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    Thomas Babington Macaulay
    Storia d'Inghilterra
    
    TRADOTTA DA PAOLO EMILIANI-GIUDICI.
      
      SECONDA EDIZIONE, RIVEDUTA DAL TRADUTTORE.
    
    
    VOLUME PRIMO.
    
    FIRENZE. FELICE LE MONNIER 1859.
    
    
    La universale accoglienza che è stata fatta in Italia a quest'opera
    ha mosso il traduttore a ristamparla. Egli ha raffrontata
    diligentemente la versione col testo, ne ha corretti gli errori
    corsi nella prima edizione, si è studiato di migliorare lo stile in
    guisa che fedelmente ritragga il modo di scrivere del grande storico
    inglese, ed osa sperare che i lettori gli terranno conto di queste
    nuove cure. Crede superfluo il far notare che i primi due volumi, i
    quali comprendono la storia del regno di Giacomo II e della grande
    Rivoluzione che lo precipitò dal trono, si possono considerare come
    opera che sta da sè. Nondimeno egli attende alacremente a tradurre
    gli altri volumi, cioè il regno di Guglielmo d'Orange; ed aspettando
    che in questo frattempo Lord Macaulay mandi alla luce il compimento
    di questo secondo periodo storico, spera poterlo pubblicare senza
    alcun indugio.
    
    Aprile 1859.
    
    
    AL CAV. SEBASTIANO FENZI.
    
    Intitolandoti questo lavoro onde compiacere all'amicizia che sento
    schietta ed infinita per te, intendo ad un tempo renderti pubblico
    testimonio di gratitudine a nome di quanti amano la patria nostra,
    per il bene che volevi arrecarle allorchè ti nacque, il generoso
    pensiero d'istituire la Rivista Britannica. Intendevi con quel
    severo giornale a distogliere le menti de' giovani dalle frivole e
    leggiere letture, e richiamarle allo studio della letteratura e
    delle istituzioni del grandissimo fra i popoli moderni; istituzioni
    e letteratura che per la lunga dimora in Inghilterra, e la
    conoscenza dello idioma e de' costumi, ti sono familiari. Quantunque
    lo inerte paese nostro non rispondesse ai tuoi desiderii, e la
    Rivista, dopo un anno di vita, fosse costretta a cessare; a te
    nondimeno rimarrà sempre l'onore d'aver tentato con sacrificii
    d'ogni ragione una impresa mirabilmente benefica. Se il mio lavoro,
    almeno in grazia della inclita fama di Macaulay, avrà sorte meno
    trista, a me sarà dolce che i lettori sopra la prima pagina del
    libro trovino impresso il degno tuo nome.
    
    Firenze, Ottobre 1852.
    
    PAOLO EMILIANI-GIUDICI.
    
    
     STORIA D'INGHILTERRA.
    
    CAPITOLO PRIMO.
    
    
    SOMMARIO.
    
    I. Introduzione. - II. La Britannia sotto il dominio dei Romani. -
    III. Sotto il dominio dei Sassoni. - IV. Effetti della conversione
    degli Anglo-Sassoni al Cristianesimo. - V. Invasioni danesi. - VI. I
    Normanni. - VII. Effetti della conquista normanna. - VIII. Effetti
    della separazione dell'Inghilterra e della Normandia. - IX.
    Mescolamento delle razze. - X. Conquiste degl'Inglesi sul
    continente. - XI. Guerre delle Rose. - XII. Estinzione del
    villanaggio. - XIII. Effetti benefici della religione cattolica
    romana. - XIV. Ragione per cui l'indole dell'antico governo inglese
    spesso è descritta erroneamente. - XV. Indole delle monarchie
    limitate del medio evo. - XVI. Prerogative dei primi monarchi
    inglesi. - XVII. In che modo le prerogative degli antichi re inglesi
    venissero infrenate. - XVIII. Perchè tali limiti non fossero sempre
    rigorosamente osservati. - XIX. La resistenza era un freno ordinario
    alla tirannide nel medio evo. - XX. Carattere peculiare
    dell'aristocrazia inglese. - XXI. Il governo dei Tudors. - XXII.
    Perchè le monarchie limitate del medio evo generalmente si
    trasmutassero in monarchie assolute. - XXIII. Perchè la sola
    monarchia inglese non patisse cosiffatto trasmutamento. - XXIV. La
    Riforma e i suoi effetti. - XXV. Origine della chiesa d'Inghilterra.
    - XXVI. Suo carattere peculiare. - XXVII. Sua relazione con la
    Corona. - XXVIII. I Puritani. - XXIX. Loro spirito repubblicano. -
    XXX. Perchè il Parlamento non facesse una opposizione sistematica al
    governo della regina Elisabetta. - XXXI. Questione dei monopolii. -
    XXXII. La Scozia e la Irlanda diventano parti d'uno stesso impero
    insieme con l'Inghilterra. - XXXIII. La importanza della Inghilterra
    scema dopo lo avvenimento di Giacomo I al trono. - XXXIV. Dottrina
    del Diritto Divino. - XXXV. La separazione tra la Chiesa e i
    Puritani diventa maggiore. - XXXVI. Avvenimento al trono e carattere
    di Carlo I - XXXVII. Tattica dell'Opposizione nella Camera dei
    Comuni. - XXXVIII. Petizione dei diritti. - XXXIX. La Petizione dei
    diritti è violata. - XL. Carattere e disegni di Wentworth. - XLI.
    Carattere di Laud. - XLII. La Camera Stellata, e l'Alta Commissione
    - XLIII. L'imposta per la formazione della flotta. - XLIV.
    Resistenza alla Liturgia in Iscozia. - XLV. Un Parlamento è
    convocato e disciolto. - XLVI. Il Lungo Parlamento. - XLVII. Prima
    manifestazione dei due grandi partiti inglesi. - XLVIII. Ribellione
    degl'Irlandesi. - XLIX. La Rimostranza. - L. L'Accusa dei Cinque
    Membri. - LI. Partenza di Carlo da Londra. - -LII. Principio della
    Guerra Civile. - LIII. Vittorie dei realisti. - LIV. Sorgono
    gl'indipendenti - LV. Oliviero Cromwell - LVI. L'Ordinanza
    d'abnegazione. - LVII. Vittoria del Parlamento - LVIII. Dominazione
    e indole dell'esercito. - LIX. Le insurrezioni contro il Governo
    militare vengono represse. - -LX. Processo contro il Re. - LXI. Il
    Re è decapitato. - LXII. La Irlanda e la Scozia vengono soggiogate.
    - LXIII. Espulsione del Lungo Parlamento - LXIV. Il Protettorato
    d'Oliviero. - LXV. Gli succede Riccardo. - LXVI. Alla caduta di
    Riccardo risorge il Lungo Parlamento. - LXVII Monk e lo esercito di
    Scozia muovono verso l'Inghilterra.. - LXVIII. Monk si dichiara per
    un libero Parlamento. - LXIX. Elezione generale del 1660. - LXX. La
    Restaurazione.
    
    
    
    I. Imprendo a scrivere la storia della Inghilterra dal tempo in che
    Giacomo II ascese al trono fino all'età nostra. Racconterò gli
    errori che in pochi mesi scrissero della(1) casa degli Stuardi
    gentiluomini e clero ad essa fedeli. Disegnerò il procedimento di
    quella rivoluzione che pose fine al lungo conflitto tra i nostri
    sovrani e i loro parlamenti, ed avvincolò insieme i diritti del
    popolo e quelli della dinastia regnante. Dirò come il nuovo
    ordinamento venisse nel corso di tanti anni torbidi vittoriosamente
    difeso contro gl'inimici di dentro e di fuori; come sotto esso
    l'autorità della legge e la sicurezza delle sostanze si reputassero
    compatibili con una libertà di discussione e d'azione individuale
    non mai prima sperimentata; come dal bene augurato congiungimento
    dell'ordine e della libertà sorgesse una prosperità, di cui gli
    annali delle cose umane non avevano offerto esempio; come la nostra
    patria da uno stato d'ignominioso vassallaggio rapidamente
    s'innalzasse al grado d'impero fra i potentati europei; come
    crescesse a un tempo in opulenza e gloria militare; come, per virtù
    d'una saggia e ferma buona fede, a poco a poco si stabilisse un
    credito pubblico, fecondo di maraviglie tali, che agli uomini di
    Stato delle età trascorso sarebbero sembrate incredibili; come da un
    commercio immenso nascesse una potenza marittima, paragonata alla
    quale ogni altra antica o moderna marittima potenza diventa frivola;
    come la Scozia, dopo anni molti d'inimicizia, si congiungesse
    finalmente con l'Inghilterra, non soltanto con vincoli legali, ma
    co' legami indissolubili d'interesse e d'affetto; come in America le
    colonie britanniche rapidamente si facessero più potenti e ricche
    de' reami di che Cortes e Pizarro avevano accresciuti i dominii di
    Carlo V; come in Asia alcuni avventurieri inglesi fondassero un
    impero non meno splendido e più durevole di quello d'Alessandro.
    
    Sarà, nondimeno, mio debito ricordare fedelmente accanto ai trionfi
    i disastri, e i grandi delitti e le follie nazionali, assai più
    umilianti di qualsivoglia disastro. Vedremo perfino ciò che
    reputiamo qual nostro bene precipuo, non essere scevro di male.
    Vedremo il sistema che assicurò efficacemente le nostre libertà
    contro le usurpazioni del regio potere, aver fatto nascere una nuova
    generazione d'abusi, che non incontransi nelle monarchie assolute.
    Vedremo lo augumento della ricchezza e lo estendersi del commercio -
    a cagione in parte dello sconsiderato immischiarsi, in parte della
    sconsiderata negligenza, - avere prodotti, fra immensi beni,
    parecchi mali, di che le società rozze e povere rimangono libere.
    Vedremo come, in due dominii dipendenti dalla corona, al torto
    seguisse la giusta retribuzione; come la imprudenza ed ostinatezza
    rompessero il vincolo che congiungeva le colonie dell'America
    Settentrionale alla madre patria; come la Irlanda, oppressa dalla
    signoria di razza sopra razza e di religione sopra religione,
    rimanesse veramente membro dell'impero britannico, ma membro putrido
    e storto in guisa da non aggiungere forza al corpo politico, e da
    essere perpetuo argomento di rimprovero in bocca di quanti temono o
    invidiano la grandezza dell'Inghilterra. Nondimeno, se pure io male
    non mi appongo, lo effetto generale di questa narrazione
    siffattamente ordinata sarà quello di suscitare la speranza ne'
    petti degli amatori della patria, e muovere le anime religiose a
    rendere grazie alla Provvidenza. Perocchè la storia della patria
    nostra, negli ultimi cento e sessanta anni, è veramente la storia
    del fisico, morale ed intellettuale progresso. Coloro che paragonano
    il tempo in cui è loro toccato di vivere con una età d'oro che
    esiste solo nelle loro fantasie, parlino pure di degenerazione e
    decadimento; ma niuno che conosca davvero le faccende de secoli
    andati sarà inchinevole a guardare con occhio lugubre o scoraggiato
    il presente.
    
    Condurrei molto imperfettamente l'opera che ho impreso a comporre se
    descrivessi soltanto battaglie ed assedi, innalzamenti e cadute di
    ministeri, intrighi di palazzo, discussioni di parlamento. Sarà
    quindi mio studio riferire la storia del popolo, non che quella del
    governo; indicare il progresso delle arti utili e delle belle;
    descrivere le sètte religiose, e le vicissitudini delle lettere;
    ritrarre i costumi delle successive generazioni, e non trasvolare
    negligentemente neppure sulle mutazioni che sono seguite nelle fogge
    di vestire, di banchettare, e ne' pubblici sollazzi. Con animo lieto
    sosterrò il rimprovero di avere, così facendo, attentato alla
    dignità della storia, qualora mi riesca di esporre agli occhi degli
    Inglesi del secolo decimonono una vera pittura della vita de' loro
    antichi.
    
    Gli eventi che mi propongo di narrare formano un solo atto d'un
    grande e complicato dramma che risale ad età remote, e che sarebbe
    imperfettissimamente inteso ove lo intreccio degli atti precedenti
    rimanesse ignoto. Per la qual cosa aprirò la mia narrazione narrando
    a brevi tratti la storia della nostra patria da' suoi antichissimi
    tempi. Passerò di volo sopra molti secoli, ma mi fermerò alquanto
    sulle vicissitudini della lotta che l'amministrazione di re Giacomo
    II condusse ad una crisi decisiva(2).
    
    II. Nessuna cosa nelle primitive condizioni in cui trovavasi la
    Britannia, indicava la grandezza che essa era destinata a
    conseguire. Gli abitatori, allorquando furono scoperti dai marinari
    di Tiro, erano di poco superiori ai naturali delle Isole Sandwich.
    Vennero soggiogati dalle armi romane, ma riceverono solo una debole
    tinta delle lettere ed arti romane. Delle provincie occidentali che
    obbedivano all'autorità dei Cesari, la Britannia fu l'ultima che
    conquistassero, e la prima che perdessero. Non vi si trovano
    magnifiche ruine di portici e d'aquedotti romani. Nel novero dei
    maestri della eloquenza e poesia latina non è un solo che sia
    britanno d'origine. Non è probabile che agl'isolani fosse mai,
    generalmente parlando, famigliare la lingua de' loro signori
    italiani. Dallo Atlantico fino alle rive del Reno, l'idioma latino
    predominò per molti secoli. Cacciò via il celtico, non fu cacciato
    dal germanico, ed oggimai costituisce il fondamento delle favelle
    francese, spagnuola e portoghese. Nell'isola nostra e' sembra che il
    parlare latino non giungesse mai a prevalere sul vecchio gallico, e
    non tenesse fronte all'anglo-sassone.
    
    La scarsa e superficiale civiltà che i Britanni avevano derivata dai
    loro padroni meridionali, venne spenta dalle calamità del secolo
    quinto. Nei regni continentali nei quali era partito lo impero
    romano, i barbari conquistatori impararono molto dalle genti
    conquistate. Nella Britannia la razza conquistata divenne tanto
    barbara, quanto erano barbari i conquistatori.
    
    III. Tutti i condottieri che fondarono le dinastie teutoniche nelle
    provincie continentali dello impero romano, come Alarico, Teodorico,
    Clovi, Alboino, erano zelanti cristiani. I seguaci di Ida e Cerdico,
    all'invece, trasportarono(3) in Britannia tutte le superstizioni
    dell'Elba. Mentre i principi germanici che regnavano in Parigi,
    Toledo, Arli e Ravenna, ascoltavano riverenti le istruzioni dei
    vescovi, adoravano le reliquie de' martiri, ed attendevano
    volentieri alle dispute dei teologi, i signori di Wessex e di Mercia
    seguitavano a compiere i loro barbarici riti nei tempii di Thor e di
    Odino.
    
    I Regni continentali che erano sorti sopra le ruine dello impero
    occidentale, tenevano qualche comunicazione con quelle provincie
    d'oriente, dove l'antica cultura, comecchè venisse lentamente
    consumandosi per i malefici effetti del mal governo, poteva tuttavia
    maravigliare ed erudire i barbari; dove la corte tuttavia sfoggiava
    lo splendore di Diocleziano e di Costantino; dove i pubblici edifizi
    erano sempre adornati dalle sculture di Policleto e dai dipinti
    d'Apelle; e dove gl'infaticabili pedanti, comunque scemi di gusto,
    di sentimento e di spirito, potevano leggere e interpretare i
    capolavori di Sofocle, di Demostene e di Platone. La Britannia non
    isperimentava i benefici effetti di siffatta comunicazione. I suoi
    lidi, alle menti de' popoli culti che stanziavano lungo il Bosforo,
    erano obbietti d'un orrore misterioso, nel modo medesimo che agli
    Jonii de' tempi omerici lo erano lo stretto di Scilla e la città de'
    Lestrigoni cannibali. Era nella isola nostra una provincia, come
    avevano riferito a Procopio, nella quale il suolo era gremito di
    serpenti, e l'aria era così pestifera da non potersi respirare senza
    trovarvi la morte. A questa desolata regione una strana genia di
    pescatori trasportava a mezza notte dalla terra dei Franchi le ombre
    dei trapassati. La parola dei morti era distintamente udita dal
    barcaiuolo; facevano col peso loro affondare i navicelli nelle onde,
    ma le loro forme rimanevano invisibili ad occhio mortale. Tali erano
    le maraviglie che un egregio storico, coetaneo di Belisario, di
    Simplicio e di Triboniano, raccontava con tutta gravità nella
    opulenta e culta Costantinopoli, intorno al paese dove il fondatore
    di Costantinopoli aveva assunta la porpora imperiale. Intorno alle
    altre provincie dello impero occidentale abbiamo una serie
    continuata di notizie: all'incontro, nella sola Britannia una età
    favolosa divide pienamente due età di vero. Odoacre e Totila, Eurico
    e Trasimondo, Clovi, Fredegonda e Brunchilde, sono uomini e donne
    storiche; ma Engisto ed Orsa, Vortigerno e, Rovena, Arturo e
    Mordredo, sono personaggi mitici, la esistenza dei quali potrebbe
    mettersi in dubbio, mentre le gesta loro sono da porsi con quelle di
    Ercole e di Romolo.
    
    IV. Finalmente la tenebra sembra squarciarsi, e il paese che
    sparisce all'occhio col nome di Britannia, riapparisce con quello
    d'Inghilterra. La conversione degli Anglo-Sassoni al Cristianesimo
    fu la prima d'una lunga serie di benefiche rivoluzioni. Egli è vero
    che la Chiesa era stata profondamente corrotta e dalla superstizione
    e dalla filosofia, contro le quali essa aveva lungo tempo
    combattuto, e sopra le quali aveva alla perfine trionfato. Era stata
    agevole pur troppo ad adottare dottrine derivate dalle antiche
    scuole, e riti dedotti dagli antichi templi. La politica romana e la
    ignoranza gotica, la credulità greca e l'ascetismo siriaco, avevano
    cooperato a depravarla. Nondimeno serbava tanto della sublime
    teologia e della benefica morale dei suoi primordii, da elevare
    gl'intelletti e purificare i cuori di molti. Parecchie cose
    medesimamente, le quali in età più tarda vennero con ragione
    considerate fra le sue più gravi mende, erano nel secolo settimo, e
    lungo tempo dopo, annoverate fra i suoi meriti principali. Che
    l'ordine sacerdotale usurpasse l'ufficio de' magistrati civili, ai
    dì nostri, sarebbe un gran male. Ma ciò che in un'epoca di governo
    bene ordinato è un male, potrebbe in un'epoca di rozzo e pessimo
    governo essere un bene. È meglio che l'umanità venga governata da
    leggi savie e bene amministrate, e da una pubblica opinione
    illuminata, anzi che dalle arti pretesche: ma è meglio che gli
    uomini vengano governati da arti siffatte, più presto che dalla
    violenza brutale; da un prelato come Dunstano, anzi che da un
    guerriero come Penda. Una società immersa nella ignoranza e retta
    dalla sola forza fisica, ha grande ragione a bene sperare che una
    classe di uomini che eserciti intellettuale e morale influenza,
    s'innalzi al governo della cosa pubblica. Non è dubbio che gente
    siffatta faccia abuso del proprio potere: ma il potere mentale,
    quando anche se ne abusi, è sempre migliore e più nobile di quello
    che consiste nella semplice forza corporea. Nelle cronache
    anglo-sassoni s'incontrano taluni tiranni i quali, come pervenivano
    a grado altissimo di grandezza, erano lacerati da' rimorsi,
    aborrivano dai piaceri e dalle dignità che avevano conseguite col
    prezzo della colpa, abdicavano le loro corone, e studiavansi di
    scontare i loro delitti con crude penitenze e continue preghiere. Di
    tali fatti hanno parlato con amare espressioni di spregio parecchi
    scrittori, i quali mentre facevano pompa di libero pensare, erano
    veramente di tanto meschino cervello quanto poteva esserlo un monaco
    de' tempi barbari, ed avevano costume di misurare gli universi fatti
    della storia del mondo con le medesime seste con che giudicavano la
    società parigina del secolo decimottavo. Nulladimeno, un sistema il
    quale, comunque sformato dalla superstizione, introdusse un vigoroso
    freno morale nella società per innanzi governata dalla sola forza
    de' muscoli e dalla audacia dell'animo; un sistema il quale
    insegnava al più potente e feroce signore, ch'egli era, al pari
    dell'infimo dei suoi sudditi, un ente responsabile; è degno d'essere
    rammentato con maggiore rispetto dai filosofi e dai filantropi.
    
    Le stesse osservazioni calzano allo spregio con che, nel secolo
    andato, era costume di parlare de' pellegrinaggi, de' santuari,
    delle crociate, e delle istituzioni monastiche del medio evo. In
    tempi ne' quali gli uomini quasi mai inducevansi a viaggiare, spinti
    da una curiosità liberale o dal desio di guadagno, era meglio che il
    rozzo abitatore del Settentrione visitasse la Italia e l'Oriente
    come pellegrino, più presto che rimanesse a vegetare negli squallidi
    tuguri e tra le foreste dove era nato. In tempi ne' quali la vita e
    l'onore delle donne giacevano esposti a diuturni pericoli per le
    sfrenate voglie dei tiranni e de' loro ladroni, era pur meglio che
    il ricinto di un un altare ispirasse una irragionevole paura, anzi
    che non vi fosse asilo nessuno inaccessibile alla crudeltà ed alla
    licenza. In tempi ne' quali gli uomini di Stato erano inetti a
    formare vaste combinazioni politiche, era meglio che le nazioni
    cristiane sorgessero collegate per correre al riacquisto del Santo
    Sepolcro, anzi che, una dopo l'altra, fossero soggiogate dalla
    potenza maomettana. Sia qual si voglia il rimprovero che in una età
    più tarda venisse scagliato equamente su la indolenza e il lusso
    degli ordini religiosi, egli era un bene, fuor d'ogni dubbio, che in
    un tempo d'ignoranza e di ferocia vi fossero chiostri e giardini
    tranquilli, dove le arti della pace potevano quetamente coltivarsi,
    dove gli spiriti dolci e contemplativi potevano trovare un asilo,
    dove un umile fraticello(4) poteva occuparsi a trascrivere la Eneide
    di Virgilio ed un altro a meditare su le opere d'Aristotele, dove
    colui che aveva l'anima calda della sacra favilla delle arti poteva
    miniare un martirologio o scolpire un crocifisso, e dove lo
    intelletto prono alla filosofia naturale poteva fare esperimenti
    intorno alle proprietà delle piante e de' minerali. Se simiglianti
    luoghi di ritiro non fossero stati sparsi qua e là fra le capanne
    del misero contadiname e i castelli della feroce aristocrazia, la
    società europea sarebbe stata composta di bestie da soma e di bestie
    da preda. La Chiesa è stata assai volte dai teologi paragonata
    all'arca, della quale si legge nel libro della Genesi; ma giammai
    tale somiglianza fu così perfetta, come nei tempi tristi nei quali
    ella sola procedeva fra il buio e le tempeste sopra il diluvio,
    sotto cui tutte le grandi opere della potenza e sapienza degli
    antichi giacevano prostrate, e portava seco quel lieve germe dal
    quale nacque poscia una nuova civiltà e più gloriosa.
    
    Perfino la supremazia spirituale che il papa arrogavasi, produsse in
    quelle età buie più bene che male. Per essa le nazioni dell'Europa
    Occidentale si congiunsero in una grande repubblica. Ciò che i
    giuochi olimpici o l'oracolo di Pitia erano stati per tutte le città
    greche da Trebisonda fino a Marsilia, Roma e il suo vescovo furono
    per tutti i cristiani di comunione latina, dalla Calabria fino alle
    Ebridi. Così germogliarono e crebbero i sentimenti di più estesa
    benevolenza. Genti divise da mari e da monti riconobbero un vincolo
    fraterno e un codice comune di diritto pubblico. Anche in guerra, la
    crudeltà del vincitore era non rade volte mitigata dal pensiero che
    esso e i vinti suoi(5) nemici erano membri d'una sola grande
    federazione. Gli Anglo-Sassoni finalmente vennero ammessi a questa
    federazione. Si aperse una comunicazione regolare tra le nostre
    spiagge e quella parte d'Europa nella quale i vestigi della potenza
    e civiltà antiche erano tuttavia discernibili. Molti egregi
    monumenti, che sono stati poscia distrutti o trasfigurati, serbavano
    ancora la loro primigenia magnificenza; e i viaggiatori, cui Livio e
    Sallustio riuscivano inintelligibili, potevano acquistare dallo
    spettacolo degli aquedotti e dai templi romani qualche lieve nozione
    di storia romana. La cupola d'Agrippa, tuttavia luccicante di
    bronzo; il mausoleo d'Adriano, non ancora spoglio delle sue statue e
    colonne; l'anfiteatro di Flavio, non ancora degradato a farne una
    piazza, raccontavano ai pellegrini della Mercia e del Nortumbria la
    storia di quella gran gente incivilita, che era scomparsa dalla
    faccia del mondo.
    
    Gl'isolani ritornavano ai propri lidi con riverenza profondamente
    impressa nelle loro menti mezzo stenebrate, e riferivano agli
    stupefatti abitatori de' tuguri di Londra e di York, come presso
    alla tomba di San Pietro una potente generazione d'uomini, adesso
    spenta, aveva innalzati tali edifici che avrebbero sfidata la furia
    del tempo fino al dì dell'estremo giudizio. Il sapere teneva dietro
    ai passi del Cristianesimo. La poesia e la eloquenza del secolo
    d'Augusto vennero solertemente studiate nei monasteri anglo-sassoni.
    I nomi di Beda, di Alcuino e di Giovanni, soprannominato Erigena,
    diventarono giustamente celebri per tutta l'Europa. Tali erano le
    condizioni del nostro paese allorquando, nel nono secolo, principiò
    l'ultima grande calata dei Barbari del Settentrione.
    
    V. Pel corso di parecchie generazioni, dalla Danimarca e dalla
    Scandinavia seguitarono a sbucare innumerevoli pirati, famosi per
    forza, valore, implacabile ferocia, e odio contro il nome cristiano.
    Non vi fu paese che al pari dell'Inghilterra patisse le devastazioni
    di cotesti invasori. Le sue coste giacevano presso ai porti donde
    essi movevano, né parte alcuna della nostra isola poteva dirsi così
    discosta dal mare da potersi tenere immune dalle loro aggressioni.
    Le medesime atrocità che avevano tenuto dietro alla vittoria dei
    Sassoni sopra i Celti, toccarono poscia ai Sassoni per le mani dei
    Danesi. La civiltà, che già principiava a sorgere, non ne sostenne
    il colpo e giacque di nuovo. Grosse colonie di venturieri, movendo
    dal Baltico, stabilironsi sopra le nostre spiagge orientali, e a
    poco a poco procedendo verso Occidente, sostenuti dagli aiuti che
    loro venivano dal mare, ambirono il dominio di tutto il reame. Il
    conflitto fra le due fiere razze teutoniche durò per sei
    generazioni, signoreggiandosi alternativamente. Crudeli carnificine
    seguite da vendette crudeli, provincie devastate, conventi
    saccheggiati, città distrutte dalle fondamenta, compongono la più
    gran parte della storia di quegl'infausti giorni. Alla perfine cessò
    di erompere dal Settentrione quel perpetuo torrente di predoni, e da
    quel tempo in poi la scambievole avversione delle razze cominciò a
    scemare. I mutui connubi divennero frequenti. I Danesi impararono la
    religione dei Sassoni; e in tal guisa estirpossi una delle cagioni
    del loro odio mortale. Gl'idiomi danese e sassone, entrambi dialetti
    d'una lingua più estesa, armonizzarono in uno. Ma la distinzione tra
    i due popoli non era affatto scomparsa allorchè sopraggiunse un
    evento, che li prostrò, schiavi e degradati entrambi, ai piedi di un
    terzo popolo.
    
    VI. I Normanni erano a quei tempi la gente più insigne di tutta la
    Cristianità. Per valore e ferocia si erano resi cospicui fra i
    predatori che la Scandinavia aveva già mandati a devastare la Europa
    Occidentale. Le loro navi furono per lunga stagione il terrore di
    ambi i lidi dello Stretto. Spinsero più volte le armi loro nel cuore
    dello imperio de' Carlovingi, e rimasero vittoriosi sotto le mura di
    Maestricht e di Parigi. In fine, uno dei fiacchi eredi di Carlomagno
    cesse agli stranieri una fertile provincia, irrigata da un bel fiume
    e contigua al mare, che era il loro prediletto elemento. In quella
    provincia fondarono uno Stato potente, il quale a poco per volta
    venne estendendo la propria influenza sopra i principati vicini di
    Bretagna e di Maine. Senza deporre l'indomito valore che aveva
    tenuta in perpetua paura ogni terra dall'Elba fino ai Pirenei, i
    Normanni rapidamente acquistarono tutto; e, più che tutto, il sapere
    e la cultura che trovarono nelle contrade dove s'erano stanziati;
    mentre il loro coraggio tutelava il territorio dalle straniere
    invasioni. Ordinarono internamente lo Stato in modo affatto ignoto
    da lungo tempo all'impero franco. Abbracciarono il Cristianesimo, e
    con esso impararono gran parte di di ciò che il clero poteva
    insegnare. Smesso lo idioma natio, abbracciarono la favella
    francese, nella quale predominava lo elemento latino, ed innalzarono
    speditamente il loro nuovo linguaggio ad una dignità ed importanza
    che non aveva per lo innanzi posseduto. Lo trovarono in condizione
    di gergo barbarico, e gli dettero norme fisse scrivendolo, e
    usandolo nelle leggi, nella poesia e nel romanzo. Deposero la
    brutale intemperanza, cui tutte le altre razze della gran famiglia
    germanica erano pur troppo inchinevoli. Il lusso squisito del
    Normanno offre un mirabile contrasto con la rozza ghiottoneria e
    ubbriachezza de' Sassoni e Danesi suoi vicini. Amava di far pompa
    della propria magnificenza non in vaste provvisioni di cibi e di
    bevande, ma in grandi e stabili edifici, ricche armature, generosi
    cavalli, eletti falconi, bene ordinati tornei, banchetti delicati
    più presto che abbondanti, e vini notevoli meglio per isquisito
    sapore che per forza inebbriante. Quello spirito cavalleresco che ha
    esercitata così forte influenza sopra la politica, la morale e i
    costumi di tutte le nazioni europee, trovavasi grandissimo nei
    Nobili normanni. Questi nobili facevansi notare per la grazia del
    loro contegno e del loro conversare; per la destrezza nel condurre i
    negozi, e per la eloquenza naturale, che con estrema solerzia
    coltivavano. Uno dei loro storici s'inorgoglisce affermando, i
    Normanni essere oratori fin dalle fasce. Ma la loro precipua
    celebrità derivava dalle imprese militari. Ogni paese dall'Oceano
    Atlantico fino al Mare Morto rendeva testimonio de' prodigi della
    disciplina e del valor loro. Un solo cavaliere normanno, capo di una
    mano di guerrieri, cacciò i Celti dal Connaught. Un altro fondò la
    monarchia delle Due Sicilie, e vide lo imperatore d'Oriente e quello
    d'Occidente fuggire allo aspetto dell'armi sue. Un terzo, l'Ulisse
    della prima crociata, venne innalzato da' suoi fidi commilitoni alla
    sovranità d'Antiochia; ed un quarto, quel Tancredi che vive eterno
    nel grande poema del Tasso, era celebre per tutta la Cristianità
    come il più strenuo e generoso fra i campioni del Santo Sepolcro.
    
    La propinquità di un popolo così notevole cominciò ben per tempo a
    produrre un effetto sullo spirito pubblico dell'Inghilterra. Innanzi
    la conquista, i principi inglesi andavano a educarsi in Normandia.
    Mari e terre inglesi venivano conferite ai signori normanni.
    L'idioma normanno-francese parlavasi familiarmente nel palazzo di
    Westminster. La corte di Rouen pareva che fosse verso la corte di
    Eduardo il Confessore ciò che la corte di Versailles, lunghi anni
    dopo, era verso la corte di Carlo II.
    
    VII. La battaglia di Hastings, e le vicende che ne derivarono, non
    solo posero un duca di Normandia sul trono inglese, ma sottoposero
    tutta la popolazione dell'Inghilterra alla tirannide della razza
    normanna. Rade volte, e perfino in Asia, una nazione soggiogò
    un'altra nazione tanto pienamente, quanto la normanna fece
    dell'inglese. I capitani degli invasori divisero la contrada
    tuttaquanta, e se ne distribuirono le parti; e per mezzo di vigorose
    istituzioni militari, validamente connesse con la istituzione della
    proprietà, riuscirono ad opprimere i naturali del paese. Un codice
    penale crudele e crudelmente eseguito, tutelava i privilegi e
    perfino i diporti de' tiranni stranieri. Nonostante, la razza
    soggiogata, quantunque prostrata e calpesta, mandava fieramente il
    suo fremito. Parecchi uomini audaci, che poscia divennero eroi delle
    nostre vecchie ballate, rifugiaronsi fra le selve, ed ivi sfidando
    leggi di copri-fuoco e di foreste, conducevano una guerra predatoria
    contro gli oppressori. Gli assassinii erano fatti giornalieri. Molti
    dei Normanni sparivano improvvisamente senza che ne rimanesse
    vestigio. Trovavansi numerosi cadaveri aventi segni di morte
    violenta. Fu bandita la morte per mezzo della tortura contro gli
    assassini, i quali venivano ansiosamente cercati, ma quasi sempre
    indarno; perocchè la intera nazione cospirava a nasconderli.
    Finalmente, reputarono necessario imporre una grave multa sopra ogni
    centuria di abitanti fra' quali un individuo d'origine francese
    fosse trovato ucciso: legge che fu seguita da un'altra, che ordinava
    ogni individuo ucciso doversi reputare francese, qualvolta non
    potesse provarsi che fosse sassone.
    
    Nel corso de' centocinquanta anni che seguirono la conquista, a
    parlare dirittamente, non esiste storia inglese. I re francesi
    d'Inghilterra veramente inalzaronsi tanto, da diventare la
    meraviglia e il terrore di tutte le nazioni vicine. Conquistarono la
    Irlanda: riceverono l'omaggio dalla Scozia. Per mezzo del valore,
    della politica, de' prosperi e splendidi connubi loro, diventarono
    più potenti sul continente, di quello che fossero i re di Francia,
    loro sovrani feudali. L'Asia al pari dell'Europa era abbarbagliata
    dallo splendore della potenza e gloria loro. I cronisti arabi
    prendevano ricordo con forzata ammirazione della caduta di Acri,
    della difesa di Joppe, e della vittoriosa marcia d'Ascalone; e le
    madri arabe per imporre silenzio ai loro figliuoli, rammentavano
    loro il nome del Plantageneto dal cuore di leone. Vi fu un tempo che
    la discendenza di Ugo Capeto parve presso ad estinguersi, nel modo
    stesso con che eransi estinte le dinastie de' Merovingi e de'
    Carlovingi; e che una sola grande monarchia dovesse estendersi dalle
    Orcadi fino a' Pirenei. È così forte il nesso che le menti
    stabiliscono tra la grandezza d'un sovrano e la grandezza della
    nazione da lui governata, che quasi tutti gli storici
    dell'Inghilterra hanno descritto con un sentimento di esultanza il
    potere e lo splendore de' suoi padroni stranieri, ed hanno compianta
    la decadenza di quello splendore e potere come una calamità della
    patria nostra. La quale cosa, a dir vero, è così assurda, come lo
    sarebbe se un negro d'Haiti dei nostri tempi considerasse con
    orgoglio nazionale la grandezza di Luigi XIV, e parlasse di Blenheim
    e Ramilies con patrio dolore e vergogna. Il conquistatore e i suoi
    discendenti fino alla quarta generazione non erano uomini inglesi:
    quasi tutti erano nati in Francia; passavano la maggior parte della
    vita in Francia; la loro favella era francese; pressochè tutti gli
    alti uffici da loro dipendenti erano affidati ad individui francesi;
    ogni acquisto che facevano sul continente li rendeva ognora più
    stranieri alla popolazione dell'isola nostra. Uno de' più egregi fra
    loro, a vero dire, tentò di procacciarsi lo affetto de' suoi sudditi
    inglesi, sposando una principessa inglese. Ma molti de' suoi baroni
    consideravano quel matrimonio come i cittadini della Virginia
    considererebbero un matrimonio tra un padrone e una fanciulla
    schiava. Nella storia quel principe è conosciuto sotto l'onorevole
    soprannome di Beauclerc; ma nei suoi tempi, i suoi concittadini gli
    avevano apposto un soprannome sassone a dileggio del suo sposalizio
    con una donna sassone.
    
    Se ai Plantageneti fosse venuto fatto, siccome una volta parve
    verosimile, di porre tutta la Francia sotto il loro dominio, egli è
    probabile che la Inghilterra non avrebbe avuta mai una esistenza
    indipendente. I suoi principi, i signori, i prelati, sarebbero stati
    uomini diversi di sangue e di lingua dagli artigiani e dagli
    agricoltori. Le entrate de' suoi grandi possidenti sarebbero state
    spese in feste e diporti su le rive della Senna. La nobile favella
    di Milton e di Burke sarebbe rimasta nella condizione di rustico
    dialetto, priva di letteratura, di grammatica, d'ortografia fissa,
    abbandonata all'uso della plebaglia. Nessuno uomo di discendenza
    inglese si sarebbe innalzato a grado eminente, ove non fosse
    diventato francese per lingua e costumi.
    
    VIII. La Inghilterra va debitrice di avere scansate coteste calamità
    ad uno avvenimento che gli storici hanno generalmente rappresentato
    come un disastro. I suoi interessi erano così direttamente opposti
    agli interessi de' suoi principi, che erasi ridotta a sperare
    soltanto negli errori e nelle traversie loro. Lo ingegno e perfino
    le virtù de' sei primi re francesi che la signoreggiarono, furono
    per lei una sciagura. La demenza e i vizi del settimo le furono di
    salvezza. Se Giovanni avesse ereditato gl'incliti pregi del padre
    suo, d'Enrico Beauclerc, o del Conquistatore; anzi se avesse egli
    posseduto il coraggio marziale di Stefano o di Riccardo, e se il re
    di Francia a quel tempo stesso fosse stato inetto al pari di tutti i
    successori di Ugo Capeto; la casa de' Plantageneti avrebbe
    acquistata in tutta l'Europa una supremazia senza rivali. Se non
    che, appunto in quell'età, la Francia per la prima volta dopo la
    morte di Carlomagno era governata da un principe d'animo destro e
    vigoroso. Dall'altro canto la Inghilterra, la quale, dalla battaglia
    di Hastings in poi, era stata, generalmente parlando, retta da savi
    uomini di Stato, e sempre da strenui guerrieri, cadde sotto la
    dominazione d'un principe frivolo e codardo. Fino da quello istante
    le sue sorti cominciarono a splendere. Giovanni fu cacciato di
    Normandia. I nobili normanni si videro astretti ad eleggere fra
    l'isola e il continente. Chiusi dal mare fra un popolo che avevano
    fino allora oppresso e spregiato, si vennero inducendo a considerare
    l'Inghilterra come patria, e gli Inglesi come concittadini. Le due
    razze, così lungo tempo ostili, si accorsero tosto di aver comuni
    gl'interessi, comuni i nemici. Entrambe giacevano oppresse sotto la
    tirannia di un re malvagio. Entrambe ardevano di sdegno vedendo la
    corte prodigare i suoi favori sopra genti nate nel Poitou o
    nell'Aquitania. I pronipoti di coloro che avevano pugnato sotto
    Guglielmo, e i pronipoti di coloro che avevano pugnato sotto Aroldo,
    cominciarono ad appropinquarsi con vicendevole amistanza; e il primo
    pegno della loro riconciliazione fu la Grande Carta, che essi
    guadagnarono coi loro sforzi comuni, e formarono a comune benefizio.
    
    IX. Qui principia la storia della nazione inglese. La storia delle
    vicissitudini precedenti è il racconto de' torti inflitti e
    sostenuti dalle varie tribù, le quali, comecchè abitassero sopra il
    suolo inglese, trattavansi con tale avversione, che non è forse mai
    esistita fra popoli divisi da fisici confini. Imperciocchè, perfino
    la scambievole animosità de' paesi in guerra fra loro, è lieve al
    paragone dell'animosità delle nazioni le quali, moralmente separate,
    stanziano commiste in un medesimo luogo. Non è paese in cui l'odio
    di razza trascorresse tanto oltre quanto in Inghilterra. Non è paese
    in cui quell'odio si fosse tanto onninamente spento. Non conosciamo
    con precisione gli stadi diversi del processo con che gli elementi
    ostili si fusero in una massa omogenea. Ma egli è certo che
    allorquando Giovanni ascese al trono, la distinzione tra Sassoni e
    Normanni esisteva evidentissima, e che avanti la fine del regno del
    suo nipote era quasi scomparsa. Nel tempo di Riccardo I, l'ordinaria
    imprecazione d'un gentiluomo normanno era: "Ch'io possa diventare un
    inglese!" e volendo sdegnosamente negare, diceva: "Che mi prendete
    voi per un inglese?" Cento anni dopo, il discendente di quel
    gentiluomo andava orgoglioso del nome d'inglese.
    
    Le scaturigini de' più bei fiumi che spargono la fertilità sopra la
    terra, e portano i navigli gravi di ricchezze al mare, sono da
    cercarsi fra mezzo alle aride e selvagge montagne inesattamente
    segnate nelle carte geografiche, e bene di rado esplorate dai
    viaggiatori. Questa immagine può rendere una idea della storia del
    nostro paese nel secolo decimoterzo. Per quanto sterile e buio sia
    quel periodo dei nostri annali, è mestieri cercare in esso l'origine
    della libertà, prosperità e glorie nostre. E' fu allora che il gran
    popolo inglese formossi; che l'indole nazionale principiò a
    mostrarsi con quelle peculiarità che ha poi sempre serbate; e che i
    nostri antichi divennero enfaticamente isolani, e isolani non solo
    per geografica postura, ma per politica, sentimenti e costumi.
    Allora comparve per la prima volta distintamente quella
    Costituzione, che ha poi sempre, traverso a tante modificazioni,
    serbata la sua identità; quella Costituzione, della quale tutti i
    liberi statuti degli altri popoli altro non sono che copie; e la
    quale, malgrado talune mende, è degna di essere considerata come la
    migliore sotto cui una grande società sia mai esistita pel corso di
    molti secoli. E' fu allora che la Camera dei Comuni, archetipo di
    tutte le assemblee rappresentative che oggidì si ragunano nel
    vecchio mondo e nel nuovo, tenne le sue prime sessioni. E' fu allora
    che il diritto comune inalzossi alla dignità di scienza, e
    rapidamente divenne rivale non indegno della giurisprudenza
    imperiale. E' fu allora che il coraggio di quei marinari i quali
    conducevano le rozze barche dei Cinque Porti, rese primamente la
    bandiera inglese formidabile su per i mari. E' fu allora che i più
    antichi collegi che vivono tuttavia nelle due grandi sedi nazionali
    del sapere, formaronsi. Formossi allora parimente quella lingua, la
    quale, benchè meno armoniosa, a dir vero, degli idiomi meridionali,
    nondimeno, e per vigoria e per ricchezza e per essere atta a
    significare tutti gli alti concetti del poeta, del filosofo e
    dell'oratore, cede soltanto alla greca. Allora medesimamente
    mostrossi la prima alba di quella inclita letteratura, che
    costituisce la più splendida e durevole delle molte glorie di cui
    mena vanto l'Inghilterra.
    
    Coll'iniziarsi del secolo decimoquarto, la perfetta congiunzione
    delle razze era pressochè compita; e si rese subito manifesto, a
    segni non dubbi, che un popolo non inferiore ad alcun altro popolo
    del mondo erasi formato dalla mistura delle tre razze e della grande
    famiglia teutonica, fra loro e cogli aborigeni bretoni. Vero è che
    non vi era quasi nulla di comune tra la Inghilterra alla quale re
    Giovanni era stato cacciato da Filippo Augusto, e la Inghilterra
    dalla quale le armi di Eduardo III mossero a conquistare la Francia.
    
    X. Seguì un periodo di cento e più anni, nel quale lo scopo precipuo
    degl'Inglesi fu quello di stabilire con la forza delle armi un
    grande impero sul continente. Il diritto di Eduardo al retaggio
    occupato dalla Casa di Valois era tale, da sembrare che dovesse poco
    muovere gl'interessi de' suoi sudditi. Ma lo amore delle conquiste
    di subito scese dal principe al popolo. Cotesta guerra differiva
    grandemente dalle guerre che i Plantageneti del secolo duodecimo
    avevano condotte contro i discendenti di Ugo Capeto: poichè la
    fortuna delle armi di Enrico II e di Riccardo I avrebbe resa la
    Inghilterra provincia della Francia; mentre lo effetto de' prosperi
    successi di Eduardo III e di Enrico V era quello di far della
    Francia, per alcun tempo, una provincia dell'Inghilterra. Lo spregio
    con che, nel secolo duodecimo, i conquistatori del continente
    avevano guardato gl'isolani, era adesso gettato dagli isolani su'
    popoli del continente. Ogni popolano, da Kent fino a Northumberland,
    reputavasi come individuo d'una razza nata alla vittoria e
    all'impero, e volgeva uno sguardo di scherno alla nazione innanzi
    alla quale i suoi antenati avevano tremato. Anche que' cavalieri di
    Guascogna e Guienna, i quali avevano valorosamente combattuto sotto
    il Principe Nero, venivano considerati dagl'Inglesi come uomini di
    classe inferiore, e quindi erano sprezzevolmente esclusi dai comandi
    lucrosi. Fra tempo non molto i nostri progenitori persero d'occhio
    il motivo principale della lotta. Principiarono a considerare la
    corona di Francia come un semplice appannaggio della corona
    d'Inghilterra; e allorchè, violando la legge ordinaria di
    successione, concessero lo scettro del reame inglese alla casa di
    Lancaster, e' pare che pensassero il diritto di Riccardo II alla
    corona di Francia essere naturalmente passato a quella casa. Lo zelo
    e vigore ch'essi mostrarono offre un notevole contrasto col torpore
    dei Francesi, ai quali l'esito di quella lotta era di assai più
    grave momento. Le armi inglesi a quei tempi riportarono le più
    grandi vittorie di cui si faccia ricordo negli annali del medio evo,
    contro nemici grandemente disuguali. Di certo erano vittorie di cui
    può con ragione gloriarsi un popolo; perocchè esse debbono
    ascriversi alla superiorità morale de' vincitori: superiorità che si
    mostrò assai più mirabile negl'infimi gradi delle milizie. I
    cavalieri d'Inghilterra trovarono degni rivali nei cavalieri di
    Francia. Chandos ebbe un nemico degno di sé nella persona di Du
    Guesclin. Ma la Francia non aveva fanti che osassero stare a petto
    degli arcieri ed alabardieri inglesi. Un re francese venne condotto
    prigioniero in Londra. Un re inglese fu incoronato in Parigi. Il
    vessillo di San Giorgio sventolò di là da' Pirenei e dalle Alpi.
    Sulle sponde meridionali dell'Ebro gl'Inglesi riportarono una grande
    vittoria, che per un tempo decise delle sorti di Leon e di
    Castiglia; e le compagnie Inglesi ottennero una formidabile
    preeminenza fra le bande de' guerrieri i quali ponevano le loro armi
    agli stipendi dei principi e delle repubbliche d'Italia.
    
    Né le arti della pace furono neglette da' nostri padri in quei
    torbidi tempi. Mentre la Francia pativa le devastazioni della
    guerra, fino a che trovò nella sua stessa desolazione una miserabile
    difesa contro gl'invasori, gl'Inglesi coltivavano i loro campi,
    ornavano le loro città, trafficavano e studiavano tranquilli e senza
    disturbi. Molti de' nostri monumenti architettonici appartengono a
    quell'epoca. Allora sorsero le splendide cappelle di New-College e
    di San Giorgio, la navata di Winchester e il coro di York, l'aguglia
    di Salisbury e le torri maestose di Lincoln. Una lingua abbondante e
    vigorosa, formata dalla mistura dell'idioma normanno-francese col
    germanico, era parlata egualmente dalla aristocrazia e dal popolo.
    Né passò molto tempo che il genio cominciò a servirsene per la
    manifestazione delle sue stupende creazioni. Mentre le milizie
    inglesi, lasciandosi addietro le devastate provincie della Francia,
    entravano trionfanti in Valladolid e spargevano il terrore fino alle
    porte di Firenze, i poeti inglesi dipingevano con vivi colori tutta
    la vasta varietà delle costumanze e delle fortune umane; e i
    pensatori inglesi aspiravano a indagare o ardivano dubitare, là dove
    i bacchettoni erano stati satisfatti ad ammirare o a credere. L'età
    stessa che produsse il Principe Nero e Derby, Chandos e Hawkwood,
    generò parimente Goffredo Chaucer e Giovanni Vicleffo.
    
    Con modo sì splendido e imperatorio, il popolo inglese, propriamente
    detto, prese posto fra le nazioni del mondo. Nondimeno, mentre con
    diletto contempliamo gl'incliti pregi che adornavano i nostri
    antichi, non possiamo negare che il fine cui aspiravano era dannato
    e dalla onestà e dalla saggia politica, e che la sinistra fortuna
    che li costrinse, dopo una lunga e sanguinosa lotta, a deporre la
    speranza di stabilire un grande impero continentale, fu un vero bene
    sotto le sembianze di un disastro. Finalmente i Francesi si rifecero
    d'animo e di senno; e cominciarono ad opporre una vigorosa
    resistenza nazionale a' conquistatori stranieri. E da quel tempo, la
    destrezza dei capitani inglesi e il coraggio dei soldati loro,
    fortunatamente per l'umanità, tornarono vani. Dopo molti sforzi
    disperati, col cordoglio nell'animo, i nostri antenati rinunziarono
    alla conquista. Da quell'epoca in poi, nessun Governo inglese ha
    seriamente e fermamente fatto disegno di grandi conquiste sul
    Continente.
    
    Il popolo, egli è vero, seguitò a carezzare con orgoglio la
    rimembranza di Cressy, di Poitiers e d'Agincourt. Anche molti anni
    appresso tornava agevole accendergli il sangue ed ottenerne sussidii
    con la sola promessa di riprendere la impresa di Francia. Ma,
    avventuratamente, le forze del nostro paese sono state dirette a
    fini più degni; ed ormai nella storia del genere umano occupa un
    posto assai più glorioso di quello che terrebbe qualora avesse
    acquistato, siccome un tempo era parso probabile, per mezzo della
    spada una supremazia simile a quella che in antico conseguì la
    repubblica romana.
    
    XI. Rinchiuso di nuovo dentro i confini dell'isola, il bellicoso
    popolo adoperò ne' civili conflitti le armi che erano già state il
    terrore dell'Europa. I Baroni avevano per lungo tempo derivati dalle
    oppresse provincie francesi i mezzi di satisfare al loro prodigo
    spendere. Quelle sorgenti di pecunia poi disseccaronsi; e rimanendo
    tuttavia le abitudini d'ostentazione e di lusso generate dalla
    prosperità, i grandi signori, impotenti ad appagare i loro appetiti
    depredando i Francesi, si misero a depredarsi vicendevolmente. Il
    reame, dentro il quale erano rinchiusi, secondo che afferma Comino,
    che è il più giudizioso osservatore di que' tempi, non era bastevole
    a tutti. Due fazioni aristocratiche, capitanate da due rami della
    famiglia reale, accesero una feroce e lunga lotta per recarsi in
    mano il governo dello Stato. E poichè l'astio di tali fazioni non
    nasceva veramente da contesa intorno alla successione, durò lungo
    tempo dopo che ogni pretesto intorno alla successione era svanito.
    La parte della Rosa Rossa sopravvisse all'ultimo de' principi che
    volevano il trono per diritto di Enrico IV. La parte della Rosa
    Bianca sopravvisse al matrimonio di Richmond e di Elisabetta.
    Lasciati senza capo che avesse alcuna onesta apparenza di diritto, i
    partigiani di Lancaster si collegarono intorno a un ramo di
    bastardi, e i partigiani di York misero su una successione
    d'impostori. Caduti sul campo di battaglia o sotto la scure del
    carnefice molti nobili aspiranti, scomparse per sempre dalla storia
    molte famiglie illustri, dome dalle sciagure le grandi casate che
    rimanevano, universalmente convennero a riconoscere ricongiunti
    nella casa de' Tudors i diritti di tutti i contendenti Plantageneti.
    
    XII. Intanto maturavasi un avvenimento di assai maggiore importanza
    che non era l'acquisto o la perdita d'una provincia, lo innalzamento
    o la caduta d'una dinastia. La schiavitù, e i mali che
    l'accompagnano, andavano speditamente estinguendosi.
    
    È cosa degna di nota, come le due più grandi e benefiche rivoluzioni
    sociali che seguissero in Inghilterra; la rivoluzione, cioè, che nel
    secolo decimoterzo pose fine alla tirannia di nazione sopra nazione;
    e quella che, poche generazioni dopo, rapì di mano all'uomo il
    diritto di possedere l'uomo; chetamente e impercettibilmente si
    effettuassero. Non destando maraviglia nelle menti degli osservatori
    contemporanei, esse sono state pochissimo avvertite dagli storici.
    Non vennero eseguite né da atti legislativi né dalla forza fisica.
    Cagioni puramente morali fecero senza rumore svanire ogni
    distinzione, dapprima tra Normanni e Sassoni, poscia tra schiavi e
    padroni. Nessuno potrebbe presumere di determinare il tempo preciso
    in cui siffatta distinzione cessava. Qualche debole vestigio del
    vecchio spirito normanno si potrebbe forse ravvisare nel secolo
    decimoquarto; qualche lieve vestigio dell'istituzione del
    villanaggio hanno scoperto gli eruditi nell'epoca degli Stuardi: che
    anzi, tale istituzione fino ai di nostri non è stata abolita con
    legge particolare.
    
    XIII. Sarebbe ingiusto non riconoscere che lo agente precipuo di
    queste due grandi emancipazioni fosse la religione; e potrebbe forse
    dubitarsi che una religione più pura sarebbe stata una causa meno
    efficiente. Lo spirito benevolo della morale cristiana repugna,
    fuori d'ogni dubbio, alle distinzioni di casta; ma siffatte
    distinzioni sono segnatamente odiose alla Chiesa di Roma, come
    quelle che sono incompatibili con altre distinzioni essenziali al
    suo sistema. Ella veste i suoi sacerdoti d'una dignità misteriosa
    che li fa reverendi ad ogni laico; e non considera qualsiasi uomo
    inetto al sacerdozio per ragioni di nazione o di famiglia. Le sue
    dottrine concernenti il carattere sacerdotale, per quanto si
    vogliano reputare fallaci, hanno più volte mitigati non pochi dei
    mali che affliggono la società. Non può riguardarsi come
    assolutamente nociva quella superstizione, la quale in paesi
    afflitti dalla tirannia di razza sopra razza crea una aristocrazia
    affatto indipendente da ogni razza, inverte le relazioni fra
    l'oppressore e l'oppresso, e costringe il signore ereditario a
    prostrarsi innanzi al tribunale spirituale dello schiavo ereditario.
    Ai dì nostri, in alcuni paesi dove esiste la schiavitù de' negri, il
    papismo contrasta vantaggiosamente con le altre forme del
    Cristianesimo. È noto come la repugnanza tra le razze europee e le
    affricane non è tanto forte a Rio Janeiro, quanto a Washington.
    Nella nostra patria, questa peculiarità del sistema cattolico-romano
    produsse nel medio evo molti benefici effetti. Vero è che, poco dopo
    la battaglia di Hastings, i prelati e gli abati sassoni vennero
    violentemente deposti, e che avventurieri ecclesiastici venuti dal
    Continente furono intrusi a centinaia nei più pingui beneficii.
    Nonostante, anche allora pii teologi di sangue normanno alzavano la
    voce contro siffatta violazione degli statuti della Chiesa,
    ricusavano d'accettare le mitre dalle mani del Conquistatore, e gli
    ripetevano, minacciandogli la dannazione dell'anima, di non
    dimenticare che i vinti isolani erano suoi fratelli in Cristo. Il
    primo protettore che gl'Inglesi trovassero fra la casta dominante,
    fu lo arcivescovo Anselmo. In un tempo in cui il nome inglese era un
    rimprovero, e tutti i dignitari civili e militari del regno erano
    esclusivamente concittadini del Conquistatore, il popolo oppresso
    ricevè con ineffabile diletto la nuova che Niccola Breakspear, uomo
    della loro nazione, era stato innalzato al trono papale, dall'alto
    del quale aveva steso il suo piede al bacio degli ambasciatori
    uscenti dalle più nobili famiglie normanne. Egli era un sentimento
    nazionale, non che religioso, quello che conduceva le moltitudini
    all'altare di Becket, il primo inglese che, dopo la Conquista, fosse
    formidabile ai tiranni stranieri. Un successore di Becket era
    principale fra coloro che ottennero quella Carta, la quale assicurò
    a un tempo i privilegi de' baroni normanni e quelli della borghesia
    sassone. Quanto grande fosse l'opera con che gli ecclesiastici
    cattolici poscia parteciparono alla abolizione del villanaggio, lo
    raccogliamo dalla veneranda testimonianza di sir Tommaso Smith, uno
    de' più savi consiglieri protestanti di Elisabetta. Allorquando il
    possessore di schiavi dal suo letto di morte chiedeva il conforto
    de' sacramenti, il sacerdote esortavalo per la salute dell'anima ad
    emancipare i suoi fratelli redenti dalla morte di Cristo. La Chiesa
    aveva con tanto buon esito adoperata una macchina sì formidabile,
    che, innanzi lo scoppio della Riforma, aveva francati quasi tutti
    gli schiavi del regno, tranne i i suoi propri, i quali, a sua giusta
    lode, sembra che venissero benevolmente governati.
    
    Non vi può esser dubbio che allorquando le due predette grandi
    rivoluzioni seguirono, i nostri antenati erano di gran lunga il
    popolo meglio governato in Europa. Per trecento anni il sistema
    sociale è sempre stato in continua via di progresso. Sotto i primi
    Plantageneti vi furono padroni così potenti da sfidare l'autorità
    del sovrano, e contadini degradati fino alla condizione degli
    armenti, di cui erano guardiani. La condizione del contadino si è
    venuta a poco a poco elevando; fra l'aristocrazia e il popolo degli
    operai è sorta una classe media, agricola e commerciale. È probabile
    che tuttavia vi fosse più ineguaglianza di quella che sia necessaria
    a promuovere la felicità e la virtù della specie umana; ma nessun
    uomo era affatto al di sopra della legge, nessun uomo reputavasi
    onninamente al di sotto della protezione di quella.
    
    Che le istituzioni politiche dell'Inghilterra fossero fino da
    quell'epoca riguardate dagl'Inglesi con orgoglio ed affetto, e dagli
    uomini più culti delle vicine nazioni con ammirazione ed invidia, è
    cosa evidentissimamente provata. Ma nel giudicare l'indole di
    cosiffatte istituzioni, le numerose controversie sono state rapide e
    disoneste.
    
    XIV. La letteratura storica d'Inghilterra, a dir vero, patì gli
    effetti di una circostanza, la quale ha contribuito non poco alla
    sua prosperità. Il grande mutamento che nella sua politica si è
    venuto operando negli ultimi sei secoli, è stato la conseguenza
    d'uno sviluppo progressivo; non mai del distruggere e del
    riedificare. La Costituzione presente del nostro paese è verso la
    Costituzione con la quale reggevasi cinquecento anni fa, ciò che
    l'albero è verso l'arbusto, ciò che l'uomo è verso il fanciullo. Le
    sue variazioni sono state grandi; nondimeno, non vi fu mai un
    momento in cui la parte principale di ciò che esisteva non fosse
    antica. Una politica formatasi in tal modo è forza che abbondi di
    anomalie. Ma per i danni che sorgono dalle semplici anomalie,
    abbiamo ampie compensazioni. Altri Stati possiedono Costituzioni
    scritte, belle di maggior simmetria; ma a nessuna altra società è
    finora venuto fatto di armonizzare la rivoluzione con la
    prescrizione, il progresso con la stabilità, l'energia della
    giovinezza con la maestà d'un'antichità immemorabile.
    
    Non per tanto, cotesto gran bene ha seco parecchi inconvenienti; uno
    de' quali sta in questo, che le fonti delle nostre nozioni, in
    quanto alla nostra antica storia, sono state avvelenate dallo
    spirito di parte. Non essendovi paese in cui, come in Inghilterra,
    gli uomini di Stato si siano lasciati tanto trascinare dalla
    influenza del passato, così non vi è paese in cui gli storici si
    siano lasciati, come i nostri, condurre dall'influenza del presente.
    A vero dire, fra queste due cose è naturale connessione. Dove la
    storia viene considerata semplicemente come una pittura della vita e
    de' costumi, come una raccolta di esperimenti da cui si possano
    trarre massime generali di sapienza civile, lo scrittore non è
    grandemente soggetto alla tentazione di rappresentare sfigurati i
    fatti seguiti in un'epoca che non è la sua: ma dove la storia viene
    considerata come un santuario in cui si custodiscono i titoli dai
    quali pendono i diritti de' governi e delle nazioni, gl'incentivi a
    falsificare i fatti diventano pressochè irresistibili. Uno scrittore
    francese oggimai non è mosso da nessun potente interesse ad
    esagerare o a spregiare la potenza de' re della casa di Valois. I
    privilegii degli Stati Generali, degli Stati della Bretagna, degli
    Stati della Borgogna, sono oramai cose di piccola importanza
    pratica, come lo sarebbe la Costituzione del Sinedrio Giudaico o del
    Consiglio degli Anfizioni. L'abisso d'una grande rivoluzione divide
    compiutamente il nuovo dal vecchio sistema. Nessuno abisso
    simigliante divide in due parti distinte la esistenza della nazione
    inglese. Le leggi e le consuetudini nostre non sono state mai
    trascinate dall'impeto d'una generale e irreparabile rovina. Presso
    noi l'autorità del medio evo è tuttavia autorità valida, e viene
    tuttavia citata, nelle più gravi occasioni, da' più eminenti uomini
    di Stato. Diffatti, allorchè il re Giorgio III cadde in quella
    infermità che lo rese incapace di esercitare le regie funzioni, e i
    più insigni giureconsulti ed uomini politici opinavano diversamente
    intorno al partito da prendersi in cosiffatte circostanze, il
    Parlamento non volle procedere alla discussione di nessun progetto
    di reggenza, finchè non fossero stati raccolti e posti in ordine
    tutti gli esempi reperibili nei nostri annali fino dai primissimi
    tempi della monarchia. Si elessero Commissioni per frugare negli
    antichi ricordi del regno. Il primo esempio trovato fu quello del
    1217; furono considerati come importantissimi gli esempi del 1326,
    del 1377 e del 1422; ma il caso che venne giudicato come argomento
    atto a sciogliere la questione fu quello del 1455. In tal guisa,
    nella patria nostra, i più solenni interessi de' partiti si sono
    appoggiati su' resultamenti delle investigazioni degli antiquari; e
    fu conseguenza inevitabile che i nostri antiquari eseguissero le
    investigazioni loro mossi dallo spirito di parte.
    
    E però non è maraviglia che coloro i quali hanno scritto intorno a'
    limiti della prerogativa e alla libertà della vecchia politica
    d'Inghilterra, si siano generalmente mostrati non giudici, ma
    rabbiosi e poco sinceri avvocati, come quelli che discutevano non di
    cose speculative, ma di cose che avevano relazione diretta e pratica
    con le più gravi e calde dispute de' tempi loro. Dal cominciare
    della lunga lotta fra il Parlamento e gli Stuardi, fino al tempo in
    cui le pretese degli Stuardi più non furono formidabili, poche
    questioni erano più praticamente importanti di quella nella quale
    trattavasi di stabilire se il governo, così come era stato da quelli
    amministrato, fosse o no conforme all'antica Costituzione del reame.
    La questione non potevasi sciogliere soltanto giusta gli esempi
    tratti da ricordi de' regni precedenti. Bracton e Fleta, lo
    Specchietto di giustizia, gli atti del Parlamento, vennero
    studiosamente frugati, onde trovare pretesti ad attenuare gli
    eccessi della Camera Stellata da un canto, e dell'Alta Corte di
    giustizia dall'altro. Per lungo ordine d'anni, ogni storico Whig
    affaccendossi a provare che l'antico governo inglese era poco meno
    che repubblicano, ed ogni storico Tory voleva stabilire che esso era
    poco meno che dispotico.
    
    Animati da tali sentimenti, entrambi frugavano dentro i cronisti del
    medio evo; entrambi trovavano agevolmente ciò che andavano cercando;
    e tutti ostinavansi a non vedervi altro che le cose di cui correvano
    in traccia. I difensori degli Stuardi potevano di leggieri addurre
    esempi di re che avevano oppressi i sudditi; i difensori delle
    Teste-Rotonde potevano con uguale agevolezza produrre esempi di
    resistenza, opposta con buon esito, alla corona.
    
    I Tories citavano da antiche scritture espressioni servili tanto,
    quanto quelle che si udivano pronunziare dal pulpito di Mainwaring.
    I Whigs scoprivano espressioni audaci e severe come quelle che
    Bradshaw faceva risuonare dal banco de' giudici. Gli uni adducevano
    numerosi esempi in cui i re avevano estorti danari da' popoli senza
    l'autorità del Parlamento; gli altri citavano casi ne' quali il
    Parlamento aveva assunto il potere di punire i re. Coloro che
    vedevano mezza la verità della questione, avrebbero voluto
    concludere che i Plantageneti erano stati assoluti come i sultani di
    Turchia; coloro che ne vedevano l'altra metà, avrebbero voluto
    concludere che i Plantageneti avevano avuto tanto poco potere,
    quanto ne avevano i dogi di Venezia: ed ambedue coteste conclusioni
    aberravano egualmente discoste dal vero.
    
    XV. Il vecchio governo inglese apparteneva alla classe delle
    monarchie limitate, che nel medio evo sorsero nell'Europa
    Occidentale; e non ostante che l'una dall'altra differissero non
    poco, avevano tutte una forte somiglianza di famiglia. Che vi sia
    stata cotal somiglianza, non è cosa strana; perocchè i paesi in cui
    sorsero quelle monarchie erano già provincia del medesimo impero
    grande e incivilito, ed erano stati invasi e conquistati da'
    medesimi popoli rozzi ed agguerriti. Erano vincolati dalla stessa
    credenza religiosa, e congiunti in una medesima grande coalizione
    contro l'Islamismo. Il loro ordinamento politico quindi prese
    naturalmente la medesima forma, dacchè le loro istituzioni in parte
    erano derivate da Roma imperiale, in parte da Roma papale, in parte
    dalla antica Germania. Tutti avevano re, e presso tutti la dignità
    regia divenne a poco a poco strettamente ereditaria. Tutti avevano
    nobili, decorati di titoli che in origine indicavano il grado
    militare. La dignità della cavalleria e le regole del blasone erano
    comuni a tutti. Tutti avevano stabilimenti ecclesiastici riccamente
    dotati, corporazioni municipali godenti larghe franchigie, e senati
    il cui consenso era necessario alla validità di certi atti pubblici.
    
    XVI. Di tutte coteste Costituzioni affini, la inglese venne fin
    d'allora giudicata la migliore. Non è dubbio che le prerogative del
    sovrano fossero estese. Lo spirito religioso e il cavalleresco
    concorrevano ad esaltarne la dignità. L'olio sacro era stato sparso
    sul suo capo; e i cavalieri più nobili e più valorosi non si
    reputavano degradati inginocchiandoglisi dinanzi. La sua persona era
    inviolabile; egli solo aveva diritto di convocare gli Stati del
    Regno e di disciorli; e il suo assenso era indispensabile a tutti i
    loro atti legislativi. Egli era il capo del potere esecutivo, il
    solo organo di comunicazione co' potentati stranieri, il comandante
    delle milizie di terra e di mare, la sorgente d'onde emanavano la
    giustizia, la grazia e l'onorificenza. Aveva estesi poteri per
    regolare il commercio: coniava la moneta, determinava i pesi e le
    misure, stabiliva i porti e i mercati. Il suo patronato
    ecclesiastico era immenso; le sue rendite ereditarie, amministrate
    economicamente, bastavano a sostenere le spese ordinarie del
    governo. Vastissimi erano i suoi propri possedimenti: egli era anzi
    signore feudale di tutto il suolo del suo regno, e come tale
    possedeva numerosi diritti lucrativi e formidabili, per mezzo de'
    quali egli poteva domare coloro che gli erano avversi, arricchire e
    far grandi, senza suo detrimento, coloro che gli erano bene affetti.
    
    XVII. Ma il suo potere, quantunque ingente, era limitato da tre
    grandi principii costituzionali; cotanto antichi, che nessuno poteva
    indicare il tempo in cui cominciarono ad esistere; e talmente
    potenti, che il loro naturale sviluppo, continuato per lungo ordine
    d'anni, ha prodotto le condizioni politiche nelle quali oggimai
    l'Inghilterra si trova.
    
    Primamente, il re non poteva fare legge alcuna senza il consenso del
    Parlamento.
    
    In secondo luogo, non poteva imporre tasse senza il consenso del
    Parlamento.
    
    Da ultimo, egli era tenuto a condurre l'amministrazione esecutiva
    secondo le leggi del paese, della violazione delle quali dovevano
    rispondere al popolo i consiglieri e gli agenti del principe.
    
    Nessun Tory, purchè fosse sincero, potrebbe negare che cotesti
    principii avevano, cinquecento anni fa, acquistato autorità di
    regole fondamentali. Dall'altro canto, nessun Whig, egualmente
    schietto, potrebbe affermare che essi fossero, fino ad una epoca più
    tarda, purificati d'ogni ambiguità, o spinti fino a tutte le loro
    naturali conseguenze. Una Costituzione nata nel medio evo non era,
    come una Costituzione del decimottavo o decimonono secolo, creata
    intieramente in un solo atto, e rinchiusa in un solo documento. Egli
    è soltanto in un'età culta ed incivilita che la politica può
    istituirsi sopra un sistema. Nelle società rozze il progresso del
    governo somiglia al progresso del linguaggio e della versificazione.
    Le società rozze hanno una lingua, e spesso copiosa ed energica; ma
    non hanno grammatica scientifica, non definizioni di nomi e di
    verbi, non vocaboli per le declinazioni, pei modi, pei tempi. Le
    rozze società hanno una versificazione, e spesso vigorosa ed
    armonica; ma non hanno leggi di ritmo; e il menestrello, i canti del
    quale, armonizzati dalla sola squisitezza dell'udito, formano il
    diletto de' popoli, non saprebbe spiegare di quanti dattili o
    trochei consti ciascuno de' suoi versi.
    
    Come la eloquenza esiste innanzi la sintassi e il canto innanzi la
    prosodia, così il governo può esistere in grado d'eccellenza lungo
    tempo avanti che i limiti de' poteri legislativo, esecutivo e
    giudiciario, vengano segnati con precisione.
    
    XVIII. E ciò appunto è seguito nel nostro paese. La linea che
    circoscriveva la regia prerogativa, tuttochè, generalmente parlando,
    fosse abbastanza chiara, non era stata in ogni parte tirata con
    accuratezza o precisione. E però, sull'orlo del terreno assegnatole
    vi era qualche spazio disputabile, dove seguitarono a succedere
    invasioni e rappresaglie, finchè, dopo anni ed anni di lotta, furono
    stabiliti segni evidenti e durabili. Sarebbe pregio dell'opera
    notare in che modo, e fino a qual punto, i nostri antichi sovrani
    avessero l'abitudine di violare i tre grandi principii che
    proteggevano le libertà nazionali.
    
    Nessuno de' re d'Inghilterra ha mai preteso arrogarsi tutto il
    potere legislativo. Il più violento dei Plantageneti non si reputò
    mai competente a decretare, senza il consentimento del suo Gran
    Consiglio, che un giury si dovesse comporre di dieci individui
    invece di dodici, che la dote d'una vedova dovesse essere la quarta
    parte del patrimonio invece della terza, che lo spergiuro dovesse
    reputarsi delitto di fellonia, e che la consuetudine di dividere gli
    averi in parti uguali fra i maschi d'una famiglia dovesse introdursi
    nella contea di York(6). Ma il re aveva il potere di perdonare i
    colpevoli; e vi è un punto in cui il potere di perdonare e quello di
    far leggi sembrano di leggeri confondersi fra loro. Uno statuto
    penale viene virtualmente annullato, se le penalità che esso impone
    sono regolarmente rimesse ogni qualvolta vi è luogo ad applicarle.
    Il sovrano, senza alcun dubbio, era competente a condonare le
    punizioni, e in ciò il suo diritto non aveva limiti; e per tal
    ragione, egli poteva annullare virtualmente uno statuto penale.
    Sembrerebbe che non vi fossero serie obiezioni a lasciargli fare
    formalmente ciò che virtualmente poteva fare. In tal guisa, con
    l'aiuto di giureconsulti sottili e cortigiani, formossi, sul confine
    dubbio che separa le funzioni legislative dalle esecutive, quella
    grande anomalia che chiamasi potestà di dispensare.
    
    Che il re non potesse imporre tasse senza il consenso del
    Parlamento, generalmente si ammette essere stata, da tempo
    immemorabile, legge fondamentale della monarchia inglese. Era uno
    degli articoli che i Baroni costrinsero il re Giovanni a firmare.
    Eduardo I tentò di violare quella legge; ma, nonostante che fosse
    uomo destro, potente e popolare, trovò tale opposizione che gli
    parve utile di cedere. Promise quindi in termini espressi, a nome di
    sè e de' suoi eredi, che nessuno di loro avrebbe mai imposto
    balzelli di veruna specie senza l'assenso e la libera volontà degli
    Stati del regno. Il suo potente e vittorioso nipote provossi di
    infrangere cotesto patto solenne; ma trovò validissima resistenza.
    Finalmente, i Plantageneti, disperati di riuscirvi, rinunziarono a
    cotali pretese. Ma, comecchè fossero avvezzi ad infrangere la legge
    apertamente, studiaronsi, secondo le occasioni, eludendola, di
    estorcere temporaneamente delle somme straordinarie. Era loro
    inibito di imporre tasse, ma reclamarono il diritto di chiedere e di
    tôrre in prestito. E però talvolta chiesero con un linguaggio tale,
    da non distinguersi dall'espressione di un comando; e tal'altra
    tolsero in prestito con poco pensiero di rendere. Ma il solo fatto
    di stimar necessario il mascherare simiglianti esazioni sotto nome
    di donativi o di prestiti, prova a sufficienza che l'autorità del
    gran principio costituzionale era universalmente riconosciuta.
    
    Il principio che il re d'Inghilterra era tenuto a condurre
    l'amministrazione secondo la legge, e che qualora egli facesse
    alcuna cosa contro la legge, i suoi consiglieri ed agenti erano
    responsabili, fu stabilito ne' tempi primitivi della Costituzione;
    come ne sono prova bastevole i severi giudizi pronunziati ed
    eseguiti contro molti favoriti del principe. Non per tanto, gli è
    certo che i diritti degli individui vennero spesso violati dai
    Plantageneti, e che le parti offese spesso furono nella
    impossibilità di ottenere giustizia. Secondo la legge, la tortura,
    che è una macchia della romana giurisprudenza, non poteva, in nessun
    caso, essere inflitta ad un suddito inglese. Nondimeno, nelle
    turbolenze del secolo decimoquinto, la tortura venne introdotta
    nella Torre di Londra, e, secondo le occasioni, se ne faceva uso
    sotto pretesto di necessità politica. Ma sarebbe grave errore
    inferire da siffatte irregolarità, che i monarchi d'Inghilterra
    fossero, in teoria o in pratica, assoluti. Noi viviamo in una
    società altamente incivilita, in cui le nuove sono così rapidamente
    propagate per mezzo della stampa e degli uffici postali, che ogni
    qualunque atto notorio d'oppressione commesso in qualunque parte
    della nostra isola viene, in poche ore, discusso da milioni
    d'uomini. Se un sovrano inglese facesse oggimai murar vivo dentro
    una parete un suddito, in aperta violazione dell'Habeas corpus, o
    mettere un cospiratore alla tortura, tal nuova elettrizzerebbe in un
    attimo l'intiera nazione.
    
    Nel medio evo le condizioni della società erano grandemente diverse.
    Rade volte e con molta difficoltà i torti fatti agli individui
    pervenivano a cognizione del pubblico. Un uomo poteva illegalmente
    essere confinato per molti mesi nel castello di Carlisle e di
    Norwich, senza che nè anche un bisbiglio della cosa arrivasse in
    Londra. È molto probabile che la tortura fosse stata in uso molti
    anni innanzi che la gran maggioranza della nazione ne concepisse il
    minimo sospetto. Nè i nostri antichi erano in nessun modo così
    gelosi, come siamo noi, dell'importanza di osservare le grandi
    regole generali. L'esperienza ci ha insegnato che non possiamo senza
    pericolo patire che passi in silenzio la minima violazione dello
    Statuto. E perciò ormai universalmente si pensa che un governo il
    quale senza necessità ecceda i suoi poteri, debba essere colpito di
    severa censura parlamentare; e che un governo, il quale, spinto da
    una grande urgenza e da intenzioni pure, ecceda i suoi poteri, debba
    senza indugio rivolgersi al Parlamento per un atto d'indennità. Ma
    non era tale il sentire degl'Inglesi de' secoli decimoquarto e
    decimoquinto. Essi erano poco disposti a contendere per un principio
    semplicemente come principio, ed a biasimare una irregolarità che
    non era reputata atto d'oppressione. Finchè lo spirito generale del
    governo mantenevasi mite e popolare, erano proni ad accordare
    qualche latitudine alle azioni del loro sovrano. Se per uno scopo
    che si reputasse sommamente lodevole, egli faceva uso di un vigore
    che travarcava i confini segnati dalla legge, essi non solo gli
    perdonavano, ma lo applaudivano; e mentre godevano sicurezza e
    prosperità sotto il suo imperio, erano solleciti a credere che
    chiunque fosse incorso nella sua collera, ne era stato meritevole.
    Ma siffatta indulgenza aveva anche un limite; nè era savio quel
    principe che affidavasi sulla tolleranza del popolo inglese.
    Potevano talvolta concedergli ch'ei trapassasse la linea
    costituzionale; ma dal canto loro reclamavano il privilegio di
    trapassarla anch'essi tutte le volte che le sue usurpazioni erano
    tali da svegliare sospetto negli animi di tutti. Se, non contento di
    opprimere di quando in quando qualche individuo, osava opprimere le
    popolazioni, i suoi sudditi subitamente appellavansi alla legge; e
    riuscendo infruttuoso cotale appello, ricorrevano, senza mettere
    tempo in mezzo, al Dio delle battaglie.
    
    XIX. Potevano, a dir vero, tollerare in un re pochi eccessi;
    perocchè potevano sempre appigliarsi al partito di opporgli un
    ostacolo, che tosto conducesse alla ragione il più fiero e superbo
    dei principi, - l'ostacolo della forza fisica. Torna difficile ad un
    inglese del secolo decimonono immaginare la facilità e prestezza con
    che, quattrocento anni fa, tale specie d'ostacolo operasse.
    Oggigiorno i popoli sono disavvezzi dall'uso delle armi; l'arte
    della guerra è stata condotta ad una perfezione ignota ai nostri
    antenati, la conoscenza della quale è circoscritta in una classe
    peculiare d'individui. Centomila soldati, ben disciplinati e guidati
    da esperti capitani, bastano a domare parecchi milioni d'artigiani e
    di contadini. Pochi reggimenti di milizie cittadine servono ad
    impaurire ed attutire gli spiriti di una vasta metropoli. Frattanto,
    lo effetto del continuo progresso della ricchezza è stato quello di
    rendere la insurrezione più temibile di quello che sia la cattiva
    amministrazione. Immense somme sono state spese in opere che, nel
    caso di uno scoppio repentino di ribellione, potrebbero tra poche
    ore reprimerla. La massa della ricchezza mobile cumulata nelle
    botteghe e ne' magazzini di Londra, da sè sola sorpassa cinquecento
    volte quella che tutta l'isola conteneva ne' giorni dei
    Plantageneti; e se il governo venisse rovesciato dalla forza
    materiale, tutta cotesta ricchezza mobile sarebbe esposta
    all'imminente rischio di spoliazione e di distruzione. Sarebbe anche
    maggiore il pericolo del credito pubblico, da cui direttamente
    dipende la sussistenza di migliaia di famiglie, ed a cui
    inseparabilmente va connesso il credito di tutto il mondo
    commerciale. Non sarebbe esagerazione affermare, che una settimana
    di guerra civile in Inghilterra oggidì produrrebbe tali disastri,
    che i suoi effetti, facendosi sentire da Hoangho fino al Missouri,
    si riconoscerebbero per il corso d'un secolo. In simili condizioni
    sociali, è d'uopo considerare la resistenza come un sistema di cura
    più disperata di qualunque infermità potesse affliggere lo Stato.
    
    Nel medio evo, all'incontro, la resistenza era un rimedio ordinario
    ai mali politici; rimedio che era sempre pronto, e comunque di certo
    fosse amaro in sul momento, non produceva profonde e durevoli
    conseguenze sinistre. Se un capopopolo alzava il proprio vessillo
    per la causa del popolo, in un solo giorno poteva raccogliere una
    armata irregolare; dacchè di regolari non ve n'era nessuna. Ciascun
    uomo aveva una certa conoscenza della professione del soldato, ma
    null'altro più che una leggiera conoscenza. La ricchezza nazionale
    consisteva principalmente in greggi ed armenti, nelle ricolte
    dell'anno, e nelle semplici abitazioni dentro le quali s'annidavano
    le genti. Tutte le masserizie, gli arnesi delle botteghe, le
    macchine reperibili nel reame, erano di minor valore di quello che
    sia ciò che qualche parrocchia dei giorni nostri contiene. Le
    manifatture erano rozze, il credito quasi nullo. La società quindi
    si riaveva dal colpo, subito appena cessato il conflitto. Le
    calamità della guerra civile limitavansi alle stragi che seguivano
    nel campo di battaglia, ed a poche punizioni capitali o confische.
    In meno d'una settimana dopo, il contadino ripigliava il suo aratro,
    e il gentiluomo sollazzavasi a mandare in aria il falcone ne' campi
    di Towton, o di Bosworth, come se nessun evento straordinario fosse
    sopraggiunto ad interrompere il corso regolare della vita umana.
    
    Oramai sono trascorsi centosessanta anni, dacchè il popolo inglese
    rovesciò con forza il governo del paese. Ne' cento e sessanta anni
    che precessero la unione delle due Rose, regnarono in Inghilterra
    nove re, sei dei quali vennero cacciati dal trono, cinque vi
    perderono la corona e la vita. Per la quale cosa, egli è evidente
    che il paragonare la nostra politica antica alla moderna deve
    inevitabilmente condurre alle più erronee conclusioni, qualora non
    si conti per molto l'effetto di quelle restrizioni che la
    resistenza, o la paura della resistenza, imponeva sempre ai
    Plantageneti. E poichè i nostri antichi avevano contro la tirannide
    una importantissima guarentigia che a noi manca, potevano porre in
    non cale quelle tali guarentigie che noi stimiamo di grandissimo
    momento. Non potendo noi, senza il pericolo di danni da' quali
    rifugge la nostra immaginazione, adoperare la forza fisica come un
    ostacolo contro il mal governo, è per noi cosa evidentemente saggia
    essere gelosissimi di tutti i poteri costituzionali raffrenanti il
    mal governo; spiare scrupolosamente ogni principio d'usurpazione; e
    non patire mai che nessuna irregolarità, quand'anche fosse d'indole
    innocua, passi senza essere combattuta, ove non possa allegare a
    favor suo l'esempio di atti precedenti. Quattrocento anni indietro
    questa minuta vigilanza poteva non essere necessaria. Una nazione
    d'intrepidi arcieri e lancieri poteva, con poco periglio delle sue
    libertà, mostrarsi connivente a qualche atto illegale nella persona
    di un principe, del quale l'amministrazione fosse generalmente
    buona, e il trono non difeso nè anche da una compagnia di soldati
    regolari.
    
    Sotto tale sistema, comunque possa sembrare rozzo in paragone di
    quelle elaborate Costituzioni che sono sorte negli ultimi
    settant'anni, gl'Inglesi godevano ampia misura di libertà e
    felicità. Tuttochè sotto il debole regno di Enrico VI lo Stato fosse
    lacerato prima dalle fazioni e poscia dalla guerra civile; tuttochè
    Eduardo IV fosse principe d'indole dissoluta e superba; tuttochè
    Riccardo III venga generalmente rappresentato come mostro di
    scelleraggine; tuttochè le esazioni di Enrico VII gettassero il
    paese nella miseria; - egli è certo che gli avi nostri, sotto tali
    re, erano governati meglio de' Belgi sotto Filippo soprannominato il
    Buono, e de' Francesi sotto quel Luigi che veniva chiamato padre del
    popolo. Anche mentre le guerre delle Rose infuriavano, e' pare che
    il nostro paese sia stato in condizioni migliori che non erano i
    reami a noi vicini negli anni di pace profonda. Comino era uno dei
    più illuminati uomini di Stato de' tempi suoi. Aveva veduto le più
    ricche ed altamente civili regioni del continente; era vissuto nelle
    città opulente delle Fiandre, che possono chiamarsi le Manchester e
    le Liverpool del secolo decimoquinto; avea visitato Firenze, di
    fresco abbellita dalla magnificenza di Lorenzo de' Medici, e Venezia
    non ancora umiliata dalla Lega di Cambray. Questo uomo egregio
    scrisse deliberatamente, l'Inghilterra essere il paese meglio
    governato fra tutti quelli di cui egli avesse conoscenza; mostrò
    enfaticamente la Costituzione inglese come una cosa giusta e santa,
    la quale mentre proteggeva il popolo, rinvigoriva il braccio del
    principe che la rispettava. In nessun altro Stato, egli diceva, gli
    uomini erano tanto efficacemente guarentiti d'ogni torto. Le
    calamità originate dalle nostre guerre intestine gli sembravano
    toccare solo i nobili e i combattenti, e non lasciare vestigia
    simili a quelle che egli era avvezzo ad osservare altrove; non
    rovine di edifizi, non città spopolate.
    
    XX. E' non fu solo per la efficacia delle predette restrizioni,
    imposte alla prerogativa regia, che le sorti dell'Inghilterra
    procedessero più prospere di quelle degli Stati vicini. Una
    peculiarità di pari importanza, comunque meno avvertita, consisteva
    nella relazione tra i nobili e il popolo. Vi era una forte
    aristocrazia ereditaria, ma di tutte le aristocrazie ereditarie era
    la meno insolente ed esclusiva. Non aveva affatto l'invido carattere
    d'una casta. Riceveva nel proprio seno individui dell'ordine
    popolare; mandava individui dell'ordine proprio in seno de'
    popolani. Ogni gentiluomo poteva diventar Pari; il figlio più
    giovane di un Pari non era se non un semplice gentiluomo. I nipoti
    de' Pari lasciavano la precedenza a' cavalieri novellamente creati.
    La dignità di cavaliere non era inaccessibile a qualunque uomo il
    quale potesse per la diligenza e i guadagni formarsi uno stato, o
    farsi ammirare pel suo valore in una battaglia o in un assedio. La
    figlia di un duca, anche di un duca di sangue reale, non reputavasi
    degradata maritandosi a un distinto popolano. Difatti, sir Giovanni
    Howard sposò la figliuola di Tommaso Mowbray duca di Norfolk; sir
    Riccardo Pole sposò la contessa di Salisbury, figlia di Giorgio,
    duca di Clarence. Il sangue puro in verità era tenuto in pregio; ma
    tra il sangue puro e i privilegii della paría non eravi, a grande
    ventura della patria nostra, necessaria connessione. Le antiche
    genealogie, non meno che i vecchi blasoni, potevano trovarsi fuori e
    dentro della camera de' lordi. Eranvi uomini nuovi che discendevano
    da cavalieri che portavano i più alti titoli; v'erano uomini senza
    titoli, che avevano vinte le armi sassoni alla battaglia di
    Hastings, e scalate le mura di Gerusalemme. Vi erano Bohuns,
    Mowbrays, De Veres; eranvi parenti della famiglia dei Plantageneti,
    senza altro titolo che quello di scudiere (esquire), e senza altri
    privilegii che quelli che godeva ogni colono o padrone di bottega.
    Non v'era, dunque, tra noi limite simile a quello che in taluni
    paesi divideva l'uomo patrizio dal plebeo. Il popolano non aveva
    ragione di mormorare d'una dignità alla quale i suoi figli potevano
    elevarsi. Il signore non era tentato d'insultare una classe alla
    quale i suoi figli dovevano discendere.
    
    Dopo le guerre tra la casa di York e quella di Lancaster, gli anelli
    della catena che univa i nobili ai popolani, divennero più numerosi
    che mai. Fino a che punto la distruzione colpisse la vecchia
    aristocrazia, può dedursi da una sola circostanza. Nel 1451, Enrico
    VI chiamò al parlamento cinquantatré lordi secolari. I lordi
    secolari convocati da Enrico VII al parlamento del 1485, furono
    soltanto ventinove, de' quali ventinove parecchi erano stati di
    recente elevati alla paría. Nel corso del secolo susseguente, i pari
    vennero in gran numero scelti fra mezzo ai gentiluomini. La
    costituzione della Camera de' Comuni tendeva grandemente a
    promuovere la salutare mistura delle classi. Il cavaliere della
    contea era l'anello intermedio fra il barone e il trafficante. Sul
    medesimo banco su cui sedevano gli orefici e i droghieri, i quali
    erano stati mandati al Parlamento dalle città commerciali, sedevano
    parimente i membri che in qualunque altro paese sarebbero stati
    chiamati nobili, e lordi ereditarj, che avevano il diritto di tenere
    corti e portare arme, e potevano far risalire la loro discendenza a
    molte generazioni anteriori. Parecchi di loro erano figli cadetti e
    fratelli di grandi lordi; altri potevano perfino gloriarsi d'essere
    discendenti di sangue regale. Finalmente, il figlio maggiore di un
    conte di Bedford, insignito, per grazia, del secondo titolo del
    proprio genitore, si offerse come candidato nella Camera de' Comuni,
    e il suo esempio venne seguito da altri. Sedenti in quella Camera,
    gli eredi de' grandi del regno naturalmente divennero gelosi dei
    suoi privilegii, al pari del più umile borghese che sedeva loro
    accanto. In tal modo la nostra democrazia fu, sino da' primi tempi
    della costituzione, la più aristocratica, e la nostra aristocrazia
    la più democratica del mondo: peculiarità caratteristica che si è
    mantenuta fino ai dì nostri, e che si è fatta cagione
    d'importantissime conseguenze morali e politiche.
    
    XXI. Il governo di Enrico VII, di suo figlio e de' suoi nipoti, fu,
    generalmente considerandolo, più arbitrario di quello de'
    Plantageneti. Fino a un certo segno, la ragione di siffatta
    differenza si potrebbe trovare nel carattere personale di que'
    principi; poichè gli uomini egualmente che le donne della casa de'
    Tudors furono coraggiosissimi e forti. Esercitarono il potere per lo
    spazio di centoventi anni, sempre con vigore, spesso con violenza,
    talvolta con crudeltà. Imitando la dinastia che li aveva preceduti,
    di quando in quando invasero i diritti degli individui, riscossero
    tasse sotto nome di prestiti e di donativi, dispensarono le pene
    inflitte dalle leggi; e quantunque non presumessero mai di
    promulgare di propria autorità nessun decreto permanente, secondo
    l'occasione si arrogarono il diritto, quando il Parlamento non era
    in sessione, di far fronte con editti temporanei a' temporanei
    bisogni. Egli era, nondimeno, impossibile ai Tudors di opprimere il
    popolo al di là di certi limiti; poichè non avevano forza armata, ed
    erano circondati da un popolo armato. La reggia era guardata da
    pochi famigliari, che potevano essere agevolmente sconfitti dalla
    popolazione di una sola contea, o d'un solo quartiere della città di
    Londra. Cotesti principi alteri erano, dunque, soggetti ad un freno
    più forte d'ogni qualunque altro potesse essere loro imposto dalle
    semplici leggi; ad un freno che, a dir vero, non li impediva dal
    trattare arbitrariamente e perfino barbaramente un individuo, ma che
    efficacemente guarentiva il paese contro una generale e perpetua
    oppressione. Potevano impunemente essere tiranni dentro la propria
    corte, ma era loro necessario sorvegliare con perpetua ansietà il
    sentire della nazione. Enrico VIII, a modo d'esempio, non trovò
    ostacolo allorquando gli piacque di mandare Buckingham e Surrey,
    Anna Bolena e Lady Salisbury, al patibolo. Ma allorquando, senza
    l'assenso del Parlamento, chiese ai suoi sudditi una contribuzione
    che equivaleva a un sesto de' loro averi, gli fu forza ritirare la
    domanda. Il grido di migliaia e migliaia fu, che essi erano Inglesi
    e non Francesi, uomini liberi e non schiavi. In Kent i commissari
    regi fuggirono per salvare la vita; in Suffolk quattro mila uomini
    presero le armi e mostraronsi. In quella contea i luogotenenti del
    re invano si sforzarono di formare un esercito. Coloro che non
    parteciparono alla insurrezione, dichiararono di non volere, in quel
    litigio, combattere contro i loro fratelli. Enrico, superbo e
    caparbio com'egli era, si astenne, non senza ragione, d'impegnarsi
    in un conflitto con lo spirito desto della nazione. Gli stava
    dinanzi lo sguardo il fato de' suoi predecessori, che avevano
    perduta la vita in Berckeley e Pomfret. Non solo soppresse le sue
    illegali commissioni; non solo concesse un perdono generale a tutti
    i malcontenti; ma pubblicamente e solennemente fece una apologia, a
    giustificarsi d'avere infrante le leggi.
    
    La sua condotta, in tal occasione, sparge piena luce su tutta la
    politica della sua dinastia. Il carattere de' principi di quella
    casa era violento, il loro spirito altiero; ma essi intendevano
    l'indole della nazione sulla quale regnavano, e neanche una volta, a
    simiglianza de' loro predecessori e di taluni de' loro successori,
    condussero l'ostinatezza fino a un punto fatale. La discrezione de'
    Tudors era tale, che il loro potere, tuttochè venisse spesse volte
    avversato, non fu distrutto giammai. Il regno di ciascuno di loro fu
    disturbato da formidabili malumori; ma il governo riuscì sempre o a
    calmare gli ammutinati, o a soggiogarli e punirli. Talvolta, per
    mezzo di concessioni fatte in tempo debito, gli riuscì di schivare
    le ostilità interne; ma, generalmente parlando, stette fermo, e
    invocò l'aiuto della nazione. La nazione ubbidì alla chiamata, si
    affollò attorno al sovrano, e gli prestò man forte ad infrenare la
    minoranza malcontenta.
    
    In tal guisa, dall'epoca d'Enrico III fino a quella d'Elisabetta,
    l'Inghilterra crebbe e fiorì sotto una politica che conteneva il
    germe delle nostre istituzioni presenti, e la quale, benchè non
    fosse molto esattamente definita o molto esattamente osservata, fu
    nondimeno efficacemente impedita di degenerare in dispotismo, pel
    rispettoso timore che lo spirito e la forza de' governati incuteva
    ai governanti.
    
    Ma tale politica conviene solamente ad uno stadio peculiare nel
    progresso della società. Le stesse cagioni che producono la
    divisione del lavoro nelle arti pacifiche, è mestieri che in fine
    facciano della guerra una scienza ed un traffico a parte. Arriva il
    tempo in cui l'uso delle armi comincia ad occupare intieramente
    l'attenzione d'una classe di uomini. Subito dopo, chiaro si mostra
    che, i contadini e i borghesi, tuttochè valorosi, non valgono a
    resistere ai vecchi soldati, i quali spendono tutta la loro vita ad
    apparecchiarsi pel dì della battaglia, diventano, pel lungo uso,
    impavidi ai perigli delle armi, e si muovono con la precisione di
    una macchina. S'intende allora che la difesa delle nazioni non può
    più essere sanamente affidata a guerrieri tratti dall'aratro per una
    campagna di quaranta giorni. Se uno stato forma un grande esercito
    regolare, gli stati limitrofi è forza che ne imitino lo esempio, o
    si sottomettano al giogo straniero. Ma dove esiste un grande
    esercito regolare, la monarchia limitata, quale era nel medio evo,
    non può più esistere. Il sovrano si è già emancipato dal freno che
    restringeva il suo potere; ed inevitabilmente diventa assoluto,
    qualvolta non sia soggetto a limitazioni forti, che sarebbero
    superflue in una società in cui tutti sieno soldati secondo
    l'occasione, e nessuno permanentemente.
    
    XXII. Con siffatto pericolo vennero anche i mezzi di evitarlo. Nelle
    monarchie del medio evo, il potere della spada apparteneva al
    principe, ma il potere della borsa apparteneva alla nazione; e il
    progresso dell'incivilimento, come rese la spada del principe sempre
    più formidabile alla nazione, così rese la borsa della nazione
    sempre più necessaria al principe. Le sue rendite ereditarie non
    sarebbero più bastate né anche per le spese del governo civile. Fu
    all'atto impossibile che, senza un regolare e vasto sistema di
    tassazione, egli tenesse in continua efficienza un gran corpo di
    milizie disciplinate. La politica che le assemblee parlamentari di
    Europa avrebbero dovuto adottare, era quella di afforzarsi
    fermamente sul loro diritto costituzionale di concedere o rifiutare
    le imposte, e risolutamente negare la pecunia per mantenere le
    armate, finchè non si fossero stabilite ampie garanzie contro il
    dispotismo.
    
    Cotesta saggia politica fu adottata solamente nel nostro paese.
    Negli stati vicini formaronsi de' grandi stabilimenti militari,
    senza creare nuove difese a pro' della pubblica libertà; e la
    conseguenza fu questa, che le antiche istituzioni parlamentari si
    spensero dappertutto. In Francia, dove sempre erano state fiacche,
    languirono, e finalmente perirono di semplice debolezza. In Ispagna,
    dove erano state forti quanto in qualunque altro stato d'Europa,
    combatterono fieramente per la vita e per la morte, ma combatterono
    troppo tardi. Gli artigiani di Toledo e di Valladolid invano
    difesero i privilegi delle cortes castigliane contro le legioni de'
    veterani di Carlo V. Invano, nella susseguente generazione, i
    cittadini di Saragozza resistettero a Filippo II, onde difendere la
    vecchia costituzione d'Aragona. Uno dopo l'altro, i consigli
    nazionali delle monarchie continentali, consigli che un tempo erano
    quasi egualmente alteri e potenti che quelli di Westminster, caddero
    in maggiore impotenza. Se si adunavano, adunavansi unicamente come
    oggidì si aduna la nostra Convocazione Ecclesiastica, voglio dire
    per osservanza di alcune forme venerande.
    
    XXIII. In Inghilterra gli eventi ebbero un corso ben differente.
    Innanzi la fine del secolo decimoquinto, i grandi stabilimenti
    militari erano indispensabili alla dignità, ed anche alla salvezza
    delle monarchie Francese e Spagnuola. Se alcuna di queste due
    potenze si fosse disarmata, sarebbe stata subito dopo costretta a
    sottomettersi alla dittatura dell'altra. Ma l'Inghilterra, protetta
    dal mare contro la invasione, e rade volte implicata in imprese
    guerresche sul continente, non aveva peranche il bisogno di
    mantenere truppe regolari. I secoli decimosesto e decimosettimo la
    trovarono ancora priva d'un esercito stanziale. Sul principio del
    decimosettimo, la scienza politica aveva fatti considerevoli
    progressi. Le sorti delle cortes spagnuole e degli stati generali di
    Francia avevano dato un solenne ammonimento ai parlamenti nostri, i
    quali, comprendendo appieno la natura e la gravità del pericolo,
    adottarono in tempo opportuno un sistema di tattica, che, dopo una
    lotta continuata per tre generazioni, finalmente ottenne compiuto
    successo. Quasi ogni scrittore che ha trattato di quella lotta, si è
    studiato di mostrare che il suo proprio partito era quello che
    sforzavasi di serbare inalterata l'antica costituzione. Una legge
    superiore ad ogni umano sindacato, aveva dichiarato che non vi
    sarebbero stati mai più governi di quella classe peculiare, che ne'
    secoli decimoquarto e decimoquinto erano stati comuni a tutta
    l'Europa. La questione però non era di vedere se la nostra politica
    subirebbe un mutamento, ma di trovare di che natura dovesse essere
    siffatto mutamento. L'introduzione di una forza nuova e potente
    aveva turbato il vecchio equilibrio, ed aveva trasmutato, l'una dopo
    l'altra, le monarchie limitate in assolute. Ciò che è seguito negli
    altri Stati sarebbe senza dubbio seguito nel nostro, se la bilancia
    non fosse stata rimessa in equilibrio dal gran passaggio che fece il
    potere dalla Corona al Parlamento. I nostri principi erano pressochè
    giunti ad avere a' loro comandi quei mezzi di coercizione che non
    ebbero mai in poter loro i Plantageneti e i Tudors. Sarebbero
    inevitabilmente diventati despoti, se nel tempo medesimo non fossero
    stati posti sotto restrizioni, alle quali nessuno de' Plantageneti o
    dei Tudors fu mai sottomesso.
    
    XXIV. E' sembra certo però, che se non avesse operato alcun'altra
    cagione diversa dallo cagioni politiche, il secolo decimosettimo non
    sarebbe trascorso senza un feroce conflitto tra i nostri principi e
    i loro parlamenti. Ma bene altre cause assai più potenti cooperavano
    a produrre il medesimo effetto. Mentre il governo de' Tudors era nel
    suo maggior vigore, seguì un fatto che ha modificate le sorti di
    tutte le nazioni cristiane, ed in modo peculiare quelle della
    Inghilterra. Nel medio evo, due volte lo spirito dell'Europa erasi
    innalzato contro il dominio di Roma(7). La prima insurrezione eruppe
    dalla Francia Meridionale. La energia d'Innocenzo III, lo zelo degli
    Ordini, pur allora istituiti, da Francesco e da Domenico, e la
    ferocia de' Crociati, che il clero aveva lanciati addosso a un
    popolo pacifico, distrusse le chiese Albigesi. La seconda Riforma
    ebbe origine in Inghilterra, e si estese alla Boemia. Il Concilio di
    Costanza, ponendo freno a parecchi disordini ecclesiastici, che
    erano di scandalo alla Cristianità, e i principi europei, adoperando
    senza misericordia il ferro e il fuoco contro gli eretici, poterono
    fermare e rinculare quel movimento. Né ciò è da reputarsi un gran
    male. Le simpatíe di un protestante, egli è vero, saranno
    naturalmente a favore degli Albigesi e dei Lollardi. Nondimeno, un
    protestante illuminato e temperante inclinerà forse a dubitare che
    la vittoria degli Albigesi o dei Lollardi avrebbe, nello insieme,
    promosso la felicità e la virtù del genere umano. Per quanto
    corrotta fosse la Chiesa di Roma, abbiamo ragione di credere, che se
    ella fosse stata rovesciata nel duodecimo o anche nel
    quattordicesimo secolo, il suo posto sarebbe stato occupato da
    qualche altro sistema anco più corrotto. A quei tempi, nella maggior
    parte d'Europa era pochissima istruzione, la quale inoltre era
    ristretta dentro i limiti del solo clero. Un solo in cinquecento
    uomini laici sapeva intendere un salmo. I libri erano pochi e
    costavano molto. L'arte della stampa non era per anche inventata.
    Esemplari della Bibbia, per beltà e chiarezza inferiori a quelli che
    oggi possono trovarsi in ogni capanna, vendevansi a prezzi che molti
    de' preti non potevano pagare. Era impossibile che i laici
    studiassero da sè le Scritture. È quindi probabile che appena essi
    avessero scosso un giogo spirituale, se ne sarebbero recato un altro
    sul collo, e che il potere già esercitato dal clero e dalla Chiesa
    di Roma sarebbe passato nelle mani d'insegnatori molto più tristi.
    Il secolo decimosesto, in paragone degli antecedenti, era un'età di
    luce. Nonostante, anche in quel secolo stesso un numero
    considerevole di quelli uomini i quali avevano abbandonata la
    vecchia religione, si traevano dietro al primo che, ispirando loro
    fiducia, ponevasi a guida, e li trascinava in errori molto più gravi
    di quelli cui essi avevano rinunciato. Così a Matthias e
    Kniperdoling, apostoli di lussuria, di ladroneccio e d'assassinio,
    venne fatto di padroneggiare per qualche tempo parecchie grandi
    città. In una età più buia tali falsi profeti avrebbero potuto
    fondare imperi; e la Cristianità avrebbe potuto essere traviata in
    una crudele e licenziosa superstizione, più nociva non solo del
    papato, ma dello stesso islamismo.
    
    Circa cento anni dopo il Concilio di Costanza, s'iniziò quel gran
    fatto che, enfaticamente, chiamarono la Riforma. La pienezza dei
    tempi era giunta. Il clero non era più oltre il solo e precipuo
    custode del sapere. La invenzione della stampa aveva armato il
    braccio degli avversanti la Chiesa d'un'arma di cui difettavano i
    loro predecessori. Lo studio degli antichi scrittori, il rapido
    sviluppo delle lingue moderne, l'operosità insolita con che gli
    intelletti agitavansi in ogni ramo di letteratura, le condizioni
    politiche dell'Europa, i vizi della Corte Romana, l'esazioni della
    romana cancelleria, la gelosia con che i laici naturalmente miravano
    l'opulenza e i privilegi del clero, la gelosia con che gli abitatori
    d'oltr'Alpe naturalmente guardavano la supremazia dell'Italia; tutte
    queste cose dettero ai dottori della nuova teologia un vantaggio, ed
    essi trovarono e intesero perfettamente il modo d'usarne.
    
    Coloro i quali sostengono che la influenza della Chiesa di Roma ne'
    tempi barbari fosse, parlando generalmente, benefica alla specie
    umana, potrebbero, senza taccia della minima incoerenza, considerare
    la Riforma come una inestimabile ventura. Il freno che sostiene e
    guida il bambino, riuscirebbe d'impedimento all'uomo già fatto. In
    simil guisa i mezzi medesimi dai quali la mente umana, in uno stadio
    del suo progresso, riceve sostegno e movimento, potrebbero, in altro
    stadio, diventare pretti impedimenti. È un punto nella vita
    dell'uomo come in quella della società, nel quale la sommissione e
    la fede, tali che in un periodo posteriore si chiamerebbero con
    ragione credulità e servaggio, sono qualità benefiche. Il fanciullo
    che, senza avere la tenera mente turbata dal dubbio, ascolti gli
    ammonimenti de' suoi maggiori, verosimilmente farà celeri progressi.
    Ma l'uomo che ricevesse con fanciullesca docilità ogni asserzione ed
    ogni domma profferito da un altro uomo che non abbia maggiore
    sapienza, diventerebbe contennendo. Lo stesso accade della società.
    La fanciullezza delle nazioni europee era trascorsa sotto la tutela
    del clero. La preponderanza dell'ordine sacerdotale fu per lunga
    stagione quella stessa preponderanza che naturalmente e
    convenevolmente appartiene alla superiorità intellettuale. I preti,
    malgrado i loro difetti, erano la parte più saggia della società.
    Egli era, dunque, un bene che venissero rispettati ed obbediti. Le
    usurpazioni che il potere ecclesiastico fece nel campo del potere
    civile, produssero più felicità che miseria; mentre il potere
    ecclesiastico era nelle mani della sola classe che aveva studiata la
    storia, la filosofia e il diritto pubblico; e mentre il potere
    civile era nelle mani di capi selvaggi, i quali non sapevano leggere
    le concessioni e gli editti che essi facevano. Ma succedeva un
    mutamento. Il sapere gradualmente si venne spandendo fra' laici. In
    sul principio del secolo decimosesto, molti di loro in ogni studio
    intellettuale erano pari ai più illuminati dei loro pastori
    spirituali. D'allora in poi, quella dominazione che nelle età buie
    era stata, in onta ai molti abusi, una tutela legittima e salutare,
    divenne una ingiusta e malefica tirannia.
    
    Dal tempo in cui i barbari rovesciarono lo impero d'occidente, fino
    al tempo del risorgimento delle lettere, la influenza della Chiesa
    di Roma era stata generalmente favorevole al sapere, allo
    incivilimento e al buon governo. Ma negli ultimi tre secoli, suo
    scopo precipuo era stato quello di impedire il muoversi della mente
    umana. Per tutta la Cristianità, qualunque progresso nello scibile,
    nella libertà, nella opulenza, nelle arti della vita, era seguito
    repugnante la Chiesa, ed in ogni dove è stato sempre in proporzione
    inversa del potere di quella. Le più leggiadre e fertili provincie
    d'Europa, sotto il suo giogo, sono cadute nella miseria, nella
    servitù politica, nel torpore intellettuale; mentre i paesi
    protestanti, la sterilità e barbarie dei quali un tempo passavano in
    proverbio, sono stati trasmutati dall'arte e dalla industria in
    giardini, e possono gloriarsi d'una lunga schiera di eroi, d'uomini
    di stato, di filosofi e di poeti. Chiunque, sapendo ciò che per
    natura sono la Italia e la Scozia, e ciò che erano quattro secoli
    fa, paragonasse la contrada che circonda Roma con quella che
    circonda Edimburgo, potrebbe formarsi qualche idea intorno alla
    tendenza della dominazione papale. Il cadere della Spagna, già prima
    tra tutte le monarchie, nel più turpe abisso della abiezione, e lo
    inalzarsi della Olanda, a dispetto di molti naturali impedimenti, ad
    un grado cui non giunse mai una repubblica così piccola, insegnano
    la medesima verità. Chiunque in Germania passi da un principato
    cattolico ad uno protestante, in Isvizzera da un cantone cattolico
    ad un protestante, ed in Irlanda da una contea cattolica ad una
    protestante, si accorge di essere trapassato da un più basso ad un
    più alto grado di civiltà. La medesima legge governa i paesi posti
    oltre l'Atlantico. I protestanti degli Stati Uniti si sono lasciati
    molto addietro i cattolici romani del Messico, del Perù e del
    Brasile. I cattolici romani del Basso Canadà rimangono inerti,
    laddove in tutto il continente che li circonda ferve l'operosità
    protestante. I Francesi, senza verun dubbio, hanno mostrato tale
    energia ed intelligenza, che anche allorquando è stata male diretta,
    ha loro giustamente procacciato il nome di gran popolo. Ma questa
    eccezione apparente, qualora si consideri bene, varrà a confermare
    la regola; poichè in nessun paese che si chiami cattolico romano, la
    Chiesa cattolica ha, pel corso di non poche generazioni, posseduto
    autorità così poca come in Francia.
    
    Egli è difficile il dire se l'Inghilterra debba più alla religione
    cattolica romana, che alla riforma. Dell'armonia delle razze e
    dell'abolizione del villanaggio, va principalmente debitrice alla
    influenza che il clero nel medio evo esercitava sui laici. Della
    libertà politica e intellettuale, e di tutti i beni che ne sono
    derivati, va debitrice alla grande insurrezione de' laici contro la
    potestà clericale.
    
    La lotta tra la vecchia e la nuova teologia nella patria nostra fu
    lunga, e talvolta ne parve dubbioso l'esito. V'erano due estremi
    partiti, apparecchiati ad operare con violenza o a soffrire con
    indomita volontà. Framezzavasi ad essi, per un tratto considerevole
    di tempo, un partito medio; il quale mescolava, molto illogicamente
    ma naturalmente, le cose apprese dalla balia co' sermoni de' moderni
    evangelisti, e mentre attenevasi con affetto alle vecchie
    osservanze, detestava gli abusi che ad esse andavano strettamente
    congiunti. Uomini di tale tempra di mente volentieri obbedivano, e
    quasi con gratitudine, ai cenni di un esperto capo, che gli
    esentasse dallo incomodo di giudicare da sé, e dominando con la sua
    ferma e imperiosa voce il frastuono della controversia, insegnasse
    loro come dovessero adorare e che credere. E però non è strano che i
    Tudors riuscissero ad esercitare grande influenza sulle faccende
    ecclesiastiche; né è strano che esercitassero quasi sempre la loro
    influenza, coordinandola ai propri interessi.
    
    Enrico VIII tentò di costituire una Chiesa anglicana, che differisse
    dalla Chiesa cattolica romana nel solo principio della supremazia.
    Il suo tentativo ebbe straordinaria fortuna. La vigoria della sua
    indole, la situazione singolarmente favorevole in cui egli trovavasi
    rispetto ai potentati stranieri, le immense ricchezze che la
    spoliazione delle abbadie avevagli poste nelle mani, e il sostegno
    di quella classe che tuttavia ondeggiava fra due opinioni, lo posero
    in condizione di sfidare i due partiti estremi, di bruciare come
    eretici coloro che seguivano le dottrine di Lutero e d'impiccare
    come traditori coloro che rimanevano fidi all'autorità del papa. Se
    la sua vita fosse stata più lunga, avrebbe trovato difficile il
    mantenere un posto assalito con pari furore da tutti coloro che
    erano zelanti delle nuove opinioni o delle vecchie. I ministri ai
    quali furono affidate, a nome del suo figlio fanciullo, le regie
    prerogative, non poterono provarsi di perseverare in una politica
    cotanto rischiosa; né Elisabetta potè arrisicarsi a ritornarvi. Era
    mestieri eleggere fra il risottomettersi alla Chiesa di Roma, o
    procacciarsi lo aiuto de' protestanti. Al governo e ai protestanti,
    una cosa era comune; l'odio della potenza papale. I riformisti
    inglesi erano ansiosi di spingersi tanto oltre, quanto i loro
    fratelli sul Continente. Unanimemente dannarono come anticristiani
    un gran numero di dommi e di cerimonie, cui Enrico erasi
    ostinatamente attenuto, e che Elisabetta aveva con ripugnanza
    abbandonati. Molti sentivano una forte avversione anche a cose
    indifferenti, le quali già formavano parte della politica e del
    rituale della mistica Babilonia. Il vescovo Hooper, a cagione
    d'esempio, il quale morì animosamente a Gloucester per la sua
    religione, ricusò lungo tempo d'indossare le vesti episcopali. Il
    vescovo Ridley, martire di maggiore rinomanza, distrusse gli antichi
    altari della sua diocesi, ed ordinò che la Eucaristia venisse
    ministrata in mezzo alle chiese sopra mense, che i papisti con
    irreverenza chiamavano mense da ostriche. Il vescovo Jewel disse che
    il modo di vestirsi del clero era abito da commedia, manto da
    stolti, reliquia degli Amoriti, e promise di non perdonare a fatica
    alcuna onde estirpare assurdità così disonorevoli. L'arcivescovo
    Grindal esitò lungo tempo ad accettare una mitra, a cagione del
    disgusto con che riguardava quella ch'egli chiamava burattinata
    della consecrazione. Il vescovo Parkhurst pregava fervidamente
    perchè la Chiesa d'Inghilterra si proponesse quella di Zurigo come
    assoluto modello di una comunità cristiana. Il vescovo Ponet opinava
    che il vocabolo vescovo fosse da lasciarsi ai papisti, e che gli
    alti ufficiali della Chiesa purificata si dovessero chiamare
    soprintendenti. Quantunque volte ci facciamo a considerare che
    nessuno di cotesti prelati apparteneva alla estrema sezione della
    parte protestante, non può dubitarsi che se l'opinione generale di
    quella fosse stata seguita, l'opera della riforma sarebbe stata
    condotta innanzi senza riguardi in Inghilterra, come essa fu in
    Iscozia.
    
    XXV. Ma, come al governo era mestieri il sostegno de' protestanti,
    così ai protestanti faceva d'uopo la protezione del governo. E però
    entrambi rinunziarono a molte delle loro pretese; si accordarono; e
    da tale concordia nacque la Chiesa d'Inghilterra.
    
    Alle peculiarità di questa grande istituzione, ed alle forti
    passioni che ha suscitate negli animi degli amici e de' nemici suoi,
    debbono attribuirsi molti de' più solenni eventi che dopo la riforma
    seguirono nel nostro paese; né la storia civile dell'Inghilterra
    potrebbe oggimai intendersi senza studiarla congiuntamente con la
    storia della sua politica ecclesiastica.
    
    L'uomo che si pose a capo onde stabilire i patti dell'alleanza che
    produsse la Chiesa Anglicana, fu Tommaso Cranmer. Egli rappresentava
    anche le parti le quali in quel tempo avevano mestieri di
    vicendevole soccorso. Era teologo e insieme uomo di stato. Nel suo
    carattere di teologo, era pronto a spingersi nella via d'innovare,
    al pari di ogni riformatore svizzero o scozzese. Nel suo carattere
    d'uomo di stato, bramava di conservare l'ordinamento che per tante
    generazioni aveva mirabilmente giovato gl'intenti dei vescovi di
    Roma, e che poteva sperarsi gioverebbe adesso egualmente i re
    d'Inghilterra e i loro ministri. Per indole ed intelligenza era
    mirabilmente temprato ad operare come mediatore. Onestissimo nelle
    sue professioni, senza scrupoli ne' negozi, zelante anche per le
    cose da poco, audace nello speculare, tardo o accomodato ai tempi
    nell'agire, nemico placabile e tepido amico, era per ogni ragione
    qualificato ad ordinare i patti di coalizione fra i nemici
    spirituali e temporali del papismo.
    
    XXVI. Fino ai dì nostri la costituzione, le dottrine e i riti della
    Chiesa serbano i segni visibili del patto d'onde essa originava.
    Tiene un punto medio fra la Chiesa di Roma e quella di Ginevra. Le
    sue confessioni e i suoi discorsi dottrinali, composti dai
    protestanti, contengono principii di teologia nei quali Calvino e
    Knox avrebbero appena trovato un solo vocabolo da disapprovare. Le
    sue preghiere, i suoi rendimenti di grazie, derivati dalle vecchie
    liturgie, sono quasi tutti tali, che il vescovo Fisher o il cardinal
    Polo gli avrebbe cordialmente adottati. Un controversista che
    attribuisse un senso arminiano agli articoli e alle omelie della
    Chiesa Anglicana, verrebbe dagli uomini sinceri giudicato
    irragionevole, come un controversista che negasse non esservi nella
    liturgia di quella la dottrina della rigenerazione battesimale.
    
    La Chiesa di Roma ammetteva che lo episcopato era d'istituzione
    divina, e che certe grazie soprannaturali d'alto ordine erano state
    trasmesse, per mezzo della imposizione delle mani, pel corso di
    cinquanta generazioni, da que' dodici uomini che ricevettero il loro
    mandato sopra il monte di Galilea, fino ai vescovi che ragunaronsi
    in Trento. Grande numero di protestanti, per altra parte,
    consideravano la prelatura come positivamente illegale, ed erano
    persuasi trovarsi prescritta nelle pagine della Scrittura una forma
    differentissima di governo ecclesiastico. I fondatori della Chiesa
    Anglicana presero una via di mezzo. Ritennero lo episcopato, ma non
    lo dichiararono istituzione essenziale al bene della società
    cristiana, o alla efficacia de' sacramenti. Granmer, a vero dire,
    confessò chiaramente d'esser convinto che nei tempi primitivi non
    eravi distinzione tra vescovi e preti, e che la imposizione delle
    mani non era minimamente necessaria.
    
    Fra i presbiteriani, lo andamento del culto pubblico è in gran parte
    lasciato all'arbitrio del ministro. Le loro preghiere, però, non
    sono esattamente identiche in due diverse assemblee di fedeli nel
    giorno medesimo, o in due diversi giorni nella medesima assemblea.
    In una parrocchia sono fervide, eloquenti e piene di significanza;
    in un'altra saranno forse languide o assurde. I sacerdoti della
    Chiesa cattolica Romana, dall'altra parte, hanno per molte
    generazioni cantato le medesime confessioni e preghiere antiche, e
    le medesime nell'India e nella Lituania, nella Irlanda e nel Perù.
    Gli uffici divini, facendosi in una lingua morta, riescono
    intelligibili ai soli dotti; e la maggior parte de' fedeli ragunati
    vi assistono più presto da spettatori che da uditori. In ciò
    parimente la Chiesa d'Inghilterra appigliossi ad una via di mezzo.
    Copiò le formule di preghiera del rito cattolico romano, ma le
    tradusse in idioma volgare, e invitò la indotta moltitudine a
    congiungere la sua voce con quella del ministro.
    
    La medesima politica potrebbe osservarsi in ciascuna parte del suo
    sistema. Ricusando affatto la dottrina della transustanziazione, e
    dannando come idolatria l'adorazione del pane e del vino
    sacramentale, volle, con grande disgusto de' puritani, che i suoi
    figli ricevessero i ricordi del divino amore, piegando mansueti le
    loro ginocchia. Smettendo molti ricchi ornamenti che circondavano
    gli altari dell'antica fede, ritenne tuttavia, con ribrezzo degli
    spiriti deboli, la veste di candido lino, la quale era simbolo della
    purità convenevole alla Chiesa, come quella che è la mistica sposa
    di Cristo. Smettendo mille atti di pantomima che nel culto cattolico
    romano fanno l'ufficio di parole intelligibili, con grave scandalo
    di molti rigidi protestanti, segnava del segno della croce il
    bambino al fonte battesimale. Il cattolico romano mandava le proprie
    preci ad una schiera di santi, fra' quali annoveravansi molti uomini
    di carattere dubbio, e parecchi di carattere odioso. Il puritano
    ricusava il nome di santo perfino allo apostolo delle genti, e al
    discepolo amato tanto da Cristo. La Chiesa d'Inghilterra, quantunque
    non invocasse la intercessione di nessun essere creato, nondimeno
    predistinse. certi giorni per la commemorazione di alcuni, che
    avevano fatto e sofferto molto per la fede. Ritenne la confermazione
    e la ordinazione quali riti edificanti, ma li cancellò dal numero
    de' sacramenti. La confessione non fu parte del suo sistema. Non
    ostante, invitò con gentilezza il moribondo penitente a confessare
    le proprie colpe ad un teologo, e dette facoltà al ministro di
    confortare l'anima al gran viaggio, per mezzo d'un'assoluzione, che
    sembra dettata dallo spirito della vecchia religione. In generale,
    potrebbe dirsi ch'essa si dirige più all'intelletto, e meno ai sensi
    ed alla immaginazione, di quello che faccia la Chiesa di Roma; e
    meno allo intelletto, e più ai sensi ed alla immaginazione, di
    quello che facciano le Chiese protestanti di Scozia, di Francia e di
    Svizzera.
    
    XXVII. Nessuna cosa, ad ogni modo, distingueva così manifestamente
    la Chiesa d'Inghilterra dalle altre chiese, come la relazione che
    passava fra essa e la monarchia. Il re ne era capo. I confini della
    autorità di lui, come tale, non erano stabiliti, e veramente non
    sono stati finora segnati con precisione. Le leggi che dichiaravano
    la sua supremazia nelle cose ecclesiastiche, erano state dettate
    rozzamente ed in termini generali. Se, con lo scopo di indagare il
    vero intendimento di siffatte leggi, ci facciamo ad esaminare gli
    scritti e le vite di coloro che fondarono la Chiesa inglese, si
    accresce la nostra perplessità. Imperocchè i fondatori della Chiesa
    anglicana scrissero ed operarono in tempi d'impetuoso fermento
    intellettuale, e di azione e reazione perenne. Quindi spesso
    contradicevansi vicendevolmente, e talvolta contradicevano sè
    stessi. Che il re fosse, sotto Cristo, solo capo della Chiesa, era
    dottrina da essi unanimemente professata; ma le loro parole avevano
    vario significato sulle labbra di vari, e sulle medesime labbra in
    varie circostanze. Ora attribuivano al sovrano un'autorità che
    avrebbe satisfatto lo stesso Ildebrando; ora la riducevano a quella
    che s'erano arrogata molti antichi principi inglesi, che avevano
    sempre aderito alla Chiesa di Roma. Ciò che Enrico e i suoi fedeli
    consiglieri intendevano nel vocabolo supremazia, era niente meno che
    l'assoluta e piena potestà delle chiavi. Il re doveva essere papa
    del suo regno, vicario di Dio, espositore della verità cattolica,
    veicolo delle grazie sacramentali. Arrogavasi il diritto di decidere
    dommaticamente ciò che era dottrina ortodossa e ciò che era eresia,
    di comporre ed imporre professioni di fede, e di dispensare al
    popolo la istruzione religiosa. Asseriva, ogni giurisdizione
    spirituale e temporale derivare da lui solo, ed avere egli solo
    potestà di conferire il carattere episcopale e ritoglierlo. Ordinò
    che si apponesse il suo sigillo alle commissioni che nominavano i
    vescovi, le quali commissioni dovevano esercitare l'ufficio loro
    finchè piacesse al sovrano. Secondo tale sistema, nel modo con che
    lo espone Cranmer, il re era il capo spirituale e temporale della
    nazione, e come tale aveva i suoi luogotenenti. In quella guisa che
    nominava gli ufficiali civili a tenere i suoi sigilli, a raccogliere
    le sue entrate e a ministrare la giustizia in nome suo, nominava
    medesimamente teologi di vari gradi a predicare il vangelo e a
    conferire i sacramenti. Non era necessaria la imposizione delle
    mani. Il re - era questa la opinione di Cranmer, esposta con
    chiarissimi vocaboli - poteva, per virtù dell'autorità derivante da
    Dio, fare un sacerdote; e il prete così creato non aveva mestieri di
    nessuna altra ordinazione. Da tali opinioni Cranmer si condusse alle
    loro legittime conseguenze. Credeva che le sue attribuzioni
    spirituali, siccome le attribuzioni secolari del cancelliere o del
    tesoriere, cessassero col cessare dell'autorità nel principe che
    gliele aveva concedute. E però, allorquando Enrico finì di vivere,
    lo arcivescovo e i suoi suffraganei formarono nuove commissioni, con
    potestà di stabilire ed esercitare altre funzioni spirituali fino a
    che fosse piaciuto al nuovo sovrano ordinare altrimenti. A chi
    obiettava che la potestà di legare e di sciogliere, affatto distinta
    dalla potestà temporale, era stata data da Nostro Signore a' suoi
    apostoli, i teologi di cotesta scuola risposero, che la potestà di
    legare e di sciogliere era discesa non al solo clero, ma a tutta la
    famiglia degli uomini cristiani, e doveva essere esercitata dal
    supremo magistrato, come rappresentante della società. A chi
    obiettava, san Paolo avere parlato di certi determinati individui
    che lo Spirito Santo aveva istituiti sorvegliatori e pastori de'
    fedeli, risposero che il re Enrico era quel sorvegliatore e quel
    pastore il quale era stato eletto dallo Spirito Santo, ed al quale
    applicavansi le parole di san Paolo(8).
    
    Coteste alte pretese furono di scandalo ai protestanti ed ai
    cattolici; scandalo che accrebbesi grandemente allorchè la
    supremazia che Maria aveva resa al papa, venne nuovamente da
    Elisabetta annessa alla corona. Pareva cosa mostruosa che una donna
    fosse il vescovo supremo di una chiesa, nella quale uno degli
    apostoli aveva inibito che si udisse perfino la voce della donna.
    Per lo che, la regina reputò necessario di rinunziare espressamente
    al carattere sacerdotale assunto già da suo padre; il quale
    carattere, secondo l'opinione di Cranmer, era stato, per divino
    comandamento, inseparabilmente congiunto alla potestà regia.
    Allorquando, regnante lei, la professione della fede anglicana venne
    modificata, il vocabolo supremazia fu interpretato in modo alquanto
    diverso da quello onde intendevasi comunemente alla corte di Enrico.
    Cranmer aveva dichiarato, con parole enfatiche, che Dio aveva
    immediatamente commesso ai principi cristiani l'intera cura di tutti
    i loro sudditi in ciò che spettava all'amministrazione della parola
    divina per la cura delle anime, come in ciò che spettava
    all'amministrazione delle faccende politiche(9). L'articolo
    trentesimosettimo di religione, fatto nel regno di Elisabetta,
    dichiara con parole egualmente enfatiche, che il ministero della
    parola divina non appartiene ai principi. La regina, nondimeno,
    esercitava tuttavia sopra la Chiesa un potere visitatorio, vasto ed
    indefinito. Il Parlamento le aveva affidato l'ufficio di infrenare e
    punire l'eresia ed ogni specie di abuso ecclesiastico, e le aveva
    concesso di delegare la sua autorità ai suoi commissari. I vescovi
    erano poco più che suoi ministri. Più presto che concedere al
    magistrato civile l'assoluta potestà di nominare i pastori
    spirituali, la Chiesa di Roma, nel secolo undecimo, aveva posta
    tutta l'Europa in fiamme. Più presto che concedere al magistrato
    civile l'assoluta potestà di nomare i pastori spirituali, i ministri
    della Chiesa di Scozia, ai tempi nostri, rinunciarono a migliaia le
    loro prebende. La Chiesa d'Inghilterra non patì cosiffatti scrupoli.
    I suoi prelati erano nominati dalla sola autorità regia; da lei sola
    i concilii venivano convocati, regolati, prorogati e disciolti.
    Privi della regia sanzione, i suoi canoni erano nulli. Uno degli
    articoli della sua fede prescriveva, che senza lo assenso regio
    nessun concilio poteva legalmente adunarsi. Da tutte le sue sentenze
    eravi un ultimo appello al sovrano, anche quando la questione era di
    definire se una opinione dovesse giudicarsi ereticale, o se
    l'amministrazione di un sacramento fosse stata valida. Né la chiesa
    invidiava ai nostri principi questo esteso potere. Da loro aveva
    ricevuta la esistenza, era stata nudrita nella infanzia, difesa
    contro le aggressioni dei papisti e dei puritani, protetta contro i
    parlamenti che non la guardavano di buon occhio, e vendicata dagli
    assalti de' dotti, ai quali le tornava duro rispondere. Così la
    gratitudine, la speranza, il timore, i comuni affetti e le
    inimicizie comuni, la collegavano al trono. Tutte le sue tradizioni
    e tendenze erano monarchiche. La lealtà ovvero devozione verso il
    sovrano divenne un punto d'onore annesso alla professione clericale,
    una nota speciale che distingueva i preti anglicani dai calvinisti e
    dai papisti. Entrambi, calvinisti e papisti, per quanto fosse ampia
    la distanza che nelle altre cose li teneva disgiunti, guardavano con
    estrema gelosia tutte le usurpazioni che il potere temporale faceva
    nel campo dello spirituale. Calvinisti e papisti sostenevano che i
    sudditi potevano equamente sguainare la spada contro i sovrani empi.
    In Francia, i calvinisti si opposero a Carlo IX; i papisti ad Enrico
    IV; papisti e calvinisti ad Enrico III. In Iscozia, i calvinisti
    fecero prigioniera Maria. A settentrione del Trent i papisti presero
    le armi contro Elisabetta. La Chiesa d'Inghilterra frattanto
    condannava calvinisti e papisti, ed altamente vantavasi non esservi
    debito che ella inculcasse con maggiore solennità e costanza, al
    pari di quello di sommissione ai principi.
    
    XXVIII. L'utile che ricavava la corona da cotesta stretta alleanza
    con la Chiesa stabilita, era grande; ma non era scevro di danni. Il
    patto ordinato da Cranmer era stato in prima considerato da un gran
    numero di protestanti come un disegno inteso a servire due padroni,
    come un tentativo di congiungere il culto del Signore col culto di
    Baal. Nei giorni d'Eduardo VI gli scrupoli di questo partito avevano
    più volte gettate gravi difficoltà nella via del governo. Come
    Elisabetta ascese al trono, simiglianti difficoltà si accrebbero non
    poco. La violenza, per legge di natura, genera la violenza. Lo
    spirito del protestantismo diventò quindi, dopo le crudeltà di
    Maria, più audace e intollerante che non lo fosse innanzi. Molti che
    professavano caldamente le nuove opinioni, avevano in quegli
    infausti giorni cercato asilo nella Svizzera e nella Germania. Erano
    stati accolti con ospitalità dai loro fratelli nella fede; avevano
    ascoltati i discorsi dei grandi dottori di Strasburgo, di Zurigo e
    di Ginevra; e per parecchi anni eransi assuefatti ad un culto più
    semplice e ad una forma più democratica di governo ecclesiastico,
    che non ancora s'era veduta in Inghilterra. Costoro ritornarono alle
    patrie contrade, convinti che la riforma compitasi sotto il re
    Eduardo, era stata meno indagatrice ed estesa di quello che
    richiedevano gl'interessi della religione pura. Ma sforzaronsi
    invano d'ottenere concessioni da Elisabetta. Vero è che il sistema
    di lei, in ciò che differiva da quello di suo fratello, pareva loro
    peggiorato. Erano poco inchinevoli a sottomettersi in materia di
    fede a qual si fosse autorità umana. Di recente, fidenti nel loro
    modo d'interpretare la Scrittura, erano insorti contro una Chiesa
    forte per antichità immemorabile e per universale consenso. Avevano
    adoperati sforzi non comuni d'energia intellettuale a scuotere il
    giogo di quella splendida ed imperiale superstizione; ed era cosa
    vana sperare, che, tosto dopo tale emancipazione, si volessero
    pazientemente sobbarcare ad una nuova tirannia spirituale. Da lungo
    tempo avvezzi a prostrarsi con la faccia a terra, mentre il
    sacerdote alzava l'ostia, siccome avanti al cospetto di Dio, avevano
    imparato a considerare la messa come una cerimonia idolatra. Da
    lungo tempo avvezzi a considerare il pontefice come successore del
    principe degli apostoli, come custode delle chiavi del cielo e della
    terra, avevano imparato a riguardarlo come la belva, l'anticristo,
    l'uomo del peccato. Non era da sperarsi che s'inducessero a
    tributare ad una autorità novellamente sorta quella riverenza che
    avevano negata al Vaticano; che sottoponessero il loro giudicio
    privato all'autorità d'una chiesa fondata sul giudicio privato
    soltanto; che avessero timore di dissentire da maestri i quali
    dissentivano da quella che già era stata la fede universale della
    cristianità in occidente. È facile immaginare lo sdegno che dovevano
    provare gli spiriti audaci e indagatori, gloriantisi della libertà
    novellamente acquistata, come si accôrsero che una istituzione
    giovanissima, la quale aveva sotto gli stessi occhi loro ricevuta
    forma dalle passioni e dagli interessi d'una corte, cominciava a
    scimmiottare lo altero contegno di Roma.
    
    XXIX. Dacchè non era modo a convincere uomini siffatti, e' fu
    stabilito di perseguitarli. Tale persecuzione produsse in essi i
    suoi naturali effetti. Erano una setta, e diventarono una fazione.
    All'odio che sentivano contro la Chiesa, aggiunsero l'odio contro la
    corona. Questi due sentimenti erano commisti, e invelenivansi
    vicendevolmente. Le opinioni del puritano intorno alla relazione fra
    principe e suddito, differivano grandemente da quelle che venivano
    inculcate nelle omilie. I suoi teologi prediletti lo avevano, e col
    precetto e con lo esempio, incoraggiato ad opporre resistenza ai
    tiranni ed ai persecutori. I suoi fratelli calvinisti in Francia, in
    Olanda, in Iscozia, erano in armi contro principi crudeli e
    idolatri. Le sue nozioni concernenti il governo dello stato
    assunsero una tinta consentanea alle sue nozioni concernenti il
    governo della Chiesa. Parecchi dei sarcasmi che il popolo scagliava
    contro lo episcopato, potevano, senza molta difficoltà, adattarsi al
    principato; e molti degli argomenti che adoperavansi a provare che
    il potere spirituale era meglio collocato in un Sinodo, sembravano
    condurre alla conclusione, che il potere temporale sarebbe meglio
    collocato in un Parlamento.
    
    XXX. Così, come il sacerdote della Chiesa stabilita, per interesse,
    per principio e per passione, era zelante delle regie prerogative,
    il puritano per passione, per principio e per interesse, era ostile
    a quelle. Grande era la potenza de' settarii malcontenti. Trovavansi
    in ogni ceto, ma erano più numerosi fra il ceto mercantile delle
    città, e fra i piccoli possidenti delle campagne. Regnante
    Elisabetta, cominciarono a mandare il maggior numero de' deputati
    alla Camera de' Comuni. E non è dubbio, che se i nostri antenati
    fossero stati allora liberi di porre tutta la loro attenzione sopra
    le questioni interne, il conflitto tra la corona e il Parlamento
    sarebbe subito scoppiato. Ma non era quella la stagione atta ai
    domestici dissidi. Veramente, potrebbe dubitarsi se la fermissima
    colleganza di tutti gli ordini dello stato fosse la cagione di
    frustrare il pericolo che li minacciava tutti. L'Europa cattolica e
    la Europa riformata pugnavano per la vita o la morte. La Francia,
    dilacerata dalle lotte intestine, da qualche tempo non contava più
    nulla nella Cristianità. Il governo inglese era a capo
    degl'interessi protestanti; e mentre in casa propria perseguitava i
    presbiteriani, concedeva valida protezione alle chiese presbiteriane
    negli stati stranieri. Capo del partito opposto era il più potente
    principe di quell'epoca, il quale imperava sopra la Spagna, il
    Portogallo, la Italia, i Paesi Bassi, le Indie orientali ed
    occidentali; le cui armi più volte si spinsero fino a Parigi, e le
    cui flotte tenevano in paura le coste di Devonshire e di Sussex. E'
    parve per lungo tempo cosa probabile che gl'Inglesi avessero a
    combattere disperatamente sopra il suolo inglese, a difendere la
    religione e indipendenza loro. Nè si tennero un istante mai liberi
    dalla paura di qualche gran tradimento in casa; perocchè in quei
    giorni era diventato punto di coscienza e d'onore per molti uomini
    d'indole generosa il sacrificare la patria alla religione. Una serie
    di congiure di continuo ordite dai cattolici romani contro la vita
    della regina e la esistenza della nazione, teneva la società in
    perenne trepidazione. Qualunque si fossero gli errori di Elisabetta,
    era pur manifesto che le sorti del regno e di tutte le chiese
    riformate pendevano dalla sicurtà della sua persona e dal prospero
    successo della sua amministrazione. Era, dunque, precipuo dovere
    d'ogni cittadino e d'ogni protestante rinvigorirle il braccio:
    dovere che fu bene osservato. I puritani, anche dal fondo delle
    prigioni dove essa gli aveva sepolti, pregavano con fervore non
    finto, perchè la ribellione le cadesse doma ai piedi, e le sue armi
    fossero vittoriose per mare e per terra. Uno de' più testardi della
    testarda setta, appena il carnefice gli aveva mozza una mano a
    punirlo d'un delitto al quale era stato spinto dal suo stemperato
    zelo, scuotendo con l'altra mano il cappello, esclamò: "Dio salvi la
    regina!" Il sentimento che cotesta genia di uomini provavano per lei
    passò ai loro posteri. I non-conformisti, per quanto rigorosamente
    li avesse trattati, hanno, come corporazione, sempre venerata la
    memoria di lei(10).
    
    Quindi, per tutto quasi il tempo che ella regnò, i puritani nella
    Camera de' Comuni, quantunque s'ammutinassero talvolta, non erano
    inchinevoli ad ordinarsi in opposizione sistematica contro il
    governo. Ma allorchè la sconfitta dell'Armada, la vittoriosa
    resistenza delle Province Unite alla dominazione spagnuola, il
    consolidamento di Enrico IV sopra il trono di Francia, e la morte di
    Filippo II ebbero resi sicuri lo Stato e la Chiesa contro ogni
    pericolo esterno, scoppiò subito nello interno un ostinato
    conflitto, che durò per parecchie generazioni.
    
    XXXI. Nel parlamento del 1601, quella opposizione la quale per
    quaranta anni erasi sordamente raccolta e afforzata, combattè la sua
    prima grande battaglia, e riportò la sua prima vittoria. Il campo
    era bene scelto. La suprema direzione della politica commerciale era
    stata sempre affidata ai sovrani inglesi. Era loro prerogativa
    indisputata quella di regolare la moneta, i pesi e le misure, e di
    stabilire le fiere, i mercati e i porti. La linea che limitava la
    loro autorità in fatto di commercio, era stata, secondo il costume,
    descritta confusamente. Essi quindi, secondo il costume, facevano
    usurpazioni nel terreno che per diritto apparteneva al corpo
    legislativo. Le usurpazioni furono, secondo il costume, tollerate
    con pazienza fino a tanto che divennero gravissime. Finalmente, la
    regina arbitrò di concedere a centinaia patenti di monopolio. Non
    eravi quasi famiglia in tutto il regno, la quale non sentisse il
    peso dell'oppressione e delle estorsioni che originavano
    naturalmente da cosiffatto abuso. Ferro, olio, aceto, carbone,
    salnitro, piombo, amido, lana filata, pelli, cuoi, vetri, bisognava
    comperarli a prezzi esorbitanti. La Camera de' Comuni ragunandosi,
    si mostrò in collera e determinata ad operare. Invano una minoranza
    cortigiana biasimò il presidente di tollerare che gli atti della
    Regina venissero posti in discussione. Il linguaggio de' malcontenti
    era alto e minaccioso, e vi faceva eco la voce della intera nazione.
    Il cocchio del primo ministro della corona venne circondato dal
    popolaccio sdegnato, il quale malediceva a' monopolii, e gridava non
    doversi patire che le regie prerogative violassero le libertà della
    Inghilterra. E' parve per un istante temersi che il lungo e glorioso
    regno di Elisabetta avrebbe una fine vergognosa e sciagurata. Ella,
    nondimeno, con giudizio e contegno mirabili, evitò la contesa, si
    pose a capo del partito riformista, riparò agli aggravi, rese grazie
    ai Comuni con dignitose e commoventi parole per la loro tenera
    sollecitudine verso il bene pubblico, riguadagnò il cuore del
    popolo, e lasciò a' suoi successori un memorabile esempio del come
    un sovrano debba governarsi nelle pubbliche commozioni qualvolta gli
    manchino i mezzi di vincerle.
    
    XXXII. La grande Regina moriva nel 1603. Quest'anno, per molte
    ragioni, forma una delle più importanti epoche nella nostra storia.
    E' fu allora che la Irlanda e la Scozia divennero parti del medesimo
    impero insieme con la Inghilterra. Entrambe, Scozia ed Irlanda, a
    dir vero, erano state soggiogate dai Plantageneti, ma nè l'una nè
    l'altra erasi sobbarcata con pazienza al giogo. La Scozia aveva con
    eroico valore rivendicata la propria indipendenza; era stata, fino
    dal tempo di Roberto Bruce, un regno separato; ed ora veniva
    congiunta alla parte meridionale dell'isola con un modo che
    gratificava, anzi che ferire, il suo orgoglio nazionale.
    
    La Irlanda, dai tempi d'Enrico II in poi, non aveva potuto espellere
    gl'invasori stranieri; ma aveva lungamente e strenuamente lottato
    contro essi. Nel corso de' secoli decimoquarto e decimoquinto, la
    potenza inglese in quell'isola era venuta sempre decadendo, e nei
    giorni di Enrico VII era caduta in fondo. I dominii inglesi di quel
    principe erano solo le contee di Dublino e di Louth, qualche parte
    di Meath e di Kildare, e pochi porti di mare lungo la costiera. Un
    vasto tratto di Leinster non era per anche diviso in contee.
    Munster, Ulster e Connaught, erano governate da principotti o celti,
    o degeneri normanni che avevano dimenticata la origine propria, e
    adottato lo idioma e i costumi celtici. Ma nel secolo decimosesto,
    la potenza inglese vi aveva fatto grandi progressi. I semi-selvaggi
    capi che reggevano le contrade non sottoposte, avevano ceduto, l'uno
    dopo l'altro, ai luogotenenti de' Tudors. Alla perfine, pochi giorni
    avanti la morte d'Elisabetta, la conquista, che era stata
    quattrocento e più anni prima iniziata da Strongbow, fu compita da
    Mountjoy. Di poco Giacomo I era asceso al trono, allorchè O'Donnell
    ed O'Neil, ultimi fra quelli che avevano tenuto il grado di principi
    indipendenti, condotti a Whitehall, gli baciarono la mano. D'allora
    in poi, i suoi decreti valevano, e i suoi giudici tenevano corti in
    ogni parte d'Irlanda, e le leggi inglesi prevalsero alle
    consuetudini con che reggevansi le tribù aborigene.
    
    Per estensione, la Scozia e la Irlanda erano pressochè uguali, e,
    congiunte, pareggiavano quasi l'Inghilterra; ma meno di essa
    popolate, le rimanevano lungo tratto inferiori per civiltà ed
    opulenza. La Scozia era stata impedita di raggiungerla dalla natia
    sterilità del suolo; e la Irlanda, fra mezzo alla luce della Europa
    risorta, giaceva tuttavia sotto la tenebra del medio evo.
    
    La popolazione della Scozia, tranne le tribù celtiche che erano
    sparse nelle Ebridi e su per le regioni montuose delle contee
    settentrionali, aveva comune il sangue con la popolazione
    dell'Inghilterra, e parlava una lingua che non differiva dalla
    purissima favella inglese più che i dialetti delle contee di
    Somerset e di Lancaster non differiscono l'uno dall'altro. In
    Irlanda, all'incontro, la popolazione, salvo la piccola colonia
    inglese presso la costa, era celtica, e serbava tuttavia l'idioma e
    i costumi celtici.
    
    Per naturale coraggio ed intelligenza, ambedue le nazioni che
    incorporavansi all'Inghilterra, erano degne di considerazione. Per
    perseveranza, impero di sè, preveggenza, e per tutti i pregii
    necessari a bene condurre la vita, gli Scozzesi non sono mai stati
    vinti da nessun altro popolo. Gl'Irlandesi, dall'altro canto, erano
    predistinti da quelle qualità che tendono a rendere gli uomini
    interessanti, più presto che avventurati. Erano razza ardente ed
    impetuosa, facile a trascorrere alle lacrime o al riso, al furore o
    allo affetto. Sola tra tutte le nazioni della Europa settentrionale,
    aveva la irritabilità, la vivacità, il pendio naturale per la mimica
    e la rettorica; qualità ingenite nei popoli de' lidi del
    mediterraneo. Per cultura intellettuale, la Scozia era
    incontrastabilmente superiore. Tuttochè quel regno fosse il più
    povero in tutta la cristianità, gareggiava, nonostante, in ogni ramo
    di scibile con le più fortunate regioni. Gli Scozzesi, de' quali le
    abitazioni e i cibi erano meschini al pari di quelli degl'Irlandesi
    de' giorni nostri, scrivevano versi latini con maggiore squisitezza
    che non ne mostra il Vida, e nelle scienze facevano scoperte che
    avrebbero accresciuta la rinomanza di Galileo. La Irlanda non poteva
    gloriarsi di un Bucanano o d'un Napier. Il genio, di che i loro
    abitanti aborigeni erano largamente dotati, mostravasi, come fa
    tuttavia, nelle ballate; le quali, comunque selvagge e rozze,
    parvero all'occhio giudizioso di Spenser contenere vene di puro oro
    poetico.
    
    La Scozia, diventando parte della monarchia britannica, serbò tutta
    la sua dignità. Dopo d'avere per molte generazioni coraggiosamente
    sostenuto lo scontro delle armi inglesi, veniva adesso congiunta
    alla sua più forte vicina con patti onorevolissimi. Ella dava un re
    in vece di riceverlo. Serbava intatte la costituzione e le leggi
    proprie. I tribunali e i parlamenti rimanevano affatto indipendenti
    dai tribunali o dai parlamenti che sedevano in Westminster.
    L'amministrazione della Scozia era affidata a mani scozzesi;
    perocchè nessuno inglese aveva cagione di emigrare verso
    settentrione, e contendere alla più astuta e pertinace di tutte le
    razze quel poco che vi era da raspare nel più povero de' tesori.
    Frattanto, gli avventurieri scozzesi calavano giù verso le regioni
    meridionali, ed ottenevano in tutte le vie della vita una prosperità
    che eccitava la invidia, comunque, per lo più, altro non fosse che
    giusto rimerito alla prudenza e alla industria. Nulladimeno, la
    Scozia non potè in guisa nessuna sottrarsi al destino inevitabile ad
    ogni stato che si annette ma non s'incorpora con un altro stato
    ricco di maggiori mezzi. Quantunque fosse regno indipendente di
    nome, essa venne, per cento e più anni, veramente trattata per molti
    rispetti come provincia soggetta.
    
    L'Irlanda fu governata come terra conquistata con le armi. Le sue
    rozze istituzioni nazionali erano spente. I coloni inglesi,
    sottostando alla dittatura della madre patria, senza lo aiuto della
    quale non potevano esistere, si rifacevano calpestando le
    popolazioni fra le quali vivevano. Il parlamento che ragunavasi in
    Dublino, non poteva adottare una legge senza che fosse stata innanzi
    approvata dal consiglio privato di Londra. L'autorità del corpo
    legislativo inglese estendevasi sopra la Irlanda. L'amministrazione
    esecutiva era affidata ad uomini inglesi, che venivano considerati
    come stranieri, ed anche come nemici, dalla popolazione celtica.
    
    Ci rimane a notare la cagione che più d'ogni altra ha rese le sorti
    dell'Irlanda cotanto diverse da quelle della Scozia. La Scozia era
    protestante. In nessuna contrada d'Europa il moto popolare contro la
    Chiesa romana era stato così rapido e violento. I riformatori
    avevano vinta, deposta dal trono e imprigionata la loro sovrana
    idolatra. Non vollero nè anche accettare una concordia simile a
    quella ch'era seguita in Inghilterra. Avevano stabilito la dottrina,
    la disciplina e il culto di Calvino; e facevano poca distinzione tra
    il papato e la prelatura, fra la messa e il libro della preghiera
    comune. Sventuratamente per la Scozia, il principe che essa mandò
    per governare un'eredità più bella, era stato tanto molestato dalla
    pertinacia con che i teologi avevano predicato contro lui i
    privilegi del sinodo e del pulpito, ch'egli detestava la politica
    ecclesiastica alla quale la nazione era affezionata, odiavala di
    quanto odio poteva essere capace la sua indole effeminata; ed appena
    asceso sul trono inglese, cominciò a mostrare intollerantissimo zelo
    per il governo e il rituale della Chiesa anglicana.
    
    Gl'Irlandesi erano il solo popolo nella Europa settentrionale che
    fosse rimasto fido alla vecchia religione. Lo che è da attribuirsi
    in parte a ciò, che essi in cultura rimanevano addietro di parecchi
    secoli ai loro vicini. Ma altre cagioni vi avevano cooperato. La
    riforma era stata una rivoluzione politica e morale. Non erano solo
    insorti i laici contro il clero, ma tutte le schiatte della gran
    razza germanica contro la dominazione straniera. È fatto
    significantissimo, che nessuna gran massa di popolo la lingua del
    quale non sia teutonica, s'è giammai volta al protestantismo; e che
    dove si parla un idioma derivato da quello dell'antica Roma, la
    religione della Roma moderna fin oggi prevale. Il patriottismo
    degl'Irlandesi aveva preso un cammino peculiare. Lo scopo de' loro
    rancori non era Roma, ma l'Inghilterra; ed avevano ragioni speciali
    per abborrire quei sovrani inglesi che erano stati capi di quel
    grande scisma, Enrico VIII ed Elisabetta. Mentre ferveva la lotta
    che due generazioni di principi Milesii tennero viva contro i
    Tudors, lo entusiasmo religioso e l'entusiasmo nazionale si
    confusero inseparabilmente negli animi della razza vinta. La nuova
    contesa fra protestanti e papisti riaccese la vecchia contesa tra
    Sassoni e Celti. Gl'Inglesi vincitori, frattanto, trascuravano ogni
    mezzo legittimo di conversione. Non si davano pensiero di provvedere
    la vinta nazione d'istitutori capaci di farsi intendere. Non fu
    fatta una versione della Bibbia in lingua ersa. Il governo fu pago
    di stabilire una vasta gerarchia di arcivescovi, vescovi e rettori
    protestanti, i quali non facevano nulla, e per non far nulla erano
    pagati con le spoglie d'una Chiesa amata e riverita dalla più parte
    del popolo.
    
    Le condizioni della Scozia e della Irlanda erano tali da svegliare
    il timore nel petto d'un preveggente uomo di stato. Nondimeno, eravi
    apparenza di tranquillità. Per la prima volta tutte le isole
    britanniche trovavansi unite pacificamente sotto un solo scettro.
    
    E' sembrerebbe che la importanza dell'Inghilterra fra gli stati
    Europei avesse dovuto da quell'epoca in poi accrescersi grandemente.
    Il territorio governato dal nuovo re, era per estensione doppio di
    quello che ad Elisabetta era toccato in retaggio. Il suo impero era
    in sè stesso il più compiuto e il più sicuro da ogni possibile
    aggressione. Ai Plantageneti e ai Tudors era stato mestieri più
    volte difendersi contro la Scozia, mentre erano implicati nelle
    guerre continentali. Il lungo conflitto in Irlanda aveva consunti
    tutti i loro mezzi. Nulladimeno, anche sotto tali svantaggi, que'
    sovrani eransi acquistata alta riputazione per tutta la cristianità.
    Era, dunque, bene ragionevole lo sperare che la Inghilterra, la
    Scozia e l'Irlanda, congiunte, avrebbero formato uno stato a nessuno
    secondo fra quei che allora esistevano.
    
    XXXIII. Tutte coteste speranze divennero stranamente illusorie. Nel
    giorno in cui Giacomo I ascese al trono, la patria nostra discese
    giù dal grado ch'essa fino allora aveva tenuto, e cominciò ad essere
    considerata come potenza appena di secondo ordine. Per molti anni la
    gran monarchia inglese, sotto quattro principi successivi della casa
    degli Stuardi, fu nel sistema europeo membro appena più importante
    di quello che per innanzi era stato il piccolo regno di Scozia. Il
    che, nondimeno, deve essere cagione di poca doglianza. Può dirsi di
    Giacomo I, come di Giovanni, che se la sua amministrazione fosse
    stata savia e splendida, sarebbe riuscita probabilmente fatale al
    nostro paese, e che noi dobbiamo più alla sua indole debole e
    meschina che alla sapienza e al coraggio di assai migliori sovrani.
    Egli ascese al trono in un momento critico. Avvicinavasi rapido il
    tempo in cui o il re doveva diventare assoluto, o il parlamento
    doveva infrenare il potere esecutivo. Se egli fosse stato come
    Enrico IV, come Maurizio di Nassau o come Gustavo Adolfo, un
    principe strenuo, politico, operoso; se egli si fosse posto a capo
    de' protestanti dell'Europa, se avesse riportate grandi vittorie
    contro Tilly e Spinola, se avesse adornato Westminster con le
    spoglie de' monasteri bavari e delle cattedrali fiamminghe, se egli
    avesse appeso alle mura di San Paolo i vinti vessilli d'Austria e di
    Castiglia, s'egli si fosse trovato, dopo memorande gesta, a capo di
    cinquanta mila soldati valorosi, bene disciplinati e devoti alla sua
    persona; il Parlamento inglese altro non sarebbe diventato che un
    nome vano. Avventuratamente, egli non era uomo da sostenere tanta
    parte. Iniziò la sua amministrazione ponendo fine alla guerra che da
    anni molti ardeva tra la Spagna e l'Inghilterra; e sino da quel
    tempo schivò le ostilità con tale cautela, da sostenere
    pazientemente gl'insulti de' suoi vicini e i clamori de' suoi
    sudditi. Fino all'ultimo anno della sua vita, la influenza del suo
    figlio, del suo favorito, del suo parlamento e del suo popolo, non
    valse ad indurlo a menare un debole colpo in difesa della sua
    famiglia e della sua religione. E' fu bene per i suoi sudditi,
    ch'egli in siffatto modo non compiesse i loro desiderii. Lo effetto
    della sua politica di pace, fu che in un tempo in cui bisogno non
    v'era di milizie regolari, e mentre la Francia, la Spagna, la
    Italia, il Belgio e la Germania brulicavano di soldati mercenari, la
    difesa dell'isola nostra venisse tuttavia affidata alla guardia
    cittadina.
    
    XXXIV. Dacchè il Re non aveva esercito stanziale, e nè anche si
    provava di formarne, sarebbe stato prudente consiglio lo scansare
    ogni conflitto col suo popolo. Ma fu tale la sua stoltezza, che
    mentre trascurava affatto i soli mezzi che lo potessero rendere
    assoluto, produceva di continuo, nella forma più offensiva, pretese,
    nessuna delle quali i suoi predecessori avevano mai sognato di
    produrre. E' fu in quel tempo che primamente apparvero quelle strane
    dottrine che Filmer poscia ordinava a sistema, e che divennero la
    insegna della più violenta classe dei Tory e dell'alto clero.
    Sostenevano solennemente, che l'Essere Supremo impartiva alla
    monarchia ereditaria, come opposta ad ogni altra forma di governo,
    peculiare favore; che la regola di successione in ordine di
    primogenitura era una istituzione divina, anteriore a Cristo ed
    anche a Moisè; che nessuna potestà umana, nè anche quella della
    intera legislatura, nessuna lunga durata di possesso, fosse anco di
    dieci secoli, poteva privare de' suoi diritti il principe legittimo;
    che la sua autorità era necessariamente dispotica; che le leggi le
    quali in Inghilterra ed altrove limitavano la regia prerogativa,
    dovevano considerarsi come semplici concessioni fatte liberamente
    dal sovrano, che ei poteva ad arbitrio ritogliere; e che ogni
    trattato che facesse il sovrano col suo popolo era una pretta
    dichiarazione delle sue intenzioni presenti, non un contratto che
    l'obbligasse a mantenerle. È cosa evidente, che questa teorica,
    comecchè intesa a rafforzare le fondamenta del governo, le
    indebolisce affatto. La divina ed immutabile legge della
    primogenitura, ammetteva ella o escludeva le femmine? In ambedue le
    ipotesi, era mestieri che i sovrani d'Europa fossero usurpatori,
    regnanti in onta ai comandamenti del Cielo, e potessero venire
    giustamente spossessati dagli eredi legittimi. Tali assurde dottrine
    non erano afforzate dall'autorità del Testamento Vecchio, perocchè
    in esso leggiamo il popolo eletto avere ricevuto biasimo e pena per
    aver desiderato un re, e essergli poi stato ingiunto di non obbedire
    a quel re. Tutta la storia di quello, lungi dal convalidare la idea
    che la primogenitura fosse d'istituzione divina, parrebbe più presto
    indicare che i fratelli minori sono sotto la speciale protezione del
    Cielo. Isacco non era il primogenito d'Abramo, nè Giacobbe lo era
    d'Isacco, nè Giuda di Giacobbe, nè David di Jesse, nè Salomone di
    David. Vero è che l'ordine d'anzianità tra i figliuoli è rade volte
    osservato strettamente nei paesi dove costumasi la poligamia. Il
    sistema di Filmer non poteva nè anche appoggiarsi a que' luoghi del
    Nuovo Testamento, ne' quali il governo è rappresentato come
    ordinanza di Dio; perocchè il governo sotto il quale vivevano gli
    scrittori del Nuovo Testamento, non era monarchia ereditaria.
    Gl'imperatori romani erano magistrati repubblicani, eletti dal
    senato. Nessuno di loro pretendeva d'imperare per diritto di
    nascita; e difatti Tiberio, al quale Cristo ordinò doversi pagare il
    tributo, e Nerone al quale Paolo comandò che obbedissero i Romani,
    erano, secondo la teorica patriarcale di governo, usurpatori. Nel
    medio evo, la dottrina del diritto ereditario imprescrittibile
    sarebbe stata considerata eretica, come quella che era incompatibile
    con le alte pretese della Chiesa di Roma. Era parimente dottrina
    sconosciuta ai fondatori della Chiesa anglicana. La omilia intorno
    alla ribellione premeditata, aveva fortemente e, per vero dire,
    troppo fortemente inculcata la sottomissione alla autorità
    costituita; ma non aveva fatta nessuna distinzione tra monarchia
    elettiva ed ereditaria, o tra monarchia e repubblica. Veramente, la
    maggior parte dei predecessori di Giacomo avrebbero, per ragioni
    personali, considerata con avversione la teoria patriarcale di
    governo. Guglielmo Rufo, Enrico I, Stefano, Giovanni, Enrico IV,
    Enrico V, Enrico VI, Riccardo III, Enrico VII avevano tutti regnato
    in onta alla stretta regola di discendenza. Un dubbio gravissimo
    pesava sopra la legittimità di Maria e d'Elisabetta. Era impossibile
    che Caterina d'Aragona ed Anna Bolena fossero ambedue legalmente
    maritate ad Enrico VIII; e la più alta autorità del reame aveva
    sentenziato che nessuna di esse lo era. I Tudors, lungi dal
    considerare la legge di successione come istituzione divina ed
    immutabile, la modificarono spesso. Enrico VIII ottenne dal
    Parlamento un atto con che acquistava la potestà di disporre della
    corona per testamento, e difatti testò in pregiudicio della famiglia
    reale di Scozia. Eduardo VI, senza lo assenso del parlamento,
    arrogossi una somigliante potestà: di che lo approvarono i più
    illustri riformisti. Elisabetta, convinta che i propri diritti
    soggiacevano a gravi obiezioni, e non volendo ammettere nè anche un
    diritto di riversibilità nella regina degli Scozzesi sua rivale e
    nemica, indusse il Parlamento a fare una legge, nella quale
    ordinavasi che chiunque negasse la competenza del sovrano regnante,
    col consentimento degli Stati del regno, a variare la successione,
    verrebbe punito di morte come traditore. Ma le condizioni in cui
    Giacomo trovavasi, erano assai diverse da quelle in cui era stata
    Elisabetta. Molto inferiore ad essa e per ingegno e per popolarità,
    considerato dagli Inglesi come straniero, ed escluso dal trono per
    virtù del testamento di Enrico VIII, il re degli Scozzesi era
    nondimeno lo erede indubitabile di Guglielmo il Conquistatore e di
    Egberto. Aveva quindi manifesto interesse ad inculcare la dottrina
    superstiziosa, che la nascita conferisce diritti superiori alla
    legge e inalterabili dalla legge. Oltredichè, era dottrina cónsona
    alla tempra dello intelletto e all'indole di lui: però trovò tosto
    molti difensori fra coloro che ambivano il favore del principe, e
    fece rapidi progressi fra il clero della Chiesa stabilita.
    
    Così, nel momento medesimo in cui cominciava a manifestarsi vigoroso
    nel Parlamento e nel paese lo spirito repubblicano, le pretese del
    monarca assunsero una forma mostruosa, che avrebbe disgustato il più
    superbo ed arbitrario de' principi che lo avevano preceduto sul
    trono.
    
    Giacomo vantavasi sempre della sua perizia in quella ch'egli
    chiamava arte di regno; e nondimeno, riesce quasi impossibile
    immaginare una condotta che al pari della sua fosse direttamente
    opposta a tutte le regole dell'arte di regnare. È stata sempre
    politica de' principi savi il travestire gli atti vigorosi con forme
    popolari. In questa guisa Augusto e Napoleone stabilirono le loro
    monarchie assolute, mentre il popolo li considerava come semplici
    cittadini rivestiti di magistrature temporanee. La politica di
    Giacomo procedeva tutta al rovescio. Provocava la rabbia e la paura
    del suo Parlamento, dicendogli sempre che i rappresentanti della
    nazione potevano esercitare i propri privilegi finchè egli volesse,
    e che non ispettava loro di discutere intorno a ciò ch'egli potesse
    legalmente fare, come non avevano diritto alcuno di discutere sulla
    legalità delle azioni di Dio. Nulladimeno, egli piegavasi innanzi al
    Parlamento, abbandonava i suoi ministri, l'uno dopo l'altro, alla
    vendetta di quello, e pativa d'essere trascinato ad atti
    direttamente ripugnanti alle sue più forti tendenze. Così crebbero
    insieme lo sdegno eccitato dalle sue pretese, e lo scherno provocato
    dalle sue concessioni. L'affetto che egli portava a indegni
    favoriti, e la sanzione ch'ei dava alla tirannia e rapacità loro,
    tenevano perpetuamente vivi i malumori. La codardia, la pedanteria,
    la fanciullaggine sue, la sgarbatezza della persona e de' modi suoi,
    il suo accento provinciale, lo facevano segno al pubblico dileggio.
    Anco nelle sue virtù e nelle sue doti era alcun che di affatto
    sconvenevole ad un re. Così, in tutto il corso del suo regno, venne
    sempre più scemando la riverenza tradizionale che il trono ispirava
    al popolo. Per duecento anni, tutti i sovrani che avevano governata
    la Inghilterra, tranne lo sventurato Enrico VI, erano stati uomini
    d'animo forte, di spirito altero e di contegno principesco. Quasi
    tutti avevano mostrata non ordinaria destrezza. Però non fu cosa di
    lieve momento, che nella vigilia della lotta decisiva tra i nostri
    re e i loro parlamenti, la sovranità si mostrasse balbettante,
    spargendo lacrime imbelli, e tremando innanzi ad una spada
    sguainata, e parlando or la favella del buffone, ora quella del
    pedagogo.
    
    XXXV. Frattanto le dissensioni religiose, che fino dai giorni di
    Eduardo VI avevano affaccendate le fazioni protestanti, erano
    divenute quanto mai formidabili. Lo intervallo che aveva divisa la
    prima generazione de' protestanti da Cranmer e Jewel, era ben corto
    in paragone di quello che separò la terza generazione dei puritani
    da Laud ed Hammond. Mentre la rimembranza delle crudeltà di Maria
    era ancor fresca; mentre la forza del partito cattolico tuttavia
    ispirava timore; mentre Spagna, serbando ancora la sua
    preponderanza, aspirava alla dominazione universale; tutte le sètte
    riformate conoscevano d'avere un interesse comune, ed un comune e
    mortale nemico. Lo aborrimento vicendevole che sentivano, era lieve
    in agguaglio di quello che provavano contro Roma. Conformisti e
    non-conformisti eransi cordialmente congiunti nel fare severissime
    leggi penali contro i papisti. Ma poichè cinquanta e più anni di
    indisturbato possesso ebbero resa alla Chiesa stabilita la fiducia
    in sé; poichè nove decimi della nazione erano divenuti protestanti
    sinceri; poichè la Inghilterra essendo in pace con tutto il mondo,
    non eravi più pericolo che il papismo venisse imposto alla nazione
    dalle armi straniere; ed erano spenti gli ultimi confessori i quali
    stettero intrepidi innanzi a Bonner; i sentimenti del clero
    anglicano cangiaronsi. Mitigavasi considerevolmente la loro ostilità
    contro la dottrina e disciplina cattolica romana, mentre dall'altro
    canto si accresceva quotidianamente la loro avversione contro i
    puritani. Le controversie che avevano fin da principio scisso il
    partito protestante, presero una forma tale, da togliere ogni
    speranza di riconciliazione; e nuove controversie di assai maggiore
    importanza si aggiunsero alle vecchie cagioni di dissenso.
    
    I fondatori della Chiesa anglicana avevano ritenuto l'episcopato
    come un ordinamento di politica ecclesiastica antica, venerabile e
    convenevole; ma non avevano dichiarato che quella dignità nel
    governo della Chiesa fosse d'istituzione divina. Abbiamo già veduto
    quanta poca stima Cranmer facesse dell'ufficio di vescovo. Regnante
    Elisabetta, Jewel, Cooper, Whitgift ed altri incliti dottori,
    difesero la prelatura come innocua ed utile, come cosa che poteva
    essere legittimamente istituita dallo Stato, come cosa che, una
    volta istituita, doveva essere rispettata da ogni cittadino. Ma non
    negarono mai che una comunità cristiana priva di vescovo, potesse
    essere una chiesa pura; che anzi credevansi congiunti ai protestanti
    del continente in una medesima fede. Gl'Inglesi in Inghilterra, a
    dir vero, erano tenuti a riconoscere l'autorità del vescovo, nel
    modo medesimo che erano tenuti a riconoscere l'autorità dello
    sceriffo o d'altro ufficiale pubblico; ma l'obbligo era soltanto
    locale. Un ecclesiastico inglese, anzi un prelato inglese, se andava
    in Olanda, conformavasi senza scrupolo alla religione stabilita
    dell'Olanda. Ne' paesi stranieri, gli ambasciatori di Elisabetta e
    di Giacomo assistevano officialmente a quegli stessi riti che
    Elisabetta e Giacomo avevano proscritti negli Stati brittannici, e
    con gran cura astenevansi dal decorare le loro cappelle private
    secondo il costume anglicano, onde non essere di scandalo ai loro
    traviati fratelli. Sostenevasi perfino che i ministri presbiteriani
    avevano diritto di sedere e di votare ne' concilii ecumenici. Quando
    gli Stati generali delle Provincie Unite convocarono a Dorf un
    sinodo di dottori non ordinati dai vescovi, un decano ed un vescovo
    inglesi v'intervennero, parteciparono alle discussioni, e votarono
    con essi intorno alle più gravi questioni teologiche(11). Anzi,
    molti beneficii in Inghilterra erano occupati da ecclesiastici che
    erano stati ammessi al ministero secondo la cerimonia calvinistica
    che usavasi nel continente; né era creduto necessario, o anche
    legale, che un vescovo in simiglianti casi conferisse una nuova
    ordinazione.
    
    Ma sorgeva già nella Chiesa d'Inghilterra una nuova genia di
    teologi. Secondo loro, l'ufficio episcopale era essenziale al bene
    d'una società cristiana, ed alla efficacia delle più solenni
    ordinanze della religione. A quell'ufficio spettavano certi sacri ed
    alti privilegi, che non potevano essere conferiti né ritolti da
    nessuna potestà umana. Una Chiesa poteva esistere senza la dottrina
    della Trinità o della Incarnazione, come senza gli ordini
    apostolici; e la Chiesa di Roma, la quale, fra tutti i suoi
    traviamenti, aveva serbati gli ordini apostolici, era più presso
    alla primigenia purità, di quel che lo fossero quelle società
    riformate che avevano arditamente innalzato un sistema inventato da
    esse, in opposizione al modello divino.
    
    Nei tempi di Eduardo VI e di Elisabetta, i difensori del rituale
    anglicano eransi contentati di dire che esso poteva usarsi senza
    peccato, e che quindi niuno, fuorchè un suddito perverso e
    sconoscente i propri doveri, ricuserebbe di usarlo sempre che gli
    fosse ordinato dai magistrati. Intanto, quel nascente partito che
    pretendeva per l'ordinamento politico della Chiesa ad un'origine
    celeste, cominciò ad attribuire alle sacre cerimonie nuova dignità
    ed importanza. Concludevano, che se nel culto stabilito vi fosse
    qualche errore, siffatto errore era la sua estrema semplicità; e che
    i riformatori, nel calore delle loro dissensioni con Roma, avevano
    abolite molte antiche cerimonie che si sarebbero utilmente potute
    serbare. I giorni e i luoghi furono di nuovo osservati con
    misteriosa venerazione. Talune cerimonie che da lungo tempo erano
    cadute in disuso, e che comunemente giudicavansi come fantocciate
    superstiziose, furono richiamate a vita. Le pitture e le sculture
    che erano rimaste illese dal furore della prima generazione de'
    protestanti, divennero obietti di tale venerazione, che a molti
    sembrava idolatria.
    
    Nessuna parte del sistema della vecchia Chiesa era stata tanto
    detestata dai riformatori, quanto il rispetto e la onoranza che
    tributavasi al celibato. Sostenevano che la dottrina di Roma intorno
    a ciò, era stata profeticamente condannata come diabolica
    dall'apostolo Paolo; e convalidavano la loro asserzione enumerando i
    delitti e gli scandali che originavano dalla osservanza di quella
    dottrina. Lutero aveva manifestata nel modo più chiaro la propria
    opinione sposando una monaca. Taluni de' vescovi e de' preti più
    illustri i quali, regnante Maria, erano stati arsi vivi, avevano
    lasciato moglie e figliuoli. Ora, nondimeno, principiava a correre
    la voce, che il vecchio spirito monastico fosse riapparso nella
    Chiesa anglicana; che nelle alte classi esistesse un pregiudicio
    contro i preti ammogliati; che anche i laici ohe si chiamavano
    protestanti, si fossero prefissi di osservare il celibato con
    promesse equivalenti quasi a voti solenni; anzi, che un ministro
    della religione stabilita avesse fondato un monastero, dentro il
    quale una congrega di vergini dedicate a Dio cantava i salmi a
    mezzanotte(12).
    
    Né ciò era tutto. Una specie di questioni intorno alle quali i
    fondatori della Chiesa anglicana e la prima generazione dei puritani
    differivano poco o nulla, cominciò ad apprestare materia alle più
    virulente dispute. Le controversie che avevano scissa la setta
    protestante nella sua infanzia, riferivansi pressochè tutte al
    governo ecclesiastico ed alle cerimonie. Intorno ai punti di
    teologia metafisica non era stato serio litigio fra le parti
    contendenti. Le dottrine sostenute dai capi della gerarchia rispetto
    al peccato originale, alla fede, alla grazia, alla predestinazione,
    alla elezione, erano quelle che comunemente si chiamano
    calvinistiche. Verso la fine del regno d'Elisabetta, lo arcivescovo
    Whilgift, suo prelato prediletto, compose, d'accordo col vescovo di
    Londra e con altri teologi, il celebre documento intitolato - gli
    Articoli di Lambeth. In esso le più notevoli fra le dottrine
    calvinistiche vengono affermate con tale distinzione, che
    disgusterebbe molti che, nell'età nostra, vengono reputati
    calvinisti. Un chierico il quale fu di contrario parere, e parlò
    duramente di Calvino, fu espulso, in pena della sua presunzione,
    dalla università di Cambridge, e si sottrasse al castigo soltanto
    confessando di credere fermamente ne' dogmi della riprovazione e
    della perseveranza finale, e dolendosi d'avere offeso, con le sue
    idee intorno al riformatore francese, gli uomini pii. La scuola
    teologica della quale Hooker era capo, occupava un posto di mezzo
    tra la scuola di Cranmer e quella di Laud; e nei tempi moderni
    Hooker è stato considerato dagli arminiani come loro alleato. Ciò
    non ostante, Hooker affermò Calvino essere stato superiore per
    sapienza ad ogni altro teologo che fosse mai stato in Francia;
    essere stato uomo al quale migliaia andavano debitori della
    cognizione della verità divina, cognizione che egli doveva alla sola
    grazia peculiare di Dio. Allorchè nacque in Olanda la controversia
    arminiana, il Governo e la Chiesa d'Inghilterra prestarono vigoroso
    sostegno al partito calvinista; ed il Governo inglese non è affatto
    scevro della macchia che la prigionia di Grozio e lo assassinio
    giuridico(13) di Barneveldt hanno lasciata su quel partito.
    
    Ma anco innanzi la convocazione del sinodo olandese, coloro fra il
    clero anglicano che erano ostili al governo ecclesiastico ed al
    culto calvinista, avevano preso a considerare con disgusto la
    metafisica di Calvino; e siffatto sentimento venne naturalmente a
    rinvigorirsi per la grossolana ingiustizia, insolenza e crudeltà del
    partito che prevaleva in Dort. La dottrina arminiana, dottrina meno
    austeramente logica che non fosse quella de' più antichi
    riformatori, ma più consona alle nozioni popolari intorno alla
    giustizia ed alla benevolenza divina, si estese molto e rapidamente,
    e giunse alla corte. Quelle opinioni le quali, nel tempo in che
    Giacomo ascese al trono, nessun ecclesiastico avrebbe osato di
    emettere senza imminente pericolo di essere privato del sacerdozio,
    erano ora diventate argomento di merito. Un teologo di quell'età,
    richiesto da un semplice gentiluomo di campagna cosa tenessero -
    vale a dire credessero - gli arminiani, rispose, con pari arguzia e
    verità, che essi tenevano i migliori vescovati e le migliori
    prebende dell'Inghilterra.
    
    Mentre parte del clero anglicano abbandonava il posto che esso in
    origine aveva occupato, parte della setta de' puritani scostavansi,
    in un cammino diametralmente opposto, dai principii e dalle usanze
    de' loro padri. La persecuzione che i separatisti avevano sostenuta,
    era stata severa tanto da irritare, ma non da distruggere. Non erano
    stati domi o sottomessi, ma resi inselvatichiti e caparbi. Secondo
    il costume delle sètte oppresse, scambiando i loro sentimenti
    vendicativi per emozioni religiose, fomentavano ne' loro cuori,
    leggendo e meditando, l'inchinevolezza a non iscordare le ingiurie
    sofferte; e dopo che si furono assuefatti a odiare i loro nemici,
    immaginarono di odiare solamente gl'inimici di Dio. Certo il Nuovo
    Testamento, anche interpretato con aperta mala fede, non indulgeva
    alle passioni malefiche. Ma il Testamento Vecchio conteneva la
    storia di un popolo eletto da Dio ad essere testimonio della sua
    unità e ministro della sua vendetta, ed in ispecie comandato a
    operare tali cose, che se fossero state fatte senza espresso comando
    divino, si sarebbero reputate atroci delitti. Agli spiriti cupi e
    feroci non tornava difficile trovare in quella storia molti fatti
    che potessero agevolmente stiracchiarsi a significati convenevoli ai
    loro desiderii. I più rigidi puritani, adunque, cominciarono a
    sentire per il Vecchio Testamento una predilezione, che essi forse
    non confessavano chiaramente, ma che traluceva in tutti i pensieri e
    i costumi loro. Tributavano al linguaggio ebraico quel rispetto che
    ricusavano alla lingua nella quale sono a noi pervenuti i discorsi
    di Cristo e le epistole di Paolo. Battezzando i loro figliuoli,
    adoperavano non i nomi de' santi cristiani, ma quelli de' patriarchi
    e de' guerrieri ebrei. Sfidando le espresse e ripetute dichiarazioni
    di Lutero e di Calvino, trasmutarono in un sabato giudaico il giorno
    festivo settimanale, con cui la Chiesa aveva, fino da' tempi
    primitivi, commemorata la risurrezione del suo Signore. Nella legge
    mosaica cercavano i principii della giurisprudenza, e nei libri dei
    Giudici e dei Re indagavano le norme del vivere. I pensieri e
    discorsi loro versavano sopra azioni che certamente non vengono
    ricordate come esempi da imitarsi. Il profeta che tagliò a pezzi un
    re prigioniero, il capitano ribelle che dette a bere ai cani il
    sangue d'una regina, la matrona che, violando la fede data e le
    leggi dell'ospitalità orientale, confisse il chiodo nel cranio
    dell'alleato fuggiasco che aveva pur allora mangiato al desco e
    dormito sotto la tenda di lei, venivano proposti come esempi da
    imitarsi ai Cristiani che pativano la tirannia dei principi e dei
    prelati. La morale e i costumi furono sottoposti ad un codice che
    somigliava quello della sinagoga, quando essa era nelle sue peggiori
    condizioni. Il vestire, il contegno, il linguaggio, gli studi, i
    sollazzi di quella rigida setta, furono regolati secondo principii
    simili a quelli de' Farisei, i quali orgogliosi delle loro mani
    lavate e de' loro grandi filatterii, insultavano il Redentore come
    violatore del sabato e bevitore di vino. Era peccato lo appendere
    ghirlande al maggio, il bere alla salute d'un amico, il lanciare in
    aria uno sparviero, il dar la caccia ad un cervo(14), il giocare a
    scacchi, arricciarsi i capelli, portare trine inamidate, suonare la
    spinetta, leggere il Fairy Queen. Simiglianti precetti, i quali
    sarebbero sembrati insopportabili allo spirito libero e brioso di
    Lutero, e spregevoli al tranquillo e filosofico intelletto di
    Zuinglio, gettarono sopra la vita il peso di una regola più che
    monastica. La dottrina e la eloquenza in cui i grandi riformatori
    eransi resi illustri, ed a cui andavano non poco debitori dei loro
    successi, venivano da questa nuova scuola di protestanti considerate
    con sospetto, se non con avversione. Parecchi rigoristi avevano
    scrupolo d'insegnare la grammatica latina, perchè vi s'incontravano
    i nomi di Marte, di Bacco, di Apollo. Le belle arti vennero quasi
    proscritte. Il solenne suono dell'organo era superstizioso; ed era
    dissoluta la musica allegra delle maschere di Ben Johnson(15). Mezze
    le più belle pitture d'Inghilterra erano idolatre, e le altre mezze
    indecenti. Il rigido puritano a colpo d'occhio distinguevasi dagli
    altri uomini per il mondo di vestirsi e di andare, i capelli
    cascanti, l'aspra solennità del viso, gli occhi rivolti in su, il
    tono nasale della parlatura, e sopra tutto per il gergo peculiare.
    Servivasi sempre delle immagini e dello stile della Bibbia. Ebraismi
    intrusi a forza nella lingua inglese, e metafore attinte alla lirica
    audace dei più remoti secoli e paesi, e applicate agli usi comuni
    della vita in Inghilterra, formavano il carattere particolare di
    quel gergo, che provocava, non senza cagione, il dileggio e de'
    prelatisti e de' liberali.
    
    In tal guisa, lo scisma politico e religioso, nato nel secolo
    decimosesto, si venne, ne' primi venti anni del susseguente, sempre
    estendendo. In Whitehall diventarono di voga certe dottrine tendenti
    al dispotismo turco; mentre certe altre tendenti al repubblicanismo
    manifestavansi dalla maggior parte de' membri nella Camera de'
    Comuni. I prelatisti violenti, che erano zelanti della prerogativa,
    e i violenti puritani, che erano zelanti de' privilegi del
    parlamento, s'osteggiavano con animosità più forte di quella che,
    nella precedente generazione, erasi mostrata fra cattolici e
    protestanti.
    
