindi costretto a differire la sua gita, e
porsi in mano de' medici. La emorragia non gli cessò se non dopo tre
giorni; e intanto gli giungevano funestissime nuove.
Non era possibile che una congiura la quale aveva sì sparse le fila
come quella di cui Churchill era capo, si tenesse strettamente
secreta. Non v'era prova che potesse farlo tradurre dinanzi ai
Giurati o ad una corte marziale: ma strani bisbigli correvano per
tutto il campo. Feversham, il quale era comandante supremo, riferì
che regnavano sinistri umori nell'armata. Fu fatto intendere al Re
che alcuni i quali gli stavano da presso non gli erano amici, e che
sarebbe stata saggia cautela mandare Churchill e Grafton sotto buona
guardia a Portsmouth. Giacomo respinse il consiglio; dacchè fra i
suoi vizi non era la inclinazione a sospettare. A vero dire la
fiducia ch'egli poneva nelle proteste di fedeltà e d'affetto, era
quanta ne avrebbe potuto avere più presto un fanciullo di buon cuore
e privo d'esperienza, che un politico molto provetto negli anni, il
quale aveva praticato assai il mondo, aveva molto sofferto dalle
arti degli scellerati, e il cui carattere non faceva punto onore
alla specie umana. Sarebbe difficile additare un altro uomo, il
quale, così poco scrupoloso a rompere la fede, fosse così restio a
credere che altri volesse contro di lui tradirla. Nondimeno le nuove
ricevute intorno le condizioni della sua armata lo conturbarono
molto. Adesso non più mostravasi impaziente di venire a battaglia:
pensava anzi di ritirarsi. Nella sera del sabato 24 novembre convocò
un consiglio di guerra. Alla ragunanza convennero quegli ufficiali
contro cui era stato caldamente ammonito a tenersi cauto. Feversham
opinò per la ritirata. Churchill manifestò contrario parere. Il
consiglio durò fino a mezza notte. Finalmente il Re dichiarò essere
deliberato a ritirarsi. Churchill vide o s'immaginò d'essere
sospettato, e comunque sapesse perfettamente governare i moti dello
animo, non valse a nascondere la propria inquietudine. Innanzi
l'alba, accompagnato da Grafton, fuggì al quartiere generale del
Principe(1188).
LIX. Churchill, partendo, lasciò una lettera a spiegare il suo
intendimento. Era scritta con quel decoro ch'egli non mancò mai di
serbare fra mezzo alla colpa e al disonore. Riconobbe d'andar
debitore d'ogni sua cosa alla regia benevolenza. Lo interesse e la
gratitudine, diceva egli, lo persuadevano a mantenersi fido al
proprio Sovrano. Sotto nessun altro governo poteva sperare la
grandezza e prosperità ch'egli allora godeva, ma tutti cotesti
argomenti dovevano cedere al primissimo de' doveri. Egli era
protestante, e non poteva in coscienza snudare la spada contro la
causa del Protestantismo. Quanto al resto, era pronto a porre a
repentaglio vita ed averi per difendere la sacra persona e i diritti
del suo amatissimo signore(1189).
Alla dimane il campo era sossopra. Gli amici del Re percossi da
spavento; i suoi nemici non potevano nascondere la gioia de' loro
cuori. La costernazione di Giacomo s'accrebbe alle nuove che
giunsero il dì medesimo da Warminster. Kirke che ivi comandava,
aveva ricusato di obbedire ad ordini giunti da Salisbury. Non era
più dubbio che anche egli fosse in lega col Principe d'Orange.
Dicevasi inoltre ch'egli fosse già passato con le sue milizie al
campo del nemico; e tale voce, comechè falsa, fu per alcune ore
pienamente creduta(1190). Un nuovo raggio di luce lampeggiò alla
mente dello sciagurato Re. Gli parve d'intendere il perchè pochi
giorni innanzi era stato esortato a visitare Warminster. Ivi si
sarebbe trovato privo di soccorso, in balía de' congiurati, e presso
agli avamposti nemici. Coloro che sarebbero stati disposti a
difenderlo avrebbero agevolmente ceduto agli aggressori. Egli
sarebbe stato condotto prigioniero al quartiere generale
degl'invasori. Forse sarebbe stato commesso qualche più nero
tradimento; imperocchè chi una volta ha posto il piede in una via di
malvagità e di periglio non è più padrone di fermarsi, e spesso una
fatalità, che gli è di giusta pena, lo spinge a delitti, dalla idea
dei quali egli avrebbe dapprima rifuggito con raccapriccio. E
davvero era visibile la mano di qualche Santo protettore in ciò, che
un Re sì devoto alla Chiesa Cattolica, nel momento medesimo in cui
correva a gran passi alla cattività, e forse alla morte, fosse stato
improvvisamente impedito da quella ch'egli aveva giudicata
pericolosa infermità.
LX. Tutte coteste cose raffermarono l'animo del Re nel pensiero
ch'egli aveva fatto la sera antecedente. Ordinò una subita ritirata.
Salisbury fu tutta in subuglio. Il campo levossi con tal confusione
che rendeva immagine d'una fuga. Niuno sapeva di chi fidarsi, e a
cui obbedire. La forza materiale dello esercito era di poco scemata;
ma la morale non era più. Molti, che la vergogna frenava dal correre
al quartiere generale del Principe, affrettaronsi a seguire lo
esempio dal quale avrebbero ognora aborrito; e molti che avrebbero
difeso il Re mentre pareva risolutamente correre incontro
agl'invasori, non si sentirono inchinevoli a seguire un vessillo che
fuggiva(1191).
Giacomo quel giorno giunse ad Andover. Lo accompagnavano il Principe
Giorgio suo genero, e il Duca d'Ormond. Entrambi erano fra'
cospiratori, e avrebbero forse tenuto dietro a Churchill, ove
questi, a cagione di ciò che seguì nel consiglio di guerra, non
avesse reputato più utile partirsi allo improvviso. La impenetrabile
stupidità del Principe Giorgio in questa occasione gli fu più utile
di ciò che sarebbe stata l'astuzia. Ogni qualvolta udiva alcun che
di nuovo, egli aveva il vezzo di esclamare in francese: "Est-il
possible?" Questo ritornello adesso gli fu di grande utilità.
"Est-il possible?" gridò egli come seppe che Churchill e Grafton se
n'erano andati. Ed appena giunte le sinistre nuove di Warminster,
esclamò nuovamente: "Est-il possible?"
LXI. Il Principe Giorgio ed Ormond in Andover furono invitati a
cenare col Re. Tristissima cena! Il Re gemeva sotto la soma delle
sue sciagure. Il suo genero gli teneva stupidissima compagnia. "Io
ho saggiato il Principe Giorgio mentre era sobrio," diceva Carlo II,
"e l'ho saggiato mentre era ubriaco; e o briaco o sobrio non val
nulla(1192)." Ormond, che per indole era timido e taciturno, non era
verosimile che fosse d'allegro umore in quel momento. Alla perfine
la cena terminò. Il Re si ritrasse a riposare. Il Principe ed
Ormond, appena Giacomo sorse da mensa, montando sui cavalli che
erano lì pronti, partironsi, accompagnati dal Conte di Drumlanrig,
figlio primogenito del Duca di Queensberry. La defezione di questo
giovine Nobile non era cosa di poca importanza; imperocchè
Queensberry era il capo dei protestanti episcopali di Scozia, setta
al cui paragone i più esagerati Tory inglesi potevano considerarsi
pressochè Whig; e lo stesso Drumlanrig era luogotenente colonnello
del reggimento di Dundee, banda dai Whig detestata più degli Agnelli
di Kirke. La mattina appresso fu recato al Re lo annunzio di questa
nuova sciagura, e se ne mostrò meno dolente di quel che si sarebbe
supposto. Il colpo da lui ricevuto ventiquattro ore innanzi lo aveva
apparecchiato quasi a qualunque disastro, e non poteva seriamente
adirarsi del Principe Giorgio, - il quale era uomo da non farsene
nessun conto, - per avere ceduto alle arti d'un tentatore quale era
Churchill. "E che! Est-il possible se ne è andato anche egli?" disse
Giacomo. "Al postutto sarebbe stata maggiore la perdita di un buon
soldato(1193)." Per dir vero, e' sembra che in quel tempo tutta la
collera del Re fosse accentrata, e non senza cagione, sopra un solo
uomo. Prese la via di Londra, ardendo di vendetta contro Churchill,
ed appena giuntovi seppe che l'arcingannatore aveva commesso un
nuovo delitto. La Principessa Anna da parecchie ore era sparita.
LXII. Anna, la quale altra volontà non aveva che quella dei
Churchill, una settimana innanzi era stata da loro persuasa a
scrivere di propria mano a Guglielmo, significandogli che approvava
la impresa. Assicuravalo ch'ella trovavasi interamente nelle mani
de' suoi amici, e che sarebbe rimasta in palazzo o sarebbesi
rifugiata nella Città a seconda del loro consiglio(1194). La
domenica, 25 novembre, ella e coloro che per lei pensavano,
trovaronsi nella necessità di prendere una improvvisa deliberazione.
Nel pomeriggio di quel dì stesso un corriere da Salisbury recò la
nuova che Churchill era scomparso, ch'era stato accompagnato da
Grafton, che Kirke aveva tradito, e che le milizie regie
frettolosamente ritiravansi. Quella sera le sale di Whitehall erano
affollate da immenso numero di persone come usualmente avveniva
quando una grave notizia buona o cattiva giungeva alla città. La
curiosità e l'ansietà erano dipinte nel viso di ciascuno. La Regina
proruppe naturalmente in parole di sdegno contro il capo de'
traditori, e non risparmiò la sua troppo compiacente protettrice.
Nella parte del palazzo abitata da Anna furono raddoppiate le
sentinelle. La Principessa era atterrita. Tra poche ore il padre
sarebbe giunto a Westminster. Non era verosimile che l'avrebbe
personalmente trattata con severità; ma non era da sperarsi ch'egli
le permetterebbe di godere più a lungo della compagnia della sua
diletta amica. Mal poteva dubitarsi che Sara verrebbe arrestata e
sottoposta al rigoroso esame di astuti e crudi inquisitori. Le sue
carte sarebbero sequestrate. Forse si scoprirebbe qualche documento
che mettesse in pericolo la sua vita. Ed ove ciò fosse, v'era da
temere di peggio. La vendetta dello implacabile Re non conosceva
distinzione di sesso. Per delitti molto più lievi di quelli che
probabilmente verrebbero imputati a Lady Churchill, aveva mandate
donne alle forche e al ceppo. La forza dello affetto infiammò
l'animo debole della Principessa. Non v'era vincolo ch'ella non
fosse pronta a rompere, non rischio a correre per l'oggetto del suo
immenso amore. "Mi getterò giù dalla finestra" gridò ella "piuttosto
che lasciarmi trovare qui da mio padre." Lady Churchill s'incaricò
di apparecchiare la fuga. Si pose frettolosamente in comunicazione
con alcuni capi della congiura. In poche ore ogni cosa fu pronta.
Quella sera Anna si ritrasse, secondo il consueto modo, alle sue
stanze. Sul cadere della notte levossi, ed accompagnata dall'amica
Sara e da due altre donne discese per le secrete scale in veste da
camera e in pianelle. Le fuggenti giunsero nella strada senza
ostacolo, dove le attendeva una carrozza d'affitto, dinanzi al cui
sportello stavano due uomini. Uno era Compton Vescovo di Londra,
vecchio ajo della Principessa; l'altro era il magnifico e squisito
Dorset, che vedendo la grandezza del pubblico pericolo erasi destato
dal suo voluttuoso far niente. La carrozza tosto si diresse ad
Aldersgate Street, dove allora sorgeva l'abitazione di città de'
Vescovi di Londra, accanto alla Cattedrale. Ivi la Principessa passò
la notte. Il dì seguente partì per Epping Forest. In que' selvaggi
luoghi Dorset possedeva una veneranda magione, oggimai da lungo
tempo distrutta. Sotto il suo tetto ospitale che da molti anni era
il favorito ritrovo de' begli spiriti e de' poeti, i fuggitivi
fecero breve soggiorno. Non potevano sperare di giungere in sicurtà
al campo di Guglielmo, perocchè il cammino era occupato dalle regie
milizie. Fu quindi deliberato che Anna riparasse fra mezzo agli
insorti delle contrade settentrionali. Compton per allora dismesse
al tutto il suo carattere sacerdotale. Il pericolo e il conflitto
gli avevano riacceso nel cuore tutto il fuoco guerriero onde era
pieno ventotto anni innanzi, allorquando cavalcava fra le Guardie
del Corpo. Ei precedeva il cocchio della Principessa, vestito d'un
giustacore di cuojo di bufalo, grandi stivali, spada a fianco, e
pistole all'arcione. Innanzi di giungere a Nottingham trovossi
circondata da un drappello di gentiluomini che volontariamente erano
corsi a scortarla. Costoro invitarono il Vescovo a farsi loro
colonnello; ed egli vi consentì con alacrità tale da scandalizzarne
i rigidi Anglicani, e da non acquistargli grande reputazione agli
occhi de' Whig(1195).
LXIII. Allorquando la mattina del dì 26 lo appartamento di Anna fu
trovato vuoto, nacque grande costernazione in Whitehall. Mentre le
sue cameriste correvano su e giù pe' cortili del palazzo strillando
e torcendosi le mani, mentre Lord Craven comandante delle Guardie a
piedi interrogava le sentinelle della galleria, mentre il
Cancelliere poneva i suggelli alle carte de' Churchill, la nudrice
della Principessa negli appartamenti del Re piangeva gridando che la
sua diletta signora era stata assassinata dai papisti. La nuova volò
a Westminster Hall. Ivi si disse che Sua Altezza era stata
trascinata a forza e in qualche luogo imprigionata. Quando non fu
più possibile negare che la sua fuga era stata volontaria,
s'inventarono mille ciarle a spiegarne la cagione. Era stata
villanamente insultata e minacciata; anzi, quantunque si trovasse in
quella condizione in cui la donna merita peculiarmente l'altrui
tenerezza, era stata battuta dalla sua crudele madrigna. La plebe,
da molti anni di pessimo governo resa sospettosa e irritabile, venne
in tanto concitamento per queste calunnie, che la Regina non si
teneva sicura. Molti Tory cattolici e alcuni protestanti, la cui
lealtà era incrollabile, corsero alla reggia pronti a difenderla ove
seguisse uno scoppio d'ira popolare. Fra mezzo a tanta perturbazione
e a tanto terrore giunse la nuova della fuga del Principe Giorgio.
Poco dopo verso sera arrivò il Re, al quale fu annunziato la sua
figlia essere scomparsa. Dopo tanti patimenti quest'ultima
afflizione gli strappò dalle labbra un doloroso grido: "Dio mi
soccorra, anche i miei figli mi hanno abbandonato(1196)!"
Quella sera fino a tardi sedè in consiglio co' suoi principali
ministri. Fu deliberato di intimare a tutti i Lordi spirituali e
secolari che allora trovavansi in Londra, che comparissero la dimane
al suo cospetto, onde richiederli solennemente di consiglio. Per la
qual cosa, il pomeriggio del martedì 27, i Lordi adunaronsi nella
sala da pranzo del palazzo. L'assemblea era composta di nove prelati
e fra trenta e quaranta Nobili secolari, tutti protestanti. I due
Segretari di Stato, Middleton e Preston, quantunque non fossero Pari
d'Inghilterra, erano presenti. Il Re presedeva in persona. Gli si
leggeva sul viso e nello atteggiamento ch'egli soffriva d'anima e di
corpo. Aperse la ragunanza facendo capo dalla petizione che gli era
stata presentata poco innanzi la sua partenza per Salisbury. In
quella petizione veniva pregato a convocare un libero Parlamento.
Disse che nelle condizioni in cui egli allora trovavasi, non aveva
reputato opportuno acconsentire. Ma nel tempo della sua assenza da
Londra erano seguíti gravissimi mutamenti. Aveva parimente notato
che il suo popolo dappertutto mostrava bramosía di vedere adunate le
Camere. Per tutte queste cose egli chiamava a consiglio i suoi Pari
fedeli, perchè gli manifestassero il loro parere.
Per qualche tempo e' fu silenzio, finchè Oxford, la cui famiglia,
per antichità e magnificenza superiore a tutte, gli dava una specie
di primato nella ragunanza, disse che secondo la sua opinione que'
Lordi i quali avevano sottoscritta la petizione, cui la Maestà Sua
accennava, erano in debito di manifestare i loro pensieri.
Queste parole mossero Rochester a favellare. Difese la petizione e
dichiarò di non vedere altra speranza per il trono e il paese che la
convocazione d'un libero Parlamento. Disse non volere rischiarsi ad
affermare che in tanto grave estremità, anche quel rimedio potesse
tornare efficace: ma non ne aveva altro da proporre. Aggiunse
parergli sano partito aprire pratiche col Principe d'Orange.
Jeffreys e Godolphin parlarono dopo, ed entrambi dichiararono essere
della medesima opinione di Rochester.
Allora sorse Clarendon, e, con somma maraviglia di quanti
rammentavano le sue proteste di lealtà, e i suoi disperati affanni e
il rossore cui si era abbandonato, solo pochi giorni innanzi, per la
diserzione del proprio figliuolo, proruppe in virulenti invettive
contro la tirannide e il papismo. "Anche adesso" disse egli "Sua
Maestà in Londra fa leva d'un reggimento al quale non è ammesso
nessun protestante." - "Non è vero!" gridò dal seggio Giacomo
grandemente agitato. Clarendon insisteva, e lasciò da parte questo
offensivo subietto per passare ad un altro maggiormente offensivo.
Accusò lo sventurato Re di pusillanimità. Perchè ritirarsi da
Salisbury? Perchè non tentare le sorti d'una battaglia? Era forse da
biasimarsi il popolo se cedeva ad un invasore mentre vedeva il
proprio Re fuggire insieme con la sua armata? Giacomo sentì
amaramente cotesti insulti, e ne serbò lunga ricordanza. E davvero
gli stessi Whig reputarono indecenti e poco generose le parole di
Clarendon. Halifax parlò in modo diverso. Per molti anni di pericolo
aveva con ammirevole abilità difeso la costituzione civile ed
ecclesiastica del paese contro la regia prerogativa. Ma il suo
lucido intendimento, singolarmente nemico d'ogni entusiasmo, ed
avverso agli estremi, cominciò a pendere verso la causa del Sovrano
nel momento stesso nel quale que' romorosi realisti, che poco
innanzi avevano esecrato i Barcamenanti quasi fossero ribelli,
alzavano il vessillo della ribellione. Egli ambiva, in quella
congiuntura, a farsi paciere fra il trono e la nazione. A ciò lo
rendevano adatto lo ingegno e il carattere; e se non vi riuscì, deve
attribuirsi a certe cagioni, a vincere le quali non era destrezza
che bastasse, e precipuamente alla follia, slealtà, ed ostinatezza
del Principe ch'egli si studiava di salvare.
Halifax disse non poche verità spiacevoli a Giacomo, ma con tal
delicatezza da meritargli la taccia d'adulatore da parte di quegli
abietti spiriti, i quali non sanno intendere come ciò che
giustamente merita il nome di adulazione quando è diretto al
potente, sia debito d'umanità quando si rivolge al caduto. Con mille
espressioni di simpatia e deferenza, dichiarò essere d'avviso che il
Re dovesse oggimai apparecchiarsi a fare grandi sacrifici. Non
bastava convocare un libero Parlamento o iniziare pratiche d'accordo
col Principe d'Orange. Era necessario fare ragione almeno ad alcuni
de' torti di cui moveva lamento la nazione, senza attendere che lo
esigessero le Camere o il Capitano dello esercito nemico. Nottingham
con parole egualmente rispettose fece eco a quelle di Halifax. Le
principali concessioni che i Lordi volevano che il Re facesse erano
queste: cacciare dagli uffici tutti i Cattolici Romani; separarsi
interamente dalla Francia; e concedere illimitata amnistia a tutti
coloro che avevano prese le armi contro lui. Pareva che intorno
all'ultima di coteste concessioni non fosse da disputare.
Imperocchè, quantunque coloro che pugnavano contro il Re avessero
agito in modo da suscitargli in cuore, non senza ragione, il più
acre risentimento, era più verosimile ch'egli si trovasse tra breve
in loro balía, che essi nella sua. Sarebbe stata cosa puerile
iniziare pratiche d'accordo con Guglielmo, e nello stesso tempo
riserbarsi il diritto di vendetta contro coloro che Guglielmo non
poteva senza infamia lasciare in abbandono. Ma lo intenebrato
intendimento e l'indole implacabile di Giacomo resisterono
lungamente alle ragioni addotte da coloro che affaticavansi a
convincerlo essere opera da savio perdonare delitti ch'egli non
poteva punire. "Non posso acconsentire," esclamò egli. "È mestieri
ch'io dia degli esempi: Churchill sopra tutti, Churchill, quel desso
ch'io inalzai tanto. Egli è la sola cagione di tanto male. Egli ha
corrotta la mia armata. Egli ha corrotta la mia figliuola. Egli mi
avrebbe dato in mano al Principe d'Orange, se non mi avesse soccorso
la mano di Dio. Milordi, voi siete stranamente ansiosi per la
salvezza de' traditori, e nessuno di voi si dà il minimo pensiero
della mia." In risposta a questo scoppio d'ira impotente, coloro i
quali lo avevano esortato a concedere l'amnistia, gli mostrarono con
profondo rispetto, ma con fermezza, che un Principe aggredito da
potenti nemici non può trovare scampo se non nella vittoria o nella
riconciliazione. "Se la Maestà Vostra, dopo ciò che è accaduto, vede
tuttavia speranza alcuna di salvezza nelle armi, l'opera nostra è
finita: ma se non ha questa speranza, non le resta altra áncora di
salute che il riacquistare lo affetto del popolo." Dopo una lunga e
calorosa discussione, il Re sciolse la ragunanza dicendo: "Milordi,
voi avete usata meco gran libertà di parole; ma non me ne ho per
male. Oramai mi son messo in capo una cosa, e vi rimango
irremovibile, cioè, convocherò il Parlamento. Gli altri consigli che
mi avete pôrti sono di grave momento: nè vi dee far meraviglia se
innanzi di decidere, io prendo tempo una notte a pensarvi
sopra(1197)." LXIV. Primamente Giacomo parve disposto a bene
giovarsi del tempo da lui preso a riflettere. Al Cancelliere fu
fatto comandamento di scrivere il decreto a convocare il Parlamento
pel dì 13 gennaio. Halifax fu chiamato al palazzo, ed ebbe una lunga
udienza, e parlò molto più liberamente di quello che egli aveva
reputato decoroso di fare al cospetto d'una numerosa assemblea. Gli
fu detto d'essere stato nominato commissario per trattare col
Principe d'Orange. In questo ufficio gli furono dati a compagni
Nottingham e Godolphin. Il Re dichiarò d'essere parato a fare grandi
sacrifici per amore della pace. Halifax rispose ch'era d'uopo farli
pur troppo. "Vostra Maestà" disse egli "non deve aspettarsi che
coloro i quali hanno in mano il potere, consentano a patti che
lascino le leggi in balía della regia prerogativa." Con questa
distinta dichiarazione delle sue mire, egli accettò la commissione
che il Re desiderava affidargli(1198). Le concessioni che poche ore
innanzi erano state ostinatissimamente respinte, adesso furono fatte
in modo liberalissimo. Fu pubblicato un proclama nel quale il Re non
solo concedeva pieno perdono a tutti i ribelli, ma li dichiarò
elegibili al prossimo Parlamento. Nè anche si richiedeva come
condizione d'elegibilità che dovessero porre giù le armi. La
medesima Gazzetta che annunziava la prossima ragunanza delle Camere,
conteneva la notificazione che Sir Eduardo Hales, il quale, come
papista, rinnegato e precipuo campione della potestà di dispensare,
e come duro carceriere de' Vescovi, era uno degli uomini più
impopolari del Regno, aveva cessato di essere Luogotenente della
Torre, e gli aveva succeduto Bevil Skelton, dianzi suo prigione, il
quale quantunque avesse poca riputazione presso i suoi concittadini,
almeno non difettava dei necessari requisiti ad occupare un pubblico
ufficio(1199).
LXV. Se non che coteste concessioni erano dirette solo ad abbacinare
i Lordi e la nazione per nascondere i veri disegni del Re. Egli
aveva secretamente deliberato, anche in quell'ora di pericolo, di
non voler cedere in nulla. Nel giorno medesimo, in cui pubblicò il
proclama d'amnistia, spiegò pienamente le proprie intenzioni a
Barillon. "Queste pratiche d'accordo" disse Giacomo "sono una pretta
finzione. È mestieri ch'io mandi commissari a mio nipote, affinchè
io acquisti tempo ad imbarcare la mia moglie e il Principe di
Galles. Voi conoscete gli umori delle mie truppe. Di nessuno altro
che degl'Irlandesi io potrei fidarmi; e gl'Irlandesi non sono in
numero bastevole a resistere all'inimico. Il Parlamento m'imporrebbe
patti ch'io non potrei sopportare. Sarei forzato a disfare ciò che
ho già fatto a pro de' Cattolici, ed a romperla col Re di Francia. E
però, appena la Regina e mio figlio saranno in salvo, partirò dalla
Inghilterra e cercherò rifugio in Irlanda, in Iscozia, o presso il
vostro signore(1200)."
E già il Re aveva fatti i preparamenti bisognevoli a mandare questo
disegno ad esecuzione. Dover era stato spedito a Portsmouth con
ordine di aver cura del Principe di Galles; e a Dartmouth, che ivi
comandava la flotta, era stato ingiunto d'obbedire a Dover in tutto
ciò che concernesse il regio infante, e di tenere prontissimo a far
vela per la Francia, appena ricevutone l'avviso, un naviglio
equipaggiato da marinaj fedeli(1201). Il Re quindi mandò ordini
positivi perchè lo infante fosse subito condotto al più vicino porto
del continente(1202). Dopo il Principe di Galles, il primo pensiero
del Re era il Gran Sigillo. A questo simbolo della regia autorità i
nostri giureconsulti hanno sempre attribuito una quasi misteriosa
importanza. Ammettono che se il Cancelliere, senza licenza del Re,
lo apponga ad un diploma di paría o a un decreto di grazia,
quantunque ei si renda colpevole di grave delitto, il documento non
può essere posto in questione da nessuna Corte di legge, e può
essere annullato solo da un atto parlamentare. E' sembra che Giacomo
paventasse che questo strumento della sua volontà potesse cadere
nelle mani de' suoi nemici, i quali con esso potrebbero dare
validità legale ad atti che lo avrebbero potuto gravemente
danneggiare. Nè i suoi timori sono da reputarsi irragionevoli sempre
che si rammenti che appunto cento anni più tardi il Gran Sigillo di
un Re fu adoperato, con lo assenso de' Lordi e de' Comuni, e con
l'approvazione di molti incliti statisti e giureconsulti, a fine di
trasferire al figliuolo le prerogative di lui. Perchè non si facesse
abuso del talismano che aveva tanto formidabile potenza, Giacomo
deliberò di tenerlo a brevissima distanza dal suo gabinetto. Per la
qual cosa ingiunse a Jeffreys di sloggiare dalla casa da lui di
recente edificata in Duke Street, e di risedere in un piccolo
appartamento di Whitehall(1203).
LXVI. Il Re aveva fatto ogni apparecchio a fuggire, allorquando un
inatteso ostacolo lo costrinse a differire la esecuzione del proprio
disegno. I suoi agenti in Portsmouth cominciarono a scrupoleggiare.
Lo stesso Dover, ancorchè fosse uno della cabala gesuitica, mostrò
segni di titubanza. Dartmouth era anche meno inchinevole ad obbedire
alle voglie del Re. Fino allora s'era mantenuto fedele al trono, ed
aveva fatto il possibile, con una flotta disaffezionata e col vento
contrario, per impedire che gli Olandesi sbarcassero in Inghilterra;
ma era membro zelante della Chiesa stabilita, e in nessuna maniera
partigiano della politica di quel governo ch'egli si reputava
tenuto, per debito e per onore, a difendere. I torbidi umori degli
ufficiali e degli altri uomini a lui sottoposti gli recavano non
poca ansietà; ed era giunta opportuna ad alleggiargli l'animo la
nuova della convocazione d'un libero Parlamento, e della nomina de'
commissari a trattare col Principe d'Orange. La flotta ne fece
clamoroso tripudio. Un indirizzo onde ringraziare il Re per queste
generose concessioni fatte all'opinione pubblica fu scritto sul
bordo della nave capitana. Lo ammiraglio fu il primo a firmare.
Trentotto capitani, dopo lui, vi apposero i loro nomi. Mentre questo
documento era recato a Whitehall, giunse a Portsmouth il messo che
recava l'ordine di condurre in sull'istante il Principe di Galles in
Francia. Dartmouth seppe, e ne provò amaro dolore e risentimento, il
libero Parlamento, la generale amnistia, le pratiche coll'inimico,
altro non essere che parte d'un grande inganno ordito contro la
nazione, del quale inganno egli doveva essere complice. In una
patetica ed animosa lettera dichiarò d'avere ormai obbedito fino al
punto oltre il quale ad un protestante e ad un Inglese non era
lecito andare. Porre lo erede presuntivo della corona britannica
nelle mani di Luigi sarebbe stato niente meno che tradimento contro
la monarchia; lo che avrebbe resa furibonda la nazione della quale
il Sovrano aveva pur troppo perduto lo affetto. Il Principe di
Galles non sarebbe mai più ritornato, o ritornerebbe condotto in
Inghilterra da un'armata francese. Ove Sua Altezza rimanesse
nell'isola, il peggio che sarebbe potuto accadere era di vederlo
educare in seno alla Chiesa nazionale; e ch'egli fosse siffattamente
educato doveva essere il desiderio d'ogni suddito leale. Dartmouth
concludeva dichiarandosi pronto a rischiare la propria vita per la
difesa del trono, ma protestava di non volere partecipare al
trasferimento del Principe in Francia(1204).
Questa lettera sconcertò tutti i disegni di Giacomo. S'accorse,
inoltre, di non potere in questa circostanza aspettarsi obbedienza
passiva dal suo ammiraglio: imperocchè Dartmouth era giunto fino a
porre parecchie scialuppe alla bocca del porto di Portsmouth con
ordine di non lasciar passare nessun legno senza prima esaminarlo.
Era quindi necessario fare altri provvedimenti; era mestieri
condurre il bambino a Londra, e da quivi mandarlo in Francia. A far
ciò bisognava passassero alcuni giorni. Frattanto era d'uopo
lusingare il popolo con la speranza d'un libero Parlamento e con la
simulazione di trattare col Principe d'Orange. Furono quindi spediti
i decreti per le elezioni. I trombetti andavano e venivano dalla
metropoli al quartiere generale degli Olandesi. Infine giunsero i
salvocondotti pei tre Commissari regi, i quali partirono pel campo
nemico.
LXVII. Lasciarono Londra tremendamente agitata. Le passioni che pel
corso di tre anni di perturbazioni, s'erano gradualmente
rinvigorite, adesso, libere da ogni freno di timore, e stimolate
dalla vittoria e dalla simpatia, mostravansi senza maschera perfino
dentro la reggia. I Gran Giurati di Middlesex(1205) pronunciarono un
atto d'accusa contro il Conte di Salisbury per avere abbracciato il
papismo(1206). Il Lord Gonfaloniere ordinò che le case de' cattolici
romani nella Città venissero perquisite onde vedere se contenessero
armi. La plebaglia irruppe nell'abitazione di un rispettabile
mercatante cattolico, per sincerarsi s'egli avesse scavata una mina
dalla sua cantina fino alla chiesa parrocchiale onde far saltare in
aria il parroco e i congregati(1207). I merciaioli per le vie
gridavano vendendo satire contro Padre Petre, il quale s'era
sottratto, e non quando era ancor tempo, dal suo appartamento in
palazzo(1208). La celebre canzone di Wharton con molti versi
aggiunti cantavasi più che mai ad alta voce in tutte le strade della
metropoli. Le stesse sentinelle che guardavano il palazzo cantavano
sotto voce: "Gl'Inglesi bevono a confusione del Papismo,
Lillibullero bullen a la." Le tipografie clandestine di Londra
lavoravano senza posa. Molti fogli correvano giornalmente per la
città, nè i magistrati avevano modo o non volevano scoprire per
quali mezzi.
LXVIII. Uno di questi scritti hanno salvato dall'oblio la singolare
audacia onde era composto e lo immenso effetto che produsse.
Simulava d'essere un supplemento al Manifesto del Principe d'Orange,
scritto di suo pugno e munito del suo sigillo: ma lo stile era molto
diverso da quello del Manifesto vero. Minacciava vendetta, senza
riguardo alle costumanze de' popoli inciviliti e cristiani, contro
tutti quei papisti che osassero parteggiare pel Re. Verrebbero
trattati non come soldati o gentiluomini, ma come predoni. La
ferocia e licenza dell'armata degli invasori che una vigorosa mano
aveva fino allora rattenuti, sarebbe lasciata senza freno contro i
papisti. I buoni protestanti, e in ispecie coloro che abitavano
nella metropoli, venivano esortati, a nome di quanto avevano di più
caro al mondo, e comandati, sotto pena dello sdegno del Principe, a
prendere, disarmare e condurre in carcere i Cattolici loro vicini.
Dicesi che questo documento una mattina fosse trovato da un libraio
Whig all'uscio della sua bottega. Affrettossi a stamparlo. Molti
esemplari ne furono spediti per la posta e corsero rapidamente per
le mani di tutti. Gli uomini savi non esitarono a reputarlo
scrittura foggiata da qualche irrequieto e immorale avventuriere
della razza di coloro che nei tempi torbidi sono sempre pronti ad
eseguire i più vili e tenebrosi uffici delle fazioni. Ma la
moltitudine restò presa all'amo. E veramente a tal punto era stato
concitato il sentimento nazionale e religioso contro i papisti
irlandesi, che la maggior parte di coloro, i quali non reputavano
autentico quello scritto spurio, inclinavano ad applaudirlo come
opportuno esempio di energia. Come si seppe che Guglielmo non ne era
lo autore, tutti interrogavansi a vicenda chi fosse lo impostore che
con tanta audacia e tanto effetto aveva presa la maschera di Sua
Altezza. Alcuni sospettarono di Ferguson, altri di Johnson.
Finalmente dopo ventisette anni Ugo Speke confessò d'averlo egli
composto, e chiese alla Casa di Brunswick una rimunerazione per
avere reso alla religione protestante un così segnalato servigio.
Asserì, col tono di chi creda avere fatto cosa eminentemente
virtuosa ed onorevole, che quando la invasione olandese aveva
gettato Whitehall nella costernazione, egli s'era profferto alla
Corte, e simulando rottura co' Whig, aveva promesso di spiarne i
passi; che con tale mezzo era stato ammesso al cospetto del Re,
aveva giurato fedeltà, gli era stata promessa pecunia in gran copia,
e s'era procurato de' segnali con che poteva andare e venire nel
campo nemico. Protestò di avere fatte tutte coteste cose col solo
scopo di avventare senza sospetto un colpo mortale al Governo, e far
nascere nel popolo un violento scoppio di sdegno contro i Cattolici
Romani. Disse che il falso Manifesto era uno de' mezzi da lui
divisati: ma è da dubitare se le sue pretensioni fossero bene
fondate. Imperocchè indugiò tanto a dirlo da farci ragionevolmente
sospettare ch'egli aspettasse la morte di chi poteva contradirgli;
oltrechè non addusse altra testimonianza che la propria
asserzione(1209).
LXIX. Mentre le cose sopra narrate succedevano in Londra, ogni
corriere postale da tutte le parti del Regno recava la notizia di
qualche novella insurrezione. Lumley aveva presa Newcastle. Gli
abitatori lo avevano accolto con gioia. La statua del Re, che
sorgeva sopra un alto piedistallo di marmo, era stata rovesciata e
gettata nel Tyne. Fu lungamente serbata in Hull la memoria del 3
dicembre, come giorno della presa della città. V'era un presidio
sotto il comando di Lord Langdale cattolico romano. Gli ufficiali
protestanti concertarono colla magistratura un piano d'insurrezione:
Langdale e i suoi fautori furono arrestati; e i soldati e i
cittadini si congiunsero a favore della religione protestante e d'un
libero Parlamento(1210).
Le contrade orientali erano anche esse insorte. Il Duca di Norfolk,
seguito da trecento gentiluomini bene armati a cavallo, comparve
nella vasta piazza di mercato in Norwich. Il Gonfaloniere e gli
Aldermanni corsero a lui e promisero di collegarsi con lui contro il
papismo e la tirannide(1211). Lord Herbert di Cherbury e Sir Eduardo
Harley presero le armi nella Contea di Worchester(1212). Bristol,
seconda città del reame, aprì le sue porte a Shrewsbury. Il Vescovo
Trelawney, il quale nella Torre aveva disimparato affatto la
dottrina della non resistenza, fu il primo a far plauso alla venuta
delle truppe del Principe. Siffatti erano gli umori degli abitanti,
che non s'era creduto necessario lasciare fra loro una
guarnigione(1213). La popolazione di Gloucester insorse e liberò di
prigione Lovelace, il quale si vide tosto raccogliere dintorno
un'armata irregolare. Alcuni de' suoi cavalieri avevano semplici
cavezze invece di briglie. Molti de' suoi fanti per tutt'arme
avevano bastoni. Ma queste schiere, comunque si fossero, marciarono
senza contrasto traverso alle Contee già sì fide alla Casa Stuarda,
e infine entrarono trionfanti in Oxford. Corsero loro incontro
solennemente i magistrati. La stessa Università, esasperata dagli
oltraggi dianzi sostenuti, era poco inchinevole a disapprovare la
ribellione. Già alcuni de' capi dei Collegi avevano spedito un loro
rappresentante per riferire al Principe d'Orange che essi di tutto
cuore erano per lui, e pronti a fondere, ove bisognasse, le loro
argenterie. Per lo che il condottiero Whig cavalcò per la città
principale de' Tory fra le acclamazioni universali. Lo precedevano i
tamburi sonando il Lillibullero. Gli teneva dietro una vasta onda di
cavalli e di fanti. Tutta High Street era parata con drappi color
d'arancio, imperocchè questo colore aveva già il doppio significato,
che dopo centosessanta anni serba tuttavia, voglio dire per lo
Inglese protestante era emblema di libertà civile e religiosa, pel
Celta cattolico era simbolo di persecuzione e servaggio(1214).
LXX. Mentre da ogni lato sorgevano nemici attorno al Re, gli amici
sollecitamente lo abbandonavano. La idea della resistenza era
divenuta famigliare a ciascuno. Molti che mostraronsi inorriditi
allorchè ebbero la nuova delle prime diserzioni, adesso
rimproveravano sè stessi d'essere stati così lenti a conoscere il
tempo. Non v'era più ostacolo o periglio ad accorrere a Guglielmo.
Il Re, chiamando la nazione ad eleggere i rappresentanti al
Parlamento, aveva implicitamente autorizzato ognuno a recarsi dove
avesse voti o interessi; e molti di que' luoghi erano già occupati
dagl'invasori o dagli insorti. Clarendon ardentemente colse il
destro di abbandonare il già cadente Sovrano. Sapeva d'averlo
mortalmente offeso col suo discorso in Consiglio: e si sentì
mortificato non vedendosi nominare per uno de' tre regii Commissari.
Egli aveva de' possessi nel Wiltshire. Deliberò di portare candidato
per quella Contea il proprio figlio, quel desso della cui condotta
egli aveva dianzi sentito dolore ed orrore; e sotto pretesto di
badare alla elezione partì per il paese occidentale. Tosto gli
tennero dietro il Conte d'Oxford, ed altri i quali fino allora
avevano protestato di non avere nissuna relazione con la intrapresa
del Principe(1215).
Verso questo tempo gl'invasori, regolarmente, comechè con lentezza,
procedendo, trovavansi a settanta miglia da Londra. Quantunque il
verno fosse quasi a mezzo, il tempo era bello, il cammino piacevole;
e i piani di Salisbury sembravano prati amenissimi a loro che
s'erano affannati traverso alle fangose rotaje degli stradali di
Devonshire e di Somersetshire. L'armata procedeva accanto a
Stonehenge, e i reggimenti, l'uno dopo l'altro, stavansi a
contemplare quelle misteriose rovine, famose per tutto il
continente, come la più grande maraviglia della nostra isola.
Guglielmo entrò in Salisbury con la stessa pompa militare con cui
era entrato in Exeter, ed alloggiò nel palazzo, pochi giorni innanzi
occupato dal Re(1216).
Quivi al suo corteo si aggiunsero i Conti di Clarendon e d'Oxford ed
altri cospicui personaggi, i quali fino a pochi giorni avanti erano
considerati zelanti realisti. Van Citters arrivò anche egli al
quartiere generale degli Olandesi. Per parecchie settimane egli era
stato quasi prigione nella sua casa presso Whitehall, di continuo
sorvegliato da spie che s'avvicendavano senza perderlo d'occhio un
istante. Nondimeno, malgrado le spie, o forse per mezzo loro, gli
era venuto fatto di sapere esattamente ciò che succedeva in palazzo;
e adesso bene e copiosamente edotto degli uomini e delle cose,
giunse al campo a giovare le deliberazioni di Guglielmo(1217).
Fino a questo punto la impresa del Principe era proceduta
prosperamente oltre le speranze de' più ardenti suoi fautori. E
adesso, secondo la legge universale che governa le cose umane, la
prosperità cominciò a produrre la disunione. Gl'Inglesi raccolti in
Salisbury si scissero in due partiti. L'uno era composto di Whig, i
quali avevano sempre considerato le dottrine della obbedienza
passiva e dello incancellabile diritto ereditario come superstizioni
servili. Molti di loro avevano passato degli anni in esilio; tutti
erano stati esclusi da' favori della Corona. Adesso esultavano
vagheggiando vicinissimo il giorno della grandezza e della vendetta.
Ardenti di sdegno, inebriati di vittoria e di speranza, non volevano
udire a parlare di patti. Null'altro fuorchè la detronizzazione del
loro nemico gli avrebbe contentati: nè può negarsi che, ciò volendo,
fossero a sè medesimi perfettamente coerenti. Nove anni innanzi
avevano fatto ogni sforzo per escluderlo dal trono, perchè credevano
ch'egli sarebbe verosimilmente stato cattivo Re. E però non era da
sperarsi che lo lascerebbero volentieri sul trono dopo che lo
avevano sperimentato Re oltre ogni ragionevole preveggenza
cattivissimo.
Dall'altro canto non pochi de' fautori di Guglielmo erano Tory
zelanti, i quali fino allora avevano professata la dottrina della
non resistenza nella forma più assoluta, ma la cui fede in cotesta
dottrina per un istante aveva ceduto alle irruenti passioni eccitate
dalla ingratitudine del Re e dal pericolo della Chiesa. Per un
vecchio Cavaliere non v'era condizione più tormentosa che quella di
impugnare le armi contro il trono. Gli scrupoli che non gli avevano
impedito dallo accorrere al campo degli Olandesi cominciarono,
appena vi giunse, a straziargli crudelmente la coscienza, la quale
lo faceva dubitare di avere commesso un delitto. In ogni evento
s'era reso meritevole di rimprovero operando in diretta opposizione
ai principii di tutta la sua vita. Sentiva invincibile avversione
pei suoi nuovi collegati, gente, per quanto egli potesse
rammentarsi, da lui sempre ingiuriata e perseguitata, cioè
Presbiteriani, Indipendenti, Anabattisti, vecchi soldati di
Cromwell, bravi di Shaftsbury, congiurati di Rye House, capitani
della Insurrezione delle contrade occidentali. Naturalmente
desiderava trovare qualche scusa che gli ponesse in pace la
coscienza, lo liberasse dalla taccia d'incoerenza, e stabilisse una
distinzione tra lui e la folla de' ribelli scismatici, da lui sempre
spregiati e aborriti, ma coi quali egli adesso correva pericolo
d'essere confuso. Per le quali cose protestava fervidamente contro
ogni pensiero di strappare la corona da quella cervice resa sacra
dal volere di Dio e dalle leggi del Regno. Il suo più caldo
desiderio era di vedere una riconciliazione a patti non indecorosi
alla dignità regia. Egli non era traditore; e a dir vero non
opponeva resistenza all'autorità del Sovrano. Era corso alle armi
perchè egli era convinto che il miglior servizio che si potesse
rendere al trono era quello di redimere con una lievissima
coercizione la Maestà Sua dalle mani de' pessimi consiglieri.
I mali, che la vicendevole animosità di queste fazioni tendeva a far
nascere, furono in gran parte scansati per l'autorità e saggezza del
Principe. Circuito da ardenti disputatori, officiosi consiglieri,
abietti adulatori, spie vigilanti, maligni ciarlieri, rimaneva
sempre tranquillo senza che altri potesse leggergli nel cuore.
Potendo, taceva; costretto a parlare, il tono serio e imperioso con
che significava le sue bene ponderate opinioni, faceva tosto
ammutolire chiunque. Qualsivoglia cosa dicessero i suoi troppo
zelanti fautori, ei non profferì mai verbo che desse il minimo
sospetto di ambire alla corona d'Inghilterra. Senza dubbio ben si
accorgeva che fra lui e quella corona esistevano tuttavia parecchi
ostacoli, i quali nessuna prudenza avrebbe potuto vincere, e
potevano ad un solo passo falso diventare insormontabili. La sola
probabilità ch'egli avesse di ottenere quello splendido premio non
istava nello impossessarsene ruvidamente, ma nello aspettare fino a
tanto che senza la minima apparenza di sforzo e d'astuzia lo
conducessero al suo arcano scopo la forza delle circostanze, gli
errori de' suoi avversari, e la libera elezione dei tre Stati del
reame. Coloro che provaronsi d'interrogarlo, non riuscirono a saper
nulla, e nondimeno non poterono accusarlo di simulazione. Egli
tranquillamente li rimandava al suo Manifesto, assicurandoli che le
sue mire non erano cangiate da poi che era stato scritto quel
documento. Con tanta espertezza governava gli animi dei suoi
partigiani, che pare la loro discordia gli rafforzasse, anzichè
indebolirgli il braccio: ma la discordia scoppiava violentissima
appena sottraevansi al freno di lui, sturbava l'armonia de' conviti,
e non rispettava nè anche la santità della casa di Dio. Clarendon,
il quale si studiava di nascondersi agli occhi altrui e a quelli
della propria coscienza, affettando con ostentazione sentimenti di
lealtà - prova manifesta della sua ribellione - raccapricciò vedendo
alcuni de' suoi colleghi col bicchiere in mano schernire l'amnistia
che il Re generosamente aveva offerta loro. Dicevano non aver
bisogno di perdono: ma innanzi di finire, volevano ridurre il Re a
domandare perdono a loro. Anche maggiormente impaurì e disgustò ogni
buon Tory un fatto che accadde nella cattedrale di Salisbury. Appena
il ministro che officiava cominciò a leggere la preghiera pel Re,
Burnet, il quale fra i molti suoi pregi non annoverava la facoltà di
sapere frenarsi e il senso delicato delle convenevolezze, essendo in
ginocchioni, si alzò, si assise nel proprio stallo, e profferì
alcune sprezzanti parole che sturbarono le divozioni degli
astanti(1218).
In breve le fazioni, onde era diviso il campo regio, ebbero
occasione a misurare le proprie forze. I Commissari del Re erano già
in viaggio. Erano corsi vari giorni dopo la loro nomina; e
reputavasi strano che in un caso cotanto urgente indugiassero sì
lungamente ad arrivare. Ma in verità nè Giacomo nè Guglielmo
desideravano che le pratiche speditamente s'iniziassero; imperocchè
l'uno bramava solo di acquistare il tempo bastevole a mandare in
Francia la moglie e il figliuolo; e la posizione dell'altro si
faceva ognora più vantaggiosa. Infine il Principe fece annunziare ai
Commissari che gli avrebbe ricevuti in Hungerford. Probabilmente
scelse questo luogo, perchè, ad uguale distanza da Salisbury e da
Oxford, era bene adattato per un convegno de' suoi più importanti
fautori. In Salisbury erano quei nobili e gentiluomini che lo
avevano accompagnato da Olanda od erano corsi a trovarlo nelle
contrade occidentali; ed in Oxford erano molti de' capi della
insurrezione del paese settentrionale.
LXXI. In sul tardi, giovedì 6 dicembre, giunse a Hungerford. La
piccola città fu tosto ripiena di persone d'alto grado e notevoli
che vi accorrevano da diverse parti. Il Principe era scortato da un
forte corpo di truppe. I Lordi del settentrione conducevano seco
centinaia di cavalieri irregolari, il cui equipaggio e modo di
cavalcare moveva a riso coloro ch'erano assuefatti allo splendido
aspetto ed agli esatti movimenti delle armate regolari(1219).
Mentre il Principe rimaneva in Hungerford ebbe luogo un accanito
scontro tra dugentocinquanta de' suoi e seicento Irlandesi che erano
appostati in Reading. Gl'invasori in questo fatto fecero bella prova
della superiorità della loro disciplina. Comechè fossero molto
inferiori di numero, essi al primo assalto sgominarono le regie
milizie, le quali corsero giù per le strade fino alla piazza di
mercato. Quivi gl'Irlandesi tentarono di riordinarsi; ma
vigorosamente aggrediti di fronte, mentre gli abitanti facevano
fuoco dalle finestre delle case circostanti, tosto scoraronsi, e
fuggirono perdendo la bandiera e cinquanta uomini. Dei vincitori
solo cinque caddero morti. Ne gioirono tutti ugualmente i Lordi e i
Gentiluomini che seguivano Guglielmo; perocchè in quel fatto non
accadde nulla che offendesse il sentimento nazionale. Gli Olandesi
non avevano vinto gl'Inglesi, ma avevano soccorsa una città inglese
a liberarsi dalla insopportabile dominazione degl'Irlandesi(1220).
La mattina del sabato, 8 dicembre, i commissari del Re giunsero a
Hungerford. Le Guardie del Corpo del Principe schieraronsi a
riceverli con gli onori militari. Bentinck li accolse e propose loro
di condurli immediatamente al cospetto del suo signore.
Manifestarono la speranza che il Principe volesse accordar loro una
udienza privata; ma fu loro risposto ch'egli era deliberato di
ascoltarli e rispondere in pubblico. Furono introdotti nella sua
camera da letto, dove lo trovarono fra mezzo a una folla di nobili e
di gentiluomini. Halifax, cui il grado, la età, l'abilità davano il
diritto di precedenza, prese a favellare. La proposta che i
Commissari avevano ordine di fare era, che i punti di controversia
fossero portati dinanzi al Parlamento, a convocare il quale già si
stavano suggellando i decreti, e che in quel mentre l'armata del
Principe si fermasse a trenta o quaranta miglia lontano da Londra.
Halifax dopo d'aver detto che questa era la base sopra cui egli e i
suoi colleghi erano apparecchiati a trattare, pose nelle mani di
Guglielmo una lettera del Re, e prese commiato. Guglielmo, schiusa
la lettera, parve oltre l'usato commuoversi. Era la prima che
ricevesse dal suocero dopo che erano in aperta rottura. Un tempo
erano stati in buone relazioni e familiarmente carteggiavano; nè
anco dopo che entrambi avevano cominciato a sospettarsi ed aborrirsi
vicendevolmente s'erano astenuti nelle loro lettere da quelle forme
di cortesia che comunemente adoperano le persone strettamente
congiunte co' vincoli del sangue e del matrimonio. La lettera recata
da' Commissari era scritta da un segretario in forma diplomatica e
in lingua francese. "Ho avute molte lettere del Re," disse
Guglielmo, "ma tutte sempre in inglese e scritte di suo pugno."
Favellò con una sensibilità ch'egli era poco assuefatto a mostrare.
Forse in quello istante pensava quanto rimprovero dovesse arrecare a
lui e alla consorte, così a lui affettuosa, la sua intrapresa,
comechè fosse giusta, benefica e necessaria. Forse rammaricavasi
della durezza del destino, il quale lo aveva ridotto a una
condizione tale ch'ei non poteva adempiere ai suoi doveri pubblici
senza frangere i domestici vincoli, e invidiava lo avventuroso stato
di coloro che non sono responsabili della salvezza delle nazioni e
delle Chiese. Ma siffatti pensieri, se pure gli sorsero in mente, ei
fermamente represse. Esortò i Lordi e i Gentiluomini, da lui
convocati in questa occasione, a consultare insieme, senza lo
impaccio della sua presenza, intorno alla risposta da farsi al Re.
Riserbossi non per tanto la potestà della decisione finale dopo
avere ascoltati i loro consigli. Quindi lasciolli, e si ritirò a
Littlecote Hall, magione rurale giacente a circa due miglia di
distanza, e famosa fino ai tempi nostri non tanto per la sua
veneranda architettura e i suoi begli arredi, quanto per un orribile
e misterioso delitto ivi commesso ne' tempi dei Tudor(1221).
Innanzi che si allontanasse da Hungerford gli fu detto che Halifax
aveva desiderato di abboccarsi con Burnet. In questo desiderio non
era nulla di strano; imperocchè Halifax e Burnet avevano da lungo
tempo avuto relazioni d'amicizia. E per vero dire non v'erano due
uomini che così poco si rassomigliassero. Burnet era estremamente
privo di delicatezza e di tatto. Halifax aveva delicatissimo gusto,
e fortissima tendenza al dileggio. Burnet mirava ogni azione ed ogni
carattere traverso a uno strumento scontorto e colorato dallo
spirito di parte. La mente di Halifax inchinava a scoprire i falli
de' suoi colleghi più presto che quelli degli avversari. Burnet, non
ostante le sue debolezze e le vicissitudini d'una vita passata in
circostanze non molto favorevoli alla pietà, era uomo sinceramente
pio. Lo scettico e satirico Halifax aveva taccia d'incredulo.
Halifax quindi aveva spesso provocato la sdegnosa censura di Burnet;
e Burnet era spesso lo zimbello de' pungenti e gentili scherzi di
Halifax. Nondimeno l'uno sentivasi vicendevolmente attirato verso
l'altro, ne amava il conversare, ne pregiava l'abilità, liberamente
ricambiava le opinioni e i buoni uffici in tempi pericolosi.
Nondimeno Halifax adesso non desiderava rivedere il suo vecchio
conoscente soltanto per riguardi personali. I Commissari erano di
necessità ansiosi di sapere quale fosse il vero scopo del Principe.
Aveva loro ricusato un colloquio privato; e poco poteva raccogliersi
da ciò ch'egli potesse dire in una pubblica udienza. Quasi tutti i
suoi confidenti erano uomini al pari di lui taciturni e
impenetrabili. Il solo Burnet era ciarliero e indiscreto. E
nondimeno le circostanze avevano fatto nascere il bisogno di fidarsi
di lui; e Halifax con la sua squisita destrezza gli avrebbe
indubitatamente tratto dalla bocca i secreti, agevolmente come le
parole. Guglielmo sapeva tutto questo, e come gli fu detto che
Halifax andava in cerca del dottore, non potè frenarsi dallo
esclamare: "Se si uniranno insieme, e' vi sarà un bel pettegolezzo."
A Burnet fu inibito di vedere i Commissari in privato; ma con parole
cortesissime gli fu detto che il Principe non aveva il più lieve
sospetto della fedeltà di lui; e perchè non vi fosse cagione a
dolersene, la inibizione fu generale.
LXXII. Quel dì i nobili e i gentiluomini, ai quali Guglielmo aveva
chiesto consiglio, adunaronsi nella gran sala del principale albergo
di Hungerford. Oxford presedeva, e le proposte del Re furono prese
in considerazione. Tosto si conobbe che l'assemblea era divisa in
due partiti, l'uno de' quali era bramoso di venire a patti col Re,
l'altro ne voleva la piena rovina; ed erano i più. Ma fu notato che
Shrewsbury, il quale a preferenza di tutti i Nobili d'Inghilterra
supponevasi godere la confidenza di Guglielmo, quantunque fosse
Whig, in questa occasione era coi Tory. Dopo molto contendere fu
formulata la questione. La maggioranza opinò doversi rigettare le
proposte che i regii Commissari avevano ordine di fare. La
deliberazione dell'assemblea fu recata al Principe in Littlecote. In
nessun'altra circostanza per tutto il corso della sua fortunosa vita
egli mostrò maggiore prudenza e ritegno. Non poteva volere la buona
riuscita dello accordo. Ma era tanto savio da conoscere, che ove le
pratiche andassero a vuoto per cagione delle sue irragionevoli
pretese, ei perderebbe il pubblico favore. E però, vinta la opinione
de' suoi ardenti fautori, si dichiarò deliberatissimo a trattare
sopra le basi proposte dal Re. Molti dei Lordi e dei Gentiluomini
radunati in Hungerford rimostrarono: litigarono un intero giorno: ma
Guglielmo rimase incrollabile nel suo proposito. Dichiarò di volere
porre ogni questione nelle mani del Parlamento pur allora convocato,
e di non procedere oltre a quaranta miglia da Londra. Dal canto suo
fece certe domande che anche i meno inchinevoli a lodarlo reputarono
moderate. Insistè perchè gli statuti vigenti rimanessero in vigore
finchè venissero riformati dall'autorità competente, e perchè
chiunque occupasse un ufficio senza i requisiti legali fosse quinci
innanzi destituito. Dirittamente pensava che le deliberazioni del
Parlamento non potevano procedere libere, se dovesse aprirsi
circondato dai reggimenti irlandesi, mentre egli e la sua armata
rimanevano lontani di parecchie miglia. Per lo che reputava
necessario che, dovendo le sue truppe rimanersi a quaranta miglia da
Londra dalla parte occidentale, le truppe del Re si dovessero
ritirare ad uguale distanza dalla parte orientale. In tal guisa
rimaneva attorno al luogo, dove le Camere dovevano adunarsi, un
ampio cerchio di terreno neutrale, dentro cui erano due fortezze di
grande importanza per la popolazione della metropoli; la Torre cioè,
che signoreggiava le abitazioni, e Tilbury Fort che signoreggiava il
commercio marittimo. Era impossibile lasciare questi due luoghi
senza presidio. Guglielmo quindi propose che temporaneamente
venissero affidati alla Città di Londra. Sarebbe forse convenevole,
che il Re, apertosi il Parlamento, se ne andasse a Westminster con
un corpo di guardie. In questo caso il Principe voleva il diritto di
andarvi anch'egli con un eguale numero di soldati. Parevagli giusto,
che, mentre rimanevano sospese le operazioni militari, ambedue le
armate si considerassero come ai servigi della nazione inglese, e
fossero pagate dall'entrate dell'Inghilterra. Da ultimo richiese
alcune guarentigie perchè il Re non si giovasse dello armistizio per
introdurre forze francesi nell'isola. Il punto di maggior pericolo
era Portsmouth. Il Principe non insisteva che gli venisse data nelle
mani questa importante fortezza, ma propose che, durante la tregua,
fosse affidata al comando d'un ufficiale meritevole della fiducia
sua e di Giacomo.
Le proposte di Guglielmo erano espresse con la dilicata equità
convenevole meglio a un arbitro disinteressato il quale profferisca
un giudizio, che ad un principe vittorioso il quale imponga
condizioni ad un disastrato nemico. I partigiani del Re non ebbero
nulla a ridire. Ma fra' Whig nacquero assai mormorazioni. Dicevano
non volere riconciliazione col loro vecchio signore; reputarsi
sciolti da ogni vincolo di fedeltà; non essere disposti a
riconoscere l'autorità d'un Parlamento convocato con decreto di lui.
Aggiungevano ch'essi non volevano armistizio, e non poteano
intendere, che dovendo esservi un armistizio, fosse da concludersi a
patti uguali. Per virtù di tutte le leggi della guerra il più forte
aveva diritto a giovarsi della propria forza; e nella indole di
Giacomo v'era egli nulla che giustificasse una tanto estraordinaria
indulgenza? Coloro che siffattamente ragionavano, ben poco
conoscevano da quale altezza e con che occhio veggente il
condottiero da essi biasimato contemplasse la intera situazione
della Inghilterra e dell'Europa. Anelavano a rovinare Giacomo, e
però avrebbero voluto o ricusare di trattare con essolui a patti
uguali, o imporgli condizioni insopportabilmente dure. Perchè il
vasto e profondo disegno politico di Guglielmo non patisse
detrimento era necessario che Giacomo ruinasse al precipizio,
rigettando condizioni così ostentatamente liberali. L'esito delle
cose provò la saviezza de' provvedimenti che la maggioranza degli
Inglesi ragunati in Hungerford era inchinevole a condannare.
La domenica, 9 dicembre, le domande del Principe furono poste in
iscritto e consegnate a Halifax. I Commissari desinarono in
Littlecote, dove una splendida assemblea era stata invitata a
incontrarli. L'antica sala, dalle cui pareti pendevano armature che
avevano veduto la guerra delle Rose, e ritratti de' valorosi che
erano stati ornamento della corte di Filippo e di Maria, era adesso
ripiena di Pari e di Generali. In tanta folla potevano ricambiarsi
brevi dimande e risposte senza farsi scorgere. Halifax colse il
destro che gli si offrì primo, per conoscere ciò che Burnet sapeva o
pensava. "Che intendete di fare?" chiese lo accorto diplomatico.
"Desiderate di avere il Re nelle vostre mani?" - "Niente affatto"
rispose Burnet; "non vogliamo fare il minimo male alla sua persona."
- "E ove se ne andasse?" soggiunse Halifax. "Non potremmo desiderare
nulla di meglio" disse Burnet. Non v'è dubbio che Burnet, così
favellando, esprimesse la opinione universale de' Whig(1222) nel
campo del Principe. Tutti bramavano che Giacomo fuggisse dal paese:
ma solo pochi de' più savi tra loro intendevano di quanta importanza
fosse che la sua fuga venisse attribuita dalla nazione alla insania
e ostinatezza di lui, e non ai duri trattamenti e a ben fondati
timori. E' pare probabile che anche negli estremi cui egli era
adesso ridotto, tutti i suoi nemici congiunti insieme non
l'avrebbero potuto rovesciare, qualora egli non fosse stato il
peggiore nemico di sè stesso: ma mentre i suoi Commissari
affaticavansi a salvarlo, egli con ogni studio cercava di rendere
vani gli sforzi loro(1223).
I suoi disegni infine erano maturi per la esecuzione. Le pretese
pratiche avevano risposto allo intento. Nel dì stesso in cui i tre
Lordi giunsero a Hungerford, il Principe di Galles arrivò a
Westminster. Avevano provveduto che passasse pel Ponte di Londra; ed
alcune legioni irlandesi gli erano state spedite incontro a
Southwark; ma vennero accolte da una gran folla di popolo con tale
tempesta di fischi e di maledizioni, che esse reputarono prudente
con tutta fretta ritirarsi. La povera creatura passò il Tamigi a
Kingston, e fu condotta a Whitehall con tanta secretezza che molti
la credevano tuttavia a Portsmouth(1224).
LXXIII. Adesso il primo pensiero di Giacomo era quello di mandare il
figlio e la moglie senza indugio fuori del Regno. Ma di chi fidarsi
per eseguire la fuga? Dartmouth era il più leale de' Tory
protestanti; e Dartmouth aveva ricusato. Dover era creatura de'
Gesuiti: e anche Dover aveva esitato. Non era assai facile trovare
un Inglese d'alto grado ed onore il quale si togliesse lo incarico
di porre nelle mani del Re di Francia lo erede presuntivo della
Corona d'Inghilterra.
In queste circostanze Giacomo pose gli occhi sopra un gentiluomo
francese il quale allora dimorava in Londra, cioè Antonio Conte di
Lauzun. È stato detto che la vita di costui fosse più strana d'un
sogno. Ne' suoi giovani anni era stato intimo collega di Luigi, ed
aveva avuta speranza de' più alti impieghi sotto la Corona francese.
Poi la fortuna volse la sua ruota. Luigi aveva con amari rimproveri
allontanato da sè lo amico della sua giovinezza, e, dicesi, poco
mancò non lo schiaffeggiasse. Il caduto cortigiano era stato
rinchiuso in una fortezza: ma ne era uscito, aveva riacquistata la
grazia del suo signore, ed acceso il cuore ad una delle più grandi
dame d'Europa, cioè Anna Maria, figlia di Gastone Duca d'Orleans,
nipote del Re Enrico IV, ed erede delle immense possessioni della
Casa di Monpensier. I due amanti si volevano congiungere in
matrimonio, che fu assentito dal Re. Per poche ore Lauzun fu
considerato in Corte come membro adottivo della famiglia Borbone. La
dote della Principessa poteva essere ambita anche da un Sovrano: tre
grandi ducati, un principato indipendente con zecca e tribunali, ed
una rendita superiore a quella del Regno di Scozia. Ma tanto
splendido apparato in un istante svanì. Gli sponsali furono rotti.
Lo amante per molti anni visse rinchiuso in un castello sulle Alpi.
In fine Luigi divenne più mite. A Lauzun fu inibito di comparire al
cospetto del Re, ma gli venne data libertà, lontano dalla Corte.
Visitò la Inghilterra, e fu bene accolto da Giacomo e dal ceto
elegante di Londra: imperciocchè in quel tempo i gentiluomini
francesi venivano reputati per tutta Europa modelli di squisita
educazione: e molti Cavalieri e Visconti, i quali non erano mai
stati ammessi al cerchio di Versailles, erano oggetto di curiosità e
di ammirazione in Whitehall. Lauzun quindi nelle presenti
circostanze era l'uomo opportuno. Aveva animo e sentimento d'onore,
era assuefatto a strane avventure, e con l'acutezza di mente e lo
ironico dileggio d'un compíto uomo di mondo aveva forte propensione
a farla da cavaliere errante. Lo amore di patria e i propri
interessi lo persuadevano a addossarsi una commissione, dalla quale
tutti i più fedeli sudditi della Corona inglese parevano aborrire.
Come custode, in un pericoloso momento, della Regina della Gran
Bretagna e del Principe di Galles, poteva onorevolmente ritornare al
paese natio; e forse verrebbe nuovamente ammesso a vedere Luigi
vestirsi e desinare, e dopo tante vicende, nel volgere degli anni
suoi, si rimetterebbe forse in via di riacquistare con istrana guisa
il regio favore.
Spinto da tali sentimenti Lauzun con ardore accettò l'alto incarico
propostogli. Gli apparecchi per la fuga si fecero sollecitamente: fu
ordinato che una nave stesse pronta a Gravesend: ma giungere a
Gravesend non era agevole cosa. La città era in estremo
concitamento. La minima cagione bastava a fare ragunare il popolo.
Nessun forestiero poteva mostrarsi per le vie senza timore d'essere
fermato, interrogato, e condotto dinanzi a un magistrato come fosse
gesuita travestito. Era quindi necessario prendere la via lungo la
sponda meridionale del Tamigi. Non fu trascurata nessuna cautela a
evitare ogni sospetto. Il Re e la Regina, secondo il consueto modo,
ritiraronsi per riposare. Quando per qualche tempo fu quiete
universale in palazzo, Giacomo levatosi chiamò uno de' suoi
servitori dicendogli; "Troverete un uomo alla porta dell'anticamera;
conducetelo a me." Il servo obbedì, e Lauzun fu introdotto nella
stanza del regio talamo. "Affido a voi" disse Giacomo "la Regina e
mio figlio; bisogna porre a rischio ogni cosa per condurli in
Francia." Lauzun con ispirito veramente cavalleresco rese grazie del
pericoloso onore che Giacomo gli faceva, e chiese licenza di
giovarsi dello aiuto del suo amico Saint-Victor gentiluomo
provenzale, che aveva dato numerose prove di coraggio e di fede. Il
Re accettò volentieri i servigi di un tanto uomo. Lauzun porse la
mano a Maria; Saint-Victor inviluppò nel suo caldo pastrano lo
sventurato erede di tanti Re: e scesi giù per una scala secreta,
s'imbarcarono in una gondola scoperta. Ed era pur miserabile
viaggio. La notte era nera; pioveva a dirotto; il vento mugghiava;
le onde accavallavansi: alla perfine la barchetta giunse a Lambeth;
e i fuggenti sbarcarono presso a una locanda dove stava ad
aspettarli una carrozza. Corse qualche tempo innanzi di attaccare i
cavalli. Maria, temendo d'essere riconosciuta, non volle entrare
nella locanda, ma si rimase col figliuolo nelle braccia sotto la
torre della Chiesa di Lambeth per ricoverarsi dalla tempesta,
tremando ogni volta che il mozzo di stalla le si avvicinava con la
lanterna. Era accompagnata da due donne, l'una delle quali aveva
l'ufficio di allattare il Principe, l'altra quello di vegliarlo alla
culla; ma potevano essere di poca utilità alla loro signora, come
quelle che erano straniere, mal potevano parlare l'inglese, e
tremavano sotto la rigida sferza del clima d'Inghilterra. L'unica
consolazione fu quella che lo infante era di buona salute e non
pianse punto. La carrozza finalmente si mosse. Saint-Victor la
seguiva a cavallo. I fuggenti giunsero sani e salvi a Gravesend, e
s'imbarcarono nella nave che li aspettava. Vi trovarono Lord Powis
con sua moglie. V'erano anco tre ufficiali irlandesi. Costoro erano
stati spediti colà, onde, nascendo un caso disperato, soccorressero
Lauzun; poichè non reputavasi punto impossibile che il capitano
della nave si scoprisse infido: ed erano stati dati ordini di
pugnalarlo al minimo sospetto di tradigione. Nulladimeno non fu
necessario appigliarsi ad alcun violento partito. La nave, spinta da
prospero vento, scese giù pel fiume; e Saint-Victor, avendola veduta
far vela, ritornò spronando il cavallo per recare la lieta nuova a
Whitehall(1225).