    Mentre le menti degli uomini trovavansi in cosiffatte condizioni, il
    paese, dopo una pace di molti anni, alla perfine impegnossi in una
    guerra che richiedeva grandissimi sforzi. Questa guerra affrettò lo
    appropinquarsi della gran crisi costituzionale. Era mestieri che il
    Re avesse numerose forze militari, le quali non potevano ottenersi
    senza pecunia. Egli non poteva legalmente far danari senza lo
    assenso del Parlamento. Ne seguiva quindi, o che egli dovesse
    amministrare il governo secondo il sentire della Camera de' Comuni,
    o dovesse correre il rischio di violare le leggi fondamentali del
    regno in modo, di cui per parecchi secoli non s'era visto esempio. I
    Plantageneti e i Tudors, egli è vero, avevano provveduto al difetto
    delle loro entrate per mezzo di un donativo o d'un prestito forzato;
    ma tali espedienti erano sempre d'indole temporanea. Il far fronte
    al peso continuo d'una lunga guerra con una tassa regolare, imposta
    senza il consentimento degli Stati del reame, era tale un passo che
    lo stesso Enrico VIII non avrebbe osato fare. L'ora decisiva,
    adunque, sembrava approssimarsi, in cui al Parlamento inglese
    sarebbe toccata la sorte dei senati del continente, o l'acquisto
    della preponderanza nel governo dello Stato.
    
    XXXVI. Ma in quel mentre il re Giacomo morì. Carlo I ascese al
    trono. Natura lo aveva dotato di molto migliore intendimento, di
    volontà più vigorosa, di temperamento più ardente e più fermo, che
    suo padre non era. Da costui aveva egli ereditati i principii
    politici, ed era più di lui disposto a metterli in opera. Era al
    pari del padre uno zelante episcopale; ed era inoltre ciò che il
    padre non era mai stato, voglio dire zelante arminiano; e quantunque
    non fosse papista, amava meglio i papisti che i puritani. Sarebbe
    cosa ingiusta negare a Carlo alcune delle doti convenevoli ad un
    principe buono e anche grande. Parlava e scriveva, non, come il
    padre suo, con la esattezza di un professore, ma secondo lo stile di
    un gentiluomo intelligente e bene educato. Aveva gusto squisito
    nelle lettere e nelle arti gentili, e modi, comunque privi di
    grazia, dignitosi: la sua vita domestica era senza menda. La
    perfidia fu la cagione massima de' suoi disastri, ed è la macchia
    precipua che gli deturpa la fama. Veramente, era una incurabile
    tendenza quella che lo trascinava per le vie torte e tenebrose. E'
    sembrerebbe strano che la sua coscienza, la quale in occasioni di
    lieve momento era bastevolmente sensibile, non gli avesse mai
    rimproverato cotesto gran vizio. Ma abbiamo ragione di credere
    ch'egli fosse perfido non solo per indole e per costume, bensì per
    principio. Pare che avesse imparato dai teologi, da lui
    singolarmente stimati, non potere tra lui e i suoi sudditi esistere
    nulla che avesse natura di mutuo contratto; lui non avere potestà,
    qualvolta lo avesse voluto, di deporre la sua autorità dispotica; ed
    in ogni promessa che egli facesse, sottointendersi la riserva di
    romperla in caso di necessità, della quale necessità era egli stesso
    il solo giudice.
    
    XXXVII. Allora ebbe principio quel giuoco rischioso dal quale
    dipesero le sorti del popolo inglese. La Camera de' Comuni giuocò
    ostinatamente; ma con destrezza, calma e perseveranza mirabili.
    Erano di guida all'assemblea alcuni uomini di Stato, che sapevano
    portare l'occhio molto più addietro e spingerlo molto più avanti che
    i rappresentanti della nazione non facevano. Quegli alti intelletti
    determinaronsi di porre il Re in tali condizioni da dovere condurre
    il governo dello Stato secondo i desiderii del Parlamento, o indursi
    a violare i più sacri principii dello Statuto. Però, brontolando
    sempre nel concedergli scarsi sussidi, lo posero nel bisogno di
    governare o d'accordo con la Camera de' Comuni, o sfidando ogni
    legge. Non mise tempo fra mezzo, ed elesse. Sciolse il suo primo
    Parlamento di propria autorità, e impose tasse. Convocò un secondo
    Parlamento, e lo trovò più riottoso del primo. Adottò di nuovo lo
    espediente di discioglierlo, impose nuove tasse senza la minima
    apparenza di legalità, e gettò in carcere i capi dell'opposizione.
    Nel tempo stesso, eccitò universale scontento e timore un nuovo
    aggravio, che riusciva insopportabilmente penoso al sentire ed ai
    costumi della nazione inglese, e che a tutti gli uomini previdenti
    sembrava di sinistro augurio. Le compagnie de' soldati vennero
    distribuite fra i cittadini onde provvedere agli alloggi, ed in
    taluni luoghi la legge marziale fu sostituita all'antica
    giurisprudenza del regno.
    
    XXXVIII. Il Re, convocato un terzo Parlamento, tosto si accorse che
    la Opposizione erasi fatta più vigorosa e fiera che mai. Divisò
    quindi di mutar tattica. Invece di opporre inflessibile resistenza
    alle richieste della Camera de' Comuni, egli, dopo molti alterchi e
    molte evasioni, s'indusse ad un patto il quale, ove fosse stato da
    lui fedelmente mantenuto, avrebbe stornata una lunga serie di gravi
    sciagure. Il Parlamento concesse larghi sussidii. Il re ratificò,
    nel modo più solenne, quella legge famosa che è conosciuta sotto il
    nome di Petizione dei Diritti, e che forma la seconda Magna Carta
    delle libertà dell'Inghilterra. Nel ratificare cotesta legge, egli
    obbligossi a non levare danaro senza il consenso di ambedue le
    Camere, non imprigionare mai nessuno, tranne nelle debite forme
    della legge, e non sottoporre mai più il popolo alla giurisdizione
    delle corti marziali.
    
    Il giorno in cui, dopo molto indugiare, Carlo dette solennemente la
    sua regia sanzione a questo grande atto, fu giorno di gioia e di
    speranza. I membri della Camera de' Comuni, che circondavano la
    tribuna di quella de' Lordi, mandarono alte acclamazioni, appena
    furono proferite, secondo l'antica formula, le parole con le quali i
    nostri principi, per tanti secoli, hanno significato il loro assenso
    ai desiderii degli Stati del regno. A tali acclamazioni fece eco la
    voce della metropoli e della intera nazione; ma dopo pochi giorni,
    divenne a tutti manifesto che Carlo non intendeva mantenere il patto
    giurato. Furono raccolti i sussidii concessi da' rappresentanti
    della nazione; ma la promessa, in grazia della quale erano stati
    ottenuti, fu rotta. Ne seguì una violenta contesa. Il Parlamento
    venne disciolto, con tutti i segni del regio malumore. Alcuni de'
    più cospicui membri furono incarcerati; ed uno di loro, sir Giovanni
    Eliot, dopo anni di pene, vi perdè la vita.
    
    Carlo, nondimeno, non potè rischiarsi d'imporre di propria autorità
    tasse bastevoli a tirare innanzi la guerra. Affrettossi, dunque, a
    far pace coi propri vicini, e rivolse la mente tutta alla politica
    interna.
    
    Adesso s'apre un'era nuova. Molti re inglesi avevano, in varie
    occasioni, commessi atti incostituzionali; ma nessuno aveva mai
    sistematicamente tentato di rendersi despota, e di annientare il
    Parlamento. Fu questo lo scopo che Carlo si propose. Dal marzo del
    1629 all'aprile del 1640 le Camere non furono convocate. Non v'era
    mai stato nella nostra storia un intervallo di undici anni tra
    parlamento e parlamento. Solo una volta eravi stato un intervallo,
    lungo la metà. Basti tal fatto a confutare coloro che affermano,
    Carlo avere semplicemente calcate le orme de' Plantageneti e de'
    Tudors.
    
    XXXIX. È indubitabile, secondo la testimonianza de' più validi
    sostenitori del re, che, durante cotesto periodo del suo regno, i
    provvedimenti della Petizione dei Diritti furono da lui violati non
    secondo le occasioni, ma sempre e sistematicamente; che gran parte
    dell'entrate fu riscossa senza nessuna autorità legale; e che gli
    individui invisi al governo languirono per anni interi in carcere,
    senza essere mai stati tradotti innanzi a nessun tribunale.
    
    Di tali atti è mestieri che la storia chiami responsabile
    principalmente il sovrano. Dopo che fu disciolto il terzo
    parlamento, egli non ebbe altro primo ministro che sè stesso,
    comecchè parecchi uomini ch'erano temprati a secondarlo ne' suoi
    fini, dirigessero diversi dipartimenti dell'amministrazione.
    
    XL. Tommaso Wentworth, creato poscia lord Wentworth e poi conte di
    Strafford, uomo grandemente destro, eloquente, animoso, ma d'indole
    crudele ed imperiosa, era il consigliere più fido nelle faccende
    militari e politiche. Era stato uno de' più illustri membri della
    opposizione, e sentiva verso coloro dai quali erasi diviso, quella
    tale malignità, che in tutti i tempi è stata la caratteristica degli
    apostati. Conosceva mirabilmente i sentimenti, i mezzi e la politica
    del partito al quale un tempo apparteneva, ed aveva formato un
    disegno vasto e profondamente meditato, che quasi pervenne a
    sconcertare la tattica efficace degli uomini di Stato che dirigevano
    la Camera dei Comuni. A tale disegno, nel suo carteggio
    confidenziale, egli dava il nome espressivo di completo (Thorough).
    Era suo scopo di fare in Inghilterra tutto - e più che tutto - ciò
    che Richelieu andava facendo in Francia; di rendere Carlo monarca
    assoluto quanto ogni altro principe nel continente; di porre gli
    Stati e la libertà personale dell'intero popolo a disposizione della
    corona; di privare le corti di giustizia d'ogni autorità
    indipendente anche nelle ordinarie questioni di diritto civile tra
    uomo e uomo, e di punire con inesorabile rigore tutti coloro i quali
    mormorassero contro gli atti del governo, o anco in modo decente e
    regolare ricorressero a qualunque tribunale per ottenere giustizia
    contro quegli atti(16).
    
    Tale scopo s'era egli proposto, e scerneva distintamente le sole vie
    per le quali vi poteva giungere. Vero è che in tutte le sue idee
    rifulgono chiarezza, coerenza e precisione tali, che s'egli non
    avesse aspirato ad un fine pernicioso alla patria ed alla umanità,
    si sarebbe reso meritevole della più alta ammirazione. Ben vide non
    esservi se non se un solo strumento per mandare ad esecuzione i suoi
    arditi disegni. Tale strumento era un esercito stanziale. A formare
    quindi lo esercito rivolse tutta l'operosità della sua mente
    vigorosa. In Irlanda, dove era vicerè, gli era venuto fatto di
    stabilire un dispotismo militare, non solo sopra le popolazioni
    aborigene, ma anche sopra le colonie inglesi, e potè gloriarsi che
    in quell'isola il Re regnava assoluto quanto potesse esserlo ogni
    altro principe della terra(17).
    
    XLI. In questo mentre, l'amministrazione ecclesiastica era
    principalmente diretta da Guglielmo Laud, arcivescovo di Canterbury.
    Sopra tutti i prelati della Chiesa anglicana, Laud si era dilungato
    maggiormente dai principii della Riforma e ravvicinato a Roma. La
    sua teologia scostavasi da quella de' calvinisti anche più di quello
    che facesse la teologia degli arminiani d'Olanda. La passione che
    egli sentiva per le ceremonie, la riverenza per i giorni festivi, le
    vigilie, i luoghi sacri, il suo mal dissimulato disgusto per il
    matrimonio degli ecclesiastici, lo ardente e non affatto
    disinteressato zelo con cui egli manifestava le pretese del clero al
    rispetto dei laici, lo avrebbero reso obietto d'avversione ai
    puritani anche se avesse usati mezzi miti e legali per conseguire i
    suoi fini. Ma aveva corta intelligenza e poco uso di mondo. Era per
    indole brusco, irritabile, veloce a sentire ciò che considerava come
    dignità propria, tardo a compatire le altrui sofferenze, e prono
    allo errore, comune a tutti gli uomini superstiziosi, di prendere i
    suoi modi burberi e maligni per emozioni di zelo religioso. Lui
    dirigente, ogni angolo del regno venne sottoposto a diuturna e
    minuta inquisizione. Ogni piccola congregazione di separatisti fu
    spiata e dispersa. Gli stessi atti di divozione delle famiglie
    private non valevano a sottrarsi alla vigilanza de' suoi
    esploratori. Tanta era la paura che il suo rigore ispirava, che
    l'odio mortale contro la Chiesa, il quale covava in cuore di
    moltissimi, veniva generalmente travestito sotto le apparenze di
    conformismo. Nella stessa vigilia delle perturbazioni che furono
    fatali a lui ed al suo ordine, i vescovi di varie grandi diocesi
    poterono riferirgli come nel cerchio delle loro giurisdizioni non si
    trovasse nè anche un dissenziente(18).
    
    XLII. I tribunali non prestavano protezione ai sudditi contro la
    tirannia civile e clericale di quel tempo. I giudici del diritto
    comune, che occupavano l'ufficio a volontà del re, mostravansi
    scandalosamente ossequiosi. Nondimeno, comunque ossequiosi, erano
    strumenti meno pronti ed efficaci del potere arbitrario, di quel che
    lo fosse un'altra specie di corti, la cui memoria tuttavia, dopo
    dugento e più anni, è profondamente abborrita dalla nazione.
    Precipue fra esse per potenza ed infamia erano la Camera Stellata e
    l'Alta Commissione; politica inquisizione la prima, inquisizione
    religiosa la seconda; nessuna delle quali era parte della vecchia
    costituzione dell'Inghilterra. La Camera Stellata era stata rifatta
    e l'Alta Commissione creata dai Tudors. La potestà di cui erano
    investite innanzi lo avvenimento di Carlo al trono, era vasta e
    formidabile; ma piccola, in agguaglio di quanta ne avevano poscia
    usurpata. Guidate massimamente dallo spirito violento del primate, e
    libere dal sindacato del Parlamento, facevano mostra di rapacità,
    violenza e malefica energia, non mai vista in nessuna epoca
    precedente. Per mezzo di esse, il governo poteva multare,
    incarcerare, porre alla gogna e mutilare gl'individui senza alcun
    freno. Un Consiglio segreto residente in York sotto la presidenza di
    Wentworth, con un semplice atto di prerogativa che violava la legge,
    fu rivestito di quasi illimitato potere sopra le contee
    settentrionali. Tutti i predetti tribunali insultavano e sfidavano
    l'autorità di Westminster Hall, e commettevano quotidianamente
    eccessi tali, che sono stati condannati dai più eminenti realisti.
    Scrive Clarendon, non esservi nel regno quasi uomo notevole che non
    avesse da sè fatto esperimento della durezza e cupidità della Camera
    Stellata; l'alta Commissione essersi condotta in guisa da non
    rimanerle in tutto il reame nè anche un amico; e la tirannia del
    Consiglio di York avere resa la Magna Carta una lettera morta per le
    contrade giacenti a settentrione del Trent.
    
    XLIII. Il governo d'Inghilterra in que' giorni era dispotico, salvo
    un solo punto, al pari di quello di Francia. Ma in quel punto era la
    cosa di maggiore importanza. Non essendovi esercito stanziale,
    poteva il governo essere sicuro che lo edificio della tirannide non
    venisse distrutto fino dalle fondamenta in un solo giorno? E se
    fossero imposte dalla regia autorità nuove tasse per mantenere lo
    esercito, non era egli probabile che ne seguisse una repentina ed
    irresistibile esplosione? Qui dunque stava la difficoltà, la quale,
    più che ogni altra, rendeva Wentworth perplesso. Il lord cancelliere
    Finch, d'accordo con tutti gli altri giureconsulti ufficiali del
    governo, propose un espediente, che venne tosto abbracciato. Gli
    antichi principi d'Inghilterra, come avevano fatto appello agli
    abitanti delle contee più vicine alla Scozia di armarsi ed ordinarsi
    a difesa dei confini, così avevano talvolta fatto appello alle
    contee marittime ad apprestare navigli per la difesa del littorale.
    Talvolta, invece di navi, avevano accettato danaro. Fu dunque
    stabilito non solo di richiamare a vita, dopo tanto tempo, ma di
    estendere siffatta consuetudine. Gli antecedenti principi avevano
    levato il sopradetto danaro soltanto in tempo di guerra, adesso
    venne riscosso in tempo di profonda pace. Gli antecedenti principi,
    anche nelle guerre più perigliose, lo avevano raccolto soltanto
    nelle contrade lungo il littorale; adesso Carlo lo riscosse nelle
    contee interne. I principi precedenti lo avevano raccolto soltanto
    per la difesa de' patrii lidi; adesso venne riscosso, conforme gli
    stessi realisti confessano, col disegno non di mantenere una flotta,
    ma di procurare al re i sussidii che egli poteva a sua discrezione
    elevare a qualunque somma, e spendere a sua discrezione in
    qualsivoglia impresa.
    
    Tutta la nazione si commosse di paura e di sdegno. Giovanni Hampden,
    ricco e bennato gentiluomo della contea di Buckingham, tenuto in
    alta venerazione da' suoi vicini, ma generalmente poco noto al
    regno, ebbe animo di spingersi innanzi, di far fronte ai poteri
    tutti del governo, e di addossarsi le spese e il pericolo di
    contrastare al Re la nuova prerogativa. Il caso fu discusso avanti i
    giudici nella Camera dello Scacchiere. E furono talmente vigorosi
    gli argomenti contro le pretese della Corona, che, per quanto
    dipendenti e servili fossero quei magistrati, la maggioranza de'
    voti contro Hampden fu estremamente piccola. Gl'interpreti della
    legge avevano dichiarato, la regia autorità aver diritto d'imporre
    una tassa grande e produttiva. Wentworth fece assennatamente
    osservare, come fosse impossibile sostenere il loro giudizio,
    fuorchè con ragioni conducenti direttamente ad una conclusione che
    essi non avevano osato dedurre. Se era permesso di levare pecunia
    legalmente senza il consenso del Parlamento per mantenere una
    flotta, non era facile negare che potevasi legalmente, senza il
    consenso del Parlamento, levare pecunia per mantenere un esercito.
    
    La sentenza de' giudici accrebbe la irritazione del popolo. Un
    secolo innanzi, un concitamento meno grave avrebbe fatto scoppiare
    una insurrezione generale. Ma il malcontento adesso non assumeva,
    come nelle età trascorse, la forma d'una rivolta. La nazione da
    lungo tempo progrediva nella civiltà e nella ricchezza. Settanta
    anni erano scorsi da che i grandi signori delle contrade
    settentrionali avevano prese le armi contro Elisabetta; e nel corso
    di que' settanta anni non eravi stata guerra civile. In tutta la
    esistenza della nazione inglese non era mai stato un periodo sì
    lungo senza lotte intestine. Gli uomini eransi assuefatti alle
    occupazioni della pacifica industria; e per quanto fossero
    esasperati, esitavano lungamente innanzi di snudare la spada.
    
    Fu questo il momento in cui le libertà della patria nostra corsero
    il più grande pericolo. Gli oppositori del Governo cominciarono a
    disperare delle sorti della patria; e molti volgevano gli sguardi ai
    deserti americani, come al solo asilo in cui potessero fruire de'
    beni della libertà civile e religiosa. Ivi pochi fermi puritani, i
    quali per la loro religione non ebbero timore nè dei furori
    dell'oceano, nè delle durezze della vita rozza, nè delle zanne delle
    bestie feroci, nè delle scuri d'uomini più feroci, edificarono fra
    mezzo ad annose foreste quei villaggi, che oggimai sono diventati
    città grandi ed opulente, ma che, a traverso tutte le variazioni
    subite, serbano i segni dell'indole de' loro fondatori. Il governo
    considerava con avversione queste nascenti colonie, e si provò di
    fermare violentemente l'onda della emigrazione; ma non potè fare che
    la popolazione della nuova Inghilterra non venisse da uomini forti
    di cuore e timorosi di Dio reclutata in ogni angolo della vecchia
    Inghilterra. Wentworth esultava vedendosi presso a compiere il
    proprio disegno, per la piena esecuzione del quale sarebbero forse
    bastati pochi anni. Se il governo avesse serbata stretta economia,
    se avesse con ogni studio schivata ogni collisione coi potentati
    stranieri, avrebbe estinti i debiti della Corona, avrebbe ragunata
    la pecunia bisognevole a mantenere un poderoso esercito, ed avrebbe
    con esso potuto infrenare il recalcitrante spirito della nazione.
    
    XLIV. Frattanto, un atto d'insana bacchettoneria cangiò
    improvvisamente lo aspetto delle pubbliche faccende. Se il Re fosse
    stato savio, si sarebbe attenuto ad una politica cauta e blanda
    verso la Scozia fino a che si fosse reso assoluto signore delle
    contrade meridionali. Imperocchè fra tutti i suoi regni la Scozia
    era quello dove una semplice favilla avrebbe potuto produrre un
    incendio generale. Non poteva temere, egli è vero che sorgesse in
    Edimburgo una opposizione costituzionale simile a quella ch'egli
    aveva incontrata in Westminster. Il Parlamento del suo regno
    settentrionale era un corpo ben differente da quello che portava il
    medesimo nome in Inghilterra. Era male costituito, poco rispettato,
    e non aveva mai opposto nessun limite di grave momento ad alcuno de'
    predecessori di Carlo. I tre Stati ragunavansi in una sola Camera. I
    commissari de' borghi erano considerati come dipendenti dai grandi
    nobili. Nessun atto poteva proporsi se prima non fosse stato
    approvato dai Lordi degli Articoli; comitato che in sostanza, benchè
    non formalmente, veniva nominato dalla Corona. Ma, quantunque il
    Parlamento scozzese fosse ossequioso, il popolo scozzese era sempre
    stato singolarmente torbido e irrefrenabile. Aveva scannato Giacomo
    I nella camera da letto; erasi più volte armato contro Giacomo II;
    aveva ucciso Giacomo III sul campo di battaglia; con la sua
    disobbedienza fatto morire di crepacuore Giacomo V; deposta dal
    trono ed imprigionata Maria; condotto in cattività il figlio di lei:
    l'indole di quel popolo seguitava, come sempre, ad essere
    intrattabile. I suoi costumi erano rozzi e marziali. Lungo tutto il
    confine meridionale, e lungo la linea tra le contrade alte e le
    basse, infuriava una guerra incessante di ladroneccio. In ogni parte
    del paese gli abitanti erano assuefatti a vendicare con le mani
    proprie i torti sofferti. Il sentimento di lealtà, che la nazione
    aveva in antico mostrato verso la casa regale, erasi intiepidito
    nell'assenza di due sovrani. Dividevansi la influenza sopra
    l'opinione pubblica due classi di malcontenti; i signori del suolo e
    i predicatori: gli uni erano animati dallo stesso spirito che aveva
    più volte spinti gli antichi Douglass a resistere agli antichi
    Stuardi; gli altri avevano ereditato le opinioni repubblicane e
    l'invincibile spirito di Knox. La popolazione si sentiva oltraggiata
    ne' sentimenti nazionali e religiosi. Tutte le classi querelavansi
    che il loro paese, quel paese che con tanta gloria aveva difesa la
    propria indipendenza contro i più destri e valorosi Plantageneti,
    fosse, per opera di principi scozzesi, diventato non già di nome, ma
    in sostanza, provincia dell'Inghilterra. In nessuna parte d'Europa
    la dottrina e la disciplina calvinistiche avevano messe così
    profonde radici ne' cuori del popolo, il quale odiava la Chiesa
    Romana d'un odio che potrebbe giustamente chiamarsi feroce, e
    sentiva avversione quasi uguale a quell'odio contro la Chiesa
    Anglicana, la quale sempre più andava riassumendo le sembianze di
    quella di Roma.
    
    Il Governo aveva da lungo tempo voluto estendere il sistema
    anglicano sopra l'isola intera, e con tale scopo aveva fatte
    parecchie modificazioni estremamente disgustevoli ad ogni
    presbiteriano. Nondimeno, fra tutte le innovazioni, non aveva
    tentato di farne una sola la quale, saltando direttamente all'occhio
    del popolo, era la più rischiosa di tutte. Il culto divino veniva
    tuttavia praticato nel modo accettabile alla nazione. Ciò non
    ostante, Carlo e Laud infine determinaronsi d'imporre a forza agli
    Scozzesi la liturgia anglicana; o, a dir meglio, una liturgia che
    nei punti in cui differiva da quella dell'Inghilterra, differiva in
    peggio.
    
    A codesta misura, presa per ebbrezza di tirannide e per colpevole
    ignoranza e più colpevole dispregio del pubblico sentire, la nostra
    patria va debitrice della propria libertà. Il primo esperimento
    delle cerimonie straniere produsse una sommossa, la quale
    rapidamente divenne rivoluzione. L'ambizione, il patriottismo, il
    fanatismo, svegliaronsi e si confusero in un solo torrente. La
    intera nazione insorse, e corse alle armi. La potenza
    dell'Inghilterra veramente era, secondo che parve manifesto alcuni
    anni dopo, bastevole a costringere la Scozia; ma gran parte del
    popolo inglese partecipava ai sentimenti religiosi degl'insorgenti;
    e molti Inglesi che non avevano nessuno scrupolo intorno ad antifone
    e genuflessioni, ad altari ed abiti clericali, vedevano con
    satisfazione il progredire d'una ribellione che pareva volesse
    sconcertare i disegni arbitrari della corte, e rendere necessaria la
    convocazione del Parlamento.
    
    XLV. Wentworth non ebbe colpa nella stolta smargiassata che aveva
    prodotti i riferiti effetti(19). Essa veramente aveva capovolti e
    confusi tutti i disegni di lui. Nonostante, l'indole sua non
    comportava di consigliare il governo a sottomettersi. Tentossi di
    spegnere la insurrezione adoperando le armi. Ma le forze militari e
    lo ingegno del re non erano pari alla gravità dell'opera. Imporre
    nuove tasse sopra la Inghilterra, a dispetto della legge, in quelle
    circostanze sarebbe stata insania. Altro partito, adunque, non
    rimaneva cui appigliarsi, se non se quello di ragunare un
    Parlamento; il quale, difatti, venne convocato nella primavera del
    1640.
    
    La nazione gioiva sperando di veder risorgere il governo
    costituzionale, e riaversi de' mali ch'ella sosteneva. La nuova
    Camera de' Comuni fu più temperante e più ossequiosa verso il trono
    di qualunque altra ch'erasi adunata dalla morte di Elisabetta in
    poi. La moderazione di questa assemblea è stata altamente lodata dai
    più cospicui realisti, e pare che avesse cagionato non lieve
    disturbo e scoraggiamento ai capi dell'opposizione; ma Carlo, per
    insana politica e poco generosa abitudine, ricusava sempre di
    appagare i desiderii del suo popolo fino a che tali desiderii non
    fossero espressi in tono minaccioso. Appena la Camera de' Comuni
    mostrossi inchinevole a fare ragione alle oppressioni che da undici
    anni pesavano sulla nazione, il Re con manifesti segni di malumore
    sciolse il Parlamento.
    
    Dallo scioglimento di questa assemblea di corta durata alla
    convocazione di quel sempre memorabile consesso conosciuto sotto il
    nome di Lungo Parlamento, corsero pochi mesi, durante i quali il
    giogo venne con severità maggiore aggravato sulla nazione, mentre lo
    spirito di questa svegliavasi più irato che mai a scuotere quel
    giogo. Il Consiglio privato interrogò alcuni membri della Camera de'
    Comuni intorno alla loro condotta parlamentare, e non ne ricevendo
    risposta nessuna, gli gettò in carcere. Le esazioni della imposta
    concernente il mantenimento della flotta, furono fatte con più
    grande rigore. Il lord gonfaloniere e gli sceriffi di Londra vennero
    minacciati del carcere per la loro moderazione nel riscuoterla. Si
    fecero conscrizioni forzate. A mantenere le milizie, si smunse
    pecunia dalle contee. La tortura, che era sempre stata illegale ed
    era stata di recente dichiarata tale anche dai servili giudici di
    quella età, venne inflitta per l'ultima volta in Inghilterra nel
    mese di maggio 1640.
    
    Adesso, tutto dipendeva dalle operazioni militari che il Re aveva
    intraprese contro gli Scozzesi. Fra le sue truppe esisteva
    pochissimo quel sentimento che divide i soldati di professione dalla
    massa della nazione, e gli attacca ai loro condottieri. Il suo
    esercito era composto in massima parte di reclute, che desideravano
    lo aratro da cui erano state violentemente strappate, e che essendo
    animate de' sentimenti religiosi e politici allora prevalenti nel
    paese, erano più formidabili ai loro capi che all'inimico. Gli
    Scozzesi, ai quali facevano animo i capi della opposizione inglese e
    debole resistenza le truppe inglesi, valicarono il Tweed e il Tyne,
    ed accamparonsi lungo i confini della contea di York. Allora il
    mormorare de' malcontenti diventò un frastuono, che impaurì, tranne
    un solo, i cuori di tutti. Ma Strafford ambiva tuttavia a
    raggiungere il suo scopo, ed in questi frangenti mostrò indole così
    crudele e dispotica, che i suoi stessi soldati erano pronti a farlo
    in pezzi.
    
    Rimaneva ancora un ultimo espediente, il quale, secondo che il Re
    illudevasi, l'avrebbe potuto salvare dalla ignominia di affrontare
    un'altra Camera de' Comuni. A quella dei Lordi egli era meno
    avverso. I vescovi gli erano affezionati; e quantunque i Pari
    secolari fossero generalmente malcontenti della sua amministrazione,
    avevano, come classe, cotanto interesse a mantenere l'ordine e la
    stabilità delle antiche istituzioni, che non era verosimile
    richiedessero vaste riforme. Contro la non interrotta costumanza di
    secoli, ei convocò un gran consiglio composto di soli Pari. Ma
    costoro furono così prudenti da non assumere le funzioni
    incostituzionali di cui egli voleva rivestirli. Senza pecunia, senza
    credito, senza autorità nè anche nello stesso suo campo, gli fu
    forza cedere alla pressura della necessità. Le Camere furono
    convocate; e le nuove elezioni provarono che, dalla primavera in
    poi, la sfiducia e l'odio contro il governo eransi spaventevolmente
    accresciuti.
    
    XLVI. Nel novembre del 1640 adunossi quel famoso Parlamento, il
    quale, malgrado i suoi molti errori e disastri, è degno della
    riverenza e gratitudine di tutti coloro che in qualsivoglia parte
    del mondo godono i beni del governo costituzionale.
    
    Nel corso dell'anno che seguì, nessuna grave scissura d'opinioni
    mostrossi in ambedue le Camere. Per lo spazio di quasi dodici anni,
    l'amministrazione civile ed ecclesiastica era stata cotanto
    oppressiva ed incostituzionale, che perfino quelle classi le quali
    generalmente inchinano all'ordine ed alla autorità, erano pronte a
    promuovere riforme popolari, e tradurre i satelliti della tirannide
    innanzi alla giustizia. Fu fatta una legge che prescriveva che fra
    parlamento e parlamento non potesse esservi un intervallo maggiore
    di tre anni, e che se in tempo debito non venissero spedite
    ordinanze munite del Gran Sigillo, gli ufficiali potevano senza esse
    convocare i collegi elettorali per la elezione de' rappresentanti.
    La Camera Stellata, l'Alta Commissione, il Consiglio di York furono
    aboliti. Coloro che, dopo d'avere patito inumane mutilazioni,
    marcivano in fondo alle prigioni, riacquistarono la libertà. La
    vendetta della nazione piombò inesorabilmente sopra i principali
    ministri della corona. Il lord cancelliere, il primate, il lord
    luogotenente vennero accusati. Finch si salvò fuggendo. Laud fu
    gettato in fondo alla Torre. Strafford, processato, fu fatto morire
    per virtù dell'Atto di Morte. Nel giorno stesso in cui passò questa
    legge, il Re dette il suo assenso ad un'altra legge, per la quale
    obbligavasi a non aggiornare, prorogare o sciogliere il Parlamento
    esistente senza averne ottenuto il consenso dagli stessi
    rappresentanti.
    
    Dopo dieci mesi di continuo travaglio, le Camere nel settembre del
    1641 si aggiornarono per poco tempo, e il Re visitò la Scozia. Potè
    con grave difficoltà pacificare quel regno, dopo di avere consentito
    non solo ad abbandonare i suoi disegni di riforma ecclesiastica, ma
    anco a firmare, con manifesti segni di repugnanza, un atto dove
    dichiaravasi lo episcopato essere contrario alla parola di Dio.
    
    XLVII. Le vacanze del Parlamento inglese durarono un mese e mezzo.
    Il giorno in cui le Camere riaprirono le adunanze, forma una delle
    epoche più memorabili nella nostra storia. Da esso data la vera
    esistenza, come corpi distinti, de' due grandi partiti che hanno poi
    sempre governato con alterna vicenda il paese. In un certo senso, a
    dir vero, la distinzione, che allora divenne più manifesta, era
    sempre stata e sarà sempre, come quella che nasce dalle diversità
    d'indole, d'intendimento e d'interesse, che trovansi in tutte le
    società, e vi si troveranno finchè la mente umana non cesserà
    d'essere trascinata per opposti sentieri dalla forza dell'abitudine
    e da quella della novità. Non solo nella politica, ma nelle lettere,
    nelle arti, nelle scienze, nella chirurgia e nella meccanica, nella
    navigazione e nell'agricoltura, anzi nelle stesse matematiche,
    trovasi distinzione siffatta. In ogni dove è una classe d'uomini che
    tenacemente si appigliano a ciò che è antico, e quando anche da
    ragioni incontrastabili sieno convinti che la innovazione sarebbe
    benefica, vi assentono pavidi e sospettosi. Avvi egualmente un'altra
    classe di uomini, ardenti a sperare, audaci a speculare, proni a
    spingere sempre innanzi, corrivi a scoprire imperfezioni in tutto
    ciò che esiste, spensierati intorno ai perigli ed alle
    inconvenevolezze che accompagnano le riforme, ed inclinevoli a
    laudare ogni mutazione come un miglioramento. In entrambe queste
    generazioni di uomini è qualche cosa degna d'essere commendata;
    massime in quelli che scostandosi dagli estremi opposti,
    ravvicinansi così che paiono starsi in un confine comune. La sezione
    estrema dell'una classe è composta di bacchettoni frenetici; la
    estrema sezione dell'altra si compone di empirici frivoli e
    licenziosi.
    
    Non è dubbio che ne' nostri Parlamenti primitivi si potrebbe
    scoprire una parte di membri vogliosa di conservare, ed un'altra
    pronta a riformare. Ma mentre le sessioni della legislatura erano
    brevi, quei tali corpi non assumevano forme permanenti e definite,
    non ordinavansi sotto capi riconosciuti, non prendevano nomi,
    segnali o gridi di guerra distinti. Nei primi mesi del Lungo
    Parlamento, lo sdegno nato da molti anni d'illegittima oppressione
    fu tale, che la Camera de' Comuni operò come un solo uomo. Gli
    abusi, l'un dopo l'altro, disparvero senza conflitto. Se pochi
    rappresentanti mostraronsi bramosi di conservare la Camera Stellata
    e l'Alta Commissione, impauriti dall'entusiasmo e dalla superiorità
    numerica de' riformisti, contentaronsi di compiangere la caduta di
    quelle istituzioni, che non potevano apertamente difendersi con la
    più lieve speranza di buon esito. In un'epoca posteriore, i realisti
    reputarono cosa utile riportare ad una data più remota la divisione
    fra essi e i loro avversarii, e attribuire l'atto che raffrenava il
    Re dal disciogliere o prorogare il Parlamento, l'atto triennale,
    l'accusa dei ministri e la condanna di Strafford, alla fazione che
    poscia mosse guerra al Re. Ma fu artificio poco destro. Ciascuna di
    quelle vigorose misure venne attivamente promossa da coloro che
    dipoi furono principali fra' cavalieri. Nessuno de' repubblicani(20)
    parlò del lungo, pessimo governo di Carlo con maggior severità di
    Colepepper. Il discorso più notevole in favore dell'atto triennale
    fu fatto da Digby. L'accusa del lord cancelliere fu condotta da
    Falkland. La dimanda che il lord luogotenente fosse tenuto in
    istretta prigionia, fu fatta alla tribuna della Camera de' Lordi da
    Hyde. Nessun segno di disunione si fece scorgere fino a che fu
    proposta la legge che colpì Strafford. Anche contro cotesta legge,
    che non poteva essere giustificata se non se dallo estremo bisogno,
    soli sessanta membri della Camera de' Comuni votarono. Egli è certo
    che Hyde non fu con la minoranza, e che Falkland non solo votò con
    la maggioranza, ma parlò vigorosamente a favore della legge. Anche i
    pochi che scrupoleggiavano in quanto ad infliggere la pena di morte
    in virtù d'una legge retrospettiva, riputarono necessario esprimere
    grandissimo abborrimento per il carattere e l'amministrazione di
    Strafford.
    
    Ma sotto tale concordia apparente ascondevasi un gravissimo scisma;
    ed allorquando, nell'ottobre del 1641, il Parlamento, dopo breve
    riposo, riaprì le sue sessioni, due partiti opposti, essenzialmente
    identici a quelli che sotto nomi diversi lottarono poi sempre, e
    lottano tuttavia, onde recarsi in mano il governo della cosa
    pubblica, comparvero l'uno di fronte all'altro. Chiamaronsi poscia
    Tory e Whig; nè sembra che tali nomi abbiano presto a cadere in
    disuso.
    
    Non sarebbe difficile comporre una satira o un elogio intorno a
    ciascuna di codeste celebri fazioni; imperocchè niuno che non sia
    scemo di giudizio e di schiettezza, vorrà sostenere che la fama del
    suo proprio partito sia scevra di macchia, o quella del partito
    avverso non possa vantare molti nomi illustri, molte azioni eroiche
    e molti grandi servigi resi allo stato. Vero è che, quantunque
    ambidue i partiti abbiano spesso gravemente fallato, la Inghilterra
    non avrebbe potuto far senza nè dell'uno nè dell'altro. Se nelle
    istituzioni, nella libertà e nell'ordine che essa gode, i beni che
    nascono dallo innovare e quelli che derivano dal conservare, sono
    stati combinati in modo sconosciuto a qualsivoglia popolo, possiamo
    attribuire questa fortunata specialità ai valorosi conflitti ed alle
    vicendevoli vittorie delle due rivali federazioni di uomini di
    stato, zelantissime entrambe, l'una dell'autorità ed antichità,
    l'altra della libertà e del progresso.
    
    Bisogna tenere a mente che la differenza tra le due grandi sezioni
    de' politici inglesi è sempre stata più presto di grado, che di
    principio. V'erano, e da diritta e da sinistra, certi confini, che
    rarissime volte venivano travarcati. Pochi entusiasti, da una parte,
    erano pronti a porre tutte le nostre leggi e franchigie ai piedi dei
    nostri re. Pochi entusiasti, dall'altra, inclinavano a conseguire
    frammezzo ad infinite perturbazioni civili il loro vagheggiato
    fantasma di repubblica. Ma la maggior parte di coloro che
    difendevano la corona, abborriva dal dispotismo; come i più fra
    coloro che propugnavano i diritti popolari, abborrivano dalla
    anarchia. Nel corso del secolo decimosettimo, i due partiti due
    volte sospesero ogni dissenso, e congiunsero le forze loro per una
    causa comune. La loro prima coalizione restaurò la monarchia
    ereditaria; la seconda rivendicò la libertà costituzionale.
    
    È anche da notarsi, che i due partiti sopradetti non hanno mai
    formata la intera nazione; anzi entrambi, insieme considerati, non
    hanno mai fatta la maggioranza di quella. Fra l'uno e l'altro vi è
    sempre stata una gran massa, che non ha stabilmente aderito a
    nessuno, che talvolta si è mostrata inerte e neutrale, e tal'altra
    ha ondeggiato ora verso questo or verso quel lato. Tale massa è più
    volte in pochi anni passata da uno estremo all'altro, e viceversa.
    Talora ha cangiato partito soltanto perchè era stanca di sostenere
    gli stessi uomini, talora perchè s'era impaurita dei propri eccessi,
    talora perchè, avendo concepite speranze di cose impossibili, erasi
    disillusa. Ma, semprechè ha piegato con tutto il suo peso verso uno
    de' due lati, ha resa impossibile ogni resistenza.
    
    Allorchè i partiti rivali mostraronsi con forme distinte, e' parve
    che fossero pressochè egualmente ordinati. Dalla parte del Governo
    stavano moltissimi nobili, ed opulenti e assennati gentiluomini, ai
    quali nulla mancava, tranne il solo nome, per dirsi nobili. Costoro,
    insieme coi loro dipendenti, dello aiuto de' quali potevano
    disporre, non erano piccola potenza nello Stato. Dalla medesima
    parte stava il numeroso ceto del clero, entrambe le università, e
    tutti que' laici che fortemente aderivano al governo episcopale ed
    al rituale anglicano. Queste classi rispettabili trovavansi in
    compagnia di meno decorosi alleati. L'austerità dei Puritani
    costrinse ad ingrossare la regia fazione tutti coloro che amavano i
    piaceri, e affettavano galanteria, splendore nel vestire, o gusto
    nelle arti leggiadre. Erano con costoro que' tali che campano la
    vita pascendo gli ozi altrui, cominciando dal pittore e dal poeta
    comico fino al funambolo e al ciarlatano; perocchè bene conoscevano,
    che, potendo arricchirsi sotto un dispotismo lussurioso e superbo,
    sarebbero morti di fame sotto lo austero governo dei rigoristi. Gli
    stessi interessi movevano tutti i cattolici romani. La regina,
    principessa francese, professava la loro stessa fede. Sapevasi
    ch'era grandemente amata e temuta non poco dal marito. Il quale,
    benchè fosse indubitevolmente protestante per convinzione, non
    guardava di mal occhio gli aderenti alla vecchia religione, e
    avrebbe volentieri concessa loro maggior tolleranza di quella che
    amava accordare ai presbiteriani. Se la opposizione vinceva, egli
    era probabile che le leggi sanguinarie emanate contro i papisti
    sotto il regno di Elisabetta, sarebbero state rese più severamente
    efficaci. I cattolici romani, quindi, vennero indotti da' più forti
    motivi a sposare la causa della corte. Generalmente, procedettero
    cauti in modo da essere tacciati di tiepidezza e codardia; ma è cosa
    probabile che a così fare fossero persuasi dallo interesse del re,
    non che dal loro proprio.
    
    La forza maggiore dell'opposizione stava nei piccoli liberi
    possidenti delle campagne, e ne' mercanti e bottegai delle città.
    Costoro erano capitanati da parecchi aristocratici di gran nome e
    potenza, fra' quali noveravansi i conti di Northumberland, Bedford,
    Warwick, Stamford ed Essex, e alcuni altri lordi ricchi e
    rispettati. Nelle medesime file trovavasi la intera classe de'
    protestanti non-conformisti, e la maggior parte de' membri della
    Chiesa stabilita, sostenitori delle opinioni calviniste, le quali
    quarant'anni prima erano state generalmente abbracciate da' prelati
    e dal clero. Le corporazioni municipali, salvo poche, seguivano il
    medesimo partito. Nella Camera de' Comuni l'opposizione prevaleva,
    ma non decisamente.
    
    A nessuno de' partiti mancavano saldi argomenti a sostenere le
    provvisioni che voleva adottare. I ragionamenti de' più illuminati
    realisti possono riassumersi nel modo seguente: "È vero che vi sono
    stati grandi abusi; ma vi si è posto rimedio. È vero che i diritti
    più preziosi sono stati violati; ma sono stati rivendicati e
    tutelati con nuove guarentigie. Le sessioni degli Stati del regno,
    in onta ad ogni esempio precedente e allo spirito della
    Costituzione, vennero sospese per lo spazio di undici anni; ma
    adesso si è provveduto, che tra parlamento e parlamento non sia un
    intervallo maggiore di tre anni. La Camera Stellata, l'Alta
    Commissione, il Consiglio di York, ci opprimevano e spogliavano; ma
    quelle corti abborrite ormai più non esistono. Il Lord Luogotenente
    si studiò di stabilire il dispotismo militare; ma egli ha pagato col
    capo il proprio tradimento. Il Primate corruppe il nostro culto co'
    riti papali; ma egli, rinchiuso dentro la torre, aspetta il giudizio
    de' suoi pari. Il Lord Cancelliere sanzionò un sistema che poneva
    gli averi d'ogni Inglese a discrezione della Corona; ma è caduto in
    disgrazia, è stato rovinato e costretto a cercare rifugio in terra
    straniera. I ministri della tirannide hanno espiati i loro delitti;
    le vittime della tirannide hanno ricevuta la ricompensa di quanto
    hanno sofferto. Stanti così le cose, sarebbe insania perseverare in
    quella condotta che era giustificabile e necessaria allorquando,
    dopo un lungo intervallo riapertosi il parlamento, trovammo
    l'amministrazione altro non essere che un ammasso di abusi. Ed è
    oggimai tempo di badare a non ispingere la nostra vittoria sul
    dispotismo tanto oltre, da urtar nell'anarchia. Non abbiamo potuto
    estirpare le pessime istituzioni che poco fa affliggevano la patria
    nostra, senza produrre tali scosse da indebolire le fondamenta del
    Governo. Adesso che siffatte istituzioni sono cadute, dobbiamo
    affrettarci a rafforzare quello edificio, che non ha guari è stato
    nostro debito abbattere. Da ora in poi, porremo ogni studio nello
    esaminare ogni innovazione innanzi d'accettarla, e veglieremo sì che
    tutte le prerogative di che la legge, per il bene pubblico, ha
    rivestito il sovrano, siano rigorosamente difese contro ogni
    aggressione."
    
    Tali erano i sensi di coloro de' quali l'egregio Falkland può
    considerarsi come capo. Dall'altra parte, uomini di non minore
    destrezza e virtù sostenevano con pari vigore, che la sicurezza
    delle libertà del popolo inglese era più presto apparente che vera,
    e che i disegni arbitrari della Corte sarebbero ricomparsi appena la
    Camera de' Comuni avesse rallentata la propria vigilanza. Era pur
    vero - ragionavano Pym, Hollis e Hampden - che s'erano promulgate
    molte buone leggi; ma se quelle fossero bastate a por freno alle
    voglie del Re, i suoi sudditi avrebbero avuta poca ragione di
    muovere lamento della sua amministrazione. I recenti statuti
    certamente non avevano autorità maggiore di quella della Magna Carta
    e della Petizione dei Diritti. Nondimeno, nè la Magna Carta
    santificata dalla venerazione di quattro secoli, nè la Petizione de'
    Diritti sanzionata dopo matura riflessione e per grave
    considerazione dallo stesso Carlo, erano riuscite efficaci a
    proteggere il popolo. Se una volta fosse tolto il freno della paura,
    e lo spirito dell'opposizione venisse a sonnecchiare, tutte le
    guarentigie della libertà inglese si risolverebbero in una sola
    cosa, cioè nella parola reale; ed era stato provato con lunga ed
    amara esperienza, che la parola del re non meritava punto la
    pubblica fiducia.
    
    XLVIII. I due partiti guardavansi ancora scambievolmente con cauta
    ostilità, e non avevano ancora ponderato le proprie forze, allorchè
    giunsero nuove tali che infiammarono le passioni e rinvigorirono le
    opinioni di entrambi. I grandi capi di Ulster, i quali al tempo in
    cui Giacomo salì al trono, eransi, dopo lunghissima lotta,
    sottomessi all'autorità regia, non avevano potuto più lungamente
    patire la umiliazione della dipendenza. Avevano congiurato contro il
    Governo inglese, ed erano stati dichiarati rei di tradigione. I loro
    immensi domini erano stati confiscati dalla Corona; ed erano corse a
    popolarli torme di emigrati dalla Inghilterra e dalla Scozia.
    Costoro per civiltà ed intelligenza erano assai superiori ai
    naturali del paese, e spesso abbusavano di superiorità cosiffatta. I
    rancori, generati dalla diversità di razza, si accrebbero per la
    diversità di religione. Sotto il ferreo giogo di Wentworth, non fu
    udito nè anche un bisbiglio; ma appena cessò quella forte pressura,
    appena la Scozia dette lo esempio d'una vittoriosa resistenza,
    mentre la Inghilterra era assorta negl'interni dissidi, la soffocata
    rabbia degl'Irlandesi eruppe in atti di tremenda violenza. In un
    attimo, i popoli aborigeni insorsero contro le colonie. Una guerra
    alla quale l'odio nazionale e religioso dette un carattere di
    particolare ferocia, desolò Ulster e si estese alle vicine
    provincie. Il castello di Dublino nè anche reputavasi luogo di
    sicurezza. Ciascuna posta recava a Londra racconti esagerati di
    fatti, che, anche scevri d'ogni esagerazione, bastavano a empire
    l'animo di pietà e d'orrore. Questi sciagurati avvenimenti
    svegliarono più che mai lo zelo de' due grandi partiti che sedevano,
    con vicendevole nimistanza, nella sala di Westminster. I realisti
    sostenevano esser debito precipuo d'ogni buono inglese e d'ogni buon
    protestante, in siffatte circostanze, rinvigorire il braccio del
    sovrano. Alla opposizione pareva che allora più che mai vi fossero
    fortissime ragioni di invigilarlo e infrenarlo. Il trovarsi la cosa
    pubblica in pericolo, era senza dubbio buona ragione per conferire
    maggiori poteri ad un magistrato degno di fiducia; ma era parimente
    buona ragione per iscemarli o toglierli ad un magistrato che in suo
    cuore era nemico pubblico. Era stato scopo precipuo del Re il
    formare un grande esercito; ed ora bisognava formarlo. Si doveva,
    dunque, temere che ove non si stabilissero nuove guarentigie, le
    forze raccolte per risottomettere la Irlanda, venissero adoperate
    contro le libertà della Inghilterra. Nè ciò era tutto. Un orribile
    sospetto, ingiusto, a dir vero, ma non affatto fuori di natura, era
    nato in cuore a molti. La Regina era cattolica romana; il Re non era
    considerato dai Puritani, ch'egli aveva spietatamente perseguitati,
    come sincero protestante; ed era sì nota a tutti la sua doppiezza,
    da non esservi specie di tradimento di cui i suoi sudditi, con
    qualche apparenza di ragione, non lo credessero capace. E però,
    corse subito sorda una voce che affermava, la ribellione de'
    Cattolici Romani di Ulster essere parte d'una vasta opera di
    tenebre, immaginata e condotta in Whitehall.
    
    XLIX. Dopo alcuni giorni di preludio, nel dì ventesimosecondo di
    novembre 1641, scoppiò il conflitto tra i due grandi partiti, che si
    sono poi sempre osteggiati ed osteggiansi tuttavia per recarsi in
    mano il reggimento del paese. La opposizione propose, che la Camera
    de' Comuni dovesse presentare al Re una rimostranza, enumerando i
    falli della amministrazione fino dal tempo in cui egli ascese al
    trono, e significando la diffidenza con che il popolo riguardava la
    politica di lui. Quell'assemblea che pochi mesi avanti era stata
    unanime nel chiedere la riforma degli abusi, si divise in due fiere
    ed ardenti fazioni, di forza pressochè uguali. Dopo un violento
    discutere, che durò molte ore, la rimostranza fu adottata con la
    maggiorità di soli undici voti.
    
    L'esito di tale conflitto giovò grandemente il partito conservatore.
    Non era da dubitarsi che soltanto qualche grave indiscrezione
    potesse impedirgli di ottenere la preponderanza nella Camera Bassa.
    La Camera Alta era già tutta di quel partito. Nessuna cosa mancava
    per assicurargli la vittoria, se non che il Re in tutta la sua
    condotta mostrasse qualche rispetto per le leggi, ed una scrupolosa
    buona fede verso i suoi sudditi.
    
    I suoi primi provvedimenti promisero bene. E' sembra che finalmente
    si fosse indotto a pensare, come era necessario cangiare
    intieramente il sistema, e si volesse adattare a ciò che non poteva
    più oltre evitarsi. Dichiarò d'essere determinato a voler governare
    concordemente con la Camera de' Comuni, ed a tal fine chiamare ai
    suoi consigli uomini i quali, per ingegno e carattere, godessero la
    fiducia della Camera. Nè la scelta fu male fatta. Falkland, Hyde e
    Colepepper, tutti e tre uomini cospicui per essersi adoperati
    efficacemente a riformare gli abusi od a punire i malvagi ministri,
    vennero invitati ad essere fidi consiglieri della Corona, ed ebbero
    da Carlo la solenne assicurazione, che non avrebbe fatto il minimo
    passo intorno a ciò che concerneva la Camera Bassa del Parlamento,
    senza averne chiesto il loro parere.
    
    E' non è dubbio che s'egli avesse mantenuta tale promessa, la
    reazione, che già progrediva, sarebbe diventata tanto vigorosa,
    quanto la potevano desiderare i realisti più rispettabili. Già i più
    irrequieti membri dell'opposizione avevano cominciato a disperare
    delle sorti del proprio partito, a tremare per la salvezza propria,
    e parlavano già di vendere i loro beni ed emigrare in America. Se le
    belle speranze che cominciavano a sorridere al Re, svanirono
    improvvise, se la sua vita fu amareggiata dall'avversità ed in fine
    abbreviata dalla violenza, ne chiami in colpa la propria perfidia e
    il dispregio delle leggi.
    
    E' pare certo ch'egli detestasse ambi i partiti in cui era divisa la
    Camera de' Comuni. Nè ciò è strano; perocchè in entrambi l'amore
    della libertà e l'amore dell'ordine, comunque con diverse
    proporzioni, erano commisti. I consiglieri che Carlo, stretto dalla
    necessità, aveva chiamati presso di sè, non erano in nulla graditi
    al suo cuore. Avevano partecipato a dannare la sua tirannia, a
    scemargli i poteri ed a punire i suoi satelliti. Adesso erano, per
    vero dire, apparecchiati a difendere con mezzi rigorosamente legali
    le legittime prerogative di lui; ma avrebbero rifuggito
    dall'orribile pensiero di ritornare ai tirannici disegni di
    Wentworth. Essi, dunque, secondo l'opinione del Re, erano traditori,
    che differivano solo nel grado della loro sediziosa malignità da Pym
    e da Hampden.
    
    L. E quindi Carlo, pochi giorni dopo d'avere promesso ai capi de'
    realisti costituzionali di non muovere mai un solo passo
    d'importanza senza farneli consapevoli, formò un pensiero, il più
    serio e tremendo in tutta la sua vita, lo nascose con gran cura, e
    lo mandò ad esecuzione in un modo tale, che ne furono colpiti di
    terrore e vergogna. Mandò il Procuratore Generale ad accusare di
    alto tradimento, innanzi alla tribuna della Camera de' Lordi, Pym,
    Hollis, Hampden ed altri membri di quella de' Comuni. Non satisfatto
    di questa flagrante violazione della Magna Carta, e della usanza non
    interrotta di secoli, andò egli stesso in persona, accompagnato da
    uomini armati, a porre le mani addosso ai capi della opposizione
    dentro la stessa sala del Parlamento.
    
    Il colpo fallì. I membri incriminati erano partiti dalla sala poco
    tempo avanti che vi entrasse Carlo. Ne seguì subitanea e violenta
    commozione nel Parlamento, non che nel paese. Lo aspetto più
    favorevole onde i più parziali difensori del Re si sono studiati di
    presentare la condotta di lui in questa occasione, consiste nello
    affermare ch'egli, spinto dai pessimi consigli della consorte e de'
    cortigiani, commettesse un atto gravissimo d'indiscrezione. Ma la
    voce generale lo accusava altamente di colpa assai più grave. Nel
    momento stesso in che i suoi sudditi, dopo d'essersi lungo tempo
    tenuti lontani da lui per la sua cattiva amministrazione,
    ritornavano a lui con sentimenti di fiducia e d'affetto, egli meditò
    di menare un colpo mortale contro i loro più cari diritti; i
    privilegi, cioè, del Parlamento, e lo stesso principio di processare
    l'individuo innanzi ai giurati. Aveva mostrato di considerare
    l'opposizione ai suoi disegni arbitrari come delitto che doveva
    espiarsi col sangue. Aveva rotta la fede non solo al suo Gran
    Consiglio ed al suo popolo, ma ai suoi stessi aderenti. Aveva fatto
    ciò, che, se stato non fosse un caso impreveduto, avrebbe
    probabilmente suscitato un sanguinoso conflitto attorno il seggio
    presidenziale. Coloro i quali predominavano nella Camera Bassa,
    compresero allora che non solamente la potenza e popolarità, ma i
    beni e le vite loro, dipendevano dall'esito della lotta in cui
    trovavansi involti. Lo zelo, che già veniva meno, del partito
    avverso alla Corte, in uno istante si riaccese. La notte che seguì
    all'oltraggio tentato, tutta la città di Londra fu in armi. In poche
    ore, le vie che conducevano alla metropoli erano popolate da torme
    di borghesi, irrompenti verso Westminster, coi segni della causa
    parlamentare fitti ai loro cappelli. Nella Camera de' Comuni la
    opposizione a un tratto divenne irresistibile, e adottò, con una
    grandissima maggioranza di voti, provvedimenti di violenza senza
    esempio precedente. Forti legioni di milizie, che regolarmente
    davansi la muta, facevano la guardia attorno il palazzo di
    Westminster. Le porte della reggia erano tuttodì assediate dalla
    furibonda moltitudine, le cui minacce ed esecrazioni pervenivano
    fino alla sala d'udienza, e che i gentiluomini della Corte appena
    potevano impedire che irrompesse negli appartamenti reali. Se Carlo
    fosse rimasto più a lungo nella sua tempestosa metropoli, è
    probabile che la Camera de' Comuni avrebbe trovata una scusa per
    farlo, sotto forme esteriori di rispetto, prigioniero di stato.
    
    LI. Egli si allontanò da Londra, per non ritornarvi mai fino al
    giorno d'un terribile e miserando giudicio. Iniziaronsi negoziati,
    che durarono molti mesi. I partiti contendenti scagliavansi
    vicendevolmente recriminazioni ed accuse: ogni via d'accomodamento
    era impossibile. La pena che colpisce la perfidia abituale,
    finalmente colse quel tristo principe. Nulla gli valsero gli sforzi
    onde egli impegnò la sua regia parola, ed invocò il Cielo a
    testimonio della sincerità delle sue promesse. Giuramenti e trattati
    più non bastavano a vincere la diffidenza de' suoi avversari, i
    quali pensavano di non avere sicurtà se non quando il Re fosse
    ridotto ad assoluta impotenza. Chiedevano, quindi, ch'egli rendesse
    non solo quelle prerogative che aveva usurpate violando le antiche
    leggi e le sue proprie recenti promesse, ma anco altre prerogative
    che i re inglesi avevano fruito da tempo immemorabile, e seguitano a
    fruire anco ai dì nostri. Gli volevano togliere la potestà di
    nominare i Ministri, di creare i Pari, senza il consenso delle
    Camere. Soprattutto, volevano privare il Governo della suprema
    autorità militare, che, fino da tempi cui non giungono umani
    ricordi, era sempre appartenuta alla dignità regia.
    
    Non era da sperarsi che Carlo, finchè gli rimanessero mezzi di
    resistenza, assentirebbe le predette dimande. Nondimeno sarebbe
    difficile mostrare che le Camere avrebbero, per la propria salvezza,
    potuto contentarsi di meno. Veramente ondeggiavano in una tempesta
    di opposti pensieri. La gran maggioranza della nazione aderiva
    fermamente alla monarchia ereditaria. Coloro che nutrivano
    sentimenti repubblicani erano ancora pochi, e non rischiavansi a
    parlare alto. Era quindi impossibile abolire il principato.
    Nulladimeno, facevasi a tutti manifesto come il Re non fosse degno
    di nessuna fiducia. Sarebbe stato assurdo in coloro i quali per
    proprio esperimento conoscevano ch'egli bramava distruggerli, il
    contentarsi di presentargli un'altra petizione di diritti, ed
    ottenere nuove promesse, simiglianti a quelle ch'egli aveva più
    volte fatte e violate. Nessuna cosa, fuorchè il difetto di un
    esercito, gli aveva impedito di abbattere l'antica Costituzione del
    reame. Ed essendo allora necessario formare un grande esercito
    regolare per riconquistare l'Irlanda, sarebbe stata vera demenza
    lasciare il Re nella pienezza di quella autorità militare, che i
    suoi antecessori avevano esercitata.
    
    Ogni qualvolta uno Stato si trova nelle condizioni in cui a que'
    tempi trovavasi l'Inghilterra, e il regio ufficio è riguardato con
    amore e venerazione, e l'uomo che occupa quell'ufficio ha l'odio e
    la sfiducia de' popoli, la via da tenersi sembra evidente.
    Conservisi la dignità dell'ufficio; si mandi via la persona che
    indegnamente lo esercita. Così i nostri antenati operarono nel 1399
    e nel 1689. Se nel 1642 vi fosse stato un uomo locato in un posto
    simile a quello che Enrico di Lancaster occupava allorchè Riccardo
    II venne deposto dal trono, e che il Principe d'Orange occupava nel
    tempo della deposizione di Giacomo II, le Camere probabilmente
    avrebbero cangiata la dinastia, e non avrebbero fatto nessun
    mutamento formale nella Costituzione. Il nuovo re, chiamato al trono
    dai loro voti, e dipendente dal loro sostegno, sarebbe stato
    costretto a condurre il governo dello Stato a seconda delle voglie
    ed opinioni loro. Ma nel partito parlamentare non v'era principe di
    sangue reale; e quantunque quel partito avesse nel proprio seno
    molti uomini d'altissimo grado e molti altri di inclita mente, non
    eravi nessuno che splendidamente giganteggiasse su tutti, in modo da
    essere proposto come candidato per la Corona. Dovendoci essere un
    re, e non essendoci modo a trovarne un altro, era necessario
    lasciare a Carlo il titolo regio. Altra via, dunque, non rimaneva
    che questa; separare il titolo dalle regie prerogative.
    
    I mutamenti che le Camere proposero da farsi alle nostre
    istituzioni, tuttochè sembrino esorbitanti, ove vengano, ordinandoli
    ad articoli di capitolazione, maturamente considerati, equivalgono a
    un dipresso ai mutamenti prodotti dalla Rivoluzione che avvenne
    nella generazione susseguente. Egli è vero che, a tempo della
    Rivoluzione, al sovrano la legge non toglieva la potestà di nominare
    i suoi Ministri; ma è anche vero che, dopo la Rivoluzione, nessun
    Ministro si è potuto mantenere sei soli mesi in ufficio a dispetto
    della Camera de' Comuni. È vero che il sovrano tuttavia ha la
    potestà di creare i Pari, e la potestà più importante della spada;
    ma è anche vero che nello esercizio di tali poteri al sovrano, dalla
    Rivoluzione in poi, sono sempre stati guida e consiglieri che godono
    la fiducia de' Rappresentanti della nazione. Difatti, i capi del
    partito delle Teste-Rotonde nel 1642, e gli uomini di Stato che,
    circa cinquanta anni appresso, compirono la Rivoluzione, miravano al
    medesimo scopo. Il quale era quello di porre fine alla contesa tra
    la Corona e il Parlamento, rivendicando al Parlamento il sindacato
    supremo sopra il potere esecutivo. Gli uomini di Stato della
    Rivoluzione conseguirono cotesto fine cangiando la dinastia. Le
    Teste-Rotonde del 1642, non potendo cangiare la dinastia, furono
    costretti a prendere una via diretta onde conseguire lo scopo.
    
    Non possiamo, ad ogni modo, maravigliarci che le richieste
    dell'opposizione, le quali importavano un trapasso pieno e formale
    al Parlamento dei poteri che sempre erano appartenuti alla Corona,
    scotessero quel gran partito che ha per principii il rispetto per
    l'autorità costituita, e la paura delle innovazioni violente. Aveva
    di recente nutrita la speranza di ottenere con mezzi pacifici il
    predominio nella Camera de' Comuni; ma tale speranza era svanita. La
    doppiezza di Carlo aveva resi irreconciliabili i suoi vecchi nemici,
    aveva fatti entrare nelle schiere de' malcontenti moltissimi uomini
    moderati già pronti ad accostarsi a lui, ed aveva così crudelmente
    mortificati i suoi migliori amici, che per alcun tempo si erano
    tirati da parte a rodersi in silenzio di vergogna e dispetto.
    Adesso, nondimeno, ai realisti costituzionali fu forza di eleggere
    fra due pericoli; onde reputarono debito loro stringersi intorno a
    un principe di cui condannavano la condotta e nella cui parola non
    potevano avere fiducia, più presto che patire che la regia dignità
    venisse degradata, e l'ordinamento politico del Regno interamente
    rifatto. Con tali sentimenti, molti uomini che per virtù e ingegno
    avrebbero onorato qualsivoglia causa, si posero dalla parte del
    principe.
    
    LII. Nell'agosto del 1642, le spade alla perfine sguainaronsi; e
    quasi in ogni contea del regno, tosto comparvero in armi due fazioni
    ostili, l'una di fronte all'altra. Non è agevole affermare quale de'
    due lottanti partiti fosse il più formidabile. Le Camere comandavano
    Londra e le contee di Londra, la flotta, la navigazione del Tamigi,
    e la maggior parte delle grandi città e de' porti marittimi.
    Potevano disporre di quasi tutte le provvigioni militari del regno,
    e potevano imporre dazi e sulle mercanzie importate dall'estero, e
    sopra alcuni prodotti della industria nazionale. Il Re difettava
    d'artiglieria e di munizioni. Le tasse ch'egli impose sopra i
    distretti rurali occupati dalle sue truppe, producevano, come sembra
    probabile, una somma minore di quella che il Parlamento ricavava
    dalla sola città di Londra. Sperava, a dir vero, per aiuti pecuniari
    nella munificenza de' suoi ricchi aderenti. Molti di costoro
    ipotecarono le loro terre, impegnarono le loro gioie, e fusero le
    loro argenterie per soccorrerlo. Ma l'esperienza ha pienamente
    provato che la volontaria liberalità degl'individui, anche in tempi
    di grande concitamento, è una scarsa fonte finanziaria, agguagliata
    alla tassazione severa e metodica che grava ad un tempo sopra i
    volenti e i non volenti.
    
    Carlo, nonostante, aveva un vantaggio, il quale, ove egli ne avesse
    fatto buon uso, lo avrebbe più che compensato del difetto di
    provigioni e di pecunia, e che, malgrado la sua poca destrezza a
    giovarsene, lo rese, per alcuni mesi, superiore nella guerra ai suoi
    avversari. Le sue truppe dapprima pugnavano assai meglio di quelle
    del Parlamento. Ambedue gli eserciti, egli è vero, erano quasi
    interamente composti di uomini che non avevano veduto mai un campo
    di battaglia. Ad ogni modo, la differenza era molta. Le falangi
    parlamentari erano ripiene di genti venderecce, che s'erano
    arruolate per bisogno o per ozio. Il reggimento di Hampden era
    considerato come uno de' migliori; eppure Cromwell soleva chiamarlo
    una marmaglia di paltonieri e di servitori a spasso. L'esercito
    regio, dall'altro canto, era composto in gran parte di gentiluomini,
    alteri, ardenti, avvezzi a considerare il disonore come cosa più
    terribile della morte, assuefatti alla scherma, al maneggio delle
    armi da fuoco, a cavalcare arditamente, ed alle cacce difficili e
    pericolose, che bene chiamavansi immagini della guerra. Questi
    gentiluomini, montati sui loro generosi cavalli, a capo di piccole
    bande composte de' fratelli minori, dei domestici, dei cacciatori,
    de' boscaiuoli loro, dal primo giorno che entrarono in campo,
    sapevano sostenere la parte loro in una battaglia. Questi valorosi
    volontari non arrivarono mai a conseguire la fermezza, la pronta
    obbedienza, la precisione meccanica dei movimenti, che
    predistinguono il soldato regolare; ma in sulle prime avevano di
    fronte nemici indisciplinati quanto loro, e meno operosi, forti ed
    arditi. Per qualche tempo, quindi, i Cavalieri quasi in ogni scontro
    rimasero vittoriosi.
    
    Le Camere anche non avevano avuta la fortuna di scegliere un buon
    generale. Il grado e la opulenza rendevano il conte d'Essex uno
    degli uomini più cospicui del partito parlamentare. Aveva con lode
    guerreggiato sul Continente, ed allorquando le ostilità scoppiarono,
    godeva sopra ogni altro nel paese alta riputazione militare. Ma
    tosto si conobbe che egli era inetto al supremo comando. Aveva poca
    energia e nessun ingegno inventivo. La tattica metodica ch'egli
    aveva imparata nella guerra del Palatinato, non lo salvò dalla
    sciagura di essere soprappreso e sconfitto da un capitano come
    Rupert, il quale non poteva pretendere ad altra rinomanza che a
    quella di ardimentoso uomo di parte.
    
    Nè i maggiori ufficiali ad Essex sottoposti, erano in condizioni di
    supplire ai difetti di lui: il che scusa o libera le Camere da ogni
    biasimo. In un paese nel quale nessuno de' viventi aveva mai vista
    una gran guerra, non potevano trovarsi generali di sperimentata
    perizia e valentia. Era perciò necessario in sulle prime di servirsi
    d'uomini inesperti: e naturalmente vennero preferiti coloro che
    erano cospicui per condizione o per le doti di cui avevano fatta
    mostra in Parlamento. Siffatta scelta appena in un solo esempio fu
    felice; dacchè né i magnati né gli oratori fecero prova di buoni
    soldati. Il conte di Stamford, ch'era uno de' principali nobili
    d'Inghilterra, fu rotto a Stratton dai realisti. Nataniele Fiennes,
    per sapienza civile a nessuno secondo fra' suoi contemporanei, si
    disonorò per la pusillanime resa di Bristol. Veramente, di tutti gli
    uomini di Stato che allora accettarono alti comandi militari, il
    solo Hampden, a quanto sembra, portò nel campo la capacità e la
    vigoria di mente onde era pervenuto a tanta altezza nelle cose
    politiche.
    
    LIII. Nel primo anno della guerra, le armi de' realisti rimasero
    apertamente vincitrici nelle contee occidentali e settentrionali del
    paese. Avevano tolta al Parlamento Bristol, seconda città del Regno.
    Avevano riportate parecchie vittorie, senza né anche una perdita
    ignominiosa o di grave momento. Fra le Teste-Rotonde l'avversità
    aveva incominciato a produrre dissensioni e malcontento. Ora le
    congiure, ora i tumulti, tenevano il Parlamento in diuturna
    trepidazione. Pensarono fosse necessario fortificare Londra contro
    le milizie del Re, ed impiccare in su gli usci delle proprie case
    alcuni cittadini turbolenti. Taluni de' più cospicui Pari, che fino
    allora erano rimasti in Westminster, fuggirono alla Corte in Oxford;
    e non v'ha dubbio, che se a quel tempo le operazioni de' Cavalieri
    fossero state dirette da una mente forte e sagace, Carlo sarebbe
    tosto ritornato trionfante a Whitehall.
    
    Ma il Re lasciò fuggirsi di mano quel bene augurato momento, che non
    ritornò mai più. Nell'agosto del 1643 accampò di faccia alla città
    di Gloucester, la quale venne difesa dagli abitanti e dal presidio
    con una perseveranza che, in tutto il corso della guerra, non
    avevano mai mostrata i partigiani del Parlamento. Londra ne sentì
    emulazione. La milizia cittadina si offerse di correre dove i suoi
    servigi potessero essere utili. In breve tempo si raccolsero
    numerose forze militari, che cominciarono a muoversi verso
    occidente. Gloucester fu liberata dall'assedio. I realisti in ogni
    angolo del reame rimasero scorati; si rinfrancò lo spirito della
    parte parlamentare; e i Lordi apostati, i quali di recente da
    Westminster erano fuggiti ad Oxford, affrettaronsi a ritornare da
    Oxford a Westminster.
    
    LIV. Cominciò allora a manifestarsi nello infermo corpo politico una
    nuova specie di gravi sintomi. Erano, fin da principio, nella parte
    parlamentare taluni uomini che volgevano in mente pensieri dai quali
    i più rifuggivano inorriditi. Questi uomini nelle cose di religione
    erano indipendenti. Pensavano che ogni congregazione cristiana
    aveva, sotto Cristo, suprema giurisdizione nelle faccende
    spirituali; che gli appelli ai sinodi provinciali e nazionali
    ripugnavano quasi tanto alle Scritture, quanto gli appelli alla
    corte dell'arcivescovo di Canterbury(21) o al Vaticano; e che il
    papismo, il prelatismo e il presbiterianismo, erano semplicemente
    tre diverse forme d'una medesima grande apostasia. In politica essi
    erano, servendoci della frase di quel tempo, uomini da ramo e da
    radice; frase che risponde al vocabolo in uso ai giorni nostri,
    voglio dire radicali. Non paghi di limitare il potere del monarca,
    bramavano di erigere una repubblica sopra le ruine del vecchio
    ordinamento politico. Dapprima erano poco notevoli e per numero e
    per importanza; ma non ancora erano trascorsi due anni di guerra, e
    formavano, se non la più numerosa, di certo la più potente fazione
    del paese. Alcuni de' più vecchi capi parlamentari erano mancati per
    morte, altri avevano perduta la pubblica fiducia. Pym era stato
    sepolto con onori principeschi fra le tombe de' Plantageneti.
    Hampden era caduto mentre studiavasi, con eroico esempio,
    d'inanimire i suoi concittadini a far fronte alla feroce cavalleria
    di Rupert. Bedford era stato infido alla causa nazionale.
    Northumberland, come era noto a ciascuno, aveva animo tiepido. Essex
    e i suoi luogotenenti avevano mostrato poco vigore e destrezza nel
    condurre le faccende della guerra. In cosiffatta condizione di cose,
    il partito degli Indipendenti, ardente, risoluto ed esperto,
    cominciò ad innalzare audace la fronte nel campo e nel Parlamento.
    
    LV. L'anima di questo partito era Oliviero Cromwell. Educato alle
    occupazioni pacifiche, a quaranta e più anni d'età, aveva accettata
    una commissione nell'armata parlamentare. Appena divenne soldato,
    conobbe coll'acuto occhio del genio ciò che Essex, e gli uomini
    simili ad Essex, con tutta l'esperienza loro, non sapevano
    intendere. Vide precisamente dove stava la forza dei realisti, e i
    soli mezzi con cui tale forza poteva vincersi. S'accorse che era
    mestieri riordinare l'armata del Parlamento. S'accorse parimente,
    che v'erano copiosi materiali ed ottimi a tale scopo; materiali meno
    appariscenti, a dir vero, ma più solidi di quelli onde erano
    composte le valorose legioni del Re. Era mestieri arrolare reclute
    che non fossero mercenarie, ma di posizione decente e di carattere
    grave, animate dal timore di Dio, e zelanti della libertà patria.
    D'uomini di tal sorta compose il proprio reggimento, e mentre gli
    assoggettava ad una disciplina più rigida di quale altra si fosse
    mai veduta innanzi in Inghilterra, porgeva agli animi loro stimoli
    di potentissima efficacia.
    
    Gli eventi del 1644 provarono appieno la superiorità della sua
    mente. Nelle contrade meridionali, dove Essex comandava, le forze
    parlamentari subirono una serie di vergognosi disastri; ma nelle
    settentrionali, la vittoria di Marston Moor fu di pieno compenso a
    tutte le perdite che s'erano altrove, sostenute. Quella vittoria non
    recò un colpo più serio ai realisti, di quello che recasse al
    partito fin allora dominante in Westminster; poichè era cosa
    notoria, che la giornata sciaguratamente perduta dai Presbiteriani,
    era stata ricuperata dalla energia di Cromwell, e dalla valorosa
    fermezza de' guerrieri che lo seguivano.
    
    LVI. Cotesti eventi produssero l'Ordinanza d'abnegazione, e il nuovo
    modello dell'armata. Con pretesti decorosi, e con ogni testimonianza
    di rispetto, Essex e la maggior parte di coloro i quali avevano
    occupato posti eminenti sotto il comando di lui, vennero rimossi, e
    la direzione della guerra fu posta in mani dalle sue
    differentissime. Fairfax, soldato intrepido, ma di basso
    intendimento e di carattere irresoluto, fu fatto generale delle
    armi; ma lo era di solo nome, poichè il vero capo di quelle era
    Cromwell.
    
    LVII. Cromwell affrettossi ad organizzare tutta l'armata secondo gli
    stessi principii, giusta i quali aveva organizzato il proprio
    reggimento. Com'egli ebbe fornita l'opera, l'esito della guerra fu
    deciso. I Cavalieri dovevano adesso far fronte ad un coraggio pari
    al loro, ad un entusiasmo più forte di quello onde erano animati, ad
    una disciplina che loro mancava affatto. Passò tosto in proverbio il
    detto, che i soldati di Fairfax e di Cromwell erano uomini
    differentissimi da quelli di Essex. In Naseby seguì il primo scontro
    tra i realisti e le rifatte schiere del Parlamento. La vittoria
    delle Teste-Rotonde fu piena e decisiva. Essa fu seguita da altri
    trionfi succedentisi rapidamente. In pochi mesi l'autorità del
    Parlamento venne pienamente stabilita in tutto il reame. Carlo si
    rifugiò presso gli Scozzesi, e, con modo che non fa molto onore al
    carattere loro, fu consegnato agl'Inglesi.
    
    Mentre l'esito della guerra era tuttavia dubbio, le Camere avevano
    fatto morire il Primate; avevano interdetto, nella sfera della loro
    autorità, l'uso della liturgia; ed avevano imposto che tutti
    sottoscrivessero quel famoso documento conosciuto col nome di Lega o
    Convenzione Solenne. Come la lotta ebbe fine, le innovazioni e le
    vendette con grandissimo ardore furono spinte agli estremi. La
    politica ecclesiastica del Regno fu rimodellata. Moltissimi
    individui dell'alto clero vennero spogliati de' loro beneficii.
    Multe, spesso di somme rovinose, vennero inflitte ai realisti, già
    impoveriti per i larghi sussidi donati al Re. I beni di molti
    vennero confiscati; molti Cavalieri proscritti trovarono utile
    comprare, con enormi sacrifizi, la protezione de' personaggi
    principali del partito vittorioso. Grandi dominii, appartenenti alla
    Corona, ai Vescovi ed ai Capitoli, furono confiscati, e o dati in
    concessione, o venduti all'incanto. In seguito di tali spoliazioni,
    gran parte del suolo d'Inghilterra fu a un tratto messo in vendita.
    Poichè il danaro era scarso, il traffico paralizzato, il titolo di
    proprietà mal sicuro; e poichè la paura che ispiravano gli offerenti
    che avevano in mano il potere, impediva la libera concorrenza; i
    prezzi spesso erano prettamente nominali. In tal guisa molte antiche
    ed onorate famiglie scomparvero, e non se ne seppe più nulla; e
    molti uomini nuovi mostraronsi sulla scena, con repentino
    innalzamento.
    
    Ma mentre le Camere adopravano la propria autorità in quel modo,
    essa fuggì rapidamente dalle loro mani. L'avevano ottenuta
    arrogandosi un potere senza limite o freno. Nell'estate del 1647,
    circa un anno dopo che l'ultima fortezza dei Cavalieri erasi
    sottomessa al Parlamento, il Parlamento fu costretto a sottomettersi
    ai soldati suoi propri.
    
    LVIII. Corsero tredici anni, durante i quali l'Inghilterra fu, sotto
    vari nomi e varie forme, governata dalla spada. Giammai, prima o
    dopo di quell'epoca, il potere civile della nostra patria non fu
    soggetto alla dittatura militare.
    
    L'armata che si recò in mano il supremo potere dello Stato, era
    un'armata molto diversa da qualunque altra che se n'è poi veduta nel
    nostro paese. Oggimai la paga del soldato comune non è tale da
    svolgere altri individui fuorchè quelli delle classi basse degli
    operai, dalla loro vocazione. Una barriera quasi insormontabile lo
    divide dal grado d'ufficiale. La maggior parte di coloro che vi
    pervengono, lo comprano. Sono così numerose e vaste le dipendenze
    remote dell'Inghilterra, che chiunque si arruola alla truppa di
    linea, deve attendersi di passare molti anni della propria vita in
    esilio, e parecchi anni in climi non favorevoli alla salute ed al
    vigore della razza europea. L'armata del Lungo Parlamento venne
    raccolta pel servizio interno. La paga del soldato comune era
    maggiore del guadagno che l'individuo del popolo poteva sperare dal
    proprio lavoro; e qualora si fosse distinto per intelligenza e per
    coraggio, poteva sperare di levarsi a posti eminenti. Le file,
    quindi, erano composte di uomini, per educazione e posizione,
    superiori alla moltitudine. Questi uomini, sobrii, morali, diligenti
    ed assuefatti alla riflessione, erano stati indotti ad abbracciare
    il mestiere delle armi, non già dagli incitamenti del bisogno, non
    dal desio di novità o di licenza, non dagli artificii degli
    ufficiali reclutatori, ma dallo zelo religioso e politico, misto
    alla brama di acquistarsi onore e spingersi in alto. Essi
    vantavansi, siccome ne troviamo ricordo nelle loro solenni
    risoluzioni, di non essere stati costretti alla milizia, né d'averla
    abbracciata per desiderio di lucro; di non essere giannizzeri, ma
    liberi cittadini inglesi, i quali, di loro propria voglia, avevano
    poste le loro vite in pericolo per la libertà e la religione
    dell'Inghilterra; perocchè consideravano come loro debito espresso
    vegliare sul bene della nazione che avevano salvata.
    
    In una milizia siffattamente composta, potevano senza pregiudizio
    della sua utilità, tollerarsi quelle tali licenze, che, concesse a
    qualunque altra soldatesca, avrebbero sovvertita ogni disciplina.
    Generalmente parlando, i soldati, i quali si costituissero in
    circoli politici, eleggessero i loro delegati e prendessero
    risoluzioni intorno ad alte questioni di Stato, scoterebbero tosto
    ogni freno, non sarebbero più un'armata, e diverrebbero la massa
    peggiore e più pericolosa del popolo. Né sarebbe sicuro, ai tempi
    nostri, permettere ne' reggimenti adunanze religiose, nelle quali un
    caporale versato nella lettura della Bibbia infiammasse la divozione
    del suo colonnello meno istruito, e desse avvertimenti al suo
    maggiore recidivo. Ma tali erano la intelligenza, la gravità, la
    padronanza di sé, nei guerrieri di Cromwell, che nel loro campo una
    organizzazione religiosa e politica poté esistere senza recar
    nocumento alla organizzazione militare. Gli uomini stessi i quali
    facevansi notare come demagoghi e predicatori del campo, godevano
    bella reputazione di fermezza, di spirito d'ordine, e di pronta
    obbedienza nelle guardie, negli esercizi e nel campo di battaglia.
    
    In guerra, nulla valeva a resistere a questa straordinaria milizia.
    Il ferreo coraggio, che forma l'indole del popolo inglese, ricevette
    subitamente, mercé del sistema di Cromwell, regola e stimolo. Altri
    comandanti hanno mantenuto un ordine egualmente rigoroso; altri
    comandanti hanno ispirato nei petti dei loro seguaci uno zelo
    egualmente fervido: ma nel solo campo di Cromwell trovavasi la più
    rigida disciplina congiunta al più ardente entusiasmo. Le sue truppe
    correvano alla vittoria con la precisione delle macchine, mentre
    erano infiammate del più selvaggio fanatismo de' crociati. Da quando
    l'armata venne riordinata fino a quando si sbandò, non trovò mai o
    nelle Isole Britanniche o nel Continente un nemico che potesse
    sostenerne gl'impeti. In Inghilterra, Scozia, Irlanda, Fiandra, i
    guerrieri puritani, spesso circuiti da difficoltà, talvolta lottanti
    contro nemici tre volte più numerosi, non solamente non mancarono di
    vincere, ma non mancarono mai di distruggere e tagliare in pezzi
    qualunque esercito si fosse loro presentato. Finalmente, giunsero a
    considerare il dì della battaglia come un giorno di sicuro trionfo,
    e movevano con fiducia sprezzante contro i più rinomati battaglioni
    d'Europa. Turenna rimase attonito alla severa esaltazione con cui i
    suoi alleati inglesi correvano al combattimento, ed espresse la
    gioia di un vero soldato, allorquando gli fu detto che era costume
    de' lancieri di Cromwell d'allegrarsi grandemente quando guardavano
    in faccia il nemico; e i Cavalieri banditi provarono l'emozione
    dell'orgoglio nazionale, allorquando videro una brigata de' loro
    concittadini, inferiori di numero ai nemici ed abbandonati dagli
    alleati, porre in rotta la più bella fanteria spagnuola, ed aprirsi
    il passo in una controscarpa, che era stata pur allora giudicata
    inespugnabile dai più sperimentati marescialli di Francia.
    
    Ma ciò che principalmente distingueva l'armata di Cromwell dalle
    altre armate, era l'austera moralità e il timore di Dio, che
    prevalevano in tutte le file. I più zelanti realisti confessano, che
    in quel campo singolare non s'udiva una bestemmia, non si vedevano
    ubriachi o giuocatori, e che, per tutto il tempo che durò la
    dominazione soldatesca, gli averi de' pacifici cittadini e l'onore
    delle donne furono reputati sacri. Se si commisero oltraggi, furono
    oltraggi di specie molto diversa da quelli cui di leggieri si
    abbandona un'armata vittoriosa. Non vi fu né anche una fantesca che
    muovesse lamento delle galanti aggressioni de' soldati. Una sola
    dramma d'argento non fu rapita nelle botteghe degli orefici. Ma un
    sermone pelagiano, o uno sportello sul quale fosse dipinta la
    Madonna col divino Infante, produceva nelle file dei Puritani tale
    un eccitamento, che richiedeva gli estremi sforzi degli ufficiali
    per essere dominato. Una delle principali difficoltà di Cromwell fu
    quella d'impedire che i suoi lancieri e dragoni si gettassero sopra
    i pergami de' sacerdoti, i cui discorsi (per servirmi
    dell'espressione di que' tempi) non erano gustosi; e moltissime
    delle nostre cattedrali serbano tuttavia i segni dell'odio onde
    quegli spiriti austeri abborrivano ogni vestigio di papismo.
    
    LIX. Affrenare il popolo inglese non fu lieve impresa per
    quell'armata. Non appena fu sentito il peso della tirannide
    militare, che la nazione, non assuefatta a tanto servaggio, cominciò
    ad agitarsi ferocemente. Scoppiarono insurrezioni in quelle contee
    che, mentre ardeva la guerra, avevano mostrata cieca sommissione al
    Parlamento. A dir vero, lo stesso Parlamento aborriva i suoi vecchi
    difensori più che i suoi vecchi nemici, e bramava di venire a patti
    di accomodamento con Carlo a danno dell'armata. Nel tempo medesimo,
    in Iscozia formossi una coalizione tra i realisti e un grosso corpo
    di presbiteriani, che detestavano le dottrine degl'indipendenti.
    Finalmente scoppiò la procella. I popoli si sollevarono in Norfolk,
    in Suffolk, in Essex, in Kent, in Galles. La flotta nel Tamigi
    subitamente innalzò i regi colori, si spinse in mare, e minacciava
    la costa meridionale dell'isola. Grossa mano di armati scozzesi
    valicò i confini, e giunse fino alla contea di Lancaster. Potrebbe
    ben sospettarsi che siffatti movimenti venissero riguardati con
    segreta compiacenza dalla maggior parte dei membri della Camera de'
    Lordi, e di quella de' Comuni.
    
    Ma il giogo dell'armata non poteva scuotersi in quella guisa. Mentre
    Fairfax spegneva le insurrezioni nelle vicinanze della metropoli,
    Oliviero domava gli insorgenti Gallesi, e riducendo i loro castelli
    in rovine, moveva contro gli Scozzesi. Le sue truppe erano poche in
    paragone degl'invasori; ma egli non aveva costume di contare il
    numero de' suoi nemici. L'armata scozzese fu onninamente distrutta.
    Susseguì un cangiamento nel governo della Scozia. Un'amministrazione
    ostile al Re formossi in Edimburgo; e Cromwell, diventato più che
    mai l'idolo de' suoi soldati, ritornò trionfante a Londra.
    
    LX. Allora un disegno a cui sul principio della guerra civile
    nessuno avrebbe osato alludere, e che non era meno incompatibile con
    la Solenne Convenzione, di quello che fosse con le vecchie leggi
    d'Inghilterra, cominciò ad assumere una forma distinta. Gli austeri
    guerrieri che governavano la nazione, avevano per lo spazio di
    parecchi mesi meditata una tremenda vendetta contro il Re
    prigioniero. Quando e come originasse tale disegno; se movesse dai
    comandanti e si diffondesse nelle file, o dalle file si appigliasse
    ai comandanti; se si debba ascrivere ad una politica che si serviva
    del fanatismo come di strumento, o al fanatismo che trascinava la
    politica con irresistibile impulso; sono questioni che fino ai dì
    nostri non si sono potute sciogliere perfettamente. Se non che,
    sembra probabile, considerando generalmente le cose, che colui che
    pareva menare gli altri, fosse forzato a seguirli; e che in questa
    occasione, come avvenne pochi anni dopo in una occasione
    simigliante, egli sacrificasse il proprio giudicio e le proprie
    inclinazioni ai voleri dell'armata. Poichè il potere ch'egli aveva
    stabilito, era un potere che neanche egli stesso valeva a
    raffrenare; e onde potesse sempre comandare, era necessario ch'ei
    talvolta obbedisse. Protestò pubblicamente, che ei non era stato
    l'iniziatore della cosa, che i primi passi erano stati fatti senza
    esserne stato reso partecipe, che non poté consigliare il Parlamento
    a dare il colpo, ma sottopose i propri sentimenti alla forza delle
    circostanze, che sembravano manifestare gli alti disegni della
    Provvidenza. Siffatte proteste si sogliono sempre considerare come
    esempio della ipocrisia di che comunemente ei viene tacciato. Ma
    anche coloro che lo chiamano ipocrita, non oserebbero di chiamarlo
    uno stolto. È loro debito mostrare ch'egli voleva conseguire un alto
    scopo, incitando l'armata a commettere un atto ch'egli non
    rischiossi mai di ordinare. Parrebbe cosa assurda supporre che egli,
    il quale da' suoi nemici degni di rispetto non venne mai
    rappresentato come follemente crudele ed implacabilmente
    vendicativo, avesse fatto il passo più importante di tutta la sua
    vita, mosso solo da spirito malevolo. Era tanto savio da conoscere,
    quando consentì a versare quel sangue augusto, ch'egli compiva un
    fatto inespiabile, che sveglierebbe dolore ed orrore non solo negli
    animi de' realisti, ma negli animi di nove decimi di coloro i quali
    avevano parteggiato a favore del Parlamento. Siano quali si vogliano
    le visioni che turbavano i cervelli degli altri, ei di certo non
    sognava di repubblica, secondo la forma degli antichi, nè del regno
    millenario dei Santi. S'egli già aspirava a farsi fondatore d'una
    nuova dinastia, era chiaro che Carlo I era un rivale meno
    formidabile di quello che sarebbe stato Carlo II. Nell'istante della
    morte di Carlo I, ciascuno de' Cavalieri avrebbe conservata la
    propria lealtà in tutta la sua purezza a Carlo II. Carlo I era
    prigioniero; Carlo II sarebbe stato libero. Carlo I era obietto di
    sospizione e disgusto a gran parte di coloro che tuttavia
    rabbrividivano al pensiero di ucciderlo; Carlo II avrebbe svegliato
    tutto l'interesse che accompagna la giovinezza e la innocenza
    sventurata. È impossibile credere che considerazioni così ovvie ed
    importanti fuggissero alla mente del più grande uomo politico di
    quell'età. Vero è che Cromwell, un tempo, intese a farsi mediatore
    fra il trono ed il Parlamento; o a riordinare lo Stato in isfacelo,
    per mezzo del potere della spada, sotto la sanzione del nome regio.
    In siffatto disegno egli perseverò finchè non fu costretto ad
    abbandonarlo per la insubordinazione dei soldati e per la incurabile
    doppiezza del Re. Sorse un partito nel campo, che vociferando
    chiedeva la testa del traditore, il quale trattava con Agag. Si
    formarono cospirazioni; levaronsi romorose minacce d'accusa. Scoppiò
    un ammutinamento, a comprimere il quale bastarono appena il vigore e
    la risolutezza di Cromwell. E quantunque, per mezzo d'una giudiciosa
    mistura di severità e di dolcezza, gli fosse riuscito di ristabilire
    l'ordine, s'accorse che sarebbe stato estremamente difficile e
    pericoloso contendere contro la rabbia de' guerrieri, i quali
    consideravano il caduto tiranno qual proprio nemico, e quale nemico
    del loro Dio.
    
    Nel tempo stesso si vide più che mai manifesto come nel Re non fosse
    da fidarsi. I vizi di Carlo erano cresciuti; e, a dir vero, erano di
    quella specie di vizi, che le difficoltà e le perplessità
    generalmente fanno risaltare in tutta la loro luce. L'astuzia è lo
    scudo naturale de' deboli. E però un principe il quale è abituato ad
    ingannare mentre si trova nell'altezza della possanza, non è
    verosimile che impari ad esser franco in mezzo agl'impacci ed alle
    sciagure. Carlo era un dissimulatore non solo privo di scrupoli, ma
    sventurato. Non vi fu mai uomo politico al quale siano state
    attribuite con innegabile evidenza tante fraudi e tante falsità.
    Egli pubblicamente riconobbe le Camere di Westminster come
    Parlamento legittimo, e nel medesimo tempo scrisse nel suo Consiglio
    un atto privato, in che dichiarava di non riconoscerle. Protestò
    pubblicamente di non essersi mai rivolto ad armi straniere per
    domare i suoi popoli, mentre privatamente implorava aiuto dalla
    Francia, dalla Danimarca o dalla Lorena. Negò pubblicamente di avere
    impiegati i papisti, e nel medesimo tempo mandava ordini ai suoi
    generali per impiegare ogni papista che volesse servire. Prestò
    pubblicamente in Oxford il giuramento, promettendo di non esser mai
    connivente al papismo; mentre privatamente assicurava la propria
    moglie, che egli intendeva tollerarlo in Inghilterra; e dette
    facoltà a lord Glamorgan di promettere che il papismo verrebbe
    ristabilito in Irlanda. Finalmente, tentò d'uscire d'impaccio a
    danno del suo ministro. Glamorgan ricevé, tutte scritte di mano del
    Re, riprensioni che dovevano esser lette da altri, o lodi che
    dovevano esser vedute da lui solo. Fino a tal segno allora erasi
    spinta la indole falsa del Re, che i suoi più devoti amici non si
    poterono frenare dal querelarsi fra loro, con amaro dolore e
    vergogna della torta politica di lui. I suoi difetti, dicevano essi,
    davano loro meno molestia de' suoi intrighi. Dall'istante in cui fu
    fatto prigioniero, non v'era individuo del partito vittorioso che
    egli non cercasse avvolgere fra le sue lusinghe e fra le sue
    macchinazioni; ma non gli toccò peggiore ventura di quella ch'egli
    ebbe allorquando si studiò di blandire Cromwell, nel tempo stesso
    che voleva minargli il terreno; e Cromwell era uomo da non lasciarsi
    vincere né dalle blandizie né dalle macchinazioni.
    
    LXI. Cromwell doveva risolvere se mai fosse cosa prudente porre a
    rischio l'affetto che gli portava il suo partito, lo affetto
    dell'armata, la propria grandezza, anzi la sua propria vita, per un
    tentativo che probabilmente sarebbe riuscito vano; pel tentativo,
    cioè, di salvare un principe che non si sarebbe potuto mai vincolare
    con nessun giuramento. La determinazione fu presa dopo molte lotte e
    molti sospetti, e forse non senza molte preghiere. Carlo fu
    abbandonato al proprio destino. I così detti Santi militari,
    sfidando le antiche leggi del Regno, non che il sentimento quasi
    universale della nazione, decisero che il Re dovesse espiare col
    proprio sangue i delitti onde era reo. Egli per qualche tempo
    aspettossi una morte simile a quella de' suoi infelici predecessori,
    Eduardo II e Riccardo II. Ma non v'era pericolo d'un tale
    tradimento. Coloro i quali lo tenevano fra gli artigli, non erano
    coltellatori notturni. Ciò ch'essi fecero, lo fecero perchè servisse
    di spettacolo al cielo ed alla terra, e perchè ne rimanesse eterna
    ricordanza. Godevano a malincuore dello scandalo che davano.
    L'essere l'antica Costituzione e l'opinione pubblica
    dell'Inghilterra direttamente opposte al regicidio, circondava il
    regicidio di un fascino straordinario agli occhi di un partito
    intento a produrre una completa rivoluzione politica e sociale. Onde
    conseguire pienamente il loro scopo, era mestieri che innanzi tutto
    facessero in pezzi ogni parte della macchina del Governo; ed era una
    necessità più presto gradevole che penosa agli animi loro. La Camera
    de' Comuni votò per un accomodamento col Re. I soldati con la forza
    si opposero alla maggioranza. I Lordi unanimemente rigettarono la
    proposta di porre il Re sotto processo; e la loro sala venne
    immediatamente chiusa. Nessun tribunale legittimo voleva assumersi
    la responsabilità di giudicare colui dal quale emanava la giustizia.
    Creossi un tribunale rivoluzionario, il quale dichiarò Carlo essere
    tiranno, traditore, assassino e nemico pubblico; e la testa gli
    venne mozza dal busto innanzi a migliaia di spettatori, di faccia
    alla sala del banchetto, nel suo proprio palazzo.
    
    Non molto tempo dopo, chiaramente conobbesi che quei zelanti
    politici e religiosi, ai quali deve attribuirsi quel fatto, avevano
    commesso non solo un delitto, ma un fallo. Essi avevano data ad un
    principe fin allora conosciuto per le sue colpe, occasione di
    mostrare, in un vasto teatro, innanzi agli occhi di tutte le nazioni
    e di tutti i secoli, talune doti che irresistibilmente svegliano
    l'ammirazione e l'amore dell'umanità; cioè l'altero spirito di un
    prode gentiluomo, e la pazienza e mansuetudine di un cristiano che
    si sacrifica. Che anzi, avevano in tal modo eseguita la loro
    vendetta, che quell'uomo stesso la cui vita non era stata se non una
    serie di violazioni delle libertà dell'Inghilterra, sembrava morire
    da martire per la causa di quelle medesime libertà. Nessun demagogo
    produsse mai una impressione negli animi di tutti simile a quella
    che vi produsse il Re prigioniero, il quale serbando in quegli
    estremi tutta la sua dignità reale, ed affrontando la morte con
    indomito coraggio, infiammò i sentimenti del suo popolo oppresso,
    ricusò fermamente di favellare innanzi ad un tribunale ignoto alla
    legge, appellossi dalla violenza militare ai principii della
    Costituzione, chiese con che diritto dalla Camera de' Comuni erano
    stati espulsi i suoi più rispettabili membri e la Camera de' Lordi
    era stata privata delle sue funzioni legislative, e disse ai suoi
    uditori che lacrimavano, com'egli non difendesse soltanto la causa
    propria, ma la loro. La pessima condotta del suo lungo governo, le
    sue innumerevoli perfidie, furono dimenticate. La memoria di lui
    venne, nelle menti della maggior parte de' suoi sudditi, associata a
    quelle stesse libere istituzioni ch'egli per molti anni erasi
    sforzato di distruggere; poichè quelle libere istituzioni s'erano
    spente con lui, e, tra il lugubre silenzio di un popolo spaventato
    dall'armi, erano state difese dalla sola sua voce. Da quel giorno,
    cominciò una reazione in favore della Monarchia e dell'esule
    famiglia reale, la quale venne sempre crescendo, finchè il trono non
    fu rialzato in tutta la sua antica dignità.
    
    Nondimeno, da principio gli uccisori del Re parvero derivare nuova
    energia da quel sacramento di sangue con cui s'erano scambievolmente
    vincolati, separandosi per sempre dalla maggioranza de' loro
    concittadini. L'Inghilterra venne dichiarata Repubblica. La Camera
    de' Comuni, ridotta ad un piccolo numero di membri, fu, di nome
    soltanto, il supremo potere dello Stato. Di fatto, il governo era
    tutto nelle mani dell'esercito e del suo capo. Oliviero aveva fatta
    la sua scelta. Egli aveva conservato l'affetto de' suoi soldati; ma
    erasi diviso da pressochè tutte le classi de' suoi concittadini. Mal
    si direbbe ch'egli avesse un partito al di là de' confini del campo
    e delle fortezze. Quegli elementi di forza i quali, quando scoppiò
    la guerra civile, parevano osteggiarsi vicendevolmente, si
    congiunsero contro lui; tutti i Cavalieri, la più parte delle
    Teste-Rotonde, la Chiesa Anglicana, la Chiesa Presbiteriana, la
    Chiesa Cattolica Romana, l'Inghilterra, la Scozia, l'Irlanda.
    Nonostante, era tale il suo genio e la sua fermezza, che egli poté
    padroneggiare e vincere ogni ostacolo che gli attraversava la via, e
    rendersi signore della propria patria, più assoluto di qualunque
    altro de' Re legittimi, e farla rispettare e temere più di quanto
    era stata temuta e rispettata in tutto il tempo che ella era rimasta
    sotto il governo de' suoi legittimi principi.
    
    L'Inghilterra aveva già cessato di lottare. Ma i due altri Regni, i
    quali erano stati governati dagli Stuardi, si dichiararono ostili
    alla nuova Repubblica. Il partito degli Indipendenti era egualmente
    odioso ai Cattolici Romani d'Irlanda, ed ai Presbiteriani di Scozia.
    Entrambi questi paesi, che poco innanzi erano ribelli a Carlo I,
    poscia riconobbero l'autorità di Carlo II.
    
    LXII. Ma ogni cosa cedeva al vigore ed all'ingegno di Cromwell. In
    pochi mesi soggiogò l'Irlanda, e la ridusse come non era mai stata
    nello spazio di cinque secoli di strage ch'erano trascorsi dallo
    sbarco de' primi Normanni in poi. Determinossi a porre fine al
    conflitto delle razze e delle religioni che aveva per tanto tempo
    turbata quell'isola, facendovi esclusivamente predominare la
    popolazione inglese e protestante. A tale scopo, allentò il freno al
    feroce entusiasmo de' suoi seguaci, dichiarò una guerra simile a
    quella che Israello aveva dichiarata ai Cananei, domò gl'Idolatri
    col taglio della spada, di guisa che le grandi città furono lasciate
    prive d'abitanti; ne cacciò parecchie migliaia sul continente, ne
    imbarcò molte migliaia per l'America, e riempì quel vuoto mandandovi
    numerose colonie di genti anglo-sassoni, seguaci delle credenze di
    Calvino. Strano a dirsi! sotto quel regime di ferro, il paese
    conquistato cominciò a far mostra d'una certa prosperità esteriore.
    Distretti che poco innanzi erano selvaggi, come quelli dove i coloni
    del Connecticut contendevano con gli uomini rossi, in pochi anni
    vennero trasformati in un certo aspetto simile a quello di Kent e di
    Norfolk. Si videro da per tutto nuovi edifici e strade e
    piantagioni. La entrata de' terreni crebbe tosto; e tosto i
    proprietari inglesi cominciarono a querelarsi d'incontrare in tutti
    i mercati i prodotti dell'Irlanda, e a gridare perchè si
    promulgassero leggi protezioniste.
    
    Dall'Irlanda il guerriero vittorioso, che adesso era anche di nome,
    come lungo tempo lo era stato di fatto, Lord Generale dello esercito
    della Repubblica, si mosse alla volta di Scozia. Ivi stavasi il
    giovine Re, il quale aveva acconsentito di professare il culto dei
    Presbiteriani e firmare la Convenzione; e in ricompensa di tali
    concessioni, gli austeri Puritani che dominavano in Edimburgo gli
    avevano permesso di tenere, sotto la vigilanza e direzione loro, una
    corte solenne ma trista nelle sale di Holyrood da lungo tempo
    deserte. Questa corte da scherno durò brevemente. In due grandi
    battaglie Cromwell annientò le forze militari della Scozia. Carlo
    fuggì per salvare la vita, e con estrema difficoltà si sottrasse al
    destino del padre suo. Lo antico Regno degli Stuardi venne, per la
    prima volta, ridotto alla più profonda sommissione. Non rimase
    vestigio della indipendenza con tanto valore difesa contro i più
    potenti e destri de' Plantageneti. Il Parlamento inglese faceva le
    leggi per la Scozia. I giudici inglesi sedevano nei tribunali della
    Scozia. Anche quella inflessibile Chiesa, che erasi mantenuta a
    dispetto di tanti Governi, non osava far sentire un lamento.
    
    LXIII. Tanta era stata, almeno in apparenza, l'armonia tra i
    guerrieri che avevano soggiogato la Irlanda e la Scozia, e gli
    uomini politici che sedevano in Westminster! ma l'alleanza ch'era
    stata cementata dal pericolo, fu sciolta dalla vittoria. Il
    Parlamento dimenticò di dovere la propria esistenza allo esercito.
    Lo esercito era meno disposto che mai a sottoporsi alla dittatura
    del Parlamento. Veramente, i pochi membri i quali formarono ciò che
    poscia venne chiamato la coda o la groppa (Rump) della Camera de'
    Comuni, non avevano, più che i corpi militari, diritto ad essere
    stimati i rappresentanti della nazione. La contesa fu tosto condotta
    ad un esito decisivo. Cromwell empì la Camera d'uomini armati. Ne
    cacciarono giù dal seggio il presidente, vuotarono la sala, e ne
    chiusero le porte. La nazione che non amava nessuna delle due parti
    avverse, ma che, suo malgrado, era costretta a rispettare la
    capacità e la fermezza del generale, guardò quell'evento con
    pazienza, se non con compiacenza.
    
    Il Re, la Camera de' Lordi, e quella de' Comuni, erano stati vinti e
    distrutti; e sembrava che Cromwell fosse rimasto unico erede di
    tutti e tre. Nondimeno, v'erano certe limitazioni impostegli
    tuttavia da quella stessa armata, cui egli andava debitore della sua
    immensa autorità. Quel corpo singolare di uomini era quasi
    interamente composto di repubblicani zelanti. Mentre rendevano
    schiava la patria, ingannavansi credendo di emanciparla. Il libro
    che essi maggiormente veneravano, forniva loro un esempio che
    ricorreva spesso sulle loro labbra. Era pur troppo vero che la
    nazione ingrata e stolta mormorava contro i propri liberatori.
    Similmente un'altra nazione eletta aveva mormorato contro il capo
    che la trasse, per duri e perigliosi sentieri, dalla schiavitù alla
    terra che era irrigata di latte e di miele. Nondimeno, quel gran
    capitano aveva liberati i fratelli, loro malgrado; nè aveva aborrito
    di dare terribili esempi di giustizia sopra coloro i quali
    avversavano la offerta libertà, e lamentavano le vivande, i padroni
    e le idolatrie dell'Egitto. Lo scopo de' santocchi guerrieri i quali
    circondavano Cromwell, era quello di stabilire una libera e pia
    Repubblica. Per conseguire tale scopo, erano pronti ad appigliarsi,
    senza veruno scrupolo, a qualunque mezzo, comecchè violento ed
    illegittimo. E però non era impossibile stabilire col loro aiuto una
    monarchia assoluta di fatto; ma era probabile che essi avrebbero
    repentinamente tolto il loro sostegno a un uomo che, anche soggetto
    a rigorose restrizioni costituzionali, avesse osato assumere il nome
    e la dignità di Re.
    
    I sentimenti di Cromwell erano molto diversi. Egli non era più ciò
    che era stato; nè sarebbe giusto considerare il cangiamento che
    avevano subito le sue idee, come il semplice effetto della sua
    ambizione egoistica. Quando entrò nel Lungo Parlamento, vi portò dal
    suo ritiro campestre poca conoscenza di libri, nessuna esperienza
    degli affari di Stato, ed un temperamento esacerbato dalla lunga
    tirannide del Governo e della gerarchia. Nei tredici anni
    susseguenti si era in modo non ordinario educato alle cose
    politiche. Era stato attore principale in una serie di rivoluzioni;
    era stato per lungo tempo l'anima, o almeno il capo di un partito.
    Aveva comandato eserciti, riportate vittorie, negoziato trattati,
    soggiogato, pacificato e riordinato Regni. Sarebbe stata cosa
    strana, in verità, se le sue nozioni fossero rimaste nella
    condizione in cui erano quando il suo spirito trovavasi
    principalmente occupato de' suoi campi e della sua religione, e
    quando i grandi avvenimenti che variavano il corso della sua vita,
    erano una fiera di bestiame o una ragunanza religiosa in Huntingdon.
    Si accorse che certi disegni d'innovazione, per cui egli un tempo
    aveva mostrato zelo, buoni o cattivi in sè stessi, erano avversi al
    sentimento generale del paese; e che, se egli perseverava in tali
    disegni, non poteva altro aspettarsi che perpetue turbolenze, da
    domarsi solo con la spada. Egli quindi voleva ristaurare, in tutte
    le sue parti essenziali, quell'antica Costituzione, che il popolo
    aveva sempre amata, e che poi amaramente desiderava. La via calcata
    poscia da Monk, non era per anche aperta a Cromwell. La memoria di
    un solo terribile giorno divise per sempre il gran regicida dalla
    famiglia degli Stuardi. Il partito cui egli poteva appigliarsi, era
    soltanto quello di ascendere al trono d'Inghilterra, e regnare
    secondo l'antica politica inglese. Se gli fosse riuscito di far ciò,
    avrebbe potuto sperare che le ferite della lacerata patria si
    sarebbero presto rimarginate. Gran numero d'uomini onesti e
    tranquilli si sarebbero stretti intorno al suo seggio. Quei realisti
    che amavano più le istituzioni che la dinastia, l'ufficio di Re più
    che Carlo I e Carlo II, avrebbero tosto baciato la mano del re
    Oliviero. I Pari, che allora rimanevano cupi e solitari nel ritiro
    de' loro castelli, e ricusavano di prender parte alla cosa pubblica,
    convocati al Parlamento dall'editto di un re assiso sul trono,
    avrebbero lietamente riassunte le loro antiche funzioni.
    Northumberland e Bedford, Manchester e Pembroke, sarebbero stati
    orgogliosi di portare la corona e gli sproni, lo scettro e il globo,
    innanzi al ristauratore dell'aristocrazia. Un sentimento di lealtà
    avrebbe gradatamente affezionato il popolo alla nuova dinastia; ed
    alla morte del fondatore di tal dinastia, la dignità regia sarebbe
    discesa con universale acquiescenza ai suoi posteri.
    
    I più destri realisti pensavano che siffatte mire erano savie, e che
    se a Cromwell fosse stato concesso di seguire il proprio giudicio,
    l'esule dinastia non sarebbe mai più risalita sul trono
    d'Inghilterra. Ma il suo disegno era direttamente opposto al sentire
    della sola classe ch'egli non osava offendere. Il nome di re era
    odioso ai soldati. Parecchi di loro mal volentieri pativano che
    l'amministrazione dello Stato fosse nelle mani di un solo. La gran
    maggioranza, non pertanto, era disposta a sostenere il suo generale,
    come primo magistrato elettivo della Repubblica, contro tutte le
    fazioni che potessero per avventura avversare l'autorità di lui; ma
    non avrebbe consentito ch'egli assumesse il titolo regio, o che
    quella dignità, ch'era equo compenso del suo merito personale, fosse
    dichiarata ereditaria nella sua famiglia. Ciò che gli rimaneva a
    fare, era di dare alla nuova Repubblica una Costituzione, che
    somigliasse a quella della vecchia monarchia tanto quanto piacesse
    all'armata. Perchè non si dicesse ch'egli si fosse da sè elevato al
    nuovo potere, convocò un Consiglio, composto in parte d'individui
    sul sostegno de' quali ei poteva riposare, in parte di altri de'
    quali poteva di leggieri sfidare l'opposizione. Tale Assemblea,
    ch'egli chiamò Parlamento, e cui il popolaccio appose il nome di uno
    de' suoi più cospicui membri, cioè Parlamento di Barebone, dopo di
    essersi per breve tempo fatta segno al pubblico scherno, depose
    nelle mani del generale i poteri ricevuti da lui, e gli lasciò piena
    libertà di foggiare a suo talento un sistema di governo.
    
    LXIV. Il suo disegno, fin da principio, somigliava considerevolmente
    alla vecchia Costituzione inglese; ma in pochi anni egli credè
    opportuno spingersi più oltre, e ristaurare quasi ogni parte
    dell'antico sistema sotto nuovi nomi e nuove forme. Il titolo di re
    non fu ristabilito, ma le prerogative regie vennero affidate ad un
    alto protettore. Il sovrano fu chiamato non Sua Maestà, ma Sua
    Altezza; non fu coronato ed unto nell'Abbadia di Westminster, ma
    solamente intronizzato, decorato della spada dello Stato, vestito
    d'un manto purpureo, e gli fu fatto presente d'una ricca Bibbia
    nella Sala di Westminster. Il suo ufficio non fu dichiarato
    ereditario, ma gli fu concesso di nominare il suo successore; e
    nessuno dubitava ch'egli avrebbe nominato il proprio figlio.
    
    Una Camera de' Comuni era parte necessaria del nuovo sistema
    politico. Nel costituirla, il Protettore fece mostra d'una saviezza
    e d'uno spirito pubblico, che non furono pienamente apprezzati da'
    suoi contemporanei. I vizi del vecchio sistema rappresentativo,
    comunque non fossero cotanto gravi come in appresso divennero, erano
    già stati notati dagli uomini di senno. Cromwell riformò quel
    sistema secondo gli stessi principii a norma de' quali Pitt,
    centotrenta anni dopo, tentò di riformarlo, e a norma de' quali è
    stato finalmente riformato ai tempi nostri. I piccoli borghi vennero
    privati della franchigia elettorale, anche molto più di quello che
    furono nel 1832: e il numero dei deputati delle contee fu
    grandemente accresciuto. Poche città che non erano rappresentate,
    avevano acquistata importanza. Di tali città, le più considerevoli
    erano Manchester, Leeds ed Halifax: a tutte e tre fu concessa la
    rappresentanza. I rappresentanti della capitale furono aumentati di
    numero. La franchigia elettiva fu riformata in guisa, che ogni uomo
    d'una certa considerazione, possidente o non possidente di terre
    libere, votava nella contea di sua residenza. Pochi scozzesi e pochi
    coloni inglesi stabiliti in Irlanda, furono chiamati all'Assemblea,
    che doveva esercitare le funzioni legislative in Westminster per
    tutto il reame.
    
    Creare una Camera de' Lordi era impresa meno facile. La democrazia
    non ha mestieri di prescrizione. La monarchia spesso è esistita
    senza siffatto sostegno. Ma l'ordine patrizio è l'opera del tempo.
    Oliviero trovò già esistente una nobiltà ricca, rispettata e
    popolare agli occhi de' cittadini, quanto lo sia mai stata qualunque
    altra nobiltà. Se egli, come Re d'Inghilterra, avesse comandato ai
    Pari di accorrere al Parlamento, secondo le antiche costumanze del
    Regno, molti di loro avrebbero senza dubbio obbedito allo appello.
    Ciò non potè egli fare, ed invano offrì ai capi delle più illustri
    famiglie un posto nel suo nuovo Senato. Essi pensavano non potere
    accettare la nomina ad un'Assemblea improvvisata, senza rinunciare
    agli aviti diritti e tradire l'ordine loro. Il Protettore, quindi,
    si trovò nella necessità di riempire la Camera Alta di uomini nuovi,
    i quali, nelle ultime vicissitudini, s'erano resi cospicui. Fu
    questo il meno felice dei suoi disegni, e spiacque a tutti. La
    moltitudine, che sentiva venerazione ed affetto pei grandi nomi
    storici del paese, schernì una Camera di Lordi ove sedevano alcuni
    fortunati birrai e calzolai, alla quale pochi degli antichi Nobili
    furono invitati, e da cui tutti quei vecchi Nobili che vi furono
    invitati, volgevano sdegnosi le spalle.
    
    Il modo in che furono costituiti i Parlamenti di Cromwell,
    nondimeno, era cosa di poco momento, poichè egli possedeva i mezzi
    di condurre l'amministrazione senza il loro sostegno, e a dispetto
    della loro opposizione. Pare che volesse governare
    costituzionalmente, e sostituire l'impero delle leggi a quello della
    spada. Ma si accorse tosto, ch'egli, odiato com'era dai realisti e
    dai presbiteriani, poteva trovare salvezza soltanto
    nell'assolutismo. La prima Camera de' Comuni che il popolo elesse
    per comando di lui, ne mise in questione l'autorità, e fu disciolta
    senza avere compito un solo atto. La sua seconda Camera de' Comuni,
    tuttochè lo riconoscesse come Protettore, e volentieri lo avrebbe
    fatto Re, si ostinò a non volere riconoscere i Lordi novellamente
    creati. Non rimanevagli altro da fare che sciogliere di nuovo il
    Parlamento. "Dio," esclamò egli partendo, "sia giudice tra voi e
    me!"
    
    Ciò non ostante, siffatte dissensioni non infiacchirono
    l'amministrazione del Protettore. Quei soldati che non gli avrebbero
    concesso di assumere il titolo di Re, lo sostenevano tutte le volte
    ch'egli tentava atti di potere, vigorosi quanto non ne tentò mai
    nessun altro re inglese. E però il Governo, quantunque in forma di
    Repubblica, era un vero dispotismo, temperato soltanto dalla
    saviezza, dalla sobrietà e dalla magnanimità del despota. Il paese
    fu partito in distretti militari, i quali vennero posti sotto il
    comando di Maggiori Generali. Qualunque tentativo d'insurrezione
    veniva prontamente represso e punito. La paura che ispirava il
    potere della spada impugnata da una mano così vigorosa, ferma ed
    esperta, domò lo spirito dei Cavalieri e de' Livellatori. I leali
    gentiluomini dichiararono essere tuttavia pronti, come sempre, a
    rischiare le loro vite per l'antico Governo e l'antica dinastia,
    qualora vi fosse la più lieve speranza di riuscita; ma porsi alla
    testa de' loro servi ed affittuarii e farsi incontro alle picche di
    legioni vincitrici in cento battaglie ed assedi, sarebbe stato lo
    stesso che fare lo inutile sacrificio di un sangue onorevole ed
    innocente. Realisti e repubblicani, non avendo più speranza
    nell'aperta resistenza, cominciarono a maturare neri disegni di
    assassinio; ma il Protettore vigilava, ed uscendo dalle mura del suo
    palazzo, le spade sguainate e le corazze delle sue fide guardie
    facevangli siepe per ogni lato.
    
    S'egli fosse stato un principe crudele, licenzioso e rapace, la
    nazione avrebbe fatto un estremo sforzo per liberarsi dalla
    dominazione militare. Ma gli aggravi che pativa il paese, tuttochè
    eccitassero lo scontento, non erano tali da spingere grandi masse di
    popolo a porre a repentaglio le vite, le sostanze e la tranquillità
    delle proprie famiglie. Le tasse, quantunque fossero più gravose che
    non erano sotto gli Stuardi, non parevano di gran peso quando
    paragonavansi a quelle degli Stati vicini, e si ragguagliavano ai
    mezzi dell'Inghilterra. Le proprietà erano sicure. Perfino i
    Cavalieri, i quali astenevansi di turbare il nuovo Governo, godevano
    in pace di ciò che era loro rimasto fra il trambusto delle guerre
    civili. Le leggi erano violate solo ne' casi che riguardavano la
    salvezza e il Governo del Protettore. La giustizia tra uomo e uomo
    era amministrata con esattezza ed onestà non conosciute per lo
    innanzi. In Inghilterra non v'era stato Governo, dalla Riforma in
    poi, meno persecutore di quello di Cromwell nelle questioni
    religiose. Gli sventurati Cattolici Romani, a dir vero, appena
    venivano considerati come cristiani; ma al clero della caduta Chiesa
    Anglicana era permesso di praticare il proprio culto, a condizione
    di astenersi dal predicare intorno a cose politiche. Anche agli
    Ebrei, ai quali il pubblico culto fino dal secolo decimoterzo era
    stato inibito, fu permesso, a dispetto della forte opposizione de'
    mercanti gelosi e de' teologi fanatici, di edificare una sinagoga in
    Londra.
    
    La politica estera del Protettore, nel tempo stesso, otteneva
    l'approvazione di coloro che più lo detestavano. I Cavalieri
    potevano appena frenarsi dal desiderare che colui che aveva fatto
    tanto per innalzare la fama del paese, fosse un Re legittimo; e i
    repubblicani erano costretti a confessare che il tiranno non
    perdonava ad altri, fuori che a sè stesso di far torto al paese, e
    che se egli l'aveva spogliato della libertà, lo aveva in ricambio
    coperto di gloria. Dopo mezzo secolo in cui l'Inghilterra nella
    politica d'Europa pesava poco più di Venezia o della Sassonia, essa
    divenne subitamente la Potenza più formidabile del mondo; dettava
    condizioni di pace alle Provincie Unite, vendicava gl'insulti comuni
    fatti alla Cristianità da' pirati di Barberìa, vinceva gli Spagnuoli
    per terra e per mare, s'impossessava d'una delle più considerevoli
    isole d'America, e conquistava sul littorale fiammingo una fortezza,
    che consolò l'orgoglio nazionale della perdita di Calais. Ella aveva
    la supremazia dell'Oceano. Era a capo degl'interessi protestanti.
    Tutte le Chiese riformate sparse nei Regni cattolici riconoscevano
    Cromwell come loro tutore. Gli Ugonotti della Linguadoca, i pastori
    che nelle capanne delle Alpi professavano un protestantismo più
    antico di quello di Augusta, vivevano sicuri dall'oppressione per il
    solo terrore di quel gran nome. Lo stesso Papa era costretto a
    predicare umanità e moderazione ai Principi papisti; poichè una voce
    che rade volte minacciava invano, aveva dichiarato che se il popolo
    di Dio venisse tormentato, i cannoni inglesi si sarebbero fatti
    sentire in Castel Sant'Angelo. A dir vero, non vi era cosa che
    Cromwell, per utile di sè e della sua famiglia, potesse tanto
    desiderare quanto una guerra religiosa in Europa. In tal guerra egli
    sarebbe stato il capitano degli eserciti protestanti. Il cuore
    dell'Inghilterra sarebbe stato con lui. Le sue vittorie sarebbero
    state salutate con unanime entusiasmo, non più visto nel paese dopo
    la disfatta dell'Armada, ed avrebbero cancellata la macchia che uno
    solo atto, condannato dalla voce generale della nazione, ha lasciata
    nella sua splendida fama. Sventuratamente, egli non ebbe occasione
    di far mostra delle sue ammirevoli virtù militari, tranne contro gli
    abitanti delle Isole Britanniche.
    
    Finchè egli visse, il suo potere si mantenne fermo, e fu per i suoi
    sudditi obietto di avversione mista ad ammirazione e a paura. Pochi,
    veramente, amavano il suo Governo; ma coloro che più l'odiavano,
    l'odiavano meno di quel che lo temessero. Se fosse stato un Governo
    peggiore, sarebbe stato forse abbattuto, malgrado il suo vigore. Se
    fosse stato un Governo più debole, sarebbe stato certamente
    distrutto, malgrado tutti i suoi meriti. Ma egli aveva moderazione
    tanta, da astenersi da quelle oppressioni che rendono gli uomini
    insani; ed aveva una forza ed energia cui nessuno, fuorchè gli
    uomini resi insani dall'oppressione, si sarebbero rischiati di
    aggredire.
    
    LXV. Si è detto spesse volte, ma apparentemente con poca ragione,
    che Oliviero morì a tempo per la sua rinomanza, e che la sua vita,
    se si fosse prolungata, si sarebbe forse chiusa fra le sciagure e i
    disastri. Vero è che fino all'ultimo dì egli venne onorato da' suoi
    soldati, obbedito da tutta la popolazione delle Isole Britanniche, e
    temuto da tutti i potentati stranieri; ch'egli fu tumulato in mezzo
    ai sovrani d'Inghilterra, con pompa funebre tale, quale non s'era
    mai per lo innanzi veduta in Inghilterra; e che il suo figlio
    Riccardo gli succedè al potere con tanta quiete, con quanta un
    Principe di Galles succederebbe ad un Re legittimo.
    
    Per cinque mesi l'amministrazione di Riccardo Cromwell procedè con
    tanta quiete e regolarità, da far credere a tutta la Europa ch'egli
    fosse fermamente assiso sul seggio dello Stato. Certo, le sue
    condizioni erano in qualche modo molto migliori di quelle del padre
    suo. Il giovane Cromwell non aveva nemici. Le sue mani erano nette
    di sangue civile. Gli stessi Cavalieri concedevano ch'egli era un
    gentiluomo onesto e d'indole buona. La parte presbiteriana, potente
    per numero e per ricchezza, aveva sostenuto un litigio mortale col
    Protettore defunto, ma inchinava a favoreggiare il nuovo. Aveva
    avuta sempre bramosia di vedere ristaurato l'antico sistema politico
    del Regno, con alcune più chiare definizioni e guarentigie per le
    pubbliche libertà; ma aveva molte ragioni di temere la ristaurazione
    della vecchia Dinastia. Per questa genia di politici Riccardo era
    l'uomo opportuno. La umanità, la schiettezza, la modestia sue, la
    mediocrità delle sue doti, e la docilità con che lasciavasi guidare
    da uomini più saggi di lui, lo rendevano mirabilmente atto ad essere
    capo d'una Monarchia limitata.
    
    Per qualche tempo parve grandemente probabile ch'egli, dietro la
    scorta di destri consiglieri, avesse a conseguire ciò cui suo padre
    aveva invano aspirato. Nel convocarsi un Parlamento, gli ordini
    furono spediti secondo la vecchia costumanza. I piccoli borghi che
    erano stati privati della franchigia elettorale, riebbero i perduti
    privilegi; Manchester, Leeds, ed Halifax cessarono di mandare
    rappresentanti, e alla contea di York fu concesso di eleggerne due
    soli. Parrà forse strano ad una generazione la quale è quasi
    trascorsa alla frenesia nella questione della riforma parlamentare,
    che quelle grandi contee e città si sottoponessero con pazienza ed
    anche con compiacenza a siffatto provvedimento; ma, comecchè gli
    uomini di senno, anche in quella età, potessero discernere i vizi
    del vecchio sistema rappresentativo, e prevedere che tali vizi
    produrrebbero in pratica o presto o tardi gravissimi mali, questi
    mali pratici non ancora sentivansi molto. Il sistema rappresentativo
    d'Oliviero, dall'altra parte, quantunque fosse derivato da solidi
    principii, non era popolare. Gli eventi fra i quali originava, e gli
    effetti che aveva prodotti, preoccupavano gli animi contro esso. Era
    nato dalla violenza militare, e null'altro aveva prodotto che
    contese. La intera nazione era stanca del governo della spada, e
    desiava il governo della legge. E però la ristaurazione anco delle
    anomalie e degli abusi che consuonavano strettamente con la legge e
    che erano stati distrutti dalla spada, produssero universale
    soddisfazione.
    
    Fra i Comuni esisteva una forte opposizione, composta in parte di
    aperti repubblicani, in parte di realisti occulti; ma una grande e
    ferma maggioranza sembrava favorevole al disegno di richiamare a
    vita l'antica Costituzione politica sotto una nuova Dinastia.
    Riccardo venne solennemente riconosciuto come Primo Magistrato. La
    Camera de' Comuni non solamente assentì di trattare le pubbliche
    faccende co' Lordi d'Oliviero, ma votò una legge che riconosceva in
    que' Nobili i quali nelle ultime perturbazioni avevano parteggiato
    per la libertà pubblica, il diritto a sedere nella Camera Alta senza
    bisogno di nuova creazione.
    
    Tanto bene andavano le cose per gli uomini di Stato che dirigevano
    la condotta di Riccardo! Quasi tutte le parti del Governo vennero
    allora ricostituite come stavano in sul principio della guerra
    civile. Se il Protettore e il Parlamento si fossero lasciati
    procedere senza ostacoli, mal può dubitarsi che un ordine di cose
    simile(22) a quello che poscia stabilivasi sotto la Casa di
    Hannover, sarebbe stato stabilito sotto quella di Cromwell. Ma era
    nello Stato un potere più che bastevole a lottare con Riccardo e col
    Parlamento. Riccardo sopra i soldati non aveva altra autorità, se
    non quella del gran nome che gli era toccato in retaggio. Non gli
    aveva mai condotti alla vittoria. Non aveva nè anche portate le
    armi. Tutti i suoi gusti e le sue abitudini erano per la pace. Nè le
    sue opinioni intorno a cose religiose erano approvate dai santocchi
    militari. Ch'egli fosse un uomo dabbene, dimostrollo con prove più
    soddisfacenti che non erano i profondi gemiti e i lunghi sermoni;
    cioè con l'umiltà e la dolcezza quando stava in cima all'umana
    grandezza, e con la tranquilla rassegnazione ai torti ed alle
    sciagure più crudeli: ma non ebbe sempre la prudenza di nascondere
    il disgusto ch'egli sentiva de' piagnistei allora comuni in ogni
    caserma. Gli ufficiali che avevano maggiore influenza fra le truppe
    stanzianti presso Londra, non gli erano amici. Erano uomini chiari
    per valore e condotta nel campo di battaglia, ma scemi di saviezza e
    di coraggio civile; doti che in grado eminentissimo possedeva il
    loro capo defunto. Taluni di loro erano Indipendenti o Repubblicani
    onesti, ma fanatici. Questa specie di uomini era rappresentata da
    Fleetwood. Altri ambivano di giungere al posto d'Oliviero. La sua
    rapida elevazione, la sua gloria e prosperità, la sua inaugurazione
    nella reggia, le sue sontuose esequie nell'Abbadia, avevano
    infiammata la loro immaginazione. Come lui erano di buona nascita,
    come lui bene educati; non sapevano quindi intendere perchè, al pari
    di lui, non fossero degni di portare la veste purpurea e la spada
    dello Stato; e anelavano all'obietto della loro ardente ambizione,
    non, come lui, con pazienza, vigilanza, sagacia e fermezza, ma con
    quella irrequietudine e con quel perpetuo ondeggiare che formano il
    carattere della mediocrità aspirante. Il più cospicuo di questi
    deboli scimmiottatori del gran Cromwell, era Lambert.
    
    LXVI. Nel giorno stesso in cui Riccardo ascese al supremo seggio
    dello Stato, gli ufficiali si misero a congiurare contro il loro
    nuovo signore. La buona intelligenza che era fra lui e il suo
    Parlamento, affrettò la crisi. La paura e l'ira invasero il campo. I
    sentimenti religiosi e militari dell'esercito trovavansi
    profondamente irritati. E' pareva che gl'Indipendenti dovessero
    essere soggetti ai Presbiteriani, e gli uomini della spada agli
    uomini della sottana. Formossi una coalizione tra i malcontenti
    militari e la minoranza repubblicana della Camera de' Comuni. È da
    dubitarsi che Riccardo avesse potuto trionfare della predetta
    coalizione, anche se fosse stato dotato del lucido intendimento e
    del ferreo coraggio di suo padre. Egli è certo che la semplicità e
    la mansuetudine sue non erano i requisiti necessari a padroneggiare
    gli eventi. Cadde senza gloria e senza lotta. Lo esercito si servì
    di lui come di strumento a disciogliere le Camere, e allora lo mise
    sprezzantemente da parte. Gli ufficiali si resero grati ai loro
    alleati repubblicani dichiarando che la espulsione della Coda del
    Parlamento era illegale, ed invitando l'Assemblea a riprendere le
    proprie funzioni. Il vecchio presidente e un numero competente di
    vecchi rappresentanti vennero proclamati, fra mezzo alla mal
    repressa derisione ed esecrazione del paese, Supremo Potere dello
    Stato. Nel tempo stesso fu espressamente dichiarato che quinci
    innanzi non vi sarebbe nè Primo Magistrato nè Camera di Lordi.
    
    Ma tale stato di cose non poteva durare. Il giorno in cui risorse il
    Lungo Parlamento, rivisse del pari il suo vecchio conflitto con lo
    esercito. Nuovamente dimenticò che esso esisteva a beneplacito dei
    soldati, e cominciò a trattarli come sudditi. Di nuovo le porte
    della Camera de' Comuni furono chiuse dalla violenza militare; ed un
    Governo Provvisorio, creato dagli ufficiali, assunse il reggimento
    della cosa pubblica.
    
    Frattanto, il senso dei grandi mali presenti, e la forte paura dei
    mali maggiori che soprastavano, aveva infine fatta nascere
    un'alleanza tra i Cavalieri e i Presbiteriani. Parecchi
    presbiteriani, a dir vero, erano disposti a cotale alleanza anche
    innanzi la morte di Carlo I; ma soltanto dopo la caduta di Riccardo
    Cromwell, l'intero partito cominciò ad affaccendarsi per ristaurare
    la Casa Reale. Non poteva più oltre ragionevolmente sperarsi che
    l'antica Costituzione venisse ristabilita sotto una nuova dinastia.
    Bisognava, dunque, scegliere o gli Stuardi o l'esercito. La famiglia
    bandita aveva commessi gravissimi falli; ma gli aveva espiati a caro
    prezzo, ed aveva fatto un lungo, e - era da sperarsi - salutare
    tirocinio nella scuola dell'avversità. Era, dunque, probabile che
    Carlo II facesse senno rivolgendo lo sguardo al fato di Carlo I. Ma,
    sia che può, i pericoli che minacciavano la patria erano tali, che
    per evitarli i cittadini potevano ben fare il sacrificio di qualche
    opinione ed affrontare qualche rischio. Sembrava quasi certo che
    l'Inghilterra cadrebbe sotto il peso della più odiosa e degradante
    di tutte le specie di Governo, - sotto un Governo che congiungeva
    tutti i mali del dispotismo con quelli dell'anarchia. Qualunque
    altra cosa era da preferirsi al giogo d'una successione di stolti
    tiranni, inalzantisi al potere come i Dey di Barberia, per mezzo di
    rivoluzioni militari. Pareva probabile che Lambert sarebbe il primo
    di tale genia di comandanti; ma dentro un anno Lambert avrebbe
    potuto essere cacciato da Desborough, e Desborough da Harrison. Ogni
    qual volta il bastone del comando fosse passato da una mano debole
    ad un'altra, la nazione sarebbe stata messa a ruba, a fine di
    offrire alle soldatesche una nuova mancia. Se i Presbiteriani si
    tenevano ostinatamente lontani dai realisti, lo Stato era rovinato;
    e nondimeno, era da dubitarsi che potesse essere salvato dagli
    sforzi congiunti d'entrambi. Imperocchè il timore di quello
    invincibile esercito colpiva gli animi di tutti gli abitanti
    dell'isola; e i Cavalieri, avendo imparato da cento disastrosi fatti
    d'armi come il numero delle milizie potesse poco contro la
    disciplina, erano molto più atterriti delle Teste-Rotonde.
    
    LXVII. Finchè le soldatesche furono d'accordo fra loro, tutte le
    congiure e le insurrezioni de' malcontenti tornarono inefficaci. Ma
    pochi giorni dopo la seconda espulsione della Coda del Parlamento,
    si sparsero nuove che rinfrancarono i cuori di tutti coloro i quali
    parteggiavano per la Monarchia o pel vivere libero. Quella forza
    poderosa che per molti anni aveva operato come un solo uomo, ed
    erasi per ciò resa invincibile, s'era finalmente scissa in fazioni.
    Lo esercito di Scozia aveva non poco giovata la Repubblica, e
    trovavasi in ottimo stato. Non aveva partecipato alle ultime
    rivoluzioni, e le aveva guardate con isdegno simile a quello che
    sentirono le legioni romane stanziate lungo il Danubio e l'Eufrate,
    allorchè giunse ad esse la nuova che le guardie pretoriane avevano
    messo in in vendita lo Impero. Era cosa da non potersi patire che
    alcuni reggimenti, solo perchè erano per avventura acquartierati(23)
    presso Westminster, osassero di fare e disfare, a loro arbitrio, più
    volte in sei mesi il Governo. Se era convenevole che lo Stato fosse
    retto da' soldati, quei soldati che a settentrione del Tweed avevano
    sostenuta la potenza inglese, avevano diritto di dare il loro voto
    quanto quelli che presidiavano la Torre di Londra. Pare che vi fosse
    meno fanatismo fra le legioni dimoranti nella Scozia, che in ogni
    altra parte dello esercito; e Giorgio Monk che le capitanava, era
    tutto l'opposto d'uno zelante. In sul primo scoppio della guerra
    civile, aveva pugnato a favore del Re, ed era stato fatto
    prigioniero dalle Teste-Rotonde; aveva quindi accettata una
    commissione dal Parlamento, e con poca pretensione alla
    santocchieria, erasi innalzato per mezzo del suo coraggio e della
    sua virtù militare all'alto comando. Era stato un utile servitore ad
    ambi i Protettori; aveva mostrata acquiescenza allorquando gli
    ufficiali a Westminster balzarono giù dal seggio Riccardo e
    restaurarono il Lungo Parlamento; e l'avrebbe similmente mostrata
    nella seconda espulsione del Lungo Parlamento, se il Governo
    Provvisorio non gli avesse porta cagione d'offesa e di timore.
    Imperocchè era per indole cauto e alquanto tardo; nè era
    inclinato(24) ad arrisicare modici e certi vantaggi per la
    probabilità di conseguire anche il più splendido successo. E' sembra
    che fosse spinto a procedere ostilmente contro il nuovo Governo
    della Repubblica, non tanto dalla speranza d'innalzarsi sulle rovine
    di quello, quanto dal timore che, sottomettendovisi, non sarebbe
    stato in sicuro. Ma siano quali si vogliano supporre le cagioni, ei
    dichiarossi campione del Potere Civile oppresso, ricusò di
    riconoscere l'autorità usurpata del Governo Provvisorio, e a capo di
    settemila veterani si mosse verso l'Inghilterra.
    
    Questo passo fu il cenno d'una generale esplosione. Il popolo in
    ogni dove ricusò di pagare le tasse. I giovani di bottega della
    città ragunaronsi a migliaia chiedendo clamorosamente un libero
    Parlamento. La flotta si spinse su pel Tamigi, e si dichiarò contro
    la tirannide soldatesca. I soldati, che non erano più sotto lo
    impero di una mente suprema, si divisero in fazioni. Ciascun
    reggimento, temendo di rimanere solo esposto alla vendetta
    dell'oppressa nazione, affrettossi a concludere una pace separata.
    Lambert, che era frettolosamente corso ad affrontare l'armata di
    Scozia, abbandonato dalle sue milizie, fu fatto prigioniero. Pel
    corso di tredici anni il Potere Civile, in ogni conflitto, era stato
    astretto a cedere al Potere Militare. Adesso il Potere Militare
    umiliossi innanzi al Potere Civile. La Coda del Parlamento generale,
    tenuta in odio e dispregio, e che non per tanto era nel paese il
    solo corpo che avesse apparenza di autorità legale, ritornò di nuovo
    alla Camera, dalla quale era stata due volte ignominiosamente
    cacciata.
    
    LXVIII. Intanto Monk procedeva verso Londra. Per dove passava, i
    gentiluomini gli si affollavano attorno scongiurandolo di adoperare
    la propria potenza a rendere la pace alla nazione, miseramente
    dilacerata e sconvolta. Il Generale, freddo, taciturno, senza zelo
    nè per le cose politiche nè per le religiose, manteneva un riserbo
    impenetrabile. Quali disegni, a que' tempi, rivolgesse in mente, o
    se avesse concepito alcun disegno, mal si potrebbe affermare. Era, a
    quel che pare, suo scopo principalissimo il tenersi, per quanto più
    lungamente potesse, libero di scegliere tra diverse vie d'azione.
    Tale certamente è per lo più la politica di uomini che, come lui,
    pendono più a muovere circospetti, che a spingere troppo lungi lo
    sguardo. Probabilmente, egli non venne all'ultima determinazione se
    non parecchi giorni dopo il suo ingresso nella metropoli. La voce
    dell'intero popolo chiedeva un libero Parlamento; e non era dubbio
    nessuno, che un Parlamento veramente libero avrebbe subito riposta
    sul trono l'esule famiglia reale. La Coda del Parlamento e i soldati
    erano tuttavia ostili alla Casa degli Stuardi. Ma la Coda era
    universalmente abborrita e spregiata. La potenza dei soldati era
    ancora formidabile, ma grandemente infiacchita dalla discordia. Non
    avevano capo supremo; in molte parti del paese erano venuti alle
    mani fra loro stessi. Il giorno precedente lo arrivo di Monk a
    Londra, vi fu un combattimento nello Strand fra la cavalleria e la
    fanteria. Lo esercito unito aveva lungo tempo signoreggiata la
    nazione divisa; ma ormai la nazione era unita, e lo esercito si
    trovava diviso.
    
    Per breve tempo, la dissimulazione e la irresolutezza di Monk
    tennero penosamente sospesi tutti i partiti. Infine ei ruppe il
    silenzio, e disse di volere un libero Parlamento.
    
    LXIX. Appena divulgossi siffatta notizia, tutta la nazione fu
    inebriata di contento. In qualunque luogo ei si mostrasse, era
    circondato da migliaia di persone che lo acclamavano e benedicevano
    al suo nome. Le campane di tutta l'Inghilterra suonavano a festa; i
    rigagnoli versavano birra; e per varie notti il cielo, per cinque
    miglia attorno Londra, rosseggiò dello splendore d'innumerevoli
    fuochi di gioia. Quei membri presbiteriani della Camera de' Comuni,
    che molti anni innanzi erano stati espulsi dalle soldatesche,
    ritornarono ai loro seggi, e furono accolti dalle acclamazioni della
    gran folla che riempiva la sala di Westminster e la corte del
    Palazzo. I capi degl'Indipendenti non osavano più oltre mostrare il
    viso nelle strade, ed appena tenevansi sicuri nelle proprie
    abitazioni. Furono presi temporanei provvedimenti per supplire al
    Governo; mandaronsi ordini per le elezioni generali; e finalmente,
    quel memorabile Parlamento che per venti anni aveva sperimentate
    mille e varie vicissitudini, che aveva vinto il proprio sovrano, che
    era stato degradato dai suoi sottoposti, che era stato due volte
    cacciato e ristaurato, decretò solennemente la propria dissoluzione.
    L'esito delle elezioni fu quale era da aspettarsi dall'indole della
    nazione. La nuova Camera de' Comuni fu composta di individui amici,
    tranne pochissimi, alla reale famiglia. I Presbiteriani formavano la
    maggioranza.
    
    LXX. Allora parve quasi certa la Ristaurazione; ma dubitavasi che
    fosse pacifica. Il contegno dei soldati era cupo e selvaggio.
    Odiavano il nome di Re; odiavano quello degli Stuardi; odiavano
    molto i Presbiteriani, ma più assai i prelati. Vedevano con amara
    indignazione appropinquarsi la fine del loro lungo dominio, e
    scorgevano nello avvenire una vita ingloriosa di affanni e di
    penuria. Della loro trista fortuna chiamavano colpevoli i loro
    Generali, colpevoli alcuni di debolezza, altri di tradimento. Un'ora
    sola del loro amato Oliviero avrebbe potuto richiamare la gloria che
    già era svanita. Traditi, disgiunti, senza un Capo in cui avessero
    fiducia, erano tuttavia da temersi. E non era cosa da pigliare a
    gabbo lo affrontare la rabbia e la disperazione di cinquantamila
    guerrieri, che non avevano mai volte le spalle al nemico. Monk, e
    coloro che con essolui operavano, accorgevansi quanto pericolosa
    fossa la crisi. Mentre usavano ogni arte a blandire e dividere i
    malcontenti soldati, facevano vigorosi apparecchi a sostenere un
    conflitto. Lo esercito di Scozia acquartierato(25) in Londra,
    tenevano in buon umore con doni, lusinghe e promesse. I ricchi
    cittadini non avevano la minima avversione al soldato, o
    profondevano con tanta liberalità i loro migliori vini, che talvolta
    vedevansi i santocchi guerrieri in condizione poco decorosa al loro
    carattere religioso e militare. Monk rischiossi a sbandare alcuni
    reggimenti che ricalcitravano. Nel tempo stesso, il Governo
    Provvisorio, sostenuto da tutti i gentiluomini e dai magistrati,
    faceva grandissimi sforzi a riordinare la guardia cittadina. In ogni
    contea i militi cittadini erano pronti a muoversi, e formavano una
    forza non minore di centomila uomini. In Hyde Park ventimila
    cittadini bene armati ed equipaggiati, posti a rassegna, mostrarono
    tale spirito, da giustificare la speranza che all'uopo avrebbero
    strenuamente combattuto a difendere le botteghe e i focolari loro.
    La flotta secondava cordialmente la nazione. Era tempo di agitazione
    e d'ansietà, ma bene anco di speranza. La opinione predominante era
    che l'Inghilterra verrebbe liberata, ma non senza una sanguinosa e
    disperata lotta; e che coloro che avevano per tanto tempo governato
    con la spada, sarebbero spenti con la spada.
    
    Avventuratamente, furono allontanati i pericoli d'un conflitto. Vero
    è che ci fu un momento di estremo pericolo. Lambert, fuggito di
    prigione, chiamò i suoi compagni alle armi. Il fuoco della guerra
    civile si riaccese; ma innanzi che si estendesse, fu spento con
    pronti e vigorosi provvedimenti. Lo sciagurato imitatore di Cromwell
    fu fatto nuovamente prigioniero; e fallita la impresa, i soldati si
    perderono d'animo e rassegnaronsi al loro destino.
    
    Il nuovo Parlamento, che per essere stato convocato senza regio
    decreto, viene con maggiore proprietà chiamato Convenzione, si adunò
    in Westminster. I Lordi ricomparvero nella sala, dalla quale per più
    di undici anni erano stati espulsi a forza. Ambedue le Camere tosto
    invitarono il Re a ritornare alla patria. Fu proclamato con pompa
    non mai prima veduta. Una magnifica flotta dall'Olanda lo trasportò
    sulla costiera di Kent. Mentre approdava, i colli di Dover erano
    popolati di migliaia di spettatori, fra' quali non era neppure uno
    che non versasse lacrime di gioia. Il suo viaggio fu un continuo
    trionfo. Tutto lo stradale da Rochester era fiancheggiato di
    trabacche e di tende, e rendeva immagine d'una interminabile fiera.
    Migliaia di bandiere sventolavano; tutte le campane suonavano;
    s'udivano melodie di strumenti musicali; il vino e la birra
    scorrevano a fiumi alla salute di lui, che, tornando, recava la
    pace, le leggi e la libertà al paese. Ma fra mezzo alla gioia
    universale, un solo luogo mostrossi in aspetto buio e minaccioso. Lo
    esercito fu condotto a Blackeath per dare il ben tornato al sovrano.
    Il quale sorrideva, s'inchinava, e stendeva graziosamente la mano al
    bacio de' Colonnelli e de' Maggiori. Ma i suoi modi cortesi furono
    vani. Il contegno de' soldati era tristo e cupo; ed ove avessero
    dato libero sfogo a ciò che sentivano, il gioioso spettacolo, al
    quale avevano con ripugnanza partecipato, avrebbe avuto misero e
    sanguinoso fine. Ma non era fra loro accordo nessuno. La defezione e
    la discordia avevano distrutta la vicendevole fiducia, e gli avevano
    resi increduli ai loro capi. Tutta la guardia cittadina di Londra
    era in armi; numerose compagnie, capitanate da Nobili e da
    gentiluomini leali, erano accorse da varie contrade del Regno a
    salutare il Re. Il gran giorno si chiuse in pace; e l'esule
    principe, riasceso al trono, posò sano e salvo nella reggia de' suoi
    antenati.
    
    
    CAPITOLO SECONDO.
    
    SOMMARIO.
    
    I. Ingiusto gudicio intorno alla condotta di coloro che restaurarono
    la Casa degli Stuardi. - II. Abolizione del possesso a titolo di
    servigio militare - III. Scioglimento dell'esercito. - IV. Si
    rinnuovano le dissensioni fra le Teste-Rotonde e i Cavalieri. - V.
    Dissensioni religiose. - VI. Impopolarità de' Puritani. - VII.
    Carattere di Carlo II. - VIII. Caratteri del Duca di York(26) e del
    Conte di Clarendon. - IX. Elezione generale del 1661. - X. Violenza
    de' Cavalieri nel nuovo Parlamento. - -XI. Persecuzione de'
    Puritani. - XII. Zelo della Chiesa per la monarchia ereditaria. -
    XIII. Modificazioni ne' costumi del popolo. - XIV. Corruttela degli
    uomini politici di quell'età. - XV. Condizioni della Scozia. - XVI.
    Condizioni della Irlanda. - XVII. Il governo perde la sua popolarità
    in Inghilterra. - XVIII. Guerra cogli Olandesi. - XIX. Opposizione
    nella Camera de' Comuni. - XX. Caduta di Clarendon. - XXI. Stato
    della politica europea, e preponderanza della Francia. - XXII.
    Carattere di Luigi XIV. - XXIII. La triplice Alleanza. - XXIV. Il
    partito patriottico. - XXV. Vincoli tra Carlo II e la Francia -
    XXVI. Disegni di Luigi intorno all'Inghilterra. - XXVII. Trattato di
    Dover. - XXVIII. Indole del Gabinetto inglese. - XXIX La Cabala. -
    XXX. Chiusura dello Scacchiere. - XXXI. Guerra con le Provincia
    Unite. - XXXII. Guglielmo Principe d'Orange. - XXXIII. Adunanza del
    Parlamento. - XXXIV. Dichiarazione d'indulgenza - XXXV È cancellata,
    e l'Atto di Prova (Test Act) è adottato. - XXXVI. Scioglimento della
    Cabala. - XXXVII. Pace con le Provincie Unite; Amministrazione di
    Danby. - XXXVIII. Situazione critica del partito patriottico. -
    XXXIX. Relazioni fra esso e l'ambasciata francese. - XL. Pace di
    Nimega; malcontenti furiosi in Inghilterra. - XLI. Caduta di Danby;
    la congiura papale. - XLII. Prima elezione generale del 1679. -
    XLIII. Violenza della nuova Camera de' Comuni. - XLIV. Sistema di
    governo fatto da Temple. - XLV. Carattere di Halifax. - XLVI.
    Carattere di Sunderland. - XLVII. Proroga del Parlamento. - XLVIII.
    Atto dell'Habeas Corpus. - XLIX. Seconda elezione generale del 1679;
    popolarità di Monmouth. - L. Lorenzo Hyde. - LI. Sidney Godolphin. -
    LII. Violenza delle fazioni per la legge d'Esclusione. - LIII. Nomi
    di Whig e Tory. - LIV. Adunanza del Parlamento; la Legge
    d'Esclusione è approvata dalla Camera dei Comuni. - LV. È rigettata
    da quella de' Lordi; Stafford è giustiziato. - LVI. Elezione
    generale del 1681. - LVII. Parlamento convocato in Oxford e
    disciolto; Reazione de' Tory. - LVIII. Persecuzione de' Whig. - LIX.
    Confisca dello Statuto della Città; Congiure de' Whig. - LX.
    Scoperta di tali congiure; severità del Governo. - LXI. Sequestro
    degli Statuti. - LXII. Influenza del Duca d'York. - LXIII. Halifax
    gli si oppone. - LXIV. Il Lord Cancelliere Guildford. - LXV.
    Politica di Luigi. - LXVI. Stato delle fazioni nella corte di Carlo
    all'epoca della sua morte.
    
    
    I. La storia dell'Inghilterra nel secolo decimosettimo, è quella del
    trasmutamento d'una monarchia limitata, secondo la costumanza del
    medio evo, in una monarchia più consona al progresso d'una società,
    nella quale non possono le gravezze pubbliche essere più oltre
    sostenute dai beni della Corona, e la pubblica difesa affidata alle
    milizie feudali. Abbiamo già veduto come gli uomini politici che
    predominavano nel Lungo Parlamento del 1642, facessero grandi sforzi
    a compire il predetto mutamento, trasferendo, direttamente e
    formalmente, agli Stati del reame il diritto di scegliere i
    ministri, il comando delle armi, e la soprintendenza del potere
    esecutivo. Quell'ordinamento era forse il migliore di quanti allora
    se ne potessero immaginare; ma lo sconcertò interamente l'esito
    della guerra civile. Le Camere trionfarono di certo, ma dopo una
    lotta tale, che fece loro stimar necessario di chiamare a vita un
    potere che esse non seppero infrenare, e che tosto signoreggiò tutte
    le classi e tutti i partiti. Per qualche tempo, i danni inseparabili
    dal Governo militare, furono in alcun modo mitigati dalla saviezza e
    magnanimità del grande uomo che aveva il supremo comando. Ma quando
    la spada ch'egli impugnava con energia, e con energia sempre guidata
    dal buon senso, e quasi sempre temperata dalla sua buona indole,
    passò in mano di capitani che non avevano nè la destrezza nè le
    virtù di lui, e' sembrò probabilissimo che l'ordine e la libertà
    corressero a vergognosa rovina.
    
    Tale rovina, per buona ventura, fu scansata. È stato costume,
    per(27) troppi degli scrittori amici della libertà, rappresentare la
    Ristaurazione come un avvenimento disastroso, e dannare di stoltezza
    o viltà la Convenzione che richiamò la reale famiglia, senza
    ottenere nuove guarentigie contro la mala amministrazione. Coloro
    che in tal guisa ragionano, non intendono l'indole vera degli eventi
    che seguirono la caduta di Riccardo Cromwell. La Inghilterra versava
    in presentissimo pericolo di essere oppressa da tirannelli militari,
    innalzati e deposti dal capriccio della soldatesca. Liberare il
    paese dalla dominazione de' soldati era il fine precipuo d'ogni
    assennato cittadino; ma finchè i soldati rimasero concordi, i più
    fiduciosi poco speravano di conseguirlo. Di repente balenò un raggio
    di speranza. I capitani e le legioni cominciarono ad avversarsi
    vicendevolmente. Le sorti future della nazione pendevano dall'uso
    che si sarebbe potuto fare di un ben augurato istante. I nostri
    antichi usarono bene di quel momento. Dimenticarono i vecchi
    rancori, smessero i piccoli scrupoli, differirono a più convenevole
    stagione tutte le dispute intorno alle riforme necessarie alle
    nostre istituzioni; e si congiunsero tutti, Cavalieri e
    Teste-Rotonde, Episcopali e Presbiteriani, a rivendicare le antiche
    leggi della patria dal dispotismo militare. L'equa partizione del
    potere fra Re, Camera dei Lordi e Camera de' Comuni, poteva
    differirsi fino a quando si fosse deciso se l'Inghilterra dovesse
    essere governata da Re, Lordi e Comuni, o da corazzieri e lancieri.
    Se gli uomini di stato della Convenzione avessero tenuto condotta
    diversa, e avessero lungamente discorso intorno ai principii del
    Governo; se avessero redatta una nuova Costituzione e l'avessero
    mandata a Carlo, se si fossero aperte conferenze, se ci fosse stato
    per parecchie settimane un andare e venire di corrieri tra
    Westminster e i Paesi Bassi recando progetti, risposte di Hyde e
    proposte di Prynne: la coalizione, dalla quale pendeva la pubblica
    salvezza, si sarebbe disciolta; i Presbiteriani e i Realisti
    sarebbero venuti a conflitto; le fazioni militari si sarebbero, come
    è verosimile, riconciliate; e gli imprudenti amici della libertà,
    oppressi da un giogo peggiore di quello che poteva essere loro
    imposto dal pessimo degli Stuardi, avrebbero invocata invano la
    felice occasione che avevano lasciato fuggire.
    
    II. Per la qual cosa, l'antico ordinamento civile, per unanime
    consenso di ambedue i grandi partiti, venne ristabilito esattamente
    tale qual era allorchè, diciotto anni avanti, Carlo I fuggì dalla
    metropoli. Tutti quegli atti del Lungo Parlamento che avevano
    ricevuto lo assenso regio, furono considerati come validi. Ottennesi
    dal Re una nuova concessione assai più proficua ai Cavalieri che
    alle Teste-Rotonde. Il possesso delle terre a titolo di servigio
    militare, era stato in origine istituito come mezzo di difesa
    nazionale. Ma con l'andare degli anni, la parte utile di quella
    istituzione era scomparsa, senza altro lasciare che cerimonie ed
    aggravi. Un possessore di terre a titolo di servigio militare,
    dipendente dalla Corona - e a tal titolo il suolo dell'Inghilterra
    quasi tutto era posseduto, - doveva pagare una gravosa ammenda
    nell'atto di torre possesso della sua proprietà. Non ne poteva
    alienare la più piccola parte senza comperarne la licenza. Quando
    egli moriva, lasciando un erede infante, il sovrano diventava
    tutore, ed aveva diritto non solo a gran parte delle entrate per
    tutto il tempo della minorità, ma poteva imporre al pupillo, sotto
    gravi pene, di unirsi in matrimonio a qualunque persona di
    convenevole grado. Il principale movente che attirava alla corte un
    adulatore bisognoso, era la speranza di ottenere, come premio di
    servilità e d'adulazione, una lettera del Re per una ricca erede.
    Tali abusi erano caduti con la monarchia; ed ogni gentiluomo
    possidente di terre nel Regno desiderava che non fossero richiamati
    a vita. Vennero quindi solennemente aboliti con uno statuto, e non
    rimase vestigio del vecchio costume di possedere a titolo di
    militari servigi, salvo que' servigi d'onore, che tuttavia, nella
    cerimonia dell'incoronazione, vengono resi alla persona del sovrano
    da alcuni signori territoriali.
    
    III. Ed era ormai tempo di sciogliere lo esercito. Cinquantamila
    uomini, usi alle armi, furono a un tratto dispersi fra mezzo alla
    società; e la esperienza sembrava far credere come certo, che
    siffatto repentino mutamento dovesse essere cagione di gran miseria
    e di grandi delitti: val quanto dire, che i veterani cacciati di
    impiego, sarebbero o andati accattando di porta in porta, o spinti
    dalla fame al saccheggio. Ma ciò, per buona sorte, non avvenne. In
    pochi mesi, non rimase segno che indicasse come la più formidabile
    armata del mondo si fosse fusa con la gran massa del popolo. Gli
    stessi realisti confessavano che in ogni ramo di onesta industria i
    guerrieri licenziati prosperavano più che ogni altro uomo; che
    nessuno di loro venne addebitato di furto o di rapina; che non se ne
    vedeva nè anche uno che andasse limosinando; e che se un fornaio, un
    muratore, un vetturale, si faceva notare per diligenza e sobrietà,
    egli era probabilissimamente uno de' vecchi soldati d'Oliviero.
    
    La tirannide militare era caduta; ma negli animi di tutti aveva
    lasciato profonde e durevoli traccie. Il nome di un esercito
    stanziale fu per lunga stagione abborrito; ed è degno di nota, che
    siffatto abborrimento fosse più forte ne' Cavalieri che nelle
    Teste-Rotonde. Dovrebbe considerarsi come singolare ventura, che nel
    tempo in cui la patria nostra, per la prima e l'ultima volta
    soggiacque al governo della spada, la spada fosse nelle mani, non di
    principi legittimi, ma di quei ribelli che uccisero il Re ed
    abbatterono la Chiesa. Se un principe legittimo al pari di Carlo,
    avesse comandato un esercito prode quanto quello di Cromwell, non vi
    sarebbe stata più speranza per le libertà dell'Inghilterra.
    Avventuratamente, quello strumento del quale solo la Monarchia
    poteva giovarsi per rendersi assoluta, era obietto di orrore(28) e
    disgusto al partito monarchico, e seguitò lunghi anni ad associarsi
    nelle menti de' realisti e de' prelatisti col regicidio e con le
    predicazioni nel campo. Un secolo dopo la morte di Cromwell, i Tory
    continuavano ancora a schiamazzare contro ogni augumento di soldati
    regolari, e a trombettare le lodi delle milizie nazionali. Anche nel
    1786, un Ministro che possedeva grandemente la loro fiducia, non
    valse a vincere l'avversione che mostrarono alla idea di fortificare
    le coste; nè guardarono mai di buon occhio l'armata stanziale,
    finchè la rivoluzione francese non sopraggiunse a suscitare negli
    animi loro nuova e diversa paura.
    
    IV. La coalizione che aveva rimesso il Re sul trono, ebbe fine col
    pericolo che l'aveva fatta nascere, e due partiti ostili mostraronsi
    nuovamente in campo, pronti a cozzare. Entrambi, a dir vero,
    concordavano intorno al bisogno di punire parecchi infelici, che in
    quel tempo erano il zimbello d'un odio quasi universale. Cromwell
    non era più; e coloro che erano fuggiti dinanzi a lui, furono paghi
    del vigliacco diletto di disseppellire, impiccare, squartare e
    bruciare la spoglia mortale del più gran principe che governasse mai
    l'Inghilterra. Dettero sfogo alla loro vendetta anche sopra taluni
    capi di parte repubblicana. Ma come furono sazi del sangue de'
    regicidi, presero a dilacerarsi scambievolmente. Le Teste-Rotonde,
    mentre ammettevano le virtù del Re morto, e dannavano la sentenza
    profferitagli contro da un tribunale illegittimo, sostenevano che la
    sua amministrazione era stata, in molte cose, incostituzionale, e
    che le Camere avevano prese le armi contro lui per cagioni
    solidamente fondate. Pensavano, la Monarchia non avere nemico
    peggiore di colui che, adulando, esaltava la regia prerogativa sopra
    la legge, dannava ogni opposizione fatta alle regie usurpazioni, ed
    oltraggiava non solo Cromwell e Harrison, ma Pym e Hampdem, col nome
    di traditori. Se il Re bramava di regnare con prosperità e quiete,
    gli era necessario affidarsi a coloro i quali, benchè avessero
    snudata la spada a tutelare i conculcati privilegi del Parlamento,
    eransi esposti alla rabbia dei soldati onde salvargli il padre, ed
    erano stati parte principale nel provvedimento di richiamare l'esule
    famiglia reale.
    
    I sentimenti de' Cavalieri erano assai differenti. Nel corso dei
    diciotto anni, essi, fra tutte le vicissitudini seguite, erano
    rimasti fedeli alla Corona. Partecipi delle calamità del loro
    principe, non dovevano forse partecipare del suo trionfo? Non era da
    farsi distinzione veruna tra loro e il suddito sleale che aveva
    combattuto contro il sovrano, che aveva seguito Riccardo Cromwell, e
    giammai cooperato alla ristaurazione degli Stuardi, finchè fu a
    tutti manifesto che null'altro avrebbe potuto salvare la nazione
    dalla tirannia dello esercito? Concedasi pure che siffatto uomo
    avesse ottenuto per nuovi servigi il regio perdono; dovevano tali
    servigi, resi presso al tramonto, agguagliarsi agli affanni ed ai
    patimenti di coloro che avevano sostenuto il carico e il calore di
    tutto il giorno? Doveva egli accomunarsi con uomini che non avevano
    bisogno della regia clemenza; con uomini che in tutta la vita loro
    avevano meritata la gratitudine del Re? E soprattutto, doveva
    tollerarsi che rimanesse in possesso di ricchezze accumulate sulle
    ruine degli averi de' difensori del trono? Non bastava che la sua
    testa e i suoi averi patrimoniali, cento volte devoluti alla
    Giustizia, rimanessero salvi; e che egli, col rimanente della
    nazione, godesse i beni di quel mite Governo, al quale era stato
    lungo tempo nemico? Era egli mestieri ricompensarlo per i suoi
    tradimenti, a spese di coloro ch'erano rei solo della fedeltà onde
    avevano mantenuto il giuramento di obbedienza alla Corona? Quale
    utile poteva trovare il Re nel satollare i suoi nemici con la preda
    strappata agli amici suoi? Quale fiducia poteva riporsi in uomini
    che avevano avversato il loro sovrano, gli avevano mosso guerra
    contro, lo avevano imprigionato; e che adesso, invece di abbassare
    il viso rosso di vergogna e di pentimento, difendevano il già fatto,
    e sembravano credere d'aver data prova di lealtà astenendosi solo
    dal regicidio? Era vero che avevano, poco fa, dato mano a rialzare
    il trono; ma non era men vero che manifestavano tuttavia certi
    principii spinti dai quali, potevano abbatterlo una seconda volta.
    Senza dubbio, sarebbe stato convenevole che il Re desse segni
    d'approvazione a taluni convertiti, ch'erano stati grandemente
    utili; ma la politica, la giustizia, la gratitudine, gl'imponevano
    di rimeritare de' più alti favori coloro, i quali dal principio alla
    fine, e nella prospera e nella trista fortuna, avevano difesa la
    Casa Reale. Per queste ragioni, i Cavalieri naturalmente dimandavano
    compensazione di tutti i danni che avevano sostenuti, e preferenza
    ai favori della Corona. Alcuni spiriti violenti di quel partito,
    spingendosi anche più oltre, schiamazzavano perchè si facessero
    lunghe liste di proscrizioni.
    
    V. La contesa politica, secondo il consueto, venne esasperata dalla
    religiosa. Il Re trovò la Chiesa in uno stato ben singolare. Poco
    tempo innanzi lo scoppio della guerra civile, il padre suo aveva,
    ripugnante, assentito ad una legge, vigorosamente sostenuta da
    Falkland, la quale privava i vescovi del diritto(29) di sedere nella
    Camera de' Lordi; ma lo episcopato e la liturgia non erano mai stati
    aboliti con apposita legge. Nulladimeno, il Lungo Parlamento aveva
    fatte alcune provvisioni, che avevano cagionato un pieno
    rivolgimento nel governo e culto ecclesiastico. Il nuovo sistema,
    ne' suoi principii, era appena meno Erastiano di quello cui era
    stato sostituito. Le Camere, dirette principalmente dai consigli del
    dotto Seldeno, volevano fermamente tenere il potere spirituale in
    istretta subordinazione del temporale. Avevano ricusato dichiarare
    che alcuna forma di politica ecclesiastica fosse d'origine divina;
    ed avevano provveduto che si potesse fare appello in ultima istanza
    da' tribunali ecclesiastici al Parlamento. Con tale importante
    riserva, avevano deciso di istituire in Inghilterra una gerarchia
    affatto simile a quella che ora esiste in Iscozia. L'autorità de'
    concilii, con relazione graduale da minore a maggiore, venne
    sostituita alla autorità de' vescovi e degli arcivescovi. La
    liturgia dette luogo al direttorio presbiteriano. Ma erano appena
    stati fatti i nuovi regolamenti, allorquando gl'Indipendenti
    conseguirono la preponderanza nello Stato. Non erano disposti a
    mandare ad esecuzione le ordinanze concernenti i sinodi
    parrocchiali, provinciali e nazionali; e però tali ordinanze non
    furono mai pienamente osservate. Il sistema presbiteriano non fu in
    nessun luogo, fuorchè in Middlesex e nella Contea di Lancaster,
    solidamente stabilito. Nelle altre cinquanta Contee, quasi ogni
    parrocchia non ebbe connessione alcuna con le parrocchie vicine. In
    alcuni distretti i ministri ordinaronsi ad associazioni volontarie,
    a fine di prestarsi vicendevole soccorso e consiglio; ma non avevano
    il potere coercitivo. I patroni dei beneficii, non tenuti in freno
    nè dal vescovo nè dal presbiterio, avrebbero potuto affidare la cura
    delle anime al prete più scandaloso del mondo, se non avesse loro
    impedito di così fare lo intervento arbitrario d'Oliviero. Egli
    stabilì, di propria autorità, un ufficio di commissari, detti
    saggiatori; la più parte de' quali erano teologi indipendenti, ma
    sedevano fra loro pochi ministri presbiteriani e pochi laici. Il
    certificato dei saggiatori teneva luogo d'istituzione e d'induzione,
    e senza tale certificato, niuno poteva occupare un beneficio. Fu
    questo indubitatamente uno degli atti più dispotici che mai facesse
    qualunque sovrano inglese. Nondimeno, temendosi generalmente che il
    paese venisse invaso da uomini ignoranti, o ebrei, o reprobi, col
    nome e con la paga di ministri, alcuni rispettabili personaggi, che
    per lo più non procedevano amici a Cromwell, confessarono che, in
    quell'occasione, egli era stato pubblico benefattore. I presentati
    che avevano ottenuta l'approvazione de' saggiatori, prendevano
    possesso delle loro rettorie; coltivavano le terre, raccoglievano le
    decime, officiavano senza libro e senza cotta, ed amministravano la
    eucaristia ai fedeli assisi innanzi a lunghe mense.
    
    Così l'ordinamento politico della Chiesa nel Regno trovavasi in
    confusione inestricabile. La forma prescritta dalla vecchia legge
    del paese, non ancora revocata, era l'episcopale. Quella prescritta
    dalla ordinanza parlamentare, era la presbiteriana. Ma nè la vecchia
    legge nè la ordinanza parlamentare praticamente valevano. La Chiesa,
    nella condizione in cui era a quel tempo, può rappresentarsi in
    sembianza di un corpo irregolare, composto di pochi presbiterii, e
    di molte congregazioni indipendenti, che erano tenute soggette ed
    unite dall'autorità del Governo.
    
    Fra tutti coloro che eransi maggiormente adoperati a ricondurre il
    Re sul trono, molti erano zelanti de' sinodi e del direttorio, e
    molti desideravano terminare con una concordia i dissidii religiosi
    che avevano per tanto tempo agitata l'Inghilterra. Fra i seguaci
    bacchettoni di Laud e i bacchettoni proseliti di Calvino, non vi
    poteva essere nè pace nè tregua; ma non pareva cosa impossibile lo
    indurre ad un accomodamento gli Episcopali moderati della scuola di
    Usher, e i moderati Presbiteriani di quella di Baxter. Gli uni
    avrebbero ammesso che un vescovo poteva legalmente essere assistito
    da un concilio; gli altri non avrebbero negato che ogni assemblea
    provinciale poteva legalmente avere un preside permanente, il quale
    portasse il nome di vescovo. Vi sarebbe potuto essere una liturgia
    modificata in guisa da non escludere la preghiera estemporanea, una
    cerimonia battesimale in cui il segno della croce potesse a
    discrezione usarsi od omettersi, un servizio nel quale la comunione
    venisse ministrata ai fedeli seduti, ove la loro coscienza non
    consentisse che s'inginocchiassero. Ma la maggior parte de'
    Cavalieri non volevano udire a parlare di un siffatto accomodamento.
    I membri religiosi di cotesto partito aderivano coscienziosamente al
    sistema della propria Chiesa. Essa era stata cara al Re ucciso; li
    aveva consolati nella sciagura e nella miseria. Le sue ufficiature
    così spesso eseguite in silenzio dentro una camera secreta, durante
    la stagione delle loro traversie, avevano per loro tale incanto, che
    mal volentieri avrebbero rinunciato a un solo responsorio. Altri
    fra' realisti che pretendevano poco a mostrarsi religiosi, amavano
    la Chiesa episcopale perchè era nemica agl'inimici loro. Pregiavano
    una preghiera, o una cerimonia, non pel conforto che arrecava
    all'anima, ma perchè vessava le Teste-Rotonde; ed erano tanto
    lontani da conseguire la concordia a prezzo di qualche concessione,
    che opponevansi alle concessioni principalmente perchè tendevano a
    produrre la concordia.
    
    VI. Tali sentimenti, comecchè biasimevoli, erano naturali, e non
    affatto indegni di scusa. I Puritani ne' giorni del loro potere,
    avevano, senza verun dubbio, crudelmente provocato i loro avversari.
    Avrebbero dovuto imparare, almeno dal malcontento, dalle lotte,
    dalle stesse vittorie loro, e dalla caduta di quella superba
    gerarchia da cui erano stati così gravemente oppressi, che in
    Inghilterra e nel secolo decimosettimo non era in potestà del
    magistrato civile lo attirare le menti degli uomini al conformismo
    col suo proprio sistema teologico. Mostraronsi, non pertanto,
    intolleranti e faccendieri al pari dello stesso Laud. Inibirono,
    sotto gravissime pene, l'uso del Libro della Preghiera Comune, non
    solo nelle chiese, ma anche nelle case private. Era delitto per un
    fanciullo il leggere accanto al letto dell'infermo genitore una di
    quelle soavi orazioni che avevano, per lo spazio di quaranta
    generazioni, mitigato i dolori de' Cristiani. Pene severe vennero
    minacciate contro coloro che presumessero di biasimare il culto
    calvinistico. Ecclesiastici di carattere rispettabile non solo
    furono a migliaia privati de' loro beneficii, ma rimanevano sovente
    esposti agli oltraggi della fanatica marmaglia. Le chiese e le
    sepolture, le leggiadre opere d'arte, le preziose reliquie
    dell'antichità, vennero brutalmente sfigurate. Il Parlamento ordinò
    che tutte le pitture della Collezione Reale, che rappresentavano
    Cristo o la Vergine Maria, si bruciassero(30). Alle sculture toccò
    una sorte egualmente trista. Le Ninfe e le Grazie, opera dello
    scalpello ionio, furono consegnate agli scalpellini puritani perchè
    le rendessero più decenti. Ai vizi leggieri la fazione predominante
    dichiarò guerra con zelo poco temperato dall'umanità o dal buon
    senso. Fecero severe leggi contro le scommesse; decretarono la pena
    di morte contro l'adulterio. Lo illecito commercio de' sessi, anche
    scevro di violenza o di seduzione, o di pubblico scandalo, o di
    violazione di diritti coniugali, fu dichiarato delitto. I pubblici
    sollazzi, dalle mascherate che allegravano i palagi de' grandi, fino
    alle grottesche rappresentazioni del villaggio, furono rigorosamente
    riprovati. Una ordinanza prescriveva che tutti gli alberi festivi di
    maggio dovessero essere quinci innanzi abbattuti. Un'altra inibiva
    ogni qualunque divertimento teatrale. I teatri dovevano essere
    distrutti, gli spettatori multati, gli attori legati alla coda d'un
    cavallo e frustati. Il danzare sulla corda, i giuochi de' burattini,
    le corse de' cavalli, erano guardati di mal occhio. Ma il giuoco
    dell'orso, a quei tempi amato tanto dalle classi alte e dalle basse,
    era obietto d'indicibile abbominio a quegli austeri settarii. È da
    notarsi che la loro avversione a quella specie di sollazzo non aveva
    nulla di comune col sentimento che a' dì nostri ha indotta la
    legislatura ad immischiarsene, con lo scopo di proteggere gli
    animali contro la matta crudeltà degli uomini. Il puritano odiava il
    giuoco dell'orso non perchè tormentava la povera bestia, ma perchè
    recava diletto agli spettatori. A dir vero, egli generalmente
    studiavasi di godere del doppio diletto di tormentare gli spettatori
    e l'orso(31).
    
    Forse non v'è circostanza che versi tanta luce sull'indole de'
    rigoristi, quanto il modo di condursi rispetto alla solennità del
    Natale di Cristo. Questa avventurosa festività era stata, fino da
    tempo immemorabile, stagione di gioia e di affezione domestica;
    stagione nella quale le famiglie adunavansi, i fanciulli ad esse
    tornavano dalle scuole, i dissidii finivano, le vie risonavano di
    canti, ogni casa era adornata di piante sempreverdi, ed ogni mensa
    abbondava di laute vivande. In quella stagione tutti i cuori, non
    affatto scevri di dolcezza, allargavansi e s'intenerivano. In quella
    stagione i poveri erano invitati a godere della sovrabbondanza de'
    ricchi, la cui bontà tornava maggiormente gradita a cagione della
    brevità de' giorni e della severità del tempo. In quella stagione la
    distanza che divideva i possidenti dagli affittuari, i padroni dai
    servi, era meno visibile che ne' rimanenti giorni dell'anno. Il
    molto godimento non va mai scompagnato da qualche eccesso:
    nondimeno, il brio con che celebravansi quei giorni santi non era
    sconvenevole ad una festività cristiana. Il Lungo Parlamento, nel
    1644, ordinò che nel dì ventesimoquinto di decembre venisse
    osservato un rigoroso digiuno, e che tutti lo passassero umilmente
    lamentando il gran peccato nazionale, che essi e i loro antenati
    avevano commesso facendo baccano sotto il ramo di vischio(32),
    mangiando la testa del cignale, e bevendo la birra, resa più
    saporita con mele arrostite. Non vi fu atto pubblico che
    maggiormente irritasse il popolo. Nel Natale seguente scoppiarono
    formidabili tumulti in molti luoghi. Resistettero ai ministri della
    polizia, insultarono i magistrati, aggredirono le case de' più noti
    zelanti; ed il servizio proscritto di quella solennità venne
    apertamente eseguito nelle chiese.
    
    Tale era lo spirito de' Puritani esagerati, tanto Presbiteriani
    quanto Indipendenti. Veramente, Oliviero era poco inchinevole a
    farla da persecutore e da faccendiere. Ma Oliviero, come capo di
    parte, e, per conseguenza, schiavo di parte, non poteva governare
    affatto secondo le proprie inclinazioni. Anche sotto la sua
    amministrazione molti magistrati, dentro le loro giurisdizioni, si
    resero odiosi quanto Sir Hudibras: s'immischiavano in tutti i
    sollazzi del vicinato, disperdevano le festevoli ragunanze, e
    ponevano i suonatori alla berlina. Lo zelo de' soldati era anche più
    formidabile. In ogni villaggio dove essi si mostrassero, finivano i
    balli, il suono delle campane, i giuochi(33). In Londra parecchie
    volte interruppero le rappresentazioni teatrali, alle quali il
    Protettore, in grazia della sua indole buona e del suo senno
    squisito, mostravasi connivente.
    
    All'odio e alla paura ispirati da tanta tirannia congiungevasi il
    pubblico dispregio. Le specialità del puritano, lo sguardo, il modo
    di vestirsi, il dialetto, gli scrupoli suoi, erano sempre stati,
    fino dal tempo di Elisabetta, obietto di scherno. Ma tali cose in
    una fazione che governava un grande Impero, apparivano assai più
    grottesche, che nelle oscure e perseguitate congregazioni. Il
    piagnisteo che aveva fatto tanto ridere gli spettatori, quando
    l'udirono in sulla scena nella Tribolazione Salutare e nell'Operoso
    Zelo della Patria, era anche più ridicolo sulle labbra de' Generali
    e de' Consiglieri di Stato. È da notarsi inoltre, che mentre
    ardevano le lotte civili, erano nate parecchie sette, le stranezze
    delle quali superavano ogni cosa che si fosse mai veduta di simile
    in Inghilterra. Un sartore demente, di nome Ludovico Muggleton,
    errava di taverna in taverna inebriandosi e minacciando gli eterni
    tormenti contro coloro che ricusassero di credere, sulla sua
    testimonianza, che l'Ente Supremo fosse alto sei soli piedi, e che
    il sole distasse dalla terra di quattro miglia soltanto(34). Giorgio
    Fox aveva suscitata una tempesta di derisioni, predicando essere
    violazione della sincerità cristiana l'indicare una persona
    singolare col pronome plurale, ed essere omaggio d'idolatria a Giano
    e a Odino l'usare i vocaboli Gennaio e Mercoledì(35). La sua
    dottrina pochi anni appresso venne abbracciata da alcuni uomini
    insigni, ed acquistò grandemente la pubblica stima. Ma nel tempo
    della restaurazione, i Quacqueri venivano comunemente considerati
    come i più spregevoli tra' fanatici. Dai Puritani erano trattati
    severamente tra noi, ed erano perseguitati a morte nella Nuova
    Inghilterra. Nondimeno il popolo, che bada rade volte alle
    distinzioni sottili, confonde il puritano col quacquero. Ambidue
    erano scismatici: odiavano lo episcopato e la liturgia; avevano
    quelle che parevano stravaganti fantasie intorno al vestirsi, allo
    atteggiarsi, al sollazzarsi. Per quanto notevolmente entrambi
    distassero in fatto d'opinioni, venivano dall'universale considerati
    egualmente come scismatici piagnolosi; e tutto ciò ch'era in essi
    odioso, ridicolo, accresceva lo scherno e l'avversione che la
    moltitudine sentiva per loro.
    
    Avanti le guerre civili, anche coloro che abborrivano dalle opinioni
    e dai modi del puritano, erano costretti ad ammettere che la sua
    condotta morale era, generalmente parlando, nelle cose essenziali
    scevra d'ogni biasimo; ma tale lode poscia non gli fu più oltre
    concessa, perchè sventuratamente se n'era reso immeritevole.
    L'ordinario destino delle sètte è quello di ottenere alta fama di
    santità finchè rimangono oppresse, e di perderla appena divengono
    potenti: e la ragione ne è chiara. Rade volte avviene che un uomo si
    aggreghi, mosso da altro motivo che dalla propria coscienza, ad una
    società proscritta. Tale società quindi si compone, salvo rarissimi
    casi, di individui sinceri. La più rigida disciplina che si osservi
    in una congrega religiosa, è un debole strumento di purificazione,
    ove si paragoni ad un poco di persecuzione pungente che muova dallo
    esterno. Può credersi con certezza, che pochissime persone, che non
    fossero mosse da profonde convinzioni religiose, chiedessero il
    battesimo, mentre Diocleziano perseguitava la Chiesa; o si
    ascrivessero alle congregazioni protestanti, mentre correvano
    pericolo di essere arse vive da Bonner. Ma quando una setta si fa
    potente, quando spiana la via alle ricchezze ed agli onori, gli
    uomini mondani ed ambiziosi vi si affollano, ne parlano il
    linguaggio, si conformano strettamente al rituale, scimmieggiano i
    caratteri speciali di quella, e spesso vincono gli onesti proseliti
    in tutte le esterne manifestazioni di zelo. Non è discernimento, non
    vigilanza de' reggitori ecclesiastici, che valga ad impedire la
    intrusione di cotali falsi confratelli. Il loglio e il grano è
    d'uopo che crescano insieme. Tosto la gente comincia ad avvedersi
    che gli uomini di Dio non sono migliori degli uomini del mondo; e
    conclude con qualche giustizia, che, non essendo migliori, devono
    necessariamente essere molto peggiori. Poco di poi, tutti que' segni
    che dapprima venivano considerati come caratteristiche d'un santo,
    riduconsi ad essere presi per caratteristiche di un furfante.
    