La mattina del lunedì, 10 dicembre, il Re seppe che la moglie ed il
figliuolo avevano intrapreso il loro viaggio con molta probabilità
di giungere al luogo dove erano diretti. Verso quel tempo arrivò a
Whitehall un messo con dispacci da Hungerford. Se Giacomo avesse
avuto un poco più di discernimento, e un poco meno di ostinazione,
que' dispacci lo avrebbero indotto a considerare nuovamente i propri
disegni. I Commissari mandavano lettere piene di speranza. I patti
proposti dal vincitore erano stranamente liberali. Il Re stesso non
potè frenarsi dal dire che erano più favorevoli di quel che si
sarebbe aspettato. Certo egli avrebbe potuto non senza ragione
sospettare che fossero stati fatti con intendimento non amichevole:
ma ciò non importava nulla; imperocchè, sia che fossero offerti con
la speranza che accettandoli egli ponesse i fondamenti d'una felice
riconciliazione(1226), sia, come è più probabile, con la speranza
che rigettandoli sarebbe comparso alla nazione estremamente
irragionevole e incorreggibile, il modo di condursi era al pari
evidente. In entrambi i casi la sua politica era quella di
accettarli senza il menomo indugio e fedelmente osservarli.
LXXIV. Ma tosto fu chiaro che Guglielmo aveva profondamente
conosciuta l'indole dell'uomo col quale egli aveva da fare, e
nell'offrire que' patti che i Whig in Hungerford avevano biasimati
come troppo indulgenti, non aveva rischiato nulla. La solenne
commedia, onde il pubblico era stato tenuto a bada fino dalla
ritirata dello esercito regio da Salisbury, fu prolungata anche per
poche ore. Tutti i Lordi che trovavansi ancora nella metropoli
furono invitati al palazzo per udire in che stato erano le pratiche
aperte per loro consiglio. Fu stabilita un'altra ragunanza di Pari
pel dì susseguente. Al Lord Gonfaloniere e agli Sceriffi di Londra
fu anche intimato di recarsi presso il Re. Gli esortò ad adempiere
con energia i loro doveri, e confessò come egli avesse creduto utile
mandare la moglie e il figlio fuori del paese, ma gli assicurò ch'ei
rimarrebbe al suo posto. Mentre egli profferiva questa menzogna
indegna d'un uomo e d'un Re, rimaneva fermissimo nel proposito di
partirsi innanzi l'alba del prossimo giorno. E difatti aveva già
affidati i più preziosi de' suoi arredi a vari ambasciatori
stranieri. Le sue più importanti scritture erano state depositate
nelle mani del Ministro Toscano. Ma innanzi d'accingersi alla fuga
rimaneva anco qualche altra cosa a farsi. Il tiranno gioiva del
pensiero di vendicarsi d'un popolo aborrente dal dispotismo,
rovesciandogli sul capo tutti i mali dell'anarchia. Comandò che il
Gran Sigillo e i decreti per la convocazione del Parlamento fossero
recati alle sue stanze. Tutti i decreti che potè avere in mano egli
gettò nel fuoco. Quelli ch'erano stati spediti annullò con una
scrittura stesa in forma legale. A Feversham scrisse una lettera,
che aveva sembianza di comando, ingiungendogli di sciogliere lo
esercito. Non ostante il Re seguitava a nascondere anche ai suoi
principali ministri la intenzione di fuggire. Sul punto di ritirarsi
esortò Jeffreys a trovarsi la dimane a buon'ora nel gabinetto; e
mentre stava per entrare a letto susurrò all'orecchio di Mulgrave
dicendo che le nuove giunte da Hungerford erano sodisfacenti.
Ciascuno si ritirò, tranne il duca di Northumberland. Questo
giovane, figlio naturale di Carlo II, partoritogli dalla Duchessa di
Cleveland, comandava una compagnia di Guardie del Corpo, ed era Lord
Ciamberlano. E' pare essere costumanza di Corte che, assente la
Regina, un Ciamberlano dormisse in un lettuccio nella camera del Re;
e quella sera ciò toccava a Northumberland. LXXV. Alle ore tre
della mattina, martedì 11 dicembre, Giacomo levossi, prese in mano
il Gran Sigillo, fece comandamento a Northumberland di non aprire
l'uscio avanti l'ora consueta, e disparve per un andito secreto,
probabilmente lo stesso pel quale Huddleston era stato introdotto al
letto del moribondo Carlo. Sir Eduardo Hales stavasi ad aspettare
con una carrozza d'affitto. Giacomo fu condotto a Millbank, dove
traversò con un navicello il Tamigi. Presso Lambeth gettò nelle onde
il Gran Sigillo, che molti mesi dopo venne per avventura tratto
fuori da un pescatore che trovollo nella sua rete.
Sbarcò a Wauxhall, dove era pronto un cocchio, e immediatamente
prese la via di Sheerness, dove una barca della dogana aveva ordine
di aspettare il suo arrivo(1227).
CAPITOLO DECIMO.
SOMMARIO.
I. Si sparge la nuova della fuga di Giacomo; grande agitazione. -
II. I Lordi si radunano in Guildhall - III. Tumulti in Londra. - IV.
La casa dello Ambasciatore di Spagna è saccheggiata. - V. Arresto di
Jeffreys. - VI. La Notte Irlandese - VII. Il Re è arrestato presso
Sheerness. - VIII. I Lordi ordinano che sia posto in libertà. - IX.
Imbarazzo di Guglielmo. - X. Arresto di Feversham; arrivo di Giacomo
a Londra. - XI. Consulta tenuta in Windsor. - XII. Le truppe
olandesi occupano Whitehall. - XIII. Messaggio del Principe a
Giacomo. - XIV. Giacomo parte per Rochester. - XV. Arrivo di
Guglielmo al Palazzo San Giacomo. - XVI. Lo consigliano ad assumere
la Corona per diritto di conquista. - XVII. Egli convoca i Lordi e i
Membri de' Parlamenti di Carlo II. - XVIII. Giacomo fugge da
Rochester. - XIX. Discussioni e determinazioni de' Lordi. - XX.
Discussioni e determinazioni de' Comuni convocati dal Principe. -
XXI. Si convoca una Convenzione; sforzi del Principe per ristabilire
l'ordine. - XXII. Sua politica tollerante. - XXIII. Satisfazione de'
potentati cattolici romani; pubblica opinione in Francia. - XXIV.
Accoglienze fatte alla Regina d'Inghilterra in Francia. - XXV.
Arrivo di Giacomo a Saint-Germain. - XXVI. Pubblica opinione nelle
Province Unite - XXVII. Elezione dei Membri della Convenzione. -
XXVIII. Affari di Scozia. - XXIX. Partiti in Inghilterra. - XXX.
Disegno di Sherlock - XXXI. Disegno di Sancroft. - XXXII. Disegno di
Danby. - XXXIII. Disegno dei Whig. La Convenzione si aduna; membri
principali della Camera dei Comuni. - XXXIV. Elezione del Presidente
- XXXV. Discussione sopra le condizioni della nazione. - XXXVI.
Deliberazione che dichiara vacante il trono. È spedita alla Camera
dei Lordi; Discussione nella Camera dei Lordi intorno al disegno di
nominare una reggenza. - XXXVII. Scisma tra i Whig e i seguaci di
Danby. - XXXVIII. Adunanza in casa del Conte di Devonshire. - XXXIX.
Discussione nella Camera de' Lordi intorno alla questione se il
trono debba considerarsi come vacante. La maggioranza nega. - XL.
Agitazione in Londra. - XLI. Lettera di Giacomo alla Convenzione. -
XLII. Discussioni; Negoziati; Lettera del Principe d'Orange a Danby.
- XLIII. La principessa Anna aderisce al disegno de' Whig. - XLIV.
Guglielmo manifesta i proprii pensieri. - XLV. Conferenza delle due
Camere. - XLVI. I Lordi cedono. - XLVII. Proposta di nuove Leggi per
la sicurezza della Libertà. - XLVIII. Dispute e Concordia. - XLIX.
La Dichiarazione dei Diritti. - L. Arrivo di Maria. - LI. Offerta ed
accettazione della Corona. - LII. Guglielmo e Maria vengono
proclamati. - LIII. Indole speciale della Rivoluzione inglese.
I. Northumberland ubbidì fedelmente al comando, e non aprì l'uscio
del regio appartamento se non a giorno chiaro. L'anticamera era
piena di cortigiani venuti a complire il Re all'alzarsi da letto, e
di Lordi chiamati a consiglio. La nuova della fuga di Giacomo in un
istante volò dalla reggia alle strade, e tutta la metropoli ne
rimase commossa.
E' fu un terribile momento. Il Re se n'era andato; il Principe non
ancora giunto; non era stata istituita una Reggenza; il Gran
Sigillo, essenziale all'amministrazione della ordinaria giustizia,
era scomparso. Presto si seppe che Feversham, ricevuta la lettera
del Re, aveva subitamente disciolto lo esercito. Quale rispetto per
le leggi e la proprietà potevano avere i soldati in armi e raccolti,
senza il freno della disciplina militare, e privi delle cose
necessaria alla vita? Dall'altro canto la plebe di Londra da
parecchi giorni mostravasi fortemente inchinevole al tumulto ed alla
rapina. La urgenza del caso congiunse per breve tempo tutti coloro
ai quali importava la pubblica quiete. Rochester aveva fino a quel
giorno fermamente aderito alla causa regia. Adesso conobbe non
esservi che una sola via per evitare lo universale scompiglio.
"Congregate le vostre guardie" disse egli a Northumberland, "e
dichiaratevi pel Principe d'Orange." Northumberland seguì
prontamente il consiglio. I precipui ufficiali dello esercito che
allora trovavansi in Londra convennero a Whitehall, e deliberarono
di sottoporsi alle autorità di Guglielmo, e finchè conoscessero la
volontà di lui, tenere sotto disciplina i loro soldati, ed assistere
la potestà civile onde mantenere l'ordine(1228).
II. I Pari recaronsi a Guildhall, e dai magistrati della città vi
furono ricevuti con tutti gli onori. A rigore di legge i Pari non
avevano maggior diritto che ogni altra classe di persone ad assumere
il potere esecutivo. Ma egli era alla pubblica salvezza necessario
un governo provvisorio; e gli occhi di tutti naturalmente volgevansi
ai magnati ereditari del Regno. La gravità del pericolo trasse
Sancroft fuori dal suo palazzo. Occupò il seggio; e, lui presidente,
il nuovo Arcivescovo di York, cinque Vescovi, e ventidue Lordi
secolari, deliberarono di comporre, sottoscrivere e pubblicare un
Manifesto. In questo documento dichiararono di aderire fermamente
alla religione e alla costituzione del paese; aggiunsero che avevano
vagheggiata la speranza di vedere raddrizzati i torti e ristabilita
la pubblica quiete dal Parlamento pur allora convocato dal Re; ma
tale speranza rimaneva distrutta dalla sua fuga. Per lo che avevano
deliberato di congiungersi col Principe d'Orange onde rivendicare le
patrie libertà, assicurare i diritti della Chiesa, accordare una
giusta libertà di coscienza ai dissenzienti e rafforzare in tutto il
mondo gl'interessi del protestantismo. Fino allo arrivo di Sua
Altezza essi erano pronti ad assumere la responsabilità di prendere
i provvedimenti necessari alla conservazione dell'ordine.
Sull'istante fu spedita una deputazione a presentare il predetto
Manifesto al Principe, ed annunziargli ch'egli era impazientemente
aspettato a Londra(1229).
I Lordi quindi si posero a pensare intorno ai modi di prevenire ogni
tumulto. Fecero chiamare i due Segretari di Stato. Middleton ricusò
di ubbidire a quella ch'egli considerava autorità usurpata: ma
Preston, ancora attonito per la fuga del suo signore, e non sapendo
che cosa aspettarsi, obbedì alla chiamata. Un messaggio fu mandato a
Skelton Luogotenente della Torre, perchè si presentasse in
Guildhall. Andatovi, gli fu detto non esservi più oltre mestieri de'
suoi servigi, e però consegnasse immediatamente le chiavi. Gli fu
sostituito Lord Lucas. Nel tempo stesso i Pari ordinarono che si
scrivesse a Darthmouth ingiungendogli d'astenersi da ogni atto
ostile contro la flotta olandese, e di licenziare tutti gli
ufficiali papisti a lui sottoposti(1230).
La parte che in cotesti procedimenti ebbero Sancroft ed altri che
fino a quel giorno si erano mantenuti strettamente fedeli al
principio della obbedienza passiva, è degna di speciale
considerazione. Usurpare il comando delle forze militari e navali
dello Stato, destituire gli ufficiali preposti dal Re al comando de'
suoi castelli e navigli, e inibire allo ammiraglio di dare battaglia
ai nemici di lui, erano niente meno che atti di ribellione. E
nonostante vari Tory abili ed onesti, seguaci della scuola di
Filmer, erano persuasi di poter fare tutte le sopra dette cose senza
incorrere nella colpa di resistere al loro Sovrano. Il loro
argomentare era per lo meno ingegnoso. Dicevano, il Governo essere
ordinato da Dio, e la monarchia ereditaria eminentemente ordinata da
Dio. Finchè il Re comanda ciò che è legittimo, noi siamo tenuti a
prestargli obbedienza attiva; comandando ciò che è illegittimo,
obbedienza passiva. Non vi è caso estremo che ne possa giustificare
ad opporci a lui con la forza. Ma ove a lui piaccia di deporre il
suo ufficio, egli perde ogni diritto sopra di noi. Finchè ci
governa, quantunque ci governi male, siamo obbligati a chinare la
fronte; ma ricusando egli di governarci in veruna maniera, non siamo
tenuti a rimanere perpetuamente privi di governo. L'anarchia non è
ordinamento di Dio; nè egli ci ascriverà a peccato se nel caso che
un principe, il quale in onta a gravissime provocazioni non abbiamo
cessato mai di onorare e obbedire, si parta senza che noi sappiamo
dove, non lasciando un suo vicario, ci apprendiamo al solo partito
che ci rimanga a impedire la dissoluzione della società. Se il
nostro Sovrano fosse rimasto fra noi, noi saremmo pronti, per quanto
poco egli meritasse il nostro affetto, a morire ai suoi piedi. Se,
lasciandoci, avesse nominato una reggenza per governarci con
autorità delegatale durante la sua assenza, noi ci saremmo rivolti a
tale reggenza soltanto. Ma egli è scomparso senza lasciare nessun
provvedimento per la conservazione dell'ordine o per
l'amministrazione della giustizia. Con lui e col suo Gran Sigillo è
sparita tutta la macchina per mezzo della quale si possa punire un
assassino, decidere del diritto di proprietà, distribuire ai
creditori i beni d'un fallito. Il suo ultimo atto è stato di
sciogliere migliaia d'uomini armati dal freno della disciplina
militare, e porli in condizioni o di saccheggiare o di morire di
fame. Fra poche ore ciascun uomo s'armerà contro il suo prossimo. La
vita, gli averi, l'onore delle donne saranno in balía di ogni uomo
sfrenato. Noi adesso ci troviamo in quello stato di natura intorno
al quale i filosofi hanno scritto cotanto; nel quale stato siamo
posti non per colpa nostra, ma per volontario abbandono di colui che
avrebbe dovuto essere nostro protettore. Il suo abbandono può
dirittamente chiamarsi volontario: imperocchè nè la vita nè la
libertà sue erano in periglio. I suoi nemici già avevano consentito
ad aprire pratiche d'accordo sopra una base proposta da lui stesso,
ed eransi offerti a sospendere immediatamente le ostilità a patti
che egli non negava essere liberali. In tali circostanze egli ha
disertato il suo posto. Noi non facciamo la minima ritrattazione;
non siamo in cosa alcuna incoerenti. Ci manteniamo tuttavia fermi
senza modificazione nelle nostre vecchie dottrine. Seguitiamo a
credere che in qualunque caso è peccato resistere al magistrato; ma
affermiamo che adesso non vi è verun magistrato cui resistere. Colui
che era magistrato, dopo d'avere per lungo tempo fatto abuso della
propria potestà, ha abdicato da sè. Lo abuso non ci dava diritto a
deporlo: ma l'abdicazione ci dà diritto a provvedere al miglior modo
di supplire al suo ufficio.
III. Per cosiffatte ragioni il partito del Principe si accrebbe di
molti che per l'innanzi s'erano tenuti in disparte. A memoria d'uomo
non era mai stata, come in quella congiuntura, una quasi universale
concordia fra gl'Inglesi; e mai quanto allora v'era stato sì grande
bisogno di concordia. Non v'era più alcuna autorità legittima. Tutte
le tristi passioni che il Governo ha debito d'infrenare, e che i
migliori Governi imperfettamente infrenano, trovaronsi in un subito
sciolte d'ogni ritegno; l'avarizia, la licenza, la vendetta, il
vicendevole odio delle sètte, il vicendevole odio delle razze. In
simiglianti casi avviene che le belve umane, le quali, abbandonate
dai ministri dello Stato e della religione, barbare fra mezzo alla
città, pagane fra mezzo al cristianesimo, brulicano tra ogni fisica
e morale bruttura nelle cantine e nelle soffitte delle grandi città,
acquistino a un tratto terribile importanza. Così fu di Londra. Allo
avvicinarsi della notte - per avventura la più lunga notte dell'anno
- eruppero da ogni spelonca di vizio, dalle taverne di Hockley e dal
laberinto d'osterie e di bordelli nel quartiere di Friars, migliaia
di ladroncelli e di ladroni, di borsaiuoli e di briganti. A costoro
mescolaronsi migliaia d'oziosi giovani di bottega, i quali ardevano
solo della libidine di tumultuare. Perfino uomini pacifici ed onesti
erano spinti dall'animosità religiosa a congiungersi con la sfrenata
plebaglia: imperocchè il grido di "Giù il Papismo," grido che aveva
più volte messa a repentaglio la esistenza di Londra, era il segnale
dell'oltraggio e della rapina. Primamente la canaglia gettossi sopra
le case appartenenti al culto cattolico. Gli edifici furono
atterrati. Banchi, pulpiti, confessionali, breviari furono
accatastati ed arsi. Un gran monte di libri e di arredi era in
fiamme presso il convento di Clerkenwell. Un'altra catasta bruciava
innanzi le rovine del convento de' Francescani in Lincoln's Inn
Fields. La cappella in Lime Street, la cappella in Bucklersbury,
furono smantellate. Le dipinture, le immagini, i crocifissi vennero
condotti trionfalmente per le vie al lume delle torce divelte dagli
altari. La processione pareva una selva di spade e di bastoni, e in
cima ad ogni spada e bastone era fitta una melarancia. La stamperia
reale, donde nei precedenti tre anni erano usciti innumerevoli
scritti in difesa della supremazia del Papa, del culto delle
immagini, e de' voti monastici, per adoperare una grossolana
metafora che allora per la prima volta cominciò ad usarsi, fu
sventrata. La vasta provigione di carta, che in gran parte non era
lordata dalla stampa, apprestò materia ad un immenso falò. Da'
monasteri, dai templi, dai pubblici uffici la furibonda moltitudine
si volse alle private abitazioni. Parecchie case furono saccheggiate
e distrutte: ma la pochezza del bottino non appagando i
saccheggiatori, tosto si sparse la voce che le cose più preziose de'
papisti erano state poste al sicuro presso gli ambasciatori
stranieri. Nulla importava alla selvaggia e stolta plebaglia il
diritto delle genti e il rischio di provocare contro la patria la
vendetta di tuttaquanta l'Europa. Le case degli ambasciatori furono
assediate. Una gran folla si raccolse dinanzi la porta di Barillon
in Saint James's Square. Ei nondimeno si condusse meglio di quel che
si sarebbe creduto. Imperocchè, quantunque il Governo da lui
rappresentato fosse tenuto in aborrimento, la liberalità sua nello
spendere e la puntualità nel pagare lo avevano reso bene affetto al
popolo. Inoltre egli aveva presa la precauzione di chiedere parecchi
soldati a guardia della sua casa: e perchè vari uomini d'alto grado
che abitavano vicino a lui, avevano fatto lo stesso, una forza
considerevole si raccolse in quella piazza. La tumultuante plebe
quindi, assicuratasi che sotto il tetto di Barillon non v'erano
nascosti nè armi nè preti, cessò di molestarlo e ne andò via. Lo
ambasciatore veneto fu protetto da una compagnia militare: ma le
magioni dove abitavano i ministri dello Elettore Palatino e del
Granduca di Toscana, furono distrutte. Una preziosa cassetta il
Ministro Toscano riuscì a salvare dalle mani de' facinorosi. Vi si
contenevano nove volumi di memorie scritte di mano propria da
Giacomo. I quali volumi, pervenuti a salvamento in Francia, dopo lo
spazio di cento e più anni, perirono fra le stragi d'una rivoluzione
assai più formidabile di quella dalla quale erano scampati. Ma ne
rimangono tuttavia alcuni frammenti, che, comunque gravemente mutili
e incastrati in una farragine di fanciullesche finzioni, sono ben
meritevoli d'attento studio.
IV. Le ricche argenterie della Cappella Reale erano state depositate
in Wild House presso Lincoln's Inn Fields, dove abitava Ronquillo
ambasciatore di Spagna. Ronquillo, sapendo ch'egli e la sua Corte
non avevano male meritato della nazione inglese, non aveva creduto
necessario chiedere dei soldati: ma la marmaglia non era in umore da
fare sottili distinzioni. Il nome di Spagna da lungo tempo
richiamava alla mente degli Inglesi la idea della Inquisizione,
dell'Armada, delle crudeltà di Maria, e delle congiure contro
Elisabetta. Ronquillo dal canto suo s'era acquistato di molti nemici
fra il popolo, giovandosi del suo privilegio per non pagare i suoi
debiti. E però la sua casa fu saccheggiata senza misericordia; ed
una pregevole biblioteca da lui raccolta rimase preda delle fiamme.
Il solo conforto ch'egli ebbe in tanto disastro fu di potere salvare
dalle mani degli aggressori l'ostia santa che era nella sua
cappella(1231). La mattina del dì 12 dicembre sorse in assai
lugubre aspetto. La metropoli in molti luoghi presentava lo
spettacolo d'una città presa d'assalto. I Lordi ragunaronsi in
Whitehall e fecero ogni sforzo per ristabilire la quiete. Le milizie
civiche furono chiamate alle armi. Un corpo di cavalleria fu tenuto
pronto a disperdere i tumultuosi assembramenti. Ai governi stranieri
fu pe' gravi insulti data quella soddisfazione che si potè maggiore
in quel momento. Fu promesso un premio a chiunque scoprisse le robe
rapite in Wild House; e Ronquillo al quale non era rimasto un solo
letto o un'oncia d'argento, fu splendidamente alloggiato nel deserto
palagio dei Re d'Inghilterra. Gli fu apprestata una sontuosa mensa;
e gli ufficiali della Guardia Palatina ebbero ordine di stare nella
sua anticamera come costumavasi fare col Sovrano. Tali segni di
rispetto abbonirono il puntiglioso orgoglio della Corte Spagnuola, e
tolsero ogni pericolo di rottura(1232).
V. Ad ogni modo, non ostante i bene intesi sforzi del Governo
Provvisorio, l'agitazione facevasi ognora più formidabile. La fu
accresciuta da un caso che anche oggi dopo tanto tempo non può
narrarsi senza provare il piacere della vendetta. Uno speculatore
che abitava in Wapping, e trafficava prestando ai marini del luogo
pecunia ad usura, aveva tempo innanzi prestato una somma, prendendo
ipoteca sul carico d'una nave. Il debitore ricorse al tribunale
detto d'Equità, per essere sciolto dalla sua obbligazione; e la
causa fu portata dinanzi a Jeffreys. Lo avvocato del debitore avendo
poche ragioni da allegare, disse che il prestatore era un
barcamenante. Il Cancelliere, appena udito ciò, si accese di rabbia.
"Un barcamenante! dove è egli? Ch'io lo veda. Ho sentito parlare di
quella specie di mostro. A che si assomiglia egli?" Lo sventurato
creditore fu costretto a comparire. Il Cancelliere gli rivolse
ferocissimo lo sguardo, inveì contro lui, e cacciollo via mezzo
morto dallo spavento. "Finchè avrò vita" disse il povero uomo
uscendo barcollante dalla corte, "non dimenticherò mai quel
terribile aspetto." Ma finalmente era per lui arrivato il giorno
della vendetta. Il barcamenante passeggiava per Wapping, allorquando
gli parve di conoscere il riso d'un uomo il quale faceva capolino
dalla finestra d'una birreria. Non poteva ingannarsi. Aveva rasi i
sopraccigli; vestiva l'abito di un marinajo di Newcastle ed era
coperto di polve di carbone: ma il selvaggio occhio e la bocca di
Jeffreys non erano tali da non riconoscersi. Fu dato l'allarme. In
un istante la birreria fu circondata da centinaia di popolani che
imprecando scuotevano i loro bastoni. Il fuggitivo Cancelliere ebbe
salva la vita da una compagnia della milizia civica; e fu condotto
dinanzi al Lord Gonfaloniere. Questi era uomo semplice, vissuto
sempre nella oscurità, e adesso trovandosi attore importante in una
grande rivoluzione, s'era sentito venire il capogiro. Gli
avvenimenti delle ventiquattro ore decorse, e lo stato pericoloso
della Città alle sue cure affidata, lo avevano perturbato di mente e
di corpo. Allorchè il grande uomo, al cui cipiglio, pochi giorni
avanti, aveva tremato l'intero Regno, fu tratto al tribunale,
bruttato di ceneri, mezzo morto di spavento e seguito da una
rabbiosa moltitudine, si accrebbe oltre ogni credere l'agitazione
del male arrivato Gonfaloniere. Convulso e fuori di sè fu
trasportato a letto, donde non sorse più. Intanto la folla di fuori
cresceva sempre, e orribilmente tempestava. Jeffreys pregò d'essere
menato in prigione. Si ottenne a tale effetto un ordine de' Lordi
che sedevano in Whitehall; ed ei fu condotto in una carrozza alla
Torre. Procedeva scortato da due reggimenti della milizia civica, i
quali non senza difficoltà potevano frenare il popolo. Più volte si
videro nella necessità di ordinarsi come se avessero a sostenere un
assalto di cavalleria, e di presentare una selva di picche alla
irrompente plebe. La quale vedendo rapirsi la vendetta teneva dietro
al cocchio con urli di rabbia fino alla porta della Torre, brandendo
bastoni e scuotendo capestri agli occhi del prigioniero. Lo
sciagurato intanto tremava di spavento; arrostava le mani,
affacciavasi con occhi stralunati ora a questo ora a quello degli
sportelli, e fra il tumulto si udiva gridare: "Teneteli lontani, o
signori! Per l'amore di Dio, teneteli lontani!" Infine dopo aver
provate amarezze maggiori di quelle della morte, fu in sicurtà
alloggiato nella fortezza, dove alcune delle sue più illustri
vittime avevano passati gli estremi giorni della loro vita, e dove
egli fu destinato a finire la sua con inenarrabile ignominia ed
orrore(1233).
In tutto questo tempo si cercarono diligentemente i preti cattolici
romani. Molti vennero arrestati. Due Vescovi, cioè Ellis e Leyburn,
furono mandati a Newgate. Il Nunzio che aveva poca ragione a sperare
che la moltitudine rispettasse il suo carattere sacerdotale e
politico, fuggì travestito da servitore fra la gente del Ministro di
Savoja(1234).
VI. Un altro giorno di agitazione e di terrore si chiuse, e fu
seguito dalla più strana e terribile notte che fosse mai stata in
Inghilterra. Sul far della sera la plebaglia aggredì una magnifica
casa pochi mesi avanti edificata per Lord Powis, la quale nel regno
di Giorgio II era residenza del Duca di Newcastle, e che si vede
anche oggi all'angolo tra ponente e tramontana di Lincoln's Inn
Fields. Vi furono mandati alcuni soldati: la plebaglia fu dispersa,
la quiete sembrava ristabilita, e i cittadini se ne tornavano in
pace alle proprie case, quando sorse un bisbiglio che in un momento
divenne tremendo clamore, ed in un'ora da Piccadilly giunse a
Whitechapel e si sparse per tutta la metropoli. Dicevasi che
gl'Irlandesi lasciati senza freno da Feversham marciavano alla volta
di Londra facendo strage d'ogni uomo, donna e fanciullo che
incontrassero per via. All'una ora della mattina i tamburi della
milizia civica suonavano all'arme. In ogni dove le donne atterrite
piangevano ed arrostavano le mani, mentre i padri e i mariti loro
armavansi per uscire a combattere. Prima delle ore due la metropoli
presentava un aspetto sì bellicoso che avrebbe potuto atterrire
un'armata regolare. A tutte le finestre vedevansi i lumi. I luoghi
pubblici risplendevano come se fosse pieno giorno. Le grandi vie
erano asserragliate. Venti e più mila picche ed archibugi
fiancheggiavano le strade. L'ultima alba del solstizio d'inverno
trovò tutta la città ancora in armi. Pel corso di molti anni i
Londrini serbarono viva ricordanza di quella ch'essi chiamavano la
Notte Irlandese. Come si seppe non esservi nessuna cagione di
timore, il Governo cercò studiosamente d'indagare l'origine della
ciarla che aveva fatto nascere cotanta agitazione. Sembra che
taluni, che avevano sembianze e vesti di contadini pur allora giunti
dalla campagna, spargessero poco prima di mezza notte la nuova ne'
suburbi: ma donde venissero e chi li movesse, rimase sempre un
mistero. Poco dopo da molti luoghi arrivarono notizie che accrebbero
maggiormente la universale perplessità. Il timore panico non aveva
invaso la sola Londra. La voce che i soldati irlandesi disciolti
venivano a fare scempio de' Protestanti era stata sparsa, con
maligna destrezza, in molti luoghi l'uno a lunga distanza
dall'altro. Gran numero di lettere, con molta arte scritte a fine di
spaventare lo ignorante popolo, erano state spedite per le
diligenze, i vagoni, e la posta a varie parti della Inghilterra.
Tutte queste lettere giunsero a' loro indirizzi quasi nel medesimo
tempo. In cento città a un'ora la plebe credè che si appressassero i
barbari in armi con lo intendimento di commettere scelleratezze
simili a quelle che avevano infamata la ribellione d'Ulster. A
nessuno de' Protestanti si sarebbe usata misericordia. I figliuoli
sarebbero stati costretti per mezzo della tortura a trucidare i loro
genitori. I bambini sarebbero confitti alle picche o gettati fra le
fiammeggianti rovine di quelle che pur dianzi erano felici
abitazioni. Grandi turbe di popolo si raccolsero armate; in taluni
luoghi cominciarono a distruggere i ponti ed asserragliare le vie:
ma il concitamento presto calmossi. In molti distretti coloro che
erano stati vittime di tanto inganno udirono con piacere misto di
vergogna non esservi un solo soldato papista che non fosse lontano
sei o sette giorni di marcia. Veramente in qualche luogo accadde che
alcuna banda dispersa d'Irlandesi si mostrasse e dimandasse pane; ma
non può loro attribuirsi a delitto se non si contentassero di morire
di fame; e non v'è prova che commettessero alcun grave oltraggio.
Certo erano meno numerosi di quel che supponevasi comunemente; e
trovavansi scorati, vedendosi a un tratto privi di capitani e di
vettovaglie framezzo a una potente popolazione, dalla quale erano
considerati come un branco di lupi. Fra tutti i sudditi di Giacomo
nessuno aveva più ragione ad esecrarlo che questi sciagurati membri
della sua Chiesa e difensori del suo trono(1235).
È cosa onorevole al carattere degl'Inglesi, che non ostante la
generale avversione contro la religione cattolica romana e la razza
irlandese, non ostante l'anarchia che nacque alla fuga di Giacomo,
non ostante le subdole macchinazioni adoperate a inferocire la
plebe, non fu commesso in quella congiuntura nessuno atroce delitto.
Molte facultà, a dir vero, furono distrutte e rapite; le case di
molti gentiluomini cattolici romani aggredite; giardini devastati;
cervi uccisi e portati via. Alcuni venerandi avanzi della nostra
architettura del medio evo serbano tuttora i segni della violenza
popolare. In molti luoghi lo andare e venire liberamente per le
strade era impedito da una polizia creatasi da sè, la quale fermava
ogni viandante onde sincerarsi con prove se fosse papista. Il Tamigi
era infestato da una torma di pirati, che sotto pretesto di cercare
armi o delinquenti, mettevano sossopra ogni barca che passava;
insultati e maltrattati gli uomini impopolari. Molti che tali non
erano, reputaronsi fortunati di potere riscattare le persone e la
roba loro donando alcune ghinee ai fanatici Protestanti, i quali
senza autorità legittima s'erano fatti inquisitori. Ma in tutta
cotesta confusione che durò vari giorni e si estese a molte Contee,
nessuno de' Cattolici Romani perdè la vita. La plebaglia non mostrò
brama di sangue, tranne nel caso di Jeffreys; e l'odio di che s'era
reso segno costui poteva piuttosto chiamarsi umanità che
crudeltà(1236).
Molti anni dipoi Ugo Speke affermò che la Notte Irlandese era opera
sua, ch'egli aveva istigati i villani che posero in concitazione
Londra, e che egli era lo autore delle lettere le quali avevano
sparso lo spavento in tutta l'isola. La sua asserzione non è
intrinsecamente improbabile: ma non ha altra prova tranne le parole
di lui. Egli era uomo bene capace di commettere tanta scelleraggine,
e anche capace di vantarsi falsamente d'averla commessa(1237).
Guglielmo era impazientemente aspettato a Londra, poichè nessuno
dubitava che egli con la energia e abilità sue ristabilisse tosto
l'ordine e la sicurezza pubblica. Nondimeno vi fu qualche indugio,
del quale il Principe non può giustamente biasimarsi. La sua
primitiva intenzione era stata di recarsi da Hungerford ad Oxford,
dove, secondo che lo avevano assicurato, avrebbe avuto onorevoli e
affettuose accoglienze: ma lo arrivo della deputazione partita da
Guildhall lo indusse a cangiare pensiero e correre speditamente alla
metropoli. Per via seppe che Feversham, obbedendo ai comandamenti
del Re, aveva disciolto lo esercito, e che migliaia di soldati senza
freno, e privi delle cose necessarie alla vita, erano sparse per le
Contee le quali attraversa la via che mena a Londra. Gli era quindi
impossibile di viaggiare con poco seguito senza grave pericolo non
solo per la sua propria persona, di cui non aveva costume d'essere
molto sollecito, ma anche pei grandi interessi a lui affidati. Era
mestieri che egli si movesse a seconda del muoversi delle sue
milizie, le quali in quei tempi non potevano procedere se non
lentamente a mezzo il verno per gli stradali della Inghilterra. In
cosiffatte circostanze egli perdè alquanto il suo ordinario
contegno. "Con me non si deve trattare a questo modo" esclamò egli
con acrimonia, "e Milord Feversham se ne avvedrà bene." Furono presi
pronti e savi provvedimenti per rimediare ai mali cagionati da
Giacomo. A Churchill e Grafton fu dato lo incarico di raggranellare
la dispersa soldatesca e riordinarla. I soldati inglesi vennero
invitati a rientrare nello esercito. Agli irlandesi fu fatto
comandamento di rendere le armi sotto pena di essere trattati come
banditi, ma fu loro assicurato che, obbedendo con pace, verrebbero
provveduti del necessario(1238).
Gli ordini del Principe furono quasi senza ostacolo mandati ad
esecuzione, tranne la resistenza che fecero i soldati irlandesi che
presidiavano Tilbury. Uno di costoro appuntò una pistola contro
Grafton; l'arme non prese fuoco, e lo assassino in sull'istante fu
steso morto da un Inglese. Circa due cento di cotesti sciagurati
stranieri coraggiosamente tentarono di ritornare alla loro patria.
Impossessaronsi di un bastimento grave di un ricco carico che pur
allora dalle Indie era arrivato al Tamigi, e provaronsi di avere a
forza piloti a Gravesend. Ma non ne potendo trovare alcuno, furono
costretti a confidare in quel poco che essi medesimi sapevano d'arte
nautica. Il legno poco dopo investì contro la spiaggia, e a quei
miseri dopo qualche spargimento di sangue fu forza porre giù le
armi(1239).
Erano già corse cinque settimane da che Guglielmo era in
Inghilterra, duranti le quali gli aveva arriso la fortuna. Egli
aveva fatto bella mostra di prudenza e fermezza, e nondimeno gli
avevano meno giovato queste virtù sue che l'altrui insania e
pusillanimità.
Ed ora che ei sembrava vicino a conseguire il fine della sua
intrapresa, sopraggiunse a sconcertargli i disegni uno di quegli
strani accidenti che così spesso confondono i più studiati
divisamenti della politica.
VII. La mattina del dì 13 dicembre, il popolo di Londra, non per
anco riavutosi dall'agitazione della Notte Irlandese, rimase
attonito alla nuova che il Re era stato fermato ed era sempre
nell'isola. La nuova prese consistenza per tutto il giorno, e avanti
sera fu pienamente confermata.
Giacomo aveva viaggiato mutando cavalli lungo la riva meridionale
del Tamigi, e la mattina del dì 12 era giunto ad Emley Ferry presso
l'isola di Sheppey, dove aspettavalo la nave sopra la quale ei
doveva imbarcarsi. Vi montò sopra; ma il vento spirava forte, e il
padrone non volle rischiarsi a mettere alla vela senza maggior
quantità di zavorra. In tal guisa una marea andò perduta. Era quasi
a mezzo il suo corso la notte allorquando la nave cominciò a
muoversi. In que' giorni la nuova che il Re era scomparso, che il
paese era senza governo, e Londra tutta sossopra, erasi sparsa lungo
il Tamigi, e ne' luoghi dove era giunta aveva fatto nascere violenza
e disordine. I rozzi pescatori della spiaggia di Kent adocchiarono
con sospetto e cupidigia la nave. Corse voce che alcuni individui
vestiti da gentiluomini erano frettolosamente andati in sul bordo.
Forse erano Gesuiti: forse erano ricchi. Cinquanta o sessanta
barcaiuoli, spinti a un tempo dall'odio contro il papismo e dalla
avidità di predare, circondarono la nave quando ella era in sul
punto di far vela. Fu detto ai passeggieri che bisognava andare a
terra per essere esaminati da un magistrato. La figura del Re
suscitò de' sospetti. "Gli è padre Petre" gridò uno di que' ribaldi
"lo conosco alle sue scarne ganasce." - "Fruga cotesto vecchio
gesuita, cotesto viso da galera" urlarono tutti ad una voce. Ei
tosto fu segno alle ruvide spinte di coloro che lo circondavano. Gli
tolsero i danari e l'oriuolo. Egli aveva addosso l'anello della
incoronazione ed altre gioie di gran valore, che sfuggirono alle
ricerche di que' ladri, i quali erano così ignoranti in materia di
gioie che presero per pezzi di vetro i diamanti delle fibbie del Re.
In fine i prigioni furono messi a terra e condotti ad una locanda.
Quivi a vederli erasi affollata molta gente; e Giacomo, quantunque
fosse sfigurato da una parrucca di forma e colore diversa da quella
ch'egli era uso a portare, fu a un tratto riconosciuto. Per un
istante la plebaglia parve compresa di terrore; ma i capi
esortandola la rianimarono; e la vista di Hales, che tutti ben
conoscevano e forte odiavano, infiammò il loro furore. Il suo parco
era in quelle vicinanze, e in quel momento stesso una banda di
facinorosi saccheggiavano la casa e davano la caccia ai cervi di
lui. La folla assicurò il Re, che non aveva intenzione di fargli
alcun male, ma ricusò di lasciarlo partire. Avvenne che il Conte di
Winchelsea protestante ma fervido realista, capo della famiglia
Finch e prossimo parente di Nottingham, si trovasse in Canterbury.
Appena seppe lo accaduto corse in fretta alla costa accompagnato da
alcuni gentiluomini di Kent. Per mezzo loro il Re fu condotto a un
luogo più convenevole: ma rimaneva tuttavia prigioniero. La folla
non cessava di vigilare attorno alla casa dove era stato condotto; e
alcuni dei capi stavansi a guardia dinanzi l'uscio della sua camera.
Il suo contegno infrattanto era quello di un uomo snervato di mente
e di corpo sotto il peso delle proprie sciagure. Talvolta parlava
con tanta alterigia che i villani, i quali lo guardavano, sentivansi
provocati ad insolenti risposte. Poi piegavasi a supplicare.
"Lasciatemene andare" diceva egli "procuratemi una barca. Il
Principe d'Orange mi fa la caccia per togliermi la vita. Se non mi
lascerete fuggire, e' sarà troppo tardi. Il mio sangue ricadrà sulle
vostre teste. Colui che non è con me, è contro me." Togliendo
occasione da queste parole del Vangelo predicò per mezz'ora. Favellò
stranamente sopra moltissime cose, sopra la disobbedienza de'
Convittori del Collegio della Maddalena, i miracoli del Pozzo di San
Venifredo, la slealtà de' preti, la virtù d'un frammento del vero
legno della Santa Croce ch'egli aveva sventuratamente perduto. "E
che ho mai fatto?" chiese agli scudieri di Kent che gli stavano
attorno. "Ditemi il vero: qual fallo ho io mai commesso?" Coloro, ai
quali egli faceva queste domande, furono tanto umani da non dargli
le risposte che meritava, e stavansi con compassionevole silenzio ad
ascoltare quell'insano cicaleccio(1240).
Quando pervenne alla metropoli la nuova ch'egli era stato fermato,
insultato, manomesso e spogliato, e che tuttavia rimaneva nelle mani
di que' brutali ribaldi, ridestaronsi molte passioni. I rigidi
Anglicani, i quali poche ore innanzi avevano cominciato a credersi
liberi dal debito di fedeltà verso lui, adesso scrupoleggiavano.
Egli non aveva abbandonato il reame, nè abdicato. Ove egli
ripigliasse la regia dignità, potrebbero essi, secondo i principii
loro, ricusare di prestargli obbedienza? I veggenti uomini di stato
prevedevano con rammarico che tutte le contese che per un momento la
sua fuga aveva abbonacciate, tornando egli, tornerebbero a rinascere
assai più virulente. Alcuni del popolo basso, comechè animati dal
sentimento de' recenti torti, sentivano pietà d'un gran Principe
oltraggiato da gente ribalda, e inchinavano a sperare - speranza più
onorevole alla indole che al discernimento loro - che anche adesso
egli si sarebbe potuto pentire delle colpe che gli avevano attirato
sul capo un così tremendo castigo.
Dal momento in che si seppe il Re essere tuttavia in Inghilterra,
Sancroft che fino allora era stato capo del Governo Provvisorio, si
assentò dalle sedute de' Pari. Sul seggio presidenziale fu posto
Halifax, il quale era allora ritornato dal quartiere generale degli
Olandesi. In poche ore l'animo suo era grandemente mutato. Adesso il
senso del bene pubblico e privato lo spingeva a collegarsi coi Whig.
Ove candidamente si ponderino le prove fino a noi pervenute, è forza
credere ch'egli accettasse l'ufficio di Commissario Regio con la
sincera speranza di effettuare tra il Re e il Principe un
accomodamento a convenevoli patti. Le pratiche d'accordo erano
incominciate prosperamente: il Principe aveva offerto patti che il
Re stesso giudicò convenevoli: il facondo e ingegnoso barcamenante
lusingavasi di rendersi mediatore fra le inferocite fazioni, dettare
un trattato d'accordo fra le opinioni esagerate ed avverse,
assicurare le libertà e la religione della patria senza esporla ai
pericoli inseparabili da un mutamento di dinastia e da una
successione contrastata. Mentre compiacevasi di un pensiero così
consentaneo alla indole sua, seppe d'essere stato ingannato, e
adoperato come strumento a ingannare la nazione. La sua commissione
ad Hungerford era stata quella d'uno stolto. Il Re non aveva mai
avuto intendimento di osservare le condizioni ch'egli aveva ai
Commissari ordinato di proporre. Aveva loro ordinato di dichiarare
ch'egli voleva sottoporre tutte le questioni controverse al
Parlamento da lui convocato; e mentre essi eseguivano il suo
messaggio, aveva bruciati i decreti di convocazione, fatto sparire
il Sigillo, sbandato lo esercito, sospesa l'amministrazione della
giustizia, disciolto il Governo, e se n'era fuggito dalla metropoli.
Halifax s'accorse oramai non essere più possibile comporre
amichevolmente le cose. È anche da sospettarsi ch'egli provasse
quella molestia che è naturale ad un uomo che, godendo grande
riputazione di saviezza, si trovi ingannato da una intelligenza
immensurabilmente inferiore alla sua propria, e quella molestia che
è naturale a chi, essendo espertissimo nell'arte del dileggio, si
trovi posto in una situazione ridicola. Dalla riflessione e dal
risentimento fu indotto ad abbandonare ogni pensiero di
conciliazione alla quale egli aveva fino allora sempre mirato, e a
farsi capo di coloro che volevano porre Guglielmo sul trono(1241).
Esiste ancora un Diario dove Halifax scrisse di propria mano tutto
ciò che seguì nel Consiglio da lui preseduto(1242). Non fu
trascurata precauzione alcuna creduta necessaria a prevenire gli
oltraggi e i ladronecci. I Pari si assunsero la responsabilità di
ordinare ai soldati, che, ove la plebaglia tumultuasse di nuovo, le
facessero fuoco contro. Jeffreys fu condotto a Whitehall e
interrogato affinchè rivelasse ciò che era divenuto del Gran Sigillo
e dei decreti di convocazione. E pregando egli ardentemente, fu
rimandato alla Torre come unico luogo dove potesse avere salva la
vita. Si ritirò ringraziando e benedicendo coloro che gli avevano
conceduta la protezione del carcere. Un Nobile Whig propose di porre
in libertà Oates; ma la proposta venne respinta(1243).
Le faccende del giorno erano quasi sbrigate, e Halifax stava per
alzarsi dal seggio, quando gli fu annunziato essere giunto un
messaggiero da Sheerness. Non v'era cosa che potesse produrre più
perplessità o molestia. Fare o non far nulla importava incorrere in
grave responsabilità. Halifax, desiderando probabilmente acquistar
tempo per comunicare col Principe, avrebbe voluto differire la
sessione; ma Mulgrave pregò i Lordi a rimanere, e fece entrare il
messaggiero. Questi raccontò con molte lacrime il successo, consegnò
una lettera scritta di mano propria dal Re, la quale non era diretta
a nessuno, ma invocava lo aiuto di tutti i buoni Inglesi(1244).
VIII. Non era possibile porre in non cale un simigliante appello. I
Lordi ordinarono a Feversham corresse con una compagnia di Guardie
del Corpo al luogo dove il Re era arrestato e gli desse libertà.
Già Middleton ed altri pochi aderenti di Giacomo s'erano partiti per
soccorrere il loro sventurato signore. Lo trovarono tenuto in
istretta prigionia, sì che non fu loro concesso di essere introdotti
al cospetto di lui senza aver prima consegnate le spade. Il concorso
del popolo era immenso. Taluni gentiluomini Whig di quelle vicinanze
avevano condotto un numeroso corpo di milizie civiche per guardarlo.
Avevano erroneamente pensato che ritenendolo prigioniero si
acquisterebbero la grazia de' suoi nemici, e rimasero grandemente
conturbati allorchè seppero che il Governo Provvisorio di Londra
aveva disapprovato il modo onde il Re era stato trattato, e che era
presso a giungere una squadra di cavalleria per liberarlo. Difatti
Feversham non indugiò ad arrivare. Aveva lasciate le sue truppe in
Sittingbourne; ma non vi fu mestieri adoperare la forza. Il Re fu
lasciato partire senza ostacolo, e venne da' suoi amici condotto a
Rochester, dove prese un poco di riposo di cui aveva sommo bisogno.
Era in istato da fare pietà. Non solo aveva onninamente perturbato
lo intendimento, che per altro non era stato mai lucidissimo, ma
quel coraggio, ch'egli da giovane aveva mostrato in varie battaglie
di mare e di terra, lo aveva abbandonato. E' pare che le ruvide
fatiche corporali da lui adesso per la prima volta sostenute, lo
prostrassero più che ogni altro evento della travagliata sua vita.
La diserzione del suo esercito, de' suoi bene affetti, della sua
famiglia, lo toccava meno delle indegnità patite quando ei venne
arrestato in su la nave. La ricordanza di tali indegnità seguitò
lungo tempo a invelenirgli il cuore, e una volta fece cose da
muovere a scherno tutta la Europa. Nel quarto anno del suo esilio
tentò di sedurre i propri sudditi offrendo loro un'amnistia. Vi si
conteneva una lunga lista d'eccezioni, e in essa i poveri pescatori
che gli avevano sgarbatamente frugate le tasche erano notati accanto
ai nomi di Churchill e di Danby. Da ciò possiamo giudicare quanto
amaramente ei sentisse l'oltraggio pur dianzi sofferto(1245).
Nulladimeno, ove egli avesse avuto un poco di buon senso, si sarebbe
accorto che coloro i quali lo avevano arrestato, gli avevano, senza
saperlo, reso un gran servigio. Gli eventi successi dopo la sua
assenza dalla metropoli lo avrebbero dovuto convincere che, qualora
gli fosse riuscito fuggire, non sarebbe più mai ritornato. A suo
dispetto era stato salvato dal precipizio. Gli rimaneva un'altra
sola speranza. Per quanto gravi fossero i suoi delitti,
detronizzarlo mentre ei rimaneva nel Regno e mostravasi pronto ad
assentire ai patti che gl'imporrebbe un libero Parlamento, sarebbe
stato pressochè impossibile.
Per breve tempo egli parve propenso a rimanere. Spedì Feversham da
Rochester con una lettera a Guglielmo. La sostanza della quale era
che Sua Maestà già s'era messo in cammino per ritornare a Whitehall,
che desiderava avere un colloquio col Principe, e che il palazzo di
San Giacomo sarebbe apparecchiato per Sua Altezza(1246).
IX. Guglielmo era in Windsor. Aveva con profondo rincrescimento
saputi i fatti successi nella costa di Kent. Poco avanti che gliene
giungesse la nuova, coloro che gli stavano da presso avevano notato
ch'egli era d'insolito buon umore. Ed aveva ragione di star lieto.
Vedevasi dinanzi lo sguardo un trono vacante; parea che tutti i
partiti a una voce lo invitassero a salirvi. In un baleno la scena
cangiossi: l'abdicazione non era consumata; molti de' suoi stessi
fautori avrebbero scrupoleggiato a deporre un Re che rimanesse fra
loro, gl'invitasse ad esporre le loro doglianze in modo
parlamentare, e promettesse piena giustizia. Era uopo che il
Principe esaminasse le nuove condizioni in cui si trovava, e si
appigliasse a nuovo partito. Non vedeva alcuna via alla quale non si
potesse nulla obbiettare, nessuna via che lo ponesse in una
situazione vantaggiosa al pari di quella dove egli era poche ore
innanzi. Nondimeno qualche cosa poteva farsi. Il primo tentativo
fatto dal Re per fuggire non era riuscito: era sommamente da
desiderarsi ch'egli si ponesse di nuovo alla prova con migliore
successo. Bisognava impaurirlo e sedurlo. La liberalità usatagli
nelle pratiche d'accordo fatte in Hungerford, liberalità alla quale
egli aveva risposto rompendo la fede, adesso sarebbe intempestiva.
Bisognava non proporgli patti nessuni d'accomodamento; e
proponendone egli, rispondergli con freddezza; non usargli violenza,
e neanche minacce; e nondimeno non era impossibile, anco senza
siffatti mezzi, rendere un uomo cotanto pusillanime, inquieto della
propria salvezza. E allora, posto di nuovo l'animo nel solo pensiero
della fuga, era d'uopo facilitargliela, e procurare che qualche
zelante stoltamente non lo arrestasse una seconda volta.
X. Tale era il concetto di Guglielmo: e la destrezza e fermezza con
che lo mandò ad esecuzione offre uno strano contrasto con la demenza
e codardia dell'uomo con cui egli aveva da fare. Tosto gli si
presentò il destro d'iniziare un sistema d'intimidazione. Feversham
giunse a Windsor portatore della lettera di Giacomo. Il messaggiero
non era stato giudiciosamente scelto. Egli era quel desso che aveva
disciolto lo esercito regio. A lui principalmente imputavano la
confusione e il terrore della Notte Irlandese. Il pubblico ad alta
voce lo biasimava. Guglielmo, provocato, aveva profferito poche
parole di minaccia; e poche parole di minaccia uscite dalle labbra
di Guglielmo sempre significavano qualcosa. A Feversham fu detto
mostrasse il salvocondotto. Non ne aveva. Venendo senza esso
framezzo a un campo ostile, secondo le leggi della guerra, s'era
reso meritevol d'essere trattato con estrema severità. Guglielmo non
volle vederlo, e comandò che venisse arrestato(1247). Zulestein fu
tostamente spedito a riferire a Giacomo che Guglielmo non consentiva
il proposto colloquio, e desiderava che la Maestà Sua rimanesse in
Rochester.
Ma non era più tempo. Giacomo era già in Londra. Aveva esitato circa
al viaggio, e una volta si era nuovamente provato a fuggire
dall'isola. Ma infine cedè alle esortazioni degli amici ch'erano più
savi di lui, e partì alla volta di Whitehall. Vi arrivò il
pomeriggio di domenica, 16 dicembre. Temeva che la plebe, la quale
nella sua assenza aveva dato tanti segni della avversione che
sentiva contro il Papismo, gli facesse qualche affronto. Ma la
stessa violenza dell'ira popolare erasi calmata; la tempesta
abbonacciata. Gaiezza e compassione avevano succeduto al furore.
Nessuno mostravasi inchinevole a insultare il Re; qualche
acclamazione fu udita mentre il suo cocchio traversava la Città. Le
campane di alcune chiese suonarono a festa; furono accesi pochi
fuochi di gioia a onorare il suo ritorno(1248). La sua debole mente
pur dianzi oppressa dallo scoraggiamento dette in istravaganze a
cotesti inattesi segni di bontà e compassione mostrati dal popolo.
Giacomo entrò rinfrancato nel proprio palazzo, il quale subitamente
riprese il suo antico aspetto. I preti cattolici romani, che ne'
decorsi giorni s'erano frettolosamente nascosti ne' sotterranei e
nelle soffitte per scansare il furore della plebe, uscirono dai loro
luridi nascondigli chiedendo i loro antichi appartamenti in palazzo.
Un Gesuita recitava il rendimento di grazie alla mensa del Re. Il
vernacolo irlandese, allora il più odioso di tutti i suoni alle
orecchie inglesi, udivasi per tutti i cortili e le sale. Il Re
stesso aveva ripresa la sua vecchia alterigia. Tenne un Consiglio -
l'ultimo de' suoi Consigli - ed anche negli estremi cui era ridotto
convocò individui privi de' requisiti legali ad intervenirvi. Si
mostrò gravemente indignato contro quei Lordi, che nella sua assenza
avevano osato assumere il governo dello Stato. Era loro dovere
lasciare che la società si dissolvesse, le case degli Ambasciatori
venissero distrutte, Londra arsa, più presto che assumere le
funzioni ch'egli aveva creduto giusto abbandonare. Fra coloro che ei
così gravemente riprendeva, erano alcuni Nobili e Prelati, i quali a
dispetto di tutti i suoi errori gli erano rimasti costantemente
fedeli, e anche dopo questa altra provocazione non seppero, per
timore o speranza, indursi a prestare obbedienza ad altro
sovrano(1249). Ma tale coraggio presto gli venne meno. Era
egli appena entrato in palazzo allorquando gli fu detto che
Zulestein era pur giunto messaggiero del Principe. Zulestein espose
la fredda e severa ambasciata di Guglielmo. Il Re insisteva per
avere un colloquio col nepote. "Non mi sarei partito da Rochester"
disse egli "se avessi saputo tale essere il suo volere: ma da che
qui mi ritrovo, spero ch'ei voglia venire al palazzo di San
Giacomo." - "Debbo dire chiaramente alla Maestà Vostra" rispose
Zulestein "che Sua Altezza non verrà a Londra finchè vi rimarranno
soldati che non siano sotto gli ordini suoi." Il Re confuso a
siffatta risposta, ammutolì. Zulestein andonne via; e tosto entrò in
camera un gentiluomo recando la nuova dello arresto di
Feversham(1250). Giacomo ne rimase grandemente conturbato. Pure la
rimembranza de' plausi con che era pur dianzi stato accolto, gli
confortava l'animo. Gli sorse in cuore una stolta speranza. Pensò
che Londra, la quale da tanto tempo era stata il baluardo della
religione protestante e delle opinioni Whig, fosse pronta a prendere
le armi in difesa di lui. Mandò a chiedere al Municipio, se
s'impegnerebbe a difenderlo contro il Principe, qualora Giacomo si
recasse ad abitare nella Città. Ma il Municipio, che non aveva posto
in oblio la confisca de' suoi privilegi e lo assassinio giuridico di
Cornish, ricusò di dare la promessa richiesta. Allora il Re si sentì
nuovamente scorato. In qual luogo, diceva egli, troverebbe
protezione? Valeva lo stesso essere circondato dalle truppe olandesi
che dalle sue Guardie del Corpo. Quanto ai cittadini, adesso egli
comprese quanto valessero i plausi e le luminarie. Altro partito non
gli rimaneva che fuggire; e nondimeno vedeva bene che nessuna cosa
potevano tanto desiderare i suoi nemici, quanto la sua fuga(1251).
XI. Mentre egli siffattamente trepidava, in Windsor deliberavasi
intorno al suo fato. Adesso la corte di Guglielmo era
strabocchevolmente affollata di uomini illustri di tutti i partiti.
V'erano giunti la più parte de' capi della insurrezione delle
contrade settentrionali. Vari Lordi, i quali nell'anarchia de'
giorni precedenti si erano costituiti da sè in Governo provvisorio,
appena ritornato il Re, lasciata Londra, se n'erano andati al
quartier generale. Fra loro era anco Halifax. Guglielmo lo aveva
accolto con gran satisfazione, ma non aveva potuto frenare un
ironico sorriso vedendo lo ingegnoso e compito uomo politico, il
quale aveva ambito a farsi arbitro in quella grande contesa, essere
costretto ad abbandonare ogni via di mezzo e prendere un partito
deciso. Fra coloro che in questa congiuntura arrivarono a Windsor
erano alcuni che avevano con ignominiosi servigi comperata la grazia
di Giacomo, e adesso erano bramosi di scontare, tradendo il loro
signore, il delitto d'avere tradita la patria. Tale era Titus, che
aveva seduto in Consiglio in onta alle leggi, e s'era affaticato a
stringere i puritani co' Gesuiti in una lega contro la costituzione.
Tale era Williams, il quale, per cupidigia di guadagno, di demagogo
s'era fatto campione della regia prerogativa, e adesso era
prontissimo a commettere una seconda apostasia. Il Principe con
giusto dispregio lasciò che cotesti uomini si stessero vanamente
aspettando un'udienza alla porta del suo appartamento(1252).
Il lunedì, 17 dicembre, tutti i Pari che erano in Windsor furono
convocati a una solenne consulta da tenersi nel castello. Il
subietto delle loro deliberazioni era ciò che fosse da farsi del Re:
Guglielmo non reputò savio partito trovarsi presente alla
discussione. Ei si ritirò; ed Halifax fu posto sul seggio
presidenziale. I Lordi concordavano in una cosa sola, cioè non
doversi permettere che il Re rimanesse dove era. Unanimemente
estimavano dannoso che l'un principe si fortificasse in Whitehall, e
l'altro nel palazzo di San Giacomo, e che vi fossero due guarnigioni
nemiche in uno spazio di cento acri. Un tale provvedimento non
poteva mancare di far nascere sospetti, insulti, e battibecchi che
finirebbero forse col sangue. Per le quali ragioni i Lordi ingannati
crederono necessario mandar via Giacomo di Londra. Proposero qual
luogo convenevole Ham, che Lauderdale lungo la riva del Tamigi aveva
edificato con le ricchezze rubate in Iscozia e con la pecunia
datagli dalla Francia a corromperlo, e che era considerato come la
più magnifica delle ville. I Lordi, venuti a tale conclusione,
invitarono il Principe a recarsi fra loro. Halifax gli comunicò la
deliberazione. Guglielmo approvò. Fu scritto un breve messaggio da
spedirsi al Re. "E per chi glielo manderemo?" domandò Guglielmo.
"Non dovrebbe essergli recato" disse Halifax "da uno degli ufficiali
di Vostra Altezza?" - "No, milord," rispose il principe; "con vostra
licenza, il messaggio è spedito per consiglio delle Signorie Vostre;
dovrebbe quindi recarglielo alcuno di voi." Allora senza far sosta,
onde non si desse luogo a rimostranze, ei nominò messaggieri
Halifax, Shrewsbury e Delamere(1253).
Sembra che la deliberazione de' Lordi fosse unanime. Ma
nell'assemblea erano alcuni, che non approvavano affatto il
provvedimento ch'essi affettavano di approvare, e che desideravano
vedere usata verso il Re una severità che non rischiavansi a
manifestare. È cosa notevole che capo di questo partito era un Pari,
già stato Tory esagerato, che poscia non volle prestare giuramento a
Guglielmo: questo Pari era Clarendon. La rapidità onde in cotesta
crisi ei passò da uno all'altro estremo, parrebbe incredibile a
coloro che vivono in tempi di pace, ma non ne maraviglieranno coloro
i quali hanno avuto occasione di osservare il corso delle
rivoluzioni. Si avvide che l'asprezza con cui egli al regio cospetto
aveva censurato lo intero sistema del governo, aveva mortalmente
offeso il suo antico signore. Dall'altra parte, come zio delle
Principesse, poteva sperare d'ingrandirsi e arricchire nel nuovo
ordine di cose che già s'iniziava. La colonia inglese in Irlanda lo
teneva come amico e patrono; ed ei pensava che assai parte della
propria importanza riposava sulla fiducia e lo affetto di quella. A
tali considerazioni cederono i principii da lui con tanta
ostentazione per tutta la sua vita professati. Si recò dunque alle
secrete stanze del Principe e gli appresentò il pericolo di lasciare
il Re in libertà. I protestanti d'Irlanda essere in estremo
periglio. Uno solo il mezzo ad assicurare loro la roba e la vita,
tenere, cioè, Sua Maestà in istretta prigionia. Non essere prudente
rinchiuderlo in uno de' castelli della Inghilterra: ma potersi
mandarlo di là dal mare e chiuderlo nella fortezza di Breda finchè
fossero pienamente ricomposte le cose delle Isole Britanniche. Se
tanto ostaggio rimanesse nelle mani del Principe, Tyrconnel
probabilmente porrebbe giù la spada del comando, e senza strepito la
preponderanza inglese verrebbe ristabilita in Irlanda. Se dall'altro
canto Giacomo fuggisse in Francia, e si mostrasse a Dublino
accompagnato da un esercito straniero, ne nascerebbero gli effetti
più disastrosi. Guglielmo riconobbe la gravità di cotesti
ragionamenti: ma ciò non poteva farsi. Ei conosceva l'indole di sua
moglie, e sapeva bene ch'ella non avrebbe mai consentito. E
veramente non sarebbe stata per lui onorevole cosa trattare con
tanto rigore il vinto suocero. Nè poteva affermarsi come certo la
generosità non essere la più sana politica. Chi avrebbe potuto
prevedere lo effetto che la severità suggerita da Clarendon
produrrebbe nella opinione pubblica della Inghilterra? Era forse
impossibile che quello entusiasmo di lealtà, che il Re aveva
prostrato con la propria malvagia condotta, risorgesse appena si
sapesse egli essere entro le mura di una fortezza straniera? Per
queste ragioni Guglielmo si tenne fermissimo a non privare della
libertà il proprio suocero; e non è dubbio che ciò fosse savio
partito(1254).
Giacomo, mentre si discuteva intorno alla sua sorte, rimase in
Whitehall, affascinato, a quanto sembra, dalla grandezza e imminenza
del pericolo, e inetto a lottare o a fuggire. La sera giunse la
nuova che gli Olandesi avevano occupato Chelsea e Kensington. Il Re
nondimeno si apparecchiò a riposarsi secondo il consueto. Le guardie
dette Coldstream erano di servizio in palazzo. Le comandava
Guglielmo Conte di Craven, uomo vecchio, che cinquanta e più anni
prima si era reso famoso nelle armi e negli amori, aveva sostenuto a
Creutznach con tanto coraggio la disperata battaglia, che vuolsi il
gran Gustavo battendogli la spalla gli dicesse: Bravo! - e credevasi
che sopra mille rivali avesse conquistato il cuore della sventurata
Regina di Boemia. Craven adesso aveva ottant'anni, ma il suo spirito
non era per anche domo dal tempo(1255).
XII. Erano battute le ore dieci allorquando gli fu annunziato che
tre battaglioni di fanteria del Principe con alcune legioni di
cavalleria venivano giù pel lungo viale del Parco di San Giacomo con
micce accese, e prontissimi ad agire. Il Conte Solmes che comandava
gli stranieri disse avere ordine d'impossessarsi(1256) militarmente
dei posti attorno a Whitehall, ed esortò Craven a ritirarsi in pace.
Craven giurò di lasciarsi piuttosto tagliare a pezzi: ma come il Re,
che stavasi spogliando, seppe ciò che seguiva, vietò al valoroso
veterano di fare una resistenza che non poteva essere che vana.
Verso le ore undici le guardie Coldstream s'erano ritirate, e a
guardia di ogni angolo del palazzo vedevansi le sentinelle olandesi.
Alcuni de' servitori del Re chiesero se sarebbesi rischiato a
dormire circondato dagl'inimici. Rispose che essi non potevano
trattarlo peggio di quel che avevano fatto i suoi propri sudditi, e
con l'apatia di un uomo istupidito dalle sciagure andossene a letto
e si pose a dormire(1257).
XIII. Appena erasi fatto silenzio in palazzo quando esso fu
nuovamente interrotto. Poco dopo mezzanotte i tre Lordi giunsero da
Windsor. Middleton fu chiamato a riceverli. Gli dissero ch'erano
portatori d'un messaggio che non poteva differirsi. Il Re fu destato
dal suo primo sonno; ed essi furono introdotti nella sua camera da
letto. Gli posero nelle mani la lettera loro affidata, e gli dissero
che il Principe tra poche ore arriverebbe a Westminster, e che Sua
Maestà farebbe bene a partire per Ham avanti le ore dieci della
mattina. Giacomo fece qualche obiezione. Disse non piacergli Ham,
essere luogo gradevole in estate, ma freddo e privo di comodi a
Natale; oltre di che era senza mobilia. Halifax rispose che
sull'istante verrebbe ammobiliato. I tre messaggieri ritiraronsi, ma
furono subitamente seguiti da Middleton, il quale disse loro che il
Re preferirebbe Rochester ad Ham. Risposero non avere potestà di
consentire al desiderio della Maestà Sua, ma manderebbero tosto un
messo al Principe, il quale quella notte doveva alloggiare in Sion
House. Il messo partì immediatamente, e tornò innanzi l'alba recando
il consenso di Guglielmo; il quale lo diede di gran cuore:
imperciocchè non era dubbio che il Re avesse scelto Rochester come
luogo che offriva agevolezza a fuggire, e ch'egli fuggisse era ciò
che desiderava il suo genero(1258).
XIV. La mattina del dì 18 dicembre, giorno di pioggia e di procella,
il bargio del Re a buon'ora aspettava dinanzi le scale di Whitehall,
ed era circondato da otto o dieci barche ripiene di soldati
olandesi. Vari Nobili e gentiluomini accompagnarono il Re fino alla
riva. Dicesi, e può ben credersi, che piangessero: imperciocchè
anche i più zelanti amici della libertà non potevano vedere senza
commuoversi la trista e ignominiosa fine d'una dinastia che avrebbe
potuto essere sì grande. Shrewsbury fece quanto più potè per
consolare il caduto Sovrano. Perfino l'aspro ed esagerato Delamere
era intenerito. Ma fu notato che Halifax, che aveva sempre mostrata
tenerezza verso i vinti, in quel caso era meno compassionevole de'
suoi due colleghi. Aveva tuttavia l'anima invelenita dalla
rimembranza d'essere stato spedito ambasciatore da scherno a
Hungerford(1259).
Mentre il bargio reale lentamente procedeva su per le agitate onde
del fiume, lo esercito del Principe dall'occidente veniva arrivando
a Londra. Era stato saviamente ordinato che il servigio della
metropoli fosse fatto dai soldati britannici al soldo degli Stati
Generali. I tre reggimenti inglesi furono acquartierati dentro e
attorno alla Torre, i tre scozzesi in Southwark(1260).
XV. Malgrado il cattivo tempo una gran folla di popolo s'era
raccolta fra Albemarle House e il palazzo di San Giacomo per
plaudire al Principe. Tutti i cappelli e i bastoni erano ornati d'un
nastro colore di melarancia. Le campane suonavano per tutta Londra.
Le finestre erano tutte piene di candele per la luminara. Nelle
strade vedevansi cataste di legna e fascine per accendere fuochi di
gioia. Guglielmo nondimeno cui non garbava lo affollarsi e il
rumoreggiare della gente, passò traverso al Parco. Avanti notte
giunse al palazzo di San Giacomo in un cocchio leggiero,
accompagnato da Schomberg. In breve tutte le stanze e le scale del
palazzo furono popolate da coloro che erano accorsi a corteggiarlo.
E la folla era tanta, che personaggi d'altissimo grado non poterono
penetrare nella sala dove stavasi il Principe(1261).