    Ciò avvenne dei non-conformisti inglesi. Erano stati oppressi, e la
    oppressione gli aveva mantenuti puri e senza macchia. Ottennero il
    predominio nello Stato. Nessuno poteva conseguire dignità o comando
    senza il loro favore; il quale non poteva acquistarsi se non se
    scambiando con essi i segni e le parole d'ordine della spirituale
    confraternita. Una delle prime deliberazioni del Parlamento di
    Barebone, la più puritana delle nostre assemblee politiche,
    consisteva in ciò, che nessuno individuo poteva essere ammesso agli
    uffici pubblici finchè la Camera non si dichiarasse satisfatta della
    vera religiosità di lui. Quelli che allora consideravansi quali
    segni della vera religiosità, cioè il tristo colore degli abiti, lo
    sguardo severo, i capelli lisci, il tono nasale, il discorso
    imperlato di affettate citazioni, lo abborrimento delle commedie,
    delle carte e della falconeria, venivano agevolmente contraffatti da
    uomini increduli ad ogni religione. I puritani sinceri tosto
    trovaronsi perduti in mezzo ad una moltitudine, non solo di uomini
    mondani, ma della più riprovevole genia d'uomini mondani.
    Imperocchè, il più grande libertino che avesse combattuto sotto i
    regii vessilli, poteva giustamente reputarsi virtuoso in paragone di
    alcuni tra quelli, i quali parlando de' conforti della Sacra
    Scrittura, vivevano esercitando la fraude e la rapacità, immersi in
    secrete dissolutezze. La nazione, con una fretta di che possiamo
    affliggerci, ma non maravigliarci, da questi ipocriti toglieva norma
    a giudicare tutto il partito. La teologia, i modi, la parlatura del
    puritano, richiamavano in tal guisa alle menti di tutti le immagini
    de' vizi più neri e schifosi. Appena la Restaurazione concesse a
    chiunque la libertà di mostrarsi nemico al partito che per tanto
    tempo era stato predominante nello Stato, sorse da ogni angolo del
    Regno un grido generale contro il puritanismo; grido che spesso era
    accresciuto dalle voci di quegli astuti simulatori, la cattività dei
    quali aveva fatto abborrire il nome di puritano.
    
    Così, i due grandi partiti che dopo una lunga contesa avevano, con
    momentanea concordia, cooperato a rimettere sul trono la famiglia
    reale, diventarono, in politica e in religione, acerrimi nemici. La
    maggior parte della nazione pendeva verso i realisti. I delitti di
    Strafford e di Laud, gli eccessi della Camera Stellata e dell'Alta
    Commissione, i grandi servigi che il Lungo Parlamento, nel primo
    anno della sua esistenza, aveva resi allo Stato, erano svaniti dalla
    ricordanza degli uomini. La decapitazione di Carlo I, la cupa
    tirannia della Coda del Parlamento, la violenza dell'esercito,
    ricordavansi con disgusto; e la moltitudine inchinava a tenere come
    responsabili della morte del Re, e de' disastri che ne seguirono,
    tutti coloro che gli avevano opposta resistenza.
    
    La Camera de' Comuni, essendo stata eletta mentre predominavano i
    presbiteriani, non rappresentava in modo alcuno il sentimento
    universale del popolo, e mostravasi dispostissima ad infrenare la
    intollerante lealtà de' Cavalieri. Uno de' membri che si attentò di
    dichiarare che tutti coloro i quali avevano snudata la spada contro
    Carlo I erano traditori al pari di coloro che gli avevano mozzato il
    capo, venne chiamato all'ordine, posto alla sbarra, e rimproverato
    dal presidente. Era desiderio generale della Camera, senza verun
    dubbio, di comporre i litigi ecclesiastici in modo soddisfacente ai
    Puritani moderati. Ma a ciò fare opponevansi la Corte e la nazione.
    
    VII. Il Re era, in questo tempo, amato dal popolo quanto non lo era
    mai stato nessuno de' suoi predecessori. Le calamità della sua
    famiglia, la morte eroica del padre, le sue proprie pene ed
    avventure romanzesche, svegliavano la tenerezza ne' cuori di tutti.
    Il suo ritorno aveva liberato il paese da una intollerabile
    schiavitù. Richiamato dalla voce di ambedue le fazioni avverse, egli
    era il loro arbitro naturale, ed in certo modo aveva le qualità
    necessarie a tanto ufficio. La natura gli era stata larga di egregie
    doti e di felice temperamento. Era stato educato in guisa da bene
    sviluppare il suo intendimento, ed assuefare il suo spirito allo
    esercizio d'ogni virtù pubblica e privata. Aveva provate tutte le
    vicissitudini della fortuna. Giovanissimo, era stato tratto dalla
    reggia ad una vita d'esilio, di penuria, di pericolo. Pervenuto alle
    età in cui la mente e il corpo trovansi nella maggior perfezione, e
    il primo bollore delle giovanili passioni cessa di sconvolgere
    l'anima, era stato richiamato dalla sua vita randagia a porsi sul
    capo la corona degli avi. Aveva dalla amara esperienza imparato come
    la viltà, la perfidia e la ingratitudine, si sappiano nascondere
    sotto l'ossequioso contegno della cortigianeria; mentre nel tugurio
    del povero aveva trovata la vera nobiltà dell'animo. Allorquando
    offrivano ricchezze a chi lo avesse tradito, minacciavano di morte
    chiunque gli avesse dato ricovero, gli abitatori delle capanne e i
    servitori avevano fedelmente mantenuto il secreto, ed a lui,
    umilmente travestito, avevano baciato la mano con tanta riverenza,
    quanta gliene avrebbero mostrata se fosse stato assiso sul trono.
    Era da sperarsi che un giovine uscito da cosiffatta scuola, il quale
    non difettava nè di destrezza nè di amabilità, si dovesse mostrare
    Re grande e buono. Carlo uscì da quella scuola adorno di socievoli
    abitudini, di maniere squisite e cortesi, e di qualche ingegno pel
    conversare vivace, dedito oltremodo ai piaceri sensuali, amante
    degli ozi e de' frivoli sollazzi, incapace di abnegazione e di
    sforzo, incredulo alla virtù o allo affetto dell'uomo, senza desio
    di fama, sordo al rimprovero. Secondo lui, ogni uomo era da
    comprarsi. Ma taluni mercanteggiavano, più che altri, intorno al
    prezzo; e quando questo mercanteggiare era condotto con ostinazione
    e destrezza, diventava degno di lode. Gl'inganni onde alcuni uomini
    astuti mantenevano alto il prezzo della loro valentia, chiamavansi
    integrità. Gl'inganni onde le donne leggiadre tenevano alto il
    prezzo della loro beltà, dicevansi modestia. Lo amore di Dio, lo
    amore della patria, lo amore della famiglia, lo amore degli amici,
    erano semplici frasi, sinonimi delicati e convenevoli dello amore di
    sè. Pensando in tal guisa della specie umana, Carlo naturalmente
    davasi pochissimo pensiero di ciò che altri pensasse di lui. Onore e
    vergogna a lui erano quasi ciò che luce e tenebre sono al cieco. Lo
    hanno molto commendato come sprezzatore dell'adulazione; ma tal
    pregio, guardato fra le altre qualità dell'indole di lui, non sembra
    degno di lode. È cosa possibile all'uomo essere al di sotto come al
    di sopra dell'adulazione. Chi non si fida di nessuno, non ha nè
    anche fiducia ne' lusinghieri. Chi non estima la gloria vera, fa
    poco conto della falsa.
    
    Laudasi l'indole di Carlo in ciò che egli, non ostante la pessima
    opinione che aveva della specie umana, non diventasse misantropo.
    Poc'altro vedeva negli uomini, tranne la parte odiosa, e nondimeno
    non gli odiava. Anzi era talmente umano, che spiacevagli(36) vedere
    le sofferenze o udire le querimonie loro. Se non che, questa è una
    specie d'umanità che, comunque amabile e commendevole in un
    individuo privato, il cui potere a giovare o a nuocere è rinchiuso
    in uno stretto cerchio, è stata soventi volte ne' principi vizio,
    più presto che virtù. Non pochi fra loro, intesi al bene, hanno
    abbandonate intere provincie alla rapina ed all'oppressione, mossi
    solo dal desiderio di vedere, in casa e ai passeggi, visi allegri.
    Colui che esita a spiacere a pochi che gli stanno d'intorno, pel
    bene dei molti che non vede giammai, non è fatto per governare una
    grande società. La facilità di Carlo era tanta, da non trovarsi
    forse mai in un uomo di sensi a lui simile. Era schiavo, senza
    essere zimbello, degl'inganni altrui. Donne ed uomini indegni, ai
    quali sapeva leggere nelle ime latebre del cuore, e i quali egli
    conosceva privi d'affezione e immeritevoli della sua fiducia,
    sapevano lusingarlo tanto, da strappargli dalle mani titoli, uffici,
    terre, secreti di Stato, e grazie. Donò molto, ma nè godè il
    piacere, nè acquistò la fama di benefico. Spontaneo non donò mai, ma
    eragli duro rispondere con un rifiuto. Dal che seguiva, che la sua
    bontà generalmente non iscendesse sopra coloro che più la
    meritavano, nè anche sopra coloro ai quali portava affetto, ma sopra
    il più svergognato ed importuno che fosse riuscito ad ottenere
    udienza.
    
    Le cagioni che governarono la condotta politica di Carlo II,
    differivano assai da quelle onde il predecessore e il successore
    suoi furono mossi. Non era uomo da lasciarsi imporre dalla teoria
    patriarcale del Governo e dalla dottrina del diritto divino. Era
    onninamente scevro d'ambizione. Detestava gli affari, e avrebbe
    piuttosto abdicato, che sopportare lo incomodo di dirigere veramente
    l'amministrazione. Tanta avversione aveva alla fatica e tanta
    ignoranza degli affari, che gli stessi suoi segretari, quando sedeva
    in consiglio, non potevano frenarsi d'irridere alle sue frivole
    osservazioni ed alla sua fanciullesca impazienza. Nè gratitudine nè
    vendetta contribuivano a determinare la sua condotta, perocchè non
    vi fu mai mente in cui i servigii o le ingiurie lasciassero, come
    nella sua, deboli e passeggiere impressioni. Desiderava
    semplicemente essere Re come lo fu poscia Luigi XV di Francia; Re
    che potesse trarre dal tesoro danari senza fine per appagare i suoi
    gusti privati; che potesse comprare con ricchezze ed onori persone
    capaci di aiutarlo a fargli passare il tempo; e che, anche quando lo
    Stato fosse per la pessima amministrazione caduto in fondo alla
    vergogna, e spinto sull'orlo del precipizio, potesse escludere ogni
    tristo pensiero dal ricinto del suo serraglio, e ricusare l'accesso
    a chiunque potesse disturbare i voluttuosi suoi ozii. Per ciò, e per
    ciò solo, egli bramava conseguire il potere arbitrario, qualora si
    fosse potuto conseguire senza rischio o incomodo. Nelle dispute
    religiose che affaccendavano i suoi sudditi protestanti, la sua
    coscienza non aveva interesse nessuno; perocchè le sue opinioni
    oscillavano in uno stato di sospensione satisfatta, fra la
    incredulità e il papismo. Ma, quantunque la sua coscienza rimanesse
    neutrale nella contesa tra gli Episcopali e i Presbiteriani, il suo
    gusto non era tale in nessun modo. I suoi vizi prediletti erano
    precisamente quelli ai quali i Puritani indulgevano meno. Egli non
    poteva passare un solo giorno senza il conforto di que' sollazzi che
    i Puritani consideravano peccaminosi. Come uomo egregiamente
    educato, e assai sensibile al ridicolo, le stranezze de' Puritani lo
    spingevano ad un riso di dispregio. Aveva, in verità, qualche
    ragione a non amare quella rigida setta. Nella età in cui le
    passioni più imperversano, e le leggerezze sono meritevoli di
    perdono, aveva passati parecchi mesi in Iscozia, Re di nome, ma di
    fatto prigioniero di Stato nelle mani degli austeri Presbiteriani.
    Non paghi di volere ch'ei si conformasse al loro culto, e firmasse
    la loro Convenzione, avevano invigilate tutte le azioni, e
    sermoneggiato intorno alle giovanili follie di lui. Era stato
    costretto ad assistere, ripugnante, a preci e sermoni lunghissimi, e
    poteva reputarsi fortunato allorquando dal pulpito non gli
    rammentavano le sue proprie fragilità, la tirannide del padre, e la
    idolatria della madre. Davvero, era stato così sciagurato in quegli
    anni della sua vita, che la sconfitta dalla quale fu cacciato
    nuovamente in esilio, poteva più presto considerarsi come
    liberazione, che come calamità. Sotto la pressura di queste male
    augurate reminiscenze, Carlo voleva deprimere il partito che aveva
    fatta resistenza a suo padre.
    
    VIII. Giacomo, Duca di York, fratello del Re, si attenne alla
    medesima via. Benchè libertino, Giacomo era diligente, metodico, e
    amante dell'autorità e degli affari. Aveva intendimento basso e
    stretto, ed indole ostinata, aspra e nemica al perdono. Che un
    principe come lui non potesse vedere di buon occhio le libere
    istituzioni dell'Inghilterra, e il partito che le difendeva con zelo
    indefesso, non deve recar maraviglia. Il Duca seguitava a professare
    la credenza della Chiesa Anglicana; ma aveva già mostrate tendenze
    tali, da mettere seriamente in pensiero i buoni protestanti.
    
    L'uomo che in quel tempo principalmente conduceva il Governo, era
    Eduardo Hyde, Cancelliere del Regno, e presto creato Conte di
    Clarendon. La riverenza che giustamente sentiamo per Clarendon come
    scrittore, non ci debbe rendere ciechi ai falli da lui commessi come
    uomo di Stato. Alcuni dei quali, nondimeno, vengono spiegati e
    scusati dalla posizione sciagurata in cui egli trovavasi. Nel primo
    anno del Lungo Parlamento erasi onorevolmente reso cospicuo fra i
    senatori che affaticavansi di riparare alle doglianze della nazione.
    Una delle più odiose cagioni di tali doglianze, cioè il Consiglio di
    York, era stata rimossa principalmente in grazia degli sforzi di
    lui. Quando seguì il grande scisma, quando il partito riformista ed
    il conservatore primamente mostraronsi in ordinanza di battaglia,
    l'uno contro l'altro; egli, insieme con molti savi e da bene uomini,
    si congiunse al partito conservatore. D'allora in poi seguì le
    fortune della Corte, godè tanta fiducia di Carlo I, quanta l'indole
    riservata, e la tortuosa politica di quel Principe ne concedessero
    ad alcun Ministro, e quinci divise lo esilio e diresse la condotta
    politica di Carlo II. Dopo la Ristaurazione, Clarendon divenne primo
    Ministro. Pochi mesi dopo fu annunziato ch'egli era per affinità
    strettamente congiunto alla Casa Reale; imperocchè la sua figlia era
    diventata, per secreto matrimonio, Duchessa di York. I suoi nipoti
    averebbero forse portata la Corona. Per questo illustre parentado ei
    fu preposto ai capi della vecchia nobiltà del paese, e un tempo fu
    creduto onnipotente. Per alcune ragioni egli era bene adatto a
    tenere quel posto eminente. Niuno sapeva, meglio di lui, comporre
    scritture di Stato; niuno parlava con più gravità e dignità nel
    Consiglio e nel Parlamento; niuno conosceva meglio i principii
    dell'arte di regnare; niuno discerneva con occhio più giudizioso le
    varietà de' caratteri degli uomini. È d'uopo aggiungere, che sentiva
    fortemente i doveri morali e religiosi, rispettava sinceramente le
    leggi del paese, e mostrava coscienzioso riguardo per l'onore e lo
    interesse della Corona. Ma il suo animo era acre, arrogante,
    intollerante d'ogni opposizione. Soprattutto, egli era stato lungo
    tempo in esilio, e questa sola cagione era bastevole a torgli le
    qualità necessarie a condurre la direzione suprema degli affari. È
    quasi impossibile che un uomo politico che sia stato costretto dalle
    lotte civili a bandirsi dalla propria patria, e passare lungi da
    quella molti de' più begli anni della vita, riesca adatto, appena
    ritornato al suolo natío, a togliere in mano il timone della cosa
    pubblica. Clarendon non va eccettuato da siffatta regola. Aveva
    lasciata l'Inghilterra con l'animo infiammato da un feroce
    conflitto, che era terminato con la caduta del suo partito e la
    ruina delle sue sostanze. Dal 1646 al 1660 era vissuto oltremare,
    mirando tutto ciò che avveniva nella sua patria, da una grande
    distanza, e con un falso strumento. Le nozioni che aveva delle
    pubbliche faccende, raccoglieva necessariamente dalle relazioni de'
    conspiratori, parecchi dei quali erano uomini esasperati dal danno e
    dalla disperazione. Gli eventi naturalmente gli sembravano bene
    augurati, non quando accrescevano la prosperità e la gloria della
    nazione, ma quando tendevano ad avacciare l'ora del suo ritorno. La
    sua convinzione - convinzione ch'ei non ha nascosta - consisteva in
    questo: che i suoi concittadini, non avrebbero potuto godere de'
    beni della quiete e della libertà, finchè non avessero rimesso su la
    vecchia dinastia. Finalmente ritornò alla patria, e senza avere
    speso nè anche una settimana a volgere lo sguardo all'intorno, a
    mischiarsi nei socievoli commerci, a notare i mutamenti che
    quattordici anni di vicende avevano prodotto nel carattere e nel
    sentire della popolazione, fu posto repentinamente a condurre il
    Governo dello Stato. In cosiffatte condizioni, anche un Ministro
    eminentemente destro e docile sarebbe probabilmente caduto in
    gravissimi errori. Ma la destrezza e la docilità non erano da
    trovarsi fra le doti dell'animo di Clarendon. Agli occhi suoi,
    l'Inghilterra seguitava ad essere la Inghilterra della sua
    giovinezza; e guardava in cagnesco ogni teoria ed ogni pratica
    introdotta mentre egli era in esilio. Quantunque fosse lontano dal
    meditare il minimo attentato contro l'antico e indubitato potere
    della Camera de' Comuni, il vederlo crescere gli recava grande
    inquietudine. La prerogativa regia, per la quale egli aveva tanto
    sofferto, e dalla quale era stato alla perfine innalzato alle
    ricchezze ed agli onori, era sacra agli occhi suoi. Riguardava le
    Teste-Rotonde con avversione politica e personale. Aveva sempre
    aderito fortemente alla Chiesa Anglicana, e tutte le volte che si
    trattava degl'interessi di quella, erasi separato, non senza
    rammarico, da' suoi più diletti amici. Il suo zelo per lo Episcopato
    e pel Libro della Preghiera Comune divenne quindi più ardente che
    mai, e si congiunse con un odio vendicativo contro i Puritani; odio
    che gli recò poco onore, e come ad uomo di Stato e come a cristiano.
    
    Mentre la Camera de' Comuni, che aveva richiamata la reale famiglia,
    era in sessione, e' tornava impossibile ristabilire il vecchio
    sistema ecclesiastico. La Corte non solo nascose con grande studio
    le proprie intenzioni, ma il Re stesso dètte, nel modo più solenne,
    assicuranze tali, che posero in calma gli animi de' Presbiteriani
    moderati. Aveva promesso, prima della Restaurazione, di concedere ai
    sudditi libertà di coscienza. Ripetè poscia tale promessa,
    aggiungendovi quella di adoperare le più scrupolose cure onde
    indurre a concordia le sètte avverse. Disse come egli desiderava di
    vedere la giurisdizione spirituale divisa tra i vescovi e i sinodi;
    di fare che la liturgia venisse riesaminata da una congrega di
    teologi, metà de' quali sarebbe di presbiteriani. Le quistioni
    concernenti la cotta, la postura nel ricevere la Eucarestia, e il
    segno della croce nel battesimo, verrebbero risolute in guisa da
    calmare le coscienze timorate. Come il Re ebbe addormentati gli
    occhi vigili di coloro ch'ei maggiormente temeva, sciolse il
    Parlamento. Aveva già dato il suo assenso ad un atto d'amnistia,
    salvo pochissimi, per tutti coloro i quali nelle lotte civili
    s'erano resi colpevoli di delitti politici. Aveva parimenti ottenuta
    dalla Camera de' Comuni una concessione a vita delle tasse, l'annuo
    prodotto delle quali era stimato a un milione e duecento mila lire
    sterline. A vero dire, il prodotto di quelle per alcuni anni passò
    di poco un milione; ma questa somma, insieme con la entrata
    ereditaria della Corona, era allora bastevole a pagare le spese del
    Governo in tempo di pace. Non fu concessa pecunia per mantenere un
    esercito stanziale. La nazione sentiva disgusto del semplice nome di
    quello, e il solo rammentarlo avrebbe commossi ed infiammati tutti i
    partiti.
    
    IX. Nel 1661 seguì una elezione generale. Il popolo era frenetico
    d'entusiasmo verso il sovrano. La metropoli venne incitata a fare
    apparecchi per la più splendida incoronazione che si fosse mai
    veduta. Ne risultò un corpo di rappresentanti tale, quale non era
    mai stato in Inghilterra. Molti de' candidati eletti erano uomini
    che avevano pugnato a favore della Corona e della Chiesa, e che
    avevano l'animo esasperato per le molte ingiurie e i molti insulti
    delle Teste-Rotonde. Quando i membri adunaronsi, le passioni onde
    ciascuno di loro era individualmente animato, acquistarono nuova
    forza per virtù della simpatia. La Camera de' Comuni per alcuni anni
    fu più realista del Re stesso, più episcopale degli stessi vescovi.
    Carlo e Clarendon rimasero quasi atterriti della propria vittoria.
    Trovaronsi in condizioni non dissimili da quelle in cui Luigi XVIII
    e il Duca di Richelieu si videro allorquando, nel 1815, adunossi la
    Camera. Quando anche il Re avesse desiderato di adempiere le
    promesse date ai Presbiteriani, non lo avrebbe potuto fare.
    Veramente, gli fu mestieri di adoperare co' più vigorosi sforzi
    tutta la sua influenza per impedire che i Cavalieri vittoriosi
    lacerassero l'atto d'indennità, e si vendicassero, senza
    misericordia, de' torti sofferti.
    
    X. I Comuni cominciarono dal decretare, che ciascun membro dovesse,
    sotto pena d'espulsione, prestare il giuramento secondo la forma
    prescritta dalla antica liturgia, e che l'atto di Convenzione
    dovesse essere bruciato per mano del boia nel cortile del palagio.
    Fecero un altro atto, in cui non solo riconoscevano il potere della
    spada appartenere al solo Re, ma dichiaravano che in nessun caso
    estremo, qualunque si fosse, le due Camere potevano giustamente
    resistere con la forza al sovrano. Ne aggiunsero un altro, che
    prescriveva ad ogni ufficiale di corporazione di giurare che la
    resistenza alla autorità del Re era sempre illegittima. Pochi
    cervelli caldi sforzaronsi di proporre una legge che annullasse in
    una sola volta tutti gli statuti fatti dal Lungo Parlamento, e
    richiamasse in vita la Camera Stellata e l'Alta Commissione; ma la
    Reazione, per quanto fosse violenta, non osò andare tanto oltre.
    Continuò ad esser valida la legge che ogni tre anni vi fosse un
    Parlamento; ma vennero revocate le clausule restrittive, le quali
    ordinavano che gli ufficiali, anche senza l'assenso regio, potevano,
    appena scorso il tempo prescritto, procedere alla elezione. I
    vescovi furono rimessi sui loro seggi nella Camera Alta. Il vecchio
    ordinamento politico della Chiesa, e la vecchia liturgia, furono
    ristabiliti, senza la minima modificazione che tendesse a conciliare
    i più moderati tra i Presbiteriani. Allora, per la prima volta,
    l'ordinazione episcopale fu dichiarata requisito essenziale alle
    dignità ecclesiastiche. Circa duemila ministri della religione, ai
    quali la coscienza non consentiva di conformarsi alle nuove leggi,
    furono, in un sol giorno, privati de' loro beneficii. La parte
    dominante, esultando, rammentava ai danneggiati, che il Lungo
    Parlamento, nell'auge del suo potere, aveva cacciato via un maggior
    numero di teologi realisti. Il rimprovero era ben fondato; ma il
    Lungo Parlamento aveva, almeno, ai teologi spogliati de' loro uffici
    concessa una provvisione bastevole a non lasciarli morire d'inedia;
    mentre i Cavalieri, con gli animi inveleniti da implacabile rancore,
    non avevano avuta la giustizia e la umanità di seguire il riferito
    esempio.
    
    XI. Fecero poi alcuni statuti penali contro i non-conformisti;
    statuti, de' quali potevano trovare esempi precedenti nella
    legislazione puritana, ma ai quali il Re non poteva dare il suo
    assenso senza rompere le promesse pubblicamente fatte, nella crisi
    più importante della sua vita, a coloro da cui dipendeva il suo
    destino. I Presbiteriani, colpiti di terrore e forte addolorati,
    corsero ai piedi del trono, allegando i loro recenti servigi, e la
    fede sovrana solennemente e ripetutamente data. Il Re ondeggiava.
    Non poteva rinnegare il suo proprio sigillo e la sua propria firma.
    Sentiva, pur troppo, d'essere debitore di molto ai chiedenti. Era
    poco avvezzo a resistere alle sollecitazioni importune. L'indole sua
    non era quella di un persecutore. Certo aborriva i Puritani; ma in
    lui lo aborrire era un languido sentimento, poco somiglievole
    all'odio energico che aveva infiammato il cuore di Laud.
    Parteggiava, inoltre, per la Religione Cattolica-Romana; e conosceva
    come fosse impossibile il concedere libertà di culto ai proseliti di
    quella religione, senza accordarla parimente ai dissenzienti
    protestanti. Tentò, quindi, debolmente di frenare lo zelo
    intollerante della Camera de' Comuni; ma la Camera trovavasi sotto
    la influenza di profonde convinzioni, e di passioni assai più forti
    che non erano quelle del Re. Dopo una lieve lotta, egli cedette, ed
    approvò, facendo mostra d'alacrità, una serie di leggi odiose contro
    i separatisti. Fu dichiarato delitto lo intervenire in luogo dove si
    celebrasse il culto dei dissenzienti. Ciascun giudice di pace poteva
    giudicare senza giurati, e poteva condannare ad essere trasportato
    oltre-mare per sette anni chiunque fosse stato per la terza volta
    dichiarato reo. Con sottile crudeltà, venne provveduto che il reo
    non fosse trasportato nella Nuova Inghilterra, dove probabilmente
    avrebbe trovato amici che lo confortassero. Ritornando innanzi che
    fosse trascorso tutto il tempo del bando, soggiaceva alla pena
    capitale. Un nuovo ed irragionevolissimo giuramento venne imposto ai
    teologi che erano stati spogliati de' loro beneficii per non essersi
    voluti conformare; e a tutti coloro che ricusavano di prestarlo, fu
    inibito di appressarsi di cinque miglia ad ogni città che fosse
    governata da una corporazione, o rappresentata in Parlamento, o dove
    essi avessero esercitato il sacro ministero. I magistrati che
    dovevano mandare ad esecuzione cotesti terribili statuti, erano
    generalmente uomini infiammati dallo spirito di parte, e dalla
    rimembranza dei danni che avevano sofferti al tempo della
    Repubblica. Le carceri furono quindi subitamente riempite di
    dissenzienti, tra i quali erano alcuni che con la virtù e
    coll'ingegno potevano onorare qualunque società cristiana.
    
    XII. La Chiesa d'Inghilterra non si mostrò ingrata alla protezione
    largitale dal Governo. Fino dal primo giorno della sua esistenza
    aveva aderito alla Monarchia. Ma ne' venti anni che seguirono
    l'epoca della Restaurazione, il suo zelo per l'autorità regia e pel
    diritto ereditario aveva travarcato ogni confine. Aveva partecipato
    alle sciagure della Casa degli Stuardi. Era stata ristaurata con
    essa; ed era con essa vincolata da interessi, amicizie ed inimicizie
    comuni. Sembrava impossibile che dovesse arrivare il giorno in cui i
    vincoli che la congiungevano ai figli del suo augusto martire,
    verrebbero infranti, e la lealtà della quale ella gloriavasi, non
    sarebbe più oltre un gradito e proficuo dovere. E però magnificava
    con frasi rimbombanti quella prerogativa che era sempre adoperata a
    difendere ed ingrandire la Chiesa, e riprovava comodamente la
    depravità di coloro i quali dalla oppressura, onde essa andava
    esente, erano stati incitati a ribellare. Il suo tema prediletto era
    la dottrina della non-resistenza; dottrina ch'essa predicava in modo
    assoluto, portandola fino a tutte le estreme conseguenze. I suoi
    discepoli non istancavansi mai di ripetere, che in nessun caso
    possibile, - nè anche se l'Inghilterra avesse la sciagura di
    sottostare a un Re come Busiride o Falaride, il quale, calpestando
    ogni legge, senza verun pretesto di giustizia, condannasse ogni
    giorno centinaia di vittime innocenti alla tortura e alla morte, -
    tutti gli Stati del Regno concordanti, sarebbero giustificati a
    resistere con la forza alla tirannide del principe.
    Avventuratamente, i principii della natura umana ci assicurano
    appieno che tali teorie rimarranno sempre teorie. Giunse il dì della
    prova; e quegli stessi uomini che avevano levata più alto la voce a
    predicare quella strana dottrina di lealtà, armaronsi, in quasi ogni
    Contea dell'Inghilterra, contro il trono.
    
    Nuovamente in tutto il Regno le sostanze andavano cangiando padroni.
    Le vendite fatte dalla nazione, non essendo state confermate dal
    Parlamento, furono dai tribunali considerate come nulle. Il sovrano,
    i vescovi, i decani, i capitoli, i nobili e i gentiluomini realisti,
    riebbero i loro beni confiscati, e ne spogliarono perfino i
    compratori che ne avevano pagato il prezzo. Le perdite sostenute dai
    Cavalieri mentre predominavano i loro avversari, vennero così in
    parte riparate; ma solamente in parte. Ogni qualunque azione per
    ricuperare i frutti arretrati fu esclusa efficacemente dall'Amnistia
    generale; e i numerosi realisti i quali, onde soddisfare alle multe
    imposte dal Parlamento e comperare il favore delle potenti
    Teste-Rotonde, avevano vendute le loro terre per molto meno di
    quello che valevano, non furono liberati dalle conseguenze legali
    de' loro propri atti.
    
    XIII. Mentre tali cose avvenivano, era seguito un cangiamento assai
    più grave nella morale e ne' costumi del popolo. Le passioni e i
    gusti che sotto il predominio de' Puritani erano stati severamente
    repressi, e se per poco soddisfatti, lo erano stati di soppiatto,
    appena fu tolto lo impedimento, tornarono a rivivere con
    irrefrenabile violenza. Gli uomini correvano ai frivoli diporti ed
    ai piaceri criminosi con quella avidità che nasce dalla lunga
    astinenza. Poco ostacolo vi poneva la pubblica opinione; avvegnachè
    le genti, stomacate de' piagnistei, e sospettose dei pretendenti a
    comparir santi, e soffrendo tuttavia della recente tirannide di
    governanti austeri nella vita e potenti nella preghiera, volgessero
    alcun tempo compiacenti gli sguardi a vizi più gaii e soavi. Minore
    era anche il freno che vi poneva il Governo. E davvero, non eravi
    eccesso al quale gli uomini non venissero incoraggiati dalla
    ostentata dissolutezza del Re, e de' suoi fidi cortigiani. Pochi
    consiglieri di Carlo I, che più non erano giovani, serbavano la
    decorosa gravità che trenta anni innanzi era stata tanto in voga a
    Whitehall. Tali erano lo stesso Clarendon e gli amici suoi, Tommaso
    Wriothesley conte di Southampton Lord Tesoriere, e Giacomo Butler
    Duca di Ormond, il quale dopo di avere tra molte vicende
    valorosamente propugnata l'autorità del Re in Irlanda, governava
    quel Regno con l'ufficio di Lord Luogotenente. Ma, nè la memoria de'
    servigii di cotesti uomini, nè il potere grande che avevano nello
    Stato, poterono proteggerli dai sarcasmi che il vizio di moda ama di
    scagliare contro la virtù fuori d'uso. La lode di gentilezza e
    vivacità mal poteva conseguirsi senza violare in qualche guisa il
    decoro. Uomini di grande e pieghevole ingegno affaccendavansi a
    spandere il contagio. La filosofia morale aveva di recente presa una
    forma atta a piacere ad una generazione egualmente devota alla
    monarchia ed al vizio. Tommaso Hobbes, con un linguaggio più preciso
    e lucido di quello che fosse stato mai adoperato da qualunque altro
    scrittore metafisico, sosteneva: la volontà del principe essere la
    regola del diritto e del torto, ed ogni suddito doversi tener pronto
    a professare, secondo che piacesse al principe, il Papismo,
    l'Islamismo o il Paganesimo. Migliaia d'uomini, inetti a conoscere
    ciò che nelle metafisiche speculazioni di lui fosse degno di stima,
    facilmente dettero il ben venuto ad una teoria, la quale, esaltando
    la dignità regia, rallentava i doveri morali, e abbassava la
    religione al grado di pretta faccenda di Stato, L'Hobbismo divenne
    tosto parte quasi essenziale del carattere d'un perfetto gentiluomo.
    Ogni specie di amena letteratura s'imbevve profondamente della
    prevalente licenza. La poesia si arruffianò ad ogni più basso desio.
    Il dileggio, invece di fare arrossire la colpa e l'errore, scagliò i
    suoi formidabili strali contro la verità e l'innocenza. La Chiesa
    dello Stato lottava, a dir vero, contro la prevalente immoralità, ma
    lottava debolmente e non di tutto cuore. Era necessario al decoro
    del proprio carattere, ch'ella ammonisse i suoi figli traviati; ma
    dava le sue ammonizioni con una tal quale negligenza o svogliatezza.
    La sua attenzione era rivolta altrove. In cima a tutti i suoi
    pensieri stava quello di esterminare i Puritani, ed insegnare ai
    suoi discepoli di dare a Cesare ciò che era di Cesare. Era stata
    spogliata ed oppressa da quello stesso partito che predicava la più
    austera morale. Aveva riacquistato opulenza ed onori, mercè i
    libertini. Per quanto poco disposti fossero gli uomini dell'allegria
    e della moda a conformarsi ai precetti di lei, erano tuttavia pronti
    a combattere fino all'ultimo sangue per le cattedrali e i palagi,
    per ogni rigo delle rubriche, per ogni lembo della veste della
    Chiesa. Se il dissoluto Cavaliere andava gavazzando su per i
    bordelli e le bische, tenevasi almeno lungi da' conventicoli. Se non
    parlava giammai senza profferire oscene parole o bestemmie, ne aveva
    fatta ammenda con la prontezza onde gettò in prigione Baxter e Howe,
    rei di avere predicato e pregato. In tal guisa il clero, un tempo,
    fece guerra allo scisma con tanto accanimento, che aveva poco agio
    di pensare a far guerra al vizio. Le oscene parole di Etherege e di
    Wicherley vennero, al cospetto e con la speciale sanzione del capo
    della Chiesa, pubblicamente recitate da labbra femminili ad orecchie
    femminili, mentre lo autore del Viaggio del Pellegrino languiva
    sepolto in carcere per colpa di insegnare lo evangelio ai poveri.
    Egli è un fatto indubitabile, non che mirabilmente istruttivo, che
    gli anni in cui la potenza politica della gerarchia anglicana
    trovavasi nel suo più alto grado, furono precisamente gli anni in
    cui le virtù pubbliche erano cadute in fondo alla maggiore
    degradazione.
    
    XIV. Non v'era classe o professione che rimanesse libera dal
    contagio dell'immoralità prevalente; ma gli uomini politici erano
    forse la parte più corrotta del sociale consorzio, come quelli che
    erano esposti non solo alla nociva influenza che infermava la
    nazione, ma a una specie peculiare e più malefica di corruzione.
    Erano stati educati fra mezzo a spesse e violente rivoluzioni e
    contro-rivoluzioni. Nel corso di pochi anni avevano veduto
    l'ordinamento ecclesiastico del loro paese più volte cangiarsi.
    Avevano veduta la Chiesa Episcopale perseguitare i Puritani, la
    Chiesa Puritana perseguitare gli Episcopali, e la prima affliggere
    di nuove persecuzioni la seconda. Avevano veduta la monarchia
    ereditaria abolita e ristaurata; il Lungo Parlamento avere avuta tre
    volte la supremazia nello Stato, ed essere stato tre volte disciolto
    fra gli scherni e le maledizioni di milioni d'uomini; una nuova
    dinastia rapidamente conseguire l'altezza del potere e della gloria,
    e quindi in un baleno senza lotta cadere giù dal trono; un nuovo
    sistema rappresentativo formato, messo alla prova e abbandonato; una
    nuova Camera di Lordi creata, e dispersa; grandi masse di beni
    passati dalle mani de' Cavalieri in quelle delle Teste-Rotonde, e
    dalle mani di queste nuovamente in quelle dei primi. Fra cotante
    vicissitudini, nessuno poteva con suo profitto professare la
    politica, ove non si tenesse parato a mutare ad ogni mutamento di
    fortuna. Solo tenendosi da parte, l'uomo poteva lungo tempo
    mantenersi o costante realista, o repubblicano costante. Chiunque,
    in un'età come quella, aspira a conseguire la grandezza civile, è
    uopo che deponga ogni pensiero di serbarsi immutabile. Invece di far
    mostra d'immutabilità fra mezzo alle continue mutazioni, deve star
    sempre vigilante ad osservare i segni della reazione che si
    approssima; deve cogliere il preciso momento per abbandonare una
    causa che sta per cadere. Avendo seguito a tutta oltranza una
    fazione mentre ella trovavasi preponderante, ei deve sollecitamente
    disimpacciarsene appena le difficoltà principiano; deve aggredirla,
    perseguitarla, gettarsi in un nuovo cammino, onde pervenire al
    potere ed alla prosperità, insieme co' suoi nuovi consorti. La nuova
    situazione naturalmente sviluppa in lui fino ad altissimo grado doti
    e vizi peculiari. Diventa acuto e pronto nell'osservare, e fecondo
    nel trovare espedienti. Afferra senza sforzo il contegno di ogni
    setta o partito, a cui gli accade di associarsi. Discerne i segni
    de' tempi con tale sagacia, che alla moltitudine sembra miracolosa;
    sagacia simile a quella con che un vecchio ufficiale di polizia
    tiene dietro ai più lievi vestigi del delitto, o con che un
    guerriero di Mohawk siegue la traccia altrui a traverso le foreste.
    Ma rade volte può trovarsi in un uomo siffattamente educato,
    integrità, costanza, o alcuna altra delle virtù figlie del vero. Non
    ha fede in nessun principio, nè zelo per alcuna causa. Ha veduto
    tante vecchie istituzioni andare in rovina, che non sente nessuna
    riverenza per la prescrizione. Ha veduto tante istituzioni nuove,
    dallo quali aspettavansi grandi cose, non produrre se non se
    disinganno, ch'egli non ha speranza di miglioramento. Irride
    egualmente e a coloro che vogliono conservare, e a coloro che
    agognano a riformare. Non vi ha cosa nello Stato ch'egli, senza
    scrupolo o rossore, non sia capace di difendere o distruggere. La
    fedeltà alle opinioni ed agli amici gli sembra pretta stupidezza, o
    falsità di giudizio. Considera la politica non come una scienza che
    deve mirare a rendere gli uomini felici, ma come un appetitoso
    giuoco di sorte e di destrezza, nel quale un giuocatore fortunato
    può vincere una baronia, un ducato e forse un Regno, mentre una
    mossa imprudente può produrre la perdita della roba e della vita.
    L'ambizione, che in tempi buoni ed in animi onesti è una mezza
    virtù, in lui, disgiunta da ogni nobile e filantropico sentimento,
    diventa una cupidità egoistica, turpe quasi al pari dell'avarizia.
    Fra quegli uomini politici, i quali, dalla Ristaurazione allo
    avvenimento della Casa di Hannover, erano a capo dei grandi partiti
    nello Stato, pochi sono coloro la cui fama non sia macchiata da ciò
    che nei tempi nostri si chiama grossolana perfidia e corruzione. Non
    sarebbe quasi esagerato lo affermare, che i più immorali uomini
    pubblici che a nostra memoria abbiano avuto in mano le pubbliche
    faccende, paragonati ai politici dell'ultima metà del secolo
    decimosettimo, ci paiono degni della lode di scrupolosi e
    disinteressati.
    
    XV. Mentre accadevano in Inghilterra coteste mutazioni politiche,
    religiose e morali, l'autorità regia era stata senza difficoltà
    ristabilita in ogni parte delle Isole Britanniche. In Iscozia, la
    restaurazione degli Stuardi era stata salutata con gioia, come
    quella che restaurava la indipendenza nazionale. Ed era pur vero che
    il giogo imposto da Cromwell era stato apparentemente scosso, che
    gli Stati di nuovo s'erano adunati nella loro antica sala in
    Edimburgo, e che i Senatori del Collegio di Giustizia ministravano
    di nuovo le leggi scozzesi secondo le antiche forme. Nondimeno, la
    indipendenza di quel piccolo Regno era necessariamente più nominale
    che reale; imperciocchè, fino a tanto che il Re aveva l'Inghilterra
    favorevole, ei non poteva nulla temere dalla disaffezione de' suoi
    altri dominii. Adesso trovavasi in condizioni tali, da ritentare ciò
    che era riuscito fatale al padre suo, senza paventarne la miseranda
    fine. Carlo I erasi provato ad imporre a forza, di propria autorità,
    la propria religione agli Scozzesi, nel punto istesso in cui la
    religione sua e la sua reale autorità non erano popolari in
    Inghilterra; e non solo non v'era riuscito, ma aveva suscitate
    turbolenze che gli costarono la Corona e la vita. I tempi ora
    procedevano mutati; la Inghilterra era zelante della monarchia e
    della prelatura; e però il disegno, che nella precedente generazione
    era stato imprudente all'estremo, poteva ritentarsi con poco rischio
    pel trono. Il Governo determinò di istituire una chiesa episcopale
    in Iscozia. Il disegno venne riprovato da ogni assennato e
    rispettabile scozzese. Parecchi uomini di Stato in Iscozia, zelanti
    della regia prerogativa, avevano ricevuto educazione presbiteriana.
    Comecchè poco turbati da scrupoli, amavano la religione della loro
    infanzia; e bene conoscevano quanto profonde avesse le radici ne'
    cuori de' loro concittadini. Protestarono vigorosamente; ma trovando
    inutili le proteste, non ebbero la virtù necessaria a perseverare in
    una opposizione che avrebbe offeso il loro signore, ed alcuni di
    loro piegaronsi alla ribalderia ed alla viltà di perseguitare quella
    che in coscienza credevano essere la forma più pura del
    cristianesimo. Il Parlamento scozzese era costituito in guisa da non
    avere mai fatto seria opposizione a principi assai più deboli di
    Carlo. L'episcopato, adunque, venne stabilito con una legge. In
    quanto alla forma del culto, fu lasciata non poca libertà al
    discernimento del clero. In talune chiese usavasi la liturgia
    inglese; in altre i ministri sceglievano, fra mezzo a quella
    liturgia, le preci e i rendimenti di grazie formulati in modo, da
    offendere meno il sentire del popolo. Ma in generale, la dossologia
    cantavasi alla fine delle sacre funzioni, e nel ministrare il
    battesimo recitavano il Credo degli Apostoli. La maggior parte della
    popolazione scozzese detestava la nuova Chiesa e come superstiziosa
    e come straniera; e perchè era deturpata dalle corruzioni di Roma, e
    perchè era segno della predominanza dell'Inghilterra. Nonostante,
    non vi fu insurrezione generale. Il paese non era più quel ch'era
    stato ventidue anni innanzi. Guerre disastrose e giogo straniero
    avevano prostrato lo spirito del popolo. L'aristocrazia, ch'era
    tenuta in grande onore dalle classi medie e dalla plebaglia, erasi
    posta a capo del movimento contro Carlo I; ma mostravasi poscia
    ossequiosa a Carlo II. Ormai nessuno aiuto era a sperarsi da parte
    de' Puritani inglesi; perocchè erano un partito debole, proscritto e
    dalla legge e dalla opinione pubblica. La massa della nazione
    scozzese, quindi, si sottomise tristamente, e con grandi timori di
    coscienza attendeva al servizio del clero episcopale, o de' ministri
    presbiteriani che avevano acconsentito ad accettare dal Governo una
    semi-tolleranza, conosciuta sotto il nome d'Indulgenza. Ma eranvi,
    massime nelle pianure occidentali, molti uomini fieri e ardimentosi,
    i quali credevano fermamente che l'obbligo di osservare la
    Convenzione fosse superiore a quello d'obbedire al magistrato.
    Costoro, in onta alla legge, continuavano a congregarsi onde adorare
    Dio secondo la loro credenza. Consideravano la Indulgenza, non come
    una riparazione parziale de' torti inflitti dai magistrati alla
    Chiesa, ma come un nuovo torto; il quale, per essere mascherato con
    l'apparenza d'un beneficio, pareva loro maggiormente odioso. La
    persecuzione, dicevano essi, può solo uccidere il corpo; ma
    l'aborrita Indulgenza torna fatale all'anima. Cacciati via dalle
    città, adunavansi su per i luoghi deserti e le montagne. Aggrediti
    dal potere civile, respingevano senza scrupolo la forza con la
    forza. Ad ogni conventicolo presentavansi armati. Spesso
    trascorrevano ad aperta ribellione. Venivano agevolmente sconfitti,
    e puniti senza misericordia; ma nè sconfitte nè pene potevano domare
    lo spirito loro. Inseguiti a guisa di belve, torturati fino ad avere
    le ossa slocate e dirotte, imprigionati, impiccati a centinaia, ora
    esposti alla licenza de' soldati inglesi, ora abbandonati alla mercè
    dei masnadieri delle montagne, tenevansi sempre sulle difese con un
    contegno così feroce, che il più ardito e potente oppressore non
    poteva non impaurire innanzi all'audacia della loro disperazione.
    
    XVI. Erano tali, durante il regno di Carlo II, le condizioni della
    Scozia. Quelle della Irlanda non erano meno triste. In quell'isola
    esistevano contese, in paragone delle quali le più calde animosità
    dei politici inglesi erano tiepide. L'inimicizia tra i Cavalieri e
    le Teste-Rotonde d'Irlanda fu quasi dimenticata quando riarse più
    feroce il conflitto tra la razza inglese e la celtica. La distanza
    tra gli Episcopali e i Presbiteriani sembrava svanire in paragone di
    quella che li separava(37) entrambi dai Papisti. Negli ultimi civili
    perturbamenti, mezzo il suolo irlandese dalle mani de' vinti era
    passato in quelle de' vincitori. Pochi de' vecchi o dei nuovi
    occupanti meritavano il favore della Corona. Gli spogliatori e gli
    spogliati erano, in massima parte, stati egualmente ribelli. Il
    Governo divenne tosto perplesso, e stanco de' reclami e delle
    scambievoli accuse delle due inferocite fazioni. Quei coloni, ai
    quali Cromwell aveva distribuito il territorio conquistato, e i
    discendenti de' quali chiamavansi tuttavia Cromwelliani, allegavano
    che gli abitanti aborigeni erano nemici mortali della nazione
    inglese sotto qualsifosse dinastia, e della religione protestante
    sotto qualunque forma. Descrivevano ed esageravano le atrocità
    commesse nella insurrezione di Ulster; incitavano il Re a seguitare
    risolutamente la politica del Protettore; non avevano vergogna
    d'affermare come non ci fosse da sperare mai pace in Irlanda, finchè
    non venisse onninamente estirpata la vecchia razza irlandese. I
    Cattolici Romani scusavansi come meglio potevano, e lamentavano con
    tristi parole la severità delle loro pene; che, a dir vero, non
    erano miti. Scongiuravano Carlo di non confondere lo innocente col
    colpevole, e gli rammentavano che molti de' colpevoli avevano
    espiato i loro falli ritornando alla obbedienza del loro sovrano, e
    difendendo i diritti di lui contro gli assassini del suo genitore.
    La Corte, nauseata dallo importunare di due partiti, nessuno de'
    quali essa aveva cagione di amare, in fine volle liberarsi d'ogni
    disturbo dettando un atto di concordia. Quel sistema crudele, ma
    compito ed energico, che Oliviero erasi proposto onde rendere
    affatto inglese quell'isola, venne abbandonato. I Cromwelliani
    furono indotti a rendere un terzo dei loro beni; i quali vennero
    capricciosamente distribuiti fra quei pretendenti che il Governo
    volle favorire. Ma moltissimi che protestavano d'essere innocenti di
    slealtà, e parecchi altri che menavano singolar vanto della lealtà
    loro, non ottennero nè restituzione nè compensazione, ed empirono la
    Francia e la Spagna di gridi contro la ingiustizia e la
    ingratitudine della Casa degli Stuardi.
    
    XVII. Intanto il Governo aveva, anche in Inghilterra, perduta la sua
    popolarità. I realisti avevano cominciato a contendere con la Corte
    e fra loro stessi; e la parte vinta, calpesta, e, come pareva,
    annientata, ma che serbava tuttavia un vigoroso principio di vita,
    alzò nuovamente il capo, e rinnovò la interminabile guerra.
    
    Quando anche l'amministrazione avesse proceduto scevra di falli,
    l'entusiasmo con che il popolo aveva salutato il ritorno del Re e la
    fine della tirannide militare, non avrebbe potuto durare; avvegnachè
    sia legge di natura, che a tali repentini eccitamenti tenga dietro
    la calma. Il modo onde la Corte abusò della propria vittoria,
    affrettò e rese compiuta cotesta calma. Ogni uomo moderato mal
    pativa la insolenza, la crudeltà, la perfidia, con che venivano
    trattati i non-conformisti. Le leggi penali avevano efficacemente
    purgata la parte oppressa di quegli individui poco sinceri, i vizi
    de' quali le scemavano la reputazione; e l'avevano resa di nuovo una
    società di onesti uomini e pii. Il Puritano vincitore, governante,
    persecutore, sequestratore, era stato aborrito, tradito,
    bistrattato, abbandonato da' temporeggiatori che ne' giorni prosperi
    gli avevano giurata fratellanza, cacciato via dal proprio tetto,
    interdetto sotto pene severe a pregare o ricevere i sacramenti
    secondo la propria coscienza; e, non ostante, sempre fermo nel
    proposito di obbedire a Dio meglio che all'uomo, era, in onta a
    certe spiacevoli rimembranze, obietto di pietà e riverenza a tutte
    le menti diritte. Cotesti sentimenti divennero più forti allorchè
    corse la voce che la Corte non intendeva trattare i Papisti col
    medesimo rigore con che aveva trattati i Presbiteriani. Nacque in
    cuore di molti il sospetto che il Re e il Duca non fossero
    protestanti sinceri. Molti, oltre a ciò, che non avevano potuto
    soffrire l'austerità ed ipocrisia de' Farisei della Repubblica,
    cominciarono a sentire maggiore disgusto della impudente corruttela
    della Corte e de' Cavalieri, e inclinavano a dubitare che l'austera
    rigorosità di Laudaddio Barebone non fosse da preferirsi
    all'oltraggiosa profanazione e licenza dei Buckingham e dei Sedley.
    Anche quegli uomini immorali che non erano estranei al sentimento e
    allo spirito pubblico, querelavansi vedendo il Governo trattare le
    cose più gravi come pretti trastulli, e considerare le cose da nulla
    come cose gravi. Poteva ad un Re perdonarsi ch'ei si svagasse col
    vino, col brio, con le donne; ma era intollerabile ch'egli si
    perdesse oziando e immerso ne' piaceri, che le più gravi faccende
    dello Stato fossero trascurate, e che gli ufficiali pubblici
    morissero di fame, mentre devastavansi le finanze onde arricchire
    meretrici e parassiti.
    
    Gran numero di realisti facevano eco a tali querimonie, ed
    aggiungevano molte pungenti considerazioni intorno la ingratitudine
    del Re. Veramente, le intere sue entrate non sarebbero bastate a
    rimunerarli secondo ch'essi credevano di meritare. Perocchè, ad ogni
    impoverito gentiluomo che aveva combattuto sotto Rupert o Derby, i
    propri servigi parevano eminentemente meritorii, e i propri danni
    eminentemente duri. Ciascuno aveva sperato, sia che si fosse degli
    altri, ch'ei verrebbe con larghezza ricompensato di tutte le perdite
    sostenute nelle lotte civili, e che la restaurazione della monarchia
    avrebbe restaurato i suoi beni dilapidati. Nessuno di questi
    speranzosi potè frenare lo sdegno, allorquando trovossi così povero
    sotto il Re, come era stato sotto il Parlamento repubblicano o sotto
    il Protettore. La negligenza e la stravaganza della Corte svegliò la
    collera di cotesti leali veterani. Dicevano giustamente, che mezzi i
    tesori che il Re profondeva a beneficio delle concubine e de'
    buffoni, potevano racconsolare i cuori di centinaia de' vecchi
    Cavalieri, i quali dopo d'avere abbattuti i boschi e fuse le
    argenterie loro onde soccorrere il padre suo, adesso erravano
    intorno in povero arnese, e non sapevano dove rivolgersi per un
    tozzo di pane.
    
    Nel tempo stesso, le rendite improvvisamente ribassarono. La entrata
    d'ogni possidente di terre scemò di cinque scellini per ogni lira
    sterlina. In ogni Contea del Regno levossi il grido della miseria
    agricola; di che, secondo il costume, fu chiamato in colpa il
    Governo. I gentiluomini, costretti a diminuire le loro spese,
    vedevano con isdegno il crescente splendore e la profusione di
    Whitehall, e fermamente credevano che la pecunia la quale doveva
    servire al sostegno delle loro famiglie, era passata, in modo
    inesplicabile, ai favoriti del Re.
    
    Tutti gli animi, quindi, divennero esacerbati in guisa, che ogni
    atto pubblico eccitava il malcontento. Carlo aveva sposata Caterina
    principessa di Portogallo. Tale matrimonio generalmente dispiacque;
    e le mormorazioni divennero più forti allorchè si conobbe che il Re
    non aveva speranza di discendenti legittimi. Dunkerque, tolta alla
    Spagna da Oliviero, fu venduta a Luigi XIV Re di Francia. Ciò
    riaccese lo sdegno in cuore di tutti gl'Inglesi, i quali
    cominciavano ad osservare con inquietudine il progresso della
    potenza francese, e a sentire per la Casa de' Borboni ciò che gli
    avi loro avevano sentito per la Casa d'Austria. Domandavano se fosse
    cosa savia in tempo siffatto aggiungere forza ad una Monarchia
    troppo formidabile. Dunkerque, inoltre, veniva considerata dal
    popolo, non solamente come piazza d'armi e chiave de' Paesi Bassi,
    ma anche come trofeo del valore inglese. Essa era per i sudditi di
    Carlo ciò che Calais era stata pei loro antenati, e ciò che la rocca
    di Gibilterra, difesa con tanto valore, in tempi pieni di disastri e
    pericoli, contro le flotte e le armate di una potente coalizione, è
    per noi stessi. La economia sarebbe stata una valida scusa, se
    l'avesse allegata un Governo economo. Ma sapevano tutti che le spese
    necessarie a mantenere Dunkerque erano frivole, di fronte alle somme
    che nella Corte dissipavansi in vizi e follie. E' pareva cosa da non
    potersi patire, che un sovrano smisuratamente prodigo in tutto ciò
    che spettava ai propri piaceri, dovesse mostrarsi avaro in tutto ciò
    che spettava alla sicurezza ed all'onore dello Stato.
    
    Il pubblico malcontento si fece maggiore allorquando si conobbe che,
    mentre Dunkerque erasi abbandonata sotto pretesto d'economia, la
    fortezza di Tangeri, la quale era parte della dote della Regina
    Caterina, fu riparata ed armata con enormi spese. Tangeri non
    racchiudeva memorie gradite all'orgoglio nazionale; non poteva in
    nessun modo promuovere gl'interessi della nazione; avvolgeva il
    paese in una guerra ingloriosa, non proficua e interminabile, con le
    semiselvagge tribù de' Mussulmani; ed era posta in un clima
    grandemente nocivo alla sanità ed al vigore della razza inglese.
    
    XVIII. Ma le mormorazioni provocate da cotesti falli erano deboli,
    in agguaglio de' clamori che scoppiarono appena il Governo ebbe
    dichiarata la guerra alle Provincie Unite. La Camera de' Comuni
    sollecitamente votò somme di danaro senza esempio nella nostra
    storia, somme superiori a quelle che erano bastate a mantenere le
    flotte e le armate di Cromwell nel tempo in cui il suo potere faceva
    tremare tutto il mondo. Ma fu tanta la stravaganza, la disonestà, la
    incapacità de' suoi successori, che siffatta liberalità riuscì
    peggio che inutile. Gli adulatori di Corte, inetti a contendere
    contro i grandi uomini che allora comandavano le armi olandesi,
    contro un uomo di Stato come De Witt, e contro un capitano come De
    Ruytor, impinguaronsi con subiti guadagni; mentre i marinai
    ammutinavansi per fame, gli arsenali rimanevano senza guardie, e le
    navi erano sdrucite e prive di arnesi. In fine, fu risoluto di
    abbandonare ogni pensiero di guerra offensiva; ma subito fu a tutti
    manifesto, che anche una guerra difensiva era soma troppo grave per
    il Governo. La flotta olandese si spinse su pel Tamigi, ed incendiò
    le navi da guerra che stavano ancorate a Chatham. Si sparse la voce
    che in quello stesso giorno in cui l'onore inglese rimase umiliato,
    il Re gozzovigliava con le femmine del suo serraglio, e svagavasi
    dando la caccia ad una farfalla dentro la sala da cena. Allora e' fu
    che tarda giustizia venne resa alla memoria d'Oliviero. In ogni dove
    magnificavasi il valore, lo ingegno, l'amor patrio di lui. In ogni
    dove rammentavasi come, lui governante, tutti i potentati stranieri
    tremassero al nome della Inghilterra; come gli Stati Generali,
    adesso così altieri, gli si fossero rispettosamente inchinati: ed
    appena si conobbe ch'ei più non era, la città d'Amsterdam venisse
    tutta illuminata quasi in segno di liberazione, e i fanciulli
    corressero attorno i canali gridando con gioia che il Diavolo era
    morto. Anche i realisti esclamavano che lo Stato non poteva
    salvarsi, se non chiamando sotto le armi i vecchi soldati della
    Repubblica. Tosto la metropoli cominciò a provare le miserie
    dell'assedio. Mancavano i combustibili. Il forte di Tilbury, luogo
    d'onde Elisabetta aveva scherniti gli oltraggi di Parma e di Spagna,
    venne insultato dagl'invasori. I cittadini di Londra, per la prima
    ed ultima volta, udirono il rimbombo de' cannoni forestieri. Venne
    proposto in Consiglio di abbandonare la Torre, qualora il nemico si
    spingesse innanzi. Grosse torme di popolo accalcavano nelle strade
    gridando che l'Inghilterra era venduta. Le case e i cocchi de'
    Ministri furono aggrediti dalla plebaglia; e il Governo temeva di
    dovere combattere a un tempo la invasione e la insurrezione. Vero è
    che lo estremo pericolo durò poco. Venne concluso un trattato assai
    diverso da quelli ai quali Oliviero aveva costume di apporre la
    firma; e la nazione riebbe la pace, ma il suo contegno fu poco meno
    minaccioso e tristo di quello che aveva mostrato nei giorni della
    imposta per mantenere la flotta.
    
    I mali umori generati dalla pessima amministrazione, furono
    accresciuti da calamità che la migliore amministrazione non avrebbe
    potuto scansare. Mentre inferociva la guerra ignominiosa con la
    Olanda, Londra patì due disastri gravi che, in tempo si breve, non
    afflissero mai tanto città nessuna. Una pestilenza, assai più
    orribile di qualunque altra nello spazio di tre secoli avesse
    visitata l'isola, mieté in sei mesi centomila e più creature umane;
    ed appena i carri mortuari avevano cessato di andare attorno, quando
    un incendio, quale non s'era mai veduto in Europa dopo il
    bruciamento di Roma sotto Nerone, ridusse in rovine la città tutta
    quanta, dalla Torre fino al Tempio, e dal fiume sino a Smithfield.
    
    XIX. Se, mentre la nazione travagliavasi fra tante sciagure e tante
    umiliazioni, vi fosse stata una elezione generale, le Teste-Rotonde
    avrebbero probabilmente riacquistata la preponderanza nello Stato.
    Ma il Parlamento era tuttavia popolato di Cavalieri, eletti nello
    entusiasmo della lealtà che aveva seguita la Restaurazione.
    Nondimeno, tosto fu noto a tutti che nessuna Legislatura Inglese,
    leale quanto si volesse, si terrebbe paga d'essere ciò che la
    Legislatura era stata sotto i Tudors. Dalla morte d'Elisabetta fino
    alla vigilia della guerra civile, i Puritani che predominavano nel
    corpo rappresentativo, avevano sempre più, destramente adoperando il
    potere della borsa, usurpato nel campo del Potere Esecutivo. I
    gentiluomini, i quali, dopo la Restaurazione, sedevano nella Camera
    Bassa, comecchè abborrissero il nome de' Puritani, erano lieti di
    avere raccolti i frutti della politica puritana. Certo, desideravano
    molto di valersi del potere che esercitavano nello Stato, onde
    rendere il Re potente e rispettato dentro il Regno e fuori: ma erano
    determinati a non lasciarsi privare di tale potere. La grande
    rivoluzione inglese del secolo decimosettimo, val quanto dire il
    trapasso del supremo sindacato dell'amministrazione esecutiva dalla
    Corona alla Camera de' Comuni, procedette, durante la lunga
    esistenza di quel Parlamento, con rapidità e fermezza. Carlo,
    impoverito da' suoi vizi e dalle sue follie, aveva mestieri di
    danari, e non poteva procacciarsene se non per concessione de'
    Comuni; ai quali non poteva impedirsi di porre a prezzo le loro
    concessioni. Il prezzo che vi posero fu questo, che venisse loro
    conceduto d'immischiarsi in ciascuna delle prerogative del Re; di
    forzarlo ad approvare le leggi che a lui spiacessero; licenziare
    Ministeri; dettare la condotta da tenersi nella politica estera, ed
    anche dirigere l'amministrazione della guerra. All'ufficio ed alla
    persona del Re professavansi altamente affettuosi e devoti. Ma
    ricusavano di obbedire a Clarendon, e gli si scagliarono contro, con
    furore pari a quello con che i loro predecessori avevano tempestato
    Strafford.
    
    XX. Le virtù e i vizi di quel Ministro cooperarono alla sua ruina.
    Era il capo apparente dell'amministrazione, e quindi veniva
    considerato mallevadore anche di quegli atti ai quali fortemente, ma
    invano, erasi opposto in Consiglio. I Puritani, e tutti coloro che
    ne sentivano pietà, lo reputavano qual bacchettone implacabile, un
    secondo Laud, fornito di maggiore intelligenza. Aveva sempre
    sostenuto che l'Atto d'Indennità dovesse rigorosamente osservarsi;
    ed in ciò la sua condotta, quantunque fosse per lui singolarmente
    onorevole, lo rese odioso a tutti quei realisti, i quali bramavano
    di rifarsi delle perdite sostenute nelle sostanze, citando le
    Teste-Rotonde a pagare i danni. I Presbiteriani di Scozia gli
    attribuivano la caduta della loro Chiesa. I Papisti d'Irlanda lo
    addebitavano della perdita delle loro terre. Come padre della
    Duchessa di York, aveva cagione a desiderare che la Regina fosse
    sterile; e però cadde in sospetto di avere proposta al Re una sposa
    che non poteva dargli prole. La vendita di Dunkerque venne a lui
    giustamente ascritta. Con meno giustizia gli chiedevano ragione
    della guerra con la Olanda. La sua indole accensibile, l'arrogante
    contegno, la impudente avidità di ricchezze, la ostentazione con che
    le profondeva, la sua pinacoteca piena dei capolavori di Vandyke che
    un tempo avevano adornate le sale degli impoveriti Cavalieri, il suo
    palagio che spiegava una lunga e magnifica facciata di contro alla
    reggia di più umile aspetto, gli provocarono contro molte meritate e
    non meritate censure. Quando la flotta olandese era nelle acque del
    Tamigi, la rabbia del popolaccio si scagliò precipuamente contro il
    Cancelliere. Gli ruppero le finestre, gli devastarono il giardino, e
    inalzarono una forca dinanzi alla sua casa. Ma in nessun luogo era
    tanto detestato, quanto nella Camera de' Comuni. Non vedeva come
    celeremente si approssimasse il tempo in cui la Camera, seguitando
    ad esistere, diventerebbe il potere supremo nello Stato; il
    governarla sarebbe la parte più importante della politica; e senza
    l'aiuto di uomini che padroneggiassero le orecchie di cotesta
    Camera, sarebbe impossibile tirare innanzi il Governo. Ei persisteva
    ostinatamente a considerare il Parlamento come un corpo in nulla
    diverso da quello che esisteva quaranta anni innanzi, allorchè egli
    si pose a studiare Diritto nel Tempio. Non intendeva a privare la
    legislatura de' poteri ad essa inerenti secondo l'antica
    Costituzione del Regno; ma il nuovo esplicamento di cosiffatti
    poteri, quantunque fosse naturale, inevitabile, e da non potersi
    fermare se non se distruggendoli affatto, spiacevagli e lo metteva
    in paura. Niuna cosa lo avrebbe indotto ad apporre il gran sigillo a
    un decreto fatto ad esigere la imposizione per le navi, o votare in
    Consiglio di chiudere dentro la Torre un membro del Parlamento, reo
    di avere liberamente favellato in una discussione: ma quando la
    Camera de' Comuni cominciò a voler sapere in che modo il denaro
    votato per la guerra era stato speso, e togliere ad esame la pessima
    amministrazione della flotta, egli arse di sdegno. Tale esame,
    secondo lui, era fuori delle attribuzioni della Camera. Ammetteva
    che essa era una Assemblea lealissima, che aveva resi buoni servigi
    alla Corona, e che le sue intenzioni erano ottime; ma, tanto in
    pubblico quanto in privato, ei coglieva ogni destro per manifestare
    la propria inquietudine nel vedere gentiluomini così affettuosi
    della Monarchia, invadere sconsigliatamente le prerogative del
    Monarca. Diceva che, comunque lo spirito loro differisse grandemente
    da quello de' membri del Lungo Parlamento, nulladimeno gli imitavano
    mestando in cose che stavano oltre la sfera degli Stati del reame,
    ed erano soggette all'autorità sola della Corona. Affermava che il
    paese non sarebbe mai governato convenevolmente, finchè i
    rappresentanti delle Contee e de' borghi non fossero paghi di essere
    ciò che i loro predecessori erano stati nei tempi di Elisabetta.
    Respinse sdegnosamente, come indigesti progetti, incompatibili con
    l'antica politica inglese, tutti que' disegni che uomini assai più
    di lui conoscitori de' sociali bisogni proponevano a fine di
    mantenere la buona intelligenza tra la Corte e i Comuni. Il suo
    contegno verso gli oratori giovani che andavano acquistando
    reputazione ed autorità nella Camera Bassa, era sgraziato: gli
    riuscì di renderseli, forse senza eccettuarne nè anche un solo,
    mortali nemici. A vero dire, uno de' suoi falli più gravi fu lo
    stemperato dispregio ch'egli affettava per la gioventù; dispregio
    tanto meno giustificabile, in quanto la esperienza che aveva nella
    politica inglese non era affatto proporzionata alla età sua.
    Imperciocchè era vissuto tanti anni lungi dalla patria, ch'ei
    conosceva la società fra mezzo alla quale trovossi appena ritornato,
    meno di quanto la conoscessero molti uomini che avrebbero potuto
    essergli figli.
    
    Per tali ragioni, la Camera de' Comuni non lo poteva patire; mentre
    per ragioni assai diverse ei non piaceva alla Corte. La sua morale,
    non che la sua politica, erano quelle della precedente generazione.
    Anco quando studiava Diritto, vivendo in compagnia di giovani amanti
    del brio e de' piaceri, la sua gravità naturale e i suoi principii
    religiosi lo avevano preservato dal contagio delle dissolutezze in
    voga: non era, dunque, verosimile che negli anni maturi diventasse
    libertino. I vizi degli allegri giovani ei guardava con quasi tanta
    avversione acre e sprezzante, quanta ne sentiva per gli errori
    teologici de' settari. Non lasciava mai fuggire il destro di
    schernire i mimi, i folleggianti e i cortigiani che riempivano la
    reggia; e gli ammonimenti che dava al Re stesso erano molto
    pungenti, e - il che anco più spiaceva a Carlo - molto prolissi. Nè
    anche una voce levossi a difendere un Ministro colpito dall'odio dei
    falli che provocavano il furore del popolo, e da quello delle virtù
    che tornavano moleste e importune al sovrano. Southampton non era
    più. Ormond compì i doveri d'amicizia con energia e fedeltà, ma
    invano. Il Cancelliere fu avvolto in una grande rovina. Il Re gli
    tolse i sigilli; la Camera de' Comuni lo pose in istato d'accusa; la
    sua vita non rimase sicura; ei fuggì dal paese; un editto lo dannava
    ad esilio perpetuo; e coloro che lo avevano assalito, minandogli il
    terreno di sotto ai piedi, si misero a contendere per dividersi le
    spoglie del caduto.
    
    Il sacrificio di Clarendon ammorzò un poco la sete di vendetta che
    ardeva nel popolo. Nondimeno, l'ira sua, rieccitata dalla profusione
    e dalla negligenza del Governo, e dalla pessima condotta della
    ultima guerra, non era per nulla spenta. I consiglieri di Carlo,
    tenendo dinanzi agli occhi la miseranda sorte del Cancelliere,
    trepidavano per la propria sicurezza. Avvertirono, quindi, il loro
    signore a calmare la irritazione che prevaleva nel Parlamento e per
    tutto il paese, ed a tal fine appigliarsi ad un provvedimento che
    non ha nulla di simile nella storia degli Stuardi, e che era degno
    della prudenza e magnanimità d'Oliviero.
    
    XXI. Siamo adesso pervenuti ad un punto, in cui la storia della
    grande rivoluzione inglese principia a complicarsi con la storia
    della politica straniera. La potenza spagnuola veniva, da molti
    anni, volgendo in basso. Egli è vero che possedeva tuttavia in
    Europa il Milanese, le Due Sicilie, il Belgio e la Franca Contea; e
    che in America i suoi dominii distendevansi da ambi i lati dello
    equatore, al di là de' confini della zona torrida. Ma cotesto grande
    corpo era stato colpito da paralisi, e non solo era incapace di
    molestare gli altri Stati, ma non valeva, senza l'altrui soccorso, a
    respingere l'aggressione. La Francia, senza nessun dubbio, era la
    più grande delle Potenze europee. I suoi mezzi d'allora in poi sono
    venuti sempre crescendo, ma non così celeremente come quelli
    dell'Inghilterra. È uopo rammentare, che centottanta anni fa, lo
    Impero di Russia era affatto fuori del sistema politico d'Europa, al
    pari dell'Abissinia o del Siam; che la casa di Brandeburgo era
    appena più potente di quella di Savoia; e che la Repubblica degli
    Stati-Uniti non esisteva affatto. La potenza francese quindi, benchè
    tuttora sia considerevole, è relativamente scemata. Il suo
    territorio ai tempi di Luigi XIV non era esteso come ai dì nostri;
    ma era grande, unito, fertile, bene adatto all'offesa ed alla
    difesa, posto sotto un bel clima, e popolato da genti valorose,
    operose ed industri. Lo Stato era implicitamente retto da una sola
    mente suprema. I grandi feudi, che, trecento anni avanti, erano in
    tutto, tranne nel nome solo, principati indipendenti, erano stati
    annessi alla Corona. Solo pochi vecchi potevano rammentarsi
    dell'ultima ragunanza degli Stati Generali. La resistenza che gli
    Ugonotti, i Nobili e i Parlamenti avevano opposta al regio potere,
    era stata annientata da' due grandi Cardinali, che per lo spazio di
    quaranta anni avevano governata la nazione. Il Governo era un pretto
    dispotismo; ma, almeno verso le classi elevate, dispotismo mite e
    generoso, e temperato da modi cortesi e da sentimenti cavallereschi.
    I mezzi de' quali poteva disporre il Sovrano, erano per quell'età
    veramente formidabili. La sua rendita, riscossa, a dir vero, per
    mezzo di tassazioni severe ed ineguali, che pesavano gravemente
    sopra i coltivatori del suolo, sorpassava d'assai quella d'ogni
    altro potentato. Il suo esercito, egregiamente disciplinato e
    comandato dai più grandi Generali che allora vivessero, era già
    composto di centoventi e più mila uomini. Tanto numero di truppe
    regolari non s'era mai veduto in Europa, dalla caduta dello Impero
    Romano in poi. Tra le Potenze marittime, la Francia non era la
    prima. Ma, comecchè avesse rivali, non era inferiore a nessuna. Era
    tale la sua forza negli ultimi quaranta anni del secolo
    decimosettimo, che nessun nemico poteva da sé solo resisterle; e due
    grandi coalizioni, nelle quali mezza la Cristianità le moveva
    contro, non ebbero prospero successo.
    
    XXII. Le doti personali del Re francese accrescevano il rispetto che
    veniva ispirato dal potere e dalla importanza del suo reame. Non vi
    fu mai Sovrano che rappresentasse con più dignità e grazia la maestà
    d'un grande Stato. Egli era il suo proprio primo Ministro, e,
    compiva i doveri di quell'arduo ufficio con tale abilità ed
    industria, che non potevano a ragione aspettarsi in un uomo che fino
    dalla infanzia aveva portata la Corona, ed era stato circondato da
    una folla d'adulatori innanzi che fosse in istato di parlare. Aveva
    mostrato di possedere in grado eminente due pregii inestimabili in
    un principe: lo ingegno, cioè, di scegliere i suoi servi; e quello
    di addossare a sè stesso la parte precipua del credito degli atti
    loro. Nelle relazioni co' potentati stranieri fu alquanto generoso,
    ma non mai giusto. Agli alleati infelici, i quali gettavansi ai suoi
    piedi, e non avevano altra speranza che nella sua commiserazione,
    largì la propria protezione con disinteresse romantico, che sembrava
    meglio convenire ad un cavaliere errante, che ad un uomo di Stato.
    Ma ruppe senza scrupolo o vergogna i vincoli più sacri della fede
    pubblica, ogni qualvolta essi toccavano il suo interesse, o ciò che
    egli chiamava sua gloria. La sua perfidia e violenza, nondimeno,
    eccitavano meno inimicizia di quello che facesse la insolenza con
    che rammentava di continuo ai vicini la sua grandezza e la
    piccolezza loro. In quel tempo non era caduto in quell'austera
    divozione, la quale poscia dètte alla sua Corte la sembianza d'un
    monastero. Era invece licenzioso, benchè non così frivolo ed
    indolente, come il suo confratello d'Inghilterra. Era sinceramente
    cattolico romano; e la coscienza e la vanità sue lo spingevano a
    adoperare la propria possanza onde difendere e propagare la vera
    fede, secondo lo esempio de' suoi famosi predecessori, Clodoveo,
    Carlomagno e San Luigi.
    
    I nostri antichi consideravano con grave sospizione la crescente
    potenza della Francia. Tale sentimento, in sè perfettamente
    ragionevole, era misto ad altri meno degni di lode. La Francia era
    nostra vecchia nemica. Contro essa erano state combattute le
    battaglie più famose di cui facessero ricordo gli annali nostri. Il
    conquisto della Francia era stato due volte fatto dai Plantageneti.
    La perdita della Francia era stata lungo tempo rammentata come un
    grande disastro nazionale. Del titolo di Re di Francia seguitavano
    ad insignirsi i nostri Sovrani. I gigli di Francia apparivano
    commisti coi nostri Leoni sull'arme della Casa degli Stuardi. Nel
    secolo sedicesimo il timore ispirato dalla Spagna aveva sospesa
    l'animosità alla quale dapprima era stato obietto la Francia. Ma la
    paura fattaci dalla Spagna era terminata in una sprezzante
    commiserazione; e la Francia venne nuovamente considerata come
    nostra nemica nazionale. La vendita di Dunkerque fatta alla Francia,
    era stata l'atto più impopolare della Monarchia restaurata.
    L'affetto verso la Francia era uno de' principali delitti di che la
    Camera de' Comuni accusava Clarendon. Perfino nelle inezie
    mostravasi il pubblico sentire. Quando nelle strade di Westminster
    seguì un tafferuglio tra i familiari della Legazione Francese e quei
    della Spagnuola, la plebaglia, comecchè dalla forza fosse impedita
    d'immischiarvisi, aveva dati manifestissimi segni che provavano come
    il vecchio abborrimento vivesse tuttavia.
    
    La Francia e la Spagna erano allora ravvolte in una gravissima
    contesa. Uno de' fini precipui della politica di Luigi, fine al
    quale egli tenne dietro per tutta la sua vita, era quello di
    estendere i suoi dominii sino al Reno. A tale scopo aveva mossa
    guerra alla Spagna, e già proseguiva prosperamente le proprie
    conquiste. Le Provincia Unite vedevano con timore il progresso delle
    armi francesi. Quella rinomata Confederazione era pervenuta ad
    altezza di possanza, prosperità e gloria. Il territorio batavo,
    contrastato alle onde marine, e difeso contro esse dall'arte
    dell'uomo, era per estensione poco più del Principato di Galles. Ma
    tutto quello angusto spazio era una specie di operoso ed affollato
    alveare, in cui ogni giorno producevansi ricchezze nuove, ed
    accumulavansi in vaste masse le antiche. Lo aspetto dell'Olanda, la
    ricca coltivazione, gl'innumerevoli canali, i molini sempre in
    attività, lo infinito numero di barche, le grandi città sparse a
    poca distanza l'una dall'altra, i porti affollati di migliaia di
    navi, i grandi e maestosi edifizi, le ville eleganti, gli
    appartamenti splendidamente addobbati, le gallerie di pitture, le
    logge, i campi fioriti di tulipani, producevano nell'animo de'
    viaggiatori inglesi di que' giorni lo effetto che ai nostri produce
    la vista dell'Inghilterra nella mente di un abitatore della Norvegia
    o del Canadà. Gli Stati Generali furono costretti ad umiliarsi al
    cospetto di Cromwell. Ma dopo la Restaurazione, presero la
    rivincita, guerreggiando prosperamente contro Carlo, e concludendo
    una pace a patti onorevoli. Per quanto ricca, però, fosse la
    Repubblica ed altamente rispettata in Europa, non poteva resistere
    alla potenza di Luigi. Sospettava, non senza cagione, che il Regno
    Francese si potesse estendere fino ai batavi confini, ed aveva da
    temere la immediata vicinanza di un monarca così grande, ambizioso e
    scevro di scrupoli. Eppure, non era cosa facile trovare un
    espediente che potesse allontanare il pericolo. I soli Olandesi non
    potevano far traboccare la bilancia contro la Francia. Dalla parte
    del Reno non erano da aspettarsi aiuti nessuni. Alcuni Principi
    germanici s'erano fatti parteggiatori di Luigi, e lo stesso
    Imperatore tenevano impacciato i malcontenti degli Ungheri. La
    Inghilterra era separata dalle Provincie Unite per la rimembranza
    de' danni crudeli di recente inflitti e patiti; e la sua politica,
    dopo la Restaurazione, era stata cotanto scema di saviezza e di
    spirito, che era appena possibile lo sperarne un valido aiuto.
    
    Ma la sorte di Clarendon, e i crescenti malumori del Parlamento,
    spinsero i consiglieri di Carlo a adottare repentinamente una
    politica che maravigliò ed empì di gioia la nazione.
    
    XXIII. Sir Guglielmo Temple, agente inglese in Brusselles, uno dei
    più esperti diplomatici e de' più dilettevoli scrittori di
    quell'età, aveva già fatto sapere alla propria Corte, come fosse
    desiderabile ed insieme agevole trattare cogli Stati Generali, onde
    far fronte al progresso della Francia. Per un certo tempo le sue
    suggestioni erano state poste in non cale; ma adesso fu reputato
    utile seguirle. A lui, dunque, fu commesso di negoziare cogli Stati
    Generali. Si condusse all'Aja, e tosto s'accordò con Giovanni De
    Witt, che allora era primo Ministro d'Olanda. La Svezia, per quanto
    piccoli fossero i suoi mezzi, erasi quaranta anni innanzi, mercè il
    genio di Gustavo Adolfo, innalzata ad eminente grado fra i potentati
    europei, e non era per anche discesa alla sua naturale posizione.
    Nella riferita occasione, essa venne indotta a collegarsi alla
    Inghilterra ed agli Stati. In tal guisa formossi quella coalizione
    conosciuta sotto il nome di Triplice Alleanza. Luigi mostrò
    d'esserne vessato, e di provarne risentimento; ma non reputò atto di
    sana politica il tirarsi addosso le ostilità d'una tanta
    confederazione, che aggiungevansi a quelle della Spagna. Assentì
    quindi ad abbandonare una gran parte del territorio occupato
    dall'armi sue. L'Europa riebbe la pace, e il Governo Inglese, che
    poco innanzi era universalmente spregiato, venne per pochi mesi
    considerato dalle Potenze straniere con rispetto quasi uguale a
    quello che il Protettore aveva ad esse ispirato.
    
    Dentro lo Stato, la Triplice Alleanza era oltremodo popolare, come
    quella che ad un tempo satisfaceva l'animosità nazionale, e il
    nazionale orgoglio. Poneva un confine alle usurpazioni d'un potente
    ed ambizioso vicino. Avvincolava in istretta unione i principali
    Stati protestanti. Le Teste-Rotonde e i Cavalieri ne gioivano
    egualmente: ma la gioia degli uni era maggiore di quella degl'altri;
    imperciocchè la Inghilterra erasi intimamente collegata con un paese
    di governo repubblicano e di religione presbiteriana, contro un
    paese retto da un principe arbitrario, ed affezionato alla Chiesa
    Cattolico-Romana. La Camera de' Comuni plaudì clamorosamente al
    trattato; ed alcuni mormoratori non cortigiani lo chiamarono l'unico
    atto lodevole che il Re avesse mai fatto, dopo la ristaurazione del
    trono.
    
    XXIV. Il Re, nulladimeno, davasi poco pensiero dell'approvazione del
    Parlamento o del popolo. Considerava la Triplice Alleanza solo come
    un espediente temporaneo a calmare il malcontento, che accennava di
    farsi grave. La indipendenza, la sicurtà, la dignità della nazione
    alla quale ei presedeva, erano nulla agli occhi suoi. Aveva
    cominciato a trovare incomode le limitazioni costituzionali. Erasi
    già formata nel Parlamento una forte colleganza, conosciuta sotto il
    nome di partito patriottico. Comprendeva tutti gli uomini pubblici
    che inchinavano alla repubblica e al puritanismo, e molti altri i
    quali, quantunque aderenti alla Chiesa stabilita e alla Monarchia
    ereditaria, erano stati tratti alla opposizione dalla paura del
    papismo, dalla paura della Francia, e dal disgusto che sentivano
    della stravaganza, dissolutezza e perfidia della Corte. La potenza
    di cotesta legione di uomini politici andava ognora crescendo.
    Ciascun anno, alcuni di que' rappresentanti che erano stati rieletti
    durante lo entusiasmo di lealtà del 1661, tiravansi da parte, e i
    seggi vacanti venivano generalmente occupati da individui meno
    docili. Carlo non estimavasi vero Re, finchè un'Assemblea di sudditi
    poteva chiamarlo al rendimento de' conti, innanzi che egli avesse
    pagati i suoi debiti, ed insistere onde conoscere quale delle sue
    amanti o de' suoi cortigiani si fosse appropriata la pecunia
    destinata ad equipaggiare la flotta. Comecchè egli non fosse molto
    studioso della propria reputazione, sentiva molestia degli insulti
    che talora gli lanciavano nelle discussioni della Camera de' Comuni;
    ed una volta tentò d'infrenare, con mezzi vergognosi, la libertà
    della parola. Sir Giovanni Coventry, gentiluomo di provincia, aveva
    in una discussione schernite le dissolutezze della Corte. In
    qualunque de' regni antecedenti, sarebbe stato, probabilmente
    chiamato avanti al Consiglio Privato, e imprigionato dentro la
    Torre. Adesso il Governo procedè in modo diverso. Una banda di
    sicari fu di soppiatto mandata a tagliare il naso al colpevole.
    Cotesta schifosa vendetta, invece di domare lo spirito della
    opposizione, eccitò tale procella, che il Re fu astretto a
    sobbarcarsi alla crudele umiliazione di approvare uno Statuto di
    morte infamante che colpiva i ministri della sua vendetta, e che gli
    tolse dalle mani il potere di perdonarli.
    
    Ma, per quanto fosse impaziente del freno costituzionale, in che
    guisa poteva egli emanciparsene? Poteva rendersi dispotico soltanto
    con lo aiuto di un grande esercito stanziale, e siffatto esercito
    non esisteva. Con le sue rendite poteva, a dir vero, mantenere un
    certo numero di milizie regolari; ma esse, comunque fossero tante da
    eccitare gelosia e sospetto nella Camera de' Comuni e nel paese,
    bastavano appena a proteggere Whitehall e la Torre contro una
    insurrezione della plebe di Londra. E v'era ragione di temere
    simiglianti insurrezioni, poichè sapevasi pur troppo, che nella
    città e ne' suburbii esistevano non meno di ventimila de' vecchi
    soldati d'Oliviero.
    
    XXV. Poichè il Re ebbe stabilito di emanciparsi dal sindacato del
    Parlamento, e poichè a tanta impresa non poteva sperare aiuti dentro
    lo Stato, reputò necessario procacciarseli fuori. La potenza e
    ricchezza della Francia erano bastevoli all'ardua prova di stabilire
    la monarchia assoluta in Inghilterra. Cosiffatto alleato doveva
    indubitabilmente aspettarsi segni di gratitudine per un tanto
    servigio. Era, però, mestieri che Carlo scendesse al grado di un
    grande vassallo, e facesse guerra o pace ad arbitrio del Governo che
    lo proteggeva. Le sue relazioni con Luigi sarebbero state
    strettamente simili a quelle in che il Rajah di Nagpore e il Re di
    Oude oggidì stanno verso il Governo Inglese. Cotesti principi hanno
    debito di aiutare la Compagnia delle Indie Orientali in ogni
    ostilità difensiva ed offensiva, e di non avere altre relazioni
    diplomatiche che quelle le quali vengono sanzionate dalla predetta
    Compagnia. Questa, in compenso, li assicura contro ogni
    insurrezione. Fino a che essi fedelmente adempiono agli obblighi
    loro verso il potere sovrano, hanno licenza di disporre di grosse
    rendite, empire i loro palagi di belle donne, abbrutirsi in
    compagnia de' loro dissoluti cortigiani, ed opprimere impunemente
    qualunque de' sudditi diventi segno all'ira loro. Simigliante vita
    sarebbe insoffribile ad un uomo di spirito altero e di potente
    intendimento. Ma a Carlo, uomo sensuale, pigro, inetto ad ogni forte
    opera di mente, e privo d'ogni sentimento di amor patrio e di
    dignità personale, quel prospetto di degradata esistenza non era
    niente spiacevole.
    
    Parrà cosa straordinaria che il Duca di York cooperasse al disegno
    di degradare la Corona, che probabilmente un giorno egli avrebbe
    portata: imperocchè la indole sua era altera ed imperiosa; e
    veramente, seguitò fino all'ultimo a mostrare, secondo che si
    presentava il destro, con risentimenti e lotte, come mal tollerasse
    il giogo francese. Ma la superstizione gli aveva deturpata l'anima
    tanto, quanto la indolenza e il vizio avevano corrotta quella del
    suo fratello. Giacomo era già cattolico romano. La bacchettoneria
    era diventata il sentimento predominante della sua mente angusta e
    inflessibile, ed erasi cotanto confusa con lo amore di governare,
    che le due passioni mal potevano l'una dall'altra distinguersi. E'
    pareva molto improbabile che egli, senza aiuto straniero potesse
    ottenere il predominio o anche la tolleranza della sua propria fede;
    ed era siffattamente temprato, da non vedere nulla di umiliante in
    qualunque atto che valesse a giovare gl'interessi della vera Chiesa.
    
    Si iniziarono negoziati, che durarono parecchi mesi. Lo agente
    precipuo tra la Corte inglese e la francese fu la bella, graziosa ed
    accorta Enrichetta duchessa d'Orleans, sorella di Carlo, cognata di
    Luigi, e caramente diletta ad entrambi. Il Re d'Inghilterra si
    profferse a dichiararsi cattolico romano, sciogliere la Triplice
    Alleanza, e collegarsi con la Francia contro la Olanda, ove la
    Francia gli apprestasse gli aiuti pecuniari e militari di che egli
    avesse mestieri per rendersi indipendente dal suo Parlamento. Luigi,
    in sulle prime, simulò di ricevere freddamente tali proposte, e
    infine accettolle col contegno di chi accordi un grande favore; ma
    veramente, la via per cui s'era messo era tale, ch'egli ci poteva
    sempre guadagnare, e non perdere.
    
    XXVI. Pare certo ch'egli non avesse mai avuto serio pensiero di
    stabilire il dispotismo e il papismo in Inghilterra con la forza
    delle armi. Doveva accorgersi che tanta impresa sarebbe stata ardua
    e rischiosa; che per anni molti avrebbe tenute occupate tutte le
    energie della Francia; e che sarebbe stata affatto incompatibile con
    altre e più praticabili idee d'ingrandimento, molto care al suo
    cuore. Avrebbe volentieri acquistato il merito e la gloria di
    rendere, a patti ragionevoli, un grande servigio alla sua propria
    Chiesa: ma era poco inchinevole a imitare i suoi antenati, i quali,
    ne' secoli duodecimo e tredicesimo, avevano condotto il fiore della
    cavalleria francese a morire nella Siria e nello Egitto; e bene
    conosceva che una crociata contro il protestantismo in Inghilterra,
    non sarebbe stata meno pericolosa delle spedizioni in cui erano
    perite le milizie di Luigi VII e di Luigi IX. Non aveva cagione a
    desiderare che gli Stuardi fossero principi assoluti. Non
    considerava la Costituzione inglese con sentimento simile a quello
    che in tempi posteriori spinse i Principi a muovere guerra alle
    libere istituzioni de' popoli vicini. Ai dì nostri, un gran partito
    zelante del Governo popolare, conta proseliti in ogni paese
    incivilito. Ogni vittoria ch'esso in qualunque luogo riporti, non
    manca di svegliare un generale commovimento. Non è quindi a
    maravigliare che i Governi, minacciati da un pericolo comune,
    concordino ad assicurarsi vicendevolmente. Ma nel secolo
    decimosettimo tale periglio non esisteva. Tra il pubblico sentire
    dell'Inghilterra e il pubblico sentire della Francia, era un abisso.
    Le nostre istituzioni e fazioni erano tanto poco intese in Parigi,
    quanto in Costantinopoli. È da dubitarsi se nè anche uno dei
    quaranta membri dell'Accademia Francese avesse nella propria
    biblioteca un solo libro inglese, e conoscesse solo di nome
    Shakspeare, Johnson o Spenser. Pochi Ugonotti, eredi dello spirito
    de' proprii antenati, potevano forse consentire con le
    Teste-Rotonde, loro confratelli nella fede; ma gli Ugonotti più non
    erano formidabili. I Francesi, come corpo, affettuosi alla Chiesa di
    Roma, ed orgogliosi della grandezza del Re loro e della propria
    lealtà, guardavano le nostre lotte contro il papismo e il potere
    arbitrario, non solo senza ammirazione o simpatia, ma con forte
    disapprovazione e disgusto. Sarebbe, adunque, grave errore
    attribuire la condotta di Luigi a timori simili in tutto a quelli
    che, nell'età nostra, indussero la Santa Alleanza ad immischiarsi
    nelle faccende interne di Napoli e di Spagna.
    
    Ciò non ostante, le proposte fatte dalla Corte di Whitehall giunsero
    a Luigi gradite singolarmente. Meditava già i giganteschi disegni,
    che tennero poscia per quaranta anni in perpetuo commovimento tutta
    l'Europa. Voleva umiliare le Provincie Unite, ed incorporare ai
    propri dominii il Belgio, la Franca Contea e la Lorena. Nè ciò era
    tutto. Essendo il Re di Spagna un fanciullo malaticcio, era
    verosimile morisse senza prole. La sorella maggiore di costui era
    Regina di Francia. Era quasi certo arrivasse il giorno - e poteva
    arrivare presto - in cui la casa de' Borboni avesse a produrre i
    suoi diritti a quel vasto Impero, sul quale il sole non tramontava
    giammai. La congiunzione di due grandi monarchie sotto una sola
    Corona, sarebbe senza alcun dubbio stata avversata da una coalizione
    continentale; per resistere alla quale il solo braccio della Francia
    bastava. Ma l'Inghilterra poteva far traboccare la bilancia. Dalla
    parte da che l'Inghilterra si sarebbe messa in tale occasione,
    dipendevano i destini del mondo; ed era a tutti manifesto, che il
    Parlamento e la nazione inglese aderivano fortemente alla politica
    che aveva dettata la Triplice Alleanza. Nulla, quindi, poteva essere
    tanto grato a Luigi, quanto il sapere che i principi della casa
    degli Stuardi avevano mestieri del suo aiuto, ed erano vogliosi di
    acquistarlo a prezzo di illimitata sottomissione. Deliberato di
    giovarsi del destro, formò per uso proprio un sistema d'azione, dal
    quale non si scostò mai, finchè sopraggiunse la rivoluzione del 1688
    a sconcertargli ogni politico disegno. Si confessò desideroso di
    compiacere alla Corte inglese; promise grandi aiuti. Di quando in
    quando ne largì tanti, quanti servissero a tenere viva la speranza,
    e quanti ne potesse senza rischio o inconvenevolezza offerire. In
    tal guisa, con una spesa molto minore di quella ch'egli sostenne a
    erigere e decorare Versailles e Marli, gli riuscì di rendere la
    Inghilterra, per circa venti anni, parte quasi così frivola del
    sistema politico europeo, come lo è, a' giorni nostri la Repubblica
    di San Marino.
    
    Era suo scopo non già distruggere la nostra Costituzione, ma tenere
    i vari elementi onde era composta, in perenne conflitto, e rendere
    irreconciliabilmente nemici coloro che avevano il potere della
    borsa, e coloro che avevano il potere della spada. A tal fine,
    comperava ed irritava a vicenda ambe le parti; pensionava, nel tempo
    stesso, i Ministri della Corona e i capi della opposizione;
    incoraggiava la Corte ad opporsi alle usurpazioni sediziose del
    Parlamento; e faceva spargere nel Parlamento susurri intorno ai
    disegni arbitrali della Corte.
    
    Uno degli espedienti ai quali appigliossi col proposito di
    predominare nei Consigli inglesi, è peculiarmente degno d'essere
    rammentato. Carlo, quantunque fosse incapace di sentire amore nel
    senso più alto del vocabolo, era schiavo d'ogni donna che con la
    beltà della persona eccitasse le voglie, e coi modi e con le ciarle
    allegrasse gli ozi di lui. Davvero, verrebbe meritamente deriso quel
    marito che soffrisse da una moglie d'alto lignaggio e d'intemerata
    virtù mezze le inscienze che il Re d'Inghilterra tollerava dalle sue
    concubine; le quali, mentre a lui solo andavano debitrici d'ogni
    cosa, carezzavano, quasi innanzi agli occhi suoi, i suoi cortigiani.
    Aveva pazientemente sopportato le sfrontate ire di Barbara Palmer, e
    la impertinente vivacità di Eleonora Gwynn. Luigi pensò che il più
    utile ambasciatore che egli potesse mandare a Londra, sarebbe stata
    una bella, licenziosa ed intrigante donna francese. La eletta fu
    Luisa, dama della casa di Querouaille, che i nostri rozzi antenati
    chiamavano Madama Carwell. Costei trionfò tosto di tutte le sue
    rivali, fu creata Duchessa di Portsmouth, colmata di ricchezze, ed
    ottenne un impero che finì con la vita di Carlo.
    
    XXVII. I patti più importanti dell'alleanza tra le due Corone,
    vennero formulati in un trattato secreto, che fu stipulato in Dover
    nel maggio del 1670, dieci anni dopo il giorno in cui Carlo era
    approdato a quel luogo medesimo fra le acclamazioni e le lacrime di
    gioia del troppo fidente popolo.
    
    Per virtù di tale trattato, Carlo obbligavasi a professare
    pubblicamente la religione cattolica romana; a congiungere le
    proprie armi con quelle di Luigi, onde distruggere il potere delle
    Provincie Unite; e adoperare le intere forze dell'Inghilterra, per
    terra e per mare, a sostegno de' diritti della Casa de' Borboni alla
    vasta Monarchia Spagnuola. Luigi, da parte sua, impegnavasi a pagare
    grossi sussidi; e prometteva che, qualora scoppiasse in Inghilterra
    una insurrezione, avrebbe mandata a proprie spese un'armata, onde
    sostenere il suo alleato.
    
    Cotesto patto fu fatto con tristi auspicii. Sei settimane dopo
    d'essere stato munito delle firme e de' sigilli, la bella
    principessa, la cui influenza sopra il fratello e il cognato era
    stata così perniciosa alla propria patria, non era più. La sua morte
    fece nascere orribili sospetti, che per poco parvero volessero
    rompere l'amistà novellamente formata fra la Casa degli Stuardi e
    quella de' Borboni; ma poco tempo dopo, i due confederati si dettero
    vicendevolmente nuove assicuranze di amichevoli intendimenti.
    
    Il Duca di York, così tardo d'ingegno da non sentire il pericolo, o
    così fanatico da non curarsene, era impaziente di veder mandato
    subito ad esecuzione lo articolo concernente la religione cattolica
    romana: ma Luigi ebbe la saviezza di prevedere che, se ciò fosse
    seguito, sarebbe in Inghilterra scoppiata tale esplosione, da
    frustrare probabilmente quelle parti del disegno le quali gli
    stavano più a cuore. Fu però stabilito che Carlo seguitasse a
    chiamarsi protestante, e a ricevere nelle grandi solennità la
    Comunione secondo il rituale della Chiesa Anglicana. Il suo
    fratello, più scrupoloso di lui, più non comparve nella Cappella
    Reale.
    
    Verso questo tempo morì la Duchessa di York, figlia del bandito
    Conte di Clarendon. Era stata per alcuni anni di soppiatto cattolica
    romana. Lasciò due figlie, Maria ed Anna, entrambe dipoi regine
    della Gran-Brettagna. Vennero educate protestanti per espresso
    comando del Re, il quale conosceva che sarebbe stato inutile a lui
    di confessarsi membro della Chiesa d'Inghilterra, se le due
    fanciulle che pareva dovessero succederli al trono, fossero, per
    licenza di lui, cresciute nel grembo della Chiesa di Roma.
    
    I principali servi della Corona in questo tempo erano uomini, i nomi
    de' quali hanno meritamente acquistata non invidiabile celebrità. È
    d'uopo, nondimeno, studiarsi di non aggravare la memoria loro con la
    infamia che di diritto spetta al loro signore. Del trattato di Dover
    il Re stesso è principalmente responsabile. Egli tenne intorno a
    quello conferenze cogli agenti francesi; scrisse di propria mano
    molte lettere a quello spettanti; e' fu colui che suggerì i più
    disonorevoli articoli che vi si contengono; e studiosamente ne
    nascose alcuni alla più parte de' Ministri del suo Gabinetto, o,
    come veniva popolarmente chiamato, della sua Cabala.
    
    XXVIII. Poche cose nella nostra storia sono più curiose dell'origine
    e del progresso del potere che oggimai possiede il Gabinetto. Fino
    da tempi assai remoti, i Re d'Inghilterra sono stati assistiti da un
    Consiglio privato, al quale la legge assegnava non pochi importanti
    ufficii e doveri. Per alcuni secoli, questo Consiglio deliberò
    intorno ai più gravi e gelosi affari di Stato. Ma gradatamente venne
    cangiando d'indole. Diventò troppo numeroso per la speditezza delle
    faccende(38), o per serbare il segreto. Il grado di Consigliere
    privato era spesso conferito come onorificenza a uomini, ai quali il
    Governo non confidava nulla, e nè anche richiedeva la opinione. Il
    sovrano nelle più solenni occasioni rivolgevasi ad un ristretto
    numero di principali Ministri, onde averne consiglio. I vantaggi e
    svantaggi di siffatto modo di operare erano stati additati da
    Bacone, col suo consueto giudicio e sagacia; ma e' non fu se non
    dopo la Restaurazione, che il Consiglio intimo cominciò ad attirare
    a sè l'attenzione universale. Per molti anni, i politici all'antica
    seguitarono a considerare il Gabinetto come un ufficio
    incostituzionale e pericoloso. Nulladimeno, divenne sempre più
    importante; ed alla perfine, si recò in mano quasi tutto il potere
    esecutivo, e venne poi ad essere estimato come parte essenziale del
    nostro ordinamento politico. Eppure, strano a dirsi! continua
    tuttora ad essere affatto sconosciuto alla legge. I nomi de' nobili
    e de' gentiluomini che lo compongono, non vengono mai officialmente
    annunciati al pubblico. Non si prende ricordo delle sue adunanze e
    deliberazioni; e la sua esistenza non è stata mai riconosciuta da
    nessun atto del Parlamento.
    
    XXIX. Per alcuni anni, il vocabolo Cabala venne comunemente usato
    come sinonimo di Gabinetto. Ma accadde per una fortuita coincidenza,
    che nel 1671 il Gabinetto fosse composto di cinque individui, nei
    nomi de' quali le lettere iniziali formavano il vocabolo Cabala
    (Cabal): Clifford, Arlington, Buckingham, Ashley e Lauderdale.
    Questi Ministri furono, quindi, per enfasi chiamati la Cabala; e
    tosto resero quel nome così infame, che poscia non è stato mai usato
    se non in significato di riprovazione.
    
    Sir Tommaso Clifford era Commissario del Tesoro, e s'era reso
    grandemente notevole nella Camera de' Comuni. Era il più
    rispettabile fra' membri della Cabala, come quello che in una indole
    fiera ed imperiosa aveva un forte, quantunque miseramente
    pervertito, sentimento del dovere e dell'onore.
    
    Enrico Bennet, Lord Arlington, Segretario di Stato, aveva, fino
    dall'epoca in cui pervenne all'età d'uomo, passata la vita quasi
    sempre nel continente; ed aveva imparato quell'indifferentismo
    cosmopolitico verso le Costituzioni e le Religioni, che spesso si
    osserva negli individui che hanno spesi gli anni in una vagabonda
    diplomazia. Se vi era forma di Governo che a lui piacesse, ell'era
    quella di Francia. Se v'era Chiesa ch'egli preferisse, ella era
    quella di Roma. Aveva qualche ingegno nel conversare, ed anche nel
    trattare gli affari ordinari del suo ufficio. Nel corso d'una vita
    spesa a viaggiare e a far negoziati, aveva imparata l'arte di
    accomodare il linguaggio e il portamento all'indole della società
    fra mezzo alla quale ei si trovava. Con la vivacità, ne' recessi
    della reggia, svagava il principe; con la gravità, nelle discussioni
    e nelle conferenze, imponeva riverenza al pubblico; e gli era
    riuscito di tirare a sè, in parte rendendo servigi, in parte dando
    speranze, un numero considerevole di partigiani.
    
    Buckingham, Ashley e Lauderdale, erano uomini de' quali la
    immoralità, ch'era infezione epidemica ne' politici di quei tempi,
    mostravasi ne' suoi più maligni sembianti, ma variamente modificata
    da grandi varietà di tempra e d'intendimento. Buckingham, uomo sazio
    di piaceri, erasi dato all'ambizione quasi per passatempo. Come si
    era provato a svagarsi con lo studio dell'architettura e della
    musica, con lo scrivere farse e cercare la pietra filosofale; così
    ora si provava a svagarsi con un negoziato secreto, e con una guerra
    cogli Olandesi. Era già stato, più presto per volubilità e vaghezza
    di cose nuove, che per alcun profondo proposito, infido ad ogni
    partito. Un tempo erasi messo nelle file de' Cavalieri. In un altro,
    erano corsi mandati d'arresto contro di lui, incolpato di mantenere
    corrispondenza proditoria colle reliquie del partito repubblicano
    nella città. Era nuovamente diventato cortigiano, e voleva
    acquistare il favore del Re con servigi, dai quali i più illustri di
    coloro che avevano pugnato e sofferto per la Casa Reale, avrebbero
    rifuggito compresi d'orrore.
    
    Ashley, più testardo, e dotato di assai più feroce e solida
    ambizione, era stato parimente versatile. La versatilità di Ashley
    nasceva, però, non da leggerezza, ma da deliberato egoismo. Aveva
    serviti e traditi vari Governi; ma aveva adattati i suoi tradimenti
    così bene ai tempi, che, fra mezzo a tutte le rivoluzioni, s'era
    sempre venuto innalzando. La moltitudine, compresa d'ammirazione per
    una prosperità, la quale, mentre ogni altra cosa perpetuamente
    mutavasi, era rimasta immutabile, attribuiva a lui una prescienza
    pressochè miracolosa, ed assomigliavalo a quello ebreo uomo di
    Stato, che, come è scritto, veniva consultato dal popolo come
    l'oracolo di Dio.
    
    Lauderdale, chiassoso e triviale nella gioia e nella collera, era
    forse, sotto l'apparenza di una presuntuosa franchezza, l'uomo più
    disonesto della Cabala. Erasi reso cospicuo fra gl'insorgenti
    scozzesi del 1638, ed era zelante della Convenzione. Lo accusavano
    d'essere stato complice di coloro che avevano venduto Carlo I al
    Parlamento Inglese, ed era perciò dai Cavalieri reputato traditore,
    peggiore, s'era pur possibile, di quelli che avevano seduto
    nell'Alta Corte di Giustizia. Spesso parlava con istemperato scherzo
    dei giorni in cui egli era stato santocchio e ribelle. Ed ora la
    Corte se ne giovava come di precipuo strumento per imporre a forza
    il culto episcopale ai concittadini di lui; e in cosiffatto
    proposito, non abborrì dallo adoperare inesorabilmente la spada, il
    capestro e lo stivaletto(39). Nondimeno, chi conoscevalo, sapeva
    bene che trenta anni di vicende non avevano prodotto il minimo
    cangiamento ne' suoi veri sentimenti; che tuttavia egli odiava la
    memoria di Carlo I, e seguitava a preferire ad ogni altra forma di
    Governo ecclesiastico quella de' Presbiteriani.
    
    Per quanto Buckingham, Ashley e Lauderdale, fossero scevri di
    scrupoli, non fu reputato prudente il farli partecipi dello
    intendimento che il Re aveva di dichiararsi cattolico romano. Fu
    loro mostrato un falso trattato, dove era omesso lo articolo
    concernente la religione. Al trattato genuino vennero apposti i soli
    nomi e sigilli di Clifford e d'Arlington. Ambidue questi uomini di
    Stato erano parziali della vecchia Chiesa: parzialità che, dopo non
    molto tempo, l'animoso e veemente Clifford confessò; mentre
    Arlington, più freddo e più codardo, la tenne nascosta, finchè lo
    avvicinarsi della morte, riempiendogli l'animo di terrore, lo
    indusse ad essere sincero. Gli altri tre Ministri, nondimeno, non
    erano uomini da essere tenuti agevolmente nel buio, ed è probabile
    che sospettassero più di quello che distintamente venne loro
    rivelato. Vero è che parteciparono alla confidenza di tutti
    gl'impegni politici contratti con la Francia, e non ebbero vergogna
    di ricevere da Luigi grosse gratificazioni.
    
    Primo obietto di Carlo era quello di ottenere dai Comuni danaro,
    onde giovarsene a mandare ad esecuzione quel secreto trattato. La
    Cabala, che imperava in un tempo in cui il nostro Governo era in
    istato di transizione, aveva in sé due specie diverse di vizii,
    pertinenti a due diverse età ed a due sistemi diversi. Come que'
    cinque pessimi consiglieri erano fra gli ultimi uomini di Stato
    inglesi che seriamente pensassero a distruggere il Parlamento, così
    erano i primi uomini di Stato inglesi che si provassero grandemente
    a corromperlo. Troviamo nella loro politica gli ultimi vestigi del
    disegno di Strafford, e ad un tempo i vestigi primi della corruzione
    metodica che venne poscia praticata da Walpole. Non pertanto, si
    accorsero tosto, che quantunque la Camera de' Comuni fosse
    principalmente composta di Cavalieri, e quantunque gl'impieghi e
    l'oro della Francia venissero largamente dispensati ai
    rappresentanti non eravi la minima probabilità che le parti meno
    odiose della trama ordita in Dover fossero sostenute dalla
    maggioranza. Era necessario adoperare la frode. Il Re, quindi, fece
    mostra di grande zelo a favore dei principii della Triplice
    Alleanza, e pretese che, a fine di infrenare l'ambizione della
    Francia, fosse necessario accrescere la flotta. I Comuni caddero
    nella rete, e votarono una somma di ottocentomila lire sterline. Il
    Parlamento venne subito prorogato, e la Corte, in tal modo
    emancipata da ogni sindacato, procedè a porre in opera il suo vasto
    disegno.
    
    XXX. Le strettezze finanziere erano assai gravi. Una guerra con la
    Olanda sarebbe costata somme enormi. La rendita ordinaria era appena
    sufficiente a sostenere il Governo in tempo di pace. Le
    ottocentomila lire sterline che erano state poco fa con inganno
    estorte ai Comuni, non sarebbero bastate alle spese militari e
    navali d'un solo anno di ostilità. Dopo il tremendo esempio dato dal
    Lungo Parlamento, nè anche la Cabala arrischiossi a consigliare i
    balzelli detti Benevolenze e Danaro per mantenere la flotta. In tale
    perplessità, Ashley e Clifford proposero un mezzo iniquo di violare
    la fede pubblica. Gli orefici di Londra erano allora non solo
    trafficanti di metalli preziosi, ma anche banchieri, ed avevano
    costume di prestare grandi somme di pecunia al Governo. A
    compensazione di coteste prestazioni, ricevevano assegnamenti sulla
    rendita; e riscosse le tasse, venivano loro pagati il capitale e
    gl'interessi. Circa un milione e trecentomila lire sterline erano
    state in siffatto modo affidate all'onore dello Stato; quando ecco
    corse, inatteso e repentino, lo annunzio che non essendo convenevole
    rendere i capitali, era d'uopo che i creditori si contentassero di
    ricevere gl'interessi. Non poterono, in conseguenza di siffatta
    misura, far fronte agli impegni contratti. La Borsa si mise
    sossopra: parecchie case mercantili fallirono; e lo spavento e la
    miseria si sparsero per tutta la società. Frattanto il Governo
    procedeva a passi rapidi verso il dispotismo. Succedevansi proclami
    che non avevano la sanzione del Parlamento, o imponevano ciò che il
    solo Parlamento poteva legalmente imporre. Di tali editti, il più
    importante fu quello che si chiama Dichiarazione d'Indulgenza, per
    virtù del quale le leggi penali contro i Cattolici Romani vennero
    abrogate; e perchè non apparisse chiaro il vero scopo di quell'atto,
    le leggi contro i Protestanti non-conformisti furono parimente
    sospese.
    
    XXXI. Pochi giorni dopo promulgata la Dichiarazione d'Indulgenza, fu
    proclamata la guerra contro le Provincie Unite. In mare gli Olandesi
    sostennero la lotta con onore; ma per terra furono in sulle prime
    oppressi da una forza irresistibile. Una grossa armata francese
    varcò il Reno. Le fortezze, una dopo l'altra, aprirono le porte. Tre
    delle sette provincie della Federazione furono occupate
    dagl'invasori. I fuochi degli accampamenti nemici vedevansi dalle
    cime del Palagio del Municipio d'Amsterdam. La Repubblica, in tal
    modo ferocemente assalita di fuori, era nel medesimo tempo lacerata
    dalle intestine discordie. Il Governo era nelle mani di una stretta
    oligarchia di potenti borghesi. Eranvi numerosi Consigli Municipali
    autonomi, ciascuno dei quali esercitava, dentro la propria sfera,
    molti diritti di sovranità. Cotesti Consigli mandavano delegati agli
    Stati Provinciali, e questi inviavano delegati agli Stati Generali.
    Un capo magistrato ereditario non era parte essenziale di tale
    sistema politico. Nonostante, una famiglia, singolarmente feconda di
    grandi uomini, aveva a poco a poco acquistata autorità vasta e
    pressochè indefinita. Guglielmo, primo di tal nome, Principe
    d'Orange Nassau, e Statoldero di Olanda, aveva capitanata la
    memorabile insurrezione contro la Spagna. Maurizio suo figlio era
    stato Capitano Generale e primo Ministro degli Stati; aveva, per
    mezzo delle maravigliose sue doti e degli eminenti servigi resi alla
    Repubblica, e di alcuni atti crudeli e proditorii, conseguito potere
    quasi di Re, e lo aveva in gran parte trasmesso in retaggio alla
    propria famiglia. La influenza degli Statolderi era obietto di
    estrema gelosia alla oligarchia municipale. Ma l'armata e la gran
    massa di cittadini esclusi da ogni partecipazione al Governo,
    guardavano i Borgomastri e i Deputati con astio simile a quello con
    che le legioni e il popolo comune di Roma guardavano il Senato, ed
    erano partigiani della Casa d'Orange come le legioni e il popolo
    comune di Roma parteggiavano per quella di Cesare. Lo Statoldero
    comandava le forze della Repubblica, disponeva di tutti i gradi
    militari, possedeva in gran parte il patronato degli uffici civili,
    ed era circondato da pompa pressochè regia.
    
    Il Principe Guglielmo II aveva fortemente avversato il partito
    oligarchico. Finì di vivere nel 1650, fra mezzo alle lotte civili.
    Non lasciò figliuoli: gli aderenti alla sua Casa rimasero per alcun
    tempo privi di capo; e i poteri ch'egli aveva esercitati, furono
    divisi fra i Consigli Municipali, gli Stati Provinciali e gli Stati
    Generali.
    
    Ma, pochi giorni dopo la morte di Guglielmo, la sua vedova Maria,
    figlia di Carlo I Re della Gran Brettagna, partorì un figlio
    destinato ad innalzare la gloria e l'autorità della Casa di Nassau
    al più alto grado, a salvare dalla schiavitù le Provincie Unite, a
    domare la potenza della Francia, e a stabilire la Costituzione
    inglese sopra fondamenti solidi e duraturi.
    
    XXXII. Questo Principe, ch'ebbe nome Guglielmo Enrico, fin dal suo
    nascere fu cagione di gravi timori al partito che allora governava
    in Olanda, e di sincero affetto ai vecchi amici della sua famiglia.
    Era altamente riverito come possessore di uno splendido patrimonio,
    come capo di una delle più illustri Case d'Europa, come Principe
    Sovrano dello Impero Germanico, come Principe del sangue reale
    d'Inghilterra, e soprattutto come discendente de' fondatori della
    batava libertà. Ma l'alto ufficio che già veniva considerato siccome
    ereditario nella sua famiglia, rimase sospeso; ed era intendimento
    della parte aristocratica, che non avesse ad esserci mai più un
    altro Statoldero. Al difetto del primo Magistrato supplì, in gran
    parte, il Gran Pensionario della Provincia d'Olanda, Giovanni De
    Witt, che per ingegno, fermezza ed integrità, erasi innalzato ad
    autorità senza rivali ne' Consigli della oligarchia municipale.
    
    La invasione francese produsse un intero cangiamento. Il popolo,
    afflitto ed atterrito, arse di rabbia contro il Governo. Nella sua
    frenesia, aggredì i più valorosi Capitani e i più esperti uomini di
    Stato della travagliata Repubblica. De Ruyter venne insultato dalla
    marmaglia. De Witt fu fatto in pezzi innanzi la porta del palazzo
    degli Stati Generali nell'Aja. Il Principe d'Orange (che non aveva
    partecipato allo assassinio, ma che in questa, come in altra
    sciagurata occasione vent'anni dopo, largì ai delitti commessi a suo
    vantaggio tale indulgenza che ha lasciata una macchia sopra la sua
    gloria) diventò, senza competitori, capo del Governo. Comunque
    giovane, il suo ardente ed indomabile spirito, benchè mascherato di
    maniere fredde e severe, risuscitò subitamente il coraggio de' suoi
    spaventati concittadini. Invano suo zio e il Re di Francia,
    provaronsi con isplendide offerte di sedurlo ad abbandonare la causa
    della Repubblica. Favellò agli Stati Generali con altieri ed animosi
    sensi. Rischiossi perfino a suggerire un provvedimento che ha
    sembianza d'antico eroismo; e che, ove lo avessero posto in effetto,
    sarebbe stato il subietto più nobile per l'epico canto, che si possa
    trovare nel vasto campo della storia moderna. Disse ai Deputati, che
    quand'anche il suolo natio, e le meraviglie di che la umana
    industria lo aveva coperto, fossero sepolti sotto l'Oceano, tutto
    non era perduto. Gli Olandesi avrebbero potuto sopravvivere
    all'Olanda. La libertà e la religione vera, da' tiranni e dagli
    ipocriti cacciate dall'Europa, avrebbero trovato asilo nelle più
    remote isole dell'Asia. I legni esistenti nei porti della
    Repubblica, sarebbero bastati a trasportare duecentomila emigranti
    allo Arcipelago Indiano. Quivi la Repubblica Olandese avrebbe
    cominciata una nuova e più gloriosa vita, ed eretto sotto la
    costellazione meridionale della Croce, fra le canne di zucchero e i
    nocimoscadi, la Borsa d'un'altra più ricca Amsterdam, e le scuole
    d'un'altra Leida più dotta. Lo spirito nazionale svegliossi tutto e
    risorse. I patti offerti dagli Alleati vennero con fermezza
    respinti. Aprirono gli argini. Tutto il paese prese la sembianza di
    un vastissimo lago, di mezzo al quale le città, con le loro muraglie
    e i loro campanili, innalzavansi a guisa d'isole. Gl'invasori furono
    costretti a salvare la vita con una precipitosa ritirata. Luigi, il
    quale, benchè talvolta reputasse necessario mostrarsi a capo del suo
    esercito, grandemente preferiva al campo la reggia, era già
    ritornato a bearsi delle lusinghe de' poeti e de' sorrisi delle dame
    ne' viali novellamente piantati di Versailles.
    
    La fortuna affrettavasi a cangiare d'aspetto. L'esito della guerra
    marittima era stato dubbio: in terra, le Provincie Unite avevano
    ottenuto un indugio, il quale, benchè breve, era d'infinita
    importanza. Intimorite dai vasti disegni di Luigi, ambedue le
    famiglie della Casa d'Austria corsero alle armi. La Spagna e la
    Olanda, divise dalla rimembranza di antichi torti ed umiliazioni,
    riconciliaronsi allo avvicinarsi del comune pericolo. Da ogni
    contrada di Germania muovevano armati verso il Reno. Il Governo
    Inglese aveva già consunta tutta la pecunia che aveva raccolta
    saccheggiando i pubblici creditori. Non poteva sperarsi un
    imprestito dalla Città. Il tentare d'imporre tasse di sola autorità
    regia, avrebbe tosto prodotta una ribellione; e Luigi, che ormai
    doveva far fronte a mezza l'Europa, non era in condizione di
    apprestare i mezzi con che costringere il popolo dell'Inghilterra.
    Era forza convocare il Parlamento.
    
    XXXIII. E però, nella primavera del 1673, la Camera de' Comuni si
    radunò, dopo un riposo di circa due anni. Clifford, già diventato
    Pari e Lord Tesoriere, ed Ashley, diventato Conte di Shaftesbury e
    Lord Cancelliere, erano coloro sopra i quali il Re riposava per
    condurre destramente la bisogna in Parlamento. Il partito
    patriottico si scagliò tosto contro la politica della Cabala.
    L'aggressione fu fatta non a modo di tempesta, ma con colpi lenti e
    misurati. I Comuni, in sulle prime, dettero speranza di sostenere la
    politica straniera del Re; ma insistevano ch'egli pagasse quel
    sostegno coll'abbandono di tutto il suo sistema di politica interna.
    
    XXXIV. Loro primo scopo era quello d'ottenere la revoca della
    Dichiarazione d'Indulgenza. Di tutte le misure impopolari adottate
    dal Governo, la più impopolare fu la promulgazione di quell'atto. Un
    atto così liberale, compito in modo così dispotico, aveva urtati i
    sentimenti più opposti. Tutti gl'inimici della libertà religiosa, e
    gli amici tutti della libertà civile, si trovarono nelle medesime
    file; e gli uni e gli altri sommavano a diciannove ventesimi della
    nazione. Lo zelante ecclesiastico schiamazzava contro il favore
    mostrato al papisti e al puritano. Il puritano, quantunque potesse
    allegrarsi vedendo sospese le persecuzioni onde era stato oppresso,
    sentiva poca gratitudine per una tolleranza ch'egli doveva dividere
    con l'anticristo. E tutti gl'Inglesi che pregiavano la libertà e la
    legge, vedevano con inquietudine la enorme usurpazione che la regia
    prerogativa aveva commessa nel campo del potere legislativo.
    
    Bisogna sinceramente ammettere, che la questione costituzionale non
    fosse allora affatto scevra d'oscurità. I nostri antichi Re avevano,
    senza verun dubbio, preteso ed esercitato il diritto di sospendere
    l'azione delle leggi penali. I tribunali avevano riconosciuto
    cotesto diritto. I Parlamenti lo avevano tollerato senza avversarlo.
    Che un certo simile diritto fosse inerente alla Corona, pochi anche
    del partito patriottico osavano negare al cospetto dell'autorità e
    de' fatti precedenti. Nondimeno, era chiaro che se questa
    prerogativa fosse stata illimitata, il Governo Inglese male si
    sarebbe potuto distinguere da un pretto dispotismo. Che ci fosse un
    limite, lo ammettevano pienamente il Re e i suoi Ministri. La
    questione era di sapere se la Dichiarazione d'Indulgenza stesse o no
    dentro siffatto limite; e a nessuna delle parti riuscì di descrivere
    una linea incontestabile. Alcuni oppositori del Governo dolevansi
    che la Dichiarazione sospendeva non meno di quaranta Statuti. Ma
    perchè non quaranta, nel modo medesimo che uno? Vi fu un oratore che
    manifestò come propria opinione, che il Re poteva costituzionalmente
    dispensare dalle leggi cattive, non mai dalle buone. Non è mestieri
    dimostrare l'assurdità di tale distinzione. La dottrina che sembra
    essere stata generalmente(40) accettata nella Camera de' Comuni,
    consisteva in ciò, che il potere di dispensare limitavasi alle sole
    faccende secolari, e non si estendeva alle leggi fatte per la
    sicurtà della religione dello Stato. Nondimeno, poichè il Re era
    capo supremo della Chiesa, e' pareva che avendo egli il potere di
    dispensare, siffatto potere potesse anche applicarsi a cose
    concernenti la Chiesa. Allorchè, dall'altra parte, i cortigiani
    studiaronsi d'indicare i confini di tale prerogativa, non ci
    riuscirono meglio de' loro oppositori(41).
    
    Vero è che la facoltà di dispensare era una grande anomalia nella
    politica. In teoria, era estremamente incompatibile co' principii
    del Governo misto; ma era cresciuta in tempi ne' quali i popoli si
    danno poco pensiero delle teorie. In pratica, non se n'era molto
    abusato: era stata quindi tollerata, ed aveva a poco per volta
    acquistata una specie di prescrizione. Finalmente, ne fu fatto uso,
    dopo lo spazio di molti anni, in una età colta, ed in una solenne
    occasione, con eccesso fin allora inusitato, e per uno scopo avuto
    in universale abborrimento. Venne subito sottoposta a severo
    scrutinio. Nessuno, a dir vero, ardì in sulle prime chiamarla
    onninamente incostituzionale: ma tutti cominciarono ad accorgersi
    che divergeva manifestamente dallo spirito della Costituzione, e che
    ove si fosse lasciata priva di freno, avrebbe tramutato il Governo
    Inglese, di monarchia limitata qual'era, in monarchia assoluta.
    
    XXXV. Sotto lo eccitamento di cotali sospetti, la Camera de' Comuni
    negò al Re il diritto di dispensare, non già rispetto a tutti gli
    Statuti penali, ma agli Statuti penali nelle cose ecclesiastiche; e
    gli fece chiaramente intendere, che qualora ei non avesse rinunziato
    a quel diritto, ella non avrebbe concesso danari per la guerra con
    l'Olanda. Per un momento egli mostrossi inchinevole ad affidare ogni
    cosa alla sorte: ma Luigi lo consigliò fortemente a piegare il capo
    alla necessità, ed aspettare tempi migliori, in cui le armi
    francesi, allora occupate in arduo conflitto sul continente,
    potessero essere giovevoli a reprimere il malcontento in
    Inghilterra. Dentro la stessa Cabala cominciarono ad apparire segni
    di discordia e di tradimento. Shaftesbury, con la sua sagacia
    proverbiale, conobbe che avvicinavasi una violenta reazione, e che
    ogni cosa tendeva verso una crisi simigliante a quella del 1640.
    Pose ogni studio perchè cotesta crisi non lo trovasse nelle
    condizioni di Strafford. Adunque, con un improvviso voltafaccia,
    mostrossi nella Camera de' Lordi, e riconobbe che la Dichiarazione
    era illegale. Il Re, così abbandonato dal suo alleato e dal suo
    Cancelliere, cedè, cassò la Dichiarazione, e promise solennemente
    che non se ne sarebbe per lo avvenire fatto nessun caso.
    
    Nè anche questa concessione bastò. I Comuni, non satisfatti di avere
    astretto il loro Sovrano ad annullare la Indulgenza, estorsero a lui
    ripugnante l'approvazione d'una celebre legge, che continuò ad esser
    valida fino al regno di Giorgio IV. Questa legge, chiamata Atto di
    Prova (Test Act), ordinava che chiunque occupava un ufficio civile o
    militare, fosse tenuto a prestare il giuramento di supremazia,
    firmare una dichiarazione contro la transustanziazione, e ricevere
    pubblicamente la comunione secondo i riti della Chiesa
    d'Inghilterra. Nel preambolo v'erano parole ostili soltanto ai
    papisti; ma le clausule erano quasi sfavorevoli alla classe più
    rigida de' Puritani, quanto ai papisti. I Puritani, nondimeno,
    atterriti, vedendo la Corte pendere verso il papismo, ed
    incoraggiati da taluni ecclesiastici a sperare che, appena disarmati
    i cattolici romani, la tolleranza verrebbe estesa anche ai
    non-conformisti, fecero poca opposizione; nè il Re, che aveva
    bisogno estremo di pecunia, rischiossi a ricusare il suo assenso. La
    legge passò; e il Duca di York, per conseguenza, fu costretto a
    deporre l'eminente ufficio di Lord Grande Ammiraglio.
    
    XXXVI. Fin qui i Comuni non s'erano dichiarati avversi alla guerra
    cogli Olandesi. Ma, poscia che il Re, in compenso della pecunia
    cautamente concessa, abbandonò intieramente il suo sistema di
    politica interna, coloro scagliaronsi impetuosamente contro la sua
    politica estera. Chiesero che allontanasse dal suo Consiglio
    Buckingham e Lauderdale, ed elessero una Commissione per considerare
    se fosse giusto porre Arlington in istato di accusa. Poco tempo
    dopo, la Cabala non era più. Clifford, che solo de' cinque era
    meritevole del nome di uomo onesto, ricusò di riconoscere la nuova
    legge, depose il suo bastone bianco, e ritirossi in villa. Arlington
    lasciò l'ufficio di Segretario di Stato, per passare ad un impiego
    tranquillo e dignitoso nella Casa reale. Shaftesbury e Buckingham sì
    rappaciarono con la opposizione, e mostraronsi a capo della
    procellosa democrazia della città. Lauderdale, tuttavia, seguitò ad
    essere Ministro per gli affari della Scozia, ne' quali il Parlamento
    Inglese non poteva immischiarsi.
    
    Dopo ciò, i Comuni incalzarono il Re a far pace con la Olanda; ed
    espressamente dichiararono, che più non avrebbero conceduto danaro
    per la guerra, se non se nel caso che il nemico ostinatamente
    ricusasse di accettare patti ragionevoli. Carlo stimò necessario
    differire a stagione più convenevole il pensiero di eseguire il
    trattato di Dover, e blandire la nazione, facendo mostra di
    ritornare alla politica della Triplice Alleanza. Temple, il quale,
    finchè predominò la Cabala, visse ritirato fra mezzo ai suoi libri
    ed ai suoi fiori, venne chiamato dal suo eremo. Per mezzo di lui si
    concluse una pace separata con le Provincie Unite; ed egli divenne
    nuovamente ambasciatore all'Aja, dove la sua presenza veniva
    considerata quale pegno della sincerità della Corte britannica.
    
    XXXVII. La precipua direzione degli affari venne allora affidata a
    Sir Tommaso Osborn, baronetto della Contea di York, il quale nella
    Camera de' Comuni aveva dato prova d'ingegno adatto alle faccende e
    alla discussione. Osborn fu fatto Lord Tesoriere, e poco dopo creato
    Conte di Danby. Non era uomo il cui carattere, esaminato giusta gli
    alti principii della morale, potesse sembrare degno di approvazione.
    Era cupido di ricchezze e d'onori, corrotto e corruttore. La Cabala
    gli aveva trasmessa l'arte di comprare i rappresentanti; arte
    tuttavia rozza, che accennava poco a quella singolare perfezione cui
    fu condotta nel secolo appresso. Ei perfezionò grandemente l'opera
    de' primi inventori. Costoro avevano solamente comprati gli oratori;
    ma ciascun uomo che avesse un voto poteva vendersi a Danby.
    Nonostante ciò, il nuovo Ministro non è da confondersi coi
    negoziatori di Dover. Egli non era privo del sentimento d'inglese e
    di protestante, e nel promuovere i proprii interessi, non
    dimenticava affatto quelli della propria patria e religione. Era, a
    dir vero, desideroso di esaltare la prerogativa; ma i mezzi di che a
    ciò fare voleva giovarsi, erano assai diversi da quelli adoperati da
    Arlington e da Clifford. Il pensiero di stabilire il potere
    arbitrario col soccorso delle armi forestiere, e riducendo il Regno
    alla condizione di principato dipendente, non entrò mai nel suo
    cervello. Era suo intendimento affezionare alla Monarchia quelle
    classi di uomini le quali le erano state ferme alleate mentre
    ardevano le lotte della precedente generazione, e che se n'erano
    disgustate a cagione de' recenti delitti ed errori della Corte. Con
    lo aiuto dei vecchi interessi de' Cavalieri, cioè con lo aiuto de'
    Nobili, dei gentiluomini delle campagne, del Clero, delle
    Università, pensava egli che Carlo avrebbe potuto essere sovrano, se
    non assoluto, almeno potente al pari di Elisabetta.
    
    Mosso da cotali pensieri, Danby intese ad assicurare al partito de'
    Cavalieri lo esclusivo possesso di tutto il potere politico, tanto
    esecutivo quanto legislativo. Nell'anno 1675, adunque, fu proposta
    ai Lordi una legge, nella quale veniva ordinato che niuno potesse
    occupare un ufficio qualunque, o aver seggio nelle due Camere del
    Parlamento, senza aver prima dichiarato con giuramento di
    considerare come criminosa la resistenza fatta in qualunque caso al
    potere regio, e di non contribuire giammai ad alterare il Governo
    della Chiesa o dello Stato. Per parecchie settimane, le discussioni,
    le scissure, le proteste, cui fu cagione la predetta proposta,
    tennero in grande commovimento il paese. La opposizione nella Camera
    de' Comuni, capitanata da due membri della Cabala che volevano far
    pace con la nazione, cioè da Buckingham e Shaftesbury, fu oltremodo
    veemente e pertinace, ed infine riusci vittoriosa. La proposta non
    fu respinta, ma ritardata, mutilata, e finalmente messa da parte.
    
    Tanto arbitrario ed esclusivo era il disegno di politica interna
    concepito da Danby! Le sue opinioni intorno alla politica esterna
    erano per lui maggiormente onorevoli, come quelle che procedevano
    direttamente opposte agl'intendimenti della Cabala, e differivano
    poco dalle idee del partito patriottico. Lamentava amaramente
    l'abiezione in cui la Inghilterra era caduta, e dichiarava, con più
    energia che gentilezza, essere lo ardentissimo de' suoi desiderii
    quello di condurre a suono di bastonate i Francesi al debito
    rispetto verso di essa. Mascherava così poco i propri pensieri, che
    in un gran banchetto, al quale sedevano i più illustri dignitari
    dello Stato e della Chiesa, riempì il bicchiere, bevendo con poco
    decoro a confusione di coloro che erano contrari ad una guerra con
    la Francia. Davvero, avrebbe volentieri veduto la propria patria
    congiungersi con le Potenze che allora erano collegate contro Luigi;
    ed a tal fine, era propenso a porre Temple, autore della Triplice
    Alleanza, a capo del Ministero degli Affari Esteri. Ma il potere del
    primo Ministro era limitato. Nelle sue lettere più confidenziali
    querelavasi che l'acciecamento del suo signore impedisse
    l'Inghilterra di prendere il posto che spettavale fra le nazioni
    europee. Carlo era insaziabilmente cupido dell'oro francese; non
    aveva in nulla abbandonata la speranza di potere in futuro, con lo
    aiuto delle armi di Francia, stabilire la monarchia assoluta; e per
    ambedue queste ragioni desiderava di mantenere buona intelligenza
    con la Corte di Versailles.
    
    Così il Sovrano pendeva verso un sistema di politica esterna, e il
    Ministro verso altro sistema diametralmente opposto. Nè l'uno nè
    l'altro, in verità, era d'indole tale da seguire un fine con
    immutabile costanza. Ciascuno di loro, secondo l'occasione, cedeva
    alla importunità dell'altro; e le discordi tendenze e le mutue
    concessioni loro davano alla intera amministrazione un carattere
    stranamente capriccioso. Carlo talvolta, per leggerezza ed
    indolenza, soffriva che Danby prendesse misure, delle quali Luigi
    risentivasi come d'ingiurie mortali. Danby, più presto che lasciare
    il suo splendido posto, talvolta piegavasi a certe compiacenze, che
    gli erano di acerbo dolore e vergogna. Il Re fu indotto a consentire
    al matrimonio di Maria, figlia primogenita ed erede presuntiva del
    Duca di York, con Guglielmo d'Orange, nemico irreconciliabile della
    Francia, e campione ereditario della Riforma. Anzi, il valoroso
    Conte di Ossory, figlio di Ormondo, fu mandato ad aiutare gli
    Olandesi con alcune milizie britanniche, le quali nel giorno più
    sanguinoso della guerra rivendicarono alla nazione la rinomanza
    d'indomito coraggio. Il Tesoriere, dall'altra parte, fu astretto non
    solo a mostrarsi connivente ad alcune transazioni pecuniarie
    scandalosissime, tra il proprio signore e la Corte di Versailles, ma
    a fare, malvolentieri e con poca grazia, la parte d'agente.
    
    XXXVIII. Intanto, il partito patriottico da due forti sentimenti fu
    tratto a due direzioni opposte. I capi popolari, quantunque avessero
    paura della grandezza di Luigi, il quale non solo faceva fronte alla
    forza dell'Alleanza continentale, ma acquistava terreno, temevano
    nondimeno di affidare nelle mani del proprio Re i mezzi di domare la
    Francia, suspicando che tali mezzi venissero adoperati a distruggere
    le libertà della Inghilterra. Il conflitto di questi due timori,
    ambidue legittimi, dava alla politica della opposizione apparenza
    strana e volubile, al pari di quella della Corte. I Comuni gridarono
    guerra contro la Francia, finchè il Re, incitato da Danby a
    compiacere al desiderio loro, parve disposto a cedere, e si mise a
    far leve di soldati. Ma appena i Comuni videro cominciati i
    reclutamenti, la paura che avevano di Luigi dette luogo ad altra
    paura più prossima. Cominciarono a temere che le nuove leve
    venissero adoperate in una impresa alla quale Carlo aveva maggiore
    interesse che a quella di difendere le Fiandre. Ricusarono, quindi,
    la chiesta pecunia, e gridavano al disarmo, schiamazzando come poco
    innanzi avevano fatto allorchè chiedevano lo armamento. E' pare che
    gli storici che hanno severamente biasimata cotesta incoerenza, non
    badassero bastevolmente alla impacciata condizione di quei sudditi
    che hanno ragione di credere come il loro principe congiuri con un
    potentato straniero ed ostile a danno delle libertà loro. Ricusargli
    i mezzi militari, è il medesimo che lasciare lo Stato senza difesa.
    Nonostante, dandoglieli, gli si porrebbero forse in mano le armi
    contro lo Stato. In tali circostanze, l'ondeggiare fra questi
    pensieri non va considerato come argomento di disonestà, e nè anche
    di debolezza.
    
    XXXIX. Tali gelosie venivano studiosamente fomentate dal Re di
    Francia. Aveva tenuto a bada la Inghilterra con la promessa di
    sostenere il trono contro il Parlamento. Adesso, paventando che i
    patriottici consigli di Danby avessero a prevalere nel Gabinetto,
    cominciò ad infiammare il Parlamento contro il trono. A Luigi e al
    partito patriottico una sola cosa era comune; vale a dire un
    profondo diffidare di Carlo. Se quel partito fosse stato sicuro che
    il Re intendeva guerreggiare contro la Francia, sarebbe stato
    prontissimo a sostenerlo. Se Luigi fosse stato sicuro che le nuove
    leve fossero destinate a muovere guerra solo alla Costituzione
    dell'Inghilterra, non si sarebbe provato d'impedirle. Ma la
    instabilità e perfidia di Carlo erano tali, che il Governo Francese
    e la opposizione inglese, discordi in ogni altra cosa, concordavano
    nel non credere alle sue proteste, e volevano egualmente tenerlo
    povero e senza esercito. Si apersero comunicazioni tra Barillon
    ambasciatore di Luigi, e que' politici inglesi che avevano sempre
    sentito e tuttavia sinceramente sentivano grandissima avversione
    alla preponderanza francese. Guglielmo Lord Russell, figlio del
    Conte di Bedford, che era l'uomo più onesto del partito patriottico,
    non abborrì di tramare con un Ministro straniero, onde tenere
    nell'imbarazzo il proprio Sovrano. In ciò consisteva tutta la colpa
    di Russell. I suoi principii e le sue ricchezze lo rendevano
    inaccessibile ad ogni tentazione d'indole sordida; ma v'è molta
    ragione a credere, che parecchi de' suoi colleghi fossero meno
    scrupolosi di lui. Sarebbe cosa ingiusta addebitarli della
    ribalderia di avere ricevuto la mancia per recare detrimento alla
    patria: all'incontro, intendevano giovarla; ma è impossibile negare
    che fossero abietti e poco delicati, allorchè, per servirla, si
    lasciavano pagare da un principe forestiero. Fra coloro che non
    possono andare assoluti da siffatto disonorevole addebito, era un
    uomo che viene comunemente considerato come la personificazione
    dello spirito pubblico, e che, nonostante alcuni difetti morali e
    intellettuali, è meritamente degno d'esser chiamato eroe, filosofo
    ed amatore della patria. È impossibile vedere senza cordoglio un
    tanto nome nella lista degli uomini pensionati dalla Francia.
    Nulladimeno, ci reca qualche conforto il considerare, come ai tempi
    nostri un uomo pubblico che non respingesse sdegnosamente da sè una
    tentazione simile a quella che vinse la virtù e l'orgoglio di
    Algernon Sidney, verrebbe giudicato privo affatto d'ogni sentimento
    di dovere e di vergogna.
    
    XL. La conseguenza di queste trame fu che, quantunque l'Inghilterra,
    secondo le occasioni assumesse un contegno minaccioso, rimasero
    inefficaci finchè la guerra continentale, durata sette anni, si
    chiuse nel 1678 col trattato di Nimega. Le Provincie Unite, che nel
    1672 parevano ridotte sull'orlo dell'estrema rovina, ottennero patti
    onorevoli e vantaggiosi. L'essere scampate da questo arduo pericolo
    venne comunemente attribuito al senno ed al coraggio del giovane
    Statoldero, la fama del quale era grande in tutta la Europa, e
    massime fra gl'Inglesi, che lo consideravano come uno de' loro
    principi, e gioivano nel vederlo consorte della loro Regina futura.
    La Francia ritenne molte città importanti dei Paesi Bassi e la
    grande provincia della Franca Contea. Quasi tutta la perdita gravò
    sopra la cadente Monarchia Spagnuola.
    
    Pochi mesi dopo terminate le ostilità nel continente, seguì una gran
    crisi nella politica inglese. Ad essa ogni cosa tendeva da diciotto
    anni. Tutta la popolarità, comunque grande, onde il Re aveva
    iniziato il suo regno, era consunta. Allo entusiasmo di lealtà era
    succeduta profonda disaffezione. L'opinione pubblica aveva già
    riandato lo spazio frapposto tra il 1640 e il 1660, e trovossi
    nuovamente nelle condizioni in cui era allorchè si adunò il Lungo
    Parlamento.
    
    Il malcontento allora predominante nasceva da molte cagioni; una
    delle quali era l'orgoglio nazionale oltraggiato. Quella generazione
    d'uomini aveva veduta la Inghilterra in pochi anni alleata della
    Francia a patti uguali, vincitrice della Olanda e della Spagna,
    signora del mare, terrore di Roma, e capo degl'interessi
    protestanti. I suoi mezzi non erano punto scemati; e si sarebbe
    potuto sperare che ella sarebbe stata almeno tanto altamente
    considerata in Europa sotto un Re legittimo, quanto lo era stata
    sotto un usurpatore, il quale doveva rivolgere tutta la propria
    energia e vigilanza ad infrenare un popolo riottoso. Nondimeno ella,
    a cagione della imbecillità e bassezza de' suoi reggitori, era
    caduta in così basso stato, che ogni principato germanico o italiano
    che avesse potuto mettere in campo cinquemila uomini, era membro di
    maggiore importanza nella repubblica delle nazioni.
    
    Al sentimento della umiliazione nazionale andava congiunto il timore
    per la libertà civile. Voci, a dir vero, indistinte, ma forse più
    inquietanti a cagione della loro confusione, addebitavano la Corte
    di trama a danno de' diritti costituzionali degl'Inglesi.
    Bisbigliavasi perfino, che siffatta trama doveva recarsi ad effetto
    con lo intervento d'armi forestiere. Il solo pensiero di cotesto
    intervento faceva ribollire il sangue nelle vene a tutti, anco ai
    Cavalieri. Taluni, che avevano sempre professata la dottrina della
    non-resistenza in tutto il senso più lato del vocabolo, s'udivano
    mormorare, dicendo avere essa certi confini. Se le armi forestiere
    fossero state chiamate a costringere la nazione, essi non avrebbero
    potuto promettere di tenersi pazienti.
    
    Ma nè l'orgoglio nazionale, nè l'ansietà per le libertà pubbliche,
    influivano tanto sul sentire del popolo, quanto l'odio della
    religione cattolica romana. Quell'odio era diventato una delle
    passioni dominanti dell'universale, ed era così forte negli uomini
    ignoranti e profani, come in quelli che erano protestanti per
    convinzione. Le crudeltà del regno di Maria, crudeltà che anche
    raccontate con la maggior moderazione e fedeltà destano ribrezzo, e
    che allora non erano nè fedelmente nè moderatamente narrate nei
    martirologii popolari; le congiure contro Elisabetta, e sopra tutte
    quella delle Polveri, avevano lasciato negli animi del volgo un
    profondo ed amaro senso, che era tenuto vivo per mezzo di
    commemorazioni, preghiere, fuochi e processioni annuali. È mestieri
    aggiungere, che quelle classi che andavano peculiarmente predistinte
    come affezionate al trono, cioè il Clero e i gentiluomini possidenti
    di terre, avevano ragioni particolari per avversare la Chiesa di
    Roma. Il Clero tremava per i suoi beneficii; i gentiluomini per le
    abbadie e le grosse decime loro. Mentre era ancor fresca la memoria
    del regno de' santocchi, l'odio del papismo aveva in qualche modo
    ceduto il posto all'odio del puritanismo; ma ne' diciotto anni che
    erano trascorsi dopo la Restaurazione, l'odio del puritanismo era
    venuto scemando, e quello del papismo crescendo. I patti del
    trattato di Dover conoscevansi distintamente da pochissimi; ma ne
    era corsa attorno qualche voce. Opinavasi universalmente, essere
    vicina l'ora in cui un gran colpo verrebbe portato alla religione
    protestante. Molti sospettavano che il Re pendesse a favore di Roma.
    Sapevasi da tutti, il suo fratello ed erede presuntivo essere un
    bacchettone cattolico. La prima Duchessa di York era morta cattolica
    romana. Giacomo, spregiando le rimostranze della Camera de' Comuni,
    aveva allora sposata la Principessa Maria di Modena, cattolica
    romana anch'essa. Se fossero nati figli da questo matrimonio, eravi
    ragione di temere che verrebbero educati alla religione di Roma, e
    che sederebbe sul trono inglese una lunga successione di principi
    ostili alla fede stabilita. La Costituzione era stata, poco innanzi,
    violata a fine di proteggere i Cattolici Romani dalle leggi penali.
    Lo alleato, dal quale la politica inglese era stata per molti anni
    diretta, era un Principe non solamente cattolico romano, ma
    persecutore delle Chiese riformate. Non è strano, adunque, che in
    cosiffatte circostanze il popolo paventasse sospettando il ritorno
    de' tempi di colei ch'esso chiamava Maria la Bevi-sangue.
    
    In tal guisa, la nazione trovavasi in tali condizioni, che la più
    lieve favilla poteva produrre un incendio. Frattanto, appiccossi il
    fuoco, in due luoghi ad un tempo, ad un immenso cumulo di materie
    combustibili, ed in un attimo tutto fu in fiamme.
    
    XLI. La Corte Francese, che sapeva come Danby le fosse nemico
    mortale, riuscì a rovinarlo, facendolo passare per suo amico. Luigi,
    per mezzo di Ralph Montague, uomo perfido e svergognato, che era
    stato in Francia Ministro d'Inghilterra, depose innanzi la Camera
    de' Comuni prove che attestavano, il Tesoriere essere stato
    implicato in una richiesta che la Corte di Whitehall aveva fatta a
    quella di Versailles per ottenere una somma di danari. Tale scoperta
    produsse il suo naturale effetto. Il Tesoriere rimase esposto alla
    vendetta del Parlamento a cagione non delle sue colpe, ma de' meriti
    suoi; non per essere stato complice in un negoziato criminoso, ma
    per esserlo stato assai mal volentieri e di mala grazia. Se non che,
    i suoi contemporanei ignoravano le circostanze che nel giudizio
    della posterità hanno grandemente attenuato il fallo di lui. Secondo
    loro, egli era il mezzano che aveva venduta l'Inghilterra alla
    Francia. La sua grandezza parve manifestamente giunta al suo fine,
    ed era dubbio se gli riuscisse di sottrarsi alla pena capitale.
    
    Eppure, il concitamento prodotto da tale scoperta fu lieve, ove si
    paragoni alla pubblica commozione che nacque allorquando corse la
    voce, essere stata scoperta una vasta congiura papale. Un certo Tito
    Oates, prete della Chiesa d'Inghilterra, erasi, per condotta
    disordinata e per dottrine eterodosse, attirata sul capo la censura
    de' suoi superiori spirituali; era stato costretto a lasciare il suo
    beneficio, ed aveva poi sempre menata vita infame e vagabonda. Aveva
    già professata la religione cattolica romana, e passato qualche
    tempo nei collegii inglesi dell'Ordine de' Gesuiti sul continente, e
    in cotesti seminarii udito molto parlare intorno ai mezzi migliori
    di ricondurre l'Inghilterra al grembo della vera Chiesa. Da siffatti
    discorsi aveva raccolta materia a costruire un orribile romanzo,
    somiglievole più presto ad un sogno d'infermo, che a qualunque altra
    cosa del mondo esistente. Il Papa, diceva egli, aveva affidato il
    Governo dell'Inghilterra ai Gesuiti. I Gesuiti avevano, per via di
    commissioni munite del sigillo della loro società, nominato preti,
    nobili e gentiluomini cattolici, a tutti i più alti ufficii della
    Chiesa e dello Stato. I Papisti avevano una volta bruciata Londra.
    Eransi provati ad incendiarla di nuovo. A que' tempi ordivano una
    trama per appiccare fuoco a tutti i legni esistenti nel Tamigi.
    Dovevano, ad un segno convenuto, insorgere e far macello di tutti i
    protestanti. Un'armata francese doveva nel momento istesso sbarcare
    in Irlanda. Tutti i principali uomini di Stato e gli ecclesiastici
    d'Inghilterra dovevano essere assassinati. Tre o quattro progetti
    eransi formati per assassinare il Re. Dovevano pugnalarlo, dargli il
    veleno nel medicamento, tirargli con lo archibugio carico a palle
    d'argento. L'opinione pubblica era in tale eccitamento, che siffatte
    fandonie ottennero tosto credenza nelle menti del volgo; e due fatti
    poco dopo seguiti, indussero non pochi uomini di senno a sospettare,
    che la novella, quantunque manifestamente sformata ed esagerata,
    avesse qualche fondamento di vero.
    
    Eduardo Coleman, molto operoso, ma non onesto intrigante cattolico
    romano, era fra le persone accusate. Inquisirono le sue carte, e si
    accorsero che ne aveva distrutta gran parte. Ma le poche che furono
    prese, contenevano certe parole, che sembravano, alle menti
    fortemente preoccupate, confermare la testimonianza d'Oates. Queste
    parole, per vero dire, ove s'interpretino con ischiettezza, paiono
    esprimere poco più che certe speranze, che la postura delle cose, le
    predilezioni di Carlo, le più forti predilezioni di Giacomo, e le
    relazioni esistenti tra la Corte Francese e la Inglese, potevano
    naturalmente eccitare nel cuore di un cattolico romano, strettamente
    vincolato agli interessi della propria Chiesa. Ma il paese allora
    non inchinava a interpretare schiettamente le lettere de' papisti; e
    si concluse, con qualche apparenza di ragione, che se alcuni scritti
    ai quali s'era poco badato, come quelli che non avevano nessuna
    importanza, erano pieni di cose talmente sospette, qualche gran
    mistero d'iniquità doveva contenersi in que' documenti che erano
    stati con gran cura dati alle fiamme.
    
    Pochi giorni dopo si seppe che Sir Edmondsbury Godfrey, insigne
    Giudice di Pace che aveva raccolte le deposizioni di Oates contro
    Coleman, era scomparso. Fattane ricerca, ne trovarono il cadavere in
    un campo presso Londra. Chiaro appariva ch'era morto di morte
    violenta. Era parimente chiaro che non era stato assassinato dai
    ladri. La sua miseranda fine è rimasta sinora un secreto. Taluni
    credono che si uccidesse da sè; altri che ei cadesse vittima
    d'inimicizia privata. La opinione più improbabile è, che fosse
    assassinato dal partito ostile alla Corte, onde meglio colorire la
    novella della congiura. La opinione più probabile sembra essere, che
    qualche furente cattolico romano, spinto alla frenesia dalle
    menzogne di Oates e dagli insulti della plebe, non facendo nessuna
    distinzione tra l'accusatore spergiuro e l'innocente magistrato, si
    fosse voluto vendicare in un modo, di cui la storia delle sètte
    perseguitate fornisce troppo numerosi esempi. Se così andò la
    faccenda, lo assassino dovette poscia maledire alla sua propria
    malvagità e follia. La metropoli e tutta la nazione insanirono
    d'odio e di paura. Le leggi penali, che avevano cominciato a perdere
    alcun che della loro acerbità, divennero nuovamente più rigorose. In
    ogni dove i giudici erano affaccendati a perquisire case e
    impossessarsi di carte. Tutte le prigioni rigurgitavano di papisti.
    Londra rendeva immagine d'una città in istato d'assedio. La guardia
    cittadina rimaneva in armi tutta la notte. Facevansi apparecchi a
    barricare le grandi strade. Pattuglie correvano su e giù per le vie.
    Whitehall fu circondato di cannoni. Nessun cittadino reputavasi
    sicuro senza portare sotto la veste un'arme carica di piombo, per
    far saltare le cervella agli assassini papali. Il cadavere del
    magistrato ucciso, fu esposto per parecchi giorni allo sguardo del
    popolo affollantesi; e venne finalmente sepolto con istrane e
    terribili cerimonie, che erano indizio più presto di sete di
    vendetta, che di dolore o di speranza religiosa. Le Camere
    insistevano perchè le volte sopra le quali i rappresentanti
    sedevano, venissero custodite da uomini armati, onde guardarsi da
    una seconda Congiura delle Polveri. Tutti i loro atti avevano lo
    stesso scopo. Dal regno di Elisabetta in poi, il giuramento di
    supremazia era stato richiesto ai membri della Camera de' Comuni.
    Alcuni Cattolici Romani, nondimeno, si erano studiati d'interpretare
    quel giuramento in guisa, da poterlo prestare senza scrupolo di
    coscienza. Adesso ne fu rifatta la formula; e i Lordi Cattolici
    Romani furono, per la prima volta, esclusi da' loro seggi in
    Parlamento. Vennero adottati vigorosi provvedimenti contro la
    Regina. I Comuni gettarono in carcere uno dei Segretari di Stato,
    per avere contrassegnate commissioni dirette a gentiluomini che non
    erano buoni protestanti. Accusarono d'alto tradimento il Lord
    Tesoriere. Anzi dimenticarono a tal segno la dottrina da loro
    apertamente professata mentre era ancora fresca la memoria della
    guerra civile, che tentarono perfino di privare il Re del comando
    della guardia cittadina. A tale esasperazione, diciotto anni di
    pessimo governo avevano condotto il più leale Parlamento che si
    fosse mai adunato in Inghilterra!
    
    Parrà forse strano a taluni, come in tanto estremo il Re si
    esponesse al risico di appellarsi al popolo, perocchè il popolo era
    in maggiore eccitamento che non erano i Rappresentanti. La Camera
    Bassa, malcontenta come era, conteneva un numero maggiore di
    Cavalieri, di quanti ne potessero verosimilmente essere rieletti di
    nuovo. Ma pensavasi che lo scioglimento ponesse fine all'accusa
    contro il Lord Tesoriere; accusa che, probabilmente, avrebbe tratti
    alla luce del giorno tutti i colpevoli misteri della alleanza
    francese, e cagionate gravi molestie personali ed impacci non pochi
    a Carlo. E però, nel gennaio del 1679, il Parlamento, che era
    esistito sempre dall'anno 1661, venne disciolto; e si spedirono i
    decreti per una elezione generale.
    
    XLII. Per varie settimane, la contesa in tutto il Regno fu feroce ed
    ostinata oltre ogni credere. Si profusero somme di danari, di cui
    non v'era esempio precedente. Si adoperarono nuovi mezzi di
    riuscita. Fu notato dagli scrittori di que' tempi come cosa
    straordinaria, che si affittassero cavalli a gran prezzo per
    trasportare gli elettori al luogo d'elezione. L'uso di sminuzzare le
    possessioni libere onde moltiplicare i voti, ha principio da questa
    memorabile lotta. I predicatori dissenzienti, che stavano da lungo
    tempo nascosti in tranquilli recessi fuggendo la persecuzione,
    uscirono fuori, e correvano di villaggio in villaggio, onde
    riaccendere lo zelo del disperso popolo di Dio. La procella
    mugghiava minacciosa contro il Governo. Moltissimi de' nuovi
    Rappresentanti vennero a Westminster in contegno poco diverso da
    quello dei loro predecessori, che avevano imprigionato Strafford e
    Laud dentro la Torre.
    
    Frattanto, le Corti di Giustizia, le quali fra mezzo alle commozioni
    politiche avrebbero dovuto essere luoghi sicuri di rifugio agli
    innocenti di qualsivoglia partito, erano deturpate da più selvagge
    passioni e più vile corruttela, che non fossero le assemblee degli
    elettori. La storiella d'Oates, comunque fosse stata bastevole a
    conturbare tutto il reame, non poteva bastare, fino a che non fosse
    confermata da nuova testimonianza, a distruggere il più dappoco tra
    coloro ch'egli aveva accusati. Imperciocchè, nella legge
    d'Inghilterra, due testimoni erano necessari a stabilire la colpa di
    tradimento. Ma il successo del primo impostore produsse le sue
    naturali conseguenze. In poche settimane, dalla penuria ed oscurità
    in cui giaceva, erasi inalzato ad opulenza e a potere tali, che egli
    era il terrore del principe e dei nobili; a quella tale rinomanza,
    che per gli animi bassi e ribaldi ha tutta la magia della gloria.
    Non rimase lungo tempo senza coadiutori e rivali. Uno sciagurato, di
    nome Carstairs, il quale aveva campata la vita in Iscozia
    intervenendo ai conventicoli e facendo poscia la spia a'
    predicatori, aprì la via. Bedloe, ribaldo conosciutissimo, gli tenne
    dietro; e tosto da tutti i bordelli, le case da giuoco e le case
    d'uscieri di Londra, sbucarono falsi testimoni a deporre contro la
    vita de' Cattolici Romani. Uno si presentò raccontando la novella di
    un'armata di trenta mila uomini, i quali, travestiti da pellegrini,
    dovevano ragunarsi a Corunna, e quivi imbarcarsi per il paese di
    Galles. Un altro diceva, essergli stata promessa la canonizzazione e
    cinquecento sterline per assassinare il Re. Un terzo erasi
    introdotto in una taverna a Covent Garden, ed aveva udito un gran
    banchiere cattolico romano far sacramento, in mezzo a tutti gli
    astanti e i garzoni, di uccidere il tiranno eretico. Oates, per non
    essere vinto dai suoi imitatori, alla sua prima narrazione aggiunse
    un ampio supplemento. Ebbe la portentosa impudenza di affermare, fra
    le altre cose, d'essersi una volta nascosto dietro un uscio
    socchiuso, ed avere udito la Regina che affermava di avere assentito
    allo assassinio del proprio consorte. Il volgo credeva, e gli alti
    magistrati facevano mostra di credere, simiglianti fandonie. I
    giudici principali del Regno erano corrotti, crudeli e vigliacchi. I
    capi del partito patriottico fomentavano il pubblico inganno. I più
    rispettabili di essi, in verità, erano talmente caduti in inganno,
    da credere vera la maggior parte delle prove della congiura. Uomini
    come Shaftesbury e Buckingham, senza alcun dubbio, si accorgevano
    che tutto era una pretta invenzione; ma giovava pur troppo i loro
    disegni, e alle loro aride coscienze la morte di un innocente non
    dava inquietudine maggiore di quella della morte d'una pernice. I
    giurati partecipavano ai sentimenti allora comuni a tutta la
    nazione, e venivano incoraggiati dal seggio a compiacere senza
    riserbo a cosiffatti sentimenti. La plebe applaudì Oates e i suoi
    consorti, fischiò e battè i testimoni che comparvero a difesa degli
    accusati, e mandò gridi di gioia appena fu profferita la sentenza
    che li dichiarava colpevoli. Invano que' miseri invocavano la onestà
    della loro vita passata; imperocchè nella mente di tutti stava fitto
    il pensiero, che quanto più coscienzioso fosse un papista, tanto era
    più verosimile che ei congiurasse contro un Governo protestante.
    Invano risolutamente affermarono la propria innocenza fino al
    momento stesso della morte; imperciocchè era opinione generale, che
    un buon papista considerava qualsivoglia menzogna che fosse utile
    alla sua Chiesa, non solo scusabile, ma meritoria.
    
    XLIII. Mentre il sangue innocente spargevasi sotto le forme della
    giustizia, adunossi il nuovo Parlamento; e fu tale il violento
    procedere del partito predominante, che anche gli uomini che avevano
    passata la giovinezza in mezzo alle rivoluzioni, uomini che
    rammentavano la condanna di Strafford, lo attentato contro i cinque
    Rappresentanti, l'abolizione della Camera de' Lordi, la
    decapitazione del Re, rimasero atterriti allo aspetto delle
    pubbliche cose. L'accusa contro Danby fu ripresa. Costui invocò il
    perdono del Principe. Ma i Comuni trattarono la risposta con
    disprezzo, ed insistettero perchè si seguitasse il processo.
    Nondimeno, Danby non era lo scopo precipuo delle loro persecuzioni.
    Erano convinti che l'unico modo efficace di assicurare la libertà e
    la religione dell'Inghilterra, era quello d'escludere dal trono il
    Duca di York.
    
    Il Re viveva in grande perplessità. Aveva insistito perchè suo
    fratello, la vista del quale accendeva la rabbia del popolaccio, si
    ritirasse per alcun tempo a Brusselles: ma non sembra che tale
    concessione producesse favorevole effetto. Il partito delle
    Teste-Rotonde divenne allora preponderante. Ad esso accostaronsi
    milioni di cittadini, i quali, al tempo della Restaurazione,
    pendevano verso la regia prerogativa. De' vecchi Cavalieri molti
    partecipavano alla prevalente paura del papismo; e molti, amaramente
    sentendo la ingratitudine del Principe a pro' del quale avevano
    fatti cotanti sacrifici, prendevansi poca cura della miseria di lui,
    come egli aveva poco curata la loro. Anche il Clero Anglicano,
    mortificato ed impaurito dell'apostasia del Duca di York, sosteneva
    tanto la opposizione, da congiungere cordialmente la propria voce al
    grido universale contro i Cattolici Romani.
    
    XLIV. Il Re, in cosiffatti estremi, erasi rivolto a Sir Guglielmo
    Temple. Di tutti gl'impiegati di quell'età, Temple era quello che
    aveva serbata migliore reputazione. La Triplice Alleanza era stata
    opera di lui. Egli aveva ricusato di partecipare alla politica della
    Cabala, ed era rigorosamente vissuto da privato finchè quella ebbe
    in mano il governo della cosa pubblica. Chiamato da Danby, aveva
    abbandonato il proprio ritiro, negoziata la pace fra l'Inghilterra e
    l'Olanda, ed era stato precipuo strumento a concludere il matrimonio
    di Maria col cugino Principe d'Orange. Così a lui riportavasi il
    merito di tutte le poche cose lodevoli che erano state fatte dal
    Governo dopo la Restaurazione. De' numerosi falli e delitti commessi
    negli ultimi diciotto anni, nessuno ne veniva a lui attribuito. La
    sua vita privata, quantunque non fosse austera, era decorosa; i suoi
    modi erano popolari; e non era uomo da lasciarsi corrompere da
    titoli o da ricchezze. Nonostante, qualche cosa mancava al carattere
    di coteste spettabile uomo di Stato. L'amor suo per la patria era
    tiepido. Era, pur troppo, studioso de' suoi agi e della dignità sua,
    e rifuggiva con pusillanime timore da ogni responsabilità. E
    davvero, le abitudini della sua vita non lo rendevano adattato ad
    immischiarsi seriamente ne' conflitti delle nostre fazioni
    intestine. Era pervenuto al cinquantesimo degli anni suoi senza aver
    seduto nel Parlamento Inglese; e la sua esperienza officiale, ei
    l'aveva quasi tutta acquistata nelle Corti forestiere. Giustamente
    aveva fama d'essere uno de' più insigni diplomatici dell'Europa; ma
    lo ingegno e le doti d'un diplomatico differiscono molto da ciò che
    richiedesi in un uomo politico per condurre la Camera de' Comuni in
    tempi torbidi.
    
    Il disegno ch'egli propose, era argomento di non poca abilità.
    Comecchè non fosse profondo filosofo, aveva, più che molti uomini
    pratici del mondo, meditato intorno ai principii generali del
    Governo; ed aveva fecondato il proprio intendimento studiando la
    storia e viaggiando ne' paesi stranieri. E' pare che discernesse più
    chiaramente che molti de' suoi coetanei, la cagione delle difficoltà
    che stringevano il Governo. L'indole dell'ordinamento politico in
    Inghilterra veniva a poco a poco mutandosi. Il Parlamento
    lentamente, ma costantemente, acquistava terreno sulla prerogativa.
    La linea tra il potere legislativo e lo esecutivo era in teoria più
    che mai descritta distintamente, ma in pratica diveniva ogni giorno
    più debole. Era teoria della Costituzione, che il Re avesse potestà
    di nominare i propri Ministri. Ma la Camera de' Comuni aveva
    cacciati successivamente dalla direzione degli affari Clarendon, la
    Cabala e Danby. Era teoria della Costituzione, che il solo Re avesse
    potestà di fare guerra e pace. Ma la Camera de' Comuni lo aveva
    costretto a pacificarsi con l'Olanda, e lo aveva pressochè forzato a
    muover guerra alla Francia. Era teoria della Costituzione, che il Re
    fosse il solo giudice de' casi in cui convenisse graziare i
    colpevoli. Nondimeno, egli aveva tanta paura della Camera de'
    Comuni, che, allora non poteva rischiarsi di salvare dalla forca
    uomini ch'ei ben sapeva essere vittime innocenti di uno spergiuro.
    
    E' parrebbe che Temple volesse assicurare al Corpo Legislativo
    gl'indubitati poteri costituzionali, e nel tempo stesso impedirgli,
    per quanto fosse possibile, di fare altre usurpazioni nel campo del
    Potere Esecutivo. A tale fine, pensò di porre fra il Sovrano ed il
    Parlamento un corpo che potesse frustrare la scossa della loro
    collisione. Eravi un Corpo antico, altamente onorevole e
    riconosciuto dalla legge, il quale, egli pensava, potevasi riformare
    in guisa, da servire al predetto scopo. Pensò di dare al Consiglio
    Privato un nuovo carattere ed un ufficio nuovo nel Governo. Fissò a
    trenta il numero de' Consiglieri; quindici dei quali dovevano essere
    i principali ministri dello Stato, della legge e della religione;
    gli altri quindici, nobili e gentiluomini privi di impiego, ma
    opulenti e di grande reputazione. Non vi doveva essere Gabinetto
    intimo. A tutti i trenta Consiglieri doveva confidarsi ogni secreto
    di Stato, e dovevano tutti essere chiamati ad ogni adunanza del
    Consiglio; e il Re doveva dichiarare, che in ogni occasione si
    sarebbe lasciato guidare da loro.
    
    Sembra che Temple credesse di assicurare, per mezzo di tale
    ordinamento, la nazione contro la tirannia della Corona, e a un'ora
    la Corona contro le usurpazioni del Parlamento. Da una parte, era
    molto improbabile che i progetti, tali quali erano stati formati
    dalla Cabala, si fossero potuti soltanto proporre per essere
    discussi in un'Assemblea composta di trenta uomini eminenti,
    quindici dei quali non avevano nessun vincolo d'interesse con la
    Corte. Dall'altra parte, era da sperarsi che i Comuni, paghi della
    guarentigia che contro gli abusi del Governo offriva un cosiffatto
    Consiglio Privato, si sarebbero, più che per lo innanzi non avevano
    fatto, mantenuti dentro gli stretti confini delle funzioni
    legislative, e più non avrebbero riputato necessario d'immischiarsi
    in ogni cosa spettante al Potere Esecutivo.
    
    Cotesto disegno, quantunque per molti rispetti non fosse indegno di
    colui che lo aveva immaginato, era vizioso nel suo principio. Il
    nuovo Consiglio era mezzo Gabinetto e mezzo Parlamento; e, simile ad
    ogni altra invenzione, sia meccanica, sia politica, intesa a due
    fini affatto diversi, non era buono a conseguirne nessuno. Era così
    ampio e diviso, da non potere essere un buon corpo amministrativo.
    Era così strettamente connesso con la Corona, da non riuscire un
    efficace potere raffrenante. Conteneva bastevoli elementi popolari
    onde rendersi un cattivo Consiglio di Stato, inadatto a serbare il
    segreto, a comporre i negoziati malagevoli, e ad amministrare le
    cose della guerra. Nulladimeno, quegli elementi popolari non erano
    punto bastevoli ad assicurare la nazione contro gli abusi del
    Governo. Questo disegno, adunque, quand'anco fosse stato
    sinceramente posto in esperimento, non avrebbe potuto sortire esito
    felice; e non ne fu fatto sincero sperimento. Il Re era instabile e
    perfido; il Parlamento era infiammato ed irragionevole; e i
    materiali onde era composto il nuovo Consiglio, benchè fossero forse
    i migliori che potesse apprestare quell'età, erano anco cattivi.
    
    L'iniziarsi del nuovo sistema fu, non pertanto, salutato con gioia
    universale; imperocchè il popolo inchinava a reputare miglioramento
    ogni qualunque mutazione. Gli tornarono anche gradite parecchie
    nomine. Shaftesbury, ormai bene accetto alla plebe, fu fatto Lord
    Presidente. Russell ed altri insigni uomini del partito patriottico
    furono chiamati al Consiglio. Ma dopo pochi giorni, imbrogliossi
    ogni cosa. Le inconvenevolezze di avere un Gabinetto così numeroso
    furono tali, che lo stesso Temple assentì a variare una delle regole
    fondamentali da lui proposte, e a diventare egli stesso parte di un
    piccolo nucleo che dirigeva veramente ogni cosa. A lui furono
    accompagnati tre altri Ministri, cioè Arturo Capel Conte di Essex,
    Giorgio Savite Visconte di Halifax, e Roberto Spencer Conte di
    Sunderland.
    
    Del Conte d'Essex, che era Primo Commissario del Tesoro, basti il
    dire ch'era uomo fornito di doti solide, sebbene non appariscenti, e
    di carattere grave e melanconico; che aderiva al partito
    patriottico, e in quel tempo onestamente desiderava di riconciliare,
    in modo proficuo allo Stato, quel partito col trono.
    
    XLV. Fra gli uomini di Stato di quell'età, Halifax primeggiava per
    ingegno. Aveva intelletto fecondo, sottile e capace; eloquenza
    forbita, lucida e animata, la quale, accompagnata dal tono argentino
    della voce, empiva di diletto la Camera de' Lordi. Il suo conversare
    soprabbondava di pensiero, di fantasia, di brio. I suoi scritti
    politici sono degni di studio per pregio letterario; onde
    meritamente ei si annovera fra i Classici Inglesi. Alla importanza
    ch'ei derivava da doti sì grandi e variate, congiungeva la influenza
    che nasce dal grado e dalla ricchezza. E nondimeno, in politica egli
    ebbe successo meno prospero di molti altri a lui inferiori. A vero
    dire, quelle peculiarità intellettuali che rendono pregevoli i suoi
    scritti, gli furono d'impedimento nelle lotte della vita attiva.
    Perocchè egli vide sempre gli avvenimenti non nello aspetto in cui
    comunemente si mostrano ad un uomo che ne è parte, ma quali, dopo lo
    spazio di molti anni, appariscono allo storico filosofo. Con tale
    tempra di mente, non poteva a lungo seguitare ad agire cordialmente
    con nessuna società di uomini. Tutti i pregiudizi, tutte le
    esagerazioni di ambedue i grandi partiti dello Stato, lo muovevano a
    scherno. Spregiava le arti vili e gl'irragionevoli clamori dei
    demagoghi. Spregiava anche più le dottrine del diritto divino e
    della obbedienza passiva. Metteva egualmente in canzone la
    bacchettoneria dell'ecclesiastico anglicano e quella del puritano.
    Non poteva intendere come alcuno avversasse le festività de' Santi,
    e certi abiti clericali; e come, soltanto per avversarli, l'uomo
    potesse perseguitare il suo simile. In quanto all'indole, egli era
    ciò che ai dì nostri si chiama Conservatore. In teoria era
    repubblicano. Anche allorchè il timore dell'anarchia, e lo sdegno
    ch'ei sentiva degl'inganni del volgo, lo indussero per qualche tempo
    a congiungersi ai difensori del potere arbitrario, il suo intelletto
    era sempre con Locke e con Milton. Veramente, i suoi scherni contro
    la Monarchia ereditaria talvolta erano tali da sonar meglio sulle
    labbra di un membro del Circolo della Testa di Vitello (Calf's Head
    Club)(42), che su quelle di un Consigliere privato degli Stuardi. In
    religione, era tanto lungi da dirsi uno zelante, che i poco
    caritatevoli lo chiamavano ateo: ma egli respinse con veemenza
    siffatta accusa; e in verità, quantunque alcuna volta porgesse
    argomento di scandalo col modo onde faceva uso del raro vigore del
    suo ragionare e de' suoi dileggi sopra subbietti gravi, ei sembra
    essere stato suscettibile di sentimenti religiosi.
    
    Egli era il capo di quegli uomini politici che dai due grandi
    partiti venivano sprezzantemente chiamati Barcamenanti (Trimmers).
    Invece di avere a sdegno questo soprannome, egli lo assunse come un
    titolo d'onore, e rivendicò vivamente la dignità del vocabolo. Ogni
    cosa buona, egli diceva, si tiene, si barcamena fra due estremi. La
    zona temperata si tiene fra il clima dove gli uomini sono
    abbronzati, e quello dove essi sono agghiacciati. La Chiesa
    Anglicana si tiene fra la insania degli Anabattisti e la letargia
    dei Papisti. La Costituzione Inglese si tiene fra il dispotismo
    turco, e l'anarchia polacca. La virtù non è altro che un giusto
    temperamento fra certe tendenze, ciascuna delle quali, condotta
    all'eccesso, diventa vizio. Anzi, la perfezione dello stesso Ente
    Supremo consiste nell'esatto equilibrio degli attributi, nessuno dei
    quali potrebbe preponderare senza turbare l'ordine morale e fisico
    del mondo(43). Così Halifax barcamenavasi per principio. Si
    barcamenava parimente a cagione della indole, della mente e del
    proprio cuore. Aveva intendimento acuto, scettico, inesauribilmente
    fecondo di distinzioni ed obiezioni; gusto insigne, sentimento
    squisito del burlesco, indole placida e indulgente, ma fastidiosa, e
    in nessun modo inchinevole o alla malignità o alla ammirazione
    entusiastica. Un uomo tale non poteva essere lungamente l'amico
    immutabile di qualsivoglia partito politico. Nondimeno, non è
    mestieri accomunarlo alla turba volgare de' rinnegati. Imperciocchè,
    quantunque, al pari di costoro, egli passasse ora a questa, ora a
    quella parte, il suo trapasso avveniva in direzione opposta alla
    loro. Ei non aveva nulla di comune con quelli che volano da estremo
    ad estremo, e sentono per il partito da essi abbandonato una
    animosità più forte di quella dei nemici costanti. Il suo posto era
    in mezzo alle divisioni ostili della Comunità, ed ei non ispingevasi
    oltre i confini dell'una o dell'altra. Il partito al quale egli
    apparteneva, era sempre quello che in quel momento piacevagli meno,
    perchè lo mirava più da presso. E però, egli era sempre severo verso
    i suoi colleghi violenti, e sempre in amichevoli relazioni coi suoi
    oppositori moderati. Ciascuna fazione, nel giorno del proprio
    insolente e vendicativo trionfo, incorreva nella censura di lui; ma
    vinta e perseguitata, trovava in lui un protettore. A perenne onor
    suo, è uopo rammentare ch'egli tentò di salvare quelle vittime, la
    sciagurata sorte delle quali ha lasciata turpissima macchia sul nome
    de' Whig e dei Tory.
    
    Erasi reso singolarmente notevole nell'opposizione, ed aveva perciò
    incorso talmente l'ira del Re, da non essere stato ammesso al
    Consiglio dei Trenta senza difficoltà e lunga contesa. Nulladimeno,
    appena gli fu dato porre piede nella Corte, la malia de' suoi modi e
    del suo conversare gli acquistarono insigne favore. Erasi seriamente
    impaurito alla violenza del pubblico malcontento; e pensava che la
    libertà per allora fosse in sicuro, ma l'ordine e l'autorità
    legittima corressero pericolo. Ond'egli, secondo era suo costume, si
    congiunse alla parte debole. Forse la sua conversione non fu affatto
    scevra d'interesse; perocchè gli studi e la meditazione, benchè lo
    avessero emancipato da molti pregiudizi volgari, lo avevano lasciato
    schiavo ai volgari desiderii. Non difettava d'oro; e non v'è prova
    che attesti esserselo procacciato con mezzi i quali, anche in quella
    età, i severi censori consideravano come disonoranti: ma il grado e
    il potere erano a lui irresistibili tentazioni. Protestava di
    considerare i titoli e i grandi uffici come allettamenti che possono
    sedurre i soli stolti, di odiare le faccende, la pompa, le
    apparenze, e di desiderare caramente sottrarsi al rumore ed agli
    splendori di Whitehall, onde rifuggirsi ai boschi tranquilli che
    circondavano il suo antico castello in Rufford; ma la sua condotta
    discordava non poco dalle sue proteste. Vero è che voleva a sè
    riverenti i cortigiani e insieme i filosofi, ed essere ammirato per
    avere conseguite alte dignità, e per saperle ad un tempo spregiare.
    
    XLVI. Sunderland era Segretario di Stato. In lui era
    maravigliosamente incarnata la immoralità politica di quell'età.
    Natura lo aveva dotato d'acuto intelletto, d'indole irrequieta o
    malefica, di cuore freddo, di spirito abietto. La sua mente era
    stata educata in guisa, che tutti i suoi vizi vi fecondavano con
    rigogliosa maturità. Entrato nella vita pubblica, aveva passati vari
    anni in impieghi diplomatici appo le Corti straniere, e per qualche
    tempo era stato Ministro in Francia. Ogni Stato ha le sue tentazioni
    peculiari. Non è ingiusto lo affermare che i diplomatici, come
    classe, si sono sempre fatti notare per destrezza, per l'arte con
    cui acquistano la fiducia di coloro coi quali debbono trattare, e
    per l'agevolezza d'afferrare il tono di qualsiasi società alla quale
    vengano ammessi, più presto che per entusiasmo generoso e per
    austera rettitudine: e le relazioni tra Carlo e Luigi erano tali,
    che nessun gentiluomo inglese avrebbe potuto lungo tempo dimorare in
    Francia come ambasciatore, e serbare dramma di sentimento onorevole
    e patriottico. Sunderland, dalla scuola dove era stato educato, uscì
    astuto, pieghevole, scevro di vergogna e d'ogni qualunque
    pregiudizio, e destituto d'ogni principio. Per relazioni ereditarie,
    egli era Cavaliere; ma non aveva nulla di comune col partito de'
    Cavalieri. Costoro erano zelanti della Monarchia, e professavano la
    dottrina contraria ad ogni resistenza; ma avevano cuori robusti e
    veramente inglesi, che non avrebbero mai tollerato un reggimento
    dispotico. Egli, per l'opposto, aveva una languida vaghezza
    speculativa per le istituzioni repubblicane; vaghezza che non
    gl'impediva in nulla d'essere prontissimo a diventare in pratica il
    più servile strumento del potere arbitrario. A sembianza di molti
    altri lusingatori e negoziatori compiti, era più dotto nell'arte di
    conoscere i caratteri e giovarsi della debolezza degli uomini, che
    nell'arte di discernere il sentire delle grandi masse, e prevedere
    lo avvicinarsi delle grandi rivoluzioni. Era destro negli intrighi;
    e riusciva difficile, anche agli uomini sottili ed esperti che
    fossero stati preavvertiti della perfidia di lui, il resistere al
    fascino de' suoi modi, e non credere alle sue proteste d'affetto. Ma
    era così intento ad osservare e corteggiare gl'individui, che
    dimenticava di studiare l'indole della nazione: però cadde in
    gravissimi inganni, rispetto ai più solenni eventi del suo tempo.
    Ogni importante movimento o scoppio dell'opinione pubblica gli
    giunse di sorpresa; e il mondo, non sapendo intendere che un uomo
    come lui, fosse cotanto cieco da non vedere ciò che chiaramente
    vedevano i politicanti delle botteghe da caffè, talvolta attribuiva
    a profondo disegno quei che, a dir vero, non erano se non pretti
    abbagli.
    
    Soltanto ne' privati colloqui, le sue doti eminenti principalmente
    esplicavansi. Ne' recessi della reggia, o in un assai piccolo
    cerchio, egli esercitava grande influenza. Ma nel Consiglio era
    taciturno; e nella Camera de' Lordi non apriva mai le labbra.
    
    XLVII. I quattro Consiglieri confidenti della Corona si accorsero
    tosto, la loro situazione essere impacciata e fatta segno alla
    invidia. Gli altri membri del Consiglio mormoravano di tale
    predilezione contraria a quanto il Re aveva promesso; e taluni di
    loro, capitanati da Shaftesbury, si dettero di nuovo a fare vigorosa
    opposizione in Parlamento. L'agitazione, che gli ultimi mutamenti
    avevano sospesa, divenne rapidamente quanto mai violentissima.
    Invano Carlo offrì ai Comuni qualunque guarentigia avessero potuto
    immaginare a pro' della religione protestante, purchè solo non
    toccassero l'ordine della successione. Non vollero udire a parlare
    di patti: volevano la Legge d'Esclusione, e null'altro che la Legge
    d'Esclusione. Il Re, quindi, poche settimane dopo d'avere
    pubblicamente promesso di non muovere passo senza consultare il suo
    nuovo Consiglio, recossi alla Camera de' Lordi senza farne parola in
    Consiglio, e prorogò il Parlamento.
    