Mentre Westminster era in cotesto concitamento, il Municipio in
Guildhall apparecchiava un indirizzo di ringraziamenti e
congratulazioni. Il Lord Gonfaloniere non potè presedere. Non aveva
mai più alzato il capo da letto sino dal giorno in cui il
Cancelliere travestito da carbonaio era stato trascinato alla sala
della giustizia. Ma gli Aldermanni e gli altri ufficiali del corpo
municipale erano ai loro posti. Il dì seguente i magistrati della
città recaronsi solennemente a complire il liberatore. La
gratitudine loro fu con eloquenti parole espressa dal cancelliere
Sir Giorgio Treby. Disse che alcuni Principi della Casa di Nassau
erano stati principali ufficiali d'una grande repubblica. Altri
avevano portata la corona imperiale. Ma il titolo peculiare di
questa illustre famiglia alla pubblica venerazione era che Dio
l'aveva eletta e consacrata all'alto ufficio di difendere il vero e
la libertà contro i tiranni di generazione in generazione. Il dì
stesso tutti i prelati che trovavansi in città, tranne Sancroft,
andarono in corpo al cospetto del Principe; quindi il clero di
Londra, cioè gli uomini più cospicui del ceto ecclesiastico per
dottrina, facondia e influenza, aventi a capo il loro Vescovo. Erano
fra loro alcuni illustri ministri dissenzienti, i quali Compton, a
suo sommo onore, trattò con segnalata cortesia. Pochi mesi avanti o
dopo, simigliante cortesia sarebbe stata da molti anglicani
considerata come tradigione verso la Chiesa. Anche allora un occhio
veggente poteva bene accorgersi che la tregua, alla quale le sètte
protestanti erano state costrette, non sarebbe lungamente
sopravvissuta al pericolo che l'aveva fatta nascere. Circa cento
teologi non conformisti, residenti nella capitale, presentarono un
indirizzo a parte. Furono introdotti da Devonshire ed accolti con
ogni segno di gentilezza e rispetto. Il ceto legale andò anch'esso a
fare omaggio; lo conduceva Maynard, il quale a novanta anni d'età
era forte di mente e di corpo come quando in Westminster Hall sorse
accusatore di Strafford. "Signore Avvocato" disse il Principe "voi
dovete avere sopravvissuto a tutti i legali vostri coetanei." - "Sì,
Altezza," rispose il vegliardo "e se non venivate voi sopravvivevo
anco alle leggi(1262)."
Ma comechè gl'indirizzi fossero molti e pieni di elogi, le
acclamazioni alte, le illuminazioni splendide, il palazzo di San
Giacomo troppo angusto per la folla de' corteggiatori, i teatri ogni
notte dalla platea al soffitto adorni di nastri colore di
melarancia, Guglielmo sentiva che le difficoltà della sua intrapresa
cominciavano allora. Aveva rovesciato un Governo, ma adesso doveva
compiere l'assai più difficile lavoro di ricostruirne un altro. Da
quando sbarcò a Torbay finchè giunse a Londra, aveva esercitata
l'autorità, che per le leggi della guerra, riconosciute da tutto il
mondo incivilito, appartiene al comandante d'un esercito nel campo.
Adesso era necessario mutare il suo carattere di generale in quello
di magistrato; e questa non era agevole impresa. Un solo passo falso
poteva esser fatale; ed era impossibile fare un solo passo senza
offendere pregiudicii e svegliare acri passioni.
XVI. Alcuni de' consiglieri del Principe lo incitavano a prendere a
un tratto la corona per diritto di conquista; e poi in qualità di Re
spedire muniti del proprio Gran Sigillo i decreti a convocare il
Parlamento. Molti insigni giureconsulti lo confortavano ad
appigliarsi a tale partito, dicendo essere quella la via più breve
di giungere dove, andandovi altrimenti, s'incontrerebbero
innumerevoli ostacoli e contese. Ciò era strettamente conforme al
felice esempio dato da Enrico VII dopo la battaglia di Bosworth.
Farebbe ad un tempo cessare gli scrupoli che molti spettabili uomini
sentivano quanto alla legalità di trasferire il giuramento di
fedeltà da un sovrano ad un altro. Nè la legge civile nè quella
della Chiesa Anglicana riconoscevano ne' sudditi il diritto di
detronizzare il Sovrano. Ma nessun giureconsulto, nessun teologo
negò mai che una nazione vinta in guerra, potesse senza peccato
sobbarcarsi al volere del Dio degli eserciti. Difatti dopo la
conquista caldea, i più pii e patriottici degli Ebrei non crederono
di mancare al proprio debito verso il Re loro, servendo lealmente il
nuovo signore dato loro dalla Provvidenza. I tre confessori, che
erano rimasti miracolosamente illesi nell'ardente fornace, tennero
altri uffici nella provincia di Babilonia. Daniele fu ministro dello
Assiro che soggiogò Giuda, e del Persiano che soggiogò l'Assiria.
Che anzi lo stesso Gesù, il quale secondo la carne era Principe
della Casa di David, comandando ai suoi concittadini di pagare il
tributo a Cesare, aveva voluto significare che la conquista
straniera annulla il diritto ereditario ed è titolo legittimo di
dominio. Era quindi probabile che un gran numero di Tory, quantunque
non potessero con sicura coscienza eleggersi un Re, accetterebbero
senza esitazione quello che gli eventi della guerra avevano dato
loro(1263).
Dall'altra parte, nondimeno, v'erano ragioni di grave momento. Il
Principe non poteva pretendere d'avere guadagnata la corona con la
propria spada senza bruttamente rompere la fede data. Nel suo
Manifesto aveva protestato contro ogni pensiero di conquistare la
Inghilterra; aveva asserito che coloro i quali gli attribuivano
siffatto disegno, calunniavano iniquamente non solo lui, ma tutti
quei Nobili e gentiluomini patriotti che lo avevano invitato; che le
forze da lui condotte erano evidentemente inadeguate(1264) ad una
impresa così ardua; e che era fermamente deliberato di portare
innanzi a un libero Parlamento tutte le pubbliche doglianze e le sue
proprie pretese. Non era equo nè saggio ch'ei per qualsiasi cosa
terrena rompesse la sua parola solennemente impegnata al cospetto di
tutta la Europa. Nè era certo che, chiamandosi conquistatore,
chetasse quegli scrupoli onde i rigidi Anglicani ripugnavano a
riconoscerlo Re. Imperocchè, in qualunque modo egli si chiamasse,
tutto il mondo sapeva ch'egli non era vero conquistatore. Era
manifestamente un'aperta finzione il dire che questo gran Regno, con
una potente flotta in mare, con un esercito stanziale di
quarantamila uomini, e con una milizia civica di centotrentamila
uomini, fosse stato, senza un solo assedio o una sola battaglia,
ridotto a condizione di provincia da quindicimila invasori. Non era
verosimile che cosiffatta finzione rasserenasse le coscienze
realmente scrupolose, mentre non mancherebbe di ferire l'orgoglio
nazionale ormai cotanto sensitivo e irritabile. I soldati inglesi
erano in tali umori che richiedevano d'essere con somma accortezza
governati. Sentivano che nella recente campagna non avevano
sostenuta una onorevolissima parte. I capitani e i soldati comuni
erano al pari impazienti di provare che non avevano per difetto di
coraggio ceduto a forze inferiori. Taluni officiali olandesi erano
stati tanto indiscreti da vantarsi, col bicchiere in mano dentro una
taverna, d'avere rinculata l'armata regia. Questo insulto aveva fra
le truppe inglesi suscitato un fermento, che ove non vi si fosse
prontamente immischiato Guglielmo, sarebbe forse finito in una
terribile strage(1265). Quale, in tali circostanze, poteva essere lo
effetto di un proclama che avesse annunziato il comandante degli
stranieri considerare l'isola intera come legittima preda di guerra?
Era anche da ricordarsi che, pubblicando un simigliante proclama, il
Principe avrebbe a un tratto abrogati tutti quei diritti de' quali
egli s'era dichiarato campione: perocchè l'autorità di un
conquistatore straniero non è circoscritta dalle costumanze e dagli
statuti della nazione conquistata, ma è in sè stessa dispotica. E
quindi Guglielmo o non poteva dichiararsi Re, o poteva dichiarare
nulle la Magna Charta e la Petizione dei Diritti, abolire il
processo dinanzi ai Giurati, e imporre tasse senza il consenso del
Parlamento. Poteva, a dir vero, ristabilire l'antica costituzione
del reame. Ma, ciò facendo, era provvedimento arbitrario. Quinci
innanzi la libertà dell'Inghilterra verrebbe fruita dai cittadini
con umiliante possesso; nè sarebbe, quale era stata fino allora,
un'antichissima eredità, ma un dono recente che il generoso signore,
da cui era stato ai suoi sudditi impartito, poteva ripigliare a suo
talento.
XVII. Guglielmo adunque dirittamente e con prudenza fece pensiero
d'osservare le promesse contenute nel suo Manifesto, e lasciare alle
Camere l'ufficio di riordinare il governo. Con tanto studio egli
schivò tutto ciò che potesse sembrare usurpazione, che non volle,
senza una qualche sembianza d'autorità parlamentare, avventurarsi a
convocare gli Stati del Regno, o dirigere il potere esecutivo nel
tempo in cui si facevano le elezioni. Nello Stato non v'era autorità
strettamente parlamentare: ma potevasi in poche ore mettere insieme
una assemblea alla quale la nazione portasse gran parte della
riverenza dovuta a un Parlamento. Poteva formarsi una Camera de'
numerosi Lordi spirituali e secolari che allora si trovavano in
Londra, e l'altra degli antichi membri della Camera de' Comuni e de'
Magistrati della Città. Tale disegno era ingegnoso e venne
prontamente mandato ad effetto. Fu intimato ai Pari di trovarsi pel
dì 21 dicembre al Palazzo di San Giacomo. Vi accorsero circa
settanta. Il Principe gli esortò considerassero le condizioni del
paese, e presentassero a lui il resultato delle loro deliberazioni.
Poco dopo comparve un annunzio, col quale invitavansi tutti i
gentiluomini che erano stati membri della Camera de' Comuni sotto il
regno di Carlo II, a presentarsi a Sua Altezza la mattina del dì 26.
Furono anche chiamati gli Aldermanni di Londra, e al Municipio fu
richiesto di mandare una deputazione(1266).
Taluni hanno spesso richiesto, in tono di rimprovero, il perchè lo
invito non fu mandato anche ai membri del Parlamento che l'anno
precedente era stato disciolto. La risposta è chiara. Uno de'
precipui aggravi de' quali la nazione querelavasi era il modo onde
era stato eletto quel Parlamento. La maggior parte de'
rappresentanti i borghi erano stati eletti da collegi elettorali
ordinati in un modo che veniva universalmente considerato illegale,
ed era stato biasimato dal Principe nel suo Manifesto. Lo stesso
Giacomo, poco innanzi la sua caduta, aveva assentito a rendere a'
Municipi le antiche franchigie. Guglielmo adunque sarebbe stato
incoerentissimo a sè stesso, qualora, dopo d'avere prese le armi col
fine di ricuperare i ritolti privilegi municipali, avesse
riconosciuto come legittimi rappresentanti delle città d'Inghilterra
individui eletti in onta a quei privilegi.
Sabato, il dì 22, i Lordi ragunaronsi nella consueta sala. Spesero
quel giorno a stabilire il modo di procedere. Elessero un
segretario; e non potendosi avere fiducia di nessuno de' dodici
giudici, invitarono alcuni de' più reputati avvocati per giovarsi
del loro consiglio nelle questioni legali. Deliberarono che nel
prossimo lunedì lo stato del Regno verrebbe preso in
considerazione(1267).
Lo intervallo fra la tornata del sabato e quella del lunedì fu tempo
d'ansietà e pieno d'avvenimenti. Un forte partito fra' Pari
vagheggiava tuttavia la speranza che la Costituzione e la religione
del Regno si potessero assicurare senza deporre il Re dal trono.
Costoro determinarono di mandargli un indirizzo supplicandolo
consentisse termini tali da far cessare il malcontento e i timori
suscitati dalla sua passata condotta. Sancroft, il quale, dopo il
ritorno del Re da Kent a Whitehall, non s'era più immischiato ne'
pubblici affari, in questa occasione uscì fuori del suo ritiro onde
porsi a capo dei realisti. Parecchi messaggieri furono spediti a
Rochester con lettere pel Re. Lo assicuravano che i suoi interessi
sarebbero strenuamente difesi, solo ch'egli in questo estremo
momento si persuadesse a rinunziare ai disegni cotanto dal suo
popolo aborriti. Alcuni spettabili Cattolici Romani gli tennero
dietro onde scongiurarlo, per amore della comune religione, non si
ostinasse in una vana contesa(1268).
Il consiglio era salutare; ma Giacomo non era in condizione da
seguirlo. Comunque avesse avuto sempre debole e tardo intendimento,
le donnesche paure e le puerili fantasie che gli agitavano l'anima,
glielo rendevano affatto inutile. Accorgevasi bene la sua fuga
essere la cosa che sopra tutto temevano gli amici e desideravano
gl'inimici suoi. E quando anco avesse corso pericolo di vita a
rimanere, l'occasione era tale ch'egli avrebbe dovuto reputare
infame il ritirarsi: imperocchè(1269) trattavasi di sapere se
egli e i posteri suoi dovessero regnare assisi sul trono avito, o
andare raminghi ed accattando in terra straniera. Ma nell'anima sua
ogni altro sentimento aveva ceduto al vigliacco timore di perdere la
vita. Alle calde preghiere e alle incontrastabili ragioni degli
agenti mandati a Rochester dagli amici suoi, egli dava una sola
risposta: la sua testa essere in pericolo. Invano gli assicuravano
tale sospetto essere privo di fondamento; il buon senso, ove non
fosse la virtù, dovere dissuadere il Principe d'Orange dalla colpa e
vergogna del regicidio e del parricidio, e molti, i quali non
consentirebbero a detronizzare il loro Sovrano mentre rimaneva
nell'isola, reputarsi per la sua diserzione sciolti dal loro debito
di fedeltà. Ma la paura vinse ogni altro sentimento. Giacomo risolvè
di partirsi; e gli era agevole farlo. Era trascuratamente guardato:
tutti avevano a lui libero accesso; navi pronte a far vela
trovavansi poco da lui distanti, e le barche potevano spingersi fino
al giardino della casa dove egli alloggiava. Se fosse stato savio,
le cure che davansi i suoi custodi a facilitargli la fuga, sarebbero
state sufficienti(1270) a convincerlo ch'egli avrebbe dovuto
rimanere colà dove era. E veramente la rete era così apertamente
tesa da non ingannare altri che uno stolto reso insano dal terrore.
XVIII. Il Re sollecitamente apparecchiò tutto per eseguire il
proprio disegno. La sera del sabato 22 assicurò alcuni de'
gentiluomini, i quali erano stati spediti da Londra portatori di
nuove e di consigli, che li avrebbe veduti la dimane. Andonne a
letto, levossi sul cadere della notte, e accompagnato da Berwick per
un uscio secreto scese, e andò, traversando il giardino, alla
spiaggia del Medway. Una piccola gondola stavasi ad aspettarlo. La
domenica all'alba i fuggenti erano sopra una barca da pescare che
scendeva giù pel Tamigi(1271). Il pomeriggio la nuova della
fuga giunse a Londra. I fautori del Re rimasero confusi. I Whig non
poterono frenare la gioia loro. La fausta notizia incoraggiò il
Principe a fare un ardito ed importante passo. Sapeva esservi
comunicazioni tra la Legazione Francese e il partito ostile a lui.
Era ben noto che quella Legazione s'intendeva maravigliosamente di
tutte le arti della corruzione; e mal poteva dubitarsi che in tanta
congiuntura non aborrirebbero di adoperare le pistole e ogni sorta
d'intrighi. Barillon sommamente desiderava di rimanere per pochi
altri giorni in Londra, e a tale scopo non aveva trascurata arte
alcuna a blandire i vincitori. Nelle strade abboniva il popolaccio,
che lo guardava in cagnesco, gettandogli dal cocchio pugni di
monete. A mensa beveva pubblicamente alla salute del Principe
d'Orange. Ma Guglielmo non era uomo da lasciarsi prendere all'amo da
tali moine. A dir vero, non erasi arrogato lo esercizio della regia
autorità; ma era Generale, e come tale non era tenuto a tollerare
nel territorio da lui militarmente occupato la presenza di un uomo
ch'egli credeva spione. Innanzi sera a Barillon fu intimato di
partirsi dalla Inghilterra entro ventiquattro ore. Pregò caldamente
gli si concedesse un breve indugio: ma i momenti erano preziosi;
l'ordine fu ripetuto in modo più perentorio, ed ei di mala voglia
partì per Dover. E perchè non vi mancasse nessuna dimostrazione di
spregio e di sfida, venne scortato fino alla costa da uno de' suoi
concittadini protestanti dalla persecuzione cacciati in esilio. Era
tanto il risentimento che nel cuore di tutti avevano suscitato
l'ambizione e l'arroganza francese, che perfino quegli Inglesi i
quali generalmente non inchinavano a guardare di buon occhio la
condotta di Guglielmo, altamente plaudirono allorchè lo videro
ritorcere con tanta energia la insolenza con che Luigi per tanti
anni aveva trattato ogni corte d'Europa(1272).
XIX. Il lunedì i Lordi adunaronsi di nuovo. Halifax venne eletto a
presiedere. Il Primate era assente, i realisti afflitti e scuorati,
i Whig ardenti ed animosissimi. Sapevasi che Giacomo partendo aveva
lasciata una lettera. Alcuni degli amici suoi proposero che fosse
deposta sul banco, vanamente sperando che contenesse cose tali da
apprestare la base ad un prospero accomodamento. A tale proposta fu
fatta e vinta la questione pregiudiciale. Godolphin, che era tenuto
per bene affetto al suo antico signore, profferì poche parole che
furono decisive. "Ho veduto lo scritto," disse egli "e mi duole il
dirvi che non contiene nulla che possa minimamente satisfare le
Signorie Vostre." E veramente non conteneva una sola parola di
pentimento de' passati errori, non speranza di non più ricadervi in
futuro, e di ciò che era accaduto dava la colpa alla malizia di
Guglielmo e alla cecità d'una nazione ingannata dagli speciosi nomi
di proprietà e religione. Nessuno tentò di proporre di aprire
pratiche d'accordo con un Principe che pareva reso più ostinato nel
male dalla rigorosa scuola dell'avversità. Si disse qualcosa sul
fare inchieste intorno alla nascita del Principe di Galles; ma i
Pari Whig trattarono la cosa con isdegno. "Non mi aspettava,
Milordi," esclamò Filippo Lord Wharton, vecchia Testarotonda che
aveva comandato un reggimento contro Carlo I in Edgehill, "non mi
aspettava di udire alcuno in questo giorno rammentare il fanciullo
cui fu dato il nome di Principe di Galles; e spero che ormai sia
rammentato per l'ultima volta." Dopo lungo discutere fu deliberato
di presentare due indirizzi a Guglielmo. In uno lo pregavano di
assumersi provvisoriamente l'amministrazione del governo; nell'altro
lo esortavano a invitare con lettere circolari munite della sua
propria firma tutti i collegi elettorali del Regno a inviare i loro
rappresentanti a Westminster. Nel tempo stesso i Pari assumevano lo
incarico di emanare un ordine perchè tutti i Papisti, salvo pochi
individui privilegiati, fossero banditi da Londra e dalle
vicinanze(1273).
I Lordi presentarono i loro indirizzi al Principe il dì susseguente,
senza attendere l'esito delle deliberazioni de' Comuni da lui
convocati. E' sembra che i Nobili ereditari in questo momento
fossero ansiosissimi di far mostra della dignità loro, e non erano
inchinevoli a riconoscere uguale autorità in una assemblea non
riconosciuta dalla legge. Pensavano d'essere una vera Camera di
Lordi; l'altra disprezzavano come illusoria Camera di Comuni.
Guglielmo, nondimeno, saviamente disse di non volere nulla decidere
finchè non conoscesse l'opinione de' gentiluomini, i quali per
l'innanzi erano stati onorati della fiducia delle Contee e delle
città d'Inghilterra(1274).
XX. I Comuni ch'erano stati chiamati adunaronsi nella Cappella di
Santo Stefano e formarono un'assemblea numerosa. Posero sul seggio
presidenziale Enrico Powle, già rappresentante di Cirencester in
vari Parlamenti, e de' principali propugnatori della Legge
d'Esclusione.
Furono proposti e approvati indirizzi simili a quelli dei Lordi. Non
vi fu differenza d'opinioni sopra alcuna questione di grave momento;
ed alcuni deboli tentativi fatti a suscitare discussioni sopra
materie di forma, incontrarono universale disprezzo. Sir Roberto
Sawyer(1275) disse di non potere intendere in che modo il Principe
potesse amministrare il governo senza alcun titolo speciale, come
sarebbe Reggente o Protettore. Il vecchio Maynard il quale, come
giureconsulto, non aveva chi gli stesse a fronte, e che anche aveva
somma pratica della tattica delle rivoluzioni, non ebbe cura di
frenare il proprio sdegno contro una obiezione così puerile, fatta
in un momento in cui la concordia e la prontezza erano della più
alta importanza. "Noi staremo qui un secolo" disse egli "se
rimarremo finchè Sir Roberto intenda come la cosa sia possibile."
L'assemblea reputò la risposta degna del cavillo che l'avea
provocata(1276).
XXI. Le deliberazioni dell'adunanza furono comunicate al Principe;
il quale annunziò che oramai cederebbe alla richiesta delle due
Camere, e spedirebbe lettere di convocazione per ragunare una
Convenzione degli Stati del Reame, e finchè non fosse ragunata,
eserciterebbe egli il potere esecutivo(1277).
Ei s'era accinto a non lieve impresa. Il Governo era onninamente
sossopra. I Giudici di Pace avevano abbandonate le loro funzioni.
Gli ufficiali della pubblica rendita avevano cessato di riscuotere
le tasse. L'armata disciolta da Feversham era ancora in confusione e
pronta ad ammutinarsi. La flotta non era in meno tristi condizioni.
Gli ufficiali militari e civili della Corona erano creditori di
grosse somme per paghe arretrate; e nello Scacchiere altro non era
che quarantamila lire sterline. Il Principe con somma energia si
pose a rifare l'ordine. Pubblicò un proclama che esortava tutti i
magistrati a continuare ne' loro uffici, e un altro in cui ordinava
la riscossione delle imposte(1278).
Il nuovo riordinamento dello esercito con rapidità procedeva. Molti
de' Nobili e gentiluomini cui Giacomo aveva tolto il comando de'
reggimenti inglesi furono richiamati. Fu trovato modo a impiegare le
migliaia di soldati irlandesi da Giacomo fatti venire in
Inghilterra. Non potevano in sicurtà rimanere in un paese dove essi
erano segno alla animosità nazionale e religiosa. Non potevano con
sicurtà mandarsi a casa loro per afforzare l'armata di Tyrconnel. Fu
quindi provveduto di spedirli sul continente, dove, sotto il
vessillo di Casa d'Austria, potevano riuscire d'indiretta ma
efficace utilità alla causa della costituzione inglese e della
religione protestante. Dartmouth fu destituito; e promettendo ad
ogni marinaio prontamente la paga dovutagli, la flotta riconciliossi
a Guglielmo. La città di Londra imprese ad appianargli le difficoltà
di finanza. Il Consiglio Municipale, con voto unanime, s'impegnò a
procurargli duecento mila lire sterline. E fu considerato come gran
prova della opulenza e del patriottismo dei mercatanti della
metropoli il trovare in quarantotto ore la intera somma senza altra
guarentigia che la parola del Principe. Poche settimane innanzi
Giacomo non aveva potuto procurarsi una somma assai minore, ancorchè
avesse offerto di pagare frutti più alti, e dare in pegno beni di
molto pregio(1279).
XXII. In pochissimi giorni lo sconvolgimento prodotto dalla
invasione, dalla insurrezione, dalla fuga di Giacomo e dalla
sospensione d'ogni regolare governo, era finito, e il paese aveva
ripreso il consueto aspetto. Regnava universale sentimento di
sicurezza. Anche le classi maggiormente esposte all'odio pubblico, e
che avevano maggiore ragione a temere una persecuzione, furono
protette dalla accorta clemenza del vincitore. Individui
profondamente implicati negli illegali atti dello antecedente regno,
non solo passeggiavano sicuri per le vie, ma profferivansi candidati
alla Convenzione. Mulgrave non fu accolto di mala grazia al palazzo
di San Giacomo. A Feversham, sprigionato, fu permesso di riprendere
l'unico ufficio pel quale aveva i debiti requisiti, cioè quello di
tenere la banca al giuoco della bassetta in casa della Regina
vedova. Ma non vi fu classe del popolo che avesse tanta cagione di
sentire gratitudine per Guglielmo al pari de' Cattolici Romani. Non
sarebbe stato savio partito abrogare formalmente i severi
provvedimenti fatti da' Pari contro i credenti d'una religione
generalmente aborrita dalla nazione: ma tali provvedimenti vennero
praticamente annullati mercè la prudenza ed umanità del Principe.
Marciando da Torbay alla volta di Londra aveva dato ordine di non
recar danno alle persone e alle abitazioni de' papisti. Adesso
rinnovò tali ordini, e ingiunse a Burnet gli facesse rigorosamente
eseguire. Non poteva fare migliore scelta, imperciocchè Burnet era
uomo di tanta generosità e buona indole, che il suo cuore era sempre
aperto agl'infelici; e nel tempo medesimo il suo ben noto odio
contro il papismo era pei più fervidi protestanti sufficiente
sicurtà che gl'interessi della religione loro non correrebbero il
minimo rischio nelle mani di lui. Ascoltava cortesemente le querele
de' Cattolici Romani, procurava il passaporto a tutti coloro che
amavano meglio andarsene di là dal mare, e si recò da sè a Newgate
per visitare i prelati ivi rinchiusi. Ordinò che venissero
trasferiti in più comode stanze, e serviti con ogni riguardo. Gli
assicurò solennemente che non verrebbe loro torto un capello, ed
appena il Principe fosse in condizione da agire secondo che
desiderava, gli avrebbe posti in libertà. Il Ministro di Spagna
riferì al proprio Governo, e per mezzo di questo al Papa, che nessun
Cattolico poteva sentire scrupolo di coscienza a cagione della
recente rivoluzione della Inghilterra; che de' pericoli, ai quali i
credenti nella vera Chiesa trovavansi esposti, il solo Giacomo era
responsabile, e che il solo Guglielmo li aveva salvati da una
sanguinosa persecuzione(1280).
XXIII. E però con quasi piena soddisfazione i Principi della Casa
d'Austria e il Sommo Pontefice sentirono che il lungo vassallaggio
della Inghilterra era finito. Come si seppe in Madrid che Guglielmo
andava a vele gonfie nella sua intrapresa, un solo nel consiglio di
Stato di Spagna osò esprimere il proprio rincrescimento al vedere
come un fatto, che politicamente considerato era faustissimo,
sarebbe stato dannoso agl'interessi della vera Chiesa(1281).
Ma la tollerante politica del Principe prestamente quietò tutti gli
scrupoli, e il suo inalzamento non fu veduto con minore satisfazione
dai bacchettoni Grandi di Spagna, che dai Whig inglesi.
Con assai diverso sentimento la nuova di questa grande rivoluzione
fu accolta in Francia. In un solo giorno la politica d'un regno
lungo, pieno di vicissitudini e glorioso, restò sconcertata.
Inghilterra era di nuovo la Inghilterra d'Elisabetta e di Cromwell;
e le relazioni di tutti gli Stati della Cristianità furono
pienamente cangiate dalla repentina intromissione di questo nuovo
potentato nel sistema europeo. I Parigini non sapevano d'altro
discorrere se non di ciò che seguiva in Londra. Il sentimento
nazionale e religioso spingevali a parteggiare per Giacomo. Non
sapevano un jota della costituzione inglese. Abbominavano la Chiesa
Anglicana. La nostra rivoluzione pareva loro non il trionfo della
libertà sopra la tirannide, ma una orrenda tragedia domestica, nella
quale un venerabile e pio Servio veniva tratto giù dal trono da un
Tarquinio, e schiacciato dalle ruote del cocchio d'una Tullia.
Gridavano vergogna ai capitani traditori, esecravano le snaturate
figliuole, e sentivano per Guglielmo profondo disgusto, comecchè
temperato dal rispetto che il valore, la capacità, e i prosperi
successi sogliono ispirare(1282). La Regina, sotto la sferza del
notturno vento e della pioggia, stringendo al petto il parvolo erede
di tre corone, il Re arrestato, derubato, e oltraggiato da uomini
ribaldi, erano cose che destavano commiserazione e romanzesco
interesse nel cuore di tutti i Francesi. Ma Luigi fu quegli che
provò particolari emozioni vedendo le calamità della Casa Stuarda.
Si sentì ridestare nell'anima lo egoismo e la generosità tutta
dell'indole sua. Dopo molti anni di prosperità egli aveva finalmente
dato in un grave inciampo. Aveva calcolato sopra lo aiuto o la
neutralità della Inghilterra; e adesso non poteva altro da quella
aspettarsi che energica e pertinace ostilità. Parecchi giorni
innanzi avrebbe non senza ragione potuto sperare di soggiogare le
Fiandre e dettare la legge alla Germania; e adesso si reputerebbe
fortunato ove potesse difendere i confini del Regno contro una lega
da lunghissimi anni non più veduta in Europa. Da questa cotanto
nuova, impacciosa e pericolosa posizione, null'altro che una
controrivoluzione o una guerra civile nelle Isole britanniche poteva
liberarlo. Per le quali cose ambizione e paura lo spingevano ad
abbracciare la causa della caduta dinastia. Ed è giusto il dire che
a ciò fare lo movevano anche sentimenti più nobili che l'ambizione e
il timore non fossero. Il suo cuore era naturalmente
compassionevole, e le sciagure di Giacomo erano tali da svegliare
tutta la compassione di Luigi. Le circostanze in cui egli erasi
trovato avevano impedito il libero corso ai suoi buoni sentimenti.
La simpatia rade volte è vigorosa dove è grande ineguaglianza di
condizioni; ed egli s'era tanto alto levato sopra gli altri uomini,
che le loro miserie gli destavano in cuore una tepida pietà, quale
sarebbe quella che noi proviamo ai patimenti degli animali
inferiori, d'un pettirosso affamato o d'un spedato cavallo da posta.
La devastazione del Palatinato e la persecuzione degli Ugonotti non
gli avevano quindi turbato l'animo in guisa, che tosto non glielo
mettessero in calma l'orgoglio e la bacchettoneria. Ma si sentì
destare nell'anima tutta la tenerezza di cui egli era capace,
vedendo la miseria di un gran Re, che pochi giorni innanzi era stato
servito in ginocchio da grandi Signori, e che adesso era esule e
mendico. A questo sentimento di tenerezza era commista una vanità
non ignobile. Voleva dare al mondo un esempio di munificenza e
cortesia. Voleva mostrare all'umanità quale dovrebbe essere il
contegno di un perfetto gentiluomo in altissimo stato e in una
solenne congiuntura; e, a vero dire, ei si condusse da uomo
cavallerescamente urbano e generoso, sì che di altro esempio non si
onoravano gli annali della Europa dal tempo in cui il Principe Nero
si stette in piedi dietro la sedia del Re Giovanni a cena nel campo
di Poitiers.
XXIV. Appena si seppe in Versailles che la Regina d'Inghilterra era
approdata in Francia, le venne apparecchiato un palazzo. Furono
spediti cocchi e compagnie di Guardie por istarsi agli ordini di
lei. Perchè ella potesse comodamente viaggiare, si fe' racconciare
la strada di Calais. A Lauzun non solo fu, a riguardo di lei,
concesso perdono delle colpe passate, ma egli ebbe l'onore d'una
lettera amichevole scritta di mano di Luigi. Maria faceva cammino
alla volta della corte francese, allorquando giunse la nuova che il
suo marito, dopo un procelloso viaggio, era sbarcato a salvamento
presso il piccolo villaggio d'Ambleteuse. Personaggi d'alto grado
furono tosto spediti da Versailles a compirlo e servirgli di scorta.
Frattanto Luigi, accompagnato dalla sua famiglia e da' suoi Nobili,
uscì in solenne corteo a ricevere l'esule Regina. Il suo cocchio
sontuoso era preceduto dagli alabardieri svizzeri. Lo fiancheggiava
di qua o di là il corpo delle Guardie a cavallo sonando i cimbali e
le trombe. Dietro il Re in cento carrozze, ciascuna tirata da sei
cavalli, veniva la più splendida aristocrazia che fosse in Europa,
tutta piume, nastri, gioie e ricami. La processione non aveva fatto
molto cammino quando fu annunziato che Maria appressavasi. Luigi
scese dal cocchio, e a piedi le andò incontro. Ella diede in uno
scoppio di passionate espressioni di gratitudine. "Madama," disse il
Re di Francia" egli è un tristo servigio quello che oggi vi rendo.
Spero che in futuro io possa rendervene di maggiori e più
piacevoli." Così dicendo, baciò il pargoletto Principe di Galles, e
fece sedere alla sua destra la Regina nel cocchio reale. Allora la
cavalcata si volse verso Saint-Germain.
Quivi nella estremità d'una foresta popolata di belve da caccia, e
in cima a un colle che sovrasta al tortuoso corso della Senna,
Francesco I aveva edificato un castello, ed Enrico IV una magnifica
terrazza. Di tutte le magioni de' Re di Francia, in nessuna si
respirava aria più salubre e godevasi un più ameno spettacolo. La
grandezza e vetustà veneranda degli alberi, la beltà de' giardini,
l'abbondanza delle acque erano in gran fama. Ivi Luigi XIV era nato,
e nei suoi giovani anni ivi avea tenuta la sua corte, aveva aggiunti
vari padiglioni alla magione di Francesco, e finita la terrazza di
Enrico. Nonostante, presto il Re provò inesplicabile disgusto pel
luogo dove era nato. Ei lasciò Saint-Germain per trasferirsi a
Versailles, e spese somme pressochè favolose nel vano sforzo di
creare un paradiso in un luogo singolarmente sterile e insalubre,
tutto sabbia e fango, senza boschi, senza acqua e senza caccia.
Saint-Germain adunque fu scelto per abitazione della reale famiglia
d'Inghilterra. Vi era stata in fretta trasportata sontuosa mobilia.
Le stanze pel Principe di Galles erano state provvedute d'ogni cosa
necessaria ai bisogni d'un pargolo. Uno de' servi presentò alla
Regina la chiave di un ricco scrigno che trovavasi nello
appartamento di lei. Ella lo aprì, e vi trovò dentro seimila luigi
d'oro.
XXV. Il dì susseguente Giacomo arrivò a Saint-Germain. Vi era Luigi
a riceverlo. Lo sventurato esule gli fece un sì profondo inchino che
pareva volesse abbracciare le ginocchia del suo protettore. Luigi
sollevatolo, abbracciollo con fraterna tenerezza. I due Re entrarono
in camera della Regina. "Ecco qui un gentiluomo" le disse Luigi "che
voi gradirete di vedere." Quindi dopo avere pregato il suo ospite a
volere pel dì prossimo visitare Versailles, e concedergli il piacere
di mostrargli gli edificii, le pitture, e le piantagioni, prese
commiato, senza cerimonie, quasi fossero vecchi amici.
Dopo poche ore agli sposi reali venne annunziato che per tutto il
tempo ch'essi farebbero al Re di Francia il favore di accettarne
l'ospitalità, verrebbe loro pagata dal suo tesoro l'annua somma di
quarantacinquemila lire sterline. Diecimila ne furono subito date
loro per le spese d'installazione.
La liberalità di Luigi fu non per tanto molto meno rara e ammirevole
della squisita delicatezza con che ei si affaticò ad addolcire le
amarezze de' suoi ospiti ed alleggiare il quasi intollerabile peso
degli obblighi che addossava loro. Egli, che fino allora nelle
questioni di precedenza era stato fastidioso, litigioso, insolente,
che s'era più volte mostrato pronto a gettare la Europa in guerra
più presto che cedere nel più frivolo punto d'etichetta, adesso fu
puntiglioso contro sè stesso, ma puntiglioso per i suoi sventurati
amici. Ordinò che Maria fosse trattata con tutti i segni di rispetto
onde era stata trattata la defunta sua moglie. Fu discusso se i
Principi della Casa di Borbone avessero diritto di sedersi in
presenza della Regina. Simiglianti inezie erano cose gravi
nell'antica Corte di Francia. V'erano esempi pro e contra: ma Luigi
decise la questione contro il proprio sangue. Alcune dame
d'altissimo grado trascurarono la cerimonia di baciare il lembo
della veste di Maria. Luigi notò la omissione, e con voce tale e con
tale sguardo, che tutte le dame di corte da quel giorno mostraronsi
sempre pronte a baciarle il piede. Allorquando l'Ester, pur allora
scritta da Racine, venne rappresentata in Saint-Cyr, Maria occupò il
seggio d'onore. Giacomo le sedeva a destra. Luigi modestamente le si
assise a sinistra. Anzi ei consentì che nel suo proprio palazzo un
esule, il quale viveva della sua generosità, assumesse il titolo di
Re di Francia, e come Re di Francia inquartasse i gigli co' lioni
inglesi, e come Re di Francia ne' giorni in che la corte prendeva il
lutto, vestisse abito di colore violetto.
Il contegno de' Nobili francesi in pubblico prendeva norma dal
Sovrano, ma non era possibile impedire che essi liberamente
pensassero ed esprimessero i loro pensieri nelle conversazioni
private, con la pungente e delicata arguzia che forma il carattere
della nazione e del ceto loro. Di Maria pensavano favorevolmente. La
trovavano piacente di persona e dignitosa nel portamento. Ne
veneravano il coraggio e lo affetto di madre, e ne commiseravano la
sinistra fortuna. Ma per Giacomo sentivano estremo dispregio. Non
potevano patire la sua insensibilità, il modo freddo onde egli
discorreva con chi che si fosse della propria rovina, e il
fanciullesco diletto che prendeva della pompa e del lusso di
Versailles. Attribuivano questa strana apatia, non a filosofia o
religione, ma a stupidità e abiettezza d'animo, e notarono come
nessuno che aveva avuto l'onore d'ascoltare dalla bocca di Sua
Maestà Britannica il racconto dello proprie vicissitudini si
maravigliasse di vedere lui in Saint-Germain e il suo genero nel
palazzo di San Giacomo(1283).
XXVI. Nelle Province Unite la commozione prodotta dalle nuove giunte
d'Inghilterra era anche maggiore che in Francia. Era quello il tempo
in cui la Batava Federazione era pervenuta al più alto fastigio di
gloria e potenza. Dal giorno in cui la spedizione fece vela tutta la
nazione olandese era stata in preda a somma ansietà. Le chiese non
erano mai state come allora popolate di gente. I predicatori non
avevano mai arringato con maggiore veemenza. Gli abitanti dell'Aja
non poterono frenarsi dallo insultare Albeville. La sua casa era
giorno e notte sì strettamente circondata dalla plebaglia, che
nessuno rischiavasi a visitarlo; ed egli temeva non appiccassero
fuoco alla sua cappella(1284). Ad ogni corriere che giungeva recando
nuove dello avanzarsi del Principe, i suoi concittadini si sentivano
rincuorati; e allorquando si seppe ch'egli, cedendo allo invito
fattogli dai Lordi e dall'Assemblea de' Comuni, aveva assunto il
potere esecutivo, tutte le fazioni olandesi proruppero in un grido
universale di gioia e d'orgoglio. Sollecitamente fu spedita
un'ambasceria straordinaria a recargli le congratulazioni della
madre patria. Uno degli ambasciatori era Dykvelt, uomo in quella
occasione di non poca utilità per la destrezza, e per la profonda
scienza ch'egli aveva della politica inglese; e gli fu dato per
collega Niccola Witsen, Borgomastro d'Amsterdam, il quale sembra
essere stato scelto a fine di provare a tutta Europa che la lunga
contesa tra la Casa d'Orange e la città principale della Olanda era
cessata. Il dì 8 gennaio Dykwelt e Witsen si presentarono a
Westminster. Guglielmo favellò loro con franchezza e cordialità tali
che rare volte ei mostrava conversando con gl'Inglesi. Le sue prime
parole furono queste: "Bene! e che cosa dicono ora gli amici a casa
nostra?" E veramente il solo plauso che parve forte commuovere la
stoica indole di lui, fu quello della terra natia. Della immensa
popolarità ch'egli godeva in Inghilterra, parlò con freddo sdegno, e
predisse con troppa verità la reazione che ne sarebbe seguita. "Qui"
disse egli "oggi dappertutto si grida Osanna, e forse domani si
griderà Crucifige"(1285)
XXVII. Il dì appresso furono eletti i primi membri della
Convenzione. La città di Londra diede lo esempio, e senza contesa
elesse quattro ricchi mercatanti caldissimi Whig. Il Re e i suoi
fautori avevano sperato che molti ufficiali de' collegi elettorali
considererebbero come nulla la lettera del Principe; ma fu vana
speranza. Le elezioni procederono rapidamente e senza intoppo. Non
vi fu quasi ombra di contesa: imperocchè la nazione per più d'un
anno aveva sempre aspettato l'apertura delle Camere. I decreti di
convocazione erano stati due volte emessi e due revocati. Alcuni
collegi elettorali, per virtù di tali decreti, avevano già eletto i
loro rappresentanti. Non v'era Contea nella quale i gentiluomini e i
borghesi non avessero, molti mesi prima, posto l'occhio sopra
candidati buoni protestanti, ad eleggere i quali dovevasi fare ogni
sforzo in onta ai voleri del Re e ai raggiri del Lord Luogotenente;
e questi candidati ora vennero generalmente eletti senza
opposizione.
Il Principe diede rigorosi ordini che nessuno ufficiale pubblico in
questa occasione adoperasse quelle arti che avevano recato tanto
disonore al cessato Governo. Comandò in ispecie che nessun soldato
osasse mostrarsi nelle città nelle quali facevansi le
elezioni(1286). I suoi ammiratori poterono vantare, e i suoi nemici
sembra non potessero negare, che gli elettori esprimessero
liberamente la propria opinione. Vero è ch'egli rischiava poco. Il
partito a lui bene affetto era trionfante e pieno d'entusiasmo, di
vita e d'energia. Quello da cui poteva aspettarsi seria opposizione
era disunito e scorato, stizzito con sè stesso, e anco più stizzito
col proprio capo. La maggior parte, quindi, delle Contee e de'
borghi elessero rappresentanti Whig.
XXVIII. E' non fu sopra la sola Inghilterra che Guglielmo estese la
sua tutela. La Scozia era insorta contro i suoi tiranni. Tutti i
soldati regolari, i quali l'avevano lungamente tenuta in freno,
erano stati richiamati da Giacomo per soccorrerlo contro gl'invasori
olandesi, tranne un piccolo presidio, che sotto il comando del Duca
di Gordon, gran signore cattolico, stavasi nel castello d'Edimburgo.
Ogni corriere che era andato nelle contrade settentrionali nel mese
di novembre, mese così pieno di vicende, aveva recato nuove che
concitavano le passioni degli oppressi Scozzesi. Finchè era ancor
dubbio l'esito delle operazioni militari, in Edimburgo accaddero
subugli e clamori che si fecero più minacciosi dopo la ritirata di
Giacomo da Salisbury. Gran torme di gente ragunavansi primamente di
notte, poi di giorno. Bruciavano le immagini del papa; chiedevano
clamorosamente un libero Parlamento: si videro attaccati ai muri de'
cartelli dove le teste de' ministri della Corona erano messe a
prezzo. Fra costoro il più detestato era Perth, come colui ch'era
Cancelliere, godeva altamente il regio favore, era apostata della
fede riformata, e il primo che aveva nelle leggi penali della patria
introdotto il ferreo strumento per macerare le dita. Era uomo privo
di vigore, e d'animo abietto; e il solo coraggio ch'egli avesse era
la sfrontatezza che sfida la infamia, e assiste senza commuoversi
agli altrui tormenti. In quel tempo era capo del Consiglio; ma,
venutogli meno l'animo, abbandonò il proprio posto, e a fuggire ogni
pericolo, - secondo che giudicava dagli sguardi e dalle grida del
feroce popolaccio, - di Edimburgo, - ritirossi a una sua villa che
sorgeva non lontana dalla città. Si fece accompagnare a Castle
Drummond da una numerosa guardia; ma, appena partito lui, la città
insorse. Pochi soldati provaronsi di reprimere la insurrezione, ma
furono vinti. Il palazzo di Holyrood(1287), che era stato
trasformato in seminario e tipografia cattolica romana, fu preso
d'assalto e saccheggiato. Libri papalini, rosari, crocifissi e
pitture furono accatastati e arsi in High Street. Framezzo a tanta
agitazione giunse la nuova della fuga del Re. I membri del Governo
deposero ogni pensiero di contendere col furore popolare, e mutarono
partito con quella prontezza allora comune fra i politici scozzesi.
Il Consiglio Privato con un proclama ordinò il disarmo di tutti i
papisti, e con un altro invitò i protestanti a collegarsi per la
difesa della religione pura. La nazione non aveva aspettato lo
invito. Città e campagna erano già in arme a favore del Principe
d'Orange. Nithisdale e Clydesdale erano le sole regioni in cui fosse
ombra di speranza che i cattolici romani farebbero testa; ed
entrambe furono occupate da bande di presbiteriani armati. Fra
gl'insorti erano alcuni cupi e feroci uomini, i quali, già stati
infidi ad Argyle, ora erano egualmente pronti ad esserlo a
Guglielmo. Dicevano Sua Altezza essere uomo maligno; non una parola
della Convenzione nel suo Manifesto; gli Olandesi, gente con la
quale nessun vero servo di Dio poteva concordare, essere in lega co'
Luterani, e un Luterano, al pari d'un Gesuita, essere figlio del
demonio. Ma la voce universale di tutto il Regno vinse lo sconcio
gracidare di cotesta odiata fazione(1288).
Il concitamento in breve giunse fino alle vicinanze di Castle
Drummond. Perth conobbe di non essere sicuro nè anche fra' suoi
propri servi e fittajuoli. Si abbandonò a quel disperato dolore in
cui la sua cruda tirannia aveva spesso gettato uomini migliori di
lui. Si provò di cercare conforto ne' riti della sua novella Chiesa.
Importunava i preti a confortarlo, pregava, si confessava, si
comunicava: ma la sua fede era sì debole ch'egli affermò che,
malgrado tutte le sue divozioni, era straziato dal terrore della
morte. Intanto seppe che potea fuggire sopra un vascello che stavasi
di faccia a Brentisland. Travestitosi come meglio potè, dopo un
lungo e difficile cammino per non frequentati sentieri su per i
monti d'Ochill, che allora erano coperti di neve, gli venne fatto
d'imbarcarsi: ma, non ostante tutte le sue cautele, era stato
riconosciuto, e il grido della scoperta s'era in un baleno
propalato. Come si seppe che il crudo rinnegato era in mare ed aveva
seco dell'oro, taluni incitati dall'odio e dalla cupidigia si posero
ad inseguirlo. Un legno comandato da un antico cacciatore di buoi
raggiunse il fuggente vascello e lo prese all'abbordaggio. Perth
travestito da donna dal fondo in cui s'era nascosto fu tratto sul
ponte, dove fu spogliato, frugato e saccheggiato. Gli aggressori
appuntarongli le baionette al petto. E mentre ei con abiette strida
supplicava gli lasciassero la vita, fu condotto a terra e gettato
nella prigione comune di Kirkaldy. Di là, per ordine del Consiglio
da lui dianzi presieduto, e che era composto d'uomini partecipi
delle sue colpe, fu trasferito al Castello di Stirling. Era giorno
di domenica, e l'ora degli uffici divini, allorquando egli, cinto da
guardie, fu menato alla sua prigione; ma perfino i rigidi Puritani
dimenticarono la santità del giorno e del servizio. La gente
erompeva fuori dalle chiese per vedere passare quel carnefice, e il
frastuono delle minacce, maledizioni e urli d'ira lo accompagnò fino
alla porta del carcere(1289).
Vari egregi Scozzesi trovavansi in Londra quando vi arrivò il
Principe; e molti altri vi accorsero a corteggiarlo. Il dì 7 gennaio
li chiamò a Whitehall. La congrega fu grande e rispettabile: al Duca
di Hamilton e al Conte di Arran suo primogenito, capi d'una casa
quasi regale, tenevano dietro trenta Lordi e circa ottanta
gentiluomini di gran conto. Guglielmo gli esortò a consultare fra
loro, e fargli sapere il miglior modo di promuovere il bene del loro
paese. Quindi ritirossi perchè deliberassero liberamente senza lo
impaccio della presenza di lui. Andati alla sala del Consiglio,
posero Hamilton sul seggio. Ancorchè sembri che ci fosse poca
differenza d'opinione, le discussioni loro durarono tre giorni,
fatto che si spiega pensando che Sir Patrizio Hume era uno degli
oratori. Arran rischiossi a proporre s'aprissero col Re pratiche
d'accordo. Ma tale proposta, male accolta da suo padre e dalla
intera assemblea, non trovò nessuno che la secondasse. Alla perfine
vennero a deliberazioni strettamente somiglievoli a quelle che,
pochi giorni innanzi, i Lordi e i Comuni d'Inghilterra avevano
presentate al Principe. Lo pregavano di convocare una Convenzione
degli Stati di Scozia, stabilire il dì 14 marzo per giorno
dell'Adunanza, e fino a quel giorno assumersi egli l'amministrazione
civile e militare. Il Principe assentì alla richiesta; e quindi il
governo di tutta l'isola si ridusse nelle sue mani(1290).
XXIX. Avvicinavasi il momento decisivo, e si accrebbe l'agitazione
nel pubblico. In ogni dove vedevansi gli uomini politici far
capannelli e discutere. Le botteghe da caffè fervevano; le
tipografie della metropoli lavoravano senza posa. De' fogli stampati
a quel tempo, anche oggi se ne possono raccogliere tanti da formare
vari volumi; e non è difficile, leggendo tali scritture, farsi una
idea delle condizioni in cui trovavansi i partiti.
Era una piccolissima fazione che voleva richiamare Giacomo senza
alcuna stipulazione. Altra fazione anch'essa piccolissima voleva
istituire una repubblica, e affidare il governo ad un Consiglio di
Stato sotto la presidenza del Principe d'Orange. Ma entrambe queste
estreme opinioni erano a tutti in aborrimento. Diciannove ventesimi
della nazione erano gente in cui lo affetto alla monarchia
ereditaria era congiunto, benchè ove più ove meno, con lo affetto
alla libertà costituzionale, e che era egualmente avversa
all'abolizione della dignità regia e alla restaurazione
incondizionata del Re.
Ma nel vasto spazio che divideva i bacchettoni che seguitavano ad
attenersi alle dottrine di Filmer, dagli entusiasti che tuttavia
sognavano i sogni di Harrington, v'era luogo per molte varietà
d'opinioni. Se poniamo da parte le minute suddivisioni, vedremo che
la massima parte della nazione e della Convenzione era partita in
quattro corpi: tre erano Tory, il quarto era Whig.
L'accordo tra i Whig(1291) e i Tory non era rimaso superstite al
pericolo che l'aveva fatto nascere. In varie occasioni mentre che il
Principe marciava alla volta di Londra, la dissensione era scoppiata
fra' suoi fautori. Mentre era ancor dubbio l'esito della impresa,
egli con isquisito accorgimento aveva di leggieri chetato ogni
dissenso. Ma dal dì in cui egli entrò trionfante nel palazzo di San
Giacomo, ogni suo accorgimento tornò inefficace. La vittoria,
liberando la nazione dalla paura della tirannide papale, gli aveva
rapita di mano mezza la sua influenza. Vecchie antipatie, che
sedaronsi mentre i Vescovi erano nella Torre, i Gesuiti in
consiglio, i leali ecclesiastici a torme privati del loro pane, i
leali gentiluomini a centinaia scacciati dalle Commissioni di pace,
si ridestarono forti ed operose. Il realista raccapricciava pensando
di trovarsi in lega con coloro ch'egli fino dalla sua giovinezza
mortalmente odiava, coi vecchi capitani parlamentari che gli avevano
devastate le ville, coi vecchi commissari parlamentari che gli
avevano sequestrati i beni, con uomini che avevano in Rye House
tramato il macello e capitanata la insurrezione delle contrade
occidentali. Inoltre quella diletta Chiesa, per amore della quale
egli, dopo una penosa lotta, aveva rotto il suo debito d'obbedienza
verso il trono, era ella veramente salva? O l'aveva egli redenta da
un nemico perchè rimanesse in preda ad un altro? I preti papisti, a
dir vero, erano in esilio, nascosti, o imprigionati. Nessun Gesuita
o Benedettino che avesse cara la vita osava mostrarsi vestito degli
abiti dell'ordine suo. Ma i dottori presbiteriani e gl'Indipendenti
andavano in processione a riverire il capo del governo, e venivano
da lui accolti di buona grazia come i veri successori degli
apostoli. Alcuni scismatici apertamente dicevano sperare che tosto
sarebbe tolto via ogni ostacolo che gli escludeva da' beneficii
ecclesiastici; che gli Articoli verrebbero mitigati, riformata la
liturgia; non più festa il dì di Natale, non più digiuno il venerdì
santo; canonici consacrati dal Vescovo, senza le bianche vestimenta,
ministrerebbero nei cori delle cattedrali il pane e il vino
eucaristico ai fedeli comodamente assisi ne' loro banchi. Il
Principe certamente non era presbiteriano fanatico; ma per lo meno
era Latitudinario: non aveva scrupolo di comunicarsi secondo il rito
anglicano; ma non si dava pensiero intorno alla forma secondo la
quale altri si comunicava. Era anco da temersi che la moglie fosse
troppo imbevuta de' principii di lui. La coscienza della Principessa
era diretta da Burnet. Ella aveva ascoltato predicatori appartenenti
a diverse sètte protestanti. Aveva dianzi detto di non discernere
differenza veruna tra la Chiesa anglicana e le altre Chiese
riformate(1292). Era quindi necessario che i Cavalieri in cosiffatte
circostanze seguissero lo esempio dato nel 1641 dai padri loro, si
separassero dalle Testerotonde e dai settarii, e, nonostante tutti i
falli del monarca ereditario, sostenessero la causa della ereditaria
monarchia.
La parte animata da questi sentimenti era numerosa e rispettabile.
Comprendeva circa mezza la Camera de' Lordi, circa un terzo di
quella de' Comuni, la maggior parte de' gentiluomini rurali, e
almeno nove decimi del clero; ma era lacerata dalle dissensioni, e
per ogni lato cinta di ostacoli.
XXX. Una frazione di questo gran partito, frazione che era
specialmente forte fra gli ecclesiastici, e della quale Sherlock era
l'organo principale, voleva si aprissero pratiche d'accordo con
Giacomo, che fosse invitato a ritornare a Whitehall a condizioni
tali che pienamente rimanesse assicurata la costituzione civile ed
ecclesiastica del Regno(1293). Egli è evidente che questo disegno,
benchè fosse vigorosamente propugnato dal clero, era al tutto
incompatibile con le dottrine per lunghi anni da esso insegnate.
Veramente era un tentativo di aprire una via di mezzo dove non era
spazio ad aprirla, di effettuare una concordia tra due cose che
concordia non ammettevano, cioè tra la resistenza e la non
resistenza. I Tory dapprima s'erano appoggiati al principio della
non resistenza; ma la più parte di loro avevano abbandonato quel
principio e non inchinavano a riabbracciarlo. I Cavalieri
d'Inghilterra, come classe, erano stati così, direttamente o
indirettamente, implicati nella ultima insurrezione contro il Re,
che non potevano per vergogna parlare del sacro debito di obbedire a
Nerone; nè volevano richiamare il Principe sotto il cui pessimo
governo avevano cotanto sofferto, senza esigere da lui condizioni
tali da rendergli impossibile ogni abuso di potere. Trovavansi
quindi in falsa posizione. La loro antica teoria, vera o falsa che
fosse, almeno era completa e coerente. Se era vera, dovevano
immediatamente invitare il Re a tornare indietro e permettergli, ove
così gli piacesse, di punire nel capo come rei di crimenlese Seymour
e Danby, il Vescovo di Londra e quello di Bristol, ristabilire la
Commissione ecclesiastica, riempiere la Chiesa di dignitari papisti,
e porre lo esercito sotto il comando di ufficiali papisti. Ma se,
come gli stessi Tory allora sembravano confessare, quella teoria era
falsa, a che aprire pratiche d'accordo col Re? Se ammettevano
ch'egli potesse legalmente essere privato del trono finchè non desse
soddisfacenti guarentigie per la sicurtà della costituzione della
Chiesa e dello Stato, non era agevole negare ch'egli potesse
legalmente esserne privato per sempre. Imperocchè quale
soddisfacente guarentigia poteva egli dare? Come era possibile
formulare un Atto di Parlamento in termini più chiari di quelli in
che erano espressi gli atti parlamentari, i quali ingiungevano che
il Decano della Chiesa di Cristo fosse un protestante? Come era egli
possibile esprimere una qualunque promessa con parole più energiche
di quelle con le quali Giacomo aveva più volte dichiarato di
rigorosamente rispettare i diritti del Clero Anglicano? Se legge od
onore fossero stati bastevoli a vincolarlo, ei non sarebbe mai stato
costretto a fuggire dal suo Regno. E non valendo onore o legge a
vincolarlo, era savio provvedimento permettergli che ritornasse.
XXXI. È possibile, non pertanto, che, malgrado i predetti argomenti,
una proposta di aprire pratiche con Giacomo sarebbe stata fatta
nella Convenzione e sostenuta da' Tory, ove egli in questa, come in
qualsivoglia altra occasione, non fosse stato il peggiore nemico di
sè stesso. Ogni corriere postale che giungeva a Londra da
Saint-Germain, recava nuove tali da intiepidire lo ardore de' suoi
partigiani. Ei non credeva valesse lo incomodo simulare
rincrescimento de' passati errori o promessa di emendarsi. Pubblicò
un Manifesto, nel quale diceva avere sempre posto ogni cura a
governare con giustizia e moderazione i suoi popoli, e che essi
ingannati da immaginari aggravi erano corsi da sè alla rovina(1294).
La sua demenza ed ostinazione fece sì che coloro i quali più
ardentemente desideravano riporlo sul trono ad eque condizioni,
comprendessero che, proponendo in quel momento d'aprire pratiche con
lui, danneggerebbero la causa che volevano propugnare. Deliberarono
quindi di collegarsi con un'altra fazione di Tory capitanata da
Sancroft. Questi credè avere trovato modo di provvedere al governo
del paese senza richiamare Giacomo, non privandolo ad un tempo della
sua Corona. Questo modo altro non era che istituire una Reggenza. I
più ostinati di que' teologi che avevano inculcata la dottrina della
obbedienza passiva non avevano mai sostenuto che siffatta obbedienza
si dovesse prestare ad un bambino o a un demente. Era universalmente
riconosciuto che, quando il legittimo Sovrano fosse
intellettualmente incapace di esercitare il proprio ufficio, poteva
deputarsi alcuno ad agire in sua vece, e che chiunque resistesse a
cotesto deputato, e per iscusa allegasse il comando di un principe
in fasce o demente, incorrerebbe giustamente nelle pene della
ribellione. La stupidità, l'ostinatezza, e la superstizione - in
questa guisa ragionava il Primate - avevano reso Giacomo inetto a
reggere i propri dominii come un fanciullo in fasce, o un pazzo che
nel Manicomio di Bedlam si giaccia sulla paglia digrignando i denti
e dicendo scempie parole. Era dunque mestieri appigliarsi al
provvedimento preso allorchè Enrico VI era infante, e una seconda
volta abbracciato allorchè fu colpito da letargia. Giacomo non
poteva esercitare l'ufficio di Re; ma doveva seguitare ad avere
sembianza di Re. I decreti dovevano portare il suo nome, le monete e
il Gran Sigillo essere segnati della immagine ed epigrafe di lui;
gli Atti del Parlamento portare gli anni del suo regno. Ma il potere
esecutivo doveva essergli tolto, ed affidato a un Reggente eletto
dagli Stati del Reame. In questa guisa, sosteneva con gravità
Sancroft, il popolo non mancherebbe al proprio debito, strettamente
manterrebbe il giuramento di fedeltà prestato al suo Re; e i più
ortodossi anglicani, senza il minimo scrupolo di coscienza,
potrebbero esercitare gli uffici sotto il Reggente(1295).
La opinione di Sancroft era di gran peso nel partito Tory e
segnatamente nel clero. Una settimana innanzi il giorno stabilito al
ragunarsi della Convenzione, una congrega di gravissimi uomini nel
palazzo Lambeth, assistè alle preci nella cappella, desinò col
Primate, e finalmente si strinse a consulta intorno alle pubbliche
faccende. V'erano presenti cinque suffraganei dello Arcivescovo, i
quali nella decorsa estate avevano secolui diviso i perigli e la
gloria. I Conti di Clarendon e di Ailesbury rappresentavano i Tory
secolari. Parve che unanimemente l'assemblea opinasse che coloro i
quali avevano prestato a Giacomo il giuramento di fedeltà, potevano
lecitamente negargli obbedienza; ma non potevano con sicurtà di
coscienza chiamare chiunque altri si fosse col nome di
Re(1296). XXXII. In tal modo due frazioni del partito Tory,
l'una che desiderava un accomodamento con Giacomo, l'altra che
avversava tale accomodamento, concordarono a propugnare il disegno
d'instituire una Reggenza. Ma una terza frazione, la quale comechè
non fosse numerosa aveva gran peso e influenza, proponeva un assai
diverso provvedimento. I capi di questa piccola schiera erano Danby
e il Vescovo di Londra nella Camera de' Lordi, e Sir Roberto Sawyer
in quella de' Comuni. Crederono d'avere trovato modo di fare una
compiuta rivoluzione sotto forme rigorosamente legali. Dicevano
essere contrario ad ogni principio che il Re venisse detronizzato
da' suoi sudditi; nè v'era necessità di farlo. Fuggendo, egli aveva
abdicato il suo potere e la sua dignità. Il trono doveva
considerarsi come vacante; e tutti i giureconsulti costituzionali
sostenevano che il trono d'Inghilterra non poteva esserlo nè anche
un momento. E però il più prossimo erede era da reputarsi Sovrano.
Ma chi era cotesto prossimo erede? Quanto al pargolo che era stato
condotto in Francia, la sua venuta al mondo era accompagnata da
molti sospetti. Era dovere verso gli altri membri della regale
famiglia e verso la nazione che si rimovesse ogni dubbio. Guglielmo,
a nome della Principessa d'Orange sua consorte, aveva solennemente
dimandata una inchiesta, la quale sarebbe stata instituita se gli
accusati di frode non si fossero appigliati ad un partito, che in
qualunque caso ordinario sarebbe stato considerato come prova
decisiva della colpa. Senza aspettare l'esito di un solenne processo
parlamentare, se n'erano fuggiti in paese straniero, secoloro
conducendo lo infante, e le cameriste francesi e italiane, le quali,
ove ci fosse stato frode, avrebbero dovuto saperla, e quindi
sarebbero state sottoposte a rigoroso controesame. Era impossibile
ammettere il diritto del fanciullo senza avere compita la inchiesta;
e coloro che si dicevano suoi genitori avevano resa ogni inchiesta
impossibile. Era quindi mestieri reputarlo condannato in contumacia.
Se ei pativa ingiustizia, ne avea colpa non la nazione, ma coloro la
cui strana condotta al tempo della nascita di lui aveva giustificato
la nazione a domandare una inchiesta, alla quale si sottrassero con
la fuga. Per le quali cose poteva a buon diritto considerarsi come
pretendente; e in tal modo la Corona rimaneva devoluta alla
Principessa d'Orange. Essa era adunque di fatto Regina regnante.
Alle Camere altro non rimaneva a fare che proclamarla. Ella poteva,
se così le piacesse, nominare primo ministro il marito, e anche,
assenziente il Parlamento, conferirgli il titolo di Re.
Coloro, che preferivano questo disegno a qualunque altro, erano
pochi; ed era sicuro che verrebbe avversato da tutti quei che
tuttavia serbavano qualche affetto per Giacomo, e da tutti i
partigiani di Guglielmo. Pure Danby, fidando nella pratica ch'egli
aveva della tattica parlamentare, e sapendo quanto possa,
ogniqualvolta i grandi partiti trovinsi a un dipresso bilanciati,
una piccola schiera di dissenzienti, non disperava di tenere sospeso
il resultato della contesa, finchè entrambi, Whig e Tory, non avendo
più speranza di piena vittoria, e tementi gli effetti dello
indugiare, lo lasciassero agire come arbitro. E non era impossibile
che gli riuscisse, se i suoi sforzi fossero stati secondati, anzi
non fossero stati frustrati da colei ch'egli desiderava inalzare al
fastigio della umana grandezza. Per quanto egli avesse occhio
veggente e pratica negli affari, ignorava affatto la indole di Maria
e lo affetto ch'ella nutriva pel suo consorte; nè Compton antico
precettore di lei era meglio informato. Guglielmo aveva modi secchi
e freddi, inferma salute, indole punto blanda; non era uomo da fare
supporre che potesse ispirare una violenta passione ad una giovane
di ventisei anni. Sapevasi ch'egli non era stato sempre
rigorosamente fedele alla propria moglie; e i ciarlieri andavano
dicendo ch'ella non menava felice la vita in compagnia di lui. I più
sottili politici, perciò, non sospettarono mai che con tutti i suoi
falli egli regnasse sul cuore di lei con un impero che non ottennero
mai sul cuore di nessuna donna principi rinomatissimi pei loro
successi nelle faccende d'amore, come a modo d'esempio Francesco I
ed Enrico IV, Luigi XIV e Carlo II, e che i tre regni aviti non
fossero principalmente d'alcun valore agli occhi di lei, se non
perchè, nel concederli allo sposo, poteva provargli quanto intenso e
disinteressato era lo affetto ch'ella gli portava. Danby, affatto
ignaro di coteste cose, le assicurò che egli avrebbe difesi i
diritti di lei, e che, ove ella lo secondasse, sperava di porla sola
sul trono(1297).
XXXIII. La condotta de' Whig era semplice e ragionevole.
Professavano il principio che il nostro Governo era essenzialmente
un contratto formato per una parte dal giuramento di fedeltà, e per
un'altra dal giuramento della incoronazione, e che i doveri imposti
da tale contratto erano scambievoli. Credevano che un Sovrano il
quale abusasse gravemente de' propri poteri, potesse essere
legittimamente avversato dal suo popolo e privato del trono. Ciò
posto, nessuno negava che Giacomo avesse fatto grave abuso del
proprio potere; e tutto il partito Whig era pronto a dichiararlo
decaduto. Se il Principe di Galles fosse o non fosse legittimo, non
era subietto meritevole d'essere discusso. Per escluderlo dal trono
ora esistevano ragioni più forti di quelle che si potessero dedurre
dalla qualità di sua nascita. Un bambino introdotto di soppiatto nel
regio talamo poteva forse riuscire buon Re d'Inghilterra. Ma non era
possibile sperarlo trattandosi d'un bambino cresciuto e educato da
un padre ch'era il più stupido ed ostinato dei tiranni, in un paese
straniero, sede del dispotismo e della superstizione; in un paese
dove gli ultimi vestigi della libertà erano scomparsi; dove gli
Stati Generali avevano cessato di ragunarsi; dove i Parlamenti da
lungo tempo registravano senza la più lieve rimostranza i più
oppressivi editti del Sovrano; dove il valore, lo ingegno, la
dottrina sembravano esistere solamente a fine d'ingrandire un solo
uomo; dove l'adulazione era precipuo subietto alla stampa, al
pulpito, alla scena; e dove uno de' precipui subietti della
adulazione era la barbara persecuzione della Chiesa Riformata. Era
egli verosimile che sotto cosiffatta tutela e in quella cotale
situazione il fanciullo imparasse rispetto verso le istituzioni
della sua terra natia? Poteva egli dubitarsi che crescerebbe per
essere lo schiavo de' Gesuiti e de' Borboni, che avrebbe più
sinistri pregiudicii - se pure ciò era possibile - che qualunque
altro de' precedenti Stuardi contro le leggi della
Inghilterra? I Whig inoltre non pensavano, che, avuto riguardo
alle attuali condizioni della patria, fosse opera in sè stessa
inconvenevole dipartirsi dalla ordinaria regola della successione.
Opinavano che finchè tale regola rimaneva in vigore, le dottrine
dell'indestruttibile diritto ereditario e della obbedienza passiva
piacerebbero alla Corte, verrebbero inculcate dal clero, e
rimarrebbero abbarbicate nelle menti del popolo. Seguiterebbe a
prevalere la idea che la dignità regia è ordinamento di Dio con
significato diverso da quello che s'intende dicendo ogni altra
specie di Governo essere ordinamento di Dio. Era chiaro che finchè
questa superstizione non fosse spenta, la Costituzione non avrebbe
mai sicurtà: imperocchè una monarchia veramente limitata non può
lungo tempo durare in una società che consideri la monarchia come
cosa divina, e le limitazioni come trovati umani. Perchè il
principato esista in perfetta armonia con le libertà nostre, è
mestieri che esso non possa mostrare un titolo più alto e venerando
di quello onde noi possediamo le nostre libertà. Il Re va quinci
innanzi considerato come magistrato, alto magistrato, a dir vero, e
degno di somma onoranza, ma, al pari di tutti gli altri magistrati,
soggetto alla legge, e derivante la potestà sua dal cielo in senso
non diverso da quello che potrebbe intendersi dicendo che le Camere
de' Lordi e dei Comuni derivano la potestà loro dal cielo. Il modo
migliore a conseguire un così salutare cangiamento sarebbe quello
d'interrompere il corso della successione. Sotto sovrani i quali
reputassero a un dipresso alto tradimento il predicare la non
resistenza e la teoria del governo patriarcale, sotto sovrani la cui
autorità derivando dalle deliberazioni delle due Camere non
s'inalzasse di sopra alla sua sorgente, vi sarebbe poco pericolo di
patire oppressione simile a quella che aveva per due generazioni
costretti gl'Inglesi a correre alle armi contro gli Stuardi. Per
cotali ragionamenti i Whig erano apparecchiati a dichiarare vacante
il trono, a provvedervi per mezzo della elezione, e imporre al
Principe da loro scelto condizioni tali che fermamente tutelassero
il paese contro il pessimo Governo.
E oramai era arrivato il tempo di risolvere queste grandi questioni.