    Il giorno di tale proroga, cioè il ventesimosesto del maggio 1679,
    forma una grande era nella nostra storia: perocchè in quel dì l'Atto
    dell'Habeas Corpus ebbe la regia approvazione. Dal tempo della Magna
    Carta in poi, la legge concernente la libertà personale degl'Inglesi
    è stata, in sostanza, quasi come è oggi; ma era inefficace, per
    difetto di un sistema energico di procedura.
    
    XLVIII. Ciò che bisognava, non era un nuovo diritto, ma un rimedio
    pronto ed indagatore: rimedio al quale fu provveduto con l'Atto
    dell'Habeas Corpus. Il Re avrebbe volentieri ricusato lo assenso a
    siffatta provvisione; ma era sul punto di fare appello dal
    Parlamento al popolo in quanto alla questione della successione; e
    non poteva rischiarsi, in un momento così critico, di rigettare una
    legge estremamente popolare.
    
    Nel medesimo giorno, la stampa in Inghilterra divenne libera per
    breve tempo. Anticamente, gli stampatori erano stati soggetti al
    rigido sindacato della Camera Stellata. Il Lungo Parlamento l'aveva
    abolito; ma, ad onta de' filosofici ed eloquenti rimproveri di
    Milton, aveva istituita e conservata la censura. Subito dopo la
    Restaurazione, era stata fatta una legge che inibiva la stampa di
    libri non muniti di licenza; ed erasi provveduto che siffatta legge
    rimanesse in vigore sino al chiudersi della prima sessione del
    prossimo Parlamento. Quel termine era arrivato, e il Re nel tempo
    stesso che licenziava le Camere, emancipò la stampa.
    
    XLIX. Poco dopo la proroga, seguì lo scioglimento e la elezione
    generale. Grande era lo zelo e la forza dell'opposizione. Gridavasi
    più che mai a favore della Legge d'Esclusione: al quale grido ne
    mescolavano un altro che infiammò il sangue della moltitudine, e che
    svegliò dolore e paura ne' petti de' prudenti amici della libertà.
    Non solo vennero assaliti i diritti del Duca di York che era papista
    conosciuto, ma quelli delle sue due figlie, le quali erano sincere e
    calde protestanti. Affermavano come cosa certa, che il maggior
    figlio naturale del Re era nato di matrimonio, ed era quindi erede
    legittimo della Corona.
    
    Carlo, mentre era pellegrino sul continente, aveva amoreggiato
    all'Aja con Lucia Walters, bellissima fanciulla del paese di Galles,
    ma di poco intendimento e di costumi corrotti. Diventata amante di
    lui, gli partorì un figlio. Un innamorato sospettoso ne avrebbe
    concepito qualche dubbio; perocchè la donna aveva parecchi
    vagheggiatori, e credevasi che non fosse crudele a tutti. Carlo,
    nondimeno, prestò fede alla parola di lei, e mise addosso al piccolo
    Giacomo Crofts - era questo il nome allora imposto al fanciullo - un
    amore sì sviscerato, da sembrare impossibile in un uomo d'indole
    fredda e spensierata qual era Carlo. Tosto dopo la Restaurazione, il
    bene amato giovane, il quale aveva imparati in Francia gli esercizi
    in quel tempo reputati necessari ad un gentiluomo compito, comparve
    in Whitehall. Gli fu dato alloggio in palazzo, gli furono dati
    parecchi paggi, e parecchi privilegi fino allora goduti soltanto dai
    Principi di sangue reale. Mentre era ancora ne' suoi teneri anni,
    gli fu data in moglie Anna Scott, erede della nobile casa di
    Buccleuch. Assunse il nome, e prese possesso de' vasti dominii di
    lei. La ricchezza ch'egli acquistò con tale parentado estimavasi
    comunemente a non meno di diecimila sterline annue. Fu colmato di
    titoli e di favori più sostanziali de' semplici titoli. Fu fatto
    Duca di Monmouth in Inghilterra, Duca di Buccleuch in Iscozia,
    Cavaliere della Giarrettiera, Maestro de' Cavalli, Comandante della
    prima truppa delle Guardie del Corpo, Primo Giudice di Eyre al
    mezzodì del Trent, e Cancelliere della Università di Cambridge. Nè
    al popolo pareva egli immeritevole della sua altissima fortuna.
    Aveva aspetto assai leggiadro ed affabile, carattere dolce, modi
    gentili e cortesi. Quantunque fosse un libertino, acquistò lo
    affetto de' Puritani. Quantunque si sapesse da tutti ch'egli era
    stato partecipe del secreto della vergognosa aggressione contro Sir
    Giovanni Coventry, il partito patriottico pose facilmente tutto in
    dimenticanza. Perfino gli austeri moralisti confessavano, che in una
    Corte come quella, non poteva aspettarsi rigorosa fedeltà conjugale
    da un uomo, che mentre era fanciullo, era stato sposato ad una
    bambina. Anche i patriotti volentieri scusavano un caparbio
    giovinetto, che aveva voluto punire con immoderata vendetta un
    insulto fatto al proprio genitore. La macchia di cotesti amori e
    risse notturne venne presto cancellata da fatti onorevoli.
    Allorquando Carlo e Luigi accomunarono le forze loro contro la
    Olanda, Monmouth comandava le milizie ausiliari inglesi spedite sul
    continente, e fece prova di valoroso soldato e d'ufficiale non privo
    di senno. Ritornato in patria, divenne l'uomo più popolare del
    Regno. Nulla gli mancava fuori che la Corona, alla quale non pareva
    ch'ei non potesse in alcun modo arrivare. La distinzione che con
    assai poco giudizio era stata fatta tra lui e i più grandi Nobili,
    aveva prodotti pessimi effetti. Da fanciullo, era stato invitato a
    tenere il cappello in capo nella sala del trono, mentre Howards e
    Seymours gli stavano accanto col capo scoperto. Alla morte di
    principi stranieri, aveva indossata, in segno di lutto, la veste
    purpurea: segno che nessun altro suddito, tranne il Duca di York e
    il Principe Rupert, avevano licenza di portare. Era naturale che
    simiglianti cose lo inducessero a considerarsi come Principe
    legittimo della famiglia degli Stuardi. Carlo, anche nella età
    matura, giaceva immerso ne' piaceri, e curavasi poco della propria
    dignità. Appena reputavano incredibile che a venti anni avesse
    segretamente sposata con tutte le forme una donna, che avendolo
    ammaliato con la propria beltà, non gli s'era voluta dare ad altri
    patti. Mentre Monmouth era ancora fanciullo, e mentre il Duca di
    York era creduto ancora protestante, era corsa voce per tutto il
    paese, ed anche in certi crocchi che avrebbero dovuto averne certa
    notizia, che il Re aveva fatta sua moglie Lucia Walters, e che,
    qualora qualcuno ne avesse diritto, il figlio di lei sarebbe
    Principe di Galles. Si chiacchierò molto intorno ad una certa
    cassetta nera, la quale, secondo la credenza popolare, conteneva il
    contratto maritale. Questa frivola storiella divenne importantissima
    appena Monmouth fu ritornato dai Paesi Bassi con alta riputazione di
    valore e condotta, ed appena si seppe che il Duca di York era membro
    d'una Chiesa detestata dalla maggior parte della nazione. A favore
    di essa non eravi la minima prova; contro essa vi era la solenne
    dichiarazione del Re, fatta innanzi il suo Consiglio, e per suo
    comandamento comunicata al popolo. Ma la moltitudine, sempre vaga
    d'avventure romanzesche, inghiottì agevolmente la storiella de'
    segreti sponsali e della cassetta nera. Alcuni capi della
    opposizione operarono in questo fatto come avevano già operato
    rispetto alla più odiosa favola di Oates, e sostennero una novella
    che avrebbero dovuto spregiare. Lo interesse che il popolo poneva in
    colui che veniva reputato il campione della vera fede, e lo erede
    legittimo del trono inglese, venne tenuto desto con ogni artificio.
    Quando Monmouth giunse in Londra verso mezzanotte, i magistrati
    comandarono alle scolte che proclamassero il lieto evento per tutte
    le vie della città: le genti saltarono giù da' loro letti: si
    accesero fuochi di gioia; le finestre s'illuminarono; s'apersero le
    chiese, e tutte le campane suonarono a festa. Quando viaggiava, era
    in ogni parte ricevuto con pompa non minore, e con assai maggiore
    entusiasmo di quello con cui erano stati accolti i Re procedenti in
    mezzo al reame. Veniva di casa in casa scortato da lunghe cavalcate
    di gentiluomini e borghesi armati. Dalle città uscivano le intere
    popolazioni a riceverlo. Gli elettori si affollavano d'intorno a
    profferirgli i loro voti. Egli spinse tanto alto le sue pretese, che
    non solo mise nell'arme di sua famiglia i leoni d'Inghilterra e i
    gigli di Francia senza il bastone sinistro, sotto il quale, secondo
    le leggi del blasone, vengono posti in segno della sua nascita
    illegittima; ma rischiossi di toccare gli ammalati della malattia
    regia. Nel tempo stesso, adoperava le arti tutte che valgono a
    conciliare lo amore della moltitudine. Teneva al fonte battesimale i
    figliuoli de' contadini, mescolavasi ai loro rustici sollazzi,
    lottava, giuocava al bastone a due punte, e vinceva provandosi nelle
    corse pedestri, egli calzato di stivali contro altri calzati di
    scarpe.
    
    È curiosissima circostanza, che in due delle più grandi occasioni
    della nostra storia, i capi del partito protestante cadessero nel
    medesimo errore, e con esso ponessero a grave pericolo la propria
    patria e religione. Alla morte di Eduardo VI, opposero Lady Giovanna
    senza alcuna apparenza di diritto di nascita, non solo a Maria loro
    nemica, ma ad Elisabetta, ch'era la vera speranza dell'Inghilterra e
    della Riforma. Però i più rispettabili protestanti, con Elisabetta a
    loro capo, furono costretti a fare causa comune coi papisti. Nello
    stesso modo, centotrent'anni dopo, parte dell'opposizione ponendo
    Monmouth come pretendente alla Corona, aggredivano il diritto non
    solo di Giacomo, che era da essi giustamente considerato quale
    implacabile nemico della fede e delle libertà loro; ma anche del
    Principe e della Principessa d'Orange, i quali venivano
    singolarmente segnati a dito, e per la situazione e per le qualità
    personali loro, come difensori di tutti i liberi governi e di tutte
    le Chiese riformate.
    
    In pochi anni, la insania di siffatto procedere divenne manifesta.
    Ma allora gran parte del potere dell'opposizione consisteva nella
    popolarità di Monmouth. Le elezioni riuscirono avverse alla Corte;
    il giorno stabilito per l'adunanza delle Camere appressavasi: era,
    dunque, mestieri che il Re scegliesse la condotta da tenere. Coloro
    che lo consigliavano, scoprirono i primi lievi segni d'un mutamento
    nel pubblico sentire, e sperarono che, soltanto differendo a miglior
    tempo il conflitto, Carlo otterrebbe sicura vittoria. Egli, quindi,
    senza né anche chiedere l'opinione del Consiglio de' Trenta, decise
    di prorogare il nuovo Parlamento innanzi che cominciasse i suoi
    lavori. Intanto, al Duca di York, che era ritornato da Brusselles,
    fu fatto comandamento di ritirarsi in Iscozia, e fu messo a capo
    dell'amministrazione di quel Regno.
    
    Il sistema di Governo fatto da Temple venne manifestamente
    abbandonato, e subito posto in dimenticanza. Il Consiglio Privato
    tornò ad essere ciò che, era già stato. Shaftesbury e i suoi fautori
    politici rinunziarono ai loro seggi in Consiglio. Lo stesso Temple,
    siccome aveva costume di fare ne' tempi torbidi, si ritirò nella
    quiete del suo giardino e nella sua biblioteca. Essex lasciò il
    Tesoro, e volle correre le sorti dell'opposizione. Ma Halifax,
    infastidito e temente la violenza de' suoi vecchi colleghi, e
    Sunderland, che non abbandonava mai il posto finchè poteva starci,
    rimasero a' servigi del Re.
    
    A cagione delle rinunzie che seguirono in questa occasione, la via
    che conduceva alla grandezza fu lasciata aperta ad una nuova torma
    di aspiranti. Due uomini di Stato, i quali poscia conseguirono la
    maggiore altezza cui possa giungere un suddito inglese, cominciarono
    a richiamare a sè gli occhi di tutti. Avevano nome Lorenzo Hyde e
    Sidney Godolphin.
    
    L. Lorenzo Hyde era secondo figlio del Cancelliere Clarendon, e
    fratello della prima Duchessa di York. Aveva doti eccellenti, rese
    migliori dalla esperienza parlamentare e diplomatica; ma le
    infermità della sua tempra scemavano molto la forza naturale di
    quelle doti. Per quanto fosse assuefatto a' negoziati diplomatici e
    agli usi di Corte, non imparò mai l'arte di governare o nascondere
    le proprie emozioni. Nella prosperità era insolente e vanaglorioso:
    appena riceveva un colpo dall'avversa fortuna, sapeva così poco
    dissimulare il cordoglio, che i suoi nemici maggiormente
    trionfavano: piccolissime provocazioni bastavano ad accendergli
    l'ira nel cuore; e mentre era incollerito, diceva amarissime cose,
    che, appena calmato, dimenticava, ma che gli altri tenevano
    lungamente scolpite nella memoria. Per isvegliatezza e acutezza di
    mente, ei sarebbe diventato un profondo uomo d'affari, ove non fosse
    stato troppo fiducioso di sè ed impaziente. I suoi scritti provano
    ch'egli aveva molti de' requisiti che formano un oratore; ma la
    irritabilità gli impediva di rendersi giustizia nelle discussioni:
    avvegnachè nulla fosse tanto facile quanto lo incitarlo all'ira; ed
    appena in preda alle passioni, diventava il zimbello di oppositori
    molto meno capaci di lui.
    
    Dissimile da' moltissimi politici di quel tempo, egli era uomo di
    parte, coerente a sè stesso, burbero, astioso; era un Cavaliere
    della vecchia scuola, un ardente campione della Corona e della
    Chiesa, e odiava i Repubblicani e i non-conformisti. Aveva, quindi,
    moltissimi proseliti. Il clero, in ispecie, lo considerava come
    l'uomo suo proprio, ed accordava alle debolezze di lui una
    indulgenza, che, a dir vero, gli faceva mestieri; imperciocchè
    abbandonavasi al bere, e ogni qualvolta trascorreva alla collera - e
    ciò accadeva assai spesso, - bestemmiava come un vetturino.
    
    Egli succede ad Essex nell'ufficio di Tesoriere. È d'uopo notare,
    che il posto di Primo Lord del Tesoro non aveva allora la importanza
    e dignità che ha nei tempi nostri. Ogni qualvolta eravi un Lord
    Tesoriere, egli era generalmente anche Primo Ministro; ma quando il
    bianco bastone era affidato ad una commissione, il capo commissario
    non aveva il grado di Segretario di Stato. Solo ai tempi di Walpole,
    il Primo Lord del Tesoro venne considerato come capo del potere
    esecutivo.
    
    LI. Godolphin era stato educato fra i paggi di Whitehall, e fino da'
    suoi teneri anni aveva acquistata tutta la flessibilità e la
    padronanza di sè, proprie d'un cortigiano. Era amante del lavoro, di
    mente lucida, e profondamente versato nelle minuzie della finanza.
    Ogni Governo, quindi, lo sperimentò utile servitore; e non era nulla
    nelle opinioni o nel carattere di lui, che gli impedisse di servire
    a qualsifosse Governo. "Sidney Godolphin," diceva Carlo, "non è mai
    fra mezzo alla via, e mai fuori di via." Questa pungente
    osservazione spiega mirabilmente la straordinaria riuscita di
    Godolphin nel mondo.
    
    In diversi tempi, operò in compagnia di ambedue i grandi partiti
    politici; ma non partecipò mai alle passioni di nessuno di quelli.
    Come gli uomini d'indole cauta e di prospera ventura, inchinava
    fortemente a sostener le cose esistenti. Aborriva dalle rivoluzioni,
    e per la ragione medesima dalle controrivoluzioni. Aveva contegno
    notevolmente grave e riserbato, ma gusti bassi e frivoli; e spendeva
    tutto il tempo che gli rimaneva libero dalle pubbliche faccende,
    nelle corse, nel giuoco delle carte, e ne' combattimenti de' galli.
    Adesso sedeva, sotto Rochester, nell'ufficio del Tesoro, dove si
    rese notevole per assiduità ed intelligenza.
    
    Innanzi che il nuovo Parlamento si fosse lasciato radunare per il
    disbrigo degli affari, scorse un anno intiero; anno pieno di eventi,
    che nella lingua e ne' costumi nostri ha lasciato incancellabili
    vestigi. Mai prima d'allora le controversie politiche avevano
    proceduto con pari libertà; mai prima d'allora i circoli politici
    erano esistiti con organizzazione tanto elaborata, o con tanto
    formidabile influenza. La sola questione dell'Esclusione occupava le
    menti di tutti. Tutta la stampa e i pergami del reame presero parte
    al conflitto. Da un lato, sostenevasi che la Costituzione e la
    Religione dello Stato non sarebbero mai sicure sotto un re papista;
    dall'altro lato, che il diritto di Giacomo alla Corona derivava da
    Dio, e non poteva essere annullato nè anche dal consenso dell'intero
    corpo legislativo.
    
    LII. Ogni contea, ogni città, ogni famiglia, era in grande
    agitazione. Le cortesie e le ospitalità de' vicini rimanevano
    interrotte. I più cari vincoli d'amicizia e di sangue erano
    indeboliti o rotti. Perfino gli scolari erano divisi in parti; e il
    Duca di York e il Conte di Shaftesbury avevano partigiani zelanti in
    Westminster ed Eaton. I teatri risuonavano de' clamori delle avverse
    fazioni. La Papessa Giovanna fu messa sulle scene dai fervidi
    protestanti. I poeti pensionati empivano i prologhi e gli epiloghi
    di elogi al Re e al Duca. I malcontenti assediavano il trono con
    petizioni, chiedendo la subita convocazione del Parlamento. I
    realisti mandavano indirizzi, significando lo estremo aborrimento
    contro tutti coloro che presumessero imporre al sovrano. I cittadini
    di Londra raccoglievansi a diecine di migliaia, onde bruciare il
    papa in effigie. Il Governo appostò coorti di cavalleria a Temple
    Bar, e collocò le artiglierie attorno Whitehall. In quell'anno, la
    nostra lingua si arricchì di due parole, mob e sham(44); notevoli
    ricordi d'una stagione di tumulti e d'impostura(45).
    
    LIII. Gli avversari della Corte erano chiamati Birminghams,
    Petizionisti, Esclusionisti. I partigiani del Re dicevansi
    Anti-Birminghams, Aborrenti, Tantivies. Siffatti vocaboli presto
    caddero in disuso: ma in quel tempo furono primamente uditi due
    soprannomi, i quali, comecchè in origine si proferissero ad insulto,
    vennero poco dopo assunti con orgoglio, sono tuttavia d'uso
    giornaliero, si sono estesi con la razza inglese, e dureranno quanto
    la inglese letteratura. È circostanza curiosa come uno di cotesti
    soprannomi fosse d'origine scozzese, ed irlandese l'altro. In
    Iscozia, come in Irlanda, il cattivo Governo aveva fatto nascere
    bande di uomini disperati, la ferocia dei quali era accresciuta
    dallo entusiasmo religioso. In Iscozia, parecchi dei Convenzionisti
    perseguitati, resi frenetici dall'oppressione, avevano poco innanzi
    assassinato il Primate, prese le armi contro il Governo, riportato
    qualche vantaggio contro le forze regie; e non erano stati domati
    fino a che Monmouth, a capo di alcune milizie d'Inghilterra, gli
    aveva rotti a Bothwell Bridge. Questi zelanti erano numerosissimi
    fra i rustici delle pianure occidentali, e volgarmente venivano
    chiamati Whig. Così il nome di Whig, dato ai presbiteriani zelanti
    di Scozia, venne applicato a quei politici inglesi che mostravansi
    disposti ad avversare la Corte, ed a trattare con indulgenza i
    protestanti non-conformisti. Nel tempo stesso, le maremme
    dell'Irlanda apprestavano rifugio ai papisti banditi; simili molto a
    coloro che poscia si dissero Whiteboys. Cotesti uomini allora
    chiamavansi Tory. Il nome di Tory venne perciò apposto a quegli
    Inglesi che ricusavano di cooperare ad escludere dal trono un
    Principe cattolico romano.
    
    La rabbia delle fazioni ostili sarebbe stata abbastanza violenta,
    quand'anco si fosse lasciata operare da sè. Ma fu studiosamente
    esasperata dal comune nemico. Luigi seguitava a comperare e
    lusingare in un tempo la Corte e la opposizione. Esortava Carlo a
    tener fermo; esortava Giacomo ad accendere la guerra civile nella
    Scozia: esortava i Whig a non desistere, ed a riposare con fiducia
    sopra la protezione della Francia.
    
    Fra mezzo a tanta agitazione, un occhio giudizioso si sarebbe potuto
    accorgere come la pubblica opinione venisse a poco a poco cangiando.
    La persecuzione de' Cattolici romani continuava; ma le convinzioni
    non erano più in uso. Una nuova genia di falsi testimoni, tra' quali
    il più notevole era un ribaldo chiamato Dangerfield, infestava i
    tribunali. Ma le storielle di costoro, benchè fossero meglio
    congegnate di quella d'Oates, erano meno credute. I giurati più non
    erano corrivi a prestar fede, come lo erano stati durante il timore
    panico che aveva tenuto dietro allo assassinio di Godfrey; e i
    giudici, i quali, mentre la frenesia popolare era giunta al massimo
    grado erano stati ossequiosissimi strumenti di quella,
    arrischiavansi adesso a palesare in parte le proprie opinioni.
    
    LIV. Finalmente, nell'ottobre del 1680, adunossi il Parlamento. I
    Whig avevano una così grande maggioranza nella Camera dei Comuni,
    che la Legge d'Esclusione passò senza difficoltà. Il Re appena
    sapeva quali fossero i membri del suo Gabinetto, de' quali potesse
    far conto. Hyde era rimasto fedele alle sue opinioni di Tory, ed
    aveva fermamente sostenuta la causa della monarchia ereditaria. Ma
    Godolphin, desideroso di tranquillità, e credendo di non poterla
    ottenere se non se per mezzo della concessione, desiderava che la
    legge passasse. Sunderland, sempre perfido e poco veggente, inetto a
    scernere i segni della reazione che s'appressava, ed ansioso di
    riconciliarsi al partito che a lui pareva invincibile, deliberò di
    votare contro la Corte. La Duchessa di Portsmouth supplicava il suo
    reale amante a non correre diritto alla propria rovina. Se v'era
    cosa intorno alla quale egli avesse scrupolo di coscienza e d'onore,
    ella era la questione della successione: ma per alcuni giorni e'
    parve volesse cedere. Ondeggiava, e chiedeva quale somma di danari i
    Comuni gli darebbero se egli cedesse; e permise che si aprissero
    negoziati coi principali Whig. Ma la profonda vicendevole
    diffidenza, che era venuta sempre crescendo, ed era stata con grande
    studio alimentata dalle arti della Francia, rese impossibile ogni
    trattato. Nessuna delle parti voleva affidarsi all'altra.
    
    LV. La intera nazione, con ansia indicibile, teneva l'occhio fisso
    alla Camera de' Lordi. La congrega de' Pari era numerosa. Il Re
    stesso era lì presente. Le discussioni furono lunghe, ardenti, e di
    quando in quando furiose. Parecchi recarono la mano all'elsa della
    propria spada, in modo da richiamare alla memoria la immagine de'
    procellosi Parlamenti di Enrico III e di Riccardo II. A Shaftesbury
    e ad Essex si congiunse il perfido Sunderland. Ma il genio di
    Halifax vinse ogni opposizione. Abbandonato da' principali fra' suoi
    colleghi, ed avversato da una falange di insigni antagonisti, difese
    la causa del Duca di York con parecchie orazioni, le quali, molti
    anni dipoi erano rammentate come capolavori di ragionamento, di brio
    e d'eloquenza. Rade volte avviene che l'arte oratoria cangi i voti:
    eppure, il testimonio de' contemporanei non lascia dubbio nessuno
    che, in cotesta occasione, i voti cangiaronsi mercè l'arte oratoria
    di Halifax. I Vescovi, fedeli alle proprie dottrine, sostennero il
    principio del diritto ereditario, e la legge venne rigettata a gran
    maggioranza di voti(46).
    
    La parte che preponderava nella Camera de' Comuni, amaramente
    umiliata da cotesta sconfitta, trovò qualche compenso spargendo il
    sangue de' Cattolici romani. Guglielmo Howard, visconte Stafford,
    uno degli infelici già accusati come complici della congiura, fu
    condotto al tribunale de' suoi pari; e sullo attestato di Oates e di
    due altri falsi testimoni, Dugdale e Turberville, fu giudicato
    colpevole di alto tradimento, e dannato a morire. Ma le circostanze
    del suo processo e della sua morte avrebbero dovuto essere d'utile
    ammonimento ai capi de' Whig. Una grande e rispettabile minoranza
    nella Camera de' Lordi lo dichiarò non reo. La moltitudine, che
    pochi mesi innanzi aveva ricevute le estreme confessioni delle
    vittime di Oates con esecrazione e scherno, ora diceva a voce alta
    che Stafford moriva assassinato. Quando egli col suo ultimo respiro
    protestò della propria innocenza, gli astanti gridavano: "Dio vi
    benedica, Milord! Noi vi crediamo, Milord." Un osservatore
    giudicioso avrebbe potuto agevolmente predire, che il sangue che
    allora versavasi, tra breve tempo verrebbe espiato dal sangue.
    
    LVI. Il Re deliberò di provare un'altra volta lo espediente di
    sciogliere il Parlamento. Ne convocò un altro, che doveva radunarsi
    in Oxford nel marzo 1681. Dai giorni de' Plantageneti in poi, le
    Camere avevano sempre tenute le loro sessioni in Westminster, tranne
    ne' tempi in cui la peste infuriava nella metropoli; ma una
    congiuntura così straordinaria sembrava richiedere straordinarie
    cautele. Se il Parlamento si fosse ragunato nel luogo consueto, la
    Camera de' Comuni si sarebbe potuta dichiarare in permanenza, ed
    avrebbe invocato l'aiuto de' magistrati e de' cittadini di Londra.
    Le milizie civiche avrebbero potuto sorgere a difendere Shaftesbury,
    come quaranta anni avanti erano sorte a difendere Pym e Hampden. Le
    guardie avrebbero potuto(47) essere vinte, la reggia forzata, il Re
    prigioniero nelle mani de' suoi sudditi ribelli. Tale pericolo non
    era da temersi in Oxford. La università era devota alla Corona; e i
    gentiluomini delle vicinanze erano generalmente Tory. Quivi, dunque,
    la opposizione, più che il Re, aveva ragione di temere la violenza.
    
    Le elezioni furono subietto di ardenti contrasti. I Whig tuttavia
    formavano la maggioranza nella Camera de' Comuni; ma era manifesto
    che lo spirito Tory veniva celeremente sorgendo in tutto il paese.
    E' parrebbe che il sagace e versatile Shaftesbury avesse dovuto
    prevedere il cangiarsi de' tempi, ed assentire ai patti offerti
    dalla Corte; ma sembra che avesse posta in dimenticanza la sua
    antica strategia. Invece di provvedere in guisa, che, nel peggiore
    evento, egli avesse sicura la propria ritirata, prese tale una
    posizione, che gli era forza o vincere o perire. Forse il suo
    cervello, comunque fortissimo, era stato travolto dalla popolarità,
    dal successo e dallo eccitamento del conflitto. Forse aveva dato di
    sprone al proprio partito tanto, da non poterlo più dominare, ed era
    veramente trascinato da coloro che egli sembrava condurre.
    
    LVII. Giunse il gran giorno. L'adunanza d'Oxford somigliava più
    presto ad una Dieta polacca, che a un Parlamento inglese. I
    rappresentanti Whig apparvero scortati da gran numero de' loro
    affittuari e servitori, in armi e montati a cavallo, i quali
    scambiavano sguardi di diffidenza con le guardie regie. La più lieve
    provocazione, in cosiffatte circostanze, avrebbe prodotta la guerra
    civile; ma nessuna delle due parti si attentò di dare il primo
    colpo. Il Re di nuovo offerse di consentire ogni cosa, fuorchè la
    Legge d'Esclusione. I Comuni erano deliberati di non accettare
    null'altro che la Legge d'Esclusione. Dopo pochi giorni, il
    Parlamento fu nuovamente disciolto.
    
    Il Re aveva trionfato. La Reazione, che era incominciata alcuni mesi
    innanzi che s'adunassero le Camere in Oxford, si accrebbe
    rapidamente. La nazione, a dir vero, rimaneva sempre ostile al
    papismo: ma quando i cittadini richiamarono ad esame tutta la storia
    della congiura, si accorsero come il loro zelo protestante gli
    avesse fatti trascorrere alla demenza e al delitto, e appena
    potevano credere d'essere stati spinti da alcune novelle da balia a
    gridare al sangue de' loro concittadini e fratelli cristiani. E
    davvero, i più leali non potevano negare che l'amministrazione di
    Carlo fosse spesse volte stata degna di biasimo. Ma coloro che non
    conoscevano pienamente come noi le relazioni di lui con la Francia,
    e che aborrivano dalle violenze dei Whig, enumeravano le ampie
    concessioni da lui fatte negli ultimi anni al Parlamento, e le
    concessioni anche più ampie che avea dichiarato di voler fare. Aveva
    assentito alle leggi che escludevano i Cattolici Romani dalla Camera
    de' Lordi, dal Consiglio Privato, e dagli(48) uffici civili e
    militari. Aveva approvato l'Atto dell'Habeas Corpus. Se non s'erano
    per anche fatti provvedimenti contro i pericoli ai quali la
    Costituzione e la Chiesa potevano essere esposte sotto un Sovrano
    cattolico romano, la colpa non era di Carlo, che aveva invitato il
    Parlamento a proporre le opportune guarentigie, ma di quei Whig i
    quali avevano ricusato di aderire a qualunque provvisione da
    sostituirsi alla Legge d'Esclusione. Una sola cosa aveva il Re
    negata al suo popolo. Aveva ricusato di annullare il diritto
    ereditario del fratello. E non v'erano buone ragioni a credere che
    tale rifiuto nascesse da sentimenti lodevoli? Di quale motivo
    d'egoismo poteva la stessa fazione addebitare l'animo del Re? La
    Legge d'Esclusione non iscemava le prerogative nè le entrate del
    Principe regnante. Veramente, approvandola, avrebbe potuto
    facilmente ottenere un ampio accrescimento alle sue proprie rendite.
    E che poteva ciò importare a colui che regnasse dopo? Inoltre, se
    Carlo aveva predilezioni personali, tutti sapevano ch'egli
    prediligeva il Duca di Monmouth sopra il Duca di York. E però, il
    modo più naturale di spiegare la condotta del Re sembrava essere
    che, comunque ei fosse d'indole spensierata e di bassa morale,
    aveva, in quell'occasione, operato secondo gl'impulsi del dovere e
    dell'onore. E se era così, poteva la nazione costringerlo a fare ciò
    ch'egli reputava criminoso e disonorevole? Violentargli, anche con
    mezzi strettamente costituzionali, la coscienza, ai realisti zelanti
    sembrava atto poco generoso ed indebito. Ma i mezzi strettamente
    costituzionali non erano i soli ai quali i Whig volevano
    appigliarsi. Vedevansi già segni tali, che facevano presagire lo
    avvicinarsi di grandi perturbazioni. Uomini che nel tempo della
    guerra civile e della Repubblica avevano acquistata odiosa
    rinomanza, erano usciti fuori dalla oscurità, in cui, dopo la
    Restaurazione, giacevano nascosti onde sottrarsi all'odio
    universale; mostravano i loro visi fidenti ed affaccendati in ogni
    dove, e sembravano anticipare un secondo regno de' Santocchi. Un
    altro Naseby, un'altra Alta Corte di Giustizia, un altro usurpatore
    sul trono, i Lordi nuovamente espulsi a forza da' loro seggi, le
    Università di nuovo purgate, la Chiesa nuovamente saccheggiata e
    perseguitata, i Puritani di nuovo dominanti: a tali conseguenze
    sembrava tendere la politica disperata della opposizione.
    
    Animata da cotesti sentimenti, la maggioranza delle alte classi e
    delle medie affrettossi a porsi dalla parte del trono. La situazione
    del Re in questo tempo rendeva immagine di quella del padre suo,
    dopo che era stata votata la Rimostranza. Ma alla Reazione del 1641
    non s'era lasciata correre intera la sua via. Carlo I, nel momento
    stesso in cui il suo popolo, lungo tempo da lui allontanato,
    ritornava a lui disposto alla conciliazione, aveva, violando
    perfidamente le leggi fondamentali del reame, perduto per sempre la
    fiducia di quello. Se Carlo II si fosse gettato nella medesima via,
    se avesse imprigionati in modo irregolare i capi dei Whig, e gli
    avesse accusati d'alto tradimento innanzi ad un tribunale privo di
    giurisdizione legale sopra loro, è molto probabile che questi
    avrebbero speditamente riacquistato il predominio che avevano già
    perduto. Avventuratamente per lui, in cotesta crisi, venne indotto
    ad attenersi ad una politica che, rispetto ai suoi fini, era
    singolarmente giudiziosa. Deliberò di conformarsi alla legge, ma
    usare nel tempo stesso energicamente ed inesorabilmente la legge
    contro i suoi avversari. Non era tenuto a convocare il Parlamento
    avanti che fossero scorsi tre anni. Non aveva grande penuria di
    danaro. Il prodotto delle tasse, che gli era stato concesso a vita,
    eccedeva l'estimo. Era in pace con tutto il mondo. Poteva scemare le
    proprie spese rinunziando al costoso ed inutile stabilimento di
    Tangeri; e poteva sperare sussidii pecuniari dalla Francia. Gli
    rimanevano, quindi, tempo e mezzi molti onde aggredire
    sistematicamente l'opposizione sotto le forme della Costituzione. I
    giudici erano amovibili ad arbitrio di lui; i giurati erano nominati
    dagli Sceriffi; e in quasi tutte le Contee dell'Inghilterra gli
    Sceriffi erano nominati dal Re. Testimoni, della specie di quelli
    che avevano deposto contro la vita de' Papisti, erano pronti a
    deporre contro quella de' Whig.
    
    LVIII. La prima vittima fu College, violento e clamoroso demagogo,
    di vili natali e di bassa educazione. Faceva il mestiere di
    falegname, e divenne celebre come inventore del correggiato
    protestante(49). Era stato in Oxford mentre eravi ragunato il
    Parlamento, e lo avevano accusato di avere ordito una insurrezione
    ed aggressione contro le guardie del Re. Contro di lui testificarono
    Dugdale e Turberville; gli stessi infami uomini i quali, pochi mesi
    innanzi, erano stati falsi testimoni contro Stafford. Non era
    probabile che alcuno Esclusionista trovasse favore al cospetto de'
    giurati di provincia. College fu dichiarato reo. La folla che
    riempiva la sala del tribunale in Oxford, ricevè l'annunzio della
    condanna con gridi di gioia; gridi tanto barbari, quanto quelli che
    egli e i suoi amici avevano costume di mandare quando gl'innocenti
    papisti venivano dannati alla forca. La sua morte fu l'inizio di un
    nuovo macello giuridico, non meno atroce di quello al quale egli
    stesso aveva partecipato.
    
    Il Governo, reso audace da questa prima vittoria, intese a colpire,
    un nemico di specie differentissima. Deliberò di processare
    Shaftesbury. Si raccolsero prove, con che speravasi convincerlo di
    tradimento. Ma i fatti ch'era d'uopo provare, vennero prodotti come
    avvenuti in Londra. Gli Sceriffi di Londra, eletti dai cittadini,
    erano Whig zelanti. Costoro nominarono giurati Whig; i quali
    rigettarono l'accusa.
    
    LIX. Questa sconfitta, invece di scoraggiare i Consiglieri del Re,
    suggerì loro un disegno nuovo ed ardito. Poichè lo Statuto
    Municipale della capitale era d'inciampo, era necessario annullarlo.
    Pretesero quindi che la città di Londra avesse, a cagione di alcune
    irregolarità, perduti i suoi privilegi municipali; e fu intentato un
    processo contro il Municipio nella Corte del Banco del Re. Nel tempo
    stesso, quelle leggi che, subito dopo la Restaurazione, eransi
    promulgate contro i non-conformisti, e che eransi lasciate inattive
    mentre preponderavano i Whig, vennero rigorosissimamente attuate per
    tutto il Regno.
    
    Nonostante, lo spirito de' Whig non era domo. Quantunque fossero in
    tristi condizioni, formavano tuttavia un partito numeroso e potente;
    e come si mostravano forti nelle grandi città, e massimamente nella
    metropoli, facevano rumore e sembianza più di quanto ne comportava
    la loro forza positiva. Inanimiti dalla rimembranza dei passati
    trionfi, e dal sentimento della oppressione presente, esageravano e
    la forza e i danni propri. Non erano in istato di giudicare se le
    cose fossero giunte a quegli estremi che soli possono giustificare
    l'uso d'un rimedio così violento, come è la resistenza ad un Governo
    stabilito. Per quanti sospetti potessero essi aver concepiti, non
    potevano provare che il loro Sovrano aveva concluso un trattato con
    la Francia contro la religione e le libertà dell'Inghilterra. Le
    apparenze non erano bastevoli a giustificare il ricorso alla spada.
    Se la Legge d'Esclusione era stata rigettata, ciò avevano fatto i
    Lordi nello esercizio di un diritto antico quanto la Costituzione.
    Se il Re aveva sciolto il Parlamento di Oxford, aveva così operato
    per virtù di una prerogativa che non era stata mai messa in dubbio.
    Se la Corte, dopo il riferito scioglimento, era trascorsa ad atti
    duri, tali atti erano strettamente conformi alla lettera della
    legge, ed alla recente pratica degli stessi malcontenti. Se il Re
    aveva perseguitati i suoi avversari, gli aveva perseguitati secondo
    le forme debite innanzi ai debiti tribunali. Le prove che ora
    producevansi a pro della Corona, erano almeno meritevoli di fede
    quanto quelle per virtù delle quali il più nobile sangue inglese era
    stato, poco innanzi, versato dalla opposizione. Il modo onde un Whig
    accusato ora doveva aspettarsi d'essere trattato da giudici,
    avvocati, sceriffi, giurati e spettatori, non era peggiore di quello
    che i Whig avevano reputato abbastanza buono per un accusato
    papista. Se erasi proceduto contro i privilegi della città di
    Londra, ciò era seguito non per violenza militare, o per virtù di
    alcun contrastabile esercizio della prerogativa, ma secondo la
    pratica regolare di Westminster Hall. La regia autorità non aveva
    imposto nessuna tassa. Nessuna legge era sospesa. L'Atto dell'Habeas
    Corpus era rispettato. Perfino l'Atto di Prova era in vigore. La
    opposizione, dunque, non poteva addebitare al Re quella specie di
    mal governo che solo potrebbe giustificare la insurrezione. E quando
    anche il suo mal governo fosse stato più visibile di quello che
    appariva, la insurrezione sarebbe anche stata criminosa, come quella
    che era quasi sicura di esito non prospero. La situazione dei Whig
    nel 1682 differiva grandemente da quella delle Teste-Rotonde
    quaranta anni prima. Coloro che avevano prese le armi contro Carlo
    I, avevano operato sotto l'autorità di un Parlamento, il quale,
    legalmente adunato, non poteva, senza il proprio consenso, essere
    legalmente sciolto. Gli oppositori di Carlo II erano uomini privati.
    Quasi tutti i mezzi militari e navali erano nelle mani di coloro che
    resisterono a Carlo I. Tutti i mezzi militari e navali erano nelle
    mani di Carlo II. La Camera de' Comuni era stata sostenuta almeno da
    mezza la nazione contro Carlo I. Ma coloro che inchinavano a
    guerreggiare contro Carlo II, erano certamente in minoranza. E però,
    non poteva ragionevolmente dubitarsi, che qualora essi tentassero
    una insurrezione, fallirebbero. E anche meno poteva dubitarsi che il
    mal esito della impresa rendesse più duri i mali di cui menavano
    lamento. La vera politica de' Whig era quella di sobbarcarsi
    pazienti all'avversità che era conseguenza naturale e giusto castigo
    de' loro errori; di aspettare pazientemente fino al tempo in cui il
    pubblico sentire si sarebbe, con inevitabile vicenda, cangiato; di
    osservare la legge, e di giovarsi della protezione, imperfetta sì,
    ma non affatto futile, che la legge apprestava alla innocenza.
    Sventuratamente, presero una via molto diversa. I capi del partito,
    scevri di scrupoli e caldi di cervello, formavano e discutevano
    disegni di resistenza, ed erano ascoltati se non con approvazione,
    almeno con segni d'acquiescenza, da uomini molto migliori di loro.
    Proposero di insorgere ad un tempo in Londra, in Cheshire, in
    Bristol e in Newcastle. Aprirono comunicazioni coi malcontenti
    presbiteriani di Scozia, i quali pativano una tirannia, quale
    l'Inghilterra, in tempi pessimi, non aveva mai patita. Mentre i
    principali della opposizione in tal guisa architettavano la
    ribellione aperta, ma erano tuttavia da scrupoli o da paura ritenuti
    dal fare alcun passo decisivo, parecchi dei loro complici ordivano
    una trama di specie differentissima. A questi spiriti feroci, non
    infrenati da principio alcuno, o resi insani dal fanatismo, e'
    pareva che agguatare ed assassinare il Re e il fratello fosse la via
    più breve e sicura di vendicare la religione protestante e le
    libertà della Inghilterra. Indicarono il tempo e il luogo; e spesso
    discutevano, se pure non gli avevano definitivamente ordinati,
    intorno ai particolari del macello. Questo disegno era noto a pochi,
    e nascosto con gran cura a Russell, spirito probo ed umano; e a
    Monmouth, il quale, quantunque non fosse uomo di delicata coscienza,
    avrebbe aborrito dal parricidio. In tal modo, v'erano due congiure,
    una dentro l'altra. Lo scopo della grande congiura Whig, era quello
    di chiamare la nazione alle armi contro il Governo. La congiura
    minore, comunemente detta la congiura di Rye house, della quale soli
    pochi disperati uomini erano partecipi, aveva lo scopo di
    assassinare il Re e il suo erede presuntivo.
    
    LX. Ambedue vennero tosto scoperte. Alcuni traditori codardi
    affrettaronsi a porsi in salvo divulgando tutto, e, più che tutto,
    ciò che era seguito nelle deliberazioni del partito. Non è luogo a
    dubitare, che pochi di coloro che meditavano di fare resistenza al
    Governo, volgessero in mente il pensiero dell'assassinio; ma poichè
    le due cospirazioni erano strettamente connesse, non tornò difficile
    al Governo confonderle in una. La giusta indignazione suscitata
    dalla congiura di Rye house, fu rivolta per alcun tempo a tutti i
    Whig. Il Re ormai poteva liberamente vendicarsi di tanti anni di
    freno e di umiliazione. Shaftesbury, a dir vero, aveva schivato il
    destino di che per la sua multiforme perfidia era bene meritevole.
    Essendosi accorto che il suo partito correva a rovina, ed invano
    studiato di pacificarsi agli augusti principi, era fuggito in
    Olanda; dove morì sotto la generosa protezione d'un Governo da lui
    crudelmente oltraggiato. Monmouth si gettò ai piedi del padre, ed
    ottenne perdono; ma tornato presto ad offenderlo, reputò prudente
    andare in volontario esilio. Essex si uccise nella Torre. Russell,
    che pare non essere stato reo di alto tradimento, e Sidney, della
    cui reità non si poterono produrre prove legali, furono decapitati
    contro legge e giustizia. Russell morì con la fermezza d'animo d'un
    cristiano; Sidney con quella d'uno stoico. Parecchi altri politici
    faccendieri d'inferiore condizione furono dannati alle galere. Molti
    abbandonarono la patria. Istituironsi numerosi processi per delitti
    di tradigione, calunnia e congiura. I giurati Tory profferivano
    senza difficoltà sentenze di reità, e i giudici cortigiani
    infliggevano(50) pene rigorose. A questi processi criminali
    aggiungevansi i civili, quasi ugualmente formidabili. Intentaronsi
    accuse contro individui che avevano diffamato il Duca di York; e gli
    accusatori chiedevano, e i giudici senza difficoltà concedevano
    ammende equivalenti ad una condanna di prigionia perpetua. La Corte
    del Banco del Re decise, che le franchigie della città di Londra
    erano devolute alla Corona.
    
    LXI. Inebriato da questa grande vittoria, il Governo procedè ad
    aggredire gli Statuti di altri Municipi governati da ufficiali Whig,
    e che avevano costume di eleggere rappresentanti Whig al Parlamento.
    I borghi, l'uno dopo l'altro, furono costretti a rendere i propri
    privilegi; e vennero concessi nuovi Statuti, che in ogni parte
    resero predominanti i Tory.
    
    Tali procedimenti, comunque degni di biasimo, serbavano l'apparenza
    della legalità. Furono anco accompagnati da un atto inteso a calmare
    il timore che molti sudditi leali sentivano dello avvenimento al
    trono d'un sovrano papista. Lady Anna, figlia minore del Duca di
    York del primo letto, fu data in sposa a Giorgio principe della Casa
    ortodossa di Danimarca. I gentiluomini Tory e il clero potevano
    adesso fermamente sperare che la Chiesa d'Inghilterra si trovasse
    efficacemente assicurata, senza essere stato minimamente violato
    l'ordine della successione. Il Re e lo erede del trono erano a un di
    presso di eguale età. Ambidue avvicinavansi agli anni in cui la vita
    declina. La salute del Re era buona. Era quindi probabile, che
    Giacomo, se mai ascendesse al trono, regnerebbe poco tempo. Dietro
    il suo regno, scorgevasi il lieto spettacolo d'una lunga serie di
    Sovrani Protestanti.
    
    La libertà della stampa era di poco o di nessun utile alla parte
    vinta; perocchè l'indole dei giudici e dei giurati era tale, che
    nessuno scrittore, ove dal Governo fosse accusato di calunnia, aveva
    probabilità di andare assoluto. Però la paura della pena faceva
    tutto lo effetto che avrebbe potuto produrre la censura. Frattanto,
    i pulpiti risuonavano di arringhe contro il peccato di ribellione.
    Gli scritti in cui Filmer sosteneva che il dispotismo ereditario era
    la forma di Governo ordinata da Dio, e che la monarchia limitata era
    assurdità perniciosa, erano pur allora usciti alla luce, ed avevano
    ottenuto il favore di molti individui del partito Tory. La
    università di Oxford, nel giorno stesso in cui Russell fu tratto a
    morte, adottò con un atto solenne quelle strane dottrine, ed ordinò
    che le opere politiche di Buchanan, di Milton e di Baxter, fossero
    pubblicamente bruciate nella corte delle Scuole.
    
    Così imbaldanzito, il Re finalmente rischiossi a varcare i confini
    che per alcuni anni aveva rispettati, e a violare la lettera della
    legge. La legge voleva, che non più di tre anni dovessero
    trascorrere dalla dissoluzione di un Parlamento alla convocazione di
    un altro. Ma scorsi tre anni dopo disciolto il Parlamento di Oxford,
    non si videro decreti per la nuova elezione. Questo violare la
    Costituzione era più biasimevole, in quanto il Re aveva poca cagione
    a temere d'una nuova Camera di Comuni. Le Contee, generalmente,
    parteggiavano per lui; e molti borghi ne' quali i Whig poco innanzi
    avevano predominato, erano stati talmente ricostituiti, che, certo,
    non avrebbero eletti se non rappresentanti cortigiani.
    
    LXII. Poco dopo, la legge venne nuovamente violata onde compiacere
    al Duca di York. Cotesto principe era, in parte per la sua
    religione, e in parte per la severità ed asprezza dell'indole sua,
    cotanto impopolare, che erasi stimato necessario di asconderlo agli
    occhi di tutti nel tempo che discutevasi in Parlamento la Legge
    d'Esclusione: altrimenti, il suo mostrarsi in pubblico avrebbe
    giovato il partito che lottava a privarlo del diritto ereditario.
    Era perciò stato mandato a governare la Scozia, dove il fiero e
    vecchio tiranno Lauderdale era sull'orlo del sepolcro. E perfino
    Lauderdale allora fu vinto in ferocia. L'amministrazione di Giacomo
    acquistò infame rinomanza per leggi odiose, per barbari castighi e
    per giudicii d'iniquità, ai quali anche in quel tempo non era nulla
    di simile. Il Consiglio Privato di Scozia aveva potestà di porre
    alla tortura i prigionieri di Stato. Ma appena comparivano gli
    stivali, la loro vista eccitava tanto terrore, che anche i
    cortigiani più servili e duri di cuore uscivano frettolosi dalla
    sala. Il seggio talvolta rimaneva deserto; ed infine, fu reputato
    necessario ordinare che in simiglianti occasioni i Consiglieri
    rimanessero al loro posto. Notavasi che il Duca di York pareva
    dilettarsi di uno spettacolo, al quale parecchi de' peggiori uomini
    che allora vivessero non potevano assistere senza commiserazione ed
    orrore. Egli non solo andava al Consiglio ogni qualvolta doveva
    infliggersi la tortura, ma attendeva all'agonia dei martoriati con
    quella specie d'interesse e di compiacenza, con che gli uomini
    contemplano uno sperimento scientifico. Così governò in Edimburgo,
    finchè l'esito del conflitto tra la Corte e i Whig non fu più
    dubbio. Allora ritornò in Inghilterra; ma rimase, per virtù
    dell'Atto di Prova, escluso tuttavia da ogni pubblico ufficio; nè il
    Re stimò sano consiglio in prima violare uno Statuto, che la maggior
    parte de' sudditi a lui più fidi consideravano come una delle
    principali guarentigie de' diritti civili e della religione loro.
    Quando, nondimeno, parve manifesto, dopo molti esperimenti, che la
    nazione aveva la pazienza di sopportare ogni cosa che il Governo
    avesse coraggio di fare, Carlo provossi a porre da parte la legge, a
    favore del proprio fratello. Il Duca riebbe il suo seggio in
    Consiglio, e riassunse il governo delle faccende navali.
    
    LXIII. Queste infrazioni della Costituzione eccitarono veramente
    qualche mormorio fra i Tory moderati, mentre non erano unanimemente
    approvate neanche dai Ministri del Re. In ispecie Halifax - adesso
    fatto Marchese e Lord Guardasigilli - fino dal giorno nel quale i
    Tory, mercè di lui, erano divenuti predominanti, aveva cominciato a
    farsi Whig. Appena rigettata la Legge d'Esclusione, insistette(51)
    perchè la Camera de' Lordi provvedesse contro il pericolo, a cui,
    nel prossimo regno, le libertà e la religione della patria potevano
    rimanere esposte. Vedeva ora con timore la violenza di quella
    Reazione, che in non poca parte era opera sua. Non si studiò di
    nascondere l'onta ch'egli sentiva delle servili dottrine della
    università d'Oxford. Detestava l'Alleanza Francese: disapprovava il
    lungo indugio a convocare il Parlamento: dolevasi della severità con
    che la parte vinta era trattata. Egli che, mentre predominavano i
    Whig, erasi rischiato a dichiarare Stafford non reo, rischiossi,
    mentre essi erano vinti e derelitti, ad intercedere a pro' di
    Russell. In uno degli ultimi Consigli tenuti da Carlo, seguì una
    notabilissima scena. Lo Statuto di Massachusetts era stato
    confiscato. Sorse questione sul modo in che verrebbe per lo avvenire
    governata quella colonia. Opinavano quasi tutti i consiglieri, che
    l'intero potere legislativo ed esecutivo dovesse rimanere nella mani
    del principe. Halifax opinò diversamente, e ragionò con gran vigoria
    d'argomenti contro la monarchia assoluta, e a favore del governo
    rappresentativo. Era inutile, diceva egli, il pensare che una
    popolazione, uscita dalla razza inglese, ed animata da sentimenti
    inglesi, volesse lungamente tollerare di rimaner priva d'istituzioni
    inglesi. A che gioverebbe, egli esclamava, vivere in un paese dove
    la libertà e gli averi fossero soggetti allo arbitrio di un despota?
    Il Duca di York infiammossi di collera a siffatte parole, e mostrò
    al fratello il pericolo di mantenere in ufficio un uomo che sembrava
    infetto delle pessime idee di Marvell e di Sidney.
    
    Taluni moderni scrittori hanno biasimato Halifax per essere rimasto
    nel Ministero, mentre disapprovava il modo cui gli affari interni ed
    esterni erano condotti. Ma tale biasimo è ingiusto. Ed è da notarsi
    che la parola Ministero, nel senso in che oggi si usa, era allora
    sconosciuta(52). La cosa stessa non esisteva, perocchè essa
    appartiene ad una età in cui il governo parlamentare è pienamente
    stabilito. Ai dì nostri, i principali servitori della Corona formano
    un solo corpo. S'intende ch'essi siano in termini di amichevole
    fiducia fra loro, e concordino intorno ai principii massimi che
    debbono dirigere il potere esecutivo. Se sorge fra loro una lieve
    differenza d'opinione, agevolmente patteggiano; ma, ove uno di loro
    diverga dagli altri sopra un punto vitale, è suo debito rinunciare
    all'ufficio. Finchè egli lo ritiene, è considerato come responsabile
    anche degli atti che si è studiato d'impedire. Nel secolo
    decimosettimo, i capi de' vari dipartimenti dell'amministrazione non
    erano siffattamente vincolati. Ciascuno di loro doveva rendere conto
    degli atti propri, dell'uso ch'ei faceva del suo sigillo ufficiale,
    de' documenti cui apponeva la propria firma, de' consigli che dava
    al Re. Nessun uomo di Stato era tenuto responsabile di ciò ch'egli
    non aveva fatto, nè indotto altri a fare. S'egli aveva cura di non
    essere partecipe di ciò che era ingiusto, e se, consultato,
    commendava soltanto ciò ch'era giusto, andava scevro di biasimo.
    Sarebbe stato considerato come un suo strano scrupolo lo abbandonare
    il posto, ove il suo signore non seguisse il consiglio di lui in
    cose che non fossero strettamente pertinenti al suo dipartimento:
    lasciare, per modo d'esempio, lo Ammiragliato, perchè le finanze
    trovavansi disordinate; o il Tesoro, perchè le relazioni del Regno
    con le Potenze straniere erano in condizioni poco soddisfacenti. Non
    era, perciò, cosa affatto insolita il vedere negli alti uffici in un
    tempo medesimo uomini che apertamente differissero, l'uno
    dall'altro, in opinione, come Pultenay differiva da Walpole, o Fox
    da Pitt.
    
    LXIV. I consigli moderati e costituzionali di Halifax furono
    timidamente e debolmente secondati da Francesco North, Lord
    Guildford, che di recente era stato fatto Guardasigilli. Il
    carattere di Guildford è stato disegnato ampiamente da suo fratello
    Ruggiero North, intollerantissimo Tory, e scrittore molto affettato
    e pedante; ma vigile osservatore di tutte quelle minuzie che gettano
    luce sulle inclinazioni degli uomini. È da notarsi che il biografo,
    quantunque sottostasse alla influenza della più forte parzialità
    fraterna, e comunque desiderasse pennelleggiare un lusinghiero
    ritratto, non potè ritrarre il Lord Guardasigilli altramente che
    come il più ignobile degli uomini. Nondimeno, Guildford aveva lucido
    intelletto, grande arte, buon corredo di lettere e di scienze, e
    moltissima dottrina legale. I suoi difetti erano l'egoismo, la
    codardia e la bassezza. Non era insensibile alla magia della beltà
    femminile, nè aborriva dallo eccesso nel vino. E nulladimeno, nè
    vino nè beltà poterono mai spingere il cauto e frugale libertino,
    anche negli anni suoi giovanili, ad un solo slancio di generosità
    indiscreta. Benchè fosse di nobile lignaggio, elevossi nella propria
    professione tributando omaggi ignominiosi a tutti coloro che avevano
    influenza nelle Corti. Divenne Capo Giudice dei Piati Comuni, e come
    tale fu parte ne' più iniqui assassinii giuridici di cui si serbi
    ricordo nella storia nostra. Egli aveva senno bastevole a discernere
    fino da principio che Oates e Bedloe erano impostori: ma il
    Parlamento e il paese erano grandemente eccitati; il Governo aveva
    ceduto alla pressura; e North non era uomo da porre a repentaglio,
    per amore della giustizia e dell'umanità, un buon posto. Per la qual
    cosa, mentre in secreto scriveva una confutazione del romanzo della
    Congiura papale, dichiarava in pubblico la storiella essere vera e
    chiara come la luce del sole; e non vergognò d'imporre dal seggio
    della giustizia agli sventurati Cattolici Romani, i quali gli
    stavano dinanzi incolpati di delitti capitali. Finalmente, era
    pervenuto a conseguire il più alto ufficio nelle Leggi. Ma un
    legale, che dopo di essere stato per molti anni tutto dedito allo
    esercizio della propria professione, si volga alla politica per la
    prima volta in età avanzata, rade volte riesce insigne uomo di
    Stato; e Guildford non fa eccezione a questa regola generale.
    Sentiva tanto la propria dappocaggine, che non intervenne mai alle
    adunanze de' colleghi intorno agli affari esteri. Anche nelle
    questioni concernenti la sua professione, le opinioni sue erano di
    meno peso in Consiglio, che quelle di chiunque abbia mai tenuto il
    Gran Sigillo. Nondimeno, quella tal quale influenza ch'egli
    esercitava, adoperò, fin dove osava di farlo, a favore delle leggi.
    
    Il principale avversario di Halifax era Lorenzo Hyde, che era stato,
    poco innanzi, creato Conte di Rochester. Tra tutti i Tory, Rochester
    era il più intollerante e contrario ad ogni accordo. I membri
    moderati del suo partito dolevansi che tutti gli uffici del Tesoro,
    mentre egli ne era Primo Commissario, venissero concessi agli
    zelanti, i cui soli diritti ad essere promossi consistevano nel bere
    a confusione de' Whig, e nell'accendere fuochi di gioia e bruciarvi
    la Legge d'Esclusione. Il Duca di York, satisfatto di uno spirito
    che tanto gli somigliava, sosteneva con passione ed ostinazione il
    proprio cognato.
    
    I tentativi che i Ministri rivali facevano a vincersi e supplantarsi
    scambievolmente, tenevano perennemente agitata la Corte. Halifax
    instava presso il Re perchè convocasse il Parlamento, a concedere
    una generale amnistia, a privare il Duca di York d'ogni
    partecipazione al Governo, a richiamare Monmouth dallo esilio, a
    romperla con Luigi, ed a stringere l'unione con la Olanda, giusta i
    principii della Triplice Alleanza. Il Duca di York, dall'altro
    canto, temeva lo adunarsi del Parlamento, abborriva i vinti Whig con
    tenace rancore, sperava tuttavia che il disegno formato quattordici
    anni innanzi in Dover potesse mandarsi ad esecuzione, mostrava ogni
    giorno al proprio fratello la inconvenevolezza di patire che un uomo
    il quale in cuore era repubblicano tenesse il Gran Sigillo, e
    proponeva calorosamente Rochester come adattato al grande ufficio di
    Lord Tesoriere.
    
    Mentre le due fazioni si travagliavano, Godolphin, cauto, tacito,
    laborioso, tenevasi neutrale fra quelle. Sunderland, con la sua
    solita irrequieta perfidia, intrigava contro ambedue. Era stato
    cacciato d'ufficio per avere votato in favore della Legge
    d'Esclusione, ma era stato ribenedetto mercè i buoni uffici della
    Duchessa di Portsmouth e lo strisciarsi attorno al Duca di York, ed
    era di nuovo Segretario di Stato.
    
    LXV. Nè Luigi rimaneva spensierato o inoperoso. Ogni cosa allora
    correva prospera ai suoi disegni. Non aveva nulla a temere dallo
    Impero Germanico, che allora pugnava contro i Turchi sul Danubio. La
    Olanda, priva dell'altrui sostegno, non poteva rischiarsi ad
    avversarlo. Era, quindi, libero di appagare la propria sfrenata
    ambizione ed insolenza. S'impossessò di Dixmude e di Courtray:
    mitragliò Lussemburgo: volle che la Repubblica di Genova si
    prostrasse umiliata ai suoi piedi. La potenza francese in quel tempo
    era giunta al grado più alto al quale mai, o prima o poi, si
    elevasse ne' dieci secoli che dividono il regno di Carlomagno da
    quello di Napoleone. Non era facile il dire dove si sarebbe fermato,
    se gli fosse riuscito di tenere la sola Inghilterra in istato di
    vassallaggio. Il primo scopo della Corte di Versailles, quindi, era
    quello d'impedire la convocazione del Parlamento, e la concordia dei
    partiti inglesi. A ciò fare, fu larghissima di doni, di promesse, di
    minacce. Carlo talvolta era sedotto dalla speranza d'un sussidio, e
    tal'altra spaventato da chi gli ripeteva, che, convocando le Camere,
    gli articoli secreti del trattato di Dover verrebbero divulgati.
    Parecchi Consiglieri vennero comprati; e tentossi anche, ma indarno,
    di comprare Halifax. Trovatolo incorruttibile, la Legazione Francese
    adoperò ogni arte ed influenza a farlo sloggiare dall'ufficio; ma il
    suo spirito squisito e le sue rare doti lo avevano reso così caro al
    proprio signore, che il disegno della Francia andò in fallo(53).
    
    Halifax non era pago di starsi in sulle difese. Accusò apertamente
    Rochester di malversazione. Si fece una inchiesta. Si conobbe che
    quarantamila lire sterline s'erano perdute per pessima
    amministrazione del Primo Lord del Tesoro. A cagione di siffatta
    scoperta, non solo gli fu forza abbandonare la speranza ch'egli
    aveva di conseguire il bastone bianco, ma gli fu tolta la direzione
    delle finanze, e venne trasferito al posto, maggiormente onorifico
    ma meno lucroso, di Lord Presidente. "Io ho veduto uomini cacciati a
    calci giù per le scale," disse Halifax, "ma Milord Rochester è il
    primo individuo che io abbia veduto salire su a calci." Godolphin,
    adesso fatto Pari, divenne Primo Commissario del Tesoro.
    
    LXVI. Nondimeno, la contesa seguitava. L'esito dipendeva dal volere
    di Carlo; e Carlo non poteva venire ad una deliberazione. Nel suo
    perpetuo ondeggiare, prometteva ogni cosa ad ognuno. Starebbe fido
    alla Francia: la romperebbe con essa: non convocherebbe mai un altro
    Parlamento: darebbe ordini che si spedissero senza indugio i decreti
    per la convocazione del Parlamento. Assicurava il Duca di York, che
    Halifax sarebbe cacciato via; ed Halifax, che il Duca di York
    verrebbe mandato in Iscozia. In pubblico affettava ira implacabile
    contro Monmouth, ed in privato mandava a Monmouth assicurazioni
    d'inalterabile affetto. Quanto tempo avrebbe durato questa
    esitazione, ove il Re avesse seguitato a vivere, e a che partito si
    sarebbe egli attenuto, può solamente congetturarsi. Nel 1685, mentre
    le parti avverse attendevano ansiose la regia deliberazione, egli
    morì, e si aperse una nuova scena. In pochi mesi, gli eccessi del
    Governo cancellarono dalle menti del pubblico la memoria degli
    eccessi della opposizione. La Reazione violenta che aveva prostrata
    la parte Whig, fu seguita da una Reazione anche più violenta in
    senso opposto; e certi segni, da non essere presi in abbaglio,
    mostravano che il gran conflitto fra la prerogativa della Corona e i
    privilegi del Parlamento, era per terminare.
    
    
    CAPITOLO TERZO.
    
    SOMMARIO.
    
    I. Grande mutamento nelle condizioni dell'Inghilterra dal 1685 in
    poi. - II. Popolazione dell'Inghilterra nel 1685. - III. L'aumento
    della popolazione è maggiore nelle contrade settentrionali, che
    nelle meridionali. - IV. Rendita nel 1685. - V. Sistema militare. -
    VI. La Flotta. - VII. L'Artiglieria. - VIII. Spese non effettive. -
    IX. Spese del governo civile. - X. Grossi guadagni dei cortigiani e
    de' Ministri. - XI. Condizioni dell'agricoltura. - XII. Ricchezze
    minerali del paese. - XIII. Aumento della rendita; i Gentiluomini
    delle provincie. - XIV. Il Clero. - XV. I piccoli possidenti di
    terre. - XVI. Ingrandimento delle città; Bristol. - XVII. Norwich. -
    XVIII. Altre città di provincia. - XIX. Manchester. - XX. Leads. -
    XXI. Sheffield. - XXII. Birmingham. - XXIII. Liverpool. - XXIV. I
    bagni di Cheltenham, Brighton(54), Buxton. - XXV. Tunbridge Well. -
    XXVI. Bath. - XXVII. Londra. - XXVIII. La città. - XXIX. Il
    quartiere di moda nella capitale. - XXX. Polizia di Londra. - XXXI.
    Illuminazione di Londra. - XXXII. I Frati bianchi. - XXXIII. La
    Corte. - XXXIV. Le botteghe da Caffè. - XXXV. Difficoltà di
    viaggiare. - XXXVI Cattiva condizione delle strade. - XXXVII.
    Carrozze da viaggio. - XXXVIII. Ladroni. - XXXIX. Locande. - XL.
    L'Ufficio Postale. - XLI. Gazzette. - XLII. Lettere. - XLIII.
    L'Osservatore - XLIV. Scarsità di libri ne' luoghi di provincia. -
    XLV Educazione delle donne. - XLVI. Cultura letteraria de'
    Gentiluomini. - XLVII. Influenza della letteratura francese. -
    XLVIII. Immoralità dell'amena letteratura d'Inghilterra. - XLIX.
    Condizioni delle scienze in Inghilterra. - L. Condizioni delle arti
    belle - LI. Condizioni del popolo basso; paga de' contadini. - LII.
    Paga de' manifattori. - LIII. Fatica de' fanciulli nelle
    manifatture. - LIV. Paghe degli artigiani di varie classi. - LV.
    Numero de' poveri. - -LVI. Beneficii per il popolo basso derivati
    dalla civiltà. - LVII. Inganno che conduce gli uomini a esagerare la
    felicità delle generazioni precedenti.
    
    
    I. Intendo descrivere in questo Capitolo le condizioni
    dell'Inghilterra nel tempo in cui la Corona da Carlo II passò al suo
    fratello. Tale descrizione, fatta sopra magri e dispersi materiali,
    deve necessariamente essere imperfetta. Nondimeno, varrà forse a
    correggere talune false nozioni, le quali renderebbero il racconto
    che segue, inintelligibile o poco istruttivo.
    
    Se vogliamo studiare con frutto la storia de' nostri antichi, è
    mestieri guardarci dall'inganno che i ben noti nomi delle famiglie,
    de' luoghi e degli uffici, naturalmente producono, e non dimenticar
    mai che il paese del quale leggiamo la storia, è assai diverso da
    quello nel quale ora viviamo. In ogni scienza sperimentale è
    tendenza verso la perfezione. In ogni essere umano è desiderio di
    megliorare le condizioni proprie. Questi due principii spesso sono
    stati bastevoli, anche controbilanciati da grandi calamità pubbliche
    e da pessime istituzioni, a spingere rapidamente innanzi lo
    incivilimento. Non vi ha sciagura ordinaria, non ordinario mal
    governo, che tanto possano rendere misera una nazione, quanto il
    costante progredire delle scienze fisiche, e lo sforzo costante che
    fa ogni uomo a rendersi migliore, contribuiscono a fare prospero un
    popolo. È stato spesso notato che le spese prodighe, le tasse
    gravose, le assurde restrizioni commerciali, i tribunali corrotti,
    le disastrose guerre, le sedizioni, le persecuzioni, gl'incendi, le
    inondazioni, non hanno potuto distruggere le sostanze così presto,
    come gli sforzi dei cittadini privati hanno potuto crearle. Potrebbe
    agevolmente provarsi, che nella nostra patria la ricchezza
    nazionale, negli ultimi sei secoli, è venuta quasi senza
    interruzione crescendo; che era maggiore sotto i Tudors, che sotto i
    Plantageneti; maggiore sotto gli Stuardi, che sotto i Tudors; che,
    nonostanti le battaglie, gli assedi e le confische, ella era
    maggiore nel giorno della Restaurazione, che in quello in cui
    adunossi il Lungo Parlamento; che, malgrado la pessima
    amministrazione, la stravaganza, il pubblico fallimento, le due
    guerre costose e sciagurate, la pestilenza e lo incendio, era anche
    maggiore nel giorno della morte di Carlo II, che in quello della sua
    Restaurazione. Cotesto progresso, continuando per molti anni,
    divenne finalmente, verso la metà del secolo decimottavo,
    portentosamente rapido, e nel decimonono ha acquistata incredibile
    velocità(55). A cagione, in parte, della nostra posizione
    geografica, in parte delle nostre morali condizioni, noi, nel corso
    di parecchie generazioni, siamo rimasti esenti dai danni che altrove
    hanno impacciato gli sforzi e distrutto i frutti della industria.
    Mentre ogni paese del continente, da Mosca fino a Lisbona, è stato
    il teatro di guerre sanguinose e devastatrici, non si è veduto in
    Inghilterra vessillo nemico, se non in sembianza di trofeo. Mentre
    ci abbiamo veduto fremere d'intorno il fuoco delle rivoluzioni, il
    nostro Governo non è stato nè anche una sola volta abbattuto dalla
    violenza. Per cento anni non è stato mai nell'isola nostra nessun
    tumulto di gravità tanta, che si possa chiamare insurrezione. La
    legge non è stata mai calpestata nè dal furore popolare, nè dalla
    regia tirannide. Il credito pubblico è stato considerato come sacro.
    L'amministrazione della giustizia è stata pura. Anche in tempi che
    dagl'Inglesi potrebbero rettamente chiamarsi tristi, abbiamo fruito
    ciò che quasi ogni altra nazione del mondo avrebbe reputato ampia
    misura di libertà civile e religiosa. Ciascuno ha avuta intera
    fiducia che lo Stato lo avrebbe protetto nel possesso di ciò che ha
    guadagnato con la propria diligenza, o accumulato con la parsimonia.
    Sotto la benefica influenza della pace e della libertà, le scienze
    hanno fiorito, e sono state applicate agli usi pratici in modo per
    innanzi sconosciuto. Onde avvenne che nella patria nostra seguisse
    un cangiamento tale, che nella storia del vecchio mondo non si trovi
    nulla che gli si possa agguagliare. Se la Inghilterra del 1685
    potesse, per alcuna virtù magica, mostrarsi agli occhi nostri, non
    sapremmo fra cento riconoscere un tratto di paese, nè un edifizio
    fra mille. Il gentiluomo della provincia non riconoscerebbe i propri
    campi. L'abitante della città non riconoscerebbe la propria strada.
    Ogni cosa ha mutato aspetto, tranne le grandi sembianze della
    natura, e poche massicce e durevoli opere dell'arte umana. Potremmo
    scoprire Snowdon e Windermare, Ceddar Cliffs e Beachy Head; qua e là
    qualche monastero normanno o castello che vide le guerre delle Rose.
    Ma, salvo queste poche eccezioni, ogni cosa ci sembrerebbe strana.
    Molte mila miglia quadrate, che adesso sono campi ricchi di grano, e
    prati traversati da verdeggianti siepi e popolati di villaggi e di
    amene ville, ci apparirebbero impervii deserti, o paduli abitati
    dalle anitre. Vedremmo tugurii di legno coperti di frasche sparsi
    qua e là, dove adesso miriamo città manifatturiere, e porti di mare
    la cui fama giunge sino ai più remoti confini del mondo. La stessa
    metropoli ci parrebbe poco più vasta del suo presente suburbio lungo
    la riva meridionale del Tamigi. Nè meno strani ci sembrerebbero lo
    aspetto e i costumi del popolo, la mobilia e gli equipaggi,
    l'interno delle botteghe e delle abitazioni. E' pare che tale
    mutamento nelle condizioni d'una nazione sia degno di essere
    descritto dallo storico, almeno quanto qualunque mutamento di
    dinastia o di ministero.
    
    II. Uno dei fini principali dello scrittore che intenda a farsi una
    esatta idea della condizione d'una comunità in un dato tempo, deve
    essere quello d'indagare di quanti individui essa allora era
    composta. Sventuratamente, non può con esattezza stabilirsi quanta
    fosse la popolazione dell'Inghilterra nel 1685; perocchè nessuno dei
    grandi Stati allora aveva adottata la saggia costumanza di enumerare
    periodicamente il popolo. Gli scrittori non potevano se non
    congetturare da sè stessi; e poichè facevano ciò senza esaminare i
    fatti e sotto il dominio di forti passioni e pregiudizi, i loro
    computi spesso riuscivano assurdi. Anco gl'intelligenti cittadini di
    Londra, ordinariamente, affermavano la città loro contenere parecchi
    milioni d'anime. Molti hanno con molta sicurezza asserito, che nei
    trentacinque anni trascorsi dallo avvenimento di Carlo I al trono
    fino alla Restaurazione, la popolazione della città era cresciuta di
    due milioni(56). E mentre erano ancor fresche le devastazioni della
    peste e del fuoco, era costume asserire che la città contava
    tuttavia un milione e mezzo d'abitatori(57). Alcuni altri, stomacati
    da siffatte esagerazioni, trascorsero agli estremi opposti. Così
    Isacco Vossio, uomo indubitatamente dotto, sosteneva con franchezza
    che Inghilterra, Scozia, Irlanda, prese insieme, non v'erano se non
    se due milioni di creature umane(58).
    
    Ciò non ostante, non ci mancano affatto i mezzi di correggere i
    gravi falli, in cui taluni cervelli per vanità nazionale, ed altri
    per vaghezza di paradosso, cadevano. Esistono tre computi, che
    sembrano meritevoli di attenzione speciale. Non dipendono in nulla
    l'uno dall'altro; procedono sopra principii diversi; e nondimeno,
    poca è la differenza de' risultamenti che dànno.
    
    Uno di cotesti computi fu fatto nell'anno 1696 da Gregorio King,
    araldo di Lancaster, aritmetico politico grandemente sottile e
    giudizioso. A fondamento de' suoi calcoli, tolse il numero delle
    case indicato dagli ufficiali che fecero l'ultima esazione della
    imposta sui focolari. La conclusione alla quale egli venne, fu che
    la popolazione dell'Inghilterra era di circa cinque milioni e mezzo
    d'anime(59).
    
    Verso quel medesimo tempo, il Re Guglielmo III volle conoscere la
    forza comparativa delle varie sètte religiose, in che la comunità
    era divisa. Istituita una inchiesta, gli furono da tutte le diocesi
    del Regno trasmesse le necessarie relazioni. Secondo le quali, il
    numero de' suoi sudditi inglesi doveva essere circa cinque milioni e
    duecento mila(60).
    
    Da ultimo, ai dì nostri, Finlaison, esperto computista, sottopose
    gli antichi registri parrocchiali a tutti gli esperimenti che potè
    somministrargli il moderno progresso della scienza statistica. Egli
    opinò, che verso il chiudersi del secolo decimosettimo, la
    popolazione dell'Inghilterra fosse poco meno di cinque milioni e
    duecentomila anime(61).
    
    Di questi tre computi, formati da diversi individui, senza che l'uno
    s'accordasse con l'altro, sopra materiali di specie diversa, il più
    alto, che è quello di King, non eccede d'un dodicesimo il più basso
    che è quello di Finlaison. Possiamo, quindi, con franchezza
    asserire, che mentre Giacomo II regnava, l'Inghilterra conteneva tra
    cinque milioni e cinque milioni e mezzo d'abitatori. Secondo il
    maggior computo, essa aveva un terzo della popolazione de' tempi
    nostri, e meno del triplo della popolazione che adesso è raccolta
    nella sua gigantesca metropoli.
    
    III. L'augumento del popolo è stato grande in ogni parte del Regno,
    ma generalmente maggiore nelle Contee settentrionali, che nelle
    meridionali. Veramente, gran parte del paese oltre il Trent, fino al
    secolo decimottavo era in istato di barbarie. Cagioni fisiche e
    morali avevano cooperato perchè lo incivilimento non si spandesse
    per quella regione. Il cielo era inclemente, il suolo in condizioni
    tali, da richiedere arte somma ed industria nella coltivazione; e
    poca poteva essere l'arte e la industria in una contrada che spesso
    era teatro di guerra, e che, anche quando vi regnava una pace di
    solo nome, veniva perennemente devastata dalle bande di ladroni
    scozzesi. Avanti e lungo tempo dopo il congiungimento delle due
    Corone britanniche, eravi tanta differenza tra Middlesex(62) e
    Northumberland, quanta oggi ve n'è tra il Massachusetts(63) e gli
    stabilimenti di quelle genti nomadi, le quali nelle rimote contrade
    occidentali del Mississipi, amministrano rozzamente la giustizia con
    la carabina e il pugnale. Nel regno di Carlo II, i vestigii lasciati
    da lunghi anni di strage e di saccheggio vedevansi ancora
    chiaramente per molte miglia al mezzogiorno del Tweed, nello aspetto
    della contrada e nei costumi del popolo. Eravi ancora una genia di
    predoni, che dedicavasi all'arte di saccheggiare le case e rapire
    interi branchi di gregge. Poco dopo la Restaurazione, il Governo
    reputò necessario promulgare leggi severissime, a impedire
    simiglianti delitti. Ai Magistrati di Northumberland e di Cumberland
    fu data potestà di levare bande d'uomini armati per la difesa della
    proprietà e dell'ordine; e onde provvedere alle spese di cosiffatte
    leve, imposero una tassa locale(64). Fu ordinato che le parrocchie
    tenessero de' cani addestrati a fine di dar la caccia ai ladroni.
    Non pochi vecchi che vivevano ancora a mezzo del secolo decimottavo,
    potevano bene rammentarsi del tempo in cui quei cani feroci erano
    d'uso comune(65). Eppure, anche con tali aiuti, spesso era
    impossibile rintracciare i nascondigli di quei malfattori fra i
    luoghi alpestri e paludosi. Imperocchè la geografia di quella
    selvaggia contrada conoscevasi imperfettamente. Anco dopo che
    Giorgio III ascese al trono, il sentiero su per le rocce da
    Borrowdale a Ravenglas era tuttavia un secreto studiosamente
    custodito dagli abitatori delle valli, taluni de' quali s'erano
    probabilmente in gioventù loro sottratti per que' sentieri alle
    ricerche della giustizia(66). Le abitazioni de' gentiluomini e le
    grandi case coloniche erano fortificate. I buoi nella notte venivano
    custoditi sotto gli spaldi della residenza, che chiamavasi col nome
    di Peel. Coloro che vi abitavano, dormivano con le armi allato.
    Grosse pietre ed acqua bollente erano sempre pronte a schiacciare e
    scottare il ladrone che si fosse rischiato ad assalire il piccolo
    presidio. Nissuno ardiva viaggiare per quel paese, senza aver fatto
    testamento. I giudici, nel loro viaggio periodico, con tutta la
    torma degli avvocati, procuratori, scrivani e servitori, cavalcavano
    da Newcastle a Carlisle armati, e scortati da una forte guardia
    sotto il comando degli Sceriffi. Era mestieri recare seco le
    necessarie provvisioni; perocchè la contrada era un deserto, dove
    era d'ogni cosa difetto. Il luogo nel quale la cavalcata fermavasi a
    desinare, sotto una quercia immensa, non è peranche caduto in oblio.
    La irregolare rigidità con che amministravasi la giustizia, faceva
    ribrezzo all'animo di coloro che erano vissuti in più tranquilli
    distretti. I Giurati, spinti dall'odio e dal sentimento del comune
    pericolo, dichiaravano rei convinti gli aggressori delle case e i
    rapitori degli armenti, con la fretta con cui giudica una Corte
    marziale in occasione di tumulti, e a centinaia gli mandavano alla
    forca(67). A memoria di alcuni che hanno veduta la presente
    generazione, il cacciatore il quale procedeva fino alle scaturigini
    del Tyne, trovava gli scopeti attorno Keeldar Castle popolati d'una
    razza di uomini selvaggi quasi al pari degli Indiani della
    California; e sentiva, maravigliando, le donne, mezzo ignude,
    cantare rozze e fiere melodie, mentre gli uomini con le daghe in
    pugno danzavano una danza guerresca(68).
    
    Lentamente e con difficoltà la pace venne stabilita lungo i confini.
    La seguirono l'industria e le arti del vivere civile. Intanto
    scoprivasi che le regioni a settentrione del Trento, possedevano
    nelle loro miniere di carbone una sorgente di ricchezza assai più
    preziosa delle miniere aurifere del Perù. Conobbesi che nel vicinato
    di cotesti strati carboniferi, quasi ogni specie di manifattura si
    poteva esercitare con grande utile. Le genti presero ad affluire di
    continuo a que' luoghi. Raccogliesi dai computi del 1841, che
    l'antica provincia arcivescovile di York conteneva due settimi della
    popolazione d'Inghilterra. Ai tempi della Rivoluzione, credevasi che
    quella provincia contenesse solo un settimo della popolazione(69).
    Nella Contea di Lancaster il numero degli abitatori sembra essere
    cresciuto nove volte di più; mentre in Norfolk, Suffolk e nella
    Contea di Northampton, appena trovasi raddoppiato(70).
    
    IV. Intorno alle tasse possiamo favellare con maggior precisione e
    sicurezza, che intorno alla popolazione. La rendita
    dell'Inghilterra, alla morte di Carlo II, era piccola in paragone
    de' mezzi che essa allora possedeva, o delle somme di pecunia che
    levavano i Governi degli Stati al nostro propinqui. Dopo l'epoca
    della Restaurazione, era venuta quasi sempre crescendo; e nondimeno,
    era poco più di tre quarti della rendita delle Provincie Unite, ed
    appena un quinto di quella di Francia.
    
    Il più importante capo di entrata era quel balzello detto excise, il
    quale nell'ultimo anno del regno di Carlo produsse cinquecento
    ottantacinquemila lire sterline, nette di spese. Il prodotto netto
    delle dogane ascese, nell'anno stesso a cinquecentotrentamila lire
    sterline. Questi carichi non pesavano molto gravemente sulla
    nazione. La tassa sui camini o focolari, quantunque fosse meno
    produttiva, destò maggiori mormorazioni. Il malcontento che nasce
    dalle imposte dirette, sta, a dir vero, quasi sempre fuori di
    proporzione alla quantità di danaro che riportano allo Scacchiere; e
    la tassa sui camini era, anco fra le imposte dirette,
    particolarmente odiosa: imperocchè non poteva levarsi se non se per
    mezzo di visite domiciliari; alle quali visite gl'Inglesi hanno
    sempre avuto tale abborrimento, che il popolo degli altri paesi se
    ne potrebbe formare solo una debole idea. I padroni di case poveri,
    spesso non potevano pagare la imposta sui loro focolari. Ogni
    qualvolta ciò avveniva, gli esattori sequestravano senza
    misericordia la mobilia: poichè la tassa era data in appalto; e un
    appaltatore di tasse, fra tutti i creditori, secondo porge il
    proverbio, è il più rapace. Gli esattori venivano apertamente
    accusati di condursi, nello esercizio del loro abborrito mestiere,
    con durezza e insolenza. Dicevasi, che appena essi mostravansi sulla
    soglia d'un tugurio, i fanciulli cominciavano a piangere, e le
    vecchie correvano a nascondere i loro arnesi da cucina. Anzi,
    l'unico letto d'una povera famiglia soventi volte veniva portato
    via, e venduto. Il prodotto annuo netto di cotesta tassa era di
    duecentomila lire sterline(71).
    
    Se alle tre grandi sorgenti d'entrata da noi rammentate, aggiungiamo
    quella delle regie possessioni, allora più estese di quello che
    siano ai dì nostri, i primi frutti e le decime, che non erano per
    anche state rese alla Chiesa, i Ducati di Cornwall e di Lancaster,
    le confische e le multe; la intera rendita annua della Corona
    potrebbe estimarsi sicuramente a un milione e quattrocentomila lire
    sterline. Di cotesta rendita, parte era ereditaria; il rimanente, a
    Carlo era stato concesso a vita; ed egli era libero di spenderla
    tutta, in qualunque modo gli fosse piaciuto. Tutto ciò ch'egli
    poteva risparmiare dalla spesa de' pubblici dipartimenti, andava
    alla sua borsa privata. Intorno all'uffizio postale ragioneremo più
    innanzi. Gli utili di quello stabilimento erano stati dal Parlamento
    concessi al Duca di York.
    
    La entrata del Re era, o avrebbe dovuto essere, sopraccarica del
    pagamento di circa ottantamila sterline l'anno, ch'era l'interesse
    de' danari dalla Cabala fraudolentemente ritenuti nello Scacchiere.
    Mentre Danby era capo dell'ufficio delle finanze, i creditori
    avevano ricevuti i loro dividendi, quantunque senza la esatta
    puntualità che ne' moderni tempi si costuma; ma coloro che gli erano
    succeduti al Tesoro, erano stati meno(72) destri o meno solleciti a
    mantenere la fede pubblica. Dopo la vittoria che la Corte riportò
    sopra i Whig, nè anche un soldo era stato pagato, nè fatta giustizia
    ai creditori, finchè una nuova dinastia non istabilì un sistema
    nuovo. Si erra grandemente immaginando che il sistema di provvedere
    ai bisogni dello Stato per mezzo di un prestito, fosse recato
    nell'isola nostra da Guglielmo III. Da tempo immemorabile, ogni
    Governo Inglese aveva avuto costume di contrarre debiti. Ciò che
    venne introdotto dalla Rivoluzione, fu la usanza di pagarli
    onestamente(73).
    
    V. Saccheggiando i pubblici creditori, era possibile accumulare una
    entrata di un milione e quattrocento mila lire sterline; ed
    aggiungendovi di quando in quando qualche sussidio della Francia,
    sostenere le spese necessarie del Governo, e lo scialacquo della
    Corte: imperciocchè quel peso che gravava sulle finanze de' grandi
    Stati continentali, in Inghilterra sentivasi appena. In Francia, in
    Germania, ne' Paesi Bassi, eserciti numerosi, quali Enrico IV e
    Filippo II non avevano mai mantenuti in tempo di guerra, tenevansi
    fra mezzo alla pace. In ogni parte si erigevano bastioni e forti,
    edificandoli con principii ignoti a Parma o a Spinola. Le
    artiglierie e le munizioni accumulavansi in tanta quantità, che lo
    stesso Richelieu, il quale dalle precedenti generazioni era stato
    considerato come operatore di prodigi, avrebbe chiamata favolosa.
    Niuno poteva viaggiare per molte miglia in quelle contrade, senza
    udire i tamburi d'un reggimento in marcia, o senza essere fermato
    dalle sentinelle de' ponti levatoi d'una fortezza. Nella nostra
    isola, all'incontro, era possibile vivere e viaggiare lungamente,
    senza che nessun suono o vista di cose marziali rammentasse che la
    difesa dello Stato era divenuta una scienza ed una professione. La
    maggior parte degli Inglesi che avevano meno di venticinque anni,
    non avevano probabilmente veduta mai nessuna compagnia di soldati
    regolari. Delle città le quali nella guerra civile avevano
    valorosamente respinto le armate ostili, nè anche una era capace di
    sostenere un assedio. Le porte rimanevano aperte di notte e di
    giorno: i fossi erano senz'acqua: gli spaldi delle mura si erano
    lasciati andare in rovina, o erano racconci in modo, che il popolo
    vi potesse con diletto passeggiare nelle notti estive. Molte delle
    vecchie abitazioni de' Baroni erano state fracassate dai cannoni di
    Fairfax e di Cromwell, ed erano mucchi di rovine coperte di edera.
    Quelle che restavano in piedi, avevano perduto il loro aspetto
    marziale, ed erano diventate palazzi rurali dell'aristocrazia. I
    fossati erano mutati in vivai di carpii e di lucci. I terrapieni
    erano coperti di olezzanti arbusti, a traverso de' quali aprivansi
    viottoli, che conducevano su a tempietti ornati di specchi e di
    pitture(74). Sui promontori delle coste, e su per molti colli del
    paese interno, vedevansi tuttavia posti alti, sormontati di barili,
    che un tempo erano ripieni di pece: in tempi di pericolo vigilavano
    attorno ad essi le sentinelle; e in poche ore, appena scoperta una
    flotta spagnuola nel canale, o appena veduto che un migliaio di
    predoni scozzesi aveva passato il fiume Tweed, i fuochi d'accenno
    splendevano per un tratto di cinquanta miglia, e tutte le Contee
    correvano alle armi. Ma erano trascorsi molti anni da che que'
    fuochi non si accendevano più; ed oramai venivano considerati più
    presto come curiose reliquie de' vecchi costumi, che come parte
    d'una macchina necessaria alla salvezza dello Stato(75).
    
    La sola armata riconosciuta dalla legge, era la guardia cittadina.
    Era stata riordinata per virtù di due leggi, passate in Parlamento
    poco dopo la Restaurazione. Chiunque possedeva cinquecento lire
    sterline annue in terreni, o seimila lire sterline d'utili
    personali, era tenuto ad apprestare, equipaggiato e pagato a proprio
    carico, un uomo a cavallo. Chiunque possedeva cinquanta lire
    sterline annue in terreni, o seicento d'utili personali, era
    similmente tenuto ad apprestare un lanciere o moschettiere. I
    possidenti minori furono ordinati in una specie di società, a
    significare la quale la nostra lingua non ha vocabolo proprio, ma
    che un Ateniese avrebbe chiamata Synteleia; e ciascuna di coteste
    società doveva fornire, secondo i propri mezzi, un soldato a
    cavallo, o un pedone. Il numero della cavalleria e fanteria in tal
    guisa raccolto, stimavasi comunemente ascendere a cento trenta mila
    uomini(76).
    
    Per virtù dell'antica Costituzione del reame, e del recente e
    solenne riconoscimento di ambedue le Camere, il Re era il solo
    Capitano Generale di queste grandi forze. I Lordi Luogotenenti e i
    deputati loro comandavano a lui sottoposti, e ordinavano le raccolte
    per gli esercizi o le ispezioni. La durata di siffatti ragunamenti,
    nondimeno, non poteva eccedere quattordici giorni in un anno. I
    Giudici di Pace avevano potestà d'infliggere pene per infrazioni di
    disciplina. La Corona non contribuiva nulla alla spesa ordinaria; ma
    quando la milizia cittadina veniva chiamata alle armi contro
    l'inimico, al suo mantenimento provvedeva il Governo a carico della
    entrata generale dello Stato, e la sottoponeva al massimo rigore
    della legge marziale.
    
    Eranvi di quelli che non guardavano di buon occhio la milizia
    cittadina. Uomini che avevano molto viaggiato nel continente,
    ammirato la rigorosa precisione con che ogni sentinella movevasi e
    parlava nelle cittadelle edificate da Vauban, veduto gli eserciti
    possenti che affluivano per tutte le strade della Germania a
    respingere gli Ottomanni dalle porte di Vienna, ed erano stati
    abbagliati dalla pomposa magnificenza delle guardie palatine di
    Luigi, irridevano al modo con cui i contadini delle Contee di Devon
    e di York marciavano, giravansi, e portavano gli archibugi e le
    picche. Gl'inimici delle libertà e della religione dell'Inghilterra,
    guardavano con abborrimento una forza che non potevasi, senza
    estremo periglio, adoperare contro quelle libertà e quella
    religione, e non lasciavano fuggire veruna occasione senza porre in
    dileggio le rustiche soldatesche(77). I saggi amatori della patria,
    quando raffrontavano queste rozze leve coi battaglioni che, in tempo
    di guerra, tra poche ore potevano condursi alle coste di Kent o di
    Sussex, erano costretti a concedere, che, per quanto pericolo vi
    fosse nel mantenere uno esercito stanziale, sarebbe stato anche più
    pericoloso provvedimento lo affidare l'onore e la indipendenza del
    paese all'esito d'una lotta tra i campagnoli capitanati dai Giudici
    di Pace, e i vecchi guerrieri condotti dai Marescialli di Francia.
    Cotali opinioni in Parlamento non potevano manifestarsi se non con
    grande riserbo, perocchè la milizia cittadina era una istituzione
    eminentemente popolare. Ogni qualunque osservazione intorno ad essa
    eccitava lo sdegno di ambi i grandi partiti dello Stato, ed in
    ispecie di quello che mostravasi zelantissimo della Monarchia e
    della Chiesa Anglicana. Le legioni delle Contee erano comandate
    quasi esclusivamente da nobili e gentiluomini Tory; i quali andavano
    alteri del loro grado militare, e tenevano come fatto a sè stessi
    ogni insulto contro la istituzione alla quale appartenevano.
    Sapevano bene pur troppo, che tutto ciò che dicevasi contro la
    guardia cittadina era detto in favore d'un esercito stanziale, il
    cui nome era da loro abborrito. Un simigliante esercito aveva
    signoreggiata l'Inghilterra, e sotto esso il Re era stato
    assassinato, la nobiltà degradata, i gentiluomini spogliati delle
    loro terre, la Chiesa perseguitata. Non v'era signore rurale che non
    avesse da raccontare una storia di danni e d'insulti a lui inflitti,
    o al padre suo, dai soldati parlamentari. Un vecchio Cavaliere aveva
    veduto mezza la sua campestre residenza distrutta. Gli olmi
    ereditarii d'un altro erano stati abbattuti. Un terzo non poteva mai
    porre il piede dentro la chiesa della propria parrocchia, senza che
    i suoi scudi sfigurati, i capi mozzi delle statue de' suoi antichi,
    gli rammentassero come i soldati d'Oliviero avessero di quel sacro
    luogo fatto stalla ai propri cavalli. E però, quegli stessi realisti
    che erano pronti a combattere per il Re loro, erano gli ultimi ai
    quali egli potesse chiedere i mezzi di assoldare milizie regolari.
    
    Carlo, nonostante, pochi mesi dopo la sua Restaurazione, aveva
    cominciato a formare una piccola armata stanziale. Pensava che,
    senza una protezione migliore di quella della civica milizia e delle
    guardie reali, la sua persona o il suo palazzo appena sarebbero in
    sicuro, nella propinquità d'una città vasta, piena di guerrieri, che
    erano stati pur allora sbandati. Egli, quindi, spensierato e prodigo
    come era, studiossi di risparmiare dai suoi piaceri una somma
    bastevole a mantenere un corpo di guardie. Con lo accrescersi del
    traffico e della ricchezza pubblica, le sue rendite crescevano; e in
    tal guisa potè, a dispetto del mormorare de' Comuni, ingrossare a
    poco a poco le sue milizie regolari. Un'addizione considerevole fu
    ad esse fatta innanzi la fine del suo regno. Il costoso, inutile e
    pestilenziale stabilimento di Tangeri, venne abbandonato ai Barbari
    che vi abitavano all'intorno; e il presidio, composto di un
    reggimento di cavalleria e due di fanteria, fu richiamato in
    Inghilterra.
    
    La piccola armata così formata da Carlo, fu il germe di quel grande
    e rinomato esercito, che, in questo secolo, ha marciato
    trionfalmente a Madrid e Parigi, a Canton e Candahar. Le guardie del
    corpo, che adesso formano due reggimenti, erano allora partite in
    tre corpi, ciascuno dei quali constava di duecento carabinieri,
    esclusi gli ufficiali. Questo corpo, cui era affidata la sicurezza
    del Re e della real famiglia, aveva un carattere speciale. Anche i
    semplici soldati erano insigniti del grado di gentiluomini della
    Guardia. Molti di loro erano di buone famiglie, ed avevano servito
    nelle guerre civili. La loro paga era maggiore di quella che si dà
    al più prediletto reggimento de' tempi nostri; ed in quella età
    veniva riputata provvisione rispettabile per un figlio cadetto di
    scudiero di provincia. I loro bei cavalli, le ricche valdrappe, le
    corazze, le vesti ornate di nastri, di velluto e di frange d'oro,
    facevano bello spettacolo nel Parco di San Giacomo. Una piccola
    coorte di dragoni granatieri, che erano di più bassa classe ed
    avevano paga minore, era annessa a ciascun corpo. Un'altra legione
    di cavalleria, predistinta da vesti e manti azzurri, e tuttavia
    chiamata gli Azzurrini (the Blues), stava generalmente acquartierata
    nelle vicinanze della capitale. Propinquo ad essa rimaneva anche il
    corpo che oggi porta il nome di primo reggimento dei dragoni, ma che
    allora era il solo reggimento de' dragoni che fosse in Inghilterra.
    Era stato composto della cavalleria che era ritornata da Tangeri. Un
    solo corpo di dragoni, che non faceva parte di nessun reggimento,
    stanziava presso Berwick, a fine di mantenere la pace fra i predoni
    del confine. A quest'uso peculiare pensavasi allora che il dragone
    fosse singolarmente adattato. Ne' tempi posteriori(78) è divenuto un
    semplice soldato di cavalleria: ma nel secolo decimosettimo, venne
    accuratamente descritto da Montecuccoli, come un pedone che
    servivasi del cavallo per giungere con maggiore speditezza a un
    luogo designato dal servizio militare.
    
    La fanteria reale constava di due reggimenti, i quali chiamavansi
    allora, come adesso, il primo reggimento delle guardie a piedi, e le
    guardie Coldstream. Generalmente, prestavano servizio presso
    Whitehall, e il Palazzo di San Giacomo. Poichè allora non v'erano
    caserme, e poichè, per virtù della Petizione de' Diritti, i soldati
    non potevano essere acquartierati nelle case private, essi
    riempivano tutte le birrerie di Westminster e di Strand.
    
    V'erano altri cinque reggimenti di pedoni. Uno dei quali, detto il
    reggimento dell'Ammiraglio, era specialmente destinato a prestare
    servizio sulle navi. Gli altri quattro chiamavansi, tuttavia, i
    primi quattro reggimenti di linea. Due di essi rappresentavano due
    brigate, che avevano lungo tempo mantenuta nel Continente la
    rinomanza del valore inglese. Il primo, ovvero reggimento reale,
    aveva, sotto il grande Gustavo, sostenuta una parte cospicua nella
    liberazione della Germania. Il terzo reggimento, che distinguevasi
    per le mostreggiature di colore carneo, da cui trasse il ben noto
    nome di Buffs(79), aveva, sotto Maurizio di Nassau, combattuto con
    non minore valentia per la liberazione delle Fiandre. Entrambe
    coteste magnifiche legioni, alla perfine, dopo molte vicende, erano
    state da Carlo II richiamate dal servizio forestiero, ed aggregate
    alla milizia inglese.
    
    I reggimenti che adesso si dicono secondo e quarto di linea, nel
    1685 erano pur allora ritornati da Tangeri, recando seco i costumi
    crudeli e licenziosi che avevano contratti dalla loro lunga
    consuetudine coi Mori. Poche compagnie di fanteria che non erano
    state ordinate a reggimenti, erano di presidio a Tilbury Fort, a
    Portsmouth o a Plymouth, e in alcuni altri posti importanti su o
    presso la costa.
    
    Dopo i primi anni del secolo decimosettimo, era seguito un grande
    mutamento nelle armi della fanteria. Alla lancia o picca s'era
    gradatamente venuto sostituendo l'archibugio; e alla fine del regno
    di Carlo II, la maggior parte de' suoi pedoni erano moschettieri.
    Nondimeno, continuavano ad essere mescolati coi lancieri. Ciascuna
    classe di truppa nemica, veniva, secondo le occasioni, ammaestrata
    nell'uso dell'arme che peculiarmente apparteneva all'altra classe.
    Ogni pedone aveva a fianco una spada per servirsene combattendo
    petto a petto. Il dragone era armato come un moschettiere; portava
    un'arme che nel corso di molti anni erasi venuta adottando, allora
    dagl'Inglesi chiamata daga (dagger), ma che fino dal tempo della
    nostra Rivoluzione, è stata fra noi conosciuta col vocabolo francese
    di baionetta. E' pare che la baionetta non fosse dapprima uno
    strumento così formidabile come poscia è diventata; poichè, essendo
    conficcata alla bocca della canna dell'archibugio, il soldato che
    avesse voluto far fuoco, perdeva molto tempo a levarla, e riporvela,
    volendosene servire alla carica.
    
    L'esercito regolare che mantenevasi in Inghilterra al principio del
    1685, comprendeva, inclusi i soldati d'ogni arme, circa settemila
    pedoni e millesettecento cavalli e dragoni. La spesa a mantenerlo,
    ascendeva a circa duecento novantamila sterline l'anno; meno del
    decimo della somma che costava in tempo di pace la milizia francese.
    La paga giornaliera di un milite privato nelle Guardie del Corpo era
    cinque scellini, negli Azzurri due scellini e sei soldi, nei Dragoni
    diciotto soldi, nelle Guardie a piedi dieci soldi, e nella Linea
    otto. La disciplina era debole; e, per vero dire, non poteva essere
    altrimenti. Il Diritto comune dell'Inghilterra non riconosceva corti
    marziali, e in tempo di pace non faceva distinzione tra un soldato e
    qualunque altro suddito; nè il Governo poteva allora rischiarsi a
    chiedere una legge d'ammutinamento (Mutiny Bill) al Parlamento anche
    il più realista. Un soldato, dunque, battendo il proprio colonnello,
    incorreva soltanto nelle pene per assalto o percossa; e ricusando di
    obbedire agli ordini superiori, o coll'addormentarsi nel tempo che
    faceva la guardia, o col lasciare le proprie insegne, non incorreva
    nessuna pena legale. Non è dubbio che sotto il regno di Carlo II
    s'inflissero punizioni militari; ma con molta parsimonia, e in modo
    da non attirare l'attenzione pubblica, o produrre un appello alle
    Corti di Westminster Hall.
    
    Non era verosimile che un esercito come questo rendesse schiavi
    cinque milioni d'Inglesi. E davvero, difficilmente sarebbe stato
    bastevole ad opprimere una insurrezione in Londra, se la milizia
    della città si fosse unita agl'insorti. Nè il Re poteva sperare, nel
    caso che il popolo insorgesse in Inghilterra, di ottenere aiuto dai
    suoi altri dominii. Imperocchè, quantunque la Scozia e l'Irlanda
    mantenessero milizie proprie, queste forze erano appena sufficienti
    ad infrenare i malcontenti puritani dell'un Regno, e i papisti
    malcontenti dell'altro. Il Governo, non ostante, aveva altri mezzi
    militari importantissimi, dei quali va fatta menzione. V'erano al
    soldo delle Provincie Unite sei belli reggimenti, capitanati
    primamente dal valoroso Ossory; tre de' quali erano stati raccolti
    in Inghilterra, e tre in Iscozia. Il Re inglese erasi riserbata la
    potestà di richiamarli a sé, qualvolta ne avesse mestieri contro un
    nemico esterno od interno. Infrattanto, venivano mantenuti senza
    nessun carico di spesa per lui, ed assuefatti ad una eccellente
    disciplina, alla quale egli non si sarebbe rischiato di
    sottoporli(80).
    
    VI. Se la gelosia del Parlamento e della Nazione impediva al Re di
    mantenere un esercito stanziale formidabile, egli non aveva simile
    impedimento a rendere l'Inghilterra prima fra le Potenze marittime.
    I Whig e i Tory erano pronti a plaudire ad ogni provvedimento che
    tendesse ad accrescere quella forza, la quale, mentre era la
    migliore protezione dell'Isola contro i nemici stranieri, tornava
    impotente contro la libertà cittadina. Le più grandi gesta di cui
    gli uomini d'allora serbassero memoria, operate dai soldati inglesi,
    erano avvenute nelle guerre contro i principi inglesi. Le vittorie
    de' nostri marinai erano state riportate sopra nemici stranieri, ed
    avevano allontanato lo sterminio e la rapina dal nostro suolo.
    Almeno mezza la nazione rammentava con ribrezzo la battaglia di
    Naseby, e con orgoglio frammisto a molti spiacevoli sentimenti la
    battagli di Dunbar: ma la sconfitta dell'Armada, e gli scontri di
    Blake con gli Olandesi e gli Spagnuoli, ricorrevano alla memoria di
    tutti i partiti con infinita esultanza. Dalla Restaurazione in poi,
    i Comuni, anche quando avevano mostrato scontento e parsimonia,
    erano stati sempre docili fino alla prodigalità, in ciò che concerne
    gl'interessi della flotta. Era stato loro dimostro, mentre il
    Governo era nelle mani di Danby, che molti dei vascelli della flotta
    reale erano vecchi e inadatti al mare; e quantunque in quel tempo la
    Camera fosse ripugnante a dare, concesse un sussidio di circa
    seicentomila lire sterline per la costruzione di trenta nuovi legni
    da guerra. Ma la liberalità della nazione rendevasi infruttuosa pei
    vizii del Governo. La lista delle navi del Re, egli è vero, faceva
    bella mostra. Ve n'erano nove di prima classe, quattordici di
    seconda, trentanove di terza, e molti altri legni più piccoli.
    Quelli di prima classe, veramente, erano minori de' legni di terza
    classe de' nostri tempi; e quei di terza classe adesso non
    verrebbero considerati come fregate molto vaste. Se, nulladimeno,
    questa forza marittima fosse stata effettiva, in que' giorni il più
    gran potentato l'avrebbe considerata come formidabile. Ma esisteva
    solo in iscritto. Quando terminò il regno di Carlo, la sua flotta
    era guasta e caduta in basso tanto, che sarebbe quasi incredibile,
    senza l'unanime testimonianza di tali la cui autorità non ammette
    dubbio. Pepys, l'uomo più esperto dell'Ammiragliato inglese, compose
    nel 1684 una memoria intorno alle condizioni del suo dipartimento,
    per informarne Carlo. Pochi mesi appresso, Bonrepaux, l'uomo più
    esperto dell'Ammiragliato francese, avendo visitata l'Inghilterra
    con lo scopo speciale di chiarirsi della forza marittima di quella,
    presentò a Luigi il frutto delle sue indagini. Le due relazioni
    danno un medesimo risultato. Bonrepaux dichiarò d'avere trovata ogni
    cosa in disordine ed in misere condizioni; disse che la superiorità
    della marina francese era riconosciuta con vergogna ed invidia in
    Whitehall, e che lo stato delle navi e degli arsenali nostri era per
    sè una bastevole guarentigia della nostra impossibilità ad
    immischiarci nelle contese europee(81). Pepys esponeva al proprio
    signore, come l'amministrazione navale fosse un prodigio di
    prodigalità, di corruzione, d'ignoranza e di vigliaccheria; come non
    fosse da fidarsi a nessuno estimo, non potesse farsi nessun
    contratto, non vi fosse freno nessuno. I vascelli che il Governo,
    grazie alla liberalità del Parlamento, aveva potuto costruire, e che
    non erano mai usciti fuori del porto, erano stati costruiti di legno
    così cattivo, che erano meno adatti a viaggiare, che non fossero le
    vecchie carcasse le quali trent'anni innanzi avevano sostenuto le
    mitraglie degli Olandesi e degli Spagnuoli. Alcuni de' nuovi legni
    da guerra, certamente, erano così marci, che se non venivano
    riattati, sarebbero calati a fondo nelle darsene. I marinai erano
    pagati con sì poca precisione, che chiamavansi avventurati di poter
    trovare qualche usuraio che comperasse i loro biglietti col quaranta
    per cento di sconto. I comandanti che non avessero amici potenti in
    Corte, erano anche peggio trattati. Taluni ufficiali, creditori di
    grosse somme arretrate, dopo di avere indarno importunato per molti
    anni il Governo, erano morti per mancanza d'un tozzo di pane.
    
    La maggior parte delle navi che stavano in mare, erano comandate da
    uomini non educati a quell'ufficio. Vero è che questo non era abuso
    introdotto dal Governo di Carlo. Nessuno Stato antico o moderno
    aveva, innanzi a quel tempo, separato affatto il servizio navale dal
    militare. Nelle grandi nazioni incivilite del mondo antico, Cimone e
    Lisandro, Pompeo ed Agrippa, avevano combattuto battaglie di terra e
    di mare. Nè lo impulso che la nautica ricevette sul finire del
    secolo decimoquinto, aveva prodotto nessun miglioramento nella
    divisione delle fatiche. A Flodden, l'ala diritta dell'armata
    vittoriosa era diretta dall'Ammiraglio d'Inghilterra. A Jarnac e
    Moncontour, le coorti(82) degli Ugonotti erano capitanate dallo
    Ammiraglio di Francia. Né Don Giovanni d'Austria, vincitore di
    Lepanto, né Lord Howard di Effingham, al quale era affidata la
    marina inglese allorquando gl'invasori spagnuoli appressaronsi ai
    nostri lidi, erano stati educati al mare. Raleigh, altamente
    celebrato come comandante navale, aveva per molti anni servito come
    soldato in Francia, nelle Fiandre e in Irlanda. Blake erasi reso
    cospicuo per la sua esperta e valorosa difesa di una città interna,
    innanzi che umiliasse l'orgoglio olandese e castigliano nell'Oceano.
    Dopo la Restaurazione, era stato seguito il medesimo sistema. Grosse
    flotte erano state affidate a Rupert ed a Monk: a Rupert, che aveva
    rinomanza di fervido e ardimentoso ufficiale di cavalleria; e a
    Monk, il quale semprechè voleva che il vascello mutasse cammino,
    faceva ridere la ciurma gridando: "Girate a sinistra!"
    
    Ma verso questo tempo, gli uomini saggi cominciarono ad accorgersi,
    che il rapido perfezionamento dell'arte della guerra e dell'arte
    nautica rendeva necessario partire l'una dall'altra le due
    professioni, che fino allora erano state confuse insieme. O il
    comando d'un reggimento o quello d'una nave, adesso erano
    sufficienti ad occupare la mente d'un solo uomo. Nel 1672, il
    Governo Francese deliberò d'educare parecchi giovani, fino dalla
    loro tenera età unicamente al servizio della marina. Ma il Governo
    Inglese, invece di seguire cotesto laudevole esempio, non solo
    continuò ad affidare il comando navale ad uomini non esperti del
    mare, ma li sceglieva tali, che anche in imprese di terra erano
    inetti a commissioni di qualche importanza. Ogni giovinetto di
    nobile lignaggio, ogni dissoluto cortigiano, a pro' del quale una
    delle amanti del Re avesse voluto dire una parola, poteva sperare il
    comando di un vascello di linea; e con esso, l'onore della patria e
    la vita di centinaia d'uomini valorosi rimanevano affidati alla sua
    cura. Nulla importava che ei non avesse mai in vita sua navigato
    fuorchè nelle acque del Tamigi, che non potesse star fermo al soffio
    del vento, che non conoscesse la differenza tra la latitudine e la
    longitudine. L'educazione speciale all'arte non era creduta
    necessaria; o, al più, egli era mandato a fare una breve gita sopra
    una nave da guerra, dove non era sottoposto a veruna disciplina,
    veniva trattato rispettosamente, e consumava il tempo in trastulli e
    follie. Se nel tempo che gli avanzava dal festeggiare, dal bere e
    dal giocare, riuscivagli d'imparare il significato di poche frasi
    tecniche, e i nomi de' punti del compasso, acquistava i requisiti
    necessari a comandare un vascello a tre ponti. Questa non è
    descrizione di fantasia. Nel 1666, Giovanni Scheffleld, Conte di
    Mulgrave, giovinetto di diciassette anni, entrò come volontario nel
    servizio di mare contro gli Olandesi. Passò sei settimane sur una
    nave, trastullandosi, quanto più poteva, in compagnia di alcuni
    giovani libertini di razza nobile, e poscia fece ritorno in
    Inghilterra per assumere il comando di un corpo di cavalleria. Dopo
    ciò, non andò mai al mare fino all'anno 1672; in cui di nuovo si
    aggiunse alla flotta, e quasi subito fu fatto capitano d'un vascello
    di ottantaquattro cannoni, estimato il più bello di tutta la nostra
    marina. Allora egli aveva ventitrè anni, e in tutto il corso della
    vita sua non era stato nè anche tre mesi sul mare. Appena ritornato,
    fu fatto colonnello d'un reggimento di fanteria. È questo un saggio
    del modo con cui i comandi navali della maggiore importanza
    concedevansi; ed è saggio non tanto riprovevole, imperocchè
    Mulgrave, benchè difettasse d'esperienza, non difettava punto
    d'animo e di doti. Nel medesimo modo venivano promossi altri, i
    quali, non che non essere buoni ufficiali, erano intellettualmente e
    moralmente incapaci di mai divenir tali, e la cui sola
    raccomandazione stava in ciò, che erano stati rovinati dalle follie
    e dai vizi. La cosa precipua che attraeva cotesti uomini al
    servigio, era il profitto di trasportare di porto in porto verghe
    d'argento, o altre preziose mercanzie; perciocchè sì l'Atlantico e
    sì il Mediterraneo a quel tempo infestavano i pirati di Barberia,
    talmente che i mercanti non volevano i loro preziosi carichi alla
    custodia d'altri affidare, che a quella di una nave da guerra. Un
    capitano, in simile guisa, talvolta guadagnava in un breve viaggio
    parecchie migliaia di lire sterline; e per condurre cotesto lucroso
    traffico, troppo spesso trascurava gl'interessi della propria patria
    e l'onore del proprio vessillo, vilmente sottomettevasi alle Potenze
    straniere, disobbediva agli ordini più diretti de' superiori suoi,
    rimaneva in porto quando gli comandavano di correre dietro ad un
    corsaro di Salè, o andava a portare argento in Livorno, quando le
    istruzioni ricevute richiedevano che si riducesse in Lisbona. E
    tutto ciò egli faceva impunemente. Lo interesse medesimo che lo
    aveva locato in un posto al quale era disadatto, ve lo manteneva.
    Non v'era ammiraglio, che, sfidato da codesti corrotti e sfrenati
    prediletti di palazzo, osasse appena bisbigliare di corte marziale.
    Se qualche ufficiale mostrava maggior sentimento del proprio dovere
    che non facessero i suoi colleghi, accorgevasi tosto d'avere perduti
    i guadagni, senza essersi acquistato onore. Un capitano che, per
    avere rigorosamente obbedito agli ordini dello Ammiragliato, perdè
    un trasporto di mercanzie dal quale avrebbe ricavato quattromila
    sterline, si sentì dalle stesse labbra di Carlo chiamare, con
    ignobile leggerezza, grandissimo stolto per le cure che si prendeva.
    
    La disciplina della marineria procedeva tutta ad un modo. Come il
    capitano cortigiano spregiava lo ammiragliato, così egli era
    spregiato dalla sua ciurma. Non poteva nascondere d'essere nell'arte
    sua inferiore a ciascuno de' marinai sul bordo. Ed era vano lo
    sperare che i vecchi marinai, avvezzi agli uragani de' tropici e ai
    ghiacci del cerchio artico, rendessero pronta e riverente obbedienza
    a un capo, il quale de' venti e delle onde non conosceva più di
    quello che avrebbe potuto imparare sopra un dorato navicello tra
    Whitehall Stairs e Hampton Court. Affidare a cosiffatto novizio la
    direzione di un vascello, era cosa evidentemente impossibile.
    L'ufficio di dirigere la navigazione fu, quindi, tolto al capitano e
    dato al primo piloto; ma questa partizione d'autorità produceva
    innumerevoli inconvenienti. La linea di demarcazione non era, e
    forse non poteva essere descritta con precisione. Ne seguiva quindi
    un perenne litigare. Il capitano, tanto più fiducioso di sè quanto
    maggiore era la ignoranza sua, trattava il piloto con dispregio. Il
    primo piloto, ben consapevole del pericolo di spiacere al più
    potente, spessissimo dopo una lotta cedeva; ed era fortuna se da ciò
    non ne conseguitasse la perdita del legno e della ciurma.
    Generalmente, i meno perversi dei capitani aristocratici erano
    quelli che abbandonavano affatto ad altri la direzione dei vascelli,
    e badavano solo a far danari e profonderli. Il modo con cui costoro
    vivevano, era cotanto ostentato e voluttuoso, che, per quanto
    fossero cupidi di guadagni, rade volte arricchivansi. Vestivansi
    come in un giorno di gala in Versailles, mangiavano su piatti d'oro
    e d'argento, bevevano i vini più squisiti, e mantenevano serragli
    sul bordo; mentre la fame e lo scorbuto infuriavano fra la ciurma, e
    mentre ogni giorno cadaveri erano gettati giù dalle cannoniere.
    
    Era tale il carattere ordinario di coloro che allora chiamavansi
    capitani gentiluomini. Mescolati con essi trovavansi,
    avventuratamente per la patria nostra, comandanti navali di diversa
    specie; uomini che avevano passata la vita sulle acque, e che
    avevano lavorato, e dagli infimi uffici del cassero erano pervenuti
    ai gradi ed alle onorificenze. Uno de' più eminenti fra questi
    ufficiali, fu Sir Cristoforo Mings, il quale cominciò a servire come
    ragazzo da camerino, cadde valorosamente combattendo contra gli
    Olandesi, e fu dalla sua ciurma, che lo piangeva e giurava di
    vendicarlo, trasportato alla sepoltura. Da lui discese, per via
    singolarissima, una linea di strenui ed esperti uomini di mare. Il
    ragazzo del suo camerino fu Sir Giovanni Narborough, e il ragazzo
    del camerino di Sir Giovanni Narborough fu Sir Cloudesley Shovel. Al
    vigoroso buon senso naturale, e all'indomito coraggio di questa
    classe d'uomini, l'Inghilterra serba un debito che non dimenticherà
    mai. Cotesti animi fermi, malgrado la mala amministrazione e i falli
    degli ammiragli cortigiani, furono quelli che protessero le nostre
    coste, e mantennero rispettata la nostra bandiera per molti anni di
    turbolenze e di pericoli. Ma a un cittadino cotesti veri marinai
    parevano una razza d'uomini mezzo selvaggi. Tutto il loro sapere
    limitavasi alle cose della professione loro, ed era più pratico che
    scientifico. Fuori del loro elemento, erano semplici a guisa di
    fanciulli. Ruvido era il loro portamento; nella loro stessa buona
    indole era rozzezza; e la loro favella, qualvolta usciva dal
    frasario nautico, comunemente abbondava di giuramenti e di
    maledizioni. Tali erano i capi, nella cui rozza scuola formaronsi
    quei robusti guerrieri i quali a Smollet, nella età susseguente,
    servirono da modelli per ritrarre il Luogotenente Bowling e il
    Comodoro Trunnion. Ma non sembra che al servizio degli Stuardi vi
    fosse nè anche un ufficiale di marina quale, secondo le idee de'
    nostri tempi, dovrebbe essere: vale a dire, un uomo versato nella
    teorica e nella pratica della propria arte, indurito ai pericoli
    della pugna e della tempesta, e, nondimeno, adorno di cultura
    intellettuale e di modi gentili. V'erano gentiluomini, ed eranvi
    marinai nella flotta di Carlo II; ma questi non erano gentiluomini,
    e quelli non erano marinai.
    
    La marina inglese di quel tempo, secondo i più esatti computi che
    sono fino a noi pervenuti, si sarebbe potuta mantenere in attività
    con trecento ottanta mila lire sterline annue. Quattrocento mila
    sterline l'anno era la somma che spendevasi: ma, come abbiamo
    veduto, si spendeva male. Il costo della marina francese era
    pressochè lo stesso, e considerevolmente maggiore quello della
    olandese(83).
    
    VII. La spesa dell'artiglieria in Inghilterra nel secolo
    decimosettimo, paragonata agli altri carichi militari e marittimi,
    era molto minore di quello che sia nell'età nostra. Nella maggior
    parte dei presidii v'erano parecchi cannonieri, e qua e là, in
    qualche posto d'importanza, un ingegnere. Ma non eravi reggimento
    d'artiglieria; non brigate di zappatori o di minatori; non collegio,
    in cui i giovani soldati potessero imparare la parte scientifica
    dell'arte della guerra. La difficoltà di muovere i pezzi da campagna
    era estrema. Allorquando, pochi anni dopo, Guglielmo marciò da
    Devonshire a Londra, l'apparecchio che trasportava seco, quantunque
    fosse simile a quello che da lungo tempo si era sempre usato nel
    continente, e tale che oggi verrebbe considerato in Woolwich rozzo e
    impaccioso, svegliò nei nostri antenati una maraviglia somigliante a
    quella che negli Indiani dell'America produssero gli archibugi dei
    Castigliani. La provvista di polvere che tenevasi nei forti e negli
    arsenali inglesi, veniva con orgoglio rammentata dagli scrittori
    patriottici come cosa da incutere spavento alle nazioni vicine.
    Ascendeva a mille e quattrocento o cinquecento barili; quasi un
    dodicesimo della quantità che oggimai si reputa necessario di tenere
    sempre accumulata. La spesa, sotto titolo di artiglieria, era a un
    di presso poco più di sessanta mila lire sterline annue(84).
    
    Tutta la spesa effettiva dell'armata, della marina, e
    dell'artiglieria, ascendeva a circa settecento cinquanta mila lire
    sterline. La spesa non effettiva, che adesso è parte gravosa de'
    pubblici carichi, mal si direbbe che esistesse. Un piccolissimo
    numero d'ufficiali marittimi, che non erano impiegati nel pubblico
    servizio, avevano mezza paga. Nessun luogotenente era nella lista, e
    nessun capitano che non avesse comandato un vascello di prima o di
    seconda classe. E siccome lo Stato allora possedeva soli diciassette
    vascelli di prima e di seconda classe che fossero stati in attività,
    e siccome gran numero degli individui che avevano comandato quei
    legni, occupavano buoni impieghi sul littorale, la spesa sotto
    cotesto titolo doveva essere veramente lieve(85). In ciascuna
    armata, la mezza paga davasi come una concessione speciale e
    temporanea a un piccolo numero d'ufficiali che appartenevano a due
    reggimenti che avevano peculiare situazione(86). Lo spedale di
    Greenwich non era fondato; quello di Chelsea stavasi edificando: ma
    alla spesa di tale istituzione provvedevasi, in parte, con una
    deduzione dalla paga delle truppe; in parte, per mezzo di
    soscrizioni private. Il re promise di contribuire per venti mila
    sterline alle spese di fabbrica, e per cinquemila l'anno al
    mantenimento degl'invalidi(87). Non era parte del sistema che vi
    fossero esterni. La intera spesa non effettiva, militare e navale,
    appena poteva sorpassare dieci mila sterline annue. Oggi supera
    dieci mila lire il giorno.
    
    IX. Alle spese del governo civile, la Corona contribuiva solo in
    piccola parte. Il maggior numero de' funzionari, l'ufficio de' quali
    era quello d'amministrare la giustizia e serbare l'ordine, o
    prestavano gratuitamente i loro servigi al pubblico, o erano
    rimunerati in modo da non cagionare nessun vuoto nella rendita dello
    Stato. Gli sceriffi, i gonfalonieri, gli aldermanni delle città, i
    gentiluomini di provincia che erano commissarii di pace, i capi de'
    borghi, i ricevitori e i piccoli constabili, al Re non costavano
    nulla. Le corti superiori di giustizia, principalmente, mantenevansi
    con le tasse giudiciali.
    
    Le nostre relazioni con le Corti straniere erano condotte con
    estrema economia. Il solo agente diplomatico che avesse titolo
    d'ambasciatore, era quello di Costantinopoli, e veniva in parte
    mantenuto dalla Compagnia della Turchia. Anche alla Corte di
    Versailles l'Inghilterra teneva soltanto un inviato; e non ne aveva
    di nessuna specie presso le Corti di Spagna, di Svezia e di
    Danimarca. La intiera spesa, sotto questo titolo, nell'ultimo anno
    del regno di Carlo II, non poteva sorpassare di molto le ventimila
    lire sterline(88).
    
    X. Questa frugalità non era punto degna di lode. Carlo, secondo suo
    costume, era avaro e prodigo a sproposito. Gl'impiegati morivano di
    fame, affinchè i cortigiani ingrassassero. Le spese della marina,
    dell'artiglieria, delle pensioni assegnate ai vecchi ufficiali
    bisognosi, delle legazioni alle Corti straniere, debbono sembrare
    lievi agli uomini della presente generazione. Ma i favoriti del
    sovrano, i suoi ministri e le loro creature, satollavansi della
    pubblica pecunia. Le paghe e pensioni loro, agguagliate alle entrate
    dei nobili, dei gentiluomini, degli esercenti professioni o commerci
    in quel tempo, sembreranno enormi. La rendita annua dei più grossi
    possidenti del Regno, in allora di poco eccedeva le ventimila lire
    sterline. Il Duca di Ormond non aveva se non ventiduemila sterline
    l'anno(89). Il Duca di Buckingham, prima che con le sue stravaganze
    rovinasse il proprio patrimonio, aveva diciannovemila sterline
    annue(90). Giorgio Monk, Duca di Albemarle, il quale era stato per i
    suoi insigni servigi rimunerato con immense concessioni di terre
    pertinenti alla Corona, ed era famoso per cupidigia e parsimonia,
    lasciò quindicimila lire sterline l'anno in beni fondi, e
    sessantamila lire in danari, che probabilmente rendevano il sette
    per cento(91). Questi tre duchi erano reputati i più ricchi sudditi
    inglesi. Lo arcivescovo di Canterbury appena poteva avere cinquemila
    sterline annue(92). La rendita media di un Pari secolare estimavasi,
    da uomini i meglio informati, a circa tremila sterline; quella d'un
    baronetto, a novecento; quella di un membro della Camera de' Comuni,
    a meno di ottocento l'anno(93). Mille lire sterline annue
    reputavansi una grossa rendita per un avvocato. Duemila l'anno
    appena potevano guadagnarsi nella Corte del Banco del Re, tranne dai
    legali della Corona(94). È quindi manifesto che un ufficiale era ben
    pagato, quando riceveva un quarto o un quinto di ciò che oggi
    sarebbe un giusto stipendio. Di fatto, nondimeno, gli stipendi degli
    alti impiegati erano grossi come sono oggi, e non di rado maggiori.
    Il Lord Tesoriere, a modo d'esempio, aveva ottomila sterline l'anno;
    e qualvolta il Tesoro era in commissione, ciascuno dei Lordi più
    giovani aveva mille e seicento sterline annue. Il pagatore delle
    milizie aveva un tanto per lira sterlina - il che ascendeva ad una
    somma di cinquemila sterline(95) l'anno - di tutto il danaro che
    passava per le sue mani. L'ufficiale, detto Groom of the Stole,
    aveva cinquemila sterline annue; ciascuno dei Commissari delle
    Dogane mille e duecento; i regi ciamberlani mille(96). Nonostante,
    la paga ordinaria era la parte minore dei guadagni di un impiegato
    di quel tempo. Cominciando dai nobili che tenevano il bastone bianco
    e il gran sigillo, fino al più basso doganiere o stazzatore, ciò che
    oggi si chiamerebbe enorme corruzione praticavasi senza maschera e
    senza rimprovero. Di titoli, uffici, commissioni, grazie, facevano
    apertamente mercato i grandi dignitarii del reame; ed ogni scrivano,
    in ogni dipartimento, imitava, come meglio potesse, quel pessimo
    esempio.
    
    Nel secolo decorso, nessun primo ministro, comunque potente, era
    divenuto ricco per ragione d'ufficio; e parecchi ministri
    distrussero il proprio patrimonio per sostenere il loro alto grado.
    Nel secolo decimosettimo, un uomo di Stato, quando era a capo degli
    affari, poteva agevolmente e senza scandalo accumulare in tempo non
    lungo una ricchezza ampiamente bastevole al mantenimento di un duca.
    Egli è probabile che la rendita del primo ministro, finchè teneva in
    mano il potere, eccedesse quella di qualsivoglia altro suddito. Il
    posto di Lord Luogotenente d'Irlanda, supponevasi fruttasse quaranta
    mila sterline l'anno(97). I guadagni del Cancelliere Clarendon, di
    Arlington, di Lauderdale e di Danby, furono enormi. Il palazzo
    sontuoso al quale la plebe di Londra appiccò il soprannome di Casa
    di Dunkerque, i magnifici padiglioni, le pescaie, le foreste
    popolate di cervi, i giardini d'aranci di Euston, il lusso più che
    italiano di Ham, con le sue statue, fontane, uccelliere, erano
    argomenti che additavano quale fosse la via più breve per arrivare
    ad una sterminata opulenza. Ciò spiega la violenza senza scrupoli,
    con che gli uomini di Stato di que' giorni lottavano per conseguire
    gli uffici; la tenacità con cui, malgrado le molestie, le
    umiliazioni e i pericoli, vi si appigliavano; e le compiacenze
    scandalose alle quali abbassavansi per conservarli. Perfino nell'età
    nostra, comunque formidabile sia la potenza della pubblica opinione,
    e in alto posta la laude d'integrità, vi sarebbe risico grande di un
    infausto cangiamento nel carattere dei nostri uomini pubblici, se
    l'ufficio di Primo Lord del Tesoro o di Segretario di Stato
    fruttasse cento mila lire sterline l'anno. È insigne ventura per la
    patria nostra, che gli emolumenti de' più alti funzionarii non solo
    non siano cresciuti in paragone del generale accrescimento della
    nostra opulenza, ma siano positivamente scemati.
    
    XI. È cosa strana, e a prima vista parrebbe spaventevole, che la
    somma levata in Inghilterra per mezzo delle tasse, siasi, in un
    periodo di tempo che non eccede il corso di due lunghe vite,
    aumentata di trenta volte. Ma coloro che si sgomentano dello
    accrescimento delle pubbliche gravezze, potrebbero forse
    rassicurarsi ove considerassero quello de' mezzi pubblici. Nel 1685,
    il valore de' prodotti del suolo eccedeva il valore di tutti gli
    altri prodotti della industria umana: nonostante, l'agricoltura era
    in quelle condizioni che ai dì nostri la farebbero chiamare rozza ed
    imperfetta. Gli aritmetici politici di quell'età supponevano che la
    terra arabile, e quella adatta al pascolo, occupassero poco più
    della metà di tutta la estensione del paese(98). Credevano che il
    rimanente fosse tutto paludi, foreste e rocce. Cotesti computi
    vengono fortemente confermati dagli Itinerarii e dalle Carte
    geografiche del secolo diciassettesimo. Da tali libri e Carte
    raccogliesi, senza alcun dubbio, che molte strade, le quali adesso
    traversano un numero infinito di pometi, di campi da fieno e da
    fave, allora passavano traverso a scopeti, macchie e pantani(99).
    Nei paesaggi inglesi disegnati in que' tempi per il Granduca Cosimo,
    appena si vede una siepe d'alberi; e numerosi tratti di terra, ora
    rigogliosi per coltivazione, appariscono ignudi come il Piano di
    Salisbury(100). In Enfield, donde è quasi visibile il fumo della
    capitale, eravi una regione di venticinque miglia di circuito, che
    conteneva solo tre case, e quasi nessun campo chiuso. Ivi i cervi,
    liberi come in una foresta d'America, erravano a migliaia(101). È da
    notarsi che i grossi animali selvaggi erano allora molto più
    numerosi che adesso. Gli ultimi cignali che mantenevansi per le
    cacce del Re, e lasciavansi devastare la terra coltivata, erano
    stati uccisi dagli esasperati villani, mentre infuriava la licenza
    della guerra civile. L'ultimo lupo che vagasse per la nostra isola,
    era stato ammazzato in Iscozia, poco tempo innanzi la fine del regno
    di Carlo II. Ma molte specie, adesso estinte o rare, di quadrupedi e
    di volatili, erano allora comuni. La volpe, la cui vita in molte
    Contee è tenuta sacra quasi quanto quella d'una creatura umana, era
    considerata come bestia nociva. Oliviero Saint John disse al Lungo
    Parlamento, che Strafford dovevasi considerare non come un cervo o
    una lepre, da trattarsi con un certo riguardo, ma come una volpe,
    che doveva afferrarsi con ogni mezzo, e schiacciarlesi la testa
    senza pietà. Questo esempio non sarebbe piacevole, ove fosse
    applicato ai gentiluomini di provincia de' nostri tempi: ma in quei
    di Saint John vi erano non rade volte grandi stragi di volpi, alle
    quali i contadini correvano in folla con tutti i cani che potessero
    raccogliere, usavano trappole e reti, non davano quartiere; e
    l'uccidere una volpe gravida consideravasi come azione meritevole
    della gratitudine del vicinato. I daini rossi erano allora tanto
    comuni nelle Contee di Gloucester e di Hamp, come oggi lo sono in
    Grampian Hills. La Regina Anna, viaggiando a Portsmouth, ne vide un
    branco non minore di cinquecento. Il toro selvatico con la sua
    bianca criniera, errava tuttavia in poche foreste delle contrade
    meridionali. Il tasso faceva il suo buio e tortuoso foro in ogni
    collina folta di fratte e d'arbusti. I gatti selvaggi udivansi di
    notte mugolare presso le case de' guardacaccia di Wittlebury e di
    Needwood. La martora dal fulvo petto, era ancora inseguita in
    Cranbourne Chase per la sua pelle, estimata inferiore soltanto a
    quella del zibellino. Le aquile di padule, che dalla punta d'un'ala
    a quella dell'altra avevano una lunghezza di nove e più piedi,
    davano la caccia ai pesci lungo la costa di Norfolk. Per tutti i
    piani, dal Canale Britannico fino alla Contea di York, grosse
    ottarde erravano a branchi di cinquanta o sessanta, e spesso i
    cacciatori lanciavano dietro essi i cani levrieri. Le maremme delle
    Contee di Cambridge e di Lincoln rimanevano per alcuni mesi
    dell'anno coperte da immense torme di gru. Il progresso
    dell'agricoltura ha estirpate parecchie di queste razze d'animali.
    Di altre, gl'individui sono talmente divenuti rari, che gli uomini
    si affollano a mirarne qualcuno, come farebbero d'una tigre del
    Bengal o d'un orso delle contrade polari(102).
    
    Il progresso di questo grande mutamento non può altrove meglio
    rintracciarsi, che nel Libro degli Statuti. Il numero degli atti di
    chiusure, o partizioni di terre non coltivate, fatti dopo lo
    avvenimento di Giorgio II al trono, sorpassa quattro mila. Lo spazio
    ripartito per virtù di questi atti, eccede, calcolando
    moderatamente, dieci mila miglia quadrate. Quante miglia quadrate di
    terra che per innanzi non era coltivata, sono state, nel medesimo
    periodo, cinte di siepi e lavorate dai proprietari, senza ricorrere
    agli atti della legislatura, può solamente conghietturarsi. Ma pare
    molto probabile che una quarta parte dell'Inghilterra, in poco più
    di cento anni, di deserto, quale era, sia stata trasformata in
    giardino.
    
    Anche in que' luoghi dell'isola che alla fine del regno di Carlo II
    erano i meglio coltivati, il modo di lavorare la terra, quantunque
    si perfezionasse molto dopo la guerra civile, non era, quale oggidì
    si chiamerebbe giudizioso. Finora l'autorità pubblica non ha fatto
    nessun passo efficace per indagare qual sia veramente il prodotto
    del suolo inglese. È quindi mestieri che lo storico segua, non senza
    sospetto, quegli scrittori di statistica che godono sopra gli altri
    fama di fedeli e diligenti. Oggimai si crede che un ricolto medio di
    grano, segala, orzo, avena e fave, ecceda di molto trenta milioni di
    sacca(103). Il ricolto del grano verrebbe reputato cattivo, se non
    fosse maggiore di dodici milioni di sacca. Secondo i calcoli fatti
    nel 1696 da Gregorio King, l'intera quantità di grano, segala, orzo,
    avena e fave, che allora produceva annualmente il Regno, era qualche
    cosa meno di dieci milioni di sacca. Egli stimava il grano, che
    allora coltivavasi nei terreni più forti, e consumavasi soltanto
    dagli uomini agiati, non fosse meno di due milioni di sacca. Carlo
    Davenant, politico sottile e bene informato, quantunque affatto
    privo di principii morali ed astioso, differiva da King rispetto ad
    alcuni punti del calcolo, ma riusciva alle stesse conclusioni
    generali(104).
    
    Lo avvicendare delle seminagioni, era imperfettamente conosciuto.
    Sapevasi, a dir vero, che alcuni vegetabili, di recente introdotti
    nella nostra isola, in ispecie la rapa, apprestavano buon nutrimento
    in tempo di verno alle pecore e ai buoi; ma non era anche uso di
    nutrire in quel modo gli animali. Non era, dunque, facile serbarli
    vivi nella stagione in cui l'erba scarseggia. Uccidevansi e
    salavansi in gran numero appena incominciato il freddo; e per
    parecchi mesi, nè anche i gentiluomini gustavano quasi mai cibo
    animale fresco, tranne caccia e pesci di fiume, che, per
    conseguenza, nelle provvisioni domestiche erano cose più importanti
    che non sono ne' tempi presenti. Raccogliesi dal Libro di Famiglia
    di Northumberland, come nel regno di Enrico VII, anche i
    gentiluomini addetti ai servigi di un gran conte, non mangiassero
    mai carne fresca, tranne per breve intervallo di tempo, da mezza
    state al dì di San Michele. Ma nel corso di due secoli era seguito
    un miglioramento; e, regnante Carlo II, non prima della fine di
    novembre le famiglie facevano le loro provvisioni di carne salata,
    che allora chiamavasi bove di San Martino(105).
    
    Le pecore e i buoi di quel tempo erano piccoli in paragone di quelli
    che adesso si vedono ne' nostri mercati(106). I nostri cavalli
    indigeni, quantunque adatti ai servigi, erano tenuti in poca stima e
    vendevansi a basso prezzo. Coloro che hanno meglio estimata la
    ricchezza nazionale, credono che, su per giù, non valessero più di
    cinquanta scellini ciascuno. Le razze forestiere venivano
    grandemente preferite. I giannetti spagnuoli erano considerati come
    i migliori cavalli di battaglia, ed importati fra noi per usi di
    lusso e di guerra. I cocchi dell'aristocrazia venivano tirati da
    cavalle fiamminghe, le quali, conforme credevasi, trattavano con
    grazia particolare, e reggevano, meglio che le altre bestie
    cresciute nell'isola nostra, alla fatica di trascinare un pesante
    equipaggio sopra i ruvidi selciati di Londra. Nè i moderni cavalli
    da carrozza, nè quelli da corsa conoscevansi a que' tempi. Assai
    dopo, i progenitori de' giganteschi quadrupedi che tutti gli
    stranieri annoverano fra le principali maraviglie di Londra, furono
    importati dalle maremme di Walcheren, e i progenitori di Childers e
    di Eclipse dalle sabbie dell'Arabia. Ciò non ostante, già esisteva
    fra i nostri nobili e gentiluomini la passione delle corse. La
    importanza di migliorare le nostre razze col mescolamento di nuovo
    sangue, era fortemente sentita; ed a tale scopo, si fece venire nel
    nostro paese un numero considerevole di barberi. Due uomini
    altamente reputati in siffatte materie, voglio dire il Duca di
    Newcastle e Sir Giovanni Fenwick, affermarono che il più spregevole
    cavallo di Tangeri avrebbe prodotta una razza assai più bella, di
    quel che si fosse potuto sperare dal migliore stallone delle nostre
    razze natie. Non avrebbero agevolmente creduto che giungerebbe un
    tempo in cui i principi e i nobili degli Stati vicini dovessero
    ricercare i cavalli d'Inghilterra, come gl'Inglesi avevano ricercati
    quelli di Barberia(107).
    
    XII. Lo accrescimento de' prodotti vegetabili ed animali, benchè
    fosse grande, sembra piccolo in paragone di quello della nostra
    ricchezza minerale. Nel 1685, lo stagno di Cornwall, che due mila e
    più anni innanzi aveva attirate le navi di Tiro oltre le Colonne di
    Ercole, era tuttavia uno de' più valevoli prodotti sotterranei
    dell'isola. La quantità che annualmente se ne estraeva dalla terra,
    ascendeva, alcuni anni dopo, a mille e seicento tonnellate;
    probabilmente circa il terzo di quanto oggidì se n'estrae(108). Ma
    le vene di rame, che trovansi nella medesima regione, erano, a tempo
    di Carlo II, onninamente neglette, nè alcun possidente di terra ne
    teneva conto nell'estimo de' suoi poderi. Cornwall e Galles ora
    rendono circa quindicimila tonnellate di rame l'anno, che valgono
    pressochè un milione e mezzo di lire sterline; cioè quanto dire
    circa il doppio del prodotto annuo di tutte le miniere inglesi, di
    qualunque specie si fossero, nel secolo diciassettesimo(109). Il
    primo strato di sale minerale era stato scoperto, non molto tempo
    dopo la Restaurazione, in Cheshire; ma non pare che in quell'età vi
    si lavorasse. Il sale che estraevasi dalle fosse marine, non era
    molto stimato. Le caldaie in cui manifatturavasi, esalavano un puzzo
    sulfureo; e lasciatosi affatto svaporare, la sostanza che ne
    rimaneva, era appena adatta ad usarsi nei cibi. I medici ascrivevano
    a cotesto malsano condimento le infermità scorbutiche e polmonari,
    allora comuni fra gl'Inglesi. Di rado, quindi, ne facevano uso le
    classi alte e le medie; ed il buon sale veniva trasportato
    regolarmente, e in quantità considerevole, dalla Francia in
    Inghilterra. Oggimai, le nostre sorgenti e miniere non solo bastano
    ai nostri immensi bisogni, ma mandano annualmente ai paesi stranieri
    più di settecento milioni di libbre di eccellente sale(110).
    
    D'assai maggiore importanza è stato il miglioramento de' nostri
    lavori di ferro. Tali lavori esistevano da lungo tempo nell'isola
    nostra, ma non avevano prosperato, e non erano guardati di buon
    occhio dal Governo e dal pubblico.
    
    Non costumavasi allora di adoperare il carbone fossile per fondere i
    minerali; e la rapida consumazione delle legna recava timore agli
    uomini politici. Regnante Elisabetta, vi erano stati lamenti,
    vedendosi intere foreste cadere sotto la scure per nutrimento delle
    fornaci; ed il Parlamento aveva inibito ai manifattori di bruciare
    legna. Le manifatture quindi languirono. Verso la fine del regno di
    Carlo II, gran parte del ferro che adoperavasi nel paese, vi era
    importato di fuori, e tutta la quantità che se ne faceva tra noi,
    sembra che non eccedesse dieci mila tonnellate. Ai dì nostri il
    traffico si reputa in pessima condizione se il prodotto annuo è
    minore di un milione di tonnellate(111).
    
    Rimane a ricordare un minerale forse più importante del ferro
    stesso. Il carbon fossile, comecchè pochissimo usato in ogni specie
    di manifattura, era già il combustibile ordinario in alcuni
    distretti che avevano la ventura di possederne grandi strati, e
    nella metropoli, alla quale poteva essere agevolmente trasportato
    per mare. E' sembra ragionevole il credere, che almeno mezza la
    quantità che allora se n'estraeva, consumavasi in Londra. Il consumo
    di Londra agli scrittori di quell'età sembrava enorme, e spesso ne
    facevano ricordo come prova della grandezza della città capitale.
    Non isperavano quasi d'essere creduti, quando affermavano che
    duecento ottanta mila caldroni(112), ovvero circa trecento cinquanta
    mila tonnellate, nell'ultimo anno del regno di Carlo II, furono
    trasportati al Tamigi. Adesso, la metropoli ne consuma a un di
    presso tre milioni e mezzo l'anno; e l'intero prodotto annuo, non
    può, computando moderatamente, estimarsi a meno di trenta milioni di
    tonnellate(113).
    
    XIII. Mentre cosiffatti grandi mutamenti progredivano, la rendita
    della terra, come era da aspettarsi, veniva sempre crescendo. In
    alcuni distretti si è moltiplicata fino al decuplo: in altri si è
    solo raddoppiata: facendo un computo generale, potrebbe affermarsi
    che si è quadruplicata.
    
    Gran parte della rendita era divisa fra i gentiluomini di provincia,
    che formavano una classe di persone, delle quali la posizione e il
    carattere giova moltissimo chiaramente intendere; poichè la
    influenza e le passioni loro, in diverse occasioni di grave momento,
    decisero delle sorti della nazione.
    
    Andremmo errati se c'immaginassimo gli scudieri del secolo
    decimosettimo come uomini esattamente somiglievoli ai loro
    discendenti; cioè i membri della Contea, e i presidenti delle
    sessioni di quartiere, che ben conosciamo. Il moderno gentiluomo di
    provincia, generalmente, viene educato alle liberali discipline; da
    una scuola cospicua passa ad un cospicuo collegio, ed ha tutti i
    mezzi di diventare un uomo dotto. Per lo più, ha fatto qualche
    viaggio in paesi stranieri; ha passato una parte considerevole della
    sua vita nella metropoli; e reca con sè in provincia i delicati
    costumi di quella. Forse non è specie d'abitazione piacevole quanto
    la casa rurale del gentiluomo inglese. Nei parchi e nei giardini, la
    natura, abbellita e non deturpata dall'arte, si mostra nella sua
    forma più seducente. Negli edifizi, il buon senso e l'ottimo gusto
    si dànno la mano a produrre una felice armonia di comodi e di
    grazia. Le pitture, i musicali strumenti, la biblioteca, verrebbero
    in ogni altro paese considerati come prova che testifichi, il
    padrone essere uomo eminentemente culto e compíto. Un gentiluomo di
    provincia, all'epoca della Rivoluzione, aveva di entrata circa la
    quarta parte di quella che le sue terre rendono adesso ai suoi
    posteri. Paragonato ai quali, egli era dunque un uomo povero,
    generalmente costretto a risiedere, salvo qualche interruzione di
    tempo, nelle sue terre. Viaggiare sul continente, tener casa in
    Londra, o anche visitarla spesso, erano piaceri che soli potevano
    gustare i grandi proprietari. Potrebbe sicuramente affermarsi, che
    degli scudieri, i cui nomi erano allora nelle Commissioni di Pace e
    Luogotenenza, nè anche uno fra venti andava alla città una volta in
    cinque anni, o aveva mai in vita sua viaggiato fino a Parigi. Molti
    proprietari di signorie erano stati educati in modo poco diverso da
    quello de' loro servitori. Lo erede di una terra, spesso passava la
    fanciullezza e gioventù sua nella residenza della famiglia sotto
    maestri non migliori de' mozzi di stalla e dei guarda-caccia, ed
    appena imparava tanto da apporre la propria firma ad un mandato di
    deposito. Se andava a scuola o in collegio, generalmente tornava,
    prima di compiere il suo ventesimo anno, alla vecchia sala di
    famiglia; dove, qualvolta la natura non gli fosse stata prodiga di
    insigni doti, tosto fra i piaceri e le faccende della campagna,
    dimenticava gli studi accademici. La precipua fra le sue occupazioni
    serie era la cura de' propri beni. Esaminava mostre di grano,
    governava maiali, e ne' dì di mercato patteggiava, col boccale
    dinanzi, con mercanti di bestie e venditori di luppoli. I suoi
    migliori piaceri consistevano comunemente nei diporti campestri, e
    nei non delicati diletti sensuali. Il suo linguaggio e la sua
    pronunzia erano tali, quali oggi troveremmo sulle labbra de' più
    ignoranti contadini. I giuramenti, gli scherzi grossolani, i
    vocaboli scurrili erano da lui profferiti coll'accento specifico del
    dialetto della sua provincia. Era facile distinguere alle prime
    parole, s'egli venisse dalla Contea di Sommerset, o da quella di
    York. Davasi poco pensiero di ornare la propria abitazione; e
    qualvolta tentava farlo, quasi sempre la rendeva più deforme. La
    mondiglia della corte della fattoria giaceva accumulata sotto le
    finestre della sua stanza da letto, e i cavoli e l'uva spina
    crescevano da presso all'uscio della sua sala. Sopra la sua tavola
    vedevasi una rozza abbondanza, e gli ospiti vi erano cordialmente
    trattati. Ma, poichè il costume di bere eccessivamente era comune
    nella classe alla quale egli apparteneva, e poichè i suoi averi non
    gli concedevano d'inebriare ogni dì con vini di Bordeaux o delle
    Canarie le numerose brigate, la bevanda ordinaria era birra
    fortissima. La quantità che se ne consumava in quei giorni era
    veramente enorme. Imperciocchè la birra per le classi medie e le
    basse era in quel tempo non solo ciò che è per noi la birra, ma ciò
    che sono il vino, il thè e i liquori spiritosi. Solo nelle grandi
    case e nelle grandi occasioni i beveraggi stranieri ornavano i
    banchetti. Le donne della famiglia, le quali comunemente badavano a
    cucinare il pranzo, appena divorate le vivande, sparivano, lasciando
    gli uomini al bicchiere ed alla pipa. Questi ruvidi sollazzi del
    dopo desinare, spesso prolungavansi finchè i commensali cadevano
    sonnolenti presso la mensa.
    
    Rade volte avveniva che il gentiluomo di provincia vedesse il gran
    mondo; e ciò che ei ne vedeva, tendeva più presto a confondere, che
    a rischiarargli lo intendimento. Le sue opinioni intorno alla
    religione, al Governo, agli Stati stranieri e ai tempi trapassati,
    derivando non dallo studio, dall'osservare e dal conversare con
    gente illuminata, ma dalle tradizioni correnti nel suo vicinato,
    erano le opinioni d'un fanciullo. Nondimeno, appigliavasi ad esse
    con la ostinazione che generalmente si osserva negli ignoranti
    avvezzi a pascersi d'adulazione. I suoi rancori erano molti ed acri.
    Odiava i Francesi e gl'Italiani, gli Scozzesi e gl'Irlandesi, i
    Papisti e i Presbiteriani, gl'Indipendenti e i Battisti, i Quacqueri
    e gli Ebrei. Per la città e gli abitatori di Londra sentiva
    avversione tale, che più d'una volta produsse gravissime conseguenze
    politiche. La moglie e le figliuole, per gusti e cognizioni, erano
    inferiori ad una cameriera o guardaroba de' giorni nostri. Cucivano
    e filavano, facevano il vino d'uva spina, curavano i fiorranci, e
    facevano la crosta da servire al pasticcio di selvaggina.
    
    Da questa descrizione potrebbe dedursi, che lo scudiero inglese del
    decimosettimo secolo non differisse grandemente da un mugnaio o da
    un birraio del decimonono. Sono, nondimeno, da notarsi alcune parti
    importanti del suo carattere, le quali modificheranno molto cotesta
    opinione. Illetterato come egli era e privo di modi gentili, era
    tuttavia per molti riguardi un gentiluomo. Era parte d'una altera e
    potente aristocrazia, ed aveva molte delle buone e delle pessime
    qualità che appartengono agli aristocratici. Il suo orgoglio di
    famiglia era maggiore di quello d'un Talbot o d'un Howard. Conosceva
    le genealogie e i blasoni di tutti i suoi vicini, e poteva ridire
    quale di loro avesse assunto segni gentilizi senza alcun diritto, e
    quale avesse la sciagura di essere il pronipote di aldermanni. Era
    magistrato, e come tale amministrava gratuitamente ai suoi vicini
    una rozza giustizia patriarcale, che, malgrado gl'innumerevoli
    sbagli e gli atti tirannici che di quando in quando ei commetteva,
    era tuttavia meglio che non esservene affatto. Era ufficiale delle
    milizie civiche; e la sua dignità militare, quantunque potesse
    muovere a riso i valorosi che avevano militato nella guerra delle
    Fiandre, rendeva venerabile il suo carattere agli occhi propri ed a
    quelli del suo vicinato. Nè, certamente, la sua professione di
    soldato poteva essere obietto di giusto scherno. In ogni Contea
    erano gentiluomini d'età matura, che avevano veduta una disciplina
    la quale era tutt'altro che trastullo da ragazzi. Questi era stato
    fatto cavaliere da Carlo I dopo la battaglia di Edgehill.
    Quell'altro portava ancora la cicatrice della ferita che aveva
    ricevuta in Naseby. Un terzo aveva difesa la sua vecchia abitazione,
    finchè Fairfax ne aveva sfondata la porta con una bomba. La presenza
    di questi vecchi Cavalieri, con le loro vecchie spade e casse di
    pistola, e con le loro vecchie novelle di Goring e Lunsford, davano
    alle riviste de' militi un aspetto guerresco, che non avrebbero
    altrimenti avuto. Anche quei gentiluomini di provincia che erano sì
    giovani da non aver potuto pugnare coi corazzieri del Parlamento,
    erano stati, fino dalla infanzia loro, circuiti dei segni di fresca
    guerra, e nutriti di storielle intorno alle gesta militari dei loro
    padri e zii. Così il carattere dello scudiere inglese del secolo
    decimosettimo, era composto di due elementi, che non siamo avvezzi a
    vedere insieme congiunti. La ignoranza e ruvidità sue, i suoi gusti
    bassi, le sue frasi triviali, verrebbero, ai tempi nostri,
    considerati come indizi d'una natura e educazione al tutto plebee.
    Nulladimeno, egli era essenzialmente patrizio, ed aveva, in larga
    misura, le virtù e i vizi propri degli uomini, per diritto di
    nascita, posti in alto, ed avvezzi a comandare, ad essere
    rispettati, e a rispettare sè stessi. Non è agevole per una
    generazione assuefatta a trovare sentimenti cavallereschi solo in
    compagnia degli studi liberali e dei modi gentili, lo immaginare un
    uomo con il contegno, il frasario e lo accento di un vetturino, e
    nondimeno puntiglioso in materia di genealogia e di precedenza, e
    pronto a rischiare la propria vita piuttosto che vedere una macchia
    sopra l'onore della propria casa. Non pertanto, solo col congiungere
    cose che di rado o non mai abbiamo da noi sperimentato, possiamo
    formarci una giusta idea di quella rustica aristocrazia, la quale
    costituiva la forza precipua dello esercito di Carlo I, e lungamente
    sostenne, con istrana fedeltà, gl'interessi dei discendenti di lui.
    
    Il gentiluomo di provincia, rozzo, ineducato, non uscito mai fuori
    della sua patria, era comunemente Tory; ma comecchè devotamente
    aderisse alla Monarchia, non amava i cortigiani e i ministri.
    Pensava, non senza ragione, che Whitehall rigurgitasse dei più
    corrotti uomini del mondo; che le grandi somme di danaro che la
    Camera de' Comuni aveva concesse alla Corona dopo la Restaurazione,
    in parte erano state rubate da astuti politici, in parte profuse in
    buffoni e bagasce forestiere. Il suo robusto cuore d'Inglese fremeva
    di sdegno pensando che il governo della propria patria dovesse
    essere sottoposto alla dittatura della Francia. Essendo egli stesso
    vecchio Cavaliere o figlio di un vecchio Cavaliere, meditava,
    amareggiato nell'animo, sopra la ingratitudine con cui gli Stuardi
    avevano rimeritati i loro migliori amici. Coloro che lo udivano
    mormorare per lo spregio ond'egli era trattato, e per lo scialacquo
    con che le ricchezze profondevansi sopra i bastardi di Norma Gwynn e
    di Madama Carwell, lo avrebbero supposto paratissimo a ribellare. Ma
    tutto cotesto cattivo umore durava solo finchè il trono non
    trovavasi davvero in pericolo. Appunto quando coloro che il sovrano
    aveva colmati di ricchezze e di onori gli si scostavano dal fianco,
    i gentiluomini di provincia, così franchi e tumultuosi in tempi di
    prosperità, gli si affollavano devoti d'intorno. Così, dopo d'avere
    per venti anni brontolato del malgoverno di Carlo II, vedendolo agli
    estremi, corsero a lui per liberarlo, allorquando i suoi stessi
    Segretari di Stato e Lordi del Tesoro lo avevano abbandonato, e
    fecero sì ch'egli potesse trionfare pienamente della opposizione: nè
    è da dubitarsi che avrebbero mostrata ugual fedeltà a Giacomo
    fratello del Re, se Giacomo, anche nell'ultimo istante, si fosse
    astenuto dal calpestare i loro più forti sentimenti. Imperocchè
    eravi una istituzione soltanto ch'essi pregiavano assai più della
    Monarchia ereditaria, cioè la Chiesa d'Inghilterra. Lo amore che le
    portavano, non era veramente effetto di studio o di meditazione.
    Pochi tra loro avrebbero potuto addurre ragioni tratte dalla
    Scrittura o dalla Storia Ecclesiastica, per aderire alle dottrine,
    al rituale, all'ordinamento della loro Chiesa; nè erano, come
    classe, rigorosi osservatori di quel codice di morale, comune a
    tutte le sètte cristiane. Se non che, la esperienza di molti secoli
    insegna, come gli uomini siano pronti a combattere a morte e
    perseguitare senza misericordia i loro fratelli, onde difendere una
    religione della quale non intendono le dottrine, e violano
    costantemente i precetti(114).
    
    XIV. Il clero rurale era anche Tory più virulento de' gentiluomini
    delle campagne, e formava una classe appena meno di quelli
    importante. È nondimeno da notarsi, che il prete, come individuo,
    paragonato al gentiluomo individuo, allora veniva considerato
    inferiore per grado, di quello che sia ai nostri tempi. La Chiesa
    sostenevasi principalmente con le decime; i proventi delle quali
    erano, verso la rendita, in molto minore proporzione che non sono
    oggi. King estimava la intera rendita del clero parrocchiale e
    collegiale soltanto a quattrocento ottanta mila lire sterline
    l'anno; Davenant a cinquecento quarantaquattro mila. Adesso avanza
    di sette volte la maggiore di queste due somme. La rendita media de'
    terreni, secondo qualsivoglia estimo, non ha avuto un augumento
    proporzionato a quello. E però era mestieri che i rettori e i
    curati, in paragone de' cavalieri e scudieri loro vicini, fossero
    più poveri sette volte più di quello che sono nel decimonono secolo.
    
    Il posto degli ecclesiastici nella società, è stato pienamente
    cangiato dalla Riforma. Innanzi quell'epoca, essi formavano la
    maggioranza nella Camera dei Lordi, uguagliavano e talvolta
    sorpassavano per ricchezza e splendore i più grandi baroni secolari,
    e, generalmente, occupavano i più alti uffici civili. Il Lord
    Tesoriere spesso era un Vescovo. Il Lord Cancelliere quasi sempre
    era tale. Il Lord Guarda-sigilli, e il Maestro de' Rotoli ovvero
    degli Atti, d'ordinario erano uomini di chiesa.
    
    Gli ecclesiastici trattavano i più importanti affari diplomatici. E
    veramente, tutti i numerosi rami dell'amministrazione che i Nobili
    rozzi e guerrieri erano disadatti a condurre, consideravansi come
    pertinenti in ispecial modo ai teologi. Coloro, quindi, che
    abborrivano dalla vita militare, o nel tempo stesso ambivano
    d'inalzarsi nello Stato, ordinariamente ricevevano la tonsura. Fra
    essi v'erano i figli delle famiglie più illustri, e prossimi parenti
    della Casa Reale; gli Scroop e i Neville, i Bourchier, gli Stafford
    e i Pole. Alle case religiose appartenevano le rendite di vastissime
    possessioni, e tutta la gran parte delle decime che oggi è nelle
    mani dei laici. Fino alla metà del regno di Enrico VIII, perciò,
    nessuno stato nella vita offriva agli uomini d'indole cupida ed
    ambiziosa uno aspetto così seducente come il presbiterato.
    Sopraggiunse poscia una violenta rivoluzione. L'abolizione de'
    monasteri privò a un tratto la Chiesa di gran parte della sua
    opulenza, e del suo predominio nella Camera Alta del Parlamento. Un
    Abate di Glastonbury o un Abate di Reading, più non si vedevano
    assisi fra mezzo ai Pari, o padroni di rendite uguali a quelle d'un
    ricco Conte. Il principesco splendore di Guglielmo di Wykeham, e di
    Guglielmo di Waynflete, era sparito. Il rosso cappello cardinalizio,
    la croce bianca del legato apostolico, non erano più. Il clero avea
    anco perduta la influenza che è naturale rimunerazione della
    superiorità nella cultura intellettuale. Un tempo, se un uomo sapeva
    leggere, dicevasi ch'egli aveva preso gli ordini ecclesiastici. Ma
    in una età che aveva uomini come Guglielmo Cecil e Niccola Bacone,
    Ruggiero Ascham e Tommaso Smith, Gualtiero Mildmay e Francesco
    Walsingham, non v'era ragione per chiamare dalle diocesi loro i
    prelati onde negoziare trattati, soprintendere alle finanze, o
    amministrare la giustizia. Il carattere spirituale non solamente
    cessò d'essere una qualificazione per occupare gli alti uffici
    civili, ma cominciò ad essere considerato come argomento
    d'inettitudine. Per la qual cosa, quei motivi mondani che per
    innanzi avevano indotto cotanti egregi, ambiziosi e ben nati giovani
    ad indossare l'abito ecclesiastico, cessarono di agire. A quei
    tempi, nè anche una fra duecento parrocchie apprestava emolumenti
    tali, da potersi considerare come mantenimento d'un individuo di
    buona famiglia. Vi erano premi nella Chiesa, ma erano pochi; e anche
    i maggiori erano bassi, in paragone della gloria di che un tempo
    andavano circondati i principi della gerarchia. La condizione di
    Parker e Grindal sembrava quella di un mendicante a coloro che
    rammentavansi della pompa imperiale di Wolsley; dei suoi palazzi,
    che erano diventati abitazioni predilette del principe, cioè
    Whitehall e Hampton Court; delle tre ricche mense che giornalmente
    erano apparecchiate nel suo refettorio; delle quarantaquattro
    sontuose pianete della sua cappella; dei suoi staffieri coperti di
    splendide livree, e delle sue guardie del corpo armate di scuri
    dorate. Così l'ufficio sacerdotale perdè ogni attrattiva agli occhi
    delle alte classi. Nel secolo che seguì l'ascensione di Elisabetta
    al trono, quasi nessun uomo di nobile lignaggio entrò negli ordini
    sacri. Alla fine del regno di Carlo II, due figli di Pari erano
    vescovi; quattro o cinque figli di Pari erano preti, e tenevano
    dignità proficue: ma queste rare eccezioni non toglievano il
    rimprovero che facevasi al ceto ecclesiastico. Il clero veniva
    considerato, nel suo insieme, come classe plebea. E veramente, uno
    tra dieci ecclesiastici, che erano preti serventi manuali, faceva la
    figura di gentiluomo. Moltissimi di coloro che non avevano
    beneficii, o gli avevano sì piccoli da non apprestare i comodi della
    vita, vivevano nelle case dei laici. Era da lungo tempo manifesto,
    che tale costumanza tendeva a degradare il carattere sacerdotale.
    Laud erasi sforzato a porvi rimedio; e Carlo I aveva ripetutamente
    emanati ordini positivi, perchè nessuno, tranne gli uomini di alto
    grado, presumesse di tenere cappellani domestici(115). Ma tali
    ordini erano caduti in disuso. A vero dire, mentre dominavano i
    Puritani, molti de' reietti ministri della Chiesa Anglicana poterono
    ottenere pane e ricovero solo impiegandosi nelle famiglie de'
    gentiluomini realisti; e le abitudini formatesi in que' torbidi
    tempi, seguitarono lungamente dopo il ristabilimento della Monarchia
    e dell'Episcopato. Nelle case degli uomini di sentimenti liberali e
    di culto intelletto, il cappellano era, senza alcun dubbio, trattato
    con urbanità e cortesia. La conversazione, i servigi letterari, i
    consigli spirituali di lui, erano considerati come ampia ricompensa
    per l'alimento, lo alloggio e lo stipendio che riceveva. Ma non così
    generalmente operavano i gentiluomini di provincia. Il rozzo ed
    ignorante scudiero il quale reputava convenire alla dignità sua che
    un ecclesiastico alla sua mensa, vestito degli abiti sacerdotali,
    recitasse il rendimento di grazie, trovava il mezzo di conciliare la
    dignità con la economia. Un giovine Levita - era questa la frase che
    usavasi - si sarebbe potuto avere per il cibo, una stanzaccia e
    dieci lire sterline l'anno; e non solamente avrebbe potuto compiere
    le funzioni sacerdotali, essere un pazientissimo uditore, e sempre
    pronto a giuocare nel buon tempo alle bocce, e nel piovoso alla
    morella; ma avrebbe anche potuto far risparmiare la spesa di un
    giardiniere, o d'un mozzo di stalla. Ora il reverendo legava gli
    albicocchi, ed ora strigliava i cavalli. Rivedeva i conti del
    maniscalco; correva dieci miglia a recare un'ambasciata o un
    fagotto. Gli era concesso di desinare in compagnia della famiglia;
    ma doveva contentarsi del pasto più umile. Poteva riempirsi il
    ventre di bove salato e carote: ma appena comparse in tavola le
    torte e i manicaretti di panna, alzavasi, e tenevasi da parte finchè
    venisse chiamato a recitare il rendimento di grazie per il desinare,
    al quale in gran parte ei non aveva partecipato(116).
    
    Forse, dopo alcuni anni di servizio, gli veniva concesso un
    beneficio da bastargli per vivere; ma spesso gli era mestieri
    comprarlo con una specie di simonia, che apprestò agl'irrisori
    inesausta materia di scherzo per tre o quattro generazioni. Alla
    concessione della cura era connesso l'obbligo di prender moglie. La
    moglie, comunemente, era stata al servizio del patrono; ed era
    fortuna se essa non veniva sospettata di godere i favori di lui.
    Certo, la natura dei matrimoni che gli ecclesiastici di quella età
    avevano costume di fare, è il più sicuro indizio del posto che
    l'ordine sacerdotale occupava nel sistema sociale. Un uomo di
    Oxford, che scriveva pochi mesi dopo la morte di Carlo II,
    querelavasi amaramente, non solo perchè il procuratore e il
    farmacista di provincia trattavano con dispregio lo ecclesiastico di
    provincia, ma perchè una delle lezioni inculcate con più studio alle
    fanciulle di famiglie onorevoli, era di non corrispondere ad un
    amante vincolato dagli ordini sacri; e che, ove qualche donzella
    avesse posto in oblio tale precetto, rimaneva quasi egualmente
    disonorata, che se si fosse resa colpevole d'illeciti amori(117).
    Clarendon, che certamente non odiava la Chiesa, rammenta, come segno
    della confusione delle classi prodotta dalla grande ribellione, che
    alcune damigelle di famiglie nobili si erano sposate ad
    ecclesiastici(118). Una fantesca era generalmente considerata come
    la più convenevole compagna di un parroco. La Regina Elisabetta,
    come Capo della Chiesa, aveva data una certa sanzione formale a
    cotesto pregiudizio, emanando ordini speciali affinchè nessun
    chierico presumesse di sposare una fantesca senza il consenso del
    padrone o della padrona(119). Per parecchie generazioni, quindi, la
    relazione tra i preti e le serve fu subietto d'infiniti scherzi; nè
    sarebbe facile trovare nelle commedie del secolo decimo settimo un
    solo esempio di un ecclesiastico che giungesse a sposare una donna
    di condizione superiore a quella d'una cuoca(120). Anche al tempo di
    Giorgio II, il più acuto di tutti gli osservatori della vita e dei
    costumi umani, ecclesiastico anch'egli, notò che nelle grandi
    famiglie il cappellano era il rifugio d'una cameriera, la quale,
    macchiato l'onore, avesse perduta ogni speranza di sedurre il
    maestro di casa(121).
    
    Generalmente, lo ecclesiastico che lasciava l'ufficio di cappellano
    per avere un beneficio ed una moglie, trovavasi uscito d'una
    molestia per entrare in un'altra. Non una in cinquanta prebende,
    poneva il sacerdote in condizione di sostenere coi debiti comodi la
    propria famiglia. Come i figliuoli crescevano di numero e d'età, la
    economia di lui facevasi più misera. L'unica sottana che lo copriva
    era piena di buchi, nel tempo stesso che il tetto del presbiterio
    andava in ruina. Spesso il suo solo mezzo di procacciarsi il pane
    quotidiano, era quello di sudare lavorando il podere della
    parrocchia, nutrendo maiali e vendendo concio; nè sempre i suoi
    estremi sforzi valevano a impedire che gli esecutori della giustizia
    gli portassero via il libro delle Concordanze della Scrittura e il
    calamaio. Era per lui giorno di letizia quello in cui veniva ammesso
    alla cucina di qualche grande famiglia, dove i servi gli donavano
    vivande fredde e birra. Educava i propri figliuoli come quelli del
    vicino contadiname; i maschi traevansi dietro all'aratro, e le
    femmine andavano a servire fuori di casa. Gli riusciva impossibile
    studiare; perocchè il prezzo del suo beneficio sarebbe stato appena
    bastevole allo acquisto d'una buona biblioteca teologica; e si
    sarebbe potuto estimare oltremodo avventurato, se ne' suoi scaffali
    avesse avuti dieci o dodici malandati volumi. In cosiffatte
    domestiche strettezze, il più vivo e robusto intelletto si sarebbe
    logorato.
    
    Certamente, a quei tempi nella Chiesa Anglicana non v'era difetto di
    ministri insigni per abilità e dottrina. Ma è da osservarsi che ei
    non trovavansi fra mezzo alla popolazione rurale. Erano, altresì,
    insieme raccolti in pochi luoghi dove abbondavano i mezzi
    d'istruirsi, e dove le occasioni alle vigorose esercitazioni
    intellettuali erano frequenti(122). Quivi potevano trovarsi gli
    ecclesiastici forniti di egregie doti, di eloquenza, di vasto sapere
    nelle lettere, nelle scienze e negli usi della vita, onde attirare a
    sè l'attenzione delle congregazioni frivole e mondane, guidare le
    deliberazioni dei senati, e rendere la religione rispettabile anche
    nella Corte più dissoluta.
    
    Taluni affaticavansi a scandagliare gli abissi della metafisica
    teologica; altri erano profondamente versati nella critica degli
    studi biblici; e altri gettavano luce sopra i luoghi più oscuri
    della storia ecclesiastica. Questi mostravansi maestri consumati
    nella logica; quelli coltivavano la rettorica con tale assiduità e
    prospero successo, che i loro discorsi si pregiano meritamente come
    esempi di bello stile. Cotesti uomini eminenti trovavansi, senza
    quasi nessuna eccezione, nelle Università e nelle grandi Cattedrali,
    o nella Metropoli. Barrow era di poco morto in Cambridge; Pearson
    gli era succeduto al seggio episcopale. Cudworth ed Enrico More vi
    stavano tuttavia. South e Pococke, Jane e Aldrich erano in Oxford.
    Prideaux stava presso Norwich, e Whitby presso Salisbury. Ma
    principalmente il clero di Londra, del quale parlavasi sempre come
    d'una classe particolare, era quello che manteneva alla propria
    professione la fama di dottrina e d'eloquenza. I principali pergami
    della metropoli erano occupati, verso quel tempo, da una schiera
    d'uomini insigni, fra mezzo ai quali sceglievansi in gran parte i
    prelati che governavano la chiesa. Sherlock predicava nel Tempio,
    Tillotson a Lincoln's Inn, Wake e Geremia Collier in Gray's Inn,
    Burnet nel Rolls, Stillingfleet nella Cattedrale di San Paolo,
    Patrick in San Paolo a Covent Garden, Fowler in San Gilles a
    Cripplegate, Sharp in San Gilles-in-the-Fields, Tenison in San
    Martino, Sprat in Santa Margherita, Beveridge in San Pietro a
    Cornhill. Di questi dodici oratori, tutti notabilissimi nella storia
    ecclesiastica, dieci diventarono vescovi, e quattro arcivescovi.
    Frattanto, quasi le sole opere teologiche importanti che uscissero
    da un presbiterio rurale, furono quelle di Giorgio Bull, che poscia
    fu vescovo di San David; e Bull non le avrebbe mai potute scrivere
    se non avesse ereditato una terra, con la vendita della quale potè
    raccogliere una biblioteca, quale nessun altro ecclesiastico di
    provincia possedeva(123).]
    
    Così il clero anglicano era partito in due sezioni, le quali per
    istruzione, costumi e condizioni sociali, grandemente fra loro
    differivano. L'una, educata per le città e le corti, comprendeva
    uomini forniti di dottrina antica e moderna; uomini adatti a
    combattere Hobbes o Bossuet con tutte le armi della controversia;
    uomini che ne' sermoni sapevano esporre la maestà e bellezza del
    cristianesimo con tale giustezza di pensiero e vigoria di parola,
    che l'indolente Carlo destavasi per ascoltare, e il fastidioso
    Buckingham dimenticavasi di schernire; uomini che per destrezza,
    cortesia e conoscenza di mondo, erano reputati degni di governare le
    coscienze de' ricchi e dei nobili; uomini coi quali Halifax amava
    discutere intorno agli interessi degli Stati, e dei quali Dryden non
    arrossiva di confessare che gli erano stati maestri nell'arte di
    scrivere(124). L'altra sezione era destinata a servigi più rozzi ed
    umili. Era dispersa per tutta la provincia, e composta d'individui
    nè più ricchi nè molto più culti dei piccoli coloni e dei servitori.
    Nulladimeno, in cotesti ecclesiastici rurali, i quali traevano una
    scarsa sussistenza dalle loro decime sul grano e sui maiali, e non
    avevano la minima probabilità di pervenire agli alti onori della
    propria professione, lo spirito della professione era più forte. Fra
    mezzo a quei teologi che erano l'orgoglio dell'università e il
    diletto della capitale, e che erano giunti o potevano
    ragionevolmente sperare di giungere a conseguire opulenza e grado
    signorile, un partito rispettabile per numero e più rispettabile per
    carattere, pendeva verso i principii del governo costituzionale;
    viveva in relazioni amichevoli coi Presbiteriani, con
    gl'Indipendenti e i Battisti; avrebbe con gioia veduto concedere
    piena tolleranza a tutte le sètte protestanti, e consentito a
    modificare la liturgia, a fine di conciliare i non-conformisti
    onesti e sinceri. Ma da tanta libertà di pensiero abborriva il
    parroco di campagna. In verità, egli andava altero della sua
    cenciosa sottana, più che i suoi superiori delle loro bianche tele e
    de' cappucci scarlatti. La convinzione di essere assai piccolo nelle
    condizioni mondane, in guisa da non potersi elevare al di sopra
    degli abitanti del villaggio a' quali predicava, gli dava una idea
    oltremodo grande della dignità del ministero sacerdotale, sola
    cagione della riverenza in cui era tenuto. Essendo vissuto lontano
    dal mondo, ed avendo avuta poca occasione di correggere le proprie
    opinioni leggendo o conversando, serbava e insegnava le dottrine
    dell'indestruttibile diritto ereditario, della obbedienza passiva, e
    della non resistenza in tutta la nuda assurdità loro. Avendo
    lungamente combattuto contro i dissenzienti del vicinato, spesso gli
    odiava a cagione de' torti ch'egli aveva loro fatti, e non trovava
    altro fallo nelle odiate leggi, dette Five Mile Act e Conventicle
    Act(125), se non in ciò che non erano bastevolmente severe. Sopra il
    solo partito Tory, esercitava tutta la influenza - ed era
    grandissima - che ei derivava dal proprio ministero. Sarebbe grave
    errore lo immaginare che il potere del clero fosse minore di quello
    che sia ai dì nostri, perchè il rettore di provincia non veniva
    considerato come gentiluomo, perchè non gli era dato aspirare alla
    mano delle signore della famiglia del possidente, perchè non veniva
    invitato alle sale dei grandi, ma lasciavasi bere e fumare la pipa
    coi servitori e coi credenzieri. La influenza d'una classe non è in
    modo alcuno proporzionata alla stima in che i membri di quella sono
    tenuti come individui. Un cardinale è personaggio più elevato che
    non è un frate mendicante; ma sarebbe grave errore supporre che il
    collegio de' cardinali abbia influito sul pubblico sentire
    dell'Europa più che l'ordine di San Francesco. In Irlanda, oggimai,
    la posizione sociale di un Pari è più eminente di quella d'un prete
    cattolico: nondimeno, in Munster e Connaught, poche sono le Contee
    dove una lega di preti in una elezione non trionferebbe contra una
    lega di Pari. Nel secolo decimo settimo, il pulpito era, per gran
    parte della popolazione, ciò che adesso è la stampa periodica. Quasi
    nessuno dei villani che andavano alla chiesa parrocchiale, vedeva
    mai una gazzetta o un libretto politico. Per quanto poco istruito
    potesse essere il loro pastore, pure aveva maggiore istruzione di
    loro: aveva ogni settimana occasione di arringare innanzi ad essi,
    senza che nessuno alzasse la voce a rispondere. In ogni grave
    circostanza, da molte migliaia di pulpiti ad un sol tempo,
    risuonavano invettive contro i Whig, ed esortazioni ad obbedire
    all'unto del Signore; e lo effetto ne era veramente formidabile. Di
    tutte le cagioni, le quali, dopo sciolto il Parlamento di Oxford,
    produssero la violenta reazione contro gli Esclusionisti, la più
    possente sembra essere stata la eloquenza del clero di provincia.
    
    XV. Il potere che i gentiluomini e il clero di provincia
    esercitavano nei distretti rurali, veniva alquanto controbilanciato
    dal potere dei piccoli possidenti, genía dotata d'animo schietto e
    robusto. I piccoli possidenti, che coltivavano i propri campi con le
    mani proprie, e fruivano d'una modesta competenza senza pretese di
    blasoni o ambizione di sedere in una corte di giustizia, formavano,
    allora più che adesso, una parte assai più importante della nazione.
    Se possiamo fidarci de' migliori scrittori di statistica di que'
    tempi, circa cento sessanta mila proprietari, i quali insieme con le
    loro famiglie dovevano sommare a più d'un settimo della intiera
    popolazione, traevano la sussistenza dalle loro piccole possessioni
    libere. La entrata media di cotesti possidenti, composta di rendita,
    d'utili e di salari, estimavasi ad una somma fra sessanta e settanta
    lire sterline l'anno. Calcolavasi che il numero degli individui che
    zappavano da sè le proprie terre, era maggiore del numero di coloro
    i quali prendevano in affitto i terreni altrui(126). Gran parte dei
    piccoli possidenti, fino dal tempo della Riforma, aveva aderito al
    Puritanismo; aveva nelle guerre civili parteggiato a favore del
    Parlamento; dopo la Ristaurazione, persistito ad ascoltare i
    predicatori Presbiteriani e Indipendenti; nelle elezioni sostenuto
    valorosamente gli Esclusionisti; ed anche dopo scoperta la congiura
    di Rye House e proscritti i capi de' Whig, aveva seguitato a
    considerare il papismo e il potere arbitrario con animo
    inesorabilmente ostile.
    
    XVI. Per quanto grande sia stato il cangiamento nella vita rurale
    d'Inghilterra dopo la Rivoluzione, quello delle città è anche più
    meraviglioso. Ai dì nostri, una sesta parte della nazione è
    affollata in città provinciali, di trenta e più mila abitanti. Nel
    regno di Carlo II, non era nel reame città provinciale che
    contenesse trentamila anime; e solo quattro ne contavano dieci mila.
    
    Dopo la metropoli, ma ad un'immensa distanza, venivano Bristol, che
    a quei dì era il principale porto; e Norwich, che allora
    consideravansi come la precipua città manifatturiera
    dell'Inghilterra. Ambedue sono state poi vinte da altre città rivali
    più giovani: nulladimeno, entrambe hanno fatto considerevoli
    progressi. La popolazione di Bristol si è quadruplicata; quella di
    Norwich si è accresciuta più del doppio.
    
    Pepys, il quale visitò Bristol otto anni dopo la Ristaurazione,
    rimase attonito allo splendore della città. Ma il suo termine di
    paragone non era alto; poichè egli registrò come una maraviglia il
    fatto, che in Bristol un uomo poteva guardare all'intorno e non
    vedere altro che case. E' sembra che in nessun altro luogo che egli
    conoscesse, tranne in Londra, gli edificii fossero fuori dai boschi
    e da' campi. Per quanto Bristol potesse sembrare vasta, non occupava
    se non piccola parte del suolo sopra il quale adesso sorge. Poche
    chiese di squisita bellezza elevavansi fra mezzo a un laberinto di
    anguste vie, sorgenti sopra volte non molto solide. Se un cocchio o
    una carretta entrava in que' viali, correva pericolo di rimanere
    fitta fra le case, o di rompersi nelle cantine; e però la roba
    veniva trasportata per la città sopra barroccini tirati da cani; e i
    più ricchi abitanti facevano mostra della propria opulenza non nel
    farsi trascinare assisi in cocchi dorati, ma nel passeggiare per le
    vie con un corteo di servi coperti di splendide livree, e nella
    profusione delle mense. La pompa dei battesimi e de' funerali
    vinceva di molto ciò che di simile si potesse vedere in ogni altra
    parte dell'isola. La città era in grandissima rinomanza
    d'ospitalità, in ispecie per le colazioni che i raffinatori di
    zucchero offrivano a coloro che recavansi a visitarli. Il desinare
    apparecchiavasi nella fornace, e veniva accompagnato da una ricca
    bevanda composta del miglior vino di Spagna, conosciuta in tutto il
    Regno col nome di latte di Bristol. Cosiffatto lusso sostenevano per
    mezzo di un proficuo commercio con le piantagioni dell'America
    Settentrionale e le Indie Occidentali. Era sì forte la passione pei
    traffici con le colonie, che appena eravi in Bristol un solo piccolo
    bottegaio che non avesse parte sul carico di qualche nave la quale
    si recasse alla Virginia o alle Antille. Questo genere di commercio,
    a dir vero, talvolta non era onorevole. Nelle transatlantiche
    provincie della Corona, v'erano grandi richieste di lavoratori; alle
    quali richieste provvedevasi, in parte, con un sistema di reclutare
    e rapire individui nei principali porti dell'Inghilterra: sistema
    che in nessun altro luogo era così attivo ed esteso come in Bristol.
    Anche i primi magistrati di quella città, non vergognavano di
    arricchirsi con un tanto odioso commercio. Dalle liste dell'imposta
    sui fuochi, si deduce che nell'anno 1685, il numero delle case fosse
    cinque mila trecento. Non possiamo supporre che il numero degli
    individui d'una casa fosse maggiore di quelli d'una famiglia della
    città di Londra; e le migliori autorità sopra questo subietto
    c'insegnano che in Londra erano cinquantacinque persone per ogni
    dieci case. È mestieri, quindi, che la popolazione di Bristol fosse
    di ventinovemila anime(127).
    