All'alba del dì 22 gennaio la Camera de' Comuni era affollata di
rappresentanti delle Contee e de' borghi. Sui banchi vedevansi molti
visi ben noti in quel luogo sotto il regno di Carlo II, ma che non
vi s'erano più veduti sotto il suo successore. Molti di quegli
scudieri Tory, e di que' bisognosi dipendenti dalla Corte i quali
erano stati eletti deputati al Parlamento del 1685, avevano dato
luogo ad uomini dello antico partito patriottico, a coloro che
avevano strappato di mano alla Cabala il potere, votato l'Atto
dell'Habeas Corpus, e mandato alla Camera de' Lordi la Legge
d'Esclusione. Fra essi era Powle, uomo profondamente versato nella
storia e nelle leggi del Parlamento, e dotato di quella specie di
eloquenza che si richiede ogni qualvolta gravi questioni si agitano
dinanzi a un Senato; e Sir Tommaso Littleton, versato nella politica
europea e dotato di forte e sottile logica, con la quale sovente,
dopo una lunga seduta, accesi i lumi, aveva ridesta la stanca
camera, e deciso dell'esito della discussione. Eravi anco Guglielmo
Sacheverell, oratore, la cui somma abilità parlamentare molti anni
dipoi era tema prediletto ai discorsi di quei vecchi che vissero
tanto da vedere i conflitti di Walpole e di Pulteney(1298). Con
questi illustri uomini vedevasi Sir Roberto Clayton, il più ricco
mercatante di Londra, il cui palazzo nel Ghetto Vecchio vinceva per
magnificenza le magioni aristocratiche di Lincoln's Inn Fields e di
Covent Garden, la cui villa sorgente tra i colli di Surrey veniva
descritta come un Eden, i cui banchetti gareggiavano con quelli de'
Re, e la cui giudiciosa munificenza, della quale fanno tuttora
testimonio molti pubblici monumenti, lo avevano reso degno di
occupare negli annali della Città un posto secondo solamente a
quello di Gresham. Nel Parlamento che nel 1681 si tenne in Oxford,
Clayton, come rappresentante la metropoli e ad istanza de' suoi
elettori, aveva chiesto licenza di presentare la Legge d'Esclusione,
ed era stato secondato da Lord Russell.
Nel 1685, la Città privata delle sue franchigie e governata dalle
creature della Corte, aveva eletto quattro rappresentanti Tory. Ma
ora le erano stati resi i perduti privilegi, ed aveva nuovamente
eletto Clayton per acclamazione(1299). Nè deve tacersi di Giovanni
Birch. Aveva incominciata la vita facendo il carrettiere, ma nelle
guerre civili, lasciato il suo baroccio, si era fatto soldato, e
inalzato al grado di Colonnello nello esercito della repubblica,
aveva in alti uffici fiscali mostrato grande ingegno per gli affari,
e comechè serbasse fino allo estremo suo dì i ruvidi modi del
dialetto plebeo della sua giovinezza, mercè il suo vigoroso buon
senso e il suo naturale acume, erasi acquistato tanta reputazione
nella Camera de' Comuni da essere considerato qual formidabile
avversario da' più compiti oratori del suo tempo(1300). Questi erano
i più cospicui fra' veterani, i quali dopo un lungo ritiro
ritornavano alla vita pubblica. Ma tosto furono vinti da due giovani
Whig, i quali in cotesto solenne giorno sedevano per la prima volta
nella Camera; inalzaronsi poi ai più alti onori dello Stato, fecero
fronte alle più feroci procelle delle fazioni, ed avendo per lungo
tempo goduta somma rinomanza di statisti, d'oratori, e di magnifici
protettori degl'ingegni e del sapere, morirono nello spazio di pochi
mesi, tosto dopo che la Casa di Brunswick ascese al trono
d'Inghilterra. Costoro chiamavansi Carlo Montague e Giovanni Somers.
È d'uopo fare menzione d'un altro nome, d'un nome allora noto a un
piccolo drappello di filosofi, ma adesso pronunciato di là dal Gange
e dal Mississipì con riverenza maggiore di quella che il mondo
tributa alla memoria dei grandissimi guerrieri e regnatori. Fra la
folla dei rappresentanti che stavansi in silenzio vedevasi la
maestosa e pensosa fronte d'Isacco Newton. La famosa Università
sulla quale il genio di lui aveva già incominciato ad imprimere un
carattere peculiare, tuttora chiaramente visibile dopo lo spazio di
centosessanta anni, lo aveva mandato suo rappresentante alla
Convenzione; ed egli vi sedeva nella sua modesta grandezza, discreto
ma incrollabile amico della libertà civile e religiosa.
XXXIV. Il primo atto della Convenzione fu quello di eleggere un
Presidente; e la elezione da essa fatta indicò manifestissimamente
la opinione che aveva rispetto alle grandi questioni che doveva
risolvere. Fino alla vigilia dell'apertura delle Camere era bene
inteso che Seymour sarebbe chiamato al seggio presidenziale. Ei lo
aveva già per vari anni occupato, aveva titoli insigni e diversi a
quella onorificenza, nobiltà di sangue, opulenza, sapere,
esperienza, facondia. Aveva da lunghi anni capitanato una potente
schiera di rappresentanti delle Contee occidentali. Benchè fosse
Tory, nell'ultimo Parlamento s'era messo con notevole abilità e
coraggio, a capo della opposizione contro il papismo e la tirannide.
Era uno de' gentiluomini che primi accorsero al quartiere generale
degli Olandesi in Exeter, e aveva formata quella lega, per vigore
della quale i fautori del Principe s'erano vicendevolmente vincolati
a vincere o morire insieme. Ma poche ore innanzi l'apertura delle
Camere, corse la voce che Seymour era avverso a dichiarare vacante
il trono. Appena, quindi, i banchi furono ripieni, il Conte di
Wiltshire, che rappresentava la Contea di Hamp, levossi e propose
Powle a presidente. Sir Vere Fane, rappresentante di Kent, secondò
la proposta. Poteva farsi una ragionevole obiezione, perocchè si
sapeva che una petizione doveva essere presentata contro la elezione
di Powle; ma il grido generale della Camera lo chiamò al seggio; e i
Tory reputarono prudente assentire(1301). Il bastone fu quindi posto
sul banco; si lesse la lista de' rappresentanti, e i nomi di coloro
che mancavano furono notati.
Intanto i Pari, in numero di circa cento, s'erano adunati, avevano
eletto Halifax a presidente, e nominato vari reputati giureconsulti
a fare l'ufficio che negli ordinari Parlamenti spetta ai Giudici.
Per tutto quel giorno vi fu frequente comunicazione tra le due
Camere. Furono d'accordo a pregare il Principe seguitasse ad
amministrare il governo finchè gli farebbero sapere le deliberazioni
loro, a significargli la loro gratitudine d'avere egli, con l'aiuto
di Dio, liberata la nazione, e a stabilire che il 31 gennaio si
osservasse come giorno di ringraziamento per la
liberazione(1302). Fin qui non era differenza alcuna di
opinione: ma ambedue le parti apparecchiavansi alla lotta. I Tory
erano forti nella Camera Alta, e deboli nella Bassa; e s'accorgevano
che in quella congiuntura la Camera che fosse prima a prendere una
risoluzione avrebbe gran vantaggio sopra l'altra. Non v'era la più
lieve probabilità che i Comuni mandassero ai Lordi un voto a favore
del disegno d'istituire una Reggenza: ma ove tal voto dai Lordi
fosse mandato ai Comuni, non era onninamente impossibile che molti
rappresentanti, anco Whig, inchinassero ad assentire più presto che
incorrere nella grave responsabilità di far nascere discordia e
indugio in una crisi che richiedeva unione e prestezza. I Comuni
avevano deliberato che lunedì 28 di gennaio prenderebbero in
considerazione le condizioni del paese. I Lordi Tory, perciò,
proposero di discutere, nel venerdì 25, intorno al grande affare pel
quale erano stati convocati. Ma le cagioni che a ciò li movevano
furono chiaramente conosciute, e la loro tattica frustrata da
Halifax, il quale dopo il suo ritorno da Hungerford aveva sempre
veduto che il governo poteva riordinarsi solo a seconda de'
principii de' Whig, e però s'era temporaneamente con costoro
collegato. Devonshire propose che il martedì 29 fosse il giorno
stabilito. "Allora" disse egli con più verità che discernimento
"potrebbe venirci dalla Camera Bassa qualche lume che ci servisse di
guida." La proposta fu approvata: ma le sue parole vennero
severamente censurate da alcuni de' suoi confratelli come offensive
alla dignità dell'ordine loro(1303).
XXXV. Il dì 28 i Comuni si formarono in Comitato generale. Un
rappresentante, il quale trenta e più anni innanzi era stato uno de'
Lordi di Cromwell, voglio dire Riccardo Hampden figlio dello
illustre condottiero delle Testerotonde e padre dello sventurato
gentiluomo, il quale con dispendiosi donativi ed abiette sommissioni
aveva a mala pena campata la vita dalla vendetta di Giacomo, fu
posto nel seggio; e il grande dibattimento ebbe principio.
In breve ora si vide che da una immensa maggioranza Giacomo non era
più considerato come Re. Gilberto Dolben, figlio dello Arcivescovo
di York, fu il primo a dichiarare la propria opinione. Fu sostenuto
da molti, e in ispecie dallo audace e virulento Wharton; da Sawyer,
il quale, facendo vigorosa opposizione alla potestà di dispensare,
aveva in alcun modo scontato le antiche colpe; da Maynard, la cui
voce, quantunque fosse cotanto fievole per la età da non giungere ai
banchi distanti, imponeva tuttavia riverenza a tutti i partiti, e da
Somers, che nella Sala del Parlamento mostrò per la prima volta in
quel giorno luminosa eloquenza e svariata erudizione. Sir Guglielmo
Williams con la sua fronte di bronzo e la sua lingua volubile
sosteneva la predetta opinione. Era già stato profondamente
implicato in tutti gli eccessi d'una pessima opposizione e d'un
pessimo governo. Aveva perseguitati gl'innocenti papisti e i
protestanti innocenti; era stato protettore d'Oates e strumento di
Petre. Il suo nome era associato con una sediziosa violenza che
tutti i rispettabili Whig con rincrescimento e vergogna ricordavano,
e con gli eccessi del dispotismo aborriti dai Tory rispettabili. Non
è facile intendere in che modo gli uomini possano vivere sotto il
pondo di cotanta infamia: ma anche tanta infamia non bastava ad
opprimere Williams. Non arrossì di vituperare il caduto padrone, al
quale erasi venduto per far cose tali che nessun uomo onesto del
ceto legale avrebbe mai fatte, e dal quale dopo sei mesi aveva
ricevuta la dignità di baronetto come ricompensa di servilità.
Tre soli si rischiarono di opporsi a quella che evidentemente era
opinione universale di tutta l'assemblea. Sir Cristoforo Musgrave,
gentiluomo Tory di gran conto ed abilità, espresse alcuni dubbi.
Heneage Finch si lasciò uscire di bocca alcune parole, le quali
erano intese a insinuare si aprissero pratiche col Re. Questo
suggerimento fu così male accolto, ch'egli fu costretto a spiegarsi.
Protestò d'essere stato frainteso(1304), esser convinto che sotto un
tale Principe non sarebbero sicure la religione, la libertà, le
sostanze; richiamare Re Giacomo e secolui trattare, essere un fatale
provvedimento; ma molti che non consentivano ch'egli esercitasse la
potestà regia, scrupoleggiare nel volerlo privare del regio titolo.
L'unico espediente che poteva far cessare ogni difficoltà era
l'istituire una Reggenza. La proposta piacque sì poco che Finch non
ebbe animo di chiedere si ponesse ai voti. Riccardo Fanshaw,
Visconte Fanshaw del Regno d'Irlanda, disse poche parole a favore di
Giacomo e propose la discussione si aggiornasse; ma la proposta
provocò universale riprovazione. I rappresentanti, l'uno dopo
l'altro, affaccendavansi a mostrare la importanza del far presto.
Dicevano i momenti essere preziosi, intensa la pubblica ansietà,
sospeso il commercio. La minoranza con tristo animo si sobbarcò,
lasciando che il partito predominante procedesse per la intrapresa
via.
XXXVI. Quale sarebbe stata questa via non si poteva chiaramente
conoscere: avvegnachè la maggioranza si componesse di due classi
d'uomini. Gli uni erano ardenti e virulenti Whig, i quali ove
fossero lasciati liberi d'ogni intoppo avrebbero dato ai
procedimenti della Convenzione un carattere affatto rivoluzionario.
Gli altri ammettevano la necessità d'una rivoluzione, ma la
consideravano come un necessario male, e desideravano mascherarla,
per quanto fosse possibile, con la sembianza della legittimità. I
primi richiedevano si riconoscesse distintamente nei sudditi il
diritto di detronizzare i principi; i secondi desideravano di
liberare la patria da un cattivo principe senza promulgare alcun
principio di cui si potesse fare abuso a fine di indebolire la
giusta e salutare autorità de' futuri monarchi. Gli uni discorrevano
principalmente del mal governo del Re; gli altri della sua fuga.
Quegli lo consideravano come decaduto; questi pensavano ch'egli
avesse abdicato. Non era agevole formulare un pensiero in modo da
essere approvato da coloro il cui assenso era importante; ma in fine
dei molti suggerimenti che si facevano da tutte le parti, formarono
una deliberazione che riuscì a tutti soddisfacente. Fu proposto si
dichiarasse, che il Re Giacomo II, intento a distruggere la
Costituzione del Regno, rompendo il primitivo contratto tra Re e
popolo, e pei consigli de' Gesuiti e di altri malvagi uomini avendo
violato le leggi fondamentali, ed essendo fuggito dal Regno, aveva
abdicato il governo, per la quale cosa il trono era divenuto
vacante.
Questa deliberazione è stata spesso sottoposta a critica sottile e
severa quanto non lo fu mai sentenza alcuna scritta dalla mano
dell'uomo: e forse non vi fu mai sentenza umana che sia meno
meritevole di siffatta critica. Che un Re facendo grave abuso del
proprio potere possa perderlo, è vero. Che un Re che fugga senza
provvedere al Governo e lasci i suoi popoli in istato d'anarchia,
possa senza molta stiracchiatura di parole considerarsi come colui
che ha abdicato anche il suo ufficio, è pur vero. Ma nessuno
scrittore accurato affermerebbe che il tristo governo lungamente
continuato e la diserzione, congiunti insieme, costituiscano un atto
d'abdicazione. È del pari evidente che il rammentare i Gesuiti e gli
altri sinistri consiglieri di Giacomo indebolisce, invece di
afforzare, il caso contro lui. Perciocchè certo e' si deve maggiore
indulgenza ad un uomo traviato da perniciosi consigli, che ad un
uomo il quale per semplice tendenza di sua indole commetta il male.
Non importa ciò nonostante esaminare coteste memorande parole come
esamineremmo un capitolo d'Aristotele o di Hobbes; esse vanno
considerate non come parole, ma come fatti. Se producono ciò che
devono, sono ragionevoli ancorchè possano sembrare contradittorie.
Se falliscono al fine loro, sono assurde quando anche avessero la
evidenza d'una dimostrazione. La logica non transige. La politica
consiste essenzialmente nella transazione. Non è quindi cosa strana
che alcuni de' più importanti e utili documenti del mondo si
annoverino fra i componimenti più illogici che sieno stati mai
scritti. Lo scopo di Somers, di Maynard e degli altri cospicui
uomini che formularono quella celebre proposta, fu non di lasciare
alla posterità un modello di definizione e di partizione, ma di
rendere impossibile la ristaurazione d'un tiranno, e porre sul trono
un Sovrano sotto il quale le leggi e la libertà non pericolassero.
Questo scopo conseguirono adoperando un linguaggio che in un
trattato filosofico verrebbe equamente tacciato di inesattezza e
confusione. Poco badavano se la maggiore concordasse con la
conclusione, mentre l'una procacciava loro duecento voti, e la
conclusione altrettanti. Infatti la sola bellezza di quella
deliberazione consiste nella sua incoerenza. Conteneva una frase
atta a satisfare ogni frazione della maggioranza. Il rammentare il
primitivo contratto piaceva ai discepoli di Sidney. La parola
abdicazione appagava i politici d'una più timida scuola. Erano senza
dubbio molti fervidi protestanti i quali rimanevano soddisfatti
della censura gettata su' Gesuiti. Pel vero uomo di Stato la sola
clausula importante era quella che dichiarava vacante il trono; e
ove ei potesse farla abbracciare, poco gl'importava il preambolo. La
forza che in tal modo trovossi raccolta rese disperata ogni
resistenza. La proposta venne adottata senza voto dalla Commissione.
Fu ordinato di farne in sull'istante la relazione. Powle ritornò al
seggio; il bastone fu posto sul banco: Hampden lesse, la Camera
assentì alla relazione, e gli ordinò la portasse alla Camera de'
Lordi(1305).
La dimane i Lordi ragunaronsi a buon'ora. I banchi de' Pari sì
spirituali che secolari erano affollati. Hampden comparve alla
sbarra e pose la deliberazione de' Comuni nelle mani di Halifax. La
Camera Alta si formò in Comitato, e Danby fu fatto presidente.
La discussione fu poco dopo interrotta da Hampden che ritornava con
un altro messaggio. La Camera riprese la seduta: fu annunziato che i
Comuni avevano reputato incompatibile con la sicurezza e col bene di
questa nazione protestante l'essere governata da un Re papista. A
questa deliberazione, evidentemente inconciliabile con la dottrina
dello indestruttibile diritto ereditario, i Pari dettero immediato e
unanime assenso. Questo principio in tal guisa affermato, da allora
fino ad oggi è stato tenuto sacro da tutti gli statisti protestanti,
e da tutti i cattolici ragionevoli non è stato creduto soggetto ad
obiezioni. Se i nostri sovrani fossero al pari del presidente degli
Stati Uniti, semplici ufficiali civili, non sarebbe facile difendere
tale restrizione. Ma dacchè alla Corona inglese è annessa la qualità
di capo della Chiesa Anglicana, non v'è intolleranza nel dire che
una Chiesa non dovrebbe essere soggetta ad un capo che la consideri
come scismatica ed eretica(1306).
Dopo questa breve interruzione i Lordi nuovamente formaronsi in
Comitato. I Tory insistevano perchè il loro disegno si discutesse
prima che venisse preso in considerazione il voto dei Comuni che
dichiarava vacante il trono. Ciò fu loro concesso; e fu posta la
questione se una Reggenza, esercitando il regio potere, vita durante
di Giacomo, ed in suo nome, sarebbe il migliore espediente a salvare
le leggi e la libertà della nazione.
La disputa fu lunga ed animata. I principali propugnatori della
Reggenza erano Rochester e Nottingham. Halifax e Danby difendevano
la contraria opinione. Il Primate - strano a dirsi! - non comparve,
quantunque i Tory vivamente lo importunassero perchè si ponesse a
capo loro. La sua assenza gli provocò contro molte aspre censure; e
gli stessi suoi apologisti non hanno potuto addurre alcuna ragione
che lo purghi del biasimo(1307). Era egli l'autore del disegno
d'istituire una Reggenza. Pochi giorni innanzi in un foglio scritto
di sua mano aveva asserito quel disegno essere manifestamente il
migliore che si potesse trovare. Le deliberazioni dei Lordi i quali
lo sostenevano avevano avuto luogo in casa di lui. Era suo debito
dichiarare in pubblico i propri intendimenti. Nessuno potrebbe
tenerlo in sospetto di codardia o di volgare cupidigia. E' fu
probabilmente per paura di far male in cosa di tanto momento ch'egli
non fece nulla; ma avrebbe dovuto sapere che un uomo nella sua
posizione, non facendo nulla, faceva male. Un uomo che abbia
scrupolo di assumere grave responsabilità in una solenne crisi,
dovrebbe averlo parimenti ad accettare l'ufficio di primo ministro
della Chiesa e primo Pari del Regno.
Non è strana cosa, nondimeno, che la mente di Sancroft non fosse
tranquilla; imperocchè egli non poteva essere tanto cieco da non
vedere che il disegno da lui agli amici suoi proposto era
estremamente incompatibile con tutto ciò che egli e i suoi
confratelli avevano per molti anni insegnato. Che il Re avesse
diritto divino e indistruttibile al potere regio, e che al potere
regio, anche quando ne venga fatto enorme abuso, non si potesse
senza peccato opporre resistenza, era dottrina della quale la Chiesa
Anglicana andava da lunghi anni orgogliosa. Questa dottrina
significava ella in que' tempi che il Re aveva un divino e
indistruttibile diritto ad avere la effigie e il nome suo intagliati
sopra un sigillo, che doveva quotidianamente adoperarsi, suo
malgrado, onde apprestare ai suoi nemici i mezzi di fargli la
guerra, e mandare gli amici di lui alle forche come rei di avergli
obbedito? Tutto il debito di un buon suddito consisteva egli
nell'usare il vocabolo Re? Così essendo, Fairfax in Naseby e
Bradshau nell'Alta Corte di Giustizia avevano adempito tutti i
doveri di buoni sudditi: imperciocchè Carlo dai Generali che gli
guerreggiavano contro, ed anche da' giudici che lo condannarono,
veniva chiamato Re. Nulla nella condotta del Lungo Parlamento era
stato più severamente biasimato dalla Chiesa che l'ingegnoso
artificio di usare il nome di Carlo contro Carlo stesso. A ciascuno
de' ministri della Chiesa era stato imposto di firmare una
dichiarazione che condannava come proditoria la finzione onde
l'autorità del Sovrano veniva separata dalla sua persona(1308).
Eppure cotesta proditoria finzione era adesso considerata dal
Primate e da' suoi suffraganei come la sola base sopra la quale, in
stretta uniformità ai principii del Cristianesimo, si potesse
erigere un governo.
La distinzione che Sancroft aveva preso dalle Testerotonde della
precedente generazione, sovvertiva dalle fondamenta il sistema
politico che la Chiesa e le Università pretendevano avere imparato
da' libri di San Paolo. Lo Spirito Santo - era stato le mille volte
ridetto - aveva comandato ai Romani d'obbedire a Nerone. Ed ora
parea che tale precetto significasse che i Romani dovessero chiamare
Nerone Augusto. Erano perfettamente liberi di cacciarlo oltre
l'Eufrate, mandarlo a mendicare fra' Parti, opporgli la forza ove
avesse tentato di ritornare, punire tutti coloro che osassero
aiutarlo e tenere con lui corrispondenza, e concedere la potestà
tribunizia e la consolare, la presidenza del Senato e il comando
delle Legioni a Galba o a Vespasiano.
L'analogia che lo Arcivescovo immaginò d'avere scoperta tra il caso
di un Re perverso e quello di un Re maniaco non è degna del più
lieve esame. Era chiaro non trovarsi Giacomo in quello stato di
mente in cui, ove egli fosse stato un gentiluomo rurale o un
mercatante, qualunque tribunale lo avrebbe dichiarato inetto a fare
un contratto o un testamento. Egli era dissennato nel modo che lo
sono tutti i Re malvagi; come era Carlo I quando andò ad arrestare i
cinque rappresentanti de' Comuni; Carlo II quando concluse il
trattato di Dover. Se questa sorte d'infermità mentale non
giustifica i sudditi che negano d'obbedire ai principi, il disegno
d'istituire una Reggenza era evidentemente inammissibile; se
giustifica i sudditi che negano d'obbedire ai principi, la dottrina
della non resistenza era pienamente rovesciata; e tutto ciò per cui
ogni moderato Whig aveva lottato trovavasi pienamente ammesso.
Quanto al giuramento di fedeltà, pel quale Sancroft e i suoi
discepoli provavano tanta ansietà, una cosa almeno è chiara, cioè
che, chiunque avesse ragione, essi avevano torto. I Whig pensavano
che nel giuramento d'obbedienza erano sottintese certe condizioni,
che il Re le aveva violate, e quindi il giuramento era divenuto
nullo. Ma se la dottrina de' Whig era falsa, se il giuramento
seguitava ad essere obbligatorio, potevano veramente credere gli
uomini assennati che votando la Reggenza scanserebbero la colpa di
spergiuri? Potevano essi affermare che rimanevano veramente fidi a
Giacomo mentre, in onta alle proteste ch'egli faceva al cospetto di
tutta Europa, essi davano ad altri la potestà di riscuotere la
pubblica pecunia, convocare e prorogare il Parlamento, creare Duchi
e Conti, nominare Vescovi e Giudici, graziare i rei, comandare le
forze dello Stato, e concludere trattati con le Potenze straniere?
Aveva egli il Pascal potuto trovare, in tutte le frenesie de'
casisti gesuiti, un sofisma più spregevole di quello che adesso, a
quanto parea, bastava a calmare le coscienze de' Padri della Chiesa
Anglicana?
Era evidentissimo che il disegno d'instituire una Reggenza non si
poteva difendere che coi principii dei Whig. Tra i ragionatori che
sostenevano quel disegno e la maggioranza della Camera de' Comuni
non vi poteva essere disputa circa la questione del diritto. E' non
rimaneva altro che la questione dell'utilità. E poteva un grave uomo
di Stato pretendere essere utile costituire un governo con due capi,
dando ad uno il regio potere senza la dignità regia, e all'altro la
dignità regia senza il regio potere? Era chiaro che un simile
ordinamento, anche reso necessario dalla infanzia o dalla demenza
del Principe, recava seco gravissimi inconvenienti. Che i tempi di
Reggenza fossero tempi di debolezza, di perturbamenti e di disastri,
era verità provata dalla intera storia d'Inghilterra, di Francia, e
di Scozia, ed era quasi divenuta proverbio. Pure, in un caso
d'infanzia o di demenza, il Re per lo meno era passivo. Non poteva
di fatto controbilanciare il Reggente. Ciò che ora proponevasi era
che la Inghilterra avesse due primi magistrati d'età matura e di
mente sana, che vicendevolmente si facessero implacabile guerra. Era
assurdo discorrere di lasciare a Giacomo il nudo nome di Re e
privarlo al tutto del potere regio; perocchè il nome era parte di
quel potere; il vocabolo Re era parola di prestigio. Nella mente di
molti Inglesi era congiunto con la idea di un carattere misterioso
derivato dal cielo, e nella mente di quasi tutti gl'Inglesi con la
idea di autorità legittima e veneranda. Certo se il titolo aveva
tanto potere, coloro i quali sostenevano che Giacomo dovesse essere
privato d'ogni potere, non potevano negare ch'egli dovesse essere
privato del titolo.
E fino a quando doveva egli durare lo strano governo proposto da
Sancroft? Tutti gli argomenti che potevano addursi per istituirlo,
si potevano con uguale forza addurre per mantenerlo sino alla fine
de' secoli. Se il pargoletto trasportato in Francia era veramente
nato dalla Regina, doveva ereditare il divino e inalienabile diritto
di essere chiamato Re. Il medesimo diritto probabilmente sarebbe
stato trasmesso di papista in papista per gl'interi secoli
decimottavo e decimonono. Ambo le Camere avevano ad unanimità
deliberato non dovere la Inghilterra essere governata da un papista.
Poteva quindi darsi che di generazione in generazione il governo
seguitasse ad essere amministrato da Reggenti a nome di Re raminghi
e mendicanti. Non era dubbio che i Reggenti dovessero essere eletti
dal Parlamento. Lo effetto, dunque, di questo disegno, trovato a
serbare intatto il sacro principio della monarchia ereditaria,
sarebbe stato quello di rendere elettiva la monarchia.
Un'altra invincibile ragione fu addotta contro il disegno di
Sancroft. Era nel libro degli Statuti una legge fatta tosto dopo la
lunga e sanguinosa contesa tra la Casa di York e quella di
Lancaster, a fine d'evitare che si rinnovassero le calamità che le
vicendevoli vittorie delle predette Case avevano cagionato ai Nobili
e gentiluomini del reame. Questa legge provvedeva che niuno,
aderendo al Re in possesso del trono, incorrerebbe nelle pene di
tradigione. Allorquando i regicidi furono processati dopo la
Restaurazione, taluni di loro insisterono per essere giudicati
secondo quella legge. Dicevano d'avere obbedito al governo esistente
di fatto, e però non essere traditori. I giudici ammisero che tale
difesa sarebbe stata buona ove gli accusati avessero agito sotto
l'autorità di un usurpatore, il quale, come Enrico IV e Riccardo
III, portasse il titolo di Re, ma dichiararono che non poteva
giovare ad uomini i quali accusarono, condannarono e giustiziarono
uno che nell'atto dell'accusa, della sentenza e della esecuzione,
era designato col nome di Re. Ne seguiva quindi che chiunque
sostenesse un Reggente in opposizione a Giacomo, correrebbe gran
rischio di essere impiccato, trascinato e squartato, ove Giacomo
ricuperasse il potere sovrano; ma nessuno, senza violare la legge in
modo tale che forse nè anche Jeffreys si rischierebbe ad usare,
potrebbe essere punito aderendo ad un Re che regnava, quantunque
contro ogni diritto, in Whitehall contro un Re legittimo il quale
era esule in Saint-Germain(1309).
E' pare che i sopra esposti argomenti non ammettessero risposta; e
furono energicamente addotti da Danby il quale aveva arte
maravigliosa a rendere chiara alla più torpida mente ogni cosa ch'ei
prendeva a dimostrare, e da Halifax il quale per abbondanza di
concetti e splendore di locuzione non era pareggiato da nessuno fra
gli oratori di quella età. Nondimeno erano così potenti e numerosi i
Tory nella Camera Alta, che, nonostante la debolezza della causa
loro, la diserzione del loro capo, e l'abilità de' loro oppositori,
furono presso a trionfare in quel giorno. I votanti erano cento.
Quarantanove votarono per la Reggenza, cinquantuno contro. Colla
minoranza erano i figli naturali di Carlo, i cognati di Giacomo, i
Duchi di Somerset e d'Ormond, lo Arcivescovo di York e undici
vescovi. Nessuno de' prelati, salvo Compton e Trelawney, votò con la
maggioranza(1310).
Erano vicine le ore nove della sera quando fu levata la seduta nella
Camera de' Lordi. Il dì che seguiva era il 30 gennaio, anniversario
della morte di Carlo I. Il clero anglicano per molti anni aveva
reputato debito sacro inculcare in quel giorno le dottrine della non
resistenza e della obbedienza passiva. Ora i suoi vecchi sermoni
giovavano poco; e molti teologi perfino dubitavano se potessero
rischiarsi a leggere per intero la liturgia. La Camera Bassa aveva
dichiarato vacante il trono. L'Alta non aveva per anche espressa
alcuna opinione. Non era quindi facile cosa decidere se si dovessero
recitare le preci pel Sovrano. Ogni ministro nel compiere i divini
uffici seguì il proprio talento. Nella più parte delle chiese della
metropoli le preghiere per Giacomo furono omesse: ma in Santa
Margherita, Sharp Decano di Norwich, richiesto di predicare dinanzi
ai Comuni, non solo lesse in faccia a loro l'intero servizio come
era scritto nel libro, ma prima di incominciare il sermone invocò
con sue proprie parole il cielo perchè benedicesse il Re, e verso la
fine del suo discorso declamò contro la dottrina gesuitica che
insegnava potere i principi essere legalmente detronizzati dai loro
sudditi. Quel dì stesso il Presidente alla Camera mosse querela di
tal affronto dicendo: "Voi un giorno votate un provvedimento, e il
dì dopo viene contraddetto dal pulpito al cospetto vostro." Sharp fu
energicamente difeso dai Tory, e trovò amici anche fra' Whig:
imperocchè rammentavano tuttavia ch'egli aveva corso gravissimo
pericolo allorquando nei tristi tempi ebbe il coraggio, malgrado il
divieto del Re, di predicare contro il papismo. Sir Cristoforo
Musgrave ingegnosissimamente notò non avere la Camera ordinato la
pubblicazione della deliberazione che dichiarava vacante il trono.
Sharp adunque non solo non era tenuto a saperla, ma non ne avrebbe
potuto parlare senza violare i privilegi parlamentari, pel quale
attentato avrebbe corso rischio di essere chiamato alla sbarra e
prostrato sulle proprie ginocchia sostenere una riprensione. La
maggioranza conobbe non essere savio partito in quel momento
attaccar lite col clero; e troncò la questione(1311).
Mentre i Comuni discutevano intorno al sermone di Sharp, i Lordi si
erano di nuovo costituiti in Comitato per considerare le condizioni
del paese, ed avevano ordinato che venisse paragrafo per paragrafo
letta la deliberazione che dichiarava vacante il trono.
La prima espressione che fece nascere una disputa era dove si
ammetteva il contratto originale tra Re e popolo. Non era da
aspettarsi che i Pari Tory lasciassero passare una frase che
conteneva la quintessenza delle opinioni de' Whig. Si venne ai voti;
e risultò con cinquantatre favorevoli sopra quarantasei contrari che
le controverse parole rimarrebbero.
Presero poscia in considerazione il severo biasimo che i Comuni
avevano dato al governo di Giacomo e fu unanimemente approvato.
Sorse qualche obiezione verbale contro la proposizione in cui si
affermava che Giacomo aveva abdicato. Fu proposto si correggesse con
dire ch'egli aveva abbandonato il Governo. Questa emenda fu
abbracciata, a quanto sembra, quasi senza dibattimento nè votazione.
Essendo già tardi, i Lordi aggiornarono la tornata(1312).
XXXVII. Fin qui la piccola schiera dei Pari, guidati da Danby, aveva
agito d'accordo con Halifax e coi Whig. Tale unione aveva fatto sì
che il disegno d'instituire una Reggenza era stato rigettato, ed
abbracciata la dottrina del contratto originale. La proposizione che
Giacomo aveva cessato d'essere Re era stata il punto di congiunzione
de' due partiti che formavano la maggioranza. Ma da quel punto l'uno
dall'altro divergeva. La questione che doveva poscia risolversi era,
se il trono fosse da considerarsi vacante; questione non di semplici
parole, ma di grave importanza pratica. Se il trono era vacante, gli
Stati del reame potevano darlo a Guglielmo. Se non era vacante, ei
poteva succedere soltanto dopo la sua consorte, la Principessa Anna
e i discendenti di lei.
Secondo i seguaci di Danby era massima stabilita non potere la
patria nostra nemmeno per un istante trovarsi senza legittimo
Principe. L'uomo poteva morire; ma il magistrato era immortale.
L'uomo poteva abdicare; ma il magistrato era irremovibile. Se noi -
ragionavano essi - una volta ammettiamo il trono essere vacante,
ammettiamo che la nostra monarchia è elettiva. Il monarca che vi
poniamo diventa un Sovrano non secondo la forma d'Inghilterra, ma
secondo quella di Polonia. Quando anche scegliessimo l'individuo
stesso destinato a regnare per diritto di nascita, quell'individuo
tuttavia regnerebbe non per diritto di nascita, ma per virtù della
nostra elezione, e prenderebbe come dono ciò che dovrebbe
considerarsi retaggio. La salutare riverenza tributata finora al
sangue regio e all'ordine della primogenitura verrebbe grandemente
scemata. Il male si farebbe anco maggiore se noi non solo dessimo il
trono per elezione; ma lo dessimo a un principe il quale
indubitatamente avesse i requisiti di un grande ed ottimo regnatore,
e il quale ci avesse maravigliosamente liberati, ma non fosse primo
e nè anco secondo nell'ordine della successione. Se una volta
diciamo che il merito, ancorchè eminente, è un diritto per
acquistare la Corona, distruggiamo i fondamenti del nostro
ordinamento politico, e stabiliamo un esempio, del quale ogni
guerriero o statista ambizioso che avesse reso grandi servigi al
pubblico sarebbe tentato a giovarsi. Questo pericolo scansiamo
seguendo logicamente i principii della Costituzione fino alle ultime
conseguenze loro. Lo accesso alla Corona era aperto come alla morte
del principe regnante: da quel momento medesimo il più prossimo
erede diventò nostro legittimo Sovrano. Noi consideriamo la
Principessa d'Orange come la più prossima erede, sosteniamo quindi
che si debba senza il minimo indugio proclamare, quale è difatto,
nostra Regina.
I Whig rispondevano essere scempiezza applicare le regole ordinarie
ad un paese in istato di rivoluzione, la gran questione non doversi
decidere coi dettati de' pedanti curiali, e dovendosi a quel modo
decidere, quei dettati potersi da ambe le parti addurre. Se era
massima di legge che il trono non poteva essere giammai vacante, era
parimente massima di legge che un uomo non poteva avere un erede,
che, lui vivente, succeda. Giacomo era vivente. In che modo adunque
la Principessa d'Orange poteva ella succedergli? Vero era che le
leggi dell'Inghilterra avevano pienamente provveduto alla
successione nel caso in cui il potere d'un sovrano e la sua vita
naturale finissero ad un tempo, ma non avevano provveduto pe' casi
in cui il suo potere cessasse innanzi ch'egli finisse di vivere; e
la Convenzione ora doveva risolvere uno di questi rarissimi casi.
Che Giacomo non possedeva più il trono, ambedue le Camere avevano
dichiarato. Nè il diritto comune nè gli statuti designavano
individuo alcuno che avesse diritto ad ascendere sul trono nel tempo
che intercedeva tra la decadenza del Re e la sua morte. Ne seguiva
dunque che il trono era vacante, e che le Camere potevano invitare
il Principe d'Orange ad ascendervi. Ch'egli non fosse il più
prossimo erede nell'ordine della discendenza, era vero: ma ciò non
nuoceva punto, anzi era un positivo vantaggio. La monarchia
ereditaria era una buona istituzione politica, ma non era in nulla
più sacra delle altre buone istituzioni politiche. Sventuratamente i
bacchettoni e servili teologi l'avevano fatta diventare mistero
religioso, imponente e incomprensibile quasi al pari della
transustanzazione. Primissimo scopo degli statisti inglesi doveva
essere quello di mantenere la istituzione e a un tempo distrigarla
dalle abiette e malefiche superstizioni fra le quali dianzi era
stata involta, sì che invece di essere un bene riusciva dannosa alla
società; e a cotesto scopo si giungerebbe meglio, pria deviando
alquanto e per un tempo dalla regola generale della discendenza, per
poscia ritornarvi. XXXVIII. Molti sforzi furono fatti per
impedire ogni aperta rottura tra i partigiani del Principe e quei
della Principessa. Si tenne un'adunanza in casa del Conte di
Devonshire, e vi fu caldo contendere. Halifax era il precipuo
propugnatore di Guglielmo, Danby lo era di Maria. Danby non
conosceva punto lo intendimento di Maria. Da qualche tempo era
aspettata in Londra, ma l'avevano trattenuta in Olanda prima i massi
di ghiaccio che impedivano il corso de' fiumi, e, strutto il
ghiaccio, i venti che spiravano forte da ponente. Se ella fosse
giunta più presto, la contesa probabilmente si sarebbe a un tratto
calmata. Halifax dall'altro canto non aveva potestà di dire alcuna
cosa in nome di Guglielmo. Il Principe, fedele alla promessa di
lasciare alla Convenzione l'incarico di riordinare il governo, s'era
tenuto in impenetrabile riserbo e non s'era lasciato sfuggire
parola, sguardo o gesto, che esprimesse satisfazione o dispiacere.
Uno degli Olandesi fidatissimo del Principe, invitato all'adunanza,
fu dai Pari istantemente sollecitato desse loro qualche
informazione. Ei si scusò lungamente. Infine cedè alle loro istanze
sino a dire: "Io altro non posso che indovinare lo intendimento di
Sua Altezza. Se desiderate sapere ciò che io ne indovino, credo che
egli non amerà mai d'essere il ciamberlano di sua moglie: del resto
non so nulla." - "E non per tanto adesso io ne so qualcosa" disse
Danby, "ne so abbastanza, ne so molto." Quindi si partì, e
l'assemblea si disciolse(1313).
Il dì 31 gennaio la disputa che privatamente era finita nella sopra
narrata guisa, fu pubblicamente rinnovata nella Camera de' Pari.
Quel giorno era stato stabilito come solennità di rendimento di
grazie. Vari vescovi, fra' quali erano Ken e Sprat, avevano composta
una forma di preghiera adatta alla circostanza. È al tutto libera
dalla adulazione e dalla malignità onde spesso in quella età erano
deturpati simili componimenti; e meglio di qualunque altra forma di
preghiera fatta per occasione speciale nello spazio di due secoli,
sostiene il paragone con quel gran modello di casta, alta e patetica
eloquenza, cioè col Libro delle Preghiere Comuni. I Lordi la mattina
si condussero all'abadia di Westminster. I Comuni avevano desiderato
che Burnet predicasse in Santa Margherita. Non era verosimile
ch'egli cadesse nel medesimo errore che il dì precedente in quello
stesso luogo altri aveva commesso. Non è dubbio che il suo vigoroso
ed animato discorso ponesse in commovimento gli uditori. Non solo fu
stampato per ordine della Camera, ma tradotto in francese per
edificazione dei protestanti stranieri(1314). Il giorno si chiuse
con le feste consuete in simili solennità. Tutta la città
risplendeva con fuochi di gioia e luminarie: il rimbombo de' cannoni
e il suono delle campane durò fino a notte inoltrata: ma innanzi che
i lumi fossero spenti e le strade in silenzio, era seguito un evento
che raffreddò la pubblica esultanza.
XXXIX. I Pari dall'Abadia andati alla Camera avevano ripresa la
discussione sopra le condizioni della nazione. Le ultime parole
della deliberazione de' Comuni vennero prese in considerazione; e
tosto chiaramente si vide che la maggioranza non era inchinevole ad
approvarle. Ai circa cinquanta Lordi i quali sostenevano che il
titolo di Re apparteneva sempre a Giacomo si aggiunsero altri sette
o otto i quali dianzi volevano che fosse già devoluto a Maria. I
Whig vedendosi vinti di numero, si provarono di venire a patti.
Proposero di levare le parole che dichiaravano vacante il trono, e
di semplicemente proclamare Re e Regina il Principe e la
Principessa. Era evidente che tale dichiarazione comprendeva, benchè
non lo affermasse espressamente, tutto ciò che i Tory repugnavano a
concedere: imperocchè nessuno poteva pretendere che Guglielmo fosse
succeduto alla dignità regia per diritto di nascita. Approvare
quindi una deliberazione che lo riconoscesse era un atto d'elezione;
e in che guisa poteva esservi elezione senza vacanza? La proposta
de' Lordi Whig fu rigettata con cinquantadue voti contro
quarantasette. Allora posero la questione se il trono fosse vacante.
Gli approvanti furono quarantuno, i neganti cinquantacinque. Della
minoranza trentasei protestarono(1315).
XL. Nei due giorni susseguenti Londra era piena di ansietà e
inquietudine. I Tory cominciarono a sperare di potere nuovamente con
migliore esito mettere innanzi il loro prediletto disegno
d'instituire una Reggenza. Forse lo stesso Principe, vedendo perduta
ogni speranza di acquistare la Corona, preferirebbe il progetto di
Sancroft a quello di Danby. Certo era meglio essere Re che Reggente;
ma era anche meglio essere Reggente che Ciamberlano. Dall'altro
canto la più bassa e feroce classe de' Whig, i vecchi emissari di
Shaftesbury, e i vecchi complici di College, cominciarono ad
affaccendarsi nella città. Si videro turbe affollarsi in Palace
Yard, e prorompere in parole di minacce. Lord Lovelace il quale era
in sospetto di avere suscitato il tafferuglio, annunziò ai Pari
ch'egli aveva lo incarico di presentare una petizione nella quale si
domandava che in sull'istante il Principe e la Principessa d'Orange
venissero dichiarati Re e Regina. Gli fu domandato chi fossero
coloro che avevano firmata la petizione. "Nessuno finora vi ha posto
la mano" rispose egli, "ma quando ve la porterò, vi saranno mani
tante che bastino." Tale minaccia impaurì e disgustò il suo proprio
partito. E veramente i più cospicui Whig avevano, anche più de'
Tory, bramosia che le deliberazioni della Convenzione fossero
perfettamente libere, e che nessuno dei fautori di Giacomo potesse
allegare che alcuna delle Camere fosse stata costretta dalla forza.
Una petizione simile a quella affidata a Lovelace fu presentata alla
Camera dei Comuni, ma venne sprezzantemente respinta. Maynard fu
primo a protestare contro la canaglia delle strade che tentava
d'intimorire gli Stati del reame. Guglielmo chiamò a sè Lovelace, lo
rimproverò severamente, e ordinò che i magistrati agissero con
vigore contro gl'illeciti assembramenti(1316). Non è cosa nella
storia della nostra rivoluzione che meriti d'essere ammirata e tolta
ad esempio, quanto il modo onde i due partiti della Convenzione, nel
momento in cui più fervevano le loro contese, si congiunsero come un
solo uomo per resistere alla dittatura della plebaglia di Londra.
XLI. Ma quantunque i Whig fossero pienamente deliberati di mantenere
l'ordine e rispettare la libertà de' dibattimenti, erano parimente
determinati di non fare alcuna concessione. Il sabato, 2 febbraio, i
Comuni senza votazione decisero di starsi fermi nella forma
primitiva della loro deliberazione. Giacomo, come sempre, venne in
aiuto de' suoi nemici. Era pur allora arrivata a Londra una lettera
di lui diretta alla Convenzione. Era stata trasmessa a Preston dallo
apostata Melfort, il quale era grandemente favorito in
Saint-Germain. Il nome di Melfort era in abominio ad ogni Anglicano.
L'essere egli ministro confidente di Giacomo bastava a dimostrare
che la costui demenza ed ostinatezza erano infermità incurabili.
Nessun membro dell'una o dell'altra Camera si rischiò a proporre la
lettura di un foglio che veniva da quelle cotali mani. Non per tanto
il contenuto era ben noto alla città tutta. La Maestà Sua esortava i
Lordi e i Comuni a non disperare della sua clemenza, e benevolmente
prometteva di perdonare coloro che lo avevano tradito, tranne pochi
ch'egli non nominava. Come era egli possibile fare alcuna cosa a pro
d'un Principe, il quale, vinto, abbandonato, bandito, vivente di
limosine, diceva a coloro che erano arbitri delle sue sorti, che ove
lo ponessero nuovamente sul trono, non impiccherebbe che pochi di
loro?
XLII. La contesa tra le due Camere durò alcuni altri giorni. Il
lunedì 4 di febbraio i Pari deliberarono d'insistere sulle loro
modificazioni: ma fu messa nel processo verbale una protesta firmata
da trentanove membri(1317). Il giorno dopo i Tory pensarono di
far prova della forza loro nella Camera Bassa; vi concorsero assai
numerosi, e fecero la proposta di assentire alle modificazioni de'
Lordi. Coloro che erano pel progetto di Sancroft e coloro che erano
pel progetto di Danby votarono insieme: ma furono vinti da
duecentottantadue voti contro centocinquantuno. La Camera allora
deliberò di avere un libero colloquio coi Lordi(1318).
Nello stesso tempo potenti sforzi facevansi fuori le mura del
Parlamento affine che la contesa fra le due Camere cessasse. Burnet
si reputò dalla importanza della crisi giustificato a divulgare le
mire secrete confidategli dalla Principessa. Disse sapere dalle
labbra di lei, ch'era da lungo tempo pienamente deliberata, anche se
il trono le venisse pel corso regolare della discendenza, a porre il
potere, assenziente il Parlamento, nelle mani del suo consorte.
Danby ricevè da lei una viva e quasi sdegnosa riprensione. Gli
scrisse ch'ella era la moglie del Principe, che altro non
desiderava, se non essere a lui sottoposta; la più crudele ingiuria
che le si potesse fare era il controporla a lui come competitrice; e
chiunque ciò facesse non verrebbe mai considerato da lei come vero
amico(1319).
XLIII. Ai Tory rimaneva ancora una speranza. Era possibile che Anna
ponesse innanzi i propri diritti e quelli de' figli suoi. Provaronsi
in tutte le guise a incitare l'ambizione e atterrire la coscienza di
lei. Suo zio Clarendon si mostrò a ciò fare operosissimo. Solo poche
settimane erano corse da che la speranza della opulenza e della
grandezza lo aveva spinto a rinnegare i principii da lui
ostentatamente professati per tutta la vita, abbandonare la causa
del Re, collegarsi coi Wildman e coi Ferguson, anzi proporre che il
Re fosse condotto prigione in terra straniera e rinchiuso in una
fortezza cinta di pestilenti maremme. Era stato indotto a tale
strana trasformazione dalla brama di essere fatto Vicerè d'Irlanda.
Nonostante, presto si vide che il proselite aveva poca speranza di
ottenere il magnifico premio al quale era intento il suo cuore:
perocchè intorno agli affari di quell'isola ad altri chiedevasi
consiglio; all'incontro, quando egli importunamente l'offriva, era
accolto freddamente. Andò molte volte al palazzo di San Giacomo, ma
appena potè ottenere il favore di una parola o d'uno sguardo. Ora il
Principe scriveva; ora aveva mestieri d'aria e doveva cavalcare pel
parco; ora stavasi rinchiuso con gli ufficiali ragionando di
faccende militari e non poteva dare ascolto a nessuno. Clarendon si
accôrse non essere verosimile di guadagnar nulla col sacrificio de'
suoi principii e pensò di ripigliarli. In dicembre l'ambizione lo
aveva reso ribelle. In gennaio il disinganno lo aveva fatto
nuovamente diventare realista. Il rimorso che sentiva nella
coscienza di non essere stato Tory costante, diede una speciale
acrimonia al suo Torysmo(1320). Nella Camera dei Lordi aveva fatto
il possibile a impedire ogni accomodamento. Adesso pel medesimo fine
fece prova di tutta la sua influenza sullo spirito della Principessa
Anna. Ma cotesta influenza era poca in paragone di quella dei
Churchill, i quali accortamente chiamarono in aiuto due potenti
collegati, cioè Tillotson, il quale come direttore spirituale aveva
in que' tempi immensa autorità, e Lady Russell, le cui nobili e care
virtù, esposte a crudelissime prove, le avevano acquistata
reputazione di santa. Tosto si seppe che la Principessa di Danimarca
desiderava che Guglielmo regnasse a vita; e quindi fu chiaro che
difendere la causa delle figlie di Giacomo contro loro stesse era
disperata impresa(1321).
XLIV. Guglielmo intanto giudicò arrivato il tempo di dichiarare
l'animo suo. Chiamò a sè Halifax, Danby, Shrewsbury e alcuni altri
notevolissimi capi politici, e con quell'aria di stoica apatia,
sotto la quale fino da fanciullo s'era avvezzo a nascondere le più
forti emozioni, favellò loro poche parole profondamente meditate e
di gran peso. Disse che egli fino allora aveva taciuto; non
adoperato sollecitazioni nè minacce, nè anche fatta la minima
allusione alle opinioni e ai desiderii suoi: ma ormai il caso era sì
critico ch'ei reputava necessario dichiarare il proprio
intendimento. Non aveva nè diritto nè volontà di dettare alla
Convenzione. Tutto ciò che egli pretendeva, altro non era che il
privilegio di rifiutare ogni ufficio ch'egli non potesse occupare
con onore per sè, ed a beneficio del pubblico.
Un forte partito voleva instituire una Reggenza. Spettava alle
Camere giudicare se tale provvedimento sarebbe utile alla nazione.
In quel subietto egli aveva le sue ferme opinioni; e credeva giusto
dire chiaramente ch'egli non voleva essere Reggente.
Un altro partito voleva porre la Principessa sul trono, e a lui,
vita durante, concedere il titolo di Re e tanta parte nel Governo
quanta piacesse alla consorte dargliene. Ei non si abbasserebbe a
tanto. Stimava la Principessa quanto era possibile che l'uomo stimi
la donna; ma neanche da lei egli accetterebbe un posto subordinato e
precario nel Governo. Era così fatto da non potere starsi legato al
grembiule della migliore delle mogli. Non desiderava immischiarsi
negli affari della Inghilterra; ma consentendo a prendervi parte,
non v'era che una sola parte ch'egli potesse utilmente ed
onorevolmente prendere. Se gli Stati gli offrissero la Corona a
vita, ei l'accetterebbe. Se no, egli, senza dolersi, ritornerebbe
alla terra natia. Concluse dicendo reputare ragionevole che la
Principessa Anna e i suoi discendenti, nella successione al trono,
venissero preferiti a qualunque figlio ei potesse avere da altra
moglie che dalla Principessa Maria(1322).
E sciolse la congrega. Le cose dette dal Principe in poche ore
furono note a tutta Londra. Era chiaro che doveva essere Re. L'unica
questione era sapere s'egli dovesse tenere la dignità regia solo, o
insieme con la Principessa. Halifax e pochi altri politici uomini, i
quali manifestamente discernevano il pericolo di partire la sovrana
potestà esecutiva, desideravano che finchè vivesse Guglielmo, Maria
fosse soltanto Regina Consorte e suddita. Ma questo ordinamento,
comechè potesse con molte ragioni propugnarsi, urtava il sentimento
universale, anche di quegli Inglesi che portavano maggiore affetto
al Principe. La sua moglie aveva dato non mai vista prova di
sommissione ed amore coniugale; ed il meno che potesse farsi per
ricambiarla era conferirle la dignità di Regina Regnante. Guglielmo
Herbert, uno de' più ardenti fautori del Principe, ne fu tanto
esasperato che saltò fuori dal letto, dove egli si stava infermo di
podagra, ed energicamente dichiarò che non avrebbe mai snudata la
spada se avesse preveduto un sì vergognoso ordinamento. Nessuno
quanto Burnet prese la faccenda sul serio. Sentì ribollirsi il
sangue nelle vene pensando al torto che volevano fare alla sua
diletta protettrice. Rimproverò acremente Bentinck, e chiese licenza
di rinunciare all'ufficio di cappellano. "Finchè io sarò servo di
Sua Altezza" disse il valoroso ed onesto teologo, "sarà per me
inconvenevole avversare alcuna cosa che sia da lui secondata.
Desidero quindi d'essere libero perchè io possa combattere per la
Principessa con tutti i mezzi che Dio mi ha dato." Bentinck persuase
Burnet a differire la dichiarazione delle ostilità fino a quando
fosse chiaramente nota la risoluzione di Guglielmo. In poche ore il
disegno che aveva suscitato tanto risentimento fu abbandonato; e
tutti coloro i quali non più consideravano Giacomo come Re,
concordarono intorno al modo di provvedere al trono. Era d'uopo che
Guglielmo e Maria fossero Re e Regina; le effigie di ambedue si
vedessero congiunte sulle monete; i decreti corressero in nome di
entrambi; entrambi godessero tutti gli onori e le immunità personali
della sovranità: ma il potere esecutivo, che non poteva senza
pericolo partirsi, doveva appartenere al solo Guglielmo(1323).
XLV. Giunto il tempo stabilito al libero colloquio fra le due
Camere, i Commissari dei Lordi, indossando l'abito del loro ufficio
si assisero da un lato attorno la tavola nella Sala dipinta: ma
dall'altro lato la folla de' membri della Camera de' Comuni era sì
grande che i gentiluomini i quali dovevano discutere intorno al
subietto controverso, invano provaronsi di ottenere posto. Non senza
difficoltà e lungo indugio il Sergente d'Armi potè farsi
passare(1324).
Finalmente incominciò la discussione. È giunta sino a noi una
copiosa relazione de' discorsi d'ambe le parti. Pochi sono gli
studiosi della storia i quali non abbiano svolta con ardente
curiosità tale relazione e non l'abbiano gettata via disillusi. La
questione tra le due Camere fu discussa da ambo le parti come
questione di legge. Le obiezioni fatte da' Lordi alla deliberazione
dei Comuni furono in materia di vocaboli e di punti tecnici, ed
ebbero risposte della medesima sorta. Somers difese l'uso della
parola abdicazione citando Grozio e Brissonio, Spigelio e Bartolo.
Sfidato ad addurre qualche autorità per sostenere la proposizione
che la Inghilterra poteva essere senza sovrano, ei produsse un
documento parlamentare del 1399 in cui stabilivasi espressamente che
il trono era rimasto vacante dalla abdicazione di Riccardo II fino
all'inalzamento di Enrico IV. I Lordi risposero adducendo un
documento parlamentare dell'anno primo d'Eduardo IV, dal quale
appariva, che lo strumento del 1399 era stato solennemente
annullato. Sostenevano quindi che lo esempio recato da Somers non
poteva applicarsi(1325) al caso. Surse allora Treby in soccorso di
Somers, e produsse il documento parlamentare dell'anno primo di
Enrico VII, che revocava l'atto d'Eduardo IV, e per conseguenza
ristabiliva la validità del documento del 1399. Dopo parecchie ore
il colloquio fu sciolto(1326). I Lordi si congregarono nella sala
loro. Ben vedevasi che essi stavano quasi per cedere, e che il
colloquio era stato per semplice forma. I fautori di Maria s'erano
accorti che ponendola sul trono come rivale del marito, le avevano
recato grave dispiacere. Taluni dei Pari che dianzi avevano votato
per instituire una Reggenza avevano fatto pensiero o di assentarsi o
di secondare la deliberazione della Camera Bassa. Affermavano non
avere cangiato opinione; ma qual si fosse governo esser meglio che
nessun governo; il paese non poter più a lungo sopportare cotesta
angosciosa sospensione. Lo stesso Nottingham, il quale nella Sala
dipinta aveva diretta la discussione contro i Comuni, dichiarò che,
quantunque la coscienza non gli consentisse di cedere, ei godeva
vedendo le coscienze degli altri essere meno fastidiose. Vari Lordi
i quali non avevano fino allora votato nella Convenzione erano stati
indotti a recarvisi: Lord Lexington il quale era pur allora giunto
dal Continente; il Conte di Lincoln che era mezzo maniaco; il Conte
di Carlisle che si trascinava sulle grucce; e il Vescovo di Durham,
il quale s'era tenuto nascosto e intendeva fuggire oltre mare; ma
gli era stato annunziato che ove egli votasse pel riordinamento del
Governo, non si farebbe mai più parola della sua condotta nella
Commissione Ecclesiastica. Danby, desideroso di spengere lo scisma
da lui cagionato, esortò la Camera, con un discorso superiore anche
alla sua ordinaria valentia, a non perseverare in una contesa che
poteva riuscire fatale allo Stato. Fu caldamente secondato da
Halifax. Il partito avverso si perdè d'animo. Posta la questione se
Giacomo avesse abdicato il governo, solo tre Lordi dettero il voto
negativo. Nella questione se il trono fosse vacante, gli approvanti
furono sessantadue, i neganti quarantasette. Fu immediatamente
approvata senza votazione la proposta che il Principe e la
Principessa d'Orange fossero dichiarati Re e Regina
d'Inghilterra(1327).
XLVI. Nottingham allora propose che la formula de' giuramenti di
fedeltà e di supremazia si variasse in modo da potersi con sicura
coscienza prestare da coloro i quali al pari di lui disapprovavano
ciò che la Convenzione aveva fatto, e non per tanto volevano
schiettamente essere leali e rispettosi sudditi de' nuovi sovrani. A
tale proposizione nessuno obiettò. Non è dubbio che intorno a ciò vi
fosse intelligenza tra i capi de' Whig e quei Lordi Tory i cui voti
avevano fatto traboccare la bilancia nell'ultima tornata. Le nuove
formole di giuramento furono mandate ai Comuni insieme con la
deliberazione che il Principe e la Principessa venissero dichiarati
Re e Regina(1328).
XLVII. Ormai era noto a chi doveva darsi la Corona. Rimaneva a
decidersi a quali condizioni si dovesse darla. I Comuni avevano
eletto un Comitato per discutere e riferire i provvedimenti da farsi
onde assicurare la legge e la libertà contro le aggressioni de'
futuri sovrani; e il Comitato aveva già fatta la relazione(1329). La
quale proponeva primamente che quei grandi principii della
Costituzione che erano stati violati dal deposto Re, fossero
solennemente rivendicati: e in secondo luogo che si facessero molte
nuove leggi a fine d'infrenare la regia prerogativa e purificare
l'amministrazione della giustizia. La maggior parte de' suggerimenti
del Comitato erano eccellenti; ma era affatto impossibile che le
Camere nello spazio di un mese, e anche di un anno, potessero
debitamente trattare così numerose, varie e importanti materie. Fra
le altre cose fu proposto di riformare la milizia civica;
restringere la potestà che i sovrani avevano di prorogare e
sciogliere il Parlamento; limitare la durata de' Parlamenti;
impedire che si opponesse la grazia del Re ad un'accusa
parlamentare; concedere tolleranza ai protestanti dissenzienti;
definire con maggior precisione il delitto d'alto tradimento;
condurre i processi di crimenlese in modo più favorevole
all'innocenza; rendere duraturo a vita l'ufficio di giudice; variare
il modo di nominare gli sceriffi; nominare i giurati in guisa da
impedire la parzialità e la corruzione; abolire l'uso di fare i
processi criminali nella Corte del Banco del Re; riformare la Corte
della Cancelleria; stabilire l'onorario de' pubblici ufficiali; ed
emendare la legge di Quo Warranto. Era chiaro che a far leggi savie
e profondamente pensate sopra tali materie bisognava più d'una
laboriosa sessione; ed era parimente chiaro che leggi fatte in
fretta e mal digerite sopra materie sì gravi non potevano che
produrre nuovi mali peggiori di quelli che avrebbero potuto
spegnere. Se il Comitato intendeva dare una lista di tutte le
riforme che il Parlamento avrebbe dovuto fare in tempo proprio, la
lista era stranamente imperfetta. Letta appena la relazione, i
rappresentanti, l'uno dopo l'altro, sorsero suggerendo aggiunzioni.
Fu proposto e approvato che si proibisse la rendita degl'impieghi,
che si rendesse più efficace l'Atto dell'Habeas Corpus, e che si
rivedesse la legge di Mandamus. Un tale si scagliò contro
gl'impiegati della imposta sui fuochi, un altro contro quei
dell'Excise: e la Camera deliberò di reprimere gli abusi d'entrambi.
È cosa notevolissima che, mentre lo intero sistema politico,
militare, giudiciario e fiscale del Regno nella sopradetta guisa
passavasi a rassegna, nè anche uno de' rappresentanti del popolo
proponesse la revoca della legge che sottoponeva la stampa alla
censura. Gli stessi uomini intelligenti non ancora intendevano che
la libertà della discussione è il precipuo baluardo di tutte le
altre libertà(1330).
XLVIII. La camera era in grave imbarazzo. Alcuni oratori
calorosamente dicevano essersi già perduto assai tempo; doversi
stabilire il Governo senza nemmeno un giorno d'indugio; la società
inquieta; languente il commercio; la colonia inglese d'Irlanda in
imminente pericolo di perire; sovrastare una guerra straniera;
essere possibile che in pochi giorni l'esule Re approdasse con
un'armata francese a Dublino, e da Dublino in breve tempo
trapassasse a Chester. Non era ella insania in un caso tanto critico
lasciare il trono vacante, e, mentre la esistenza stessa del
Parlamento era in pericolo, consumare il tempo a discutere se i
Parlamenti dovessero prorogarsi dal Sovrano o da sè? Dall'altra
parte chiedevasi se la Convenzione credesse d'avere adempito il
proprio debito col solo rovesciare un Principe per inalzare un
altro. Certo ora, o mai, era il momento di assicurare la libertà
pubblica con difese tali da potere efficacemente impedire le
usurpazioni della regia prerogativa(1331). Senza alcun dubbio gravi
erano le ragioni allegate da ambe le parti. Gli esperti capi dei
Whig, fra i quali Somers andava sempre acquistando maggiore
riputazione, proposero una via di mezzo. Dicevano la Camera avere in
mira due cose ch'erano da considerarsi l'una dall'altra distinte;
assicurare, cioè, l'antico ordinamento politico del reame contro le
illegali aggressioni; e migliorare tale politico ordinamento con
riforme legali. La prima poteva conseguirsi facendo nella
deliberazione che chiamava i nuovi sovrani al trono, solenne ricordo
del diritto che aveva la Nazione inglese alle sue vetuste
franchigie, in guisa che il Re possedesse la sua Corona, e il popolo
i suoi privilegi in forza di un solo e medesimo titolo. Ad ottenere
la seconda era mestieri un intero volume di leggi elaborate. L'una
poteva conseguirsi in un solo giorno; l'altra appena in cinque anni.
Quanto alla prima tutti i partiti erano d'accordo; quanto alla
seconda v'era innumerevole varietà d'opinioni. Nessun membro
dell'una e dell'altra Camera esiterebbe un istante a votare che il
Re non potesse imporre tasse senza consenso del Parlamento; ma non
sarebbe possibile fare alcuna nuova legge di procedura nei casi
d'alto tradimento, senza far nascere lunga discussione, ed essere da
questi riprovata come ingiusta verso lo accusato, e da quelli come
ingiusta verso la Corona. Lo scopo d'una straordinaria Convenzione
degli Stati del reame non era di trattare le faccende che
ordinariamente trattano i Parlamenti, stabilire l'onorario dei
Maestri in Cancelleria, e fare provvisioni contro le esazioni degli
ufficiali dell'Excise, ma di regolare la gran macchina del Governo.
Fatto ciò, sarebbe tempo di ricercare quali miglioramenti le nostre
istituzioni richiedessero; nè nello indugio sarebbe rischio;
imperocchè un Sovrano che regnasse semplicemente mercè la elezione
del popolo non potrebbe lungo tempo ricusare il suo assenso a quei
provvedimenti che il popolo, parlando per mezzo de' suoi
rappresentanti, chiedesse.
Per tali ragioni i Comuni saggiamente s'indussero a differire ogni
riforma finchè fosse ristaurata in tutte le sue parti l'antica
Costituzione del Regno, e per allora pensare di provvedere al trono
senza imporre a Guglielmo ed a Maria altro obbligo che quello di
governare secondo le leggi esistenti d'Inghilterra. Affinchè le
questioni controverse tra gli Stuardi e la nazione più oltre non
risorgessero, e' fu deliberato che l'Atto in forza del quale il
Principe e la Principessa d'Orange erano chiamati al trono
contenesse espressi in distintissima e solenne forma i principii
fondamentali della Costituzione. Questo documento che chiamasi
Dichiarazione dei Diritti fu compilato da un Comitato preseduto da
Somers. Per un giovine giureconsulto che soltanto dieci giorni
innanzi aveva per la prima volta favellato nella Camera de' Comuni,
l'essere stato eletto ad un ufficio di tanto onore e tanta
importanza nel Parlamento, è sufficiente prova della superiorità del
suo ingegno. In poche ore la Dichiarazione fu finita e approvata dai
Comuni. I Lordi vi assentirono con qualche modificazione di poco
momento(1332).
XLIX. La Dichiarazione incominciava riepilogando gli errori e i
delitti che avevano resa necessaria la rivoluzione. Giacomo aveva
invaso il campo del Corpo Legislativo, trattato come delitto una
modesta petizione, oppresso la Chiesa per mezzo di un tribunale
illegale, senza consenso del Parlamento imposto tasse e mantenuto in
tempo di pace un esercito stanziale, violato la libertà delle
elezioni, e pervertito il corso della giustizia. Questioni che
poteva legittimamente discutere il solo Parlamento erano state
subietto di persecuzione nel Banco del Re. Erano stati eletti
Giurati parziali e corrotti; estorti ai prigioni eccessivi riscatti;
imposte multe eccessive; inflitte barbare e insolite pene; le
sostanze degli accusati tolte a questi, e innanzi che fossero
dichiarati rei convinti, date ad altrui. Colui, per autorità del
quale s'erano fatte tali cose, aveva abdicato il Governo. Il
Principe d'Orange, fatto da Dio glorioso strumento a liberare il
paese dalla superstizione e dalla tirannide, aveva invitato gli
Stati del reame a ragunarsi e consultare intorno al modo di
assicurare la religione, la legge e la libertà. I Lordi e i Comuni
dopo matura deliberazione aveano innanzi tutto, secondo lo esempio
degli avi, rivendicato i vetusti diritti e le libertà della
Inghilterra. Avevano quindi dichiarato che la potestà di dispensare
dianzi usurpata ed esercitata da Giacomo non aveva esistenza legale;
che senza l'autorizzazione del Parlamento il Sovrano non poteva
esigere danaro dal suddito; che senza il consenso del Parlamento non
poteva mantenersi esercito stanziale in tempo di pace. Il diritto
de' sudditi a far petizioni, il diritto degli elettori a scegliere
liberamente i loro rappresentanti, il diritto de' Parlamenti alla
libertà della discussione, il diritto della Nazione ad una pura e
mite amministrazione della giustizia secondo lo spirito mite delle
sue leggi, tutte queste cose vennero solennemente espresse, e dalla
Convenzione, a nome del popolo, reclamate come incontrastabile
eredità degl'Inglesi. Rivendicati in cosiffatta guisa i principii
della Costituzione, i Lordi e i Comuni, pienamente confidando che il
liberatore reputasse sacre le leggi e le libertà da lui già salvate,
determinavano che Guglielmo e Maria, Principe e Principessa
d'Orange, venissero dichiarati Re e Regina d'Inghilterra, loro vita
durante, e che, viventi entrambi, il potere esecutivo fosse nelle
mani del solo Principe. Dopo la morte loro, al trono succederebbero
i discendenti di Maria, poi la Principessa Anna e suoi discendenti,
poi i discendenti di Guglielmo.