    XVII. Norwich era capitale d'una grande e fertile provincia,
    residenza d'un vescovo e d'un capitolo, e sede principale della
    principale manifattura del Regno. Alcuni uomini insigni per dottrina
    vi avevano di recente abitato; e in tutto il reame non v'era luogo,
    tranne la metropoli e le università, che attirasse maggiormente i
    curiosi. La biblioteca, il museo, l'uccelliera e il giardino
    botanico di sir Tommaso Browne, venivano stimati dai colleghi della
    Società Reale come cose ben meritevoli d'un lungo pellegrinaggio.
    Norwich aveva anche una Corte in miniatura. Nel mezzo della città
    sorgeva un vetusto palazzo dei Duchi di Norfolk, che reputavasi la
    più vasta casa cittadina del Regno, fuori di Londra. In cotesta
    magione, cui erano annessi locali per la pallacorda, un
    pallottolaio, ed un ampio prato che si distendeva lungo le rive del
    Wansum, la nobile famiglia di Howard faceva lunga dimora, e teneva
    una corte somiglievole a quella d'un principotto. Agli ospiti davasi
    da bere in vasi di oro puro. Le stesse molle e le palette erano
    d'argento; le pareti adorne di pitture d'artisti italiani; i
    gabinetti pieni d'una eletta collezione di gemme comperate da quel
    Conte d'Arundel, i marmi del quale oggidì si ritrovano fra gli
    ornamenti di Oxford. Ivi, nell'anno 1671, Carlo con tutta la sua
    Corte venne sontuosamente ricevuto. Ivi ogni veniente era bene
    accolto dal Natale alla Epifania. La birra correva a fiumi per la
    moltitudine. Tre cocchi, uno de' quali era costato cinquecento lire
    sterline e conteneva quattordici persone, erano ogni pomeriggio
    mandati attorno per la città, onde condurre le dame alle feste; e ai
    balli spesso seguiva un magnifico banchetto. Quando il Duca di
    Norfolk andava a Norwich, veniva salutato come un re che tornasse
    alla sua capitale. Le campane del duomo e di San Pietro Mancroft
    suonavano; tuonavano le artiglierie del castello; e il gonfaloniere
    e gli aldermanni presentavano al loro illustre concittadino
    indirizzi a complirlo. Nell'anno 1693, enumeratasi la popolazione di
    Norwich, trovossi ascendere a ventotto o ventinove mila anime(128).
    
    Assai al di sotto di Norwich, ma considerevoli per dignità ed
    importanza, stavano alcune altre antiche capitali di Contee. In
    quell'età, rade volte seguiva che un gentiluomo di provincia andasse
    con tutta la propria famiglia a Londra. Sua metropoli era la città
    della Contea. Ei talvolta vi abitava parecchi mesi dell'anno. In
    ogni modo, vi si recava chiamato dalle faccende o dai piaceri, dalle
    sessioni trimestrali, dalle elezioni, dalle riviste della guardia
    civica, dalle feste, dalle corse. Ivi erano le sale dove i giudici,
    vestiti di scarlatto, e preceduti dai giavellotti e trombetti,
    aprivano due volte l'anno la Commissione del Re. Ivi erano i
    mercati, dove esponevansi in vendita il grano, il bestiame, la lana
    e i luppoli del paese circostante. Ivi erano le grandi fiere, alle
    quali accorrevano i mercatanti da Londra, e dove il trafficante
    rurale faceva le annue provviste di zucchero, di carta, di coltelli,
    di mussolini. Ivi erano le botteghe, nelle quali le migliori
    famiglie de' luoghi circonvicini comperavano le droghe e gli
    ornamenti di moda. Taluni di cotesti luoghi erano illustri per le
    interessanti storiche reminiscenze, per le cattedrali ornate di
    tutta l'arte e magnificenza del medio evo, pei palagi abitati da una
    lunga serie di prelati, pei ricinti circondati dalle venerabili case
    de' decani e de' canonici, e pei castelli che nei tempi andati
    avevano respinti i Nevilles o i De Veres, e nei quali rimanevano
    impressi i più recenti vestigi della vendetta di Rupert o di
    Cromwell.
    
    XVIII. Cospicue, fra le più notevoli città, erano York, capitale del
    norte; e Exeter, capitale dell'occidente. Nessuna di esse contava
    più di dieci mila abitanti. Worcester, chiamata la regina della
    terra del sidro, ne aveva circa otto mila; e forse altrettante
    Nottingham. Gloucester, rinomata per la ostinata difesa cotanto
    fatale a Carlo I, ne aveva certamente da quattro in cinque mila;
    Derby appena quattro mila. Shrewsbury era capo-luogo d'un esteso e
    fertile distretto. In essa tenevasi la corte delle frontiere di
    Galles. Nel linguaggio dei gentiluomini stanzianti in un circuito di
    molte miglia attorno il Wrekin, andare a Shrewsbury significava
    recarsi alla città. I begli spiriti e le belle donne provinciali
    imitavano, come meglio sapevano, le mode di Saint James Park, ne'
    loro passeggi lungo il Savern. Gli abitanti sommavano a circa sette
    mila(129).
    
    La popolazione di ciascuno di questi luoghi, dalla Rivoluzione in
    poi, si è accresciuta più del doppio; in taluni più di sette volte.
    Le strade sono state pressochè interamente rifatte. Le lastre sono
    state sostituite alla paglia, e i mattoni al legname. I pavimenti e
    le lampade, lo sfoggio di ricchezza nelle principali botteghe, e la
    squisita nettezza delle abitazioni de' gentiluomini, sarebbero
    sembrate cose miracolose agli uomini del secolo decimosettimo.
    Nondimeno, la relativa importanza delle vecchie capitali delle
    Contee non è affatto ciò che essa era. Città più moderne, città che
    di rado o giammai si trovano rammentate nella nostra storia antica,
    e che non avevano rappresentanti nei nostri più antichi Parlamenti,
    a memoria d'uomini che vivono ancora, si sono innalzate ad una
    grandezza, che la presente generazione guarda con ammirazione ed
    orgoglio; comunque non senza ansietà e rispettoso terrore.
    
    XIX. Le più eminenti di coteste città erano, nel secolo
    decimosettimo, sedi rispettabili d'industria. Che anzi, il rapido
    progresso(130) e la vasta opulenza loro venivano allora descritti in
    un linguaggio che parrebbe scherzevole a chi abbia veduta la loro
    grandezza presente. Una delle più popolate e prospere era
    Manchester. Il Protettore aveva voluto che mandasse un
    rappresentante al Parlamento; e gli scrittori del tempo di Carlo II
    la ricordano come luogo di operosità e di opulenza. Il cotone, per
    lo spazio di mezzo secolo, già vi si trasportava da Cipro e da
    Smirne; ma la manifattura era nella sua infanzia. Whitney non aveva
    peranche insegnato come la materia rozza potesse fornirsi in
    abbondanza quasi favolosa. Arkwright non aveva peranche insegnato
    come potesse lavorarsi con una speditezza e precisione che sembra
    magica. L'intera importazione annua, nella fine del diciassettesimo
    secolo, non ascendeva a due milioni di libbre; quantità che oggimai
    appena servirebbe alle richieste di quarantotto ore. Quel
    maraviglioso emporio, che per popolazione e ricchezza sorpassa di
    molto capitali rinomate, come Berlino, Madrid e Lisbona, allora
    altro non era che una vile e male edificata città di mercato,
    popolata di meno di sei mila abitanti. Non aveva allora neppure un
    solo torchio, e adesso mantiene cento stabilimenti da stampare.
    Allora non aveva nemmeno un cocchio, e adesso mantiene venti
    carrozzai(131).
    
    XX. Leeds era già sede principale de' lanificii della Contea di
    York; ma i più vecchi cittadini si rammentavano tuttavia del tempo
    in cui fu fabbricata la prima casa di mattoni, allora e lungamente
    dopo chiamata la casa rossa. Vantavansi altamente della crescente
    ricchezza, e delle immense vendite de' panni che si facevano
    all'aria aperta sul ponte. Centinaia, anzi migliaia di lire sterline
    sborsavansi in un solo giorno operoso di mercato. La crescente
    importanza di Leeds aveva a sè richiamato gli sguardi dei successivi
    governi. Carlo I aveva concessi privilegi municipali alla città.
    Oliviero l'aveva invitata a mandare un rappresentante alla Camera
    de' Comuni. Ma dalle liste della imposta sui fuochi, sembra certo
    che tutta la popolazione del borgo, esteso distretto che contiene
    molti villaggi, regnante Carlo II, non eccedeva settemila anime. Nel
    1841 ne conteneva cento cinquanta e più mila(132).
    
    XXI. A una giornata di cammino verso mezzodì di Leeds, lungo un
    selvaggio e pantanoso terreno, giaceva un'antica fattoria, adesso
    rigogliosamente coltivata, allora sterile ed aperta, e conosciuta
    sotto il nome di Hallamshire. Era abbondante di ferro; e fino da
    lunghissimi anni, i rozzi coltelli che ivi si facevano, vendevansi
    per tutto il Regno. Li aveva ricordati Goffredo Chaucer(133) nelle
    sue Novelle di Canterbury. Ma sembra che la manifattura avesse fatti
    pochi progressi nei tre secoli che seguirono quello del poeta. Tale
    lentezza potrebbe forse spiegarsi considerando come ivi il traffico,
    per quasi tutto quello spazio di tempo, fosse soggetto ai
    capricciosi regolamenti imposti dal signore del luogo e dalla sua
    corte. Le più delicate specie di coltelleria o facevansi nella
    capitale, o erano importate dal continente. E' fu sotto il regno di
    Giorgio I, che i chirurghi inglesi cessarono di far venire dalla
    Francia quei finissimi ferri che sono necessari agli usi dell'arte
    loro. La maggior parte delle fucine di Hallamshire erano raccolte in
    una città di mercato, che era sorta presso al castello del
    proprietario; e nel regno di Giacomo I era un luogo singolarmente
    misero, popolato di circa due mila abitatori, la terza parte dei
    quali erano accattoni mezzo nudi ed affamati. Pare certo, secondo i
    registri parrocchiali, che la popolazione, verso la fine del regno
    di Carlo II, non arrivasse a quattro mila anime. Gli effetti di un
    lavoro niente favorevole alla salute ed al vigore della macchina
    umana, risaltavano tosto agli occhi d'ogni viaggiatore. Moltissimi
    fra quella gente mostravano storte le membra. È dessa quella città
    di Sheffield, che oggidì, co' suoi dintorni, contiene cento venti
    mila anime, e che manda i suoi ammirevoli coltelli, rasoi e lancette
    agli estremi confini del mondo(134).
    
    XXII. Birmingham non era riputata abbastanza importante da mandare
    un membro al Parlamento d'Oliviero. Nulladimeno, i manifattori di
    Birmingham, erano già una razza d'uomini operosi e proficui.
    Gloriavansi dicendo che le loro chincaglierie erano in grande
    estimazione, non già, come adesso, a Pechino ed a Lima, a Bokhara e
    a Timbuctoo, ma anche in Londra e perfino in Irlanda. Avevano
    acquistata una meno onorevole rinomanza come coniatori di moneta
    falsa. Alludendo ai loro soldi spurii, il partito Tory aveva
    appiccato ai demagoghi, che per ipocrisia mostravansi zelanti contro
    il papismo, il soprannome di Birminghams. Eppure, nel 1685, quella
    popolazione, che ora è poco meno di duecento mila, non arrivava a
    quattro mila. I bottoni di Birmingham cominciavano pur allora ad
    essere conosciuti; delle armi di Birmingham nessuno aveva peranche
    udito il nome; e il luogo d'onde, due generazioni appresso, le
    magnifiche edizioni di Baskerville uscirono per rendere attoniti
    tutti i bibliofili d'Europa, non contenevano una sola bottega dove
    si potesse comperare una bibbia o un almanacco. Nei giorni di
    mercato un libraio, che aveva nome Michele Johnson, padre del grande
    Samuele Johnson, ci andava da Lichfield e vi apriva una botteghetta
    per poche ore; la qual cosa per lungo tempo fu trovata bastare alle
    richieste di coloro che amassero di leggere(135).
    
    XXIII. Queste quattro sedi principali delle nostre grandi
    manifatture sono meritevoli di speciale ricordanza. Sarebbe noioso
    enumerare tutti i popolosi ed opulenti alveari d'industria, che
    cento cinquanta anni fa erano villaggi privi d'una parrocchia, o
    triste maremme abitate solo dagli uccelli e dalle belve. Il
    mutamento non è stato meno notevole in quegli sbocchi, dai quali i
    prodotti de' mestieri e delle fornaci inglesi si diffondono per
    tutto l'universo. Ai dì nostri, Liverpool contiene circa trecento
    mila abitatori. Le imbarcagioni registrate nel suo porto ascendono a
    quattro o cinquecento mila tonnellate. Nel suo ufficio di dogana si
    è più volte pagata in un anno una somma tre volte maggiore della
    intera entrata della Corona d'Inghilterra nel 1685. Il danaro che
    incassa il suo ufficio postale, sorpassa la somma che la posta di
    tutto il Regno rendeva al Duca di York. Gli infiniti docchi o
    bacini, gli scali, i magazzini suoi, si annoverano fra le maraviglie
    del mondo; e nondimeno, appena sembrano bastare al gigantesco
    traffico del Mersey; e già una città rivale sorge rapidamente sul
    lido opposto. Nel tempo di Carlo II, Liverpool veniva descritta come
    una città risorgente, che aveva pur allora fatti grandi progressi, e
    manteneva proficue comunicazioni con la Irlanda e le colonie dove
    manifatturavasi lo zucchero. Le dogane in sessanta anni eransi
    accresciute d'otto volte, e rendevano quindici mila lire sterline
    l'anno; somma allora riputata immensa. Ma la popolazione appena
    doveva passare le quattro migliaia: le imbarcagioni facevano circa
    mille e quattrocento tonnellate, meno del tonnellaggio di un solo
    legno indiano di prima classe del tempo presente: e il numero de'
    marinai appartenenti al porto, non può estimarsi a più di
    duecento(136).
    
    XXIV. Tale è stato il progresso di quelle città dove si crea ed
    ammassa la ricchezza. Nè meno rapido è stato il progredire di quelle
    di specie differentissima; città dove la ricchezza, creata ed
    ammassata dovecchessia, si spende per la salute e i piaceri. Alcune
    delle più insigni fra coteste città sono sorte dopo il tempo degli
    Stuardi. Cheltenham adesso, tranne la sola Londra, è città assai più
    vasta di qualunque altra del Regno nel secolo decimo settimo. Ma in
    quel secolo, e nel principio del susseguente, essa veniva rammentata
    dagli storici municipali come una semplice parrocchia rurale,
    giacente a piè di Cotswold Hills, ed avente un suolo atto alla
    coltivazione e al pascolo. In que' luoghi, ora coperti di cotante
    vaghissime strade ed amene ville, cresceva il grano, e pascolavano
    gli armenti(137). Brighton veniva rappresentata come un luogo che un
    tempo era stato proficuo, e che quando era nel più alto grado di
    prosperità, conteneva più di due mila abitanti, ma che volgeva a
    decadenza. Il mare a poco a poco invadeva gli edifici, che
    finalmente quasi al tutto scomparvero. Novanta anni addietro, le
    rovine di una vecchia fortezza vedevansi giacenti fra mezzo la
    ghiaia e le alghe marine; e gli uomini canuti potevano additare i
    vestigi delle fondamenta dove una strada di cento e più tuguri era
    stata inghiottita dalle onde. Sì misero, dopo tanta calamità,
    diventò quel luogo, che appena venne reputato degno di avere un
    vicariato. Pochi poveri pescatori, nondimeno, seguitarono ad
    asciugare le loro reti su quelle rocce, sopra le quali adesso una
    città, due volte più grande e popolata della Bristol degli Stuardi,
    presenta per lungo tratto il suo gaio e fantastico prospetto alla
    marina(138).
    
    XXV. Nulladimeno, l'Inghilterra nel secolo diciassettesimo non era
    priva di bagni. I gentiluomini della Contea di Derby e delle altre
    Contee vicine recavansi a Buxton, dove stavano affollati dentro
    bassi tuguri di legno, e mangiavano focacce d'avena, e carni che
    erano in grave sospetto d'esser di cane(139). Tunbridge Wells,
    distante una giornata di cammino dalla metropoli, e sita in una
    delle più ricche e incivilite parti del Regno, offriva maggiori
    attrattive. Adesso vi si vede una città, che cento sessanta anni
    addietro sarebbe stata considerata per popolazione come la quarta o
    quinta fra le città dell'Inghilterra. La splendidezza delle botteghe
    e il lusso delle abitazioni private vincono d'assai tutto ciò che
    l'Inghilterra avrebbe allora potuto mostrare. Allorquando la Corte,
    tosto dopo la Restaurazione, visitò Tunbridge Wells, ivi non era
    città nessuna; ma, a un miglio dalla sorgente, parecchie rustiche
    capanne, alquanto più nette delle capanne ordinarie di que' tempi,
    erano sparse in que' luoghi deserti. Alcuni di questi tuguri erano
    movibili, e venivano trasportati sopra le slitte da un luogo
    all'altro della comune. Quivi le persone agiate, stanche del rumore
    e del fumo di Londra, talvolta recavansi nei mesi estivi per
    respirare la fresca aura, e gustare un poco di vita campestre. Nella
    stagione de' bagni tenevasi ogni giorno una specie di fiera presso
    la fontana. Le mogli e le figliuole dei borghesi di Kent vi
    accorrevano dai circostanti villaggi, recando latte, ciliege, spighe
    e quaglie. Comprare, scherzare con esse, lodare i cappelli di paglia
    e le strette calzature loro, era un consolante sollazzo agli
    sfaccendati, stanchi del sussiego delle attrici e delle dame di
    corte. Modiste, venditori di giocattoli e gioiellieri, vi andavano
    da Londra, e formavano un Bazaar sotto gli alberi. In una trabacca,
    l'uomo politico trovava il suo caffè e la Gazzetta di Londra; dentro
    un'altra, i giuocatori profondevano monete alla bassetta; e nelle
    belle serate, i violini erano lì pronti ad accompagnare coloro che
    ballavano la moresca su per l'erba molle del prato. Nel 1685, fra
    coloro che frequentavano Tunbridge Wells erasi aperta una colletta a
    fine di edificare una chiesa, che, per la insistenza dei Tory, in
    quel tempo predominanti dappertutto, fu dedicata a San Carlo
    Martire.
    
    XXVI. Ma primo tra tutti i luoghi di bagni, senza avere rivale
    alcuno, era Bath. Le acque di quella città erano rinomate fino dai
    tempi romani. Essa, per molti secoli, era stata sedia vescovile.
    Gl'infermi vi accorrevano da ogni parte del Regno. Talvolta il re vi
    teneva corte. Nonostante, Bath allora altro non era che un laberinto
    di quattro o cinquecento case, ammassate dentro una vecchia
    muraglia, nelle vicinanze dell'Avon. Esistono tuttora parecchie
    pitture di case, che in quel tempo consideravansi come bellissime, e
    somigliano grandemente alle più luride botteghe di cenciaioli, ed
    alle bettole di Ratcliffe Highway. Vero è che anche in allora i
    viaggiatori muovevano lamento della strettezza e del sudiciume delle
    strade. Quella leggiadra città, che incanta anche l'occhio avvezzo a
    bearsi de' capolavori di Bramante e di Palladio, resa classica dal
    genio di Anstey e di Smollett, di Francesca Burney e di Giovanna
    Austen, non aveva cominciato ad esistere. La stessa Milsom Stret era
    una campagna aperta molto lungi dalle mura; e lo spazio ora coperto
    dal Crescent e dal Circus, era intersecato da siepi. I poveri
    infermi, ai quali erano state prescritte le acque, giacevano sopra
    la paglia in un luogo, che, per servirmi delle parole d'un medico di
    quei tempi, aveva sembianza di nascondiglio, più presto che
    d'alloggio. Rispetto agli agi ed al lusso che potevano trovare nello
    interno delle case di Bath le persone cospicue che ci andavano per
    riacquistare la salute o trovarvi divertimento, abbiamo notizie più
    abbondevoli e minute di quante se ne possano generalmente sperare
    intorno a cotali subietti. Uno scrittore, che sessanta anni dopo la
    Rivoluzione pubblicò un'opera sopra quella città, ha con accuratezza
    descritti i cangiamenti a sua ricordanza ivi seguiti. Egli ci
    assicura, come ne' suoi anni giovanili, i gentiluomini che
    visitavano le acque, dormissero in certe camere appena simili alle
    soffitte dove ai suoi giorni stavano i servitori. I pavimenti delle
    sale da pranzo erano privi di tappeti, e coperti d'una tinta bruna,
    composta di sego e di birra, per nascondere il sudiciume. Nè anche
    un tavolato era dipinto. Non un focolare o camino era di marmo. Una
    lastra di pietra comune, e certe molle di ferro che potevano costare
    tre o quattro scellini, erano stimate bastevoli per ogni camino. I
    migliori appartamenti avevano tende di ruvida stoffa di lana, e
    seggiole col fondo coperto di giunco. Quei lettori che s'interessano
    al progresso dello incivilimento e delle arti utili, sapranno grado
    all'umile topografo che ci ha tramandati cotesti fatti, e
    desidereranno forse che storici più solenni avessero talvolta messe
    da parte poche pagine piene di evoluzioni militari e d'intrighi
    politici, per dipingerci le sale e le stanze da letto de' nostri
    antenati(140).
    
    XXVII. La posizione di Londra, in ordine alle altre città dello
    Stato, era ai tempi di Carlo II assai più considerevole che non è ai
    nostri. Imperocchè, adesso la sua popolazione è poco più di sei
    volte di quella di Manchester o di Liverpool; e, regnante Carlo, era
    più di diciassette volte della popolazione di Bristol o di Norwich.
    È da dubitarsi se si possa additare un altro esempio di un gran
    Regno, in cui la prima città fosse diciassette volte più grande
    della seconda. Abbiamo ragione di credere, che Londra nel 1685,
    fosse stata fino da mezzo secolo la più popolata metropoli d'Europa.
    Gli abitanti, che oggidì sono almeno un milione e novecento mila,
    erano allora, probabilmente, poco meno di mezzo milione(141).
    Londra, nel mondo, aveva soltanto una rivale rispetto al commercio;
    rivale ora da lungo tempo vinta: voglio dire la potente e ricca
    Amsterdam. Gli scrittori inglesi menavano vanto della foresta di
    alberi che copriva il fiume dal Ponte alla Torre, e delle portentose
    somme di danaro che entravano nell'ufficio della Dogana in Thame's
    Street. Non è dubbio che il traffico della metropoli a quei dì era,
    verso quello di tutto il paese, in maggior proporzione che non è
    adesso: eppure, agli occhi nostri, gli onesti vanti de' nostri
    antenati sembrano quasi scherzevoli. Pare che la capacità delle
    navi, da essi reputata incredibilmente grande, non eccedesse
    settanta mila tonnellate. A dir vero, ciò era in quel tempo più che
    il terzo di tutto il tonnellaggio del Regno; ma adesso è meno di un
    quarto del tonnellaggio di Newcastle, ed equivale pressochè a quello
    de' soli piroscafi del Tamigi. Le dogane di Londra rendevano, nel
    1685, circa trecento trenta mila sterline l'anno. Ai giorni nostri,
    la somma de' Dazii netta che si ricava nel medesimo ufficio, avanza
    i dieci milioni di sterline(142).
    
    Chiunque si faccia ad esaminare le carte topografiche di Londra,
    pubblicate verso la fine del regno di Carlo II, vedrà come a que'
    tempi altro non esistesse che il nucleo della presente metropoli. La
    città non si perdeva, come adesso, a gradi impercettibili nella
    campagna. Non viali di ville ombreggiati da file di lilla e
    d'avarnielli estendevansi, dal gran centro della ricchezza e della
    civiltà, quasi sino ai confini di Middlesex(143), e ben addentro nel
    cuore di Kent e di Surrey. Ad oriente, nessuna parte dell'immensa
    linea de' magazzini, e de' laghi artificiali, che ora si distende
    dalla Torre a Blackwall, era per anche stata ideata. Ad occidente,
    nè anco uno di quei solidi e vasti edifizi, dove abitano i nobili e
    i potenti, esisteva; e Chelsea, che oggimai è popolato da quaranta e
    più mila umane creature, era un tranquillo villaggio rurale di circa
    mille abitatori(144). A tramontana pascolavano gli armenti; e i
    cacciatori armati de' loro archibugi erravano co' cani sul luogo
    dove sorge il borgo di Marylebone, e sopra la maggior parte dello
    spazio ora coperto dai borghi di Finsbury e di Tower Hamlets.
    Islington era quasi un deserto; e i poeti dilettavansi di porre in
    contrasto la quiete che ivi regnava col frastuono della immensa
    Londra(145). A mezzodì, alla capitale adesso si aggiunge il suburbio
    per mezzo di vari ponti, non meno magnifici e solidi delle più belle
    opere de' Cesari. Nel 1685, una sola fila di archi irregolari,
    sopraccarichi da mucchi di case povere e cadenti, e piene, in modo
    degno degl'ignudi barbari di Dahomy, di centinaia di teste
    putrefatte, erano d'impaccio alla navigazione del fiume.
    
    XXVIII. La parte più importante della metropoli, era quella che
    propriamente chiamavasi la Città. Nel tempo della Restaurazione, era
    stata in grandissima parte costrutta di legname e di gesso: i pochi
    mattoni di cui si faceva uso, erano cotti male: le trabacche dove
    ponevansi in vendita le mercanzie, proiettavano su per le strade, ed
    erano coperte dai piani superiori. Pochi vestigi di cotesta
    architettura possono anche oggi vedersi in quei distretti che non
    furono preda del grande incendio. Il quale, in pochi giorni, aveva
    coperto uno spazio poco minore d'un miglio quadrato, con le rovine
    di ottantanove chiese e di tredicimila case. Ma la città era
    nuovamente risorta con celerità tale, che ne avevano maravigliato i
    paesi vicini. Sciaguratamente, le antiche linee delle strade erano
    state per lo più mantenute: le quali linee, in origine descritte
    allorquando anche le principesse viaggiavano a cavallo, erano spesso
    così anguste, da non concedere che i carriaggi agevolmente
    passassero l'uno allato dell'altro, ed erano perciò improprie perchè
    vi abitasse la gente ricca, in un tempo in cui un cocchio a sei
    cavalli era un lusso in voga. Lo stile de' nuovi edifici,
    nulladimeno, era assai superiore a quello dell'arsa città. I
    materiali di che comunemente avevano fatto uso, erano mattoni assai
    migliori di quelli che in prima s'adoperavano. Sopra i luoghi dove
    un dì sorgevano le antiche parrocchie, s'erano innalzate nuove
    cupole, torri, ed aguglie improntate dal carattere del fecondo genio
    di Wren. In ogni dove, tranne in un solo luogo, i segni della immane
    devastazione erano spariti. Ma vedevansi tuttavia schiere d'operai,
    ponti e masse di pietre, là dove il più magnifico de' tempii
    protestanti sorgeva, lento sopra le rovine della vecchia cattedrale
    di San Paolo(146).
    
    Dopo quel tempo, lo aspetto della Città è intieramente cangiato.
    Adesso i banchieri, i mercanti e i padroni di botteghe vi si recano
    sei giorni della settimana per attendere ai loro negozi; ma abitano
    negli altri quartieri della metropoli, o nelle residenze suburbane,
    circondate da giardini d'arbusti e di fiori. Cotesta rivoluzione ne'
    costumi de' cittadini, ha prodotto un rivolgimento politico di non
    lieve importanza. I più ricchi uomini, dediti al traffico, non
    portano più alla Città quello affetto che ciascuno naturalmente
    prova per la propria casa. La Città non isveglia più nelle menti
    loro le idee delle affezioni e delle gioie domestiche. Il focolare,
    la famigliuola, il desco socievole, il quieto letto, non sono più
    ivi. Lombard Street e Threadneedle Street sono semplici luoghi dove
    gli uomini lavorano ed accumulano. Essi vanno altrove a sollazzarsi
    ed a spendere i guadagni. La domenica, o la sera, a faccende finite,
    parecchi cortili o viali, dove poche ore innanzi era un ire e venire
    di visi affaccendati, sono silenziosi come i sentieri d'una foresta.
    I capi degli interessi mercantili più non sono cittadini. Schivano,
    e pressochè sprezzano le onorificenze e i doveri municipali, e gli
    abbandonano ad uomini, i quali, quantunque utili, e di rispetto
    degnissimi, rade volte appartengono alle grandissime case
    commerciali, i cui nomi corrono famosi per tutto il mondo.
    
    Nel secolo diciassettesimo, i mercanti risedevano nella Città. Le
    case degli antichi borghesi che esistono tuttora, sono state
    trasformate in computisterie e magazzini; ma si conosce anche oggi,
    come non fossero meno magnifiche delle abitazioni dove allora
    stanziavano i nobili. Esse talvolta sorgono dentro bui e riposti
    cortili, e vi si va per poco convenevoli aditi; ma sono ampie di
    mole, e solide d'aspetto. Gl'ingressi sono adorni di pilastri e
    baldacchini, riccamente intagliati. Le scale e i ballatoi non
    difettano di magnificenza. I pavimenti sono talvolta di legno
    intarsiato, secondo l'uso di Francia. Il palazzo di Sir Roberto
    Clayton, nel Ghetto vecchio, conteneva una bella sala da pranzo,
    intavolata di legno di cedro, e ornata con affreschi che
    rappresentavano le battaglie de' numi e dei giganti(147). Sir Dudley
    North spese quattro mila lire sterline - somma che in quei tempi
    sarebbe stata considerevolissima per un duca - ne' ricchi addobbi
    de' suoi saloni in Basinghall Street(148). In simiglianti
    abitazioni, sotto gli Stuardi, i più grandi banchieri vivevano
    splendidamente ospitali. Alle case proprie gli legavano i fortissimi
    vincoli dello interesse e dell'affetto. Ivi avevano passati i dì
    della loro giovinezza, formate le loro amicizie, corteggiate le
    proprie spose, veduti crescere i figli, sotterrate le ossa dei
    parenti, aspettando di trovarvi anch'essi la pace del sepolcro. Quel
    forte amore del natìo loco che è peculiare agli uomini delle società
    congregate in angusto spazio, in simili circostanze sviluppavasi
    vigorosamente. Londra, per il Londrino, era ciò che Atene per
    l'Ateniese dell'età di Pericle, ciò che Firenze pel Fiorentino del
    secolo decimoquinto. Il cittadino andava altero della grandezza
    della propria città, gelosissimo del diritto all'altrui riverenza,
    ambizioso degli uffici, e zelante delle franchigie di quella.
    
    Sul finire del regno di Carlo II, l'orgoglio de' cittadini di Londra
    era inasprito da una crudele mortificazione. Lo antico statuto era
    stato abolito, e il magistrato rifatto. Tutti gli uffici civili
    erano in mano de' Tory; e i Whig, comecchè per numero e per opulenza
    fossero superiori ai loro avversari, trovavansi esclusi da ogni
    dignità locale. Nulladimeno, lo esterno splendore del governo
    municipale non era punto scemato; chè anzi, il mutamento lo aveva
    accresciuto. Imperocchè, sotto l'amministrazione di certi Puritani
    che avevano poco innanzi governato, la vecchia fama di briosa che la
    Città godeva, era volta in basso; ma sotto i nuovi magistrati, i
    quali appartenevano ad un partito più festevole, e alle mense dei
    quali vedevansi spesso ospiti distinti per titoli o gradi dimoranti
    molto oltre Temple Bar, il Guildhall e le sale delle grandi
    compagnie erano ravvivate da molti sontuosi banchetti. Duranti i
    quali, cantavansi odi dai poeti del municipio, composto in lode del
    Re, del Duca e del Gonfaloniere. Bevevano molto, e tripudiavano
    clamorosamente. Un osservatore Tory, che s'era sovente trovato fra
    mezzo a coteste gozzoviglie, ha notato come il costume di accogliere
    con gioiose grida i brindisi fatti all'altrui salute, cominciasse da
    quel lieto tempo(149).
    
    Il magnifico vivere del primo magistrato civico era quasi quello di
    un re. Il cocchio dorato, che la folla adesso ammira ciascun anno,
    in allora non v'era. Nelle grandi occasioni egli mostravasi a
    cavallo, seguito da una lunga cavalcata, che per magnificenza era
    inferiore soltanto al corteo che dalla Torre a Westminster
    accompagnava il sovrano nel dì della incoronazione. Il Lord
    Gonfaloniere non lasciavasi mai vedere in pubblico senza la sua
    veste, il cappuccio di velluto nero, la catena d'oro, il gioiello,
    ed una gran torma di battistrada e di guardie(150). Nè il mondo
    vedeva cosa alcuna degna di riso nella pompa ond'egli era di
    continuo circuito; perocchè reputavala convenevole allo ufficio,
    che, come comandante le forze e rappresentante la dignità di Londra,
    aveva diritto di occupare nello Stato. La città, essendo allora non
    solo senza uguale in tutto il reame, ma senza seconda, aveva per lo
    spazio di quarantacinque anni esercitata influenza sì grande sopra
    le cose politiche della Inghilterra, come ai giorni nostri Parigi la
    esercita sopra quelle della Francia. Per istruzione, Londra superava
    grandemente qualunque altra parte del Regno. Un Governo sostenuto
    dalla città di Londra, poteva in un sol dì ottenere tali mezzi
    pecuniarii, che ci sarebbero bisognati de' mesi per raccoglierli da
    tutto il rimanente dell'isola. Nè i mezzi militari della metropoli
    erano da tenersi in dispregio. Il potere che i Lordi Luogotenenti
    esercitavano negli altri luoghi del Regno, era in Londra affidato ad
    una commissione di eminenti cittadini; sotto gli ordini della quale
    stavano dodici reggimenti di fanteria e due di cavalleria. Un'armata
    di giovani di mercatanti e di sarti, avente a capitani i consiglieri
    comunali, e a colonnelli gli Aldermanni, non avrebbe certo potuto
    sostenere l'impeto delle truppe regolari: ma pochissime erano allora
    nel Regno le regolari milizie. Una città, quindi, la quale, un'ora
    dopo lo avviso, poteva metter su venti mila uomini, forniti di
    coraggio naturale, provveduti di armi non cattive e non affatto
    ignari della militar disciplina, non poteva non essere un alleato
    importante e un formidabile nemico. Rammentava ciascuno come Hampden
    e Pym fossero dalla milizia civica di Londra stati protetti contro
    una sleale tirannide; come nella gran crisi della guerra civile i
    militi cittadini di Londra fossero andati a levare l'assedio dalla
    città di Gloucester; come nel movimento contro i tiranni militari,
    che seguì alla caduta di Riccardo Cromwell, la cittadina milizia di
    Londra avesse avuta importantissima parte. E davvero, non sarebbe
    troppo il dire, che se Carlo I non avesse avuta ostile la città, non
    sarebbe mai stato vinto, e che senza lo aiuto di quella Carlo II non
    sarebbe riasceso sopra il trono degli avi suoi.
    
    Queste considerazioni servano a dimostrare in che guisa, malgrado
    quelle attrattive che per tanti anni avevano a poco a poco chiamata
    l'aristocrazia verso la parte occidentale, pochi uomini d'alto grado
    seguitassero fino ad un'epoca non molto lontana(151) ad abitare
    nelle vicinanze della Borsa e del Guildhall. Shaftesbury e
    Buckingham, mentre facevano al Governo una opposizione aspra e senza
    scrupoli, pensarono che in nessun altro luogo avrebbero potuto
    condurre così bene e senza pericolo i loro intrighi, come sotto la
    protezione de' magistrati e della milizia della Città. E però
    Shaftesbury abitava in Aldersgate Street una casa che si può oggi
    facilmente riconoscere, ai pilastri e cordoni, opera leggiadra
    d'Inigo(152). Buckingham aveva ordinato che la sua abitazione presso
    Charing Cross, un tempo dimora degli arcivescovi di York, fosse
    demolita; e mentre ivi sorgevano le strade e i viali che portano
    tuttavia il nome di lui, elesse di abitare in Dowgate(153).
    
    XXIX. Nondimeno, queste erano rare eccezioni. Quasi tutte le nobili
    famiglie d'Inghilterra avevano da lungo tempo emigrato fuori le
    mura. Il distretto in cui rimaneva la maggior parte delle loro case
    cittadine, giace fra la città e que' luoghi che ora vengono
    considerati come cospicui. Pochi grandi uomini seguitarono a starsi
    ne' loro palagi ereditari fra lo Strand e il fiume. I solidi edifici
    tra il mezzodì e l'occidente di Lincoln's Inn Fields, la piazza di
    Covent Garden, Southampton Square, che oggi si chiama Bloomsbury
    Square, e King's Square in Soho Fields, che ora ha nome Soho Square,
    erano fra i luoghi più prediletti. I principi stranieri venivano
    condotti a visitare Bloomsbury Square come una delle maraviglie
    della Inghilterra(154). Soho Square, che era stato pure allora
    edificato, era pei nostri antichi argomento d'un orgoglio, al quale
    i posteri loro non vorranno partecipare. Lo avevano chiamato
    Monmouth Square finchè durò prospera la fortuna del Duca di
    Monmouth; e nel lato meridionale torreggiava il palazzo di lui. Il
    prospetto, comecchè senza grazia, era alto e riccamente(155) ornato.
    Sulle pareti degli appartamenti principali vedevansi sculture di
    frutti, fogliami e blasoni, ed erano tappezzati di serici drappi a
    ricamo(156). Ogni vestigio di tanta magnificenza da lungo tempo è
    scomparso, e in un quartiere un dì cotanto aristocratico, non si
    trova nessuna casa aristocratica. Poco più in là, a tramontana da
    Holborn, e lungo i campi da pascolo e da grano, sorgevano due
    rinomati palazzi, a ciascuno dei quali era annesso un vasto
    giardino. L'uno, in allora detto Southampton House, e di poi Bedford
    House, fu distrutto circa cinquanta anni sono per far luogo ad una
    nuova città, la quale adesso con le sue piazze, strade, e chiese
    occupa un vasto spazio, già famoso nel secolo decimosettimo per le
    pesche e le beccaccine. L'altro, chiamato Montague House, e celebre
    per gli affreschi e gli addobbi onde era adorno, pochi mesi dopo la
    morte di Carlo II fu bruciato fino alle fondamenta, e vi fu posto in
    sua vece un assai più magnifico edificio, detto anch'esso Montague
    House; il quale essendo stato da lungo tempo il sacrario di vari e
    preziosi tesori d'arte, di scienza e di letteratura, quali non
    trovavansi per innanzi raccolti sotto un solo tetto, ha da pochi
    anni dato luogo ad un edificio anche più magnifico(157).
    
    Più presso alla Corte, in un luogo chiamato Saint James Fields, era
    stato(158) di recente edificato Saint James's Square e Jermyn
    Street. La chiesa di San Giacomo era stata allora aperta per comodo
    degli abitanti di questo nuovo quartiere(159). Golden Square, dove
    nella susseguente generazione abitavano Lordi e Ministri di Stato,
    non era per anche incominciato. A dir vero, le sole abitazioni che
    si potessero vedere a tramontana di Piccadilly, erano tre o quattro
    solinghe e quasi rurali dimore, la più celebre delle quali era il
    sontuoso edificio eretto da Clarendon, e soprannominato Casa di
    Dunkerque. Dopo la caduta del suo fondatore, era stato comperato dal
    Duca d'Albemarle. Il palazzo Clarendon ed Albemarle Street serbano
    tuttavia la memoria del sito.
    
    Colui che in allora girovagava per quella che oggidì è la parte più
    celebre e gaia di Regent Street, trovavasi in una solitudine, e
    talvolta si reputava fortunato di potere tirare con l'archibugio a
    qualche beccaccia(160). A settentrione, la strada di Oxford era
    fiancheggiata da siepi. A cinque o seicento braccia verso mezzodì,
    sorgevano le mura de' giardini di poche grandi case, che
    consideravansi affatto fuori la città. Ad occidente eravi un prato
    famoso per una sorgente d'acqua, la quale, lungo tempo dopo, dette
    il nome a Conduit Street. Ad oriente eravi un campo, che nessun
    cittadino di Londra a que' tempi poteva traversare senza ribrezzo.
    Ivi, come in luogo deserto da ogni uomo, venti anni innanzi,
    allorquando la peste fece cotanta strage, era stata scavata una
    vasta fossa, dove i carri mortuari, di notte tempo, trasportavano
    cadaveri a centinaia. Il popolo credeva che la terra fosse così
    infetta sotto la sua superficie, da non potersi sommovore senza
    presentissimo pericolo per la vita degli uomini. Ivi non furono
    gettate alcune fondamenta, se non dopo che trascorsero due
    generazioni senza peste, e dopo che il luogo degli spettri era stato
    da lungo tempo circondato da edifizi(161).
    
    Cadremmo in grave errore ove supponessimo che alcuna delle vie e
    delle piazze allora avesse il medesimo aspetto in che oggi si vede.
    La maggior parte delle case, dopo quel tempo, sono state al tutto o
    quasi al tutto riedificate. Se le parti più cospicue della metropoli
    potessero mostrarsi agli occhi nostri nella forma che allora
    avevano, rimarremmo disgustati della loro squallida apparenza, ed
    attoscati dall'atmosfera malsana che le circondava. In Covent
    Garden, presso alle case de' grandi, giaceva un sudicio e romoroso
    mercato. Le fruttaiuole gridavano, i carrettieri azzuffavansi, torsi
    di cavoli e putride mele vedevansi a mucchi accanto alle porte delle
    case della contessa di Berkshire e del vescovo di Durham(162).
    
    Il centro di Lincoln's Inn Fields era uno spazio aperto, dove ogni
    sera ragunavasi la marmaglia, a pochi passi di Cardigan House e di
    Winchester House, ad ascoltare le cicalate de' saltimbanchi, a
    vedere ballar gli orsi, e lanciare i cani addosso ai buoi. Vedevansi
    qua e colà sparse le lordure. Vi si esercitavano i cavalli. Gli
    accattoni erano così chiassosi ed importuni, come nelle peggio
    governate città del continente. Mendicante di Lincoln's Inn era
    espressione proverbiale. Tutta la confraternita conosceva le armi e
    le livree d'ogni signore caritatevole del vicinato, e appena
    compariva il tiro a sei di sua signoria, saltellando o
    strascinandosi, gli si affollavano d'intorno. Cotesti disordini
    durarono, malgrado molti accidenti e alcuni procedimenti legali,
    fino a quando, nel regno di Giorgio II, Sir Giuseppe Jekyll maestro
    de' Rotoli, ovvero degli Atti, fu stramazzato a terra e pressochè
    morto in mezzo alla piazza. Allora vi si fecero delle palizzate e un
    piacevole giardino(163).
    
    Saint James's Square era il ricettacolo di tutta la mondiglia e
    delle ceneri, de' gatti e cani morti di Westminster. Ora un
    giuocatore di batacchio vi poneva la campana. Ora un impudente si
    piantava lì a costruire una casipola per la spazzatura, sotto le
    finestre dell'aurate sale in cui i magnati del Regno, i Norfolk, gli
    Ormond, i Kent e i Pembroke davano banchetti e feste da ballo. E'
    non fu se non dopo che siffatti inconvenienti erano durati per una
    generazione, e dopo che s'era molto scritto contro essi, che gli
    abitanti ricorsero al Parlamento, onde ottenere licenza di porvi
    steccati e piantarvi alberi(164).
    
    Se tali erano le condizioni dei quartieri dove abitavano i più
    cospicui cittadini, possiamo facilmente credere che la gran massa
    della popolazione patisse ciò che oggidì verrebbe reputato
    intollerabile aggravio. I selciati erano detestabili; ogni straniero
    gridava: vergogna! I condotti e le fogne erano sì cattivi, che ne'
    tempi piovosi i rigagnoli diventavano torrenti. Vari poeti giocosi
    hanno rammentata la furia con che cotesti neri fiumicelli
    precipitavano giù da Snow Hill e Ludgate Hill, trasportando a Fleet
    Ditch copioso tributo di lordure animali e vegetabili dai banchi de'
    macellaj e dei fruttaioli: fluido pestifero che veniva sparso a
    diritta e a sinistra da' cocchi e dalle carrette. E però, chiunque
    andava a piedi, badava in ogni modo a tenersi, più che potesse,
    lontano dalla parte carrozzabile della strada. I timidi e pacifici
    cedevano il muro agli audaci ed atletici, che lo rasentavano. Se
    avveniva che due bravazzoni s'incontrassero, si davano
    vicendevolmente i cappelli nel muso, e l'uno spingeva l'altro finchè
    il più debole era sbalzato verso il canale. Se questi era buono solo
    alle spacconate, se ne andava a capo chino, mormorando che sarebbe
    venuto il tempo di rifarsi; se era pugnace, l'incontro probabilmente
    terminava con un duello dietro Montague House(165).
    
    Le case non erano numerate. E davvero, poca sarebbe stata la utilità
    d'apporvi i numeri, poichè dei cocchieri, portantini, facchini e
    ragazzi di Londra, piccolissima parte sapeva leggere. Era mestieri
    servirsi di segni che dai più ignoranti fossero intesi. E però sulle
    botteghe stavano insegne, che davano alle strade uno aspetto gaio e
    grottesco. La via da Charing Cross a Whitechapel era una
    continuazione di teste di saracini, di querce reali, d'orsi azzurri,
    d'agnelli d'oro, i quali scomparvero allorquando non furono più
    necessari alla intelligenza del volgo.
    
    Venuta la sera, la difficoltà e il pericolo di andare attorno per la
    città di Londra diventavano veramente gravi. Aprivansi le finestre,
    e i vasi si votavano poco badando a chi vi passasse sotto. Le
    cadute, le ammaccature, le fratture d'ossa erano cose ordinarie.
    Imperocchè, fino all'ultimo anno del regno di Carlo II, la maggior
    parte delle vie rimanevano in un profondo buio. I ladri esercitavano
    impunemente il proprio mestiere; e nondimeno, non erano così
    terribili ai pacifici cittadini, come lo era un'altra genía di
    ribaldi. Era prediletto sollazzo de' dissoluti giovani gentiluomini
    quello di girovagare di notte per la città, rompere finestre,
    capovolgere sedili, battere le persone tranquille, e carezzare
    grossolanamente le donne leggiadre. Parecchie dinastie di cotesti
    tirannelli, dopo la Restaurazione, regnavano nelle strade. I così
    detti Muns e i Tityre Tus avevano fatto posto agli Hectors, e a
    questi avevano di recente succeduto gli Scourers. Più tardi sorsero
    i Nicker, gli Hawcubite e i Mohawk, più terribili di tutti(166).
    
    XXX. I mezzi per mantenere la pace erano estremamente frivoli. Eravi
    una legge fatta dal Consiglio Municipale, che prescriveva come cento
    e più sentinelle stessero in continua vigilanza per tutta la città,
    dal tramonto allo spuntare del sole; ma rimaneva negletta. Pochi di
    coloro ai quali toccava di far la guardia, lasciavano la propria
    casa; e que' pochi, generalmente, gradivano meglio stare ad
    ubbriacarsi dentro le taverne, che girare per le vie.
    
    XXXI. È d'uopo notare come, nell'ultimo anno del regno di Carlo II,
    nella polizia di Londra seguisse un gran mutamento, il quale forse
    non meno de' rivolgimenti di maggior fama contribuì ad accrescere la
    felicità del popolo. Un ingegnoso progettista, che aveva nome
    Eduardo Heming, ottenne lettere patenti con cui gli si concedeva per
    dieci anni il diritto esclusivo d'illuminare Londra. Costui
    intraprese, per una modica retribuzione, di porre una lanterna per
    ogni dieci porte, nelle sere prive di luna, dal dì di San Michele
    fino alla festa della Madonna, e dalle ore sei fino alle dodici.
    Coloro che oggimai veggono la metropoli per tutto l'anno, dalla sera
    fino all'alba, chiarificata da uno splendore, in paragone del quale
    le illuminazioni per la Hogue e Blenheim sarebbero sembrate pallide,
    sorrideranno forse in pensare alle lanterne di Heming, le quali
    mandavano un fioco lume innanzi una casa in ogni dieci, per piccola
    parte di una notte in ogni tre. Ma non così pensavano i suoi
    contemporanei. Il suo disegno suscitò plausi entusiastici, e furiose
    opposizioni. Gli amatori del progresso lo esaltavano come il
    grandissimo dei benefattori della città sua, chiedendo che erano mai
    i trovati d'Archimede in agguaglio della impresa dell'uomo il quale
    aveva trasformate le ombre della notte in luce di meriggio! In onta
    a tali eloquenti elogi, la causa dell'oscurità non rimase priva di
    difensori. In quell'età v'erano insani che avversavano la
    introduzione di quella che chiamavasi nuova luce con tanta
    virulenza, con quanta gl'insani de' tempi nostri hanno avversato lo
    innesto del vaiuolo e le strade ferrate, e gl'insani d'una età
    anteriore si erano opposti alla introduzione dell'aratro e della
    scrittura alfabetica. Molti anni dopo le lettere patenti concesse a
    Heming, v'erano vasti distretti in cui non vedevasi nè anche una
    lanterna(167).
    
    XXXII. Possiamo agevolmente immaginare in che condizioni, a quel
    tempo, fossero i quartieri di Londra popolati dalla feccia della
    società. Uno fra essi aveva acquistata scandalosa rinomanza. Sul
    confine tra la Città ed il Tempio, era stato fondato, nel secolo
    decimoterzo, un convento di frati Carmelitani, che portavano bianchi
    cappucci. Il ricinto di quel convento, avanti la Restaurazione,
    aveva servito d'asilo ai facinorosi, e serbava tuttavia il
    privilegio di proteggere dall'arresto i debitori. Gl'insolventi
    quindi occupavano ogni casa dalle cantine fino alle soffitte. Di
    costoro, moltissimi erano ribaldi e libertini; e nell'asilo tenevano
    loro dietro donne più che essi di malvagia vita. La potestà civile
    non aveva modo di mantenere l'ordine in un distretto che brulicava
    di cosiffatti abitatori; e in tal guisa Whitefriars divenne il luogo
    prediletto di coloro che volevano emanciparsi dal freno delle leggi.
    E comecchè le immunità legalmente pertinenti al luogo riguardassero
    soltanto i casi di debiti, vi trovavano ricovero anche essi i
    truffatori, i testimoni spergiuri, i falsari, i ladroni. Per lo che,
    fra mezzo a così disperata marmaglia, nessuno officiale di pace si
    teneva sicuro della vita. Al grido di "Riscossa!" sgherri armati di
    spade e magli, sfacciate streghe impugnando manichi di granata e
    spiedi, sbucavano a centinaia, e fortunato colui che percosso,
    strappato, annaffiato, avesse potuto salvarsi a Fleet Street. Nè
    anche un ordine del Capo Giudice d'Inghilterra poteva mandarsi ad
    esecuzione senza lo aiuto d'una compagnia di moschettieri. Cotali
    avanzi della barbarie di secoli più bui, trovavansi a pochi passi
    dalle stanze dove Somers meditava sulla storia e sulle leggi, dalla
    chiesa dove predicava Tillotson, dalla bottega da caffè dove Dryden
    profferiva giudicii sopra poemi e drammi, e dalla sala dove la
    Società Reale esaminava il sistema astronomico di Newton(168).
    
    XXXIII. Ciascuna delle due città che formavano la capitale
    dell'Inghilterra, aveva il proprio centro d'attrazione. Nella
    metropoli del commercio, il punto di convergenza era la Borsa; nella
    metropoli dell'alta cittadinanza, era il Palazzo. Ma il Palazzo non
    serbò la propria influenza così lungamente come la Borsa. La
    Rivoluzione cangiò affatto le relazioni tra la Corte e le alte
    classi della società. A po' per volta, divenne manifesto che il Re,
    come individuo, aveva ben poco da donare; che le corone ducali e le
    giarrettiere, i vescovati e le ambascerie, gl'impieghi di lordi del
    tesoro e di cassiere dello scacchiere, anzi fino gli uffici della
    scuderia e della camera reale, venivano dispensati non da lui, ma
    dai suoi consiglieri. Ogni ambizioso e cupido uomo vedeva che
    avrebbe meglio provveduto all'utile proprio, giungendo a predominare
    in un borgo parlamentare nella Contea di Cornwal, e rendendo servigi
    al Ministero in qualche momento difficile, anzichè diventare il
    compagno e anche il prediletto del principe. E quindi, non nelle
    anticamere di Giorgio I e di Giorgio II, ma in quelle di Walpole e
    di Pelham affollavansi quotidianamente i cortigiani. È parimente da
    notarsi, che la medesima rivoluzione che rese impossibile ai nostri
    Re l'arbitrio di disporre degl'impieghi dello Stato col solo scopo
    di compiacere alle proprie inclinazioni, ci diede parecchi Re dalla
    educazione e dalle abitudini resi inetti a mostrarsi ospiti affabili
    e generosi. Erano nati e cresciuti sul continente. Venuti nell'isola
    nostra, non vi si trovavano mai come in casa propria. Se parlavano
    la nostra lingua, la parlavano senza eleganza e con difficoltà. Non
    giunsero mai ad intendere l'indole nostra nazionale, e nè anche
    provaronsi di acquistare i nostri costumi. La parte più importante
    de' loro doveri essi adempivano meglio di qualunque de' principi
    loro antecessori; poichè governavano rigorosamente secondo la legge:
    ma non potevano essere i primi gentiluomini del reame, i capi della
    società culta. Se pure lasciavansi mai andare alla affabilità, ciò
    seguiva fra mezzo ad una ristretta conversazione, dove non vedevasi
    quasi neppure un Inglese; e non riputavansi tanto felici, se non se
    quando potevano passare una state nella terra dove erano nati.
    V'erano, a dir vero, i giorni determinati in cui essi ricevevano i
    nobili e i gentiluomini inglesi; ma siffatto ricevimento altro non
    era che mera formalità, la quale alla perfine divenne cerimonia
    solenne quanto quella di un funerale.
    
    Non era tale la Corte di Carlo II. Whitehall, mentre egli vi faceva
    dimora, era il centro degl'intrighi politici e del brio elegante.
    Mezzi i faccendieri e mezzi i bellimbusti della metropoli
    accorrevano alle sue sale. Chiunque fosse riuscito a rendersi
    gradito al principe, o a guadagnare la protezione della concubina,
    poteva bene sperare d'innalzarsi nel mondo, senza aver reso alcun
    servigio al Governo, senza essere, nè anche di vista, conosciuto da
    nessuno de' Ministri di Stato. Uno de' cortigiani otteneva il
    comando d'una fregata; l'altro quello d'una compagnia di soldati; un
    terzo la grazia per un colpevole ricco; un quarto la cessione d'una
    terra della Corona a buoni patti. Se il Re mostrava di gradire che
    un legale senza clientela fosse fatto giudice, o un baronetto
    libertino fosse creato Pari, i più gravi consiglieri, dopo un breve
    mormorare, piegavano il capo(169). L'interesse, quindi, attirava
    alle porte della reggia una folla di postulanti; e le porte
    rimanevano sempre spalancate. Il Re teneva casa aperta ogni giorno,
    e per tutta la giornata, alle classi alte della città di Londra,
    tranne agli esagerati del partito Whig. Non v'era gentiluomo che
    trovasse difficile lo accesso alla presenza del sovrano. La levata
    dal letto (levee) rispondeva esattamente al significato del
    vocabolo. Parecchi gentiluomini andavano ogni mattina a corteggiare
    il loro signore, a chiacchierare con esso mentre gli ponevano la
    parrucca o gli annodavano la cravatta, e ad accompagnarlo nella sua
    passeggiata mattinale nel parco. Chiunque fosse stato debitamente
    presentato, poteva, senza invito speciale, recarsi a vederlo
    pranzare, cenare, ballare e sollazzarsi ai giochi di sorte; e poteva
    avere il diletto di udirgli riferire storielle, ch'egli sapeva assai
    bene raccontare, intorno alla sua fuga da Worcester, e alla miseria
    che egli aveva patita, mentre trovavasi prigioniero di Stato nelle
    mani dei piagnolosi e intriganti predicatori di Scozia. Coloro che
    gli stavano d'intorno, e che la Maestà Sua sovente riconosceva, gli
    si facevano presso, perchè dirigesse loro la parola. Ciò era
    argomento d'un'arte di regnare assai più proficua di quella che il
    padre e l'avo di lui avevano praticata. Non era facile al più
    austero repubblicano della scuola di Marvel resistere alla malía di
    tanto buon umore ed affabilità; e molti vecchi Cavalieri, nel cuore
    de' quali la rimembranza di molti non rimeritati sacrifici si era
    per venti anni invelenita, tenevansi in un sol momento ricompensati
    delle ferite e delle spoliazioni, quando il loro sovrano,
    salutandoli cortesemente col capo, diceva loro: "Dio vi tenga nella
    sua santa guardia, mio vecchio amico!"
    
    Whitehall naturalmente divenne il principale scaricatoio di tutte le
    nuove. Vociferandosi ivi che qualche cosa d'importante fosse seguíta
    o per seguire, le genti vi accorrevano, come a fonte precipua,
    frettolose per informarsene. Le gallerie avevano l'aspetto della
    sala d'un circolo odierno in tempi d'agitazione. Rigurgitavano di
    persone chiedenti se la valigia olandese fosse arrivata, quali nuove
    avesse recate il corriere dalla Francia, se Giovanni Sobiesky avesse
    sconfitti i Turchi, se il Doge di Genova fosse veramente in Parigi.
    E queste erano cose, intorno alle quali poteva con tutta sicurtà
    parlarsi ad alta voce. Ma v'erano subietti intorno ai quali si
    domandava e rispondeva bisbigliando. Aveva Halifax avuto vantaggio
    sopra Rochester? Vi sarebbe egli un Parlamento? Il Duca di York
    sarebbe egli andato davvero in Iscozia? Il Duca di Monmouth era
    positivamente stato richiamato dall'Aja? Ciascuno studiavasi di
    leggere in viso ai Ministri, mentre traversavano la folla per
    entrare o uscire dalle stanze del Re. Augurii d'ogni specie
    facevansi, a seconda del tono con che la Maestà Sua parlava al Lord
    Presidente, o del riso con che Sua Maestà onorava una frase
    scherzevole detta dal Lord del Sigillo Privato; e in poche ore, le
    speranze e i timori nati da tali leggierissimi indizi, si spandevano
    per tutte le botteghe da caffè, da San Giacomo fino alla Torre(170).
    
    XXXIV. La bottega da caffè va anch'essa rapidamente rammentata, come
    quella che in quei tempi poteva non impropriamente considerarsi
    istituzione politica importantissima. Il Parlamento era chiuso da
    parecchi anni. Il Consiglio Municipale della città aveva cessato di
    parlare, esprimendo il pubblico sentire. Le ragunanze, le arringhe,
    le deliberazioni pubbliche, e tutti gli altri mezzi che oggidì
    servono a produrre l'agitazione, non erano per anche in uso. Nulla
    esisteva che somigliasse le moderne gazzette. In tali circostanze,
    le botteghe da caffè erano gli organi precipui, per mezzo de' quali
    manifestavasi la pubblica opinione della metropoli.
    
    La prima di tali botteghe era stata aperta a tempo della repubblica
    da un mercatante della Turchia, il quale fra i Maomettani aveva
    preso l'uso della loro prediletta bevanda. La comodità di potere
    avere convegni in ogni parte della città, e passare le serate
    socievolmente a poco costo, era così grande, che la moda con
    rapidità si diffuse. Ciascun uomo delle classi alte o delle medie
    andava giornalmente al suo caffè per raccogliere nuove e discutervi
    sopra. Ciascun caffè aveva uno o più oratori, alla cui eloquenza la
    folla, compresa d'ammirazione, prestava ascolto, e i quali tosto
    divennero ciò che i giornalisti sono stati chiamati ai nostri tempi;
    vale a dire il quarto Stato del Regno. La Corte aveva da lungo tempo
    con inquietudine veduto crescere questo nuovo potere nello Stato.
    Sotto l'amministrazione di Danby, s'era fatto un tentativo di
    chiudere le botteghe da caffè. Ma gli uomini di tutti i partiti
    desideravano cotesti consueti luoghi di ritrovo, talmente che ne
    nacquero clamori universali. Il Governo non rischiossi, avversando
    un sentimento cotanto forte e generale, a rinvigorire un ordine la
    cui legalità poteva porsi in questione. Da quel tempo erano scorsi
    dieci anni, duranti i quali il numero dei caffè era sempre venuto
    crescendo. Gli stranieri notavano che la bottega da caffè era quella
    che distingueva Londra dalle altre città; che la bottega da caffè
    era la casa del Londrino; e che coloro i quali avessero voluto
    trovare un gentiluomo, comunemente dimandavano, non dove egli
    abitava in Fleet Street o in Chancery Lane, ma se egli frequentava
    il Grecian e il Rainbow. Da cotesti luoghi non veniva escluso
    nessuno che ponesse sul banco la sua moneta. Nulladimeno, ogni grado
    e professione, ogni opinione politica e religiosa, aveva il proprio
    quartiere generale. Vi erano botteghe presso Saint James's Park,
    nelle quali ragunavansi i zerbinetti con le teste e le spalle
    coperte da parrucche nere o di lino, non meno ampie di quelle che
    adesso portano il Cancelliere e il Presidente della Camera de'
    Comuni. La parrucca era venuta da Parigi, insieme con gli altri
    belli ornamenti da gentiluomo; cioè la veste ricamata, i guanti
    ornati di frangie e la nappa che sosteneva le brache. Nel conversare
    usavasi quel dialetto, il quale, lungo tempo dopo che era sparito
    dalle labbra della gente educata, continuò, su quelle di Lord
    Foppington, a muovere a riso gli spettatori in teatro(171).
    L'atmosfera era simile a quella della bottega d'un profumiere. Il
    tabacco, se non mandava squisitissimo odore, era tenuto in abominio.
    Se qualche villano, ignaro delle usanze della bottega, chiedeva una
    pipa, gli scherni della intera assemblea, e le risposte brevi de'
    ragazzi, tosto lo persuadevano come gli tornasse meglio andarsene
    altrove. Nè gli toccava a fare lungo cammino. Imperocchè,
    generalmente, nelle botteghe da caffè il fumo del tabacco vedevasi
    come ne' corpi di guardia; e gli stranieri alcuna volta
    manifestavano la loro sorpresa, vedendo come tanta gente lasciasse i
    propri focolari per starsi ravvolta fra il puzzo e la nebbia
    perpetua. In nessun luogo fumavasi più di quel che si facesse nel
    caffè Will. Questa celebre bottega, posta tra Covent Garden e Bow
    Street, era dedicata agli studi leggiadri. Quivi ragionavasi intorno
    a cose poetiche, e alle unità così dette aristoteliche del dramma.
    Ivi era un partito a favore di Perrault e de' moderni, e un altro
    che difendeva Boileau e gli antichi. In un gruppo si discuteva se il
    Paradiso Perduto avrebbe dovuto essere scritto in versi rimati. Ad
    un altro, un invido poetastro dimostrava che la Venezia Salvata di
    Otway avrebbe dovuto essere cacciata a fischi dalla scena. Non v'era
    tetto sotto il quale fosse maggior varietà di figure. Conti ornati
    di stelle e di giarrettiere, ecclesiastici in collaretto e sottana,
    petulanti legali, giovinetti di università inesperti, traduttori e
    fattori d'indici in lacero arnese. Ciascuno sforzavasi di penetrare
    nel gruppo che s'affollava intorno a Giovanni Dryden. Nell'inverno,
    la sedia dove egli adagiavasi, era nel canto più caldo presso al
    cammino; nella state era posta sul balcone. Fargli un inchino, udire
    la sua opinione intorno all'ultima tragedia di Racine, o al trattato
    di Bossu sopra la poesia epica, reputavasi un insigne favore. Una
    presa della sua tabacchiera era onore bastevole a dar la volta al
    cervello d'un giovine entusiasta. Vi erano botteghe da caffè dove
    potevano consultarsi i medici più rinomati. Il dottore Giovanni
    Radcliffe, il quale nel 1685 aveva la più numerosa clientela di
    Londra, dalla sua casa posta in Bow Street, luogo a que' tempi in
    voga nella capitale, andava giornalmente, nell'ora in cui era più
    popolata la Borsa, al caffè di Garraway, dove sedeva innanzi ad una
    tavola distinta, circondato da chirurgi e da farmacisti. Vi erano
    botteghe da caffè puritane, dove non udivasi una bestemmia, e dove
    gli uomini dai lisci capelli discutevano parlando col naso intorno
    agli eletti e ai reprobi: caffè per gli ebrei, dove i cambia-monete
    dagli occhi neri, di Venezia o d'Amsterdam, salutavansi
    vicendevolmente; e caffè papisti, dove, secondo che i buoni
    protestanti credevano, i Gesuiti(172) con le tazze in mano facevano
    disegni d'un altro grande incendio, e di fondere palle d'argento per
    uccidere il Re(173).
    
    Il modo d'accomunarsi siffattamente non contribuì poco a formare il
    carattere del cittadino di Londra in que' giorni. Veramente, egli
    era un essere ben diverso dall'Inglese abitante della campagna.
    Allora non esisteva la relazione che adesso si vede fra le due
    classi. Solo gli uomini assai ricchi avevano il costume di passare
    mezzo l'anno in città e mezzo in villa. Pochi scudieri andavano alla
    metropoli tre volte in tutta la loro vita. Nè i cittadini agiati
    avevano ancora il costume di respirare la fresca aria de' campi e
    dei boschi per parecchi giorni della stagione estiva. Un vero
    Londrino(174), mostrandosi in qualche villaggio, veniva guardato con
    maraviglia, quasi si fosse intruso fra mezzo un Kraal di Ottentoti.
    Dall'altro canto, quando un signore delle Contee di Lincoln o di
    Shrop appariva in Fleet Street, di leggieri distinguevasi fra la
    popolazione della città, come un Turco o un Lascaro. Il vestire, lo
    andare, l'accento, il modo onde egli guardava ammirando le botteghe,
    inciampava ne' rigagnoli, s'imbatteva ne' facchini, e rimaneva sotto
    le grondaie, lo additavano come ottima preda ai truffatori ed ai
    beffardi. I bravazzoni lo spingevano fin nel canale, i cocchieri lo
    inzaccheravano dal capo ai piedi. I ladroncelli esploravano con
    piena sicurtà le vaste tasche del suo abito da cavalcare, mentre
    egli ammirava estatico lo splendido corteo del Lord Gonfaloniere.
    Gli scrocconi, ancora indolenziti dalle staffilate ricevute per
    ordine della Giustizia dietro la coda d'un cavallo, si presentavano
    a lui, e gli parevano i più onesti e cortesi gentiluomini ch'egli
    avesse(175) mai veduti. Donne col viso impiastrato, rifiuto di
    Lewkner Lane e di Whetstone Park, gli si spacciavano per contesse e
    dame di Corte. Se domandava della via che conduceva a San Giacomo,
    lo dirigevano a Mile End. Se entrava in una bottega, subito veniva
    giudicato come un facile compratore di tutte quelle cose che non si
    sarebbero potute vendere ad altri, di ricami di seconda mano,
    d'anelli di rame, e d'oriuoli che non segnavano le ore. Se entrava
    in qualche bottega da caffè di moda, diventava lo zimbello
    degl'insolenti bellimbusti, e de' gravi legali. Pieno di vergogna e
    di rabbia, faceva tosto ritorno alle proprie terre, dove negli
    omaggi de' suoi affittaioli e nel consorzio de' suoi compagni,
    trovava conforto alle vessazioni ed umiliazioni sofferte. Ivi si
    sentiva ridivenuto grande uomo, e non vedeva nulla al di sopra di
    sè, tranne quando nel tribunale sedevasi al banco accanto al
    giudice, o quando alla rivista della milizia cittadina salutava il
    Lord Luogotenente.
    
    XXXV. La cagione precipua che rendeva così imperfetta la fusione de'
    diversi elementi sociali, era la estrema difficoltà che i nostri
    antenati incontravano di andare da un luogo ad un altro. Fra tutte
    le invenzioni, tranne le lettere alfabetiche e l'arte della stampa,
    quelle che abbreviano le distanze hanno principalmente cooperato ad
    incivilire il genere umano. Ogni miglioramento dei mezzi di
    locomozione, giova all'umanità moralmente e intellettualmente, non
    che materialmente; e non solo agevola lo scambio de' vari prodotti
    della natura e dell'arte, ma tende a distruggere le nazionali e
    provinciali antipatie, ed avvincolare in una tutte le classi della
    umana famiglia. Nel secolo diciassettesimo, gli abitanti di Londra
    erano, per ogni negozio pratico, più discosti da Edimburgo, di
    quello che oggi siano da Vienna.
    
    I sudditi di Carlo II non erano, egli è vero, affatto ignari di quel
    principio, il quale ai tempi nostri ha prodotto un rivolgimento
    senza esempio nelle cose umane, il quale ha fatto sì che le navi
    sfidino il vento e le onde marine, e i battaglioni, accompagnati da
    bagagli ed artiglierie, traversino i Regni con un passo eguale a
    quello del più veloce corsiero. Il Marchese di Worcester aveva pur
    allora osservata la potenza dell'umido rarefatto dal calore. Dopo
    molti esperimenti, gli era riuscito di costruire una rozza macchina
    a vapore, ch'egli chiamò macchina d'acqua bollente, e giudicò essere
    maraviglioso e vigorosissimo strumento di propulsione(176). Ma il
    Marchese era sospettato di pazzia, e conosciuto come papista. E però
    le sue invenzioni non furono bene accolte. La sua macchina a vapore
    potè forse essere stata subietto di conversazione in una adunanza
    della Società Reale, ma non fu applicata ad alcuno uso pratico. Non
    v'erano guide lungo le strade, salvo poche fatte di legname, dalle
    miniere di carbone del Northumberland fino alle sponde del
    Tyne(177). Nelle contrade interiori, piccolissime erano le
    comunicazioni fluviali. Pochi tentativi erano stati fatti a rendere
    più profonde ed arginare le correnti naturali, ma con poco buon
    esito. Non si era nè anche progettato un canale navigabile.
    Gl'Inglesi di que' tempi avevano costume di favellare con maraviglia
    mista alla disperazione intorno all'immenso fosso, per mezzo del
    quale Luigi XIV aveva congiunto l'Atlantico col Mediterraneo. Erano
    ben lungi dal pensare che la patria loro, nel corso di poche
    generazioni, sarebbe stata intersecata, a spese di intraprenditori
    privati, da fiumi artificiali, equivalenti per lunghezza ad una
    estensione quattro volte maggiore del Tamigi, del Savern e del Trent
    insieme congiunti.
    
    XXXVI. Egli era per le strade maestre che gli uomini e le robe
    passavano da luogo a luogo; e sembra che tali strade fossero in
    peggiori condizioni di quello che si sarebbe potuto aspettare dal
    grado di civiltà ed opulenza cui era in allora pervenuta la nazione.
    Nelle migliori linee di comunicazione, i solchi delle ruote erano
    profondi, le discese precipitose, e la via spesso tale da potersi al
    buio poco distinguere dallo scopeto e dal pantano onde era
    fiancheggiata da ambe le parti. L'antiquario Ralph Thoresby corse
    pericolo di smarrire il cammino sulla strada del nord tra Barnby
    Moor e Tuxford, come lo aveva smarrito tra Doncaster e York(178).
    Pepys, che viaggiava con la moglie nella propria carrozza, perdè il
    cammino tra Newbury e Reading. Seguitando il medesimo viaggio, si
    smarrì presso Salisbury; e corse rischio di passare tutta la notte a
    cielo scoperto(179). Solo nella buona stagione la strada era
    praticabile da veicoli a ruote. Spesso la mota vedevasi accumulata a
    diritta ed a mancina, altro non rimanendo che un angusto tratto di
    terreno solido sul pantano(180). In quel tempo frequenti erano
    gl'impedimenti e le risse, e il sentiero sovente rimaneva impedito
    dai vetturini, nessuno dei quali voleva andare innanzi. Seguiva
    quasi giornalmente, che le carrozze rimanessero impigliate nel fango
    finchè potessero, in qualche fattoria vicina, trovarsi de' buoi a
    tirarnele fuori. Ma nel tempo cattivo, al viaggiatore toccava
    d'imbattersi in difficoltà anche più gravi. Thoresby, che aveva
    costume di recarsi da Leeds alla capitale, nel suo Diario ha fatto
    ricordo di tanti perigli e disastri, da non essere esagerati in un
    viaggio al Mare Gelato o al Deserto di Sahara. Una volta egli seppe
    che il paese tra Ware e Londra era tutto innondato, che i
    passeggieri erano stati costretti a nuotare onde scampare la vita, e
    che un rivenditore era morto tentando di traversare la via. Per tali
    nuove Thoresby lasciò da parte la strada, e fu condotto traverso a
    certi prati, dove gli fu mestieri cavalcare nell'acqua che gli
    arrivava alla sella(181). In un altro viaggio, mancò poco ch'egli
    non venisse trasportato dall'impeto delle onde traripate del Trent.
    Poi fu ritenuto quattro giorni a Stamford per la condizione delle
    strade, ed in fine rischiossi a ripigliare il cammino, perchè gli fu
    dato accompagnarsi a quattordici rappresentanti della Camera de'
    Comuni, i quali recavansi in corpo al Parlamento, con numeroso
    stuolo di guide e di servi(182). Nello stradale della Contea di
    Derby, i viaggiatori stavano sempre in pericolo di rompersi il
    collo, e spesso erano costretti a smontare e condurre le loro
    cavalcature(183). La grande strada traverso al paese di Galles a
    Holyhead, era in condizioni tali, che, nel 1685, un vicerè che
    andava in Irlanda, consumò cinque ore di tempo a percorrere
    quattordici miglia, da Saint Asaph fino a Conway. Tra Conway e
    Beaumaris gli fu forza di camminare a piedi per lungo tratto di
    strada, mentre la sua moglie veniva portata in lettiga. Il suo
    cocchio lo seguiva trasportato con gran difficoltà da molte braccia.
    Generalmente, i carriaggi arrivavano in pezzi a Conway, ed erano
    trasportati sopra le vigorose spalle de' contadini gallesi a Menai
    Straits(184). In alcuni luoghi di Kent e di Sussex, nessun animale,
    fuorchè i più forti cavalli, poteva valicare su per la mota, nella
    quale affondava ad ogni passo. I mercati spesso rimanevano
    inaccessibili per parecchi mesi. Vuolsi che i frutti della terra si
    lasciassero talvolta imputridire in un luogo, mentre in un altro,
    poche miglia discosto, i prodotti locali non bastavano al bisogno. I
    carri a ruote in cotesto distretto, comunemente, erano trascinati da
    buoi(185). Allorquando il principe Giorgio di Danimarca visitò in
    tempo di pioggia il magnifico castello di Petworth, spese sei ore a
    far nove miglia di cammino; e fu mestieri che un branco di robusti
    villani fiancheggiasse da ambi i lati il cocchio onde puntellarlo.
    Parecchi de' carriaggi che lo seguivano, furono capovolti e
    danneggiati. Si conserva una lettera di uno de' gentiluomini che lo
    accompagnavano, nella quale lo sventurato cortigiano si duole, come
    per quattordici ore non gli fosse stato concesso di smontare, tranne
    quando la sua carrozza venisse capovolta, o rimanesse fitta nel
    fango(186).
    
    Una delle cagioni precipue della pessimità delle strade, pare che
    stesse nel difetto di provvisioni legislative. Ciascuna parrocchia
    era tenuta a riattare le strade maggiori che la traversavano. I
    contadini erano costretti a lavorarvi gratuitamente per sei giorni
    dell'anno. Se ciò non bastava, adoperavansi lavoranti a pago, e
    provvedevasi alla spesa con contribuzioni imposte a tutti i
    parrocchiani. È cosa manifestamente ingiusta che una via, la quale
    congiunga due grandi città esercenti in larga misura uno scambievole
    e proficuo traffico, venga mantenuta a spese della popolazione
    sparsa fra esse; e tale ingiustizia rendevasi più visibile nel caso
    della gran via del Nord, che traversando poverissimi e poco popolati
    distretti, congiungeva distretti assai popolati e ricchissimi. A
    vero dire, le parrocchie della Contea di Huntingdon(187) non
    potevano riattare una strada consunta dal continuo traffico tra il
    West Riding della Contea di York e Londra. Tosto dopo la
    Restaurazione, questa gravezza richiamò a sè l'attenzione del
    Parlamento; e passò una legge, - una delle tante concernenti simile
    subietto, - che imponeva un lieve pedaggio sui viaggiatori e sulle
    robe, a fine di tenere in buona condizione alcune parti di questa
    importante strada(188). Tale innovazione, nondimeno, eccitò molti
    clamori; e le altre grandi vie che conducevano alla capitale,
    rimasero lungo tempo dopo sotto il vecchio sistema. In fine seguì un
    cangiamento, ma non senza gravi difficoltà. Imperocchè le tasse
    ingiuste ed assurde alle quali gli uomini sono assuefatti, spesso si
    sopportano assai meglio che le imposte più ragionevoli novellamente
    decretate. E' non fu se non dopo che molte sbarre di pedaggio furono
    violentemente abbattute, e le milizie in molti distretti costrette
    ad intervenire contro il popolo, e non poco sangue fu sparso, che
    potè introdursi un buon sistema(189). A lenti passi la ragione vinse
    il pregiudizio; ed oggimai l'isola nostra per ogni verso è
    traversata da circa trenta mila miglia di strade regie.
    
    Per le migliori strade, nel tempo di Carlo II, le cose pesanti
    generalmente erano da luogo a luogo traportate sopra vagoni da
    viaggio. Sui pagliericci di cotesti veicoli adagiavasi una folla di
    viandanti, che non avessero mezzi di andare in carrozza o a cavallo,
    e ai quali la infermità o il peso de' loro bagagli impedisse di
    camminare a piedi. Enorme era la spesa. per trasportare in tal modo
    le robe pesanti. Da Londra a Birmingham, pagavasi sette lire
    sterline per ogni tonnellata(190): lo che equivaleva a quindici
    soldi la tonnellata per miglio; più del terzo di quel che poscia
    costava il trasporto per le strade regie, e quindici volte più di
    quello che oggi si spende per le vie ferrate. Il costo del trasporto
    per molti generi d'uso comune, equivaleva ad una tassa proibitiva.
    In ispecie il carbone non vedevasi altrove che nei distretti ai
    quali poteva essere trasportato per mare; e diffatti, comunemente
    chiamavasi nel mezzodì dell'Inghilterra, carbone di mare.
    
    Nelle strade minori, e generalmente per le contrade settentrionali
    di York e per le occidentali di Exeter, il trasporto eseguivasi da
    lunghi traini di cavalli da basto. Questi vigorosi e pazienti
    animali, la cui razza oggidì è estinta, erano condotti da una genia
    d'uomini, che parrebbero molto somiglievoli ai mulattieri di Spagna.
    Un viandante d'umile condizione spesso trovava conveniente eseguire
    un viaggio, montato sul basto d'un cavallo tra due ceste o fagotti,
    sotto la cura di cotali robuste guide. Lieve era la spesa di
    siffatto modo d'andare: ma la caravana muovevasi con la lentezza de'
    pedoni; e in tempo di verno, il freddo sovente riusciva
    insoffribile(191).
    
    I ricchi per lo più viaggiavano nelle loro carrozze, tirate almeno
    da quattro cavalli. Il faceto poeta Cotton si provò di andare da
    Londra al Peak con un solo paio; ma giunto a Saint Albans, trovando
    il viaggio insopportabilmente noioso, cangiò pensiero(192). Un
    cocchio a sei cavalli non si vede più al tempo nostro, tranne come
    apparato di lusso. E però il vedere di frequente rammentare nei
    vecchi libri quella specie d'equipaggi, ci potrebbe indurre in
    errore, attribuendo a magnificenza ciò che veramente era lo effetto
    d'una spiacevole necessità. La gente, nel tempo di Carlo II,
    viaggiava con sei cavalli, perchè con meno, il cocchio correva
    pericolo di rimanere fitto nella mota. Nè anche sei cavalli
    servivano sempre. Vambrugh, nella generazione susseguente, descrisse
    con molto spirito il modo con che un gentiluomo di provincia, eletto
    per la prima volta deputato al Parlamento, recavasi a Londra. In
    tale congiuntura, tutti gli sforzi di sei bestie, due delle quali
    erano state tolte all'aratro, non potevano salvare il cocchio di
    famiglia dal rimanere fitto nei pantani.
    
    XXXVII. Le pubbliche vetture erano state pur allora molto
    migliorate. Negli anni che susseguirono alla Restaurazione, una
    diligenza metteva due giorni ad andare da Londra ad Oxford. I
    passeggieri dormivano a Beaconsfield. Finalmente, nella primavera
    del 1669, fu tentata una grande e ardimentosa innovazione. Venne
    annunziato, come un veicolo, che fu chiamato il Cocchio Volante,
    eseguirebbe l'intero viaggio dal nascere al tramonto del sole.
    Cotesta ardita impresa venne esaminata e sanzionata dai capi della
    Università, e sembra che svegliasse la medesima specie d'interesse
    che fa nascere ai di nostri l'apertura d'una nuova strada ferrata.
    Il vice-cancelliere, con un avviso affisso in tutti i luoghi
    pubblici, prescrisse l'ora e il punto della partenza. L'esito fu
    assai prospero. Alle ore sei della mattina, la vettura si mosse
    dall'antica facciata del Collegio d'Ognissanti; ed alle sette della
    sera, gli avventurosi gentiluomini, che primi eransi esposti al
    pericolo, giunsero sani e salvi alla loro locanda in Londra(193). La
    università di Cambridge si mosse ad emulare la sorella; e subito fu
    messa su una diligenza, la quale in una giornata da quivi
    trasportava i passeggieri alla capitale. Alla fine del regno di
    Carlo II, simiglianti velociferi andavano tre volte la settimana da
    Londra alle città principali. Ma non sembra che alcuna carrozza, o
    alcun vagone da viaggio a tramontana andasse oltre York, e ad
    occidente oltre Exeter. L'ordinario spazio che un velocifero
    percorreva in un giorno, era di circa cinquanta miglia in estate; ma
    in inverno, essendo i giorni cattivi e le notti lunghe, ne faceva
    poco più di trenta. La vettura di Chester, e quella di York e di
    Exeter, generalmente giungevano a Londra in quattro giorni nella
    bella stagione, ma nel Natale non prima del sesto giorno. I
    passeggieri, ch'erano sei di numero, stavano assisi dentro la
    carrozza; imperocchè erano così spessi gli accidenti, che sarebbe
    stato estremamente pericoloso lo starsi in cima al legno. La spesa
    ordinaria in estate era di circa due soldi e mezzo per miglio, e un
    poco più in tempo di verno(194).
    
    Questo modo di viaggiare, che dagli odierni Inglesi verrebbe
    giudicato insoffribilmente lento, sembrava agli antenati nostri
    maravigliosamente e non senza paura rapido. In una opera pubblicata
    pochi mesi avanti la morte di Carlo II, i velociferi vengono
    esaltati come superiori ad ogni qualunque simigliante veicolo
    conosciuto nel mondo. La rapidità loro è subietto di singolar lode,
    e posta vittoriosamente in contrasto col lento andare delle vetture
    postali del continente. Ma a simiglianti lodi mescolavansi voci di
    lamento e d'invettiva. Gl'interessi di numerose classi d'uomini
    avevano patito danno per la istituzione di coteste nuove vetture; e,
    come sempre, molti per semplice, stupidità o ostinatezza inchinavano
    a gridare contro la innovazione, solo perchè era tale. Allegavasi
    con veemenza che cotesto modo di trasporto sarebbe tornato fatale
    alle nostre razze di cavalli e alla nobile arte del maneggio; che il
    Tamigi, il quale da lungo tempo aveva nutriti tanti marinai, non
    sarebbe stato il precipuo luogo di passaggio da Londra su a Windsor,
    e giù a Gravesend; che i sellai e gli speronai sarebbero rimasti
    rovinati a centinaia; che innumerevoli locande, nelle quali solevano
    fermarsi i viaggiatori a cavallo, sarebbero state abbandonate e non
    avrebbero più pagata pigione; che i nuovi carriaggi erano troppo
    caldi d'estate, e troppo freddi di verno; che i passeggieri venivano
    gravemente infastiditi dai malati e dai piangenti bambini; che il
    cocchio talvolta perveniva sì tardi alla locanda, che era
    impossibile trovare da cena, e talvolta partiva così presto, da non
    potere trovar da colazione. Per tali ragioni, esortavano seriamente
    a non permettere a nessuna vettura pubblica di avere più di quattro
    cavalli, di partire più d'una volta la settimana, e di fare più di
    trenta miglia per giorno. Speravano che ove si fosse adottato
    siffatto regolamento, tutti, salvo gl'infermi e gli zoppi, avrebbero
    ripreso l'antico modo di viaggiare. Varie compagnie della città di
    Londra, varie città provinciali, e i giudici di varie Contee
    presentavano petizioni che contenevano le sopradette idee. Coteste
    cose ci muovono a riso. E non è impossibile che i nostri posteri,
    leggendo la storia della opposizione mossa dalla cupidità e dal
    pregiudicio ai miglioramenti del secolo decimo nono, sorridano
    anch'essi di noi(195).
    
    Malgrado la riconosciuta utilità de' velociferi, gli uomini sani e
    vigorosi, e non impediti da molto bagaglio, seguitavano tuttavia il
    costume di fare a cavallo i viaggi lunghi. Se il viaggiatore voleva
    andare speditamente a qualche luogo, prendeva i cavalli di posta.
    Cavalli freschi e nuove guide potevano trovarsi a convenevoli
    distanze lungo tutte le grandi linee delle strade. La spesa era di
    tre soldi il miglio per ciascun cavallo, e quattro per la guida. In
    tal modo, essendo buono il cammino, egli era possibile di viaggiare
    per un tempo considerevole così rapidamente, come con qualunque
    altra specie di trasporto che si conoscesse in Inghilterra fino a
    che ai veicoli venne applicato il vapore. Non eranvi per anche
    carrozze da posta; nè coloro che viaggiavano nelle loro proprie,
    trovavano ordinariamente da mutare i cavalli. Il Re, nondimeno, e i
    grandi ufficiali dello Stato, potevano farlo. Così Carlo usualmente
    andava in un sol giorno da Whitehall a Newmarket; lo che faceva una
    distanza di circa cinquanta cinque miglia in un paese piano: viaggio
    che da' suoi sudditi veniva riputato celerissimo. Evelyn compì la
    medesima gita in compagnia del Lord Tesoriere Clifford. Il cocchio
    veniva tirato da sei cavalli, che furono cambiati a Bishop
    Stortford, e poi a Chesterford. Essi giunsero a Newmarket(196) di
    notte. Siffatto modo d'andare sembra venisse considerato come un
    lusso convenevole ai soli principi e ai ministri(197). T XXXVIII. Ma
    qualunque si fosse il modo di viaggiare, i viandanti, a meno che
    fossero numerosi e bene armati, correvano non lieve periglio
    d'essere fermati e saccheggiati. Il ladrone a cavallo, essere che al
    dì d'oggi conosciamo solo da' libri, trovavasi in ogni strada
    maestra. Gli spazii di terreno deserto, che erano lungo i grandi
    stradali presso Londra, venivano infestati da questa specie di
    saccheggiatori. Hounslow Heath, nella grande strada di ponente, e
    Finchley Common in quella di tramontana, erano forse i più rinomati
    di tali luoghi. La scolaresca di Cambridge tremava appressandosi,
    anche di pieno giorno, a Epping Forest; i marinai che pur allora
    erano stati pagati a Chatham, spesso erano costretti a consegnare le
    loro borse presso Gadshill, luogo celebrato, circa cento anni
    avanti, dal grandissimo dei poeti, come scena delle ruberie di Poins
    e Falstaff. E' sembra che l'autorità pubblica spesso non trovasse
    modo da condursi rispetto a codesti predoni. Ora leggevasi nella
    gazzetta l'annunzio, che parecchi individui(198) fortemente
    sospettati d'essere ladroni, ma contro i quali non v'erano bastevoli
    prove, verrebbero pubblicamente esposti in abito da cavalcare a
    Newgate; verrebbero anche messi in mostra i loro cavalli: per ciò,
    tutti i gentiluomini ch'erano stati derubati, venivano invitati a
    vedere questa singolarissima esposizione. Ora offerivasi
    pubblicamente la grazia ad un ladro, ove avesse voluto restituire
    alcuni diamanti d'immenso valore, da lui rapiti, allorchè aveva
    fermata la valigia postale di Harwich. Breve tempo dopo, comparve un
    altro proclama, onde avvertire i locandieri, che l'occhio del
    Governo vegliava sopra essi. La loro criminosa connivenza, dicevasi
    in quell'avviso, agevolava ai banditi il modo d'infestare
    impunemente le strade. Che tali sospetti non fossero privi di
    fondamento, si argomenta dalle parole che sul letto di morte dissero
    alcuni ladroni pentiti di quel tempo, dalle quali e' pare ch'essi
    ricevessero dai locandieri servigi somiglievoli molto a quelli che
    il Bonifacio di Farquhar rendeva a Gibett(199).
    
    Perchè un ladrone potesse prosperamente, e anche con sicurtà,
    esercitare il proprio mestiere, era necessario ch'egli fosse un
    destro cavalcatore, e che l'aspetto e i modi suoi fossero tali da
    convenire al padrone d'un bel cavallo. Egli quindi teneva una
    posizione aristocratica nella comunità de' ladri, mostravasi alle
    botteghe da caffè e alle case da giuoco più in voga, e scommetteva
    alle corse coi gentiluomini(200). E veramente, talvolta apparteneva
    a qualche buona famiglia ed era bene educato. E però annettevasi, e
    forse ancora s'annette, un interesse romanzesco ai nomi di questa
    classe di predoni. Il volgo con facilità prestava fede alle
    storielle della ferocia ed ardimento, degli atti di generosità e di
    buon indole, degli amori, degli scampi miracolosi; degli sforzi
    disperati, del maschio contegno loro innanzi ai tribunali e sul
    patibolo. Diffatti, raccontavasi di Guglielmo Nevison, il gran
    ladrone della Contea di York, com'egli imponesse un tributo d'una
    quarta parte ai conduttori di bestiame delle contrade
    settentrionali, mentre non solamente non recava loro alcun male, ma
    gli proteggeva contro gli altri ladri; come egli chiedesse con
    cortesissimi modi le borse; come desse profusamente ai poveri ciò
    che aveva tolto ai ricchi; come gli fosse una volta perdonata la
    vita dalla clemenza del Re, e come ripigliasse di nuovo l'antico
    mestiere, e alla perfine morisse nel 1685 in York sulla forca(201).
    Similmente narravasi, come Claudio Duval, paggio francese del Duca
    di Richmond, gettatosi sul gran cammino, si facesse capo d'una
    formidabile banda, ed avesse l'onore di essere nominato primo in un
    proclama regio contro que' rinomati facinorosi; come a capo della
    sua masnada egli fermasse il cocchio d'una dama, nel quale trovò un
    bottino di quattrocento lire sterline; come ne prendesse sole cento,
    e lasciasse alla bella signora il rimanente, a patto ch'ella
    ballasse un poco con lui sul prato; come, con la sua vivace
    galanteria, rapisse i cuori di tutte le donne; come, per la
    destrezza con che maneggiava la spada e la pistola, diventasse il
    terrore degli uomini; come finalmente, nel 1670, venisse preso
    mentre giaceva avvinazzato; come le dame d'alto grado andassero a
    visitarlo in carcere, e con le lagrime intercedessero per salvargli
    la vita; come il Re fosse disposto a perdonargli, se non era
    l'intervento del giudice Morton, terrore de' ladroni, il quale
    minacciò di rinunciare all'ufficio ove non si fosse rigorosamente
    eseguita la legge; e come, dopo la decapitazione, il suo cadavere
    fosse esposto con tutta la pompa di blasoni, ceri e parati bruni, e
    piagnoni, finchè il medesimo crudo giudice che aveva impedito il Re
    di far grazia, mandò ufficiali a disturbare l'esequie(202). A questi
    aneddoti senza dubbio sono mescolate molte favole, ma non perciò
    sono indegni di ricordanza; imperocchè egli è fatto autentico ed
    importante, che simili racconti, veri o falsi, venivano ascoltati
    con ardore e buona fede dai nostri antenati.
    
    XXXIX. Tutti i diversi pericoli onde era circuito il viaggiatore,
    venivano grandemente accresciuti dalle tenebre. Era, quindi,
    comunemente sollecito di avere per tutta la notte un asilo, che non
    era difficile ottenere. Le locande d'Inghilterra, fino da tempi
    antichissimi, hanno goduto rinomanza. Il nostro primo grande poeta
    ha descritto i comodi che esse nel secolo decimoquarto offrivano ai
    pellegrini. Ventinove persone, coi loro cavalli, trovarono ricovero
    nelle spaziose camere e stalle del Tabard in Southwark. I cibi erano
    de' migliori che si potessero trovare, e i vini tali da indurre la
    brigata a beverne copiosamente. Duecento anni dopo, regnante
    Elisabetta, Guglielmo Harrison descrisse vivamente l'abbondanza e i
    comodi de' grandi alberghi. Il continente d'Europa, egli diceva, non
    ha nulla di simile a quelli. Ve n'erano alcuni, in cui due o
    trecento persone con le cavalcature loro, potevano essere alloggiate
    e nutrite senza veruna difficoltà. I letti, le tappezzerie, e
    soprattutto l'abbondanza di netta e squisita biancheria, erano
    subietto di meraviglia. Spesso sopra le mense vedevansi argenterie
    di gran prezzo: anzi, v'erano arnesi che costavano trenta o quaranta
    sterline. Nel secolo decimosettimo, in Inghilterra era gran copia di
    buone locande d'ogni specie. Il viandante talvolta in un piccolo
    villaggio smontava ad un albergo simile a quello descritto da
    Walton, dove il pavimento di mattoni era bene spazzato, le pareti
    ornate di canzoni, le lenzuola mandavano odore d'acqua di lavanda, e
    dove un buon fuoco, un bicchiere di squisita birra e un piatto di
    trote pescate del vicino ruscello, potevano aversi con poca spesa.
    Negli alberghi maggiori trovavansi letti con parati di seta,
    eccellente cucina, e vino di Bordeaux uguale al migliore che si
    bevesse in Londra(203). Soggiungevasi anche, che i locandieri non
    fossero simili agli altri del loro mestiere. Nel continente, il
    proprietario era il tiranno di coloro che varcavano la soglia del
    suo albergo. In Inghilterra era un servitore. Giammai un Inglese
    trovavasi come in casa sua altrove, più che nella sua locanda. Anco
    gli uomini ricchi che in casa propria avrebbero potuto godere d'ogni
    lusso, spesso avevano il costume di passare le sere nella sala di
    qualche vicina casa da divertimento. E' pare che pensassero, la
    libertà e i comodi non potersi così bene godere altrove. Tale
    costumanza continuò per molte generazioni ad essere una peculiarità
    nazionale. Lo allegro e libero stare nelle locande, diede per lungo
    tempo materia ai nostri scrittori di drammi e di novelle.
    Johnson(204) affermò che la seggiola d'una taverna era il trono
    della felicità umana; e Shenstone gentilmente lamentò, come nessun
    tetto privato, per quanto amichevole, desse quanto quello d'una
    locanda al passeggiero con tanta cordialità il benvenuto.
    
    Molti comodi che nel secolo diciassettesimo erano sconosciuti in
    Hampton Court e in Whitehall, posson trovarsi ne' nostri moderni
    alberghi. Nondimeno, nell'insieme, egli è certo che il miglioramento
    delle case di pubblico divertimento non è in nessun modo andato di
    pari passo col miglioramento delle nostre strade, e de' mezzi di
    trasporto. Nè ciò deve sembrare strano: poichè è cosa manifesta che,
    supponendo uguali tutte le altre circostanze, le locande saranno
    migliori là dove i mezzi di locomozione son pessimi. Più celere è il
    modo di viaggiare, meno importante diviene al viaggiatore la
    esistenza di numerosi e piacevoli luoghi di riposo. Cento sessanta
    anni fa, un uomo che da una Contea rimota si fosse recato alla
    metropoli, generalmente aveva mestieri di desinare dodici o quindici
    volte, e riposare cinque o sei notti durante il viaggio. Se era
    ricco, aspettavasi che nei pranzi e negli alloggi fosse proprietà ed
    anche lusso. Oggimai la luce d'un sol giorno di verno ci basta per
    volare da York o da Exeter fino a Londra. Il viaggiatore perciò rade
    volte interrompe il proprio viaggio per mero bisogno di riposo o di
    cibo: quindi è che molti buoni alberghi trovinsi in estremo
    decadimento. In breve tempo non ve ne sarà più nè anche uno, tranne
    ne' luoghi dove è verosimile che gli stranieri siano astretti a
    fermarsi per cagione di faccende o di piacere.
    
    XL. Il modo onde le lettere erano trasmesse da un luogo distante ad
    un altro, parrebbe oggidì degno di scherno: nulladimeno, esso era
    tale da muovere l'ammirazione e la invidia delle più culte nazioni
    dell'antichità, o de' contemporanei di Raleigh e di Cecil. Uno
    stabilimento rozzo ed imperfetto di poste pel trasporto delle
    lettere, era stato messo su da Carlo I, e distrutto dalla guerra
    civile. Sotto la Repubblica quel disegno venne ripreso. Dopo la
    Restaurazione, i proventi dell'ufficio postale, sottratte le spese,
    furono assegnati al Duca di York. Nella maggior parte delle strade,
    le valigie partivano ed arrivavano ciascun giorno alternativamente.
    In Cornwall, nei paduli della Contea di Lincoln, e fra i colli e i
    laghi di Cumberland, le lettere ricevevansi una volta la settimana.
    Nel tempo che il Re viaggiava, dalla capitale spedivasi giornalmente
    un corriere al luogo dove la Corte intendeva fermarsi. Eranvi
    parimente quotidiane comunicazioni tra Londra e Downs; e il medesimo
    privilegio talvolta estendevasi a Tunbridge Wells e a Bath, nella
    stagione in cui que' luoghi erano popolati di signori. I bagagli
    venivano trasportati sui cavalli, che camminando di notte e di
    giorno, facevano cinque miglia l'ora(205).
    
    La entrata di tale stabilimento non ricavavasi soltanto dal
    trasporto delle lettere. L'ufficio postale aveva diritto di
    apprestare i cavalli da posta; e considerando la sollecitudine con
    che era condotto cotesto monopolio, possiamo concludere che fosse
    proficuo(206). Se però un viaggiatore avesse atteso mezz'ora senza
    che gli venissero apprestati i cavalli, poteva procurarseli dove e
    come meglio gli fosse piaciuto.
    
    Agevolare la corrispondenza tra una parte e l'altra della città di
    Londra, non era in origine lo scopo dell'ufficio postale. Ma nel
    regno di Carlo II, un cittadino intraprendente, di nome Guglielmo
    Dockwrey, istituì con grande spesa una posta d'un soldo, la quale
    trasportava lettere e fagotti sei o otto volte per giorno nelle
    strade popolate e piene di faccende presso la Borsa, e quattro volte
    per giorno fuori la città. Cotesto miglioramento, secondo il
    costume, fu vigorosamente avversato. I facchini dolevansi del
    detrimento che ne pativano, e stracciavano i cartelli che ne davano
    annunzio al pubblico. Il commovimento cagionato dalla morte di
    Godfrey, e dalla scoperta delle scritture di Coleman, in allora era
    sommo. E però levossi alto il grido, che la posta d'un soldo fosse
    un disegno de' papisti. Affermavasi che il gran Dottore Oates aveva
    sospetto come i Gesuiti vi fossero mescolati, e come bastasse
    esaminare i fagotti per trovarvi i vestigi del tradimento(207).
    Nonostante, sì grande e manifesta era la utilità della impresa, che
    ogni opposizione tornò priva d'effetto. Appena fu chiaro che era
    lucrosa, il Duca di York ne mosse querele come d'un'infrazione del
    suo monopolio, e i tribunali sentenziarono in suo favore(208).
    
    La entrata dell'ufficio postale, fin da principio, venne sempre
    aumentando. L'anno in cui seguì la Restaurazione, un Comitato della
    Camera de' Comuni, dopo rigorosa indagine, ne aveva estimato il
    ricavato netto a circa venti mila lire sterline.
    
    Alla fine del regno di Carlo II, la entrata netta sommava a poco
    meno di cinquanta mila sterline; somma che in allora fu considerata
    stupenda. La entrata lorda ascendeva a circa settanta mila sterline.
    La spesa per la spedizione d'una sola lettera era due soldi per ogni
    ottanta miglia, e tre soldi per una distanza maggiore; ma aumentava
    in proporzione del peso del piego(209). Ai dì nostri, una lettera
    semplice si spedisce per un soldo ai confini della Scozia e della
    Irlanda; e il monopolio de' cavalli da posta non esiste più da lungo
    tempo. Nondimeno, l'entrata lorda ascende annualmente a più d'un
    milione e ottocento mila lire sterline, e la netta a settecento e
    più mila. Non si potrebbe, quindi, dubitare che il numero delle
    lettere le quali oggidì si spediscono per posta, è settanta volte
    maggiore di quello che se ne spediva nel tempo in cui Giacomo II
    ascese al trono.
    
    XLI. Nessuna parte del carico che le vecchie valigie trasportavano,
    era più importante delle lettere contenenti notizie. Nel 1685 non
    esisteva nè poteva esistere alcuna cosa di simile al giornale
    quotidiano di Londra de' nostri giorni; non essendovi nè il danaro
    nè l'arte a ciò fare bisognevoli. Mancava, inoltre, la libertà;
    mancanza fatale quanto quella del danaro e dell'arte. Vero è che in
    quel tempo la stampa non era soggetta ad una generale censura. La
    legge di licenza, che era stata fatta poco dopo la Restaurazione,
    era spirata nel 1679. A chiunque era concesso di stampare, a proprio
    rischio, una storia, un sermone o un poema, senza approvazione di
    alcun pubblico ufficiale; ma i giudici concordemente opinavano che
    siffatta libertà non si estendesse alle Gazzette, e che, per virtù
    del diritto comune dell'Inghilterra, nessuno senza regia licenza
    avesse potestà di pubblicare notizie politiche(210). Finchè il
    partito Whig fu formidabile, il Governo reputò utile di quando in
    quando chiudere gli occhi alla violazione di cotesta regola. Mentre
    ferveva la gran lotta della Legge d'Esclusione, molti giornali
    lasciaronsi stampare; cioè le Notizie Protestanti, Notizie correnti,
    Notizie domestiche, le Nuove Vere, il Mercurio di Londra(211).
    Nessuno di questi giornali pubblicavasi più di due volte la
    settimana; nessuno aveva formato maggiore d'un piccolo foglio. La
    materia che in ciascuno di essi contenevasi nello spazio d'un anno,
    non era maggiore di quella che spesso si trova in due soli numeri
    del Times. Dopo la sconfitta de' Whig, il Re non si vide più
    astretto ad essere indulgente nell'usare quella che, secondo la
    sentenza de' giudici, era sua prerogativa. Verso la fine del suo
    regno, nessun giornale poteva stamparsi senza la regia licenza; la
    quale era stata esclusivamente accordata alla Gazzetta di Londra.
    Questa vedeva la luce il lunedì e il giovedì d'ogni settimana, e
    generalmente conteneva un proclama reale, due o tre indirizzi di
    Tory, l'annunzio di due o tre promozioni, la relazione d'una
    scaramuccia tra le truppe imperiali e i Giannizzeri lungo il
    Danubio, la descrizione d'un ladrone, l'annunzio d'un gran
    combattimento di galli fra due persone d'onore, e la notizia d'un
    premio da darsi a chi avesse trovato un cane smarrito. Tutte queste
    cose contenevansi in due pagine di modico formato. Le comunicazioni
    concernenti soggetti di gravissimo momento, facevansi in istile
    secco e di mera forma. Alcuna volta, trovandosi il Governo
    inchinevole a satisfare la curiosità pubblica rispetto a qualche
    importante negozio, facevasi un supplemento a stampa distinta, che
    conteneva più minuti particolari di quelli che si trovassero nella
    Gazzetta: ma nè questa, nè il supplemento stampato per ordine del
    Governo, rivelavano se non le cose che la Corte avesse trovato
    convenevole pubblicare. Le discussioni parlamentari, i processi di
    Stato di maggiore importanza, de' quali faccia ricordo la nostra
    storia, erano passati sotto profondo silenzio(212). Nella metropoli,
    le botteghe da caffè in qualche modo tenevano luogo di giornali. Ivi
    i cittadini affollavansi come gli antichi Ateniesi al mercato, per
    sapere che cosa ci fosse di nuovo. Ivi potevasi sapere con quanta
    brutalità fosse stato trattato un Whig il giorno precedente in
    Westminster Hall; quali orribili racconti facessero le lettere
    d'Edimburgo intorno alle torture inflitte ai Convenzionisti; quali
    enormi inganni avesse fatto l'ammiragliato alla Corona nello
    approvvigionare la flotta; e quali gravi accuse il Lord del Sigillo
    Privato avesse intentate contro la Tesoreria per la imposta sui
    fuochi.
    
    XLII. Ma coloro che vivevano assai discosti dal gran teatro delle
    contese politiche, potevano soltanto per mezzo delle lettere aver
    notizia di ciò che ivi accadeva. Formare tali lettere era diventato
    un mestiere in Londra, come è ai dì nostri fra i naturali
    dell'India. Lo scrittore di nuove girovagava di Caffè in Caffè,
    raccogliendo le dicerie; penetrava in Old Bailey(213) a udirvi le
    discussioni, tutte le volte che c'era un processo interessante; anzi
    otteneva forse accesso alla galleria di Whitehall, e riferiva il
    contegno del Re e del duca. In tal guisa raccoglieva notizie per le
    epistole settimanali, destinate a istruire qualche città di Contea,
    o qualche banco di magistrali rurali. Erano queste le fonti da cui
    gli abitatori delle più grosse città di provincia, e i gentiluomini
    e il clero, imparavano quasi tutto ciò che sapessero della storia
    de' tempi loro. È d'uopo supporre che in Cambridge vi fossero
    altrettante persone curiose di sapere ciò che accadeva nel mondo,
    quante ve n'erano in ogni altro luogo del Regno, fuori di Londra.
    Nulladimeno, in Cambridge, per gran parte del regno di Carlo II, i
    Dottori di legge e i Maestri delle Arti non avevano altro mezzo
    regolare di sapere le nuove, tranne la Gazzetta di Londra. Infine
    giovaronsi de' servigi d'uno de' raccoglitori di notizie nella
    metropoli. E fu giorno memorabile quello in cui comparve sulla
    tavola della sola bottega da caffè che fosse in Cambridge, la prima
    lettera di notizie giunta da Londra(214). Nella residenza de' ricchi
    uomini di provincia, la lettera delle notizie era attesa con
    impazienza. Dopo arrivata, in una settimana passava per le mani di
    venti famiglie. Forniva agli scudieri del vicinato materia di
    chiacchiere per le ferie d'Ottobre, ed era ai rettori subietto di
    virulenti sermoni contro i Whig o i papisti. Molti di cotesti
    curiosi giornali potrebbero certo trovarsi, diligentemente frugando
    negli archivi delle vecchie famiglie. Alcuni se ne trovano nelle
    nostre biblioteche pubbliche; ed una serie, che forma la parte non
    meno pregevole de' tesori letterarii raccolti da Sir Giacomo
    Mackintosh, verrà a suo luogo citata nel corso di questa opera(215).
    
    Non è d'uopo rammentare come in allora non ci fossero giornali di
    provincia. Difatti, tranne nella metropoli e nelle due università,
    forse non v'era un solo tipografo in tutto il reame. E' sembra che
    la sola stamperia la quale esistesse in Inghilterra nelle contrade
    settentrionali oltre il Trent, fosse in York(216).
    
    XLIII. Non era solo per mezzo della Gazzetta di Londra che il
    Governo imprendesse ad apprestare al popolo istruzione delle cose
    politiche. Quel giornale conteneva secchi articoli di notizie senza
    commenti. Un altro, pubblicato sotto il patronato della Corte,
    conteneva commenti senza notizie. Chiamavasi l'Osservatore, e lo
    compilava un vecchio articolista Tory, di nome Ruggiero Lestrange.
    Costui non difettava di speditezza e di sottile ingegno; e la sua
    locuzione, comecchè fosse grossolana e sfigurata da un gergo basso e
    verboso, che allora nel domestico focolare(217) e nella taverna
    estimavasi spiritoso, non era privo di acume e vigore. Ma l'indole
    sua, feroce ed ignobile a un tempo, mostravasi in ogni tratto che
    gli uscisse dalla penna. Allorquando comparvero i primi numeri
    dell'Osservatore, l'acrimonia dello scrittore non era affatto
    indegna di scusa; imperocchè, essendo potenti i Whig, gli toccava
    lottare contro numerosi avversarii, la cui violenza scevra di
    scrupoli sembrava giustificare le rappresaglie. Ma nel 1685 ogni
    opposizione era stata vinta. Uno spirito generoso avrebbe abborrito
    dall'insultare un partito che non poteva rispondere, e
    dall'aggravare la miseria de' prigioni, degli esuli e delle famiglie
    spogliate; ma alla malignità di Lestrange non era sacro nè il
    sepolcro nè il tetto della famiglia. Nell'ultimo mese del regno di
    Carlo II, Guglielmo Jenkyn, vecchio e illustre pastore dissenziente,
    il quale aveva patita crudele persecuzione, non per altro delitto
    che per quello di adorare Dio secondo l'usanza comunemente seguita
    in tutta l'Europa protestante, morì per le sevizie e le privazioni
    sofferte in Newgate. Lo scoppio della simpatia popolare non potè
    frenarsi. Il suo cadavere fu accompagnato alla tomba da un corteo di
    cento cinquanta carrozze. La tristezza era dipinta anche in volto ai
    cortigiani. Perfino lo spensierato Carlo mostrò segni di dolore. Il
    solo Lestrange sciorinò un cicaleccio di feroce esultanza, schernì
    la debolezza dei Barcamenanti(218), che mostravano commiserazione;
    scrisse che il blasfemo, vecchio impostore, aveva ricevuta la
    meritata pena; e fece voto di guerreggiare non solo fino a morte, ma
    dopo morte contro tutti i Santi e martiri ridicoli(219). Tale era lo
    spirito del giornale che in que' tempi era l'oracolo del partito
    Tory, ed in ispecie del clero delle parrocchie.
    
    XLIV. Tanta letteratura, quanta poteva trasportarsi nella valigia
    postale, formava allora gran parte del nutrimento intellettuale per
    i teologi e i giudici di provincia. La difficoltà e la spesa di
    trasmettere di luogo in luogo grossi fagotti erano così grandi, che
    un'opera voluminosa metteva più tempo ad andare da Paternoster Row
    alle Contee di Devon o di Lancaster, che oggidì non impiega ad
    arrivare a Kentucky. Quanto pochi libri, anche i più necessarii agli
    studi teologici, possedesse un parroco rurale, è stato già notato.
    Le case de' gentiluomini non ne erano meglio provvedute. Pochi
    cavalieri della Contea avevano biblioteche che si potessero
    agguagliare a quelle che ora comunemente si trovano nel salotto d'un
    servitore, o nella retrostanza del padrone d'una piccola bottega.
    Uno scudiere veniva riputato dai suoi vicini per un gran dotto, se
    l'Hudibras, o la Cronaca di Barber, o gli Scherzi di Tarlton, o i
    Sette Campioni della Cristianità, trovavansi nella sua sala fra
    mezzo alle canne da pescare, agli arnesi da caccia. In allora, nè
    anche nella capitale esistevano biblioteche circolanti; ma nella
    capitale, quegli studenti che non potevano molto spendere, avevano
    un compenso. Le botteghe de' grandi librai presso il Cimitero di San
    Paolo, erano quotidianamente e per tutta la giornata affollate di
    lettori; e ad ogni avventore conosciuto, spesso era concesso di
    portarsi a casa qualche volume. In provincia non esisteva siffatta
    comodità; e ciascuno era costretto a comprare i libri che avesse
    voluto leggere(220).
    
    XLV. La provvisione letteraria della madre e delle figlie del
    possidente di provincia, generalmente consisteva nel libro delle
    preghiere e in quello de' conti. E a dir vero, perdevano poco a
    vivere nel ritiro campestre; poichè anche nelle classi più alte, e
    in quelle condizioni che apprestavano le maggiori agevolezze alla
    cultura dello intelletto, le donne inglesi di quell'età erano peggio
    educate di quello che siano state in qualunque altro tempo dopo il
    risorgimento delle lettere. In un'epoca anteriore studiavano i
    capolavori degli antichi. Al dì d'oggi rade volte si danno
    seriamente allo studio delle lingue morte; ma conoscono
    familiarmente la lingua di Pascal e di Molière, quella di Dante e di
    Tasso, quella di Goethe e di Schiller; nè vi è stile più puro o più
    grazioso di quello con che le donne bene educate parlino e scrivano.
    Ma negli ultimi anni del diciassettesimo secolo, la cultura della
    mente nelle donne era quasi affatto negletta. Se una donzella aveva
    la più lieve tintura letteraria, veniva stimata un prodigio. Le
    donne d'alto lignaggio, di squisita educazione e fornite di spirito
    naturale, non sapevano scrivere, un rigo nella loro lingua materna
    senza solecismi ed errori d'ortografia, quali oggi si vergognerebbe
    di commettere una fanciulla cresciuta negli asili di carità(221).
    
    La ragione di ciò potrebbe agevolmente trovarsi. Una licenza
    stravagante, effetto naturale della stravagante austerità, era
    venuta in voga; e la licenza aveva prodotto il suo naturale effetto,
    vale a dire la degradazione morale e intellettuale delle donne.
    Nacque il costume di rendere rozzi ed impudenti omaggi alla beltà
    della persona; ma l'ammirazione e il desio che esse ispiravano, di
    rado era accompagnato dal rispetto, dall'affezione, o da
    qualsivoglia altro sentimento cavalleresco. Que' pregi che le
    rendono atte ad essere compagne, consigliere e fide amiche,
    ripugnavano, anzichè piacere, ai libertini di Whitehall. In quella
    Corte, una dama che si fosse vestita in modo da non ascondere la
    bianchezza del petto, che avesse lanciato sguardi espressivi,
    danzato con voluttà, risposto con impertinenza, che non avesse
    sentita vergogna a far baccano coi ciamberlani e coi capitani delle
    guardie, a cantare con maligna espressione versi maligni, o
    accomodare i vestiti d'un paggio per qualche scherzo, aveva maggior
    probabilità di trovare ammiratori e seguaci, d'essere più onorata
    nel regio favore, di ottenere un ricco e nobile marito, che non
    avrebbero avuta Giovanna Grey o Lucia Hutchinson(222). In tal guisa,
    la misura delle qualità della donna era necessariamente, bassa; ed
    era più pericoloso lo starsi sopra che sotto siffatta misura. La
    ignoranza o la frivolezza estrema venivano in una dama estimate meno
    inconvenevoli d'una lieve tintura di pedanteria. Delle troppo
    celebri donne i cui volti si ammirano adesso nelle pareti di Hampton
    Court, poche avevano costume di leggere altro di serio fuorchè gli
    acrostici, le satire, e le traduzioni della Clelia e del Ciro il
    Grande.
    
    XLVI. E' sembra che la erudizione letteraria anche de' gentiluomini
    di quel tempo, fosse meno solida e profonda di quella che avanti o
    dopo quella età possedessero. Lo studio delle lettere greche, per lo
    meno, non fioriva tra noi ai tempi di Carlo II, come aveva fiorito
    innanzi la guerra civile, o come fiorì dopo la Rivoluzione. Non è
    dubbio che vi fossero uomini dotti, ai quali era famigliare tutta la
    greca letteratura da Omero sino a Fozio; ma trovavansi quasi
    esclusivamente fra il clero delle università, ed anche quivi erano
    pochi e non pienamente apprezzati. In Cambridge non si riputava
    punto necessario che un teologo fosse in condizione di leggere il
    vangelo nella lingua originale(223). Nè la faccenda procedeva
    altrimenti in Oxford. Allorquando, regnante Guglielmo III, Christ
    Church alzossi unanime a difendere l'autenticità delle Lettere di
    Falaride, quel gran collegio, in allora considerato come sede
    principale della filosofia in tutto il Regno, non potè far mostra
    del corredo di greco che adesso possiedono non pochi giovani in ogni
    grande scuola pubblica. Potrebbe di leggeri supporsi che una lingua
    morta, trascurata nelle università, non venisse molto studiata dagli
    uomini del mondo. In una età posteriore, la poesia e la eloquenza
    della Grecia formarono il diletto di Pitt e di Fox, di Windham e di
    Grenville. Ma negli ultimi anni del secolo decimosettimo, non era in
    Inghilterra un solo eminente uomo di Stato, che potesse gustare una
    pagina di Sofocle o di Platone.
    
    I cultori del latino erano in maggior numero. La lingua di Roma, a
    vero dire, non aveva onninamente perduto il carattere imperiale, e
    continuava tuttavia in molte parti d'Europa ad essere quasi
    indispensabile ai viaggiatori, o agl'inviati a negoziar trattati
    politici. Parlarla bene, quindi, era un pregio assai più comune che
    non è ai tempi nostri; e nè Oxford nè Cambridge difettavano di
    poeti, i quali nelle grandi occasioni, potessero deporre ai piedi
    del trono felici imitazioni dei versi con cui Virgilio ed Ovidio
    avevano celebrata la grandezza d'Augusto.
    
    XLVII. Non ostante, anche la lingua latina cedeva il posto ad una
    rivale più giovane. La Francia godeva in quel tempo quasi ogni
    specie di predominio. La sua gloria militare era pervenuta alla
    maggiore altezza; perocchè le armi francesi avevano vinte quelle di
    molti altri popoli insieme collegati. Essa aveva dettato trattati,
    soggiogate grandi città e provincie, costretto l'orgoglio
    castigliano a cederle la precedenza, imposto ai principi italiani di
    prostrarsi ai suoi piedi. L'autorità sua era suprema in ogni ramo di
    vivere civile, dal duello fino al minuetto. Essa insegnava in che
    modo dovesse esser fatto il vestito, quanto lunga la parrucca, se i
    tacchi avessero ad essere alti o bassi, o se largo o stretto il
    nastro del cappello d'un gentiluomo. In letteratura dettava legge al
    mondo: la fama de' suoi grandi scrittori riempiva l'Europa. Nessun
    altro paese poteva gloriarsi d'un poeta tragico pari a Racine, d'un
    poeta comico pari a Molière, d'un favolista gajo come la Fontaine,
    d'un oratore che avesse il magistero di Bossuet. La gloria
    letteraria d'Italia e di Spagna era tramontata; quella di Germania
    non era ancor sorta. Per la qual cosa, il genio degl'incliti uomini
    che adornavano Parigi, splendeva d'una luce che era resa maggiore
    dal contrasto. E veramente, la Francia in quel tempo esercitava tale
    un predominio sopra l'umanità, cui nè anche i Romani pervennero mai.
    Imperciocchè, mentre Roma era regina del mondo, nelle arti e nelle
    lettere era l'umile discepola della Grecia. La Francia aveva sopra
    le circostanti nazioni ad un'ora la supremazia che Roma ebbe sopra
    la Grecia, e quella che la Grecia ebbe sopra Roma. La lingua
    francese andava facendosi l'idioma universale, l'idioma delle classi
    culte e della diplomazia. In parecchie Corti, i principi e i nobili
    lo parlavano con maggior cura e grazia, che non parlassero la
    propria lingua. Nella nostra isola, questa servilità era minore di
    quel che fosse nel Continente. L'essere imitatori non annoveravasi
    nè fra le buone nè fra le cattive qualità nostre. Nulladimeno, anche
    in Inghilterra si rendeva omaggio, con poca destrezza, a dir vero, e
    di mala voglia, alla supremazia letteraria de' nostri vicini.
    L'armoniosa favella toscana, cotanto famigliare ai gentiluomini ed
    alle dame della Corte d'Elisabetta, cadde in dispregio. Se un
    gentiluomo citava Orazio o Terenzio, veniva considerato nelle culte
    brigate come un pedante vanitoso. Ma imperlare di frasi francesi il
    discorso, era il migliore argomento che potesse offrirsi del proprio
    merito(224). Nuove regole di critica, nuovi modelli di stile vennero
    in voga. L'affettata ingenuità che aveva deformati i versi di Donne,
    ed era stata una menda in quelli di Cowley, scomparve dalla nostra
    poesia. La prosa divenne meno maestosa, tessuta con minore
    artificio, e meno armonica che non era quella de' precedenti tempi;
    ma più lucida, più facile e meglio adatta alla controversia ed alla
    narrazione. In tali mutamenti è impossibile non riconoscere la
    influenza de' precetti e degli esempii francesi. I grandi maestri
    della lingua nostra, ne' loro più dignitosi componimenti,
    affettavano d'usare vocaboli francesi, là dove era agevole trovarne
    inglesi egualmente significativi ed armoniosi(225); e dalla Francia
    venne fra noi la tragedia in versi rimati: pianta esotica, che nel
    nostro suolo languì e tostamente si spense.
    
    XLVIII. Sarebbe stata buona ventura se i nostri scrittori avessero
    imitato il decoro, che, tranne pochi esempi, serbavano sempre i loro
    grandi contemporanei francesi: imperocchè la immoralità delle
    produzioni drammatiche, satiriche e liriche, e delle novelle di
    quell'età fra noi, ha impressa una profonda macchia nella nostra
    nazionale rinomanza. È facile cercare il vero nella sua stessa
    sorgente. I begli spiriti e i Puritani non erano mai stati amici;
    non era simpatia nessuna fra coteste due classi, come quelle che
    guardavano l'intero sistema della vita umana da punti di veduta
    differenti e sotto differente luce. Ciò che per gli uni era serio,
    per gli altri era obietto di scherzo. I piaceri di questi erano
    tormenti di quelli. Ai gravi rigoristi, perfino gl'innocenti
    trastulli dell'infanzia sembravano criminosi. Ai caratteri leggeri e
    gai, la solennità de' fratelli zelanti forniva copiosa materia di
    riso. Dalla Riforma fino alla guerra civile, quasi ogni scrittore
    dotato di senso squisito per il bernesco, erasi talvolta giovato
    dell'occasione per ischernire i santocchi dai capelli lisci,
    parlanti col naso e piagnolosi, i quali battezzavano i loro
    figliuoli secondo il libro di Neemia, gemevano nell'amarezza del
    loro spirito alla vista di Jack in the Green, e reputavano cosa
    empia mangiare la zuppa di prugne nel giorno di Natale. Finalmente,
    giunse il tempo in cui gli schernitori cominciarono a mostrarsi alla
    lor volta malinconici. I rigidi e male accorti zelanti, dopo
    d'essere stati obietto di riso per due generazioni, corsero alle
    armi, vinsero, recaronsi in mano il governo, e con un sorriso
    austero sulle labbra calpestarono la caterva degli irrisori. Le
    ferite inflitte dalla malignità gaja e petulante, furono
    contraccambiate con la cupa ed implacabile malignità, particolare ai
    bacchettoni, che chiamano virtù il proprio rancore. I teatri vennero
    chiusi, i comici fustigati, la stampa posta sotto la tutela di
    austeri censori, le muse bandite da Oxford e Cambridge, loro luoghi
    prediletti. Cowley, Crashaw, Cleveland furono cacciati de' loro
    uffici. Il giovane aspirante ai gradi universitarii non fu più
    obbligato a sapere scrivere epistole e pastorali ad imitazione di
    Ovidio e di Virgilio, ma veniva rigorosamente interrogato da un
    sinodo di Supralapsarii(226) intorno al giorno e all'ora in cui egli
    sperimentò il nascimento alla nuova vita. Tale sistema era molto
    proficuo agl'ipocriti. Sotto umile manto ed austere sembianze, s'era
    tenuta per vari anni nascosta la intensa brama di licenza e di
    vendetta; brama che alla perfine potè sfogarsi. La Restaurazione
    emancipò migliaia di animi da un giogo diventato intollerabile. Il
    vecchio conflitto si riaccese, ma con nuovo odio e furore: adesso
    non era più lotta da scherno, ma combattimento a morte. Le
    Teste-Rotonde, da quelli che erano stati da loro perseguitati, non
    potevano aspettarsi sorte migliore di quella che un crudele custode
    di schiavi possa aspettarsi dagli schiavi insorti, i quali tuttavia
    portano i segni del collare e dello staffile.
    
    La pugna tra lo spirito e il puritanismo, tosto diventò guerra tra
    lo spirito e la moralità. L'ostilità, suscitata da una caricatura
    grottesca della virtù, non risparmiava la virtù stessa. Le cose che
    l'uomo appartenente alla classe delle Teste-Rotonde aveva trattate
    con riverenza, venivano fatte segno allo insulto, e favoreggiate le
    già proscritte. E perchè quegli era stato scrupoloso rispetto alle
    inezie, ogni scrupolo era posto in derisione: perchè quegli aveva
    coperti i propri falli con la maschera della bacchettoneria,
    ciascuno studiavasi di mostrare con cinica impudenza i propri vizi
    più scandalosi agli occhi del pubblico: perchè quegli aveva punito
    lo amore illecito con barbara severità, la purità delle vergini e la
    fedeltà delle spose erano considerate come cose da scherno. A quel
    gergo da santocchi, che era il suo Shibboleth(227), opponevasi un
    altro gergo non meno assurdo e molto più odioso. E siccome egli non
    apriva mai le labbra se non per profferire frasi scritturali, la
    nuova genía de' begli spiriti ed egregi gentiluomini non aprivano le
    loro senza vomitare oscenità tali, che oggi farebbero vergognare un
    facchino, e senza invocare l'Eterno a maledirli, sprofondarli,
    confonderli, sperderli e dannarli.
    
    Non è, dunque, cosa strana che la nostra amena letteratura, quando
    risorse al risorgere della nostra vecchia politica ecclesiastica e
    civile, fosse profondamente immorale. Pochi uomini eminenti, che
    appartenevano ad una età anteriore e migliore, serbaronsi esenti
    dall'universale contagio. I versi di Waller spiravano tuttavia i
    sentimenti che avevano animata una generazione più cavalleresca.
    Cowley, predistinto come uomo leale e letterato, alzava animosamente
    la voce contro la immoralità che deturpava le lettere e la lealtà.
    Un poeta di più potente ingegno meditava, indisturbato dall'osceno
    tumulto che circondavalo, un canto così sublime e santo, che non
    sarebbe stato sconvenevole sulle labbra di quelle Virtù eteree,
    ch'egli contemplava con quell'occhio interno che non può essere
    spento da calamità alcuna, gettanti sul pavimento di diaspro le loro
    corone d'amaranto e d'oro. Il vigoroso e fecondo genio di Butler, se
    non potè al tutto tenersi libero dalla infezione predominante,
    contrasse il male in forma più mite. Ma cotesti erano uomini,
    gl'intelletti de' quali erano stati educati in un mondo già passato;
    e dopo non molto tempo avevano ceduto il luogo a una generazione di
    più giovani ingegni; della quale, da Dryden fino a Durfey, era nota
    caratteristica una licenza cruda, impudente, vanitosa, e ad un tempo
    priva d'umanità e d'eleganza. La influenza di tali scrittori era,
    senza verun dubbio, nociva: nonostante, lo sarebbe stata meno se
    essi fossero stati meno corrotti. Il veleno che amministravano era
    sì forte, che dopo non lungo tempo venne come stomachevole aborrito.
    Nessuno di loro intendeva l'arte pericolosa di congiungere le
    immagini di piaceri illegittimi con tutto ciò che v'ha di caro e di
    nobile; nessuno di loro accorgevasi che un certo decoro è essenziale
    alla voluttà stessa, che la veste è più seducente della nudità, e
    che la immaginazione può essere più potentemente mossa da delicate
    deduzioni, le quali la spingano ad operare, che dalle grossolane
    descrizioni che la rendano passiva.
    
    Lo spirito della reazione antipuritana informa quasi tutta l'amena
    letteratura del regno di Carlo II. Ma la quintessenza di quello
    spirito è da trovarsi nel dramma comico. I teatri, già chiusi mentre
    i fanatici faccendieri dominavano, furono ripopolati di spettatori,
    ai quali offerivano nuove e più potenti attrattive. Le decorazioni
    sceniche e i vestiarii, che adesso si reputerebbero triviali ed
    assurdi, ma che sarebbero stati stimati incredibilmente magnifici da
    coloro che ne' primi anni del secolo decimosettimo sedevano sopra le
    sudice panche del teatro Hope, o sotto il tetto impagliato del Rose,
    abbagliavano gli occhi della moltitudine. Il fascino del bel sesso
    accresceva quello dell'arte; e il giovane spettatore mirava con
    emozioni ignote ai coetanei di Shakespeare e di Johnson,
    amabilissime donne rappresentare le parti di tenere e gaie eroine.
    Dal dì in cui i teatri furono riaperti, diventarono scuole di vizi:
    e il male andavasi propagando da sè. La immoralità delle
    rappresentazioni tosto fece allontanare le genti morigerate; mentre
    le frivole e dissolute che vi rimasero, chiedevano ogni anno stimoli
    sempre più forti. Così gli artisti corrompevano gli spettatori, e
    gli spettatori gli artisti; finchè le turpitudini del dramma
    divennero tali, da rendere attonito chiunque non si accorga che la
    estrema rilassatezza è lo effetto naturale della restrizione
    estrema, e che ad una età d'ipocrisia, secondo la ordinaria vicenda
    delle cose umane, tiene dietro una età d'impudenza.
    
    Nulla esprime tanto l'indole de' tempi, quanto la cura che si dánno
    i poeti a porre sulle labbra delle donne i loro versi più
    licenziosi. I componimenti dove più regnava la licenza, erano gli
    epiloghi, i quali venivano quasi sempre recitati dalle più favorite
    attrici; e nulla al depravato uditorio piaceva come il vedere una
    bella fanciulla, che supponevasi non avere per anche perduto il
    fiore della innocenza, recitare versi grossolanamente
    indecenti(228).
    
    Il nostro teatro in que' tempi andava debitore di molti intrecci e
    caratteri alla Spagna, alla Francia e ai vecchi scrittori inglesi:
    ma qualunque soggetto i nostri drammaturgi toccassero, lo
    deturpavano. Nelle loro imitazioni, le case de' robusti ed animosi
    gentiluomini castigliani immaginate da Calderon, diventavano porcili
    di vizio, la Viola di Shakespeare una mezzana, il Misantropo di
    Molière un rapitore di donne, e l'Agnese del medesimo un'adultera.
    Ogni cosa, per quanto fosse pura o eroica, diveniva corrotta ed
    ignobile, passando in quegl'ignobili e corrotti cervelli.
    
    Tali erano le condizioni del dramma, il quale, tra le produzioni
    della amena letteratura, era quella da cui il poeta aveva maggiore
    probabilità di guadagnare da vivere. La vendita dei libri era così
    poca, che un ingegno di grandissima fama poteva sperare una scarsa
    ricompensa dalla proprietà letteraria della miglior produzione. Non
    vi può esser esempio più convincente, della sorte delle Favole di
    Dryden, che furono l'ultima delle sue opere. Questo volume vide la
    luce allorquando egli veniva universalmente stimato come il maggiore
    de' poeti inglesi viventi.
    
    Contiene circa dodici mila versi. La verseggiatura è maravigliosa;
    pieni di vita i racconti e le descrizioni. Fino ai nostri giorni,
    Palamone ed Arcita, Cimone ed Ifigenia, Teodoro ed Onoria formano il
    diletto de' critici e degli scolari. La raccolta contiene anche il
    Festino d'Alessandro, che è la più bella ode della nostra lingua.
    Perchè cedesse la proprietà letteraria, Dryden ricevè duecento
    cinquanta lire sterline; somma minore di quella con che ai dì nostri
    talvolta sono stati pagati due soli articoli da giornale(229). Nè
    sembra che ciò fosse un cattivo negozio; imperocchè assai lenta fu
    la vendita del libro, sì che non fu necessario farne una seconda
    edizione, se non dieci anni dopo che il poeta giaceva dentro il
    sepolcro. Scrivendo per la scena, era possibile avere maggiori
    guadagni con molto minore fatica. A Southern, un solo dramma fruttò
    settecento lire sterline(230). Otway, dalla mendicità alzossi ad
    agiatezza temporanea, per il prospero successo del suo Don
    Carlos(231). Shadwell guadagnò cento trenta sterline in una sola
    rappresentazione dello Scudiero d'Alsazia(232). Per la qual cosa,
    chiunque aveva mestieri di procacciarsi da vivere col lavoro
    dell'ingegno, scriveva drammi, quand'anche la natura non gli avesse
    data attitudine all'arte. Tale fu il caso di Dryden. Come poeta
    satirico rivaleggia con Giovenale. Nella poesia didascalica,
    scrivendo con cura e meditazione, avrebbe forse contesa la palma a
    Lucrezio. Tra i poeti lirici, ove non voglia reputarsi il più
    sublime, è il più brillante ed animato. Ma la natura, che gli era
    stata di molte altre insigni doti larghissima, gli aveva negato lo
    ingegno drammatico. Nondimeno, egli consumò tutta l'energia de' suoi
    anni migliori a scrivere drammi. Aveva sì retto giudizio da
    accorgersi che difettava della facoltà di dipingere i caratteri per
    mezzo del dialogo. Ei fece ogni sforzo per nascondere tale difetto,
    ora con inattesi e piacevoli incidenti, ora con la vigorosa
    declamazione, talvolta coll'armonia del numero, tal'altra con la
    licenza bene in accordo col gusto d'una profana e licenziosa platea.
    Ma non ottenne mai buon successo teatrale, simile a quello onde
    erano rimeritati i lavori di alcuni scrittori per ingegno a lui di
    gran lunga inferiori. Stimavasi fortunato qualora un dramma gli
    fruttava cento ghinee; scarsa rimunerazione, e nulladimeno
    manifestamente maggiore di quella che avrebbe potuto conseguire
    impiegando in altro genere di scrivere eguale fatica(233).
    
    La ricompensa che gl'ingegni di quell'età potevano ottenere dal
    pubblico, era tanto lieve, che trovavansi nella necessità di
    accrescere le loro entrate levando, dirò così, contribuzioni sopra i
    grandi. Ciascun signore ricco e di buon cuore veniva con tanta
    ostinazione e con tante abiette lusinghe importunato dagli scrittori
    mendichi, che ai tempi nostri parrebbe incredibile. Colui al quale
    venisse dedicata un'opera, era in debito di ricompensare lo
    scrittore con una borsa piena d'oro. La somma che fruttava la dedica
    d'un libro spesso era assai maggiore di quella che ne avrebbe data
    lo editore per il diritto di stampa. Per la qual cosa, i libri
    spesso pubblicavansi solo col fine di farne una dedica. Questo
    traffico di laudi produceva lo effetto che era da aspettarsene.
    L'adulazione spinta talvolta allo sproposito, tal'altra all'empietà,
    non stimavasi che infamasse il poeta. La indipendenza, la veracità,
    il rispetto di sè, non erano cose che da lui esigesse il mondo. A
    dir vero, per moralità egli era qualche cosa tra il lenone e il
    mendicante.
    
    Agli altri vizi che invilivano il carattere del letterato, si
    aggiunse, verso la fine del regno di Carlo II, la più feroce
    intemperanza dello spirito di parte. I begli ingegni, come classe,
    erano stati spinti dal loro vecchio odio del puritanismo verso il
    partito della Corte, ed avevano trovato utili alleati. Dryden, in
    specie, aveva resi buoni servigi al Governo. Il suo Assalonne ed
    Achitofel, grandissima tra le satire de' tempi moderni, aveva
    stupefatta la città; con velocità senza esempio s'era aperta la via
    fino ai distretti rurali; e dovunque erasi mostrata, aveva dato
    molestia agli esclusionisti e accresciuto il coraggio de' Tory. Ma
    fra mezzo all'alta ammirazione che naturalmente c'ispira la
    squisitezza della dizione e del verso, non dobbiamo dimenticare la
    gran distinzione del bene e del male. Lo spirito del quale Dryden e
    parecchi de' suoi consorti in quel tempo erano animati, deve
    meritamente chiamarsi diabolico. I giudici e gli sceriffi servili di
    quegl'infausti giorni, non potevano spargere il sangue con la
    speditezza inculcata clamorosamente dai poeti. Un richiedere nuove
    vittime, un odioso scherzare sugl'impiccamenti, acri motteggi
    intorno a coloro i quali, fidi al Re nell'ora del pericolo, lo
    consigliavano poscia di mostrarsi compassionevole e generoso co'
    suoi vinti nemici; e perchè nulla mancasse alla colpa e alla
    vergogna, cotesti infami scritti venivano recitati dalle donne, le
    quali, ammaestrate da lungo tempo a bandire ogni modestia, erano ora
    ammaestrate a bandire ogni compassione(234).
    
    XLIX. È cosa degna di nota, come, mentre l'amena letteratura in
    Inghilterra in tal modo era di nocumento e d'infamia alla nazione,
    il genio inglese nelle scienze compisse una rivoluzione che, sino
    alla fine de' secoli, verrà posta tra le opere più grandi dell'umano
    intelletto. Bacone aveva posta la buona sementa in un terreno tardo
    e in una stagione non opportuna. Non ne aveva sperato così presto il
    ricolto, e nel suo supremo testamento aveva solennemente legata la
    sua fama alla età susseguente. Pel corso d'una intera generazione,
    la sua filosofia, fra mezzo ai tumulti, alle guerre, alle
    proscrizioni, si era lentamente venuta maturando in poche menti ben
    formate. Mentre le fazioni lottavano per predominare nello Stato, un
    drappello di uomini saggi, con benevolo sdegno, erasi scostato dal
    conflitto, consacrandosi alla egregia impresa di slargare il dominio
    dell'uomo sopra la materia. Appena tornata la pubblica quiete, a
    quei maestri fu agevole trovare attenti uditori; imperocchè la
    disciplina per la quale la nazione era passata, aveva talmente
    contemperata la mente del popolo da potere ricevere le dottrine del
    Verulamio. Le perturbazioni civili avevano incitate le facoltà della
    gente educata, ed avevano ingenerata una irrequieta attività e una
    curiosità insaziabile, quale ne' tempi anteriori non s'era mai
    veduta fra noi. Nulladimeno, lo effetto di quelle perturbazioni fu,
    che i disegni di riforma religiosa e politica venissero generalmente
    considerati con sospetto e dispregio. Per lo spazio di venti anni,
    l'occupazione precipua delle menti savie ed operose era stata quella
    di foggiare costituzioni con primi magistrati, senza primi
    magistrati, con senati ereditarii, con senati tirati a sorte, con
    senati annui, con senati perpetui. In simili disegni di governo non
    omettevasi nulla. Tutti i particolari, tutte le nomenclature, tutto
    il ceremoniale del governo immaginario vi erano pienamente notati;
    Polemarchi, Filarchi, Tribù, Galassie, Lord Arconte, e Lord
    Stratigoto: quali urne per raccogliere i voti dovessero essere
    verdi, e quali rosse: quali palle dovessero essere d'oro, e quali
    d'argento: quali magistrati dovessero portare cappelli, e quali
    berretti appuntati di velluto nero: in che modo dovesse portarsi la
    mazza, e quando dovessero gli araldi scoprirsi la testa. Queste e
    simiglianti altre inezie venivano con gravità esaminate ed ordinate
    da uomini di non comune intelligenza e dottrina(235). Ma la stagione
    di cotali visioni era finita; e se qualche fervido repubblicano
    seguitava tuttavia a trastullarsene, il timore del pubblico scherno
    e d'un processo criminale, generalmente, lo induceva a sottrarre
    agli sguardi altrui le proprie fantasticherie. Ora, ella era cosa
    impopolare e pericolosa mormorare una sola parola contro le leggi
    fondamentali della Monarchia; ma gli uomini audaci ed ingegnosi
    potevano compensarsi trattando con isdegno quelle che poco innanzi
    erano considerate leggi fondamentali di natura. Il torrente ch'era
    stato condannato a scorrere per il suo antico alveo, si gettò
    furiosamente in un altro. Lo spirito rivoluzionario, cessando
    d'agire nella politica, cominciò ad esercitarsi con insolito vigore
    ed ardire in ogni ramo di scienze fisiche. L'anno 1660, l'èra del
    ristabilimento della vecchia costituzione, è anche l'èra da cui data
    lo innalzarsi della nuova filosofia. In quell'anno cominciò ad
    esistere la Società Reale, destinata ad essere agente principale in
    una lunga serie di gloriose e salutari riforme(236). In pochi mesi,
    la scienza sperimentale divenne grandemente in voga. La trasfusione
    del sangue, la ponderazione dell'aria, la fissazione del mercurio,
    nelle menti del pubblico occuparono quel luogo che già vi tenevano
    le controversie della Rota. I sogni delle forme perfette di governo,
    cessero ai sogni delle ale con cui gli uomini dovevano volare dalla
    Torre all'Abbadia, e delle navi a doppia carena, che non dovevano
    mai affondare nella più furiosa procella. Gli uomini d'ogni classe
    vennero trascinati dalle idee predominanti. Cavalieri e
    Teste-Rotonde, Ecclesiastici e Puritani, per questa volta,
    collegaronsi. Teologi, giuristi, uomini di Stato, nobili, principi,
    magnificavano i trionfi della filosofia di Bacone. I poeti,
    gareggiando d'entusiasmo, cantavano lo avvicinarsi dell'età d'oro.
    Cowley, con versi pregni di pensiero e splendidi di brio, spingeva
    la eletta sementa a prender possesso della terra promessa irrigata
    di latte e di miele; di quella terra che il grande liberatore e
    legislatore aveva veduta come dalla cima di Pisgah, senza che gli
    fosse stato concesso d'entrarvi(237). Dryden, con più zelo che
    scienza, congiunse la sua voce al grido universale, e predisse cose
    che nè egli nè altri intendeva. Vaticinò che la Società Reale ci
    avrebbe tra breve condotti ai confini del mondo, dove ci avrebbe
    dilettati con un più bello spettacolo della luna(238). Due esperti
    ed aspiranti prelati, Ward Vescovo di Salisbury e Wilkins Vescovo di
    Chester, predistinguevansi fra i capi del movimento; la storia del
    quale fu eloquentemente scritta da un più giovane teologo, che
    veniva splendidamente innalzandosi nella propria professione: voglio
    dire da Tommaso Sprat, poi fatto Vescovo di Rochester. Il giudice
    Hale e il Lord Cancelliere Guildford toglievano qualche ora alle
    faccende delle loro corti per iscrivere intorno all'idrostatica. E
    veramente, per cura di Guildford furono costruiti i primi barometri
    che fossero posti in vendita a Londra(239). La chimica per un certo
    tempo divideva col vino e con l'amore, col teatro e col giuoco, con
    gl'intrighi del cortigiano e gl'intrighi del demagogo, l'attenzione
    del volubile Buckingham. Rupert è in voce di avere inventata la
    incisione così detta a mezza tinta; e porta il suo nome quella
    curiosa bolla di vetro che per lungo tempo ha formato il trastullo
    de' bambini, e la disperazione de' filosofi. Lo stesso Carlo aveva
    un laboratorio in Whitehall, e mostravasi in esso più attento ed
    operoso di quel che fosse in Consiglio. Era quasi necessario al
    carattere d'un compito gentiluomo il saper dire qualche cosa intorno
    alla macchina pneumatica e ai telescopi; ed anche le leggiadre dame,
    di quando in quando, credevano convenevole mostrare gusto per la
    scienza, recavansi in carrozza verso le sei a visitare le curiosità
    di Gresham, e mandavano gridi di gioia vedendo che la calamità
    veramente attraesse un ago, e che un microscopio facesse davvero
    apparire una mosca grande quanto un uccello(240).
    
    In questo, al pari d'ogni altro moto della mente umana, era senza
    dubbio alcuna cosa che avrebbe mosso a riso. È legge universale che
    qualsivoglia fatica o dottrina viene in voga, perda in parte quel
    pregio in che era tenuta mentre stavasi nelle mani di pochi uomini
    gravi, ed era amata per sè stessa. Egli è vero che le stoltezze di
    taluni, i quali senza vera attitudine per la scienza mostravansene
    appassionati, fornivano materia di spregio e sollazzo a pochi
    satirici maligni, appartenenti alla precedente generazione, i quali
    non inchinavano a disimparare ciò che in gioventù avevano
    imparato(241). Ma non è meno vero che la grande opera d'interpretare
    la natura, venne eseguita dagli Inglesi d'allora come non era avanti
    mai stata in nessuna età e nazione. Lo spirito di Francesco Bacone
    era vasto, e maravigliosamente contemperato d'audacia e di sobrietà.
    Gli uomini erano fortemente persuasi che tutto il mondo fosse pieno
    di secreti di grave momento alla felicità umana, e che dal Supremo
    Fattore fosse stata affidata all'uomo la chiave, che, bene
    adoperata, avrebbe schiusa la via per giungere a quelli. Regnava in
    quel tempo la convinzione, che nelle scienze fisiche fosse
    impossibile pervenire alla cognizione delle leggi generali, tranne
    osservando accuratamente i fatti. Stabilmente fermi in tali grandi
    verità, i professori della nuova filosofia si dettero all'opera; e
    in meno di venticinque anni, avevano dato ampi risultamenti delle
    proprie lucubrazioni. Nuovi vegetabili furono coltivati, nuovi
    strumenti agricoli adoperati, e nuovi modi di concimare i
    terreni(242). Evelyn, con formale sanzione della Società Reale,
    aveva dati avvertimenti ai suoi concittadini intorno alle
    piantagioni. Temple, nelle sue ore d'ozio, aveva fatti nuovi
    esperimenti nell'orticoltura, e provato che molti frutti delicati,
    indigeni in climi migliori, si sarebbero potuti, coll'aiuto
    dell'arte, ottenere anche nel suolo inglese. La medicina, che in
    Francia seguitava a rimanere in abietta schiavitù, ed apprestava a
    Molière inesauribile materia di giusto scherno, era divenuta in
    Inghilterra scienza sperimentale e progressiva, ed ogni giorno,
    sfidando Ippocrate e Galeno, faceva sempre più un nuovo passo.
    L'attenzione dei pensatori per la prima volta si diresse
    all'importante subietto della polizia sanitaria. La rinomata
    pestilenza del 1665 gl'indusse a considerare seriamente i difetti
    dei fabbricati, delle fogne, e della ventilazione della metropoli.
    Il grande incendio del 1666 offerse il destro di eseguire
    miglioramenti vastissimi. La faccenda fu diligentemente esaminata
    dalla Società Reale; ai consigli della quale è d'uopo attribuire in
    gran parte le mutazioni, che, quantunque non fossero tali da
    rispondere ai bisogni della pubblica utilità, resero la nuova Londra
    differentissima dall'antica, e forse impedirono per sempre lo
    infuriare della peste nel nostro paese(243). In quel medesimo tempo,
    uno de' fondatori della predetta società, Sir Guglielmo Petty, creò
    la scienza dell'aritmetica politica; umile ma indispensabile ancella
    della politica filosofia. Nessuna parte del regno della natura
    rimase inesplorata. A quegli anni appartengono le scoperte chimiche
    di Boyle, e le prime ricerche botaniche di Sloane. E' fu allora che
    Ray fece una nuova classificazione degli uccelli e de' pesci,
    Woodward rivolse la propria attenzione ai fossili ed alle
    conchiglie. I fantasmi dell'errore che ne' secoli tenebrosi avevano
    ingombrato la terra, l'uno dietro l'altro, disparvero dinanzi alla
    nuova luce. L'astrologia e l'alchimia diventarono obietto di
    trastullo. Poco dopo, non v'era contea in cui qualche collegio di
    giudici non ridesse sprezzantemente sempre che una vecchia strega
    veniva tratta al tribunale, accusata di aver cavalcato sul manico
    della granata, o avere prodotta la pestilenza nell'armento. Ma in
    quei nobili e assai ardui rami della scienza, ne' quali la induzione
    e la dimostrazione matematica cooperano alla scoperta del vero, il
    genio inglese a que' tempi riportò i più memorandi trionfi. Giovanni
    Wallis elevò sopra nuove fondamenta lo intero sistema della statica.
    Edmondo Halley(244) investigò le proprietà dell'atmosfera, il flusso
    e riflusso del mare, le leggi del magnetismo, e il corso delle
    comete; nè dal culto della scienza lo distolsero travagli, pericoli
    ed esilio. Mentre egli, sopra le rocce di Santa Elena, faceva la
    carta delle costellazioni dello emisfero meridionale, il nostro
    nazionale osservatorio sorgeva in Greenwich; e Giovanni Flamsteed,
    che fu il primo astronomo regio, cominciava quella lunga serie
    d'osservazioni, che non è ricordata mai senza rispetto e gratitudine
    in qualsiasi parte del mondo. Ma la gloria di cotesti uomini,
    comunque eminenti, è oscurata dallo immenso splendore d'un nome
    immortale. Nella mente d'Isacco Newton trovavansi congiunte, come
    non lo erano mai state in mente d'uomo, due specie di potenza
    intellettiva che hanno poco di comune tra loro, e che non si trovano
    spesso insieme con pari vigore, ma nondimeno sono egualmente
    necessarie ne' rami più sublimi delle scienze fisiche. Vi saranno
    forse stati intelletti pari al suo ben formati a coltivare le
    matematiche pure, o le scienze puramente sperimentali; ma in nessun
    altro intelletto la facoltà dimostrativa e la induttiva
    coesistettero in simile suprema eccellenza e perfetta armonia. Forse
    in una età in cui fossero in voga gli Scotisti e i Tomisti, anche la
    sua mente sarebbe corsa a rovina, siccome avvenne a molte altre
    menti solo inferiori a quella di lui. Avventuratamente, lo spirito
    del tempo in cui gli toccò di vivere, pose nel diritto cammino il
    suo ingegno, il quale con ingente forza reagì sopra lo spirito del
    tempo. Nel 1685 la sua fama, comecchè splendida, era in sull'alba;
    ma il suo genio era pervenuto al meriggio. La sua grande opera,
    quell'opera che produsse un rivolgimento nelle provincie più
    importanti della filosofia naturale, era compiuta, ma non ancora
    pubblicata, e stava per essere sottoposta allo esame della Società
    Reale.
    
    L. Non è facile trovare il perchè la nazione, la quale nelle scienze
    era proceduta tanto innanzi alle nazioni vicine, nelle arti belle
    stesse loro tanto addietro. Nondimanco, tale fu il fatto. Egli è
    vero che in architettura, arte che è mezza scienza, arte in cui solo
    può inalzarsi un profondo geometra, arte che non ha altra norma di
    gusto tranne quella che direttamente o indirettamente dipende
    dall'utilità, arte le cui creazioni derivano, almeno in parte, la
    maestà loro dalla semplice massa, il paese nostro poteva gloriarsi
    d'un uomo veramente grande: voglio dire di Cristoforo Wren; al quale
    lo incendio onde Londra era stata ridotta a un mucchio di rovine,
    aveva pôrta occasione fino allora senza esempio nella storia
    moderna, di spiegare l'ali dello ingegno. Come quasi tutti i suoi
    contemporanei, egli non poteva emulare e forse sentire il vero
    pregio dell'austera bellezza del portico greco, e della buia
    sublimità dell'arcata gotica: ma niuno, nato al di qua delle alpi,
    ha imitata così felicemente la magnificenza de' bei tempii della
    Italia. Perfino il superbo Luigi non ha lasciata alla posterità
    opera alcuna che possa agguagliarsi alla chiesa di San Paolo. Ma
    alla fine del regno di Carlo II, non v'era un solo pittore o
    scultore inglese di cui oggidì si ricordi il nome. Tale sterilità ha
    un certo che di mistero; perocchè i dipintori e gli scultori non
    erano punto tenuti in dispregio o male rimunerati. La loro posizione
    sociale era, per lo meno, alta come ai dì nostri. I loro guadagni,
    in proporzione dell'opulenza del paese, e del modo onde venivano
    rimunerati gli altri lavori intellettuali, erano anche maggiori di
    quel che siano ai tempi presenti. La generosa protezione che
    accordavasi agli artisti, gli attirava a schiere ai nostri lidi.
    Lely, che ci ha conservati i bei ricci, le labbra tumide e i
    languidi occhi delle fragili beltà celebrate da Hamilton, era nativo
    di Westfalia. Era morto nel 1680, dopo una lunga e splendida vita,
    dopo d'avere ricevuto il titolo di cavaliere, ed ammassato con
    l'arte sua un buon patrimonio. La sua bella collezione di disegni e
    di pitture, dopo la sua morte, fu esposta, col permesso del Re,
    nella sala da pranzo in Whitehall, e venduta all'asta per la quasi
    incredibile somma di ventisei mila lire sterline: somma che sta in
    maggior proporzione al patrimonio de' ricchi uomini di quel tempo,
    di quello che sarebbero cento mila sterline a' mezzi de' ricchi del
    nostro(245). A Lely successe il suo concittadino Goffredo Kneller,
    il quale fu fatto prima cavaliere e poi baronetto; e dopo d'essere
    splendidamente vissuto, e aver perduta molta pecunia in mal
    fortunate speculazioni, potè tuttavia lasciare alla propria famiglia
    un gran patrimonio. I due Vandeveldes, olandesi, erano stati
    persuasi dalla liberalità inglese a stabilirsi fra noi, dove avevano
    dipinto i più bei quadri di marina del mondo. Simone Varelst, altro
    artefice olandese, dipinse leggiadri girasoli e tulipani, a prezzi
    fino allora non conosciuti. Il napolitano Verrio, effigiava sulle
    volte e per le scale Gorgoni, Muse, Ninfe, Satiri, Virtù, Vizii,
    Numi che libano il nettare, e Trionfi di principi. L'entrata ch'egli
    accumulò col frutto delle sue opere, lo pose in condizione tale, che
    la sua mensa era delle più sontuose. Per le sole pitture da lui
    eseguite a Windsor, ebbe sette mila lire sterline; somma che in
    allora era bastevole a satisfare i moderati desiderii d'un
    gentiluomo, ed eccedeva di molto quella che Dryden in quarant'anni
    di lavori letterarii ottenne da' librai(246). Luigi Laguerre,
    principale aiuto e successore di Verrio, venne dalla Francia. I due
    più celebri scultori di que' tempi erano anche stranieri. Cibber, i
    cui patetici emblemi del Furore e della Malinconia adornano Bedlam,
    era danese. Gibbons, alla graziosa fantasia e al tocco delicato del
    quale molti de' nostri palazzi, collegi e chiese, devono i loro più
    leggiadri lavori d'ornato, era olandese. Anche i disegni delle
    monete erano eseguiti da incisori francesi. A dir vero, fino al
    regno di Giorgio II, la patria nostra non potè gloriarsi d'un grande
    pittore; e Giorgio III era già sul trono, innanzi ch'essa potesse
    andare altera d'alcuno egregio scultore.
    
    Siamo al punto in cui termina la descrizione che siamo venuti
    facendo della Inghilterra, mentre era governata da Carlo II.
    Nulladimeno, ci rimane a toccare d'una cosa di grave momento. Non
    abbiamo finora fatto parola della gran massa del popolo; di coloro,
    cioè, che intendevano allo aratro, curavano i buoi, sudavano sopra i
    telai di Norwich, e squadravano le pietre di Portland per il tempio
    di San Paolo. Nè possiamo lungamente favellarne. La classe più
    numerosa è precisamente quella intorno alla quale ci rimangono
    scarsissime notizie. In que' tempi, i filantropi non consideravano
    come debito sacro, nè i demagoghi come lucroso traffico, l'occuparsi
    delle sciagure dell'operaio. La istoria era sì affaccendata con le
    corti e coi campi di battaglia, da non serbare una sola pagina al
    tugurio del contadino, o alla botteguccia del manuale. La stampa
    adesso in un sol giorno, discute e declama intorno alle condizioni
    dell'operaio con più abbondanza di quanto ne fu pubblicato ne'
    ventotto anni che corsero dalla Restaurazione alla Rivoluzione. Ma
    errerebbe grandemente chi dallo accrescersi de' reclami, inferisse
    essersi accresciuta la miseria.
    
    LI. Il gran criterio della condizione del popolo basso, sta nel
    salario ond'è rimeritato il lavoro; e poichè quattro quinti del
    popolo, nel diciassettesimo secolo, erano addetti all'agricoltura,
    importa sopra tutto indagare qual fosse la paga dell'operaio nella
    industria agricola. Intorno a ciò abbiamo i mezzi di giungere a
    conclusioni bastevolmente esatte pel nostro proposito.
    
    Sir Guglielmo Petty, la cui semplice asserzione è di gran peso,
    c'insegna che non erano punto cattive le condizioni d'un lavorante
    qualora per una giornata di lavoro ricevesse quattro soldi col cibo,
    e otto senza. Quattro scellini la settimana, quindi, erano, secondo
    il calcolo di Petty, una buona paga per la gente agricola(247).
    
    Che siffatto calcolo non fosse discosto dal vero, abbiamo prove in
    gran copia. Verso il principio del 1685, i Giudici della Contea di
    Warwick, nello esercizio d'una potestà affidata loro da un decreto
    d'Elisabetta, stabilirono, nelle loro sessioni trimestrali, un
    regolamento di paghe per la Contea, e notificarono che ciascun
    padrone che pagasse, e ciascuno operaio che ricevesse più della
    somma decretata, sarebbero puniti. Il salario dell'operaio
    agricolo(248) ordinario da Marzo a Settembre, era precisamente lo
    stesso notato da Petty; val quanto dire, quattro scellini per
    settimana, senza cibo. Da Settembre a Marzo era di tre scellini e
    sei soldi(249).
    
    Ma in quel secolo, siccome nel nostro, i guadagni del contadino
    differivano assai nelle differenti parti del Regno. Il salario nella
    Contea di Warwick rispondeva probabilmente alla media proporzionale,
    e nelle Contee verso il confine della Scozia era minore; ma v'erano
    distretti più favoriti. Nel medesimo anno 1685, un gentiluomo di
    Devonshire, di nome Riccardo Dunning, pubblicò un opuscolo, nel
    quale descrisse la condizione de' poveri di quella Contea. Ch'egli
    intendesse bene la materia, non è possibile dubitare; imperocchè,
    pochi mesi dopo, l'opuscolo venne ristampato, e dai magistrati
    ragunati in Exeter nelle sessioni trimestrali fortemente
    raccomandato all'attenzione di tutti gli ufficiali delle parrocchie.
    Secondo lui, il salario del contadino della predetta Contea, era,
    senza il cibo, circa cinque scellini per settimana(250).
    
    Anche migliore era la condizione del lavorante nelle vicinanze di
    Bury Saint Edmond. I magistrati di Suffolk adunaronsi quivi, nella
    primavera del 1682, per fissare la rata del salario; e deliberarono
    che, quando all'operaio non fosse dato da mangiare, riceverebbe
    cinque scellini per settimana in tempo di verno, e sei
    d'estate(251).
    
    Nel 1661, i giudici in Chelmsford avevano stabilito che il salario
    dell'operaio d'Essex, senza cibo, fosse di sei scellini in inverno,
    e di sette in estate. E questa pare che fosse la paga maggiore con
    che si retribuisse nel Regno il lavoro degli agricoltori, nel
    periodo di tempo che corse dalla Restaurazione alla Rivoluzione: ed
    è da notarsi, che nell'anno in cui fu fatta cotesta provvisione, le
    cose necessarie alla vita erano oltremodo care. Il grano costava
    settanta scellini il sacco; prezzo che anche oggi verrebbe
    considerato quasi da tempi di carestia(252).
    
    Questi fatti perfettamente concordano con un altro che sembra
    meritevole d'essere considerato. Ella è cosa evidente che in un
    paese dove niuno può essere costretto a farsi soldato, le file
    dell'armata non potrebbero riempirsi, se il Governo desse paga molto
    minore del salario che riceve un operaio rurale. Oggidì la paga d'un
    soldato comune, in un reggimento di linea, è di sette scellini e
    sette soldi per settimana. Tale stipendio, congiunto con la speranza
    d'una pensione, non attira in numero sufficiente(253) i giovani
    inglesi; ed è necessario di supplire al difetto arrolando le più
    povere genti di Munster e di Connaught. La paga di un soldato comune
    di fanteria, nel 1685, era di quattro scellini e otto soldi per
    settimana; e nondimeno, è certo che il Governo in quell'anno non
    incontrò difficoltà nessuna a raccogliere, poco tempo dopo
    l'annunzio, molte migliaia di reclute inglesi. La paga d'un soldato
    comune di fanteria nell'esercito della Repubblica era stata sette
    scellini per settimana; vale a dire, pari a quella d'un caporale
    sotto Carlo II(254): e sette scellini per settimana s'erano trovati
    bastevoli a riempire le file d'uomini manifestamente superiori alla
    generalità del popolo. E però, nello insieme, e' pare ragionevole
    conchiudere, che nel regno di Carlo II, la paga ordinaria del
    contadino non eccedesse quattro scellini per settimana; ma che in
    talune parti del reame fosse di cinque scellini, di sei scellini, e
    nei mesi estivi anche di sette scellini. Ai giorni nostri, un
    distretto dove un lavorante guadagni sette scellini per settimana,
    si reputa in condizioni tristissime. La media proporzionale è assai
    maggiore; e nelle Contee prospere, la paga settimanale degli
    agricoltori ascende a dodici, quattordici, ed anche sedici scellini.
    
    LII. La rimunerazione degli operai impiegati nelle manifatture, è
    stata sempre maggiore di quella de' lavoratori della terra.
    Nell'anno 1680, un membro della Camera de' Comuni notò come le
    grosse paghe che si davano in Inghilterra, rendessero impossibile la
    concorrenza de' nostri tessuti coi prodotti de' telai indiani. Un
    mestierante inglese, invece di tormentarsi al pari d'un uomo di
    Bengal per una moneta di rame, voleva uno scellino per giorno(255).
    Esiste un'altra testimonianza che prova, uno scellino per giorno
    essere stata la paga la quale un manifattore inglese allora si
    credesse in diritto di chiedere: ma spesso era costretto di lavorare
    a minor prezzo. La plebe di quell'età non aveva costume di radunarsi
    per discutere, udire arringhe, o far petizioni al Parlamento. Non
    v'era giornale che perorasse la causa di quella. Manifestava in
    rozze rime l'amore, l'odio, l'esultanza, la sciagura. Gran parte
    della sua storia può solo impararsi nelle ballate. Una delle più
    notabili poesie popolari che nel tempo di Carlo II cantavasi per le
    vie di Norwich e di Leeds, può tuttavia leggersi nel suo originale.
    È il grido veemente ed acre del lavoro contro il capitale. Descrive
    il vecchio buon tempo, allorquando ogni artigiano impiegato
    nell'opera della lana viveva al pari d'un fattore. Ma quel tempo era
    passato; e un povero uomo rompendosi per un intero giorno le braccia
    al telaio, poteva guadagnare solo sei soldi; e muovendo lamento di
    non poter vivere con sì misera paga, gli veniva risposto ch'era
    libero di prenderla o lasciarla. Per una così magra ricompensa, i
    produttori della ricchezza erano costretti ad affannarsi, alzandosi
    presto e coricandosi tardi; mentre il padrone, mangiando, bevendo ed
    oziando, arricchivasi con le fatiche loro. Uno scellino per giorno -
    dice il poeta - sarebbe la paga del tessitore, se gli fosse resa
    giustizia(256). Ci è dato quindi concludere, che negli anni che
    precessero la Rivoluzione, un lavorante impiegato nelle grandi
    manifatture d'Inghilterra, si reputasse bene pagato guadagnando sei
    scellini per settimana.
    
    LIII. Potrebbe in questo luogo notarsi, che il costume di porre i
    fanciulli a lavorare innanzi tempo (costume che lo Stato, legittimo
    protettore di coloro che non possono proteggersi da sè, ha con
    saggezza ed umanità ai tempi nostri inibito), prevaleva tanto nel
    diciassettesimo secolo, che, paragonato alla estensione del sistema
    delle manifatture, parrebbe incredibile. In Norwich, sede principale
    del traffico de' lanificii, una creaturina di sei anni stimavasi
    atta a lavorare. Vari scrittori di quel tempo, fra' quali alcuni che
    avevano fama di eminentemente benevoli, ricordano esultando come in
    quella sola città i fanciulli e le fanciulle di tenerissima età
    creassero una ricchezza che sorpassava di dodicimila lire sterline
    l'anno quella che era necessaria alla loro sussistenza(257). Quanta
    più cura poniamo ad esaminare la storia del passato, tanta più
    ragione troveremo di discordare da coloro che pensano, l'età nostra
    avere prodotti nuovi mali sociali. Vero è che i mali sono di vecchia
    data. Ciò che è nuovo, è la intelligenza che gli discerne e la
    umanità che vi pone rimedio.
    
    LIV. Passando da' tessitori di panno a una specie diversa
    d'artigiani, le nostre ricerche ci condurranno a conclusioni
    pressochè simili. Per varie generazioni, i Commissarii dello Spedale
    di Greenwich hanno tenuto il registro delle paghe date a diverse
    classi di operai impiegati a riattare quell'edificio. Da questo
    pregevole documento raccogliesi, che nel corso di cento venti anni,
    il salario giornaliero de' muratori si è elevato da mezzo scudo a
    quattro e soldi dieci, quello del maestro da mezzo scudo a cinque e
    soldi tre, quello del legnaiuolo da mezzo scudo a cinque e soldi
    cinque, e quello del piombaio da tre scellini a cinque e soldi sei.
    
    Per lo che, e' sembra chiaro che la mercede del lavoro, estimata in
    danaro, nel 1685, non era più della metà di quel che è adesso; e
    poche erano le cose importanti per un lavorante, il prezzo delle
    quali, nel 1685, non fosse più della metà di quello che è adesso. La
    birra, senza dubbio, era a minor prezzo allora che oggi. La carne
    era anche a più buon prezzo; ma tuttavia costava tanto, che
    centinaia di migliaia di famiglie appena ne conoscevano il
    sapore(258). Il costo del frumento ha variato pochissimo. Il prezzo
    medio del sacco, negli ultimi dodici anni del regno di Carlo II, era
    di cinquanta scellini. Il pane, quindi, simile a quello che ora si
    dà agli ospiti della casa di lavoro, di rado vedevasi allora anche
    sur desco di un piccolo possidente o d'un padrone di bottega. La
    maggior parte della nazione cibavasi di segala, d'orzo e di avena.
    
    I prodotti de' paesi del tropico, delle miniere, delle macchine,
    erano positivamente più cari che oggi non sono. Fra le cose che il
    lavorante, nel 1685, pagava più care di quel che i posteri suoi le
    paghino nel 1848, erano lo zucchero, il sale, il carbone, le
    candele, il sapone, le scarpe, le calze, e generalmente le cose
    pertinenti al vestiario e gli arnesi da letto. Potrebbe aggiungersi
    che gli abiti e le coltri di que' tempi, non solo erano più costosi,
    ma meno servibili di quelli che usano ai giorni nostri.
    
    LV. È mestieri ricordare come que' lavoranti, che bastavano a
    mantenere col proprio salario sè e le famiglie loro, non fossero le
    persone più bisognose del popolo. Al di sotto di loro stava una
    numerosa classe che non poteva sussistere senza qualche soccorso
    della parrocchia. Non può esservi migliore argomento a provare le
    condizioni in cui trovasi la plebe, della proporzione in cui essa
    sta verso la società intera. Oggimai gli uomini, le donne, i bambini
    che ricevono sussidii, da quel che pare dalle liste officiali, sono
    nelle cattive annate la decima parte degli abitanti d'Inghilterra, e
    nelle buone la tredicesima. Gregorio King li estimava ne' suoi tempi
    a più d'una quinta parte; e tale computo, che, con tutta la
    venerazione per l'autorità sua, potremmo chiamare esagerato, fu
    reputato da Davenant essere singolarmente giudizioso.
    
    Per avventura, non ci mancano affatto i mezzi di giudicare da noi.
    La tassa pei poveri era indubitabilmente quella della quale i nostri
    antenati sentissero maggiore gravezza. Sotto Carlo II, veniva
    stimata a circa sette cento mila sterline l'anno; vale a dire molto
    più che il prodotto della così detta excise o delle dogane, e poco
    meno di mezza la intera rendita della Corona. La tassa pei poveri
    andò rapidamente crescendo, e sembra che fosse in breve tempo
    pervenuta ad una somma tra otto e nove cento mila sterline l'anno;
    val quanto dire, ad un sesto di ciò che è adesso. La popolazione in
    allora era meno d'un terzo di quello che è ai giorni nostri. Il
    minimo de' salari che allora si davano, calcolato in danaro, era la
    metà di quel che oggi si paga; e quindi mal possiamo supporre che il
    sussidio largito ad un povero fosse più della metà di quello che è
    adesso. E' pare perciò si possa dedurre, che la proporzione delle
    persone che in que' tempi ricevevano sussidii dalle parrocchie,
    fosse maggiore di quello che sia nei nostri. È bene in somiglianti
    quistioni parlare con diffidenza; ma certamente non è stato finora
    provato che il pauperismo fosse negli ultimi venticinque anni del
    secolo diciassettesimo un minor carico o un male sociale meno serio
    di quello che sia nel tempo presente(259).
    
    Da un lato, è mestieri ammettere che il progresso della civiltà ha
    scemati i comodi fisici d'una parte delle classi più povere. È stato
    già notato come, avanti la Rivoluzione, molte migliaia di miglia
    quadrate di terra, adesso chiusa e coltivata, erano pantani, foreste
    e scopeti. Di cotesti terreni selvaggi molta parte, per virtù della
    legge, era comune; e molta di quelli che non erano comuni per legge,
    valeva sì poco, che i proprietari la lasciavano essere comune di
    fatto. Ivi i fuggiaschi e i trasgressori si tollerava che stessero
    in modo affatto ignoto al dì d'oggi. Il contadino che vi abitava,
    poteva di quando in quando, con poca e nessuna spesa, aggiungere
    qualche cosa al suo scarso alimento, e provvedersi di combustibili
    per l'inverno. Teneva un branco d'oche là dove adesso sorgono
    giardini e pometi. Tendeva reti alle galline selvatiche sul padule,
    che dappoi è stato seccato, e partito in campi da grano e da rape.
    Tagliava frasche là dove ora vedonsi prati verdeggianti di
    trifoglio, e rinomati per il burro e il cacio. Il progresso
    dell'agricoltura e lo accrescimento della popolazione
    necessariamente lo privarono di cotesti privilegi. Ma di fronte a
    siffatti mali è da porsi una lunga serie di beni.
    
    LVI. De' beni che la civiltà e la filosofia conducono seco, gran
    parte è comune a tutte le classi; ed ove si perdessero, verrebbero
    deplorati sì dall'operaio come dal magnate. Il contadino che adesso
    in un'ora può giungere col suo baroccio al mercato, cento sessanta
    anni addietro vi consumava un giorno intero. La strada che ora
    appresta all'artigiano, per tutta la notte, un passeggio sicuro,
    conveniente ed illuminato, cento sessanta anni fa, era così buia
    dopo il tramonto del sole, da non lasciargli discernere la propria
    mano; così male lastricata, da porlo in continuo rischio di rompersi
    il collo; e così mal sorvegliata, da metterlo in imminente pericolo
    d'essere stramazzato giù, e spogliato del suo poco guadagno. Ogni
    muratore che cada giù da un ponte, ogni spazzaturaio che in una
    strada traversa sia calpestato da una carrozza, adesso può farsi
    medicare le ferite e rimettere al loro posto le rotte membra, con
    un'arte che cento sessanta anni addietro un Lord come Ormond, ed un
    negoziante principesco come Clayton, con tutte le loro ricchezze,
    non avrebbero potuto ottenere. La scienza ha sradicate alcune
    terribili malattie; altre ne ha bandite la polizia. La vita
    dell'uomo è diventata più lunga in tutto il Regno, e in ispecie
    nelle città. L'anno 1685 non è notato come pieno di malattie; e
    nondimeno, in quell'anno morì uno in ogni ventitrè abitanti della
    metropoli(260); mentre nel nostro tempo ne muore uno in ogni
    quaranta. La differenza di salubrità tra Londra del secolo
    decimonono e quella del diciassettesimo, è molto maggiore della
    differenza tra Londra in tempi ordinari, e Londra in tempi di
    cholera.
    
    È anche più importante il beneficio che tutte le classi sociali, e
    segnatamente le basse, hanno ricavato dalla mitigatrice influenza
    della civiltà sull'indole nazionale. Il fondamento di tale indole, a
    dir vero, è stato il medesimo per molte generazioni, nel senso in
    cui il fondamento dell'indole d'un individuo si considera come lo
    stesso quando egli è rozzo e spensierato scolare, e quando diventa
    uomo culto e compito. Reca diletto pensare che il pubblico sentire
    in Inghilterra si è raddolcito così come la intelligenza è venuta
    maturando, e che nel corso de' tempi siamo diventati un popolo non
    solo più saggio, ma più gentile. Quasi non v'è pagina di storia o
    d'amena letteratura del secolo decimosettimo, che non provi in
    qualche modo i nostri antenati essere stati meno umani de' loro
    posteri. La disciplina delle botteghe, delle scuole, delle famiglie
    private, quantunque non fosse più efficace di quel che sia ai giorni
    presenti, era infinitamente più dura. I padroni nati e educati bene
    avevano costume di battere i loro servi. I pedagoghi altra via non
    conoscevano d'insegnare, che quella di sferzare i loro scolari. I
    mariti di decente posizione sociale non arrossivano di bastonare le
    loro mogli. Le fazioni procedevano talmente implacabili, da non
    potersi immaginare. I Whig mormorarono perchè Stafford era morto
    senza vedersi bruciare gl'intestini sul viso. I Tory ingiuriarono ed
    insultarono Russell, mentre dalla Torre era condotto al patibolo in
    Lincoln's Inn Fields(261). Egualmente cruda mostravasi la plebe
    contro i disgraziati delle classi più basse. Se un colpevole era
    posto alla berlina, poteva chiamarsi fortunato, ove gli venisse
    fatto d'uscir vivo dalla pioggia de' sassi che gli lanciavano
    contro(262). Se veniva legato alla coda di un cavallo, la folla lo
    premeva d'attorno, pregando il carnefice a volerlo flagellar bene e
    farlo urlare(263). I gentiluomini facevano gite di sollazzo a
    Bridewell ne' giorni di tribunale, a fine di vedere fustigare le
    povere battitrici di canapa(264). Un uomo trascinato a morte per
    aver ricusato di chiedere scusa, una donna arsa viva per aver
    coniato moneta, svegliavano minore commiserazione di quella che ora
    si prova al veder tormentare un cavallo o un bue. Certi
    combattimenti, in paragone de' quali un'accanita lotta a pugni si
    reputerebbe un mite spettacolo, erano fra gli squisiti diletti di
    gran parte de' cittadini. La gente affollavasi a mirare i gladiatori
    farsi in brani con armi micidiali, ed appena vedeva schizzare un
    dito o un occhio ad alcuno de' combattenti, mandava gridi di gioia.
    Le prigioni erano bolgie infernali sopra la terra, vivai d'ogni
    delitto e d'ogni infermità. Nei tribunali, gli scarni e pallidi
    delinquenti portavano seco dalle loro celle un'atmosfera di puzzo
    pestilenziale, che talvolta li vendicava del seggio, degli avvocati
    e de' giurati. E a tanta miseria la società guardava con profonda
    indifferenza. In nessun luogo era da trovarsi quella sensitiva e
    irrequieta compassione che ai tempi nostri potentemente protegge
    fino il ragazzo della fattoria, la vedova indiana, lo schiavo negro;
    che penetra nelle provvisioni di ogni nave carica d'emigranti; che
    raccapriccia ad ogni staffilata che piombi sulle spalle d'un soldato
    briaco; che non patirebbe che il ladro alle galere fosse nutrito
    male o sopraccarico di lavoro, e che più volte si è studiata di
    salvare la vita anche allo assassino. Egli è vero che la
    compassione, al pari d'ogni altro sentimento, dovrebbe essere
    governata dalla ragione, e che per difetto di ciò, ha prodotto
    effetti talvolta ridicoli e tal'altra deplorabili. Ma più ci
    facciamo a meditare sulla storia del passato, e più abbiamo
    argomento di rallegrarci di vivere in una età di commiserazione, che
    aborre dalla crudeltà, e con ripugnanza, e solo spinta dal senso del
    dovere, infligge la pena anche meritata. E davvero, ad ogni classe
    cotesto grande mutamento morale ha recata immensa utilità; ma la
    classe che ci ha più guadagnato, è la più povera, dipendente e priva
    di difesa.
    
    LVII. Lo effetto generale de' fatti che ho esposti ai lettori,
    sembra non dovere ammettere dubbio veruno. Pure, non ostante la
    evidenza di quelli, molti immaginano tuttavia che la Inghilterra
    degli Stuardi fosse un paese più piacevole che quella de' tempi
    nostri. A prima vista, parrebbe strano che la società, mentre è
    venuta di continuo e con ispeditezza avanzando nella via del
    progresso, dovesse con amaro desio volger gli occhi al passato. Ma
    coteste due tendenze, per quanto appariscano incompatibili, possono
    agevolmente risolversi nel medesimo principio. Entrambe nascono
    dalla impazienza di trovarci nelle condizioni in cui siamo. Tale
    impazienza, mentre ci incita a sorpassare le generazioni precedenti,
    ci rende inchinevoli a porre più in alto la felicità loro. In certo
    senso, ella è irragionevolezza e ingratitudine in noi l'essere
    perpetuamente scontenti d'una condizione di cose che perpetuamente
    va facendosi migliore. Ma, per vero dire, questo medesimo scontento
    è quello che ci spinge verso il meglio. Se fossimo appieno
    satisfatti del presente, cesseremmo di speculare, d'affaticarci e di
    conservare, coll'occhio vôlto verso il futuro. Ed è quindi naturale
    che noi, non contenti delle cose presenti, apprezziamo
    soverchiamente le passate.
    
    In verità, siamo nel medesimo inganno che abbaglia la mente del
    viandante nell'arabo deserto. Sotto i piedi della caravana il suolo
    è arido e nudo; ma sì avanti che dietro si presenta la immagine
    delle fresche acque. I pellegrini affrettano il passo avanti, e non
    trovano altro che sabbia dove, un'ora prima, avevano veduto un lago.
    Volgono gli occhi addietro, e vedono un lago dove un'ora prima
    procedevano affannosi traverso alla sabbia. E' sembra che una
    simigliante illusione tormenti le nazioni per ogni stadio del lungo
    progresso che compiono, dalla povertà e barbarie, alla civiltà ed
    opulenza. Ma se ci facciamo a cercare tenacemente quella mêta nel
    passato, la vediamo recedere fino nelle favolose regioni
    dell'antichità. Regna adesso la voga di porre la età d'oro della
    Inghilterra in tempi nei quali i nobili erano privi di que' comodi
    il cui difetto parrebbe insopportabile ad un servitore; nei quali i
    fattori, e i padroni di botteghe mangiavano a colazione pagnotte
    tali, che basterebbe il solo vederle per far nascere una ribellione
    fra i mendicanti nella casa di lavoro; ne' quali gli uomini, viventi
    nell'aria più pura della campagna, morivano più presto di quello che
    oggidì non accade ne' chiassuoli più pestilenziali delle nostre
    città, ed essi morivano più presto ne' chiassuoli delle nostre città
    che ora nelle coste della Guiana. Anche a noi toccherà d'esser vinti
    nel progresso, ed essere invidiati. Potrebbe ben darsi che nel
    secolo ventesimo, il contadino della Contea di Dorset, si reputasse
    miseramente pagato con quindici scellini per settimana; che il
    legnaiuolo di Greenwich guadagnasse dieci scellini per giorno; che i
    lavoranti si avvezzassero così poco a desinare senza carni, come
    adesso sono assuefatti a cibarsi di pane di segala; che la polizia
    sanitaria e i trovati medici allungassero di alcuni anni la vita
    ordinaria dell'uomo; che a gran copia di comodi e di cose di lusso,
    che adesso sono sconosciuti, o accessibili a pochi, potesse giungere
    ogni diligente ed economo operaio. E non ostante, potrebbe allora
    sorgere la moda d'asserire, che lo augumento della ricchezza e il
    progresso della scienza siano stati utili ai pochi a danno dei
    molti, e di parlare del regno della Regina Vittoria come del tempo
    in cui l'isola nostra era la briosa Inghilterra, allorquando tutte
    le classi erano vincolate da un sentimento fraterno, e il ricco non
    ghignava sul viso del povero, e il povero non invidiava le
    splendidezze del ricco.
    
    
    CAPITOLO QUARTO.
    
    SOMMARIO.
    