L. Verso questo tempo il vento aveva cessato di spirare da ponente.
La nave sulla quale la Principessa d'Orange s'era imbarcata,
trovavasi il dì 11 febbraio di faccia a Margate, la dimane gettò
l'áncora in Greenwich(1333). Le furono fatte gioiose e affettuose
accoglienze: ma il suo contegno spiacque gravemente ai Tory, e da'
Whig non fu reputato scevro di biasimo. Una donna giovane, da un
destino tristo e tremendo come quello che pesava sulle favolose
famiglie di Labdaco e di Pelope, posta in condizioni da non potere,
senza violare i propri doveri verso Dio, il marito e la patria,
ricusare d'ascendere al trono dal quale il padre suo era stato
dianzi rovesciato, avrebbe dovuto avere aspetto tristo o almeno
grave. E non per tanto Maria non solo era di lieto ma di stravagante
umore. Fu detto ch'ella entrasse in Whitehall col fanciullesco
diletto di vedersi padrona di un sì bel palagio, corresse per le
stanze, facesse capolino negli stanzini, e si stesse ad osservare
gli arredi del letto di gala siffattamente, che sembrava non
rammentasse da chi quei magnifici appartamenti erano stati dianzi
occupati. Burnet, il quale fino allora l'aveva reputata un angiolo
in forma umana, non potè in quella occasione astenersi dal
biasimarla. E ne era maggiormente attonito, perocchè nel togliere da
lei commiato all'Aja, l'aveva veduta, - quantunque fosse pienamente
persuasa di procedere per la via del dovere, - profondamente
accuorata. A lui, come a direttore spirituale, ella poscia disse le
ragioni della propria condotta. Guglielmo le aveva scritto che
taluni di coloro che s'erano provati a dividere i suoi interessi da
quelli di lei, seguitavano a tramare: andavano spargendo ch'essa si
reputava lesa ne' suoi diritti; ed ove si mostrasse in melanconico
aspetto, la ciarla toglierebbe sembianza di verità. La supplicava
quindi ad assumere nella sua prima comparsa un'aria di allegria. Il
suo cuore - diceva ella - era ben lungi dall'essere lieto; ma aveva
fatto ogni sforzo a parerlo; e temendo di non rappresentare
convenevolmente una parte ch'ella non sentiva, l'aveva esagerata. Il
suo contegno fu subietto a volumi di scurrilità in prosa e in versi;
le scemò reputazione presso taluni di coloro la cui stima ella
teneva in pregio; nè il mondo mai seppe, finchè ella non fu in luogo
dove nè lode nè biasimo poteva coglierla, che la condotta la quale
le aveva meritato il rimprovero di insensibilità e leggerezza, era
stupendo esempio di quella perfetta e disinteressata devozione di
cui l'uomo sembra incapace, ma che talvolta si trova nella
donna(1334).
LI. Il mercoledì mattina, 13 febbraio, la Corte di Whitehall e tutte
le vie circostanti erano accalcate di gente. La magnifica Sala del
banchetto, capolavoro d'Inigo, e adorna de' capolavori di Rubens,
era stata apparecchiata per una grande cerimonia. Lungo le pareti
stavansi in fila gli ufficiali delle Guardie. Presso la porta di
tramontana, a diritta, vedevasi un gran numero di Pari; v'erano a
sinistra i Comuni col presidente loro accompagnato dal mazziere.
Apertasi la porta di mezzogiorno, il Principe e la Principessa
d'Orange l'uno a fianco dell'altra entrarono e presero posto sotto
il baldacchino reale.
Ambedue le Camere si appressarono inchinandosi. Guglielmo e Maria si
fecero innanzi di pochi passi. Halifax a diritta e Powle a sinistra
avanzatisi, Halifax favellò. Disse la Convenzione avere fatta una
deliberazione ch'egli pregava le Altezze Loro d'ascoltare. Quelle
fecero cenno d'assentimento, e il Cancelliere lesse ad alta voce la
Dichiarazione dei Diritti. E come egli ebbe finito, Halifax in nome
di tutti gli Stati del Reame, pregò il Principe e la Principessa
d'accettare la Corona.
LII. Guglielmo a nome suo e della moglie rispose che essi tenevano
in maggior pregio la Corona perchè era loro offerta come pegno della
fiducia della nazione. "Pieni di gratitudine noi accettiamo" disse
egli "il dono che ci avete offerto." Poi, quanto a sè, gli assicurò
che le leggi della Inghilterra da lui ora rivendicate, sarebbero
norma della sua condotta; che egli si studierebbe di promuovere il
bene del Regno, e quanto ai mezzi di farlo, chiederebbe sempre
consiglio alle Camere, volendosi più volentieri fidare del giudicio
loro che del suo(1335). Queste parole furono accolte con uno scoppio
di gioiose grida alle quali in un baleno risposero dalle vie gli
evviva di molte migliaia. I Lordi e i Comuni quindi rispettosamente
uscirono dalla Sala del banchetto e andarono in processione alla
maggior porta di Whitehall, dove li attendevano gli Araldi coperti
de' loro sontuosi mantelli. Tutto quello spazio fino a Charing
Cross(1336) rendeva immagine di un mare di teste. I timpani
suonarono, squillarono le trombe, e il Re d'Armi ad alta voce
proclamò il Principe e la Principessa d'Orange Re e Regina
d'Inghilterra, intimò a tutti gl'Inglesi d'essere, d'allora innanzi,
sinceramente fedeli e ligi ai nuovi sovrani, e supplicò Dio, il
quale aveva con sì segnalato modo liberata la nostra Chiesa e la
nostra Nazione, benedicesse Guglielmo e Maria, concedendo loro lungo
e felice regno(1337).
LIII. In questa guisa fu consumata la Rivoluzione inglese. Ogni qual
volta la paragoniamo con quelle, che, negli ultimi sessanta anni,
hanno rovesciato tanti vetusti governi, non possiamo a meno di
rimanere maravigliati dell'indole speciale di quella. Perchè la sua
indole fosse così speciale è bastevolmente chiaro, e non per tanto
e' sembra che non sia stata sempre intesa da coloro che l'hanno
commendata nè da coloro che l'hanno biasimata.
Le rivoluzioni del Continente successe nei secoli decimottavo e
decimonono ebbero luogo in paesi dove da lungo tempo più non
rimaneva vestigio della monarchia temperata del medio evo. Il
diritto che aveva il Principe di fare leggi, e imporre tasse, era
rimasto per molte generazioni incontrastato. Il suo trono era difeso
da un grande esercito stanziale. Il suo governo non poteva senza
estremo pericolo essere biasimato nè anche con moderatissime parole.
I suoi sudditi non godevano la libertà personale che a libito del
Principe. Non restava neppure una istituzione, a memoria de' più
vecchi, la quale prestasse al suddito sufficiente protezione contro
le enormezze della tirannide. Quelle grandi congreghe che un tempo
avevano domata la potestà regia erano cadute in oblio. La struttura
e i privilegi loro erano noti ai soli antiquari. Non possiamo quindi
maravigliarci che allorquando ad uomini siffattamente governati
venne fatto di strappare il supremo potere dalle mani di un governo
che in cuor loro da lungo tempo aborrivano, eglino fossero corrivi a
demolire e inetti a riedificare; che rimanessero sedotti da ogni
novità, proscrivessero ogni titolo, cerimonia, e frase che
richiamava alla mente la idea del vecchio sistema, e dilungandosi
con disgusto dalle nazionali tradizioni frugassero nei volumi de'
politici filosofanti a trovarvi principii di governo, o con ridicola
e stolta affettazione scimmiottassero i patriotti di Atene e di
Roma. Non possiamo medesimamente maravigliarci che la violenta
azione dello spirito rivoluzionario fosse seguita da una reazione al
pari violenta, e che la confusione, poco dopo, generasse un
dispotismo più severo di quello donde essa era nata.
Se noi ci fossimo trovati nella medesima situazione; se a Strafford
fosse riuscito di mandare ad effetto la sua prediletta idea del
Compiuto, di formare un esercito numeroso e bene disciplinato, come
quello che, pochi anni dopo, Cromwell creò; se parecchie decisioni
giudiciali simili a quella che fu profferita dalla Camera dello
Scacchiere nel caso della imposta marittima, avessero trasferito
nella Corona il diritto di gravare il popolo di balzelli; se la
Camera Stellata e l'Alta Commissione Ecclesiastica avessero
seguitato a multare, mutilare e porre in carcere chiunque osava
alzare la voce contro il Governo; se la stampa fosse stata
pienamente inceppata come in Vienna e in Napoli; se i nostri Re
avessero gradatamente recato alle loro mani tutto il potere
legislativo; se pel corso di sei generazioni non avessimo avuta nè
anche una sessione di Parlamento; e se alla perfine in qualche
istante di fiero concitamento fossimo insorti contro i nostri
padroni; quale scoppio di furore popolare ne sarebbe seguíto! Con
che fracasso, udito e sentito sino ai confini del mondo, il vasto
edificio sociale sarebbe caduto a terra! Quante migliaia d'esuli, un
tempo i più felici e culti membri di questa grande cittadinanza,
sarebbero andati mendicando il pane loro per le terre del
Continente, o avrebbero cercato ricovero ne' rozzi tugurii fra mezzo
alle foreste dell'America! Quante volte avremmo veduto sossopra i
lastricati di Londra per asserragliare le strade, crivellate di
palle le case, spumanti di sangue i rigagnoli! Quante volte saremmo
furiosamente corsi da un estremo all'altro, dall'anarchia cercando
rifugio nel dispotismo, e a liberarci dal dispotismo ricadendo
nell'anarchia! Quanti anni di sangue e di confusione ci sarebbe
costato lo imparare i rudimenti primi della sapienza politica! Da
quante fanciullesche teorie saremmo stati ingannati! Quante informi
e mal ponderate Costituzioni avremmo inalzate solo per vederle
nuovamente cadere! Sarebbe stata insigne ventura per noi se mezzo
secolo di rigida disciplina fosse stato sufficiente a educarci a
godere della vera libertà.
Tali sciagure la nostra Rivoluzione scansava. Era vigorosamente
difensiva ed aveva seco prescrizione e legittimità. Tra noi, e solo
tra noi, una monarchia temperata dal secolo decimoterzo s'era
serbata intatta fino al decimosettimo. Le nostre istituzioni
parlamentari erano in pieno vigore; eccellenti i più essenziali
principii del Governo; non formalmente nè esattamente compresi in un
solo documento scritto, ma sparsi nei nostri antichi e nobili
statuti, e - cosa di somma importanza - impressi da quattrocento
anni in cuore a tutti gl'Inglesi. Che senza il consenso de'
rappresentanti della Nazione non si potesse fare atti legislativi,
imporre tasse, mantenere esercito stanziale, imprigionare nessuno nè
anche per un giorno ad arbitrio del Sovrano; che nessun satellite
del Governo potesse allegare un ordine del Re come scusa per violare
qual si fosse diritto dell'infimo suddito; tutte queste cose erano
considerate tanto da' Whig che dai Tory quali leggi fondamentali del
reame. Un Regno in cui erano siffatte leggi fondamentali non aveva
mestieri d'una nuova Costituzione.
Ma comechè non vi fosse cotesto bisogno, era chiara la necessità di
riforme. Il pessimo governo degli Stuardi, e le perturbazioni da
quello suscitate, bastevolmente provavano che il nostro ordinamento
politico in alcuna sua parte difettava; ed era debito della
Convenzione indagare e supplire a tale difetto.
Varie questioni di grave momento lasciavano tuttavia aperto il campo
alle dispute. La nostra Costituzione era nata in tempi nei quali gli
uomini di Stato non erano cotanto assuefatti a fare definizioni
esatte. Ne erano quindi impercettibilmente surte anomalie
incompatibili con la Costituzione e pericolose alla sua stessa
esistenza, e non avendo nel corso di anni molti cagionato gravi
inconvenienti, avevano a poco a poco acquistato forza di
prescrizione. Rimedio a questi mali era il riconfermare i diritti
del popolo con parole tali che eliminassero ogni controversia, e
dichiarare che nessuno esempio valesse a giustificare qual si fosse
violazione di questi diritti. Ciò fatto, e' sarebbe stato
impossibile ai nostri principi male intendere la legge; ma non
facendosi alcun'altra cosa di più, non era al tutto improbabile che
essi la potessero violare. Sventuratamente la Chiesa aveva da lungo
tempo insegnato alla Nazione che la monarchia ereditaria, sola tra
tutte le nostre istituzioni, era divina e inviolabile; che il
diritto che ha la Camera dei Comuni di partecipare al potere
legislativo, era semplicemente diritto umano, ma quello che ha il Re
alla obbedienza passiva del popolo era derivato dal Cielo; che la
Magna Charta era uno statuto il quale poteva revocarsi da coloro che
lo avevano fatto, ma il principio, per virtù del quale i principi di
sangue regio venivano chiamati al trono per ordine di successione,
era d'origine divina, ed ogni atto parlamentare incompatibile con
quello era nullo. Egli è evidente che in una società nella quale
tali superstizioni prevalgono, la libertà costituzionale è d'uopo
sia mal sicura. Una potestà che è considerata come ordinamento
dell'uomo non vale ad infrenare una potestà che è creduta
ordinamento di Dio. È vano sperare che le leggi, per quanto siano
eccellenti, infrenino durevolmente un Re, il quale secondo ch'egli
stesso e la maggior parte de' suoi popoli credono, ha una autorità
infinitamente più alta di quella che spetta alle leggi. Privare la
dignità regia di cotali misteriosi attributi, e stabilire il
principio che i Re regnino in forza d'un diritto che in nulla
differisca da quello onde i liberi possidenti eleggono i
rappresentanti delle Contee, o dal diritto onde i Giudici concedono
un ordine di Habeas Corpus, era assolutamente necessario alla
sicurezza delle libertà nostre.
La Convenzione, dunque, aveva due grandi doveri da adempiere:
distrigare, cioè, da ogni ambiguità le leggi fondamentali del reame;
e sradicare dalle menti dei governanti e dei governati la falsa e
perniciosa idea che la regia prerogativa era più sublime, e più
sacra delle predette leggi fondamentali. Al primo scopo si giunse
con la esposizione solenne e la rivendicazione con che incomincia la
Dichiarazione dei Diritti; al secondo con la risoluzione onde il
trono fu giudicato vacante, e Guglielmo e Maria furono invitati ad
ascendervi. Il mutamento sembra lieve. La Corona non fu
privata nè anche d'uno de' suoi fiori; nessun nuovo diritto concesso
al popolo. Le leggi inglesi in tutto e per tutto, secondo il
giudicio de' più grandi giureconsulti, di Holt e di Treby, di
Maynard e di Somers, dopo la Rivoluzione rimasero le stesse di
prima. Alcuni punti controversi furono risoluti secondo la opinione
de' migliori giuristi; e solo si deviò alquanto dall'ordinaria linea
di successione. Ciò fu tutto; e bastava.
Perchè la nostra Rivoluzione fu una rivendicazione degli antichi
diritti, fu condotta rigorosamente osservando le antiche formalità.
Quasi in ogni atto e in ogni parola manifesto si vede un profondo
rispetto pel passato. Gli Stati del reame deliberarono nelle vecchie
sale e giusta le vecchie regole. Powle fu condotto al seggio nella
consueta forma fra colui che lo aveva proposto e colui che aveva
secondata la proposta. L'usciere con la sua mazza guidò i
messaggieri dei Lordi al banco dei Comuni: e le tre riverenze furono
debitamente fatte. La conferenza d'ambedue le Camere ebbe luogo con
tutte le antiche cerimonie. Da un lato della tavola, nella Sala
Dipinta, i Commissari de' Lordi sedevano col capo coperto e vestiti
d'ermellino e d'oro. Dall'altro lato i Commissari de' Comuni
stavansi in piedi e a capo scoperto. I discorsi fattivi paiono un
contrapposto pressochè ridicolo della eloquenza rivoluzionaria
d'ogni altro paese. Ambidue i partiti mostrarono la medesima
riverenza verso le antiche tradizioni costituzionali dello Stato.
Solo disputavano in che senso quelle tradizioni erano da intendersi.
I propugnatori della libertà non fecero pur motto dell'uguaglianza
naturale degli uomini e della inalienabile sovranità del popolo, di
Armodio o di Timoleone, di Bruto primo o di Bruto secondo.
Allorquando fu detto che in forza della legge della Inghilterra la
Corona rimaneva essenzialmente devoluta al più prossimo erede,
risposero che in forza della legge della Inghilterra, un uomo ancora
in vita non poteva avere erede. Allorquando fu detto non esservi
esempio a dichiarare vacante il trono, mostrarono una pergamena,
scritta circa trecento anni innanzi in bizzarro carattere e in
barbaro latino, e tratta dagli Archivi della Torre, nella quale
facevasi ricordo come gli Stati del reame avessero dichiarato
vacante il trono d'un Plantageneto perfido e tiranno. In fine,
composta ogni disputa, i nuovi Sovrani vennero proclamati con
l'antica pompa. Vi fu tutto il bizzarro apparato araldico:
Clarencieux e Norroy, Portcullis, e Rouge Dragon, le trombe, le
bandiere, e le grottesche sopravvesti ricamate a lioni e a gigli. Il
titolo di Re di Francia preso dal vincitore di Cressy non fu omesso
nella lista dei titoli regi. A noi che siamo vissuti nel 1848 parrà
forse un abuso di vocabolo chiamare col terribile nome di
Rivoluzione un fatto consumato con tanta riflessione, con tanta
moderazione, e con tanto scrupolosa osservanza delle forme
prescritte.
E nulladimeno questa Rivoluzione, fra tutte la meno violenta, di
tutte la più benefica, sciolse diffinitivamente la grande questione
di sapere se lo elemento popolare, il quale fino dalla età di
Fitzwalter e di De Montfort era sempre esistito nell'ordinamento
politico della Inghilterra, verrebbe distrutto dallo elemento
monarchico, o si lascerebbe sviluppare liberamente e divenire
predominante. La lotta tra' due principii era stata lunga, accanita,
e dubbia. Era durata per quattro regni. Aveva prodotto sedizioni,
accuse, ribellioni, battaglie, assedii, proscrizioni, stragi
giudiciali. Tal volta la libertà, tal altra il principato parvero
sul punto di spegnersi. Per molti anni la energia di metà della
Inghilterra s'era sforzata di frustrare la energia dell'altra metà.
Il potere esecutivo e il legislativo s'erano l'un l'altro tanto
efficacemente contrastati da rimanerne entrambi impotenti, al segno
che lo Stato era divenuto nulla nel sistema politico dell'Europa. Il
Re d'Armi allorchè innanzi la porta di Whitehall proclamò Guglielmo
e Maria, annunziava finita la gran lotta; perfetta l'unione fra il
trono e il Parlamento; la Inghilterra da lungo tempo dipendente e
caduta in abiezione, ridivenuta Potenza di primo ordine; le antiche
leggi che vincolavano la regia prerogativa sarebbero per lo avvenire
tenute sacre come la prerogativa stessa, e produrrebbero tutti gli
effetti loro; il potere esecutivo verrebbe amministrato secondo il
voto dei rappresentanti del popolo; qualunque riforma proposta dopo
matura deliberazione dalle due Camere, non sarebbe ostinatamente
avversata dal Sovrano. La Dichiarazione dei Diritti, comechè non
rendesse legge ciò che per lo innanzi legge non era, conteneva i
germi della legge che dette la libertà religiosa ai Dissenzienti,
della legge che assicurò la indipendenza de' giudici; della legge
che limitò la durata de' Parlamenti, della legge che pose la libertà
della stampa sotto la protezione dei Giurati, della legge che vietò
il traffico degli schiavi, della legge che abolì il giuramento
religioso, della legge che liberò i Cattolici Romani dalle
incapacità civili, della legge che riformò il sistema
rappresentativo, d'ogni buona legge che è stata promulgata nello
spazio di centosessanta anni, d'ogni buona legge in fine che quinci
innanzi verrà reputata necessaria a promuovere il bene pubblico, e a
soddisfare alle richieste della pubblica opinione.
Il più grande encomio che possa farsi della Rivoluzione del 1688 sta
nel dire che essa fu l'ultima delle nostre rivoluzioni. Ormai sono
trascorse varie generazioni senza che nessuno Inglese assennato e
animato di spirito patrio abbia fatto pensiero di resistere al
Governo stabilito. Ogni onesto e savio uomo è profondamente convinto
- convinzione ogni giorno riconfermata dalla esperienza - che i
mezzi di ottenere qual si voglia miglioramento richiesto dalla
Costituzione, si possano trovare nella Costituzione stessa.
Ora, o giammai, dovremmo estimare di quale importanza sia la
resistenza degli antichi nostri fatta alla Casa Stuarda. Dintorno a
noi tutto il mondo è travagliato dal travaglio delle grandi nazioni.
Governi che dianzi pareva dovessero durare de' secoli, sono stati,
in un subito, scossi e rovesciati. Le più orgogliose metropoli della
Europa occidentale sono state inondate di sangue cittadino. Tutte le
sinistre passioni, cupidigia di guadagno, sete di vendetta,
vicendevole aborrimento di classi, vicendevole aborrimento di razze,
hanno rotto il freno delle leggi divine e delle umane. Timore e
ansietà hanno annuvolato lo aspetto e contristato il cuore a milioni
d'uomini. Sospeso il commercio; paralizzata la industria; diventato
povero il ricco, poverissimo il povero; predicate dalla tribuna e
difese con la spada dottrine ostili alle scienze, alle arti, alla
industria, alla carità di famiglia; dottrine tali che, se potessero
mandarsi ad effetto, disfarebbero, in trenta anni, tutto ciò che
trenta secoli hanno fatto a bene della umanità, e renderebbero le
più belle province di Francia e di Germania selvagge come il Congo e
la Patagonia; la Europa è stata minacciata di giogo da barbari, al
paragone dei quali i barbari seguaci d'Attila e Alboino erano culti
ed umani. I veri amici del popolo con profondo dolore hanno
confessato trovarsi in grave pericolo interessi più preziosi di
qualsiasi privilegio politico, ed essere necessario sacrificare fino
la libertà onde salvare lo incivilimento. Frattanto nell'isola
nostra il corso regolare del Governo non è stato mai interrotto nè
anche per un giorno. I pochi facinorosi arsi da libidine di licenza
e di saccheggio, non hanno avuto l'animo d'affrontare la forza d'una
nazione leale, schierata in ferma attitudine intorno a un trono
paterno. E ove si chieda la ragione onde le sorti nostre sono state
tanto diverse dalle altrui, è da rispondersi che noi non abbiamo mai
perduto ciò che gli altri, ciechi e forsennati, si studiano di
riacquistare. Perchè noi avemmo una rivoluzione conservatrice nel
secolo decimosettimo, non ne abbiamo avuta una distruggitrice nel
decimonono. Perchè serbammo la libertà fra mezzo al servaggio, noi
abbiamo l'ordine fra mezzo all'anarchia. Per l'autorità delle leggi,
la sicurezza degli averi, la pace delle strade, la felicità delle
famiglie, noi dobbiamo essere grati, dopo Colui che a suo arbitrio
esalta ed umilia le nazioni, al Lungo Parlamento, alla Convenzione,
ed a Guglielmo d'Orange.
FINE.
NOTE:
(1) Nell'originale "dalla". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(2) In questo e nel seguente Capitolo rarissime volte ho reputato
necessario di citare autorità di scrittori; perocchè in questi
Capitoli non ho descritti minutamente gli avvenimenti, e adoperati
materiali reconditi; e i fatti che rammento sono in gran parte tali,
che chi conosce anche non molto la storia d'Inghilterra, ove non li
sapesse equamente estimare, saprebbe per lo meno dove ricorrere per
sincerarsene. Ne' Capitoli susseguenti indicherò studiosamente le
fonti alle quali ho ricorso.
(3) Nell'originale "traportarono". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(4) Nell'originale "fraticelllo". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(5) Nell'originale "suoi suoi". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(6) Nell'originale "Yorck" [Nota per l'edizione elettronica Manuzio]
Queste cose vengono magistrevolmente esposte da Hallam nel primo
capitolo della sua Storia Costituzionale.
(7) Sentiamo il dovere di avvertire una volta per sempre i nostri
lettori, onde non dimentichino mai che l'autore inglese del presente
libro è protestante; e quindi, comunque si mostri imparzialissimo e
superiore alle passioni di setta, dipingendo a tratti brevi e
filosofici il lacrimevole periodo delle lotte religiose nella Gran
Bretagna, manifesta delle dottrine non conformi alla nostra
religione cattolica. Tralasciamo di apporre delle annotazioni, prima
perchè questa essendo un'opera storica, non può essere un trattato
di controversia religiosa; e poi perchè ricorrono spontanee alla
mente d'ogni lettore le risposte con le quali la Chiesa ha
vittoriosamente combattute e respinte le opinioni de' protestanti.
(L'Editore.)
(8) Vedi un documento singolarissimo che Strype credeva scritto di
mano di Gardiner. Ecclesiast. Memor., Lib. II, c. 17.
(9) Sono precise parole di Cranmer. Vedi l'Appendice alla Storia
della Riforma, di Burnet; Parte I, Lib. III, N. 21; Questione 9.
(10) Neale, storico puritano, dopo d'avere riprovata la crudeltà con
che Elisabetta trattò la setta alla quale egli apparteneva, conclude
in questa guisa: "La regina Elisabetta, malgrado tutti cotesti
falli, sarà sempre rammentata qual principessa savia e politica, per
avere liberato il proprio Regno dalle difficoltà in cui trovavasi
involto al suo avvenimento al trono; per avere serbata la Riforma
protestante contro i vigorosi attentati del papa, dello Imperatore e
del Re di Spagna al di fuori, e contro la Regina di Scozia, e i suoi
sudditi papisti al di dentro... Fu gloria del suo secolo, e sarà
sempre l'ammirazione de' posteri." Storia dei Puritani, Part. I,
cap. 8.
(11) Giuseppe Hall, a que' tempi decano di Worcester, e poi vescovo
di Norwich, era uno de' commissarii. Nella vita ch'egli scrisse di
sé, dice: "La mia indegnità fu nominata come uno degli assistenti di
quell'onorevole, grave e reverenda ragunanza." Ai seguaci dell'Alta
Chiesa siffatta umiltà parrà non poco fuor di luogo.
(12) Peckard, Vita di Ferrar. - Il monastero Arminiano, ovvero Breve
Descrizione del luogo dello il Monastero Arminiano a Little Gidding,
nella Contea di Huntingdon, 1641.
(13) Nell'originale "giuridicio". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(14) Nell'originale "cervio". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(15) Nell'originale "Jonson". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(16) Parmi che dal carteggio di Wentworth si raccolga chiaramente
ciò che ho affermato nel testo. Ricopiare tutti i luoghi che mi
hanno condotto alla conclusione surriferita, sarebbe impossibile; nè
sarebbe agevole farne una scelta migliore di quella che è stata già
fatta da Hallam. Esorto, non pertanto, il lettore a consultare il
documento che concerne gli affari del Palatinato, in data del dì 31
marzo 1637, e che fu dettato dallo stesso Wentworth.
(17) Sono parole di Wentworth. Vedi la sua Lettera a Laud, in data
del 16 decembre 1631
(18) Vedi il suo rapporto a Carlo per l'anno 1639.
(19) Vedi la sua lettera al conte di Northumberland, io data del 30
luglio 1630.
(20) Nell'originale "repubbicani". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(21) Nell'originale "Canturbery". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(22) Nell'originale "similie". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(23) Nell'originale "aqquartierati". [Nota per l'edizione
elettronica Manuzio]
(24) Nell'originale "inclinata". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(25) Nell'originale "aqquartierato". [Nota per l'edizione
elettronica Manuzio]
(26) Nell'originale"Yorck". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(27) Nell'originale "pur". [Nota per l'edizione elettronica Manuzio]
(28) Nell'originale "errore". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(29) Nell'originale "diriritto". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(30) Nell'originale "bruciasssero". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(31) Quanto poco entrasse in ciò la compassione per l'orso, è
provato a sufficienza dalle seguenti parole, estratte da una
scrittura che porta per titolo: A perfect diurnal of some Passages
of Parliament, and from other Parts of the Kingdom, from Monday July
24th., to Monday July 31th. 1643. "La regina, venendo dall'Olanda,
condusse seco, oltre una compagnia di uomini brutali, una compagnia
di orsi selvaggi, a qual fine lo giudicherete da ciò che sono per
dire. Codesti orsi erano tenuti intorno a Newark, ed erano condotti
costantemente alle città di provincia nel giorno di domenica per
farli tormentare: tale è la religione che ci si vorrebbe imporre; e
se alcuno avesse osato astenersi da siffatte abominevoli
profanazioni, o anche parlarne contro, veniva subito notato per
Testa-Rotonda o Puritano, ed era sicuro d'essere spogliato. Ma
alcuni soldati del colonello Cromwell [Nell'originale "Cromwel"]
venuti a caso alla città di Uppingham in Rutland, la domenica
trovarono gli orsi, che, secondo il costume, si facevano giuocare;
li presero, li legarono ad un albero, e con gli archibugi li
uccisero." Questo esempio non è solo. Il colonello Pride, quando era
sceriffo di Surrey, ordinò che le bestie del serraglio di Southwark
si uccidessero. Uno scrittore satirico gli pone in bocca le seguenti
parole, con cui si sforza di difendere quell'atto: "La prima cosa
che mi pesa sull'anima è l'uccisione degli orsi; per la quale il
popolo mi odia, e mi carica di mille ingiurie e vituperii. Ma David
non uccise egli un orso? Il Lord Deputato Ireton non uccise
anch'egli un orso? Un altro de' nostri Lordi non uccise cinque
orsi?" Ultimo discorso e parole di Tommaso Pride, dette dal letto di
morte.]
(32) "Rompig under the mistletoe." La frase esprime una costumanza
inglese, e non ha corrispondente in italiano, e quindi riesce
inintelligibile. In Inghilterra, ne' giorni di Natale, appendono
alla soffitta d'una stanza un ramo di cotesta pianta parassita, che
cresce sui tronchi degli alberi; e per parecchi giorni vi
tripudiano, o fanno baccano sotto. (Nota del Traduttore.)
(33) Abbiamo adoperato il vocabolo generico giuochi, perchè la
parola hockey, che usa l'autore e significa un giuoco speciale, non
ha corrispondente in italiano. Questo giuoco consiste in questo che
i giuocatori si dividono in due opposte falangi; ciascuna delle
quali, con bastoni ricurvi nella punta, si studia di spingere una
palla verso una meta posta in direzione contraria di quella degli
avversari ec. (Nota del Traduttore.)
(34) Vedi l'opera di Pen intitolata: Nuovi Testimonii provati essere
Vecchi Eretici; e le opere di Muggleton, passim.
(35) Il Mercoledì in inglese si dice Wednesday, che secondo alcuni
significa giorno d'Odino. (Nota del Traduttore.)
(36) Nell'originale "spiacevali". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(37) Nell'originale "sepavava". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(38) Nell'originale "facende". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(39) Con questo nome chiamavasi uno strumento di tortura adoperato
in Iscozia; perchè era a foggia di uno stivale di ferro, che
adattavasi alle gambe de' martoriati, e stringevasi con una vite
fino a dirompere le ossa. (Nota del Traduttore.)
(40) Nell'originale "generamente". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(41) La cosa più notevole che fosse detta intorno a questo subietto
nella Camera de' Comuni, uscì dalle labbra di Sir Guglielmo
Coventry: "I nostri antenati non tirarono mai una linea a
circonscrivere la prerogativa e la libertà."
(42) A celebrare la memoria della condanna capitale di Carlo I,
alcuni repubblicani mangiavano una testa di vitello. Ne nacque
quindi un'associazione che assunse il nome notato nel testo. (Nota
del Traduttore.)
(43) Da quanto è detto nel testo, argomentasi che io reputo Halifax,
autore, o almeno uno degli autori, del Carattere di un Barcamenante,
che un tempo corse sotto il nome del suo congiunto Sir Guglielmo
Conventry.
(44) Mob vale folla, e Johnson la fa derivare dalla voce latina
mobile. - Sham, che secondo lo stesso scrittore deriva dal vocabolo
gallese shommi, significa inganno, impostura. (Nota del Traduttore.)
(45) Esame di North, VII, 574.
(46) Uno de' Pari che trovavasi presente, ha descritto lo effetto
della eloquenza di Halifax con parole che io riporterò, perocchè,
quantunque siano da lungo tempo a stampa, sono probabilmente
conosciute da pochi anche fra i più curiosi e diligenti lettori
della storia:
"I nemici del Duca che sostenevano la legge, erano uomini
eloquentissimi e forniti di egregie doti: ma sorse ad oppugnarla un
nobile Lord, il quale, quel giorno, per vigoria di parola, per
ragioni, per argomenti tratti da ciò che potesse concernere
gl'interessi pubblici e privati degli uomini, per onore, coscienza,
grado, superò se stesso ed ogni altro; e finalmente rimase
vittorioso, abbattendo lo spirito e la malizia della parte avversa."
Questo brano è tratto da una Memoria di Enrico Conte di Pietroburgo,
in un volume intitolato "Brevi Genealogie di Roberto Halstead", in
folio, 1685. Il nome di Halstead è fittizio. I veri autori furono il
Conte di Pietroburgo stesso, e il suo cappellano. Questo libro è
estremamente raro. Ne furono stampati soli ventiquattro esemplari:
due de' quali ora si trovano nel Museo Britannico; uno apparteneva a
Giorgio IV; l'altro al signor Grenville.
(47) Nell'originale "potutto". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(48) Nell'originale "ed agli" [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(49) Di ciò si fa memoria in un'opera curiosa intitolata: Ragguaglio
della solenne comparsa fatta a Roma gli otto di gennaio 1687
dall'illustrissimo ed eccellentissimo signor conte di Castlemaine.
(50) Nell'originale "infliggevano". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(51) Nell'originale "instette". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(52) Esame di North, 69.
(53) Lord Preston, il quale era inviato in Parigi, scrisse di là ad
Halifax le seguenti cose: "Mi accorgo che la Signoria vostra
continua sempre nella sciagura di non essere bene accetto in questa
Corte; e il signor Barillon non ardisce farvi buon viso dacchè il
suo signore vi guarda in cagnesco. Conosco bene i meriti della
Signoria vostra; ne hanno timore, e perciò vi odiano: siate sicuro,
milord, se tutta la loro forza bastasse a mandarvi a Rufford,
l'adoprerebbero a tal fine. Due sono gli addebiti che vi danno; la
segretezza e la incorruttibilità. Lo so, perchè ne hanno parlato."
La data della lettera è del 5 ottobre N. S. 1683.
(54) Nell'originale "Brigton". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(55) Nell'originale "velecità". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(56) Osservazioni sulle liste di mortalità, del capitano Giovanni
Graunt (sir Guglielmo Petty), cap. XI.
(57) "Comprende un milione e cinquecentomila che passano la vita in
essa." (Bellezze della Gran Brettagna, 1671.)
(58) Isacco Vossio, De magnitudine urbium Sinarum, 1685. Vossio,
secondo che narra Saint Evremond, parlava di questo subbietto più
spesso e più a lungo di quel che le culte brigate ne volessero
intendere.
(59) King, Osservazioni Naturali e Politiche, 1696. Questo pregevole
trattato, che dovrebbe leggersi nella forma in cui fu scritto
dall'autore, e non come è stato raffazzonato da Davenant, si trova
in alcune edizioni dei Computi di Chalmers.
(60) Dalrymple, Appendice alla Parte II, Lib I. Il costume di
computare la popolazione per sètte, fu lungo tempo di moda. Gulliver
dice del Re di Brobdignag: "Egli rise alla mia strana aritmetica,
come gli piacque di chiamarla, nell'indagare il numero della nostra
popolazione, facendone un computo dalle diverse sètte religiose e
politiche, che sono fra noi."
(61) Prefazione alle Liste della popolazione del 1831.
(62) Nell'originale "Midlessex". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(63) Nell'originale "Massachussetts". [Nota per l'edizione
elettronica Manuzio]
(64) Statutes, 14, Car. II cap. 22; 18 e 19, Car. II, cap. 3; 29 e
30, Car. II, cap. 2.
(65) Nicholson e Bourne, Discorso sullo antico Stato della
Frontiera, 1777.
(66) Gray, Diario di un Viaggio ai Laghi, 3 ottobre 1769.
(67) North, Vita di Guildford. Hutchinson, Storia di Cumberland,
parrocchia di Brampton.
(68) Vedi il Diario di Sir Walter Scott, 7 ottobre 1827, nella Vita
che ne scrisse Lockhart.
(69) Darlymple, Appendice alla Parte II, lib. I. Il computo
dell'imposta sui focolari conduceva, a un dipresso, alla medesima
conclusione. I focolari nella provincia di York non erano neanche un
sesto di quelli di tutta l'Inghilterra.
(70) Naturalmente, qui non pretendo di essere esatto; ma credo che
chiunque si voglia prendere l'incomodo di paragonare gli ultimi
computi dell'imposta sui focolari di Guglielmo III col censimento
del 1841, verrà ad una conclusione non molto diversa dalla mia.
(71) Nella Biblioteca di Pepys esistono alcune ballate di quei tempi
intorno alla imposta sui camini. Ne recherò uno o due brani: -
"Le buone vecchierelle, ogni qualvolta spiavano l'esattore della
tassa dei camini, affrettavansi a porre ne' loro nascondigli pentole
e vasi di terra. Non v'è una vecchia fra dieci - cercate per tutta
la nazione - la quale, se le parlate dell'esattore, non gli mandi
una o due maledizioni."
E di nuovo:
"Come soldati saccheggiatori, essi (gli esattori) entravano nelle
case e rapivano le sostanze de' poverelli, mentre i miseri fanciulli
impauriti piangevano: il che non mitigava punto il loro insolente
orgoglio."
Nel Museo Britannico, esistono alcuni versi triviali, composti sul
medesimo soggetto e col medesimo spirito:
"Se anche la tassa non è pagata, malgrado la povertà, per crudeltà
strappano via l'unico letto, sopra cui il povero uomo riposa il suo
capo stanco, e lo privano ad un'ora del suo riposo e del suo pane."
Colgo il destro, il primo che mi si faccia innanzi, di dichiararmi
grato alla cortesia e liberalità, con cui il Maestro e il
Vice-Maestro del Collegio della Maddalena di Cambridge mi hanno dato
accesso alle pregevoli Raccolte di Pepys.]
(72) Nell'originale "stati meno stati meno". [Nota per l'edizione
elettronica Manuzio]
(73) Le principali autorità di cui mi servo per queste nozioni
intorno alle Finanze; si trovano nei Giornali de' Comuni, 1 e 20
marzo 1688-89.
(74) Vedi, a modo d'esempio, la pittura della terrazza di
Malborough, nell'Itinerarium Curiosum di Stukeley.
(75) Chamberlayne, Stato dell'Inghilterra, 1684.
(76) 13 e 14, Car. II, cap. 3; 15 Car. II, cap. 4. Chamberlayne,
Stato dell'Inghilterra, 1684.
(77) Dryden,nel suo Cimone ed Ifigenia, esprime, con la sua consueta
acutezza ed energia, i sentimenti di moda negli adulatori di Giacomo
II.
"La contrada risuona all'intorno d'alte grida, e la rozza milizia
brulica su per i campi; bocche senza mani, mantenute con gravi
spese, e che non per tanto sono un carico in tempo di pace, e una
debole difesa in tempo di guerra. Una volta il mese marciano
intrepidi; banda tumultuosa, e sempre, fuorchè in tempo di bisogno,
pronta. Ciò era la mattina, quando, uscendo alla guardia ordinati,
rendevano immagine di armati apparecchiati ad una breve prova; e poi
correvano ad ubriacarsi: il che forma la loro occupazione
giornaliera."
(78) Nell'originale "posterioriori". [Nota per l'edizione
elettronica Manuzio]
(79) Equivale a Bufali.
(80) La maggior parte dei materiali di cui ho fatto uso nel
descrivere le milizie regolari, si trova nei Ricordi storici dei
Reggimenti, pubblicati per ordine del Re Guglielmo IV, e sotto la
direzione dell'Aiutante Generale. Vedi anche Chamberlayne, Stato
dell'Inghilterra, 1684; Compendio della Disciplina Militare Inglese,
stampato per ordine speciale, 1688; Esercizi di Fanteria per ordine
delle Loro Maestà, 1690.
(81) Mi riporto ad un dispaccio di Bonrepaux a Seignelay, in data
dell'8 (o 18) febbraio 1686. Fu ricopiato per Fox negli Archivii
francesi, durante la pace d'Amiens; e, con gli altri materiali
raccolti da quel grande uomo, affidato a me dalla cortesia di Lady
Holland defunta, e dell'attuale Lord Holland. Dovrei aggiungere che
anche fra mezzo ai disturbi che di recente hanno sconvolta Parigi,
non ho incontrata difficoltà ad ottenere, dalla liberalità di que'
funzionari, estratti per supplire a certe lacune che trovansi nella
collezione di Fox.
(82) Nell'originale "corti". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(83) Le mie nozioni rispetto alla condizione della marina di quel
tempo, sono attinte principalmente agli scritti di Pepys. La
relazione ch'egli nel 1684 presentò a Carlo II, a quanto credo, non
è stata mai pubblicata. Il manoscritto trovasi nel Collegio della
Maddalena di Cambridge. Nel medesimo Collegio trovasi anche un altro
pregevole manoscritto, contenente una minuta descrizione degli
stabilimenti marittimi del paese nel dicembre del 1684. La Memoria
concernente lo stato della Real Marina per lo spazio di dieci anni,
fino a Dicembre 1688, scritta da Pepys, e il suo diario e carteggio,
durante la sua missione a Tangeri, sono a stampa; e me ne sono molto
servito. Vedi parimente Sheffield, Memorie; Teonge, Diario; Aubrey,
Vita di Monk; la Vita di Sir Cloudesley Shovel, 1708; il Giornale
dei Comuni, 1 e 20 marzo 1688-89.
(84) Chamberlayne, Stato dell'Inghilterra, 1684; Giornale dei
Comuni, 1° marzo, e 20 marzo 1688-89. Nel 1833 fu deliberato, dopo
una esatta indagine, di tener sempre in pronto cento settanta mila
barili di polvere: regola che è anche oggi osservata.
(85) Sembra dai ricordi dell'Ammiragliato, che agli ufficiali di
bandiera fosse concessa la mezza paga nel 1668, e ai Capitani di
prima e seconda classe non prima del 1674.
(86) Warrant, ne' Ricordi dell'Ufficio della Guerra, in data del 26
marzo 1678.
(87) Evelyn, Diario, 27 gennaio 1682. Ho veduto un atto munito del
sigillo privato in data del 17 maggio 1683, che conferma la
testimonianza di Evelyn.
(88) Giacomo II spedì inviati in Spagna, Svezia e Danimarca:
nondimeno, lui regnante, le spese diplomatiche ascendevano a poco
più di 30,000 sterline l'anno. Vedi il Giornale dei Comuni, 20 marzo
1688-89. Chamberlayne, Stato dell'Inghilterra, 1684, 1687.
(89) Carte, Vita di Ormond.
(90) Pepys, Diario, 14 febbraio 1668-69.
(91) Vedi il Rapporto della causa di Bath e Montagne, che fu decisa
dal Lord Cancelliere Somers nel decembre del 1593.
(92) Per nove mesi dell'anno, cominciando dal Natale del 1679, le
rendite della Sede di Canterbury venivano riscosse da un ufficiale
nominato dalla Corona; i conti del quale oggidì esistono nel Museo
Britannico (Mss. Lansdowne 885). La rendita lorda di que' nove mesi
non arrivava a quattromila sterline; e la differenza tra la rendita
lorda e la netta era evidentemente considerevole.
(93) King, Conclusioni Naturali e Politiche. Davenant, Bilancia del
Traffico. Sir Guglielmo Temple dice: "Le rendite della Camera dei
Comuni di rado hanno sorpassato quattrocentomila lire sterline."
Memorie, Parte III.
(94) Langton, Conversazioni con Hale, 1672.
(95) Nell'originale "sterlini". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(96) Giornale dei Comuni, 27 aprile 1689. Chamberlayne, Stato
dell'Inghilterra, 1684.
(97) Vedi i Viaggi del Granduca Cosimo.
(98) King, Conclusioni Naturali e Politiche. Davenant, Bilancia del
Traffico.
(99) Vedi l'Itinerarium Angliæ, 1675, di Giovanni Ogilby, Regio
Cosmografo. Descrive gran parte del paese come boscoso, incolto e
pieno di rocce, e paludoso d'ambe le parti. In alcune delle sue
Carte topografiche, le strade a traverso i luoghi chiusi sono
descritte da linee, e quelle a traverso i luoghi non chiusi sono
segnate con punti. La parte de' luoghi non chiusi, i quali, seppure
erano coltivati, dovevano esserlo pessimamente, sembra essere stata
grandissima. Da Abington fino a Gloucester, per modo d'esempio, che
forma un tratto di quaranta o cinquanta miglia, non v'era un solo
campo chiuso, e appena un solo tra Biggleswade e Lincoln.
(100) Grandi copie di questi importantissimi disegni esistono nella
bella raccolta legata da Grenville al Museo Britannico.
(101) Evelyn, Diario, 2 giugno 1675.
(102) Vedi White, Selborne; Bell, Storia dei Quadrupedi
dell'Inghilterra; Ricreazione del Gentiluomo, 1686; Aubrey, Storia
Naturale della Contea di Wilt, 1685; Morton, Storia della Contea di
Northampton, 1712; Willougby, Ornitologia, 1678; Latham, Sinopsi
Generale degli Uccelli; Sir Tommaso Browne, Descrizione degli
Uccelli che si trovano in Norfolk.
(103) Il sacco inglese (quarter) corrisponde a 8 staia toscane.
(Nota del Traduttore.)
(104) King, Conclusioni Naturali e Politiche. Davenant, Bilancia del
traffico.
(105) Vedi gli Almanacchi del 1684 e 1685.
(106) Vedi M'. Culloch, Statistica dell'Impero Britannico, Parte
III, cap. 1, sez. 6.
(107) King e Davenant, luogo citato. Il Duca di Newcastle, Della
Equitazione; Ricreazione del Gentiluomo, 1686. Il possedere "cavalle
stornelle di Fiandra" era argomento di grandezza ai tempi di Pope,
ed anche dopo.
Il proverbio comune che la cavalla grigia è la migliore, originò,
come credo, dalla preferenza che davasi generalmente alle cavalle
grigie delle Fiandre sopra i migliori cavalli da carrozza di razza
inglese
(108) Vedi una nota curiosa di Tonkin nel libro di Carew, intitolato
Considerazioni su Cornwall, edizione di Lord De Dunstanville.
(109) Borlase, Storia Naturale di Cornwall, 1758. La quantità del
rame che oggi si estrae, è stata da me desunta dalle relazioni fatte
al Parlamento. Davenant, nel 1700, stimava il prodotto annuo di
tutte le miniere dell'Inghilterra ad una somma tra sette o otto
cento mila sterline.
(110) Transazioni Filosofiche, N. 23, Nov. 1669; N. 66, Dic. 1670;
N. 103, Mag. 1674; N. 156, Feb. 1683-84.
(111) Yarranton, Progressi dell'Inghilterra per terra e per mare,
1677; Porter, Progresso della Nazione. Vedi anche una breve storia,
notevolmente perspicua, de' lavori di ferro dell'Inghilterra in M'.
Culloch, Statistica dello Impero Britannico.
(112) Misura di carbone, equivalente a trentasei moggia. (Nota del
Trad.)
(113) Vedi Chamberlayne, Stato dell'Inghilterra, 1684, 1687;
Angliae[Nell'originale "Anglise"] Metropolis, 1691; M'. Culloch,
Statistica dello Impero Britannico, parte III, cap. 2 (ediz. del
1847). Nel 1845, la quantità del carbone trasportato a Londra, come
si deduce dalle relazioni parlamentari, fu di 3,460,000 tonnellate.
(114) Ho attinte le mie idee intorno al gentiluomo di provincia del
secolo decimosettimo a così gran numero di fonti, da non esser
possibile citarle tutte. È forza ch'io lasci la mia descrizione al
giudizio di coloro che hanno studiata la storia e l'amena
letteratura di quel tempo.
(115) Vedi Heylin, Cyprianus Anglicus.
(116) Eachard, Cagioni del dispregio del Clero; Oldham, Satira
diretta ad un amico sul punto di lasciare l'Università; Tatler, 255,
258. Che il Clero Inglese fosse composto d'individui di bassa
nascita, è notato nei viaggi del Granduca Cosimo, Appendice A.
(117) "A causidico, medicastro, ipsâque artificum farragine ecclesiæ
rector aut vicarius contemnitur et fit ludibrio. Gentis et familiæ
nitor sacris ordinibus pollutus censetur: fminisque natalitio
insignibus unicum inculcatur sæpius præceptum, ne modestiæ
naufragium faciant, aut (quod idem auribus tam delicatulis sonat) ne
clerico se nuptas dari patiantur." Angliae Notitia di Tommaso Wood
di New College; Oxford, 1686.
(118) Vita di Clarendon, II. 21.
(119) Vedi le Ingiunzioni del 1559, nella raccolta del Vescovo
Sparrow. Geremia Collier, nel suo Saggio sopra l'orgoglio, parla di
questa ingiunzione con un'acrimonia, che prova come il suo proprio
orgoglio non fosse ancora domo.
(120) Ruggiero ed Abigail, nella Donna Sprezzante di Fletcher; Bull
e la Balia, nella Ricaduta di Vanbrough; Smirk e Susanna, nelle
Streghe della Contea di Lancaster di Sadwell, possono servire
d'esempio.
(121) Swift, Avvertimenti ai Servi.
(122) Questa distinzione fra clero rurale e clero cittadino, è
positivamente notata da Eachard, e salta agli occhi di chiunque
abbia studiata la storia ecclesiastica di quell'età.
(123) Nelson, Vita di Bull. Intorno alla estrema difficoltà che
incontrava il clero di provincia a procurarsi libri, vedi la Vita di
Tommaso Bray, fondatore della Società per la propagazione del
Vangelo.
(124) "L'ho (Dryden) spesso udito confessare con compiacenza, che
s'egli aveva qualche maestria nella prosa, la doveva allo avere
spesso letti gli scritti dello Arcivescovo Tillotson." Congreve,
Dedica dei Drammi di Dryden.
(125) Leggi contro le riunioni legittime. (Nota del Traduttore.)
(126) Ho adottato l'estimo di Davenant, che è poco più basso di
quello di King.
(127) Evelyn, Diario, 27 giugno 1654; Pepys, Diario, 13 giugno 1668;
Ruggiero North, Vite del Lord Cancelliere Guildford, e di Sir Dudley
North; Petty, Aritmetica Politica. Ho adottato i fatti di Petty, ma
nel farne le deduzioni, ho seguito Hing e Davenant; i quali,
quantunque non avessero maggiore abilità di lui, avevano il
vantaggio di essere a lui posteriori di tempo. Intorno al mestiere
di raccogliere e trafugare uomini, che rendeva infame il nome di
Bristol, vedi North, Vita di Guildford, 121, 216, e l'arringa di
Jeffreys su tale subietto, nella Storia imparziale della sua vita e
morte, stampata ne' Bloody Assizes. Il suo stile era usualmente
aspro; ma non posso annoverare fra i delitti ascrittigli la sua
invettiva contro i magistrati di Bristol.
(128) Fuller, Personaggi celebri; Evelyn, Diario, 17 ottobre 1671;
Giornale di E. Browne, figlio di Sir Tommaso Browne, gennajo
1663-64; Blomefield, Storia di Norfolk; Storia della città e Contea
di Norwich, 2 vol. 1768.
(129) Pare che la popolazione di York[Nell'originale "Yorch"],
secondo le liste de' battesimi e delle morti, nella Storia di Drake,
fosse, nel 1730, circa 13,000. Exeter aveva solo 17,000 abitanti nel
1801. La popolazione di Worcester fu numerata tosto innanzi
l'assedio del 1646. Vedi Nash, Storia della Contea di Worcester. Ho
tenuto conto dell'aumento che deve supporsi esservi seguito nello
spazio di quaranta anni. Nel 1740, la popolazione di Nottingham era,
giusta l'enumerazione fattane, di 10,000 anime. Vedi la Storia di
Dering. Qual fosse la popolazione di Gloucester, potrebbe dedursi
dal numero delle case, che King trovò nelle liste della imposta sui
fuochi, e dal numero delle nascite e morti, che è riportato nella
Storia di Atkyns. La popolazione di Derby era di 4000 anime nel
1712. Vedi la Storia Ms. di Wolley, citata nella Magna Britannia di
Lyson. La popolazione di Shrewsbury fu numerata nel 1695. Intorno
alle delizie di Shrewsbury, vedi l'Ufficiale Reclutatore di
Farquhar. La descrizione che ne fa questo scrittore trovasi in una
ballata, esistente nella Biblioteca di Pepys, ed ha l'intercalare
"Shrewsbury for me."
(130) Nell'originale "propresso". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(131) Blome, Britannia, 1673; Aikin Il Paese attorno Manchester;
Direttorio di Manchester, 1845; Baines, Storia della manifattura di
Cotone. Le migliori notizie che io abbia potuto trovare rispetto
alla popolazione di Manchester nel secolo decimosettimo, si
contengono in una scrittura del Reverendo R. Parkinson, pubblicata
nel Giornale della Società Statistica, ottobre 1842.
(132) Thoresby, Ducatus Leodensis; Whitaker, Loidis and Elmete;
Wardell, Storia Municipale del Borgo di Leeds.
(133) Nell'originale "Chauser". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(134) Hunter, Storia della Contea di Hallam.
(135) Blome, Britannia, 1673; Dugdale, La Contea di Varwick; Nort,
Esame, pag. 321, Prefazione all'Assalonne ed Achitofel; Hutton,
Storia di Birmingham; Boswell, Vita di Johnson. Nel 1690, le morti
di Birmingham furono 150; le nascite 125. Reputo probabile che la
mortalità annua fosse poco meno di uno in ogni venticinque
individui. In Londra era considerevolmente maggiore. Uno storico di
Nottingham, mezzo secolo dopo, vantava la straordinaria salubrità
della città propria, dove la mortalità annua era in proporzione di
uno a trenta. Vedi Dering, Storia di Nottingham.
(136) Blome, Britannia; Gregson, Antichità della Contea Palatina e
del Ducato di Lancaster, Parte II; Petizione di Liverpool, nel Libro
del Consiglio Privato, 10 maggio 1686. Nel 1690, le morti in
Liverpool furono 151, le nascite 120. Nel 1844, la entrata netta
delle dogane di Liverpool fu di 4,365,526 lire sterline, 1 scellino
e 8 soldi.
(137) Atkyns, Contea di Gloucester.
(138) Magna Britannia; Grose, Antichità; New Brightelmstone
Directory,
1770.
(139) Viaggio nella Contea di Derby, di Tomaso Browne, figlio di Sir
Tommaso.
(140) Vedi Wood, Storia di Bath, 1749; Evelin, Diario, 27 giugno
1654; Pepys, Diario, 12 giugno 1668; Stukeley, Itinerarium curiosum;
Collinson, Contea di Somerset; Dottor Peirce, Storia e Memorie di
Bath, 1713, lib. I, cap. 8, osser. 2, 1684. Ho consultato varie
carte topografiche e pitture di Bath, in ispecie una carta curiosa,
che è circondata dalle vedute de' principali edificii. Ha la data
del 1717.
(141) Secondo King, 530,000.
(142) Macpherson, Storia del Commercio; Chalmers; Chamberlayne,
Stato dell'Inghilterra, 1684. Il tonnellaggio dei piroscafi
appartenenti al porto di Londra alla fine del 1847 era di 60,000
tonnellate. La somma media, dal 1842 al 1845, che incassava la
Dogana del porto, era di 11,000,000.
(143) Nell'originale "Middlessex". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(144) Lisson, Dintorni di Londra. I battesimi in Chelsea, tra il
1680 e 1690, erano quarantadue l'anno.
(145) Cowley, Discorso intorno la Solitudine.
(146) Le notizie più ampie e più degne di fede inforno alla
condizione degli edificii di Londra verso questo tempo, ritrovansi
nelle carte topografiche e nei disegni esistenti nel Museo
Britannico, e nella Biblioteca di Pepys. Della cattiva fattura de'
mattoni delle fabbriche di Londra, è fatto speciale ricordo ne'
Viaggi del Granduca Cosimo. Nello Esploratore di Londra di Ward, vi
è una relazione de' lavori della chiesa di San Paolo. Mi vergogno
quasi di citare un così nauseante cicaleccio; ma mi è stato forza
scendere, se pure è possibile, anche più basso, per raccogliere
materiali.
(147) Evelyn, Diario, 20 settembre 1672.
(148) Ruggiero North, Vita di Sir Dudley North.
(149) North, Esame. Questo piacevole scrittore ci ha conservato un
esempio dei voli sublimi ai quali abbandonavasi il Pindaro della
Città:
"Il venerando Sir Giovanni Moor!
Dopo secoli adorisi tal nome!"
(150) Chamberlayne, Stato dell'Inghilterra, 1684; Angliæ Metropolis,
1690; Seymour, Londra 1734.
(151) Nell'originale "loatana". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(152) Inigo Jones è uno dei più celebri architetti inglesi. (Nota
del Trad.)
(153) North, Esame, 116. Wood, Ath, Ox. Shaftesbury. La litania del
Duca di Buckingam.
(154) Viaggi del Granduca Cosimo.
(155) Nell'originale "ricccamente". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(156) Chamberlayne, Stato dell'Inghilterra 1684; Pennant, Londra;
Smith, Vita di Nollekens.
(157) Evelyn, Diario, 10 ottob. 1683; 19 gennajo 1685-86.
(158) Nell'originale "staso". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(159) Stat. I di Giac. II, c. 22; Evelyn, Diario, 7 dicembre 1684.
(160) Il vecchio Generale Oglethorpe, morto nel 1785, aveva il
costume di vantarsi d'avere in quel luogo ucciso degli uccelli sotto
il regno di Anna. Vedi Pennant, Londra; e il Magazzino del
Gentiluomo, luglio 1785.
(161) Il campo della peste potrà vedersi nelle carte topografiche di
Londra, anche in quelle edite verso la fine del regno di Giorgio I.
(162) Vedi una curiosissima pianta di Covent Garden, fatta nel 1690,
e incisa per la Storia di Westminster scritta da Smith. Vedi altresì
il Mattino dipinto da Hogarth, allorquando le case della Piazza
erano tuttavia abitate dai gentiluomini.
(163) Lo Esploratore di Londra; Maso Brown, Vedute comiche di Londra
e di Westminster; Turner, Proposta per impiegare i poveri, 1678;
Corriere Quotidiano, e Giornale Quotidiano, 7 giugno 1733; Causa tra
Michael ed Allestree nel 1676, 2 Levinz., pag 172. Michael era stato
pesto da due cavalli che Allestree domava in Lincoln's Inn Fields.
La dichiarazione stabiliva che l'accusato "porta deux chivals
ungovernable en un coach, et improvide, incaute, et absque debita
consideratione ineptitudinis loci la eux drive pur eux faire
tractable et apt pur un coach, quels chivals, pur ceo que, per leur
ferocite, ne poient estre rule, curre sur le plaintiff et le noie."
(164) Stat. 12 di Gior. I, c. 25; Giornale dei Comuni, 25 febbraio,
2 marzo 1725-26; Il Giardiniere di Londra, 1712; Evening Post, 25
Marzo 1731. Non mi è riuscito di trovare questo numero del Giornale
Evening Post: però lo cito sulla fede di Malcolm, che lo rammenta
nella sua Storia di Londra.
(165) Lettres sur les Anglois, scritte ne' primi anni del regno di
Guglielmo III; Swift, City Shower; Gay, Trivia. Johnson aveva
costume di riferire un colloquio che egli ebbe con sua madre intorno
al cedere o a prendere il muro.
(166) Oldham, Imitazione della Satira III di Giovenale, 1682;
Shadwell, Scourers, 1690. Molte altre autorità incontrerà di
leggieri chiunque conosca la letteratura popolare di quella e della
susseguente generazione. Potrebbe sospettarsi che alcuni dei Tityre
Tus, da buoni Cavalieri, rompessero le finestre di Milton poco dopo
la Restaurazione. Io credo ch'egli pensasse a que' malanni di Londra
allorquando dettò quei versi: "Nelle splendide città, quando lo
strepito delle contese e dei danni e degli oltraggi giunge alle loro
più alte torri, e quando la notte intenebra le vie, i figli di
Belial gavazzano trasportati dal vino e dalla insolenza."
(167) Angliae Metropolis, 1690, sez. 17, che ha per titolo: Intorno
alla nuova luce; Seymour, Londra.
(168) Stowe, Sguardo sopra Londra; Shadwell, Lo Scudiere d'Alsazia;
Ward, L'Esploratore di Londra; Stat. 8 e 9 di Gugliel. III, cap. 27.
(169) Vedi il racconto che fa Sir Ruggiero North del modo con cui
Wright fu fatto giudice, e il racconto di Clarendon sul modo con cui
Sir Giorgio Savile fu fatto Pari.
(170) Le fonti alle quali ho attinto le mie nozioni intorno alla
Corte, sono sì numerose, che mal si potrebbero citare. Fra esse
giova indicare i Dispacci di Barillon, di Van Citters, di Ronquillo
e d'Adda; i Viaggi del Granduca Cosimo, i Diarii di Pepys, di Evelyn
e di Teonge; e le Memorie di Grammont e di Reresby.
(171) La principale caratteristica di questo dialetto consisteva in
ciò, che in moltissime parole la O si pronunciava come A. Stork, a
modo d'esempio, era pronunciato Stark. Vedi Vanbrugh, La Ricaduta.
Lord Sunderland era gran maestro di questo tono cortigiano, come lo
chiama Ruggiero[Nell'originale "Ruggero"] North; e Tito Oates lo
affettava, sperando di passare per un egregio gentiluomo. Esame, 77,
254.
(172) Non è d'uopo richiamare l'attenzione del lettore alla ironia
della frase. Dai precedenti capitoli si sarà accorto come l'autore
senza distinzione di opinioni politiche e religiose renda giustizia
a tutti, anzi si mostri severissimo contro i protestanti fanatici.
(Nota dell'Editore).
(173) Lettres sur les Anglois; Viaggi di Maso Brown; Ward,
Esploratore di Londra; La natura di una Bottega da Caffè, 1673;
Regolamenti ed ordini della Bottega del Caffè, 1674; La Bottega del
Caffè difesa, 1675; Satira contro il Caffè; North, Esame, 138; Vita
di Guildford, 152; Vita di Sir Dudley North, 149; Vita del Dottor
Radcliffe pubblicata da Curll nel 1715. La più viva descrizione del
Caffè Will si trova nel Topo da città e da campagna. Vi è un tratto
notevole intorno alla influenza degli oratori delle botteghe da
caffè, nelle Brevi Genealogie di Halstead, stampate nel 1685.
(174) Il testo dice cockney, vocabolo che non può avere in italiano
l'equivalente. In Londra si chiamano cockney coloro che sono nati ed
abitano presso Bow Church, e si suppone che non siano mai usciti dal
ricinto della City, e che uscendo fuori si maravigliano di tutto, in
guisa da rendersi ridicoli. Fra le mille storielle che si narrano
per mettere in caricatura (ci si perdoni la frase) il Cockney,
dicesi che uno di loro andando a caccia, uccidesse un'upupa o un
barbagianni in un cimitero, e tornasse costernato a casa credendo di
avere morto un cherubino. (Nota del Traduttore).
(175) Nell'originale "avessse". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(176) Centuria d'Invenzioni, 1663, n° 68.
(177) North, Vita di Guildford, 136.
(178) Thoresby, Diario, 21 ottobre 1680, 3 agosto 1712.
(179) Pepys, Diario, 12 e 16 giugno 1668.
(180) Ibidem, 28 febbrajo 1660.
(181) Thoresby, Diario, 17 maggio 1695.
(182) Ibidem, 27 dicembre 1708.
(183) Viaggio nella Contea di Derby, di G. Browne, figlio di Sir
Tommaso Browne, 1662. Cotton Angler, 1676.
(184) Carteggio di Enrico Conte di Clarendon, 30 Dicembre 1685, 1
Gennajo 1686.
(185) Postlethwaite, Vocabol. alla parola Strade. Storia di
Hawkhurst, nella Bibliotheca Topographica Britannica.
(186) Annali della Regina Anna, 1703: Appendice, n° 3.
(187) Nell'originale "Huntingdom". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(188) 15 di Car. II, c. 1.
(189) Gl'inconvenienti del vecchio sistema vengono esposti
mirabilmente in molte petizioni, che trovansi nel Giornale dei
Comuni del 1725-26. In quanto alle violente opposizioni che incontrò
il sistema nuovo, veggasi il Magazzino del Gentiluomo del 1749.
(190) Postlethwaite, Vocabol. alla parola Strade.
(191) Loidis and Elmete. Marshall, Economia rurale dell'Inghilterra.
Nel 1739, Roderico Random andò da Scozia a Newcastle sopra un
cavallo da basto.
(192) Cotton, Epistola a G. Bradshaw.
(193) Anthony à Wood, Vita scritta da lui stesso.
(194) Chamberlayne, Stato dell'Inghilterra, 1684. Vedi anche la
lista delle carrozze e dei vagoni da viaggio, in fine del libro
intitolato: Angliæ Metropolis, 1690.
(195) Giovanni Cresset, Ragioni per sopprimere le carrozze da
viaggio, 1672. Tali ragioni vennero poi inserite in uno scritto
intitolato: Il grande interesse dell'Inghilterra spiegato, 1673.
L'opposizione di Cresset alle vetture da viaggio provocò alcune
risposte, da me consultate.
(196) Nell'originale "Newmarket". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(197) Chamberlayne, Stato dell'Inghilterra, 1684; North, Esame, 105;
Evelyn, Diario, 9 e 10 ottobre 1671.
(198) Nell'originale "indivui".[Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(199) Vedi la Gazzetta di Londra, 14 maggio 1677, 4 agosto 1687, 5
dicembre 1687. L'ultima confessione di Agostino King (figlio d'un
illustre teologo, e educato in Cambridge), che nel marzo del 1688 fu
impiccato a Gloucester, è sommamente curiosa.
(200) "Aimwell. Di grazia, signore, non v'ho già veduto al Caffè
Will? Gibbet. Sì, signore, e anche a quello di Wite" - Beaux,
Stratagemma.
(201) Gent, Storia di York. Un altro ladrone della medesima specie,
chiamato Biss, fu nel 1695 impiccato in Salisbury. In una ballata
che trovasi nella Biblioteca di Pepys, viene rappresentato in questa
guisa:
"Che direte voi ora, mio onorevole Signore? Che male c'è egli in
ciò? Il bravo ed animoso Biss altro non ha fatto che aborrire i
ricchi e gli avari opulenti."
(202) Pope, Memorie di Duval, pubblicate poco dopo l'esecuzione
della sentenza. Oates Eikôn Basilikê Part. I.
(203) Vedi il Prologo ai Racconti di Cantorbery di
Chaucer[Nell'originale "Chauser"]; Harrison, Descrizione storica
dell'Isola della Gran Brettagna; e il racconto che fa Pepys del suo
viaggio fatto nella state del 1668. Della superiorità delle Locande
inglesi è fatta memoria nei Viaggi del Granduca Cosimo.
(204) Nell'originale "Iohnson". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(205) Stat. 12 di Car. II, c. 35; Chamberlayne, Stato
dell'Inghilterra, 1684; Angliæ Metropolis, 1690; Gazzetta di Londra,
22 giugno 1685, 15 agosto 1687.
(206) Gazzetta di Londra, 14 settembre 1685.
(207) Smith, Notizie Correnti, 30 marzo e 3 aprile 1680.
(208) Angliæ Metropolis, 1690.
(209) Giornale de' Comuni, 4 settembre 1660, 1 marzo 1688-89;
Chamberlayne, 1684; Davenant, Della Rendita pubblica, Discorso IV.
(210) Gazzetta di Londra, 5 e 17 maggio 1680.
(211) Nel Museo Britannico trovasi una curiosa, e, a quel ch'io ne
penso, unica collezione di cotesti giornali.
(212) Per modo d'esempio, non è pur motto nella Gazzetta intorno
agli importantissimi atti parlamentari del novembre 1685, o intorno
al processo e all'assoluzione de' sette vescovi.
(213) Nell'originale "Baley". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(214) Ruggiero North, Vita, del dottor Giovanni North. Intorno alle
lettere di notizie, vedi l'Esame, 133.
(215) Colgo questa occasione per esprimere la mia gratitudine alla
famiglia del mio diletto ed onorando amico Sir Giacomo Mackintosh,
per avermi confidati i materiali da lui raccolti quando meditava un
lavoro simigliante a quello che io ho intrapreso. Non ho mai veduto,
e credo che altrove non esista, una sì pregevole collezione di
documenti tratti dagli archivi pubblici e privati. Il giudicio con
che Sir Giacomo, nelle grandi masse delle più rozze materie
storiche, scelse l'utile e lasciò da parte l'inutile, può
meritamente apprezzarsi solo da chi dopo lui abbia lavorato nella
medesima miniera.
(216) Vita di Tommaso Gent. Un compiuto catalogo di tutte le
stamperie esistenti nel 1724, trovasi negli Aneddoti Letterarii del
secolo decimottavo, di Nichols. In pochi anni il numero si era
grandemente accresciuto; e nonostante, v'erano trentaquattro contee
prive di tipografi, ed una di esse era quella di Lancaster.
(217) Per la intelligenza di questo vocabolo, vedi a pag. 228. (Nota
del Traduttore.)
(218) Per la intelligenza di questo vocabolo vedi, a pag. 235. (Nota
del Traduttore.)
(219) L'Osservatore, 29 e 31 gennaio 1685; Calamy, Vita di Baxter;
Memoriale non-conformista.
(220) Sembra che Cotton, a quanto ricavasi dal suo Angler, avesse
collocata tutta la sua biblioteca nel vano d'una finestra: e Cotton
era un letterato. Allorchè Franklin nel 1724 visitò per la prima
volta Londra, non vi si conoscevano biblioteche circolanti. Della
folla de' lettori nelle botteghe de' librai, fa menzione Ruggiero
North nella Vita di Giovanni suo fratello.
(221) Basta un solo esempio. La regina Maria aveva commendevoli doti
naturali, era stata educata da un vescovo, amava la storia e la
poesia, e da uomini veramente illustri era considerata come donna
illustre. Nella biblioteca dell'Aja esiste una bellissima Bibbia
inglese, che fu presentata a lei nel dì della sua incoronazione
nella Abbadia di Westminster. Nel frontespizio si vedono le seguenti
parole scritte di sua propria mano: "This book was given the King
and I, at our crownation. MARIE R."
(222) Nell'originale "Huchinson". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(223) Ruggiero North racconta, come suo fratello Giovanni, che era
professore di greco in Cambridge, lamentasse amaramente la ignoranza
della lingua greca nel clero dell'Università.
(224) Butler, in una satira pungentissima, dice: "Quantunque lo
intarsiare ne' loro discorsi parole greche e latine venga reputata
vanagloriosa rettorica di pedanti, imperlarli di frasi francesi è
cosa meritoria."