    I. Morte di(265) Carlo II. - II. Sospetti di veleno. - III. Discorso
    di Giacomo II dinanzi il Consiglio Privato. - IV. Giacomo proclamato
    Re. - V. Condizioni del Governo. - VI. Nuovi Ordinamenti. - VII. Sir
    Giorgio Jeffreys. - VIII. Esazione della rendita senza un Atto del
    Parlamento. - IX. Convocazione del Parlamento - X. Trattative tra
    Giacomo e il Re di Francia. - XI. Churchill è mandato ambasciatore
    in Francia; sua storia. - XII. Sentimenti de' governi continentali
    verso l'Inghilterra. - XIII. Politica della Corte di Roma. - XIV.
    Lotta nella mente di Giacomo; ondeggiamenti della sua politica. -
    XV. I riti cattolici romani si celebrano pubblicamente in Palazzo. -
    XVI. Incoronazione di Giacomo. - XVII. Entusiasmo degl'indirizzi de'
    Tory. - XVIII. Elezioni. - XIX. Processo contro Oates. - XX. Contro
    Dangerfield - XXI. Contro Baxter. - XXII. Ragunanza del Parlamento
    di Scozia. - XXIII. Sentimenti di Giacomo verso i Puritani. - XXIV.
    Crudeltà contro i Convenzionali Scozzesi. - XXV. Sentimenti di
    Giacomo verso i Quacqueri. - XXVI. Guglielmo Penn. - XXVII. Favore
    peculiare mostrato ai Cattolici Romani e ai Quacqueri. - XXVIII.
    Ragunanza del Parlamento Inglese; Trevor eletto Presidente. - XXIX.
    Carattere di Seymour. - XXX. Discorso del Re innanzi al Parlamento.
    - XXXI. Discussione nella Camera de' Comuni; Discorso di Seymour. -
    XXXII. Votazione della rendita. - XXXIII. Procedimenti della Camera
    de' Comuni rispetto alla religione. - XXXIV. Votazione di tasse
    addizionali; Sir Dudley North. - XXXV. Procedimenti della Camera de'
    Lordi. - XXXVI. Legge per annullare la sentenza d'infamia contro
    Stafford.
    
    
    I. La morte di re Carlo II giunse di sorpresa alla nazione. La sua
    tempra era naturalmente vigorosa, e non sembrava d'avere sofferto
    per istemperatezze. Era stato sempre studioso della propria salute
    anche ne' sensuali diletti; e le sue abitudini erano tali, da
    promettergli lunga la vita e robusta la vecchiaia. Indolente come
    egli era in tutte le cose che richiedessero tensione di mente,
    mostravasi attivo e perseverante negli esercizi del corpo. In
    gioventù aveva acquistata rinomanza nel giuoco della
    pallacorda(266); e declinanti gli anni, aveva seguitato ad essere un
    camminatore instancabile. Il suo passo ordinario era tale, che
    coloro i quali erano ammessi all'onore della sua compagnia,
    trovavano difficile uguagliarlo. Alzavasi presto da letto, e
    generalmente passava tre o quattro ore del giorno all'aria aperta.
    Innanzi che il Parco di San Giacomo fosse asciutto della rugiada,
    Carlo vedevasi errare fra gli alberi, giuocare coi suoi bracchi, e
    gettare grano alle anitre; le quali cose lo rendevano caro al popolo
    basso, che ama sempre di vedere i grandi rallentare dal loro
    consueto sussiego(267).
    
    Finalmente, in sul finire del 1684, un leggiero accesso che
    credevasi di gotta, lo impedì dal suo consueto girovagare. Si pose
    quindi a passare le mattinate nel suo laboratorio, dove sollazzavasi
    facendo esperimenti intorno alle proprietà del mercurio. Parve che
    la sua tempra soffrisse dallo starsi confinato in casa. Non aveva
    cagione apparente d'inquietudine. Il Regno era tranquillo; lui non
    istringeva bisogno di pecunia; egli era assai più potente di quello
    che fosse mai stato; il partito che lo aveva per tanto tempo
    avversato, era vinto: ma il lieto umore onde egli erasi sostenuto
    contro l'avversa fortuna, era sparito nei dì della prospera. La
    minima inezia adesso bastava ad opprimere quello spirito elastico,
    che aveva resistito alla sconfitta, allo esilio ed alla penuria. La
    irritazione dell'animo spesso in lui si mostrava in tali sguardi e
    parole, che non si sarebbero aspettati da un uomo così predistinto
    per allegro umore e squisita educazione. Nulladimeno, nessuno
    pensava che la salute di lui fosse gravemente danneggiata(268).
    
    Il suo palagio rade volte aveva presentato un aspetto più gaio e
    scandaloso, di quello che offriva nella sera della domenica del dì
    primo febbraio 1685(269). Taluni uomini gravi che v'erano andati,
    secondo il costume di quella età, a complire il loro sovrano,
    aspettandosi che in un tanto giorno la sua Corte serbasse un decente
    contegno, rimasero attoniti e compresi d'orrore. La gran galleria di
    Whitehall, ammirevole reliquia della magnificenza de' Tudor, era
    affollata di libertini e di giuocatori. Il Re sedeva lì ciarlando e
    trastullandosi con tre donne, la cui beltà formava il vanto, e i cui
    vizi la infamia di tre nazioni. Eravi Barbara Palmer Duchessa di
    Cleveland, la quale, non più giovane, serbava tuttavia i vestigi di
    quella suprema e voluttuosa amabilità, che venti anni innanzi aveva
    vinti tutti i cuori. Eravi parimente la Duchessa di Portsmouth, i
    cui dolci e fanciulleschi sembianti erano animati dalla vivacità
    propria delle Francesi. Ortensia Mancini, Duchessa di Mazzarino e
    nipote del gran Cardinale, compiva il gruppo. Costei, dalla nativa
    Italia, era passata alla Corte dove il suo zio imperava da sovrano.
    Il potere di lui e le proprie attrattive, le avevano richiamato
    d'intorno una folla d'illustri vagheggiatori. Lo stesso Carlo,
    mentre era esule, ne aveva indarno chiesta la mano. Non v'era dono
    di natura o di fortuna che paresse mancarle. Aveva splendente il
    viso della beltà de' climi meridionali, pronto lo intendimento,
    graziosi i modi, alto il grado, copiose le ricchezze; doni insigni
    che le sue irrefrenate passioni avevano reso funesti. Aveva provata
    insopportabile la sciagura d'un male augurato matrimonio, era
    fuggita dal tetto maritale, aveva abbandonata la sua vasta opulenza,
    e dopo d'avere con le proprie avventure reso attonita Roma e il
    Piemonte, era venuta a starsi in Inghilterra. La sua casa era il
    ritrovo prediletto de' belli spiriti e degli amatori de' piaceri, i
    quali per vaghezza de' suoi sorrisi e de' suoi pranzi tolleravano i
    frequenti accessi d'insolenza e di cattivo umore, in cui ella spesso
    trascorreva. Rochester e Godolphin talora in compagnia di lei
    obliavano le cure dello Stato. Barillon e Saint-Evremond trovavano
    nelle sue sale conforto alla lunga lontananza da Parigi. La dottrina
    di Vossio, lo spirito di Waller, non cessavano mai d'adularla e
    divertirla. Ma la sua mente inferma richiedeva stimoli più forti, e
    li cercava amoreggiando, giuocando alla bassetta, e inebriandosi di
    scubac(270). Mentre Carlo sollazzavasi con le sue tre sultane, il
    paggio francese d'Ortensia - bel fanciullo che con gli armonici
    suoni della voce dilettava Whitehall, ed era regalato di ricche
    vesti e di palafreni e di ghinee - gorgheggiava versi d'amore(271).
    Un drappello di venti cortigiani sedeva giuocando a carte attorno
    un'ampia tavola, sopra la quale l'oro vedevasi a mucchi(272). Anche
    allora il Re disse di non sentirsi bene. A cena non ebbe appetito;
    non ebbe posa la notte: ma nel dì susseguente levossi, come era suo
    costume, a buon'ora.
    
    Le avverse fazioni del suo Consiglio avevano per varii giorni con
    ansietà aspettato quel mattino. La lotta tra Halifax e Rochester
    sembrava avvicinarsi ad una crisi decisiva. Halifax, non pago
    d'avere cacciato il proprio rivale dal Tesoro, aveva impreso a
    mostrarlo reo di tale disonestà o trascuratezza nel governo della
    finanza, da farlo punire con la destituzione dai pubblici uffici.
    Bisbigliavasi anche che il Lord Presidente verrebbe incarcerato
    nella Torre. Il Re aveva promesso d'investigare il vero; il dì
    secondo di febbraio era il giorno stabilito per tale investigazione;
    e parecchi ufficiali della rendita avevano ricevuto comandamento di
    presentarsi coi loro libri in quel giorno(273). Ma la fortuna era lì
    pronta per volgere la sua ruota.
    
    Carlo era appena sorto da letto, quando i suoi servi s'accorsero che
    balbettava, e connetteva poco. Alcuni gentiluomini s'erano recati
    alla reggia per vedere, secondo il costume, il loro sovrano farsi la
    barba e vestirsi. Egli sforzossi di conversare con loro nel suo
    solito modo scherzevole; ma rimasero timorosi ed attoniti al vederlo
    sì squallido. Di repente divenne nero nel viso; gli si travolsero
    gli occhi; mandò un urlo, traballò e cadde nelle braccia di Tommaso
    Lord Bruce, figlio del Conte di Ailesbury. Un medico, che aveva cura
    delle storte e de' crogiuoli del Re, per caso si trovò presente; ma
    non avendo lancetta, gli aperse con un temperino la vena. Il sangue
    uscì libero, ma Carlo rimase privo di sensi.
    
    Lo adagiarono sul letto, dove la Duchessa di Portsmouth per breve
    ora stette china sopra lui con la familiarità d'una moglie. Ma lo
    spavento si era sparso per tutte le stanze. La Regina e la Duchessa
    di York corsero frettolose alla camera. Alla concubina prediletta fu
    forza ritrarsi al proprio quartiere; il quale dal suo regio amante
    era stato tre volte disfatto e rifatto, per appagare i capricci di
    lei. Gli arnesi del camino(274) erano d'argento massiccio. Varii bei
    dipinti, che propriamente appartenevano alla Regina, erano stati
    trasferiti alle stanze della concubina. Le tavole erano ripiene di
    argenterie riccamente lavorate. Nelle nicchie vedevansi scrigni,
    capolavori dell'arte giapponese. Sulle cortine, uscite pur allora
    da' telai di Parigi, erano dipinti con colori, di cui nessuna
    tappezzeria inglese poteva sostenere il paragone, uccelli adorni di
    magnifiche penne, paesi, cacce, la terrazza principesca di
    Saint-Germain, le statue e le fontane di Versailles(275). Fra mezzo
    a tanta splendidezza, compra con la colpa e la vergogna, la infelice
    donna si abbandonò ad una agonia di dolore, il quale, per renderle
    giustizia, non era al tutto egoistico.
    
    Allora le porte di Whitehall, che d'ordinario stavano aperte a tutti
    gli accorrenti, furono chiuse; sebbene fosse tuttavia dato lo
    ingresso a coloro i cui visi erano cogniti. Le anticamere e le
    gallerie tosto furono affollate di gente; ed anche la camera dello
    infermo era piena di Pari, di Consiglieri Privati e di Ministri
    stranieri. Tutti i più rinomati medici di Londra furono chiamati a
    Palazzo. E potevano tanto i rancori politici, che la presenza di
    alcuni medici Whig fu considerata come cosa straordinaria(276). Un
    cattolico romano, altamente famoso per la perizia dell'arte sua,
    voglio dire il Dottore Tommaso Short, assisteva il Re. Si conservano
    tuttavia parecchie ricette. Una di esse è firmata da quattordici
    dottori. Allo infermo fu cavato sangue in gran copia; alla sua testa
    fu applicato un ferro caldo. Gl'introdussero a forza in bocca certo
    sale volatile disgustoso, estratto da teschi umani. Il Re risensò;
    ma rimase in presentissimo pericolo di vita.
    
    La Regina per qualche tempo lo assistè di continuo. Il Duca di York
    non si scostò mai dal letto del fratello. Il Primate ed altri
    quattro vescovi, trovandosi allora in Londra, rimanevano a Whitehall
    tutto il giorno, e ad uno per volta vigilavano tutta notte nella
    camera del Re. La nuova della sua infermità riempì la metropoli di
    dolore e di sgomento; imperocchè Carlo, per la sua indole tranquilla
    e i suoi modi affabili, erasi acquistato lo affetto della maggior
    parte della nazione; e coloro che più non l'amavano, preferivano la
    sua leggerezza alla severa e grave bacchettoneria del fratello.
    
    Nella mattina del giovedì 5 di febbraio, la Gazzetta di Londra
    annunzio che Sua Maestà procedeva di bene in meglio, sì che i medici
    lo credevano fuori di pericolo. Le campane di tutte le chiese
    suonarono a festa; e si facevano per le vie apparecchi di fuochi
    artificiali. Ma verso sera si seppe il Re essere ricaduto, e i
    medici avere perduta ogni speranza di salvarlo. Il pubblico ne
    rimase grandemente contristato; ma non v'era indizio di tumulto. Il
    Duca di York, il quale erasi assunto il carico di dare ordini, si
    assicurò che nella Città era perfetta quiete, e ch'egli, appena
    spirato il fratello, poteva senza difficoltà essere proclamato Re.
    
    Carlo soffriva estremamente, e diceva di sentirsi bruciare dentro
    come da un fuoco. Nondimeno sostenne i proprii tormenti con una
    fortezza che non pareva compatibile con la sua molle e lussuriosa
    natura. Lo spettacolo della sciagura di lui commosse tanto la
    moglie, che svenne, e così priva di sensi fu portata alle sue
    stanze. I prelati che lo assistevano lo avevano fin da principio
    esortato ad apparecchiarsi al gran viaggio. Adesso stimaronsi in
    debito di favellargli con più calde parole. Guglielmo Sancroft
    Arcivescovo di Canterbury, uomo onesto e pio, quantunque di piccola
    mente, gli disse liberamente: "È tempo di parlar chiaro, perocchè
    voi siete, o signore, sul punto di comparire avanti ad un Giudice
    che non ha rispetto di persone." Il Re non rispose né anche una
    parola.
    
    Tommaso Ken, vescovo di Bath e di Wells, allora volle provarsi di
    persuaderlo. Era uomo fornito di egregie doti e di dottrina, di
    pronta sensibilità e di virtù intemerata. Le sue opere elaborate
    sono da lungo tempo cadute nell'oblio: ma i suoi inni mattutini e
    vespertini sono tuttora ripetuti quotidianamente da migliaia di
    famiglie. Comecchè, al pari della più parte degli uomini della sua
    classe, fosse zelante della monarchia, non era punto adulatore.
    Innanzi che fosse fatto vescovo, aveva mantenuto l'onore della sua
    professione, ricusando, allorquando la Corte stava a Winchester, ad
    Eleonora Gwynn l'alloggio nella casa ch'egli occupava come
    prebendario(277). Il Re aveva buon senso bastevole a rispettare uno
    spirito così fermo, e tra tutti i prelati lo prediligeva.
    Nulladimeno, il buon vescovo indarno usava tutta la propria
    eloquenza. La sua solenne e patetica esortazione a tal segno
    commosse gli astanti, che alcuni di loro lo crederono invaso del
    medesimo spirito che nel tempo antico per le labbra di Natan e
    d'Elia aveva chiamati i principi peccatori a pentimento. Carlo
    nulladimeno non ne fu commosso. Vero è che non fece obiezione
    allorchè fu letto l'uffizio per la Visitazione degli infermi. In
    risposta alle premurose domande dei teologi, disse d'esser dolente
    del male fatto; e lasciò darsi l'assoluzione secondo le forme della
    Chiesa Anglicana: ma quando fu stretto a confessare com'ei morisse
    nella comunione di quella Chiesa, parve di non prestare ascolto a
    ciò che gli veniva detto; e nulla potè indurlo a prendere la
    Eucaristia dalle mani de' Vescovi. Gli fu posta dinanzi una tavola
    con sopra il vino e il pane, ma indarno. Ora diceva non esservi
    mestieri di cotanta fretta, ed ora affermava sentirsi troppo debole.
    
    Molti attribuivano cosiffatta apatia a dispregio delle cose divine,
    e molti altri alla stupidezza che spesso precede la morte. Ma in
    Palazzo v'erano poche persone che sapevano meglio il vero. Carlo non
    era mai stato un sincero credente nella Chiesa stabilita. La sua
    mente aveva lungamente ondeggiato tra l'Hobbismo e il Papismo.
    Quando sentivasi pieno di salute e libero di spirito, era beffardo.
    Nei pochi istanti di serietà era cattolico romano. Il Duca di York
    lo sapeva bene, ma era al tutto occupato della cura de' propri
    interessi. Aveva ordinato che si chiudessero le porte della reggia,
    ed appostate legioni di Guardie in varie parti della Città. Aveva
    parimente fatto apporre dalla tremula mano del moribondo Re la firma
    ad un atto, per virtù del quale taluni dazi, concessi solo fino alla
    morte del sovrano, gli venivano dati per tre anni. Cotali cose
    occupavano tanto la mente di Giacomo, che quantunque nelle ordinarie
    occasioni egli fosse indiscretamente e irragionevolmente sollecito
    di far proseliti alla propria Chiesa, non considerò mai che il
    fratello stava in pericolo di morire senza sacramenti. Questa
    trascuratezza era più straordinaria, perchè la Duchessa di York, nel
    dì in cui Carlo fu preso dal male, aveva, a richiesta della Regina,
    suggerito esser convenevole porgergli i conforti spirituali. Di tali
    conforti il Re andò debitore in sugli estremi all'opera d'una donna
    assai diversa dalla sua pia moglie, e dalla cognata. Una vita di
    frivolezza e di vizio non aveva spento in cuore alla Duchessa di
    Portsmouth ogni sentimento di religione, o tutta la tenerezza che
    forma la gloria del sesso leggiadro. Lo Ambasciatore Francese
    Barillon, recatosi a palazzo per sapere le nuove del Re, andò a
    visitarla, e la trovò immersa in un disperato dolore. Ella lo
    condusse in una secreta stanza, ed aprendogli tutti i secreti del
    cuore: "Io ho a palesarvi" gli disse "una cosa gravissima, e tale
    che se si sapesse, ce n'anderebbe della mia vita. Il Re è vero
    cattolico, ma morirà senza riconciliarsi con la Chiesa. La sua
    stanza è piena di ecclesiastici protestanti, nè io posso entrarvi
    senza scandalo. Il Duca non pensa ad altro che a sè. Parlategli;
    rammentategli che si tratta della salute d'un'anima. Egli è adesso
    il signore; egli può far sgomberare la stanza. Correte immantinente,
    o sarà troppo tardi."
    
    Barillon corse al letto del moribondo, trasse il Duca da parte e gli
    fece il messaggio della concubina. Giacomo si sentì pungere dalla
    propria coscienza, si scosse come da sonno, e disse che nulla gli
    avrebbe impedito d'adempiere il sacro dovere ch'era stato tanto
    ritardato. Formarono diversi disegni, senza abbracciarne(278)
    veruno, finchè il Duca comandò alla folla che si scostasse, si fece
    presso al letto, e piegando la persona bisbigliò qualche cosa che
    non giunse all'orecchio di nessuno degli spettatori, i quali
    pensavano che fosse alcuna domanda intorno a faccende di Stato.
    Carlo rispose con voce udita da tutti: "Sì, sì, con tutto il mio
    cuore." Niuno degli astanti, tranne lo ambasciatore francese,
    indovinò che il Re con quelle parole esprimeva il desiderio di
    essere ammesso al grembo della chiesa di Roma.
    
    "Debbo condurre un sacerdote?" disse il Duca. "Sì, fratello" rispose
    lo infermo; "per amore di Dio, fatelo, e non perdete tempo. Ma no,
    ciò vi cagionerà disturbi." - "Mi costi anche la vita," soggiunse il
    Duca "farò venire un sacerdote."
    
    Nondimeno, trovare un sacerdote a tale scopo e in un attimo, non era
    cosa facile. Imperciocchè, secondo la legge che in allora vigeva,
    colui che avesse annesso un proselite al grembo della Chiesa
    cattolica romana, era reo di delitto capitale. Il Conte di Castel
    Melhor, nobile portoghese, il quale, cacciato per politici disturbi
    dalla propria patria, era stato ospitalmente accolto alla Corte
    d'Inghilterra, si tolse la cura di trovare un confessore. Corse ai
    suoi concittadini che facevano parte della casa della Regina; ma non
    trovò alcuno de' cappellani che sapesse tanto d'inglese o di
    francese da confessare il Re. Il Duca e Barillon erano sul punto di
    mandare dal Ministro Veneto per un sacerdote, allorquando seppero
    che trovavasi a caso in Whitehall un monaco benedettino, chiamato
    Giovanni Huddleston. Costui, a gran risico della propria vita, aveva
    salvata quella del Re dopo la battaglia di Worcester, e per tale
    cagione dopo la Restaurazione era stato sempre considerato come
    persona privilegiata. Nei più virulenti proclami contro i preti
    papisti, allorchè i falsi testimoni avevano reso furibondo il
    popolo, Huddleston era stato nominatamente eccettuato(279). Egli
    consentì tosto a porre la propria vita, una seconda volta, in
    pericolo a pro del suo principe; ma rimaneva, nonostante, una
    difficoltà. L'onesto monaco era così digiuno di lettere, da non
    sapere ciò che avesse a dire in una occasione di tanta importanza.
    Ad ogni modo, per mezzo di Castel Melhor ebbe qualche avvertimento
    da un ecclesiastico portoghese, e tosto fu guidato per le scale
    secrete da Chiffinch, fidatissimo servo, il quale, se è da prestarsi
    fede alle satire di quel tempo, aveva spesso introdotto per il
    medesimo ingresso persone di altra specie. Il Duca allora, a nome
    del Re, fece comandamento a tutti, salvo a Luigi Duras Conte di
    Feversham, e a Giovanni Granville Conte di Bath, d'uscire. Ambedue
    questi Lordi professavano la religione protestante; ma Giacomo
    pensava di potersi fidare di loro. Feversham, francese di nobile
    stirpe, e nipote del gran Turenna, teneva un alto grado nello
    esercito inglese, ed era ciamberlano della Regina. Bath occupava
    l'ufficio detto Groom of the Stole.
    
    Ai comandamenti del Duca ubbidirono tutti, e perfino i medici si
    ritrassero. Dalla porta di dietro, che allora fu aperta, entrò il
    Padre Huddleston. Un tabarro gli copriva gli abiti sacri, e una
    ondeggiante parrucca la tonsura del capo. "Signore," disse il Duca
    "questo dabbene uomo una volta vi salvò la vita, e adesso viene per
    salvarvi l'anima." Carlo con fioca voce rispose: "Sia il ben
    venuto." Huddleston fece la parte sua meglio che non s'aspettasse.
    S'inginocchiò accanto al letto, ascoltò la confessione, impartì
    l'assoluzione, ed amministrò l'olio santo. Chiese al Re se
    desiderasse ricevere il pane eucaristico. "Certamente," rispose
    Carlo "se non ne sono indegno." Fu recata l'ostia santa. Carlo
    debolmente sforzossi di sollevarsi e mettersi inginocchioni. Il
    sacerdote lo esortò a starsi disteso, assicurandolo che Dio avrebbe
    accettata la umiliazione dell'anima, e non ricerca quella del corpo.
    Al Re fu così difficile inghiottire l'ostia, che fu mestieri aprire
    la porta per chiedere un bicchier d'acqua. Terminato il rito, il
    monaco pose un crocifisso in sugli occhi del penitente, ed
    esortandolo di volgere i suoi estremi pensieri alle pene del
    Redentore, si partì. La ceremonia era durata circa tre quarti d'ora;
    nel qual tempo i cortigiani che riempivano l'anticamera, s'erano
    vicendevolmente comunicati i loro sospetti con bisbigli ed occhiate
    espressive. La porta in fine fu spalancata, e la folla di nuovo
    invase la stanza del moribondo.
    
    La sera era molto inoltrata. Il Re pareva assai sollevato a cagione
    di ciò che era ivi seguito. Gli furono condotti innanzi al letto i
    suoi figli naturali, i Duchi di Crafton, di Southampton e di
    Northumberland, nati dalla Duchessa di Cleveland; il Duca di
    Saint-Albans nato da Eleonora Gwynn, e il Duca di Richmond dalla
    Duchessa di Portsmouth. Carlo gli benedisse, ma in ispecie parlò
    tenere parole a Richmond. Un solo che avrebbe dovuto essere in quel
    luogo, mancava. Il maggiore e più caramente diletto de' suoi
    figliuoli errava in esilio; e il padre nè anche una volta ne
    profferì il nome.
    
    Nel corso della notte, Carlo raccomandò caldamente la Duchessa di
    Portsmouth e il figlio di lei a Giacomo, dicendogli affettuosamente:
    "Non lasciate morire di fame la povera Norina." La Regina mandò per
    mezzo di Halifax scusandosi di starsi lontana, poichè era in tale
    perturbamento da non potere riprendere il suo posto accanto al
    letto; e lo pregava di perdonarle qualunque offesa gli avesse fatto
    senza saperlo. "Essa mi chiede perdono, povera donna!" esclamò Carlo
    "ed io con tutto il mio cuore la supplico di perdonarmi."
    
    La luce mattutina cominciava a penetrare per le finestre di
    Whitehall; e Carlo volle che gli assistenti alzassero le tende,
    perchè potesse per l'ultima volta contemplare il giorno. Notò ch'era
    tempo di caricare un oriuolo che era allato al suo letto. Di tali
    lievi circostanze si serbò lungamente la memoria, perocchè provavano
    senza alcun dubbio, che quando egli dichiarò d'essere cattolico
    romano, trovavasi in pieno possesso di tutte le sue facoltà
    intellettuali. Chiese a coloro che gli erano rimasti dintorno per
    tutta la notte, lo scusassero dell'incomodo onde era stato loro
    cagione, dicendo che senza sua colpa aveva tanto indugiato a morire;
    ma sperava volessero compatirlo. Fu questo l'ultimo raggio di quella
    squisita urbanità che spesso valse a calmare lo sdegno di una
    nazione giustamente irritata. Tosto dopo l'alba del dì, il moribondo
    perdè la parola. Innanzi le ore dieci era privo di sensi. Il popolo
    correva in folla alle chiese in sull'ora del servizio mattutino.
    Quando fu letta la preghiera per la salute del Re, alti gemiti e
    singhiozzi mostravano quanta amarezza stringesse il cuore di
    ciascuno. Il venerdì a mezzo il giorno, il 6 di febbraio, Carlo
    tranquillamente rese l'anima a Dio(280).
    
    II. In quel tempo, il basso popolo in tutta l'Europa, e in nessuno
    altro luogo più che in Inghilterra, aveva costumanza di attribuire
    la morte de' principi, e segnatamente quando il principe era
    popolare e la morte inattesa, a qualche assassinio di specie
    scelleratissima. Difatti, Giacomo I era stato accusato d'avere
    propinato il veleno al Principe Enrico; Carlo I a Giacomo I; e
    quando sotto la Repubblica la Principessa Elisabetta morì in
    Carisbrook, fu detto chiaramente che Cromwell scendesse alla stolta
    e codarda malvagità di mescolare droghe nocive nel cibo d'una
    fanciulletta, cui egli non aveva motivo immaginabile di recar
    nocumento(281). Pochi anni dopo, il rapido disfarsi del cadavere di
    Cromwell venne da molti ascritto a una mortifera pozione
    amministratagli nel medicamento. La morte di Carlo II non poteva
    mancare di far nascere simiglianti voci. L'orecchio del pubblico era
    stato ripetutamente pervertito da storielle di congiure papali
    contro la vita di lui. E però la mente di molti era forte
    predisposta a sospettare; e furono non poche le sciagurate
    circostanze che agli animi così disposti potevano far credere alla
    esistenza di un delitto. I quattordici dottori che avevano
    consultato sul caso del Re, si contraddissero vicendevolmente, e
    ciascuno sè stesso. Taluni pensavano che fosse un accesso
    epilettico, e che si dovesse lasciar sonnecchiare il paziente senza
    interromperlo. La maggior parte lo disse apoplettico, e per alcune
    ore lo tormentò a guisa d'un Indiano posto al palo. Infine, fu
    deliberato di chiamar febbre la sua infermità, e di ministrargli del
    cortice. Uno de' medici, nondimeno, protestò assicurando la Regina
    che i suoi confratelli ammazzerebbero il Re. Null'altro da
    cosiffatti dottori era da aspettarsi, che dissensione ed
    ondeggiamento. Ed era naturale che molti del volgo, dalla
    perplessità de' grandi maestri dell'arte di guarire, concludessero
    che la malattia aveva qualche straordinaria cagione. Possiamo
    credere che un orribile sospetto turbasse la mente di Short, il
    quale, comecchè esperto nella propria professione, a quanto pare,
    era un uomo nervoso e fantastico; e forse le sue idee erano confuse
    per paura delle odiose accuse a cui egli, come cattolico romano, era
    peculiarmente esposto. Non è mestieri, dunque, far le meraviglie se
    la plebe ripetesse e credesse innumerevoli storielle. La lingua di
    Sua Maestà erasi gonfiata tanto, da agguagliare quella d'un bue. Un
    ammasso di polvere deleteria gli era stata trovata nel cervello. Sul
    petto aveva delle macchie azzurre, e delle nere per le spalle.
    Qualche cosa era stata messa dentro la sua tabacchiera, qualche
    altra nel brodo, o nel piatto d'uova con l'ambragrigia, che ei
    prediligeva tanto. La Duchessa di Portsmouth gli aveva dato il
    veleno in una tazza di cioccolata; la Regina in un vaso di pere
    candite. Tali novelle deve la storia raccontare, poichè valgono a
    darci idea della intelligenza e virtù degli uomini che erano corrivi
    a crederle. Che nessuna voce della medesima sorta abbia mai, ne'
    tempi presenti, trovata fede tra noi, anche quando individui da'
    quali pendevano grandi interessi, sono morti d'impreveduti accessi
    di malattia, deve attribuirsi in parte al progresso della scienza
    medica e della chimica; ma parte anco - possiamo sperarlo - ai
    progressi che la nazione ha fatti nel buon senso, nella giustizia e
    nella umanità(282).
    
    III. Finita ogni cosa, Giacomo dalla stanza mortuaria si ritirò al
    suo gabinetto, dove per un quarto d'ora rimase solo. Frattanto i
    Consiglieri Privati, che si trovavano in Palazzo, adunaronsi. Il
    nuovo re, uscito fuori, prese posto a capo d'una tavola; e secondo
    l'usanza, iniziò il suo governo con un discorso al Consiglio.
    Significò il dolore che sentiva per la perdita del fratello, e
    promise di imitare la mitezza che aveva predistinto il passato
    governo. Sapeva bene, disse egli, d'essere stato accusato come
    amante del potere assoluto. Ma quella non era la sola menzogna che
    si fosse detta contro lui. Era deliberato di mantenere il governo
    stabilito sì della Chiesa come dello Stato. Conosceva appieno come
    la Chiesa Anglicana fosse eminentemente leale; e però si sarebbe
    sempre studiato di sostenerla e difenderla. Conosceva parimente come
    le leggi dell'Inghilterra fossero sufficienti a farlo principe
    grande quanto potesse mai desiderare. Non avrebbe rinunziato ai
    propri diritti, ma avrebbe rispettati gli altrui. Aveva per innanzi
    posta a repentaglio la propria vita per la difesa della patria; ed
    ora avrebbe, più di chiunque altro, fatto ogni sforzo per sostenere
    le giuste libertà di quella.
    
    Tale discorso, non era, come avviene ne' tempi moderni in
    simiglianti occasioni, studiosamente apparecchiato da' consiglieri
    del sovrano. Era la espressione estemporanea de' sentimenti del
    nuovo Re in un'ora di grande concitamento. I membri del Consiglio
    proruppero in gridi di gioia e di gratitudine. Rochester Lord
    Presidente, in nome de' suoi confratelli, espresse la speranza che
    la generosa dichiarazione della Maestà Sua si rendesse pubblica. Il
    Procuratore Generale, Heneage Finch, si offerse a far gli uffici di
    scrivano. Era zelante partigiano della Chiesa, e come tale,
    naturalmente desiderava che dovesse rimanere qualche durevole
    ricordo delle graziose promesse ch'erano state, poco fa, profferite.
    "Tali promesse" disse egli "hanno fatto sopra me una impressione
    cotanto profonda, che posso ripeterle parola per parola." Le pose
    quindi in iscritto. Giacomo le lesse, approvolle, e ordinò che
    venissero pubblicate. In altri tempi, poi, disse d'aver fatto quel
    passo senza la debita considerazione; le sue non premeditate
    espressioni rispetto alla Chiesa Anglicana, essere state troppo
    forti; e Finch, con destrezza che in quell'ora non fu notata, averle
    rese anche più forti(283).
    
    IV. Il Re era stanco per le lunghe vigilie e per molte violente
    emozioni; quindi si ritrasse onde riposare. I Consiglieri Privati,
    avendolo rispettosamente accompagnato fino alla stanza da letto,
    ritornarono ai seggi loro, ad emanare ordini per la ceremonia della
    proclamazione. Le guardie erano sotto le armi; gli araldi comparvero
    co' loro magnifici abiti; e la solennità fu compita senza veruno
    impedimento. Botti di vino furono poste nelle vie, e i passanti
    venivano invitati a bere alla salute del nuovo sovrano. Ma benchè il
    popolo in quella occasione acclamasse, non mostrava sembiante
    gioioso. Le lagrime furono viste sugli occhi di molti; e fu notato
    che non vi fu nè anche una fantesca in Londra, che non si fosse
    studiata d'avere qualche frammento di velo bruno in onoranza di re
    Carlo(284).
    
    Il funerale provocò numerose critiche, come quello che si sarebbe
    reputato appena convenevole ad un nobile e ricco suddito. I Tory
    sordamente biasimavano la parsimonia del nuovo Re; i Whig lo
    schernivano come privo di naturale affetto; e i fieri Convenzionisti
    di Scozia esultavano, dicendo essere stata compita la maledizione in
    antico scagliata contro i principi malvagi; il defunto tiranno
    essere stato sepolto con funerali degni d'un somiero(285).
    Nonostante, Giacomo iniziò il suo governo con non poca satisfazione
    del pubblico. Il discorso ch'egli fece in Consiglio, comparve
    stampato, e produsse impressione(286) a lui favorevolissima. Era
    questo allora il principe che una fazione aveva già cacciato in
    esilio, ed erasi provata di privare del diritto alla Corona, perchè
    lo teneva nemico mortale della religione e delle leggi
    d'Inghilterra. Egli aveva trionfato; oramai stava sul trono; e il
    primo de' suoi atti fu quello di dichiararsi difensore della Chiesa,
    e rispettatore de' diritti del popolo. Il giudicio che tutti i
    partiti avevano fatto dell'indole di lui, aggiungeva peso ad ogni
    parola che gli uscisse dal labbro. I Whig lo chiamavano superbo,
    implacabile, ostinato, spregiatore dell'opinione pubblica. I Tory,
    esaltando le sue virtù principesche, dolevansi spesso ch'egli
    ponesse in non cale quelle arti onde si acquista la popolarità. La
    stessa satira non lo aveva mai dipinto come uomo che fosse vago del
    pubblico favore professando ciò che non sentiva, e promettendo ciò
    che ei non aveva intendimento di mantenere. Nella domenica che seguì
    alla sua ascensione al trono, molti predicatori da' pergami citavano
    il suo discorso. "Adesso abbiamo a sostegno della Chiesa nostra"
    sclamava un oratore realista "la parola d'un Re, e d'un Re che non
    mancò mai alla propria parola." Questa espressiva sentenza tosto
    propagossi per tutto il paese, e divenne la parola d'ordine di tutto
    il partito Tory(287).
    
    V. I grandi uffici dello Stato per la morte del Re erano rimasti
    vacanti, e fu d'uopo che Giacomo deliberasse da chi dovessero essere
    occupati. Pochi de' membri del Gabinetto passato avevano ragione di
    aspettarsi il favore di lui. Sunderland, che era Segretario di
    Stato, e Godolphin primo Lord del Tesoro, avevano sostenuta la Legge
    d'Esclusione. Halifax, custode del sigillo privato, aveva avversata
    quella legge con impareggiabile potenza di argomenti e di parole; ma
    era nemico mortale della tirannide e del papismo. Vedeva con terrore
    il progresso delle armi francesi nel continente, e la influenza
    dell'oro francese nei consigli dell'Inghilterra. Se si fosse seguito
    il suo parere, le leggi sarebbero state rigorosamente osservate; la
    clemenza impartita ai vinti Whig; il Parlamento convocato in tempo
    debito; fatto qualche tentativo per riconciliare le nostre
    domestiche fazioni; e i principii della Triplice Alleanza avrebbero
    nuovamente diretta la nostra politica estera. Egli era, quindi,
    incorso nell'acre odio di Giacomo. Il Lord Cancelliere Guildford,
    appena poteva dirsi d'appartenere ad alcuno dei partiti in che la
    Corte era scissa. Non potevasi in nessuna guisa chiamare amico alla
    libertà; e nondimeno egli aveva tale riverenza per la lettera della
    legge, da non essere utile strumento di tirannide. Per la qual cosa,
    i Tory lo mostravano a dito come un Barcamenante, e Giacomo lo
    aborriva e insieme spregiava. Ormond, che era Lord maggiordomo e
    vicerè d'Irlanda, in quel tempo stanziava in Dublino. I diritti
    ch'egli aveva alla gratitudine del Re, erano superiori a quelli
    d'ogni altro suddito. Aveva strenuamente pugnato per Carlo I, era
    stato compagno d'esilio di Carlo II; e dopo la Restaurazione, a
    dispetto di molte provocazioni, aveva serbata senza macchia la
    propria lealtà. Comecchè, predominante la Cabala, fosse caduto in
    disgrazia, non era mai trascorso ad alcuna faziosa opposizione, e
    nei giorni della Congiura Papale e della Legge d'Esclusione, era
    stato primo tra i sostenitori del trono. Adesso era vecchio, e di
    recente era stato visitato dalla più(288) cruda sciagura. Aveva
    accompagnato al sepolcro un figlio, il valoroso Ossory, che avrebbe
    dovuto chiudere gli occhi del genitore. I grandi servigi, l'età
    veneranda e le sventure domestiche rendevano Ormond obietto di
    universale interesse alla nazione. I Cavalieri lo consideravano, e
    per diritto d'anzianità e per diritto di merito, loro capo; e i Whig
    sapevano ch'egli, per quanto fosse stato ognora fedele alla causa
    della monarchia, non era amico nè della tirannide nè del papismo.
    Ma, comunque godesse tanto la pubblica stima, poco era il favore che
    poteva aspettarsi dal nuovo signore. Giacomo, mentre anche egli era
    nella condizione di suddito, aveva sollecitato il proprio fratello a
    cangiare onninamente l'amministrazione dell'Irlanda. Carlo aveva
    assentito, deliberando che tra pochi mesi Rochester verrebbe
    nominato Lord Luogotenente(289).
    
    VI. Rochester era l'unico membro del Gabinetto che godesse altamente
    il favore del nuovo Re. Comunemente credevasi ch'egli verrebbe tosto
    messo a capo del governo, e che tutti gli altri Ministri sarebbero
    cangiati. Tale espettazione era bene fondata, ma solamente in parte.
    Rochester fu fatto Lord Tesoriere, e così diventò primo Ministro.
    Non fu nominato nè Lord Grande Ammiraglio, nè Banco
    dell'Ammiragliato. Il nuovo Re, che dilettavasi delle minuzie delle
    faccende navali, e sarebbe riuscito un esperto scrivano
    nell'arsenale di Chatham, deliberò di amministrare da sè il
    ministero di marina. Sotto lui, il maneggio di quell'importante
    dipartimento fu affidato a Samuele Pepys, del quale la biblioteca e
    il diario hanno tramandata la memoria fino ai nostri tempi. Nessuno
    de' servitori del defunto sovrano venne pubblicamente posto in
    disgrazia. Sunderland fece prova di tali artificii e destrezza, mise
    di mezzo tanti intercessori, e sapeva cotanti secreti, che gli si
    lasciò il Gran Sigillo. Dell'ossequiosità, industria, espertezza e
    taciturnità di Godolphin, mal poteva farsi senza. Non v'essendo più
    mestieri di lui al Tesoro, fu fatto Ciambellano della Regina. Con
    questi tre Lordi il Re consigliavasi in tutte le più importanti
    questioni. In quanto ad Ormond, Halifax e Guildford, ei pensò non di
    cacciarli via, ma soltanto umiliarli e dar loro molestia.
    
    Ad Halifax fu detto di rendere il Sigillo Privato, ed accettare la
    presidenza del Consiglio. Ei si sottopose con estrema ripugnanza;
    imperocchè, quantunque il Presidente del Consiglio avesse sempre
    avuta la precedenza sul Lord del Sigillo Privato, questo ufficio in
    quella età era più importante di quello di Presidente. Rochester non
    s'era dimenticato dello scherzo che gli era stato fatto pochi mesi
    avanti, allorquando fu levato dal Tesoro; e alla sua volta provò il
    piacere di cacciare a calci in alto il proprio rivale. Il Sigillo
    Privato fu dato ad Enrico Conte di Clarendon, fratello maggiore di
    Rochester.
    
    A Barillon, Giacomo manifestò com'ei detestasse Halifax. "Lo conosco
    pur troppo, e so di non potermene mai fidare. Ei non porrà le piani
    nelle faccende dello Stato. Il posto che gli ho dato, servirà
    appunto a mostrare al mondo la sua poca influenza." Ma reputò
    convenevole di parlare ad Halifax con linguaggio ben differente.
    "Tutto il passato è messo in oblio," disse il Re "tranne il servigio
    che voi mi rendeste nel dibattimento sopra la Legge d'Esclusione."
    Queste parole sono state di sovente citate, onde provare che Giacomo
    non era così vendicativo siccome è stato chiamato dai suoi nemici.
    E' pare anzi che provino che egli in nessun modo fosse meritevole
    della lode di sincerità datagli da' suoi amici(290).
    
    Ad Ormond fu fatto gentilmente sapere che più non erano necessarii i
    suoi servigi in Irlanda, e venne invitato a Whitehall per adempire
    l'ufficio di Maggiordomo. Egli si sottopose, ma non fece sembiante
    di nascondere che ne era rimasto profondamente offeso. La vigilia
    della sua partenza, diede un magnifico banchetto in Kilmainham
    Hospital, edifizio pur allora terminato, agli ufficiali del presidio
    di Dublino. Finito il pranzo, ei sorse, riempì di vino un bicchiere
    fino all'orlo, e levandolo in alto, chiese se ne fosse caduta una
    sola gocciola. "No, gentiluomini; dicano ciò che pur vogliono i
    cortigiani, io non ho per anche perduto il senno; la mia mano non
    trema ancora, e la mia mano non è più ferma del mio cuore. Alla
    salute del re Giacomo!" Fu questo l'ultimo addio di Ormond alla
    Irlanda. Egli lasciò il governo nelle mani dei Lordi Giudici, e
    ritornò a Londra, dove fu accolto con inusitati segni di pubblica
    riverenza. Molti grandi personaggi gli andarono incontro per via.
    Una lunga fila di cocchi lo accompagnò fino a Saint-James-Square,
    dove era il suo palazzo; e la piazza era piena di numerosa gente che
    lo salutava con alte acclamazioni(291).
    
    VII. Il Gran Sigillo fu lasciato a Guildford; ma nel tempo stesso
    gli venne fatto un gran torto. Fu deliberato di chiamare, per
    assisterlo nell'amministrazione, un altro legale di maggiore vigore
    e audacia. Lo eletto fu Sir Giorgo Jeffreys, Capo Giudice della
    Corte del Banco del Re. La pravità di quest'uomo è passata in
    proverbio. Ambidue i grandi partiti inglesi hanno vituperato con
    virulenza il nome di lui; perocchè i Whig lo consideravano come il
    loro più barbaro nemico, e i Tory stimavano convenevole gettargli
    addosso la infamia di tutti i delitti che deturparono il loro
    trionfo. Uno esame schietto e diligente mostrerebbe che alcune
    orrende novelle che si sono intorno a lui raccontate, sono false o
    esagerate. Nulladimeno, lo storico spassionato non varrebbe a
    scemare se non di poco la ingente massa d'infamia che si aggrava
    sopra la memoria di quel giudice ribaldo.
    
    Era uomo di mente pronta e vigorosa, ma d'indole inchinevole alla
    insolenza e all'iracondia. Appena uscito di fanciullezza, aveva
    esercitata la professione in Old Bailey, tribunale dove gli avvocati
    hanno sempre usata licenza di parole ignota in quello di Westminster
    Hall. Quivi per molti anni occupossi precipuamente negli esami e
    riesami de' più incorreggibili scellerati della grande metropoli. I
    giornalieri conflitti con le prostitute e co' ladri, svegliarono ed
    esercitarono tanto le facoltà sue, che egli diventò il bravazzone
    più consumato che si fosse mai conosciuto nella sua professione.
    Ogni umanità verso i sentimenti altrui, ogni rispetto di sè stesso,
    ogni senso di decenza furono cancellati dall'animo suo. Acquistò
    immensa perizia nella rettorica con la quale il volgo esprime l'odio
    e lo spregio. La profusione delle imprecazioni e oscene parole
    ond'era composto il suo vocabolario, potevano appena trovare
    agguaglio fra la marmaglia de' mercati. Il contegno e la voce di lui
    dovettero sempre essere stati sgradevoli. Ma questi pregi naturali -
    poichè sembra ch'ei tali gli reputasse - aveva a tal grado
    d'eccellenza condotti, che pochi erano coloro i quali, ne' suoi
    eccessi di rabbia, potevano tranquillamente vederlo o ascoltarlo. La
    impudenza e la ferocia gli sedevano sul ciglio. Il lampo degli occhi
    suoi ammaliava la infelice vittima sopra la quale ei li figgeva.
    Nondimeno, e il ciglio e lo sguardo erano meno terribili della
    sconcia forma della sua bocca. Il suo rabido urlo, siccome affermò
    un tale che l'aveva spesso udito, sembrava il tuono del giorno del
    giudizio finale. Queste qualità ei portò seco, ancor giovine d'anni,
    dalla sbarra degli avvocati al banco de' giudici. Salì presto,
    diventò Avvocato di Comune, e poi Cancelliere di Londra. Come
    giudice nelle sessioni della Città, mostrò le tendenze medesime che
    poi, asceso più in alto, gli acquistarono immortalità non
    invidiabile. Si sarebbe già potuto in lui notare il vizio più odioso
    di cui sia capace l'umana natura; cioè il godere dell'infelicità
    altrui, soltanto perchè è infelicità. Vedevasi una esultanza
    infernale nel modo onde profferiva le condanne dei rei. Il loro
    pianto, le loro preghiere sembravano solleticarlo voluttuosamente;
    ed egli amava di spaventarli, distendendosi con lussureggiante
    amplificazione sopra tutti i particolari di ciò che loro toccava di
    soffrire. Diffatti, quand'egli aveva occasione di ordinare che una
    malfortunata avventuriera venisse pubblicamente fustigata,
    "Carnefice," gridava "t'incarico di usare attenzione particolare a
    cotesta signora! Flagellala sodo, flagellala a sangue! Siamo al dì
    di Natale, tempo freddo perchè Madama si spogli. Vedi di scaldarle
    bene le spalle(292)." Non fu meno faceto allorchè profferì la
    sentenza contro il povero Lodovico Muggleton, quell'ebbro sarto che
    si credeva profeta. "Villano sfacciato!" urlò Jeffreys "tu avrai un
    gastigo dolce, dolce, dolce!" Una parte di questo dolce castigo fu
    la gogna, in cui lo sciagurato fanatico rimase pressochè morto dalle
    sassate(293).
    
    Verso questo tempo, il cuore di Jeffreys era diventato duro come i
    tiranni lo cercano nell'uomo che loro bisogni per mandare ad
    esecuzione le loro peggiori voglie. Egli aveva fino allora sperato
    nel Municipio di Londra per salire in alto. E però si era dichiarato
    Testa-Rotonda, e mostrava più gran giubbilo sempre che gli accadeva
    di dire ai preti papisti che verrebbero tagliati a pezzi, e che
    vedrebbero ardere i propri intestini, di quel che mostrava quando
    profferiva sentenze ordinarie di morte. Ma, appena conseguì tutto
    ciò che la Città poteva dare, affrettossi a vendere alla Corte il
    suo viso di bronzo e la sua lingua venefica. Chiffinch, il quale era
    avvezzo a far da mezzano in più specie di contratti infami, gli
    prestò aiuto. Egli aveva orditi molti amorosi e politici intrighi;
    ma certo non. rendè mai ai suoi signori un servigio più scandaloso
    di quello di presentare Jeffreys a Whitehall. Il rinnegato trovò
    tosto un protettore nell'indurito e vendicativo Giacomo; ma fu
    sempre trattato con disprezzo e disgusto da Carlo, il quale, non
    ostante i suoi gravi difetti, non fu mai nè crudele nè insolente.
    "Cotesto uomo" diceva il Re "non ha nè dottrina nè buon senso nè
    modi, ed ha più impudenza di dieci sgualdrine(294)." Nonostante, era
    d'uopo di tal ministero che non si sarebbe potuto affidare a persona
    che fosse riverente delle leggi o sensibile alla vergogna; e così
    Jeffreys, nella età in cui un avvocato si reputa avventuroso se
    venga adoperato a condurre una causa importante, fu fatto Capo
    Giudice del Banco del Re.
    
    I suoi nemici non potevano negare ch'egli possedesse talune delle
    doti che formano un gran giudice. Il suo sapere giuridico, a dir
    vero, era quello che egli aveva potuto acquistare non esercitandosi
    in cause importanti. Ma aveva una di quelle menti felicemente
    costituite, le quali traverso al labirinto della sofisticheria, e
    fra mezzo ad una selva di fatti di poco momento, vanno diritte al
    vero punto. Nulladimeno, rade volte egli aveva pieno uso delle sue
    facoltà intellettuali. Anco nelle cause civili, l'indole sua
    violenta e dispotica gl'infermava perpetuamente il giudicio. A chi
    entrava nella sala del suo tribunale, pareva d'entrare nella caverna
    di una belva che non può essere domata da nessuno, e che
    s'inferocisce di leggieri per le carezze come per le aggressioni.
    Spesso avventava ai querelanti ed agli accusati, agli avvocati e ai
    procuratori, ai testimoni e ai giurati un torrente di matte
    ingiurie, miste di maledizioni e bestemmie. Se lo sguardo e il tono
    della voce ispiravano terrore quando egli era semplice avvocato ed
    ingegnavasi di acquistare clientela, adesso ch'era capo del più
    formidabile tribunale del Regno, pochi erano coloro i quali non
    tremassero al suo cospetto. Anche quando egli era sobrio, la sua
    violenza non era poco spaventevole. Ma, generalmente, la sua ragione
    era ottenebrata, e le sue malvage passioni irritate dall'ebrietà.
    D'ordinario passava le serate immerso nella dissolutezza. Chi lo
    avesse veduto col fiasco dinanzi, lo avrebbe giudicato uomo
    grossolano, balordo, di bassa classe e amante de' triviali sollazzi,
    ma socievole e di buon umore. In tali occasioni vedevasi circondato
    da buffoni, scelti, per la più parte, fra i più vili mozzorecchi che
    esercitavano il mestiere al suo tribunale. Costoro sbeffeggiavansi e
    vituperavansi a vicenda per divertirlo. Egli s'associava al loro
    osceno cicaleccio, e come gli si scaldava il cervello, li
    abbracciava e baciava in una estasi di tenerezza ebbra. Ma
    quantunque in sulle prime il vino sembrasse ammollirgli il cuore,
    gli effetti che poche ore dopo in lui produceva erano assai
    differenti. Spesso egli recavasi al seggio della giustizia, dopo
    d'avere fatto lunga pezza attendere la Corte, e nondimeno senza
    avere dormito tanto da svinazzarsi, con le guance infocate, e gli
    occhi stralunati come quelli d'un maniaco. Trovandosi in siffatto
    stato coloro che gli erano stati compagni nella gozzoviglia della
    notte precedente, se erano savi, sottraevansi al suo sguardo;
    perciocchè la rimembranza della familiarità alla quale gli aveva
    ammessi, infiammava la malignità di lui; ed avrebbe sicuramente
    afferrata la minima occasione per coprirli d'imprecazioni e
    d'invettive. Fra le sue molte odiose specialità, non era meno odioso
    il piacere che egli prendevasi a guardare in cagnesco e mortificare
    pubblicamente coloro che, negli accessi della sua tenerezza da
    briaco, aveva incoraggiati a fidarsi del suo favore.
    
    I servigi che il Governo aveva sperato ch'ei gli dovesse rendere,
    furono compiti non solo senza tergiversazione, ma con sollecitudine
    e prospero successo. La sua prima impresa fu l'assassinio giuridico
    d'Algernon Sidney. Ciò che seguì poi, fu perfettamente conforme a
    tale principio. I Tory rispettabili lamentavano la infamia che la
    barbarie ed impudenza di un uomo tanto altamente locato, recava alla
    amministrazione della giustizia. Ma gli eccessi che empivano
    d'orrore gli animi de' Tory, agli occhi di Giacomo erano argomenti
    di stima. Jeffreys quindi, dopo la morte di Carlo, ottenne un seggio
    nel Gabinetto e fu creato Pari. Quest'ultimo onore fu insigne prova
    della regia approvazione; avvegnachè fino dal secolo decimoterzo, in
    cui fu ricostituito il sistema giudiciale del Regno, nessun Capo
    Giudice avesse seduto come Pari in Parlamento(295).
    
    Guildford si trovò alleggerito di tutte le sue funzioni politiche, e
    confinato nel suo solo ufficio di giudice così detto d'Equità. In
    Consiglio Jeffreys trattavalo con aperta scortesia. La facoltà di
    concedere ogni impiego pertinente al ramo legale, era nelle sole
    mani del Capo Giudice; e gli avvocati sapevano bene che il modo più
    sicuro di rendersi propizio il Capo Giudice, era quello di mancare
    di rispetto al Lord Cancelliere.
    
    VIII. Non erano trascorse molte ore da che Giacomo era Re,
    allorquando nacque contesa tra i due Capi della Legge. I proventi
    delle dogane erano stati concessi a Carlo, solo sua vita durante, e
    quindi non potevano essere legalmente riscossi dal nuovo sovrano.
    Era mestieri di alcune settimane per fare le elezioni della Camera
    de' Comuni. Se infrattanto i dazi fossero rimasti sospesi, la
    rendita ne avrebbe avuto detrimento; il corso regolare del traffico
    sarebbe stato interrotto; il consumatore non ne avrebbe ritratto
    utile veruno; e ci avrebbero guadagnato solamente quegli avventurati
    speculatori, i cui carichi per avventura arrivassero durante lo
    intervallo di tempo tra la morte di Carlo e l'adunarsi del
    Parlamento. Il Tesoro era assediato dai mercatanti, i magazzini de'
    quali erano ripieni di merci di cui avevano pagato il dazio; e
    grandemente temevano di vedere altri negozianti vendere le loro
    mercanzie a minor prezzo, e d'essere così ruinati. Gli spiriti
    imparziali è d'uopo che ammettano come cotesto fosse uno de' casi in
    cui un Governo si possa giustificare, deviando dal sentiero
    rigorosamente costituzionale. Ma qualvolta è necessario deviare da
    cosiffatto sentiero, la deviazione non dovrebbe essere maggiore di
    quella che la necessità richiede. Guildford bene intese ciò, e
    consigliò in modo da recargli onore. Propose di riscuotere i dazi,
    ma di tenerli nello Scacchiere, separati dall'altra pecunia, fino a
    che si fosse adunato il Parlamento. In tal guisa il Re, violando la
    lettera della legge, avrebbe mostrato ch'ei desiderava conformarsi
    allo spirito di quella. Jeffreys porse un consiglio assai diverso.
    Suggerì di emanare un editto, che dichiarasse essere volontà e
    desiderio di Sua Maestà continuarsi a pagare le dogane. Tale
    consiglio concordava appieno con l'indole del Re. La giudiciosa
    proposta del Lord Cancelliere fu messa da parte come degna d'un
    Whig, o - e ciò era anche peggio - di un Barcamenante. Comparve un
    decreto, secondo la forma suggerita dal Capo Giudice. Taluni
    s'aspettavano uno scoppio violento di pubblico sdegno; ma rimasero
    ingannati. Lo spirito della opposizione non s'era ancora riacceso, e
    la Corte poteva con sicurtà avventurarsi a fare passi tali che,
    cinque anni innanzi, avrebbero prodotto una ribellione. Nella Città
    di Londra, poco fa così turbolenta, non fu udito nè anche un
    mormorio(296).
    
    IX. Il proclama che annunziava la riscossione delle dogane, dava
    medesimamente lo annunzio che tra breve tempo si sarebbe ragunato il
    Parlamento. Giacomo, non senza molti tristi presentimenti s'induceva
    a convocar gli Stati del Regno. A dir vero, il momento era assai
    propizio per una elezione generale. Giammai, dal dì che la Casa
    degli Stuardi cominciò a regnare, i Corpi costituenti erano stati
    cotanto favorevolmente disposti verso la Corte. Ma la mente del
    nuovo Sovrano era compresa d'una paura, che anche dopo tanti anni
    non può rammentarsi senza sdegno e rossore. Egli temeva che,
    convocando il suo Parlamento, sarebbe incorso nel dispiacere del Re
    di Francia.
    
    X. Al Re di Francia importava poco quale de' due partiti inglesi
    trionfasse nelle elezioni; imperocchè tutti i Parlamenti ch'eransi
    radunati dopo la Ristaurazione, in qualunque modo fossero disposti
    rispetto alla politica interna, erano stati gelosi del crescente
    potere della Casa de' Borboni. Intorno a ciò poco differivano i Whig
    dai bruschi gentiluomini di provincia, i quali costituivano la forza
    precipua del partito Tory. Luigi, quindi, non era stato avaro nè di
    corruzione nè di minacce a fine d'impedire che Carlo convocasse le
    Camere; e Giacomo, che fin da principio era stato partecipe del
    segreto onde procedeva la politica estera del fratello, ora essendo
    Re, era divenuto mercenario e vassallo della Francia.
    
    Rochester, Godolphin e Sunderland, che formavano il Gabinetto
    intimo, sapevano pur troppo che il loro defunto signore era
    assuefatto a ricevere danari dalla Corte di Versailles. Giacomo li
    richiese di consiglio in quanto alla utilità di convocare la
    Legislatura. Essi riconobbero la grande importanza di tenersi Luigi
    bene edificato; ma pareva loro che la convocazione del Parlamento
    non fosse questione di scelta. Per quanto paziente sembrasse la
    nazione, tale pazienza aveva i suoi limiti. Il principio che il Re
    non potesse legittimamente prendere la pecunia del suddito senza il
    consenso della Camera de' Comuni, aveva profonde radici nella mente
    del popolo; e comecchè, in un bisogno estraordinario, anche i Whig
    avrebbero volentieri pagato, per poche settimane, dazi non imposti
    con apposita legge, egli era certo che gli stessi Tory si sarebbero
    opposti qualora tali tasse irregolari si fossero mantenute più lungo
    tempo delle circostanze speciali che sole le giustificavano. Era,
    dunque, mestieri che le Camere si adunassero; e così essendo,
    giovava convocarle il più presto possibile. Anche il breve indugio,
    necessario a richiederne il parere della Corte di Versailles, poteva
    produrre danni irreparabili. Il malcontento e il sospetto si
    sarebbero rapidamente sparsi fra il popolo. Halifax avrebbe mosso
    lamento, dicendo che si violavano i principii fondamentali della
    Costituzione. Il Lord Cancelliere, da quel codardamente pedante e
    speciale avvocato ch'egli era, avrebbe fatto lo stesso. Ciò che
    poteva farsi di buona grazia, sarebbe in fine stato fatto di mala
    grazia. Que' ministri medesimi, ai quali Sua Maestà studiavasi di
    far perdere la pubblica stima, avrebbero acquistata popolarità a
    danno di quella. Il mal umore della nazione avrebbe gravemente
    influito sull'esito delle elezioni. Tali argomenti non ammettevano
    risposta. Per la quale cosa, il Re annunziò al paese, essere sua
    intenzione di convocare il Parlamento. Ma sentiva la tormentosa
    ansietà di purgarsi della colpa d'avere agito indebitamente e con
    poco rispetto verso la Francia. Trasse Barillon in una secreta
    stanza, e si scusò di avere osato fare un passo di così grave
    momento, senza averne ottenuta l'approvazione da Luigi. "Assicurate
    il vostro signore" disse Giacomo "della gratitudine e dello affetto
    che sento per lui. Conosco bene di non potere far nulla senza la sua
    protezione. Conosco parimente in quali impacci cadde il mio fratello
    per non avere fermamente aderito alla Francia. Provvederò con ogni
    studio perchè le Camere non s'immischino negli affari esteri. Se
    scoprirò ne' membri la minima tendenza a far male, li manderò a
    badare alle loro faccende. Fate intendere ciò al mio buon fratello.
    Spero ch'egli non s'impermalisca se ho agito senza consultarlo. Egli
    ha diritto d'essere consultato; ed è mio desiderio consigliarmi con
    lui in ogni cosa. Ma nel caso presente l'indugio, anche d'una
    settimana, avrebbe potuto recare serie conseguenze."
    
    Queste vergognose scuse, il dì seguente, furono ripetute da
    Rochester. Barillon le ricevè con cortesia. Rochester, reso più
    audace, chiese danari. "Saranno ben collocati" diss'egli. "Il vostro
    signore non potrebbe meglio impiegare le sue entrate. Fategli
    intendere come importante egli sia che il Re d'Inghilterra dipenda,
    non dal proprio popolo, ma dalla sola amicizia della Francia(297)."
    
    Barillon fu sollecito a comunicare a Luigi il desiderio del Governo
    inglese; ma Luigi lo aveva prevenuto. La prima cosa ch'egli fece,
    saputa la morte di Carlo, fu di raccogliere cambiali sopra
    l'Inghilterra fino alla somma di cinquecentomila lire, equivalenti a
    trentasettemila cinquecento sterline. Non era agevole a que' tempi,
    dopo un giorno d'annunzio, procurarsi simili cambiali in Parigi. In
    poche ore, nondimeno, lo acquisto fu fatto, e un corriere spedito a
    Londra(298). Appena Barillon ricevè le cambiali, volò a Whitehall a
    recare la fausta nuova. Giacomo non arrossì di spargere, o simulare
    di spargere, lacrime di gioia e di gratitudine. "Nessun altro che il
    Re vostro" disse "è capace di così belle e nobili azioni. Io non gli
    sarò mai grato tanto che basti. Assicuratelo che lo affetto che gli
    porto, durerà quanto la mia vita." Rochester, Sunderland e Godolphin
    corsero, l'uno dopo l'altro, ad abbracciare lo ambasciatore,
    susurrandogli all'orecchio ch'egli aveva dato nuova vita al loro
    signore(299).
    
    Ma, quantunque a Giacomo e ai suoi tre consiglieri piacesse la
    prontezza di Luigi, non rimasero punto satisfatti della somma della
    pecunia donata. Nulladimeno, perchè temevano d'offenderlo
    mostrandosi importunamente mendichi, non fecero se non accennare i
    desideri loro. Dichiararono, non avere intendimento di
    mercanteggiare con un tanto generoso benefattore quale era il Re di
    Francia, e fidarsi onninamente alla sua munificenza. Nel tempo
    stesso, provaronsi d'ingraziarselo con un gran sacrificio dell'onor
    nazionale. Sapevasi bene che uno de' fini precipui della sua
    politica, era quello di aggiungere ai propri dominii le provincie
    del Belgio. L'Inghilterra era vincolata da un trattato, già concluso
    con la Spagna nel tempo in che Danby era Lord Tesoriere, con lo
    scopo di avversare ogni tentativo che la Francia avesse potuto fare
    a insignorirsi di quelle provincie. I tre Ministri fecero sapere a
    Barillon, come il loro signore considerasse non obbligatorio cotale
    trattato. Era stato fatto, dicevano essi, da Carlo, il quale avrebbe
    potuto forse tenersene vincolato; ma il suo fratello non si reputava
    obbligato ad osservarlo. Il Cristianissimo, quindi, poteva oramai,
    senza temere opposizione da parte della Inghilterra, procedere ad
    incorporare al proprio Impero il Brabante e l'Hainault(300).
    
    XI. Nel tempo stesso, fu deliberato di spedire un'ambasceria
    straordinaria, per assicurare Luigi dello affetto e della
    gratitudine che gli portava Giacomo. A tale missione fu prescelto un
    uomo che non occupava per anche un posto molto eminente, ma la cui
    rinomanza, stranamente mista d'infamia e di gloria, empì in tempi
    posteriori tutto il mondo incivilito.
    
    Tosto dopo la Restaurazione, in que' gioiosi e corrotti tempi
    celebrati dalla vivace penna di Hamilton, Giacomo, giovane ed
    ardente amatore di sensuali diletti, erasi invaghito di Arabella
    Churchill, una dello dame di Corte della sua prima moglie. La
    giovinetta non era bella; ma Giacomo, non avendo gusto delicato, se
    ne fece una concubina. Era figlia d'un povero Cavaliere, assiduo in
    Whitehall, e resosi ridicolo publicando un volume in foglio, scritto
    con istile pesante ed affettato - da lungo tempo caduto in oblio -
    in lode della monarchia e dei monarchi. Grandissimi erano i bisogni
    dei Churchill, ardente la lealtà loro, e il sentimento che
    provarono, come seppero la seduzione d'Arabella, sembra che fosse
    una sorpresa di gioia, pensando che una fanciulla di sì poca beltà
    avesse sortito una tanta onorificenza.
    
    Ella fu grandemente utile ai propri parenti; ma niuno di costoro fu
    fortunato al pari del suo maggior fratello Giovanni, bel giovane, il
    quale era vessillifero nelle Guardie a piedi. Elevossi rapidamente
    nella Corte e nello esercito, e presto si rese notevole come uomo di
    moda e dedito ai piaceri. Aveva dignitosa la persona, bello il viso,
    seducente la parola, ma con tanto contegno, che i più impertinenti
    zerbini non ardivano trattarlo con la minima libertà: l'indole sua
    era tale, che egli nelle più moleste e provocanti occasioni non
    perdeva mai la signoria di sè stesso. Era stato sì pessimamente
    educato, da non sapere compitare i vocaboli più comuni della propria
    lingua; ma lo acuto e vigoroso intendimento largamente suppliva al
    difetto della dottrina che s'impara ne' libri. Non era loquace; ma
    sempre che gli era forza di parlare in pubblico, la sua naturale
    eloquenza muoveva ad invidia i più esperti oratori. Aveva animo
    singolarmente freddo e imperturbabile. Per molti anni di ansietà e
    di periglio, egli non perdè mai, nè anche per un istante, il
    perfetto uso del suo ammirevole giudicio.
    
    Nel ventesimoterzo degli anni suoi, fu mandato col suo reggimento a
    congiungersi con le armi francesi, che allora procedevano contro la
    Olanda. La sua serena intrepidezza lo faceva predistinguere fra le
    migliaia di valorosi soldati. La sua perizia nell'arte militare
    imponeva rispetto ai vecchi ufficiali. Venne pubblicamente
    ringraziato al cospetto dell'esercito, ed ebbe molti segni di stima
    e fiducia da Turenna, che allora era nella maggiore altezza della
    sua gloria.
    
    Sventuratamente, le splendide doti di Giovanni Churchill erano
    congiunte con altre della specie più sordida. Ben per tempo
    cominciarono a mostrarsi in lui alcune tendenze che sono
    singolarmente sgradevoli. Era cupido di guadagno ne' suoi stessi
    vizi, e imponeva contribuzioni alle dame arricchite delle spoglie di
    amanti più liberali. Per breve tempo ei fu l'obietto della violenta
    ma volubile tenerezza della Duchessa di Cleveland. Una volta fu
    sorpreso dal Re in compagnia di lei, e gli fu forza saltar giù dalla
    finestra. La dama rimunerò tale rischiosa prova di galanteria con un
    dono di cinquemila lire sterline. Il prudente giovine eroe comprò
    subito con quel danaro una rendita annua di cinquecento sterline,
    assicurata sopra terreni(301). Già i suoi scrigni contenevano gran
    copia di pecunia, che cinquanta anni dopo, allorchè era Duca e
    Principe dello Impero, e il più ricco suddito d'Europa, rimaneva
    intatta(302).
    
    Finita la guerra, egli ebbe un ufficio nella famiglia del Duca di
    York; accompagnò il suo protettore ai Paesi Bassi e a Edimburgo, ed
    in ricompensa de' suoi servigi fu creato Pari di Scozia, ed ebbe il
    comando del solo reggimento di dragoni che fosse nelle milizie
    inglesi(303). La sua moglie ottenne un posto nella famiglia della
    principessa di Danimarca, figlia minore di Giacomo.
    
    Lord Churchill, adunque, fu spedito ambasciatore straordinario a
    Versailles. Gli fu ingiunto di significare la fervida gratitudine
    che sentiva il Governo inglese per la pecunia così generosamente
    data. In origine s'era pensato che nel tempo stesso dovesse chiedere
    a Luigi una somma maggiore; ma meglio considerando la cosa,
    compresero che la poco delicata cupidigia avrebbe stomacato il
    benefattore, che erasi spontaneamente mostrato cotanto liberale. A
    Churchill, quindi, fu fatto comandamento di porgere grazie per ciò
    ch'era passato, e non far motto intorno al da venire(304).
    
    Ma Giacomo e i Ministri suoi, anche mentre protestavano come non
    intendessero d'essere importuni, studiavansi di accennare, con modi
    molto intelligibili, ciò che desideravano e speravano. Lo
    ambasciatore francese era per loro un destro, zelante e forse non
    disinteressato intercessore. Luigi oppose talune difficoltà,
    probabilmente col fine di accrescere il pregio de' propri doni.
    Nondimeno, in poche settimane, Barillon ricevè da Versailles un
    milione e cinquecento lire, oltre i denari già mandati. Tal somma,
    che equivaleva a cento dodici mila sterline, egli ebbe istruzione di
    ripartire cautamente. Ebbe potestà di dare al Governo inglese trenta
    mila lire sterline da impiegarsi a corrompere i membri della nuova
    Camera de' Comuni. Il rimanente doveva egli tenere con sè per
    servirsene in qualche caso straordinario, come sarebbe uno
    scioglimento delle Camere, o una insurrezione(305).
    
    La turpezza di cotesti negoziati è universalmente riconosciuta; ma
    la loro vera natura sembra essere soventi volte fraintesa(306):
    perocchè, quantunque dopo pubblicato il carteggio di Barillon, la
    politica estera de' due ultimi Re della Casa Stuarda non abbia mai
    trovato fra noi chi osasse difenderla, vi è tuttavia un partito che
    s'affatica a scusare la loro politica interna. Eppure, egli è certo
    che tra l'una e l'altra era necessaria e indissolubile connessione.
    Se essi per pochi mesi avessero tenuto alto l'onore del loro paese
    presso gli esteri, sarebbero stati costretti a cangiare intieramente
    il sistema d'amministrazione interna. È cosa assurda, quindi,
    lodarli d'avere ricusato di governare concordemente col Parlamento,
    e biasimarli per essersi sottoposti alla dittatura di Luigi; poichè
    essi non avevano se non una sola via da scegliere; dipendere, cioè,
    o da Luigi o dal Parlamento.
    
    Giacomo - volendo rendergli giustizia - avrebbe con gioia voluto
    trovare una via di mezzo; ma non ve n'era alcuna. Si rese schiavo
    della Francia; ma sarebbe erroneo rappresentarlo come schiavo
    contento. Egli aveva alterigia tanto da sdegnarsi con sè medesimo
    per essersi sottomesso a così duro vassallaggio, e da essere
    impaziente di svincolarsene: la quale disposizione era studiosamente
    incoraggiata dagli agenti di molte Potenze straniere.
    
    XII. La sua successione al trono aveva svegliato speranze e timori
    in ogni Corte del continente; e i primordii del suo governo venivano
    invigilati dagli stranieri con interesse non meno profondo di quello
    che sentivano i sudditi di lui. Un solo Governo desiderava che le
    turbolenze le quali per tre generazioni avevano sconvolta
    l'Inghilterra, durassero eterne. Tutti gli altri, repubblicani o
    monarchici, protestanti o cattolici romani, volevano vederle
    felicemente terminate.
    
    L'indole della lunga contesa tra gli Stuardi e i Parlamenti loro,
    era imperfettissimamente intesa da' politici stranieri; ma nessun
    uomo di Stato poteva non conoscere lo effetto da quella contesa
    prodotto sull'equilibrio politico d'Europa. In circostanze
    ordinarie, le simpatie delle Corti di Vienna e di Madrid sarebbero
    state, senza dubbio, per un principe che lottava contro i sudditi, e
    segnatamente per un principe cattolico romano, persecutore di
    sudditi eretici: ma tutte coteste simpatie erano in allora vinte da
    un più forte sentimento. Il timore e l'odio ispirato dalla
    grandezza, ingiustizia ed arroganza del Re francese, erano al colmo.
    I suoi vicini dubitavano se fosse(307) più pericoloso essere in
    guerra o in pace con lui; perciocchè in pace ei seguitava a
    saccheggiarli e oltraggiarli; in guerra essi avevano provato invano
    la sorte delle armi contro lui. In tanta perplessità, tenevano
    ansiosamente gli occhi vôlti all'Inghilterra. Agirebbe ella giusta i
    principii della Triplice Alleanza, o giusta quelli del Trattato di
    Dover? Da ciò dipendevano le sorti di tutti i suoi vicini. Aiutati
    dall'Inghilterra, gli altri Stati potevano opporre a Luigi nuova
    resistenza; ma non poteva da quella sperarsi nessun aiuto finchè non
    vi regnasse la concordia. Innanzi che cominciasse il conflitto tra
    il trono e il Parlamento, era stata una potenza di primo ordine; il
    dì in cui il conflitto ebbe fine, essa ridivenne potenza di primo
    ordine: ma mentre l'esito della contesa era dubbio, rimase
    condannata alla inazione e al vassallaggio. Era stata grande sotto i
    Plantageneti e i Tudor; divenne nuovamente grande sotto i principi
    che regnarono dopo la Rivoluzione: ma sotto i Re della Casa Stuarda,
    fu come se non esistesse nella carta geografica dell'Europa. Aveva
    perduto una specie d'energia senza acquistarne un'altra. Quella
    specie di forza onde essa nel secolo decimoquarto aveva potuto
    umiliare Francia e Spagna, aveva cessato di esistere. Quella specie
    di forza che nel decimottavo secolo umiliò nuovamente Francia e
    Spagna, non era ancora posta in azione. Il Governo non era più una
    monarchia limitata, secondo la forma politica delle età di mezzo;
    non era divenuto una monarchia limitata secondo la forma dei moderni
    tempi: co' vizi di due diversi sistemi non aveva il vigore di
    nessuno. Gli elementi della nostra politica, invece di armonizzare,
    avversavansi vicendevolmente e s'annientavano. Tutto era
    transizione, conflitto e disordine. Il fine precipuo del sovrano era
    quello di abbattere i privilegi della Legislatura; quello della
    Legislatura era di usurpare le prerogative del sovrano. Il Re era
    sollecito d'accettare aiuti stranieri che lo liberassero dalla
    sciagura d'essere dipendente da un fazioso Parlamento. Il Parlamento
    negava al Re i mezzi di sostenere l'onor nazionale, temendo con
    molta ragione che verrebbero adoperati a stabilire il dispotismo nel
    paese. Lo effetto di tali gelosie fu che la patria nostra, con tutti
    i suoi grandi mezzi, fosse di sì poco peso nella Cristianità, come
    lo era il Ducato di Savoia o quello di Lorena, e certamente di assai
    minor peso che non era la piccola provincia d'Olanda.
    
    XIII. La Francia aveva grande interesse a prolungare questo stato di
    cose(308): tutti gli altri potentati lo avevano a condurlo a fine.
    Era desiderio generale dell'Europa, che Giacomo governasse a seconda
    della legge e della pubblica opinione. Dallo stesso Escuriale
    vennero lettere esprimenti la speranza che il nuovo Re fosse in
    buona armonia col Parlamento e col popolo(309). Perfino dal Vaticano
    giunsero avvertimenti contro lo smoderato zelo per la fede cattolica
    romana. Benedetto Odescalchi, che teneva il seggio papale col nome
    d'Innocenzo XI, sentì, come sovrano temporale, tutto il timore onde
    gli altri principi invigilavano il progresso della potenza francese.
    Aveva anche particolari cagioni d'inquietudine. Fu fortuna per la
    religione protestante, che nel momento in cui l'ultimo Re cattolico
    romano salì sul trono dell'Inghilterra, la Chiesa cattolica romana
    fosse lacerata da dissensioni e minacciata da un nuovo scisma. Un
    conflitto simile a quello che arse nel secolo undecimo tra
    gl'imperatori e i sommi pontefici, era sorto tra Luigi ed Innocenzo.
    Luigi, zelante fino alla bacchettoneria per le dottrine della Chiesa
    di Roma, ma tenace della sua regia autorità, accusava il Papa di
    usurpare i diritti secolari della Corona francese, ed era alla sua
    volta accusato dal Papa di usurpare il potere spirituale delle
    Chiavi. Il Re, superbo come egli era, incontrò uno spirito anche più
    risoluto del suo. Innocenzo, nelle relazioni private, era il più
    mansueto e gentile degli uomini; ma qualvolta parlava officialmente
    dalla cattedra di San Pietro, favellava col tono di Gregorio VII e
    di Sisto V. La lotta si fece grave. Gli agenti del Re furono
    scomunicati; gli aderenti del Papa banditi. Il Re creò vescovi i
    difensori della sua autorità. Il Papa rifiutò di approvarli. Quelli
    si posero al possesso de' palazzi e delle rendite vescovili; ma
    erano incompetenti ad esercitare gli episcopali uffici. Innanzi che
    la contesa avesse fine, in Francia erano trenta prelati che non
    avevano potestà di conferire gli ordini o la cresima(310).
    
    Se qualunque altro principe, tranne Luigi, fosse stato in quei tempi
    involto in simigliante contesa col Vaticano, tutti i Governi
    protestanti si sarebbero messi dalla parte di lui. Ma tanta era la
    paura e il dispetto che l'ambizione e insolenza del Re francese
    ispiravano, che chiunque avesse avuto il coraggio di vigorosamente
    avversarlo, era sicuro della universale simpatia. Anche i luterani e
    i calvinisti, che avevano sempre detestato il Papa, non potevano
    frenarsi dal desiderargli esito prospero contro un tiranno che
    ambiva alla monarchia universale. E' fu così che, nel secolo nostro,
    molti i quali consideravano Pio VII come l'anticristo, gioivano nel
    vedere l'anticristo far fronte al gigantesco potere di Napoleone.
    
    Il risentimento che Innocenzo provava verso la Francia, lo dispose a
    guardare con occhio mite e liberale gli affari dell'Inghilterra. Il
    ritorno del popolo inglese alla greggia di cui egli era pastore, gli
    avrebbe senza dubbio racconsolata l'anima. Ma egli era bastevolmente
    savio da non credere che una nazione cotanto ardita e tenace potesse
    ricondursi al grembo della Chiesa di Roma col violento e
    incostituzionale esercizio dell'autorità regia. Non era difficile
    prevedere che qualora Giacomo con mezzi illegali e popolari si
    fosse(311) studiato di promuovere gl'interessi della propria
    religione, la prova sarebbe fallita; l'odio che gl'isolani eretici
    sentivano per la vera fede, sarebbe diventato più forte e più feroce
    che mai; e nelle menti di tutti sarebbe nata una indissolubile
    colleganza tra il protestantismo e la libertà civile, tra il papismo
    e il potere arbitrario. Frattanto, il Re sarebbe divenuto obietto
    d'avversione e sospetto al suo popolo. L'Inghilterra sarebbe stata,
    come sotto Giacomo I, Carlo I e Carlo II, una potenza di terzo
    ordine; e la Francia avrebbe dominato irrefrenata oltre le Alpi e il
    Reno. Dall'altro canto, era probabile che Giacomo, operando con
    prudenza e moderazione, osservando strettamente le leggi, e
    sforzandosi di acquistare la fiducia del suo Parlamento, avrebbe
    potuto ottenere per coloro che professavano la sua religione, non
    poco alleggiamento. Dapprima si sarebbe venuto alla abolizione degli
    statuti penali; tosto dopo a quella delle incapacità civili.
    Infrattanto, il Re e la nazione inglese congiunti, si sarebbero
    potuti porre a capo della coalizzazione europea, avrebbero opposto
    un argine insormontabile alla cupidità di Luigi.
    
    Innocenzo fu reso più fermo nel proprio giudicio dal parere de'
    principali inglesi che erano alla sua Corte. Fra essi, il più
    illustre era Filippo Howard, discendente dalle famiglie più nobili
    della Gran Brettagna; da un lato nipote del Conte d'Arundel,
    dall'altro del Duca di Lennox. Filippo era già da lungo tempo membro
    del sacro collegio; veniva comunemente chiamato il Cardinale
    d'Inghilterra; ed era precipuo consigliere della Santa Sede per le
    faccende concernenti la sua patria. Era stato cacciato in esilio dai
    clamori dei bacchettoni protestanti, ed uno de' suoi, lo sventurato
    Stafford, era caduto vittima della loro rabbia. Nè i propri danni nè
    quelli di casa sua gli avevano acceso tanto il cervello, da renderlo
    un imprudente consigliere. Ogni lettera, quindi, che dal Vaticano
    arrivasse a Whitehall, raccomandava pazienza, moderazione, e
    rispetto ai pregiudizii del popolo Inglese(312).
    
    XIV. Grande era il conflitto che ardeva nella mente di Giacomo.
    Saremmo verso lui ingiusti, ove supponessimo che la condizione di
    vassallo gli tornasse gradita. Egli amava l'autorità e gli affari;
    aveva alto concetto della dignità propria; anzi non era affatto
    privo di un sentimento che aveva qualche affinità con l'amore di
    patria. Gli si straziava l'anima pensando che il Regno da lui
    governato, fosse di minor conto nel mondo, che non erano altri Stati
    i quali avevano minori vantaggi naturali; e prestava facile ascolto
    ai Ministri stranieri, sempre che lo incitavano a manifestare la
    dignità del suo grado, porsi a capo di una grande confederazione,
    farsi protettore delle oltraggiate nazioni, e domare l'orgoglio di
    quella Potenza che teneva in timore il continente. Tali esortazioni
    gli facevano battere il cuore con emozioni incognite al suo
    spensierato ed effeminato fratello. Ma tali emozioni tosto cedevano
    a più forte sentimento. Una politica estera vigorosa,
    necessariamente presupponeva politica interna conciliatrice. Era
    impossibile far fronte alla possanza francese, e a un tempo
    calpestare le libertà della Inghilterra. Il Potere Esecutivo non
    avrebbe potuto imprendere nulla di grande senza lo assenso della
    Camera de' Comuni, nè ottenerne lo aiuto senza agire a seconda delle
    opinioni di quella. In tal guisa, Giacomo accorgevasi di non potere
    conseguire insieme le due cose ch'ei più desiderava. Il secondo de'
    suoi desiderii era quello d'essere temuto e rispettato dai Governi
    stranieri; ma il primo era di essere signore assoluto nel proprio
    Regno. Fra gli oggetti incompatibili cui il suo cuore aspirava, egli
    per qualche tempo procedè piegando ora di qua ora di là. Il
    conflitto dell'animo diede ai suoi atti pubblici una strana
    sembianza d'irresolutezza e di falsità. Difatti, coloro i quali
    senza il filo d'Arianna tentavano d'esplorare il laberinto della sua
    politica, non sapevano intendere come lo stesso uomo nella settimana
    stessa potesse mostrarsi così superbo e così vile. Anco Luigi
    rendevano perplesso gli andamenti d'un alleato il quale, in poche
    ore, passava dall'omaggio alla disfida, e dalla disfida all'omaggio.
    Nondimeno, ora che ci è appieno manifesta la condotta di Giacomo,
    sembra che cotesta incoerenza possa agevolmente spiegarsi.
    
    Allorquando egli si assise sopra il trono, era in dubbio se il Regno
    si sarebbe tranquillamente sottoposto all'autorità sua. Gli
    Esclusionisti, poco fa così potenti, avrebbero potuto, correndo
    all'armi, insorgergli contro. Egli avrebbe potuto avere grande
    bisogno dell'oro e delle milizie della Francia: fu quindi per
    alquanti giorni pago di far la parte di piaggiatore e di mendicante.
    Si scusò umilmente d'avere osato convocare il suo Parlamento senza
    licenza del Governo francese; e lo pregò vivamente di concedergli un
    sussidio. Sparse lacrime di gioia sopra le cambiali francesi; mandò
    a Versailles una speciale ambasceria per significare la gratitudine,
    lo affetto, la sommissione ch'egli aveva per Luigi. Ma appena
    partita l'ambasceria, variò di sentimenti. Era stato da per tutto
    proclamato Re senza il minimo tumulto, senza il più lieve grido
    sedizioso. Da ogni parte dell'isola gli giungevano nuove ad
    assicurarlo che i suoi sudditi erano tranquilli ed obbedienti.
    Riprese animo, e sentì come la relazione disonorante da lui
    contratta con un potentato straniero, gli fosse intollerabile.
    Divenne altero, puntiglioso, vanitoso, rissoso. Parlava così
    altamente intorno alla dignità della propria Corona e all'equilibrio
    politico, che tutta la sua Corte aspettavasi ad un pieno
    rivolgimento nella politica estera del Governo inglese. Comandò a
    Churchill di mandargli una relazione minuta del ceremoniale di
    Versailles, affinchè gli onori onde ivi era stata accolta la
    legazione inglese, venissero debitamente contraccambiati, ma non più
    che contraccambiati, al rappresentante della Francia a Whitehall. La
    nuova di questo mutamento fu accolta con gioia a Madrid, a Vienna e
    all'Aja(313). Il Re Luigi, in sulle prime, ne rise, dicendo: "Il mio
    buono alleato parla alto; ma egli ama tanto i miei zecchini, quanto
    li amava il suo fratello." Nonostante, il variato contegno di
    Giacomo e, le speranze che ne avevano concepite i due rami di Casa
    d'Austria, cominciarono a richiamare più seria attenzione. Esiste
    tuttora una notevolissima lettera, nella quale il Re francese mostra
    sospetto d'essere stato ingannato, credendo che lo stesso danaro da
    lui mandato a Westminster(314), verrebbe adoperato a' suoi
    danni(315).
    
    Verso questo tempo, la Inghilterra s'era riavuta dalla tristezza ed
    ansietà cagionatale dalla morte del buon Carlo. I Tory fecero grandi
    proteste d'affetto verso il nuovo signore. La paura teneva domo il
    rancore dei Whig. Quella vasta massa di gente che non sono
    stabilmente Whig nè Tory, ma che pendono a vicenda ora verso gli uni
    ora verso gli altri, stava dalla parte de' Tory. La reazione che
    aveva tenuto dietro alla dissoluzione del Parlamento d'Oxford, non
    aveva consunta la propria forza.
    
    XV. Il Re non indugiò punto a porre alla prova la lealtà de' suoi
    amici protestanti. Mentre egli era suddito, soleva ascoltare la
    messa a uscio chiuso, in un piccolo oratorio, accomodato a uso della
    consorte. Adesso comandò che le porte si spalancassero, affinchè
    tutti coloro che andavano a complirlo, potessero vedere il servizio
    divino. Alla elevazione dell'ostia, seguì una strana confusione
    nell'anticamera. I cattolici romani prostraronsi in ginocchio; i
    protestanti uscirono frettolosamente fuori. Tosto un nuovo pulpito
    fu eretto in palazzo, d'onde, nella quaresima, sacerdoti papisti
    predicavano, con grave sconcerto de' zelanti fedeli della Chiesa
    Anglicana(316).
    
    Alla predetta innovazione seguì altra più grave. Giunta la settimana
    di Passione, il Re deliberò di assistere alla messa con la pompa
    medesima di che usavano circuirsi i suoi predecessori, andando ai
    tempii della religione anglicana. Palesò il suo intendimento ai tre
    Ministri del Gabinetto intimo, e ingiunse loro di accompagnarlo.
    Sunderland, pel quale tutte le religioni valevano lo stesso, fu
    pronto ad assentire. Godolphin, come Ciamberlano della Regina, era
    già assuefatto a darle mano quando essa recavasi all'oratorio, e non
    ebbe scrupolo d'inchinarsi officialmente nel tempio di Rimmon. Ma
    Rochester ne rimase gravemente conturbato. La influenza ch'egli
    esercitava sul paese, originava principalmente dal concetto, in che
    il clero e i gentiluomini Tory lo tenevano, di amico sincero e
    zelante della Chiesa. La sua ortodossia era considerata come piena
    espiazione di falli che altrimenti lo avrebbero reso il più
    impopolare uomo del Regno, avvegnachè avesse indole oltremodo
    arrogante e violenta, e modi quasi brutali(317). Ei temeva che,
    arrendendosi alle voglie del principe, avrebbe perduta in gran parte
    la stima del proprio partito. Infine, non senza qualche contrasto,
    ottenne licenza di passare fuori di città i giorni santi. Tutti gli
    altri dignitari civili ebbero comandamento di trovarsi al proprio
    posto nella domenica della Pasqua. Così, dopo un intervallo di cento
    ventisette anni, i riti della Chiesa di Roma furono celebrati in
    Westminster con regia magnificenza. Le guardie reali erano
    schierate. I cavalieri della Giarrettiera portavano i loro collari.
    Il Duca di Somerset, secondo per grado fra i nobili secolari del
    reame, portava la spada dello Stato. Un gran codazzo di grandi Lordi
    accompagnò il Re al suo seggio. Ma fu notato che Ormond e Halifax
    rimasero nell'anticamera. Pochi anni innanzi, essi avevano
    valorosamente propugnata la causa di Giacomo contro alcuni di coloro
    che ora mostravansi ossequiosissimi. Ormond non aveva partecipato
    alla strage de' cattolici romani. Halifax aveva animosamente votato
    per la non colpabilità di Stafford. E mentre i voltafaccia, che
    avevano preteso raccapricciar al solo pensiero di un Re papista, e
    senza misericordia versato il sangue innocente di un Pari papista,
    adesso spingevansi l'un l'altro per farsi più da presso a un altare
    papista, l'illustre Barcamenante si sarebbe giustamente potuto
    inorgoglire di quello impopolare soprannome(318).
    
    XVI. Una settimana dopo cotesta cerimonia, Giacomo fece un
    sacrificio de' suoi pregiudizi religiosi, assai maggiore di
    qualunque altro fin allora egli avesse richiesto da' suoi sudditi
    protestanti. Si fece incoronare il giorno vigesimoterzo d'aprile, in
    che ricorre la festività del Santo patrono del Regno. Tutto
    Westminster fu splendidamente adornato. La presenza della Regina e
    delle mogli de' Pari dava alla solennità uno incanto che era mancato
    alla magnifica inaugurazione del Re defunto. Nondimeno coloro che
    ricordavansi di quella cerimonia, affermarono che l'incoronazione di
    Giacomo fu meschina. L'antica usanza richiedeva che avanti la
    incoronazione il sovrano con tutti i suoi araldi, giudici,
    Consiglieri, Lordi e gran dignitari, cavalcasse solennemente dalla
    Torre a Westminster. L'ultima e più magnifica di tali cavalcate fu
    quella che traversò la metropoli, allorquando i sentimenti eccitati
    dalla Restaurazione erano ancor vivi. Lungo il cammino innalzavansi
    archi trionfali. Tutto Cornhill, Cheapside, Saint Paul's Church
    Yard, Fleet Street, e lo Strand erano fiancheggiati da file di
    palchi. La città intera in tal modo poteva contemplare il principato
    nella sua forma più splendida e solenne. Giacomo ordinò che si
    calcolasse la spesa di simigliante processione, e fu riferito che
    ascenderebbe a circa la metà più della somma da esso proposta per
    coprire di ciondoli la sua sposa. Deliberò, quindi, d'essere prodigo
    dove aveva mestieri d'esser parco, e spilorcio dove avrebbe dovuto
    essere generoso. Più di cento mila lire sterline furono spese negli
    abiti della Regina; e la processione fu posta da parte. La insania
    di questo partito si conosce a prima vista: imperciocchè, se la
    pompa è utile in politica, lo è quando si adopera come mezzo di
    abbagliare la fantasia della moltitudine. E veramente, è grandissima
    assurdità escludere la plebe da uno spettacolo, il cui scopo
    principale è quello di produrre una impressione nell'animo della
    plebe. Giacomo avrebbe fatto mostra d'una più giudiziosa
    munificenza, e d'una parsimonia più giudiziosa, se avesse traversata
    Londra da levante a ponente con la solita pompa, e ordinato che gli
    abiti della propria moglie fossero stati meno sopraccarichi di perle
    e di diamanti. Nulladimeno i suoi successori per lungo tempo
    seguirono lo esempio di lui; e in uno spettacolo al quale venivano
    ammesse solo tre o quattro mila persone, si profondevano somme che,
    bene impiegate, avrebbero pôrto squisitissimo diletto ad una gran
    parte della nazione. In fine, venne in parte richiamato a vita lo
    antico costume. Il dì della incoronazione della regina Vittoria vi
    fu una processione, nella quale si sarebbero potuti notare molti
    mancamenti, ma che fu ammirata con interesse e diletto da mezzo
    milione di sudditi; e senza dubbio veruno, apprestò più piacere ed
    eccitò maggiore entusiasmo, della costosa solennità che facevasi fra
    mezzo a uno eletto numero di persone dentro l'Abbadia.
    
    Giacomo aveva fatto comandamento a Sancroft di abbreviare il
    rituale. La ragione che venne pubblicamente addotta, fu che il
    giorno era sì corto, da non potersi compiere tutto ciò ch'era da
    farsi. Ma chiunque si faccia ad esaminare i cangiamenti fattivi, si
    accorgerà che il vero fine fu quello di scartare talune cose le
    quali altamente offendevano i sentimenti religiosi d'un cattolico
    romano zelante. L'ufficio della comunione non fu letto. Fu omessa la
    cerimonia di presentare in dono al sovrano una Bibbia riccamente
    rilegata, e di esortarlo a pregiare sopra tutti i tesori della terra
    un volume ch'egli, secondo gl'insegnamenti ricevuti, reputava
    adulterato con false dottrine. Nulladimeno, ciò che rimaneva dopo
    tali omissioni, avrebbe potuto far nascere scrupoli nella mente di
    un uomo, il quale sinceramente avesse creduto che la Chiesa
    Anglicana era una società ereticale, nel cui seno non poteva
    acquistarsi la eterna salvezza. Il re fece una oblazione all'altare.
    Ripetè i responsi alle litanie cantate dai vescovi. Ricevè da que'
    falsi profeti la unzione, simbolo della divina assistenza, e
    s'inginocchiò simulando devozione, mentre essi invocavano lo Spirito
    Santo, al quale erano, secondo egli credeva, maligni ed implacabili
    nemici. Tali sono le incoerenze della umana natura, che cotesto
    uomo, il quale per un fanatico zelo verso la propria religione perdè
    tre Regni, amò commettere un atto ch'era poco meno d'una apostasia,
    più presto che rinunziare al fanciullesco diletto della simbolica
    fantocciata della incoronazione(319).
    
    Francesco Turner, vescovo d'Ely, predicò agli astanti. Era uno di
    quegli scrittori che seguitavano ad affettare lo stile antiquato
    dell'arcivescovo Williams e del vescovo Andrews. Il sermone era
    tessuto di quei concetti strani, che sessanta anni innanzi avrebbero
    potuto destare ammirazione, ma allora movevano a scherno una
    generazione d'uditori assuefatta alla pure eloquenza di Sprat, di
    South e di Tillotson. Salomone era Re Giacomo; Adonia, Monmouth;
    Joab era uno de' congiurati di Rye House; Shimei, un libellista
    Whig; Abiathar, un onesto ma traviato Cavaliere. Una frase del libro
    delle croniche fu stiracchiata a significare che il Re era superiore
    al Parlamento; un'altra fu adatta a provare ch'egli solo avrebbe
    dovuto comandare le milizie cittadine. Verso la fine del discorso,
    l'oratore timidamente alluse alla nuova e impacciata condizione in
    cui la Chiesa trovavasi di faccia al sovrano, e rammentò agli
    uditori come lo imperatore Costanzo Cloro, benchè non fosse
    cristiano, avesse tenuto in onoranza i cristiani fedeli alla propria
    religione, e avesse spregiati coloro che cercavano guadagnarsi,
    apostatando, il favore di lui. Il servizio religioso nella Abbadia,
    fu seguito da un banchetto solenne nella Sala; il banchetto da
    magnifici fuochi artificiali, e i fuochi da molte cattive
    poesie(320).
    
    XVII. Fu questo il momento in cui lo entusiasmo del partito Tory
    pervenne alla sua maggiore altezza. Dal dì in che Giacomo fu asceso
    sul trono, s'erano sempre avvicendati indirizzi, in cui quel partito
    esprimeva profonda venerazione per la persona e la dignità del
    monarca, e acre abborrimento per i vinti Whig. I magistrati di
    Middlesex rendevano grazie a Dio per avere dispersi i disegni di
    que' regicidi ed Esclusionisti, i quali, non paghi d'avere
    assassinato un monarca santo, tentavano di distruggere le fondamenta
    della monarchia. La città di Gloucester esecrò i ribaldi sitibondi
    di sangue, che avevano tentato di privare la Maestà Sua del diritto
    ereditario. I borghesi di Wigan assicurarono il sovrano, che lo
    avrebbero difeso contro tutti gli Achitophel cospiratori, e i
    ribelli Assalonni. I gran giurati di Suffolk dissero sperare, che il
    Parlamento avrebbe proscritti gli Esclusionisti. Molti Consigli
    municipali giurarono di non rieleggere mai più alla Camera de'
    Comuni chiunque avesse votato a favore della legge che voleva
    privare Giacomo del diritto di successione. Perfino la metropoli
    mostrò profondo ossequio. I legali e i commercianti fra loro
    gareggiavano di servilità. I collegi dei Tribunali, e quelli di
    Cancelleria, mandarono fervide professioni di sommissione e
    d'affetto. Tutte le grandi società commerciali, la Compagnia delle
    Indie Orientali, la Compagnia Affricana, la Compagnia di Turchia, la
    Compagnia di Moscovia, la Compagnia di Hudson Bay, i Mercanti di
    Maryland, i Mercanti della Giammaica, i Mercanti Avventurieri,
    dichiararono che accettavano ben volentieri lo editto regio, il
    quale ingiungeva loro di continuare a pagare i diritti doganali.
    Bristol, seconda città dell'isola, fece eco al voto di Londra. Ma in
    nessuno altro luogo lo spirito di lealtà fu più fervido di quel che
    fosse nelle due università. Oxford dichiarò che non si sarebbe mai
    dilungata da quei principii religiosi che la obbligavano a prestare
    obbedienza al Re senza limiti o restrizioni. Cambridge, con
    severissime parole, dannò la violenza e il tradimento di que'
    torbidi spiriti che s'erano malignamente studiati di trarre la
    corrente della successione fuori del suo proprio alveo(321).
    
    XVIII. Simiglianti indirizzi, per uno spazio considerevole di tempo,
    riempirono ciascun numero della Gazzetta di Londra. Ma non erano i
    soli indirizzi i mezzi onde i Tory mostravano il proprio zelo.
    Pubblicati i decreti per le elezioni parlamentari, il paese fu in
    grande concitamento. Non v'era mai stata elezione generale che, come
    questa, fosse accompagnata da circostanze cotanto favorevoli alla
    Corte. Centinaia di migliaia che la Congiura papale aveva cacciato
    dentro il partito Whig, furono ricacciati al partito Tory dalla
    congiura di Rye House. Nelle Contee, il Governo poteva esser sicuro
    d'una immensa maggioranza di gentiluomini possidenti trecento e più
    lire sterline l'anno, e di tutti gli ecclesiastici fino a uno. Quei
    borghi che un tempo erano cittadelle di Whig, erano di fresco stati
    con sentenza legale privati de' loro Statuti, o avevano prevenuta la
    sentenza, spontaneamente rinunziandovi. Erano poi stati ricostituiti
    in modo da rieleggere senza dubbio rappresentanti devoti alla
    Corona. Dove non era da fidarsi dei cittadini, la franchigia
    elettorale era stata affidata agli scudieri delle vicinanze. In
    alcuni dei più piccoli municipii occidentali, i collegi elettorali
    erano in gran parte composti di Capitani e di Luogotenenti delle
    Guardie. I seggi elettorali avevano dovecchessia interesse per la
    Corte. In ciascuna Contea il Lord Luogotenente e i suoi deputati
    formavano un potente, operoso e vigilante comitato, col fine di
    carezzare e intimidire i liberi possidenti. Le popolazioni erano
    ammonite da migliaia di pulpiti a non votare a favore di nessun
    candidato Whig, perocchè ne dovevano render conto a Colui che aveva
    ordinato che vi fossero i potentati, e aveva detto la ribellione
    essere peccato non meno grave della stregoneria. Di tutti cotesti
    elementi il partito predominante non solo usò quanto potè, ma abusò
    in modo così svergognato, che gli uomini gravi e saggi, i quali si
    erano mantenuti fedeli alla monarchia mentre era in pericolo, e non
    portavano nessun affetto ai repubblicani e agli scismatici,
    tiraronsi da parte, e da siffatti primordii previdero lo appressarsi
    di tempi tristissimi(322).
    
    Nondimeno i Whig, comecchè patissero la giusta pena de' propri
    errori, e fossero sconfitti, scoraggiati, disordinati, non vollero
    cedere senza sforzi. Erano tuttavia numerosi nelle classi dei
    trafficanti e degli artigiani delle città, e in quelle de' piccoli
    possidenti e de' contadini sparsi per le campagne. In taluni
    distretti, come, a cagione d'esempio, nelle Contee di Dorset e di
    Somerset, formavano la gran maggioranza della popolazione. Nulla
    potevano nei borghi ricostituiti; ma in ogni Contea dove avevano
    probabilità di prospero successo, lottarono disperatamente. Nella
    Contea di Bedford, che all'ultimo Parlamento era stata rappresentata
    dallo sfortunato Russell, essi rimasero vincitori nella prova ad
    alzata di mani, ma perdenti in quella dello squittinio(323). In
    Essex ottennero mille trecento voti contro mille ottocento(324).
    Nella elezione della Contea di Northampton, il popolo procedè così
    violentemente ostile al candidato della Corte, che fu necessario
    appostare nella piazza di mercato della città della Contea una
    coorte di soldati, ai quali fu dato ordine di caricare a palla gli
    archibugi(325). La storia della contesa per la elezione della Contea
    di Buckingham, è anche più degna di considerazione. Il candidato
    Whig, che aveva nome Tommaso Wharton, figlio primogenito di Filippo
    Lord Wharton, era uomo predistinto e per destrezza e per audacia, e
    destinato a rappresentare una parte cospicua, benchè non sempre
    commendevole, nella politica di vari sovrani. Nella Camera de'
    Comuni era stato uno de' membri, i quali avevano portata la Legge
    d'Esclusione alla barra di quella de' Lordi. La Corte, adunque, era
    intesa ad usare ogni mezzo buono o cattivo per escluderlo dal
    Parlamento. Il Lord Capo Giudice Jeffreys recossi in persona nella
    Contea di Buckingham, a fine di sostenere un gentiluomo chiamato
    Hacket, che apparteneva al partito Tory. Immaginarono uno
    strattagemma, che essi pensavano dovesse produrre buono effetto. Fu
    annunziato che la elezione si farebbe in Ailesbury; e Wharton, la
    cui perizia in tutte le astuzie di condurre una elezione era senza
    rivali, ordinò tutto, credendo vera la cosa; allorquando, con
    improvviso annunzio, lo sceriffo fece sapere che lo squittinio
    seguirebbe in Newport Pagnell. Wharton e i suoi partigiani vi si
    recarono frettolosamente, e trovarono che Hacket, il quale sapeva il
    secreto, aveva già preso per conto suo tutte le locande e gli
    alberghi. I liberi possidenti Whig furono costretti a legare i
    propri cavalli alle(326) siepi, e dormire a cielo scoperto sui prati
    che circondavano la città. E' non fu senza difficoltà grandissima
    che si potè provvedere improvvisamente al vitto di tanto numero
    d'uomini e d'animali; quantunque Wharton, che non curava affatto
    spesa alcuna quando gli si accendevano in cuore l'ambizione e lo
    spirito di parte, sborsasse in un solo giorno mille cinquecento lire
    sterline, somma immensa per que' tempi. Nonostante, sembra che tanta
    ingiustizia avesse ridato coraggio ai possidenti di Bucks, animosi
    figli degli elettori di Giovanni Hampden. Wharton non solo sortì
    vittorioso della prova, ma potè ottenere la elezione d'un altro uomo
    d'opinioni moderate, e sconfiggere il candidato del Capo
    Giudice(327).
    
    Nella contea di Chester la lotta durò sei giorni. I Whig ebbero
    circa mille settecento voti, i Tory circa due mila. Il popolo minuto
    parteggiò con veemenza a favore de' Whig, e gridando: "Abbasso i
    Vescovi!" insultò il clero per le vie di Chester, stramazzò a terra
    un gentiluomo Tory, ruppe le finestre e bastonò i commissari di
    polizia. Fu chiamata la milizia cittadina a chetare il tumulto, e fu
    fatta rimanere in armi, onde proteggere il trionfo de' vincitori.
    Appena finito lo squittinio, cinque grossi cannoni dal castello
    annunziarono al paese circostante la vittoria della Chiesa e della
    Corona. Le campane sonarono a festa. Gli eletti furono condotti
    solennemente alla croce della città(328), accompagnati da una banda
    musicale e da un lungo codazzo di cavallieri e scudieri. La
    processione andava cantando: "Letizia al gran Cesare!" ode
    cortigiana, la quale era stata, poco innanzi, scritta da Durfey, e
    quantunque, al pari di tutti gli scritti di lui, fosse estremamente
    spregevole, in quel tempo era quasi tanto popolare, quanto pochi
    anni dopo lo fu Lillibullero(329). Attorno la croce stavano
    schierate le civiche milizie; fu acceso un fuoco di gioia; la Legge
    d'Esclusione venne bruciata; e si bevve con fragorose acclamazioni
    alla salute di Re Giacomo. Il dì seguente era domenica. La milizia
    schierossi in fila lungo le vie conducenti al duomo. I due
    rappresentanti della Contea furono condotti con gran pompa al coro
    dai magistrati della città; ascoltarono la predica del Decano, che
    probabilmente ragionò del debito d'obbedienza passiva; e poi furono
    festeggiati dal Gonfaloniere(330).
    
    In Northumberland, il trionfo di Sir Giovanni Fenwik, cortigiano che
    acquistò poscia trista rinomanza, fu accompagnato da circostanze che
    destarono interesse in Londra, e che non furono stimate indegne
    d'essere rammentate, nei dispacci de' Ministri stranieri. Newcastle
    fu illuminato con gran mucchi di carbone acceso. I campanili
    mandarono suoni di esultanza. Un esemplare della Legge d'Esclusione,
    ed una cassetta nera simigliante a quella che, secondo la favola
    popolare, conteneva il contratto di nozze tra Carlo II e Lucia
    Walters, vennero pubblicamente date alle fiamme con alte
    acclamazioni(331).
    
    L'esito generale delle elezioni sorpassò le più ardenti speranze
    della Corte. Giacomo vide con gioia, come non gli fosse necessario
    di spendere un soldo a comperare i voti. Disse che, tranne circa
    quaranta membri, la Camera de' Comuni era quale doveva essere ove
    egli l'avesse nominata da sè(332). Oltrechè, stava in poter suo,
    secondo che allora consentivano le leggi, tenerla sino alla fine del
    suo regno.
    
    Essendo sicuro d'essere sostenuto dal Parlamento, poteva oramai
    appagare la libidine di vendetta. Aveva indole implacabile; e mentre
    era ancor suddito, aveva patito ingiurie e indegnità tali, che
    avrebbero mosso anche un animo placabile a fiero e durevole
    risentimento. Una setta d'uomini, in ispecie, aveva, con inusitata e
    indicibile crudeltà e vigliaccheria, aggredito l'onore e la vita di
    lui; voglio dire i testimoni della congiura. L'odio ch'ei loro
    portava, parrebbe degno di scusa; poichè fino ai dì nostri il solo
    profferirne il nome muove a schifo ed orrore gli uomini di tutte le
    sètte e di tutti i partiti.
    
    XIX. Alcuni di cotesti sciagurati erano in luogo dove non poteva
    giungere il braccio della umana giustizia. Bedloe era morto da
    ribaldo, senza dare il minimo segno di rimorso e di vergogna(333).
    Dugdale gli era andato dietro, reso insano, secondo che dicevasi,
    dalle furie della pessima coscienza, con acute strida scongiurando
    coloro che stavano attorno al suo letto, d'allontanare lo spettro di
    Lord Stafford(334). Carstairs anch'esso era morto. La sua fine fu
    tutta orrore e disperazione; e sul punto di mandare l'ultimo flato,
    aveva detto ai suoi assistenti di gittarlo a guisa d'un cane in un
    fosso, non essendo degno di riposare in un cimitero cristiano(335).
    Ma Oates e Dangerfield erano in potere dello austero principe da
    essi oltraggiato. Giacomo, breve tempo avanti che ascendesse sul
    trono, aveva intentato un processo civile contro Oates per
    diffamazione; e i giurati lo avevano condannato a pagare la enorme
    multa di cento mila lire sterline(336). Lo accusato, non potendo
    pagare, era stato preso, e viveva in carcere senza speranza
    d'uscire. Gli Alti Giurati di Middlesex, poche settimane avanti la
    morte di Carlo, avevano ammessi contro lui due atti d'accusa come
    colpevole di spergiuro. Appena finite le elezioni, si cominciò il
    processo.
    
    Tra le classi alte e le medie, ad Oates non rimaneva né anche un
    amico. Tutti i Whig intelligenti erano convinti, che quando anche il
    suo racconto fosse in alcun modo fondato sul fatto, egli vi aveva
    edificato sopra un romanzo. Un numero considerevole di fanatici,
    nondimeno, lo considerava tuttavia come pubblico benefattore.
    Costoro bene sapevano che qualora ei fosse convinto di reità, la sua
    sentenza sarebbe severissima; e però infaticabilmente studiavansi a
    procacciargli la fuga. Quantunque fino allora fosse rinchiuso per
    debiti, venne posto in ferri dalle autorità della prigione del Banco
    del Re; ed anche ciò non era bastevole a tenerlo in sicura custodia.
    Al mastino che stava dinanzi all'uscio del suo carcere, fu dato il
    veleno; e nella medesima notte che precedè il suo processo, una
    scala di fune fu introdotta nella sua cella.
    
    Il giorno ch'ei fu condotto alla barra, Westminster Hall era
    affollata di spettatori, fra' quali vedevansi molti cattolici
    romani, ansiosi di contemplare la miseria e la umiliazione del loro
    persecutore(337). Pochi anni prima, il suo collo corto, le sue gambe
    ineguali come quelle d'un tasso, la sua fronte bassa a guisa di
    quella d'un babbuino, le sue guance chiazzate di sangue, la
    mostruosa lunghezza del suo mento, erano famigliari a quanti
    frequentavano le corti di giustizia. Era in que' giorni diventato
    l'idolo della nazione: dovunque ei si mostrasse, ciascuno gli faceva
    di cappello. La vita e gli averi de' magnati del reame erano stati
    in sua balía. Ma adesso i tempi erano cangiati; e molti di coloro
    che per lo innanzi lo avevano considerato liberatore della patria,
    rabbrividivano alla vista di quegli osceni sembianti, sopra i quali
    pareva che il dito di Dio avesse scritto: scellerato(338)!
    
    E' fu provato, senza possibilità di dubbio, che questo uomo aveva,
    con false testimonianze, premeditatamente assassinate varie persone
    innocenti. Egli invocò invano i più eminenti membri del Parlamento,
    dai quali era stato ricompensato ed esaltato, perchè testificassero
    a favor suo. Parecchi di coloro ch'egli aveva chiamati al tribunale,
    assentaronsi. Nessuno disse la minima cosa che tendesse a scolparlo.
    Uno di loro, cioè a dire il Conte di Huntingdon, lo rimproverò
    aspramente d'avere ingannate le Camere, e gettata sopra esse la
    colpa d'aver versato il sangue innocente. I giudici guardavano
    fieri, ed avvilirono lo accusato con crudeltà tale, che anche nei
    casi più atroci mal conviene al carattere di ministro della
    giustizia. Eppure ei non mostrò segno di timore o vergogna, e con la
    insolenza della disperazione affrontò la tempesta delle invettive
    che scoppiava contro lui dalla barra, dal seggio e dal banco de'
    testimoni. Fu dichiarato convinto sopra ambedue gli atti d'accusa.
    Quantunque, moralmente considerata, la sua colpa fosse assassinio
    della più grave specie, nondimeno agli occhi della legge era
    semplice delitto. Il tribunale, nondimeno, voleva che la pena da
    darglisi fosse più severa di quella de' felloni o traditori, e non
    solo farlo morire, ma farlo morire tra orribili tormenti. Fu
    condannato ad essere spogliato degli abiti clericali, posto alla
    gogna in Palace Yard, e condotto attorno Westminster Hall con un
    cartello fittogli sulla testa, nel quale fosse scritta la sua
    infamia; e posto nuovamente alla gogna di faccia alla Borsa Reale,
    fustigato da Aldgate a Newgate, e dopo un intervallo di due giorni
    fustigato un'altra volta da Newgate a Tyburn. Se, contro ogni
    probabilità, egli fosse sopravvissuto a questa orribile pena, doveva
    rimanere in carcere per tutta la vita, donde doveva essere tratto
    cinque volte l'anno, e messo alla gogna in diversi luoghi della
    metropoli(339).
    
    La cruda sentenza venne crudamente eseguita. Oates, il giorno in cui
    fu posto alla gogna in Palace Yard, sostenne una pioggia di sassate,
    e corse pericolo di essere fatto in brani(340). Ma nella città, i
    suoi partigiani si raccolsero, suscitarono un tumulto, e
    rovesciarono la gogna(341). Ciò non ostante, non riuscì loro di
    liberarlo. Fu creduto che per sottrarsi all'orrendo destino che lo
    aspettava, tentasse d'avvelenarsi: però il cibo e la bevanda furono
    sottoposti a rigoroso esame. Il dì seguente, fu tratto fuori di
    carcere per subire la prima fustigazione. A buon'ora, innumerevole
    turba di popolo riempiva tutte le vie, da Aldgate sino a Old Bailey.
    Il carnefice menava la frusta con tanto insolita severità, da
    mostrare che avesse ricevuto speciali ammonimenti. Il sangue correva
    a rivi. Per qualche tempo il colpevole fece mostra d'una strana
    costanza; ma in fine, sì ostinata fortezza gli venne meno. Urlava in
    modo spaventevole; perdè i sensi più volte: ma non perciò restava il
    flagello. Come fu sciolto, e' parve d'avere sopportato quanto la
    forma umana può sopportare senza dissolversi. Giacomo venne
    supplicato a risparmiargli la seconda fustigazione. Ei rispose in
    brevi e chiare parole: "Dovrà subire la pena finchè gli rimarrà
    fiato in corpo." Tentossi di ottenere la intercessione della Regina;
    ma essa sdegnosamente ricusò di dire una sola parola a pro di un
    tanto scellerato. Dopo un intervallo di sole quarantotto ore, Oates
    fu nuovamente tratto di carcere. Non aveva forza da tenersi in
    piedi, e fu d'uopo trascinarlo sopra una treggia a Tyburn. Pareva
    affatto insensibile; e i Tory riferivano ch'egli si fosse stordito
    bevendo liquori spiritosi. Un tale, che nel secondo giorno contò il
    numero delle frustate, affermò che fossero mille settecento. Al
    tristo uomo rimase la vita, ma in guisa che gl'ignoranti e i
    bacchettoni fra' suoi ammiratori reputarono la sua guarigione un
    miracolo, e l'adducevano come argomento della innocenza di lui. Le
    porte del carcere gli si richiusero sopra. Per molti mesi stette
    incatenato nel più oscuro buco di Newgate. Fu detto che ivi si
    abbandonasse alla malinconia, e per giorni interi sedendo con le
    mani incrociate, e col cappello fitto in sugli occhi, mandasse cupi
    gemiti. E' non fu nella sola Inghilterra che questi avvenimenti
    svegliarono grande interesse. Milioni di cattolici romani, i quali
    non sapevano nulla delle nostre istituzioni e fazioni, avevano udito
    come nella nostra isola avesse infuriato una barbarissima
    persecuzione contro i credenti nella vera fede, come molti uomini
    pii avessero patito il martirio, e Tito Oates fosse stato il
    principale assassino. E però grande fu la gioia ne' lontani paesi
    appena si seppe che la mano della giustizia divina lo aveva
    raggiunto. Per tutta l'Europa correvano certe incisioni, dove egli
    era rappresentato alla gogna e in atto di subire la flagellazione; e
    gli epigrammisti, in molte lingue, scherzarono sul titolo di dottore
    ch'egli pretendeva d'avere ottenuto nella Università di Salamanca, e
    notavano che non potendo farlo arrossire in fronte, era giusto che
    lo facessero arrossire su per la schiena(342).
    
    Per quanto orribili fossero i tormenti di Oates, non potevano
    agguagliarsi a' suoi misfatti. Un'antica legge dell'Inghilterra, che
    s'era lasciata cadere in disuso, trattava come assassino il falso
    testimone, che spergiurando fosse stato cagione di morte ad
    alcuno(343). Ciò era savio ed equo, imperocchè un simigliante
    testimonio, davvero è il peggiore degli assassini. Alla colpa di
    spargere il sangue innocente, egli aggiunge quella di violare il più
    solenne contratto che possa esistere tra uomo e uomo, e di rendere
    le istituzioni - alle quali è da desiderarsi che il pubblico porti
    rispetto e fiducia - strumento di terribili danni, e obietto di
    generale diffidenza. Il dolore cagionato da un assassinio ordinario
    non è da paragonarsi al dolore cagionato dallo assassinio, di cui le
    corti di giustizia diventano agenti. La semplice estinzione della
    vita è piccolissima parte di ciò che rende orribile il patibolo. La
    prolungata mortale agonia del condannato, la vergogna e la miseria
    de' suoi congiunti, la macchia d'infamia che discende fino alla
    terza o quarta generazione, sono cose più spaventevoli della morte
    stessa. Generalmente, potrebbe di sicuro affermarsi che il padre di
    una numerosa famiglia si lascerebbe più presto privare di tutti i
    propri figliuoli, morti per disgrazia o per malattia, che perdere un
    solo di loro per le mani del carnefice. L'assassinio cagionato da
    falsa testimonianza è, dunque, la specie più grave degli assassinii;
    ed Oates era reo di molti simiglianti assassinii. Nondimeno, non può
    giustificarsi la pena che gli venne inflitta. Nel dannarlo ad essere
    spogliato dell'abito ecclesiastico e incarcerato a vita, sembra che
    i giudici avessero ecceduto il loro potere legale. Certo erano
    competenti a infliggere la fustigazione, nè la legge assegnava
    termine al numero delle frustate: ma lo spirito della legge
    manifestamente voleva che nessun delitto venisse punito con severità
    maggiore di quella con cui si puniscono le più atroci fellonie. Il
    peggiore de' felloni poteva essere condannato alla forca. I giudici,
    secondo che credevano, dannarono Oates ad essere flagellato a morte.
    Dire che la legge fosse difettosa, non è scusa sufficiente(344):
    imperocchè le leggi difettive dovrebbero essere riformate dal Corpo
    legislativo, non mai stiracchiate dai tribunali, e, quel che è
    peggio, stiracchiate a fine di dare la tortura e la morte. Che Oates
    fosse uomo malvagio, non è scusa sufficiente: imperocchè il
    colpevole è quasi sempre il primo a patire le severità che poscia si
    considerano come precedenti per opprimere l'innocente. Tale era il
    caso d'Oates. Il flagellare senza misericordia divenne tosto la
    punizione ordinaria de' falli politici di non molta gravità.
    Individui accusati di avere imprudentemente profferite parole ostili
    al Governo, vennero condannati a tormenti così crudeli, che essi,
    con non simulata serietà, chiedevano d'essere processati come rei di
    delitti capitali, e mandati alle forche. Avventuratamente, a'
    progressi di tanto male posero argine la Rivoluzione, e la Legge de'
    Diritti, con quello articolo che condanna ogni punizione crudele e
    inusitata.
    
    XX. La ribalderia di Dangerfield non aveva, al pari di quella
    d'Oates, cagionata la morte di molte vittime innocenti; perocchè
    Dangerfield non si diede al mestiere di testimonio se non quando la
    congiura era andata in fumo, e i giurati s'erano fatti
    increduli(345). Gli fu intentato il processo, non come reo di
    spergiuro, ma per diffamazione. Mentre ferveva il commovimento
    cagionato dalla Legge d'Esclusione, egli aveva stampata una
    narrazione che conteneva alcuni falsi e odiosi addebiti contro Carlo
    e Giacomo. Per tale pubblicazione, egli, dopo cinque anni, fu
    improvvisamente preso, condotto innanti al Consiglio Privato,
    accusato, processato, convinto, e dannato alla fustigazione da
    Aldgate a Newgate, e da Newgate a Tyburn. Lo sciagurato, durante il
    processo, tenne sfrontato contegno; ma appena udì profferire la
    sentenza, si abbandonò allo strazio della disperazione; si dette per
    ispacciato, e scelse un testo biblico per il suo funebre sermone. Il
    suo presentimento era giusto. A dir vero, non fu flagellato con
    tanta severità con quanta lo era stato Oates; ma non aveva la forza
    ferrea della mente e del corpo d'Oates. Dopo la esecuzione della
    sentenza, Dangerfield fu posto in una carrozza d'affitto per
    ritornare al proprio carcere. Passato il canto di Hatton Garden, un
    gentiluomo Tory di Gray's Inn, di nome Francis, fermò la vettura e
    gridò con brutale ironia: "E bene, amico, vi hanno scaldata la
    schiena stamane?" Il prigione grondante sangue, infuriato a
    quell'insulto, gli rispose con una maledizione. Francis gli avventò
    tosto al viso una mazzata, che lo ferì in un occhio. Dangerfield fu
    portato morente a Newgate. Questo codardo oltraggio mosse a sdegno
    gli astanti, i quali posero le mani addosso a Francis, sì che
    stettero per farlo in brani. Alla vista del corpo di Dangerfield,
    orribilmente lacerato dalle fustigazioni, molti inchinavano a
    credere che la sua morte fosse stata massimamente, se non al tutto,
    cagionata dalle frustate ricevute. Il Governo e il Capo Giudice
    stimarono convenevole darne tutta la colpa a Francis, il quale,
    comecchè sembri al più d'essere stato reo d'omicidio aggravante, fu
    processato e mandato al patibolo come assassino. Le sue estreme
    parole sono uno de' più curiosi monumenti di que' tempi. Quel feroce
    spirito che lo aveva condotto in sulle forche, gli durò fino
    all'ultimo istante della vita. Mescolò vanti di lealtà e ingiurie
    contro i Whig con giaculatorie, nelle quali raccomandava l'anima
    propria alla misericordia divina. S'era sparsa la voce che la sua
    moglie amoreggiasse con Dangerfield, uomo di grande bellezza e
    famoso per avventure galanti, e che il marito mosso dalla gelosia
    gli avesse avventato il colpo fatale. Il morente marito, con
    serietà, mezzo ridicola e mezzo patetica, rivendicò l'onore della
    consorte, dicendo ch'ella era una donna virtuosa, che era nata da
    parenti leali, ed ove fosse stata propensa a violare la fede
    coniugale, avrebbe almeno scelto per drudo un Tory o un
    Anglicano(346).
    
    XXI. Verso il medesimo tempo, un accusato che aveva pochissima
    somiglianza con Oates o Dangerfield, comparve avanti la Corte del
    Banco del Re. Non v'era illustre capo-parte che fosse mai passato
    traverso a molti anni di dissensioni civili e religiose con maggiore
    innocenza di Riccardo Baxter. Apparteneva alla classe più mite e
    temperata della setta puritana. Allorquando scoppiò la guerra
    civile, egli era giovane. Credeva che le Camere avessero ragione, e
    non ebbe scrupolo di esercitare l'ufficio di cappellano in un
    reggimento dello esercito parlamentare: ma il suo lucido ed alquanto
    scettico intendimento, non che il suo forte senso di giustizia, lo
    tennero lontano da ogni eccesso. Fece ogni sforzo per frenare la
    violenza fanatica della soldatesca. Vituperò i procedimenti
    dell'Alta Corte di Giustizia. A tempo della Repubblica ebbe
    ardimento di manifestare in molte occasioni, e una volta anche al
    cospetto di Cromwell, amore e riverenza alle antiche istituzioni
    della patria. Mentre la famiglia reale era in esilio, Baxter passò
    la vita per lo più in Kidderminster, esercitando assiduamente i
    doveri di parroco. Di gran cuore contribuì alla Ristaurazione, e
    sinceramente desiderava d'indurre a concordia gli Episcopali e i
    Presbiteriani. Perocchè con liberalità, per que' tempi rarissima,
    considerava le questioni di politica ecclesiastica di poco conto in
    paragone de' grandi principii del Cristianesimo; ed anco quando la
    prelatura era esosa alla potestà dominatrice, non congiunse mai la
    propria voce al grido contro i vescovi. Baxter fallì nella impresa
    di conciliare le avverse fazioni. Accomunò le proprie sorti a quelle
    de' suoi amici proscritti, ricusò la mitra di Hereford, rinunziò
    alla parrocchia di Kidderminster, dedicandosi quasi interamente agli
    studi. I suoi scritti teologici, comecchè fossero sì moderati da non
    piacere ai bacchettoni d'ogni partito, acquistarono immensa
    riputazione. Gli zelanti ecclesiastici lo chiamavano Testa-Rotonda;
    e molti Non-Conformisti lo accusavano di Erastianismo e
    d'Arminianismo. Ma la integrità del cuore, la purità della vita, il
    vigore della intelligenza, la vastità della dottrina erano in lui
    riconosciute dagli uomini migliori e più savi d'ogni setta. Le sue
    opinioni politiche, malgrado l'oppressione da lui e da' suoi
    confratelli sofferta, erano moderate. Procedeva amico a quel piccolo
    partito che era in odio ai Whig ed ai Tory, dicendo di non potere
    indursi a maledire i Barcamenanti, qualvolta rammentava Colui che
    aveva benedetti i facitori della pace(347).
    
    In un Commentario al Testamento Nuovo, aveva alquanto amaramente
    lamentata la persecuzione che i Dissenzienti pativano. Che gli
    uomini i quali per non usare il Libro delle Preghiere, erano stati
    cacciati dalle loro case, privati degli averi e sepolti nelle
    carceri, osassero mormorarne, tenevasi allora per grave delitto
    contro lo Stato e la Chiesa. Ruggiero Lestrange, campione del
    Governo e oracolo del Clero, levò il grido di guerra
    nell'Osservatore. Fu intentato un processo. Baxter chiese gli si
    concedesse qualche tempo ad apparecchiare la propria difesa. Nel
    giorno stesso in cui Oates era posto alla berlina in Palace Yard, lo
    illustre capo de' Puritani, oppresso dagli anni e dalle infermità,
    andò a Westminster Hall per fare tale richiesta. Jeffreys con gran
    tempesta di rabbia gridò: "Nè anche un minuto per salvare la sua
    vita. Io so bene condurmi coi santi egualmente che coi peccatori. In
    un lato della berlina adesso sta Oates; e se Baxter fosse
    nell'altro, i due più grandi ribaldi del Regno starebbero insieme."
    
    Quando si aperse il processo in Guildhall, una folla di coloro che
    amavano e riverivano Baxter, riempiva la corte. Stava accanto
    all'accusato il Dottore Guglielmo Bates, uno de' più cospicui fra i
    teologi Non-Conformisti. Pollexfen e Wallop, rinomatissimi avvocati
    Whig, lo difendevano. Pollexfen aveva appena principiato a favellare
    avanti ai Giurati, allorquando il Capo Giudice proruppe in queste
    oscene parole: "Pollexfen, io vi conosco bene; e vi terrò a mente.
    Voi siete il protettore della fazione. Costui è un vecchio ribaldo,
    un birbone scismatico, un ipocrita tristo. Odia la Liturgia, e non
    vorrebbe altro usare che lunghissimi piagnistei senza libro." E
    quindi sua Signoria levò in alto gli occhi, giunse le mani, e
    cominciò a cantare col naso, imitando a suo credere il modo di
    pregare di Baxter: "Signore, noi siamo il tuo popolo, il tuo popolo
    peculiare, il tuo diletto popolo." Pollexfen gentilmente rammentò
    alla corte come la Maestà del Re defunto avesse reputato Baxter
    degno d'un vescovato. "E che ambiva, dunque, il vecchio bestione"
    esclamò Jeffreys "che non lo accettò?" Qui il suo furore giunse
    quasi alla insania. Chiamò Baxter un cane, e giurò che sarebbe stata
    semplice giustizia il flagellare un tanto ribaldo per le vie della
    città.
    
    Wallop s'interpose, ma non ebbe miglior ventura del suo collega.
    "Voi v'immischiate in tutte coteste sudicie cause, o signor Wallop,"
    disse il giudice. "I gentiluomini togati dovrebbero aver vergogna
    d'aiutare così faziosi ribaldi." Lo avvocato si provò di nuovo a
    farsi ascoltare, ma indarno. "Se non farete il debito vostro," gridò
    Jeffreys "ve lo insegnerò bene io."
    
    Wallop si pose a sedere; e Baxter tentò di dire qualche parola da
    sè. Ma il Capo Giudice gli dette sulla voce con un torrente
    d'ingiurie e d'invettive, mescolate con citazioni di Hudibras. "Mio
    Signore," disse il vecchio "sono stato molto biasimato dai
    Dissenzienti per avere rispettosamente favellato de' vescovi." -
    "Baxter a favore dei vescovi!" urlò il Giudice "questa davvero è una
    cosa buffa! Lo so bene io ciò che voi intendete per vescovi;
    furfanti come voi, vescovi di Kidderminster, faziosi e piagnolosi
    presbiteriani!" Baxter provossi nuovamente a parlare, e Jeffreys ad
    urlare di nuovo: "Riccardo, Riccardo, o che tu pensi che ti
    lasceremo attoscar la corte? Riccardo, tu sei un vecchio furfante.
    Tu hai scritti tanti libri da riempirne un baroccio, e ciascuno de'
    tuoi libri è pieno, come un uovo, di pensieri sediziosi. Grazie al
    cielo, ti terrò io gli occhi addosso. Veggo che molti della tua
    confraternita aspettano di vedere quale sarà la sorte del loro
    valoroso Don Chisciotte. Ed eccolo lì" seguitò fissando il feroce
    sguardo sopra Bates, "ecco lì un Dottore del partito che ti sta
    presso; ma, per grazia di Dio onnipotente, vi schiaccerò tutti
    quanti."
    
    Baxter stette cheto. Ma uno de' più giovani avvocati della difesa
    fece un ultimo sforzo, e imprese a mostrare come le parole
    incriminate non comportassero il costrutto dato ad esse dall'Accusa.
    A tale scopo si pose a leggerne il contesto. In un istante fu
    interrotto dagli urli di Jeffreys. "Voi non trasformerete la corte
    in un conventicolo." E qui udendo alcuni gemiti che partivano da
    coloro che circondavano Baxter, Jeffreys esclamò; "piagnolosi
    bestioni!"
    
    I testimoni della difesa, fra' quali erano diversi chierici della
    Chiesa Stabilita, stavano lì ad aspettare. Ma il Capo Giudice non
    volle ascoltarli. "Crede ella la Signoria vostra," disse Baxter "che
    vi siano Giurati che vogliano dichiarare reo convinto un uomo con un
    processo come questo?" - "Ve ne assicuro, Signor Baxter" rispose
    Jeffreys "non ve ne date pensiero." Jeffreys aveva ragione. Gli
    sceriffi erano strumenti del Governo. I Giurati, scelti dagli
    sceriffi fra i più feroci zelanti del partito Tory, si ritrassero
    per un momento a deliberare, e dichiararono Baxter colpevole. "Mio
    signore," disse egli partendosi dalla corte "un tempo eravi un Capo
    Giudice che mi avrebbe molto diversamente trattato." Ed alludeva al
    suo dotto e virtuoso amico Sir Matteo Hale. "Non vi è uomo onesto in
    Inghilterra," rispose Jeffreys "che non ti tenga per furfante(348)."
    
    La condanna per que' tempi fu mite. Ciò che seguisse fra' giudici
    mentre deliberarono, non può con certezza sapersi. Credettero i
    Non-Conformisti, ed è grandemente probabile, che il Capo Giudice
    fosse vinto da' suoi tre confratelli. Dicesi ch'egli proponesse che
    Baxter patisse la fustigazione legato a coda di cavallo, e
    trascinato per le vie di Londra. La maggioranza stimò che un teologo
    illustre, al quale venticinque anni innanzi era stata profferta una
    mitra, e che adesso contava anni settanta d'età, sarebbe stato
    bastevolmente punito della colpa di poche parole pungenti con una
    multa e la prigione(349).
    
    XXII. Il modo onde Baxter fu trattato da un giudice che era membro
    del Gabinetto, e il prediletto del sovrano, mostrava, in modo da non
    indurre in errore, i sentimenti che in quel tempo il Governo nutriva
    verso i Protestanti Non-Conformisti. Ma tali sentimenti erano già
    stati manifestati da più forti e terribili segni. Il Parlamento di
    Scozia erasi ragunato, Giacomo ne aveva appositamente affrettate le
    sessioni, e posposte quelle delle Camere Inglesi, sperando che lo
    esempio d'Edimburgo avrebbe prodotto un buono effetto in
    Westminster; dacchè il corpo legislativo del suo Regno
    Settentrionale era ossequioso al pari di quegli Stati Provinciali
    che Luigi XIV lasciava trastullare con alcune delle loro antiche
    funzioni in Bretagna e in Borgogna. Nessuno che non fosse episcopale
    poteva aver seggio nel Parlamento Scozzese, e nè anche essere
    elettore; e in Iscozia, un episcopale era sempre Tory. Da
    un'assemblea siffattamente costituita, poca era la opposizione da
    temersi alle voglie del Re: oltrechè quell'assemblea non poteva
    adottare legge che non fosse innanzi approvata da un comitato di
    cortigiani.
    
    Tutto ciò che chiese il Governo, venne di leggieri consentito.
    Rispetto alle finanze, a dir vero, la liberalità degli Stati
    Scozzesi era di poco momento. Dettero, non per tanto, ciò che
    comportavano i loro pochi mezzi. Concessero, a perpetuità, alla
    Corona i dazi già concessi al Re defunto, e che in allora erano
    stati estimati a quaranta mila sterline l'anno. Assegnarono
    parimente a Giacomo, sua vita durante, una rendita annua di duecento
    sedici mila lire scozzesi; somma equivalente a diciotto mila lire
    sterline. La intera somma che poterono concedere, fu di sessanta
    mila lire sterline l'anno; poco più di quello che versavasi ogni
    quindici giorni nello Scacchiere Inglese(350).
    
    Avendo poca pecunia da dare, gli Stati supplirono al difetto con
    proteste di lealtà e barbari ordinamenti. Il Re, in una lettera, che
    venne loro letta nel dì in cui si aprì la sessione, li richiedeva
    con virulente parole di fare nuove leggi penali contro gli ostinati
    presbiteriani, e si mostrava dolente che le faccende dello Stato
    gl'impedissero di proporle egli stesso in persona dal trono. I suoi
    comandamenti furono obbediti. Passò senza ostacolo uno statuto
    formato da' Ministri della Corona, il quale anche fra gli statuti di
    quello sventurato paese e di quel tempo sventuratissimo, è
    predistinto per atrocità. Fu decretato, con poche ma enfatiche
    parole, che chiunque avesse osato predicare in un conventicolo in
    casa, o intervenire come predicatore o come uditore ad un
    conventicolo all'aria aperta, sarebbe stato punito con la morte e la
    confisca de' beni(351).
    
    XXIII. Questa legge, approvata ad istanza del Re da un'assemblea
    schiava delle voglie di lui, è degna di particolare considerazione:
    imperciocchè dagli scrittori ignoranti Giacomo è stato giudicato
    come principe lesto di cervello e poco giudizioso nella scelta dei
    mezzi, ma intento ad uno de' fini più nobili cui possa tendere un
    Sovrano; a quello, cioè, di stabilire la piena libertà religiosa. Nè
    può negarsi che alcune parti della sua vita, ove si sceverino dallo
    insieme e superficialmente si considerino, sembrano far credere tale
    il suo carattere.
    
    Mentre egli era suddito, aveva per molti anni patita la
    persecuzione, la quale aveva in lui prodotti gli effetti consueti.
    La sua mente, torpida e angusta come ella era, aveva profittato di
    quella severa disciplina. Allorchè fu escluso dalla Corte, dallo
    Ammiragliato e dal Consiglio, e stette in pericolo di rimanere
    escluso anco dal trono, solo perchè non sapeva frenarsi dal credere
    nella transustanziazione e nella autorità della Sede Romana,
    progredì così rapidamente nelle dottrine della tolleranza, da
    lasciarsi addietro Milton e Locke. Qual cosa, diceva di sovente, può
    essere più ingiusta che il punire le speculazioni dello intelletto
    con pene che dovrebbero infliggersi ai soli atti? Quale più
    impolitica che il rifiutare i servigi de' buoni soldati, marinai,
    giureconsulti, diplomatici, finanzieri, solo perchè professano
    dottrine erronee intorno al numero de' sacramenti o alla
    pluripresenza de' Santi? Aveva imparato a mente i luoghi comuni che
    tutte le sètte ripetono con tanta facondia semprechè patiscono
    oppressione, e dimenticano con tanta facilità semprechè possono
    rendere il contraccambio. E veramente, ei recitava così bene la sua
    lezione, che coloro ai quali fosse accaduto di udirlo favellare
    intorno a quella materia, gli davano più credito di buon senso e di
    eloquenza, ch'ei veramente non meritasse. Con la manifestazione de'
    suoi principii, egli illudeva molti spiriti accesi di carità del
    prossimo, e forse sè stesso. Ma il suo zelo pei diritti della
    coscienza finì al finire del predominio del partito Whig. Come la
    fortuna cangiò, come egli più non ebbe timore delle persecuzioni
    altrui, come ebbe in mano la potestà di perseguitare gli altri, le
    vere inclinazioni dell'indole sua cominciarono a mostrarsi.
    Abborriva i Puritani con odio multiforme, con odio religioso,
    politico, ereditario e personale. Gli considerava come nemici di
    Dio, nemici della autorità legittima nella Chiesa e nello Stato,
    nemici della bisava, dell'avo, del padre, della madre, del fratello,
    e suoi propri. Egli, che si era così altamente doluto delle leggi
    contro i papisti, adesso affermò di non sapere immaginare in che
    modo altri potesse avere la impudenza di proporre la revoca delle
    leggi contro i Puritani(352). Egli, il cui têma prediletto era stato
    la ingiustizia di imporre agli ufficiali civili giuramenti
    religiosi, stabilì in Iscozia, mentre vi governava da vicerè, il più
    severo atto di prova religiosa che fosse mai conosciuta nel
    Regno(353). Egli, che aveva mostrata giusta indignazione allorquando
    i sacerdoti della sua fede venivano appesi alle forche e squartati,
    spassavasi a udire le strida de' Convenzionisti, e a vederli
    contorcersi mentre sentivansi dirompere le gambe nello
    stivaletto(354). Così, divenuto Re, chiese subito ed ottenne dagli
    ossequiosi Stati di Scozia, come il più sicuro pegno della lealtà
    loro, la legge più sanguinaria che sia stata mai fatta nell'isola
    nostra contro i Protestanti Non-Conformisti.
    
    XXIV. Con questa legge pienamente concordava lo spirito di tutta
    l'amministrazione del Governo. La feroce persecuzione che infuriò
    mentre egli era vicerè in Iscozia, si fece più ardente che mai il
    giorno che ei divenne sovrano. Quelle Contee in cui i Convenzionisti
    erano in maggior numero, furono abbandonate alla licenza della
    soldatesca. A' soldati era mescolata una milizia cittadina, composta
    de' più violenti e dissoluti tra coloro che si chiamavano
    Episcopali. Predistinguevansi fra le bande che opprimevano e
    devastavano quei malarrivati distretti, i dragoni capitanati da
    Giovanni Graham di Claverhouse. Corse la voce che questi uomini
    malvagi erano soliti, ne' loro baccani, giuocare ai tormenti dello
    inferno, e chiamarsi vicendevolmente coi nomi de' demoni e delle
    anime dannate(355). Il capo di questo inferno sulla terra, soldato
    insigne per coraggio e perizia nell'arte militare, ma rapace e
    profano, d'indole violenta e di cuor duro, ha lasciato un nome, che,
    in qualunque luogo del globo stanzi la razza scozzese, è ricordato
    con odio peculiare e fortissimo. Riepilogare in brevi pagine tutti i
    delitti con che costui e i suoi pari spinsero alla frenesia il
    contadiname delle pianure occidentali, sarebbe opera interminabile.
    Servano pochi esempi, che trarrò tutti dalla storia di soli quindici
    giorni; quegli stessi quindici giorni in cui il Parlamento Scozzese,
    alle premurose richieste di Giacomo, fece una nuova legge di non mai
    udita severità contro i Dissenzienti.
    
    Giovanni Brown, povero vetturino della Contea di Lanark, era, a
    cagione della sua esimia pietà, comunemente chiamato il vetturino
    cristiano. Molti anni dopo, allorchè la Scozia giunse a godere pace,
    prosperità e libertà religiosa, i vecchi che serbavano ricordo de'
    giorni della sciagura, lo descrivevano come uomo versato nelle cose
    divine, di vita intemerata, e d'indole così pacifica, che i tiranni
    non poterono trovare in lui altra colpa, che d'essersi allontanato
    dal culto pubblico degli Episcopali. Il dì primo di maggio, egli
    stava a segar fratte, allorchè fu preso dai dragoni di Claverhouse,
    esaminato all'infretta, convinto di non-conformismo, e dannato a
    morire. Dicesi che anche fra i soldati non trovossi chi volesse fare
    da carnefice; imperocchè la moglie del povero uomo era lì presente,
    aveva per mano un fanciulletto, ed era agevole accorgersi che tra
    breve avrebbe dato nascimento ad un'altra creatura; ed anche quegli
    uomini di cuore duro e feroce, che si soprannominavano Belzebù ed
    Apollione, sentivano raccapriccio della scelleratezza di ucciderle
    in faccia il marito. Questi, infrattanto, levando alto lo spirito
    per la prossima sua partita verso l'eternità, mandava alte e fervide
    preci come uomo ispirato, allorchè Claverhouse invaso di furore lo
    stese a terra morto con un'archibugiata. Fu riferito da testimoni
    degni di fede, che la vedova nella sua dolorosa disperazione
    gridasse: "Ebbene, o signore, ebbene! verrà il giorno da renderne
    conto;" e che lo assassino rispondesse: "Agli uomini posso
    rispondere di ciò che ho fatto; in quanto a Dio, so io il modo di
    farlo star cheto." Nonostante, corse voce che anche sull'arida
    coscienza e sull'adamantino cuore di lui, i detti della morente
    vittima facessero tale un'impressione, che non fu mai
    cancellata(356).
    
    Il dì quinto di maggio, due artigiani, detti Pietro Gillies e
    Giovanni(357) Bryce, furono processati nella Contea di Ayr da un
    tribunale militare, composto di quindici soldati. Esiste tuttora
    l'Atto d'Accusa. I prigioni erano incolpati, non di alcun fatto di
    ribellione, ma di tenere le medesime perniciose dottrine che avevano
    spinto altrui a ribellare, e di non avere agito giusta quelle
    dottrine solo perchè era mancata loro l'occasione. Il processo fu
    brevissimo: in poche ore i due colpevoli furono convinti, impiccati
    e gettati in un fosso sotto le forche(358).
    
    Il giorno undecimo di maggio fu segnalato da più d'un grande
    delitto. Taluni rigorosi calvinisti, dalla dottrina della
    riprovazione avevano dedotta la conseguenza, che pregare per chi
    fosse predestinato(359) a dannarsi, era atto di ribellione agli
    eterni decreti dell'Ente Supremo. Tre poveri lavoranti,
    profondamente imbevuti di cotali principii, furono presi da un
    ufficiale nelle vicinanze di Glasgow. Fu loro chiesto se volessero
    pregare pel Re Giacomo VII. Assentirono di farlo, a condizione
    ch'egli fosse uno degli eletti. Una fila di moschettieri fu fatta
    schierare. I due prigioni inginocchiaronsi; vennero loro bendati gli
    occhi; e un'ora dopo d'essere stati presi, il sangue loro era
    leccato dai cani(360).
    
    Mentre tali cose seguivano in Clydesdale, un atto non meno orribile
    commettevasi in Eskdale. Uno de' Convenzionisti proscritti, vinto
    dalla infermità, aveva trovato ricovero nella casa d'una vedova
    rispettabile, e quivi era morto. Il cadavere fu scoperto dal signore
    di Westerhall, tirannello, che al tempo della Convenzione aveva
    mostrato stemperatissimo zelo a pro della Chiesa presbiteriana, e
    dopo la Restaurazione comprato con l'apostasia il favore del
    Governo, e sentiva pel partito da lui abbandonato l'odio implacabile
    d'un apostata. Costui atterrò la casa della povera donna, se ne
    prese la roba, e lasciando lei coi figlioletti ad errare su per la
    campagna, trascinò il suo figlio Andrea, ancora fanciullo, dinanzi a
    Claverhouse, il quale a caso passava per quelle contrade.
    Claverhouse era a quei tempi stranamente mite. Alcuni credevano
    ch'egli, dopo la morte del vetturino cristiano successa dieci giorni
    prima, non fosse affatto in sè. Ma Westerhall, volendo porgere
    argomento della propria lealtà, giunse ad estorcere da lui la
    licenza. Caricati gli archibusi, al giovanetto fu ingiunto di
    tirarsi il berretto in su gli occhi. Ei rifiutò e stette
    imperterrito, tenendo in mano la Bibbia in faccia agli assassini.
    "Vi posso guardare in viso," disse egli, "io non ho fatto nulla di
    cui debba arrossire. Ma in che modo guarderete voi in quel giorno
    nel quale sarete giudicati secondo ciò che è scritto in questo
    libro?" Cadde morto, e fu sotterrato nel pantano(361).
    
    Nel dì medesimo, due donne, di nome Margherita Maclachlan e
    Margherita Wilson, vedova d'età matura l'una, giovinetta di anni
    diciotto l'altra, morirono per la loro religione nella Contea di
    Wigton. Fu loro offerta la vita a patto che consentissero ad
    abiurare la dottrina dei ribelli Convenzionisti, e d'assistere al
    culto episcopale. E ricusando, furono condannate ad essere annegate.
    Vennero condotte ad un luogo che il Solway inonda due volte al
    giorno, e legate a due pali fitti nella sabbia tra il segno più
    basso e il più alto del flusso e riflusso dell'acque. La vedova fu
    posta più davvicino alle onde che s'avanzavano, con la speranza che
    la sua suprema agonia atterrendo la giovine, l'avrebbe indotta a
    cedere. Lo spettacolo fu spaventevole. Ma il coraggio della
    sopravvivente fu sostenuto da un entusiasmo grandissimo, al pari di
    qualunque altro di cui faccia ricordo il martirologio. Vedeva il
    mare farsi sempre più da presso, ma non dette segno di paura. Pregò,
    e cantò versetti di salmi, finchè la sua voce si estinse nelle
    acque. Dopo che ebbe sentita l'amarezza della morte, con crudele
    misericordia, fu slegata e resa alla vita. Risensata, gli amici e i
    vicini impietositi la supplicavano a cedere. "Cara Margherita, di'
    solamente: Dio salvi il Re!" La povera fanciulla, ognor ferma nella
    sua severa credenza, con voce affannosa mormorò: "Dio lo salvi, se
    tale è la sua volontà!" I suoi amici affollaronsi dattorno
    all'impazientito ufficiale: "Ella l'ha detto; davvero, signore, ella
    lo ha detto." - "Farà ella l'abiura?" chiese l'ufficiale. "Giammai,"
    ella esclamò. "Io sono di Cristo, lasciatemi morire." E le acque per
    l'ultima volta le si chiusero sopra(362).
    
    In tal guisa la Scozia era governata da quel principe che
    gl'ignoranti hanno rappresentato come amico alla libertà religiosa,
    che ebbe la sventura d'essere troppo savio e buono per il tempo in
    cui gli toccò di vivere. Che anzi, ei pensava che quelle stesse
    leggi le quali gli concedevano di governare a quel modo, fossero
    assai miti. Mentre i suoi ufficiali commettevano i raccontati
    assassinii, egli istigava il Parlamento scozzese a fare una nuova
    legge, in paragone della quale tutte le precedenti potrebbero
    chiamarsi temperatissime.
    
    In Inghilterra l'autorità di lui, benchè grande, era infrenata da
    antiche e venerande leggi, che nè anche i Tory avrebbero con
    pazienza veduto rompere. Quivi ei non poteva tradurre i Dissenzienti
    dinanzi ai tribunali militari, o gioire in Consiglio della voluttà
    di vederli svenire sotto la tortura dello stivaletto. Quivi non
    poteva annegare le fanciulle ricusanti di fare l'abiura, o fucilare
    i poveri campagnuoli che avessero dubitato lui essere uno degli
    eletti. Eppure, anco in Inghilterra, continuò a perseguitare, per
    quanto il suo potere si estendeva, i Puritani; finchè gli eventi che
    verranno da noi raccontati, lo indussero a concepire la idea di
    unire i Puritani e i Papisti in colleganza, onde umiliare e
    spogliare la Chiesa Anglicana.
    
    XXV. Anche in que' primi anni del suo regno, ei portava singolare
    affetto ad una setta di protestanti Dissenzienti, chiamata la
    Società degli Amici. La sua parzialità per questa singolare
    confraternita non può attribuirsi a sentimento religioso, perocchè
    fra i credenti nella divina missione di Cristo, i Cattolici Romani e
    i Quacqueri sono quelli fra' quali è maggiore distanza. Parrebbe un
    paradosso affermare che questa medesima discrepanza costituisse un
    vincolo tra gli uni e gli altri: eppure tale era il caso.
    Imperciocchè essi deviavano in direzione cotanto opposta da ciò che
    dalla maggior parte della nazione era reputato vero, che perfino gli
    spiriti più liberi li consideravano entrambi come egualmente
    discosti dai confini della più larga tolleranza. Così le due sètte
    estreme, appunto perchè erano tali, avevano un interesse comune,
    diverso da quello delle sètte intermedie. I Quacqueri erano anche
    innocenti d'ogni offesa contro Giacomo e la sua casa. Non erano
    esistiti in forma di comunità, se non quando la guerra tra il padre
    di lui e il Lungo Parlamento era presso a finire. Erano stati
    crudelmente perseguitati da alcuni de' governi rivoluzionarii. Dopo
    la Restaurazione, malgrado molte vessazioni, eransi mansuetamente
    sottomessi alla autorità regia; come quelli che, quantunque
    ragionando sopra premesse che i teologi anglicani consideravano
    eterodosse, s'erano ridotti al pari di essi alla conclusione, che
    nessuno eccesso di tirannia dalla parte del principe può
    giustificare la resistenza dalla parte del suddito. Nessun libello
    contro il Governo era stato mai attribuito ad un Quacquero(363).
    Niuno di loro era stato implicato mai in qualche congiura contro il
    Governo. La loro società non aveva fatto eco ai clamori per la Legge
    d'Esclusione, ed aveva solennemente riprovata la Congiura di Rye
    House come disegno infernale e opera del demonio(364). E veramente,
    gli Amici allora presero poca parte nelle civili contese; perciocchè
    non trovavansi, come adesso, congregati nelle grandi città, ma
    generalmente erano addetti all'agricoltura; occupazione, dalla quale
    a poco a poco sono stati distolti per le vessazioni derivate loro
    dallo strano scrupolo di pagare la decima. Vivevano, quindi, molto
    lontani dalla lotta politica. Evitavano parimente, per principio,
    anco nel domestico ritiro, ogni discorso politico; avvegnachè il
    ragionare di siffatte cose, secondo l'opinione loro, non fosse
    favorevole alla spiritualità della mente, e tendesse a disturbare
    l'austera compostezza del loro contegno. Nelle annuali ragunanze di
    quei tempi, i confratelli venivano ripetutamente ammoniti a non
    discorrere intorno a faccende di Stato(365). Persone che oggi sono
    in vita, rammentano come que' vecchi venerandi che serbavano i
    costumi dell'antecedente generazione, riprovassero per sistema tali
    discorsi mondani(366). Era, dunque, naturale che Giacomo facesse
    gran distinzione tra questa gente innocua, e quelle fiere e
    irrequiete sètte che consideravano qual dovere di Cristiano il
    resistere alla tirannide; che in Germania, in Francia e in Olanda
    avevano mossa guerra ai principi legittimi, e che pel corso di
    quattro generazioni avevano nutrita singolare nimistà contro la Casa
    degli Stuardi.
    
    Accadde, inoltre, di potere grandemente alleggiare i Cattolici
    Romani e i Quacqueri, senza mitigare le sciagure dei Puritani. Una
    legge, allora in vigore, puniva severamente chiunque ricusasse di
    prestare il giuramento di supremazia quante volte venisse richiesto.
    Questa legge non toccava i Presbiteriani, gl'Indipendenti o i
    Battisti, imperocchè tutti erano pronti a chiamare Dio in testimonio
    onde provare com'essi avessero rinunziato ad ogni relazione
    spirituale coi prelati e co' potentati forestieri. Ma il Cattolico
    Romano non voleva giurare che il Papa non avesse giurisdizione in
    Inghilterra, nè il Quacquero prestare giuramento di nessuna specie.
    Dall'altra parte, nè l'uno nè l'altro era colpito dal così detto
    Five Mile Act; legge che tra tutte quelle le quali contenevansi nel
    Libro degli Statuti, era forse la più molesta ai Puritani
    Non-Conformisti(367).
    
    XXVI. I Quacqueri avevano in Corte uno zelante e potente avvocato.
    Benchè, come classe, poco s'immischiassero nelle cose del mondo, e
    schivassero le politiche, quale occupazione nociva ai loro interessi
    spirituali; uno di loro, molto dagli altri predistinto per grado ed
    opulenza, viveva fra le alte classi, ed aveva sempre aperta la via
    all'orecchio del Re. Costui era il celebre Guglielmo Penn. Il padre
    suo aveva avuto alto comando nella flotta, era stato commissario
    dell'ammiragliato, aveva seduto nel Parlamento, era stato fatto
    cavaliere, e gli era stata data la speranza d'una paría. Il figlio
    era stato educato liberalmente, e destinato alla professione delle
    armi: se non che, mentre era ancora giovane, aveva danneggiato il
    proprio avvenire e disgustati gli amici, collegandosi a quella che a
    que' tempi comunemente consideravasi come masnada di stolti eretici.
    Era stato talvolta chiuso nella prigione della Torre, tal'altra a
    Newgate. Era stato processato in Old Bailey, per avere predicato in
    onta alla legge. Nondimeno, dopo qualche tempo erasi riconciliato
    con la propria famiglia, e gli era riuscito ottenere protezione così
    potente, che mentre tutte le carceri dell'Inghilterra erano ripiene
    de' suoi confratelli, a lui fu per molti anni permesso di professare
    senza molestia la propria credenza. Verso la fine del regno di
    Carlo, per saldo di un vecchio debito che aveva con lui la Corona,
    ottenne la concessione nell'America Settentrionale, d'un'immensa
    contrada allora popolata soltanto di cacciatori Indiani, e invitò i
    suoi amici perseguitati a stabilirvisi. Allorchè Giacomo salì sul
    trono, la colonia di Penn era tuttavia nella infanzia.
    
    Tra Giacomo e Penn da lungo tempo era stata dimestichezza. Il
    Quacquero, quindi, divenne cortigiano, e quasi prediletto. Ciascun
    giorno dalla galleria era chiamato alle segrete stanze del principe,
    e talvolta aveva lunghe udienze, intanto che i Pari del Regno
    stavano ad aspettare nelle anticamere. Corse voce ch'egli avesse più
    potenza effettiva di giovare e di nuocere, di quanta ne avessero
    molti nobili che occupavano alti uffici. Tosto fu circuito da
    adulatori e da supplicanti. La sua casa in Kensington talvolta,
    verso l'ora in cui si levava da letto, era affollata da più di
    dugento chiedenti. Nondimeno, caro gli costava tale apparenza di
    prosperità. Anche gli uomini della sua setta lo trattavano con
    freddezza, e lo ricompensavano de' servigi loro resi, parlandone
    male. Lo accusavano altamente d'essere papista, anzi gesuita. Taluni
    affermavano ch'egli fosse stato educato in Saint-Omer, ed altri che
    avesse ricevuti gli ordini sacri in Roma. Tali calunnie, a dir vero,
    potevano trovare credenza solo nella insensata moltitudine; ma a
    queste calunnie mescolavansi accuse assai meglio fondate(368).
    
    Il dire intera la verità intorno a Penn, è impresa che richiede
    qualche coraggio; perocchè egli è più presto un personaggio mistico
    che storico. Nazioni rivali e sètte avverse fra loro, sono state
    concordi a canonizzarlo. La Inghilterra va orgogliosa del nome di
    lui. Una grande Repubblica oltre l'Atlantico, gli porta una
    riverenza simile a quella che gli Ateniesi sentivano per Teseo e i
    Romani per Quirino. La spettabile società di cui egli era membro,
    l'onora come un apostolo. Gli uomini pii d'altre credenze,
    generalmente, lo considerano come splendido esempio di virtù
    cristiana. Frattanto, ammiratori di differentissima specie ne hanno
    celebrate le lodi. I filosofi francesi del secolo decimottavo gli
    perdonavano quelle ch'essi chiamavano superstiziose fantasticherie,
    in grazia dello spregio in cui teneva i preti, e della benevolenza
    cosmopolita, che egli imparzialmente mostrava agli uomini di tutte
    le razze e di tutte le religioni. In tal modo il nome di lui, per
    tutto il mondo incivilito, è divenuto sinonimo di probità e di
    filantropia.
    
    Nè egli è al tutto immeritevole di questa grande riputazione. Fuori
    d'ogni dubbio, era uomo d'insigni virtù. Aveva un forte sentimento
    de' doveri religiosi, ed un fervido desiderio di promuovere la
    felicità del genere umano. In uno o due punti d'alta importanza,
    egli aveva idee più esatte di quelle che erano, nel suo tempo,
    comuni anche fra gli uomini di mente elevata; e come signore e
    legislatore d'una provincia, la quale, essendo quasi priva
    d'abitatori allorquando egli ne ebbe il possesso, gli apriva un
    campo vergine da farvi morali esperimenti, ebbe la rara e buona
    ventura di potere porre in pratica le proprie teorie senza patti di
    nessuna sorta, e nondimeno senza scossa per le istituzioni
    esistenti. E' sarà sempre onorevolmente ricordato come fondatore
    d'una colonia, la quale nelle sue relazioni con genti selvagge non
    abusò della forza che nasce dallo incivilimento, e come legislatore
    il quale, in un tempo di persecuzione, fece della libertà religiosa
    la pietra angolare della politica. Ma la vita e gli scritti suoi
    porgono abbondevoli prove che testificano come egli non fosse uomo
    di vigoroso giudicio. Non aveva l'arte di leggere addentro
    nell'indole altrui. La fiducia ch'ei poneva in genti meno di lui
    virtuose, lo trasse in gravi errori ed infortunii. Lo entusiasmo per
    un gran principio, sovente lo spingeva a violarne altri ch'egli
    avrebbe dovuto tener sacri. Nè la sua rettitudine stette salda alle
    tentazioni alle quali ei rimaneva esposto in quella società
    splendida e culta, ma profondamente corrotta, con cui alla Corte di
    Re Giacomo egli usava. Tutta la Corte era in perpetuo fermento
    d'intrighi di galanteria e d'intrighi d'ambizione. Continuo era il
    traffico degli onori, degli uffici e delle grazie. Era perciò
    naturale che un uomo il quale ogni giorno vedevasi in palazzo, e,
    siccome era a tutti noto, aveva libero accesso alla regia maestà,
    venisse frequentemente importunato ad usare la propria influenza per
    fini che una rigorosa morale debbe condannare. La integrità di Penn
    era rimasta incrollabile contro gli assalti della maldicenza e della
    persecuzione. Ma poscia, aggredito dai sorrisi del Re, dalle
    blandizie delle donne, dalla insinuante eloquenza e dalle delicate
    lusinghe de' vecchi diplomatici e cortigiani, la sua fermezza
    cominciò a cedere. Titoli e frasi, già da lui spesso riprovati, gli
    uscivano, secondo le occasioni, dalle labbra e dalla penna. Non
    sarebbe nessun male ove egli non fosse stato reo di altro che
    d'essersi lasciato andare ai complimenti mondani. Sventuratamente,
    non può nascondersi come egli fosse parte precipua in certi fatti,
    condannati non solo dal rigido codice della Società cui egli
    apparteneva, ma dal senso universale di tutti gli uomini onesti.
    Protestò, poi, solennemente che le sue mani erano pure d'ogni
    illecito guadagno, e che non aveva ricevuta gratificazione nessuna
    da coloro i quali erano stati da lui giovati, quantunque gli sarebbe
    stato facile, mentre aveva influenza in Corte, mettere insieme
    centoventimila lire sterline(369). Tale asserzione è degna di piena
    fede. Ma la mancia si può offrire alla vanità come si offre alla
    cupidigia; ed è impossibile negare che Penn, blandito, si lasciò
    condurre a fatti ingiustificabili, de' quali altri raccolse gli
    utili.
    
    XXVII. L'uso ch'ei primamente fece del proprio credito, fu altamente
    commendevole. Espose con vigorosa eloquenza i patimenti dei
    Quacqueri al nuovo Re, il quale con gioia vide come fosse possibile
    concedere il perdono a cotesti tranquilli settarii e ai Cattolici
    Romani, senza mostrare simile favore alle altre sètte parimente
    perseguitate. Fu fatta una lista de' prigioni che erano sotto
    processo come rei di non avere voluto prestare giuramento, o andare
    alla chiesa, e il certificato della cui lealtà era stato presentato
    al Governo. Costoro furono assoluti, ordinandosi ad un tempo di non
    intentare simiglianti processi, finchè non fosse resa manifesta la
    volontà del Re. In tal guisa circa millecinquecento Quacqueri, ed
    anche un maggior numero di Cattolici Romani riebbero la libertà
    loro(370).
    
    Era già arrivato il tempo in cui doveva adunarsi il Parlamento
    inglese. I membri della nuova Camera de' Comuni giunti alla
    metropoli, erano così numerosi, da dubitarsi molto se la sala loro,
    così come era, li potesse contener tutti. Spesero i giorni che
    immediatamente precessero l'apertura della sessione, a ragionare tra
    loro e con gli agenti del Governo intorno alle pubbliche faccende.
    Una gran ragunanza del partito realista fu tenuta a Fountain Tavern
    nello Strand; e Ruggiero Lestrange, che di recente dal Re era stato
    fatto cavaliere ed eletto al Parlamento dalla città di Winchester,
    fu parte principale nelle loro consulte(371).
    
    Conobbesi tosto, che molti della Camera dei Comuni avevano idee che
    non concordavano interamente con quelle della Corte. I Tory
    gentiluomini di provincia, senza escluderne quasi nessuno, volevano
    mantenere l'Atto di Prova e l'Habeas Corpus; e taluni di loro
    parlavano di votare la rendita solo per un certo numero d'anni. Ma
    erano prontissimi a far leggi severe contro i Whig, e avrebbero
    volentieri veduto tutti i propugnatori della Legge d'Esclusione
    dichiarati incapaci d'occupare gli uffici. Il Re, dall'altro canto,
    desiderava ottenere dal Parlamento una rendita a vita, l'ammissione
    dei Cattolici Romani agl'impieghi, e la revoca dell'Habeas Corpus.
    Queste tre cose gli stavano a cuore; e non era per nulla disposto ad
    accettare come compenso una legge penale contro gli Esclusionisti.
    Tale, legge, invece gli sarebbe stata assai sgradevole; imperciocchè
    una classe di Esclusionisti godeva i suoi favori; quella classe, io
    dico, di cui Sunderland era rappresentante, che erasi collegata coi
    Whig nei dì della congiura, solo perchè i Whig predominavano, e che
    aveva mutata faccia al cangiare della fortuna. Giacomo giustamente
    considerava cotesti rinnegati come i più utili strumenti di cui
    potesse giovarsi. Dai Cavalieri, uomini di fervido cuore, che gli
    erano stati fidi nell'avversità, non avrebbe potuto aspettarsi nella
    prosperità una cieca obbedienza. Coloro i quali spinti, non dallo
    zelo per la libertà e la religione, ma solamente da egoistica
    cupidigia e paura, avevano cooperato ad opprimerlo quando trovavasi
    debole, erano pur troppo gli uomini che, spinti da simile paura e
    cupidigia, lo avrebbero aiutato, adesso ch'era forte, ad opprimere
    il suo popolo(372). Quantunque ei fosse vendicativo, non lo era
    senza ragione. Non può ricordarsi un solo esempio in cui egli
    mostrasse generosa commiserazione a coloro che lo avevano avversato
    onestamente e per il bene pubblico. Ma di frequente risparmiava e
    promoveva coloro che per qualche vile motivo s'erano indotti ad
    offenderlo: imperocchè quella abiettezza che li manifestava come
    opportuni strumenti di tirannide, era agli occhi suoi cosa di tanto
    pregio, che la perdonava anche quando veniva adoperata a suo danno.
    
    I desiderii del Re furono manifestati per diverse vie ai membri Tory
    della Camera Bassa. Fu agevole persuadere la maggior parte di loro a
    deporre ogni pensiero di una legge penale contro gli Esclusionisti,
    ed a consentire di concedere alla Maestà Sua la rendita a vita. Ma
    rispetto all'Atto di Prova e all'Habeas Corpus, gli emissarii del
    Governo non poterono ottenere assicurazioni soddisfacenti(373).
    
    XXVIII. Il dì diciannovesimo di Maggio fu aperta la sessione. I
    seggi della Camera de' Comuni presentavano un singolare spettacolo.
    Il grande partito che negli ultimi tre Parlamenti aveva predominato,
    era adesso diventato una misera minoranza, essendo poco più della
    quindicesima parte di tutti i rappresentanti. Dei cinquecento
    tredici Cavalieri e borghesi, solo cento trenta cinque nei
    precedenti tempi avevano seduto in quel luogo. È cosa evidente che
    una congrega d'uomini nuovi ed inesperti, doveva essere, in alcuni
    importantissimi requisiti, al disotto di quel che generalmente sono
    le nostre assemblee legislative(374).
    
    L'ufficio di dirigere la Camera fu affidato da Giacomo a due Pari
    del Regno di Scozia. Uno di essi, Carlo Middleton, conte di
    Middleton, dopo d'avere occupato in Edimburgo uffici cospicui, era
    stato ammesso, poco avanti la morte di Carlo, al Consiglio Privato,
    e nominato uno de' Segretarii di Stato. A lui fu aggiunto Riccardo
    Graham, visconte Preston, che per lungo tempo aveva tenuto il posto
    d'inviato a Versailles.
    
    La prima faccenda di cui si occupassero i Comuni, fu quella
    d'eleggere un Presidente. Era stato lungamente discusso nel
    Gabinetto chi dovesse essere l'uomo da scegliersi. Guildford aveva
    raccomandato Sir Tommaso Meres, il quale, come lui, apparteneva alla
    classe de' Barcamenanti. Jeffreys, che non lasciava fuggire
    occasione alcuna per molestare il Lord Cancelliere, sosteneva la
    candidatura di Sir Giovanni Trevor. Costui, che era cresciuto
    facendo mezzo il beccaliti e mezzo il giocatore, aveva portato nella
    vita politica sentimenti e principii degni d'ambedue i suoi
    mestieri; era divenuto parassito del Capo Giudice, e in ogni caso
    avrebbe potuto imitare, non senza riuscita, lo stile vituperevole
    del suo protettore. Il prediletto di Jeffreys, come era da
    aspettarsi, venne preferito da Giacomo; e proposto da Middleton, fu
    eletto senza opposizione(375).
    
    XXIX. Fin qui le cose procedettero senza intoppo. Ma un avversario
    di non comune prodezza, vigilava aspettando l'ora di mostrarsi. Era
    questi Eduardo Seymour, del Castello di Berry Pomeroy,
    rappresentante della città d'Exeter. La sua nascita lo agguagliava
    ai più nobili sudditi d'Europa. Egli era il legittimo discendente
    maschio di quel Duca di Somerset, che era stato cognato ad Enrico
    VIII, e Protettore del Regno d'Inghilterra. Secondo l'antico diploma
    di creazione del ducato di Somerset, il figlio maggiore del
    Protettore era stato posposto al più giovane, dal quale discendevano
    i Duchi di Somerset. Dal primogenito discendeva la famiglia
    stabilita a Berry Pomeroy. Le ricchezze di Seymour erano grandi, e
    vasta la sua influenza nelle contrade occidentali dell'Inghilterra.
    Nè la sua sola importanza era quella che gli derivava dal sangue e
    dall'opulenza. Era uno de' più destri favellatori e degli uomini di
    affari nel Regno: aveva per molti anni seduto nella Camera de'
    Comuni, ne aveva studiato le regole e gli usi, e ne intendeva
    perfettamente l'indole. Nel regno decorso era stato eletto
    Presidente, con circostanze che resero peculiarmente onorevole
    quell'ufficio. Pel corso di molte generazioni, nessuno che non fosse
    giureconsulto era stato chiamato al seggio presidenziale; ed egli fu
    il primo gentiluomo di provincia, il quale, in grazia dell'abilità e
    doti sue, ruppe quella antica costumanza. Aveva poscia occupati alti
    uffici politici, ed era stato membro del Gabinetto. Ma il suo altero
    e non pieghevole carattere spiacque tanto, che gli fu forza
    ritrarsi. Era Tory e partigiano della Chiesa Anglicana; aveva
    intrepidamente avversata la Legge d'Esclusione; era stato perseguito
    dai Whig mentre le sorti loro volgevano prospere: poteva quindi con
    sicurtà rischiarsi a favellare con tale un linguaggio, che qualunque
    altro uomo sospettato di sentimenti repubblicani, usandolo, sarebbe
    stato gettato dentro la Torre. Era stato lungo tempo capo di una
    forte colleganza parlamentare, che chiamavasi l'Alleanza
    Occidentale, e comprendeva molti gentiluomini delle Contee di Devon,
    Somerset e Cornwall(376).
    
    In tutte le Camere de' Comuni, un membro che abbia eloquenza, sapere
    e pratica degli affari, e insieme ricchezze ed illustre nascimento,
    è d'uopo che venga altamente predistinto. Ma in una Camera dalla
    quale erano esclusi molti degli oratori e de' periti eminenti del
    secolo, e che era popolata di genti che non avevano mai udita una
    discussione, la influenza d'un tanto uomo era singolarmente
    formidabile. Veramente, a Seymour mancava il peso del carattere
    morale, come colui che era licenzioso, profano, corrotto, e così
    superbo da sdegnare ogni cortesia, e tuttavia non tanto da aborrire
    dagli illeciti guadagni. Ma era uno alleato così utile, e un nemico
    così malefico, che spesso veniva corteggiato anco da coloro che
    maggiormente lo detestavano(377).
    
    Adesso ei trovavasi di cattivo umore contro il Governo. Il
    riordinamento de' borghi occidentali aveva indebolita la influenza
    di lui in vari luoghi. Il suo orgoglio aveva sofferto
    all'esaltamento di Trevor al seggio presidenziale; e ben tosto ei
    colse il destro di vendicarsene.
    
    XXX. Il dì ventesimosecondo di maggio, fu ordinato ai Comuni di
    recarsi alla barra de' Lordi, dove il Re dal trono profferì un
    discorso innanzi ambedue le Camere. Dichiarò d'essere fermo a
    mantenere il governo stabilito nella Chiesa e nello Stato. Ma scemò
    lo effetto di questa dichiarazione con istrani ammonimenti ai
    Comuni. Disse di temere che essi fossero per avventura disposti a
    concedergli danari alla spicciolata di quando in quando, con la
    speranza di così forzarlo a convocarli spesso. Ma gli avvertiva che
    egli non era uomo da essere raggirato, e che ove essi desiderassero
    ragunarsi di frequente, dovevano con lui condursi bene. Ed essendo
    manifestissima cosa che il governo non poteva tirare avanti senza
    pecunia, sotto coteste espressioni chiaramente sottintendevasi, che
    qualora essi non avessero voluto dargliene quanta ei ne desiderava,
    se la sarebbe presa da sè. Strano a dirsi! una simigliante
    allocuzione fu accolta con fragorosi applausi dai gentiluomini Tory
    che stavano alla barra. Cotali acclamazioni erano allora d'uso.
    Adesso, da molti anni in qua, i Parlamenti hanno adottato il grave e
    decoroso costume d'ascoltare con rispettoso silenzio tutte
    l'espressioni, accettabili o non accettabili, che vengono profferite
    dal trono(378).
    
    Era allora usanza che, dopo avere il Re con brevi parole significato
    le ragioni di convocare il Parlamento, il Ministro che teneva il
    Gran Sigillo, spiegasse con più larghezza alle Camere la condizione
    delle pubbliche cose. Guildford, ad imitazione de' suoi predecessori
    Clarendon, Bridgeman, Shaftesbury e Nottingham, aveva apparecchiato
    una elaborata orazione; ma, con suo grave dolore, trovò non esservi
    mestieri de' suoi servigi(379).
    
    XXXI. Appena i Comuni furono ritornati nella propria sala, venne
    proposto che si formassero in comitato a fine di stabilire la
    rendita da darsi al Re.
    
    Allora alzossi Seymour. Qual fosse l'attitudine di lui, che era capo
    di gentiluomini dissoluti e di spiriti alteri, con la testa coperta
    di ricci artificiali che gli cadevano profusamente giù attorno alle
    spalle, e con una espressione mista di voluttà o di sdegno negli
    occhi e sulle labbra, possiamo argomentarlo dal suo ritratto, che
    conservasi ancora. Lo altero Cavaliere disse: non desiderare che il
    Parlamento negasse alla Corona i mezzi di condurre il governo. Ma
    era quello un vero Parlamento? Non si vedevano forse sui banchi
    molti, i quali, siccome era noto a tutti, non avevano diritto di
    sedervi, molti la cui elezione era macchiata di corruzione, molti
    che erano stati imposti con modi minacciosi agli elettori
    ripugnanti, e molti eletti da corpi municipali che non avevano
    esistenza legale? Non erano stati i collegi elettorali riordinati in
    onta a statuti regi e d'immemorabile prescrizione? Gli ufficiali che
    avevano raccolto il risultamento della votazione, non erano stati in
    ogni dove ciechi agenti della Corte? Vedendo che il principio
    supremo della rappresentanza era stato così sistematicamente
    violato, non sapeva con qual nome chiamare una caterva di
    gentiluomini ch'egli si vedeva dintorno con l'onorando nome di
    Camera de' Comuni. Eppure, non v'era mai stato momento in cui tanto
    importasse al bene pubblico che il carattere del Parlamento fosse
    irreprensibile. Grandi pericoli pendevano sopra la costituzione
    ecclesiastica e civile del Regno. Era cosa notissima a tutti, e
    quindi non bisognevole d'esser provata, che l'Atto di Prova, difesa
    della religione, e l'Habeas Corpus, difesa della libertà, erano
    fatti segno alla distruzione. "Innanzi di procedere a fare l'ufficio
    di legislatori sopra questioni di sì grave momento, sinceriamoci
    almeno se siamo veramente un corpo legislativo. Il primo degli atti
    nostri sia quello d'inquisire intorno al modo onde sono state
    condotte le elezioni, e di porre ogni studio che la inchiesta
    proceda imparzialmente. Imperocchè, ove la nazione trovasse non
    potersi ottenere riparo con mezzi pacifici, potremmo forse tra breve
    tempo subire la giustizia che ricusiamo di rendere." Concluse
    proponendo che, innanzi di concedere alcuna somma di denaro alla
    Corona, la Camera esaminasse le petizioni contro le elezioni, e che
    a nessuno de' membri non aventi diritto a sedere in quel luogo, si
    concedesse di votare.
    
    Non fu udito un solo applauso. Nessun membro osò secondare la
    proposta. E davvero Seymour aveva dette cose che niuno altro avrebbe
    impunemente potuto dire. La proposta fu messa da parte, e nè anche
    registrata ne' processi verbali; ma aveva prodotto potentissimo
    effetto. Barillon scrisse al proprio signore, che molti i quali non
    avevano osato applaudire quell'insigne discorso, lo avevano in cuor
    loro approvato; che se ne parlava per tutte le conversazioni di
    Londra; e che la impressione da esso fatta nel pubblico, sembrava
    dover essere durevole(380).
    
    XXXII. I Comuni, senza indugio formatisi in comitato, votarono
    concedendo al Re la intera rendita della quale aveva fruito il suo
    fratello(381).
    
    XXXIII. E' pare che gli zelanti amici della Chiesa, i quali
    formavano la maggioranza della Camera, pensassero che la prontezza
    onde avevano obbedito alle voglie del Re nella quistione della
    rendita, desse loro ragione a sperare, da parte di lui, qualche
    concessione. Dicevano che, avendo essi fatto molto a beneficio di
    lui, era ormai tempo ch'egli facesse qualche cosa a beneficio della
    nazione. La Camera, dunque, si formò in comitato di religione, onde
    esaminare i mezzi migliori a provvedere alla sicurtà della Chiesa
    stabilita. In quel comitato due deliberazioni furono unanimemente
    adottate. La prima esprimeva fervido affetto per la Chiesa
    Anglicana. La seconda supplicava il Re perchè mandasse ad esecuzione
    le leggi penali contro coloro che non aderivano a quella
    Chiesa(382).
    
    I Whig avrebbero, senza dubbio, voluto vedere che ai protestanti
    dissenzienti fosse(383) conceduta tolleranza, e solo i cattolici
    romani fossero perseguitati. Ma erano pochi e scuorati. Tenevansi,
    quindi, per quanto potevano, fuori di vista; evitavano il nome del
    proprio partito; astenevansi di significare ad un ostile uditorio le
    loro opinioni particolari, e fermamente sostenevano ogni proposta
    tendente a turbare la concordia che fino allora esisteva tra il
    Parlamento e la Corte.
    
    Appena i procedimenti del Comitato di Religione furono conosciuti in
    Whitehall, il Re andò in gran furore. Nè possiamo giustamente
    biasimarlo per essersi risentito della condotta de' Tory. Se essi
    erano disposti a volere che il codice penale venisse eseguito con
    rigore, avrebbero apertamente dovuto sostenere la Legge
    d'Esclusione. Dacchè porre un papista sul trono, ed insistere poi
    ch'egli perseguitasse a morte i seguaci di quella fede, nella quale
    soltanto, secondo i suoi principii, poteva trovarsi la eterna
    salute, era assurdo. Mitigando con un reggimento temperato la
    severità delle sanguinose leggi d'Elisabetta, il Re non violava
    nessun principio costituzionale: solo esercitava un potere ch'era
    sempre stato inerente alla Corona. Anzi, solamente faceva ciò che
    poscia fu fatto da parecchi sovrani zelanti delle dottrine della
    Riforma; cioè da Guglielmo, da Anna, e dai principi della Casa di
    Brunswick. Se avesse patito che i preti cattolici romani, ai quali
    poteva senza violazione della legge salvare la vita, fossero
    impiccati, strascinati e squartati, per aver praticato quello ch'ei
    considerava come loro debito precipuo, si sarebbe attirato addosso
    l'odio e lo spregio anche di coloro, ai pregiudizi de' quali egli
    aveva fatta così vergognosa concessione; e se si fosse contentato di
    concedere ai membri della sua propria Chiesa una tolleranza pratica,
    facendo largo uso della sua indubitata prerogativa di far grazia, i
    posteri lo avrebbero unanimemente applaudito.
    
    I Comuni, probabilmente, considerata bene la cosa, conobbero di
    avere operato in modo assurdo. Rimasero anco conturbati sentendo
    come il Re, cui essi tributavano superstiziosa riverenza, fosse
    grandemente sdegnato. Furono quindi solleciti ad espiare l'offesa.
    Nella Camera, con unanime voto, disfecero la deliberazione
    unanimemente fatta in Comitato, e adottarono la proposta di
    rimettersi con intera fiducia alla graziosa promessa che la Maestà
    Sua aveva loro data di proteggere quella religione che loro era cara
    più della stessa vita(384).
    
    XXXIV. Tre giorni dopo, il Re fece sapere alla Camera, avere suo
    fratello lasciati certi debiti, e le provvigioni della flotta e
    dell'artiglieria essere pressochè esauste. Fu subitamente
    determinato d'imporre nuove tasse. La persona a cui venne affidata
    la cura di trovarne le vie e i mezzi, fu Sir Dudley North, fratello
    minore del Lord Cancelliere. Dudley North era uno de' più abili
    uomini del suo tempo. Fino dagli anni suoi primi, era stato mandato
    in Levante, dove erasi lungo tempo occupato di faccende mercantili.
    Molti, in cosiffatta occupazione avrebbero lasciate irrugginire le
    facoltà del proprio intelletto; perocchè in Costantinopoli e Smirne
    v'erano pochi libri e pochi uomini intelligenti. Ma il giovane
    mercante aveva sortita una di quelle vigorose intelligenze che non
    dipendono da esterni sussidii. Nella sua solitudine, meditava
    profondamente sopra la filosofia del traffico, e speculò a poco a
    poco una teoria compiuta ed ammirevole, che in sostanza era quella
    che fu esposta un secolo dopo da Adamo Smith. Dopo molti anni di
    esilio, Dudley North ritornò in Inghilterra signore d'un gran
    patrimonio, e si pose a trafficare nella Città di Londra come
    mercante della Turchia. Il suo nome, per il profondo sapere pratico
    e speculativo nelle cose commerciali, giunse speditamente a notizia
    degli uomini di Stato. Il Governo trovò in lui un savio consigliere,
    e insieme uno schiavo senza scrupoli; come quello che aveva rare
    doti intellettuali, ma principii dissoluti e cuor duro. Mentre
    infuriava la reazione de' Tory, egli aveva consentito ad accettare
    l'ufficio di Sceriffo ad espresso fine di cooperare alle vendette
    della Corte. I suoi giurati non mancavano mai di profferire
    condanne; e in un giorno di giudiciale macello, carri carichi di
    gambe e braccia dei Whig squartati, furono, con grande ribrezzo
    della sua moglie, trascinati avanti la sua bella casa in Bisinghall
    Street(385), perch'egli ordinasse ciò che fosse da farsene. De' suoi
    servigi era stato rimeritato con le insegne di cavaliere, con quelle
    d'aldermanno, e con l'ufficio di Commissario delle Dogane. Era stato
    mandato al Parlamento dagli elettori di Banbury; e comecchè fosse
    uomo nuovo, egli fu colui sopra il quale il Lord Tesoriere riposava
    principalmente per governare le faccende della finanza nella Camera
    Bassa(386).
    
    Ancorchè i Comuni fossero unanimi nel deliberare la concessione
    d'altra pecunia alla Corona, non erano punto concordi intorno al
    donde dovesse cavarsi. Fu tostamente risoluto, che parte della somma
    richiesta si raccogliesse per mezzo d'una imposta addizionale, a
    termine d'anni otto, sopra il vino e l'aceto: ma al Governo ciò non
    bastava. Furono messi in campo vari assurdi disegni. Molti
    gentiluomini provinciali inchinavano a imporre una tassa gravosa
    sopra tutti gli edifici nuovi della metropoli. Speravano che
    simigliante tassa avrebbe impedito lo accrescersi d'una città, per
    la quale da lungo tempo sentiva gelosia ed avversione l'aristocrazia
    rurale. Il progetto di Dudley North era d'imporre, per un termine di
    otto anni, nuovi dazi sullo zucchero e sul tabacco. Ne sorsero
    grandi clamori. I trafficanti di generi coloniali, i droghieri, i
    raffinatori dello zucchero, i tabaccai, fecero petizioni alla
    Camera, ed assediarono gli uffici pubblici. Il popolo di Bristol,
    che aveva grande interesse nel traffico con la Virginia e la
    Giammaica, spedì una deputazione che fu ascoltata alla Camera de'
    Comuni. Rochester tentennò alquanto; ma North, con lo spirito pronto
    e la perfetta conoscenza delle faccende commerciali, prevalse, sì
    nel Tesoro come nel Parlamento, contro ogni opposizione. I vecchi
    membri rimasero attoniti vedendo un uomo che appena da quindici
    giorni sedeva nella Camera, e che aveva passata la più parte della
    vita in paesi stranieri, assumere, con fiducia di sè, ed abilmente
    condurre, tutte le funzioni di Cancelliere dello Scacchiere(387).
    
    La sua proposta fu adottata; e così la Corona venne in possesso
    d'una entrata netta di circa un milione e novecento mila lire
    sterline, cavate dalla sola Inghilterra. Tale somma era più che
    bastevole a mantenere il Governo in tempo di pace(388).
    
    XXXV. I Lordi, infrattanto, avevano discusse varie importanti
    questioni. Fra i Pari, la parte Tory era stata sempre forte.
    Comprendeva l'intero banco de' Vescovi; e negli ultimi quattro anni,
    corsi dopo l'ultimo scioglimento, era stata maggiormente afforzata
    con la creazione di alcuni nuovi Pari. Di costoro i più cospicui
    erano il Lord Tesoriere Rochester, il Lord Cancelliere Guildford, il
    Lord Capo Giudice Jeffreys, Lord Godolphin e Lord Churchill, il
    quale dopo il suo ritorno da Versailles, era stato fatto barone del
    Regno d'Inghilterra.
    
    I Pari tosto si posero ad esaminare il caso di quattro loro
    colleghi, i quali erano stati, sotto il regno di Carlo, posti in
    istato d'accusa; ma non essendosene mai fatto il processo, dopo una
    lunga prigionía, erano stati ammessi dalla Corte del Banco del Re a
    dar cauzione. Tre di cotesti nobili che rimanevano sotto malleveria,
    erano cattolici romani; il quarto era il Conte di Danby, protestante
    di gran conto e influenza. Da che era caduto dal potere, e dai
    Comuni stato accusato di tradimento, quattro Parlamenti erano stati
    disciolti; ma ei non era stato nè assoluto nè condannato. Nel 1679,
    i Lordi, rispetto(389) alla situazione di lui, avevano discussa la
    questione, se un atto d'accusa a cagione d'uno scioglimento si
    dovesse considerare come terminato o non terminato. Avevano
    risoluto, dopo lunga discussione ed esame de' precedenti, che l'atto
    d'accusa dovesse tenersi come pendente. Questa deliberazione adesso
    venne da loro abrogata. Pochi Nobili Whig protestarono contro tale
    partito, ma non ottennero nulla. I Comuni in silenzio sobbarcaronsi
    alla decisione della Camera Alta. Danby riprese il suo seggio fra
    mezzo ai Pari, e divenne un membro operoso e potente della fazione
    Tory(390).
    
    La questione costituzionale, intorno a cui, nel breve spazio di sei
    anni, i Tory avevano a quel modo profferite due affatto contrarie
    sentenze, si stette a dormire per più d'un secolo, e finalmente fu
    ridestata dallo scioglimento delle Camere che avvenne durante il
    lungo processo di Warren Hastings. Era allora necessario determinare
    se la regola stabilita nel 1679, o la opposta del 1685, fosse da
    reputarsi come legge del Regno. La questione fu lungamente discussa
    in ambe le Camere; e nella discussione venne adoperata tutta
    l'abilità legale e parlamentare che fosse in un secolo singolarmente
    fecondo d'uomini esperti nelle scienze giuridiche e negli usi del
    Parlamento. I giureconsulti non erano inegualmente divisi. Thurlow,
    Kenyon, Scott ed Erskine, sostenevano che lo scioglimento avesse
    posto fine all'atto d'accusa. La opposta dottrina fu manifestata da
    Mansfield, Camden, Loughborough e Grant. Ma quegli uomini di Stato,
    i quali fondavano i loro argomenti non sopra antecedenti o analogie
    pratiche, ma sopra profondi e larghi principii costituzionali, poco
    differivano nelle opinioni loro. Pitt e Grenville, al pari di Burk e
    Fox, sostennero che l'accusa rimaneva tuttavia pendente. Ambedue le
    Camere, a gran maggioranza, posero da parte la decisione del 1685, e
    pronunciarono che quella del 1679 era conforme alla legge del
    Parlamento.
    
    XXXVI. Tra tutti i delitti nazionali, commessi mentre il popolo era
    invaso dalla paura eccitata dalle fandonie d'Oates, il più celebre
    era stato lo assassinio giudiciale di Stafford. La condanna di
    quello infelice gentiluomo veniva adesso da ogni uomo imparziale
    considerata come ingiusta. I testimoni precipui dell'accusa erano
    stati convinti rei di parecchi spergiuri. In tali circostanze, era
    debito del Corpo Legislativo di rendere giustizia alla memoria d'una
    vittima innocente, e di cancellare una macchia immeritata da un nome
    lungo tempo illustre negli Annali d'Inghilterra. La Camera Alta, in
    onta al mormorare di pochi Pari, i quali non volevano ammettere
    d'avere sparso un sangue innocente, passò una legge intesa a cassare
    il decreto di morte infamante contro Stafford. Nei Comuni, la legge
    fu letta due volte, senza ricorrere allo scrutinio di divisione; e
    ordinarono che venisse istituito un comitato. Ma nel dì stabilito
    per tale faccenda, giunsero nuove, che nelle contrade occidentali
    dell'Inghilterra era scoppiata una formidabile ribellione. Fu per
    ciò necessario posporre parecchi importanti affari. L'ammenda dovuta
    alla memoria di Stafford, fu, come supponevasi, per breve tempo
    differita. Ma il pessimo governo di Giacomo, in pochi mesi, fece
    cangiare la pubblica opinione. Pel corso di varie generazioni, i
    Cattolici Romani non furono in istato di poter chiedere riparazione
    delle ingiustizie sofferte, e reputavansi fortunati se era loro
    concesso di vivere senza molestia nella oscurità e nel silenzio.
    Alla perfine, regnante Giorgio IV, vale a dire cento quaranta e più
    anni dopo che il sangue di Stafford era stato sparso in Tower Hill,
    la tarda espiazione fu compita. Una legge, che annullò la sentenza
    di morte infamante, e restituì alla danneggiata famiglia le antiche
    dignità, fu dai ministri del Re presentata al Parlamento, e,
    lietamente accolta da tutti gli uomini pubblici di ogni partito,
    passò senza un solo voto contrario(391).
    
    Adesso è mestieri che io racconti la origine e il progresso di
    quella ribellione, che improvvisamente interruppe le deliberazioni
    delle Camere.
    
    
    CAPITOLO QUINTO.
    
    SOMMARIO.
    
    I. I Whig fuorusciti nel Continente. - II. Loro corrispondenti in
    Inghilterra. - III. Carattere dei principali fuorusciti; Ayloffe. -
    IV.Wade; Goodenough. - V. Rumbold. - VI. Lord Grey. - VII. Monmouth.
    - VIII. Ferguson. - IX. Fuorusciti scozzesi; il Conte d'Argyle. - X.
    Sir Patrizio Hume. - XI. Sir Giovanni Cochrane; Fletcher di Saltoun.
    - XII. Condotta irragionevole de' fuorusciti scozzesi. - XIII.
    Apparecchi per un tentativo contro l'Inghilterra e la Scozia. - XIV.
    Giovanni Locke. - XV. Apparecchi fatti dal Governo a difendere la
    Scozia. - XVI. Colloquio di Giacomo con gli ambasciatori olandesi;
    sforzi inefficaci del Principe d'Orange e degli Stati Generali per
    impedire Argyle d'imbarcarsi. - XVII. Argyle si parte dall'Olanda. -
    XVIII. Sbarca in Iscozia. - XIX. Contende coi suoi seguaci. - XX.
    Disposizione del popolo scozzese. - XXI. Le forze d'Argyle vengono
    disperse, ed egli è fatto prigioniero. - XXII È decapitato. - XXIII.
    Decapitazione di Rumbold. - XXIV. Morte di Ayloffe. - XXV.
    Devastazione della contea d'Argyle; sforzi inefficaci a impedire che
    Monmouth partisse dall'Olanda. - XXVI. Suo arrivo a Lyme. - XXVII.
    Suo Proclama. - XXVIII. Sua popolarità nelle contrade occidentali
    dell'Inghilterra. - XXIX. Scontro tra i ribelli e le milizie civiche
    in Bridport. - XXX. Scontro tra i ribelli e le milizie civiche in
    Axminster. - XXXI. Le nuove della ribellione giungono a Londra. -
    XXXII. Lealtà del Parlamento. - XXXIII. Accoglienza fatta a Monmouth
    in Taunton - XXXIV. Egli prende il titolo di Re. - XXXV. Accoglienza
    fattagli in Bridgewater. - XXXVI. Apparecchi del Governo per
    opporglisi. - XXXVII. Disegno di Monmouth rispetto a Bristol. -
    XXXVIII. Lo abbandona. - XXXIX. Scaramuccia seguita in Philip's
    Norton. - XL. Monmouth è scuorato. - XLI. Ritorna a Bridgewater. -
    XLII. L'esercito regio pone il campo presso Sedgemoor. - XLIII
    Battaglia di Sedgemoor. - XLIV. I ribelli vengono inseguiti. - XLV.
    Esecuzioni militari; fuga di Monmouth. - XLVI. È preso. - XLVII.
    Scrive una lettera al Re. - XLVIII. E condotto a Londra. - XLIX. Suo
    incontro col Re - L. Sua decapitazione. - LI. La memoria di lui è
    cara al popolo basso. - LII. Crudeltà de' soldati nelle contrade
    occidentali; Kirke. - LIII Jeffreys si reca nelle contrade
    occidentali. - LIV. Processo di Alice Lisle. - LV. Il tribunale di
    sangue. - LVI. Abramo Holmes. - LVII. Cristoforo Battiscombe. -
    LVIII. Gli Hewling. - LIX. Punizione di Tutchin. - LX. I ribelli
    sono deportati. - LXI. Confische ed estorsioni. - LXII. Rapacità
    della Regina e delle sue dame. - LXIII. Caso di Grey. - LXIV. Casi
    di Cochrane, di Storey, di Wade, di Goodenough(392) e di Ferguson. -
    LXV. Jeffreys è creato Lord Cancelliere. Processo ed esecuzione
    giudiciale di Cornish. - LXVI. Processi ed esecuzioni di Fernley e
    d'Elisabetta Gaunt. - LXVII. Processo ed esecuzione di Bateman. -
    LXVIII. Crudele persecuzione contro i Protestanti Dissenzienti.
    
    
    I. Verso la fine del regno di Carlo II, alcuni Whig che erano stati
    profondamente implicati nella congiura cotanto fatale al loro
    partito, e sapevano come fossero fatti segno all'ira implacabile del
    Governo, avevano cercato asilo nei Paesi Bassi.
    
    Cotesti fuorusciti erano generalmente uomini d'indole ardente e di
    debole giudizio. Stavano anche sotto la influenza di quella
    illusione che sembra appartenere segnatamente alla condizione di
    esule. Un uomo politico, cacciato in bando da una fazione avversa,
    comunemente guarda traverso ad un falso strumento la società ch'egli
    ha lasciata. I desiderii, le speranze, i rancori suoi gli fanno
    apparire ogni cosa scolorata e scontorta. Ei pensa che ogni lieve
    malcontento debba produrre una rivoluzione. Ogni baruffa gli sembra
    una ribellione. Non intende come la patria non lo pianga nel modo
    medesimo ch'egli la piange. Immagina che tutti i suoi vecchi
    colleghi, i quali godono tuttavia i domestici comodi e le agiatezze
    loro, siano tormentati dai medesimi sentimenti che gli rendono grave
    la vita. Come la espatriazione diventa più lunga, i suoi
    vaneggiamenti si accrescono. Il correre del tempo, che tempera lo
    ardore degli amici da lui lasciati indietro, gli accresce la fiamma
    nel cuore. Ciascun giorno che passa gli rende maggiore la impazienza
    ch'ei sente di rivedere la terra natia, e ciascun giorno la sua
    terra natia lo rimembra e lo compiange meno. Tale illusione diventa
    quasi una insania, ogni qual volta molti esuli che soffrono per la
    medesima causa, si trovano insieme in terra straniera. La precipua
    delle loro faccende è quella di ragionare intorno a ciò che essi
    erano un tempo, e a ciò che potrebbero essere in futuro; di
    incitarsi a vicenda contro il comune nemico; di pascersi con
    frenetiche speranze di vittoria e di vendetta. Così essi diventano
    maturi per certe intraprese, che a prima vista verrebbero giudicate
    disperate da chiunque non sia stato dalla passione privato del senso
    di calcolare le probabilità di prospero successo.
    
    II. In tali condizioni erano molti de' fuorusciti che s'erano
    insieme ridotti nel continente. Il carteggio che tenevano
    coll'Inghilterra, era per la più parte tale, da eccitare gli animi
    loro, e da farli farneticare. Le idee che avevano rispetto alla
    disposizione dell'opinione pubblica, venivano loro precipuamente dai
    peggiori uomini del partito Whig; uomini che erano cospiratori e
    libellisti per mestiere, perseguiti dagli ufficiali della giustizia,
    forzati ad andar svicolando travestiti per i chiassuoli della città,
    e talvolta a starsi nascosti per intere settimane nelle soffitte o
    nelle cantine. Gli uomini di Stato che erano stati l'ornamento del
    partito patriottico, che avevano poscia governati i Consigli della
    Convenzione, avrebbero porto ammonimenti assai diversi da quelli,
    che davano uomini come Giovanni Wildman ed Enrico Danvers.
    
    Wildman aveva servito quaranta anni innanzi nell'esercito
    parlamentare; ma s'era meglio fatto notare come agitatore che come
    soldato, ed aveva ben presto abbandonato il mestiere delle armi per
    un altro più adatto all'indole sua. L'odio ch'egli sentiva per la
    monarchia, lo aveva implicato in una lunga serie di congiure, prima
    contro il Protettore e poi contro gli Stuardi. Ma al fanatismo
    congiungeva grandissima sollecitudine per la propria sicurezza.
    Aveva l'arte maravigliosa di rasentare l'abisso del tradimento,
    senza precipitarvisi. Niuno intendeva meglio il modo d'incitare
    altrui alle disperate intraprese con parole, le quali, ripetute
    dinanzi ai giurati, potessero parere innocenti, o, alla peggio,
    ambigue. Tanta era la sua astuzia, che quantunque ei perpetuamente
    congiurasse, e fosse conosciuto ch'ei stesse congiurando; e
    quantunque un governo vendicativo gli avesse lungamente tenuto gli
    occhi addosso; ei schivò ogni pericolo, e morì nel proprio letto,
    dopo d'avere veduto, pel corso di due generazioni, i suoi complici
    finire sulle forche(393). Danvers era un uomo della medesima genía,
    caldo di cervello e vile di cuore, sempre spinto dallo entusiasmo
    sull'orlo del pericolo, e sempre dalla codardia fermato su
    quell'orlo. Esercitava non poca influenza sopra una parte de'
    Battisti, aveva scritto molto in difesa delle loro peculiari
    opinioni; e studiandosi di palliare i delitti di Mattia e di
    Giovanni di Leida, erasi attirata sul capo la severa censura dei più
    rispettabili Puritani. Forse, s'egli avesse avuto un po' di
    coragggio, avrebbe calcate le orme degli sciagurati ch'ei difendeva.
    In quel tempo, viveva nascosto per sottrarsi alla caccia che gli
    davano gli ufficiali della giustizia; imperciocchè il Governo,
    avendolo scoperto autore d'uno scritto pieno di gravissime calunnie,
    aveva dato ordini per arrestarlo(394).
    
    III. È facile immaginare quale specie di notizie e di consigli,
    uomini come questi che abbiamo descritti, potessero mandare ai
    fuorusciti nelle Fiandre. Pochi esempi serviranno a darci idea del
    carattere di quei fuorusciti.
    
    Uno de' più cospicui fra loro, era Giovanni Ayloffe, legale,
    congiunto d'affinità con gli Hyde, e per mezzo loro con Giacomo.
    Ayloffe si era ben per tempo reso notevole per un capriccioso
    insulto fatto al Governo. Allorquando la prevalenza della corte di
    Versailles aveva destata universale inquietudine, egli erasi
    rischiato a porre nel seggio presidenziale della Camera de' Comuni
    una scarpa di legno, che presso gl'Inglesi era simbolo della
    tirannia francese. Erasi poscia implicato nella congiura de' Whig;
    ma non abbiamo ragione di credere ch'egli fosse partecipe del
    disegno di assassinare i due reali fratelli. Era uomo fornito di
    doti e di coraggio; ma il suo carattere morale non era commendevole.
    I teologi puritani bisbigliavano ch'egli fosse uno spensierato
    Gallione(395), o qualche cosa di peggio; e che qualunque si fosse lo
    zelo ch'ei professava per la libertà civile, i Santocchi avrebbero
    fatto bene ad evitare ogni relazione con lui(396).
    
    IV. Nataniele Wade, era, al pari d'Ayloffe, legale. Aveva abitato
    lungo tempo in Bristol, e nel circostante paese erasi acquistata
    rinomanza di repubblicano. Un tempo aveva concepito il disegno di
    emigrare a New Jersey, dove sperava trovare istituzioni, meglio che
    quelle d'Inghilterra, accomodate alle sue voglie. La sua operosità
    nel condurre le elezioni lo aveva reso noto ad alcuni nobili Whig, i
    quali se n'erano giovati nello esercizio della sua professione, e lo
    avevano in fine ammesso ai loro più secreti consigli. S'era molto
    immischiato nel piano della insurrezione, togliendosi l'incarico di
    sommuovere e capitanare il popolo della propria città. Era stato
    anche nel segreto delle più odiose congiure contro la vita di Carlo
    e di Giacomo. Ma dichiarò sempre, che quantunque fosse a parte del
    secreto, lo aveva abborrito, tentando perfino di dissuadere i suoi
    colleghi dal mandare ad esecuzione il loro disegno. E' sembra che
    Wade, come uomo educato alle occupazioni civili, possedesse in modo
    non ordinario quella specie di destrezza e di vigore che fanno un
    buon soldato. Per isventura, i suoi principii e il suo coraggio
    dettero prova di non essere di forza bastevole a sostenerlo, quando,
    finito il conflitto, egli nel fondo d'un carcere non aveva altra
    scelta che la morte o la infamia(397).
    
    Un altro de' fuorusciti aveva nome Riccardo Goodenough, che
    primamente era stato Sotto-Sceriffo di Londra. In lui il suo partito
    aveva lungo tempo confidato per disonesti servigi, e in ispecie per
    la scelta de' giurati che ne' processi politici non patissero
    scrupoli. Erasi molto intromesso nelle parti più nere ed atroci
    della congiura de' Whig, che erano state con sommo studio nascoste
    agli uomini più rispettabili di quel partito. Nè, ad attenuargli la
    colpa, è possibile allegare che ei fosse traviato dallo zelo del
    bene pubblico; poichè si vedrà in progresso, come, dopo d'avere coi
    propri delitti infamata una nobile causa, la tradì, onde sottrarsi
    alla ben meritata pena(398).
    
    V. Uomo di differentissimo carattere era Riccardo Rumbold. Era stato
    commissario nello stesso reggimento di Cromwell; era stato posto a
    guardia del palco dinanzi alla Sala del Banchetto, nel dì della
    decapitazione del Re; aveva combattuto a Dunbar e a Worcester, e
    sempre mostrato in altissimo grado le qualità che predistinguevano
    l'invincibile esercito nel quale egli serviva; vero coraggio,
    ardente entusiasmo sì nelle cose politiche che nelle religiose, e
    insieme tutta la padronanza di sè, che caratterizza gli uomini che
    la buona disciplina de' campi educò a comandare e obbedire.
    Allorquando le truppe repubblicane furono disciolte, Rumbold divenne
    birrajo, ed esercitava il proprio traffico presso Hoddeston, in quel
    fabbricato da cui la congiura di Rye House deriva il nome. Era stato
    proposto, comecchè non affatto deliberato, ne' colloqui de' più
    avventati e scoscienziati malcontenti, di appostare in Rye House
    uomini armati, onde aggredire le guardie che dovevano scortare Carlo
    e Giacomo da Newmarket a Londra. In tali colloqui, Rumbold aveva
    sostenuta una parte, dalla quale egli avrebbe rifuggito con orrore,
    se il suo chiaro intendimento non fosse stato ottenebrato, e il suo
    robusto cuore corrotto dallo spirito di parte(399).
    
    VI. Assai superiore per posizione a tutti cotesti esuli de' quali
    abbiamo finora favellato, era Ford Grey, Lord Grey di Wark. Era
    stato Esclusionista zelante, aveva cooperato al disegno d'una
    insurrezione, ed era stato rinchiuso nella Torre; ma gli era venuto
    fatto, ubbriacando i suoi custodi, di fuggire nel continente. Aveva
    egregie qualità di mente e modi piacevoli; ma la sua vita era stata
    macchiata da un delitto di famiglia. La sua moglie apparteneva alla
    nobile casa di Berkeley. Lady Enrichetta Berkeley, sorella di lei,
    aveva con Lord Grey la familiarità propria d'un fratello e d'una
    sorella. Ne nacque una fatale relazione. Lo spirito elevato e le
    vigorose passioni di Lady Enrichetta ruppero ogni freno di virtù e
    decoro. La fuga scandalosa de' due amanti palesò a tutto il reame la
    vergogna di due illustri famiglie. A Grey e ad alcuni altri, che gli
    erano stati mezzani in amore, fu intentato un processo come rei di
    congiura. Nella Corte del Banco del Re seguì una scena che non ha
    pari nella storia d'Inghilterra. Il seduttore, con intrepido
    aspetto, comparve accompagnato dalla sua druda. Nè anche in
    quell'estremo caso, i grandi Lordi Whig si scostarono dal fianco di
    lui. Coloro ch'erano stati da lui offesi, gli stavano di contro, ed
    appena lo videro, trascorsero ad eccessi di rabbia. Il vecchio Conte
    di Berkeley coprì di rimproveri e maledizioni la sciagurata
    Enrichetta. La Contessa fece il suo deposto, interrotta da frequenti
    singhiozzi, ed infine si svenne. I giurati profferirono la sentenza
    di reità. Alzatisi i giudici, Lord Berkeley invocò lo aiuto di tutti
    i suoi amici per impossessarsi della propria figliuola. I partigiani
    di Grey le si strinsero attorno. Da ambe le parti snudaronsi i
    ferri; successe una zuffa in Westminster Hall; e non senza molta
    difficoltà, ai giudici e agli uscieri riuscì di partire i
    combattenti. Nei tempi nostri un simile processo tornerebbe fatale
    ad un uomo pubblico; ma in quel secolo, la idea della moralità fra'
    grandi era sì bassa, e lo spirito di parte così violento, che Grey
    seguitò ad esercitare considerevole influenza, ancorchè i Puritani,
    che erano una classe assai forte del partito Whig, lo trattassero
    con alquanta freddezza(400).
    
    Una parte del carattere, o per meglio dire, della fortuna di Grey, è
    degna d'essere notata. Ammettevasi che dovunque, tranne in campo di
    battaglia, egli mostrasse grandissimo coraggio. Più d'una volta, in
    circostanze impacciose, dove ne andava la vita e la libertà sua, il
    contegno dignitoso, e la perfetta signoria ch'egli mostrò delle
    proprie facoltà, gli erano argomento di lode anche presso coloro che
    non gli portavano nè amore nè stima. Ma come soldato, egli incorse,
    meno forse per proprio difetto che per mala ventura, il degradante
    addebito di codardia.
    
    VII. In ciò egli differiva grandemente dal Duca di Monmouth, suo
    amico. Monmouth, ardente e intrepido in campo di battaglia,
    mostravasi altrove effeminato ed irresoluto. Lo illustre nascimento,
    il coraggio, e le frivole grazie ond'egli era adorno, lo avevano
    locato in un posto, pel quale egli era assolutamente inadatto. Dopo
    d'avere veduta la rovina d'un partito, del quale egli era capo di
    nome, erasi ritirato in Olanda. Il principe e la principessa
    d'Orange, dopo ciò, non lo consideravano più come rivale. Gli
    facevano ospitale accoglienza, sperando che col trattarlo
    cortesemente si sarebbero acquistato un diritto alla gratitudine del
    padre di lui. Sapevano come lo affetto paterno non fosse estinto,
    come lettere e sussidii pecuniarii continuassero tuttavia a venire
    da Whitehall al ritiro di Monmouth, e come Carlo guardasse in
    cagnesco coloro che studiavansi di corteggiarlo sparlando dell'esule
    figliuolo. Al Duca era stata data speranza, che dopo breve tempo,
    non porgendo cagione di dispiacere, sarebbe stato richiamato alla
    patria, e rimesso in tutti i suoi alti onori e comandi. Infiammato
    da tali espettazioni, era stato, per così dire, l'anima dell'Aja per
    tutto lo inverno precedente. In una serie di feste da ballo nelle
    magnifiche sale del Palazzo d'Orange, che da ogni lato risplende coi
    più vivi colori di Jordaens e di Hondthorst, egli era stato la più
    cospicua figura(401). Aveva fatta conoscere alle dame d'Olanda la
    country-dance inglese; le quali, in ricambio, gli avevano insegnato
    a patinare sopra i canali. La principessa lo aveva accompagnato
    nelle sue spedizioni sul ghiaccio; e la figura che ella vi faceva
    equilibrata sopra una gamba, e coperta di sottane più corte di
    quelle usate generalmente dalle dame che tengono rigoroso decoro,
    era stata cagione di meraviglia e diletto ai ministri stranieri.
    L'austera gravità che serbavasi sempre nella corte dello Statoldero,
    sembrava essere sparita di faccia alla influenza del giovane
    inglese, che ammaliava chiunque. Anche il grave e pensieroso
    Guglielmo, come il suo ospite appariva nelle sue stanze, si
    abbandonava al buon umore(402).
    
    Monmouth, frattanto, studiosamente evitava ciò che avrebbe potuto
    offendere coloro dai quali sperava protezione. Vedeva poco i Whig in
    generale, e punto quegli uomini violenti ch'erano stati implicati
    nella parte peggiore della congiura Whig. E però i suoi antichi
    colleghi altamente lo accusavano di volubilità e
    d'ingratitudine(403).
    
    VIII. Ma nessuno degli esuli lo accusava con più veemenza ed
    acrimonia, di quel che facesse Roberto Ferguson, il Giuda della
    celebre satira di Dryden. Ferguson era oriundo Scozzese, ma aveva
    lungamente abitato in Inghilterra. A tempo della Restaurazione aveva
    occupato un beneficio in Kent. Era stato educato al
    Presbiterianismo; ma cacciato via dai Presbiteriani, era divenuto
    Indipendente. Era stato maestro in un'accademia eretta dai
    Dissenzienti in Islington, come rivale della scuola di Westminster e
    di Charter House; ed aveva predicato innanzi a numerose congreghe in
    Moorfields. Aveva parimente pubblicato alcuni trattati teologici,
    che oggimai dormono nei polverosi scaffali di qualche vecchia
    biblioteca: benchè avesse sempre sulle labbra testi delle Scritture,
    coloro che ebbero con lui faccende pecuniarie, presto si accôrsero
    ch'egli era un pretto scroccone.
    
    Finalmente, posta da canto la teologia, si dette a trafficare di
    politica. Apparteneva a quella classe di gente, che fanno l'ufficio
    di rendere ai partiti esasperati que' servigi, dai quali gli onesti
    rifuggono per disgusto, e i prudenti per paura; voglio dire alla
    classe de' fanatici bricconi. Violento, maligno, spregiatore del
    vero, insensibile alla vergogna, insaziabile di rinomanza, godente
    negl'intrighi, nei tumulti, ne' danni per voluttà di far male, si
    affaccendò per molti anni nelle più luride sorgenti delle fazioni.
    Passava la vita fra i calunniatori e i falsi testimoni. Gli era
    stata affidata una cassa segreta, con la quale pagava certi agenti
    sì vili, da non essere riconosciuti dagli onesti del partito; ed era
    direttore d'una tipografia clandestina, che giornalmente pubblicava
    fogli anonimi. Gloriavasi di avere trovato il modo di sparger satire
    attorno la terrazza di Windsor, e perfino di porle sotto il
    guanciale del Re. Così traeva la vita fra mille astuzie, assumeva
    mille nomi, e ad un tempo aveva quattro diverse abitazioni in
    diversi quartieri di Londra. S'era profondamente ravvolto nella
    congiura di Rye House; e v'è ragione di credere ch'egli fosse il
    primo autore di que' sanguinarii disegni che screditarono cotanto il
    partito Whig. Scoperta la congiura, e scoraggiati i congiurati,
    disse loro addio con un sorriso, aggiungendo ch'essi erano novizi,
    ch'egli era assuefatto a combattere, a celarsi, a trasfigurirsi, e
    che non avrebbe mai cessato di congiurare fino allo estremo momento
    di sua vita. Fuggì al Continente; ma pare che anche quivi non si
    tenesse sicuro. I ministri inglesi alle corti straniere avevano
    ordine d'invigilarlo. Il Governo francese offerse una rimunerazione
    di cinquecento zecchini a chiunque lo avesse arrestato. Nè gli era
    agevole sottrarsi agli sguardi altrui; perocchè il largo accento
    scozzese, la lunga e magra persona, le guance infossate, il lampo
    degli occhi pungenti ai quali faceva ombra la parrucca, le guance
    chiazzate di sangue, le spalle sformatamente ricurve, e il
    portamento distinto da quello degli altri per un andare impacciato
    affatto suo, lo rendevano segno agli altrui sguardi in qualsivoglia
    luogo si fosse mostrato. Ma quantunque ei fosse, come sembra,
    perseguito con animosità particolare, corse voce che ciò fosse una
    finzione, e che gli ufficiali della giustizia avessero ordini di
    chiudere gli occhi. Ch'egli fosse un acre malcontento, non potrebbe
    dubitarsi. Ma v'è forte ragione di credere che avesse provveduto
    alla propria sicurtà facendosi in Whitehall passare per ispia de'
    Whig, e informando tanto il Governo quanto bastava a mantenere il
    suo credito. Questa ipotesi spiega in modo semplice ciò che a' suoi
    colleghi sembrava in lui straordinaria noncuranza e audacia.
    Trovandosi fuor di pericolo, egli sempre consigliava i mezzi più
    pericolosi e violenti, e irrideva con somma soddisfazione la
    pusillanimità di coloro i quali, non essendosi muniti delle infami
    cautele sopra cui egli riposava, inchinavano a riflettere due volte
    innanzi che ponessero a repentaglio la propria vita, e le cose più
    care della vita stessa(404).
    
    Appena giunto ai Paesi Bassi, cominciò a immaginare nuovi disegni
    contro il Governo Inglese, e trovò fra i suoi compagni d'esilio
    uomini pronti ad ascoltare i suoi perfidi consigli. Monmouth,
    nondimeno, si tenne ostinatamente da parte; e senza lo aiuto della
    immensa popolarità di Monmouth, era impossibile tentare cosa alcuna.
    Nulladimeno, tale era la impazienza e temerità degli esuli, che
    provaronsi a trovare un altro capo. Mandarono una imbasciata a quel
    solitario ritiro sulle sponde del lago Leman, dove Edmondo Ludlow,
    un dì predistinto fra i capi dell'armata parlamentare e fra' membri
    dell'Alta Corte di Giustizia, viveva da molti anni nascosto alla
    vendetta degli Stuardi risaliti sul trono. L'austero vecchio
    regicida, nondimeno, rifiutò di abbandonare il proprio eremo,
    dicendo la sua opera essere finita: se l'Inghilterra poteva ancora
    salvarsi, ciò spettare ad uomini più giovani di lui(405).
    
    L'inattesa morte di Carlo cangiò onninamente lo aspetto delle cose.
    Ogni speranza che i Whig proscritti avevano vagheggiata di ritornare
    pacificamente alla terra natía, si spense con la vita di un principe
    spensierato e d'indole buona, e con l'ascensione al trono d'un
    principe ostinato in ogni cosa, e in ispecie nella vendetta.
    Ferguson trovossi nel suo proprio elemento. Privo d'ingegno e come
    scrittore e come uomo di stato, possedeva in altissimo grado le
    qualità non invidiabili di tentatore; ed ora, con la malefica
    operosità d'uno spirito perverso, correva da fuoruscito a
    fuoruscito, sussurrava negli orecchi di ciascuno, e suscitava in
    ogni cuore odio feroce e stemperati desiderii.
    
    Non disperò più di poter sedurre Monmouth. Le condizioni di quello
    sventurato giovane erano affatto cangiate. Mentre egli stavasi a
    danzare e patinare all'Aja, aspettando tutti i dì essere richiamato
    a Londra, rimase oppresso dal cordoglio alla nuova della morte del
    padre, e della assunzione dello zio al trono. La notte che seguì
    all'arrivo dell'infausta notizia, coloro che alloggiavano accanto a
    lui, poterono distintamente udirne i singhiozzi e le laceranti
    strida. Il dì dopo abbandonò l'Aja, promettendo sull'onor suo al
    Principe e alla Principessa d'Orange di non tentar nulla contro il
    Governo inglese, e ricevendo da loro pecunia per provvedere ai più
    urgenti bisogni(406).
    
    Il prospetto del futuro che stava dinanzi agli occhi a Monmouth, non
    era splendido. Non aveva probabilità d'essere richiamato dal bando.
    Nel continente ei non poteva più vivere fra la magnificenza e le
    feste d'una corte. I suoi cugini nell'Aja parevano seguitare a
    trattarlo con vera cortesia; ma non potevano apertamente ciò fare
    senza grave risico di produrre una rottura tra l'Inghilterra e
    l'Olanda. Guglielmo gli dette un amichevole e savio consiglio. Alla
    guerra che ardeva in Ungheria fra lo imperatore e i Turchi erano
    rivolti gli occhi di tutta l'Europa, con interesse quasi simile a
    quello che cinquecento anni innanzi avevano destato le Crociate.
    Molti valorosi gentiluomini, sì protestanti che cattolici,
    combattevano da volontarii nella causa comune della Cristianità. Il
    principe consigliò Monmouth ad accorrere al campo imperiale,
    assicurandolo che, così facendo, non gli sarebbero mancati i mezzi
    di fare una comparsa degna d'un gentiluomo inglese(407). Era questo
    un egregio consiglio, ma il Duca non seppe deliberarsi a seguirlo.
    Si ritrasse a Brusselles, accompagnato da Enrichetta Wentworth,
    Baronessa Wentworth di Newcastle; donzella d'alto lignaggio e di
    grandi ricchezze, la quale, amandolo passionatamente, aveva per lui
    sacrificato l'onore di fanciulla e la speranza d'uno illustre
    connubio, lo aveva seguito nell'esilio, ed era da lui considerata
    come sposa in faccia a Dio. La soave compagnia della donna diletta
    gli sanò tosto le piaghe dell'anima. Gli parve d'avere trovata la
    felicità nel ritiro e nella quiete, e d'avere dimenticato che egli
    era già stato ornamento d'una splendida corte, capo d'un gran
    partito, comandante d'eserciti ed aspirante ad un trono.
    
    Ma altri non lo lasciò tranquillo. Ferguson adoperò tutte le arti
    della tentazione. Grey, che non sapeva(408) dove rivolgersi a
    trovare uno scudo, ed era pronto ad ogni intrapresa, comunque
    disperata, prestò il suo aiuto. Non vi fu arte di cui non si
    giovassero per istrappare Monmouth dal proprio ritiro. Ai primi
    inviti che gli pervennero dagli antichi colleghi, diede risposte
    punto favorevoli. Disse che le difficoltà d'uno sbarco in
    Inghilterra erano insuperabili; protestò d'essere stanco della vita
    pubblica, e chiese che gli lasciassero godere la sua felicità
    novellamente trovata. Ma era poco assuefatto a resistere ai destri
    ed urgenti incitatori. Dicesi, inoltre, che ad abbandonare il suo
    ritiro fosse indotto dalla stessa potente cagione che glielo rendeva
    beato. Lady Wentworth desiderava di vederlo Re, e gli offeriva le
    sue rendite, le sue gioie e il suo credito. Monmouth non era
    convinto; ma non ebbe fermezza bastevole a resistere a tali
    sollecitazioni(409).
    
    IX. Gli esuli inglesi lo accolsero con gioia, ed unanimemente lo
    riconobbero loro capo. Ma v'era un'altra classe di fuorusciti che
    non inchinavano a riconoscere la supremazia di lui. Un pessimo
    governo, quale non era mai stato nella parte meridionale dell'isola
    nostra, aveva cacciati dalla Scozia al continente molti fuggiaschi,
    la cui intemperanza di zelo nelle cose pubbliche e nelle religiose
    era estrema quanto la oppressione che avevano sofferta. Costoro non
    volevano seguire un condottiero inglese. Anche travagliati dalla
    povertà e dall'esilio, serbavano il loro puntiglioso orgoglio
    nazionale, e non avrebbero consentito che la patria loro venisse, in
    essi, degradata alla condizione di provincia. Avevano un capitano
    fra loro, cioè Arcibaldo, nono Conte di Argyle, il quale come capo
    della grande tribù di Campbell, era noto ai popoli delle montagne
    sotto l'orgoglioso nome di Mac Callum More. Il Marchese di Argyle
    suo padre era stato capo de' Convenzionisti scozzesi, aveva
    grandemente cooperato alla rovina di Carlo I; e i realisti non
    reputavano ch'egli avesse debitamente espiata la offesa, per aver
    dato il vano titolo di Re a Carlo II, ed averlo tenuto in un palazzo
    a guisa di prigioniero di Stato. Ritornata la famiglia reale, il
    Marchese fu messo a morte. Il suo marchesato rimase estinto; ma al
    figlio suo fu concesso di ereditare l'antica Contea, ed era tuttavia
    annoverato fra i maggiori nobili della Scozia. La condotta tenuta
    dal Conte negli ultimi venti anni che seguirono la Restaurazione,
    era stata, secondo che egli stesso poi disse, criminosamente
    moderata. In talune occasioni aveva avversato il Governo che
    affliggeva la sua patria, ma con freddezza e cautela. Per la sua
    tolleranza nelle cose ecclesiastiche, aveva porto argomento di
    scandalo ai Presbiteriani; ed era stato così lontano dal mostrarsi
    inchinevole alla resistenza, che, allorquando i Convenzionisti erano
    stati sì crudelmente perseguiti da insorgere, egli aveva condotto in
    campo una numerosa torma di suoi dipendenti, ad aiutare il Governo.
    
    Tale era stato il suo contegno politico, finchè il Duca di York
    venne in Edimburgo rivestito di tutta l'autorità regia. Il dispotico
    vicerè si accôrse tosto di non potere sperare pieno sostegno dal
    Conte d'Argyle. E dacchè il più potente capo del Regno non era da
    guadagnarsi al Governo, fu reputato necessario distruggerlo. Per
    ragioni così frivole, che anche i più fanatici partigiani e i più
    cavillosi ne sentirono rossore, fu tratto dinanzi ai tribunali,
    processato come reo di tradimento, convinto, e dannato a morire. I
    fautori degli Stuardi poscia asserirono che il Governo non aveva mai
    avuto intendimento di mandare ad esecuzione quella sentenza, e che
    solo scopo di tale Processo era stato di spaventare il Conte, onde
    ei s'inducesse a cedere la sua vasta giurisdizione nelle montagne. O
    che Giacomo avesse inteso di commettere un assassinio, siccome i
    suoi nemici sospettarono; o solamente, secondo che i suoi amici
    affermarono, di commettere una estorsione minacciando di commettere
    un assassinio; adesso non può con certezza asserirsi. "Io non so
    nulla delle leggi scozzesi" diceva Halifax a Re Carlo; "questo solo
    io so, che noi non dovremmo impiccare un cane per le cagioni onde
    Lord Argyle è stato condannato(410)."
    
    Argyle fuggì travestito in Inghilterra, donde passò in Frisia. In
    quella quieta provincia il padre suo aveva comprata una piccola
    terra, come luogo di rifugio per la famiglia nelle civili
    perturbazioni. Dicevasi fra gli Scozzesi che tale compra era stata
    fatta dopo che un indovino celtico aveva predetto che Mac Callum
    More un giorno verrebbe cacciato dall'antica casa di sua famiglia in
    Inverary(411). Ma è probabile che il Marchese, preveggente nelle
    faccende politiche, fosse stato a ciò persuaso forse più dagli
    indizi de' tempi, che dalle visioni di qualsivoglia profeta. In
    Frisia, il Conte Arcibaldo visse in tanta quiete, che non sapevasi
    dove egli avesse trovato ricovero. Dal suo ritiro aveva mantenuto
    carteggio coi suoi amici rimasti nella Gran Brettagna, aveva
    partecipato alla congiura de' Whig, e combinato coi capi di quella
    un disegno d'invasione in Iscozia(412). Scoperta la congiura di Rye
    House, quel disegno era stato messo da parte; ma dopo la morte di
    Carlo, divenne di nuovo l'oggetto de' pensieri del Conte.
    
    Dimorando sul continente, egli aveva molto più che negli anni
    trascorsi della propria vita, profondamente meditato sopra le
    questioni religiose. In un certo modo, lo effetto di tali
    meditazioni era stato pernicioso alla mente di lui. La sua
    parzialità per la forma sinodale del governo ecclesiastico adesso
    era giunta fino alla bacchettoneria. Qualvolta ripensava a quanto
    lungo tempo ei si era conformato al culto stabilito, sentivasi
    opprimere dalla vergogna e dal rimorso, e si mostrava in mille guise
    dispostissimo ad espiare la propria defezione con la violenza e la
    intolleranza. Nondimeno, tra breve tempo, ebbe occasione di provare
    che il timore e lo amore di una più alta Possanza gli avevano dato
    il vigore bisognevole a sostenere i conflitti più formidabili, fra'
    quali possa trovarsi la umana natura.
    
    Ai suoi compagni d'infortunio il suo aiuto era di massimo momento.
    Comecchè ei fosse proscritto e fuggiasco, era tuttavia, in certo
    senso, il più potente suddito de' dominii britannici. Per ricchezze,
    anche prima ch'ei fosse stato condannato a morte infamante, era
    forse inferiore non solo ai grandi Nobili d'Inghilterra, ma ai più
    opulenti scudieri di Kent e di Norfolk. Ma la sua autorità
    patriarcale, autorità che non può acquistarsi per ricchezze nè
    perdersi per condanna infamante, lo rendeva, come capo d'insorti,
    veramente formidabile. Nessun Lord delle contrade meridionali
    dell'Isola poteva esser sicuro che, avventurandosi a resistere al
    Governo, i suoi guarda-caccia e cacciatori lo seguirebbero. Un Conte
    Bedford, un Duca di Devonshire, non poteva promettere di condurre
    seco dieci uomini in campo. Mac Callum More, senza un soldo e
    spoglio della sua Contea, avrebbe potuto in ogni istante suscitare
    una grave guerra civile. Non aveva se non a mostrarsi sulla costa di
    Lorn, perchè tra pochi giorni gli si raccogliesse un esercito
    dintorno. Le forze che in tempi prosperi ei poteva condurre in
    campo, ascendevano a cinque mila combattenti, intesi ad obbedirlo,
    avvezzi all'uso della targa e dello spadone, non tementi di venire
    alle mani con le truppe regolari anche in aperta pianura, e forse
    superiori a quelle per certe qualità necessarie a difendere i passi
    di aspre montagne, coperti di nebbia e tagliati da rapidi torrenti.
    Ciò che tali forze, bene dirette, fossero capaci di fare, anco
    contro vecchi soldati ed esperti capitani, si vide pochi anni poi a
    Killiecrankie.
    
    X. Ma per quanto fosse grande il diritto d'Argyle alla fiducia degli
    esuli scozzesi, era fra loro una fazione che non gli procedeva
    amichevole, e desiderava giovarsi del nome e dell'influenza di lui,
    senza affidargli nessun potere effettivo. Capo di questa fazione era
    un gentiluomo delle pianure, il quale era stato implicato nella
    congiura Whig, e con difficoltà erasi sottratto alla vendetta della
    Corte; cioè Sir Patrizio Hume di Polwarth, nella Contea di Berwick.
    Si è molto dubitato della integrità di lui, ma senza sufficiente
    ragione. Nulladimeno, è d'uopo ammettere ch'egli tanto nocque alla
    propria causa con la perversità, quanto avrebbe potuto fare con la
    tradigione. Era incapace egualmente d'esser capo, o seguace;
    concettoso di sè, sofistico, di storto cervello, interminabile
    ciarliero, tardo ad andare incontro all'inimico, ed attivo solo
    contro i propri colleghi.
    
    XI. Con Hume era in intima relazione un altro esule scozzese di gran
    conto, il quale aveva molti dei medesimi difetti, quantunque non
    nello stesso grado; voglio dire Sir Giovanni Cochrane, secondo
    figlio del Conte di Dundonald.
    
    Uomo di assai più elevato carattere era Andrea Fletcher di Saltown,
    insigne per dottrina e facondia, insigne anche per coraggio,
    disinteresse e spirito patriottico; ma d'irritabile e intrattabile
    indole. Al pari di molti de' suoi più illustri contemporanei,
    Milton, a cagione d'esempio, Harrington, Marvel e Sidney, per il
    pessimo governo di varii successivi principi, Fletcher aveva
    concepito una forte ripugnanza alla monarchia ereditaria. Eppure non
    amava la democrazia. Era capo d'un'antica famiglia normanna, ed
    orgoglioso della propria stirpe; bel parlatore, forbito scrittore, e
    vanitoso della sua superiorità intellettuale. E come gentiluomo e
    come dotto, guardava con disdegno la plebe; ed era tanto poco
    inchinevole a porre nelle mani di quella il potere politico, da
    crederla perfino inetta a fruire della libertà personale. Ella è
    curiosissima circostanza, come questo uomo, il più onesto, intrepido
    e irremovibile repubblicano de' tempi suoi, dovesse essere stato
    l'autore di un sistema, in cui gran parte delle classi operaie di
    Scozia venivano ridotte in ischiavitù. Davvero, ei vivamente
    somigliava a quei senatori romani, i quali mentre odiavano il nome
    di Re, difendevano con inflessibile orgoglio i privilegi dell'ordine
    loro contro le usurpazioni della moltitudine, e governavano gli
    schiavi e le schiave loro per mezzo del ceppo e del flagello.
    
    XII. Amsterdam fu il luogo dove ragunaronsi i fuorusciti scozzesi ed
    inglesi. Argyle ci andò dalla Frisia, Monmouth dal Brabante. Tosto
    si conobbe, gli esuli quasi nulla avere di comune, tranne l'odio
    contro Giacomo, e la impazienza di rimpatriare. Gli Scozzesi
    sentivano gelosia degl'Inglesi, e questi di quelli. Le alte pretese
    di Monmouth offendevano Argyle, il quale, altero dell'antica nobiltà
    e d'essere legittimamente disceso da sangue regio, non amava punto
    rendere omaggio a colui ch'era frutto d'un amore vagabondo ed
    ignobile. Ma fra tutte le dissensioni che turbavano la piccola banda
    de' fuorusciti, la più seria fu quella che sorse tra Argyle e parte
    de' suoi seguaci. Alcuni degli esuli scozzesi, in un lungo corso
    d'opposizione alla tirannide, avevano acquistata tanta infermità
    d'intendimento e di tempra, da render loro insopportabile il freno
    più giusto e necessario. Sapevano di non potere tentar nulla senza
    Argyle. Avrebbero dovuto conoscere, che non volendo correre diritto
    alla propria rovina, era mestieri o che ponessero piena fiducia nel
    loro capo, o che deponessero ogni pensiero d'impresa militare. La
    esperienza ha pienamente provato che, in guerra, ogni operazione,
    dalle altissime alle infime, dovrebbe essere diretta da una mente
    sola, e che ogni agente subordinato dovrebbe obbedire
    implicitamente, valorosamente e con dimostrazione di contento, agli
    ordini ch'egli disapprova, o le cui ragioni ei non conosce. Le
    assemblee rappresentative, le pubbliche discussioni, e tutti gli
    altri impedimenti, onde ne' civili negozi i governanti sono
    infrenati perchè non abusino del potere che hanno tra mani, in un
    campo di battaglia sono cose fuori di luogo. Machiavelli
    dirittamente attribuiva molti dei disastri di Venezia e di Firenze
    alla gelosia che spingeva quelle repubbliche a immischiarsi in ogni
    atto de' loro capitani(413). La usanza che era in Olanda di mandare
    negli eserciti deputati, senza il cui consentimento non potesse
    farsi nulla d'importante, fu quasi egualmente perniciosa. Senza
    dubbio, non è punto certo che un capitano, al quale nell'ora del
    pericolo sia stato affidato un potere dittatorio, lo deponga
    pacificamente nell'ora del trionfo; e questa è una delle tante
    considerazioni che dovrebbe fare esitare gli uomini innanzi che si
    determinassero a rivendicare con la spada la libertà pubblica. Ma
    ove deliberino tentare le sorti della guerra, essendo savii,
    porranno nelle mani del loro capo quella piena autorità, senza la
    quale non può bene condursi la guerra. Può darsi, che dandogli tale
    autorità, egli diventi un Cromwell o un Napoleone; ma è quasi certo
    che, negandogliela, la intrapresa loro finisca come quella di
    Argyle.
    
    Alcuni dei fuorusciti scozzesi, infiammati d'entusiasmo
    repubblicano, ed affatto privi dell'arte necessaria a condurre i
    grandi negozi, adoperarono tutta la industria e lo ingegno loro non
    a ragunare mezzi per l'aggressione che erano per fare contro un
    formidabile nemico, ma a trovar modi onde infrenare il potere del
    loro capo, ed assicurarsi contro la sua ambizione. La contenta
    stupidità onde insistevano a riordinare un'armata come se avessero a
    riordinare una repubblica, sarebbe incredibile, se non l'avesse
    ricordata con franchezza e anche con vanto uno di loro(414).
    
    XIII. Alla perfine, composte tutte le differenze, fu deliberato di
    fare un tentativo sulle coste occidentali della Scozia, che sarebbe
    tostamente seguito da una discesa in Inghilterra.
    
    Argyle doveva esercitare il comando, di solo nome, in Iscozia; ma ei
    venne sottoposto al freno d'un Comitato, che riserbava a sè tutte le
    parti più importanti dell'amministrazione militare. Questo Comitato
    aveva potestà d'indicare il luogo dove dovesse approdare la
    spedizione, nominare gli ufficiali, soprintendere alla leva delle
    milizie, aver cura delle provigioni e della munizione. Ciò che
    rimaneva al Generale, era il dirigere le evoluzioni dell'armata nel
    campo; e fu forzato a promettere che anche in campo, tranne nel caso
    d'una sorpresa, non avrebbe nulla fatto senza lo assenso di un
    Consiglio di Guerra.
    
    Monmouth doveva comandare in Inghilterra. La sua anima debole,
    secondo il consueto, erasi informata dal sentire di coloro che lo
    circondavano. Le ambiziose speranze, le quali parevano estinte, gli
    si riaccesero rapidamente in cuore. Rimembrava lo affetto con che lo
    avevano sempre accolto i popoli delle città e delle campagne, e
    s'aspettava di vederli insorgere a centinaia di migliaia per dargli
    il benvenuto. Rimembrava il buon volere onde i soldati lo avevano
    ognora obbedito, e lusingavasi di vederseli venire intorno a
    reggimenti interi. Avvicendavansi di continuo i messaggi
    incoraggianti che gli erano mandati da Londra. Lo assicuravano che
    la violenza e la ingiustizia con che s'erano fatte le elezioni,
    avevano reso frenetica la nazione; che la prudenza de' principali
    Whig con difficoltà era pervenuta a impedire uno scoppio sanguinoso
    d'ira popolare nel dì della incoronazione; e che tutti i grandi
    Lordi i quali avevano sostenuta la Legge d'Esclusione, erano
    impazienti di raccogliersi intorno a lui. Wildman, che amava di
    inculcare il tradimento con parabole, mandò a lui dicendo che il
    Conte di Richmond, appunto duecento anni avanti, era sbarcato in
    Inghilterra con una mano d'uomini, e pochi giorni appresso era stato
    incoronato, nel campo di Bosworth, col diadema strappato dalla
    fronte di Riccardo. Danvers si tolse il carico di fare insorgere la
    Città. Il duca fu tratto a credere che, appena innalzato il proprio
    vessillo, le Contee di Bedford e di Buckingham, Hampshire e Chester,
    sarebbero corse alle armi(415). Gli si accese, quindi, nell'animo il
    desio di una intrapresa, dalla quale poche settimane innanzi erasi
    mostrato aborrente. I suoi concittadini non gl'imposero restrizioni
    assurde, come quelle che avevano con tanto studio trovate i
    fuorusciti scozzesi. La sola cosa che da lui richiesero, fu la
    promessa di non assumere il nome di Re, se prima le sue pretese non
    fossero sottoposte al giudicio di un libero Parlamento.
    
    Fu deliberato che due Inglesi, Ayloffe e Rumbold, avrebbero
    accompagnato Argyle in Iscozia, e che Fletcher sarebbe andato con
    Monmouth in Inghilterra. Fletcher, fino da principio, erasi
    sinistramente augurato dell'impresa; ma il suo spirito cavalleresco
    non gli concedeva di schivare un rischio, al quale gli amici suoi
    parevano impazienti di esporsi. Allorquando Grey ridisse,
    approvando, ciò che Wildman aveva detto intorno a Richmond e a
    Riccardo, il dotto e riflessivo Scozzese notò giustamente, come il
    secolo decimoquinto assai differisse dal decimosettimo. Richmond era
    sicuro dello aiuto de' baroni, ciascuno de' quali poteva condurre in
    campo un'armata di possidenti feudali; e Riccardo non aveva nè anche
    un reggimento di soldati regolari(416).
    
    Gli esuli poterono, in parte coi propri mezzi, in parte con le
    contribuzioni che avevano raccolto dai loro benevoli in Olanda,
    raccogliere una somma di pecunia bastevole alle due spedizioni. Poco
    ottennero da Londra, donde aspettavansi sei mila lire sterline; ma
    invece di danaro, Wildman mandò scuse: il che avrebbe dovuto aprire
    gli occhi a tutti coloro i quali non erano ostinatamente ciechi. Il
    duca supplì al difetto impegnando le proprie gioie e quelle di Lady
    Wentworth. Comprarono armi, munizioni e provigioni, ed
    equipaggiarono varie navi che erano in Amsterdam(417).
    
    XIV. È da notarsi che il più illustre e gravemente danneggiato degli
    esuli inglesi, si tenne molto lontano da cotesti temerarii consigli.
    Giovanni Locke odiava da filosofo la tirannia e la persecuzione; ma
    in grazia dello intendimento e dell'indole sua, serbossi immune
    dalle violenze di parte. Aveva avuta grande domestichezza con
    Shaftesbury, e per ciò era caduto in disgrazia della Corte.
    Nondimeno, la sua prudenza era stata sì grande, che poco avrebbe
    giovato il trascinarlo anche dinanzi ai tribunali parziali e
    corrotti di quel tempo. Se non che potevano nuocergli in una sola
    cosa. Essendo egli studente di Christ College nella Università di
    Oxford, pensarono di cacciarlo da quel celebre collegio, lui che era
    il più grande uomo del quale il collegio si fosse potuto gloriare!
    Ma ciò non era facile. Locke in Oxford erasi astenuto d'esprimere
    qualsiasi opinione intorno alla politica allora vigente. Venne
    circuito di spie. Dottori in divinità e Maestri d'Arti non
    vergognarono di fare il più vile di tutti i mestieri; quello, cioè,
    d'invigilare le labbra d'un collega, onde riferirne le parole e
    rovinarlo. La conversazione nella sala veniva appositamente rivolta
    a subietti delicati; voglio dire alla Legge di Esclusione, e al
    carattere del Conte di Shaftesbury: ma invano. Locke, senza
    lasciarsi trasportare da' moti dell'animo, e senza dissimulare,
    mantenne sì fermo silenzio e contegno, che gli strumenti del
    Governo, stizziti, confessarono di non aver mai veduto un uomo che
    al pari di lui sapesse così bene signoreggiare la propria lingua e
    le proprie passioni. Vedendo che il tradimento non giovava a nulla,
    fecero uso del potere arbitrario. Dopo d'avere indarno tentato di
    prendere Locke in fallo, il Governo determinò di punirlo innocente.
    Da Whitehall giunsero in Oxford ordini di cacciarlo via; ordini che
    il Decano de' Canonici si affrettò a mandare ad esecuzione.
    
    Locke viaggiava nel continente per riacquistare la salute, allorchè
    gli giunse la nuova che era stato privato di tetto e di pane senza
    processo, e senza nè anche un avviso. La ingiustizia colla quale era
    stato trattato, lo avrebbe reso degno di scusa s'egli si fosse
    appigliato a mezzi violenti per ottenere un riparo. Ma non era uomo
    da lasciarsi acciecare da un risentimento personale: non si augurava
    alcun bene de' disegni di coloro che s'erano ragunati in Amsterdam;
    e chetamente si ritrasse in Utrecht, dove, mentre i suoi compagni di
    sventura apparecchiavano la propria distruzione, egli attendeva a
    scrivere la sua celebre Lettera sopra la Tolleranza(418).
    
    XV. Al Governo inglese pervenne, senza dubbio, la nuova che qualche
    cosa macchinavasi dai fuorusciti. Pare che in prima non sospettasse
    d'una invasione in Inghilterra, ma temeva che Argyle sarebbe tra
    breve comparso in armi fra mezzo agli uomini della sua tribù. E però
    fu pubblicato un proclama, con cui si ordinava di porre la Scozia in
    istato di difesa. Fu fatto comandamento che le milizie civiche si
    tenessero apparecchiate. Tutte le tribù ostili al nome di Campbell,
    si posero in moto. Giovanni Murray, Marchese d'Athol, fu fatto
    Luogotenente della Contea d'Argyle, ed a capo di una gran torma de'
    suoi seguaci, occupò il castello d'Inverary. Parecchi individui
    sospetti vennero messi in carcere. Altri furono astretti a dare
    ostaggi. Mandarono vascelli da guerra ad incrociare presso l'isola
    di Bute; e parte dell'esercito d'Irlanda fu fatto marciare verso la
    costa di Ulster(419).
    
    XVI. Intanto che in Iscozia facevansi tali apparecchi, Giacomo
    chiamò a sè Arnaldo Van Citters, che stava in Inghilterra come
    ambasciatore delle Provincie Unite; ed Everardo Van Dykvelt, il
    quale, dopo la morte di Carlo, era stato inviato dagli Stati
    Generali con missione speciale di condoglianza e congratulazione. Il
    Re disse d'avere ricevuto da fonti incontrastabili nuova dei disegni
    che macchinavano contro il suo trono i suoi sudditi fuorusciti in
    Olanda. Alcuni di loro erano gente da forche, cui null'altro che una
    singolare provvidenza di Dio aveva impedito di commettere un
    esecrando assassinio; e stava fra loro il signore del luogo scelto
    ad eseguirvi il macello. "Tra tutti i viventi" soggiunse il Re
    "Argyle ha i maggiori mezzi di nuocermi; e tra tutti i luoghi, la
    Olanda è quello d'onde può partire un colpo contro me." Citters e
    Dykvelt assicurarono la Maestà Sua, che ciò ch'ella aveva detto,
    sarebbe stato sollecitamente comunicato al Governo da essi
    rappresentato, e speravano fermamente che verrebbe fatto ogni sforzo
    a satisfare il desiderio di quella(420).
    
    Gli ambasciatori, esprimendo tale speranza, dirittamente parlavano.
    Il Principe d'Orange e gli Stati Generali erano a quel tempo molto
    desiderosi che della ospitalità olandese non si facesse abuso
    rispetto a cose delle quali il Governo inglese avesse potuto muovere
    giusta doglianza. Giacomo aveva poco innanzi dette parole che
    facevano sperare come ei non si sarebbe pazientemente sottoposto al
    predominio della Francia. Pareva probabile che avrebbe assentito a
    formare un'alleanza con le Provincie Unite e la Casa d'Austria. Era,
    quindi, nell'Aja estrema sollecitudine di evitare tutto ciò che lo
    avesse potuto offendere. Lo interesse personale di Guglielmo era
    anche in questa occasione identico a quello del suo suocero.
    
    Ma il caso era uno di quelli che richiedono rapidità e vigoria
    d'azione; e la natura delle istituzioni batave rendeva ciò
    impossibile. La Unione d'Utrecht, rozzamente formatasi fra mezzo al
    trambusto d'una rivoluzione a fine di ovviare agli estremi bisogni
    della cosa pubblica, non era stata deliberatamente riesaminata e
    resa più perfetta in tempi tranquilli. Ciascuna delle sette
    repubbliche avvincolate da quella Unione, serbavano quasi tutti i
    diritti di sovranità, e li difendevano gelosamente contro il Governo
    centrale. E come le Autorità federali non avevano i mezzi di farsi
    prontamente obbedire dalle provinciali, così queste non gli avevano
    per ottenere pronta obbedienza dalle municipali. La sola Olanda
    comprendeva diciotto città, ciascuna delle quali era per molti
    rispetti uno stato indipendente, e geloso che altri s'immischiasse
    nelle sue faccende. Se i reggitori di una tale città ricevevano
    dall'Aja un ordine che fosse loro spiacevole, o non se ne davano
    punto pensiero, o languidamente e tardi lo eseguivano. In alcuni
    Consigli municipali, a dir vero, la influenza del Principe d'Orange
    era onnipotente. Ma per isventura, il luogo dove gli esuli inglesi
    eransi raccolti, e i loro navigli stavano equipaggiati, era la ricca
    e popolosa Amsterdam, i cui magistrati erano capi della fazione
    avversa al governo federale ed alla Casa di Nassau.
    L'amministrazione marittima delle Provincie Unite era condotta da
    cinque diversi uffici d'Ammiragliato; uno de' quali, residente in
    Amsterdam, in parte era nominato dalle Autorità della città, e
    sembra che fosse animato dallo spirito di quelle.
    
    Tutte le cure del Governo federale adoperate a porre ad effetto ciò
    che Giacomo desiderava, andarono a vuoto per i sutterfugi de'
    reggitori d'Amsterdam, e per gli errori del Colonnello Bevil
    Skelton, che pur allora era arrivato in Olanda come inviato del
    Governo inglese. Skelton aveva abitato in Olanda al tempo delle
    civili perturbazioni della Inghilterra, e quindi veniva reputato
    adatto a quell'ufficio(421); ma veramente, egli non era buono nè per
    quella nè per qual si fosse altra situazione diplomatica. Taluni
    espertissimi giudici degli umani caratteri affermarono ch'egli era
    il più leggiero, volubile, passionato, presuntuoso e ciarliero degli
    uomini(422). Non fece diligenti indagini intorno a ciò che i
    refugiati facevano, finchè tre navi equipaggiate per la spedizione
    di Scozia si posero in salvo fuori del Zuyder Zee, finchè le armi,
    le munizioni e le vettovaglie furono sul bordo, e i fuorusciti
    s'imbarcarono. Allora, invece di rivolgersi, siccome avrebbe dovuto
    fare, agli Stati Generali, che ragunavansi accanto alla sua casa,
    spedì un messo ai magistrati d'Amsterdam, richiedendoli di fermare
    le navi sospette. I magistrati d'Amsterdam risposero, che lo
    ingresso nel Zuyder Zee era fuori della loro giurisdizione, e lo
    rimandarono al Governo federale. Vedevasi chiaramente che ciò era
    una pretta scusa, e che se gli Stati d'Amsterdam avessero davvero
    voluto impedire la partenza di Argyle, non avrebbero messa in mezzo
    difficoltà veruna. Skelton, quindi, si rivolse agli Stati Generali,
    i quali mostraronsi dispostissimi a fare quanto egli chiedeva; e
    perchè il caso era urgente, misero da banda la usanza che
    ordinariamente osservavano nella espedizione degli affari. Nel dì
    medesimo ch'egli fece loro la sua dimanda, fu spedito allo
    Ammiragliato d'Amsterdam un ordine esattamente conforme a quanto
    egli aveva richiesto. Ma tale ordine, a cagione di certe erronee
    informazioni da lui ricevute, non descriveva precisamente la
    situazione delle navi. Dicevasi che fossero nel Texel, ma erano nel
    Vlie. Lo Ammiragliato d'Amsterdam si giovò di cotesto errore per non
    far nulla; e innanzi che lo sbaglio venisse chiarito, le tre navi
    ormai veleggiavano(423).
    
    XVII. Le ultime ore che Argyle passò sulle coste d'Olanda, furono
    ore di grande ansietà. Gli stava da presso un vascello da guerra
    olandese, che in un istante, scaricando le batterie, avrebbe potuto
    far finire la sua spedizione. Attorno alla sua piccola flotta vagava
    una barca, sopra la quale si stavano co' cannocchiali in mano
    parecchi individui, ch'egli credeva spie. Ma nulla fu tentato
    d'efficace a fermarlo, e nel pomeriggio del dì secondo di maggio
    prese il largo, con un vento favorevole.
    
    Il viaggio fu prospero. Il dì 6 erano in vista alle Orcadi. Argyle,
    sconsigliatamente, gettò l'áncora a Kirkwall, e concesse a due de'
    suoi che scendessero a terra. Il vescovo gli fece prendere. Gli
    esuli tennero sopra a questa sciagura una lunga e animata
    discussione; imperocchè, dal principio sino al fine della
    spedizione, comunque fredda e irresoluta fosse stata la loro
    condotta, nel discutere non mostrarono mai difetto di calore e di
    perseveranza. Alcuni opinavano di aggredire Kirkwall; altri di
    procedere senza indugio verso la contea di Argyle. Finalmente, al
    Conte venne fatto di porre le mani addosso ad alcuni gentiluomini
    che abitavano presso la costa dell'isola, e propose al vescovo uno
    scambio di prigionieri. Il vescovo non rispose; e la flotta, dopo
    d'avere perduti tre giorni, rimise alla vela.
    
    XVIII. Questo indugio corse pieno di pericoli. Si seppe immantinente
    in Edimburgo, che la squadra de' ribelli aveva toccato le Orcadi.
    Furono subito poste in movimento le truppe. Allorquando il Conte
    arrivò alla sua provincia, trovò fatti gli apparecchi a respingerlo.
    In Dunstaffnage mandò a terra Carlo, suo secondo figlio, perchè
    chiamasse alle armi i Campbell. Ma Carlo tornò con triste nuove. I
    pastori e i pescatori erano pronti a raccogliersi sotto il vessillo
    di Mac Callum More; ma de' capi delle tribù, alcuni erano in
    carcere, altri fuggiaschi. Que' gentiluomini che erano rimasti nelle
    loro case, o erano bene affetti al Governo, o temevano di muoversi;
    e, ricusarono infino di vedere il figlio del loro capo. Da
    Dunstaffnage la piccola flotta processe a Campbelltown, presso la
    riva meridionale della penisola di Kintyre. Quivi il Conte pubblicò
    un proclama, scritto in Olanda, sotto la direzione del Comitato, da
    Giacomo Stewart, avvocato scozzese, il quale pochi mesi dopo adoperò
    la sua penna a scopo ben differente. In quella scrittura erano
    esposte, con vigoria di parole che talvolta trascorrevano alla
    scurrilità, molte doglianze vere, e molte immaginarie. Vi si
    accennava come Carlo fosse morto di veleno. Dichiaravasi che fine
    precipuo della spedizione era di sopprimere onninamente non solo il
    Papismo, ma la Prelatura, che veniva chiamata la radice e il
    germoglio più tristo del Papismo; e tutti gli onesti Scozzesi
    venivano esortati ad operare valorosamente per la causa della loro
    patria e del loro Dio.
    
    Per quanto Argyle fosse zelante di quella ch'egli considerava come
    religione pura, non ebbe scrupolo di praticare un rito mezzo papale
    e mezzo pagano. La croce di tasso misteriosa, pria accesa, e poi
    spenta nel sangue di una capra, fu mandata a convocare tutti i
    Campbell dagli anni sedici ai sessanta. L'istmo di Tarbet fu
    stabilito come luogo di convegno. La rassegna, ancorchè fosse
    piccola in paragone di quel che sarebbe stata se il coraggio e il
    vigore delle tribù non fossero stati oppressi, fu nondimeno
    formidabile. Tutte le forze raccolte ascendevano a mille ottocento
    uomini. Argyle partì i suoi montanari in tre reggimenti, e si pose a
    nominare gli ufficiali.
    
    XIX. Le dispute, già cominciate in Olanda, non erano mai cessate per
    tutto il corso della spedizione; ma a Tarbet si fecero più violente
    che mai. Il Comitato voleva immischiarsi anche nell'autorità
    patriarcale che il Conte esercitava sopra i Campbell, e non voleva
    concedergli di stabilire a suo arbitrio i gradi militari de' suoi
    consorti. Mentre cotesti litigiosi faccendieri studiavansi di
    spogliarlo del potere ch'egli aveva sopra le montagne, mandavano e
    ricevevano lettere, senza mai mostrarle a colui che aveva nome di
    Generale, dagli uomini delle pianure. Hume e i suoi colleghi s'erano
    riserbata la soprintendenza delle provigioni, e conducevano questa
    parte importantissima dell'amministrazione della guerra con una
    profusione che male si sarebbe potuta distinguere dalla disonestà;
    lasciavano guastar l'armi, consumare le vettovaglie, e vivevano
    gozzovigliando, là dove avrebbero dovuto a tutti i loro sottoposti
    porgere esempio di temperanza.
    
    La grande questione era di determinare se la sede della guerra
    dovesse essere nelle montagne o nelle pianure. La prima cosa che il
    Conte voleva conseguire, era di stabilire la propria autorità negli
    aviti dominii, cacciare gl'invasori che dalla Contea di Perth
    s'erano gettati su quella di Argyle, e insignorirsi dell'antica
    residenza della propria famiglia in Inverary. Allora avrebbe potuto
    sperare di avere quattro o cinquemila spade sotto il suo comando.
    Con tali forze avrebbe potuto difendere quelle selvagge contrade
    contro il potere dello intero Regno di Scozia, e assicurarsi un
    ottimo punto ad offendere l'inimico. Pare che questo partito
    fosse(424) il più savio fra quanti gliene rimanessero. Rumbold,
    ch'era stato educato in una insigne scuola militare, e come Inglese
    poteva tenersi per arbitro imparziale fra le fazioni scozzesi, fece
    ogni sforzo per rinvigorire il braccio del Conte. Ma Hume e Cochrane
    erano estremamente intrattabili. La gelosia che sentivano d'Argyle
    era, in verità, più forte del desiderio che avevano perchè la
    impresa avesse prospero successo. S'accôrsero come egli tra i suoi
    monti e laghi, e a capo di un'armata massimamente composta delle sue
    proprie tribù, avrebbe potuto vincere ogni opposizione ed esercitare
    piena autorità di Generale. Andavano sussurrando, che i soli ai
    quali la buona causa stesse a cuore, erano gli uomini delle pianure,
    e che i Campbell erano corsi alle armi nè per la libertà nè per la
    Chiesa di Dio, ma solo per Mac Callum More. Cochrane dichiarò che,
    se fosse dipeso da lui, sarebbe andato alla Contea d'Ayr, senza
    avere altro in mano che un forcone. Argyle, dopo una lunga
    resistenza, assentì, contro il proprio giudicio, a dividere la sua
    piccola armata; e si rimase con Rumbold nelle montagne. Cochrane e
    Hume capitanavano le forze che s'imbarcarono per invadere le
    pianure.
    
    Cochrane mirava alla Contea di Ayr; ma la costa di Ayr era guardata
    dalle fregate inglesi, e agli avventurieri fu forza risalire la
    corrente del Clyde fino a Greenock, allora piccolo villaggio di
    pescatori, che consisteva in una sola fila di tugurii di legno, e
    adesso è ricco e florido porto, i cui proventi doganali ascendono a
    una somma cinque volte maggiore della intera rendita che gli Stuardi
    ricavavano dal Regno di Scozia. Parte della milizia civica era
    appostata in Greenock; ma Cochrane, che pativa difetto di
    provigioni, deliberò d'approdare. Hume si oppose. Cochrane fece
    comandamento ad un ufficiale, chiamato Elphinstone, che immantinente
    conducesse in una barca venti uomini sulla spiaggia. Ma lo spirito
    litigioso de' capi erasi propagato in tutte le file. Elphinstone
    rispose, ch'egli non era tenuto ad obbedire se non ai comandi
    ragionevoli; che considerava quell'ordine come irragionevole; in
    somma, che non voleva andarci. Il Maggiore Fullarton, prode uomo,
    stimato da tutti, ma peculiarmente diletto ad Argyle, assunse
    l'incarico di andare a terra con soli dodici uomini; e così fece,
    malgrado il fuoco che veniva dalla costa. Ne seguì una lieve zuffa.
    La milizia civica indietreggiò. Cochrane entrò in Greenock e fece
    provigioni di vettovaglie, ma non trovò le genti disposte ad
    insorgere.
    
    XX. Difatti, l'opinione pubblica in Iscozia non era quale gli esuli,
    traviati dallo acciecamento comune agli esuli in tutti i tempi,
    avevano supposto che fosse. Il Governo certamente era meritevole
    d'odio, e tenuto in abborrimento; ma i malcontenti, scissi in
    partiti, erano l'uno all'altro così avversi quasi come ai
    governanti, nè alcuno di tali partiti inchinava a congiungersi con
    gl'invasori. Molti credevano che la insurrezione non avesse
    probabilità di prospero successo; lo spirito di molti altri era
    prostrato per lunga e crudele oppressione. Eravi, a vero dire, una
    classe d'entusiasti, poco avvezzi a calcolare le probabilità, e
    dalla oppressione non domati, ma resi frenetici. Costoro vedevano
    poca differenza tra Argyle e Giacomo. L'ira loro era giunta a tal
    segno, che quello che a chiunque altro sarebbe sembrato bollente
    zelo, pareva loro tepidezza Laodicea. La vita trascorsa del Conte
    era macchiata di ciò ch'essi consideravano come vilissima apostasia.
    Quegli stessi montanari da lui adesso condotti ad estirpare la
    prelatura, pochi anni prima erano stati da lui medesimo chiamati a
    sostenerla. E siffatti schiavi, che nulla sapevano e nulla curavansi
    della religione, pronti a combattere per il Governo sinodale, per lo
    Episcopato, per il Papismo, secondo che a Mac Callum More fosse
    piaciuto comandar loro, potevano eglino essere buoni alleati del
    popolo di Dio? Il proclama, per quanto indecente e intollerante
    fosse nella forma, agli occhi di cotesti fanatici era componimento
    codardo e mondano. Una riforma qual Argyle intendeva stabilire, e
    quale fu poi stabilita da altro più potente e fortunato liberatore,
    sembrava loro che non valesse un conflitto. Essi avevano mestieri
    non solo della libertà di coscienza per sè stessi, ma d'assoluto
    dominio sopra la coscienza altrui; non solo della dottrina, della
    politica, e del culto de' Presbiteriani, ma della Convenzione in
    tutto il suo estremo rigore. Nulla poteva contentarli se non questo,
    che ogni fine per cui esiste la società civile venisse sacrificato
    al predominio d'un sistema teologico. Chiunque credeva che nessuna
    forma di Governo ecclesiastico valesse il violare la carità
    cristiana, e raccomandava armonia e tolleranza, secondo la frase
    loro, tentennava tra Jehovah e Baal. Chiunque condannava quegli
    atti, come lo assassinio del Cardinale Beatoun e dell'Arcivescovo
    Sharpe, cadeva nel medesimo peccato per cui Saul era stato detto
    indegno d'essere re d'Israele. Tutte le usanze che fra gli uomini
    inciviliti e cristiani mitigano gli orrori della guerra, erano
    abominazioni al cospetto del Signore. Non doveva darsi nè accettare
    quartiere. Un Indiano furibondo che meni coltellate a destra e a
    sinistra, un cane arrabbiato inseguito dalla folla, erano gli esempj
    da imitarsi dai guerrieri che combattevano per la propria difesa. A
    tutte le ragioni che dirigono la condotta degli uomini di Stato e
    dei capitani, le menti di quegli zelanti erano al tutto
    inaccessibili. Se un uomo si fosse rischiato ad addurle, era
    argomento bastevole per escluderlo dal numero de' fedeli. Se non
    v'era la benedizione del Cielo, di poca efficacia sarebbero state le
    arti degli astuti politici, e de' vecchi capitani, le armi venute
    dall'Olanda, i reggimenti de' non rigenerati Celti discesi dalle
    montagne di Lorn. Se, dall'altro canto, il tempo del Signore era
    giunto, egli poteva, come in antico, ordinare che le cose stolte del
    mondo confondessero le savie, e poteva salvare con pochi egualmente
    che con molti. Gli spadoni d'Athol e le baionette di Claverhouse
    sarebbero state impotenti a resistere ad armi frivole come la fionda
    di David o la secchia di Gedeone(425).
    
    Cochrane avendo veduto essere impossibile fare insorgere le
    popolazioni a mezzodì del Clyde, andò a congiungersi con Argyle, che
    era nell'isola di Bute. Il Conte di nuovo propose di fare un
    tentativo sopra Inverary, e di nuovo incontrò pertinacissima
    opposizione. Gli abitanti delle marine si posero dalla parte di Hume
    e di Cochrane. I montanari obbedirono ciecamente ai comandi del loro
    capo. V'era ragione di temere che i due partiti venissero a
    conflitto; e il timore d'un tanto disastro indusse il Comitato a
    fare qualche concessione. Il castello di Ealan Chiering, posto sulle
    bocche di Loch Riddan, fu scelto come capo luogo d'armi. Quivi
    sbarcarono le provigioni militari. La squadra ancorò presso alle
    mura in un luogo, dove rimaneva protetta da rocce e secche tali, che
    pensavasi nessuna fregata le potesse passare. Vi fecero nuovi
    ripari; eressero una batteria di piccoli cannoni presi dalle navi.
    Il comando del forte fu sconsigliatamente affidato ad Elphinstone,
    il quale aveva per prova fatto conoscere d'essere più disposto a
    disputare coi comandanti, che a combattere con l'inimico.
    
    Adesso per poche ore si fece mostra di qualche energia. Rumbold
    prese il castello di Ardkinglass. Il Conte scaramucciò
    vittoriosamente con le truppe d'Athol, e stava per procedere verso
    Inverary, quando le gravissime nuove giunte dalle navi, e i litigi
    nel Comitato, lo forzarono a tornare addietro. Le fregate regie
    s'erano spinte più presso ad Ealan Chiering di quel che si credeva
    possibile. I gentiluomini delle pianure ricusarono positivamente di
    avanzarsi oltre verso le montagne. Argyle corse frettolosamente ad
    Ealan Chiering. Ivi propose di aggredire le fregate. Vero è che le
    sue navi erano poco atte a sostenere simigliante incontro; ma
    sarebbero state soccorse da una flottiglia di trenta grosse barche
    da pescare, ciascuna delle quali era bene equipaggiata di montanari
    armati. Il Comitato, nondimeno, ricusò di porgere ascolto a tale
    proposta, e ne rese impossibile la esecuzione facendo nascere un
    tumulto fra' marinaj.
    
    Quindi, tutto fu confusione e scoraggimento. Le provvigioni erano
    state così male amministrate dal Comitato, che mancavano le
    vettovaglie alle truppe. I montanari perciò disertavano a centinaia;
    e il Conte, col cuore lacerato dalla propria sciagura, cesse alla
    urgenza di coloro che pertinacemente seguitavano ad insistere
    ch'egli marciasse verso le pianure.
    
    La piccola armata, adunque, si affrettò a giungere alla sponda di
    Loch Long, traversò sulle barche quel passo, ed approdò alla Contea
    di Dumbarton. Ivi, il dì seguente, pervenne la nuova che le fregate
    avevano forzato il passo, che tutte le navi del Conte erano state
    prese, e che Elphinstone era fuggito da Ealan Chiering, lasciando il
    castello e le munizioni al nemico.
    
    Ciò che rimaneva a fare, era d'invadere, malgrado ogni svantaggio,
    le pianure. Argyle deliberò di spingersi arditamente fino a Glasgow.
    Ma appena ebbe ciò detto, coloro stessi, i quali fino a quel momento
    lo avevano istigato a piombare celeremente sulle pianure,
    spaventati, disputavano, protestavano; e quando videro che nè
    ragionamenti nè rimostranze giovavano, fecero disegno d'insignorirsi
    delle barche e fuggire, lasciando il loro Generale e gli uomini suoi
    a vincere o perire senza soccorso. Tale disegno andò fallito; e i
    vigliacchi che lo avevano concepito, furono costretti a dividere co'
    più valorosi i rischi della estrema prova dell'armi.
    
    Mentre gl'insorgenti procedevano fra mezzo al paese che giace tra
    Loch Long e Loch Lomond, furono continuamente infestati dalle
    milizie civiche. Seguirono alcune scaramucce, in cui il Conte ebbe
    prospera la ventura; ma le bande da lui respinte, nello
    indietreggiare, sparsero la nuova del suo avvicinarsi, e tosto dopo
    ch'egli ebbe varcato il fiume Leven, trovò un forte corpo di truppe
    regolari ed irregolari apparecchiato a fargli fronte.
    
    Egli opinava doversi dare battaglia. Ayloffe assentiva. Ma Hume
    dichiarò, che provocare il nemico sarebbe stata demenza. Vide un
    reggimento in uniforme scarlatto. Pensò che altri ve ne fossero
    dietro. Aggredire tante forze sarebbe stato un correre a morire. Il
    miglior partito da prendere, era quello di tenersi cheti fino a
    notte, ed allora ritirarsi.
    
    Ne seguì un aspro alterco, che Rumbold, ponendosi di mezzo, a stento
    riuscì a sedare. Era la sera. Le armate nemiche accampavano a poca
    distanza l'una dall'altra. Il Conte provossi a proporre
    un'aggressione notturna, e di nuovo le sue parole andarono a vuoto.
    
    XXI. Dacchè erasi deliberato di non combattere, altro non rimaneva a
    fare che prendere il partito proposto da Hume. Era probabile che,
    levando il campo secretamente, e procedendo tutta la notte traverso
    scopeti e pantani, il Conte si sarebbe vantaggiato di molte miglia
    sull'inimico, e sarebbe potuto giungere senza altri ostacoli a
    Glasgow. Lasciarono accesi i fuochi del campo e si posero a
    marciare. E qui i disastri cominciarono ad avvicendarsi. Le guide,
    perduta la traccia traverso agli scopeti, condussero l'armata nei
    marosi. Non fu possibile serbare l'ordine militare fra soldati
    indisciplinati e scoraggiati, sotto un cielo tenebroso e in un
    terreno traditore e ineguale. La paura in mille guise si sparse
    nelle disordinate file. Ciascuna ombra, ciascun rumore pareva
    indicare lo avvicinarsi del nemico. Alcuni ufficiali contribuirono a
    spargere il terrore che avevano debito di calmare. L'armata aveva
    preso sembiante d'una caterva di plebe, e cominciò a disperdersi.
    Gl'insorti fuggivano a torme sotto il velo della notte. Rumbold, e
    alcuni altri uomini valorosi, i quali nessun pericolo avrebbe
    atterriti, smarrirono il cammino, e non poterono ricongiungersi col
    corpo principale dell'armata. Allo spuntare del giorno, soli
    cinquecento fuggiaschi si raccolsero in Kilpatrick, stanchi e
    scuorati.
    
    Ogni pensiero di continuare la guerra era cessato; ed era chiaro che
    i capi della spedizione avrebbero incontrate non poche difficoltà a
    salvare la vita. Si dettero a fuggire per varie direzioni. Hume
    giunse salvo sul continente. Cochrane fu preso e mandato a Londra.
    Argyle sperava di trovare un asilo sicuro sotto il tetto d'uno de'
    suoi antichi servi che abitava presso Kilpatrick. Ma gli fallì la
    speranza; e gli fu forza di varcare il Clyde. Prese le vesti di
    contadino, dicendo d'essere la guida del Maggiore Fullarton, la cui
    coraggiosa fedeltà stette salda contro ogni pericolo. I due amici
    viaggiarono insieme per la Contea di Renfrew fino a Inchinnan. Ivi
    il Black Cart e il White Cart - due fiumi che ora scorrono traverso
    a prospere città, e muovono le ruote di molte fattorie, ma allora
    compivano il loro corso tranquillo fra mezzo a pascoli e scopeti -
    si congiungono insieme innanzi di gettarsi nel Clyde. L'unico guado
    per cui i viandanti potessero passare, era guardato da una mano di
    milizia civica. Vennero fatte loro alcune dimande. Fullarton
    provossi di far cadere il sospetto sopra sè solo, perchè al compagno
    non si badasse. Ma gl'interrogatori suspicavano che la guida non
    fosse il rozzo villano che pareva. Gli posero le mani addosso.
    Argyle si spinse d'un salto nelle acque, ma immantinente fu preso.
    Lottò per breve tempo contro cinque aggressori; ma non avendo altre
    armi, tranne le sue pistole da tasca, le quali, inoltre, erano sì
    bagnate, a cagione d'essersi immerso nell'acqua, che non vollero
    prendere fuoco, fu gettato a terra da un colpo di spadone, e messo
    in custodia.
    
    Confessò d'essere il Conte d'Argyle, forse sperando che il suo gran
    nome avrebbe mossi a riverenza e pietà coloro dai quali era stato
    preso. E davvero, ne furono molto commossi, come quelli che erano
    semplici Scozzesi d'umile condizione; e benchè fossero corsi alle
    armi a pro della Corona, probabilmente preferivano l'ordinamento e
    il culto della Chiesa Calvinistica, ed erano assuefatti a riverire
    il loro prigione come capo d'una casa illustre e campione della Fede
    Protestante. Ma quantunque fossero manifestamente commossi, tanto
    che alcuni ne piangevano, non vollero perdere una pingue
    rimunerazione, ed incorrere nella vendetta d'un Governo implacabile.
    Condussero, quindi, il prigione a Renfrew. L'uomo che fu parte
    principale nella presura del Conte, chiamavasi Riddell. Per questa
    ragione, tutta la stirpe de' Riddell, per più d'un secolo, fu tenuta
    in abborrimento dalla gran tribù di Campbell. I nostri vecchi si
    ricordano ancora che quando un Riddell andava ad una fiera nella
    Contea d'Argyle, era costretto ad assumere un falso nome.
    
    Ora comincia la parte più splendida della vita d'Argyle. Fin qui la
    sciagurata impresa non gli aveva arrecato se non rimprovero e
    scherno. Il più grande de' suoi errori fu di non avere risolutamente
    ricusato d'accettare il nome senza il potere di Generale. Se si
    fosse tenuto tranquillo nel suo ritiro di Frisia, in pochi anni
    sarebbe stato richiamato onorevolmente alla patria, e sarebbe stato
    annoverato fra i principali ornamenti e sostegni della Monarchia
    costituzionale. Se avesse condotta la espedizione a seconda del
    proprio giudicio, e menato con seco nessuni altri seguaci che quelli
    i quali erano implicitamente apparecchiati ad obbedire a tutti gli
    ordini suoi, è possibile ch'egli avesse compito qualche cosa di
    grande; avvegnachè sembri non avere avuto difetto di coraggio,
    d'operosità, d'espertezza, ma solamente d'autorità. Avrebbe dovuto
    conoscere che tra tutti i difetti, questo è il più fatale. Non pochi
    eserciti hanno vinto sotto capitani privi di doti eminenti. Ma quale
    esercito comandato da un circolo che sempre discuta, ha mai evitato
    il disonore e la sconfitta?
    
    La grave calamità che era accaduta ad Argyle, fece sì ch'egli
    potesse mostrare con prove evidenti quale specie d'uomo ei si fosse.
    Dal giorno in cui abbandonò la Frisia, fino a quello in che i suoi
    seguaci si dispersero a Kilpatrick, egli non aveva mai operato
    liberamente. Aveva portata la responsabilità d'una lunga serie di
    azioni, che in cuor suo disapprovava. Finalmente, era libero d'agire
    a suo modo. La cattività gli aveva ridata la nobile libertà di
    governare sè stesso in tutte le parole ed azioni sue, secondo il
    senso ch'egli aveva del diritto e della convenienza. Da
    quell'istante, diventò come ispirato di nuova virtù e saviezza. Il
    suo intelletto parve rinvigorirsi e concentrarsi, il suo carattere
    morale elevarsi, e ad un tempo addolcirsi. La insolenza de'
    vincitori non tralasciò nulla che potesse porre alla prova la tempra
    d'un uomo altero della sua antica nobiltà e del suo dominio
    patriarcale. Il prigione fu trascinato in trionfo per le vie
    d'Edimburgo. Andò a piedi e col capo scoperto per tutta quella
    strada maestra, che, ombreggiata da anneriti e giganteschi edifici
    di pietra, da Holyrood conduce al Castello. Lo precedeva il
    carnefice, portando il ferale strumento che doveva recidergli la
    testa. Il partito vittorioso non aveva dimenticato come,
    trentacinque anni innanzi, il padre d'Argyle avesse capitanata la
    fazione che pose a morte Montrose. Prima di quell'avvenimento, la
    casa di Graham e quella di Campbell non si portavano scambievole
    affetto; e poscia, erano sempre state in mortale conflitto. Posero
    cura che il prigione passasse per la medesima porta e per le vie
    medesime per le quali Montrose era stato trascinato al medesimo
    patibolo(426). Come il Conte pervenne al Castello, gli furono posti
    i ceppi ai piedi, e gli fu detto che soli pochi giorni gli
    rimanevano a vivere. Era stato deliberato di non fargli processo per
    il nuovo delitto, ma porlo a morte per virtù della sentenza
    profferitagli contro vari anni prima; sentenza cotanto
    sciaguratamente ingiusta, che i legisti più servili e senza cuore
    che fossero in quel tempo, non ne potevano parlare senza sentirne
    vergogna.
    
    Ma nè la ignominiosa processione di High Street, nè il vicino
    spettacolo della morte, valsero a perturbare la gentile e maestosa
    pazienza d'Argyle. La sua forza d'animo ebbe a sottostare a più dura
    prova. Gli fu posta avanti gli occhi una lista di domande per ordine
    del Consiglio Privato. Rispose solo a quelle alle quali poteva
    rispondere senza porre a pericolo nessuno de' suoi amici, e ricusò
    di dire più oltre. Gli fu detto, che ove non s'inducesse a
    rispondere appieno, sarebbe stato messo alla tortura. Giacomo, che
    di certo dolevasi di non potere gustare la voluttà di vedere con gli
    occhi propri Argyle posto allo stivaletto, spedì ad Edimburgo
    positivi comandamenti di non tralasciare cosa alcuna che potesse
    strappare dalle labbra del traditore confessioni contro gl'implicati
    nel tradimento. Ma ogni minaccia fu vana. Con i tormenti e la morte
    innanzi lo sguardo, Mac Callum More pensò assai meno a sè stesso,
    che a' poveri uomini suoi. "Sono stato oggi occupato" scrisse egli
    dal carcere "a trattare per loro, e non senza qualche speranza. Ma
    questa sera sono giunti ordini che mi dannano a morire lunedì o
    martedì; e debbo essere posto alla tortura, ove io non risponda con
    giuramento alle domande. Nonostante, spero che Dio mi sosterrà."
    
    La tortura non gli fu inflitta. Forse la magnanimità della vittima
    aveva commossi i vincitori ad insolita commiserazione. Notò egli
    stesso, come essi in prima lo avessero aspramente trattato, e poi
    tosto cominciassero ad usargli cortesia e rispetto. Dio, diceva
    egli, aveva mansuefatti i loro cuori. Vero è che a liberarsi dalle
    estreme crudeltà de' suoi nemici, non tradì nessuno degli amici
    suoi. L'ultimo dì della sua vita scrisse queste parole: "Non ho
    nominato nessuno per recargli danno. Ringrazio Dio che mi ha
    mirabilmente sostenuto."
    
    Compose il proprio epitaffio, che è una breve poesia, pregna di
    pensiero e di spirito, di stile semplice e vigoroso, e non
    ispregevole per la versificazione. In esso lamentava che, quantunque
    i suoi nemici gli avessero ripetutamente decretata la morte, i suoi
    amici gli erano stati anche più crudeli. Il commento di tali
    espressioni è da trovarsi in una lettera ch'egli diresse ad una
    signora in Olanda. Ella lo aveva provveduto d'una grossa somma di
    danari per la spedizione, e perciò ei la reputava come avente
    diritto a conoscere appieno le cagioni onde la impresa era andata in
    fallo. Lavò la fama de' suoi colleghi della macchia di tradimento;
    ma descrisse la insania, la ignoranza, la faziosa perversità loro,
    con parole che la loro propria testimonianza provò poi essere ben
    meritate. Dubitò poscia di avere fatto uso d'un linguaggio troppo
    severo per un cristiano presso a morire, ed in un foglio separato,
    pregò i suoi amici a cancellare ciò ch'egli aveva detto di quegli
    uomini. "Soltanto è d'uopo ch'io confessi" aggiunse egli, con tono
    mansueto "che essi erano irrefrenabili."
    
    La più parte delle sue ore estreme ei passò con molta divozione
    orando, o conversando affettuosamente con alcuni de' suoi. Non
    mostrò pentirsi della sua ultima impresa, ma deplorò con somma
    emozione d'essersi in prima mostrato compiacente nelle cose
    religiose alla volontà del Governo. Disse che Iddio lo puniva
    meritamente. Chi per tanto tempo era stato colpevole di codardia e
    dissimulazione, era indegno d'essere lo strumento di salvazione per
    lo Stato e la Chiesa. Nondimeno, spesso ripeteva, la causa per la
    quale egli aveva combattuto, essere la causa di Dio, e dovere
    sicuramente trionfare. "Non intendo d'esser profeta. Ma ho in cuore
    un forte presentimento, che il dì della liberazione è presso a
    spuntare." Non è cosa strana che molti zelanti Presbiteriani
    avessero impressi nella propria mente i detti di lui, e gli avessero
    poi attribuiti a ispirazione divina.
    
    La fede e la speranza religiosa, congiunte al coraggio ed alla
    tranquillità naturale della mente, avevano con tanta efficacia
    ricomposto il suo spirito nel dì in cui egli doveva morire, che
    desinò con appetito, fu gaio nel conversare, e, finito il pranzo, si
    distese, secondo aveva costume, onde con un breve ristoro di sonno
    il corpo e la mente si trovassero in pieno vigore nel momento
    ch'egli doveva salire sul palco. In quel mentre, uno de' Lordi del
    Consiglio, che, stato probabilmente educato Presbiteriano, s'era
    dallo interesse lasciato sedurre a congiungersi con gli oppressori
    di quella Chiesa di cui egli era stato parte, andò al Castello
    recando un messaggio da parte de' suoi confratelli, chiese del
    Conte, e gli fu risposto che il Conte dormiva. Il Consigliere
    Privato pensò che ciò fosse un sutterfugio per negargli l'accesso,
    ed insisté di volere entrare. La porta del carcere gli fu
    spalancata; e vide Argyle carico di ferri, disteso sul letto,
    dormendo il placido sonno dell'infanzia. Il rinnegato si sentì
    rimordere la coscienza; volse le spalle, e coll'animo turbato,
    uscendo precipitosamente dal Castello, andò a ricoverarsi nella casa
    di una sua parente che abitava lì presso. Ivi si gettò sur un letto,
    e cadde in un'angoscia di rimorso e di rossore. La donna, spaventata
    agli sguardi e ai gemiti di lui, credé che gli fosse sopraggiunto un
    accidente, e lo pregava di bere una tazza di vino dolce di Spagna.
    "No, no," disse egli "ciò non mi farà bene." Lo pregò che le dicesse
    qual cosa gli dava tanto disturbo. "Sono stato" rispose egli "nel
    carcere di Argyle, e l'ho veduto, non ostante che fra un'ora l'anima
    sua debba andare all'eternità, dormire, quanto uomo possa fare,
    dolcemente; mentre io..."
    
    Il Conte, levatosi di letto, erasi apparecchiato a sostenere gli
    estremi dolori della vita. Prima, fu condotto per High Street nel
    Palazzo del Consiglio, nel quale doveva rimanere quel poco che
    mancava all'ora della esecuzione della giustizia. In
    quell'intervallo di tempo, chiese penna e calamaio e scrisse a sua
    moglie. "Cuor mio! Dio è immutabile. Egli mi è stato sempre largo di
    bontà e di grazia; e non v'è luogo che me ne privi. Perdona a tutti
    i falli miei; e consolati in lui, nel quale soltanto è da trovarsi
    ogni consolazione. Il Signore sia teco, e ti benedica e ti conforti,
    o mia cara. Addio."
    
    XXII. Era giunto il momento di partire dal Palagio del Consiglio. I
    sacerdoti che assistevano il prigioniero, non erano della sua
    medesima religione; ma li ascoltò cortesemente, e gli esortò a
    premunire il gregge loro affidato contro quelle dottrine che tutte
    le Chiese protestanti concordemente condannavano. Salì sul palco,
    dove la vecchia rozza guigliottina di Scozia, chiamata la Damigella
    (the Maiden), lo aspettava; e rivolse al popolo un discorso, tessuto
    del frasario speciale della sua setta, ma imbevuto dello spirito
    d'una pietà tranquilla. Disse come egli perdonasse i suoi nemici,
    dai quali sperava d'essere perdonato. Una sola acre espressione gli
    uscì dal labbro. Uno de' sacerdoti episcopali che lo assistevano, si
    fece in sull'orlo del palco, e gridò: "Milord muore Protestante." -
    "Sì!" disse il Conte, spingendosi avanti, "sì! e non solo
    Protestante, ma acerrimo odiatore del papismo e della prelatura e
    d'ogni superstizione." Allora abbracciò i suoi amici, pose nelle
    loro mani alcuni ricordi perchè li recassero alla consorte e ai
    figli suoi, s'inginocchiò, chinò la testa sul ceppo, orò brevemente,
    e fece segno al carnefice. Il suo mozzo capo fu affisso alla cima
    del Tolbooth, dove quello di Montrose s'era dianzi disfatto(427).
    
    XXIII. La testa di Rumbold, uomo schietto e valoroso, comecchè non
    iscevro di biasimo, vedevasi già sul West Port d'Edimburgo.
    Circondato da colleghi faziosi e codardi, finchè durò la
    espedizione, erasi condotto da soldato educato alla scuola del Gran
    Protettore, aveva in Consiglio sostenuta valorosamente l'autorità
    d'Argyle, ed in campo s'era reso ammirevole per la sua tranquilla
    intrepidezza. Dopo la dispersione dell'armata, fu aggredito da una
    mano di milizia civica. Si difese disperatamente, e si sarebbe
    aperta una via fra mezzo ai nemici, se questi non gli avessero
    azzoppato il cavallo. Mortalmente ferito, fu menato in Edimburgo.
    Era desiderio del Governo che ei fosse giustiziato in Inghilterra.
    Ma era così presso a morire, che se non veniva appeso alle forche in
    Iscozia, non si sarebbe potuto impiccare affatto; e i vincitori non
    sapevano rinunciare al piacere d'impiccarlo. Non era da aspettarsi
    che avrebbero mostrato misericordia ad uno il quale era considerato
    come capo della congiura di Rye House, ed era possessore dello
    edifizio da cui quella aveva derivato il nome; ma la insolenza onde
    trattarono quell'uomo moribondo, parrebbe ai nostri tempi più miti
    quasi incredibile. Uno del Consiglio Privato di Scozia lo chiamò
    maledetto scellerato. "Io sono in pace con Dio" rispose Rumbold con
    calma; "come dunque posso io essere maledetto?"
    
    In fretta fu processato, convinto, e condannato ad essere tra poche
    ore appeso alle forche, e squartato, presso la croce della città in
    High Street. Quantunque non potesse tenersi sulle proprie gambe
    senza che venisse sorretto da due uomini, si mantenne forte fino
    allo estremo momento, e sotto il patibolo alzò la sua debole voce
    contro il papismo e la tirannide con tanta veemenza, che gli
    officiali comandarono si desse ne' tamburi perchè il popolo non
    l'udisse. Diceva d'essere stato amico della Monarchia temperata. Ma
    non aveva voluto mai credere che la Provvidenza avesse mandato nel
    mondo pochi uomini in isprone e stivale, pronti a cavalcare, e
    milioni pronti a lasciarsi imbrigliare e cavalcare. "Voglio" esclamò
    egli "benedire e magnificare il santo nome di Dio, che mi ha ridotto
    a questo punto non per male alcuno che io abbia fatto, ma per avere
    propugnata la sua causa in tempi infausti. Se ogni capello del mio
    capo fosse un uomo, li porrei a rischio tutti per questa contesa."
    
    E mentre era processato, e innanzi di essere giustiziato, parlò
    dell'assassinio con lo abborrimento convenevole a buon cristiano e
    valoroso soldato. Protestò, sulla fede di moribondo, di non avere
    mai avuto pensiero di commettere tanta scelleratezza. Ma confessò
    francamente d'avere, conversando coi suoi compagni di congiura,
    nominato la propria casa come luogo dove Carlo e Giacomo si
    sarebbero potuti assalire con prospero successo; e molto essersi
    ragionato sopra ciò, sebbene nulla si fosse concluso. Potrebbe a
    prima vista sembrare che cosiffatta confessione fosse incompatibile
    colla dichiarazione da lui fatta, di aver sempre abborrito dallo
    assassinio. Ma pare che egli ragionasse secondo una distinzione che
    aveva tratti in inganno molti de' suoi contemporanei. Per nulla al
    mondo si sarebbe mai indotto a porre il veleno nel cibo de' due
    Principi, od a trafiggergli con un pugnale nel sonno. Ma piombare
    inaspettatamente sopra la torma delle Guardie del Corpo che
    circuivano il cocchio reale, scambiare colpi di spada e correre la
    sorte di uccidere o essere ucciso, era, secondo lui, una operazione
    militare legittima. Le imboscate e le sorprese annoveravansi fra gli
    ordinari accidenti della guerra. Ciascun vecchio soldato, fosse
    Cavaliere o Testa-Rotonda, si era trovato in simiglianti imprese. Se
    il Re fosse caduto morto in una scaramuccia, sarebbe caduto per
    legittima battaglia, e non per assassinio. Precisamente de' medesimi
    argomenti si giovarono, dopo la Rivoluzione, Giacomo stesso e i suoi
    più fidi seguaci, per giustificare un iniquo attentato contro la
    vita di Guglielmo III. Una banda di Giacomisti ebbe lo incarico di
    assalire il Principe d'Orange ne' suoi quartieri invernali. Il
    significato nascosto sotto questa speciosa frase, era di segare la
    gola al Principe mentre da Richmond andava in cocchio a Kensington.
    Parrà strano che simiglianti fallacie, che sono la feccia delle
    dottrine de' casuisti gesuiti, potessero sedurre uomini di spirito
    eroico, sì Whig che Tory, a commettere un delitto, che le leggi
    divine ed umane hanno giustamente notato d'infamia. Ma non vi è
    sofisma tanto enorme che non inganni le menti rese insane dallo
    spirito di parte(428).
    
    Argyle, che sopravvisse di poche ore a Rumbold, lasciò testimonianza
    della virtù del valoroso Inglese. "Il povero Rumbold era mio gran
    sostegno, e valente uomo, e morì da cristiano(429)."
    
    XXIV. Ayloffe mostrò tanto disprezzo della morte, quanto ne avevano
    mostrato Argyle e Rumbold: ma la sua fine non edificò, come la loro,
    le anime pie. Quantunque la simpatia politica lo avesse fatto
    avvicinare ai Puritani, ei non aveva simpatia religiosa per essi, i
    quali lo consideravano poco meno d'un ateo. Apparteneva a quella
    classe de' Whig che cercavano esempi da imitare meglio fra i
    patriotti di Grecia e di Roma, che fra i profeti e i giudici
    d'Israele. Fu fatto prigione e condotto a Glasgow(430). Quivi tentò
    di uccidersi con un piccolo coltello; ma comecchè si facesse varie
    ferite, nessuna di esse fu mortale, ed egli ebbe forze bastevoli a
    sostenere il viaggio a Londra. Tratto dinanzi al Consiglio Privato,
    fu interrogato dal Re stesso; ma ebbe tanta altezza di animo, da non
    provvedere alla propria salute accusando altrui. Corse voce fra i
    Whig che il Re gli dicesse: "Fareste bene ad essere schietto con me,
    signore Ayloffe. Voi sapete che è in mio potere il perdonarvi."
    Allora il prigione, rompendo l'austero silenzio, rispose: "Ciò
    potrebbe essere nel vostro potere, non mai nell'indole vostra." Fu
    giustiziato, per virtù dell'antica condanna, innanzi la porta del
    Tempio, e morì con istoico contegno(431).
    
    XXV. In quel mentre, la vendetta de' vincitori piombò spietatissima
    sulle popolazioni della Contea d'Argyle. Molti de' Campbell furono
    senza processo impiccati da Athol; il quale con difficoltà venne
    impedito dal Consiglio Privato di fare altre uccisioni. La contrada,
    per la estensione di trenta miglia d'intorno a Inverary, fu
    devastata. Le case furono arse, le ruote de' mulini fatte in pezzi,
    gli alberi fruttiferi tagliati, e fino le radici seccate col fuoco.
    Le reti de' pescatori, solo mezzo di sussistenza a molti abitanti
    della costa, furono distrutte. Trecento, e più, ribelli e
    malcontenti vennero deportati alle colonie. Molti di loro furono
    anche condannati alla mutilazione. In un solo giorno, il carnefice
    d'Edimburgo tagliò le orecchie a trentacinque prigioni. Parecchie
    donne, dopo essere state segnate sulla guancia con un ferro rovente,
    furono mandate oltre l'Atlantico. Pensavasi anche di ottenere dal
    Parlamento una Legge che proscrivesse il nome di Campbell, come
    ottanta anni prima era stato proscritto quello di Mac Gregor(432).
    
    E' pare che la espedizione di Argyle avesse fatto poco senso nelle
    contrade meridionali dell'Isola. La nuova del suo sbarco giunse in
    Londra poco avanti che si adunasse il Parlamento Inglese. Il Re ne
    dètte lo annunzio dal trono; e le Camere lo assicurarono che lo
    avrebbero difeso contro ogni nemico. Null'altro fu chiesto loro.
    Sopra la Scozia non avevano autorità nessuna; e una guerra che
    ardeva così lontano, e della quale quasi fino da principio poteva di
    leggieri prevedersi l'esito, destò solo un languido interesse in
    Londra.
    
    Ma una settimana innanzi la dispersione finale dell'armata d'Argyle,
    la Inghilterra era agitata dalla nuova dello sbarco sulle sue
    spiaggie d'un più formidabile invasore. I fuorusciti avevano
    stabilito che Monmouth muoverebbe dall'Olanda sei giorni dopo la
    partenza degli Scozzesi. Egli aveva differita per breve tempo la
    spedizione, forse sperando che la maggior parte delle soldatesche,
    stanzianti nel mezzodì, si sarebbero fatte marciare verso tramontana
    appena scoppiata la guerra nelle montagne, e quindi non avrebbe
    trovate forze pronte ad opporglisi. Allorquando poi volle partirsi,
    il vento spirava contrario e impetuoso.
    
    Mentre la sua flotta stavasi a sbattere nel Texel, una contesa erasi
    desta fra le Autorità olandesi. Gli Stati Generali e il Principe
    d'Orange stavano da una parte; la magistratura e lo Ammiraglio
    d'Amsterdam, dall'altra.
    
    Skelton aveva porta agli Stati Generali una lista di fuorusciti, la
    dimora de' quali nelle Provincie Unite recava inquietudine al suo
    signore. Gli Stati Generali, desiderosi di assentire ad ogni
    ragionevole richiesta di Giacomo, ne mandarono copie alle Autorità
    Municipali. Ai magistrati delle città tutte fu ingiunto di usare
    ogni mezzo ad impedire che i Whig proscritti molestassero il Governo
    Inglese. Generalmente, questi ordini furono osservati. A
    Rotterdam(433) in ispecie, dove la influenza di Guglielmo era
    onnipotente, si fece mostra di tale operosità, da meritarsi i più
    caldi ringraziamenti di Giacomo. Ma la sede principale degli esuli
    era Amsterdam, i cui governanti non volevano veder nulla, udire
    nulla, sapere nulla. Il Gran Sergente della città, che stava
    giornalmente in comunicazione con Ferguson, riferì all'Aja, come
    egli non sapesse dove trovare un solo de' fuorusciti; e con questa
    scusa al Governo federale fu forza di tenersi pago. Vero è che gli
    esuli inglesi erano sì ben conosciuti ad Amsterdam, che il popolo
    appiccava loro gli occhi addosso come se fossero stati Chinesi(434).
    
    Pochi giorni dopo, Skelton ricevè ordini dalla sua Corte perchè
    chiedesse, che a cagione de' pericoli che minacciavano il trono del
    suo signore, i tre reggimenti scozzesi ai servigi delle Provincie
    Unite, fossero senza indugio rimandati nella Gran Bretagna. Si
    rivolse al Principe d'Orange; il quale si tolse il carico di
    maneggiare il negozio, ma predisse che Amsterdam avrebbe opposta
    qualche difficoltà. La predizione avverossi. I Deputati d'Amsterdam
    ricusarono d'acconsentire; il che fu cagione di qualche ritardo. Ma
    la questione non era di quelle che, per virtù della Costituzione
    della repubblica, una sola città poteva, contro il desiderio della
    maggioranza, impedire che si mandassero ad esecuzione. La influenza
    di Guglielmo prevalse; e le truppe furono speditamente
    imbarcate(435).
    
    Skelton infrattanto adoperavasi, certo non con molto giudizio e
    moderazione, a fermare le navi equipaggiate dai fuorusciti inglesi.
    Rimproverò fortemente lo Ammiragliato d'Amsterdam, dicendo che per
    la negligenza di quello, una banda di ribelli aveva potuto invadere
    la Gran Bretagna. A un secondo errore della medesima specie non vi
    sarebbe stata nessuna scusa. Chiese che senza tardanza un grosso
    legno, chiamato l'Helderenbergh, fosse sequestrato. Spacciavasi
    destinato per le Canarie. Ma in verità, era stato noleggiato da
    Monmouth, portava ventisei cannoni, ed era carico d'armi e di
    munizioni. Lo Ammiragliato d'Amsterdam rispose, che la libertà del
    traffico e della navigazione non doveva violarsi per lievi ragioni,
    e che l'Helderenbergh non poteva essere fermato senza comandamento
    degli Stati Generali. Skelton, che pare avesse costume di cominciare
    le cose a rovescio, ricorse agli Stati Generali, e questi dettero
    gli ordini necessari. Allora lo Ammiragliato d'Amsterdam allegò, che
    nel Texel non vi fossero forze navali bastevoli a fermare un legno
    grosso come era l'Helderenbergh, e lasciò che Monmouth facesse vela
    senza molestia(436).
    
    Il tempo era cattivo, il viaggio lungo, e vari vascelli da guerra
    inglesi incrociavano nel Canale. Ma Monmouth evitò i pericoli del
    mare e dell'inimico. Passando lungo le rupi della Contea di Dorset,
    pensò di mandare sur una barca alla riva uno de' fuorusciti, che
    aveva nome Tommaso Dare. Questo uomo, quantunque basso di
    intelligenza e di modi, esercitava grande influenza in Tauton. Gli
    fu ingiunto di quivi recarsi frettolosamente, attraversando il
    paese, ed annunziare agli amici suoi, che Monmouth avrebbe tra breve
    toccato il suolo dell'Inghilterra(437).
    
    XXVI. La mattina del dì undecimo di giugno, l'Helderenbergh,
    accompagnato da due più piccoli legni, comparve nel porto di Lyme.
    Questa città è formata da un piccolo gruppo di ripidi ed angusti
    viottoli, giacenti sur una costa selvaggia, piena di rocce, e
    battuta da un mare procelloso. Era a que' giorni notevole per una
    pila costruitavi nei tempi de' Plantageneti, con pietre ineguali e
    non cementate. Questo antico lavoro, conosciuto sotto il nome di
    Cob, chiudeva l'unico porto, dove, per uno spazio di molte miglia, i
    pescatori potevansi riparare dalle tempeste del Canale.
    
    L'apparizione di cotesti tre legni forestieri senza bandiera, rese
    perplessi gli abitatori di Lyme; ai quali crebbe la inquietudine
    come non videro ritornare gli ufficiali di Dogana, che, secondo la
    usanza, si erano recati sul bordo. Il popolo della(438) città corse
    sulle alture, si stette lungo tempo a guardare con ansietà, ma non
    sapeva intendere un tanto mistero. Finalmente, sette barche
    spiccaronsi dalla più grande delle strane navi, e corsero difilate
    alla spiaggia. Scesero a terra circa ottanta uomini, bene armati e
    bene in arnese. Erano fra loro Monmouth, Grey, Fletcher, Ferguson,
    Wade ed Antonio Buyse, ufficiale già stato a servizio dello Elettore
    di Brandenburgo(439).
    
    Monmouth impose silenzio, prostrassi in ginocchio, e ringraziò Dio
    per avere scampati gli amici della libertà e della religione pura
    da' pericoli del mare, ed implorò la benedizione divina sopra quanto
    gli restava da fare per terra. Snudò la spada, e condusse i suoi
    uomini su per le rupi alla città.
    
    Appena saputosi sotto quale condottiero ed a che fine la spedizione
    era arrivata, lo entusiasmo del popolaccio ruppe ogni freno. La
    piccola città fu tutta in subbuglio; erano le genti che, correndo
    per ogni verso, andavano gridando: "Monmouth! Monmouth! La Religione
    Protestante!" Intanto, nella piazza del mercato venne inalberata una
    bandiera azzurra, che era la insegna degli avventurieri. Le
    provigioni militari furono poste nel palazzo civico; e una
    Dichiarazione, nella quale manifestavasi lo scopo della impresa, fu
    letta presso la croce della città(440).
    
    XXVII. Tale Dichiarazione, capo lavoro del genio di Ferguson, non
    era un manifesto dignitoso quale avrebbe dovuto essere quello di un
    condottiero che brandiva la spada a propugnare una gran causa, ma un
    libello di bassissima specie e per concetto e per elocuzione(441).
    Conteneva molte verissime accuse contro il governo, ma erano
    espresse con lo stile prolisso e gonfio di un cattivo articolo;
    oltrechè comprendeva molti(442) addebiti che recavano disonore a
    coloro soltanto che li scagliavano. Vi si affermava come cosa certa,
    che il Duca di York aveva incendiata Londra, strangolato Godfrey,
    mozzato il capo ad Essex, avvelenato il Re defunto. A cagione di
    quei nefandi e snaturati delitti, e principalmente di quel fatto
    esecrabile, cioè dell'orribile e barbaro parricidio - tale era la
    facondia e tale la felicità dello scrivere di Ferguson - Giacomo
    veniva dichiarato mortale e sanguinoso nemico, tiranno, assassino ed
    usurpatore. Con lui non doveva venirsi a condizioni. La spada non
    doveva riporsi nel fodero finchè ei non avesse ricevuto il castigo
    che meritano i traditori. Il governo era da riordinarsi secondo i
    principii favorevoli alla libertà. Tolleranza per tutte le sètte
    protestanti; Parlamenti annui, da non prorogarsi e disciogliersi a
    volontà del Principe; la milizia cittadina unico esercito stanziale,
    comandato dagli Sceriffi, e questi da eleggersi dai liberi
    possidenti. In fine, Monmouth dichiarava come egli potesse provare
    d'essere nato di legittimo matrimonio, ed essere, per diritto di
    eredità, Re d'Inghilterra; ma per allora poneva da parte i suoi
    diritti, li sottoponeva al giudicio di un libero Parlamento; e
    intanto desiderava essere considerato solo come Capitano Generale
    dei Protestanti inglesi, i quali eransi armati a distruggere la
    tirannide e il papismo.
    
    XXVIII. Disonorevole come era tale Manifesto a coloro che lo avevano
    messo fuori, non era fatto senza arte a fine di incitare le passioni
    del volgo. Nelle contrade occidentali produsse grande effetto. I
    gentiluomini e il clero di quelle parti dell'Inghilterra, tranne
    pochi, erano Tory. Ma i piccoli possidenti, i trafficanti delle
    città, i contadini e gli artigiani, erano generalmente animati dal
    vecchio spirito delle Teste-Rotonde. Molti erano Dissenzienti, ed
    esasperati da piccole persecuzioni, dispostissimi a gettarsi in una
    disperata impresa. Il grosso del popolo abborriva dal Papismo, e
    adorava Monmouth, il quale non gli era straniero. Il viaggio ch'egli
    nella state del 1680 fece nelle Contee di Somerset e di Devon, era
    ancora vivo nella memoria di tutti. In quella occasione, era stato
    sontuosamente ospitato da Tommaso Thynne in Longleat Hall, che era
    allora, e forse anche oggi, la più magnifica casa campestre
    dell'Inghilterra. Da Longleat ad Exeter, lungo le siepi, stavano di
    qua e di là schierati numerosi spettatori che lo acclamavano. Le
    strade erano sparse di fronde e di fiori. La moltitudine, ansiosa di
    vedere e toccare il suo prediletto, rompeva le palizzate de' parchi,
    ed affollavasi ne' luoghi dove egli era festeggiato. Quando arrivò a
    Chard, la sua scorta componevasi di cinquemila cavalli. Ad Exeter
    tutto il popolo del Devonshire erasi raccolto per salutarlo. Era
    notevole parte dello spettacolo una compagnia di novecento giovani,
    i quali, coperti di bianco uniforme, lo precedevano verso la
    città(443). Il giro di fortuna, che aveva scissi dalla sua causa i
    gentiluomini, non aveva prodotto nessuno effetto nel popolo basso.
    Per esso egli era sempre il buon Duca, il Duca protestante, lo erede
    legittimo, che una vile congiura aveva privato del proprio retaggio.
    Le genti correvano in folla al suo vessillo. Tutti gli scrivani
    ch'egli potè adoperare, non bastavano a notare i nomi delle reclute.
    Non era anche stato ventiquattro ore sulle rive dell'Inghilterra, e
    trovavasi a capo di mille cinquecento uomini. Dare arrivò da Taunton
    con quaranta cavalli d'aspetto non molto marziale, e recò nuove
    incoraggianti intorno allo stato dell'opinione pubblica nella Contea
    di Somerset. Fin qui tutto pareva procedere prosperamente(444).
    
    Ma in Bridport andavansi ragunando forze per farsegli contro. Ivi
    arrivò, nel dì decimoterzo di giugno, il reggimento rosso della
    guardia civica della Contea di Dorset. Quello della Contea di
    Somerset, ovvero reggimento giallo, di cui era colonnello Guglielmo
    Porter, gentiluomo Tory di non poca importanza, aspettavasi per il
    giorno seguente(445). Il Duca deliberò di avventurare subitamente il
    colpo. Parte delle sue truppe apparecchiavasi già a marciare verso
    Bridport, allorquando un disastroso evento pose in iscompiglio tutto
    il campo.
    
    Fletcher e Saltoun erano stati destinati a comandare, sottoposti a
    Grey, la cavalleria. Fletcher aveva un cattivo cavallo; e veramente
    pochi animali erano nel campo che non fossero stati tolti
    all'aratro. Come gli fu ordinato di partire per Bridport, pensò che
    l'urgenza del caso gli dovesse essere scusa a giovarsi, senza
    licenza, d'un bel cavallo che apparteneva a Dare. Questi se ne
    offese, e parlò dure parole a Fletcher; il quale si tenne cheto più
    di quanto si sarebbero aspettato coloro che lo conoscevano. In fine
    Dare, reso più audace dal contegno paziente con che l'altro
    sosteneva la insolenza di lui, rischiossi a minacciare con una
    bacchetta il ben nato ed altero Scozzese. Fletcher si sentì
    ribollire il sangue, trasse fuori una pistola e stese Dare a terra
    morto. Così repentina e violenta vendetta non sarebbe stata riputata
    strana in Iscozia, dove le leggi erano state sempre deboli; dove
    chiunque non si fosse fatta ragione da sè, non era verosimile che la
    ottenesse da altri; e dove, perciò, della vita umana facevasi così
    poco pregio, quanto nelle peggio governate provincie della Italia.
    Ma le genti delle contrade meridionali dell'Isola, non erano avvezze
    a vedere fare uso delle armi micidiali, e spargersi il sangue per
    una parola e un gesto aspro, tranne in duello fra gentiluomini
    pugnanti con armi uguali. Sorse, dunque, un grido universale di
    vendetta contro lo straniero che aveva assassinato un Inglese.
    Monmouth non potè far fronte ai clamori. Fletcher, il quale, appena
    calmato l'impeto della rabbia, si sentì opprimere dal rimorso e dal
    cordoglio, ricoveratosi sopra l'Helderenbergh, fuggì sul continente,
    e andò in Ungheria, dove valorosamente pugnò contro il comune nemico
    del nome cristiano(446).
    
    XXIX. Qualunque fossero state le condizioni degl'insorgenti, alla
    perdita d'un uomo d'egregie doti d'animo, non poteva di leggieri
    supplirsi. La mattina del giorno seguente, che era il dì
    decimoquarto di giugno, Grey, accompagnato da Wade, si mosse con
    circa cinquecento uomini a dare l'assalto a Bridport. Ne seguì un
    fatto d'arme confuso e non decisivo, quale era da aspettarsi da due
    bande di contadini, che comandate da gentiluomini e da avvocati di
    provincia, erano venute alle mani. Per qualche tempo gli uomini di
    Monmouth fecero rinculare la guardia civica. Poi essa stette ferma,
    e costrinse gl'inimici a ritirarsi disordinatamente. Grey, con la
    sua cavalleria, non si fermò mai finchè non si vide di nuovo salvo a
    Lyme; ma Wade raccolse i fanti e li condusse innanzi con buon
    ordine(447).
    
    Levossi allora un violento grido contro Grey; e taluni degli
    avventurieri incitavano Monmouth a trattarlo severamente. Monmouth,
    nondimeno, non volle prestare ascolto a cotesti consigli. La sua
    mitezza è stata da parecchi scrittori attribuita a bontà d'indole,
    la quale spesso diventava debolezza. Altri hanno supposto ch'egli
    non volesse condursi violentemente col solo Pari che servisse nella
    sua armata. Nonostante, è probabile che il Duca, il quale, comunque
    non fosse grandissimo capitano, s'intendeva di guerra molto meglio
    de' predicatori e dei legisti che sempre lo tempestavano con
    consigli, fece concessioni che gente affatto inesperta nelle
    faccende militari non avrebbe mai pensato di fare. Per rendere
    giustizia ad un uomo che ha avuti pochi difensori, è d'uopo
    osservare, che la parte assegnata a Grey, per tutto il tempo che
    durò la campagna, era tale, che se egli fosse stato il più ardito ed
    esperto de' soldati, non avrebbe potuto mai compierla in modo da
    acquistargli credito. È noto che un soldato a cavallo richiede un
    più lungo esercizio di un soldato a piedi, e che il cavallo da
    guerra richiede anche esso più lungo esercizio del suo cavaliere.
    Qualche cosa può farsi con una fanteria immatura, purchè abbia
    entusiasmo e coraggio; ma nulla può esservi più inconvenevole d'una
    cavalleria nuova e inesperta, composta di possidenti e di
    trafficanti montati sopra cavalli da soma e da posta: e tale era la
    cavalleria di Grey. Non è da maravigliarsi che i suoi non
    sostenessero risoluti l'impeto del fuoco nemico, e non menassero
    vigorosamente le armi, ma che potessero tenere i posti loro.
    
    Le reclute seguitavano ad accorrere a torme. Gli armamenti e gli
    esercizi militari continuavano ogni giorno. In questo mentre, la
    nuova della insurrezione erasi sparsa per ogni dove. La sera stessa
    in cui il Duca pose piede a terra, Gregorio Alford, gonfaloniere di
    Lyme, Tory zelante ed acerrimo persecutore de' non conformisti,
    mandò i suoi servi ad annunziare la cosa ai gentiluomini delle(448)
    Contee di Somerset e di Dorset, ed egli stesso cavalcò alla volta
    del paese occidentale. A notte avanzata fermossi in Honiton, dove
    scrisse in poche parole le triste nuove, e le spedì a Londra(449).
    Volò poi ad Exeter, dove trovò Cristoforo Monk, Duca di Albemarle.
    Questo nobile uomo, figlio ed erede di Giorgio Monk restauratore
    degli Stuardi, era Lord Luogotenente del Devonshire, ed allora
    stavasi a passare a rassegna la guardia civica. Aveva pronti sotto
    il suo comando quattromila militi cittadini. E' pare ch'egli
    credesse(450) di potere con tali forze spegnere ad un tratto la
    ribellione. E però marciò alla volta di Lyme.
    
    XXX. Ma come, nel pomeriggio del lunedì 15 di giugno, egli giunse ad
    Axminster, vi trovò gl'insorgenti pronti a fargli fronte. Gli si
    presentarono con risoluto aspetto; posero quattro pezzi da campagna
    contro le truppe regie. Le spesse siepi che da ambo i lati
    fiancheggiavano gli angusti stradali, erano guarnite di file di
    moschettieri. Albemarle, nondimeno, aveva meno timore degli
    apparecchi dell'inimico, che dello spirito che manifestavano le
    proprie milizie. Tale era la reputazione di Monmouth tra le
    popolazioni della Contea di Devon, che se le milizie civiche
    avessero potuto scoprire il suo ben noto aspetto, sarebbero corse in
    massa a porsi sotto il suo vessillo.
    
    Albemarle, quindi, comunque fosse superiore di forze, stimò savio
    consiglio di ritirarsi. La ritirata tosto prese sembianza di
    sconfitta. Tutto il paese era sparso d'armi e d'uniformi militari,
    che i fuggenti gettavano via; ed ove Monmouth gli avesse
    vigorosamente inseguiti, avrebbe probabilmente preso Exeter senza
    colpo ferire. Ma ei fu satisfatto dell'ottenuto vantaggio, ed amò
    meglio che le sue reclute fossero più esercitate innanzi di
    avventurarsi a fatti rischiosi. Per la qual cosa mosse alla volta di
    Taunton, dove arrivò il dì decimottavo di giugno, precisamente una
    settimana dopo il suo sbarco(451).
    
    XXXI. La Corte e il Parlamento s'erano grandemente commossi alle
    nuove giunte dall'occidente dell'isola. Alle ore cinque della
    mattina del sabato 13 di giugno, il Re aveva ricevuta la lettera che
    il Gonfaloniere di Lyme gli aveva spedita da Honiton. Il Consiglio
    Privato fu subitamente convocato. Si dettero ordini perchè si
    rafforzasse ogni compagnia di fanteria, ed ogni squadrone di
    cavalleria. Vennero istituite commissioni(452) per far leva di nuovi
    reggimenti.
    
    XXXII. La lettera di Alford fu presentata alla Camera de' Lordi, e
    la sostanza ne venne con un messaggio(453) comunicata a quella de'
    Comuni. I Comuni esaminarono i corrieri ch'erano arrivati
    dall'occidente, e tosto ordinarono di promulgare un decreto che
    condannasse Monmouth come reo di crimenlese. Si votarono indirizzi
    al Re, onde assicurarlo che i suoi Pari e il suo popolo erano
    deliberati di porre per lui la vita e gli averi contro tutti i suoi
    nemici. Nella prossima tornata, le Camere ordinarono che il
    Manifesto dei ribelli venisse bruciato per mano del boia; e il
    decreto di morte infamante passò per tutti gli stadii consueti. Tale
    decreto nel medesimo giorno fu approvato dal Re; e una rimunerazione
    di cinquemila lire sterline fu promessa a chiunque avesse arrestato
    Monmouth(454).
    
    Il fatto che Monmouth era in armi contro il Governo, era così
    notorio, che il decreto di morte infamante divenne legge con la
    lieve opposizione di uno o due Pari, e rade volte è stato con
    severità censurato anco dagli storici Whig. Nulladimeno, qualvolta
    si consideri di quanta importanza egli sia che gli uffici
    legislativi si tengano distinti dai giudiciali; che la voce
    pubblica, comunque forte ed universale, non si abbia per prova
    legale della colpa; e che si osservi la regola che nessun uomo si
    debba condannare alla morte senza porgergli modo a difendersi; e con
    quanta facilità e speditezza le violazioni de' grandi principii, una
    volta fatte, si allarghino; - saremo probabilmente disposti a
    credere che al partito preso dal Parlamento poteva farsi qualche
    obiezione. Nessuna delle due Camere aveva ragione alcuna, che anche
    un giudice corrotto come Jeffreys potesse ingiungere ai giurati di
    considerare come prova del delitto di Monmouth. I messaggeri
    esaminati dai Comuni non avevano prestato giuramento, e perciò
    avrebbero potuto raccontare prette fandonie, senza incorrere nella
    pena dello spergiuro. I Lordi, che avrebbero potuto fargli giurare,
    a quanto sembra, non esaminarono nessuno de' testimoni, e non
    avevano sottocchio altra prova all'infuori della lettera del
    Gonfaloniere di Lyme, la quale dinanzi alla Legge non era prova
    nessuna. Gli estremi pericoli, egli è vero, giustificano gli estremi
    rimedi. Ma il decreto di morte infamante era un rimedio che non
    poteva mandarsi ad esecuzione mentre durava il pericolo, e, cessato
    quello, diveniva superfluo. Intanto che Monmouth era in armi,
    tornava impossibile giustiziarlo. Se era vinto e preso, non vi
    sarebbe stato rischio o difficoltà a fargli il Processo. Tempo dopo
    fu ricordato, come curiosa circostanza, che fra i Tory zelanti i
    quali dalla Camera de' Comuni recarono il decreto alla barra de'
    Lordi, era Sir Giovanni Fenwick, rappresentante di
    Northumberland(455). Questo gentiluomo, pochi anni dopo, ebbe
    occasione di riesaminare la faccenda, e concluse che i decreti di
    morte infamante erano affatto ingiustificabili.
    
    In quell'ora di pericolo, il Parlamento porse altre prove di lealtà.
    I comuni dettero al Re la potestà di levare una somma straordinaria
    di quattrocentomila lire sterline per i suoi presentissimi bisogni;
    e perchè egli non incontrasse difficoltà a trovare la pecunia, si
    posero a immaginare nuove imposte. Il disegno di tassare le case
    novellamente edificate nella metropoli, fu rimesso in campo e
    validamente sostenuto dai gentiluomini di provincia. Fu deliberato
    non solo di tassare tali case, ma di fare una legge che proibisse di
    porre le fondamenta di nuovi edifici dentro un dato circuito
    attenente alla città. Siffatta deliberazione, nondimeno, non fu
    posta in effetto. Uomini potenti che possedevano terre ne' suburbii,
    e speravano di vedere nuove strade e piazze sorgere nelle
    possessioni loro, si valsero di tutta la loro influenza contro quel
    progetto. Fecero considerare come si richiedesse non poco tempo a
    provvedere a' particolari della nuova legge; mentre i bisogni del Re
    erano così urgenti, ch'egli aveva creduto necessario accelerare i
    procedimenti della Camera, gentilmente esortandola a sbrigarsi. Per
    lo che, il disegno di tassare gli edifizi fu messo da parte, e
    furono imposti nuovi dazi per cinque anni sopra le sete, le tele e i
    liquori spiritosi forestieri(456).
    
    I Tory della Camera Bassa, dipoi, misero fuori quella che essi
    chiamavano Legge per la sicurezza della persona e del Governo del
    Re. Proposero che verrebbe considerato delitto d'alto tradimento il
    dire che Monmouth fosse legittimo, il profferire parole tendenti a
    muovere odio o dispregio contro la persona o il Governo del Sovrano,
    o il fare proposta in Parlamento di cangiare l'ordine della
    successione. Alcuni di tali provvedimenti destarono disgusto e
    timore generale. I Whig, benchè fossero pochi e deboli, provaronsi
    di riannodarsi, e si trovarono rinforzati da un numero considerevole
    di moderati e assennati Cavalieri. Dicevano come fosse facile anche
    ad un uomo onesto frantendere le parole, che facilmente potevano
    male interpretarsi da un ribaldo. Ciò che si fosse detto
    metaforicamente, poteva essere inteso alla lettera, e in senso serio
    ciò che dicevasi per ischerzo. Una particella, un tempo, un modo, un
    punto ammirativo potevano costituire la differenza tra la colpa e la
    innocenza. Lo stesso Salvatore del genere umano, nella cui vita
    intemerata, la malizia non potè trovare argomento d'accusa, era
    stato tratto al tribunale per parole parlate. Falsi testimoni
    avevano soppressa una sillaba che avrebbe mostrato chiaramente
    quelle tali parole essere state dette in senso figurato, e così
    avevano dato al Sinedrio pretesto, sotto il quale fu consumato il
    più iniquo degli assassinii giudiciali.
    
    Dopo cotesto esempio, chi avrebbe potuto affermare che, se le
    semplici parole venissero dichiarate delitto d'alto tradimento, il
    più leale de' sudditi avrebbe potuto tenersi sicuro della propria
    vita? Tali argomenti produssero un effetto sì grande, che il
    Comitato fece alla Legge non poche modificazioni, che la resero
    assai più mite. Ma la clausola che dichiarava reo di crimenlese
    qualunque de' membri del Parlamento avesse proposta la esclusione
    d'un principe del sangue reale dal trono, sembra non essere stata
    posta in discussione, e venne adottata. Ed era cosa di nessuna
    importanza; ma serve a provare la ignoranza ed inespertezza de'
    cervelli riscaldati di que' realisti, de' quali abbondava la Camera
    de' Comuni. Se avessero imparati i primi rudimenti della
    legislazione, avrebbero veduto che l'atto che essi consideravano di
    tanto momento, sarebbe stato superfluo mentre il Parlamento era
    disposto a mantenere l'ordine della successione, e sarebbe stato
    revocato appena fosse venuto un Parlamento inchinevole a
    cangiarlo(457).
    
    Il decreto, con le modificazioni fatte, fu approvato e recato alla
    Camera de' Lordi, ma non divenne Legge. Il Re aveva ottenuto dal
    Parlamento tutti i sussidi pecuniari che si sarebbe potuto
    aspettare; e pensò che, mentre ardeva la ribellione, i nobili e i
    gentiluomini a lui fidi sarebbero stati più utili nelle loro Contee
    che in Westminster. Gli esortò quindi a terminare le loro
    deliberazioni, e nel dì 2 di luglio li accommiatò. Nello stesso
    giorno, approvò una Legge che richiamava a vita quella censura della
    stampa, che era spirata nel 1679. Fu espressa con poche parole poste
    alla fine di uno Statuto contenente varie provvisioni fatte nel
    finire della sessione. I cortigiani non credevano di avere riportata
    una vittoria. I Whig non mormorarono punto. Nella Camera de' Lordi,
    e in quella dei Comuni non vi furono dispareri, o anco, per quanto
    si possa adesso conoscere, discussione alcuna intorno a una
    questione che nella età nostra porrebbe in commovimento la società
    intera. E davvero, il mutamento era lieve e quasi impercettibile;
    imperocchè, dopo la scoperta della congiura di Rye House, la libertà
    della stampa esisteva solo di nome. Per molti mesi quasi nessun
    foglio avverso alla Corte era stato pubblicato alla macchia; ed alla
    macchia simili fogli si sarebbero, anche dopo la nuova Legge, potuti
    stampare(458).
    
    Le Camere si chiusero. Non furono prorogate, ma soltanto aggiornate,
    affinchè, venuta l'ora di ragunarsi di nuovo, avessero potuto
    ripigliare i loro lavori dal punto in cui gli avevano lasciati
    interrotti(459).
    
    XXXIII. Mentre il Parlamento divisava rigorose leggi contro Monmouth
    e i suoi partigiani, questi era stato accolto in Taunton con modo da
    fargli sperare che la impresa avrebbe avuto prospero fine. Taunton,
    al pari della più parte delle città nelle contrade meridionali
    dell'Inghilterra, era in que' tempi più importante di quello che sia
    ai nostri. Quelle città non sono ite in decadenza; chè anzi sono,
    tranne pochissime, più grandi e più ricche, meglio fabbricate e
    meglio popolate che non erano nel secolo decimosettimo. Ma, comecchè
    abbiano fatto positivi progressi, relativamente hanno
    indietreggiato. Sono state superate per ricchezza e popolazione
    dalle grandi città manifatturiere e commerciali del settentrione;
    città che, a tempo degli Stuardi, appena cominciavano ad essere
    conosciute come sedi dell'industria. Taunton, allorchè vi andò
    Monmouth, era un luogo d'insigne prosperità. Aveva abbondevoli
    mercati, e celebri lanifici. La popolazione vantavasi dicendo che la
    terra era irrigata di latte e di miele. Nè così favellavano solo i
    naturali del luogo; ogni straniero che salisse sopra la leggiadra
    torre di Santa Maria Maddalena, confessava di contemplare la più
    fertile delle valli d'Inghilterra. Era una contrada rigogliosa di
    pometi e di verdi pascoli, fra i quali sorgevano con vaga apparenza
    case, capanne e campanili di villaggio. I cittadini da lungo tempo
    pendevano alle dottrine presbiteriane e ai principii politici de'
    Whig. A tempo della grande guerra civile, Taunton, traverso a tutte
    le vicissitudini, erasi tenuta fida al Parlamento, era stata due
    volte cinta di stretto assedio da Goring, e due volte difesa dalla
    eroica virtù di Roberto Blake, che poscia divenne il celeberrimo
    Ammiraglio della Repubblica. Strade intere erano state incendiate
    dalle bombe e dalle granate de' Cavalieri. I viveri erano stati così
    scarsi, che il Governatore aveva fermamente annunziato di far
    distribuire al presidio carni di cavallo. Ma nè fuoco nè fame
    valsero mai a domare lo spirito di que' cittadini(460).
    
    La Restaurazione non aveva cangiata l'indole degli abitatori di
    Taunton, i quali seguitavano tuttavia a celebrare lo anniversario
    del fausto giorno in cui fu levato lo assedio posto alla città
    dall'armata regia; e il loro ostinato affetto alla vecchia causa,
    aveva destato in Whitehall tanta ira e timore, che il loro canale
    era stato riempito, e le loro mura distrutte fino dalle
    fondamenta(461). Lo spirito puritano ne' cuori loro, era stato
    tenuto sempre desto dai precetti e dallo esempio di uno tra i più
    celebri uomini del clero dissenziente; voglio dire, di Giuseppe
    Alleine. Alleine era l'autore d'un Trattato che aveva per titolo
    "Ammonimento ai non Convertiti;" libro che è anche oggi popolare in
    Inghilterra e in America. Dal fondo della prigione, dove lo avevano
    sepolto i vittoriosi Cavalieri, diresse ai suoi diletti amici di
    Taunton molte epistole imbevute dello spirito d'una pietà veramente
    eroica. La sua salute in breve tempo soggiacque agli effetti dello
    studio, degli affanni e della persecuzione; ma la sua memoria rimase
    lungamente cara e riverita da coloro ch'egli aveva ammoniti e
    catechizzati(462).
    
    I figli degli uomini, che quaranta anni innanzi avevano difese le
    mura di Taunton contro i realisti, adesso accoglievano Monmouth con
    acclamazioni di gioia e d'affetto. Ogni uscio, ogni finestra era
    adornata di festoni di fiori. Nessuno mostravasi nelle vie senza
    portare fitta al cappello una verde fronda, insegna della causa
    popolare. Le damigelle delle più insigni famiglie della città
    tessevano i vessilli degl'insorgenti. E in ispecie una bandiera,
    nella quale a magnifici ricami erano rappresentati gli emblemi della
    regia dignità, fu offerta a Monmouth da un drappello di fanciulle.
    Egli accettò il dono con quelle incantevoli maniere che erano tutte
    sue. La damigella che guidava la processione, lo presentò anco d'una
    piccola Bibbia di gran pregio. Egli la prese con riverenza, e disse:
    "Io vengo a difendere le verità che si contengono in questo libro, o
    a suggellarle, qualora bisogni, col sangue mio(463)."
    
    Ma intanto che Monmouth beavasi degli applausi della moltitudine,
    non poteva non accorgersi, con timore e rammarico, che le classi
    alte procedevano, quasi senza eccezione, ostili alla sua intrapresa,
    e che nessuna delle Contee, dove ei si era mostrato, insorgeva. Era
    stato assicurato da agenti che dicevano di saperlo da Wildman, come
    tutta l'aristocrazia Whig agognasse a correre alle armi. Ciò non
    ostante, era scorsa più d'una settimana da che la sua bandiera era
    stata inalberata in Lyme. I lavoranti, i piccoli fattori, i bottegai
    coi loro giovani, i predicatori dissenzienti, erano corsi in folla
    al campo de' ribelli; ma nè anche un solo Pari, o baronetto, o
    cavaliere, o membro della Camera de' Comuni, tranne qualche scudiere
    di sì poca importanza da non essere mai stato commissario di pace,
    erasi congiunto con gl'invasori. Ferguson, il quale fino dalla morte
    di Carlo era sempre stato l'angiolo malvagio di Monmouth, trovò lì
    pronto il consiglio. Il Duca, evitando di assumere il titolo di Re,
    erasi messo in una falsa postura. Se si fosse dichiarato sovrano
    d'Inghilterra, la sua causa avrebbe avuto sembiante di legalità.
    Adesso era impossibile conciliare il suo Manifesto coi principii
    della Costituzione. Era chiaro che o Monmouth o il suo zio era il Re
    legittimo. Monmouth non si rischiò a chiamarsi Re legittimo, e
    nondimeno negava che il suo zio lo fosse. Coloro che stavano per
    Giacomo, pugnavano per il solo uomo il quale s'era avventurato a
    pretendere al trono; e però, secondo le leggi del reame, facevano il
    proprio debito. Coloro che parteggiavano per Monmouth, combattevano
    per un sistema politico ignoto, che era da stabilirsi da una
    Convenzione non ancora esistente. Non è meraviglia che gli uomini
    cospicui per grado ed opulenza, si tenessero alieni da una
    intrapresa che minacciava distruggere quel sistema, nella cui durata
    essi avevano cotanto interesse. Se il Duca avesse proclamata la
    propria legittimità ed assunta la Corona, avrebbe a un tratto
    abbattuta la predetta obiezione. La questione non sarebbe più stata
    tra l'antica Costituzione e la nuova; sarebbe bensì stata semplice
    questione di diritto ereditario tra due principi.
    
    XXXIV. Con simiglianti argomenti, Ferguson, quasi immediatamente
    dopo lo sbarco, aveva con insistenza stimolato il Duca a proclamarsi
    Re; e Grey opinava nel modo medesimo. Monmouth avrebbe assai
    volentieri seguito il loro consiglio; ma Wade ed altri repubblicani
    lo avversavano, e il loro capo con la usata pieghevolezza cesse alle
    ragioni che adducevano. In Taunton la questione fu rimessa in campo.
    Monmouth chiamò a sè coloro che dissentivano, li assicurò che ei non
    vedeva altro modo ad ottenere lo aiuto dell'aristocrazia di
    qualunque partito si fosse, e gli riuscì di strappare loro mal grado
    il consentimento. La mattina del dì ventesimo di giugno, egli fu
    proclamato Re nella piazza di Taunton. I suoi seguaci ripetevano il
    suo titolo con gioia ed affetto. Ma potendo nascere confusione, ove
    si fosse chiamato Re Giacomo II, lo chiamavano spesso col nome
    strano di Re Monmouth; col quale nome il male arrivato principe era
    spesso ricordato, a memoria di uomini tuttora viventi, nelle Contee
    occidentali(464).
    
    In meno di ventiquattro ore, dopo ch'egli ebbe assunto il titolo di
    Re, promulgò vari proclami muniti della sua firma. Con uno poneva a
    prezzo la testa del rivale. Con un altro dichiarava illegale
    assemblea il Parlamento allora ragunato in Westminster, e comandava
    ai membri che si sciogliessero. Col terzo, inibiva al popolo di
    pagare le tasse all'usurpatore. Col quarto dichiarava Albemarle
    traditore(465).
    
    Albemarle mandò cotesti proclami a Londra, solo come esempi di
    follia e d'impertinenza. Non fecero altro effetto, che quello di
    destare maraviglia e disprezzo; nè Monmouth aveva ragione di credere
    che l'assunzione del titolo regio avesse migliorate le sue
    condizioni. Soltanto una settimana era corsa da che egli si era
    solennemente obbligato a non prendere la Corona, finchè un libero
    Parlamento non avesse riconosciuti i suoi diritti. Rompendo quella
    promessa, era incorso nello addebito di leggerezza, se non di
    perfidia. La classe ch'egli aveva sperato di trarre al suo partito,
    seguitò a tenersi in disparte. Le ragioni che impedivano ai gran
    Lordi e gentiluomini Whig di riconoscere lui come Re, erano per lo
    meno forti al pari di quelle onde erano stati impediti dal correre a
    lui come loro Capitano generale. Egli è vero che aborrivano la
    persona, la religione e la politica di Giacomo; ma questi più non
    era giovine. La maggiore delle sue figlie era giustamente diletta al
    popolo, come quella che fermamente aderiva alla fede riformata; ed
    era moglie di un principe che era il capo ereditario de' Protestanti
    del Continente, d'un principe ch'era stato educato in una
    repubblica, e che supponevasi avere sentimenti convenevoli a un Re
    costituzionale. Era egli savio partito esporsi agli orrori della
    guerra civile per la semplice probabilità di ottenere subitamente
    ciò che la natura, senza spargimento di sangue, senza violazione
    della legge, avrebbe con ogni probabilità, fra non molti anni,
    fatto? Forse v'erano ragioni per cacciar via Giacomo; ma dov'erano
    le ragioni per innalzare Monmouth? Escludere un principe dal trono
    per cagione d'inettitudine, era un partito consono ai principii de'
    Whig. Ma non era principio alcuno, secondo il quale si potessero
    escludere gli eredi legittimi, i quali venivano riputati non solo
    irreprensibili, ma altamente meritevoli della pubblica fiducia.
    Nessun uomo di senno avrebbe creduto che Monmouth fosse legittimo,
    o, per meglio dire, ch'ei si tenesse legittimo. Egli era, dunque,
    non un semplice usurpatore, ma un usurpatore di pessima specie; cioè
    un impostore. S'egli avesse voluto provare il suo preteso diritto
    con forme legali, lo avrebbe potuto fare solo per mezzo di falsi
    documenti e di spergiuri. Tutti gli onesti e savi uomini non amavano
    vedere una frode, - la quale, ove fosse stata adoperata ad ottenere
    il possesso d'una cosa, sarebbe stata punita con il flagello e la
    gogna, - ricompensata col trono dell'Inghilterra. La vecchia nobiltà
    del reame, non sapeva patire che il bastardo di Lucia Walters fosse
    preferito ai legittimi discendenti dei Fitzalans e dei De Veres.
    Coloro che sapevano spingere più lungi gli sguardi, era d'uopo
    s'accorgessero, che ove a Monmouth fosse riuscito di abbattere il
    Governo esistente, ne sarebbe nata una guerra tra lui e la Casa
    d'Orange; guerra che avrebbe potuto durare più lungo tempo e
    produrre maggiori calamità di quella delle Rose; guerra che avrebbe
    forse divisi i protestanti d'Europa in partiti avversi, avrebbe
    accese le ostilità fra l'Inghilterra e l'Olanda, e le avrebbe rese
    entrambe facile preda della Francia. E' sembra, adunque, che tutti i
    principali Whig opinassero che la impresa di Monmouth non potesse
    non finire con qualche grande disastro per la nazione, ma che la sua
    sconfitta sarebbe stata un disastro minore della sua vittoria.
    
    E' non fu solo per la inazione della Aristocrazia Whig che
    gl'invasori rimasero sconcertati. La ricchezza e la potenza di
    Londra, nella precedente generazione, erano bastate, e potevano
    nuovamente bastare a far traboccare la bilancia in un conflitto
    civile. I Londrini avevano per innanzi date assai prove dell'odio
    loro contro il papismo, e dell'affetto loro verso il Duca
    Protestante. Egli aveva troppo di leggieri creduto che, appena posto
    il piede nell'isola, la metropoli sarebbe insorta. Ma, benchè avesse
    ricevuto la nuova che migliaia di cittadini eransi arruolati come
    volontari per combattere a pro della buona causa, nulla fu fatto.
    Vero è che gli agitatori che avevano promesso di sorgere al primo
    segno, e che s'erano forse immaginati, mentre il pericolo era
    lontano, che avrebbero avuto animo di mantenere la loro promessa,
    scoraggiaronsi appena videro avvicinarsi il tempo critico. Wildman
    s'impaurì tanto, che sembrava avesse perduto lo intendimento.
    Danvers, in prima, scusò la propria inazione dicendo che non avrebbe
    prese le armi finchè Monmouth non si fosse proclamato Re; e
    allorquando Monmouth ciò fece, il vigliacco gli volse le spalle,
    dichiarando che i buoni repubblicani rimanevano sciolti d'ogni
    promessa fatta ad un capo che aveva così vergognosamente rotta la
    fede. In ogni tempo gli esempi più vili della umana natura sono da
    trovarsi fra' demagoghi(466)!
    
    Il giorno che seguì a quello in cui Monmouth aveva assunto il nome
    di Re, ei marciò da Taunton a Bridgewater. Fu notato come egli non
    fosse di buon umore. Le acclamazioni delle migliaia di fedeli che lo
    circuivano per ogni dove si volgesse, non valsero a cacciare la nube
    che gli sedeva sul ciglio. Coloro che lo avevano veduto cinque anni
    innanzi mentre viaggiava la Contea di Somerset, non potevano senza
    commiserazione osservare i segni del cordoglio e dell'ansietà sopra
    quelle soavi e piacevoli sembianze che avevano conquiso il cuore di
    tanti(467).
    
    Ferguson era d'umore assai diverso. In costui la ribalderia era
    mescolata con una strana vanità, che rendeva immagine d'insania. Il
    pensiero ch'egli avesse suscitata una ribellione e conceduta una
    Corona, aveva dato volta al suo cervello. Pavoneggiavasi brandendo
    la spada, e gridando alla folla ragunata a vedere l'armata partirsi
    da Taunton: "Guardatemi! Voi avete sentito parlare di me. Io sono
    Ferguson, la cui testa è stata messa a prezzo per tante centinaia di
    lire sterline." E quest'uomo, senza principii e insieme infermo di
    cervello, signoreggiava lo intelletto e la coscienza dello
    sventurato Monmouth(468)!
    
    XXXV. Bridgewater era una delle poche città le quali avessero
    tuttavia alcuni magistrati Whig. Il gonfaloniere e gli aldermanni
    uscirono vestiti degli abiti propri della dignità loro ad accogliere
    il Duca, e, precedendolo, lo condussero nella maggior piazza, e lo
    proclamarono Re. Le sue truppe trovarono comodi alloggiamenti, e
    furono provviste del bisognevole con poca spesa, o gratuitamente,
    dal popolo della città e de' luoghi circostanti. Egli andò ad
    alloggiare nel Castello, edifizio che era già stato onorato da altri
    principi. L'armata s'accampò lì presso. Essa allora comprendeva
    circa seimila uomini, e se non ci fosse stato difetto d'armi, si
    sarebbe potuta aumentare del doppio. Il Duca aveva seco portato dal
    continente una scarsa provvista di picche e d'archibugi. Molti de'
    suoi seguaci, quindi, non avevano altre armi che gli strumenti che
    essi usavano nell'agricoltura o nelle miniere. Il più formidabile di
    questi rozzi strumenti da guerra, era formato della lama di una
    falce legata alla punta d'un palo(469). Ai decurioni delle campagne
    circostanti a Taunton e Bridgewater, fu fatto comandamento di
    cercare falci dove che si fosse, e portarne quante ne avessero
    potuto trovare al campo. Nientedimeno, e' fu impossibile, anche con
    questi ingegni, satisfare alle richieste; e gran numero di gente
    desiderosa di farsi iscrivere ne' ruoli militari, fu rimandata(470).
    
    I fanti erano divisi in sei reggimenti. Molti di loro avevano
    appartenuto alla milizia civica, e portavano tuttavia i loro
    uniformi rossi e gialli. I cavalli erano circa mille; ma la più
    parte degli uomini avevano grossi puledri, quali allora si
    lasciavano crescere a branco nelle maremme della Contea di Somerset,
    a fine di fornire Londra con cavalli da cocchio e da carretta.
    Questi animali erano così disadatti agli usi militari, che non
    avevano nè anche imparato ad obbedire alla briglia, ed appena
    sentivano il suono del tamburo o lo scoppio d'un'arma, non era
    possibile governarli. Una piccola legione di quaranta Guardie del
    Corpo, bene armate sopra buoni cavalli a proprie spese, stavano
    presso a Monmouth. Il popolo di Bridgewater, che s'era arricchito
    esercitando un utile traffico nella costa, lo provvide di una
    piccola somma di danari(471).
    
    XXXVI. Per tutto questo tempo, le forze militari del governo s'erano
    venute ragunando. Ad occidente dell'armata ribelle, Albemarle aveva
    ancora un grosso corpo di milizie civiche del Devonshire. Ad
    oriente, la guardia cittadina della Contea di Wilt erasi raccolta
    sotto il comando di Tommaso Herbert, Conte di Pembroke. Fra
    tramontana e levante, Enrico Somerset, Duca di Beaufort, era in
    armi. La potenza di Beaufort, somigliava alquanto quella de' grandi
    baroni del secolo decimoquinto. Era presidente del Paese di Galles e
    Lord Luogotenente di quattro Contee inglesi. Le sue gite officiali
    per le vaste regioni, nelle quali egli rappresentava la maestà del
    trono, erano per magnificenza poco inferiori al viaggio del sovrano.
    L'ordinamento della sua casa rammentava le usanze d'una generazione
    più antica. La terra, per gran tratto, intorno i suoi giardini,
    apparteneva a lui; e i contadini che la coltivavano, erano parte
    della sua famiglia. Nove mense ogni giorno stavano nel suo palazzo
    apparecchiate a duecento persone. Una folla di gentiluomini e di
    paggi erano sottoposti agli ordini del suo maggiordomo. Una intera
    truppa di cavalleria obbediva al suo cavallerizzo maggiore. La
    rinomanza della cucina, delle cantine, delle mute, delle stalle,
    risonava alto per tutta la Inghilterra. I gentiluomini di molte
    miglia all'intorno, andavano alteri della magnificenza del loro
    grande vicino, e nel tempo stesso erano ammaliati della indole buona
    e de' modi affabili di lui. Egli era zelante Cavaliere della vecchia
    scuola. In questa occasione, quindi, adoperò tutta la sua influenza
    ed autorità a difesa della Corona, ed occupò Bristol con le civiche
    milizie della Contea di Gloucester, le quali pare che fossero meglio
    disciplinate dell'altre(472).
    
    Nelle Contee più discoste da quella di Somerset, i sostenitori del
    trono stavano all'erta. La milizia di Sussex cominciò a muoversi
    verso occidente sotto il comando di Riccardo Lord Lumley, il quale,
    quantunque di recente avesse abjurata la religione cattolica romana,
    mantenevasi fermamente fedele a un re cattolico romano. Giacomo
    Bertie, Conte d'Abingdon, ragunò le milizie della Contea d'Oxford.
    Giovanni Fell, Vescovo d'Oxford, che era anche Decano di
    Christchurch, intimò a tutti i sotto-graduati della sua Università
    di prendere le armi per difendere la Corona. Gli uomini in sottana
    affollaronsi a dare i loro nomi. Il solo Christchurch fornì circa
    cento lancieri e moschettieri. I giovani nobili e i gentiluomini de'
    Comuni vi agivano come ufficiali; e il figlio maggiore del Lord
    Luogotenente era colonnello(473).
    
    Ma il Re sperava soprattutto nelle truppe regolari. Churchill era
    stato diretto verso occidente coi così detti Azzurri; Feversham gli
    teneva dietro con tutte le forze che s'erano potute togliere dalle
    vicinanze di Londra. Un corriere era partito per la Olanda, recando
    una lettera, nella quale ordinavasi a Skelton d'ottenere che i tre
    reggimenti inglesi al servizio olandese, venissero tosto spediti al
    Tamigi. Come ei ne fece la richiesta, il partito avverso alla casa
    d'Orange, con a capo i deputati d'Amsterdam, nuovamente provossi di
    suscitare cagioni d'indugio. Ma l'energia di Guglielmo, il quale
    aveva nella faccenda un interesse quasi uguale a quello di Giacomo,
    e vedeva con grave inquietudine i progressi di Monmouth, vinse ogni
    opposizione; e dopo pochi giorni i reggimenti imbarcaronsi(474).
    Approdati in Inghilterra, erano già arrivati in ottime condizioni a
    Gravesend, e Giacomo li aveva passati a rassegna in Blackheath.
    Disse più volte allo ambasciatore olandese di non avere mai in vita
    sua veduti soldati più belli o meglio disciplinati, e dichiaravasi
    gratissimo al Principe d'Orange ed agli Stati per un rinforzo
    cotanto utile ed opportuno. Se non che tale soddisfazione non era
    intera. Per quanto laudevolmente quegli uomini eseguissero i
    militari esercizi, erano alquanto imbevuti delle opinioni politiche
    e religiose del popolo olandese. Uno de' soldati venne fucilato, ad
    un altro venne inflitta la pena della frusta per avere bevuto alla
    salute del Duca di Monmouth. Non fu, dunque, riputato savio
    consiglio il porli dove era maggiore il pericolo. Furono trattenuti
    ne' dintorni di Londra sino alla fine della campagna. Ma, in grazia
    del loro arrivo, il Re potè mandare verso occidente quelle fanterie
    delle quali, senza i reggimenti predetti, vi sarebbe stato bisogno
    nella metropoli(475).
    
    Mentre il Governo in questa guisa apparecchiavasi al conflitto coi
    ribelli in campo, non furono trascurate certe cautele di specie
    diversa. Nella sola Londra, duecento persone che stimavansi potere
    mettersi a capo di un movimento Whig, vennero imprigionate. Fra
    queste, erano molti grandi mercatanti. Chiunque era esoso alla
    Corte, si dètte in preda al timore. Una tristezza universale si
    sparse per tutta la città. Gli affari languivano alla Borsa; e i
    teatri erano tanto deserti, che un'opera nuova, scritta da Dryden, e
    posta in iscena con decorazioni d'insolita magnificenza, non potè
    andare innanzi, perocchè i proventi non servivano alle spese della
    rappresentazione(476). I magistrati e il clero mostravansi da per
    tutto operosi. In ogni dove, i Dissenzienti erano strettamente
    tenuti d'occhio. Nelle Contee di Chester e di Shrop, ardeva feroce
    la persecuzione; in quella di Northampton, si fecero numerosi
    imprigionamenti; e le carceri d'Oxford rigurgitavano di prigioni.
    Nessun teologo puritano, comunque di moderate opinioni e di cauta
    condotta, era sicuro di non essere strappato dalla propria famiglia
    e sepolto in un carcere(477).
    
    Frattanto Monmouth avanzavasi da Bridgewater, molestato sempre da
    Churchill, il quale pare facesse tutto ciò che con una mano d'uomini
    era possibile ad un valoroso ed esperto soldato di fare. L'armata
    ribelle, molestata dall'inimico e da una forte pioggia, la sera del
    dì 22 giugno, fermossi a Glastonbury. Le case della piccola città
    non potevano apprestare ricovero a tanto numero d'armati: parecchi
    dei quali, perciò, acquartieraronsi(478) nelle Chiese, altri
    accesero i loro fuochi fra mezzo alle venerande rovine dell'Abbadia,
    che un tempo era stata la più ricca delle case religiose dell'isola
    nostra. Da Glastonbury il Duca marciò verso Wells, da dove si
    condusse a Stepton Mallet(479).
    
    XXXVII. Pare che fin qui egli errasse di luogo in luogo, senza altro
    scopo che di raccogliere uomini. Adesso era d'uopo formare un piano
    di operazioni militari. Fu suo primo pensiero di prendere Bristol.
    Molti de' precipui abitatori di quel luogo importante erano Whig.
    Quivi anche erasi esteso uno de' fili della congiura de' Whig.
    Presidiavano la città le milizie della Contea di Gloucester. Se egli
    avesse potuto vincere Beaufort, e le sue bande rurali, prima dello
    arrivo delle truppe regolari, i ribelli avrebbero a un tratto avuto
    in mano abbondevoli mezzi pecuniari; il credito delle armi di
    Monmouth si sarebbe alto levato; e i suoi amici in ogni parte del
    Regno avrebbero avuto coraggio di palesarsi. Bristol aveva certe
    fortificazioni, le quali a settentrione dell'Avon, verso la Contea
    di Gloucester, erano deboli; ma a mezzodì, verso quella di Somerset,
    erano più solide. Fu, quindi, deliberato di dare lo assalto dal lato
    di Gloucester. Ma a ciò fare, era necessario andarci per un cammino
    circolare, e valicare l'Avon a Keynsham. Il ponte a Keynsham era
    stato in parte distrutto dalla milizia civica, ed era impraticabile.
    Fu, quindi, spedito innanzi un numero d'uomini a farvi i necessari
    ripari. Gli altri li seguivano più lentamente, e il dì
    ventesimoquarto di giugno fecero alto a Pensford per riposarsi.
    Pensford distava solo cinque miglia da Bristol, dal lato della
    Contea di Gloucester; ma questo lato, al quale poteva arrivarsi solo
    girando intorno per Keynsham, era lontano una giornata di
    cammino(480).
    
    E quella fu notte dì gran tumulto ed aspettazione in Bristol. I
    fautori di Monmouth sapevano ch'egli era quasi a vista della città,
    e immaginavano che sarebbe stato fra loro avanti lo spuntare del
    giorno. Circa un'ora dopo il tramonto, un legno mercantile che era
    presso nel canale, prese fuoco. Tale accidente, in un porto pieno di
    navi, destò grande spavento. Tutto il fiume fu in iscompiglio. Le
    vie brulicavano di gente. Gridi sediziosi risonavano fra la
    confusione e le tenebre. Poscia fu detto, e da' Tory e dai Whig, che
    il fuoco era stato appiccato dagli amici di Monmouth, sperando che
    le milizie civiche sarebbero accorse a impedire che l'incendio si
    allargasse; e che in quel mentre, l'armata ribelle, fatto impeto,
    sarebbe entrata nella città dal lato di Somerset. Se fu tale lo
    scopo degl'incendiarii, esso andò del tutto fallito. Beaufort,
    invece di mandare i suoi uomini al canale, li tenne tutta notte
    sotto le armi attorno il bel tempio di Santa Maria Redcliff, a
    mezzodì dell'Avon. Ei disse che avrebbe meglio veduto ardere
    Bristol, anzi l'avrebbe arsa egli stesso, che lasciarla occupare dai
    traditori. Col soccorso di una coorte di cavalleria regolare, che
    poche ore avanti eragli giunta da Chippenham, ei potè impedire lo
    scoppio d'una insurrezione. Gli sarebbe stato impossibile frenare i
    malcontenti dentro le mura, e respingere a un tempo un assalto di
    fuori: ma l'assalto non avvenne. Lo incendio, che era stato cagione
    di tanto commovimento in Bristol, vedevasi distintamente da
    Pensford. Monmouth, nondimeno, non reputò utile cangiare il suo
    disegno. Si tenne cheto fino al sorgere del sole, e poi si condusse
    a Keynsham, dove trovò accomodato il ponte. Deliberò di lasciare
    l'armata a riposarsi, nel pomeriggio, ed appena giunta la notte,
    procedere alla volta di Bristol(481).
    
    Ma non era più a tempo. Le forze del Re si appressavano. Il
    Colonnello Oglethorpe, capitanando circa cento Guardie del Corpo, e
    facendo impeto contro Keynsham, sgominò due legioni della cavalleria
    ribelle che rischiossi a fargli fronte, e si ritrasse, con poco suo
    danno e con molto dell'inimico.
    
    XXXVIII. In siffatte circostanze, Monmouth reputò necessario porre
    da parte la impresa di Bristol(482). Ma quale era il partito da
    prendere? Ne furono posti in campo e discussi parecchi. Fu detto che
    Monmouth avrebbe potuto accelerare il passo verso Gloucester,
    valicare il Severn, rompere il ponte, e a destra, protetto dal
    fiume, gettarsi, attraversando la Contea di Worcester, in quelle di
    Shrop e di Chester. Egli, anni innanzi, aveva viaggiati que' luoghi,
    e v'era stato accolto come nelle Contee di Somerset e di Devon. La
    sua presenza avrebbe riacceso lo zelo in cuore ai suoi vecchi amici;
    e il suo esercito in pochi giorni si sarebbe raddoppiato.
    
    Ciò non ostante, considerata pienamente la cosa, parve che cotale
    disegno, comecchè specioso, fosse ineseguibile. I ribelli erano male
    calzati, e stanchi a cagione delle diuturne fatiche sostenute,
    trascinandosi tra il fango e sotto gravissime pioggie. Molestati ed
    impediti, come sarebbero stati ad ogni passo, dalla cavalleria
    nemica, non potevano sperare di giungere a Gloucester senza cadere
    in mano del corpo principale delle truppe regie, ed essere forzati
    ad un generale fatto d'arme con ogni svantaggio.
    
    Fu, dunque, proposto di entrare nella Contea di Wilt. Coloro i quali
    affermavano di conoscere que' luoghi, assicuravano il Duca, che ivi
    avrebbe raccolti tali rinforzi, da potere con sicurtà dare
    battaglia(483).
    
    Seguì questo consiglio, e volse il passo verso la Contea di Wilt.
    Primamente intimò a Bath di aprirgli le porte. Ma Bath era
    fortemente presidiata dalle milizie del Re; e Feversham si
    approssimava. I ribelli, quindi, non si provarono d'aggredire le
    mura, ma corsero in fretta a Philip's Norton, dove fermaronsi la
    sera del dì 26 giugno.
    
    Feversham vi si condusse anch'egli. La mattina del dì seguente, a
    buon'ora, rimasero commossi alla nuova ch'egli era lì presso.
    Ordinaronsi, disponendosi in fila lungo le siepi del cammino che
    conduceva alla città.
    
    XXXIX. L'avanguardia dell'armata regia tosto comparve. Era composta
    di circa cinquecento uomini, capitanati dal Duca di Grafton, giovine
    di spirito audace e di maniere rozze, il quale era forse desideroso
    di mostrarsi in nulla partecipe allo sleale attentato del suo
    fratello naturale. Grafton tra breve si trovò in un profondo calle,
    da ambo i lati del quale muovevagli addosso una tempesta
    d'archibugiate. Non ostante, si spinse arditamente oltre, finchè
    pervenne all'ingresso di Philip's Norton. Ivi trovò chiuso il
    cammino da una barricata, d'onde un altro vivissimo fuoco gli veniva
    di fronte. I suoi uomini si perdettero d'animo, e indietreggiarono
    fuggendo. Innanzi che uscissero dal calle, più di cento tra loro
    erano morti o feriti. La ritirata di Grafton fu tagliata da una mano
    di cavalleria nemica; ma egli si aperse fra mezzo a quelli
    valorosamente il cammino, e si pose in salvo(484).
    
    L'avanguardo in tal guisa respinto, si congiunse col corpo
    principale dell'esercito regio. Le due armate allora si trovarono
    faccia a faccia; e ricambiaronsi poche archibugiate, che furono di
    poco o di punto effetto. Nessuna era impaziente di venire alle mani.
    Feversham non voleva combattere fino a che non fosse arrivata
    l'artiglieria, e si ripiegò verso Bradford. Monmouth, appena
    sopraggiunta la notte, abbandonò la propria posizione, marciò verso
    mezzodì, e sul fare del giorno pervenne a Frome, dove sperava
    trovare rinforzi.
    
    Frome gli era favorevole quanto Taunton o Bridgewater, ma non potè
    far nulla per lui. Pochi giorni avanti, eravi stata una
    insurrezione, e il Manifesto di Monmouth era stato attaccato in
    piazza. Ma la nuova di tale movimento era pervenuta al Conte di
    Pembroke, che trovavasi non molto discosto con le civiche milizie
    della Contea di Wilt. Era, quindi, con esse accorso a Frome; aveva
    messa in rotta una folla di campagnuoli, i quali, armati di falci e
    tridenti, tentavano di fargli fronte; era entrato nella città ed
    aveva disarmati gli abitanti. E però non v'erano armi, e Monmouth
    non poteva apprestarne(485).
    
    XL. L'armata ribelle trovavasi in triste condizioni. La marcia del
    dì precedente l'aveva stancata. La pioggia era caduta a torrenti; e
    le strade erano diventate pantani. Non v'era nuova dei promessi
    soccorsi della Contea di Wilt. Arrivò un messo, annunziando che le
    forze d'Argyle erano state disperse in Iscozia. Un altro disse che
    Feversham, congiuntosi con l'artiglieria, era sulle mosse. Monmouth
    intendeva le cose di guerra tanto, da accorgersi che i suoi seguaci,
    con tutto il loro zelo e coraggio, non avrebbero potuto resistere ai
    soldati regolari. Erasi fino allora illuso sperando che alcuni di
    que' reggimenti, da lui per innanzi comandati, sarebbero corsi sotto
    il suo vessillo; ma adesso era costretto a deporre tale speranza.
    Qui l'animo gli venne meno. Appena poteva far mostra di fermezza
    bastevole a dare ordini. Nella propria sciagura, amaramente dolevasi
    de' sinistri consiglieri, dai quali era stato indotto ad abbandonare
    il suo beato ritiro di Brabante. E segnatamente contro Wildman
    trascorse a virulente imprecazioni(486). Ed allora, nel debole ed
    agitato cervello gli sorse un vergognoso pensiero; quello, cioè, di
    abbandonare alla vendetta del Governo le migliaia d'uomini - i
    quali, da lui chiamati e accorsi per amore di lui, avevano
    abbandonato le abitazioni e i campi propri; - partirsi di nascosto,
    co' suoi più alti ufficiali; condursi a qualche porto di mare
    innanzi che nascesse il sospetto della sua fuga, e rifuggirsi nel
    continente, dove fra le braccia di Lady Wentworth avrebbe
    dimenticata la propria ambizione e vergogna. Seriamente discusse
    cotesto disegno co' principali de' suoi consiglieri. Taluni di loro,
    tementi per la propria vita, lo ascoltarono approvando; ma Grey, il
    quale, secondo la confessione anche de' suoi detrattori, era
    intrepido sempre, tranne quando le spade gli lampeggiavano dinanzi e
    le palle gli fischiavano d'intorno, si oppose con estremo calore
    alla ostinata proposta, e supplicò il Duca ad esporsi a ogni
    pericolo, più presto che ricompensare con la ingratitudine e col
    tradimento il fervido affetto dimostratogli dal contadiname delle
    contrade occidentali(487).
    
    Il pensiero della fuga venne, dunque, abbandonato; ma non era
    agevole formare un piano qualunque di campagna. Procedere verso
    Londra sarebbe stata demenza; imperocchè la via che ivi conduce,
    attraversa diritta il vasto piano di Salisbury, sul quale le truppe,
    e soprattutto la cavalleria regolare, avrebbero pugnato con ogni
    vantaggio contro uomini indisciplinati. In questo mentre, arrivò al
    campo la nuova che i campagnuoli delle maremme presso Axbridge erano
    insorti a difendere la religione protestante, s'erano armati di
    tridenti, correggiati e forconi, e si andavano ragunando a migliaia
    presso Bridgewater. Monmouth deliberò di ritornare in quel luogo, e
    rafforzarsi di questi nuovi collegati(488).
    
    I ribelli, adunque, si mossero alla volta di Wells, e vi arrivarono
    con contegno non amichevole. Erano tutti, salvo pochi, avversi alla
    prelatura; e mostrarono la propria avversione in modo da recar loro
    pochissimo onore. Non solo strapparono il piombo dal tetto del
    magnifico Duomo, onde farne palle da archibugio, - cosa che poteva
    essere escusata da' bisogni della guerra, - ma profanamente ne
    distrussero gli ornati. Grey con molta difficoltà potè, ponendosi
    dinanzi all'altare con la spada sguainata, salvarlo dagli insulti di
    alcuni ribaldi, i quali vi volevano crapoleggiare dintorno(489).
    
    XLI. Il giovedì, 2 di luglio, Monmouth rientrò in Bridgewater, in
    condizioni meno liete di quelle onde vi era giunto dieci giorni
    prima. Il rinforzo che vi trovò, era di poco conto. L'armata regia
    era lì presso. Per un istante divisò di fortificare la terra; e
    furono chiamati centinaia di lavoranti a scavare fossi ed alzare
    ripari. Poi, mutando consiglio, pensò di gettarsi nella Contea di
    Chester; disegno ch'egli aveva respinto come ineseguibile mentre
    trovavasi in Keynsham, e che certamente non era meglio eseguibile
    adesso che egli stava in Bridgewater(490).
    
    XLII. Mentre tentennava tra pensieri egualmente disperati,
    comparvero le forze regie. Erano composte di circa duemila
    cinquecento soldati regolari, e di circa mille e cinquecento militi
    cittadini della Contea di Wilt. La mattina della domenica, 5 luglio,
    a buon'ora partiti da Somerton, piantarono le tende, quel giorno
    stesso, a circa tre miglia da Bridgewater nel piano di Sedgemoor.
    
    Il Dottore Pietro Mew, vescovo di Winchester, gli accompagnava.
    Questo prelato aveva in gioventù sua portate le armi a difesa di
    Carlo I contro il Parlamento. Nè gli anni nè la professione gli
    avevano al tutto estinto nell'animo lo spirito guerresco; e forse
    credeva che l'apparizione di uno de' padri della Chiesa protestante
    nel campo regio, avrebbe rinvigorito il sentimento di lealtà in
    cuore a quegli onesti che ondeggiavano fra l'abborrimento del
    papismo e quello della ribellione.
    
    Il campanile della chiesa parrocchiale di Bridgewater, dicesi sia il
    più alto che si trovi nella Contea di Somerset, e vi si goda la
    vista di tutto il paese circostante. Monmouth, insieme con alcuni
    de' suoi ufficiali, vi salì fino alla cima, ed osservò con un
    cannocchiale la posizione dell'inimico. Vedeva uno spazio piano,
    adesso rigoglioso di campi da grano e d'alberi fruttiferi, ma
    allora, secondo che suona il suo nome, per la più parte tristo
    pantano. Quando le pioggie erano copiose, e il Parret, coi ruscelli
    che vi si gettavano dentro, straripava, cotesto spazio era affatto
    inondato. In antico era parte di quella vasta palude, famosa nelle
    nostre vecchie cronache, per avere fermate le incursioni di due
    successive razze d'invasori. Aveva per lungo tempo protetti i Celti
    dalle aggressioni dei Re di Wessex, e difeso Alfredo dalla
    persecuzione dei Danesi. In quei tempi remoti, questa regione non
    poteva traversarsi se non con navicelli. Era un immenso stagno,
    sparso di molte isolette di terreno ineguale e traditore, coperto di
    folti giunchi, fra mezzo ai quali brulicavano i cervi e i porci
    selvatici. Anche ai tempi de' Tudor, il viandante, che da Ilchester
    recavasi a Bridgewater, era costretto a camminare per una curva di
    parecchie miglia onde evitare le acque. Allorquando Monmouth gettò
    gli occhi sopra Sedgemoor, lo spazio predetto era stato in parte
    acconciato dall'arte, ed era intersecato da molti larghi e profondi
    fossi, che in quel paese si chiamano rhines. In mezzo al pantano
    sorgevano, aggruppati attorno ai campanili delle chiese, pochi
    villaggi, i nomi dei quali sembrano accennare che un tempo erano
    circondati dalle acque. In uno di essi, detto Weston Zoyland, era la
    cavalleria regia, e il quartiere generale di Feversham. Molte
    persone tuttora viventi hanno veduta la figlia della fantesca che in
    quel giorno lo servì a pranzo; e un gran piatto di porcellana di
    Persia, che gli fu posto dinanzi, serbasi anche oggi con gran cura
    in que' dintorni. È da notarsi che la popolazione della Contea di
    Somerset non è, come ne' distretti manifatturieri, composta di soli
    emigranti da luoghi lontani. Non è raro trovare contadini che
    coltivano il medesimo podere coltivato dai loro progenitori al tempo
    che i Plantageneti regnavano in Inghilterra. Le tradizioni della
    Contea di Somerset riescono, quindi, non poco utili allo
    storico(491).
    
    A maggior distanza da Bridgewater(492), giace il villaggio di
    Middlezoy. In esso e ne' suoi dintorni erasi acquartierata la
    milizia civica della Contea di Wilt, sotto il comando di Pembroke.
    
    Sopra lo aperto scopeto, non lungi da Chedzoy, stavano accampati
    vari battaglioni di fanteria regolare. Monmouth ad essi rivolse
    tristamente lo sguardo. Non poteva non rammentarsi come, pochi anni
    innanzi, capitanando una colonna di quegli stessi soldati, aveva
    posti in fuga i feroci entusiasti che difendevano Bothwell Bridge.
    Poteva bene distinguere nell'armata nemica la valorosa legione, che
    allora dal nome del suo colonnello, chiamavasi reggimento di
    Dumbarton; ma che da lungo tempo è stata conosciuta come il primo
    reggimento di linea, e che in tutte le quattro parti del mondo ha
    nobilmente mantenuta la sua reputazione primitiva. "Conosco quegli
    uomini," disse Monmouth; "essi combatteranno. Se io non avessi altri
    che loro soli, tutto anderebbe bene(493)."
    
    Ciò nulla ostante, lo aspetto del nemico non era tale da scoraggiare
    affatto. Le tre divisioni della regia armata giacevano assai
    discoste l'una dall'altra. In tutti i loro movimenti era apparenza
    di trascuraggine e di lassa disciplina. Sapevasi che erano intenti a
    briacarsi col sidro di Zoyland. Era ben nota la incapacità di
    Feversham, comandante supremo, il quale anche in quell'ora di tanto
    momento ad altro non pensava che a mangiare e dormire. Churchill, a
    dir vero, era capitano pari ad impresa assai più rischiosa di quella
    di sconfiggere una masnada di male armati e mal esercitati
    contadini. Ma il genio che in tempi posteriori umiliò sei
    Marescialli di Francia, non occupava adesso il luogo che gli
    conveniva. Feversham parlava poco con Churchill, e in modo da non
    animarlo a dare consigli. Il Luogotenente, col sentimento del
    proprio sapere nell'arte militare, impaziente di sottostare ad un
    capo ch'egli spregiava, e tremante per la salute dell'armata, seppe,
    nonostante, così bene frenarsi e dissimulare(494) ciò ch'egli
    sentiva, che Feversham ne lodò la operosa subordinazione, e promise
    di riferirlo al Re(495).
    
    Monmouth, osservata la disposizione delle forze regie, e bene
    istrutto della condizione in cui erano, pensò che un assalto
    notturno sarebbe potuto riuscire. Deliberò di correre la sorte, e
    subito fece i necessari apparecchi.
    