(225) L'esempio più notevole che mi corra alla memoria è in un
poemetto di Dryden sopra la coronazione di Carlo II. Dryden di certo
non poteva addurre la scusa di povertà della lingua per usare parole
tratte da qualsifosse favella straniera: "Quivi nelle sere estive
voi accorrete per gustare la fraicheur dell'aria più pura."
(226) È una sètta che crede Adamo essere stato predestinato a
peccare; ed e opposta alla sètta de' Sublapsarii, che ammettono la
contraria opinione. (Nota del Traduttore.)
(227) Per l'allusione di questo vocabolo, che metaforicamente vale
parola d'ordine, o di riconoscimento, vedi la Bibbia, Giudici, Lib.
XII, 6. (Nota del Traduttore.)
(228) Geremia Collier, con la sua solita forza ed acrimonia, ha
inveito contro siffatto odioso costume.
(229) Il contratto trovasi nella edizione di Dryden, fatta da Sir
Walter Scott.
(230) Vedi la Vita di Southern, scritta da Shiels.
(231) Vedi Rochester, Infortunii de' Poeti.
(232) Saggio intorno alla scena inglese.
(233) Shiels, Vita di Southern.
(234) Se a qualche lettore le mie espressioni paressero troppo
severe, lo consiglierei a leggere l'Epilogo di Dryden al Duca di
Guisa, e notare che era recitato da una donna.
(235) Vedi, in ispecie, l'Oceana di Harrington.
(236) Vedi Sprat, Storia della Società Reale.
(237) Cowley, Ode alla Società Reale.
(238) "Allora anderemo sino allo estremo confine del globo, e
vedremo l'océano pendere sul cielo: di là noi conosceremo i nostri
rotanti vicini, ed esamineremo con sicurezza il mondo lunare." Annus
Mirabilis, 164.
(239) North, Vita di Guildford.
(240) Pepys, Diario, 30 maggio 1667.
(241) Io credo che Buttler fosse il solo uomo di vero genio, il
quale tra la Restaurazione e la Rivoluzione mostrasse amara
avversione alla nuova filosofia, come allora chiamavasi. Vedi la
satira contro la Società Reale e l'Elefante nella Luna.
(242) La sollecitudine onde gli agronomi di quella età facevano
esperimenti a migliorare l'arte, è ben descritta da Aubrey, Storia
naturale della Contea di Wilt, 1685.
(243) Sprat, Storia della Società Reale.
(244) Nell'originale "Hallay". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(245) Walpole, Aneddoti intorno alla Pittura; Gazzetta di Londra, 31
marzo 1683. North, Vita di Guildford.
(246) Dei gran prezzi con che furono pagate le opere di Varelst e di
Verrio, è fatto ricordo da Walpole negli Aneddoti intorno la
Pittura.
(247) Petty, Aritmetica politica.
(248) Nell'originale "agricola"
(249) Stat. 5. di Elis., c. 4. Archeologia, vol. XI.
(250) Riccardo Dunning, Metodo chiaro e facile che dimostra il modo
d'adempiere l'ufficio di sorvegliatore de' poveri; 1a edizione 1685;
2a edizione 1686.
(251) Cullum, Storia di Hawsteed.
(252) Ruggles, Dei Poveri.
(253) Nell'originale "sufficente". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(254) Vedi Thurloe, Scritture di Stato; il Memorandum dei Deputati
Olandesi in data del 2-12 agosto 1653.
(255) Questo oratore fu Giovanni Basset, rappresentante di
Barnstaple[Nell'originale "Barnstple"]. Vedi Smith, Memorie di Wool,
cap. 68.
(256) Questa ballata si conserva nel Museo Britannico. Non è notato
l'anno preciso in cui fu scritta; ma l'Imprimatur di Ruggiero
Lestrange determina la data in modo da servire al mio scopo. Ne
riporterò alcuni versi. È il padrone che parla in questa guisa:
"Nei tempi andati, avevamo il costume di pagare tanto che i nostri
operai vivessero come fattori; ma i tempi sono cangiati, e lo faremo
loro intendere......... gli faremo lavorare duramente per sei soldi
il giorno; comecchè, ove si vogliano giustamente pagare, meritino
uno scellino: se ne mormorassero dicendo di esser troppo poco,
daremo loro la scelta, o di lavorare o d'andarsene via. E così noi
accumuliamo le nostre ricchezze, e ci facciamo lo stato con le
fatiche di molti poveri uomini che lavorano da mane a sera. Viva
dunque l'arte della lana! Va mirabilmente bene! I nostri lavoranti
sudano, ma noi viviamo tranquilli, andando e venendo quando e come
ci piace."
(257) Chamberlayne, Stato dell'Inghilterra; Petty, Aritmetica
politica, cap. 8; Dunning, Metodo piano e facile; Firmin, Proposta
per impiegare i Poveri. È da notarsi che Firmin era un insigne
filantropo.
(258) King, nelle sue Conclusioni naturali e politiche, calcolò
all'ingrosso, la plebe dell'Inghilterra ascendere a 880,000
famiglie; delle quali 440,000, secondo lui, mangiavano cibo animale
due volte la settimana. Le altre 440,000 non ne mangiavano affatto,
o almeno non più d'una volta la settimana.
(259) Decimoquarto Rapporto della Commissione intorno alla Legge dei
Poveri, Appendice B, n° 2, Appendice C, n° 1, 1848. De' due calcoli
della Tassa de' Poveri rammentati nel testo, uno fu fatto da Arturo
Moore; l'altro, alcuni anni dopo, da Riccardo Dunning. Il primo si
trova nel Saggio sulle Vie e sui Mezzi di Davenant; il secondo,
nella pregevole opera di Sir Federigo Eden sui Poveri. King e
Davenant credono che i poveri e i mendicanti nel 1696 fossero
l,330,000 in una popolazione di 5,500,000; lo che sembra
incredibile. Nel 1846, il numero delle persone che ricevevano
soccorso, da quanto appare da' documenti officiali, era solo di
1,332,089, in una popolazione di circa 17,000,000. Dovrebbe ancora
notarsi, che è probabile nelle liste ufficiali, che un povero venga
riportato più volte.
Consiglierei il lettore a consultare il libretto di De Foe, che ha
per titolo: Dare l'elemosina, non è carità; e le tavole di
Greenwich, che trovansi nel Dizionario Commerciale di Mc Culloch,
alla parola Prezzi.
(260) Le morti furono 23,222. - Petty, Aritmetica politica.
(261) Burnet, I, 560.
(262) : Muggleton, Atti de' Testimoni dello Spirito.
(263) Maso Brown descrive cotesta scena con parole che non oso
riferire.
(264) Ward, Esploratore di Londra.
(265) Nell'originale "dì". [Nota per l'edizione elettronica Manuzio]
(266) Pepys, Diario, 28 decembre 1663, 2 settembre 1667.
(267) Burnet, I, 606; Lo Spettatore, n° 462; Giornali dei Lordi, 28
ottobre 1678; Cibber, Apologia.
(268) Burnet, I, 605, 606; Welwood, 138; North, Vita di Guildford,
251.
(269) Potrei giovarmi di questa occasione per rammentare al lettore
che qualvolta io noto una sola data, seguo il vecchio stile che nel
secolo decimosettimo vigeva in Inghilterra; ma io pongo il principio
dell'anno a dì 1 gennaio.
(270) Saint-Evremond, passim. Saint-Réal, Memoires de la Duchesse de
Mazarin; Rochester, L'Addio; Evelyn, Diario, 6 settembre 1676, 11
giugno 1699.
(271) Evelyn, Diario, 28 gennaio 1684-85; Saint-Evremond, Lettera a
Déry.
(272) Evelyn, Diario, 4 febbraio 1684-85.
(273) Ruggiero North, Vita di Sir Dudley[Nell'originale "Duldey"]
North, 170; Il vero Patriotta vendicato, ovvero Giustificazione di
Sua Eccellenza il C....... di R........; Burnet, I, 605. I Libri del
Tesoro provano che Burnet era bene informato.
(274) Nell'originale "cammino". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(275) Evelyn, Diario, 24 gennaio 1681-82; 4 ottobre 1683.
(276) Carteggio di Dugdale.
(277) Hawkins, Vita di Ken, 1713.
(278) Nell'originale "abraciarne". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(279) Vedi la Gazzetta di Londra 21 novembre 1678. Barillon e Burnet
dicono che Huddleston fu eccettuato da tutti gli atti del Parlamento
contro i preti; ma ciò è un errore.
(280) Clarke, Vita di Giacomo, II, I, 746; Memorie Originali,
Barillon, Dispaccio dell'8-18 febbraio 1685; Citters, Dispacci del
3-13 e del 6-16 febbraio; Huddleston, Narrazione; Lettere di
Filippo, secondo Conte di Chesterfield, Sir H. Ellis, Lettere
Originali, Serie I, vol. III, 333; Serie II, vol. IV, 74; Ms.
Chaillot; Burnet, I, 606; Evelyn, Diario, 4 febbraio 1684-85;
Welwood, Memorie, 140; North, Vita di Guildford, 252; Esame, 648;
Hawkins, Vita di Ken; Dryden, Threnodia Augustalis; Sir H. Halford,
Saggio intorno alle morti di personaggi illustri. Vedi anche un
frammento d'una lettera scritta da Lord Bruce, lungo tempo dopo che
era divenuto Conte di Ailesbury, stampata nel Magazzino Europeo,
aprile 1795. Ailesbury dà dell'impostore a Burnet. Nondimeno la sua
propria narrazione e quella di Burnet ad ogni lettore d'animo
schietto non parranno contraddittorie. Ho veduto nel Museo
Britannico, ed anche nella Biblioteca dello Istituto Reale, un
foglio curioso, dove si contiene un racconto della morte di Carlo.
Trovasi nella Collezione di Somers. L'autore era evidentemente un
cattolico romano zelante, e dovette essere in grado d'attingere a
buone fonti di notizie. Sospetto molto che fosse in relazione
diretta o indiretta con lo stesso Giacomo. Non vi si trova nome
scritto pienamente; ma le iniziali, tranne in un solo luogo, sono
perfettamente intelligibili Dice che al D. di Y. fu rammentato il
debito in cui era verso il suo fratello da P. M. A C. F, Debbo
confessare la mia impossibilità a decifrare le ultime cinque
lettere; e a un tempo mi consola il vedere che Walter Scott non sia
stato più avventurato di me. Dopo che fu pubblicata la prima
edizione di questa opera, mi sono state comunicate varie ingegnose
conghietture intorno a coteste lettere misteriose; ma rimango
convinto che finora non mi è stata suggerita la vera soluzione.
Parrebbe che nessun fatto nella storia dovesse essere più
esattamente da noi conosciuto, di quelli che avvennero attorno al
letto di morte di Carlo II. Abbiamo parecchie relazioni scritte da
tali, che comunque non fossero testimoni oculari, avevano i mezzi
migliori per sapere il vero da' testimoni oculari. Nulladimeno,
chiunque si provasse a formare un racconto da siffatta vasta massa
di materiali, troverebbe l'opera difficile. Certamente Giacomo e la
sua moglie, allorquando riferirono il fatto alle monache di
Chaillot, in alcune cose non poterono trovarsi d'accordo. La Regina
diceva che, dopochè Carlo ebbe ricevuti gli ultimi sacramenti, i
vescovi protestanti tornarono ad esortarlo. Il Re diceva che ciò non
era vero. "Certo, ripigliò la Regina, me lo avete detto voi stesso."
- "Egli è impossibile che io ve lo possa aver detto, disse il Re,
poichè nulla accadde di simile."
È cosa spiacevole che Sir Enrico Halford si fosse così poco studiato
di sincerarsi de' fatti, intorno ai quali ha profferito giudicio.
Non pare ch'egli conoscesse la esistenza delle narrazioni di
Giacomo, di Barillon e di Huddleston.
Poichè questa è la prima occasione in cui cito il carteggio de'
Ministri olandesi alla Corte d'Inghilterra, debbo qui rammentare,
che una serie di dispacci, dal dì in che Giacomo ascese al trono
fino alla sua fuga, forma una delle parti più pregevoli della
collezione di Mackintosh. I dispacci susseguenti fino al pieno
stabilimento del governo nel febbraio 1689, me li sono procurati
all'Aia. Negli archivi olandesi si è pochissimo frugato. Abbondano
di notizie di grandissimo interesse per ogni Inglese. Sono
mirabilmente ordinati, e affidati alla custodia di gentiluomini, la
cortesia, la liberalità e lo zelo de' quali per il bene delle
lettere non può essere bastevolmente commendata. Vorrei potere
esprimere gli obblighi miei verso i signori De Jonge e Van Zwanne.
(281) Clarendon, con giusto sdegno, fa menzione di questa calunnia:
"Secondo la carità di quel tempo verso Cromwell, moltissimi
avrebbero voluto credere che morisse di veleno: del che allora non
vi fu apparenza; nè poi se ne fece mai prova." Libro XIV.]
(282) Welwood, 139; Burnet, I, 609; Sheffield[**Nell'originale
"Shelfield"], Carattere di Carlo II; North, Vita di Guildford, 252;
Esame, 684; Politica della Rivoluzione; Higgons sopra Burnet. Ciò
che North dice dell'imbarazzo e della perplessità de' medici, è
confermato dai dispacci di Citters. Sono stato molto in dubbio
intorno alla strana storiella de' sospetti di Short. Un tempo
inchinavo a adottare l'opinione di North. Ma, comecchè io dia poco
peso all'autorità di Welwood e di Burnet, in questo caso non posso
ricusare la testimonianza d'un uomo così bene informato e imparziale
come Sheffield.
(283) Gazzetta di Londra, 9 febbraio 1684-85; Clarke, Vita di
Giacomo II, vol. II, 3; Barillon, 9-19 febbraio; Evelyn, Diario, 6
febbraio.
(284) Vedi gli autori citati nella nota precedente. Vedi anche lo
Esame, 647; Burnet, I, 620; Higgons, sopra Burnet.
(285) Gazzetta di Londra, 14 febbraio 1684-85; Evelyn, Diario del
medesimo giorno; Burnet, I, 610; Il villano sfrenato.
(286) Nell'originale "impresssione". [Nota per l'edizione
elettronica Manuzio]
(287) Burnet, I, 628; Lestrange, l'Osservatore, 11 febbraio 1684-85.
(288) Nell'originale "più più". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(289) Le lettere tra Rochester ed Ormond intorno a questa faccenda,
si trovano nel carteggio di Clarendon.
(290) Lo annunzio de' cangiamenti ministeriali trovasi nella
Gazzetta di Londra, 19 febbraio 1684-85. Vedi Burnet, I, 621;
Barillon, 9-19, 16-26 febbraio, e 19 febbraio-1 marzo.
(291) Carte, Vita d'Ormond; Consulte secrete del partito papista in
Irlanda, 1690. Memorie dell'Irlanda, 1716.
(292) Sessioni di Natale, del 1678.
(293) Gli atti de' Testimoni dello Spirito, parte V, cap. 5. In
questa opera Ludowick, secondo la sua maniera, si vendica del
"diavolo urlante" come egli chiama Jeffreys, con una lista di
maledizioni che farebbero invidia all'Ernolfo di Sterne. Il processo
seguì in gennaio 1677.
(294) Queste parole si trovano in molti libretti di quel tempo. Tito
Oates non
si stancava mai di citarle. Vedi il suo Eikôn Basilikê.
(295) Le principali fonti alle quali ho attinto per dipingere il
carattere di Jeffreys, sono i Processi di Stato e la Vita di
Guildford, scritta da North. Qualche tocco di minore importanza lo
debbo ai libretti contemporanei in versi e in prosa; come il
Tribunale di sangue, la Vita e Morte di Giorgio Lord Jeffreys, il
Panegirico di Lord Jeffreys, la Lettera al Lord Cancelliere, la
Elegia di Jeffreys. Vedi parimente Evelyn, Diario, 5 dicembre 1683,
31 ottobre 1685. Non è mestieri avvertire il lettore di consultare
la insigne opera di Lord Campbell.
(296) Gazzetta di Londra, 12 febbraio 1684-85; North, Vita di
Guildford, 254.
(297) La fonte principale a cui ho attinto, è il dispaccio di
Barillon, 9-19 febbraio 1685. Si trova nell'Appendice alla Storia di
Fox. Vedi anche la Lettera di Preston a Giacomo, in data del 18-28
aprile 1685, presso Dalrymple.
(298) Luigi a Barillon, 10-20 febbraio 1685.
(299) Barillon, 16-26 febbraio 1685[Nell'originale "1856"].
(300) Barillon, 18-28 febbraio 1685.
(301) Dartmouth, Annotazioni a Brunel, I, 264; Chesterfield,
Lettere, 18 novembre 1784. Chesterfield è un testimonio
incontrastabile; perocchè la rendita di cinquecento sterline era un
carico sui beni di Halifax suo avo. Credo che siano mal fondate le
aggiunte che fa Pope all'avarizia di Churchill. "Il galante cui ella
pagò largamente il salto dalla finestra, visse assai per ricusare
alla sua druda mezzo scudo." Curll chiama malediche queste parole.
(302) Pope, negli Aneddoti di Spence.
(303) Vedi i Ricordi Storici del 1° de' Dragoni Reali. La nomina di
Churchill al comando di questo reggimento fu posta in ridicolo come
esempio di assurda parzialità. Una satira di quel tempo, che non
rammento di aver mai veduta a stampa, ma che esiste Ms. nel Museo
Britannico, contiene le seguenti parole: "Tagliamo co' cucchiai la
carne; la cosa è ragionevole quanto la nomina di Churchill al
comando de' Dragoni."
(304) Barillon, 16-24 febbraio 1685.
(305) Barillon, 6-16 aprile; Luigi a Barillon, 14-24 aprile.
(306) Nell'originale "frantesa". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(307) Nell'originale "fossse". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(308) Potrei trascrivere mezzo il carteggio di Barillon a provare la
mia asserzione; ma ne citerò solo un brano, in cui la politica del
Governo francese verso la Inghilterra è esposta concisamente e con
perfetta chiarezza:
"On peut tenir pour une maxime indubitable, que l'accord du Roy
d'Angleterre avec son Parlement, en quelque manière qu'il ne faste,
n'est pas conforme aux intérêts de V. M. Je me contente de penser
cela sans m'en ouvrir à personne, ei je cache avec soin mes
sentimens à cet égard," Barillon a Luigi, 28 febbraio-10 marzo 1687.
Che questo fosse il vero secreto di tutta la politica di Luigi verso
il paese nostro, la Corte di Vienna comprendeva perfettamente. Lo
imperatore Leopoldo scriveva in questa guisa a Giacomo (30 marzo 9
aprile 1689): "Galli id unum agebant, ut perpetuas inter Serenitatem
vestram et ejusdem populos fovendo simultates, reliquae Christianae
Europae tanto securius insultarent."
(309) "Que sea unido con su reyno, y en toda buena intelligencia con
el Parlamento." Dispaccio del Re di Spagna a Don Pietro Ronquillo,
16-26 marzo 1685[Nell'originale "1856"]. Trovasi negli archivii di
Simancas, che tengono gran copia di scritture relative agli affari
d'Inghilterra. Copie delle più interessanti di tali scritture
possiede Guizot, dal quale mi furono prestate. Provo particolare
soddisfazione nello attestare questo segno d'amicizia d'un tanto
uomo.
(310) Pochi de' miei lettori inglesi vorranno approfondire la storia
di questa contesa. Si trova sommariamente raccontata da Bossuet
nella Vita del Cardinale Bausset, e da Voltaire nel Secolo di Luigi
XIV.
(311) Nell'originale "fossse". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(312) Brunet, I, 661; Lettera in data di Roma; e Dodd, Storia della
Chiesa, parte VIII, libro I, art. 1.
(313) Consulte del Consiglio di Stato di Spagna, 2-12 e 16-26 aprile
1685. negli Archivii di Simancas.
(314) Nell'originale "Westminister". [Nota per l'edizione
elettronica Manuzio]
(315) Luigi a Barillon, 22 maggio-1 giugno 1685[Nell'originale
"1856"];] Burnet, I, 623.
(316) Clarke, Vita di Giacomo II, vol. II, 5; Barillon, 19
febbraio-1 marzo 1685; Evelyn, Diario, 5 marzo 1684-85.
(317) "A coloro che chiedono grazie, egli giura pel sangue di Dio, e
gli sgrida come se venissero a rubare cucchiai." Lamentable Lory,
Ballata, 1684.
(318) Nell'originale "saprannome". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]. Barillon, 20-30 aprile 1685.
(319) Dal dispaccio d'Adda, in data del 23 gennaio-1 febbrajo 1686,
e dalle parole del Padre d'Orléans (Histoire des Révolutions
d'Angleterre, Lib. XI), chiaro si deduce che i Cattolici rigorosi
giudicarono inescusabile la condotta del Re.
(320) Gazzetta di Londra; Gazzetta di Francia; Clarke, Vita di
Giacomo II, vol. II, 10; Gloria della incoronazione di Giacomo II e
della Regina Maria, di Francesco Sandford, Araldo di Lancaster, in
folio, 1687; Evelyn, Diario, 21 maggio 1685; Dispaccio degli
ambasciatori Olandesi, 10-20 aprile 1685; Burnet, I,628; Eachard,
III, 734; Sermone recitato avanti le LL. MM. Giacomo II e Maria, nel
dì della loro incoronazione nella Badia di Westminster, 23 aprile
1685, da Francesco, Lord Vescovo J'Ely e Lord Limosiniere. Ho veduta
una relazione in italiano pubblicata in Modena, degna di
considerazione, massime per l'artifizio con che lo scrittore tace il
fatto, che le preci e i salmi furono cantati in inglese, e che i
Vescovi erano eretici.
(321) Vedi la Gazzetta di Londra ne' mesi di febbrajo, marzo ed
aprile 1685.
(322) Sarebbe facile riempire un volume delle cose che gli storici e
gli articolisti Whig hanno scritto intorno a questo subietto. Citerò
solo uno scrittore il quale era aderente alla Chiesa Anglicana e
Tory. "Fu creduto che le elezioni" dice Evelyn "in parecchi luoghi
fossero state indecentemente condotte. Il Cielo disponga le cose
meglio di quello che alcuni credono inevitabile!" (10 maggio 1685.)
E nuovamente: "Vero è che vi furono molti de' nuovi rappresentanti,
la cui elezione o rielezione è stata universalmente condannata." (22
maggio.)
(323) Da una lettera di notizie, esistente nella Biblioteca dello
Istituto Reale. Citters fa menzione della forza dei partito Whig
nella Contea di Bedford.
(324) Bramston, Memorie.
(325) Riflessioni intorno a una Rimostranza e Protesta di tutti i
buoni Protestanti di questo Regno, 1689; Dialogo tra Due amici,
1689.
(326) Nell'originale "alle alle". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(327) Memorie della Vita di Tommaso Marchese di Wharton, 1715.
(328) Così chiamasi nelle città d'Inghilterra quel luogo dove in
antico era eretta una croce. (Nota del Traduttore.)
(329) Vedi nel Guardiano, N° 67, un articolo, squisito esempio della
peculiare maniera di Addison. Sarebbe difficile trovare in qualsiasi
altro scrittore un simile esempio di benevolenza condita
delicatamente di spregio.
(330) L'Osservatore, 4 aprile 1685.
(331) Dispaccio degli Ambasciatori Olandesi, 10-20 aprile
1685[**Nell'originale "1865"].
(332) Burnet, I, 626.
(333) Fedele racconto delle infermità, morte e sepoltura del
Capitano Bedlow. 1680; - Narrazione del Lord Capo Giudice North.
(334) Smith, Intrighi della Congiura Papale, 1685.
(335) Burnet, I, 439.
(336) Vedi il processo, nella Collezione de' Processi di Stato.
(337) Evelyn, Diario, 7 maggio 1685.
(338) Esistono molti ritratti di Oates. Le pittura più viva della
sua persona si trovano nello Esame di North, 225, nell'Assalonne ed
Achitofel di Dryden, e in un foglio volante che ha per titolo
"Fischi e Grida contro T. O."
(339) Vedi queste cose minutamente notate nella Collezione dei
Processi di Stato.
(340) Gazzetta di Francia, 29 maggio-9 giugno 1685.
(341) Dispaccio degli Ambasciatori Olandesi, 19-29 maggio 1685.
(342) Evelyn, Diario, 22 maggio, 1685; Eachard, III, 741; Burnet, I,
637; L'Osservatore, 27 marzo 1685; Oates, Eichôn, 89; Eichôn,
brotoloigou, 1697; Giornale dei Comuni, maggio, giugno e luglio
1689; Maso Brown, Avvertimento al dottore Oates. Alcune circostanze
interessanti sono rammentate in un foglio volante, stampato per A.
Brooks, Charing, Cross, 1685. Ho veduto certi articoli di quel tempo
scritti in francese e in italiano, e contenenti la storia del
processo e della esecuzione della sentenza. Una stampa
rappresentante Tito Oates posto alla gogna, fu pubblicata in Milano
con questa curiosa epigrafe: "Questo è il naturale ritratto di Tito
Otez, ovvero Oatz, Inglese, posto in berlina, uno de' principali
professori della religione protestante, acerrimo persecutore de'
Cattolici, e gran spergiuro." Ho veduto parimente una incisione
olandese rappresentante la punizione d'Oates, con alcuni versi
latini, de' quali i seguenti sono un esempio:
At Doctor fictus non fictos pertulit ictus,
A tortore datos haud molli in corpore gratos,
Disceret ut vere scelera ob commissa rubere.
L'anagramma del suo nome "Testis Ovat" trovasi in molte stampe
pubblicate in vari paesi.
(343) Blackstone, Commentarii, Capitolo dell'Omicidio.
(344) Nell'originale "sufficente"
(345) Secondo Ruggiero[Nell'originale "Ruggero"] North, i giudici
decisero che Dangerfield, essendo stato prima convinto di spergiuro,
era incompetente a far da testimonio nel processo della Congiura. Ma
questo è uno de' molti esempi della inesattezza di Ruggiero. Dal
rapporto del processo di Lord Castelmaine, fatto in giugno 1680,
parrebbe che dopo molti contrasti tra gli avvocati, e molto
consultare fra i giudici de' varii tribunali in Westminster Hall, a
Dangerfield fosse concesso di prestare il giuramento e raccontare la
propria storia: ma i giudici, con molto senno, non gli vollero
prestar fede.
(346) Il processo di Dangerfield non fu registrato; ma in un foglio
volante contemporaneo ne ho veduto un racconto conciso. Un sunto
della testimonianza contro Francis, e il discorso ch'ei fece sul
punto di morire, trovasi nella Collezione dei Processi di Stato.
Vedi Eachard, III, 741. La narrazione di Burnet contiene più abbagli
che parole. Vedi anche lo Esame di North, 256; il breve racconto
della vita di Dangerfield nel Tribunale di Sangue; l'Osservatore del
20 giugno 1685; e il poemetto intitolato, Lo Spettro di Dangerfield
a Jeffreys. Un rarissimo volume che ha per titolo Brevi Genealogie
di Roberto Halstead, Lord Peterborough dice che Dangerfield, col
quale egli aveva avuto qualche relazione, era "un giovane che aveva
decente persona, serio contegno, e loquela che non sembrava
procedere da una ordinaria intelligenza."
(347) Baxter, nella prefazione all'opera di Sir Matteo Hale,
intitolata: Giudicio intorno alla natura della vera Religione, 1684.
(348) Vedi l'Osservatore del 25 febbraio 1685; l'atto d'accusa nella
Collezione de' Processi di Stato; il racconto che fa Calamy di ciò
che seguì nella corte (Vita di Baxter, cap. 14); e i curiosissimi
estratti dei Mss. di Baxter, nella vita di lui, scritta da Orme e
pubblicata nel 1830.
(349) Mss. di Baxter, citati da Orme.
(350) Atto Parlam. di Car. II, 29 marzo 1651; di Giac. VII, 28
aprile e 13 maggio 1685.
(351) Atto Parlam. di Giac. VII, 8 maggio 1685; l'Osservatore, 20
giugno 1685. Lestrange evidentemente desiderava di vedere che lo
esempio dato in Iscozia venisse imitato in Inghilterra.
(352) Sono sue parole riferite da lui stesso. Clarke, Vita di
Giacomo II, volume I, 656. Memorie Originali.
(353) Atto Parlam. di Carlo II, 31 agosto 1681.
(354) Burnet, I, 583; Wodrow, III, v. 2, Sventuratamente, mancano
gli atti del Consiglio Privato Scozzese di quasi tutto il governo
del duca di York.
(355) Wodrow, III, IX, 6.
(356) Wodrow, III, IX, 6. Lo editore del Burnet, stampato in Oxford,
si studia di scusare quest'atto, asserendo che Claverhouse avesse
allora l'incarico di intercettare ogni comunicazione tra Argyle e
Monmouth, e supponendo che Giovanni Brown fosse stato scoperto come
portatore di notizie tra i campi ribelli. Sventuratamente per questa
ipotesi, Giovanni Brown fu morto il dì primo di maggio, mentre
Argyle e Monmouth erano entrambi in Olanda, e mentre non era
insurrezione in nessun luogo dell'Isola nostra.
(357) Nell'originale "Giovannni". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(358) Wodrow, III, IX, 6.
(359) Nell'originale "paedestinato"
(360) Wodrow, III, IX, 6.
(361) Ibidem, Nube di Testimonianza.
(362) Wodrow,III, IX, 6. L'epitaffio di Margherita Wilson nel
Camposanto di Wigton, è stampato nell'Appendice alla Nube di
Testimonianza: "Assassinata per aver confessato Cristo capo supremo
della Chiesa, e non per altro delitto, che per non avere confessata
la Prelatura, e non avere abiurata la fede de' Presbiteriani, nel
mare, legata ad un palo, ella patì il martirio per amore di Gesù
Cristo."
(363) Vedi la lettera al re Carlo II, premessa all'Apologia di
Barclay.
(364) Sewel, Storia dei Quacqueri, libro X.
(365) Minute delle Adunante Annuali, 1689, 1690.
(366) Clarkson, Del Quacquerismo; Costumi Peculiari, cap. 5.
(367) Dopo ch'io aveva già scritto questo tratto, ho trovato nel
Museo Britannico un manoscritto (Mss. Harl. 7506) col titolo
seguente: Relazione delle presure, de' sequestri, delle grandi
spoliazioni e stragi,fatte negli averi di varii protestanti
Dissenzienti, chiamati Quacqueri, dietro processi a seconda di
vecchi Statuti fatti contro i Papisti e i Recusanti papalini. Il MS.
è notato come già appartenente a Giacomo, e sembra che dal suo servo
di fiducia, Colonnello Graham, fosse stato dato a Lord Oxford. A me
pare che ciò confermi il mio modo di giudicare la condotta del re
verso i Quacqueri.
(368) Le visita di Penn a Whitehall, e le sue levate da letto in
Kensington, sono vivacissimamente descritte, benchè in cattivissimo
latino, da Gherardo Croese: "Sumebat rex saepe secretum, non
horarium, vero horarum plurium, in quo de variis rebus cum Penno
serio sermonem conferebat; et interim differebat audire praecipuorum
nobilium ordinem, qui hoc interim spatio in procoetone, in proximo,
regem conventum praesto erant." Della folla de' chiedenti nella casa
di Penn, Croese dice: "Vidi quandoque de hoc genere hominum non
minus bis centum." Historia Quakeriana, lib. II, 1695.
(369) "Ventimila sterline nella mia tasca, e centomila nella mia
provincia." Lettera di Penn a Popple.
(370) Questi ordini, firmati da Sunderland, si trovano nella Storia
di Sewel. Hanno la data del 18 aprile 1685. Sono scritti in uno
stile singolarmente oscuro ed intricato, ma credo d'averne
esattamente esposto lo spirito. Non ho potuto trovare nessuna prova
che alcuno che non fosse Cattolico Romano o Quacquero,
riacquistasse, per virtù di questi ordini, la propria libertà. Vedi
Neal, Storia dei Puritani, vol. II, cap. 3; Gherardo Croese, lib.
II. Croese vuole che il numero dei Quacqueri liberati fosse
millequattrocento sessanta.
(371) Barillon, 28 maggio-7 giugno 1685; l'Osservatore del 27 maggio
1685; Sir J. Reresby, Memorie.
(372) Luigi XIV scriveva a Barillon, intorno a questa classe di
Esclusionisti, le seguenti parole: "L'intérêt qu'ils auront à
effacer cette tâche par des services considérables, les portera,
selon toutes les apparences, à le servir plus utilement que ne
pourraient faire ceux qui ont toujours été les plus attachés à sa
personne." 15-25 maggio, 1685.
(373) Barillon, 4-14 maggio 1685; Sir Giovanni Reresby, Memorie.
(374) Burnet, I, 626; Evelyn, Diario, 22 maggio 1685.
(375) Ruggiero[Nell'originale "Ruggero"] North, Vita di
Guildford[Nell'originale "Guildfort"], 218; Bramston, Mémorie.
(376) North, Vita di Guildford, 228; Notizie di Westminster.
(377) Burnet, I, 382; Carte di Rowdon, Lord Conway a Sir Giorgio
Rawdon, 28 dicembre 1677.
(378) Gazzetta di Londra, 25 maggio 1685; Evelyn, Diario, 22 maggio
1685.
(379) North, Vita di Guildford, 256.
(380) Burnet, 1, 639; Evelyn, Diario, 22 maggio 1685; Barillon, 23
maggio-2 giugno, e 25 maggio-4 giugno, 1685, Il silenzio dei
Giornali de' Comuni rese perplesso il signor Fox; ma si spiega dal
fatto che la proposta di Seymour non fu secondata.
(381) Giornali de' Comuni, 22 maggio. Stat. Jac. II, I, 1.
(382) Giornali de' Comuni, 26, 27 maggio. Sir. J. Reresby, Memorie.
(383) Nell'originale "fossse". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(384) Giornali de' Comuni, 27 maggio 1685.
(385) Nell'originale "Streett". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(386) Ruggiero North, Vita di Sir Dudley North; Vita di Guildford,
166; M'Culloc, Letteratura della Economia Politica.
(387) Vita di Dudley North, 176; Lonsdale, Memorie; Van Citters, 12,
22 giugno 1685.
(388) Giornali de' Comuni, 1 marzo 1689.
(389) Nell'originale "ririspetto". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(390) Giornali de' Lordi, 18, 19 marzo 1679; 22 maggio 1685.
(391) Stat. 5 di Giorgio IV, c. 46.
(392) Nell'originale "Goodenogh". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(393) Nell'originale "sopra sopra". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio] Clarendon, Storia della Ribellione, lib. XIV; Burnet, De'
suoi tempi, I, 546, 625; Wade e Ireton, Narrazioni, MS. Landsdowne,
1152, l'Informazione di West nell'Appendice alla Vera Relazione di
Sprat.
(394) Gazzetta di Londra, 4 gennaio 1684-85; MS. Ferguson, nella
Storia di Eachard, III, 764; Narrazione di Gray; Sprat, Vera
Relazione; Danvers, Trattato intorno al Battesimo; Danvers, La
Innocenza e la Verità vendicate; Crosby, Storia dei Battisti
Inglesi.
(395) Per la intelligenza dell'allusione, vedi gli Atti degli
Apostoli, cap. XVIII. (Nota del Traduttore.)
(396) Sprat, Vera Relazione; Burnet, I, 634; Confessione di Wade,
Ms. Harl, 6845.
Lord Howard d'Escrick accusò Ayloffe d'avere proposto lo assassinio
del Duca di York; ma Lord Howard era un vile bugiardo: tale
storiella non formò parte della sua confessione originale, ma vi fu
aggiunta dipoi come supplemento; e però non è degna di fede.
(397) Confessione di Wade, Ms. Harl. 6845; Ms. Lansdowne, 1152;
Holloway, Narrazione nell'Appendice alla Vera Relazione di Sprat.
Wade confessò che Holloway aveva detta la pura verità.
(398) Sprat, Vera Relazione, e l'Appendice passim.
(399) Sprat, Vera Relazione, e l'Appendice; Processo contro Rumbold,
nella Collezione de' Processi di Stato; Burnet, De' suoi tempi, I,
633; Appendice alla Storia di Fox, N° IV.
(400) Narrazione di Grey: il suo processo trovasi nella Collezione
dei Processi di Stato; Sprat, Vera Relazione.
(401) Nella collezione di Pepys v'è una stampa rappresentante una
delle feste da ballo che verso quel tempo Guglielmo e Maria dettero
nell'Oranje Zaali.
(402) Avaux, Neg. 25 gennaio 1685. Lettera di Giacomo alla
Principessa d'Orange, gennaio 1684-85, fra gli Estratti di Birch nel
Museo Britannico.
(403) Narrazione di Grey; Confessione di Wade, Ms. Landsdowne 1152.
(404) Burnet, I, 542; Wood, Athenae Oxonienses, sotto il nome di
Owen[Nell'originale Ovven]; Assalonne ed Achitofel, parte II;
Eachard; III, 682, 697; Sprat, Vera Relazione, passim; Memoriale de'
Non-conformisti; North, Esame, 399.
(405) Confessione di Wade, Ms. Harl. 6845.
(406) Avaux, Neg. 20, 22 febbraio 1685; lettera di Monmouth a
Giacomo, in data di Ringwood.
(407) Storia del re Guglielmo III, 2a edizione 1703, vol. I, 160.
(408) Nell'originale "sapava". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(409) Welwoold, Memorie, App. XV; Burnet, I, 630. Grey riferì la
cosa in modo alquanto diverso, ma lo fece per salvare la propria
vita. Don Pedro Ronquillo, ambasciatore spagnuolo presso la corte
inglese, in una lettera al governatore de' Paesi Bassi, scritta
verso quel tempo, irride Monmouth perchè viveva alle spese d'una
donna innamorata; e sospetta, senza fondamento nessuno, che la
passione del duca fosse venale. "Hallandose hoy tan falto de medios
que ha menester trasformarse en Amor con Miledi, en vista de la
necessitad de poder subsistir." Ronquillo a Grana, 30 marzo-9 aprile
1685.
(410) Processo contro Argyle, nella Collezione de' Processi di
Stato; Burnet, I, 521; Relazione semplice e vera delle scoperte
fatte in Iscozia, 1684; La nebbia scozzese dissipata; Vindicazione
di Sir Giorgio Mackenzie; Lord Fountainhall, Note Cronologiche.
(411) Informazione di Roberto Smith, nell'Appendice alla Vera
Relazione di Sprat.
(412) Relazione semplice e vera delle scoperte fatte in Iscozia.
(413) Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio, lib. II, cap. 33.
(414) Vedi la Narrazione di Sir Patrizio Hume, passim.
(415) Narrazione di Grey; Confessione di Wade, Ms. Harl. 6845.
(416) Burnet, I, 631.
(417) Narrazione di Grey.
(418) Le Clerc, Vita di Locke; Lord King, Vita di Locke; Lord
Grenville, Oxford e Locke. Locke non è da confondersi
coll'Anabattista Niccola Look, il cui nome è scritto Locke nella
confessione di Grey, e che è ricordato nel Ms. Lansdowne N° 1152, e
nella narrazione di Buccleuch aggiunta alla dissertazione di Rose.
Non crederei quasi necessaria questa avvertenza, se non vedessi che
la somiglianza di questi due nomi indusse in errore il presidente
Onslow, ch'era uomo assai dotto nella storia di quei tempi. Vedi la
sua annotazione a Burnet, I, 629.
(419) Wodrow, libro III, cap. 9; Gazzetta di Londra, 11 maggio 1685;
Barillon, 11-21 maggio.
(420) Registro degli Atti degli Stati Generali, 5-15 maggio 1685.
(421) Di ciò si fa ricordo nelle sue lettere credenziali in data del
16 marzo 1684-85.
(422) Bonnepaux a Seignelay, 4-14 febbraio 1686.
(423) Avaux, Neg. 30 aprile, 10 marzo, 1-11 maggio, 5-15 maggio
1685; Narrazione di Sir Patrick Hume; Lettera dell'Ammiragliato
d'Amsterdam agli Stati Generali, 20 giugno 1685; Memoriale di
Skelton, consegnato agli Stati Generali, 10 maggio 1685.
(424) Nell'originale "fosee". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(425) Se taluno inchinasse a sospettare che io abbia esagerata
l'assurdità e ferocia di questi uomini, lo consiglierei a leggere
due libri, che varranno a convincerlo come io ne abbia mitigato più
presto che esagerato il ritratto. Questi libri sono intitolati: Il
villano sfrenato, e Le contese fedeli sbrogliate.
(426) Poche parole che trovavansi nelle prime cinque edizioni di
questa opera, sono state omesse in questo luogo. Qui ed altrove,
secondo la osservazione di Aytoun, io aveva scambiate le Guardie
della Città, che erano comandate da un ufficiale chiamato Graham,
coi Dragoni di Graham di Claverhouse.
(427) Gli autori, dai quali ho desunta la storia della espedizione
d'Argyle, sono Sir Patrizio Hume, il quale fu testimone oculare di
ciò che narrava; e Wodrow, che ebbe tra mani materiali
pregevolissimi, e, fra gli altri, gli stessi scritti del Conte. Dove
accade questione di veracità tra Argyle e Hume, non dubito che
l'autorità d'Argyle meriti più fede.
Vedi anche Burnet, I, 631, e la Vita di Bresson pubblicata
dal[Nell'originale "da"] Dottore Mac Crie. Il racconto della
Ribellione Scozzese nella Vita di Giacomo II, scritta da Clarke, è
un romanzo ridicolo, composto da un Giacomista, il quale non si
dette nè anche l'incomodo di guardare una carta topografica del
teatro della guerra.
(428) Wodrow, III, IX, 10; Martirologio dell'Occidente; Burnet I,
633; Fox, Storia, Appendice IV. Non trovo modo, tranne quello
indicato nel testo, a conciliare Rumbold che negava d'aver mai avuto
in mente la idea d'assassinio, e Rumbold che confessava d'avere
nominata la propria casa come luogo convenevole ad assalire i due
Principi. La distinzione che, come ho supposto, egli faceva, fu
fatta da un altro congiurato di Rye House, il quale, al pari di lui,
era vecchio soldato della Repubblica; voglio dire il Capitano
Walcot. Nel Processo di Walcot, West, testimone a favore della
Corona, disse: "Capitano, voi avete acconsentito di essere uno di
coloro che dovevano assaltare le Guardie." - "Quale è adunque la
ragione," chiese il Capo Giudice Pemperton, "che egli non intendeva
uccidere il Re?" - "Egli disse" rispose West "essere vigliaccheria
uccidere un uomo disarmato, e che non lo avrebbe fatto."
(429) Wodrow, III, IX, 9.
(430) Nell'originale "Glascow". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(431) Narrazione di Wade, Ms. Harl, 6845; Burnet, I, 634; Dispaccio
di Citters, 30 ottobre-9 novembre 1685; Luttrell, Diario della
medesima data.
(432) Wodrow, III, IX, 4, e III, IX, 10. Wodrow riferisce, giusta
gli Atti del Consiglio, i nomi di tutti i prigioni, mutilati,
deportati o segnati col ferro rovente.
(433) Nell'originale "Rotterdarm". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(434) La lettera di Skelton ha la data del 7-17 maggio 1686. Trovasi
insieme con una lettera dello Schout, o Gran Sergente d'Amsterdam,
in un volumetto pubblicato pochi mesi dopo, che ha per titolo:
"Histoire des événemens tragiques d'Angleterre." I documenti
inseriti in quell'opera, sono, per quanto ho potuto sincerarmene,
ricopiati esattamente dagli Archivi Olandesi, salvo che la dicitura
francese di Skelton, che non era purissima, è leggiermente corretta.
Vedi anche la Narrazione di Grey.
Goodenogh, nel suo esame dopo la battaglia di Sedgemoor, disse che
"lo Schout d'Amsterdam favoriva particolarmente il disegno dei
fuorusciti." Ms. Lansdowne[Nell'originale "Lansdovvne"], 1152.
Non vale l'incomodo di confutare quelli scrittori i quali
rappresentano il Principe d'Orange come complice della impresa di
Monmouth. La circostanza sopra la quale essi principalmente fondano
la loro asserzione, è che le Autorità d'Amsterdam non adoperassero
mezzi efficaci a impedire la partenza della spedizione. Questa
circostanza, a vero dire, prova moltissimo che Guglielmo non
favorisse la spedizione. Niuno che non ignori profondamente le
istituzioni e la politica dell'Olanda, considererà lo Statoldero
responsabile de' procedimenti de' capi del partito di Loevestein.
(435) Avaux, Neg. 7-17, 8-18, 14-24 giugno 1685; Lettera del
Principe d'Orange a Lord Rochester, 9 giugno, 1685. Nell'originale
"Rotterdarm"
(436) Citters, 9-19, 12-22 giugno 1685. Il carteggio di Skelton con
gli Stati Generali e con l'Ammiragliato d'Amsterdam, esiste negli
Archivii dell'Aja. Alcuni brani se ne trovano negli Evénements
tragiques d'Angleterre. Vedi anche Burnet, I, 640.
(437) Confessione di Wade, nelle carte di Hardwicke; Ms. Harl.,
6845.
(438) Nell'originale "della della"
(439) Vedi la[Nell'originale "le"] testimonianza di Buyse contro
Monmouth e Fletcher, nella Collezione dei Processi di Stato.
(440) Giornali della Camera de' Comuni, 13 giugno 1685; Ms. Harl.
1685; Ms. Lansdowne, 1152.
(441) Burnet I, 641, Confessione di Goodenough, nel Ms. Lansdowne
1152. La Dichiarazione, come fu originalmente stampata, è rarissima
a trovarsi: ve n'è un esemplare nel Museo Britannico.
(442) Nell'originale "motti". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(443) Racconto storico della Vita e delle azioni magnanime dello
Illustrissimo Principe Giacomo, Duca di Monmouth; 1683.
(444) Confessione di Wade; Carte di Hagdwicke; Carte di Axe; Ms.
Harl, 6845.
(445) Ms. Harl. 6845.
(446) Testimonianza di Buyse, nella Collezione dei Processi di
Stato; Burnet I, 642; Ms. di Ferguson citato da Eachard.
(447) Gazzetta di Londra, 18 giugno 1685; Confessione di Wade, Carte
di Hardwicke.
(448) Nell'originale "del". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(449) Giornali de' Lordi, 13 giugno 1685.
(450) Nell'originale "credessse". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(451) Confessione di Wade; Ms. di Ferguson; Carte di Axe, Ms. Harl.,
6845; Oldmixon, 701, 702. Oldmixon, che allora era fanciullo,
abitava presso il teatro degli avvenimenti.
(452) Nell'originale "commisssioni". [Nota per l'edizione
elettronica Manuzio]
(453) Nell'originale "messagggio". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(454) Gazzetta di Londra, 18 giugno 1685; Giornali de' Lordi e de'
Comuni, 13 e 15 giugno; Dispaccio Olandese, 16-26 giugno.
(455) Oldmixon s'ingannava là dove dice che Fenwick portò il decreto
alla Camera de' Lordi; mentre si raccoglie dai Giornali, che fu Lord
Ancram.
(456) Giornali de' Comuni, 17, 18, 19 giugno 1685; Raresby, Memorie.
(457) Giornali de' Comuni, 19, 29 giugno 1685; Lord Lonsdale,
Memorie, 8, 9; Burnet, I, 639. La Legge, come fu modificata dal
Comitato, trovasi nella Storia di Fox, Appendice III. Se il racconto
di Burnet è corretto, i delitti che, secondo la Legge modificata,
furono puniti con la privazione de' diritti civili, nella
compilazione[Nell'originale "compilazinoe"] primitiva della stessa
legge venivano considerati come capitali.
(458) Stat. I di Giac. II, c. 17; Giornali de' Lordi, 2 luglio 1685.
(459) Giornali dei Lordi e de' Comuni, 2 luglio 1685.
(460) Toulmin, Storia di Taunton, edizione di Savage.
(461) Sprat, Vera Relazione; Toulmin, Storia di Taunton.
(462) Vita e morte di Giuseppe Alleine, 1672. Memoriale dei
Non-Conformisti.
(463) Ms. Harl. 7006; Oldmixon, 702; Eachard, III, 763.
(464) Confessione di Wade; Confessione di Goodenough, Ms. Harl.
1152; Oldmixon, 702. La narrazione di Ferguson è al tutto indegna di
fede. Una copia del proclama trovasi nel Ms. Harl. 7006.
(465) Nel Museo Britannico si trovano le copie degli ultimi tre
proclami; Ms. Harl. 7006. Il primo non l'ho mai veduto, ma è
ricordato da Wade.
(466) Narrazione di Grey; Ms. di Ferguson, Eachard, III, 754.
(467) La Persecuzione esposta da Giovanni Whiting.
(468) Ms. Harl. 6845.
(469) Una di queste armi si vede anche oggi nella Torre.
(470) Narrazione di Grey; Narrazione di Paschall, nell'Appendice
alla Difesa di Heywood.
(471) Oldmixon, 702.
(472) North, Vita di Guildford, 132. Racconti della marcia di
Beaufort per il Paese di Galles e le vicine Contee, si trovano nella
Gazzetta di Londra, giugno 1684; Lettera di Beaufort a Clarendon, 14
giugno 1685.
(473) Il Vescovo Fell a Clarendon, 20 giugno; Abingdon a Clarendon
20, 25, 26 giugno 1685; Ms. Lansdowne[Nell'originale "Landsovvne"],
846.
(474) Avaux 5-15, 6-16 luglio 1685.
(475) Citters, 30 giugno-10 luglio, 3-13 luglio, 21-31 luglio, 1685;
Avaux, Negoz., 5-15 luglio; Gazzetta di Londra, 6 luglio.
(476) Barillon 6-16 luglio, 1685; Prefazione di Scott, nell'Albione
e Albanio.
(477) Abingdon a Clarendon, 29 giugno 1685; Bates, Vita di Filippo
Henry.
(478) Nell'originale "aqquartieraronsi". [Nota per l'edizione
elettronica Manuzio]
(479) Gazzetta di Londra 22 e 25 giugno 1685[Nell'originale "1635"];
Confessione di Wade; Oldmixon, 703; Ms. Harl., 6845.
(480) Confessione di Wade.
(481) Confessione di Wade; Oldmixon, 703; Ms. Harl., 6845; Querela
di Jeffreys al Gran Giurì di Bristol, 21 settembre 1685.
(482) Gazzetta di Londra, 29 giugno 1685; Confessione di Wade.
(483) Confessione di Wade.
(484) Gazzetta di Londra, 2 luglio 1685; Barillon 6-16 luglio;
Confessione di Wade.
(485) Gazzetta di Londra, 29 giugno 1685, Citters, 30 giugno-10
luglio.
(486) Ms. Harl., 6845; Confessione di Wade.
(487) Confessione di Wade; Eachard, III, 766.
(488) Confessione di Wade.
(489) Gazzetta di Londra, 6 luglio 1685; Citters 3-13 luglio;
Oldmixon, 703.
(490) Confessione di Wade.
(491) Matt. West. Flor. Hist., A. D. 788; Cronaca Ms. citata da
Sharon Turner nella Storia degli Anglo-Sassoni, libro IV, cap. 19.
Drayton, Polyolbion, III; Leland, Itinerario; Oldmixon, 703.
Oldmixon trovavasi allora a Bridgewater, e probabilmente vide il
Duca sul campanile. Il piatto rammentato nel testo, appartiene al
signor Stradling, il quale, con sollecitudine degna di lode, ha
raccolte e serbate le reliquie e le tradizioni della insurrezione
occidentale.
(492) Nell'originale "Bridewater". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(493) Oldmixon, 703.
(494) Nell'originale "disssimulare". [Nota per l'edizione
elettronica Manuzio]
(495) Churchill a Clarendon, 4 luglio, 1685.
(496) Oldmixon, 703. L'Osservatore, 1 agosto, 1685.
(497) Paschall, Narrazione, nell'appendice a Heywood.
(498) Kennet, edizione del 1719, III, 432. Sono costretto a prestar
fede alla verità di questo deplorabile fatto. Il vescovo asserisce
d'essergli stato riferito, nel 1718, da un valoroso ufficiale degli
Azzurri, il quale aveva combattuto a Sedgemoor, e aveva con gli
occhi propri veduta la povera fanciulla andarsene in preda ad un
disperato dolore.
(499) Narrazione di un ufficiale delle Guardie a cavallo, presso
Kennet, edizione del 1719, III, 432; Giornale Ms. della ribellione
occidentale, scritto da Eduardo Dummer; Dryden, il Cervo e la
Pantera, Parte II. Le parole di Dryden sono degne d'essere riferite:
"Tali erano i lieti trionfi del cielo per l'ultima notturna vittoria
di Giacomo, pegno d'amore del suo onnipotente Protettore, fuochi di
gioia che gli angioli accendevano nelle celesti regioni. Vidi con
gli occhi miei la pura luce e leggera serpere pel cupo orrore e
vincere la notte. Il messaggiero sollecitamente recò la nuova che
racconsolò tre nazioni afflitte; ma il Nunzio del cielo era arrivato
innanzi."
(500) Molti scrittori hanno affermato, ed in ispecie Pennan, che il
quartiere di Londra chiamato Soho, deriva il nome dalla parola
d'ordine dell'armata di Monmouth in Sedgemoor. Soho Fields si trova
rammentato in parecchi libri stampati avanti la insurrezione delle
Contrade Occidentali; a mo' d'esempio, in Chamberlayne; Stato
d'Inghilterra, 1684.
(501) Esiste un ordine di Giacomo perchè si pagassero quaranta lire
sterline al Sergente Weems del Reggimento di Dumbarton "per avere
resi buoni servigii nel fatto d'arme di Sedgemoor nello scaricare i
grossi cannoni contro i ribelli." Ricordo Storico del 1°, ovvero del
Reggimento Reale di Fanteria.
(502) Giacomo II, Narrazione della Battaglia di Sedgemoor, nelle
Scritture di Stato di Lord Hardwicke; Confessione di Wade; Ms. di
Ferguson; Narrazione, presso Eachard, III, 768; Narrazione d'un
Ufficiale delle Guardie a cavallo, presso Kennet, edizione del 1719,
III, 432. Gazzetta di Londra, 9 luglio 1685; Oldmixon, 703;
Paschall, Narrazione; Burnet I, 643; Evelyn Diario, 8 luglio;
Citters 7-17 luglio; Barillon 9-19 luglio; Reresby, Memorie; La
Battaglia di Sedgemoor, farsa del Duca di Buckingham; Giornale Ms.
della Ribellione occidentale, fatto da Eduardo Dummer; che allora
serviva nel corpo d'artiglieria adoperata da sua Maestà ad
opprimerla. Quest'ultimo manoscritto trovasi nella Biblioteca di
Pepys, ed è pregevolissimo; non per il racconto, che contiene poco
di notevole, ma per la esposizione dei piani così detti, di
battaglia, i quali la dimostrano qual era, in quattro o cinque
diversi stadii.
"La storia d'una battaglia" dice il più grande de' capitani viventi
"non è dissimile dalla storia d'una festa da ballo. Alcuni possono
ricordarsi di tutti i più piccoli eventi, il resultato de' quali è
la perdita della battaglia, o la vittoria: ma nessuno può
richiamarsi a mente l'ordine, o quel preciso momento nel quale
seguirono; la qual cosa costituisce tutta la differenza rispetto al
valore od importanza loro........ Appunto per mostrarvi quanto poca
fiducia meritino quelle che si suppongono essere le migliori
relazioni d'una battaglia, vi dico solo che il Generale..... nella
sua narrazione, ricorda certe cose che non accaddero punto. È
impossibile affermare il quando e in che ordine seguì ciascun fatto
importante." Carte di Wellington, 8 e 17 agosto, 1815.
La battaglia, intorno alla quale il Duca di Wellington scriveva nel
riferito modo, era quella di Waterloo, combattuta solo pochi giorni
innanzi, in pieno giorno, e sotto i vigili ed esperti occhi suoi.
Quale, dunque, deve essere la difficoltà di compilare da dodici
diverse relazioni il racconto d'una battaglia accaduta cento
sessanta e più anni sono, e fra tale oscurità che i combattenti non
potevano nulla discernere a cinquanta passi di distanza? La
difficoltà è accresciuta da ciò, che i testimoni oculari che
potevano sapere il vero, non erano inchinevoli a palesarlo. Lo
scritto che io ho posto in cima alle autorità sopra citate, si
mostra evidentemente parzialissimo di Feversham. Wade scriveva col
terrore del capestro. Ferguson, che rade volte mostravasi scrupoloso
intorno alla veracità delle proprie asserzioni, in questa occasione
fu bugiardo quanto Bobadil o Parolles. Oldmixon che, allorquando
seguì la battaglia, trovavasi fanciullo in Bridgewater, dove passò
poi gran parte della sua vita, era a tal segno sotto la influenza
delle passioni locali, che ogni informazione locale gli fu inutile.
Il desiderio ch'egli aveva di magnificare il valore de' contadini
della Contea di Somerset (valore riconosciuto anche da' loro nemici,
e che per ciò non aveva mestieri d'esagerazioni o di finzioni), lo
condusse a comporre un romanzo assurdo. La lode che Barillon, uomo
francese, avvezzo a spregiare le leve in massa, fece dell'armata de'
vinti, vale assai più: "Son infanterie fit fort bien. On eut de la
peine à les rompre, et les soldats combattoient avec les crosses de
mousquet et les scies qu'ils avoient au bout de grands bastons au
lieu de picques."
Oggimai, poco si può imparare visitando il campo della battaglia,
perocchè lo aspetto del paese è grandemente mutato; e il vecchio
Bussex Rhine, sulle cui sponde seguì la gran lotta, da lungo tempo
più non esiste. Quello che adesso si chiama Rhine, è di data
posteriore, ed ha un corso diverso da quello dell'antico.
Mi sono molto giovato del racconto che Roberts fa di quella
battaglia nella Vita di Monmouth, cap, XXII, il quale racconto in
sostanza concorda con le descrizioni di Dummer.
(503) Ho sapute queste cose da persone che abitano presso a
Sedgemoor.
(504) Oldmixon, 704.
(505) Locke, Ribellione delle contrade occidentali; Stradling,
Prioria di Chillon.
(506) Locke, Ribellione delle contrade Occidentali; Stradling;
Prioria di Chillon; Oldmixon, 704.
(507) Aubrey, Storia Naturale della Contea di Wilt, 1691.
(508) Relazione del modo onde fu preso il Duca di Monmouth,
pubblicata d'ordine di Sua Maestà: Gazzetta di Francia, 18-28 luglio
1685; Eachard, III, 770; Burnet, I, 644, e la Nota di Dartmouth;
Citters, 10-20 luglio 1685
(509) La lettera di Monmouth al Re fu stampata in quel tempo, per
ordine del Governo; quella alla Regina vedova si trova fra le
Lettere originali di Sir H. Ellis; l'altra a Rochester è nel
Carteggio di Clarendon.
(510) "On trouve" egli scrisse "fort à redire icy, qu'il ayt fait
une chose si peu ordinaire aux Anglois;" 13-23 luglio 1685.
(511) Relazione del modo onde fu preso il Duca di Monmouth:
Gazzetta, 16 giugno 1685; Citters, 14-24 luglio.
(512) Barillon ne fu manifestamente maravigliato: "Il se vient de
passer icy une chose bien extraordinaire, et fort opposée à l'usage
ordinaire des autres nations." 13-23 luglio 1685.
(513) Burnet, I, 644; Evelyn, Diario, 15 luglio; Sir J. Bramstom,
Memorie; Revesby, Memorie; Giacomo al Principe d'Orange, 14 luglio
1685; Barillon, 16-26 luglio; Ms. Buccleuch.
(514) Giacomo al Principe d'Orange, 14 luglio 1685; Dispacci
Olandesi della medesima data: Luttrell, Diario; Dartmouth,
Annotazione a Burnet, I, 646.
(515) Ms. Buccleuch; Clarcke, Vita di Giacomo II, II, 37; Mem.
Orig.; Citters, 14-24 luglio 1685; Gazzetta di Francia, 1-11 agosto.
(516) Ms. Buccleuch; Clarke, Vita di Giacomo II, vol. II, 37, 38;
Mem. Orig.; Burnet, I, 645; la Relazione di Tenison presso Kennet,
III, 432, edizione del 1719.
(517) Ms. Buccleuch.
(518) Il nome di Ketch spesso andava unito con quello di Jeffreys
nelle satire di que' tempi:
"Mentre Jeffreys siede sul banco, Ketch siede sul gibetto;"
dice un poeta. L'anno che seguì alla morte di Monmouth, Ketch fu
destituito per avere insultato uno degli Sceriffi, e gli successe un
macellaio chiamato Rose. Ma dopo quattro mesi, Rose fu impiccato in
Tyburn, e Ketch rimesso in ufficio. Luttrell, Diario, 20 gennaio e
28 maggio, 1686. Vedi una curiosa nota del Dottore Grey
all'Hudibras, Parte III, Canto II, verso 1534.
(519) Relazione della decapitazione di Monmouth, firmata dai teologi
che lo assisterono. Ms. Buccleuch; Burnet, I, 646; Citters, 17-27
luglio, 1685; Luttrell, Diario; Evelyn, Diario, 15 luglio; Barillon,
19-29 luglio.
(520) Non posso frenarmi d'esprimere il disgusto che provo pensando
alla barbara stoltezza che ha trasformata questa interessantissima
chiesetta in un luogo che rende immagine d'una sala d'adunanza in
una città manifatturiera.
(521) L'Osservatore, 1 agosto 1685; Gazzetta di Francia, 2 novembre
1686; Lettera da Humphrey Vanley, in data del 25 agosto 1698, nella
Collezione d'Aubrey; Voltaire, Dizionario filosofico. Nella
Collezione di Pepys si trovano varie ballate scritte dopo la morte
di Monmouth, le quali lo descrivono come vivente, e ne predicono il
prossimo ritorno. Ne citerò due brani:
"Quantunque questa sia una lugubre storia della caduta del mio
disegno, pure verrò di nuovo cinto di gloria se vivrò fino
all'ottantanove; poichè io ho un forte esercito e gran copia di
munizioni."
"Allora Monmouth si mostrerà in tutta la sua gloria ai suoi amici
inglesi, e farà cessare tutte le storielle che si spacciano da per
tutto. Vedranno che io non mi sono degradato ad esser preso
cogliendo piselli, o nascosto dentro un capannone di fieno. Che
strane fandonie sono coteste?"
(522) Gazzetta di Londra, 3 agosto 1685; La Battaglia di Sedgemoor,
Farsa.
(523) Pepys, Diario scritto in Tangeri; Ricordi Storici del
Reggimento Secondo, ovvero Reggimento R. Regina di Fanteria.
(524) Tribunale di Sangue; Burnet, I, 647; Luttrell, Diario, 15
luglio 1685; Locke, Ribellione delle Contrade Occidentali; Toulmin,
Storia di Taunton, pubblicata da Savage.
(525) Luttrell, Diario, 15 luglio 1685; Toulmin, Storia di Taunton.
(526) Oldmixon, 705; Vita ed errori di Giovanni Dunton, cap. 7.
(527) Il silenzio di Oldmixon e de' compilatori del Martirologio del
Paese Occidentale, mi sembrerebbe bastevole a togliere ogni dubbio.
Giova anche notare, che la storiella di Rhynsault è riferita da
Steel nel n° 491 dello Spettatore. Certamente, egli è appena
possibile il credere che se un delitto esattamente simile a quello
di Rhynsault, fosse stato commesso, a memoria degli uomini allora
viventi, in Inghilterra da un Ufficiale dì Giacomo II, Steel, che
era indiscretamente e intempestivamente corrivo a far pompa delle
sue opinioni Whig, non avrebbe fatta allusione a quel fatto. Intorno
al caso di Lebon, Vedi il Monitore, 4 Messidoro, Anno III.
(528) Sunderland a Kirke, 14 e 28 luglio 1685. "Sua Maestà" dice
Sunderland, "mi comanda di esprimervi il dispiacere che Essa prova a
siffatti procedimenti, e desidera che badiate perchè non vi fugga
persona alcuna implicata nella ribellione." È giusto aggiungere che
nella medesima lettera Kirke viene biasimato di permettere ai suoi
soldati che dimorino fuori le caserme.
(529) Nell'originale "riguargitavano". [Nota per l'edizione
elettronica Manuzio]
(530) Vorrei potere prestar fede alla novella popolare, che Ken,
immediatamente dopo la battaglia di Sedgemoor, facesse conoscere ai
capi dell'armata regia la illegalità delle esecuzioni militari. Non
dubito che se egli si fosse trovato presente, avrebbe fatto ogni
sforzo per far prevalere la legge e la clemenza. Ma non v'è
testimonianza degna di fede, che affermi lui in que' giorni
esservisi trovato. Dai Giornali della Camera de' Lordi certo
risulta, che egli, il giovedì avanti la battaglia, fosse in
Westminster. È similmente certo che il lunedì dopo la battaglia, ei
si trovasse con Monmouth nella Torre.
(531) Nell'originale "cocienza". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(532) North, Vita di Guildford, 260, 263, 273; Mackintosh, Sguardo
sul regno di Giacomo II, pag. 16 in nota; Lettera di Jeffreys a
Sunderland, 5 settembre 1685.
(533) Vedi il preambolo all'Atto con cui il Parlamento revocò la
sentenza che dannava Lady Alice a morte infamante.
(534) Nell'originale "venise". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(535) Processo di Alice Lisle, nella Collezione de' Processi di
Stato; Stat. I di Gugl. e Mar.; Burnet, I, 649; Avvertimento contro
i Whig.
(536) Tribunale di Sangue.
(537) Locke, Ribellione delle Contrade Occidentali.
(538) Ciò che qui affermo posso attestare per rimembranze della mia
fanciullezza.
(539) Lord Lonsdale dice che fossero settecento; Burnet seicento. Io
mi sono attenuto alla lista che i Giudici mandarono al Tesoro, e che
tuttora è visibile ivi in un Epistolario del 1685. Vedi il Tribunale
di Sangue; Locke, Ribellione delle Contrade Occidentali; il
Panegirico di Lord Jeffreys; Burnet, I, 648; Eachard, III, 775;
Oldmixon, 705.
(540) Alcune delle preci, esortazioni ed inni dei giustiziati si
trovano nel Tribunale di Sangue.
(541) Tribunale di Sangue; Locke, Ribellione delle Contrade
Occidentali; Lord Lonsdale, Memorie; Narrazione della Battaglia di
Sedgemoor, negli scritti di Hardwicke. Il racconto che ne fa Clarke
nella Vita di Giacomo II, non è tratto dai manoscritti del re, e si
confuta bastevolmente da sè.
(542) Tribunale di Sangue; Locke, Ribellione delle Contrade
Occidentali; Umile petizione delle Vedove e dagli Orfani delle
Contrade Occidentali d'Inghilterra; Panegirico di Lord Jeffreys.
(543) Intorno agli Hewling ho seguito le Memorie di Kiffin, e la
narrazione di Hewling Luson, che trovasi nella seconda edizione del
Carteggio di Hugues, vol. II, nell'Appendice. I racconti che se ne
fanno nella Ribellione delle Contrade Occidentali di Locke, e nel
Panegirico di Lord Jeffreys, sono pieni d'errori. Gran parte della
relazione contenuta nel Tribunale di Sangue fu scritta da Kiffin, e
concorda in ogni parola con le sue Memorie.
(544) Vedi il racconto che Tutchin fa del proprio caso nel Tribunale
di Sangue.
(545) Sunderland a Jeffreys, 14 settembre 1685; Jeffreys al re, 19
settembre 1685, nell'ufficio delle scritture di Stato.
(546) La migliore descrizione de' patimenti de' ribelli che furono
deportati, trovasi in un curiosissimo racconto scritto da Giovanni
Coad, legnaiuolo onesto e pieno del timore di Dio. Aveva combattuto
per Monmouth, era stato gravemente ferito a Philip's Norton,
processato da Jeffreys e mandato alla Giammaica. Il Ms. originale mi
fu cortesemente prestato dal signor Phippard, al quale appartiene.
(547) Nei ricordi del Tesoro dell'autunno 1685, sono varie lettere,
nelle quali si ordina che vengano fatte indagini intorno ad inezie
di questa specie.
(548) Giornali de' Comuni, 9 ottobre, 10 novembre, 26 dicembre 1690;
Oldmixon, 706; Panegirico di Jeffreys.
(549) Vita e morte di Lord Jeffreys; Panegirico di Jeffreys; Kiffin,
Memorie.
(550) Burnet, I, 368; Evelyn, Diario, 4 febbraio 1684-85, luglio
1686. In una delle satire di quel tempo si leggono le seguenti
parole:
Mentre era duchessa, ella era gentile, soave e cortese;
Quando fu regina, diventò un demonio rabido e furioso.]
(551) Sunderland a Jeffreys, 14 settembre 1685.
(552) Locke, Ribellione della Contrade Occidentali; Toulmin, Storia
di Taunton, edizione di Savage; lettera del duca di Somerset a Sir
F. Warre; lettera di Sunderland a Penn, 13 febbraio 1685-86, tratta
dall'ufficio delle scritture di Stato, nella collezione di
Mackintosh.
(553) Burnet, I, 646, e la nota del presidente Onslow; Clarendon a
Rochester, 8 maggio 1686.
(554) Burnet, I, 634.
(555) Calamy, Memorie; Giornali dei Comuni, 26 dicembre 1685;
Sunderland a Jeffreys, 14 settembre 1685; libro del Consiglio
Privato, 23 febbraio 1685-86.
(556) Ms. Lansdowne 1152; Ms. Harl. 6845; Gazzetta di Londra, 20
luglio 1685.
(557) Nell'originale "fossse". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(558) Molti scrittori hanno asserito, senza il più lieve fondamento,
che Giacomo concedesse il perdono a Ferguson. Taluni hanno spinta la
propria assurdità fino a citare questo perdono immaginario, - il
quale, ove fosse vero, proverebbe soltanto che Ferguson era una spia
della corte, - in prova della magnanimità e benignità del principe
che decapitò Alice Lisle e bruciò Elisabetta Gaunt. Ferguson non
solo non fu perdonato, ma escluso nominatamente dall'amnistia
generale data nella susseguente primavera (Gazzetta di Londra, 15
marzo 1685-86). Se, come ne corse universale sospetto e come sembra
probabile, gli fu usata clemenza, questa fu tale che Giacomo, non
senza ragione, ne sentiva vergogna; e quindi, per quanto fu
possibile, si tenne secreta. Le voci che allora ne corsero in
Londra, sono ricordate nell'Osservatore, 1° agosto 1685.
Sir Giovanni Raresby, che avrebbe dovuto essere bene informato,
positivamente afferma, che Ferguson fu preso tre giorni dopo la
battaglia di Sedgemoor. Ma Sir Giovanni errò certamente rispetto
alla data, ed avrà quindi potuto errare rispetto all'intero fatto.
Dalla Gazzetta di Londra, e dalla confessione di Goodenough (Ms.
Lansdowne 1152), chiaro risulta che quindici giorni dopo la
battaglia, Ferguson non era stato preso, e supponevasi nascosto in
qualche luogo in Inghilterra.
(559) Granger, Storia Biografica, "Jeffreys."
(560) Burnet, I, 648; Giacomo al principe d'Orange, 10 e 20
settembre 1685; Lord Lonsdale, Memorie; Gazzetta di Londra, 1°
ottobre 1685.
(561) Processo di Cornish, nella Collezione de' Processi di Stato;
Sir G.Hawles, Osservazioni sopra il Processo di Cornish; Burnet, I,
651; Il Tribunale di Sangue: Stat. I, Gugl. e Mar.
(562) Processi di Fernley e d'Elisabetta Gaunt, nella Collezione de'
Processi di Stato; Burnet, I, 649; Il Tribunale di Sangue; Sir G.
Bramston, Memorie; Luttrell, Diario, 23 ottobre 1685.
(563) Nell'originale: "Goodenongh". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(564) Processo di Bateman, nella Collezione de' Processi di Stato;
Osservazioni di Sir Giovanni Hawles. È pregio dell'opera raffrontare
la testimonianza di Tommaso Lee fatta in questa occasione, con la
sua confessione tempo innanzi pubblicata per ordine del Governo.
(565) Nell'originale "Middlessex". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(566) Citters, 13-23 ottobre, 1685.
(567) Neal, Storia de' Puritani; Calamy, Relazione de' Ministri
cacciati, e il Memoriale de' Non-Conformisti, contengono copiose
prove della severità di questa persecuzione. La lettera d'Addio di
Howe al suo gregge, trovasi nella vita di questo grande uomo,
scritta egregiamente da Rogers. Howe lamenta di non potere porsi a
risico di procedere per le vie di Londra, e la sua salute essere
danneggiata per difetto d'aria e di moto. Ma la più viva pittura dei
Non-Conformisti ci è data dalla penna di Lestrange, loro mortale
nemico, nell'Osservatore, ne' mesi di settembre ed ottobre del 1685.
(568) Nell'originale "negozianti". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(569) Nell'originale "Alto". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(570) Avaus, Neg., 6-16 agosto 1685; Dispaccio di Citters e de' suoi
colleghi, nel quale è incluso il trattato, 14-24 agosto; Luigi a
Barillon, 14-24 e 20-30 agosto.
(571) Avvertimenti intitolati: Per mio figlio il Principe di Galles;
nelle carte degli Stuardi.
(572) "L'Habeas Corpus" diceva Johnson, che era il più bacchettone
de' Tory, a Boswell, "è il solo pregio che il nostro Governo abbia
sopra quelli degli altri paesi."
(573) Vedi i Ricordi Storici de' Reggimenti, pubblicati sotto la
revisione dell'Aiutante Generale.
(574) Barillon, 3-13 dicembre 1685. Egli aveva studiato molto la
materia: "C'est un détail, diceva, dont j'ai connoissance." Da'
libri del Tesoro si raccoglie, che la spesa dell'armata per l'anno
1687, fu stabilita il dì primo di gennaio a 623,104 lire sterline, 9
scellini e undici soldi.
(575) Burnet, I, 447.
(576) Tillotson, Sermone detto innanzi alla Camera de' Comuni, il dì
5 di novembre 1685.
(577) Locke, Lettera prima intorno alla Tolleranza.
(578) Libro del Consiglio. La destituzione di Halifax è in data del
21 ottobre 1685. Halifax a Chesterfield; Barillon, 19-29 ottobre.
(579) Barillon, 26 ottobre-5 novembre 1685; Luigi a Barillon, 27
ottobre-6 novembre; 6-16 novembre.
(580) Nell'originale "susurrava". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(581) Vi è un notevole racconto de' primi segni del malcontento fra'
Tory, in una lettera di Halifax a Chesterfield, scritta nell'ottobre
del 1685; Burnet, I, 684.
(582) Gli scritti di quel tempo, trattanti in varie lingue di
cotesta persecuzione, sono innumerevoli. Una narrazione chiara,
tersa, vivace, trovasi nel libro di Voltaire: Siècle de Louis XIV.
(583) "Misionarios embotados," dice Ronquillo. "Apostoli Armati" li
chiama Innocenzo. Nella Collezione di Mackintosh vi è una notevole
lettera di Ronquillo intorno a questo subbietto, in data del 26
marzo-5 aprile 1687. Vedi Venier, Relazione di Francia, 1689, citata
dal Professore Ranke nella sua Storia del Papato, libro VIII.
(584) Nell'originale "Alva". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(585) Nell'originale "fancesi". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(586) "Mi dicono che tutti questi parlamentarii ne hanno voluto
copia; il che assolutamente avrà causate pessime impressioni." -
Adda, 9-19 Novembre 1685. Vedi Evelyn, Diario, 3 novembre.
(587) Giornali de' Lordi, 9 novembre 1685. "Vengo assicurato (dice
Adda) che S. M. stessa abbia composto il discorso." - Dispaccio del
16-26 novembre 1685.
(588) Giornali de' Comuni; Bramston, Memorie; Giacomo Von Leeuwen
agli Stati Generali, 10-20 novembre 1685. Leeuwen era segretario
dell'Ambasciata Olandese, e nell'assenza di Citters mantenne il
carteggio col proprio Governo. Intorno a Clarges. Vedi Burnet, I,
98.
(589) Barillon, 16-26 novembre, 1685.
(590) Dodd, Storia della Chiesa; Leeuven, 17-27 novembre 1685;
Barillon, 24 Dicembre 1685. Barillon dice intorno ad Adda: "On
l'avoit fait prévenir que la sûreté et l'avantage des Catholiques
consistoient dans une réunìon entière de sa Majesté Britannique et
de son Parlement." Lettere d'Innocenzio a Giacomo, in data del 27
luglio-6 agosto, e del 23 settembre-3 ottobre 1685, Dispacci d'Adda,
8-19 e 16-26 novembre 1685. L'interessantissimo Carteggio d'Adda,
copiato dagli archivi papali, trovasi nel Museo Britannico; Mss.
aggiunti, M° 15395.
(591) Questo notevolissimo dispaccio ha la data del 9-19 novembre
1685, ed è compreso nell'Appendice alla Storia di Fox.
(592) Giornali de' Comuni, 12 novembre 1685; Leeuwen, 13-23
novembre; Barillon 16-26 novembre: Sir Giovanni Bramston, Memorie.
La migliore relazione delle discussioni de' Comuni nel Novembre
1685, è una di quelle la cui storia è alquanto curiosa. Ve ne sono
due copie manoscritte nel Museo Brittannico, Ms. Harl, 7187; Ms.
Lans, 253. In queste copie, i nomi de' Presidenti sono interamente
scritti. L'autore della Vita di Giacomo, pubblicata nel 1702,
ricopiò questa relazione, ma diede solo le iniziali de' nomi de'
Presidenti. Gli editori de' Dibattimenti di Chandler, e della Storia
Parlamentare, si provarono d'indovinare i nomi da coteste iniziali,
e talvolta non s'apposero al vero. Essi attribuiscono a Waller un
pregevolissimo discorso, di cui parlerò tra poco, e che fu
certamente fatto da Windham, rappresentante di Salisbury. Mi
rincresce di vedermi forzato a smentire che le ultime parole
profferite in pubblico da Waller, fossero così onorevoli per lui.
(593) Giornali de' Comuni, 13 novembre 1685; Bramston, Memorie;
Barillon, 16-26 novembre; Leeuwen, 12-23 novembre; Memorie di Sir
Stefano Fox, 1717; La causa della Chiesa d'Inghilterra schiettamente
dichiarata; Burnet, I, 666, e l'annotazione del Presidente Onslow.
(594) Giornali de' Comuni, novembre 1685; Ms. Harl, 7187; Ms. Lans,
253.
(595) Intorno a questo subbietto, gli autori in modo straordinario
discordano; e dopo d'avere lungamente esaminata la faccenda, debbo
confessare che i pareri si equilibrano. Nella Vita di Giacomo (1702)
è detto, che la proposta venisse dalla Corte. Il che è confermato da
un luogo notevole nelle Carte degli Stuardi, il quale fu corretto
dallo stesso pretendente (Clarke, Vita di Giacomo II, vol. II; 55).
Dall'altro canto, Reresby che era presente alla discussione, e
Barillon che avrebbe dovuto sapere il vero, fanno credere che la
proposta venisse dalla opposizione. I manoscritti Harleiano e
Lansdowniano differiscono nella sola parola da cui dipende la
questione. Sventuratamente, Bramston quel dì non era nella Camera.
(Giacomo Van Leeuwen rammenta la proposta e lo squittinio di
divisione, ma non aggiunge una parola che possa spargere la più
piccola luce sulle condizioni de' partiti. Mi è forza confessare la
mia impossibilità a dedurre con sicurezza alcuna conseguenza da'
nomi de' questori Sir Giuseppe Williamson e Sir Francesco Russell
per la maggioranza, Lord Ancram e Sir Enrico Goodricke per la
minoranza. Mi parrebbe probabile che Lord Ancram si fosse posto
dalla parte della Corte, e Sir Enrico Goodricke da quella della
opposizione.
(596) Nell'originale "millione". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(597) Giornali de' Comuni, 16 novembre 1685; Ms. Harl 7187; Ms.
Lans. 235.
(598) Giornali de' Comuni, 17, 18 novembre 1685.
(599) Giornali de' Comuni, 18 novembre 1685; Ms. Harl. 7187; Ms.
Lans. 253; Burnet, I, 667.
(600) Lonsdale, Memorie. Burnet dice (I, 667) che nella Camera de'
Comuni seguì un'acre discussione rispetto alle elezioni dopo
l'imprigionamento di Coke. Ciò, quindi, dovette accadere il dì 19 di
novembre; perocchè Coke fu condotto alla Torre il dì 18, e il dì 20
il Parlamento fu prorogato. La narrazione di Burnet è confermata dai
Giornali de' Comuni, da cui si raccoglie che il dì 19 si discuteva
di varie elezioni.
(601) Nell'originale "oppozione". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(602) Burnet, I, 560; Orazione funebre del duca di Devonshire, detta
da Kennet, 1708; Viaggi di Cosimo III in Inghilterra.
(603) Bramston, Memorie. Burnet erra in quanto al tempo in cui fu
fatta questa osservazione, e in quanto alla persona che la fece.
Nella Lettera di Halifax ad un Dissenziente, trovasi una notevole
allusione a questa discussione.
(604) Wood, Athenæ Oxonienses; Gooch, Orazione funebre del Vescovo
Compton.
(605) Teonge, Diario.
(606) Barillon ci ha lasciata la migliore relazione di questo
dibattimento. Ne estrarrò ciò ch'ei dice intorno al discorso di
Mordaunt. "Milord Mordaunt, quoique jeune, parla avec eloquence et
force. Il dit que la question n'étoit pas reduite, comme la Chambre
des Communes le prétendoit, à guérir des jalousies et défiances, qui
avoient lieu dans les choses incertaines; mais que ce qui se passoit
ne l'étoit pas; qu'il y avoit une armée sur pied qui subsistoit, et
qui étoit remplie d'officiers catholiques; qui ne pouvoit être
conservée que pour le renversement des loix; et que la subsistance
de l'armée, quand il n'y a aucune guerre ni au dedans ni au dehors,
étoit l'ètablissement du gouvernement arbitraire, pour le quel les
Anglois ont une adversion si bien fondée."
(607) Gli riusciva facilissimo il piangere. "Non poteva" dice
l'autore del Panegirico "frenare le lacrime quando altri gli faceva
fronte arditamente. - Parlasi delle sue bravazzate e del suo
orgoglioso coraggio; ma vi può essere cosa alcuna di più umile in un
uomo del suo alto grado, che piangere e singhiozzare?" Nella
risposta al Panegirico si dice "che il non aver saputo frenare le
lacrime gli toglieva di poter fare la parte d'ipocrita."
(608) Giornali de' Lordi, 19 novembre 1685; Barillon, 23 novembre-3
dicembre; Dispaccio Olandese, 20-30 novembre; Luttrell, Diario, 19
Novembre; Burnet, I, 665. Il discorso di chiusura fatto da Halifax è
rammentato dal Nunzio nel suo dispaccio del 16-26 novembre. Adda,
circa un mese dopo, fa testimonianza del potente ingegno di Halifax:
"Da questo uomo, che ha gran credito nel Parlamento e grande
eloquenza, non si possono attendere che fiere contraddizioni; e nel
partito regio non vi è un uomo da contrapporsi." 21-31 dicembre.
(609) Giornali de' Lordi e de' Comuni, 20 novembre 1685.
(610) Giornali de' Lordi, 11, 17, 18 novembre 1685.
(611) Burnet, I, 616.
(612) Bramston, Memorie; Luttrell, Diario.
(613) Il processo trovasi nella Collezione de' Processi di Stato;
Bramston, Memorie; Burnet, I, 647; Giornali de' Lordi, 20 dicembre
1689.
(614) Giornali de' Lordi, 9, 10, 16 Novembre 1685.
(615) Discorso intorno alla corruzione de' Giudici, nelle Opere di
Lord Delamere, 1694.
(616) "Fu una funzione piena di gravità, di ordine e di gran
speciosità." Adda, 15-25 gennaio, 1686.
(617) Il processo trovasi nella Collezione de' Processi di Stato.
Leeuwen 15-25. 19-29 gennaio 1686.
(618) Lady Russell al Dottore Fitzwilliam, 15 gennaio 1686.
(619) Luigi a Barillon, 10-20 febbraio 1685.
(620) Evelyn, Diario, 2 ottobre, 1685.
(621) Clarke, Vita di Giacomo II, vol. II, 9; Mem. Orig.
(622) Nell'originale "di di". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(623) Leeuwen, 1-11 e 12-22 gennaio 1686. La lettera di questa
giovinetta, quantunque fosse lunghissima ed assurda, fu reputata
degna d'essere mandata agli Stati Generali, come espressione de'
tempi.
(624) Così nell'originale: forse "sparto" L'inglese ha "diffused".
[Nota per l'edizione elettronica Manuzio]
(625) Vedi il suo processo nella Collezione de' Processi di Stato, e
il suo curioso Manifesto, stampato nel 1681.
(626) Mémoires de Grammont; Pepys, Diario, 19 agosto 1662; Bonrepaux
a Seignelay, 1-11 febbraio 1686.
(627) Bonrepaux a Seignelay, 1-11 febbraio 1686.
(628) Nell'originale "Talbolt". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(629) Mémoires de Grammont; Vita d'Eduardo, Conte di Clarendon;
Carteggio d'Enrico, Conte di Clarendon, passim, e in ispecie la
lettera in data del dì 29 dicembre 1685; Ms. di Sheridan, fra le
Carte degli Stuardi; Carteggio di Ellis, 12 gennaio 1686.
(630) Vedi il suo ultimo carteggio, passim; St. Evremond, passim; le
lettere di madama di Sévigné in principio del 1689. Vedi anche le
istruzioni a Tallard dopo la pace di Ryswick, negli Archivi
francesi.
(631) St. Simon, Memorie, 1697, 1719; St. Evremond; La Fontaine;
Bonrepaux a Seignelay, 28 gennaio-7 febbraio, 8-18 febbraio 1686.
(632) Adda, 16-26 novembre, 7-17, e 21-31 dicembre 1685. In questi
dispacci Adda adduce alcune ragioni per venire ad un compromesso,
abolendo le leggi penali, e lasciando l'Atto di Prova. Egli chiama
il conflitto fra il Governo e il Parlamento "una gran disgrazia."
Ripetutamente accenna che il Re, per mezzo d'una politica conforme
alla Costituzione, avrebbe potuto ottenere molto a favore dei
Cattolici Romani, e che gli sforzi ch'egli faceva a volerli
illegalmente alleggiare, avrebbero probabilmente fatto nascere
grandi calamità.
(633) Fra Paolo Sarpi, libro VIII; Pallavicino, libro XVIII, cap.
15.
(634) Tale era il costume della sua figlia Anna; e Marlborough
diceva ch'ella lo aveva imparato dal padre. - Difesa della Duchessa
di Marlborough.
(635) Fino al tempo del processo de' Vescovi, Giacomo andava sempre
dicendo ad Adda, che tutte le calamità di Carlo I seguirono "per la
troppa indulgenza." Dispaccio del 29 giugno-9 luglio 1688. Barillon
16-26 novembre 1685; Luigi a Barillon, 26 novembre-6 dicembre. In
una scrittura del 1687, molto curiosa, quasi senza alcun dubbio di
mano di Bonrepaux, e che ora trovasi negli archivi di Francia,
Sunderland è dipinto con queste parole: "La passion qu'il a pour le
jeu, et les pertes considérables qu'il y a faites, incommodent fort
ses affaires. Il n'aime pas le vin; et il hait les femmes."
(636) Si ricava dal libro del Consiglio, ch'egli entrò nell'ufficio
di presidente il dì 4 dicembre 1685.
(637) Bonrepaux non si lasciò così agevolmente ingannare come
Giacomo. "En son particulier, il (Sunderland) n'en professe aucune
(religion), et en parle fort librement. Ces sortes de discours
seroient en exécration en France. Ici ils sont ordinaires parmi un
certain nombre de gens du pays." - Bonrepaux a Seignelay, 25
maggio-4 giugno 1687.
(638) Clarke, Vita di Giacomo II, vol. II, 74, 77; Mem. Orig.; Ms.
di Sheridan; Barillon, 19-29 marzo 1686.
(639) Beresby, Memorie; Luttrell, Diario, 2 febbraio 1685-86;
Barillon 4-14 febbraio; Bonrepaux, 25 gennaio-4 febbraio.
(640) Dartmouth, annotazione a Burnet, I, 621. In una satira di quel
tempo è notato che Godolphin "Batte il tempo colla testa politica, e
approva tutto, satisfatto dell'incarico di portare il manicotto e i
guanti della Regina."
(641) Pepys, 4 ottobre 1664.
(642) Pepys, 1 luglio 1663.
(643) Vedi i versi satirici che Dorset le scrisse contro.
(644) Le fonti principali pel racconto di questo intrigo, sono i
dispacci di Barillon e di Bonrepaux, del principio dell'anno 1686.
Vedi Barillon, 25 gennaio, 4 febbraio; 28 gennaio-7 febbraio, 1-11,
8-18, 19-29 febbraio, e Bonrepaux sotto le stesse prime quattro
date; Evelyn, Diario, 19 gennaio; Reresby, Memorie; Burnet, I, 682;
Ms. Sheridan; Ms. Chaillot; Dispacci d'Adda, 22 gennaio-1 febbraio,
e 29 gennaio-8 febbraio 1686. Adda scrive da uomo pio, ma debole e
ignorante. Sembra che non conoscesse nulla della vita anteriore di
Giacomo.
(645) La meditazione ha la data 25 gennaio-4 febbraio. Bonrepaux,
nel suo dispaccio del medesimo giorno, dice: "L'intrigue avait été
conduite par Milord Rochester et sa femme.... Leur projet étoit de
faire gouverner le Roy d'Angleterre par la nouvelle comtesse; ils
s'étoient assurés d'elle."Mentre Bonrepaux riferiva queste cose al
suo Governo, Rochester scriveva: "O mio Dio, insegnami a numerare i
miei giorni, onde io possa dedicare il mio cuore alla saviezza.
Insegnami a contare i giorni da me spesi nella vanità e nell'ozio,
ed insegnami a contare quelli che io ho spesi nel peccato e nelle
male opere. O Dio, insegnami anche a numerare i giorni della mia
afflizione, e a renderti grazie per tutto ciò che è venuto dalle tue
mani. Insegnami parimente a numerare i giorni di questa grandezza
mondana di cui io ho tanta parte, e insegnami a considerarli come
giorni di vanità e di tribolazione di spirito."
(646) "Je vis Milord Rochester, comme il sortoit du conseil, fort
chagrin; et sur la fin du souper, il lui en échappe quelque chose."
Bonrepaux, 18-28 febbraio 1686. Vedi anche Barillon, 1-14, 4-11
marzo.
(647) Barillon, 22 marzo-1 aprile, 12-22 aprile 1686.
(648) Gazzetta di Londra, 15 febbraio 1685-86; Luttrell, Diario, 8
febbraio; Leeuwen, 9-19 febbraio; Clarke, Vita di Giacomo II, vol.
Il, 75; Mem. Orig.
(649) Nell'originale "alla". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(650) Leeuwen, 23 febbraio-5 marzo 1686.
(651) Barillon, 26 aprile-6 maggio, 3-13 maggio 1656; Citters 7-17
maggio; Evelyn, Diario, 5 maggio; Luttrell, Diario della stessa
data; Libro del Consiglio Privato, 2 maggio.
(652) Lady Russel al dottore Fitzwilliams, 22 gennaio 1686;
Barillon, 15-25 febbraio, 22 febbraio-4 marzo 1686. "Ce prince
témoigne" dice Barillon "une grande aversion pour eux, et auroit
bien voulu se dispenser de la collecte, qui est ordonnée en leur
faveur; mais il n'a pas cru que cela fût possible."
(653) Barillon, 22 febbraio-4 marzo 1686.
(654) Relazione della Commissione, in data del 15 marzo 1688.
(655) Nell'originale "ubbidenza". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(656) "Le roi d'Angleterre connoît bien que les gens mal
intentionnés pour lui sont les plus prompts et les plus disposés à
donner considérablement... Sa Majesté Britannique connoît bien qu'il
auroit été à propos de ne point ordonner de colecte, et que les gens
mal intentionnés contre la religion catholique et contre lui, se
servent de cette occasion pour témoigner leur zèle." Barillon. 19-29
aprile 1686.
(657) Barillon, 15-25 febbraio, 22 febbraio-4 marzo, 19-29 aprile
1686; Luigi a Barillon, 5-15 marzo. Barillon, 19-29 aprile; Lady
Russell al dottore Fitzwilliams, 14 aprile. "Ne mandò via molti"
ella dice "co' cuori contristati."
(658) Gazzetta di Londra del 13 maggio 1686.
(659) Nell'originale "prefissse". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(660) Nell'originale "Vestminster". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(661) Nell'originale "potrebbbe". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(662) Raresby, Memorie; Eachard, III, 797; Kennet, III, 451.
(663) Gazzetta di Londra, 22 e 29 aprile 1686; Barillon, 19-29
aprile; Evelyn, Diario, 2 giugno; Luttrell, 8 giugno; Dodd, Storia
della Chiesa.
(664) North, Vita di Guildford, 288.
(665) Raresby, Memorie.
(666) Vedi la relazione di questo caso nella Collezione de' Processi
di Stato; Citters, 4-14 maggio, 22 giugno 2 luglio 1686; Evelyn,
Diario, 27 giugno; Luttrell, Diario, 21 giugno. In quanto a Street,
vedi il Diario di Clarendon, 27 dicembre 1688.
(667) Gazzetta di Londra, 19 luglio 1686.
(668) Vedi le lettere patenti presso Gutch, Collectanea curiosa. La
loro data è del 3 maggio 1686. Sclater, Consensus Veterum; Gee,
Veteres Vindicati, che è una risposta al libro di Sclater; il
dottore Antonio Horneck, Relazione dell'abjura di Sclater degli
errori del papismo, il dì 5 maggio 1689; Dodd, Storia della Chiesa,
Parte VIII, libro II, articolo 3.
(669) Gutch, Collectanea curiosa; Dodd, VIII, II, 3; Wood, Athenæ
Oxonienses; Ellis, Carteggio, 27 febbraio 1686; Giornali de' Comuni,
26 ottobre 1689.
(670) Gutch, Collectanea curiosa; Wood, Athenæ Oxonienses; Dialogo
tra uno della Chiesa Anglicana e un Dissenziente, 1689.
(671) Adda, 9-19 luglio 1686.
(672) Adda, 30 luglio-9 agosto 1686.
(673) "Ce prince m'a dit que Dieu avoit permis que toutes les loix
qui ont été faites pour établir la religion protestante, et détruire
la religion catholique, servent présentement de fondement à ce qu'il
veut faire pour l'établissement de la vraie religion, et le mettent
en droit d'exercer un pouvoir encore plus grand que celui qu'ont les
rois catholiques sur les affaires ecclésiastiques dans les autres
pays." Barillon, 12-22 luglio 1686. - Ad Adda, Sua Maestà, pochi
giorni dopo, disse: "Che l'autorità concessale dal Parlamento sopra
l'ecclesiastico senza alcun limite, con fine contrario, fosse adesso
per servire al vantaggio de' medesimi Cattolici." 23 luglio-2
agosto.
(674) Tutta la questione è lucidamente e vittoriosamente discussa in
un breve trattato di que' tempi, che ha per titolo: La potestà del
Re nelle materie ecclesiastiche, chiaramente esposta. Vedi anche il
conciso ma forte ragionamento dell'Arcivescovo Sancroft. Doyly, Vita
di Sancroft, I, 229.
(675) Lettera di Giacomo a Clarendon, 18 febbraio 1685-86.
(676) La migliore narrazione di questi fatti trovasi nella Vita di
Sharp, scritta da suo figlio. Citters, 29 giugno-9 luglio 1686.
(677) Barillon, 21 luglio-1 agosto 1686; Citters, 16-26 luglio;
Libro del Consiglio Privato, 17 luglio; Ellis, Carteggio, 17 luglio;
Evelyn, Diario, 14 luglio; Luttrell, Diario, 5-6 agosto.
(678) Il segno era una rosa ed una corona. Innanzi il segno erano le
lettere iniziali del nome del sovrano, e dopo esso la lettera R.
Attorno il suggello leggevasi questa epigrafe: Sigillum
commissariorum regiæ majestatis ad causas ecclesiasticas.
(679) Appendice al Diario di Clarendon; Citters, 8-18 ottobre;
Barillon, 11-21 ottobre; Doyly, Vita di Sancroft.
(680) Burnet, I, 676.
(681) Burnet, I, 675, II, 629; Sprat, Lettere a Dorset.
(682) Burnet, I, 677; Barillon, 6-16 settembre 1686. Gli atti
pubblici si trovano nella Collezione de' Processi di Stato.
(683) 27. Elisab, c. 2; 2. Giac, I, c. 4; 3. Giac. I, c. 5.
(684) Clarke, Vita di Giacomo II, vol. II, 79, 80; Mem. Orig.
(685) De Augumentis, I, VI, 4.
(686) Citters, 14-24 maggio 1686.
(687) Citters, 18-28 maggio 1656; Adda, 19-29 maggio.
(688) Ellis, Carteggio, 27 aprile 1686; Barillon, 19-29 aprile;
Citters, 20-30 aprile; Libro del Consiglio Privato, 27 marzo;
Luttrel, Diario; Adda, 26 febbraio-8 marzo, 26 marzo-5 aprile, 2-12
aprile, 23 aprile-3 maggio.
(689) Burnet, Viaggi.
(690) Barillon, 27 maggio-6 giugno 1686.
(691) Citters, 25 maggio-4 giugno 1686.
(692) Ellis, Carteggio, 25 giugno 1686; Citters, 2-12 luglio;
Luttrell, Diario, 19 luglio.
(693) Vedi le poesie di que' tempi intitolate: Hounslow Heath, e Lo
Spettro di Cesare; Evelyn, Diario, 2 giugno 1686. Una ballata, nella
Biblioteca di Pepys, contiene il tratto seguente:
"Io amava il luogo oltre ogni credere: non vidi mai un campo così
bello: nessuna donna che non fosse convenevolmente vestita, poteva
gustare un bicchiere di vino."
(694) Luttrell, Diario, 18 giugno 1686.
(695) Vedi le Memorie di Johnson premesse alla edizione in folio
della sua vita, il suo Giuliano, e le risposte ai suoi avversari.
Vedi anche il Gioviano d'Hickes.
(696) Vita di Johnson, premessa alle sue opere; Storia segreta della
felice Rivoluzione di Ugo Speke; Processi di Stato; Citters, 23
novembre-3 dicembre 1686. Il miglior racconto del processo di
Johnson è quello di Citters. Ho veduto un foglio volante che lo
conferma.
(697) Vedi la prefazione ai Sermoni postumi d'Enrico Wharton.
(698) Lo affermo per esperienza. Ve n'è un'insigne raccolta nel
Museo Britannico. Birch dice, nella Vita di Tillotson, che lo
Arcivescovo Wake[Nell'originale "Wakes"] non potè formare un esatto
catalogo di tutti gli scritti pubblicati intorno a questa
controversia.
(699) Il cardinale Howard parlò fortemente a Burnet in Roma intorno
a ciò. Burnet, I, 662. Vi è anche un curioso tratto, che si
riferisce a tale subietto, in un dispaccio di Barillon: ma ho
smarrita la citazione.
Uno de' Cattolici Romani disputanti in questa controversia, cioè il
gesuita Andrea Patton[Nell'originale "Pulton"], che Oliver, nella
Biografia della Società di Gesù, giudica uomo d'insigne abilità,
confessa francamente i propri difetti. "A. P. avendo dimorato per lo
spazio di anni diciotto fuori della terra natia, non pretende ancora
di sapere parlare e scrivere perfettamente la lingua inglese." La
sua ortografia veramente fa pietà. In una lettera scrive wright
invece di write, woed invece di would. Sfidò Tenison a disputare in
latino, perchè potessero combattere con armi uguali. In una satira
di quel tempo, intitolata il Consiglio, si leggono le seguenti
parole: "Manda Pulton ad essere sferzato alla scuola di Bushy,
acciocchè, stampando, non più si mostri sciocco." Un altro Cattolico
Romano, chiamato Guglielmo Clench, scrisse un trattato intorno alla
Supremazia del Papa, e vi appose una dedica italiana alla Regina. Ad
esempio del suo stile serva il seguente saggio: "O del sagro marito
fortunata consorte! O dolce alleviamento d'affari alti! O grato
ristoro di pensieri noiosi, nel cui petto latteo, lucente specchio
d'illibata matronal pudicizia, nel cui seno odorato, come in porto
d'amor si ritira il Giacomo! O beata regia coppia! O felice inserto
tra l'invincibil leone e le candide aquile!"
Lo stile inglese di Clench è dello stesso conio del suo toscano. A
modo d'esempio: "Pietro significa una rocca inespugnabile, che può
evacuare tutte le congiure del divano dell'inferno, e naufragare
tutti i luridi disegni degl'inveleniti eretici."
Un altro trattato cattolico romano, che ha per titolo La Chiesa
d'Inghilterra fedelmente descritta, incomincia dicendo: "Il fuoco
fatuo della Riforma, che è diventato una cometa per molti atti di
spoliazioni e di rapine, è stato introdotto in Inghilterra,
purificato delle lordure che aveva contratte fra i laghi delle
Alpi."]
(700) Barillon, 19-29 luglio 1686.
(701) Att. Parlam., 24 agosto 1560; 15 dicembre 1567.
(702) Att. Parlam., 8 maggio 1685.
(703) Att. Parlam., 31 agosto 1681.
(704) Nell'originale "Misfort". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(705) Burnet, I, 584.
(706) Burnet, I, 652, 653.
(707) Ibid., I, 678.
(708) Ibid., I, 653.
(709) Fountainhall, 28 gennaio 1685-86.
(710) Fountainhall, 11 gennaio 1685-86.
(711) Nell'originale" che che". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(712) Fountainhall, 31 gennaio e 1 febbraio 1685-86; Burnet, I, 678;
Processi di David Mowbray ed Alessandro Keith, nella Collezione de'
Processi di Stato: Bonrepaux, 11-21 febbraio.
(713) Nell'originale "Rochester". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(714) Luigi a Barillon, 18-28 febbraio 1686.
(715) Fountainhall, 16 febbraio; Woodrow, libro III, cap. X, sez. 4.
"Vogliamo" scriveva graziosamente Sua Maestà "che non risparmiate
nessun mezzo legale di prova, infliggendo anche la tortura ec."
(716) Bonrepaux, 18-28 febbraio 1686.
(717) Nell'origionale "soccesse". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(718) Fountainhall, 11 marzo 1686; Adda, 1-11 marzo.
(719) Questa lettera ha la data del 4 marzo 1686.
(720) Barillon, 19-29 aprile 1686; Burnet, I, 370.
(721) Queste parole si trovano in una lettera di Johnstone di
Waristoun.
(722) Alcune parole di Barillon meritano d'essere qui riferite.
Basterebbero esse sole a sciogliere una questione che l'ignoranza e
lo spirito di parte hanno grandemente resa dubbiosa. "Cette liberté
accordée aux Non-Conformistes a fait une grande difficulté, et a été
débattue pendant plusieurs jours. Le Roy d'Angleterre avoit fort
envie que les Catholiques eussent seuls la liberté de l'exercice de
leur religion." 19-29 aprile 1686.
(723) Barillon, 19-29 aprile 1686; Citters, 13-23, 20-30 aprile,
9-19 maggio.
(724) Fountainhall, 6 maggio 1686.
(725) Ibid., 15 giugno 1656.
(726) Citters, 11-21 maggio 1686. Citters scrisse agli Stati, che lo
sapeva da buona fonte. Ricopio una parte della sua narrazione. È un
piacevole saggio dello impasticciato dialetto che usavano a que'
tempi i Diplomatici Olandesi.
"Des Konigs missive, boven en behalven den Hoog Commissaris
aensprake, aen et parlement afgesonden, gelyck dat altoos
gebruyckebyck is, waerby Syne Majestayt nu in genere versocht hieft
de mitigatie der rigoureuse ofte sanglante wetten van het Ryck
jegens het Pausdom, in het Generale Comitée des Articles (500 men
het daer naemt) na ordre gestelt en gelesen synde in't voteren, der
Hertog van Hamilton onder anderen Klaer nyt seyde dat hy daertoe
nient sonde verstaen, dat hy anders genegen was den konig in allen
voorval getroou te dienen volgens het dictamen syner conscientie: 't
gene reden gof aen de Lord Cancellier de Grave Perts te seggen dat
hei woort conscientie niets en beduyde, en alleen een, individuum
vagum was, waerop dev Cavalier Locquard dan verder gingh; wit man
niet verstaen de betyckenis van het woordt conscientie, soo sal ik
in fortioribus seggen dat wy meynen volgens de fondamentale wetten
van het ryck."
Nel Villano sfrenato vi è un tratto curioso, al quale, senza il
riferito dispaccio di Citters, non avrei prestata fede. "Non possono
sentire a nominare la coscienza. Uno che, rispetto a ciò, conosceva
bene gli umori del Consiglio, disse ad un gentiluomo che vi andava:
Vi scongiuro, in qualunque cosa facciate, a non parlar mai di
coscienza innanzi ai Lordi, perocchè non possono patire nè anche di
udirne il nome."
(727) Fountainhall, 17 maggio 1686.
(728) Woodrow, III, X, 3.
(729) Citters, 28 maggio-7 giugno, 1-11 giugno, 4-14 giugno 1686;
Fountainhall, 15 giugno; Luttrell, Diario, 2-16 giugno.
(730) Fountainhall, 21 giugno 1686.
(731) Ibid., 16 settembre 1686.
(732) Fountainhall, 16 settembre; Woodrow, III, X, 3.
(733) Le provvisioni dell'Atto Irlandese di Supremazia, 2 Elis.,
cap. 1, sono sostanzialmente le stesse dell'Atto Inglese di
Supremazia, 1 Elis., cap. 1; ma l'Atto Inglese tosto fu trovato
difettivo: al che fu provveduto con altro alto più vigoroso, 5
Elis., cap. 1. In Irlanda non si fece mai un somigliante atto
supplementare. L'arcivescovo King, Stato dell'Irlanda, cap. II, sez.
9, riferisce che la costruzione usata in quel testo fu messa
nell'Atto Irlandese di Supremazia. Egli chiama siffatta costruzione
gesuitica; ma a me non sembra tale.
(734) Anatomia politica dell'Irlanda.
(735) Anatomia politica dell'Irlanda, 1672; Hudibras Irlandese,
1689; Giovanni Dunton, Relazione dell'Irlanda, 1699.
(736) Clarendon a Rochester, 4 maggio 1686.
(737) Lettera del vescovo Malony al vescovo Tyrrel, 8 marzo 1689.
(738) Statuto 10 e 11 di Carlo II, cap. 16; King, Condizioni de'
Protestanti d'Irlanda, cap. II, sez. 8.
(739) King, cap. II, sez. 8. Il King Corny di Miss Edgeworth
appartiene ad una più tarda e più incivilita generazione; ma chi
abbia studiato quella mirabile pittura, può farsi un'idea di ciò che
il bisavo di King Corny doveva essere.
(740) King, cap. III, sez. 2.
(741) MS. Sheridan; Prefazione al volume 1 della Hibernia Anglicana,
1690. Consulte secrete del Partito papista in Irlanda. 1689.
(742) "Eravi libertà di coscienza per connivenza, quantunque non vi
fosse per legge." King, cap. III, sez. 1.
(743) In una lettera a Giacomo, trovatasi tra le carte del vescovo
Tyrrel[Nell'originale "Tirrel"], e che ha la data del 14 agosto
1686, s'incontrano alcune notevoli espressioni: "Pochi o nessuni
sono i Protestanti in quel paese, i quali non siano collegati coi
Whig contro il nemico comune." E più sotto: "Coloro che qui (cioè in
Inghilterra; passavano per Tory, pubblicamente parteggiano pei Whig
in Irlanda." Swift diceva le medesime cose pochi anni dopo al re
Guglielmo: "Mi rammento d'aver detto al re, trovandomi in
Inghilterra, che i più rigorosi Tory che siano tra noi, ivi
sarebbero Whig moderati." - Lettera intorno alla Prova Sacramentale.
(744) La ricchezza e la negligenza del clero anglicano d'Irlanda
sono ricordate con fortissime parole dal Lord Luogotenente
Clarendon, testimone degno di tutta fede.
(745) Clarendon rammenta ciò al re in una lettera in data del 14
marzo 1685-86, ed aggiunge ch'era cosa verissima.
(746) Clarendon propose caldamente questa misura, ed opinava che il
Parlamento Irlandese avrebbe fatta la parte sua. Vedi la lettera di
lui ad Ormond, 28 agosto 1686.
(747) Fu un O'Neill, uomo di grande importanza, colui che disse non
essere convenevole per lui storcere la bocca a balbettare l'inglese.
Prefazione al vol. I della Hibernia Anglicana.
(748) Nell'originale "invertere". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(749) Ms. Sheridan, tra le carte degli Stuardi. Debbo confessarmi
grato alla cortesia con cui il sig. Glover mi ha aiutato a cercare
quel pregevole manoscritto. Dagli ammonimenti che Giacomo, nel 1692,
scrisse per suo figlio, pare ch'egli sempre pensasse che la Irlanda
non si potesse senza pericolo affidare ad un Lord Luogotenente
Irlandese.
(750) Ms. Sheridan.
(751) Clarendon a Rochester, 17 gennaio 1685-86; Consulte segrete
del Partito papista in Irlanda, 1690.
(752) Clarendon a Rochester, 27 febbraio 1685-86.
(753) Clarendon a Rochester e a Sunderland, 2 marzo 1685-86; ed a
Rochester, 14 marzo.
(754) Clarendon a Sunderland, 26 febbraio 1685-86.
(755) Sunderland a Clarendon, 11 marzo 1685-86
(756) Clarendon a Rochester, 14 marzo 1685-86.
(757) Clarendon a Giacomo, 4 marzo 1685-86.
(758) Giacomo a Clarendon, 6 aprile 1685-86.
(759) Sunderland a Clarendon, Clarendon a Sunderland, 6-11 luglio-22
maggio 1686; Clarendon ad Ormond, 30 maggio.
(760) Clarendon a Rochester e a Sunderland, 1 giugno 1686; a
Rochester, 12 giugno; King, Condizioni de' Protestanti d'Irlanda,
cap. II, sez. 6 e 7; Apologia dei Protestanti d'Irlanda, 1689.
(761) Clarendon a Rochester, 15 maggio 1686.
(762) Clarendon a Rochester, 11 maggio 1686.
(763) Ibid., 8 giugno 1686.
(764) Consulte secrete del Partito papista in Irlanda.
(765) Clarendon a Rochester, 26 giugno, e 4 luglio 1686; Apologia
de' Protestanti d'Irlanda, 1689.
(766) Clarendon a Rochester, 4-22 luglio 1686; a Sunderland, 6
luglio; al re, 14 agosto.
(767) Clarendon a Rochester, 19 giugno 1686.
(768) Ibid., 22 giugno 1686.
(769) MS. Sheridan; King, Condizioni de' Protestanti d'Irlanda, cap.
III, sezione 3 e 8. Un notabilissimo saggio della impudente
mendacità di Tyrconnel trovasi nella lettera di Clarendon a
Rochester, 22 luglio 1686.
(770) Clarendon a Rochester, 8 giugno 1686.
(771) Nell'originale "calnnnie". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(772) Clarendon a Rochester, 23 settembre e 2 ottobre 1686; Consulte
secrete del Partito papista in Irlanda, 1690.
(773) Clarendon a Rochester, 6 ottobre 1686.
(774) Clarendon al re, ed a Rochester, 23 ottobre 1686.
(775) Clarendon a Rochester, 29, 30 ottobre 1686.
(776) Ibid, 27 novembre 1686.
(777) Barillon, 13-23 settembre 1686: Clarke, Vita di Giacomo II,
vol. II, 99.
(778) Ms. Sheridan.
(779) Clarke, Vita di Giacomo II, vol. II, 100.
(780) Barillon, 13-23 settembre 1686; Bonrepaux, 4 giugno 1687.
(781) Nell'originale "cunsumare". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(782) Barillon, 2-12 dicembre 1686; Burnet, I, 684; Clarke, Vita di
Giacomo II, vol. II, 100; Dodd, Storia della Chiesa. Mi sono
studiato d'intessere un racconto schietto da cotesti materiali che
lottano tra loro. Mi par chiaro, dagli stessi scritti di Rochester,
che in questa occasione egli non si mostrasse così tenace come è
stato asserito da Burnet, e dal biografo di Giacomo.
(783) Dalle carte di Rochester, in data del dì 3 dicembre 1686.
(784) Dalle carte di Rochester, 4 dicembre 1686.
(785) Barillon, 20-30 dicembre 1686.
(786) Burnet, I, 684.
(787) Bonrepaux, 25 maggio-4 giugno 1687.
(788) Carte di Rochester, 19 dicembre 1686; Barillon, 30 dicembre-9
gennaio 1686-87; Burnet, I, 685; Clarke, Vita di Giacomo II, II,
102. Libro del Tesoro, 29 dicembre 1686.
(789) Il Vescovo Malony, in una lettera al vescovo Tyrrel, dice:
"Nessun Cattolico o qualunque altro Inglese penserà mai, o farà mai
un passo, o lascerà mai fare al re un passo pel vostro risorgimento;
ma vi lascerà quali siete stati finora; lascerà i vostri nemici
pesare sulle vostre teste: nè vi è Inglese, sia cattolico o no, di
qualsivoglia grado o qualità, che abborrisca di sacrificare tutta la
Irlanda a fine di salvare il suo più lieve interesse in Inghilterra:
ei la vedrebbe più volentieri abitata tutta quanta dagli Inglesi di
qualunque religione, che dagli Irlandesi."
(790) Nell'originale "Tirconnel"
(791) Il migliore racconto di questi fatti trovasi nel Ms. Sheridan.
(792) Ms. Sheridan; Oldmixon, Memorie sopra la Irlanda; King,
Condizioni dei Protestanti dell'Irlanda, e segnatamente il cap. III;
Apologia de' Protestanti dell'Irlanda, 1689.
(793) Consulte segrete del Partito papale in Irlanda, 1690.
(794) Nell'originale "Arundel". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(795) Gazzetta di Londra, 6 gennaio e 14 marzo 1686-87; Evelyn,
Diario, 10 marzo; Etherege, Lettera a Dover, nel Museo Britannico.
(796) "Pare che gli animi sono inaspriti dalla voce che corre per il
popolo, d'esser cacciato il detto ministro per non essere Cattolico:
perciò tirarsi all'esterminio de' Protestanti." Adda, 31 dicembre-10
gennaio 1687.
(797) Nell'originale "Gulgiemo". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(798) Nell'originale "Disseziente". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(799) Nell'originale "s'accrcesce". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(800) Le fonti principali da cui ho ricavata la materia a ritrarre
il Principe d'Orange, sono la Storia di Burnet, le Memorie di Temple
e Gourville, le Legazioni de' Conti d'Estrade e d'Avaux, le Lettere
di Sir Giorgio Downing al Lord Cancelliere Clarendon, la voluminosa
Storia di Wagenaar, l'opera di Kamper intitolata Karakterkunde der
Vaderlandsche Geschiedenis[Nell'originale "Geschiendenis"]; e sopra
tutto lo Epistolario familiare di Guglielmo, del quale carteggio il
Duca di Portland concesse a Sir Giacomo Mackintosh d'estrarre una
copia.]
(801) Nell'originale "fisonomia". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(802) Dopo la pace di Ryswick, Guglielmo fu caldamente pregato dagli
amici suoi a parlare severamente allo ambasciadore francese intorno
alle trame d'assassinio che i Giacomiti di Saint-Germains meditavano
sempre. La fredda magnanimità ond'egli accolse tali annunzi di
pericolo è singolarmente caratteristica. A Bentinck, che da Parigi
aveva trasmesso avvisi di grande sospetto, Guglielmo rispose in fine
ad una lunga lettera d'affari queste semplici parole: - "Pour les
assassins, je ne luy en ay pas voulu parler, croiant que c'étoit au
dessous de moy;" 2-12 maggio 1698. Citando la riferita lettera, ho
conservata[Nell'originale "coservata"] la ortografia originale,
seppure meriti tal nome.
(803) Da Windsor scriveva a Bentinck, allora ambasciatore a Parigi:
"J'ay pris avant hier un cerf dans la foreste avec les
chains[Nell'originale "chiains"]du Pr. de Denm., et ay fait un assez
jolie chasse, autant que ce vilain paiis le permest;" 20 marzo-1
Aprile 1698. L'ortografia è cattiva, ma non peggiore di quella di
Napoleone. Guglielmo da Loo scrisse con più buon umore:"Nous avons
pris deux gros cerfs, le premier dans Dorewaert, qui est des plus
gros que je sache avoir jamais pris. Il porte seize." 25 ottobre-4
novembre 1697.
(804) Marzo 1679.
(805) "Voilà en peu de mot le detail de nostre St. Hubert. Et j'ay
eu soin que M. Woodstoc (era figlio maggiore di Bentinck) n'a point
esté à la chasse, bien moin au soupèsoupé; quoyqu'il fut icy. Vous
pouvez pourtant croire que de n'avoir pas chassè l'a un peu
mortifièmortifié, mais je ne l'ay pas ausé prendre sur moy, puisque
vous m'aviez dit que vous ne le souhaitiez pas." Da Loo, 4 novembre
1697.
(806) 15 giugno 1688.
(807) 6 settembre 1679.
(808) Nell'originale "Villerse". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(809) Vedi ciò che di lei scrive Swift, nel Giornale a Stella.
(810) Enrico Sidney, Diario, 31 marzo 1680, nella interessante
collezione di Blencowe.
(811) Il Presidente Onslow, Annotazione a Burnet, I, 596. Johnson,
Vita di Spraf.
(812) Niuno ha contraddetto a Burnet con maggior frequenza ed
asprezza di Dartmouth. Nondimeno Dartmouth scrisse: "Non credo
ch'egli a disegno abbia mai pubblicato cosa ch'egli credesse falsa."
Più tardi Dartmouth, provocato da alcune osservazioni che lo
concernevano nel secondo volume della Storia di Burnet, disdisse la
riferita lode: il che non merita conto d'occuparsene. Anche Swift
ebbe la giustizia di dire: "Al postutto, egli era un uomo generoso e
di buona indole." Brevi osservazioni intorno la Storia del Vescovo
Burnet.
Suole riprendersi Burnet come storico molto trascurato; ma io reputo
affatto ingiusto cotale addebito. Ei pare singolarmente trascurato,
solo perchè la sua narrazione è stata sottoposta ad uno scrutinio
singolarmente severo ed ostile. Se qualcuno de' Whig avesse
giudicato valere lo incomodo di sottoporre le Memorie di Reresby, lo
Esame di North, il Racconto della Rivoluzione fatto da Mulgrave, o
la Vita di Giacomo II pubblicata da Clarke, ad un simile scrutinio,
chiaro si vedrebbe che Burnet è ben lungi dall'essere il più
inesatto scrittore de' suoi tempi.
(813) Nell'originale "Russel".[Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(814) Nell'originale "Russel".[Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(815) Nell'originale "Montmouth". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(816) Vedi la Narrazione ms. del Dr. Hooper, pubblicata
nell'Appendice alla Vita di Guglielmo, scritta da Dungannon.
(817) Avaux, Negoziazioni, 10-20 Agosto, 14-24 Settembre-8 Ottobre,
7-17 dicembre 1682.
(818) Non posso ricusare a me stesso il piacere di citare la
descrizione che Massillon, con modo ostile, quantunque giudizioso e
nobile, fa di Guglielmo. "Un prince profond dans ses vues; habile à
former des ligues et a réunir les esprits; plus heureux à exciter
les guerres qu'à combattre; plus à craindre encore dans le secret du
cabinet qu'à lfa tête des armées; un ennemi que la haine du nom
français avoit rendu capable d'imaginer de grandes choses et de les
exécuter; un de ces génies qui semblent être[Nell'originale "étre"]
nés pour mouvoir à leur gré les peuples et les souverains; un grand
homme, s'il n'avoit jamais voulu être[Nell'originale "étre"] roi."
Oraison funèbre de M. le Dauphin.]
(819) Nell'originale "rispettto"
(820) Per esempio: "Je crois M. Feversham un très brave et honeste
homme. Mais je doute s'il a assez d'expérience à diriger une si
grande affaire qu'il a sur les bras. Dieu lui donne un succès prompt
et heureux. Mais je ne suis pas hors d'inquiétude." 7-17 luglio
1685. Inoltre, dopo d'aver ricevuta la nuova della battaglia di
Sedgemoor, egli scrive: "Dieu soit loué du bon succès que les
troupes du Roy ont eu contre les rebelles. Je ne doute pas que cette
affaire ne soit entièrement assoupie, et que le règne du Roy soit
heureux: ce que Dieu veuille." 10-20 luglio.
(821) Questo trattato trovasi nel Recueil des Traités, IV, N° 209.
(822) Nell'originale "po-potesse". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(823) Burnet, I, 762.
(824) Temple, Memorie.
(825) Vedi le poesie intitolate: I Convertiti, e L'Inganno.
(826) Trovasi nella Collezione delle Poesie Politiche
(827) Le notizie che abbiamo intorno a Wycherley, sono pochissime;
ma due cose sono certe: cioè, che negli ultimi anni di sua vita egli
si chiamava papista, e che ricevè danari da Giacomo. Dubito poco la
sua conversione non gli sia stata pagata.
(828) Vedi lo articolo intorno a lui nella Biographia Britannica.
(829) Vedi ciò che intorno a lui dice Giacomo Quin, nella
Miscellanea di Davies; Tommaso Brown, Opere; Vite degli Scrocconi;
Dryden, nell'Epilogo del Secular Masque.
(830) Questo fatto, che sfuggì alle minute ricerche di Malone, si
raccoglie dal Copia-Lettere del Tesoro 1685.
(831) Nell'originale "degi"
(832) Nell'originale "gentilumini"
(833) Leenwen, 25 dicembre-4 gennaio 1685-86.
(834) Barillon, 31 gennaio-10 febbraio 1686-87: "Je crois que, dans
le fond, si on ne pouvoit laisser que la Religion Anglicane et la
Catholique établies par les loix, le Roy d'Angleterre en seroit bien
plus content."
(835) Trovasi nell'opera di Wodrow, Appendice, vol. II. N° 129.
(836) Wodrow, Appendice, vol. II, N° 128, 129, 132.
(837) Barillon, 28 febbraio-10 marzo 1686-87; Citters, 15-25
febbraio; Reresby, Memorie; Bonrepaux, 25 maggio-4 giugno 1687.
(838) Barillon, 14-24 marzo 1687[Nell'originale "1587"]; Lady
Russell al Dottore Fitzwilliam, 1 aprile; Burnet, I, 671, 772.
Questo colloquio è riferito con qualche differenza da Clarke nella
Vita di Giacomo, II, 204. Ma quel brano non è parte delle Memorie
originali del Re.
(839) Gazzetta di Londra, 21 marzo 1686-87.
(840) Gazzetta di Londra, 7 aprile 1687.
(841) Libro del tesoro. Vedi, in ispecie, le istruzioni in data del
dì 8 marzo 1687-88; Burnet, I, 715; Riflessioni intorno al Proclama
di sua Maestà sopra la Tolleranza in Iscozia; Lettere contenenti
alcune riflessioni sopra la Dichiarazione fatta da sua Maestà per la
Libertà di Coscienza; Apologia della Chiesa Anglicana rispetto allo
spirito di persecuzione del quale è accusata, 1687-88. Mi riesce
impossibile citare tutti gli scritti da cui ho tratto i materiali
per descrivere le condizioni de' partiti a quel tempo.
(842) Lettera ad un Dissenziente.
(843) Wodrow, Appendice, vol. II, N° 132, 134.
(844) Gazzetta di Londra, 21 aprile 1687; Critica d'uno scritto di
recente pubblicato col titolo: Lettera ad un Dissenziente, per E. C.
(Enrico Care), 1687.
(845) Lestrange, Risposta alla Lettera ad un Dissenziente; Care,
Critica della Lettera ad un Dissenziente; Dialogo tra Enrico e
Ruggiero, cioè tra Enrico Care e Ruggiero Lestrange.
(846) La Lettera era firmata T. W. Care nella sua Critica, dice:
"Questo Messer Politico T. W., o W. T.; perocchè alcuni critici
pensano doversi leggere a questo modo."
(847) Ellis, Carteggio, 15 marzo, 27 luglio 1686; Barillon, 28
febbraio-10 marzo, 3-13 marzo, 6-16 marzo; Ronquillo, 9-19 marzo
1687, nella collezione di Mackintosh.
(848) Wood, Athenæ Oxonienses; l'Osservatore; Eraclitus Ridens,
passim. Gli scritti di Care apprestano i migliori argomenti a
conoscere il suo carattere.
(849) Calamy, Relazione intorno ai Ministri cacciati o fatti tacere
dopo la Restaurazione, Contea di Northampton; Wood, Athenæ
Oxonienses; Biographia Britannica.
(850) Processi di Stato; Samuele Rosewell, Vita di Tommaso Rosewell,
1718; Calamy, Relazione ec.
(851) Gazzetta di Londra, 15 marzo 1685-86; Nichols, Difesa della
Chiesa Anglicana; Pierce, Difesa dei Dissenzienti.
(852) Questi indirizzi si trovano in vari numeri della Gazzetta di
Londra.
(853) Calamy, Vita di Baxter.
(854) Calamy, Vita di Howe. La parte che la famiglia Hampden ebbe in
quella faccenda, si conosce da una lettera di Johnstone a Waristoun,
in data del 13 giugno 1688.
(855) Nell'originale "Bunyam". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(856) Bunyan[Nell'originale "Bunyam"], La Grazia Abbondante.
(857) Nell'originale "Bunyam". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(858) Nell'originale "Shakspeare". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(859) Young mette al pari la prosa di Bunyan[Nell'originale
"Bunyam"] con la poesia di Durfey. Le classi elevate, nel Don
Chisciotte Spirituale, pongono il Viaggio del Pellegrino (Pilgrim's
Progress) con Jack lo Ammazza-giganti. Sul declinare del secolo
decimottavo, Cooper appena si rischiò ad alludere al grande
allegorista, dicendo: "Io non ti nomino, perocchè un nome così
spregiato potrebbe muovere l'altrui scherno contro la fama che ben
meriti."
(860) Nell'originale "Bunyam". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(861) Vedi la Continuazione della Vita di Bunyan[Nell'originale
"Bunyam"], aggiunta alla sua Grazia Abbondante.
(862) Nell'originale "Bunyam". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(863) Kiffin, Memorie; Luson, Lettera a Brooke, 11 maggio 1773, nel
Carteggio di Hugues.
(864) Vedi, fra tutti gli altri libercoli di quei tempi, uno scritto
col titolo di Esposizione de' Pericoli imminenti ai Protestanti.
(865) Burnet, I. 693, 694.
(866) "Le prince d'Orange, qui avoit éludé jusqu'alors de faire une
réponse positive, dit..... qu'il ne consentira jamais à la
suppression de ces loix qui avoient été établies pour le maintien et
la sûreté surete de la Religion protestante; et que sa conscience ne
le lui permettoit point, non seulement pour la succession du royaume
d'Angleterre, mais même pour l'empire du monde: en sorte que le Roi
d'Angleterre est plus aigri contre lui qu'il n'a jamais été." -
Bonrepaux, 11-21 giugno 1687.
(867) Burnet, I, 710; Bonrepaux, 24 maggio-4 giugno 1687.
(868) Nell'originale "spece". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(869) Johnstone, 13 gennaio 1689; Halifax, Anatomia d'un
Equivalente.
(870) Nell'originale "avrebe". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(871) Burnet, I, 726-731; Risposta alle Lettere d'Accusa emanate
contro il Dott. Burnet; Avaux, Negoziazioni, 7-17, 14-24 luglio, 28
luglio-7 Agosto 1687, 19-29 gennaio 1688; Luigi a Barillon, 30
dicembre-9 gennaio 1687-88; Johnstone di Waristoun, 21 febbraio
1688; Lady Russell al Dott. Fitzwilliam, 5 ottobre 1687. Poichè
taluni hanno sospettato che Burnet, il quale certo non aveva costume
di far poco valere la propria importanza, esagerasse il pericolo al
quale trovavasi esposto, riferirò le parole di Luigi e quelle di
Johnstone: "Qui que ce soit, dice Luigi, qui entreprenne de
l'enlever en Hollande trouvera non seulement une retraite assurée et
une entière protection dans mes états, mais aussi toute l'assistance
qu'il pourra désirer pour faire conduire sûrement ce scélérat en
Angleterre." - "La faccenda di Bamfield (Burnet) è certamente vera,
dice Johnstone. Nessuno ne dubita qui, e alcuni che vi sono
mescolati non la negano. I suoi amici dicono di sapere ch'egli si dà
poco pensiero di sè, ma mosso da vanità, a fine di mostrare il suo
coraggio, mostra la sua follia; di guisa che, se male gl'incorra, la
gente ne farà le risate. Vi prego, ditegli queste cose da parte di
Jones (Johnstone). Se si potesse metter le mani addosso a qualcuno
nell'atto di fare il coup d'essai, servirebbe ad atterrire gli altri
perchè non attentino ad Ogle (al Principe)."
(872) Burnet, I, 708; Avaux, Negoziazioni, 3-13 gennaio, 6-16
febbraio 1687; Van Kampen, Karakterkunde ec.
(873) Burnet, I, 711. I dispacci di Dykvelt agli Stati Generali non
contengono, per quanto io abbia veduto o possa sapere, una sola
parola allusiva al vero scopo della sua legazione. Il suo carteggio
col Principe di Orange era strettamente privato.
(874) Bonrepaux, 12-22 settembre 1687.
(875) Vedi la Vita che ne scrisse Campbell.
(876) Johnstone, Carteggio; Mackay, Memorie; Arbuthnot, John Bull.
Vedi anche gli scritti di Swift, passim, dal 1710 al 1714; Whiston,
Lettera al Conte di Nottingham, e la risposta del Conte.
(877) Nell'originale "Povis"
(878) Kennet, Orazione funebre del Duca di Devonshire, e Memorie
della famiglia di Cavendish; Processi di Stato; Libro del Consiglio
Privato, 5 marzo 1685-86; Barillon 30 giugno-10 luglio 1687;
Johnstone, 8-18 dicembre 1687; Giornali de' Lordi, 6 maggio 1689.
"Ses amis et ses proches, dice Barillon, lui conseillent de prendre
le bon parti, mais il persiste jusqu'à prèsent à ne se point
soumettre. S'il vouloit se bien conduire et renoncer a être
populaire, il ne payeroit pas l'amende; mais s'il s'opiniâtre, il
lui en coûtera trente mille pièces, et il demeurera prisonnier
jusqu'à l'actuel payement."
(879) La ragione della condotta di Churchill trovasi con chiarezza e
brevità dimostrata nella Difesa della Duchessa di Marlborough: "Era
manifesto a tutto il mondo, che nel modo onde Re Giacomo conduceva
le cose, ciascuno, o presto o tardi, sarebbe stato rovinato
ricusando di farsi Cattolico Romano. Ciò mi indusse a plaudire al
Principe d'Orange, che imprese a liberarci da tanto servaggio."
(880) Grammont, Memorie; Pepys, 21 febbraio 1684-85.
(881) Sarebbe infinito enumerare tutti i libri dai quali ho tratto
le materie a giudicare il carattere della Duchessa. Le lettere sue,
la difesa, le risposte che provocò, sono state le mie fonti
precipue.
(882) La epistola formale che Dykvelt recò agli Stati, trovasi negli
Archivi dell'Aja. Le altre lettere sopra rammentate sono state
pubblicate da Dalrymple, Appendice al Libro V.
(883) Nell'originale "Dikvelt". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(884) Sunderland a Guglielmo, 24 agosto 1686; Guglielmo a
Sunderland, 2-12 settembre 1686; Barillon, 6-16 maggio, 26 maggio-5
giugno, 3-13 ottobre, 28 novembre-8 dicembre 1687; Luigi a Barillon,
14-24 ottobre 1687; Memoriale d'Albeville, 15-25 dicembre 1687;
Giacomo a Guglielmo, 17 gennaio, 16 febbraio, 2, 13 marzo 1688;
Avaux, Negoz., 1-11, 6-16, 8-18 marzo, 22 marzo-1 aprile 1688.
(885) Nell'originale "goveno". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(886) Adda, 9-19 novembre 1686.
(887) Il Professore di lingua greca nel Collegio di Propaganda
espresse la sua ammirazione in certi detestabili distici, de' quali
ecco un esempio:
Rôgheriou dê skepsomenos lamproio thriambon,
ôka mal'êissen kai theen ochlos apas.
Thaumazousa de tên pompên pagchrusea t'autou
armata, tous d'ippous, toiade Rhômê efê....]
I versi latini sono poco migliori.
Nahum Tate rispose in inglese:
His glorious train and passing pomp to view,
A pomp that even to Rome itself was new,
Each age, each sex, the latian turrets filled,
Each age and sex in tears of joy distilled
(888) Nell'originale "applaosi". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(889) Carteggio di Giacomo e d'Innocenzo nel Museo Britannico;
Burnet, I, 703-705; Welwood Memorie; Giornali de' Comuni, 28 ottobre
1689; Relazione delta legazione di Sua Eccellenza Ruggiero Conte di
Castelmaine per Michele Wright, maestro di casa di Sua Eccellenza in
Roma, 1685.
(890) Barillon, 2-12 maggio 1687.
(891) Memorie del Duca di Somerset; Citters, 5-15 luglio 1687;
Eachard, Storia della Rivoluzione; Clarke, Vita di Giacomo II, ii,
116, 117, 118; Lord Lonsdale, Memorie.
(892) Gazzetta di Londra, 7 luglio 1687; Citters, 7-17 luglio; Vedi
la Relazione della Ceremonia stampata fra gli scritti di Somers.
(893) Gazzetta di Londra, 4 luglio 1687.
(894) Vedi gli Statuti 18 Enr. 6, c. 19; 2 e 3, Ed. 6, c. 2;
Eachard, Storia della Rivoluzione; Kennet, III, 468; North, Vita di
Guildford, 247; Gazzetta di Londra, 18 aprile; 23 maggio 1687;
Difesa del C. di R. (Conte di Rochester[Nell'originale Rocester])
(895) I Prologhi di Dryden e le Memorie di Cibber contengono
abbondevoli prove della stima che i più grandi poeti ed attori
facevano del gusto degli Oxfordiani.
(896) Vedi la poesia intitolata: Consiglio al Pittore intorno la
Sconfitta de' ribelli nelle Contrade Occidentali. Vedi anche
un'altra poesia detestabilissima sul medesimo subietto, dettata da
Stepney, che allora era studente nel Collegio della Trinità.
(897) Nell'originale "giurase". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(898) Vedi il carattere di Sheffield come lo descrive Mackay, e la
nota di Swift; la Satira sopra i Deponenti, 1688; Vita di Giovanni
Duca della Contea di Buckingham, 1729; Barillon, 30 agosto 1687.
Serbo una satira manoscritta contro Mulgrave con la data del 1690.
Non è priva di spirito; i più notevoli versi dicono così:
"Pietro (Petre) oggi e Burnet domani, egli (Mulgrave) lusinga i
farabutti di tutti i partiti e di tutte le religioni."
(899) Vedi il processo contro la Università di Cambridge nella
Collezione dei Processi di Stato.
(900) Nell'originale "subuglio". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(901) Wood, Athenæ Oxonienses; Apologia della vita di Colley Cibber;
Citters, 2-12 marzo 1686.
(902) Burnet, I, 697; Lettera di Lord Ailesbury, pubblicata nel
Magazzino Europeo, aprile 1795.
(903) Wood, Athenæ Oxonienses; Walker, Patimenti del Clero.
(904) Burnet, I, 697; Tanner, Notitia Monastica. Dalla visita o
ispezione fatta nel ventesimosesto anno di Enrico VIII risultò che
l'annua rendita del Collegio del Re era lire sterline 751, del
Collegio Nuovo 487, e di quello della Maddalena 1076.
(905) Relazione del Processo del Charterhouse, 1689.
(906) Vedi la Gazzetta di Londra, dal 18 agosto fino al 1° settembre
1687; Barillon, 19-29 settembre.
(907) "Penn chef des Quakers, qu'on sait être dans les intérêts du
Roi d'Angleterre, est si fort décrié parmi ceux de son parti, qu'ils
n'ont plus aucune confiance en lui." Bonrepaux a Seignelay, 12-22
settembre 1687. A queste parole risponde la testimonianza di
Gherardo Croese: Etiam Quakeri Pennum non amplius, ut ante, ita
amabant ac magnifaciebant, quidam aversabantur ac fugiebant."
Historia Quakeriana, lib. II, 1695.
(908) Cartwright, Diario, 30 agosto 1687. Clarkson, Vita di
Guglielmo[Nell'originale "Gugliemo"] Penn.
(909) Gazzetta di Londra, 5 settembre; Ms. Sheridan; Barillon, 6-16
settembre
1687. "Le Roi son maître, dice Barillon, a témoigné une grande
satisfaction
des mesures qu'il a prises, et a autorisé ce qu'il a fait en faveur
des Catholiques.
Il les établit dans les emplois et les charges, en sorte que
l'autorité
se trouvera bientôt entre leurs mains. Il reste encore beaucoup de
choses à faire
en ce pays-là pour retirer les biens injustement ôtés aux
Catholiques; mais
cela ne peut s'exécuter qu'avec le temps et dans l'assemblée d'un
parlement en
Irlande."
(910) Gazzetta di Londra, 5 e 8 settembre 1687.
(911) Nell'originale "diriti". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(912) Nell'originale "Commisari". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(913) Nell'originale "profiitto". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(914) Vedi il Processo contro il Collegio della Maddalena in Oxford,
per non avere eletto Antonio Farmer a Presidente del detto Collegio,
nella Collezione dei Processi di Stato, edizione di Howell;
Luttrell, Diario, 15, 17, giugno, 24 ottobre, 10 dicembre 1687;
Smith, Narrazione; Lettera del dott. Riccardo Rawlinson in data del
31 ottobre 1687; Reresby, Memorie; Burnet, I, 699; Cartwright,
Diario; Citters, 23 ottobre-4 novembre, 28 ottobre-7 novembre, 8-18
novembre 1687.
(915) "Quand on connoit le dedans de cette cour aussi intimement que
je la connois, on peut croire que sa Majesté Britannique donnera
volontiers dans ces sortes de projets." Bonrepaux a Seignelay, 18-28
marzo 1686.
(916) "Que, quand pour établir la religion catholique, et pour la
confirmer icy, il (Giacomo) devroit se rendre en quelque façon
dépendant de la France, et mettre la décision de la succession à la
couronne entre les mains de ce monarque là, qu'il seroit obligé de
le faire, parce qu'il vaudroit mieux pour ses sujets qu'ils
devinssent vassaux du Roy de France, étant catholique, que de
demeurer comme esclaves du Diable." Questo documento esiste e negli
Archivi di Francia e in quelli d'Olanda.
(917) Citters, 6-16, 17-27 agosto 1686; Barillon, 19-29 agosto.
(918) Barillon, 13-23 settembre 1686. "La succession est une matière
fort délicatedélicate à traiter. Je sais pourtant qu'on en parle au
Roy d'Angleterre, et qu'on ne désespère pas avec le temps de trouver
des moyens pour faire passer la couronne sur la tête d'un héritier
catholique."
(919) Bonrepaux, 11-21 luglio 1687.
(920) Bonrepaux a Seignelay, 25 agosto-4 settembre 1687. Riferirò
poche parole di questo notevolissimo documento: "Je sais bien
certainement que l'intention du Roy d'Angleterre est de faire perdre
ce royaume (la Irlanda) à son successeur, et de le fortifier en
sorte que tous ses sujets catholiques y puissent avoir un asyle
assuré. Son projet est de mettre les choses en cet estat dans le
cours de cinq années." Nelle Consulte Secrete del Partito Papale in
Irlanda, stampate nel 1690, è un luogo che mostra come siffatte
pratiche non fossero tenute strettamente secrete. "Quantunque il Re
tenesse questo disegno celato alla più parte de' suoi Consiglieri,
nondimeno è certo ch'egli aveva promesso al Re di Francia la facoltà
di disporre di quel governo e di quel Regno quando le cose fossero
apparecchiate in modo da potere far ciò impunemente."
(921) Citters, 28 ottobre-7 novembre, 22 novembre-2 dicembre 1687;
la Principessa Anna alla Principessa d'Orange, 14 e 20 marzo
1687-88; Barillon, 1-11 dicembre 1687; Politica della Rivoluzione;
la Canzone intitolata: Two Toms and a Nat; Johnstone, 4 aprile 1688;
Consulte secrete del partito Papale in Irlanda, 1690.
(922) Le inquietudini del Re intorno a questo negozio sono riferite
da Ronquillo, 12-22 dicembre 1687: "Un Principe de Vales y un Duque
de York y otro de Lochaosterna (credo voglia dire Lancastro) no
bastan a redimir la gente; porque el Rey tiene 54 annos, y vendráà
aà morir, dejando los hijos pequeños, y que entonces el reyno se
apoderaráà dellos, y les nambraráà tutor, y los educaráà en la
religion protestante, contra la disposicion que dejare el Rey, y la
autoritad de la Reyna."
(923) Esistono tre liste di quel tempo; una negli Archivi francesi
due altre in quelli della famiglia Portland. In tali liste i Pari
sono classificati con le seguenti categorie: Per l'abrogazione
dell'Atto di Prova. - Contro l'abrogazione - Dubbi. Secondo una
delle predette liste 31 sono pro, 86 contra, 20 dubbi; secondo
l'altra 33 pro, 87 contra, 19 dubbi; secondo la terza 35 pro, 92
contra, e 10 dubbi. Di questi documenti trovansi le copie nei Mss.
Mackintosh.
(924) Nel Museo Britannico esiste una lettera di Dryden ad Etherege
in data di febbraio 1688. Non mi ricordo d'averla veduta mai
stampata "Voglia il cielo, dice Dryden, che il nostro sovrano
promuova con lo esempio gli ozi beati, siccome fece il suo fratello
di benedetta memoria: imperocchè il cuore mi dice ch'egli non
vantaggerà punto le sue faccende col darsi moto."
(925) Barillon, 20 agosto-8 settembre 1687.
(926) Lo riferì Lord Bradford, che vi si trovava presente, a
Dartmouth; Annotazione a Burnet, I, 755.
(927) Gazzetta di Londra, 12 dicembre 1687.
(928) Bonrepaux a Seignelay, 14-24 novembre; Citters, 15-25
novembre; Giornali dei Lordi, 10 dicembre 1689.
(929) Citters, 28 ottobre-7 novembre 1687.
(930) Nell'originale "Poictiers". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(931) Nell'originale "Maestricht"
(932) Halstead, Breve Genealogia della Famiglia De Vere, 1685;
Collins, Collezioni storiche. Vedi ne' Giornali de' Lordi, e nelle
Relazioni di Jones i processi rispetto alla Contea di Oxford, marzo
e aprile 1625-26. Lo esordio del discorso del Lord Capo Giudice Crew
si annovera fra i più squisiti esempi dell'antica eloquenza inglese.
Citters, 7-17 febbraio 1688.
(933) Coxe, Carteggio di Shrewsbury; Mackay, Memorie; Vita di Carlo
Duca di Shrewsbury, 1718; Burnet, I, 762; Birch, Vita di Tillotson,
dove il lettore troverà una lettera di Tillotson a Shrewsbury, la
quale mi sembra esempio di grave, amichevole e cortesissimo
rimprovero.
(934) Norina chiamava Re Carlo il suo Carlo III. Si disputa se
Dorset o il Maggiore Hart fosse per lei il Carlo I. Ma a me sembra
che in favore di Dorset siano maggiori le testimonianze. Vedi il
passo soppresso di Burnet, I, 263, e Pepys, Diario, 26 ottobre 1667.
(935) Nell'originale "buon tempone". [Nota per l'edizione
elettronica Manuzio]
(936) Pepys, Diario; la dedica delle poesie di Prior al Duca di
Dorset; Johnson, Vita di Dorset; Dryden, Saggio sopra la Satira, e
la dedica del Saggio sopra la Poesia Drammatica. Lo affetto che
Dorset sentiva per la sua moglie e la rigorosa fedeltà che le serbò,
sono sprezzantemente rammentate dal dissoluto Sir Giorgio Etherege
nelle sue lettere da Ratisbona, 9-19 dicembre 1687, e 16-26 gennaio
1688; Shadwell, dedica dello Scudiero d'Alsazia; Burnet, I, 264;
Mackay, Caratteri. Alcune delle specialità di Dorset sono ben
descritte nello epitaffio che di lui scrisse Pope: "Dolce era la sua
indole, quantunque fosse severo il suo canto." E appresso:
"Benedetto cortigiano, il quale potè rendersi gradito al Re ed al
paese, e nondimeno tener sacre le sue amicizie e le sue agiatezze."
(937) Barillon, 9-19 gennaio 1688; Citters, 31 gennaio-10 febbraio.
(938) Adda, 3-13, 10-20 febbraio 1688.
(939) Barillon, 5-15, 8-18, 12-22 dicembre 1687; Citters, 29
novembre-9 dicembre, 2-12 dicembre.
(940) Citters, 28 ottobre-7 novembre 1687; Lonsdale, Memorie.
(941) Citters, 22 novembre-2 dicembre 1687.
(942) Ibid., 27 dicembre-6 gennaio 1687-88.
(943) Ibid.
(944) Johnstone nota due volte la collera di Rochester in questa
occasione, 25 novembre, e 8 dicembre 1687. Della sua poca riuscita
fa menzione Citters, 6-16 dicembre.
(945) Citters, 6-16 dicembre 1687.
(946) Ibid., 20-30 dicembre 1687.
(947) Ibid., 30 marzo-9 aprile 1687.
(948) Ibid., 22 novembre-2 dicembre 1687.
(949) Citters, 15-25 novembre 1687.
(950) Nell'originale "Westmorland". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(951) Citters, 10-20 aprile 1688.
(952) De' timori che si avevano intorno alla Contea di Lancastro
parla Citters in un dispaccio in data del 18-28 novembre 1687; e del
risultato in un dispaccio scritto quattro giorni dopo.
(953) Bonrepaux, 11-21 luglio 1687.
(954) Nell'originale "Porthsmouth". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(955) Citters, 3-13 febbraio 1688.
(956) Citters, 5-15 aprile 1688.
(957) Gazzetta di Londra, 5 dicembre 1687; Citters, 6-16 dicembre.
(958) Nell'originale "Coleman". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(959) Nell'originale "Langorne". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(960) Circa venti anni innanzi questa epoca un Gesuita aveva notato
la vita ritirata che menavano in Inghilterra i gentiluomini delle
campagne. "La nobiltà inglese, se non se legata in servigio di
Corte, o in opera di maestrato, vive, e gode il più dell'anno alla
campagna, ne' suoi palagi e poderi, dove son liberi e padroni; e ciò
tanto più sollecitamente i Cattolici, quanto più utilmente, sì come
meno osservati colà." L'Inghilterra descritta dal P. Daniello
Bartoli, Roma 1667.
"Molti degli Sceriffi papisti, scriveva Johnstone, hanno possessioni
e dichiarano che chiunque s'aspetti ch'essi falsino le elezioni, si
troverà ingannato.[Ho eliminato le" dopo consultazione del testo
inglese] I gentiluomini papisti che vivono nelle loro case di
campagna sono molto diversi da coloro che abitano qui in città.
Parecchi di loro hanno ricusata la nomina di Sceriffi e Luogotenenti
Deputati." 8 dicembre 1687.
Ronquillo dice le stesse cose: Algunos Catolicos que fueron
nombrados por sherifez se han excusado." 9-19 gennaio 1688. Alcuni
mesi dopo scrisse alla sua Corte che i gentiluomini cattolici delle
campagne avrebbero acconsentito a un accomodamento le cui condizioni
sarebbero state l'abolizione delle leggi penali, e la conservazione
dell'Atto di Prova. "Estoy informado, dice egli que los Catolicos de
las provincias no lo repruebon; pues non pretendiendo oficios, y
siendo solo algunos de la Corte los provechosos, les parece que
mejoran su estado, quedando seguros ellos y sus descendientes en la
religion, en la quietad, y en la securitad de sus haciendas." 23
luglio-2 agosto 1688.
(961) Nell'originale "Diachazione". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(962) Libro del Consiglio Privato, 25 settembre 1687; 21 febbraio
1687-88.
(963) Ricordi del Corpo Municipale, citati da Brand nella Storia di
Newcastle; Johnstone, 21 febbraio 1687-88.
(964) Johnstone, 21 febbraio 1687-88.
(965) Citters, 14-24 febbraio 1687-88.
(966) Ibid. 1-11 maggio 1688.
(967) Nel margine del libro del Consiglio Privato sono notate le
parole "Seconda Regolazione, e Terza Regolazione" sempre che un
Corpo Municipale era stato[Nell'originale "tato"] riformato più
volte.
(968) Johnstone, 23 maggio 1688.
(969) Ibid., 21 febbraio 1688.
(970) Nell'originale "siffato". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(971) Johnstone, 21 febbraio 1688.
(972) Citters, 20-30 marzo 1688.
(973) Ibid., 1-11 maggio 1688.
(974) Citters, 22 maggio-1 giugno 1688.
(975) Ibid., 1-11 maggio 1688.
(976) Ibid., 18-28 maggio 1688.
(977) Citters, 6-16 aprile 1688; Copialettere del Tesoro, 24 marzo
1687-88; Ronquillo, 16-26 aprile.
(978) Citters, 18-28 maggio 1688.
(979) Nell'originale "renza". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(980) Citters, 18-28 maggio 1688.
(981) Gazzetta di Londra, 1688. Vedi processo contro Williams nella
Collezione dei Processi di Stato. "Ha hecho, dice Ronquillo, grande
susto el haber nombrado el abogado Williams que fue el orador y el
mas arrabiado de toda la casa de los comunes en los ultimos
terribles parlamentos del Rey difunto." 27 novembre-7 dicembre 1687.
(982) Gazzetta di Londra, 30 aprile 1688; Barillon, 26 aprile-6
maggio.
(983) Citters, 1-11 maggio 1688.
(984) Gazzetta di Londra, 7 maggio 1688.
(985) Johnstone, 27 maggio 1688.
(986) Io sospetto che Alessandro Knox, uomo insigne, del quale lo
eloquente conversare e le elaborate lettere ebbero grande influenza
sulle menti de' suoi coetanei, imparasse gran parte del suo sistema
teologico negli scritti di Fowler. Il libro di Fowler intorno allo
Intendimento del Cristianesimo fu assalito da Giovanni Bunyam con
ferocia da non potersi giustificare, ma che può alquanto essere
scusata dalla nascita e dalla educazione dell'onesto calderaio.
(987) Johnstone, 23 maggio 1688. Vi è una poesia satirica su questa
ragunanza, ed ha titolo La Cabala Clericale.
(988) Clarendon, Diario, 22 maggio 1688.
(989) Estratti dal Ms. Tanner ne' Processi di Stato di Howell; Vita
di Prideaux; Clarendon, Diario, 16 maggio 1688.
(990) Clarendon, Diario, 16 e 17 maggio 1688.
(991) Nell'originale "Vhitehall". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(992) Sancroft, Relazione del fatto, tratta dal Ms. di Tanner.
Citters, 22 maggio-1 giugno 1688.
(993) Burnet, I, 741; Politica della Rivoluzione.
(994) Clarke, Vita di Giacomo II, ii, 155.
(995) Citters, 22 maggio-1 giugno 1688; Burnet, I, 740; e
l'annotazione di Lord Dartmouth; Southey, Vita di Wesley.
(996) Citters, 22 maggio-1 giugno 1688.
(997) Nell'originale "invece". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(998) Citters, 29 maggio-8 giugno 1688.
(999) Citters, 29 maggio-8 giugno 1688[Nell'originale "1588"].
(1000) Barillon, 24 maggio-3 giugno, 31 maggio-10 giugno 1688;
Citters, 1-11 luglio; Adda, 25 maggio-4 giugno, 30 maggio-9 giugno,
1-11 giugno; Clarke, Vita di Giacomo II, ii, 158.
(1001) Burnet, I, 740; Vita di Prideaux; Citters, 12-22, 15-25
giugno 1688, MS. Tanner; Vita e Carteggio di Pepys.
(1002) Vedi la Relazione di Sancroft, stampata, e tratta dal MS.
Tanner.
(1003) aggiunto "che" rispetto all'originale. [Nota per l'edizione
elettronica Manuzio]
(1004) Burnet, I, 741; Citters, 8-18, 12-22 giugno 1688; Luttrell,
Diario, 8 giugno; Evelyn, Diario; Lettera del dottore Nalson a sua
moglie, in data del 14 giugno, e tratta dal MS. Tanner; Reresby,
Memorie.
(1005) Reresby, Memorie.
(1006) Carteggio tra Anna e Maria in Darlymple; Clarendon, Diario,
31 ottobre 1688.
(1007) Ciò chiaro si deduce dal Diario di Clarendon, 31 ottobre
1688.
(1008) Clarke, Vita di Giacomo II, ii, 159, 160.
(1009) Clarendon, Diario, 10 giugno 1688.
(1010) Johnstone in poche parole narra squisitamente il caso:
"Generalmente il popolo crede che tutto sia un inganno; perocchè
dicono: i calcoli sono cangiati, la principessa allontanata, la
famiglia Clarendon e lo Ambasciatore Olandese non invitati, la
instantaneità della cosa, le prediche, le assicurazioni de' preti,
la furia." 13 giugno 1688.
(1011) Ronquillo, 26 luglio-5 agosto. Ronquillo aggiunge che le cose
dette da Zulestein circa la pubblica opinione in Inghilterra, erano
esattamente vere.
(1012) Citters, 12-22 giugno 1688; Luttrell, Diario, 18 giugno.
(1013) Per le cose eseguite in questo giorno vedi i Processi di
Stato; Clarendon, Diario; Luttrell, Diario; Citters, 15-25 giugno;
Johnstone, 19 giugno; Politica della Rivoluzione.
(1014) Johnstone, 18 giugno 1688; Evelyn, Diario, 29 giugno.
(1015) Ms. Tanner.
(1016) Questo fatto mi fu comunicato cortesissimamente dal Reverendo
R. S. Hawker di Morwenstow in Cornwall.
(1017) Johnstone, 18 giugno 1688.
(1018) Adda, 29 giugno-9 luglio 1688.
(1019) Non è da fidarsi - già s'intende - in ciò che lo stesso
Sunderland racconta. Ma egli chiama in testimonio Godolphin di ciò
che seguì rispetto all'Atto di Stabilimento in Irlanda.
(1020) Barillon, 24 giugno-1 luglio 1688; Adda, 29 giugno-9 luglio;
Citters, 26 giugno-6 luglio; Johnstone, 2 luglio 1688; I Convertiti,
poesia.
(1021) Clarendon, Diario, 21 giugno 1688.
(1022) Citters, 26 giugno-6 luglio 1688.
(1023) Johnstone, 2 luglio 1688.
(1024) Johnstone, 2 luglio 1688[Nell'originale "1588"].
(1025) Johnstone, 2 luglio 1688. Lo editore delle relazioni di
Levinz grandemente si maraviglia che, dopo la Rivoluzione, Levinz
non fosse rimesso nel suo ufficio. I fatti narrati da Johnstone
varranno forse a spiegare questa apparente ingiustizia.
(1026) Lo deduco da una lettera di Compton a Sancroft, in data del
12 giugno.
(1027) Politica della Rivoluzione.
(1028) Nell'originale "Middlessex". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(1029) Nell'originale "frantendere". [Nota per l'edizione
elettronica Manuzio]
(1030) Sono le precise parole d'un testimone oculare, e trovansi in
una lettera nella Collezione di Mackintosh.
(1031) Nell'originale "Middlessex". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(1032) Vedi il processo nella Collezione dei Processi di Stato. Ho
tratto alcuni particolari da Johnstone ed alcuni altri da Van
Citters.
(1033) Johnstone, 2 luglio 1688; Lettera del signor Ince allo
Arcivescovo, in data delle ore sei antimeridiane; Ms. Tanner;
Politica della Rivoluzione.
(1034) Johnstone, 2 luglio 1688.
(1035) Processi di Stato; Oldmixon, 739; Clarendon, Diario, 25
giugno 1688; Johnstone, 2 luglio; Citters, 3-13 luglio; Adda, 6-16
luglio; Luttrell, Diario; Barillon, 2-12 luglio.
(1036) Citters 3-13 luglio. La gravità con cui egli racconta il
fatto produce un effetto comico: "Den Bisschop van Chester, wie seer
de partie van het hof houdt, om te voldoen aan syne gewoone
nieusgierigheit, hem op dien tyt in Westminster Hall mede hebbende
laten vinden, in het uitgaan doorgaans was nitgekreten voor een
grypende wolf in schaaps kleederen; en hy synde een heer van hooge
stature en vollyvig, spotsgewyse alomme geroepen was dat men woor
hem plaats moeste maken, om te laten passen, gelyck ook geschiede,
om dat soo sy uitschreouwden en hem in het aansigt seyden, hy deh
Paas in syn buych hadde."
(1037) Luttrell; Citters, 3-13 luglio 1688. "Soo syn integendeet
gedagtejurys met de uyterste acclamatie en alle teyckenen van
genegenheyt in danckbaarbeyt in het door passeren van de gemeente
ontvangen. Honderden vielen haar om den hals met alle bedenckelycke
wewensch van segen en geluck over hare persoonen on familien, om dat
sy haar so husch en eerlyck buyten verwagtinge als het ware in desen
gedragen hadden. Veele van de grouten en cleynen adel wierpen in het
wegryden handen vol gelt onder de armen luyden om op de gesontheyt
van den Coning, der Heeren Prelaten, en de Jurys te drincken."
(1038) "Mi trovava con Milord Sunderland la stessa mattina, quando
venne l'Avvocato Generale a rendergli conto del successo, e disse
che mai più a memoria d'uomini si era sentito un applauso, mescolato
di voci e lacrime di giubilo, eguale a quello che veniva egli di
vedere in quest'occasione." Adda, 6-16 luglio 1688".
(1039) Burnet, I, 74; Citters, 3-13 luglio 1688.
(1040) Vedi una assai curiosa Relazione, pubblicata nel 1710 fra
altre scritture da Danby, allora Duca di Leeds. Un piacevole
racconto di cotesta cerimonia trovasi nello Esame di North, 570.
Vedi anche l'annotazione allo Epilogo dell'Edipo nelle Opere di
Dryden, edizione di Gualtiero Scott.
(1041) Nell'originale "Middlessex". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(1042) Reresby, Memorie; Citters, 3-13 luglio 1688; Adda, 6-16
luglio; Barillon, 2-12 luglio; Luttrell, Diario; Lettera di notizie,
4 luglio; Oldmixon, 739, Carteggio di Ellis.
(1043) Nell'originale "ulimo". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(1044) Nell'originale "Wigh". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(1045) Il Fur Prædestinatus.
(1046) Questo documento trovasi nella prima delle dodici Collezioni
degli scritti relativi agli affari d'Inghilterra, stampati verso la
fine del 1688 e il principio del 1689. Fu pubblicato il dì 26
luglio, poco meno d'un mese dopo il processo. Lloyd di Santo Asaph
intorno al medesimo tempo disse ad Enrico Wharton che i Vescovi si
proponevano di adottare una politica affatto nuova verso i
Protestanti Dissenzienti. "Omni modo curaturos ut ecclesia sordibus
et corruptelis penitus exueretur; ut sectariis reformatis reditus in
ecclesiæ sinum exoptati occasio ac ratio concederetur, si qui sobrii
et pii essent; ut pertinacibus interim jugum levaretur, extinctis
penitus legibus mulctatoriis." - Excerpta ex Vita H. Wharton.
(1047) Nell'originale "dirito".[Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(1048) Nell'originale "auche". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(1049) Nell'originale "interdirebbbe". [Nota per l'edizione
elettronica Manuzio]
(1050) Questo variare d'opinioni nel partito Tory è assai bene
esposto in un libretto pubblicato nel principio del 1689, col
titolo: Dialogo tra due Amici, nel quale la Chiesa Anglicana si
difende d'essersi collegata col Principe d'Orange.
(1051) "Aut nunc, aut nunquam." Ms. Witsen citato da Wagenaar, lib.
LX.
(1052) Burnet, I, 763.
(1053) Nell'originale "Agernon"
(1054) Sidney, Diario e Carteggio, pubblicati da Blencowe; Mackay,
Memorie, e la nota di Swift: Burnet, I, 763.
(1055) Burnet, I, 763; Lettera in cifra a Guglielmo in data del 18
giugno 1688 in Dalrymple.
(1056) Burnet, I, 764; Lettera in cifra a Guglielmo, in data del 18
giugno 1688.
(1057) Intorno a Montaigne, vedi la lettera di Halifax a Cotton.
Credo che la testa di Halifax che si vede nell'Abbadia di
Westminster porga di lui migliore idea di quel che facciano tutte le
pitture e incisioni da me vedute.
(1058)
(1059) Burnet, I, 764; Sidney al principe d'Orange, 30 giugno 1688,
in Dalrymple[Nell'originale "Dariymple"].
(1060) Burnet, I, 763; Lumley a Guglielmo, 31 maggio 1688, in
Dalrymple.
(1061) Vedi cotesto invito distesamente riportato da Dalrymple.
(1062) Nell'originale "leggese". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(1063) Lettera di Sidney a Guglielmo, 30 giugno 1688; Avaux, Negoz.,
10-20, 12-22 luglio.
(1064) Bonrepaux, 18-28 luglio 1687.
(1065) Estratti di Birch, nel Museo Britannico.
(1066) Avaux, Negoz., 28 ottobre-8 novembre 1683.
(1067) Quanto alle relazioni che passavano tra lo Statoldero e la
città di Amsterdam, vedi Avaux, passim.
(1068) Adda, 6-16 luglio 1688.
(1069) Reresby, Memorie.
(1070) Barillon, 2-12 luglio 1688.
(1071) Gazzetta di Londra del 16 luglio 1688. L'ordine ha la data
del 14 luglio.
(1072) Sono parole di Barillon, 6-16 luglio 1688.
(1073) Vedi una delle numerose ballate di quel tempo dove si fa
allusione a' due Bretoni, che sono Jeffreys e Williams, entrambi
naturali del paese di Galles.
(1074) Gazzetta di Londra, 9 luglio 1688.
(1075) Ellis, Carteggio, 10 luglio 1688; Clarendon, Diario, 3 agosto
1688.
(1076) Gazzetta di Londra, 9 luglio 1688; Adda, 13-23 luglio;
Evelyn, Diario, 12 luglio; Johnstone, 8-18 dicembre 1687, 6-16
febbraio 1688.
(1077) Lettere di Sprat al Conte di Dorset; Gazzetta di Londra, 23
agosto 1688.
(1078) Gazzetta di Londra, 26 luglio 1688; Adda, 27 luglio-6 agosto;
Lettera di Notizie nella Collezione Mackintosh, 25 luglio; Ellis,
Carteggio, 28-31 luglio; Wood, Fasti Oxonienses.
(1079) Wood, Athenæ Oxonienses; Luttrell, Diario, 23 agosto 1688.
(1080) Ronquillo, 17-27 settembre 1688; Luttrell, Diario, 6
settembre.
(1081) Ellis, Carteggio, 4, 7 agosto 1688; Sprat, Relazione della
Conferenza del 6 di novembre 1688[Nell'originale 1588].
(1082) Luttrell, Diario, 8 agosto 1688.
(1083) Ciò è riferito da tre scrittori, che potevano ben ricordarsi
delle cose seguite in que' tempi, Kennet, Eachard, e Oldmixon. Vedi
parimente l'Avvertimento contro i Whig.
(1084) Barillon, 23 agosto-2 settembre 1688, 3-13, 6-16, 8-18
settembre.
(1085) Luttrell[Nell'originale "Luttrel"], Diario, 27 agosto 1688.
(1086) Nell'originale "ambascitari"
(1087) King; Condizioni dei Protestanti Irlandesi; Consulte secrete
del Partito Papale in Irlanda.
(1088) Consulte secrete del partito Papale in Irlanda.
(1089) Storia della Diserzione, 1689 (raffronta la prima con la
seconda edizione); Barillon, 8-18 settembre 1688; Citters, alla
stessa data; Clarke Vita di Giacomo II, ii, 168. Il compilatore di
questa opera afferma che Churchill mosse la Corte Marziale a
condannare i sei ufficiali a morte. Non sembra che tale storiella
sia stata ricavata dalle carte del re, io quindi la considero come
una delle tante menzogne inventate a San Germano a fine di denigrare
un carattere già bastevolmente nero. Che Churchill in questa
occasione avesse potuto simulare grande sdegno, onde nascondere il
tradimento ch'ei meditava, è molto probabile. Ma è impossibile a
credersi che un uomo sensato come lui avesse spinto il Consiglio di
Guerra ad infliggere una pena che era al di là della sua competenza.
(1090) La canzone di Lilliburello si trova nella Raccolta delle
Poesie politiche. La prima parte si trova nei Resti di Percy, ma non
la seconda parte, la quale vi fu aggiunta dopo lo sbarco di
Guglielmo. Nello Esaminatore, e in varii libercoli del 1712 si
afferma che Wharton ne è l'autore.
(1091) Vedi le Negoziazioni del Conte d'Avaux. Mi sarebbe quasi
impossibile citare tutti i luoghi da' quali ho attinto le materie
per questa parte del mio racconto. I più importanti si trovano sotto
le seguenti date: 1685, 20, 24 settembre, 5 ottobre, 20 dicembre;
1686, 3 gennaio, 22 novembre; 1687, 2 ottobre, 6, 19 novembre; 1688,
29 luglio, 20 agosto. Lord Lonsdale nelle sue Memorie giustamente
nota che, se Luigi fosse stato più savio, la città d'Amsterdam
avrebbe impedita la Rivoluzione.
(1092) Ranke, Die Römischen Päpste, lib. VIII; Burnet, I, 759.
(1093) Burnet, I, 758. Lo scritto di Luigi ha la data del 28
agosto-6 settembre 1688, e trovasi nel Recueil de Traités, vol. IV,
n. 219.
(1094) Per la profonda destrezza con cui egli mostrò sotto due
diversi aspetti la sua politica a due diversi partiti fu acremente
rimproverato poscia nella Corte di San Germano: "Licet Fderatis
publicus ille prædo haud aliud aperte proponat nisi ut Gallici
Imperii exuberans amputetur potestas, verumtamen sibi et suis ex
hæretica fæce complicibus, ut pro comperto habemus, longe aliud
promittit, nempe ut, exciso vel enervato Francorum regno, ubi
Catholicarum partium summum jam robur situm est, hæretica ipsorum
pravitas per orbem Christianum universum prævaleat." - Lettera di
Giacomo al Papa, evidentemente scritta nel 1689.
(1095) Avaux, Negoz., 2-12, 10-20, 11-21, 14-24, 16-26, 17-27
agosto, 23 agosto-2 settembre 1688.
(1096) Nell'originale "Schevering". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(1097) Avaux, Negoz., 4-14 settembre 1688.
(1098) Burnet, I, 765. La lettera di Churchill ha la data del 4
agosto 1688.
(1099) Guglielmo a Bentinck, 17-27 agosto 1688.
(1100) Memorie del Duca di Shrewsbury, 1718.
(1101) Gazzetta di Londra, 25, 28 aprile 1687.
(1102) Consulte secrete del partito Papale in Irlanda. Le cose
sopradette sono confermate da ciò che Bonrepaux scriveva a
Seignelay, 12-22 settembre 1687. "Il (Sunderland) amassera beaucoup
d'argent, le roi son maître lui donnant la plus grande partie de
celui qui provient des confiscations ou des accommodemens que ceux
qui ont encouru des peines font pour obtenir leur grace."
(1103) Adda, dice che il terrore gli si leggeva chiaramente in viso;
26 ottobre - 5 novembre 1688.
(1104) Raffronta ciò che ne dice Evelyn con ciò che intorno a lei
scrisse all'Aja la principessa di Danimarca, e con le sue stesse
lettere ad Enrico Sidney.
(1105) Bonrepaux a Seignelay, 11-21 luglio 1688.
(1106) Vedi le sue lettere nel Diario e Carteggio di Sidney di
recente pubblicati. Fox, nella sua copia de' Dispacci di Barillon,
nota il dì 30 agosto N. S. 1688, come data del tempo in cui è certo
che Sunderland praticasse il tradimento.
(1107) 19-29 agosto 1688.
(1108) 4-14 settembre 1688.
(1109) Avaux, 19-29 luglio, 31 luglio-10 agosto, 11-21 agosto 1688;
Luigi a Barillon, 2-12, 16-26 agosto.
(1110) Barillon, 20-30 agosto. 23 agosto-2 settembre 1688; Adda, 24
agosto-3 settembre; Clarke, Vita di Giacomo, ii, 177. Mem. Orig.
(1111) Luigi a Barillon, 3-13, 8-18, 11-21 settembre 1688.
(1112) Avaux, 23 agosto-2 settembre, 30 agosto-9 settembre 1688.
(1113) "Che l'adulazione e la vanità gli avevano tornato il capo"
Adda, 31 agosto-10 settembre 1688.[Nell'originale "1788"]
(1114) Citters, 11-21 settembre 1688; Avaux, 17-27 settembre, 27
settembre-7 ottobre; Barillon, 23 settembre-3 ottobre; Wagenaar,
libro LX; Sunderland, Apologia. Spesso è stato asserito che Giacomo
ricusò lo aiuto d'un esercito francese. Vero è che tale offerta non
fu mai fatta. Le truppe francesi sarebbero state più utili a Giacomo
minacciando le frontiere dell'Olanda, che traversando il Canale.
(1115) Luigi a Barillon, 20-30 settembre 1688.
(1116) Avaux, 27 settembre-7 ottobre, 4-14 ottobre 1688.
(1117) Madame de Sévigné, 24 ottobre-3 novembre 1688.
(1118) Ms Witsen citato da Wagenaar; lord Lonsdale, Memorie; Avaux,
4-14, 5-15 ottobre 1688. La dichiarazione formale degli Stati
Generali, in data del 18-28 ottobre, trovasi nel Recueil des
Traités, vol. IV, n° 225.
(1119) Abrégé de la Vie de Frédéric Duc de Schomberg, 1690; Sidney a
Guglielmo, 30 giugno 1688; Burnet, I, 677.
(1120) Burnet, I, 584; Mackay, Memorie.
(1121) Burnet, I, 775, 780.
(1122) Eachard, Storia della Rivoluzione, II, 2.
(1123) Pepys, Memorie relative alla Real Marina, 1690; Clarke, Vita
di Giacomo II, ii, 186, Memorie originali; Adda, 21 settembre-1
ottobre; Citters, 21 settembre-4 ottobre.
(1124) Clarke, Vita di Giacomo II, ii, 186, Memorie originali; Adda,
24 settembre-1 ottobre; Citters, 21 settembre-1 ottobre.
(1125) Adda, 28 settembre-8 ottobre 1688. Da questo dispaccio si
raccoglie come Giacomo forte temesse una defezione universale ne'
suoi sudditi.
(1126) La poca luce che ci resta intorno a queste pratiche è
derivata dagli scritti di Reresby, il quale ne fu informato da una
donna ch'egli non nomina, e alla quale non potevasi prestare cieca
credenza.
(1127) Gazzetta di Londra, 24, 27 settembre, 1 ottobre 1688.
(1128) Mss. Tanner; Burnet, I, 784. Credo che Burnet abbia confusa
questa udienza con un'altra che ebbe luogo parecchie settimane dopo.
(1129) Gazzetta di Londra, 8 ottobre 1688.
(1130) Gazzetta di Londra, 8 ottobre 1688.
(1131) Gazzetta di Londra, 15 ottobre 1688; Adda, 12-22 ottobre.
Sembra che il Nunzio, comechè generalmente abborrisse dalle misure
violente, si fosse opposto alla riabilitazione di Hough,
probabilmente per favorire gl'interessi di Giffard e degli altri
Cattolici romani che stanziavano nel Collegio della Maddalena.
Leyburn disse d'essere "nel sentimento che fosse stato uno sbaglio,
e che il possesso in cui si trovano ora li Cattolici fosse violento
ed illegale, onde non era privar questi di un dritto acquisito, ma
rendere agli altri quello che era stato levato con violenza."
(1132) Gazzetta di Londra, 18 ottobre 1688.
(1133) "Vento papista," dice Adda, 24 ottobre-3 novembre 1688.
Sembra che il vocabolo protestante sia stato primamente applicato a
quel vento, che per qualche tempo impedì a Tyrconnel di prendere
possesso del governo d'Irlanda. Vedi la prima parte del
Lillibullero.
(1134) Nell'originale "apettazione". [Nota per l'edizione
elettronica Manuzio]
(1135) Tutte le prove di questo fatto sono raccolte ne' Processi di
Stato, edizione di Howell.
(1136) Si trovano con molti altri particolari ne' Processi di Stato,
edizione di Howell.
(1137) Barillon. 8-18, 15-25, 18-28 ottobre, 23 ottobre-1 novembre,
27 ottobre-6 novembre, 29 ottobre-8 novembre 1688; Adda, 26
ottobre-5 novembre.
(1138) Gazzetta di Londra, 29 ottobre 1688.
(1139) Registro degli Atti degli Stati d'Olanda e della Frisia
Occidentale; Burnet, I, 782.
(1140) Gazzetta di Londra, 29 ottobre 1688; Burnet, I, 782; Bentinck
a sua moglie, 21-31 ottobre, 22 ottobre-1 novembre, 24 ottobre-3
novembre, 27 ottobre-6 novembre 1688.
(1141) Citters, 2-12 novembre 1688; Adda; 2-12 novembre.
(1142) Ronquillo, 12-22 novembre 1688. "Estas respuestas" dice
Ronquillo "son ciertas, aunque mas las encubrian en la corte."
(1143) Gazzetta di Londra, 5 novembre 1688. Il Proclama ha la data
del dì 2 novembre.
(1144) Mss. Tanner.
(1145) Burnet, I, 787; Rapin, Whittle, Diario esatto; Spedizione del
principe d'Orange in Inghilterra, 1688; Storia della Diserzione,
1688; Dartmouth a Giacomo, 5 novembre 1688, in Dalrymple.
(1146) Avaux, 12-22 luglio, 14-24 agosto 1688. Intorno a questo
soggetto il sig. De Jonge, il quale è parente de' discendenti dello
Ammiraglio olandese Evertsen, mi ha cortesemente comunicate alcune
interessanti notizie, tratte dalle carte di famiglia. In una lettera
a Bentinck, in data del 6-16 settembre 1688, Guglielmo insiste sulla
importanza d'evitare un conflitto, e chiede che lo dica a Herbert:
"Ce n'est pas le tems de faire voir sa bravoure ni de se battre si
on le peut éviter. Je le luy ai déjà dit; mais il sera nécessaire
que vous le répétiez, et que vous le luy fassiez bien comprendre."
(1147) Rapin, Storia; Whittle, Diario esatto. Io ho veduto una carta
di que' tempi nella quale è disegnato l'ordine con cui veleggiava la
flotta olandese.
(1148) Nell'originale "Park"
(1149) Adda, 5-15 novembre 1688; Lettera di Notizie nella Collezione
di Mackintosh; Citters, 6-16 novembre.
(1150) Burnet, I, 788; Estratti dalle Carte di Legge nella
Collezione di Mackintosh.
(1151) Credo che nessuno, il quale paragoni il racconto che fa
Burnet di questo colloquio con ciò che ne dice Dartmouth, possa
dubitare ch'io abbia fedelmente riferito lo accaduto.
(1152) Ho veduta una incisione, fatta a que' tempi in Olanda,
rappresentante lo sbarco. Vi si vedono alcuni uomini che portano il
letto del Principe nella trabacca in cima alla quale sventola la sua
bandiera.
(1153) Burnet, I, 789. Legge, Carte.
(1154) Il 9 novembre 1688, Giacomo scrisse a Dartmouth queste
parole: "Nessuno avrebbe potuto fare altrimenti da quello che avete
fatto voi. Io sono sicuro che tutti i più esperti uomini di mare
debbono essere di questa opinione." Ma vedi Clarke, Vita di Giacomo
II, 207, Memorie Originali.
(1155) Burnet, I, 790.
(1156) Nell'originale "Maestricht". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(1157) Vedi Whittle, Diario, la Spedizione di Sua Altezza, e la
Lettera da Exon pubblicata in quel tempo. Io ho veduto manoscritte
due Lettere di notizie, dove e descritta la pompa dello ingresso del
Principe in Exeter. Pochi mesi dopo un cattivo poeta scrisse un
dramma, intitolato: L'ultima Rivoluzione. Una delle scene è in
Exeter. Si vedono i battaglioni dell'armata del Principe marciare
verso la città con bandiere spiegate e tamburo battente, fra il
plauso de' cittadini. Un nobile chiamato Misopapa dice: "Potete voi,
o mio Signore, indovinare in quali terribili sembianti la colpa e la
paura hanno rappresentato la vostra armata alla Corte? Si esagera il
numero e la statura de' vostri soldati; si dice che ciascuno di loro
sia alto per lo meno sei piedi, tutti vestiti di pelle d'orso,
Svizzeri, Svedesi e Brandenburgesi." In una canzone composta subito
dopo lo ingresso in Exeter, gl'Irlandesi sono descritti come nani in
paragone de' giganti comandati da Guglielmo. "Povero Berwich, come
le tue care gioie potranno opporsi al famoso viaggio? I tuoi più
alti giovani sono fantocci dinanzi ai guerrieri di Brandenburgo e di
Svezia. Coraggio! Coraggio!" Addison nel Freeholder allude allo
effetto straordinario che producevano queste romanzesche storielle.
(1158) Nell'originale "Pincipe"
(1159) Spedizione del principe d'Orange; Oldmixon, 755; Whittle,
Diario; Eachard, III, 911; Gazzetta di Londra, 15 novembre 1688.
(1160) Gazzetta di Londra, 15 novembre 1688; Spedizione del Principe
d'Orange.
(1161) Clarke, Vita di Giacomo, II, 210, Memor. Orig.; Sprat,
Narrazione; Citters, 6-16 novembre 1688.
(1162) Luttrell, Diario; Lettera di notizie nella Collezione di
Mackintosh; Adda, 16-26 novembre 1688.
(1163) Nell'originale "escalmò". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(1164) Johnstone, 27 febbraio 1688; Citters, alla medesima data.
(1165) Lysons, Magna Britannia, Berkshire.
(1166) Gazzetta di Londra, 15 novembre 1688; Luttrell, Diario.
(1167) Burnet, I, 790; Vita di Guglielmo, 1703.
(1168) Nell'originale "autorità". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(1169) Clarke, Vita di Giacomo, ii, 215; Memor. Orig.; Burnet, I,
790; Clarendon, Diario, 15 novembre 1688; Gazzetta di Londra, 17
novembre.
(1170) Clarke, Vita di Giacomo, ii, 218; Clarendon, Diario, 15
novembre 1688; Citters, 16-26 novembre.
(1171) Clarendon, Diario, 15,16, 17, 20 novembre 1688.
(1172) Clarke, Vita di Giacomo, ii, 219, Memorie Originali.
(1173) Nell'originale "Streeet". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(1174) Clarendon, Diario, dall'8 al 17 novembre 1688.
(1175) Clarke, Vita di Giacomo, ii, 212, Memorie Originali;
Clarendon, Diario, 17 novembre 1688; Citters, 20-30 novembre;
Burnet, I, 791; Alcune riflessioni sopra la Umilissima Petizione
presentata all'Augusta Maestà del Re, 1688; Modesta difesa della
Petizione; Prima Collezione delle Scritture concernenti gli Affari
d'Inghilterra, 1688.
(1176) Adda, 19, 29 novembre 1688.
(1177) Clarke, Vita di Giacomo, ii, 220, 221.
(1178) Eachard, Storia della Rivoluzione.
(1179) La risposta che Seymour diede al Principe è riferita da molti
scrittori. Somiglia molto a ciò che si racconta della famiglia
Manriquez. Dicesi che essa avesse per epigrafe nell'armi gentilizie
queste parole: "Nos no descendemos de los Reyes, sino los Reyes
descienden de nos." - Carpentariana.
(1180) Quarta Collezione di Scritture, 1688; Lettera scritta da
Exon; Burnet, I, 792.
(1181) Burnet, I, 792; Storia della Diserzione; Seconda Collezione
di Scritture, 1688.
(1182) Lettera di Bath al Principe d'Orange, 18 novembre 1688;
Dalrymple.
(1183) Prima Collezione di Scritture, 1688; Gazzetta di Londra, 22
novembre.
(1184) Reresby, Memorie; Clarke, Vita di Giacomo, ii, 231, Memorie
Originali.
(1185) Cibber, Apologia; Storia della Diserzione; Lutrell, Diario;
Seconda Collezione di Scritture, 1688.
(1186) Nell'originale "combattitimenti". [Nota per l'edizione
elettronica Manuzio]
(1187) Whittle, Diario; Storia della Diserzione; Luttrell, Diario.
(1188) Clarke, Vita di Giacomo, ii, 222, Memorie Originali;
Barillon, 21 novembre-1 dicembre 1688; Ms. Sheridan.
(1189) Prima Collezione di Scritture, 1688.
(1190) Lettera di Middleton a Preston, in data di Salisbury, 25
novembre. "Scelleraggine sopra scelleragine" dice Middleton, "e
l'ultima anche maggiore della prima." Clarke, Vita di Giacomo, ii,
224, 225, Memorie Originali.
(1191) Storia della Diserzione; Luttrell, Diario.
(1192) Dartmouth, Annotazione a Burnet, I, 643.
(1193) Clarendon, Diario, 26 novembre; Clarke, Vita di Giacomo, ii,
224. La lettera del Principe Giorgio al Re è stata più volte
stampata.
(1194) Questa lettera, in data del 18 novembre, trovasi in
Dalrymple.
(1195) Clarendon, Diario, 25, 26 novembre 1688; Citters, 26 novembre
- 6 dicembre; Ellis, Carteggio, 19 dicembre; Difesa della Duchessa
di Marlborough; [Nell'originale "Marlbourgh"] Burnet, 1, 792;
Compton al Principe d'Orange, 2 dicembre 1688 in Dalrymple. L'abito
militare del Vescovo è rammentato in innumerevoli scritti e satire
di que' tempi.
(1196) Dartmouth, Annotazione a Burnet, I, 792; Citters, 26
novembre-6 dicembre 1688; Clarke, Vita di Giacomo, ii, 226, Memorie
Originali; Clarendon Diario, 26 novembre, Politica della
Rivoluzione.
(1197) Clarke, Vita di Giacomo, ii, 236, Mem. Orig.; Burnet, I, 794;
Luttrell, Diario; Clarendon, Diario, 27 novembre 1688; Citters, 27
novembre-7 dicembre, e 30 novembre-10 dicembre.
Citters evidentemente ne fu informato da uno de' Lordi che si
trovarono presenti. E poichè la cosa è importante, addurrò due brani
de' suoi dispacci. Il Re disse: "Dat het by na voor hem unmogelyck
was te pardoneren persoonen wie so hoog in syn reguarde schuldig
stonden, vooral seer nytvarende jegens den Lord Churchill, wien hy
hadde groot gemaakt en nogtans meyude de eenigste oorsake van alle
dese desertie en van de retraite van bare Coninglycke Hoogheden te
wesen" (uno dei Lordi, probabilmente Halifax o Nottingham) "Seer
hadde geurgeet op de securiteyt van de lords die nu met syn Hoogheyt
geengageert staan. Soo hoor ick" dice Citters "dat syn Majesteyt
onder anderen soude gesegt hebben; - Men sprekt al voor de
securiteyt voor andere, en nient voor de myne. - Waar op een der
Pairs resolut dan met groot respect soude geantwoordt hebben dat,
soo syne Majesteyt's wapenen in staat waren on hem te connen
mainteneren, dat dan sulk syne securiteyte koude wesen; son niet, en
soo de difficulteyt dan nog te surmonteren was, dat het den moeste
geschieden door de meeste condescendance, en hoe meer die was, en hy
genegen orn aan de natie contentement de geven, dat syne securiteyt
ook des te grooter soude wesen."
(1198) Lettera del Vescovo di Santo Asaph al Principe d'Orange, 17
dicembre 1688.
(1199) Gazzetta di Londra, 29 novembre, 3 dicembre 1688; Clarendon,
Diario, 29, 30 novembre.
(1200) Barillon, 1-11 dicembre 1688.
(1201) Giacomo a Dartmouth, 25 novembre 1688. Le lettere si trovano
in Dalrymple.
(1202) Giacomo a Dartmouth, 1 dicembre 1688.
(1203) Luttrell, Diario.
(1204) Seconda Collezione di Scritture, 1688; la lettera di
Dartmouth in data del dì 3 dicembre 1688, trovasi in Dalrymple;
Clarke, Vita di Giacomo, ii, 233, Memorie Originali. Giacomo accusa
Dartmouth di avere indotto la flotta a fare un indirizzo per
chiedere la convocazione del Parlamento. Ed è pretta calunnia.
L'indirizzo contiene solo ringraziamenti al Re per avere convocato
il Parlamento, e fu scritto prima che Dartmouth avesse il più lieve
sospetto che Sua Maestà stesse ingannando la nazione.
(1205) Nell'originale "Middlessex". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(1206) Luttrell, Diario.
(1207) Adda, 7-17 dicembre 1688.
(1208) Il Nunzio dice: "Se lo avesse fatto prima di ora, per il Re
ne sarebbe
stato meglio."
(1209) Vedi la Storia secreta della Rivoluzione di Ugo Speke, 1715.
Nella Biblioteca di Londra è un esemplare di questa opera rara, ed
ha una nota manoscritta che sembra di mano dello autore.
(1210) Brand, Storia di Newcastle; Tickell, Storia di Hull.
(1211) Il racconto di ciò che seguì in Norwich trovasi in un foglio
di quei tempi inserito in varie collezioni. Vedi anco la Quarta
Collezione di Scritture, 1688.
(1212) Clarke, Vita di Giacomo, ii, 233; Memoria ms. della famiglia
Harley nella Collezione di Mackintosh.
(1213) Citters, 9-19 dicembre 1688. Lettera del Vescovo di Bristol
al Principe d'Orange, 5 dicembre 1688, in Dalrymple.
(1214) Citters, 27 novembre-7 dicembre 1688; Clarendon, Diario, 11
dicembre; Canzone sopra lo ingresso di Lord Lovelace in Oxford,
1688; Burnet, I, 793.
(1215) Clarendon, Diario, 2, 3, 4, 5 dicembre 1688.
(1216) Whittle, Diario Esatto; Eachard, Storia della Rivoluzione.
(1217) Citters, 20-30 novembre, 9-19 dicembre 1688.
(1218) Clarendon, Diario, 6, 7 dicembre 1688.
(1219) Clarendon, Diario, 7 dicembre 1688.
(1220) Storia della Diserzione; Citters, 9-19 dicembre 1688; Diario
Esatto; Oldmixon, 760.
(1221) Vedi una interessantissima nota al canto V del Rokeby di
Gualtiero Scott.
(1222) Nell'originale "Wihg". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(1223) La narrazione che ho fatta di ciò che successe in Hungerford
è presa dal Diario di Clarendon, 8, 9 dicembre 1688; Burnet, I, 794;
Proposta consegnata al Principe dai Commissarii, e Risposta del
Principe; Sir Patrizio Hume, Diario; Citters, 9-19 dicembre.
(1224) Clarke, Vita di Giacomo, ii, 237. Burnet - strano a dirsi! -
non aveva udito, o dimenticò di notare, che il Principe era stato
ricondotto a Londra; I, 796.
(1225) Clarke, Vita di Giacomo, ii, 246; Père d'Orleans, Révolutions
d'Angleterre; Madame de Sévigné, 14-24 dicembre; Dangeau, Memorie,
13-23 dicembre. Quanto a Lauzun vedi le Memorie di Madamigella e del
Duca di Saint-Simon, e i Caratteri di Labruyère.
(1226) Nell'originale "riconciliaziane". [Nota per l'edizione
elettronica Manuzio]
(1227) Storia della Diserzione; Clarke, Vita di Giacomo, ii, 251,
Memorie Originali; Mulgrave, Racconto della Rivoluzione; Burnet, I,
795.
(1228) Storia della Diserzione; Mulgrave, Racconto della
Rivoluzione; Eachard, Storia della Rivoluzione.
(1229) Gazzetta di Londra, 13 dicembre 1688.
(1230) Clarke, Vita di Giacomo, ii, 259; Mulgrave, Racconto della
Rivoluzione; Legge, Scritture, nella Collezione di Mackintosh.
(1231) Gazzetta di Londra, 13 dicembre 1688; Barillon, 14-24
dicembre; Citters, alla medesima data; Luttrell, Diario; Clarke,
Vita di Giacomo, ii, 256, Memorie Originali; Ellis, Carteggio, 13
dicembre; Consulta del Consiglio di Stato di Spagna, 19-29 gennaio
1689. E' sembra che Ronquillo amaramente si querelasse presso il suo
Governo per le perdite fatte; "sirviendole solo de consuelo el haber
tenido prevencion de poder consumir el Santissimo."
(1232) Gazzetta di Londra, 13 dicembre 1688; Luttrell, Diario;
Mulgrave, Racconto della Rivoluzione; Consulta del Consiglio di
Stato di Spagna, 19-29 gennaio 1689. Nel Consiglio fu accennato a
rappresaglie, ma tale suggerimento fu trattato con dispregio.
"Habiendo sido este echo por un furor de pueblo, sin consentimiento
dei gobierno, y antes contra su voluntad, como lo ha mostrado la
satisfaction che le han dado y le han prometido, parece que no hay
juicio humano que puede acconsejar que se pase a semejante remedio."
(1233) North, Vita di Guildford, 220; Elegia di Jeffreys; Luttrell,
Diario; Oldmixon, 762. Oldmixon trovavasi tra la folla, e non dubito
che fosse uno de' più furibondi. Egli racconta bene la cosa. Ellis,
Carteggio; Burnet, I, 797, e la annotazione di Onslou.
(1234) Adda, 9-19 dicembre; Citters, 18-28 dicembre.
(1235) Citters, 14-24 dicembre; Luttrell, Diario; Ellis, Carteggio;
Oldmizon, 761; Speke, Storia Secreta della Rivoluzione; Clarke, Vita
di Giacomo, ii, 257; Eachard, Storia della Rivoluzione; Storia della
Diserzione.
(1236) Clarke, Vita di Giacomo, ii, 258.
(1237) Storia Secreta della Rivoluzione.
(1238) Clarendon, Diario, 13 dicembre 1688; Citters, 14-24 dicembre;
Eachard, Storia della Rivoluzione.
(1239) Citters, 14-24 dicembre; Luttrell, Diario.
(1240) Mulgrave, Racconto della Rivoluzione; Clarendon, Diario, 16
dicembre 1688.
(1241) A Reresby fu detto da una dama, ch'egli non nomina, il Re non
avere avuta intenzione di fuggire finchè non ricevè una lettera
scrittagli da Halifax che allora trovavasi in Hungerford, la quale
lettera annunziava a Giacomo che rimanendo correva pericolo di vita.
Questa, senza dubbio, è pretta favola. Il Re, innanzi che i
Commissarii partissero da Londra, aveva detto a Barillon che la loro
ambasceria altro non era che finzione, e s'era mostrato
deliberatissimo a lasciare l'Inghilterra. Chiaro si raccoglie dalla
narrazione di Reresby che Halifax si reputò trattato
vergognosamente.
(1242) Ms. Harl., 255.
(1243) Ms. Halifax; Citters, 18-28 dicembre, 1688.
(1244) Mulgrave, Racconto della Rivoluzione.
(1245) Vedi il suo Proclama colla data di Saint-Germain, 20 aprile
1692.
(1246) Clarke, Vita di Giacomo, ii, 261, Mem. Orig.
(1247) Clarendon, Diario, 16 dicembre 1688; Burnet, I, 800.
(1248) Clarke, Vita di Giacomo, ii, 262, Mem. Orig.; Burnet, I, 799.
Nella Storia della Diserzione (1689) si afferma che le acclamazioni
vennero da alcuni sfaccendati ragazzi, e che la maggior parte del
popolo guardava in silenzio. Oldmixon, che trovavasi nella folla,
dice lo stesso; e Ralph, i cui pregiudizi erano diversissimi da quei
di Oldmixon, afferma la medesima cosa, e dice d'averlo saputo da un
testimonio oculare. Forse la verità si è che le dimostrazioni di
gioia furono piccolissime, ma sembrarono straordinarie perchè
aspettavasi uno scoppio di sdegno nel pubblico. Barillon parla di
acclamazioni e fuochi di gioia, ma aggiunge: "Le peuple dans le fond
est pour le Prince d'Orange." 17-27 dicembre 1688.
(1249) Gazzetta di Londra, 16 dicembre 1688; Mulgrave, Racconto
della Rivoluzione; Storia della Diserzione; Burnet, I, 799; Evelyn,
Diario, 13, 17 dicembre 1688
(1250) Clarke, Vita di Giacomo, ii, 262, Mem. Orig.
(1251) Barillon, 17-27 dicembre 1688; Clarke, Vita di Giacomo, ii,
271.
(1252) Mulgrave, Racconto della Rivoluzione; Clarendon, Diario, 16
dicembre 1688.
(1253) Burnet, I, 800; Clarendon, Diario, 17 dicembre 1688; Citters,
18-28 dicembre 1688.
(1254) Burnet, I, 800; Condotta della Duchessa di Marlborough,
Mulgrave, Racconto della Rivoluzione. Clarendon non dice nulla sotto
questa data; ma vedi il suo Diario, 19 agosto 1689.
(1255) Harte, Vita di Gustavo Adolfo.
(1256) Nell'originale "impossesarsi". [Nota per l'edizione
elettronica Manuzio]
(1257) Clarke, Vita di Giacomo, ii, 264, e segnatamente le Memorie
Originali; Mulgrave, Racconto della Rivoluzione; Rapin de Thoyras. È
d'uopo rammentare che Rapin fu parte in questi avvenimenti.
(1258) Clarke, Vita di Giacomo, ii, 265; Mem. Orig.; Mulgrave,
Racconto della Rivoluzione; Burnet, I, 801; Citters, 18-28 dicembre
1688.
(1259) Citters, 18-28 dicembre 1688; Evelyn, Diario, alla medesima
data; Clarke, Vita di Giacomo, ii, 266, 267, Memorie Originali.
(1260) Citters, 18-28 dicembre 1688.
(1261) Luttrell, Diario; Evelyn, Diario; Clarendon, Diario, 18
dicembre 1688; Politica della Rivoluzione.
(1262) Quarta Collezione di Scritture concernenti gli affari
presenti dell'Inghilterra, 1688; Burnet, I, 802, 803; Calamy, Vita e
Tempi di Baxter, cap. XIV.
(1263) Burnet, I, 803.
(1264) Nell'originale "inadequate"
(1265) Gazzetta di Francia, 26 gennaio-5 febbraio 1689.
(1266) Storia della Diserzione; Clarendon, Diario, 21 dicembre 1688;
Burnet, I, 803, e la nota d'Onslou.
(1267) Clarendon, Diario, 21 dicembre 1688; Citters, alla medesima
data.
(1268) Clarendon, Diario, 21, 22 dicembre 1688; Clarke, Vita di
Giacomo, II, 268, 270, Memorie Originali.
(1269) Nell'originale "imperoccchè". [Nota per l'edizione
elettronica Manuzio]
(1270) Nell'originale "sufficenti"
(1271) Clarendon, 23 dicembre 1688; Clarke, Vita di Giacomo, II,
271, 273, 275, Mem. Orig.
(1272) Citters, 1-11 gennaio 1689; Ms. Witsen citato da Wagenaar,
libro LX.
(1273) Halifax, Appunti; Ms. Lansdowne, 255; Clarendon, Diario, 24
dicembre 1688; Gazzetta di Londra, 31 dicembre.
(1274) Citters, 25 dicembre-4 gennaio 1688-89.
(1275) Nell'originale "Saweyer". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(1276) Colui che fece la obiezione riferita nel testo, ne' libri e
nelle scritture di que' tempi si trova indicato con le sole
iniziali. Eachard attribuisce il cavillo a Sir Roberto Southwell. Ma
io non dubito che Oldmixon dica il vero ponendolo nella bocca di
Sawyer.
(1277) Storia della Diserzione; Vita di Guglielmo, 1703; Citters, 28
dicembre-7 gennaio 1688-89.
(1278) Gazzetta di Londra, 3, 7 gennaio 1689
(1279) Gazzetta di Londra, 10, 17 gennaio 1689; Luttrell, Diario;
Legge, Scritti; Citters, 1-11, 4-14, 11-21 gennaio 1689; Ronquillo,
15-25 gennaio, 23 febbraio-5 Marzo; Consulta del Consiglio di Stato
di Spagna, 26 marzo-5 aprile.
(1280) Burnet, I, 802; Ronquillo, 2-12 gennaio, 8-18 febbraio 1689.
Gli originali di questi dispacci mi furono affidati dalla cortesia
della defunta Lady Holland e dal vivente Lord Holland. Dell'ultimo
dispaccio citerò poche parole: "La tema de S. M. Britanica à seguir
imprudentes consejos perdió á los Catolicos aquella quietud en que
les dexó Carlos Segundo. V. E. asegure à su Santidad que mas sacaré
del Principe para los Catolicos que pudiera sacar del Rey."
(1281) Il dì 13-23 dicembre 1688 lo Ammiraglio di Castiglia in
questa guisa espresse la propria opinione: "Esta materia es de
calidad que non puede dexar de padecer nuestra sagrada religion ó el
servicio de V. M.; porque si el Principe de Orange tiene buenos
succesos, nos aseguraremos de Franceses, pero peligrarà la
religion." Il Consiglio il dì 16-26 febbraio si mostrò assai
soddisfatto d'una lettera del Principe, nella quale questi
prometteva "que los Catolicos que se portaren con prudencia no sean
molestados, y gocen libertad de conscientia, por ser contra su
dictamen el forzar, ni castigár por esta razon a nadie..."
(1282) Nel capitolo di La Bruyère intitolato "Sur les Jugemens"
trovasi un luogo che è degno di essere letto, come quello che mostra
il modo onde un Francese di merito insigne ravvisava la nostra
Rivoluzione.
(1283) La narrazione che ho fatta delle accoglienze ch'ebbero in
Francia Giacomo e sua moglie, è desunta principalmente dalle lettere
di Madama di Sévigné, e dalle Memorie di Dangeau.
(1284) Albeville a Preston, 23 novembre-3 dicembre 1688, nella
Collezione di Mackintosh.
(1285) "Tishier un Hosanna: maar 't zal veelligt haast Kruist hem
Kruist hem zin." Ms. Witsen presso Wagenaar, lib. LXI. È pure strana
coincidenza che pochissimi anni avanti, Riccardo Duke, poeta Tory,
un tempo rinomato, ma adesso appena rammentato tranne nello schizzo
biografico fattone da Johnson, aveva, rispetto a Giacomo, adoperata
la medesima immagine. "Il grido della plebaglia giudaica de' tempi
antichi non era prima Osanna e poi Crucifige?" La Rivista. Dispaccio
degli Ambasciatori straordinarii Olandesi, 8-18 gennaio 1689;
Citters, alla stessa data.
(1286) Gazzetta di Londra, 7 gennaio 1688-89.
(1287) Nell'originale "Holxrood". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(1288) Sesta Collezione di Scritture, 1689; Wodrow, III, xii, 4,
App. 150, 151; Burnet, I, 801.
(1289) Perth a Lady Errol, 29 dicembre 1688; a Melfort, 21 dicembre
1688; Sesta Collezione di Scritture, 1689.
(1290) Burnet, I, 805; Sesta Collezione di Scritture, 1689.
(1291) Nell'originale "Wihg". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(1292) Albeville, 9-19 novembre 1688.
(1293) Vedi lo scritto intitolato: Lettera ad un membro della
Convenzione, e la Risposta, 1689, Burnet, I, 809.
(1294) Lettera ai Lordi del Consiglio, 4-14 gennaio 1688-89;
Clarendon, Diario, 9-19 gennaio.
(1295) E' pare incredibile che alcuno si potesse lasciare sedurre da
codeste stramberie. Però reputo opportuno citare le stesse parole di
Sancroft che sono fino a noi pervenute, scritte di sua propria mano.
"La capacità ed autorità politica del Re, e il suo nome nel Governo,
sono perfetti e non possono errare; ma la sua persona essendo umana
e mortale, e non privilegiata sopra le altre creature, è soggetta a
tutti i difetti e gli errori di quelle. Egli può quindi essere
inetto a dirigere il Governo, e spendere la pubblica pecunia ec., o
per assenza, infanzia, demenza, delirio, apatia, infermità casuale o
naturale, o da ultimo per invincibili pregiudicii di mente,
contratti e raffermi dalla educazione e dall'abitudine, aggiuntovi
inalterabili risoluzioni, in materie affatto incompatibili con le
leggi, la religione, la pace, e la vera politica del Regno. In tutti
questi casi - io dico - bisogna che esistano uno o più individui
deputati a supplire a tale difetto, e come vicarii del Re, e per suo
potere ed autorità dirigano la cosa pubblica. Fatto questo,
soggiungo che tutte le procedure, le autorizzazioni, le commissioni,
le concessioni ec., pubblicate come per lo innanzi, sono legali e
valide ad ogni effetto, e il debito di fedeltà nel popolo rimane lo
stesso, i suoi giuramenti ed obblighi non sono in nulla
impediti..... Finchè il Governo procede per autorità e in nome del
Re, tutti quei sacri vincoli e quelle forme di procedura stabilite
sono mantenute, e la coscienza di nessuno non sarà gravata di cosa
alcuna ch'egli avesse scrupolo ad intraprendere." - MS Tanner;
Doyly, Vita di Sancroft. Non era al tutto irragionevole che lo stile
del buon Arcivescovo facesse ridere i cortigiani di Giacomo.
(1296) Evelyn, 15 gennaio 1688-89.
(1297) Clarendon, Diario, 24 dicembre 1688; Burnet, I, 819; Proposte
umilmente offerte a pro della Principessa d'Orange, 28 gennaio,
1688-89.
(1298) Burnet, I, 389, e le annotazioni del Presidente Onslow.
(1299) Evelyn, Diario, 26 settembre 1672, 12 ottobre 1679, 13 luglio
1700; Seymour, Sguardo su Londra.
(1300) Burnet, I, 388, e le annotazioni del Presidente Onslow.
(1301) Citters, 22 gennaio-1 febbraio 1689; Dibattimenti di Grey.
(1302) Giornali dei Comuni, e dei Lordi, 22 gennaio 1688-89;
Citters, e Clarendon, Diario, alla medesima data.
(1303) Giornali dei Lordi, 25 gennaio 1688-89; Clarendon, Diario,
23, 25 gennaio.
(1304) Nell'originale "franteso". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(1305) Giornali de' Comuni, 28 gennaio 1688-89; Grey, Dibattimenti;
Citters, 29 gennaio-8 febbraio. Se la relazione che si vede nei
Dibattimenti di Grey è esatta, bisogna che Citters fosse male
informato rispetto al Discorso di Sawyer.
(1306) Giornali de' Lordi e de' Comuni, 29 gennaio 1688-89.
(1307) Clarendon, Diario, 21 gennaio 1688-89; Burnet, I, 810; Doyly,
Vita di Sancroft.
(1308) Vedi l'Atto di Uniformità.
(1309) Stat. 2 Hen. 7, c. 1: Lord Coke, Instituta, parte III, cap.
1; Processo di Cook accusato d'alto tradimento, nella Collezione dei
Processi di Stato; Burnet, I, 813, e l'annotazione di Swift.
(1310) Giornali dei Lordi, 29 gennaio 1688-89; Clarendon, Diario;
Evelyn, Diario; Citters; Eachard, Storia della Rivoluzione; Burnet,
I, 813; Storia del ristabilimento del Governo, 1689. Il numero de'
votanti pro e contra non è notato ne' Giornali ed è variamente
riferito da varii scrittori. Ho seguito Clarendon il quale si diede
lo incomodo di fare le liste della maggioranza e della minoranza.
(1311) Grey, Dibattimenti; Evelyn, Diario; Vita dell'Arcivescovo
Sharp scritta
da suo figlio; Apologia per la Nuova Separazione, lettera al Dottore
Giovanni
Sharp Arcivescovo di York, 1691.
(1312) Giornali dei Lordi, 30 gennaio 1688-89; Clarendon, Diario.
(1313) Dartmouth, annotazione a Burnet, I, 393. Dartmouth dice che
l'Olandese rammentato nel testo era Fagel. È uno sbaglio di penna
perdonabilissimo in una postilla marginale notata in fretta; ma
Dalrymple ed altri non avrebbero dovuto ricopiare un errore così
palpabile. Fagel morì in Olanda il dì 5 dicembre 1688 mentre
Guglielmo era a Salisbury e Giacomo a Whitehall. Suppongo che
l'Olandese fosse o Dykvelt, o Bentink, o Zulestein, e più
probabilmente Dykvelt.
(1314) Sì la preghiera che il sermone di Burnet si trovano tuttora
nelle nostre grandi Biblioteche, e compensano lo incomodo di
leggerli.
(1315) Giornali dei Lordi, 31 gennaio 1688-89.
(1316) Citters, 5-15 febbraio 1689; Clarendon, Diario, 2 febbraio.
Questo fatto è grandemente esagerato nell'opera intitolata: Politica
della Rivoluzione, libro assurdissimo, ma di qualche utilità come
ricordo delle stolte dicerie di que' tempi. Grey, Dibattimenti.
(1317) La lettera di Giacomo in data del 24 gennaio-3 febbraio 1689,
si trova in Kennet. Clarke nella Vita di Giacomo di malissima fede
l'ha smozzicata. Vedi Clarendon, Diario, 2, 4 febbraio; Grey,
Dibattimenti; Giornali dei Lordi, 2, 4 febbraio 1688-89.
(1318) È stato asserito da varii scrittori, e fra gli altri da Ralph
e da M. Mazure che Danby firmò la protesta. Ciò è un errore.
Probabilmente alcuno che consultò i Giornali prima che fossero
stampati lesse Danby invece di Derby; Giornali dei Lordi, 4 febbraio
1688-89. Evelyn, pochi giorni innanzi, scrisse per isbaglio Derby
invece di Danby. Diario, 29 gennaio 1688-89.
(1319) Burnet, I, 819.
(1320) Clarendon, Diario, 1, 4, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14 gennaio
1688-89. Burnet, I, 807.
(1321) Clarendon, Diario, 5 febbraio 1688-89; Difesa della Duchessa
di Marlborough; Mulgrave, Racconto della Rivoluzione.
(1322) Burnet, I, 820. Burnet afferma di non avere raccontati gli
eventi di questi torbidi tempi secondo l'ordine cronologico. Sono
stato quindi costretto a riordinarli indovinando; ma penso di male
non m'apporre supponendo che la lettera della Principessa d'Orange a
Danby arrivasse, e il Principe dichiarasse il proprio intendimento,
tra il giovedì 31 gennaio, e il mercoledì 6 febbraio.
(1323) Mulgrave, Racconto della Rivoluzione. Nelle tre prime
edizioni questo fatto fu da me narrato inesattamente. In gran parte
la colpa fu mia, ma in parte fu anche di Burnet, il quale usando
trascuratamente la parola egli m'indusse in inganno. Burnet, I, 818.
(1324) Giornali dei Comuni, 6 febbraio 1688-89.
(1325) Nell'originale "appplicarsi"
(1326) Vedi i Giornali de' Lordi, e quei de' Comuni, 6 febbraio
1688-89, e la Relazione della Conferenza.
(1327) Giornali de' Lordi, 6 febbraio 1688-89; Clarendon, Diario;
Burnet, I, 822, e l'annotazione di Darmouth; Citters, 8-18 febbraio.
Quanto al numero mi sono attenuto a Clarendon. Alcuni scrittori
dicono la maggioranza essere stata più piccola, altri più grande.
(1328) Giornali de' Lordi, 6, 7 febbraio 1688-89; Clarendon, Diario.
(1329) Giornali dei Comuni, 29 gennaio, 2 febbraio 1688-89.
(1330) Giornali de' Comuni, 2 febbraio 1688-89.
(1331) Grey, Dibattimenti; Burnet, I, 822.
(1332) Giornali de' Comuni, 4, 8, 11, 12 febbraio; Giornali dei
Lordi, 9, 11, 12 febbraio 1688-89.
(1333) Gazzetta di Londra, 14 febbraio 1688-89; Citters, 12-22
febbraio.
(1334) Difesa della Duchessa di Marlborough; Rivista della Difesa;
Burnet, I, 781, 825, e l'annotazione di Dartmouth; Evelyn, Diario,
21 febbraio 1688-89.
(1335) Giornali dei Lordi, e dei Comuni, 14 febbraio 1688-89;
Citters, 15-26 febbraio. Citters pone in bocca a Guglielmo più forti
espressioni di rispetto per l'autorità del Parlamento di quelle che
si leggono nei Giornali; ma dal detto di Powle risulta che la
relazione contenuta nei Giornali non era rigorosamente esatta.
(1336) Nell'originale "Cros". [Nota per l'edizione elettronica
Manuzio]
(1337) Gazzetta di Londra, 14 febbraio 1688-89; Giornali dei Lordi e
dei Comuni, 13 febbraio; Citters, 15-26 febbraio; Evelyn, 21
febbraio.