    Era giorno di domenica; e i suoi seguaci, la maggior parte dei quali
    erano stati educati al culto puritano, passarono gran parte del
    giorno in esercizi religiosi. Il piano del Castello, dove era
    accampata l'armata, presentava uno spettacolo, quale, dopo lo
    scioglimento dell'esercito di Cromwell, la Inghilterra non aveva mai
    più veduto. I predicatori dissenzienti, che avevano prese le armi
    contro il papismo, alcuni de' quali avevano forse anche pugnato
    nella grande guerra civile, oravano e predicavano in abito scarlatto
    e in istivali, con la spada a fianco. Ferguson era uno di coloro che
    arringavano. Tolse a testo del suo sermone la tremenda imprecazione
    con che gl'Israeliti dimoranti oltre il Giordano, purgavansi
    dell'addebito che stoltamente loro davano i confratelli dell'opposta
    sponda del fiume. "Il Signore Iddio degli Dei, il Signore Iddio
    degli Dei, egli conosce, e Israele egli conoscerà. Se ciò sia
    ribellione o trasgressione contro il Signore, non ci salvare in quel
    giorno(496)."
    
    Che si dovesse dare un assalto col favore della notturna tenebra,
    non era un secreto in Bridgewater. La terra era piena di donne, che
    dalla circostante regione vi erano accorse a centinaia per rivedere
    ancora i mariti, i figliuoli, gli amanti e i fratelli loro. Molti in
    quel giorno si dissero il doloroso addio, e molti si divisero per
    non rivedersi più mai(497). La nuova del preparato assalto pervenne
    all'orecchio d'una fanciulla, che era zelante pel Re. Ancorchè ella
    fosse d'indole modesta, ebbe l'animo di andare da sè fino a
    Feversham, e riferirgliene. Uscì cauta da Bridgewater, e si avviò ai
    regi accampamenti. Ma quel campo non era luogo dove l'innocenza
    potesse tenersi sicura. Anco gli ufficiali, spregiando dall'un canto
    le forze irregolari dell'inimico, e dall'altro il negligente
    capitano al quale essi erano sottoposti, stemperatamente
    abbandonatisi al vino, erano pronti ad ogni eccesso di crudeltà e
    licenza. Uno di loro pose le mani addosso alla malarrivata
    fanciulla, ricusò di ascoltare il messaggio che recava, e la
    oltraggiò brutalmente. Ella fuggì straziata dalla rabbia e dalla
    vergogna, lasciando le scellerate soldatesche al proprio
    destino(498).
    
    Appressavasi già l'ora del gran rischio. La notte non sorgeva male
    adatta ad una tanta intrapresa. La luna era nella sua pienezza, le
    bandiere del Nord splendevano ai suoi raggi. Ma la nebbia del padule
    era sì folta sopra Sedgemoor, da non potersi nulla discernere a
    cinquanta passi di distanza(499).
    
    XLIII. Battevano le ore undici, allorquando il Duca, con le sue
    Guardie del corpo, uscì dal Castello. La sua mente non era nello
    stato convenevole a chi tra breve debba tentare un colpo decisivo.
    Gli stessi fanciulli, che affollavansi a vederlo passare, si
    accorgevano - e lo rammentarono poi lungamente - come il suo viso
    fosse tristo, e pieno di sinistro augurio. L'armata marciò per un
    sentiero circolare, lungo pressochè sei miglia, verso gli
    accampamenti regi in Sedgemoor. Parte di quel cammino serba fino ai
    giorni presenti il nome di sentiero della Guerra (War Lane). I fanti
    erano condotti dallo stesso Monmouth; i cavalli affidati a Grey,
    malgrado le proteste di molti, che rimembravano lo sciagurato fatto
    di Bridport. Fu ordinato che si osservasse il più rigoroso silenzio,
    non si battessero tamburi, non si scaricasse arma. La parola la
    quale doveva fra le tenebre servire di riconoscimento agl'insorti,
    era Soho. Senza dubbio era stata prescelta per alludere a Soho
    Fields in Londra, dove sorgeva il palazzo del Duca(500).
    
    Verso l'un'ora, nella mattina di lunedì, 6 di luglio, i ribelli
    erano sullo scopeto. Ma tra loro e il nemico giacevano tre grossi
    rigagni pieni d'acqua e di mota. Monmouth sapeva di doverne passare
    due, chiamati Black Ditch, e Langmoor Rhine. Ma, strano a dirsi!
    neppure da un solo de' suoi esploratori gli era stata fatta menzione
    d'un fosso, chiamato Bussex Rhine, che copriva da presso il campo
    regio.
    
    I carri che trasportavano le munizioni, rimasero all'ingresso dello
    scopeto. I cavalli e i fanti, ordinati in lunga, e stretta colonna,
    passarono sur un argine il Black Ditch. Ve n'era un altro simile
    traverso al Langmoor Rhine; ma la guida, in mezzo alla nebbia,
    smarrì la via: innanzi che si provvedesse allo sbaglio, ci fu
    qualche indugio e tumulto. In fine passarono; ma nella confusione
    prese fuoco una pistola. Alcune delle Guardie a cavallo che facevano
    la scolta, udirono lo scoppio, e si accôrsero come una gran
    moltitudine di gente avanzavasi fra mezzo alla nebbia. Scaricarono
    le loro carabine, e corsero di galoppo per varie direzioni a
    chiamare all'armi. Alcune andarono a Weston Zoyland, dove era la
    cavalleria. Un soldato a cavallo dette di sproni, e corse al campo
    dove era la fanteria, gridando con gran forza che l'inimico era per
    giungere. I tamburi del reggimento di Dumbarton batterono alle armi,
    e i soldati corsero alle proprie file. Ed era tempo, perocchè
    Monmouth andava disponendo l'armata per dare lo assalto. Ordinò a
    Grey di precedere con la cavalleria, mentre egli stesso lo seguiva a
    capo de' fanti. Grey si spinse innanzi finchè i passi gli vennero
    inaspettatamente troncati dal Bussex Rhine. Sul lato opposto del
    fosso la fanteria reale ordinavasi frettolosamente a battaglia.
    
    "Per chi siete voi?" chiese gridando un ufficiale delle Guardie a
    piedi. "Pel Re" rispose una voce dalle file della cavalleria
    ribelle. "Per quale Re?" disse l'altro. "Re Monmouth" fu la
    risposta, accompagnata col grido di guerra che quaranta anni prima
    era stato inscritto sui vessilli de' reggimenti parlamentari: "Dio
    sia con noi." E immantinente, le truppe reali fecero tale scarica
    d'archibugi, che pose in fuga per ogni banda i cavalli
    degl'insorgenti. Il mondo attribuisce questa ignominiosa rotta alla
    pusillanimità di Grey. Nulladimeno, non è in nessuna guisa certo che
    Churchill avrebbe fatta miglior prova a capo d'uomini i quali non
    avevano mai per innanzi maneggiate armi a cavallo, e i cui cavalli
    non erano avvezzi, non solo a starsi fermi al fuoco, ma ad obbedire
    al freno.
    
    Pochi momenti dopo che la cavalleria del Duca erasi dispersa per il
    pantano, giunse correndo la fanteria, guidata fra le tenebre dalle
    micce accese del reggimento di Dumbarton.
    
    Monmouth rimase attonito, vedendo che un largo e profondo fosso
    giaceva tra lui e il campo ch'egli aveva sperato di sorprendere.
    Gl'insorti fermaronsi sull'argine e fecero fuoco, che fu ricambiato
    da una parte della fanteria reale, schierata sull'argine opposto.
    Per tre quarti d'ora, il fuoco degli archibugi non cessò mai. I
    contadini del Somerset si condussero come vecchi soldati, tranne che
    dettero troppo alta la mira alle artiglierie loro.
    
    Ma le altre divisioni dell'armata regia erano tutte in movimento. Le
    Guardie del Corpo e gli Azzurri vennero a spron battuto da Weston
    Zoyland, e dispersero in un attimo alcuni cavalli di Grey, i quali
    tentavano di raccogliersi. I fuggenti sparsero la paura fra i loro
    compagni del retroguardo, ai quali erano affidate le munizioni. I
    vagonieri retrocessero a gran passi senza fermarsi, finchè si videro
    molte miglia lontani dal campo di battaglia. Monmouth fino allora
    aveva sostenuta la parte propria come un robusto ed esperto
    guerriero. Era stato veduto a piedi, impugnando la picca, e
    incoraggiando con la voce e con l'esempio la propria fanteria. Ma
    conosceva sì bene le cose militari, da accorgersi che tutto era
    finito. I suoi uomini avevano perduto il vantaggio che avrebbero
    potuto derivare dal buio e dalla sorpresa. Erano stati abbandonati
    dalla cavalleria e dai vagoni della munizione. Le forze del Re erano
    unite e in buon ordine. Feversham, desto dal fuoco, alzatosi di
    letto, annodata bene la cravatta, e guardatosi allo specchio, era
    venuto a vedere ciò che facevano i suoi. Intanto, - e ciò fu di
    maggiore importanza, - Churchill aveva rapidamente disposte in guisa
    affatto nuova le fanterie. Il giorno era presso a spuntare. L'esito
    d'un conflitto alla luce del sole, in un piano aperto, non poteva
    essere dubbio. Nondimeno, Monmouth avrebbe dovuto sentire come a lui
    non convenisse fuggire, mentre migliaia d'uomini, che dallo affetto
    che gli portavano erano stati spinti alla propria rovina,
    seguitavano a combattere per la sua causa. Ma le vane speranze e lo
    intenso amore della vita prevalsero. Vide che, indugiando, la
    cavalleria regia gli avrebbe potuto impedire la ritirata. Montò,
    quindi, a cavallo e uscì dal campo.
    
    Nondimeno, i suoi fanti, comunque abbandonati, fecero estrema
    resistenza. Le Guardie del Corpo gli strinsero dalla diritta, gli
    Azzurri da mancina; ma i villani della Contea di Somerset, con le
    falci loro e le punte degli archibugi, fecero fronte, come fossero
    vecchi soldati, alla cavalleria reale. Oglethorpe fece vigorosa
    prova per romperli, e fu validamente respinto. Sarsfield, egregio
    ufficiale irlandese, il cui nome acquistò dipoi una trista
    celebrità, gli assaltò dall'altro lato; ma indietreggiarono i suoi,
    ed egli stesso fu gettato a terra, dove rimase alcun tempo come
    morto. Gli sforzi de' robusti campagnuoli non potevano lungamente
    durare. Non avevano più polvere. Gridavano spesso: "Munizione! per
    l'amor di Dio; munizione!" Ma munizione non v'era. Quand'ecco
    sopraggiunge l'artiglieria regia. Era stata collocata a mezzo
    miglio, nella strada maestra, da Weston Zoyland a Bridgewater. Erano
    così difettosi gli arnesi da guerra dell'armata inglese, che vi
    sarebbe stata molta difficoltà a strascinare i grossi cannoni al
    luogo dove ardeva la guerra, se il vescovo di Winchester non avesse
    offerti all'uopo i cavalli della propria carrozza. Questo
    immischiarsi di un prelato cristiano in un negozio di sangue, è
    stato, con istrana incoerenza, riprovato da scrittori Whig, i quali
    non vedono nulla di criminoso nella condotta de' numerosi ministri
    puritani che in quell'occasione avevano prese le armi contro il
    Governo. Anche dopo arrivati i cannoni, vi era cotale difetto di
    artiglieri, che un sergente del reggimento di Dumbarton dovette
    badare da sè al maneggio di alcuni di quelli(501). Ciò non ostante,
    i cannoni, comunque male adoperati, tosto posero fine alla pugna. Le
    picche dei battaglioni ribelli cominciarono a piegare; le file si
    ruppero; la cavalleria reale fece impeto di nuovo, rovesciando ogni
    cosa che le si parava dinanzi; la fanteria si mosse traverso al
    fosso. Anco in tanta estremità, i minatori di Mendip si tennero
    ostinatamente fermi, e venderono cara la vita loro. Ma in pochi
    minuti la rotta degl'insorti fu compiuta. De' soldati, trecento
    erano morti o feriti. De' ribelli, più d'un migliaio giacevano
    esanimi sullo scopeto(502).
    
    In tal modo ebbe fine l'ultimo combattimento, che meriti il nome di
    battaglia combattuta sul suolo inglese. La impressione che ne rimase
    nei semplici abitatori di quelle vicinanze, fu profonda e durevole;
    impressione che, a dir vero, si è spesso rinnovata. Imperocchè,
    anche ai tempi nostri, lo aratro e la marra non rade volte
    disseppelliscono funebri ricordi, teschi, stinchi, e armi
    stranamente formate di villici strumenti. I vecchi contadini, non è
    guari, raccontavano che nella loro fanciullezza solevano giocare
    sullo scopeto alla battaglia fra gli uomini di Re Giacomo e quelli
    di Re Monmouth, e che questi sempre gridavano: Soho(503)!
    
    Ciò che sembra il più straordinario nella battaglia di Sedgemoor, è
    che l'esito ne sia stato dubbio per un momento, e che i ribelli
    abbiano cotanto resistito. Che cinque o sei mila carbonai e
    contadini potessero per un'ora sola lottare con mezzo il numero di
    quella cavalleria e fanteria regolare, ai dì nostri verrebbe
    reputato miracolo. Ma forse scemerebbe la nostra maraviglia, ove
    considerassimo che al tempo di Giacomo II, la disciplina delle
    milizie regolari era estremamente lassa; e dall'altro canto, il
    contadiname era accostumato a servire nella guardia civica. La
    diversità, quindi, tra un reggimento di fanti e un reggimento di
    villani pur allora reclutati, comunque considerevole, non era punto
    ciò che sarebbe adesso. Monmouth non conduceva una pretta marmaglia
    ad assaltare buoni soldati; imperocchè i suoi seguaci non erano
    affatto ignari del mestiere del soldato; e le truppe di Feversham,
    in paragone delle odierne truppe inglesi, potevano quasi chiamarsi
    una marmaglia.
    
    Battevano le ore quattro; il sole levavasi sull'orizzonte,
    allorquando la sconfitta armata inondò le vie di Bridgewater. Gli
    urli, il sangue, le ferite, i visi cadaverici degli uomini che
    cadevano a terra per non più rialzarsi, empirono d'orrore e spavento
    la città tutta. Oltredichè i vincitori gl'inseguivano da presso.
    Coloro fra gli abitanti i quali avevano favorita la insurrezione,
    aspettavansi il saccheggio e la strage, e imploravano protezione ai
    loro vicini che professavano la religione cattolica romana, o erano
    conosciuti come Tory; e gli stessi più virulenti storici Whig
    affermano, come cosa certa, che tale protezione venne cortesemente e
    generosamente concessa(504).
    
    XLIV. Per tutto quel giorno, i vincitori continuarono ad inseguire i
    fuggitivi. Gli abitatori de' villaggi circostanti, lungo tempo
    ricordarono con che strepito di zampe e tempesta di maledizioni la
    cavalleria, a guisa di turbine, passava. Innanzi che fosse sera,
    cinquecento prigioni erano stipati dentro la chiesa parrocchiale di
    Western Zoyland. Ottanta di loro erano feriti; e cinque spirarono
    fra le sacre pareti. Gran numero di lavoranti furono forzati a
    seppellire gli uccisi. Pochi, che erano manifestamente partigiani
    de' vinti, vennero riserbati all'osceno ufficio di squartare i
    prigionieri. Gli uomini delle decurie delle vicine parrocchie,
    furono adoperati ad alzar forche e procurare catene. E tutto ciò
    seguiva mentre le campane di Weston Zoyland e Chedzoy suonavano a
    festa, e i soldati cantavano e facevano baccano fra mezzo ai
    cadaveri sullo scopeto: imperciocchè i fattori delle vicinanze,
    appena saputo l'esito del combattimento, erano stati solleciti a
    mandare fiaschi ripieni del loro miglior sidro, come offerte di
    pace, ai vincitori(505).
    
    XLV. Feversham era stimato uomo di buona indole; ma era forestiere,
    ignaro delle leggi e non curante del sentire degl'Inglesi. Avvezzo
    alla licenza militare della Francia, aveva imparato dal vincitore
    del Palatinato, suo congiunto, non a vincere, ma a devastare. Un
    considerevole numero di prigioni furono subito destinati ad essere
    messi a morte. Fra essi era un uomo famoso per velocità nel correre.
    Gli si fece sperare che gli verrebbe concessa la vita, se egli
    avesse vinto nella corsa un puledro delle maremme. Lo spazio ch'egli
    corse insieme col cavallo è tuttora segnato da termini ben
    conosciuti sullo scopeto, ed è lungo circa tre quarti di miglio.
    Feversham non vergognò, dopo d'avere veduta la prova, d'impiccare lo
    sciagurato. Il dì dopo, si vide una lunga fila di forche innalzate
    lungo la via maestra da Bridgewater a Weston Zoyland. Da ciascuna
    pendeva un prigioniero. Quattro di loro furono lasciati a marcire
    ne' ferri(506).
    
    In quel mentre, Monmouth, accompagnato da Grey e da pochi altri
    amici, fuggiva dal campo di battaglia. A Chedzoy fece sosta un
    momento per montare un cavallo fresco, e nascondere il suo nastro
    azzurro e la decorazione dell'ordine di Giorgio. Poi si mosse in
    fretta alla volta di Bristol Channel. Dalle alture a tramontana del
    campo di battaglia, vide il lampo e il fumo dell'ultima scarica che
    facevano i suoi abbandonati seguaci. Avanti le ore sei, egli
    trovavasi venti miglia lungi da Sedgemoor. Alcuni de' suoi compagni
    lo consigliavano a traversare le acque e rifuggirsi nel paese di
    Galles; e questo, indubitabilmente, sarebbe stato il miglior partito
    da prendere. Egli vi sarebbe arrivato innanzi che vi fosse giunta la
    nuova della sua sconfitta; e in una contrada così selvaggia e rimota
    dalla sede del Governo, avrebbe potuto lungamente rimanere
    sconosciuto. Nulladimeno, deliberò di spingersi nella Contea di
    Hamp, sperando di potersi nascondere ne' tuguri de' predatori di
    cervi fra le quercie di New Forest, fino a che si fosse potuto
    procurare i mezzi d'imbarcarsi pel continente. E però, con Grey e
    col Tedesco, volse i passi al sud-est. Ma il cammino era pieno di
    pericoli, perciocchè ai tre fuggitivi era forza passare per luoghi
    dove ciascuno già sapeva la nuova dell'esito della battaglia, e dove
    niun passeggiero di apparenza sospetta si sarebbe potuto sottrarre
    ad uno stretto esame. Cavalcarono tutto il giorno, schivando città e
    villaggi. Nè ciò allora era così difficile come adesso potrebbe
    sembrare: imperocchè gli uomini d'allora potevano ricordarsi del
    tempo in cui il cervo selvatico vagava liberamente per le foreste
    dalle rive dell'Avon, nella contea di Wilt fino alla costa
    meridionale di quella di Hamp(507). Alla perfine, in Cranbourne
    Chase, ai cavalli mancarono le forze. Monmouth e i suoi colleghi,
    quindi, gli abbandonarono, nascondendo le briglie e le selle; e
    procuratisi abiti contadineschi, travestironsi, e continuarono a
    piedi verso New Forest. Passarono la notte all'aria aperta; ma prima
    che spuntasse l'alba, si videro per ogni parte circondati di mille
    traversie. Lord Lumley che stanziava a Ringwood con un grosso corpo
    di milizie civiche di Sussex, ne aveva mandate legioni per ogni
    verso. Sir Guglielmo Portman, con la civica di Somerset, aveva
    formata una catena di posti militari, dal mare fino alla estremità
    settentrionale di Dorset. Alle ore cinque della mattina del dì 7,
    Grey, che vagava diviso da' suoi amici, fu preso da due delle
    vedette di Sussex. Si sobbarcò alla propria sorte con la calma di
    colui al quale la perplessità è più insoffribile della disperazione.
    "Dacchè mettemmo piede a terra" disse egli "non ho avuto un buon
    desinare o una sola notte di riposo." Mal poteva dubitarsi che il
    capo de' ribelli fosse poco lontano. Gl'inseguenti accrebbero la
    loro operosa vigilanza. Le capanne sparse su per l'aprico paese fra
    i confini delle Contee di Dorset e di Hamp, vennero rigorosamente
    ricercate da Lumley; e il contadino con cui Monmouth aveva barattato
    gli abiti, fu scoperto. Portman giunse con una grossa legione di
    cavalleria e di fanteria a prestare mano forte a coloro che erano
    intenti alla ricerca; i quali tosto volsero la propria attenzione ad
    un luogo bene adatto a ricoverare i fuggitivi. Era un vasto tratto
    di terra diviso da uno spazio chiuso dalla campagna aperta, partito
    con numerose siepi in piccoli poderi; in alcuni de' quali la segala,
    i piselli e l'avena, erano sì alti, da potervisi nascondere un uomo;
    altri erano coperti di fratte e di scope. Una donnicciola riferì
    d'avere veduti due stranieri nascosti in que' luoghi. La cupidigia
    della vicina ricompensa, rinfiammò lo zelo de' soldati. Fu
    stabilito, che chiunque avesse fatto il debito proprio, avrebbe
    avuta parte del promesso premio di cinque mila lire sterline. Fatte
    strettissimamente guardare le siepi esteriori, si posero con
    infaticabile cura a frugare dentro lo spazio interno, scagliando
    parimente tra le fratte vari cani di squisitissimo odorato. Il sole
    era volto al tramonto, senza che avessero potuto nulla trovare; ma
    tutta la notte si tennero in istretta vigilanza. Trenta volte i
    fuggitivi rischiaronsi a varcare la siepe esteriore; ma ogni passo
    trovavano guardato. Una volta, scoperti, fu loro fatto fuoco
    addosso: allora, dividendosi, si nascosero in differenti luoghi.
    
    XLVI. Il dì seguente, al sorgere del sole, ricominciata la ricerca,
    Buyse venne ritrovato. Ei confessò d'essersi poche ore innanzi
    diviso dal Duca. Gl'inseguenti, adunque, si posero a frugare con
    maggior cura dentro il grano e le macchie, finchè scoprirono
    nascosto in un fosso un uomo di scarno aspetto. Gli si gettarono
    addosso. Alcuni stavano per fare fuoco; ma Portman impedì ogni
    violenza. Il prigioniero era in abito di pastore; la sua barba,
    grigia anzi tempo, era lunga di parecchi giorni. Tremava
    grandemente, e non poteva parlare. Anche coloro che lo conoscevano
    di persona, dubitarono in prima s'egli fosse lo elegante e leggiadro
    Monmouth. Portman gli frugò nelle tasche, e fra parecchi piselli
    raccolti nella rabbia della fame, vi trovò un oriuolo, una borsa
    d'oro, un albo pieno di canzoni, di ricette, di preghiere e di
    malie, e l'ordine di Giorgio, del quale, molti anni prima, il Re
    Carlo II aveva decorato il prediletto figliuolo. Subitamente furono
    spediti nunzii a Whitehall, che recarono la lieta nuova e la
    decorazione dell'ordine di Giorgio, come segno della verità del
    fatto. Il prigioniero, sotto strettissima guardia, fu condotto a
    Ringwood(508).
    
    Tutto era perduto, null'altro a lui rimanendo che apparecchiarsi a
    sostenere la morte in modo convenevole ad uomo che non s'era creduto
    indegno di portare la corona di Guglielmo il Conquistatore e di
    Riccardo Cuor di Lione, dell'eroe di Cressy e dell'eroe d'Agincourt.
    Egli avrebbe potuto richiamare alla mente altri domestici esempi,
    anco meglio convenienti alla propria condizione. In duecento anni,
    due sovrani, il cui sangue scorreva nelle sue vene, l'uno de' quali
    era una delicata donna, s'erano trovati nella condizione medesima in
    cui egli stava; - avevano mostrato nel carcere e sul palco una
    virtù, della quale nella prospera fortuna sembravano incapaci, e
    quasi redensero i loro grandi delitti ed errori sopportando con
    cristiana mansuetudine e con dignità principesca le pene inflitte
    loro dai nemici vittoriosi. Monmouth non era mai stato accusato di
    codardia; e quand'anche avesse avuto difetto di coraggio naturale,
    si sarebbe sperato che in quella estremità gliene dessero la
    disperazione e l'orgoglio. A lui erano rivolti gli occhi di tutto il
    mondo. La più tarda posterità avrebbe saputo come egli, in quel
    solenne momento, si fosse condotto. Verso i valorosi contadini
    dell'occidente egli era in debito di mostrare, che essi non avevano
    sparso il proprio sangue per un capo indegno del loro affetto. Verso
    colei che aveva tutto sacrificato per amor suo, egli era in debito
    di mostrarsi in guisa, che ella, dovendo piangere di lui, non ne
    avesse ad arrossire. Non era degno di lui il lamentarsi o il
    supplicare. Oltredichè, la propria ragione gli avrebbe dovuto
    addimostrare, essere vano ogni lamento ed ogni preghiera. A ciò
    ch'egli aveva fatto, non potea esservi perdono. Trovavasi fra gli
    artigli di un uomo che non perdonava giammai.
    
    Ma la forza d'animo di Monmouth non era di quella specie che nasce
    dalla riflessione e dal rispetto di sè; nè la natura gli aveva
    largito uno di que' cuori robusti, da' quali nè avversità nè
    pericolo valgono a strappare un segno di debolezza. Il suo coraggio
    innalzavasi e cadeva coi suoi spiriti animali. Nel campo di
    battaglia lo sostenevano lo eccitamento dell'azione, la speranza
    della vittoria, e la misteriosa potenza dell'esempio altrui. Tutti
    cotesti sostegni adesso più non erano. L'idolo della Corte e della
    plebe, avvezzo ad essere amato e adorato dovunque si fosse mostrato,
    ora vedevasi cinto da rigidi carcerieri, negli occhi de' quali ei
    leggeva la propria sorte. Dopo poche ore di trista prigionia, egli
    doveva patire violenta e vergognosa morte. Il cuore gli venne meno.
    La vita gli parve degna d'essere comprata con ogni specie
    d'umiliazione; nè il suo intelletto, stato sempre debole, ed ora
    perturbato dal terrore, poteva intendere che la umiliazione lo
    avrebbe avvilito, ma salvato non mai.
    
    XLVII. Appena giunto a Ringwood, scrisse al Re una lettera, come
    poteva dettarla un uomo cui un codardo timore abbia tolto ogni senso
    di vergogna. Con caldissime parole espresse il rimorso ch'egli
    sentiva pel tradimento commesso. Affermò, che allorquando aveva ai
    proprii cugini nell'Aja promesso di non suscitare commovimenti in
    Inghilterra, egli intendeva osservare pienamente la promessa. Per
    sua sventura, era stato poi sedotto al misfatto da certe orride
    genti, le quali gli avevano con varie calunnie scaldato il cervello,
    e sofisticando lo avevano traviato: ma oramai abborriva que' tristi;
    abborriva sè stesso. Pregava, con pietosi detti, d'essere ammesso
    alla presenza del Re. Aveva da palesargli un secreto che ei non
    poteva fidare alla penna, un secreto che era racchiuso in una sola
    parola; e s'egli avesse potuto dire quella tale parola, il trono
    sarebbe fatto sicuro d'ogni pericolo. Il dì seguente scrisse altre
    lettere alla Regina vedova, e al Lord Tesoriere, pregandoli ad
    intercedere per lui(509).
    
    Appena si seppe in Londra ch'egli si era siffattamente avvilito,
    ognuno ne rimase attonito; e nessuno quanto Barillon, il quale
    aveva, stando in Inghilterra, vedute due sanguinose proscrizioni, in
    cui non poche vittime sì dell'opposizione che della Corte, senza
    preghi e piagnistei donneschi, eransi sobbarcate al proprio
    fato(510).
    
    XLVIII. Monmouth e Grey rimasero due giorni in Ringvood. Furono poi
    menati a Londra, sotto la guardia di un grosso corpo di milizie
    regolari e civiche. Nel cocchio del Duca era un ufficiale, che aveva
    ordine di pugnalarlo se si fosse tentato di liberarlo. In ogni città
    giacente lungo il cammino, stavano schierati i militi cittadini
    delle vicinanze, sotto il comando de' precipui gentiluomini. La
    marcia durò tre giorni fino a Wauxhall, dove un reggimento comandato
    da Giorgio Legge, Lord Dartmouth, era apparecchiato a ricevere i
    prigionieri. I quali furono posti in una barca, e pel fiume condotti
    a Whitehall Stairs. Lumley e Portman guardarono a vicenda giorno e
    notte il Duca, finchè lo ebbero messo dentro il Palazzo(511).
    
    Il contegno di Monmouth e quello di Grey nel viaggio, riempirono di
    ammirazione chiunque li vedeva. Monmouth era affatto prostrato. Grey
    non solo era tranquillo, ma brioso; parlava piacevolmente di
    cavalli, di cani, di cacce, e alludeva perfino scherzevolmente al
    pericolo in cui trovavasi.
    
    Il Re non è da biasimarsi d'avere dannato Monmouth a morire.
    Chiunque si faccia capo d'una ribellione contro un Governo
    stabilito, rischia la vita sull'esito di quella; e la ribellione era
    la parte minore de' delitti di Monmouth. Egli aveva dichiarato
    contro il proprio zio una guerra a morte. Nel manifesto promulgato
    in Lyme, aveva condannato Giacomo alla esecrazione come incendiario,
    come assassino, che aveva strangolato un uomo innocente e mozzo il
    capo ad un altro, e infine come avvelenatore del proprio fratello.
    Perdonare ad un nemico che non aveva abborrito di ricorrere a
    cosiffatte enormezze, sarebbe stato un atto di generosità rara, e
    forse biasimevole. Ma vederlo e non perdonargli la vita, era un
    offendere ogni senso d'umanità e di decenza(512). Se non che, il Re
    era risoluto di mostrarsi implacabile. Il prigioniero, le braccia
    legate con un laccio di seta dietro le spalle, fu menato al cospetto
    dell'inesorabile parente da lui oltraggiato.
    
    XLIX. Monmouth prostrossi a terra, trascinandosi a piedi del Re.
    Pianse; tentò di stringere con le incatenate braccia le ginocchia
    dello zio. Lo supplicò di concedergli la vita, solo la vita, la vita
    ad ogni costo. Confessò d'essere reo d'un gran delitto, ma provossi
    di darne la colpa agli altri, e in ispecie ad Argyle; il quale
    avrebbe meglio poste le proprie gambe nello stivaletto, che salvare
    la vita con tanto avvilimento. A nome de' vincoli del sangue, della
    memoria del Re defunto, che era stato il migliore e più sincero de'
    fratelli, lo sventurato implorò mercè ai piedi di Giacomo. Giacomo
    con gravità rispose essere tardi il pentirsi; a lui spiacere la
    sciagura che il prigioniero s'era voluto chiamare sul capo, ma il
    delitto non esser tale da potersi usare clemenza. Un proclama pieno
    d'atroci calunnie era stato pubblicato. Il regio titolo era stato
    assunto. Per così gravi tradimenti non potere esserci perdono in
    questo mondo. Lo esterrefatto Duca giurò non aver mai voluto
    usurpare la Corona, ma essere stato da altri tratto in quel fatale
    errore. In quanto al proclama, egli non era colui che lo aveva
    scritto; non lo aveva nè anche letto; lo aveva firmato senza
    gettarvi gli occhi sopra: era tutta opera di Ferguson, di quel
    sanguinario e scellerato Ferguson. "Sperate voi ch'io creda" disse
    Giacomo, con ben meritato disprezzo, "che abbiate apposta la vostra
    firma ad una scrittura di tanto momento, senza saperne il
    contenuto?" Ma gli rimaneva a scendere oltre in fondo alla infamia.
    Egli era il gran campione della religione protestante, lo interesse
    della quale gli era servito di pretesto a congiurare contro il
    Governo del proprio padre, e gettare la patria nelle calamità della
    guerra civile: e nondimeno, non vergognò di accennare come egli
    fosse proclive a riconciliarsi con la Chiesa di Roma. Il Re gli
    offerse volentieri ogni aiuto spirituale, ma non fe' motto di
    perdono o di clemenza. "Non v'è dunque speranza?" chiese Monmouth.
    Giacomo non rispose, e gli volse le spalle. Allora Monmouth si
    sforzò di rifarsi d'animo, e si alzò, ritirandosi con una fermezza
    da lui non mostrata mai dopo la propria caduta(513).
    
    Poi Grey comparve alla regia presenza. Egli si condusse con tale
    decoro e fortezza, che commosse anche l'austero e astioso Giacomo:
    non si scusò punto, e non si piegò punto a chiedere la vita. Ambi i
    prigionieri furono mandati pel fiume alla Torre. Non vi fu tumulto;
    ma molte migliaia di persone, con l'ansietà e il cordoglio dipinti
    sul volto, provaronsi di vedere i due sciagurati. Appena il Duca si
    vide lontano dallo aspetto del Re, la risolutezza rinatagli in cuore
    svanì. Andando al carcere gemeva, accusava i suoi seguaci, e con
    abbiettezza implorava Dartmouth intercedesse per lui. "So bene,
    Milord, che amavate mio padre. Per l'amore di lui, per l'amore di
    Dio, ingegnatevi di trovar modo ad ottenermi mercè." Dartmouth
    rispose che il Re aveva parlato il vero, e che un suddito che aveva
    assunto il titolo regio, si era chiuso ogni via al perdono(514).
    
    Poco dopo che Monmouth venne rinchiuso nella Torre, gli fu
    annunziato che la moglie, per ordine del Re, era arrivata per
    vederlo. Era in compagnia del Conte di Clarendon Lord del Sigillo
    Privato. Il marito le fece freddissima accoglienza, e rivolse quasi
    sempre la parola a Clarendon, implorando intercedesse per lui.
    Clarendon non gli porse nessuna speranza; e la sera stessa due
    prelati, Turner vescovo di Ely, e Ken vescovo di Bath e Wells,
    arrivarono alla Torre, recando un solenne messaggio da parte del Re.
    Era la notte del lunedì. Il mercoledì prossimo Monmouth doveva
    morire.
    
    Ei cadde in grande agitazione; il sangue gli fuggì dalle guance, e
    per qualche tempo non potè profferire parola. La più parte del breve
    spazio di tempo che gli rimaneva, egli spese provandosi indarno di
    ottenere, se non perdono, almeno una sospensione della sentenza.
    Scrisse al Re ed a vari cortigiani lettere compassionevoli, ma
    indarno. Gli furono dalla Corte mandati alcuni sacerdoti cattolici;
    i quali tosto s'accorsero ch'egli avrebbe volentieri comprata la
    vita rinnegando la religione di cui in modo speciale erasi
    dichiarato difensore: nondimeno, se gli era forza morire, sarebbe
    morto senza la loro assoluzione, egualmente che con quella(515).
    
    Nè Ken e Turner rimasero satisfatti delle opinioni di lui. Secondo
    loro, come secondo la maggior parte de' loro confratelli, la
    dottrina della non-resistenza era il segno distintivo della Chiesa
    Anglicana. I due Vescovi insistettero perchè Monmouth confessasse,
    che snudando la spada contro il Governo, egli aveva commesso un gran
    peccato; e in ciò lo trovarono ostinatamente eterodosso. Nè era
    questa la sola delle sue eresie. Sosteneva che la sua relazione con
    Lady Wentworth fosse irreprensibile agli occhi di Dio. Diceva
    d'avere contratto matrimonio mentre era fanciullo. Non si era dato
    mai pensiero della sua Duchessa. La felicità ch'egli non aveva
    trovata in casa propria, l'aveva cercata in seno a dissoluti amori,
    dannati dalla religione e dalla morale. Enrichetta era stata colei
    che lo aveva redento da una vita di vizi. Ad essa egli era stato
    rigorosamente fedele. Entrambi d'accordo avevano pôrte al cielo
    ferventi preghiere perchè li guidasse. Dopo le quali preghiere, il
    loro scambievole affetto erasi afforzato: non potevano, quindi, più
    oltre dubitare che al cospetto di Dio essi erano come due sposi. I
    vescovi rimasero così scandalezzati a coteste idee intorno al
    vincolo coniugale, che ricusarono di ministrargli la comunione.
    Tutto ciò che da lui poterono ottenere, fu la promessa, che nella
    unica notte che gli restava a vivere, pregasse Iddio a largirgli
    lume bastevole onde conoscere se fosse nell'errore.
    
    Il mercoledì mattina, a sua particolare richiesta, il Dottore
    Tommaso Tenison, che allora era vicario di San Martino, e in
    quell'importante ufficio erasi acquistato la pubblica stima, andò
    alla Torre. Da Tenison, uomo noto per moderatezza d'opinioni, il
    Duca aspettavasi indulgenza maggiore di quanta gliene avessero
    potuto mostrare Ken e Turner. Ma Tenison, qualunque fossero le sue
    opinioni concernenti la non-resistenza in astratto, reputava la
    recente ribellione sconsiderata ed iniqua, e le idee di Monmouth
    rispetto al matrimonio pericolosissimo inganno. Monmouth fu
    ostinato, dicendo d'avere pregato il cielo perchè lo illuminasse. I
    suoi sentimenti rimanevano sempre gli stessi; e non poteva dubitare
    d'essere nella diritta via. Tenison lo esortò con modo più mite di
    quello che avevano adoperato i due vescovi. Ma al pari di loro,
    pensò di non potere in coscienza amministrare la eucaristia ad un
    uomo la cui penitenza era così poco soddisfacente(516).
    
    L'ora appressavasi: ogni speranza era spenta: Monmouth da un timore
    pusillanime era passato all'apatia della disperazione. Gli furono
    condotti i figliuoli, perchè desse loro l'estremo vale; erano
    accompagnati dalla moglie. Le parlò cortesemente, ma senza emozione.
    Comecchè fosse donna di gran forza d'animo, e avesse poca cagione ad
    amarlo, il suo dolore fu tanto, che nessuno degli astanti potè
    frenare le lacrime. Egli solo non ne rimase commosso(517).
    
    L. Battevano le ore dieci. Il cocchio del Luogotenente della Torre
    era pronto. Monmouth pregò i suoi consiglieri spirituali lo
    accompagnassero al luogo del patibolo; e quelli acconsentirono: ma
    gli dissero, che, secondo il loro giudicio, egli stava per morire
    male apparecchiato; e che dovendolo accompagnare, stimavano debito
    loro esortarlo fino allo estremo momento. Passando dinanzi alle
    milizie schierate, le salutò con un sorriso, e con passi fermi
    ascese sul palco. Tower Hill era coperto fino ai tetti d'una
    innumerevole folla di spettatori, i quali in solenne silenzio, rotto
    solo da sospiri e da pianti, aspettavano d'udire le supreme parole
    dell'idolo del popolo. "Dirò poco:" cominciò egli "io qui vengo non
    a parlare, ma a morire. Io muoio protestante della Chiesa
    Anglicana." I vescovi lo interruppero, dicendo che ove non
    confessasse la resistenza essere peccato, egli non era membro della
    loro Chiesa. Cominciò a parlare d'Enrichetta, e disse: lei essere
    virtuosa ed onorata giovine; lui averla amata fino allo estremo, e
    non poter morire senza esprimere ciò che sentiva. I vescovi di nuovo
    lo pregarono non parlasse in quel modo. Seguì un alterco. I
    sacerdoti sono stati accusati d'avere trattato aspramente un
    moribondo. Ma sembra che solo adempissero quello che essi reputavano
    debito proprio. Monmouth conosceva i loro principii, e se avesse
    voluto schivare la importunità loro, non avrebbe dovuto richiedere
    la loro assistenza. I loro argomenti generali contro la dottrina
    della resistenza, non fecero in lui effetto veruno. Ma allorquando
    gli favellarono della rovina alla quale aveva trascinati i suoi
    valorosi ed affettuosi seguaci, del sangue che era stato sparso,
    delle anime che s'erano presentate senza i debiti apparecchi al
    tribunale di Dio, ei ne fu commosso, e disse con flebile voce: "Lo
    confesso, e me ne dolgo." I sacerdoti fecero con lui lunghe e
    ferventi preci; ed egli li accompagnò fino al punto in cui
    invocavano la benedizione divina sul Re. Egli tacque. "Signore,"
    disse uno di loro "non pregate con noi per il Re?" Monmouth, dopo
    una tenzone fra il sì e il no, esclamò "Amen." Ma indarno i prelati
    lo scongiurarono di dirigere ai soldati ed al popolo poche parole
    onde esortarli ad obbedire al Governo. "Io non vo' fare discorsi"
    rispose. - "Solo poche parole, o Milord." Volse le spalle, chiamò il
    suo servo, gli pose nelle mani un astuccio da stecchini, ultimo
    pegno d'un amore sventurato, dicendogli: "Recalo a colei." Allora si
    fe' presso al carnefice Giovanni Ketch, scellerato uomo che aveva
    macellate molte valorose e nobili vittime, e il cui nome per un
    secolo e mezzo è stato regolarmente appiccato a tutti coloro che gli
    succedevano nell'odioso mestiere(518). "Ecco" disse il Duca "sei
    ghinee per voi. Non fate a me ciò che faceste a Lord Russell. Mi è
    stato detto che gli deste tre o quattro colpi. Il mio servo vi darà
    dell'altro oro, se voi farete bene l'ufficio vostro." Allora
    spogliossi, tastò il taglio della scure, disse che temeva non fosse
    bene affilato e adattò il capo sul ceppo. I sacerdoti frattanto
    seguitavano ad esclamare con gran forza: "Dio accolga il vostro
    pentimento; Dio accolga il vostro imperfetto pentimento."
    
    Il boia si pose in atto di fare il proprio ufficio. Ma erasi
    conturbato alle parole del Duca. Il primo colpo fece soltanto un
    lieve taglio. Il Duca si divincolò, rizzossi dal ceppo, fulminando
    cogli occhi il carnefice, poi ripiegò il capo. Il colpo fu ripetuto
    due e tre volte, ma tuttavia il capo non era separato dal tronco il
    quale seguiva a divincolarsi. La folla mandava urli d'orrore e di
    rabbia. Ketch, bestemiando, gittò via la scure, e disse: "Non posso
    farlo; il cuore mi manca." - "Ripiglia la scure," gridò lo sceriffo.
    - "Gettatelo giù dal palco," urlò la folla. Finalmente il carnefice
    riprese la scure, e con due altri colpi lo finì; ma gli fu d'uopo
    usare un coltello per ispiccare il capo dal collo. La folla fu presa
    da tanta frenesia di rabbia, che il boia fu quasi per essere
    sbranato, e venne condotto via fra mezzo a numerose guardie(519).
    
    In quel mentre, molti tuffavano i loro fazzoletti nel sangue di
    Monmouth; avvengachè da gran parte della folla venisse considerato
    come un martire, che era morto per la religione protestante. Il capo
    mozzo e il tronco furono posti in un feretro coperto d'una coltre di
    velluto nero, e sotterrati senza pompa sotto la tavola della
    comunione della Cappella di San Pietro nella Torre. Dopo quattro
    anni, il pavimento del santuario fu di nuovo smosso; e accanto alle
    ossa di Monmouth, furono sepolte quelle di Jeffreys. In vero, non
    v'è sulla terra luogo più tristo di questo piccolo cimitero. La idea
    della morte ivi è congiunta, non come in Westminster o in San Paolo,
    con quella del genio e della virtù, della venerazione pubblica e
    della fama gloriosa; non come nelle nostre chiese e campisanti più
    umili, con ciò che v'è di più dolcemente diletto nella carità
    sociale e domestica: ma con ciò che vi è di più funesto nella umana
    natura e nelle sorti umane; col barbaro trionfo di nemici
    implacabili; con la incostanza, la ingratitudine, la codardia degli
    amici; con tutte le miserie della grandezza caduta e della fama
    infame. Ivi sono state deposte, per tanti anni e tanti, dalle ruvide
    mani de' carcerieri, senza pianto di amici, le reliquie di uomini
    che sono stati capitani d'eserciti, capi di partiti, oracoli di
    senati, ed ornamenti di Corti. Ivi fu trasportato, avanti alla
    finestra dove Giovanna Grey soleva pregare, lo sbranato cadavere di
    Guildford Dudley. Ivi riposa, accanto al fratello da lui
    assassinato, Eduardo Seymour, Duca di Somerset, e Protettore del
    Regno. Ivi è fatto cenere il tronco di Giovanni Fisher, Vescovo di
    Rochester e Cardinale di San Vitale, uomo degno di essere vissuto in
    età migliore, e d'esser morto per una miglior causa. Ivi giace
    Giovanni Dudley, Duca di Northumberland, Lord Grande Ammiraglio; e
    Tommaso Cromwell, Conte di Essex, Lord Tesoriere. Ivi anche è un
    altro Essex, sul quale la natura aveva profuso invano tutto il
    tesoro de' suoi doni; e che il valore, la grazia, lo ingegno, il
    regio favore, i plausi popolari condussero a prematura e ignominiosa
    morte. Nè molto discosto dormono due capi della gran Casa di Howard;
    Tommaso, quarto Duca di Norfolk, e Filippo, undecimo Conte
    d'Arundel. Qua e colà, fra le spesse sepolture d'irrequieti ed
    ambiziosi uomini di Stato, giacciono alcune vittime più delicate;
    Margherita di Salisbury, ultima reliquia dell'altero nome di
    Plantageneto; e quelle due leggiadre regine spente dalla gelosa
    rabbia d'Enrico. Con le ceneri di questi cotali fu mescolata la
    cenere di Monmouth(520).
    
    Pochi mesi dopo, il tranquillo villaggio di Toddlington, nella
    Contea di Bedford, vide un assai più tristo funerale. Presso a quel
    villaggio innalzavasi una antica e splendida magione, dove abitavano
    i Wentworth. La loro sepoltura era sempre stata sotto l'arcata di
    mezzo della chiesa parrocchiale. Quivi, nella primavera che seguì
    alla morte di Monmouth, fu trasportato il feretro della giovine
    baronessa Wentworth di Nettlestede. La famiglia le innalzò un
    sontuoso mausoleo: ma un suo ricordo meno dispendioso fu per lungo
    tempo ammirato con più profondo interesse. Il suo nome intagliato da
    lui ch'ella aveva cotanto amato, potevasi, pochi anni sono,
    discernere sul tronco d'un albero del parco contiguo.
    
    LI. Lady Wentworth non era la sola che amasse con immenso affetto la
    memoria del Duca. La immagine di lui rimase impressa nel cuore del
    popolo, finchè la generazione che lo aveva conosciuto non fu spenta.
    Nastri, fiocchi, ed altre simiglianti inezie portate da lui, furono
    venerate come preziose reliquie da coloro che avevano sotto lui
    pugnato a Sedgemoor. I vecchi che gli sopravvissero, desideravano,
    sul punto di morire, che que' cari ricordi fossero con loro sepolti.
    Un bottone d'oro filato, che a mala pena potè evitare tale destino,
    anche oggi si vede in una casa d'onde si scuopre il campo della
    battaglia. Anzi, tanta era la devozione che il popolo portava al suo
    prediletto, che, non ostante la più forte prova che possa rendere
    indubitabile il fatto d'una morte, molti seguitavano a illudersi
    della speranza che il Duca fosse vivo, e dovesse tosto mostrarsi in
    armi. Un uomo, dicevano, che mirabilmente somigliava Monmouth, si
    era sacrificato per salvare lo eroe de' protestanti. Il volgo
    continuò per lungo tempo, in ogni grave occasione, a bisbigliare che
    il giorno era vicino, e che il Re Monmouth sarebbe tra poco
    riapparso. Nel 1686, un ribaldo che si spacciava pel Duca, ed aveva
    ragunata pecunia in diversi villaggi della Contea di Wilt, fu preso
    e fustigato da Newgate fino a Tyburn. Nel 1698, allorchè la
    Inghilterra da parecchi anni godeva la libertà costituzionale sotto
    una nuova dinastia, il figlio di un locandiere si fece credere, fra
    mezzo ai piccoli possidenti di Sussex, il loro amato Monmouth, e
    frodò molti che non erano dell'infima classe. Gli venne fatta una
    colletta di cinquecento lire sterline. I fattori gli diedero un
    cavallo. Le mogli loro gli mandarono ceste piene di polli e
    d'anitre, e gli si mostrarono generose, secondo che fu detto, di
    favori più teneri; imperocchè, rispetto alla galanteria per lo meno,
    la copia non era indegna di rappresentare l'originale. Come
    quell'impostore fu gettato in prigione, i suoi creduli seguaci lo
    mantenevano con lusso. Alcuni di loro comparvero in tribunale per
    dargli animo allorquando fu processato nella Corte di Horsham. E
    tanto durò lo inganno, che Giorgio III era già da parecchi anni sul
    trono, che Voltaire estimò necessario confutare seriamente la
    ipotesi, che l'uomo dalla maschera di ferro fosse il Duca di
    Monmouth(521).
    
    Forse egli è un fatto poco meno notevole, che fino ad oggi gli
    abitatori di alcuni luoghi delle contrade occidentali d'Inghilterra,
    qualvolta qualche legge concernente i loro interessi discutesi nella
    Camera de' Lordi, si reputano in diritto di chiedere soccorso al
    Duca di Buccleuch, discendente dello sventurato capo pel quale i
    loro antecessori versarono il proprio sangue.
    
    La storia di Monmouth basterebbe sola a confutare lo addebito
    d'incostanza che di frequente suole gettarsi sopra il basso popolo.
    I popoli talvolta sono incostanti, perchè sono esseri umani. Ma che
    siano tali paragonati alla gente educata, voglio dire alle
    aristocrazie o ai principi, può sicuramente negarsi. Sarebbe agevole
    recare esempi di demagoghi, la cui popolarità sia rimasta ferma,
    laddove i sovrani e i parlamenti hanno tolta la già data fiducia a
    molti uomini di Stato. Mentre Swift seguitò a vivere molti anni
    scemo delle facoltà intellettive, la plebe irlandese continuava
    sempre ad accendere fuochi di gioia nel giorno natalizio del celebre
    scrittore, in commemorazione de' servigi, che, secondo la comune
    credenza, egli aveva resi alla patria nel tempo in cui la sua mente
    era in pieno vigore. Mentre sette ministeri furono innalzati al
    potere e cacciati via a cagione degli intrighi di Corte, o de'
    mutamenti d'opinione delle alte classi della società, il dissoluto
    Wilkes non perdè mai l'affezione d'una marmaglia da lui spogliata e
    derisa. Gli uomini politici che, nel 1807, s'erano studiati
    d'ingraziarsi a Giorgio III difendendo Carolina di Brunswick, non
    arrossirono, nel 1820, di ambire al favore di Giorgio IV,
    perseguitandola. Ma nel 1820, come nel 1807, tutta la classe degli
    operai con fanatico ardore parteggiava per lei. La cosa medesima
    avvenne di Monmouth. Nel 1680, era stato adorato e dai gentiluomini
    e da' contadini delle contrade occidentali. Nel 1685 mostrossi di
    nuovo. Ai gentiluomini era diventato obietto d'avversione; dai
    contadini era tuttavia amato con un affetto forte come la morte, con
    un affetto non estinguibile per infortuni o per falli, per la fuga
    da Sedgemoor, per la lettera di Ringwood, o per le querule ed
    abiette supplicazioni in Whitehall. Lo addebito che equamente può
    darsi al popolo, sta in ciò, ch'esso non è incostante, ma elegge
    sempre il suo prediletto così male, che la sua costanza diventi
    vizio, e non virtù.
    
    LII. Mentre la decapitazione di Monmouth occupava le menti di tutti
    in Londra, le Contee che erano insorte contro il Governo pativano
    tutte le enormezze che una feroce soldatesca possa commettere.
    Feversham era stato chiamato a Corte, dove lo aspettavano onori e
    rimunerazioni ch'ei poco meritava. Fu fatto cavaliere della
    Giarrettiera, e capitano del primo e più lucroso reggimento delle
    Guardie del Corpo: ma la Corte e la Città ridevano delle sue imprese
    militari; e lo spirito di Buckingham fece l'ultime sue prove a
    schernire il guerriero che aveva riportata una vittoria standosi a
    poltrire sul letto(522). Feversham lasciò il comando in Bridgewater
    al Colonnello Percy Kirke, avventuriero militare, ch'erasi educato
    al vizio nella peggiore di tutte le scuole, cioè in Tangeri. Kirke,
    pel corso d'alcuni anni, aveva comandato il presidio di quella
    città, occupato in continue ostilità contro le tribù de' Barbari,
    ignari delle leggi che governano le nazioni incivilite e cristiane.
    Dentro le mura della propria fortezza egli imperava da despota.
    L'unico freno alla sua tirannide era il timore d'esser chiamato a
    render conto da un lontano e spensierato Governo. Poteva, quindi,
    con sicurtà sbrigliarsi ai più audaci eccessi di rapacità, di
    crudeltà, di licenza. Viveva con immensa dissolutezza, e con le
    estorsioni procuravasi i mezzi di satisfarla. Nessuna mercatanzia
    poteva vendersi finchè Kirke non l'avesse rifiutata. Non si poteva
    decidere questioni di diritto finchè Kirke non ne avesse ricevuto il
    prezzo. Una volta, solo per capriccio di malignità, versò tutto il
    vino della cantina di un oste. Un'altra volta cacciò via tutti gli
    Ebrei da Tangeri; due de' quali egli mandò alla Inquisizione
    Spagnuola, che tosto li arse vivi. Sotto cotesto giogo di ferro non
    s'udiva un lamento, imperocchè il terrore teneva in freno l'odio.
    Due individui che gli si erano mostrati disobbedienti, furono
    trovati morti; e fu universale credenza che fossero stati
    assassinati per ordine di Kirke. Quando i soldati spiacevangli, li
    faceva flagellare con severità spietata; ma li compensava
    permettendo che dormissero alle vedette, vagassero, rubassero,
    percotessero e insultassero i mercatanti e gli operai.
    
    Allorchè Tangeri fu abbandonata, Kirke ritornò in Inghilterra.
    Seguitò a tenere il comando de' suoi vecchi soldati, i quali
    talvolta chiamavansi Primo Reggimento Tangeri, e tal altra
    Reggimento Regina Caterina. E perchè erano stati ordinati con lo
    scopo di far guerra ad un popolo infedele, portavano nella bandiera
    un emblema cristiano, lo Agnello Pasquale. In allusione a siffatto
    emblema e in senso di acre ironia, cotesti uomini, i più feroci
    delle inglesi milizie, chiamavansi gli Agnelli di Kirke (Kirk's
    Lambs). Questo reggimento, che ora è il secondo di linea, serba
    tuttora l'antica insegna, che poscia riceveva nuovo splendore per le
    decorazioni acquistate onoratamente in Egitto, in Ispagna e nel
    cuore dell'Asia(523).
    
    Tale era il capitano e tali i soldati, i quali furono scagliati
    addosso alle popolazioni della Contea di Somerset. Kirke da
    Bridgewater marciò a Taunton. Era accompagnato da due carriaggi
    pieni di ribelli feriti, le cui piaghe non erano fasciate, e da una
    lunga fila di prigioni che andavano a piedi, due a due incatenati.
    Vari di costoro egli impiccò appena giunto a Taunton, senza forma
    nessuna di processo. Non fu loro conceduto nè anche dire l'ultimo
    addio ai più stretti parenti. Serviva di forca la insegna di White
    Hart Inn. Dicesi che gl'impiccamenti si facessero di faccia alle
    finestre dove i soldati di Tangeri gozzovigliavano, e che ad ogni
    brindisi si impiccasse un prigioniero. Come i morenti dimenavano le
    gambe nell'ultima agonia, il colonnello faceva battere i tamburi,
    dicendo di volere accompagnare con la musica la danza de' ribelli.
    La tradizione vuole che ad uno de' prigioni non fu nè anche concessa
    la grazia di farlo prontamente morire. Due volte fu appeso al posto,
    e due calato a terra. Due volte gli fu chiesto se era pentito del
    tradimento, e due egli rispose che se la impresa era da farsi
    nuovamente, egli l'avrebbe rifatta daccapo. Allora gli fu messo il
    capestro per l'ultima volta. Fu tanto il numero de' cadaveri
    squartati, che il carnefice stavasi nel sangue fino alle gambe. Era
    aiutato da un povero uomo, il quale essendo caduto in sospetto, fu
    forzato a redimere la propria vita bollendo nella pece i cadaveri
    de' propri fratelli. Il contadino che aveva assentito a compiere
    questo ufficio, ritornò poscia al proprio aratro. Ma un segno come
    quello di Caino gli rimase impresso sulla fronte. Era conosciuto nel
    suo villaggio col nome di Maso Bolli-uomini (Boilman). I villici per
    lungo tempo seguitarono a narrare, che, quantunque egli con la sua
    opera di peccato e di vergogna si salvasse dalla vendetta degli
    Agnelli, non aveva evitata quella del cielo. Infuriante una forte
    procella, ei corse a ricoverarsi sotto una quercia, e lì fu
    incenerito da un fulmine(524).
    
    Il numero di coloro che in tal guisa furono macellati, non si
    conosce con certezza. Nove furono registrati ne' libri mortuari
    della parrocchia di Taunton; ma que' libri contengono i nomi di
    coloro che ebbero sepoltura cristiana. Coloro che furono impiccati
    in catene, e coloro, le teste e le membra de' quali furono mandate
    ai circostanti villaggi, dovettero essere un numero molto maggiore.
    Credevasi in Londra, a quel tempo, che Kirke, nella settimana che
    seguì alla battaglia, facesse morire cento prigioni(525).
    
    Nondimeno, la crudeltà non era l'unica passione di questo uomo.
    Amava il danaro, e non era novizio nell'arte di estorcere. Per
    quaranta lire sterline poteva ottenersi un salvocondotto, col quale,
    comecchè fosse di nessun valore al cospetto della legge, il
    compratore poteva passare senza molestia per i posti militari degli
    Agnelli, onde ridursi ad un porto di mare, e rifugiarsi ad un paese
    straniero. Le navi che dovevano mettere alla vela per la Nuova
    Inghilterra, trovaronsi in quell'occasione così affollate di
    fuggitivi di Sedgemoor, che si correva pericolo le provvigioni non
    bastassero al viaggio(526).
    
    Kirke, non ostante la rozza e feroce indole sua, amava anche i
    piaceri; e nulla è più probabile di ciò ch'egli si giovasse del
    proprio potere a sbramare le sue lussuriose voglie. Fu detto ch'egli
    avesse vinta la virtù d'una donna onesta, promettendole di salvare
    la vita ad un uomo da lei svisceratamente amato; e dopo ch'ella ebbe
    ceduto, le mostrasse appeso alle forche il cadavere di colui, per
    amore del quale la sventurata aveva sacrificato il proprio onore.
    Ogni giudice imparziale è forza che non presti fede a siffatta
    novella, non essendovi prova che la confermi. La più antica autorità
    su cui si possa appoggiare, è una poesia scritta da Pomfret. Gli
    storici più insigni di quell'età, mentre discorrono i delitti di
    Kirke, o non ricordano punto cotesta atrocissima scelleratezza, o la
    rammentano come cosa vociferata, ma senza prove. Coloro che la
    raccontano, la descrivono con tali varianti, da renderla
    incredibile. Alcuni pongono la scena in Taunton, altri in Exeter.
    Chi dice la eroina della novella fosse una fanciulla, chi una sposa.
    Questi affermano che colui che ella intendeva redimere col proprio
    disonore, le fosse padre: quegli altri fratello, ed altri ancora
    marito. Inoltre la storiella, innanzi che Kirke fosse nato, era
    stata detta di molti altri oppressori, ed era divenuta têma
    avidamente trattato dagli scrittori di drammi e di novelle. Due
    uomini politici del secolo decimoquinto, Rhynsault, il prediletto di
    Carlo il Temerario Duca di Borgogna, ed Oliviero le Dain, il
    prediletto di Luigi XI di Francia, erano stati accusati del medesimo
    delitto. Cintio lo aveva tolto a subietto di un suo romanzo;
    Whetstone dal racconto di Cintio aveva desunto il rozzo dramma di
    Promo e Cassandra; e Shakespeare avea tolto da Whetstone lo
    intrecciò della sua insigne Tragicommedia, che chiamò Misura per
    Misura. E come Kirke non fu il primo, così non fu nè anche l'ultimo,
    cui la voce popolare attribuisse cotesto eccesso di malvagità.
    Mentre in Francia infuriava la reazione che seguì alla tirannide de'
    Giacobini, una similissima colpa fu apposta a Giuseppe Lebon, che
    era uno de' più odiosi strumenti del Comitato di Salute Pubblica; e
    dopo esame, anco i suoi persecutori conclusero che non aveva alcun
    fondamento(527).
    
    Il Governo era mal satisfatto di Kirke, non per la barbarie con che
    aveva trattati i suoi prigioni poveri, ma per la venale mitezza che
    aveva dimostra ai colpevoli ricchi(528). Fu, dunque, sollecitamente
    richiamato. Nel medesimo tempo era per compiersi una meno illegale e
    insieme più cruda strage. La vendetta venne differita per alcune
    settimane. Desideravasi che non si principiasse il giro per le
    contrade occidentali finchè gli altri non fossero terminati.
    Infrattanto, le carceri delle Contee di Somerset e di Dorset
    rigurgitavano(529) di migliaia di prigioni. Il migliore amico e
    protettore di cotesti infelici in quella estremità, fu uno che
    abborriva le loro opinioni religiose e politiche, e al quale essi
    avevano senza provocazione fatto del male; voglio dire il vescovo
    Ken. Il buon prelato adoperò ogni mezzo per ammansare i carcerieri,
    e dalla sua propria mensa vescovile diede soccorsi per potere
    migliorare il rozzo e scarso alimento di coloro che gli avevano
    guasta la sua cara Chiesa Cattedrale. La sua condotta in quel caso
    era in armonia con tutta la sua vita. Aveva, a dir vero, intenebrato
    lo intelletto da molte superstizioni e molti pregiudizi; ma il suo
    carattere morale, ove imparzialmente si giudichi, sta al paragone
    con qualsivoglia altro nella storia ecclesiastica, e sembra farsi da
    presso, per quanto concede la infermità della umana natura, alla
    perfezione ideale della virtù cristiana(530).
    
    LIII. Questa sua opera di carità non durò lungo tempo. Pensavasi già
    a spopolare rapidamente ed efficacemente le carceri. In sul
    principiare di settembre, Jeffreys, accompagnato da quattro altri
    giudici, cominciò quel giro la cui memoria durerà quanto la nostra
    razza e la lingua nostra. Gli ufficiali che comandavano le truppe
    nei distretti dove egli doveva recarsi, ebbero ordini di prestargli
    qualunque forza militare avesse potuto richiedere. La ferocità
    dell'indole sua non aveva mestieri di sprone; e nondimeno gli fu
    dato incitamento. Al Lord Cancelliere andavano mancando la salute e
    gli spiriti. Era stato profondamente afflitto dalla freddezza del Re
    e dalla insolenza del Capo Giudice; e poco era il conforto che
    poteva trovare gettando lo sguardo sopra la trascorsa sua vita, la
    quale, se non era infamata da alcuno atroce delitto, era lorda di
    vigliaccheria, di amore di sè e di servilità. L'infelice ne rimase
    così profondamente umiliato, che allorquando comparve per l'ultima
    volta in Westminster Hall, aveva in mano un mazzetto di fiori per
    nascondersi il viso; perocchè, secondo egli stesso confessò poscia,
    non poteva sostenere lo aspetto della tribuna e degli uditori. E'
    sembra che la idea della vicina morte gl'inspirasse insolito
    coraggio. Deliberò di alleggiare la propria coscienza(531), chiese
    un'udienza al Re, parlò con zelo dei pericoli che inseparabilmente
    accompagnano i violenti ed arbitrari consigli, e riprovò le illegali
    crudeltà commesse dai soldati nella Contea di Somerset. Poco dopo si
    partì da Londra per andare a morire. Mandò l'ultimo fiato pochi
    giorni dopo che i giudici erano partiti per le contrade occidentali.
    Venne subito dato annunzio a Jeffreys, che poteva aspettarsi il Gran
    Sigillo in premio di fedeli e vigorosi servigi(532).
    
    LIV. In Whinchester il Capo Giudice aprì le sessioni della sua
    commissione. La Contea di Hamp non era stata il teatro della guerra;
    ma molti de' vinti ribelli s'erano, come il loro capo, quivi
    rifuggiti. Due di loro, Giovanni Hickes, teologo non-conformista, e
    Riccardo Nelthorpe, giureconsulto posto fuori la legge per avere
    avuta parte nella congiura di Rye House, avevano cercato asilo nella
    casa di Alice, vedova di Giovanni Lisle. Giovanni Lisle aveva seduto
    nel Lungo Parlamento e nella Alta Corte di Giustizia, era stato
    Commissario del Gran Sigillo a tempo della Repubblica, ed era stato
    creato Lord da Cromwell. Questi titoli datigli dal Protettore, non
    erano stati riconosciuti da nessuno de' Governi che avevano retta la
    Inghilterra dopo la caduta della casa di Cromwell; ma sembra che,
    conversando, venissero dati a Lisle anche da' realisti. La vedova di
    lui, quindi, era comunemente conosciuta col nome di Lady Alice. Era
    imparentata a molte rispettabili e ad alcune nobili famiglie, ed era
    generalmente stimata anco dai gentiluomini Tory della sua Contea.
    Imperciocchè costoro bene conoscevano, avere essa riprovati taluni
    atti di violenza a' quali il suo marito aveva partecipato, sparse
    amare lacrime sopra la sorte di Carlo I, e protetti e aiutati nella
    loro miseria molti Cavalieri. La stessa donnesca cortesia, onde era
    stata mossa a mostrarsi amichevole ai realisti, mentre loro volgeva
    avversa la sorte, non gli consentì di ricusare un pane e un
    nascondiglio agli sciagurati che adesso la scongiuravano di
    proteggerli. Gli accolse in casa propria, dette loro cibo e bevanda,
    e luogo di riposo. Il dì dopo, la sua casa fu circuita di soldati.
    Cercarono dappertutto. Hickes fu trovato nascosto nella cantina, e
    Nelthorpe dentro il camino. Se Lady Alice conosceva gli ospiti suoi
    essere stati implicati nella insurrezione, senza dubbio era rea di
    ciò che rigorosamente si chiama delitto capitale. Imperocchè la
    legge che distingue il principale dallo accessorio, rispetto ad alto
    tradimento, era allora, ed è tuttavia tale, che disonora la
    Giurisprudenza inglese. Nei casi di fellonia, una distinzione
    fondata sopra la giustizia e la ragione è da farsi tra principale ed
    accessorio dopo il fatto. Chiunque asconda alla giustizia un uomo
    ch'egli sa essere un assassino, comunque meriti una pena, non è
    meritevole della pena debita all'assassino; ma chiunque dia ricovero
    ad un uomo ch'egli sa essere traditore, è, secondo la sentenza di
    tutti i nostri giuristi, reo d'alto tradimento. Non è mestieri
    dimostrare l'assurdità e la crudeltà d'una legge che comprende nella
    medesima definizione, e punisce della stessa pena, delitti che
    stanno agli opposti estremi nell'ordine della colpa. Il sentimento
    che fa rabbrividire il suddito più leale al pensiero di porre a
    vergognosa morte il ribelle, che vinto, inseguito, e in agonia
    mortale, chiegga un morso di pane e un po' d'acqua, può essere
    debolezza; ma è debolezza strettamente congiunta alla virtù;
    debolezza la quale, nel modo onde è formato l'essere umano, mal
    possiamo sradicare dall'animo, senza svellere con essa molti altri
    nobili e benevoli sentimenti. Un savio e buono legislatore potrebbe
    reputare giusto non sanzionare tal debolezza; ma quasi sempre vi si
    mostrerà connivente, e la punirà con moderazione. In nessun caso la
    considererà come un delitto della più brutta specie. Se Flora
    Macdonald bene operasse nascondendo il condannato erede degli
    Stuardi, se un valoroso soldato de' tempi nostri bene operasse
    aiutando Lavalette a fuggire, sono quistioni intorno alle quali i
    casuisti potrebbero variamente opinare: ma porre tali azioni nella
    medesima classe coi delitti di Guido Faux e di Fieschi, è un fare
    oltraggio alla umanità e al senso comune. Tale, nondimeno, è la
    classificazione della nostra legge. È manifesto che nulla altro che
    un mite Governo potrebbe rendere sopportabile siffatta condizione
    della legge. Ed è giusto dire, che pel corso di molte generazioni
    nessun Governo inglese, tranne uno solo, ha trattato con rigore le
    persone ree solamente di avere protetto gli sconfitti e gl'insorti
    fuggitivi. Alle donne, in ispecie, è stato concesso, come per una
    tal quale tacita prescrizione, il diritto d'usare fra mezzo alle
    devastazioni e alle vendette quella pietà, che è il più caro di
    tutti i loro vezzi. Sino dallo scoppio della gran guerra civile,
    numerosi ribelli, alcuni de' quali erano uomini ben altrimenti
    importanti che Hickes e Nelthorpe, sono stati protetti, contro la
    severità di governi vittoriosi, dalla destrezza e generosità
    femminile. Ma nessun sovrano inglese cui sia fuggita di mano la
    preda, salvo il feroce e implacabile Giacomo, ebbe mai la barbarie
    nè anche di pensare a porre una donna a cruda e vergognosa morte,
    per una cotanto veniale e caritatevole trasgressione.
    
    Per quanto odiosa fosse la legge, fu d'uopo stiracchiarla a fine di
    uccidere Alice Lisle. Secondo la dottrina sostenuta da' più insigni
    autori, ella non poteva essere dichiarata convinta, fino a che non
    fossero stati dichiarati tali i ribelli da essa ospitati(533). Ciò
    non ostante, fu trascinata al tribunale innanzi che a Hickes o a
    Nelthorpe fosse fatto il processo. In quel caso non era agevole
    ottenere una sentenza a seconda delle voglie del principe. I
    testimoni tergiversavano. I Giurati, che erano i principali
    gentiluomini della Contea di Hamp, raccapricciavano al pensiero di
    mandare una povera creatura a morire, per essersi condotta in guisa
    da meritare lode meglio che biasimo. Jeffreys era furibondo;
    avvegnachè, essendo questo il primo caso di crimenlese ch'egli
    trattava nell'intrapreso giro, sembrasse assai probabile che la
    preda gli avesse a fuggire dalle unghie. Tempestava, malediceva,
    bestemmiava con parole di che nessun uomo bene educato avrebbe fatto
    uso in una corsa o in un combattimento di galli. Uno de' testimoni,
    chiamato Dunne, in parte commosso per Lady Alice, in parte atterrito
    dalle minacce e maledizioni del Capo Giudice, perdè affatto il
    cervello, e in fine si tacque. "Oh! come è dura la verità" disse
    Jeffreys "ad uscir fuori dalle labbra d'un ribaldo e bugiardo
    presbiteriano!" Il testimone, dopo pochi minuti, balbettò poche
    parole vuote di senso: "Vi fu mai" esclamò il Giudice con una
    bestemmia, "vi fu egli mai sopra la faccia della terra un
    simigliante scellerato? Credi tu che vi è un Dio? Credi tu nel fuoco
    dell'inferno? Tra tutti i testimoni che mi sono capitati fra le
    mani, non ne ho mai veduto uno simile a te." Il povero uomo,
    insensato per terrore, nuovamente si tacque; e nuovamente Jeffreys
    urlò: "Spero, Signori Giurati, che voi notiate l'orribile condotta
    di costui. Come si può egli fare a meno di non abborrire costoro e
    la religione che professano? Un Turco è un santo in agguaglio di
    codesto sciagurato. Un pagano arrossirebbe di tanta ribalderia. Gesù
    benedetto! Fra quale genia di vipere ci è toccato di vivere!" - "Io
    non so che dire, mio signore," disse tremando Dunne. Il Giudice di
    nuovo con una mitraglia di bestemmie. "Vi fu egli mai al mondo"
    gridò "più impudente briccone? Fate lume, ch'io possa vedere il suo
    viso di bronzo. Voi, o gentiluomini, che siete consiglieri della
    Corona, badate di pronunciare contro costui una sentenza che lo
    dichiari spergiuro." Dopo che i testimoni furono siffattamente
    esaminati, Lady Alice fu chiamata a difendersi. Cominciò dicendo, -
    il che poteva esser vero, - che quantunque ella si fosse accorta del
    turbamento di Hickes allorquando lo accolse in casa, non sapeva nè
    sospettava che fosse implicato nella ribellione. Egli era ministro
    di Dio, ed uomo di pace. Non poteva ella, dunque, pensare ch'egli
    avesse prese le armi contro il Governo; e aveva supposto ch'ei si
    volesse nascondere perchè v'erano contro lui mandati d'arresto per
    avere predicato in piazza. Il Capo Giudice si mise a tempestare: "Ma
    ve lo dirò io. Non v'è un solo tra questi bugiardi e piagnolosi
    presbiteriani, che, d'un modo o d'un altro, non abbia avuto mano
    nella ribellione. Il Presbiterianismo comprende ogni specie di
    scelleraggine. Null'altro fuorchè il Presbiterianismo ha potuto
    rendere Dunne ribaldo. Mostrami un presbiteriano, e ti mostrerò un
    bugiardo." Riepilogò il caso col medesimo tono, declamò per un'ora
    contro i Whig e i Dissenzienti, e rammentò ai Giurati come il marito
    della colpevole avesse avuto parte nella morte di Carlo I; fatto non
    provato da veruna testimonianza; e se provato, sarebbe stato di
    nessun peso nel caso della donna. I Giurati si ritrassero, e
    rimasero lungo tempo a deliberare. Il Giudice divenne impaziente,
    dicendo di non potere intendere in che modo, in un caso così chiaro,
    essi s'erano alzati dal seggio. Mandò un messo a dire loro, che se
    non si spicciavano subito, avrebbe aggiornata la Corte, e gli
    avrebbe chiusi a chiave tutta la notte. Così posti alla tortura,
    uscirono fuori, ma per dire che dubitavano se esistesse la reità.
    Jeffreys li rimproverò con veemenza; ed essi, dopo un'altra
    deliberazione, profferirono ripugnanti l'opinione che affermava la
    esistenza della colpa.
    
    Il dì seguente fu pronunciata la sentenza. Jeffreys ordinò che Lady
    Alice fosse arsa viva quel giorno stesso. Questo eccesso di barbarie
    mosse a pietà ed a sdegno anche i più ardenti partigiani della
    Corona. Il clero della Cattedrale di Winchester protestò dinanzi al
    Capo Giudice, il quale, comunque di brutale natura, non era così
    stolto da porsi al pericolo d'una contesa sopra tale subietto con
    una classe tenuta in tanta riverenza dal partito Tory. Consentì a
    differire a cinque giorni la esecuzione della sentenza. Nel qual
    tempo, gli amici della sventurata scongiurarono Giacomo a mostrarsi
    clemente. Varie dame d'alto grado intercessero per lei. Feversham,
    la cui influenza in Corte era cresciuta per la fresca vittoria, e
    che, come ne corse la voce, era stato comprato all'uopo, parlò a
    favore di Lady Alice. Clarendon, cognato del Re, orò similmente per
    lei. Ma tutto fu vano. Il più che potè ottenersi, fu che la condanna
    al fuoco venisse(534) commutata con la decapitazione. La donna si
    sobbarcò con coraggiosa calma al proprio fato, e le fu mozzo il capo
    sul palco nel mercato di Winchester(535).
    
    LV. Nell'Hampshire, Alice Lisle fu la sola vittima; ma il giorno che
    seguì alla sua decapitazione, Jeffreys giunse a Dorchester, città
    principale della Contea nella quale Monmouth era sbarcato, ed ebbe
    principio la strage giudiciale.
    
    Il tribunale, per ordine del Capo Giudice, fu parato di scarlatto;
    la qual novità parve al popolo indicare sanguinosi proponimenti. Si
    disse anche, che quando il prete il quale predicò in occasione
    dell'aprirsi della Corte, insistè sul dovere della misericordia, il
    Giudice sorrideva ferocemente digrignando i denti; la qual cosa fu
    tenuta a sinistro augurio di ciò che era per eseguire(536).
    
    Trecento e più erano i prigioni ai quali doveva farsi il processo.
    La impresa pareva grave; ma Jeffreys aveva immaginato come renderla
    lieve. Fece intendere che l'unico mezzo di ottenere perdono o
    mitezza di pena, era il confessarsi colpevole. Ventinove individui,
    i quali confidavano nello spirito patrio, dichiarati convinti,
    furono senza alcun indugio legati insieme. Gli altri prigioni si
    confessarono rei a centinaia. Contro dugentonovantadue fu profferita
    sentenza di morte. Coloro che vennero impiccati nella Contea di
    Dorset furono settantaquattro.
    
    Da Dorchester Jeffreys si condusse ad Exeter. La guerra civile era
    giunta appena alle frontiere del Devonshire. Quivi, dunque,
    comparativamente poche furono le persone condannate a morire. La
    Contea di Somerset, sede precipua della ribellione, era stata
    serbata all'ultima e più tremenda vendetta. In quella Contea,
    dugentotrentatrè prigioni in pochi giorni furono impiccati,
    strascinati per le vie, e squartati. In ogni luogo dove due strade
    s'incrociassero, in ogni mercato, sul prato d'ogni grosso villaggio
    che avesse dati soldati a Monmouth, cadaveri in catene sbattuti dal
    vento, o teschi e membra confitti sui pali, attoscavano l'aria, e
    facevano inorridire i viandanti. In molte parrocchie, il contadiname
    non poteva ragunarsi nella casa di Dio, senza vedere il teschio del
    vicino digrignante i denti dal portico. Il Capo Giudice si trovava
    nel proprio elemento. Come procedeva l'opera di sangue, ei si
    sentiva rifare d'animo. Sghignazzava, mandava gridi di gioia,
    scherzava, bestemmiava da farsi credere da mattina a sera briaco. Ma
    in lui non era facile distinguere la frenesia prodotta dalle
    malvagie passioni, da quella cagionatagli da' liquori spiritosi. Uno
    de' prigioni protestò che i testimoni addottigli contro non erano
    degni di fede. Uno di loro, ei disse, era un papista, l'altro una
    prostituta. "Svergognato ribelle," esclamò il Giudice "osi fare
    riflessioni sui testimoni del Re? Ti vedo, scellerato, già ti vedo
    col capestro al collo." Un altro dichiarò d'essere buon protestante.
    "Protestante!" disse Jeffreys; "volete intendere presbiteriano; ci
    scommetterei. Io so fiutare un presbiteriano a quaranta miglia di
    distanza." Un malarrivato uomo mosse a pietà anche i Tory più
    acerrimi. "Milord," dissero eglino "questa povera creatura vive
    della carità della parrocchia." - "Non pensate," disse il Giudice
    "libererò io la parrocchia di cotesto carico." Non erano solo i
    prigioni coloro che erano segno al suo furore. Gentiluomini e nobili
    di gran conto e d'intemerata lealtà, i quali provavansi di fargli
    conoscere qualche circostanza attenuante, erano quasi certi di
    ricevere ciò che egli, nello sconcio dialetto da lui imparato nelle
    osterie di Whitechapel, chiamava un colpettino con la parte aspra
    della sua lingua. A Lord Starnell, Pari Tory, il quale non potè
    frenare il ribrezzo ch'egli provava vedendo l'iniquissimo modo di
    macellare i suoi vicini, in punizione venne appeso alla porta del
    parco un cadavere in catene(537). Da tali spettacoli ebbero origine
    molti terribili racconti, che gli agricoltori della Contea di
    Somerset solevano narrare col bicchiere colmo di sidro ai fuochi di
    Natale. Negli ultimi quaranta anni, i contadini, in alcune contrade,
    ben conoscevano i luoghi maledetti, e dopo il tramonto vi passavano
    mal volentieri(538).
    
    Jeffreys gloriavasi d'avere impiccati più traditori egli solo, che
    non tutti insieme i suoi predecessori dal tempo della Conquista in
    poi. Certo è che il numero dei giustiziati da lui in un mese e in
    una Contea, sorpassò quello di tutti i delinquenti politici che sono
    stati giustiziati nell'isola nostra dalla Rivoluzione in qua. Le
    ribellioni del 1715 o del 1745, durarono più lungamente, e furono
    più estese e di più formidabile aspetto di quella che fu spenta in
    Sedgemoor. Non si è comunemente creduto che dopo la ribellione del
    1715 e quella del 1745, la Casa di Hannover si mostrasse clemente.
    Eppure, tutte le esecuzioni capitali del 1715 e del 1745 congiunte
    insieme, parranno poche in confronto di quelle che infamarono il
    Tribunale di Sangue. Il numero dei ribelli impiccati in quella
    occasione da Jeffreys fu di trecento venti(539).
    
    Tanta strage doveva disgustare chiunque, anche se quegli sciagurati
    fossero stati generalmente esosi. Invece, per la maggior parte,
    erano uomini di vita irreprensibile, e profondamente religiosi.
    Consideravano sè stessi, ed erano considerati da moltissimi loro
    vicini, non come malfattori, ma come martiri che suggellavano col
    proprio sangue la verità della religione protestante. Pochi de'
    condannati si mostrarono pentiti del già fatto. Molti, animati
    dall'antico spirito puritano, andarono incontro alla morte, non solo
    con fortezza, ma con esultanza. Invano i ministri della Chiesa
    stabilita gli ammonivano intorno alla colpa della ribellione, e alla
    importanza della assoluzione del prete. La pretesa del Re ad
    autorità illimitata nelle cose temporali, e la pretesa del clero al
    potere spirituale di legare e di sciogliere, movevano a riso
    quegl'intrepidi settarii. Taluni di loro composero inni in prigione,
    e li cantavano sulla funebre treggia che li menava a guastare.
    Cristo - cantavano essi, mentre spogliavansi per patire il macello -
    sarebbe tra breve venuto in terra a redimere Sion, ed a far guerra a
    Babilonia; avrebbe innalzato il proprio vessillo, suonata la tromba,
    e reso ai suoi nemici dieci volte più quel male che era stato fatto
    ai suoi servi. Le estreme parole loro furono notate; le loro lettere
    d'addio serbate come tesori; ed in tal modo, mescendovi qualche
    invenzione o esagerazione, formossi un copioso supplemento al
    martirologio de' tempi di Maria la Bevisangue(540).
    
    LVI. È pregio dell'opera fare speciale menzione di alcuni casi.
    Abramo Holmes, ufficiale veterano dello esercito parlamentare, uno
    di quei zelanti che non vorrebbero altro Re che Re Gesù Cristo, era
    stato preso in Sedgemoor. Nel furore della battaglia gli era stato
    orribilmente fracassato un braccio, e non essendovi lì pronto un
    chirurgo, il robusto vecchio soldato se lo amputò da sè. Fu condotto
    a Londra, ed esaminato dal Re in Consiglio; ma non volle
    sottomettersi. "Io sono un uomo vecchio," disse egli "e i giorni che
    mi rimangono a vivere non valgono il prezzo d'una bugia o d'un atto
    di viltà. Io sono stato sempre repubblicano, e lo sono ancora." Fu
    rimandato alle contrade occidentali, ed ivi impiccato. Il popolo
    s'atterrì nel vedere che le bestie le quali dovevano trascinarlo
    alla forca, divennero restie e tornarono indietro. Holmes anch'egli
    dubitava l'Angelo del Signore, come nei tempi antichi, non istesse
    in sulla via con la spada in pugno, invisibile all'occhio umano, ma
    visibile a quello degli animali. "Fermate, signori," egli esclamò
    "lasciatemi andare a piedi. In questo fatto si asconde più di ciò
    che voi pensate. Rammentatevi come l'asina vedesse colui che il
    profeta non poteva vedere." Andò con piè fermo alla forca,
    sorridendo favellò al popolo, pregò fervidamente Dio perchè
    affrettasse la caduta dell'Anticristo e la liberazione della
    Inghilterra; salì la scala, e per iscusarsi che non saliva
    speditamente disse: "Voi lo vedete, io ho un braccio solo(541)."
    
    LVII. Non meno animosamente morì Cristoforo Battiscombe, giovine
    avvocato di buona famiglia ed agiata, il quale in Dorchester,
    piacevole città di provincia, altera del gusto e della cultura che
    vi regnava, veniva da tutti ammirato come esempio del gentiluomo
    compito. Grande fu l'interesse a salvargli la vita. Si credeva in
    que' luoghi, che fosse promesso sposo d'una giovine signora di
    gentile lignaggio, sorella dello Sceriffo; che ella si gettasse ai
    piedi di Jeffreys per implorare mercè, e che Jeffreys la cacciasse
    via con uno scherzo così osceno, che ripeterlo offenderebbe la
    decenza e l'umanità. Il suo amante patì la pena con pietà e coraggio
    in Lyme(542).
    
    LVIII. Interesse anche maggiore destò la sorte di due valorosi
    fratelli, Guglielmo e Beniamino Hewling. Erano giovani, avvenenti,
    compiti, e bene imparentati. L'avo loro materno chiamavasi Kiffin;
    era uno de' principali mercatanti di Londra, e generalmente
    considerato come capo dei Battisti. Jeffreys trattò nel Processo con
    insigne brutalità Guglielmo Hewling, dicendogli: "Voi avete un nonno
    che merita d'essere impiccato splendidamente al pari di voi." Il
    povero giovanetto, che aveva soli diciannove anni, soffrì la morte
    con tanta mansuetudine e fortezza d'animo, che un ufficiale
    dell'armata, il quale assisteva alla esecuzione della sentenza, e
    [**Nell'originale "e e"] s'era reso notevole per asprezza e
    severità, ne fu stranamente intenerito, e disse: "Non credo che il
    Lord Capo Giudice stesso potrebbe sostenere questo spettacolo."
    Nutrivasi speranza che a Beniamino sarebbe concesso il perdono. E
    davvero, una vittima di teneri anni bastava allo strazio d'una sola
    famiglia. Lo stesso Jeffreys era, o simulava d'essere, proclive alla
    clemenza. Vero è che uno de' suoi congiunti, dal quale egli sperava
    molto, e che perciò non poteva essere da lui trattato come
    generalmente lo erano gli altri intercessori, favellò vigorosamente
    a favore della derelitta famiglia. Fu quindi differita la esecuzione
    della sentenza, onde riferirsi a Londra. Una sorella del condannato
    andò con una supplica a Whitehall. Molti de' cortigiani le
    desiderarono prospero successo; e Churchill, che fra i non pochi
    suoi falli non annoverava la crudeltà, ottenne che venisse ammessa
    alla presenza del sovrano.
    
    "Con tutto il cuore desidero che la vostra preghiera venga
    esaudita," disse egli, mentre con la donna aspettava in anticamera.
    "Ma non v'illudete di speranze. Questo marmo" e toccò con la mano il
    caminetto "non è più duro del Re." La predizione avverossi. Giacomo
    fu inesorabile. Beniamino Hewling morì con animo indomito fra i
    lamenti degli spettatori, ai quali non poterono frenarsi di fare eco
    i soldati che stavano schierati intorno alla forca(543).
    
    LIX. Eppure, i ribelli dannati a morire erano meno degni di
    commiserazione, che coloro i quali rimasero in vita. Parecchi
    prigioni, ai quali Jeffreys non potè in nessuna guisa apporre il
    delitto di crimenlese, furono dichiarati rei di cattiva condotta, e
    condannati ad una fustigazione non meno terribile di quella inflitta
    ad Oates. Una donna, accusata di alcune sconsiderate parole quali
    erano state profferite da mezze le donne delle contrade dove
    infuriava la guerra, fu condannata ad essere flagellata in tutte le
    città di mercato della Contea di Dorset. Patì parte della pena
    innanzi che Jeffreys fosse ritornato a Londra; ma come egli più non
    fu nelle contrade occidentali, i carcerieri, con la caritatevole
    connivenza de' magistrati, presero sopra di sè la responsabilità di
    non darle altre torture. Una sentenza anche più terribile fu
    profferita contro un giovinetto chiamato Tutchin, processato come
    reo di parole sediziose. Secondo il costume, il Giudice con detti
    osceni e scurrili lo interruppe mentre si difendeva: "Voi siete un
    ribelle; e tutta la vostra famiglia, da Adamo in qua, è stata di
    ribelli. Mi si dice che siate poeta; io rimerò versi con voi." La
    condanna fu sette anni di prigionia, e la fustigazione, da
    infliggerglisi ciascun anno in tutte le città di mercato della
    Contea di Dorset. Le donne che trovavansi nelle gallerie, dettero in
    uno scoppio di pianto. L'istruttore del processo alzossi grandemente
    turbato, dicendo: "Milord, lo accusato è assai giovane; e molte sono
    le città di mercato nella Contea. La sentenza equivale ad una
    fustigazione ogni quindici giorni per sette anni." - "Se egli è
    giovane d'anni," disse Jeffreys è vecchio di ribalderia. Donne, voi
    non conoscete bene, come lo conosco io, questo bricconcello. La pena
    non è nè anche metà di quella che meriterebbe. S'interessi anche
    tutta l'Inghilterra, nulla m'indurrà a mitigarla." Tutchin in preda
    alla disperazione scongiurò, e forse con ischiettezza, lo
    impiccassero. Avventuratamente per lui, in quella occasione cadde
    malato di vajuolo, e fu lasciato libero. E posciachè pareva molto
    probabile che la sentenza non verrebbe mai eseguita, il Capo Giudice
    si indusse al perdono in compenso d'una grossa mancia che gettò il
    condannato in fondo alla miseria. L'indole di Tutchin, per lo
    innanzi non mite, fu esasperata fino alla frenesia per effetto di
    ciò ch'egli aveva sofferto. E' visse per diventare uno de' più
    virulenti e pertinaci avversari della Casa Stuarda e del partito
    Tory(544).
    
    LX. Il numero de' prigioni deportati da Jeffreys fu ottocento
    quarantuno. Costoro, assai più miseri de' loro colleghi dannati a
    morte, furono distribuiti a branchi e concessi a persone godenti il
    favore della Corte. Le condizioni del dono, furono che i condannati
    verrebbero trasportati oltremare come schiavi, che non sarebbero
    emancipati per dieci anni, e che il luogo del loro confine fosse
    qualcuna delle isole dell'Indie Occidentali. Questa ultima
    condizione fu con sommo studio immaginata per accrescere la
    infelicità degli esuli. Nella Nuova Inghilterra o nella Nuova Jersey
    avrebbero potuto trovare una popolazione disposta a mitigare le loro
    miserie, ed un clima non isfavorevole alla salute ed alle forze
    loro. Fu quindi deliberato mandarli in quelle colonie nelle quali un
    puritano non avrebbe potuto aspettarsi di destare un poco di
    compassione, e dove un lavorante nato sotto la zona temperata
    avrebbe avuto poca salute. Ed erano tali le condizioni del traffico
    degli schiavi, che que' nuovi infelici, non ostante la lunghezza del
    viaggio e le infermità in cui sarebbero probabilmente caduti,
    valevano molto. Jeffreys calcolò che, l'un per l'altro, pagate tutte
    le spese, valevano da dieci a quindici lire sterline ciascuno. E
    però ci furono molte ostinate contese a farseli concedere. Alcuni
    Tory delle contrade occidentali d'Inghilterra credettero d'avere, a
    cagione degli sforzi fatti e de' danni sofferti nel tempo della
    insurrezione, diritto a essere partecipi degli utili che erano stati
    sollecitamente carpiti dai parassiti di Whitehall. Nondimeno i
    cortigiani la vinsero(545).
    
    La sciagura degli esuli uguagliava appieno quella de' Negri che
    oggidì vengono trasportati da Congo al Brasile. Da' migliori
    documenti che finora si conoscano, risulta che la quinta parte di
    coloro che furono imbarcati, vennero, avanti che finisse il viaggio,
    gettati in pasto ai pesci. Questa mercanzia umana fu stivata nel
    fondo di piccoli legni. Così poco era lo spazio, che gl'infelici,
    molti de' quali erano anche tormentati dalle ferite non per anche
    richiuse, non potevano tutti insieme giacere senza che l'uno si
    ponesse sull'altro. Non gli lasciavano mai venire sul ponte. I
    boccaporti erano sempre guardati da sentinelle armate di coltelli e
    di tromboni. In fondo alla nave tutto era tenebre, puzzo, lamenti,
    morbi e morte. Di novantanove condannati che trasportava una nave,
    ventidue morirono prima che giungessero alla Giammaica, quantunque
    il viaggio fosse fatto con insolita celerità. Quei che rimasero
    vivi, quando arrivarono al luogo del loro servaggio, avevano
    sembianza di scheletri. Per alcune settimane avevano avuto cattivo
    biscotto ed acqua fetida in così poca quantità, che sarebbe appena
    bastato ad uno solo quel tanto che doveva servire per cinque.
    Trovavansi quindi in tale stato, che un mercatante al quale erano
    stati affidati, reputò necessario, innanzi che li vendesse,
    ingrassarli(546).
    
    LXI. Intanto, una folla di avidi delatori contrastavansi e
    dividevansi a brani le sostanze de' ribelli che erano stati
    giustiziati, e degli altri infelicissimi che consumavansi sotto il
    sole del Tropico. Secondo la legge. un suddito condannato come reo
    di crimenlese, perde gli averi; la qual legge dopo il Tribunale di
    Sangue fu eseguita con un rigore crudele ad un'ora e ridicolo. Le
    sconsolate vedove e i miseri orfani de' lavoranti i cui cadaveri
    erano appesi sui canti delle piazze, venivano intimati a comparire
    dinanzi agli agenti del Tesoro, perchè rendessero ragione di ciò che
    fosse divenuto di una cesta, d'un'oca, d'un pezzo di lardo, d'un
    fiasco di sidro, d'un sacco di fave, d'un mannello di fieno(547).
    Mentre i piccoli impiegati del Governo spogliavano le famiglie de'
    contadini giustiziati, il Capo Giudice rapidamente accumulava un
    patrimonio, saccheggiando l'alta classe de' Whig. Faceva largo
    traffico di grazie. L'affare più lucrativo di questa specie ch'egli
    facesse, fu con un gentiluomo chiamato Edmondo Prideaux. È certo che
    Prideaux non aveva prese le armi contro il Governo; ed è probabile
    che il suo unico delitto fosse la ricchezza avuta in retaggio dal
    padre, illustre legale, che aveva occupato uffici eminenti sotto il
    Protettore. Jeffreys non lasciò intentato alcun mezzo per farlo
    comparire reo di tradigione. Offerse la grazia ad alcuni prigioni, a
    patto di testificare contro Prideaux. Questo sventurato giacque
    lungo tempo in carcere; e infine, vinto dal timore della forca,
    consentì a pagare quindici mila lire sterline, onde esserne
    liberato. Questa gran somma di danaro andò tutta nelle mani di
    Jeffreys; il quale comprò una terra, cui il popolo pose il nome di
    Aceldama, alludendo a quel campo maledetto che era stato comperato
    col prezzo d'un sangue innocente(548).
    
    In questo lavoro d'estorsione, egli era abilmente aiutato dalla
    ciurma de' parassiti che avevano costume di ubriacarsi e ridere con
    lui. L'ufficio di questi uomini era di mercanteggiare coi condannati
    vinti dal terrore della morte, e coi genitori tremanti per la vita
    de' figli. Parte di questo bottino andava a Jeffreys. Dicesi, che
    con uno di questi compagnoni gozzovigliando, giuocasse la grazia di
    un ricco traditore. Non era senza pericolo il ricorrere ad altro
    intercessore che ai suoi cagnotti; perocchè egli era gelosissimo di
    codesto monopolio di clemenza. Altri sospettò perfino ch'egli avesse
    fatti impiccare taluni, soltanto perchè s'erano ingegnati d'ottenere
    la regia clemenza per vie indipendenti da lui(549).
    
    LXII. Alcuni cortigiani, nondimeno, studiaronsi di partecipare
    alquanto di cotesto traffico. Le donne della corte della Regina si
    resero notevoli per rapacità e durezza di cuore. Parte del disonore
    da esse acquistato cade sulla loro signora; imperocchè solo per la
    relazione che avevano con essa poterono arricchirsi con quel turpe
    traffico; e non è dubbio che ella con una parola, con uno sguardo,
    avrebbe potuto frenarle. Invece, le inanimiva col pessimo esempio,
    se non voglia credersi con espressa approvazione. Pare ch'ella fosse
    una delle molte creature che sostengono l'avversa meglio che la
    prospera fortuna. Mentre il suo marito era suddito ed esule, escluso
    dai pubblici uffici, e in presentissimo pericolo di perdere il
    diritto al trono, con la soavità e la umiltà de' modi ella rendeva a
    sè cortesi anche coloro che maggiormente abborrivano la religione di
    lei. Ma la sua buona indole scomparve appena la fortuna mutò
    aspetto. La mansueta ed affabile Duchessa divenne una sgraziata ed
    altera Regina(550). Le sciagure che poi ebbe a patire, l'hanno resa
    obietto di qualche interesse; ma tale interesse si accrescerebbe non
    poco, ove alcuno potesse dimostrare che ella, nel tempo della sua
    grandezza, salvasse o almeno si provasse di salvare una sola vittima
    dalla più spaventevole proscrizione che sia mai stata in
    Inghilterra. Sventuratamente, la sola richiesta che si conosca fatta
    da lei rispetto ai ribelli, fu che le fossero donati cento di quelli
    condannati alla deportazione(551). L'utile ch'ella ne trasse,
    computando quelli che nel viaggio morirono di fame o di febbre, non
    può estimarsi a meno di un migliaio di ghinee. Non possiamo,
    adunque, maravigliarci che le sue serve imitassero la sua avidità,
    indegna di una principessa; e la sua crudeltà, innaturale ad una
    donna. Richiesero mille lire sterline da Ruggiero Hoare, mercante di
    Bridgewater, che aveva contribuito alla cassa militare dell'armata
    ribelle. Ma la preda sopra la quale gettarono con maggiore avidità
    li artigli, fu tale, che anche i cuori più crudi se ne sarebbero
    astenuti. Già alcune delle fanciulle che avevano in Tauton offerta a
    Monmouth la bandiera, avevano crudelmente scontato il loro delitto.
    Una di loro era stata gettata in un carcere, dove una infermità
    contagiosa faceva strage. Ammalatasi, vi morì. Un'altra erasi
    presentata in tribunale dinanzi a Jeffreys implorando misericordia.
    "Portala via, carceriere," urlò il Giudice, con uno di quegli atroci
    sguardi che spesso avevano atterrito animi più robusti che non era
    quello della malarrivata fanciulla. Ella dètte in uno scoppio di
    lacrime, si gettò il cappuccio sul viso; seguì il carceriere, e
    presa di spavento, dopo poche ore era freddo cadavere. La maggior
    parte, però, delle donzelle che erano andate in processione, viveva
    tuttavia. Alcune di esse non avevano nè anche dieci anni d'età.
    Tutte avevano agito secondo gli ordini della loro maestra di scuola,
    senza sapere che commettevano un delitto. Le dame di corte della
    Regina chiesero al Re licenza di estorcere danari dai genitori di
    quelle povere creature; e la licenza fu data. In Taunton giunse
    l'ordine di prendere e mettere in carcere tutte quelle tenere
    fanciulle. Sir Francesco Warre di Hestercombe, rappresentante Tory
    di Bridgewater, fu pregato di togliersi il carico di riscuotere il
    danaro del riscatto. Gli fu scritto di manifestare con vigorosi
    termini, come le dame di Corte non avrebbero patito indugio alcuno,
    e fossero deliberate di tradurre le colpevoli dinanzi al tribunale,
    se non veniva tosto sborsata una convenevole somma di danari, e per
    somma convenevole intendevano sette mila lire sterline. Warre ricusò
    di immischiarsi, menomamente in un affare così scandaloso. Le dame
    di corte allora si rivolsero a Guglielmo Penn, il quale accettò la
    commissione. Eppure parrebbe che un po' di quel pertinace scrupolo
    ch'egli aveva spesso mostrato circa al togliersi il cappello di
    capo, non sarebbe stato fuori di luogo in simigliante occasione.
    Forse egli fe' tacere i rimorsi della propria coscienza, ripetendo a
    sè stesso che nessuna parte della estorta pecunia rimarrebbe nelle
    sue mani; che ricusando egli il mandato delle dame, esse avrebbero
    trovato agenti meno umani; che compiacendole, avrebbe accresciuta la
    propria influenza in Corte: e che mercè tale influenza, egli aveva
    potuto e poteva ancora rendere grandi servigi ai suoi oppressi
    confratelli. Le dame d'onore, infine, furono costrette a contentarsi
    di meno del terzo della somma che avevano primamente richiesta(552).
    
    Nessun sovrano inglese ha mai porto maggior prove d'indole feroce,
    di quel che facesse Giacomo II; e nondimeno, la sua crudeltà non era
    odiosa quanto la sua clemenza, o forse sarebbe più esatto il dire,
    che la clemenza e crudeltà sue erano tali da infamarsi
    vicendevolmente. Il ribrezzo che sentiamo alla sorte de' semplici
    villani, de' fanciulli, delle dame delicate, si accresce qualvolta
    ci facciamo a considerare a chi e per quali ragioni egli accordava
    il perdono.
    
    La regola secondo la quale un principe, dopo una ribellione,
    dovrebbe condursi nello scegliere i ribelli perchè siano puniti, è
    singolarmente chiara. Contro i capi, gli uomini cospicui per
    ricchezza e educazione, i quali con la potenza e le arti proprie
    abbiano indotta la moltitudine ad errare, il Governo deve mostrarsi
    dirittamente severo. Ma lo ingannato volgo, finita la strage sul
    campo di battaglia, è d'uopo che venga trattato con estrema
    clemenza. Questa regola, così manifestamente concorde alla giustizia
    ed alla umanità, non solo non venne osservata, ma fu invertita.
    Mentre coloro i quali si sarebbero dovuti mandare impuniti, venivano
    tratti a centinaia al macello, i pochi che si sarebbero potuti
    giustamente abbandonare allo estremo rigore della legge, erano
    risparmiati. Cotesta bizzarra clemenza ha resi perplessi alcuni
    scrittori, e ad altri è stato subietto di ridicoli elogi. Non era nè
    al tutto misteriosa, nè al tutto degna di lode: e può in ciascun
    caso attribuirsi ad una cagione sordida o ad una malefica, a sete di
    pecunia o a sete di sangue.
    
    LXIII. Nel caso di Grey non erano circostanze attenuanti. Per le sue
    doti, il suo sapere, il grado che per retaggio ei teneva nello
    Stato, e l'alto comando che aveva avuto nell'armata ribelle, sarebbe
    stato agli occhi d'un Governo giusto, obietto più meritevole di
    castigo di quello che fossero Alice Lisle, Guglielmo Hewling, o
    chiunque altri delle centinaia di contadini ignoranti, de' quali i
    teschi e gli squartati corpi erano esposti nelle città della Contea
    di Somerset. Ma il patrimonio di Grey era grande, e rigorosamente
    ipotecato. Egli altro non aveva de' suoi beni che una rendita
    vitalizia, e non poteva perdere più di ciò che fruiva. Se veniva
    punito di morte, le sue terre erano subito devolute allo erede
    prossimo. Se gli si concedeva il perdono, poteva pagare un grosso
    riscatto. Gli fu quindi concesso di redimersi, dando una scritta
    d'obbligo per quaranta mila lire sterline al Lord Tesoriere, ed
    altre somme minori ad altri cortigiani(553).
    
    LXIV. Sir Giovanni Cochrane aveva tenuto fra i ribelli scozzesi il
    grado medesimo occupato da Grey nelle contrade occidentali
    d'Inghilterra. Che Cochrane fosse perdonato da un principe oltremodo
    vendicativo, pareva incredibile. Ma Cochrane era cadetto d'una ricca
    famiglia; non poteva, dunque, da lui ottenersi danaro se non col
    salvargli la vita. Il padre suo, Lord Dundonald, offerse cinque mila
    lire sterline di mancia ai preti della casa reale; e la grazia fu
    conceduta(554).
    
    Samuele Storey, rinomato seminatore di sedizioni, che era stato
    commissario nella armata ribelle, e con veementi arringhe, in cui
    Giacomo era descritto come incendiario ed avvelenatore, aveva
    infiammato l'ignorante popolaccio della Contea di Somerset, ottenne
    il perdono; imperocchè aiutò mirabilmente Jeffreys ad estorcere le
    quindici mila lire sterline a Prideaux(555).
    
    Nessuno dei traditori aveva meno diritto a sperare grazia che Wade,
    Goodenough e Ferguson. Questi tre capi della ribellione erano
    fuggiti insieme dal campo di Sedgemoor, ed erano giunti salvi alla
    costa; ma avevano trovato una fregata in crociera presso il luogo
    dove speravano imbarcarsi. Si erano quindi l'uno dall'altro partiti.
    Wade e Goodenough, in breve tempo scoperti, furono menati a Londra.
    Comunque fossero stati profondamente implicati nella congiura di Rye
    House, comunque si fossero resi notevoli fra' capi della
    insurrezione delle contrade occidentali, fu loro lasciata la vita,
    perchè potevano rivelare cose, onde il Re togliesse cagione ad
    uccidere e spogliare taluni ch'egli odiava, ma ai quali non aveva
    fino allora potuto trovare delitto da apporre(556).
    
    In qual modo Ferguson fosse fuggito, fu, ed è tuttavia, un mistero.
    Di tutti gl'inimici del Governo, egli era, senza dubbio nessuno, il
    più reo. Era stato il primo macchinatore della congiura per
    assassinare Carlo e Giacomo. Aveva scritto il manifesto, che per
    insolenza, malignità e bugiarderia, non ha paragone fra i libelli di
    que' procellosi tempi. Aveva incitato Monmouth prima ad invadere il
    Regno, e poi ad usurpare la corona. Era ragionevole credere che si
    sarebbe con ogni studio cercato l'arcitraditore, come spesso lo
    chiamavano; alle quali ricerche un uomo così singolare per aspetto e
    loquela mal poteva sottrarsi. Affermavasi con sicurezza nelle
    botteghe da caffè in Londra, che Ferguson fosse(557) stato preso;
    notizia che fu creduta da uomini i quali avevano buoni mezzi di
    sapere il vero. Dopo, si seppe ch'egli era sano e salvo sul
    continente. Corse molto il sospetto che egli di continuo
    carteggiasse col Governo, contro cui di continuo macchinava
    congiure; che mentre incitava i suoi colleghi ad ogni eccesso
    d'imprudenza, desse a Whitehall tante notizie rispetto ai loro
    procedimenti, quante sarebbero potute bastare a salvargli la vita; e
    che perciò si fossero dati ordini a lasciarlo fuggire(558).
    
    Jeffreys, compiuta l'opera, ritornò a chiedere il meritato premio.
    Giunse a Windsor, lasciandosi addietro strage, lutto e terrore.
    L'odio che gli portavano le genti della Contea di Somerset, è senza
    esempio nella storia nostra. Non fu spento dal tempo o da politici
    mutamenti, fu lungamente tramandato di generazione in generazione, e
    si sfogò ferocemente sopra la sua innocente progenie. Da molti anni
    era già morto, il suo nome e il suo titolo erano già estinti,
    allorchè la contessa di Pomfret, viaggiando per la strada
    d'occidente, fu insultata dalla plebe, e si accôrse di non rimanere
    in sicurtà fra i discendenti di coloro che avevano veduto il
    Tribunale di Sangue(559).
    
    Ma alla Corte, Jeffreys fu cordialmente accolto. Era il giudice
    tanto gradito al proprio signore. Giacomo aveva con interesse e
    diletto tenuto dietro alla missione di lui. Nelle sue sale ed a
    mensa aveva spesso favellato della devastazione che si stava facendo
    tra i suoi disaffezionati sudditi, con esultanza che rendeva
    attoniti i ministri stranieri. Di propria mano aveva scritto
    racconti di quella ch'egli, con frase faceta, chiamava la campagna
    del suo Lord Capo Giudice nelle contrade occidentali. Scrisse
    all'Aja, come parecchie centinaia di ribelli fossero stati
    condannati. Alcuni di loro erano già stati impiccati, altri lo
    sarebbero; i rimanenti verrebbero deportati alle piantagioni. Non
    giovò a nulla lo avere Ken scritto per implorare mercè al traviato
    popolo, e lo avere dipinto con commovente eloquenza l'orribile stato
    della propria diocesi. Lamentava come fosse impossibile procedere
    per le strade maestre senza vedere qualche terribile spettacolo, e
    come l'aria della Contea di Somerset fosse pregna di morte. Il Re
    lesse, e rimase, secondo il detto di Churchill, più duro del marmo
    de' camini di Whitehall.
    
    LXV. A Windsor, il Gran Sigillo d'Inghilterra fu posto nelle mani di
    Jeffreys, e nel prossimo numero della Gazzetta di Londra fu
    solennemente annunziato che cosiffatto onore era la rimunerazione
    de' molti insigni servigi da lui resi alla Corona(560). In un
    periodo posteriore di tempo, allorquando gli uomini tutti di tutti i
    partiti parlavano con raccapriccio del Tribunale di Sangue, il
    malvagio Giudice e il Re malvagio provaronsi di scolparsi,
    gettandosi scambievolmente il biasimo addosso. Jeffreys, rinchiuso
    nella Torre, protestò che negli atti più feroci di crudeltà da lui
    commessi, non aveva travarcati gli ordini espressi del proprio
    signore; che anzi non gli aveva osservati con quella severità che
    gli era stata ingiunta. Giacomo, in Saint Germain, avrebbe voluto
    far credere ch'egli era stato inchinevole alla clemenza, e che la
    violenza del ministro gli aveva attirato sul capo un biasimo non
    meritato. Ma niuna di queste due anime crude può mandarsi assoluta,
    l'una a detrimento dell'altra. La falsità della scusa addotta da
    Giacomo è provata da ciò che scrisse di proprio pugno. Quella di
    Jeffrey, quando anche fosse vera in fatto, è estremamente indegna.
    
    La strage delle contrade occidentali era finita; quella di Londra
    era presso a cominciare. Il Governo singolarmente desiderava trovare
    vittime fra i grandi mercatanti Whig della Città. Nel regno
    precedente essi erano stati parte formidabile della potenza
    dell'Opposizione. Erano ricchi; e la loro opulenza non era, al pari
    di quella di molti nobili e gentiluomini di provincia, protetta da
    ipoteche contro la confisca. Nel caso di Grey, e d'altri uomini
    nella medesima condizione, era impossibile saziare ad un'ora la
    crudeltà e la rapacità; ma un ricco trafficante poteva essere
    mandato alle forche, e insieme spogliato. I grandi del commercio,
    nondimeno, ancorchè comunemente fossero ostili al papismo e al
    potere arbitrario, erano stati scrupolosi o timidi tanto, da non
    incorrere nel delitto d'alto tradimento. Uno de' più considerevoli
    fra essi, era Enrico Cornish. Era stato Aldermanno quando la Città
    possedeva il suo antico statuto; teneva l'ufficio di Sceriffo mentre
    la questione della Legge d'Esclusione occupava le menti di tutti. In
    politica era Whig, in religione pendeva verso le opinioni
    presbiteriane; ma era d'indole cauta e temperata. Non è stato
    provato con testimoni di fede degni, ch'egli si spingesse mai fino
    all'orlo dell'alto tradimento, senza tuttavia gettarvisi dentro.
    Mentre era Sceriffo, gli aveva ripugnato l'animo a servirsi, come
    suo deputato, di un uomo irruente e immorale quale era Goodenough.
    Scoperta la congiura di Rye House, la Corte sperò grandemente di
    trovarvi implicato Cornish; speranze che andarono a vuoto. Uno de'
    congiurati, a dir vero, cioè Giovanni Rumsay, era pronto a giurare
    ogni cosa; ma un solo testimone non fu riputato sufficiente, e un
    secondo non fu possibile trovare. Da quel tempo erano corsi due e
    più anni. Cornish si credeva sicuro, ma l'occhio del tiranno
    vegliava sopra di lui. Goodenough, atterrito dal prossimo spettacolo
    della morte, e scusando la propria malignità colla sfavorevole
    opinione in cui lo aveva sempre tenuto il suo antico padrone,
    assentì a fare la parte di quel testimone che fino allora non s'era
    potuto trovare. Cornish venne preso mentre negoziava alla Borsa,
    condotto in carcere, tenuto per alcuni giorni in istretta
    solitudine, e tratto senza essere punto preparato al tribunale di
    Old Bailey. L'accusa era interamente fondata sopra la testimonianza
    di Rumsay e di Goodenough. Entrambi, siccome essi medesimi
    confessarono, erano complici della congiura onde accusavano il
    prigione. Entrambi erano fortemente stimolati da speranza e timore
    ad incriminarlo. Furono addotti anche testimoni che provavano come
    Goodenough gli fosse nemico personale. La storiella che disse
    Rumsay, era incompatibile con quella ch'egli aveva raccontata
    allorquando comparve in tribunale a testificare contro Lord Russell.
    Ma queste ragioni furono addotte invano. Al banco sedevano tre
    giudici che avevano seguito Jeffreys nella sua missione di sangue
    alle contrade occidentali; e fu notato da coloro che ne osservavano
    il contegno, ch'essi erano tornati dalla strage di Taunton con
    feroce ed irritato animo. Egli è pur troppo vero che il gusto del
    sangue è un appetito che anco gli uomini di non crudele natura
    possono per abitudine agevolmente acquistare. La barra e il seggio
    si congiunsero ad atterrire il malfortunato Whig. I Giurati, eletti
    dal cortigiano Sceriffo, decisero di leggieri esistere la colpa; e,
    malgrado il mormorare dello indignato pubblico, Cornish fu fatto
    morire dieci giorni dopo essere stato imprigionato. E perchè fosse
    intera la degradazione, la forca fu innalzata dove King Street si
    congiunge con Cheapside di faccia alla casa nella quale
    quell'infelice, riverito da tutti, era lungamente vissuto; voglio
    dire di faccia alla Borsa, dove egli aveva sempre avuto immenso
    credito, ed al Guildhall, dove s'era reso cospicuo come capo
    popolare. Ei morì animosamente, profferendo molte pie parole; ma co'
    gesti e con lo sguardo mostrò tale forte risentimento per la
    barbarie ed ingiustizia onde era stato trattato, che i suoi nemici
    sparsero una vile calunnia, dicendo come egli fosse ubriaco o fuori
    di sè allorquando venne condotto al patibolo. Guglielmo Penn,
    nondimeno, che stava presso alla forca, e i cui pregiudizi erano
    tutti a favore del Governo, affermò poscia di non avere veduto nel
    contegno di Cornish null'altro che la indignazione naturale d'un
    uomo innocente, tratto al macello con forme legali. La testa
    dell'assassinato magistrato fu posta sopra il Guildhall(561).
    
    LXVI. Per quanto iniquo fosse il riferito caso, non era
    l'iniquissimo de' tanti che infamarono le sessioni autunnali di
    quell'anno in Old Bailey. Fra gl'implicati nella congiura di Rye
    House, era un uomo chiamato Giacomo Burton. Per confessione propria,
    s'era trovato presente allorchè i suoi complici avevano discusso
    intorno al disegno d'assassinio. Scoperta la congiura, fu promesso
    un premio a chi lo avesse arrestato. Ei venne salvato da morte da
    una vecchia matrona, di nome Elisabetta Gaunt, che professava le
    dottrine de' Battisti. Questa donna, con le maniere e le frasi
    peculiari alla sua sètta, era armata di un grande spirito di carità.
    Spendeva la vita a soccorrere gl'infelici di qualunque opinione
    religiosa si fossero, ed era ben conosciuta come colei che di
    continuo andava visitando le carceri. Le opinioni politiche e
    teologiche, non che la inchinevolezza alla commiserazione, la
    indussero a fare tutto ciò che potè a fine di salvare Burton.
    Provvide che una barca lo trasportasse a Gravesend, dove s'imbarcò
    sopra un legno che andava ad Amsterdam. Nel partirsi, ella gli pose
    in mano una somma di denari, che, rispetto ai suoi mezzi, era assai
    grande. Burton, dopo d'essere vissuto lungo tempo in esilio, ritornò
    con Monmouth in Inghilterra, pugnò in Sedgemoor, fuggì a Londra, ed
    ebbe asilo in casa di Giovanni Fernley, barbiere in Whitechapel.
    Fernley era poverissimo. Sapeva che un premio di cento lire sterline
    era stato offerto dal Governo per la cattura di Burton. Ma l'onesto
    uomo era incapace di tradire colui che nell'estremo pericolo aveva
    trovato ricovero sotto il suo tetto. Sventuratamente si sparse la
    voce, che Giacomo era maggiormente rigoroso contro coloro i quali
    davano ricetto ai ribelli, che contro i ribelli stessi. Aveva
    pubblicamente dichiarato, che di tutte le specie di crimenlese,
    quella di sottrarre i traditori alla sua vendetta, era la più
    imperdonabile. Burton lo seppe; si diede nelle mani del Governo,
    accusando Fernley ed Elisabetta Gaunt come rei di averlo ricoverato
    ed aiutato a fuggire. Furono tratti al tribunale. Lo scellerato al
    quale avevano salvata la vita, ebbe cuore e faccia di comparire come
    precipuo testimone contro loro. Dichiarati convinti, Fernley fu
    condannato alla forca, Elisabetta Gaunt al fuoco. Anche dopo gli
    orribili fatti di quell'anno, molti credevano impossibile che
    coteste sentenze si mandassero ad esecuzione. Ma il Re fu senza
    pietà. Fernley venne impiccato. Elisabetta Gaunt fu arsa viva in
    Tyburn il dì medesimo nel quale Cornish fu tratto a morte in
    Cheapside. Lasciò un foglio, scritto, a dir vero, in istile non
    leggiadro, ma tale che fu letto da migliaia di persone con
    commiserazione e raccapriccio. "Il mio fallo" diceva essa "è stato
    tale da essere perdonato da un principe. Altro non ho fatto che
    aiutare una povera famiglia, ed ecco! è forza ch'io muoia per avere
    ciò fatto." Querelavasi della insolenza de' giudici, della ferocia
    del carceriere, e della tirannia del maggiore di tutti, al piacere
    del quale essa e tante altre vittime erano state immolate. Perdonava
    le ingiurie che le erano state da loro fatte; ma come implacabili
    nemici di quella buona causa, che pure sarebbe risorta e
    trionferebbe, li abbandonava al giudizio del Re dei Re. Fino allo
    estremo mantenne forte e tranquillo l'animo: il che rammentò agli
    spettatori le più eroiche morti di cui avevano letta la descrizione
    nel libro di Fox. Guglielmo Penn, che, a quanto pare, piacevasi
    sommamente di quegli spettacoli che gli uomini d'indole mite
    comunemente sogliono schivare, da Cheapside, dove aveva veduto
    impiccare Cornish, corse in fretta a Tyburn per vedere ardere
    Elisabetta Gaunt. Riferì poscia, che come ella si pose con calma a
    disporre la paglia in guisa che il suo patire fosse più breve, a
    tutti gli astanti scoppiarono le lagrime. Fu notato che mentre
    compivasi il più iniquo assassinio giudiciale che avesse infamato
    que' tristissimi tempi, si sfrenò tale una procella, che non ve
    n'era mai stata un'altra somigliante dopo quel grande uragano che
    aveva infuriato mentre giaceva sul letto di morte Oliviero. Gli
    oppressi Puritani contarono, non senza trista soddisfazione, le case
    atterrate, le navi sbalzate dall'impeto della procella; e sentivano
    alquanto racconsolarsi pensando che il cielo mostrasse spaventevoli
    segni della ira sua contro la iniquità che affliggeva la terra. Da
    quel terribile giorno in poi, nessuna donna in Inghilterra ha patita
    la pena di morte per delitto politico(562).
    
    LXVII. Ciò che Goodenough(563) aveva fatto, non fu reputato
    bastevole a meritarsi la grazia. Il Governo voleva ancora una
    vittima di non alta condizione; un chirurgo, cioè, di nome Bateman.
    Aveva, come tale, servito Shaftesbury, ed erasi mostrato zelante
    Esclusionista. Forse era stato anche partecipe del segreto della
    congiura Whig; ma gli è certo, lui non essere stato uno de' precipui
    congiurati; perocchè nella congerie delle deposizioni pubblicate dal
    Governo, il suo nome si incontra una volta sola, e non implicato in
    nessun delitto che toccasse l'alto tradimento. Dal suo atto
    d'accusa, e dalla relazione che ci rimane intorno al suo processo,
    chiaro si deduce che non gli venne mai apposta la colpa di avere
    partecipato al disegno di assassinare i due reali fratelli. La
    malignità con che un uomo cotanto oscuro, reo di sì lieve fallo,
    venne perseguitato, mentre a traditori assai più rei e bene
    altrimenti notevoli fu conceduto redimersi testificando contro lui,
    sembrava richiedere spiegazione; e una spiegazione disonorevole fu
    data. Allorchè Oates, dopo la patita flagellazione, fu portato privo
    di sensi, e come tutti pensavano, nell'estrema agonia, a Newgate,
    Bateman gli aveva cavato sangue e fasciate le ferite. E questo fu
    per lui delitto imperdonabile. I testimoni addottigli contro, erano
    uomini di tristissima fama; i quali, inoltre, giuravano ciò che
    veniva loro ingiunto, a fine di salvare la propria vita. Nessuno di
    loro aveva fino allora ottenuto il perdono; e il popolo soleva dire
    che essi pescavano la preda, come corvi di mare, con la corda al
    collo. Il prigione, istupidito dal sentirsi male, non potè proferire
    parola, o intendere ciò che accadeva. Il figlio e la figlia di lui
    gli stavano accanto sul banco degli accusati. Lessero, come meglio
    poterono, alcuni appunti ch'egli aveva notati, ed esaminarono i
    testimoni. E tutto fu invano. Bateman fu dichiarato convinto,
    impiccato e squartato(564).
    
    LXVIII. Giammai, nè anche sotto la tirannia di Laud, le condizioni
    de' Puritani erano state deplorabili come in quel tempo; giammai le
    spie erano state così affaccendate a scoprire ragunanze; giammai i
    magistrati, i grandi Giurati, i rettori e i sorvegliatori delle
    chiese erano stati così vigilanti. Molti Dissenzienti furono citati
    dinanzi le Corti ecclesiastiche. Ad altri era forza comprare la
    connivenza degli agenti del Governo con doni di fiaschi di vino, e
    di guanti pieni di ghinee. Riusciva impossibile ai Separatisti
    ragunarsi insieme a pregare, senza usar cautele simili a quelle che
    adoperano i coniatori di monete false, e i ricettatori di robe
    rubate. Cangiavano spesso il luogo dell'adunanza. Gli uffici divini
    talvolta facevansi innanzi lo spuntare del giorno, tal'altra nel
    cuore della notte. Attorno all'edifizio dove stavasi raccolto il
    piccolo gregge, ponevano sentinelle a dare lo annunzio se vedevano
    appressarsi una persona estranea. Il ministro travestito veniva
    introdotto per il giardino e la corte di dietro. In alcune case vi
    erano usci invisibili, per i quali, in caso di pericolo, egli se ne
    sarebbe potuto andare. Se accadeva che i Non-Conformisti abitassero
    in case contigue, le pareti erano spesso forate, in guisa che vi
    fosse secreta comunicazione di casa in casa. Non cantavano salmi, e
    adoperavano diversi ingegni a impedire che la voce del predicatore,
    negl'istanti di fervore, fosse udita oltre le pareti. Non ostanti
    tutte coteste cautele, tornava impossibile eludere la vigilanza dei
    delatori. Ne' suburbii di Londra, segnatamente, la legge veniva
    eseguita col massimo rigore. Vari ricchi gentiluomini furono
    accusati di tenere conventicoli. Inquisironsi minutamente le loro
    case, e furono fatti sequestri equivalenti alla somma di molte
    migliaia di lire sterline. I settarii più fieri ed audaci, così
    cacciati dalle case, ragunavansi all'aria aperta, deliberati di
    opporre forza alla forza. Un giudice di Middlesex(565) che aveva
    saputo esservi una ragunanza di settari in un renaio, prese seco un
    numeroso branco di agenti di polizia, piombò sopra l'assemblea e
    pose le mani addosso al predicatore. Ma la congrega che era composta
    di circa duecento uomini, liberò tosto il pastore, ponendo in fuga
    il magistrato e i suoi uomini(566). Simili fatti, nondimeno, non
    accadevano d'ordinario. Generalmente parlando, lo spirito puritano
    non era stato mai, ne' tempi anteriori o posteriori, con tanta
    efficacia domato, come lo fu in quell'anno. I libellisti Tory
    vantavansi come nessuno de' fanatici osasse muovere la lingua o la
    penna a difendere le proprie opinioni religiose. I Ministri
    Dissenzienti, comunque fossero uomini egregi per dottrina e doti
    d'animo, non potevano rischiarsi a passeggiare per le vie, temendo
    di patire oltraggi; i quali non solo non erano repressi, ma venivano
    promossi da coloro che avevano debito di tutelare la pace. Alcuni
    teologi di gran fama, fra' quali Riccardo Baxter, erano sepolti in
    carcere. Altri, e fra essi Giovanni Howe, i quali per venticinque
    anni s'erano mantenuti intrepidi contro l'oppressione, si persero
    d'animo, ed abbandonarono il Regno. Gran numero di gente, assuefatta
    ad intervenire alle conventicole, andava alle parrocchie. E fu
    notato che gli scismatici, i quali dal terrore erano stati costretti
    a uniformarsi al culto del Governo, potevano di leggieri
    distinguersi alla difficoltà che avevano a trovare le collette nel
    libro delle preghiere, ed alla mal destra maniera onde chinavano il
    capo al nome di Gesù(567).
    
    Per lunghi anni, lo autunno del 1685 fu ricordato dai
    Non-Conformisti come tempo di calamità e di terrore. Nulladimeno, in
    quell'autunno si sarebbero potuti discernere i primi lievi indizi di
    un gran mutamento di fortuna; e innanzi che scorressero diciotto
    mesi, lo intollerante Re e la Chiesa intollerante mostravansi, a
    vicendevole rovina, ansiosi di procacciarsi il soccorso del partito
    al quale entrambi avevano recato cotanto male.
    
    
    FINE DEL VOLUME PRIMO.
    
    
    
    VOLUME SECONDO.
    
    
    CAPITOLO SESTO.
    
    
    SOMMARIO.
    
    I. La potenza di Giacomo giunge alla sua maggiore altezza
    nell'autunno del 1685. - II. Sua politica estera. - III. Suoi
    disegni di politica interna; l'Atto dell'Habeas Corpus. - IV.
    L'esercito stanziale. - V. Disegni in favore della Religione
    Cattolica Romana. - VI. Violazione dell'Atto di Prova; disgrazia di
    Halifax - VII. Malcontento generale. - VIII. Persecuzione degli
    Ugonotti francesi. - IX. Effetti da tale persecuzione prodotti in
    Inghilterra. - X. Ragunanza del Parlamento; discorso del Re;
    opposizione nella Camera de' Comuni. - XI. Sentimenti de' Governi
    stranieri. - XII. Comitato della Camera de' Comuni intorno al
    discorso del Re. - XIII. Sconfitta del Governo. - XIV. Seconda
    sconfitta del Governo; invettive fatte dal Re ai Comuni. - XV. Coke
    messo in prigione, per aver mancato di rispetto al Re. - XVI.
    Opposizione al Governo nella Camera de' Lordi; il Conte di
    Devonshire. - XVII. Il Vescovo di Londra. - XVIII. Il Visconte
    Mordaunt. - XIX. Proroga. - XX. Processi di Lord Gerard e di
    Hampden. - XXI. Processo di Delamere. - XXII. Effetti dell'essere
    stato dichiarato non colpevole. - XXIII. Partiti in Corte;
    Sentimenti de' Tory protestanti. - XXIV. Pubblicazione di scritti
    trovati nella cassa forte di Carlo II. - XXV. Sentimenti degli
    uomini più rispettabili fra' Cattolici Romani. - XXVI. Cabala dei
    Cattolici Romani irruenti. - XXVII. Castelmaine; Jermin; White;
    Tyrconnel. - XXVIII. Sentimenti de' ministri dei Governi stranieri.
    - XXIX. Il Papa e la Compagnia di Gesù in vicendevole opposizione. -
    XXX. La Compagnia di Gesù. - XXXI. Padre Petre. - XXXII. Umori ed
    opinioni del Re. - XXXIII. È incoraggiato ne' suoi errori da
    Sunderland. - XXXIV. Perfidia di Jeffreys. - XXXV. Godolphin; la
    Regina; amori del Re. - XXXVI. Caterina Sedley. - XXXVII. Intrighi
    di Rochester in favore di Caterina Sedley. - XXXVIII. La influenza
    di Rochester decade. - XXXIX. Castelmaine è inviato a Roma; Giacomo
    tratta male gli Ugonotti. - XL. La potestà di dispensare. - XLI.
    Destituzione de' Giudici disubbidienti. - XLII. Caso di Sir Eduardo
    Hales. - XLIII. Ai Romani Cattolici è dato diritto ad occupare i
    beneficii ecclesiastici; Sclater; Walker. - XLIV. La Decania di
    Christchurch è data ad un Cattolico Romano. - XLV. Distribuzione de'
    Vescovati. - XLVI. Determinazione di Giacomo ad usare la propria
    supremazia ecclesiastica contro la Chiesa. - XLVII. Difficoltà a ciò
    fare. - XLVIII. Crea una nuova Corte d'Alta Commissione. - XLIX.
    Procedimenti contro il Vescovo di Londra. - L. Malcontento nato al
    comparire in pubblico de' riti e de' vestimenti cattolici romani. -
    LI. Tumulti. - LII. È formato un campo militare in Hounslow. - LIII.
    Samuele Johnson. - LIV. Ugo Speke. - LV. Procedimento contro
    Johnson. - LVI. Zelo del Clero Anglicano contro il papismo; scritti
    di controversia. - LVII. I Cattolici Romani rimangono vinti. -
    LVIII. Condizioni della Scozia. - LIX. Queensberry; Perth; Melfort.
    - LX. Loro apostasia. - LXI. Favore mostrato alla Religione
    Cattolica Romana in Iscozia; tumulti in Edimburgo. - LXII. Collera
    del Re. - LXIII. Suoi intendimenti rispetto alla Scozia. - LXIV. Una
    Deputazione de' Consiglieri Privati Scozzesi è mandata a Londra. -
    LXV. Suoi negoziati(568) col Re; ragunanza degli Stati Scozzesi. -
    LXVI. Si mostrano disubbidienti. - LXVII. Le loro sessioni vengono
    aggiornate; sistema arbitrario di governo in Iscozia. - LXVIII.
    Irlanda. - LXIX. Condizioni delle leggi rispetto a cose religiose. -
    LXX. Ostilità delle razze; Contadini aborigeni. - LXXI. Aristocrazie
    aborigene. - LXXII. Condizioni della colonia inglese. - LXXIII.
    Condotta che Giacomo avrebbe dovuto seguire. - LXXIV. Suoi errori -
    LXXV. Clarendon giunge in Irlanda come Lord Luogotenente. - LXXVI.
    Sue mortificazioni; paura sparsa fra i coloni. - LXVII. Arrivo di
    Tyrconnel a Dublino come Generale d'armi. - LXXVIII. Parzialità e
    violenza di lui. - LXXIX. Si studia di far revocare l'Atto(569) di
    Stabilimento; ritorna in Inghilterra. - LXXX. Il Re è mal satisfatto
    di Clarendon. - LXXXI. Rochester è aggredito dalla Cabala gesuitica.
    - LXXXII. Giacomo si studia di convertire Rochester. - LXXXIII.
    Destituzione di Rochester. - LXXXIV. Destituzione di Clarendon;
    Tyrconnel Lord Deputato. - LXXXV. Scoraggiamento de' coloni inglesi
    in Irlanda. - LXXXVI. Effetti della caduta degli Hydes.
    
    
    I. Giacomo trovavasi oramai giunto al più alto grado di potenza e
    prosperità. Sì in Inghilterra che in Iscozia aveva vinti i suoi
    nemici, e puniti con una severità che aveva ne' cuori loro suscitato
    acerbissimo odio, ma ad un tempo gli aveva efficacemente disanimati.
    Il partito Whig pareva spento. Il nome di Whig non usavasi mai,
    tranne come vocabolo di rimprovero. Il Parlamento piegava sommessa
    la fronte ai voleri del re, il quale aveva potestà di tenerselo sino
    alla fine del proprio regno. La Chiesa faceva più che mai clamorose
    proteste di affetto verso lui, proteste ch'ella aveva confermate col
    fatto a tempo della trascorsa insurrezione. I giudici erano suoi
    strumenti; e qualora non si fossero mostrati tali, stava in lui di
    cacciarli d'ufficio. I corpi municipali erano pieni di sue creature.
    Le sue entrate eccedevano d'assai quelle de' suoi predecessori. Ei
    si gonfiò d'orgoglio. Non era più l'uomo il quale, pochi mesi
    innanzi, tormentato dal dubbio che il trono potesse essergli
    abbattuto in un'ora sola, aveva implorato con supplicazioni indegne
    di un re il soccorso dello straniero, ed accettatolo con lacrime di
    gratitudine. Vagheggiava con la fantasia visioni di dominio e di
    gloria. Vedevasi già il sovrano predominante d'Europa, il campione
    di molti Stati oppressi da una sola monarchia troppo potente. Fino
    dal mese di giugno, aveva assicurate le Provincie Unite, che, appena
    rassettate le faccende dell'Inghilterra, avrebbe mostrato al mondo
    quanto poco ei temesse la Francia. Giusta siffatte assicuranze, in
    meno d'un mese dopo la battaglia di Sedgemoor, concluse con gli
    Stati Generali un trattato, secondo i principii della triplice
    alleanza. Fu considerata e all'Aja e a Versailles come circostanza
    significantissima, che Halifax, perpetuo ed acerrimo nemico della
    influenza francese, il quale quasi mai, dall'inizio del regno, era
    stato consultato sopra alcuno importante negozio, fosse precipuo
    operatore della lega, in modo da parere che le sue sole parole
    trovassero ascolto all'orecchio del principe. E fu circostanza non
    meno significativa, che innanzi non ne fosse stato fatto pur motto a
    Barillon. Egli e il suo signore furono presi alla sprovvista. Luigi
    ne rimase sconcertato, e mostrò grave e non irragionevole ansietà
    rispetto ai futuri disegni di un principe, il quale, poco avanti,
    era stato suo pensionato e vassallo. Correva molto la voce che
    Guglielmo d'Orange si affaccendasse a formare una grande
    confederazione, che doveva comprendere i due rami della Casa
    d'Austria, le Provincie Unite, il regno di Svezia e lo Elettorato di
    Brandenburgo. Adesso pareva che tale confederazione dovesse avere a
    capo il re e il Parlamento d'Inghilterra(570). 
    
    II. Difatti, furono iniziate pratiche tendenti a simile scopo. La
    Spagna propose di formare una stretta lega con Giacomo; il quale
    accolse favorevolmente la proposta, comecchè chiaro apparisse che
    tale alleanza sarebbe stata poco meno che una dichiarazione contro
    la Francia. Ma ei differì la sua ultima risoluzione fino alla nuova
    ragunanza del Parlamento. Le sorti della Cristianità pendevano dalla
    disposizione in cui egli avrebbe trovata la Camera de' Comuni. Se
    essa era inchinevole ad approvare i suoi divisamenti di politica
    interna, non vi sarebbe stata cosa alcuna che gli avesse impedito
    d'intervenire con vigore ed autorità nella gran contesa che tosto
    doveva travagliarsi nel continente. Se la Camera era disubbidiente,
    egli sarebbe stato costretto a deporre ogni pensiero d'arbitrato tra
    le nazioni contendenti, ad implorare nuovamente lo aiuto della
    Francia, a sottoporsi di nuovo alla dittatura francese, a diventare
    potentato di terza o quarta classe, e a rifarsi del dispregio, in
    che lo avrebbero tenuto gli stranieri, trionfando della legge e
    della pubblica opinione nel proprio regno.
    
    III. E veramente, non sembrava facile ch'egli chiedesse ai Comuni
    più di quello che essi inchinavano a concedere. Avevano già date
    abbondevoli prove d'essere desiderosi di serbare intatte le regie
    prerogative, e di non patire eccessivi scrupoli a notare le
    usurpazioni ch'egli faceva contro i diritti del popolo. Certo,
    undici dodicesimi de' rappresentanti o dipendevano dalla Corte, o
    erano zelanti Cavalieri di provincia. Poche erano le cose che una
    tale Assemblea avrebbe pertinacemente ricusate al Sovrano; e fu
    fortuna per la nazione, che tali poche cose fossero quelle appunto
    che a Giacomo stavano più a cuore.
    
    Uno de' suoi fini era quello d'ottenere la revoca dell'Habeas
    Corpus, che egli odiava, come era naturale che un tiranno odiasse il
    freno più vigoroso che la legislazione impose mai alla tirannide.
    Cotesto odio gli rimase impresso in mente fino all'ultimo dì di sua
    vita, e si manifesta negli avvertimenti ch'egli scrisse in esilio
    per erudimento del figlio(571). Ma l'Habeas Corpus, quantunque fosse
    una legge fatta mentre i Whig dominavano, non era meno cara ai Tory
    che ai Whig. Non è da maravigliare che questa gran legge fosse
    tenuta in tanto pregio da tutti gl'Inglesi, senza distinzione di
    partito; perocchè, non per indiretta, ma per diretta operazione
    contribuisce alla sicurezza e felicità di ogni abitante del
    Regno(572).  IV. Giacomo vagheggiava un altro disegno, odioso
    al partito che lo aveva posto sul trono, e ve lo manteneva.
    Desiderava formare un grande esercito stanziale. Erasi giovato
    dell'ultima insurrezione per accrescere considerevolmente le forze
    militari lasciate dal fratello. I corpi che oggidì si chiamano i
    primi sei reggimenti delle guardie a cavallo, il terzo e quarto
    reggimento dei dragoni, e i nove reggimenti di fanteria, dal settimo
    al decimoquinto inclusivamente, erano stati pur allora formati(573).
    Lo effetto di tale aumento, e del richiamo del presidio di Tangeri,
    fu che il numero delle truppe regolari in Inghilterra, erasi in
    pochi mesi accresciuto da sei mila a circa ventimila uomini. Nessuno
    de' Re nostri in tempo di pace aveva avuto mai tante forze sotto il
    suo comando. E Giacomo non ne era nè anche soddisfatto. Ripeteva
    spesso, come non fosse da riposare sulla fedeltà delle milizie
    civiche, le quali partecipavano di tutte le passioni della classe a
    cui appartenevano; che in Sedgemoor s'erano trovati nell'armata
    ribelle più militi cittadini che non fossero nel campo regio; e che
    se il trono fosse stato difeso soltanto dalle milizie delle Contee,
    Monmouth avrebbe marciato trionfante da Lyme a Londra.
    
    La rendita, per quanto potesse sembrare grande, in agguaglio di
    quella de' Re precedenti, serviva appena a questa nuova spesa. Gran
    parte de' proventi delle nuove tasse spendevasi nel mantenimento
    della flotta. Sul finire del regno antecedente, l'intera spesa
    dell'armata, incluso il presidio di Tangeri, era stata minore di
    trecento mila lire sterline annue. Adesso non sarebbero bastate
    seicento mila sterline(574). Se nuovi aumenti dovevano farsi, era
    necessario chiedere altra pecunia al Parlamento; e non era probabile
    che esso si sarebbe mostrato proclive a concedere. Il semplice nome
    d'esercito stanziale era in odio a tutta la nazione, e a nessuna
    parte di quella più in odio, che ai gentiluomini Cavalieri, i quali
    riempivano la Camera Bassa. Nella loro mente, la idea d'un esercito
    stanziale richiamava l'immagine della Coda del Parlamento, del
    Protettore, delle spoliazioni della Chiesa, della purgazione delle
    Università, dell'abolizione della Parìa, dell'assassinio del Re, del
    tristo regno de' Santocchi, del piagnisteo e dell'ascetismo, delle
    multe e de' sequestri, degl'insulti che i Generali, usciti dalla
    feccia del popolo, avevano recato alle più antiche ed onorevoli
    famiglie del reame. Inoltre, non v'era quasi baronetto o scudiere
    nel Parlamento, che non andasse non poco debitore della propria
    importanza nella propria Contea al grado ch'egli aveva nella milizia
    civica. Se essa veniva abolita, era mestieri che i gentiluomini
    inglesi perdessero gran parte della loro dignità ed influenza. Era,
    dunque, probabile che il Re incontrasse maggiori difficoltà ad
    ottenere i mezzi per il mantenimento dello esercito, che ad ottenere
    la revoca dell'Habeas Corpus.
    
    V. Ma ambidue i predetti disegni erano subordinati al grande
    divisamento al quale il Re con tutta l'anima intendeva, ma che era
    aborrito da quei gentiluomini Tory, i quali erano pronti a spargere
    il proprio sangue per difendere i diritti di lui; aborrito da quella
    Chiesa che non aveva mai, per lo spazio di tre generazioni di
    discordie civili, vacillato nella fedeltà verso la sua casa;
    aborrito perfino da quell'armata alla quale, negli estremi, era
    d'uopo ch'ei s'affidasse.
    
    La sua religione era tuttavia proscritta. Molte leggi rigorose
    contro i Cattolici Romani contenevansi nel Libro degli Statuti, e
    non molto tempo innanzi erano state rigorosamente eseguite. L'Atto
    di Prova escludeva dagli ufficii civili e militari tutti coloro che
    dissentivano dalla Chiesa d'Inghilterra; e un Atto posteriore,
    proposto ed approvato allorché le fandonie di Oates avevano resa
    frenetica la nazione, ordinava che niuno potesse sedere in nessuna
    delle Camere del Parlamento se prima non avesse solennemente
    abiurato la dottrina della transustanziazione. Che il Re desiderasse
    ottenere piena tolleranza per la Chiesa alla quale egli apparteneva,
    era cosa naturale e giusta; nè v'è ragione alcuna a dubitare che,
    con un po' di pazienza, di prudenza e di giustizia, avrebbe ottenuta
    tale tolleranza.
    
    La immensa avversione e paura che il popolo inglese provava per la
    religione di Giacomo, non era da attribuirsi solamente o
    principalmente ad animosità teologica. Tutti i dottori della Chiesa
    Anglicana, non che i più illustri non-conformisti, unanimemente
    ammettevano che la eterna salute potesse trovarsi anche nella Chiesa
    Romana: che anzi alcuni credenti di quella Chiesa annoveravansi fra
    i più illustri eroi della virtù cristiana. È noto che le leggi
    penali contro il papismo erano ostinatamente difese da molti, che
    reputavano l'Arianismo, il Quacquerismo, il Giudaismo, considerati
    spiritualmente, più pericolosi del papismo, e non erano disposti a
    fare simiglianti leggi contro gli Ariani, i Quacqueri o i Giudei.
    
    È facile comprendere perché il Cattolico Romano venisse trattato con
    meno indulgenza di quella che usavasi ad uomini i quali non
    credevano nella dottrina de' Padri di Nicea, e anche a coloro che
    non erano stati ammessi nel grembo della Fede Cristiana. Era fra
    gl'Inglesi fortissima la convinzione che il Cattolico Romano, sempre
    che si trattava dell'interesse della propria religione, si credesse
    sciolto da tutti gli ordinarii dettami della morale; che anzi
    reputasse meritorio violarli, se, così facendo, poteva liberare dal
    danno o dal biasimo la Chiesa di cui egli era membro.
    
    Nè questa opinione era priva d'una certa apparenza di ragione. Era
    impossibile negare, che varii celebri casuisti cattolici romani
    avessero scritto a difesa del parlare equivoco, della restrizione
    mentale, dello spergiuro, e perfino dell'assassinio. Nè, come
    dicevasi, le speculazioni di cotesta odiosa scuola di sofisti erano
    state sterili di frutti. La strage della festività di San
    Bartolommeo, lo assassinio del primo Guglielmo d'Orange, quello
    d'Enrico III di Francia, le molte congiure macchinate a' danni
    d'Elisabetta, e sopra tutte quella delle polveri, venivano di
    continuo citate come esempii della stretta connessione tra la
    viziosa teoria e la pratica viziosa. Allegavasi, come ciascuno di
    cotali delitti fosse stato suggerito e lodato da' teologi cattolici
    romani. Le lettere che Eduardo Digby scrisse dalla Torre col succo
    di limone alla propria moglie, erano state di fresco pubblicate, e
    citavansi spesso. Egli era uomo dotto e gentiluomo onesto in ogni
    cosa, e forte animato del sentimento del dovere verso Dio. E
    nondimeno, era stato profondamente implicato nella congiura ordita a
    fare saltare in aria il Re, i Lordi e i Comuni; e sul punto di
    andare alla eternità, aveva dichiarato di non sapere intendere in
    che guisa un Cattolico Romano potesse stimare peccaminoso un tale
    disegno. La conseguenza che il popolo deduceva da siffatte cose, era
    che, per quanto onesto si volesse immaginare il carattere d'un
    papista, non vi era eccesso di fraude e di crudeltà, di cui egli non
    fosse capace ogni qualvolta ne andasse della securtà e dell'onore
    della propria religione.
    
    La straordinaria credenza che ebbero le favole di Oates, è
    massimamente da attribuirsi al prevalere di tale opinione. Era
    inutile che lo accusato Cattolico Romano allegasse la integrità,
    umanità e lealtà da lui mostrate in tutto il corso della propria
    vita. Era inutile ch'egli adducesse a schiere testimoni rispettabili
    appartenenti alla sua religione, per contraddire i mostruosi romanzi
    inventati dall'uomo più infame del genere umano. Era inutile che,
    col capestro al collo, invocasse sopra il suo capo la vendetta di
    quel Dio, al cospetto del quale, tra pochi momenti, egli doveva
    presentarsi, se ei fosse stato reo di avere meditato alcun male
    contro il suo principe, o i suoi concittadini protestanti. Le
    testimonianze addotte in proprio favore servivano solo a provare
    quanto poco valessero i giuramenti de' papisti. Le sue stesse virtù
    facevano presumere la sua propria reità. Il vedersi dinanzi agli
    occhi la morte e il giudicio, rendeva più verisimile ch'egli negasse
    ciò che, senza danno d'una causa santissima, non avrebbe potuto
    confessare. Tra gl'infelici convinti rei dell'assassinio di Godfrey,
    era stato Enrico Berry, protestante di fama non buona. È cosa
    notevole e bene provata, che le estreme parole di Berry
    contribuirono più a togliere credenza alla congiura, di quel che
    facessero le dichiarazioni di tutti i pii ed onorevoli Cattolici
    Romani che patirono la medesima sorte(575).  E non erano solo
    lo stolto volgo, i soli zelanti, nello intelletto de' quali il
    fanatismo aveva spento ogni ragione e carità, coloro che
    consideravano il Cattolico Romano come uomo che, per la facilità
    della propria coscienza, di leggieri diventava falso testimonio,
    incendiario, o assassino; come uomo che trattandosi della propria
    religione non abborriva da qual si fosse atrocità, e non si teneva
    vincolato da nessuna specie di giuramento. Se in quell'età v'erano
    due che per intendimento o per indole inclinassero alla tolleranza,
    que' due erano Tillotson e Locke. Nonostante, Tillotson, che per
    essersi sempre mostrato indulgente a varie classi di scismatici ed
    eretici, ebbe rimprovero d'eterodosso, disse dal pulpito alla Camera
    de' Comuni, essere loro debito di provvedere con somma efficacia
    contro la propaganda d'una religione più malefica della irreligione
    stessa; d'una religione che richiedeva da' suoi proseliti servigii
    direttamente opposti ai principii della morale. Confessò come per
    indole ei fosse prono alla dolcezza; ma il proprio dovere verso la
    società lo forzava, in quella sola circostanza, ad essere severo.
    Dichiarò che, secondo egli pensava, i Pagani che non avevano mai
    udito il nome di Cristo ed erano solo diretti dal lume della ragione
    naturale, erano membri della civile comunanza più degni di fiducia,
    che gli uomini educati nelle scuole de' casisti papali(576). Locke,
    nel celebre trattato, nel quale si affaticò a dimostrare che anche
    le più grossolane forme dell'idolatria non erano da inibirsi con
    leggi penali, sostenne che quella Chiesa la quale insegnava agli
    uomini di non serbare fede agli eretici, non aveva diritto alla
    tolleranza(577).
    
    Egli è evidente che, in tali circostanze, il grandissimo dei servigi
    che un Inglese cattolico romano avrebbe potuto rendere ai propri
    confratelli, era quello di provare al pubblico, che qualunque cosa
    alcuni temerari, in tempi di forti commovimenti, avessero potuto
    scrivere o fare, la sua Chiesa non ammetteva che il fine giustifichi
    i mezzi incompatibili con la morale. E Giacomo poteva mirabilmente
    rendere alla fede un tanto servigio. Era Re, e il più potente di
    quanti principi fossero stati sul trono d'Inghilterra a memoria
    degli uomini più vecchi. Stava in lui far cessare o rendere perpetuo
    il rimprovero che si faceva alla sua religione.
    
    S'egli si fosse uniformato alle leggi, se avesse mantenute le fatte
    promissioni, se si fosse astenuto dall'adoperare alcun mezzo iniquo
    a propagare le sue proprie opinioni teologiche, se avesse sospesa
    l'azione degli statuti penali, usando largamente della sua
    incontrastabile prerogativa di far grazia, a un tempo astenendosi di
    violare la costituzione civile ed ecclesiastica del Regno; il
    sentire del suo popolo si sarebbe rapidamente cangiato. Un tanto
    esempio di buona fede scrupolosamente osservato da un principe
    papista verso una nazione protestante, avrebbe spenti i comuni
    sospetti. Quegli uomini che vedevano come a un Cattolico Romano si
    concedesse dirigere il potere esecutivo, comandare le forze di terra
    e di mare, convocare o sciogliere il Parlamento, nominare i Vescovi
    e Decani della Chiesa d'Inghilterra, avrebbero tosto cessato di
    temere che vi fosse gran male, permettendo ad un Cattolico Romano
    d'essere capitano d'una compagnia, o aldermanno d'un borgo. E forse,
    in pochi anni, la setta per tanto tempo detestata dalla nazione,
    sarebbe stata, con plauso universale, ammessa agli uffici e al
    Parlamento.
    
    Se, dall'altro canto, Giacomo avesse tentato di promuovere
    gl'interessi della Chiesa, violando le leggi fondamentali del suo
    regno e le solenni promesse da lui ripetutamente fatte al cospetto
    di tutto il mondo, mal potrebbe dubitarsi che gli addebiti che,
    secondo l'andazzo, facevansi contro la Religione Cattolica, si
    considerassero da tutti i Protestanti come pienamente stabiliti.
    Imperocchè, se mai si fosse potuto sperare che un Cattolico Romano
    fosse capace di mantenere fede agli eretici, si sarebbe potuto
    supporre che Giacomo mantenesse fede al clero Anglicano. Ad esso
    egli andava debitore della sua corona; e se esso non avesse
    potentemente avversata la legge d'Esclusione, egli sarebbe stato un
    esule. Aveva più volte ed enfaticamente riconosciuto i propri
    obblighi verso quello, e giurato di non attentare minimamente ai
    diritti spettanti alla Chiesa. S'egli non poteva sentirsi obbligato
    da cosiffatti vincoli, risultava manifestamente che, in ogni cosa
    concernente la sua superstizione, non v'era vincolo di gratitudine o
    di onore che potesse obbligarlo. Era quindi impossibile aver fiducia
    in lui; e se i suoi popoli non potevano fidarsi di lui, qual altro
    membro della sua Chiesa era egli meritevole di fiducia? Non era
    reputato costituzionalmente e per usanza traditore. Per il brusco
    contegno e la mancanza di riguardo verso gli altrui sentimenti,
    s'era scroccato una fama di sincero ch'egli affatto non meritava. I
    suoi panegiristi affettano di chiamarlo Giacomo il Giusto. Se dunque
    diventando papista, volesse supporsi ch'egli fosse parimente
    divenuto dissimulatore e spergiuro, quale conclusione doveva
    ricavarne un popolo ormai disposto a credere che il papismo avesse
    perniciosa influenza sul carattere morale dell'uomo?
    
    VI. Per tali ragioni, molti de' più illustri cattolici, e fra gli
    altri il sommo Pontefice, opinavano che gl'interessi della loro
    Chiesa nell'isola nostra verrebbero più efficacemente promossi da
    una politica costituzionale e moderata. Ma cosiffatte ragioni non
    facevano punto effetto nel tardo intelletto e nella imperiosa indole
    di Giacomo. Nel suo ardore a rimuovere gl'impedimenti che gravavano
    i suoi correligionari, egli appigliossi ad un partito tale, da
    persuadere ai più culti e moderati protestanti di quel tempo, che
    per la salute dello Stato era necessario mantenere in vigore i
    suddetti impedimenti. Alla politica di lui gl'Inglesi Cattolici
    erano debitori di tre anni di sfrenato e insolente trionfo, e cento
    quaranta anni di servitù ed abiezione.
    
    Molti Cattolici Romani occupavano uffici ne' reggimenti novellamente
    formati. Questa violazione della legge per qualche tempo non fu
    censurata; perocchè le genti non erano disposte a notare ogni
    irregolarità che commettesse un Re chiamato appena sul trono a
    difendere la corona e la vita contro i ribelli. Ma il pericolo non
    era più. Gl'insorti erano stati vinti e puniti. Il loro malaugurato
    attentato aveva accresciuta forza al Governo che speravano
    abbattere. Nondimeno, Giacomo seguitò a concedere comandi militari
    ad individui privi delle qualità richieste dalla legge; e dopo poco
    si seppe ch'egli era risoluto di non considerarsi vincolato
    dall'Atto di Prova, che sperava d'indurre il Parlamento a revocarlo,
    e che ove il Parlamento si fosse mostrato disubbidiente, egli
    avrebbe fatto da sè.
    
    Appena sparsa cotesta voce, un profondo mormorare, foriero di
    procella, gli dette avviso che lo spirito, innanzi al quale l'avo,
    il padre e il fratello di lui erano stati costretti a
    indietreggiare, come che tacesse, non era spento. L'opposizione
    mostrossi primamente nel Gabinetto. Halifax non ardì nascondere il
    disgusto e la trepidazione che gli stavano in cuore. In Consiglio
    animosamente espresse que' sentimenti, che, come tosto si vide,
    concitavano tutta la nazione. Da nessuno de' suoi colleghi fu
    secondato; e non si parlò altrimenti della cosa. Fu chiamato alle
    stanze reali. Giacomo si studiò di sedurlo co' complimenti e con le
    blandizie, ma non ottenne nulla. Halifax ricusò positivamente di
    promettere che avrebbe nella Camera de' Lordi votato a favore della
    revoca sia dell'Atto di Prova, sia dell'Habeas Corpus.
    
    Taluni di coloro che stavano dintorno al Re, lo consigliarono a non
    cacciare all'opposizione, in sulla vigilia del ragunarsi del
    Parlamento, il più eloquente ed esperto uomo di Stato che fosse nel
    Regno. Gli dissero che Halifax amava la dignità e gli emolumenti
    dell'ufficio; che mentre seguitava a rimanere Lord Presidente, non
    gli sarebbe stato possibile adoperare tutta la propria forza contro
    il Governo, e che destituirlo era il medesimo che emanciparlo da
    ogni ritegno. Il Re si tenne ostinato. Ad Halifax fu fatto sapere
    che non v'era più mestieri de' suoi servigi, e il suo nome fu casso
    dal Libro del Consiglio(578). 
    
    VII. La sua destituzione produsse gran senso non solo in
    Inghilterra, ma anche in Parigi, in Vienna e nell'Aja; imperciocchè
    bene sapevasi, come egli si fosse sempre studiato di frustrare la
    influenza che la Francia esercitava nelle cose politiche della Gran
    Brettagna. Luigi si mostrò grandemente lieto della nuova. I ministri
    delle Provincie Unite e quelli di Casa d'Austria, dall'altro canto,
    esaltavano la saviezza e la virtù del deposto uomo di Stato, in modo
    da offendere la Corte di Whitehall. Giacomo, in ispecie, era
    incollerito contro il segretario della legazione imperiale, il quale
    non si astenne dal dire che gli eminenti servigi resi da Halifax nel
    dibattimento intorno alla Legge d'Esclusione, erano stati rimunerati
    con somma ingratitudine(579).
    
    Dopo poco tempo si conobbe che molti sarebbero stati i seguaci di
    Halifax. Una parte de' Tory, guidati da Danby loro antico capo,
    cominciarono a parlare un linguaggio che olezzava di spirito Whig.
    Persino i prelati accennavano esservi un punto in cui la lealtà
    verso il principe doveva cedere a più alte ragioni. Il malcontento
    de' capi dell'armata era anche più straordinario e più formidabile.
    Principiavano già ad apparire i primi segni di que' sentimenti che,
    tre anni dipoi, spinsero molti ufficiali d'alto grado a disertare la
    bandiera regia. Uomini che per lo avanti non avevano mai avuto
    scrupolo alcuno, subitamente divennero scrupolosi. Churchill
    sussurrava(580) sottovoce, che il Re andava troppo oltre. Kirke, pur
    allora ritornato dalle stragi d'occidente, giurava di difendere la
    religione protestante. E quand'anche, ei diceva, avesse ad abiurare
    la fede alla quale era stato educato, non sarebbe mai diventato
    papista. Egli era già vincolato da una solenne promessa allo
    imperatore di Marocco, al quale aveva giurato che se mai si fosse
    indotto ad apostatare, si sarebbe fatto Musulmano(581).
    
    VIII. Mentre la nazione, agitata da molte veementi emozioni,
    aspettava ansiosa il ragunarsi delle Camere, giunsero di Francia
    nuove, che accrebbero lo universale eccitamento.
    
    La diuturna ed eroica lotta degli Ugonotti col Governo francese era
    stata condotta a fine dalla destrezza e dal vigore di Richelieu. Il
    grande uomo di Stato gli vinse; ma confermò loro la libertà di
    coscienza ad essi conceduta dallo editto di Nantes. Fu loro
    promesso, sotto alcune non incomode restrizioni, d'adorare Dio
    secondo il loro rituale, e di scrivere in difesa della loro
    dottrina. Erano ammissibili agli uffici politici e militari; nè la
    eresia loro, per uno spazio considerevole di tempo, impedì ad essi
    praticamente d'innalzarsi nel mondo. Alcuni di loro comandavano lo
    armate dello Stato, ed altri presiedevano a' dipartimenti
    d'importanza nell'amministrazione civile. Finalmente, variò la
    fortuna. Luigi XIV, fino dagli anni suoi primi, aveva sentita contro
    i Calvinisti un'avversione religiosa e insieme politica. Come
    zelante Cattolico Romano, detestava i loro domini teologici. Come
    principe amante del potere assoluto, detestava quelle teorie
    repubblicane, che erano frammiste alla teologia ginevrina. A poco a
    poco privò gli scismatici di tutti i loro privilegi. S'intromise
    nella educazione de' fanciulli protestanti, confiscò gli averi
    lasciati in legato ai Concistori protestanti, e con frivoli pretesti
    chiuse tutte le chiese protestanti. I ministri protestanti furono
    spogliati da' riscuotitori delle tasse. I magistrati protestanti
    furono privati dell'onore della nobiltà. Agli ufficiali protestanti
    della Casa Reale fu annunziato che Sua Maestà più non aveva mestieri
    de' loro servigi. Furono dati ordini perchè nessun protestante fosse
    ammesso alla professione di legale. La oppressa setta mostrò qualche
    lieve segno di quello spirito che, nel secolo precedente, aveva
    sfidata la potenza della Casa di Valois. Ne seguirono stragi e pene
    capitali. Furono acquartierate compagnie di dragoni nelle città dove
    gli eretici erano numerosi, e nelle abitazioni rurali di
    gentiluomini eretici; e la crudeltà e la licenza di cotesti feroci
    missionari, era approvata o debolmente biasimata dal Governo.
    Nondimeno, lo editto di Nantes, quantunque fosse stato violato di
    fatto in tutte le sue più essenziali provvisioni, non era stato per
    anche formalmente revocato; e il Re più volte dichiarò in solenni
    atti pubblici, d'essere deliberato a mantenerlo. Ma i bacchettoni e
    gli adulatori, che governavano l'orecchio del Re, gli porsero un
    consiglio ch'ei volentieri accolse. Gli dimostrarono la sua politica
    di rigore avere già prodotti stupendi effetti, poca o nessuna
    resistenza essersi fatta al suo volere, migliaia d'Ugonotti essersi
    già convertiti; e conclusero che, ove egli facesse l'unico passo che
    rimaneva a compire l'opera, coloro che seguitavano a ricalcitrare,
    si sarebbero sollecitamente sottomessi; la Francia sarebbe purgata
    della macchia d'eresia; e il suo principe si sarebbe acquistata una
    corona celeste non meno gloriosa di quella di San Luigi. Tali
    argomenti vinsero l'animo del Re. Il colpo finale fu dato. Lo editto
    di Nantes venne revocato; e comparvero, rapidamente succedendosi,
    numerosi decreti contro i settarii. I fanciulli e le fanciulle
    furono strappati dalle braccia de' genitori, e mandati ad educarsi
    nei conventi. A tutti i Ministri Calvinisti fu ingiunto o di
    abiurare la loro religione, o dentro quindici giorni uscire dal
    territorio della Francia. Agli altri credenti della Chiesa Riformata
    fu inibito di partirsi dal Regno; e a fine d'impedire loro la fuga,
    i porti e i confini vennero rigorosamente guardati. In tal modo, il
    traviato gregge - sperava il principe - diviso dai malvagi pastori,
    sarebbe tosto ritornato in grembo alla vera fede. Ma, a dispetto di
    tutta la vigilanza della polizia militare, numerosissimi furono gli
    emigrati. Fu calcolato che in pochi mesi cinquantamila famiglie
    dissero per sempre addio alla Francia. Nè i fuggenti erano tali da
    importar poco alla patria che li perdeva. Erano per lo più persone
    intelligenti, industriose e di austera morale. Trovavansi fra loro
    nomi illustri nella milizia, nelle scienze, nelle lettere, nelle
    arti. Parecchi degli esuli offersero le spade loro a Guglielmo
    d'Orange, e si resero notevoli pel furore onde combatterono contro
    il loro persecutore. Altri vendicaronsi con armi anco più
    formidabili, e per mezzo delle stamperie d'Olanda, d'Inghilterra, di
    Germania, infiammarono per trenta anni gli animi di tutta l'Europa
    contro il Governo Francese. Una classe più pacifica di gente istituì
    manifattorie di seta nel suburbio orientale di Londra. Una compagnia
    d'esuli insegnò ai Sassoni a fare le stoffe e i cappelli, di che
    fino allora la sola Francia aveva tenuto il monopolio. Un'altra
    piantò le prime viti nelle vicinanze del Capo di Buona
    Speranza(582).
    
    In circostanze ordinarie, le Corti di Spagna e di Roma avrebbero
    fatto plauso ad un principe che aveva vigorosamente guerreggiato
    contro la eresia. Ma tanto era l'odio ispirato dalla ingiustizia ed
    alterigia di Luigi, che, fattosi egli persecutore, le Corti di Roma
    e di Spagna presero le parti della libertà religiosa, e forte
    riprovarono le crudeltà di scagliare senza freno sopra genti
    inoffensive una feroce e licenziosa soldatesca(583). Un grido
    unanime di dolore e di rabbia levossi da' petti di tutti i
    protestanti d'Europa. La nuova della revoca dello editto di Nantes
    giunse in Inghilterra circa una settimana innanzi che si aggiornasse
    il Parlamento. Apparve allora manifesto, che lo spirito di Gardiner
    e del Duca d'Alba(584) seguitava sempre ad animare la Chiesa
    Cattolica Romana. Luigi non era da meno di Giacomo per generosità ed
    umanità, e certo eragli superiore in tutte le doti e i requisiti
    d'uomo di Stato. Luigi, al pari di di Giacomo, aveva ripetutamente
    promesso di rispettare i privilegi de' suoi sudditi protestanti.
    Nulladimeno, Luigi adesso era diventato scopertamente persecutore
    della religione riformata. Quale ragione, dunque, eravi a dubitare
    che Giacomo aspettasse solo la occasione di seguire lo esempio del
    Re francese? Egli andava già formando, a dispetto della legge, una
    forza militare composta in gran parte di Cattolici Romani. Vi era
    nulla d'irragionevole nel timore che tale forza potesse venire
    adoperata a fare ciò che i dragoni francesi(585) avevano fatto?
    
    IX. Giacomo rimase conturbato quasi al pari de' suoi sudditi per la
    condotta della Corte di Versailles. A dir vero, essa aveva agito in
    modo che parea volesse essergli d'impaccio e di molestia. Egli stava
    sul punto di chiedere al corpo legislativo protestante piena
    tolleranza pei Cattolici Romani. Nulla, quindi, gli poteva giungere
    tanto importuno, quanto la nuova che in uno Stato vicino, un Governo
    cattolico romano avesse pur allora privati della tolleranza i
    protestanti. La sua vessazione fu accresciuta da un discorso che il
    Vescovo di Valenza, a nome del clero gallicano, diresse a Luigi XIV.
    L'oratore diceva, come il pio sovrano dell'Inghilterra sperasse dal
    Re Cristianissimo soccorso contro una nazione eretica. Fu notato che
    i membri della Camera de' Comuni mostravansi singolarmente ansiosi
    di procurarsi esemplari di cotesta arringa, la quale venne letta da
    tutti gl'Inglesi con isdegno e timore(586). Giacomo voleva frustrare
    la impressione da siffatte cose prodotta, ed in quel momento
    mostrare all'Europa di non essere schiavo della Francia. Dichiarò
    quindi pubblicamente, com'egli disapprovasse il modo onde gli
    Ugonotti erano stati trattati; largì agli esuli qualche soccorso dal
    suo tesoro privato; e con lettere munite del gran sigillo, invitò i
    suoi sudditi ad imitare la liberalità sua. In pochi mesi chiaro si
    conobbe, come la mostrata commiserazione fosse finta a blandire il
    Parlamento; come egli sentisse verso i fuorusciti odio mortale; e
    come di nulla tanto si dolesse, quanto della propria impotenza a
    fare ciò che Luigi aveva compito.
    
    X. Il dì 9 di novembre, le Camere si ragunarono. I Comuni furono
    chiamati alla barra de' Lordi a udire il discorso della Corona,
    profferito dal Re stesso sul trono. Lo avea composto da sè.
    Congratulossi coi suoi amatissimi sudditi di vedere spenta la
    ribellione nelle Contrade Occidentali; ma soggiunse che la celerità
    onde quella ribellione era nata e formidabilmente cresciuta, e la
    lunghezza del tempo in che essa aveva infuriato, dovevano convincere
    ciascuno quanto poco conto si potesse fare delle milizie cittadine.
    Aveva per ciò aumentata l'armata regolare. Le spese a mantenerla
    quinci innanzi sarebbero più che raddoppiate; ed aveva fiducia che i
    Comuni gli concederebbero i mezzi a provvedervi. Annunziò poi agli
    uditori d'avere impiegati parecchi ufficiali i quali non s'erano
    sottoposti all'Atto di Prova; ma egli li conosceva ben degni della
    pubblica fiducia. Temeva che gli uomini astuti si sarebbero giovati
    di cotesta irregolarità per turbare la concordia che esisteva tra
    lui e il Parlamento. Ma gli era forza di parlare schietto,
    dichiarando di essere fermissimo a non dividersi, da servi sulla cui
    fedeltà ei poteva riposare, e del cui soccorso forse tra poco tempo
    avrebbe egli avuto mestieri(587).  La esplicita dichiarazione,
    ch'egli aveva rotte le leggi dalla nazione reputate principalissime
    tutrici della religione stabilita, e ch'egli era determinato a
    persistere nel violarle, non era atta a mansuefare gli esasperati
    animi de' suoi sudditi. I Lordi, rade volte inchinevoli ad iniziare
    l'opposizione al Governo, consentirono a votare formali rendimenti
    di grazie per le cose espresse dal Re nel proprio discorso. Ma i
    Comuni furono meno proclivi. Ritornati alla sala delle loro
    adunanze, vi fu un profondo silenzio; e sui visi di molti
    spettabilissimi rappresentanti era dipinta la profonda inquietudine
    degli animi. Infine, Middleton alzossi, e propose che la Camera
    subitamente si formasse in Comitato intorno al discorso del Re; ma
    Sir Edmondo Jennings, Tory zelante della Contea di York, che
    supponevasi esprimesse il pensiero di Danby, protestò contro, e
    chiese tempo a considerare maturamente la cosa. Sir Tommaso Clarges,
    zio materno del Duca di Albemarle, e da lungo tempo rinomato in
    Parlamento come uomo atto agli affari ed economo della pubblica
    pecunia, fece eco alle parole di Jennings. Il sentire della Camera
    de' Comuni non poteva non esser chiaro a tutti. Sir Giovanni Ernley,
    Cancelliere dello Scacchiere, insistè onde lo indugio non fosse più
    di quarantotto ore; ma gli fu forza cedere, e deliberossi di
    differire la discussione a tre giorni(588).
    
    Questo intervallo di tempo fu bene adoperato da coloro che erano
    capi della opposizione alla Corte. E davvero, non era lieve la
    impresa che si studiavano di compiere. In tre giorni dovevano
    riordinare un partito patriottico. Non è agevole ne' giorni nostri
    intendere la difficoltà di ciò fare; perocchè oggidì può dirsi che
    la intera nazione assista alle deliberazioni de' Lordi e dei Comuni.
    Ciò che vien detto dai capi del ministero o della opposizione dopo
    la mezza notte, si legge all'alba da tutta la metropoli, nel
    pomeriggio dagli abitanti di Northumberland e di Cornwall, e nella
    mattina seguente in Irlanda e nelle montagne della Scozia. Nell'età
    nostra, quindi, tutti gli stadii della legislazione, le regole della
    discussione, la strategia delle fazioni, le opinioni, gli umori, lo
    stile d'ogni membro di ambedue le Camere, sono cose familiari a
    centinaia di migliaia d'uomini. Chiunque adesso entri in Parlamento,
    possiede ciò che nel secolo decimosettimo si sarebbe reputato gran
    tesoro di scienza parlamentare. La quale allora nessuno avrebbe
    potuto acquistare senza aver fatto il tirocinio nel Parlamento. La
    diversità fra un membro antico ed uno nuovo, era quanta la diversità
    che corre tra un vecchio soldato ed una recluta di recente tolta
    all'aratro; e il Parlamento di Giacomo comprendeva un affatto
    insolito numero di nuovi membri, i quali dalle loro rurali residenze
    s'erano recati a Westminster, privi di sapere politico, e pieni di
    violenti pregiudizi. Questi gentiluomini odiavano i papisti, ma non
    portavano odio meno forte ai Whig, e sentivano pel Re superstiziosa
    venerazione. Di cotesti materiali formare una opposizione, era un
    fatto che richiedeva arte e delicatezza infinite. Molti uomini di
    grande importanza, nondimeno, assunsero la impresa e la compirono
    con esito felice. Vari esperti politici Whig che non sedevano in
    quel Parlamento, davano utili consigli ed erudimenti. Nel dì che
    precesse al fissato per la discussione, si tennero molti convegni,
    dove gli esperti capi ammaestrarono i novizi; e tosto si vide come
    tali sforzi non fossero stati invano(589).
    
    XI. Le legazioni straniere furono tutte in commovimento. Intendevasi
    bene che fra pochi giorni si sarebbe risoluta la gran questione, se
    il Re d'Inghilterra sarebbe o no il vassallo di quello di Francia. I
    ministri di casa d'Austria desideravano ardentemente che Giacomo
    satisfacesse al Parlamento. Papa Innocenzo aveva inviati a Londra
    due uomini, ai quali aveva commesso di inculcare moderazione e con
    gli ammonimenti e con lo esempio. Uno era Giovanni Leyburn,
    Domenicano inglese, già stato segretario del Cardinale Howard; ed
    uomo che, fornito di qualche dottrina e d'una ricca vena di naturale
    arguzia, era il più cauto, destro e taciturno de' viventi. Era stato
    di recente consacrato vescovo d'Adrumeto, e fatto Vicario Apostolico
    della Gran Brettagna. Ferdinando, conte d'Adda, italiano, di non
    grande abilità, ma d'indole mite e di modi cortesi, era stato
    nominato Nunzio. Questi due personaggi furono lietamente accolti da
    Giacomo. Nessun vescovo cattolico romano, per più di un secolo e
    mezzo, aveva esercitata autorità spirituale nell'isola. Nessun
    Nunzio ivi era stato ricevuto per lo spazio de' centoventisette anni
    ch'erano scorsi dopo la morte di Maria. Leyburn fu alloggiato in
    Whitehall, ed ebbe una pensione di mille lire sterline l'anno. Adda
    non aveva per anche assunto carattere pubblico. Egli passava per un
    forestiere d'alto lignaggio, che per curiosità era venuto a Londra;
    andava giornalmente a Corte, ed era trattato con segni d'alta stima.
    Ambedue gli emissari del pontefice, fecero ogni sforzo per iscemare,
    quanto fosse possibile, l'odiosità inseparabile dagli uffici che
    occupavano, e frenare il temerario zelo di Giacomo. Il Nunzio
    segnatamente dichiarò, che niuna cosa poteva recare maggior
    detrimento agli interessi della Chiesa di Roma, che una rottura tra
    il Re e il Parlamento(590).
    
    Barillon agiva per un altro verso. Gli ordini che aveva ricevuti in
    questa occasione da Versailles, sono degnissimi di studio;
    imperocchè porgono la chiave a conoscere la politica seguita
    sistematicamente dal suo signore verso l'Inghilterra nei venti anni
    che precessero la nostra Rivoluzione. Luigi scriveva, come le
    notizie giunte da Madrid fossero sinistre. Ivi fermamente speravasi
    che Giacomo avrebbe fatta stretta colleganza con la Casa d'Austria,
    appena si fosse assicurato che il Parlamento non gli darebbe
    molestia. In tali circostanze, importava molto alla Francia fare in
    modo che il Parlamento si mostrasse disubbidiente. A Barillon,
    quindi, fu dato comandamento di fare, con tutte le possibili
    cautele, la parte d'arruffamatassa. In Corte, non doveva lasciare
    fuggire il destro di stimolare lo zelo religioso e l'orgoglio regio
    di Giacomo; ma nel tempo stesso, doveva ingegnarsi di tenere secrete
    pratiche coi malcontenti. Siffatte relazioni erano rischiose e
    richiedevano somma destrezza; nondimeno, avrebbe forse trovato mezzo
    d'incitare, - senza mettere a repentaglio sè stesso o il proprio
    Governo, - lo zelo dell'opposizione per le leggi e le libertà
    dell'Inghilterra, e lasciare intendere che quelle leggi o libertà
    non erano dal Re di Francia guardate di mal occhio(591).
    
    XII. Luigi, quando dettava coteste istruzioni, non prevedeva come
    presto e pienamente la ostinatezza e stupidità di Giacomo gli
    dovessero togliere dall'animo ogni inquietudine. Il dì 11 di
    novembre, la Camera de' Comuni si formò in Comitato per discutere il
    discorso della Corona. Heneage Finch, Procuratore Generale, teneva
    il seggio. La discussione fu condotta con peregrino ingegno e
    destrezza da' capi del nuovo partito patriottico. Non uscì loro
    dalle labbra espressione alcuna d'irreverenza pel sovrano, o di
    simpatia pei ribelli. Della insurrezione delle Contrade Occidentali
    parlarono sempre con abborrimento. Non fecero pur motto delle
    barbarie di Kirke o di Jeffreys. Ammisero che le gravi spese
    cagionate da' trascorsi disturbi, giustificavano il Re a domandare
    un aumento di pecuniari sussidi; ma si opposero fortemente ad
    accrescere l'armata, e alla infrazione dell'Atto di Prova.
    
    Pare che i cortigiani avessero studiosamente schivato ogni discorso
    intorno all'Atto di Prova. Favellarono, nondimeno, con vigore a
    dimostrare quanto l'armata regolare fosse superiore alla civica
    milizia. Uno di loro, con modo insultante, chiese se la difesa del
    reame era da affidarsi alle sole guardie del Re. Un altro disse che
    gli si mostrasse in che guisa i militi civici della Contea del
    Devonshire, i quali, sgominati, fuggirono dinanzi ai contadini
    armati di falci che seguivano Monmouth, avrebbero potuto affrontare
    le guardie reali di Luigi. Ma cosiffatte ragioni facevano poco
    effetto nell'animo de' Cavalieri, che serbavano amara rimembranza
    del Governo del Protettore. Il sentimento comune a tutti loro fu
    espresso da Eduardo Seymour, primo de' gentiluomini Tory
    dell'Inghilterra. Egli ammise che la milizia civica non era in
    condizioni soddisfacenti, ma sostenne che poteva riordinarsi. Tale
    riordinamento avrebbe richiesto danari; ma, per parte sua, avrebbe
    più volentieri dato un milione a mantenere una forza dalla quale ei
    non aveva nulla a temere, che mezzo milione a mantenere una forza
    della quale gli era d'uopo vivere in continua trepidazione.
    Disciplinate le legioni della Civica, rafforzata la flotta, la
    patria rimarrebbe sicura. Un esercito stanziale avrebbe, se non
    altro, emunto il pubblico tesoro. Il soldato era uomo rapito alle
    arti utili. Non produceva nulla; consumava il frutto della industria
    altrui; e tiranneggiava coloro da' quali era mantenuto. Ma la
    nazione adesso era minacciata non solo di un esercito stanziale, ma
    d'un esercito stanziale papista; di un esercito stanziale comandato
    da ufficiali che potevano essere gentili ed onorevoli, ma erano per
    principio nemici alla Costituzione del Regno. Sir Guglielmo Twisden,
    rappresentante della Contea di Kent, parlò nel medesimo senso con
    detti pungenti, e ne ebbe plauso. Sir Riccardo Temple, uno de' pochi
    Whig che sedevano in quel Parlamento, accomodando la favella agli
    umori del suo uditorio, rammentò alla Camera, come un esercito
    stanziale si fosse sperimentato pericoloso sì alla giusta autorità
    de' principi, che alla libertà delle nazioni. Sir Giovanni Maynard,
    il più dotto giureconsulto de' suoi tempi, prese parte alla
    discussione. Aveva più di ottanta anni, e poteva bene rammentarsi
    delle contese politiche del regno di Giacomo I. Aveva seduto nel
    Lungo Parlamento, e parteggiando per le Teste-Rotonde, aveva sempre
    porti consigli di mitezza, ed erasi affaticato a compire una
    riconciliazione generale. Per le doti della mente, non iscemate
    punto dalla vecchiezza, e per la scienza nella propria professione,
    onde egli aveva sì lungamente imposto rispetto in Westminster Hall,
    governava l'uditorio nella Camera de' Comuni. Anch'egli si dichiarò
    avverso allo aumento delle milizie regolari.
    
    Dopo molto disputare, fu deliberato di concedere un sussidio alla
    Corona; ma fu parimente deliberato di presentare una legge per
    riordinare la milizia civica. Questa ultima deliberazione equivaleva
    ad una dichiarazione contro l'idea di formare un esercito stanziale.
    Il Re ne ebbe assai dispiacere; e si lasciò correre la voce, che se
    le cose seguitavano ad andare a questo modo, la sessione del
    Parlamento non avrebbe avuto lunga durata(592).  La dimane
    riprincipiò la contesa. Il linguaggio del partito patriottico fu
    visibilmente più audace e pungente, che non era stato il dì innanzi.
    Il paragrafo del discorso del Re, che si riferiva al sussidio da
    concedersi, precedette quello che si riferiva all'Atto di Prova.
    Fondandosi sopra ciò, Middleton propose che il paragrafo riferentesi
    al sussidio, venisse discusso il primo nel comitato. Quei della
    opposizione proposero la questione pregiudiciale. Allegavano come
    l'usanza ragionevole e costituzionale fosse di non concedere pecunia
    innanzi che fosse provveduto agli abusi; la quale usanza sarebbe
    finita, se la Camera si fosse reputata servilmente vincolata a
    seguire l'ordine in cui le cose venivano rammentate dal Re sul
    trono.
    
    Fecesi uno squittinio di divisione intorno alla questione se la
    proposta di Middleton fosse da adottarsi. Il Presidente ordinò che
    coloro i quali opinavano pel no, andassero nell'antisala. Se ne
    offesero molto, e querelaronsi altamente di siffatta servilità e
    parzialità; imperocchè pensavano, secondo la intricata e sottile
    regola che allora vigeva, e che ai dì nostri venne messa da parte,
    sostituendovene un'altra più ragionevole e conveniente, avere il
    diritto di rimanere ai loro seggi; e tutti gli uomini più esperti
    degli usi parlamentari di quella età sostenevano, che coloro i quali
    rimanevano nella sala, avevano un vantaggio sopra coloro che
    uscivano fuori: imperciocchè i seggi erano così difettosi, che niuno
    il quale avesse avuta la fortuna di trovare un buon posto, amava di
    perderlo. Ciò non ostante, con isbalordimento de' Ministri, molti di
    coloro da' cui voti la Corte onninamente dipendeva, furono veduti
    muoversi verso la porta. Fra loro era Carlo Fox, pagatore delle
    truppe, e figlio di Stefano Fox, scrivano della Corte Regia di
    Palazzo. Il pagatore era stato indotto da' suoi amici ad assentarsi
    durante la discussione. Ma fu tanta la sua ansietà, che entrò nella
    stanza del Presidente, udì parte del dibattimento, ritirossi; e dopo
    d'avere per una o due ore ondeggiato fra la propria coscienza e
    cinque mila lire sterline di paga annua, prese un'animosa
    risoluzione e si rificcò nella sala, appunto mentre facevasi la
    votazione. Due ufficiali dell'armata, il Colonnello Giovanni Darcy,
    figlio di Lord Conyers, e il Capitano Giacomo Kendall, andarono
    nell'antisala. Middleton scese alla barra e li rimproverò
    aspramente. In ispecie, diresse la parola a Kendall, servitore
    bisognoso della Corona, che da un collegio elettorale di Cornwall,
    ligio agli ordini del Re, era stato mandato al Parlamento, e che di
    recente aveva ottenuto un dono di cento ribelli condannati alla
    deportazione. "Signore," disse Middleton "non comandate voi un
    reggimento di cavalleria a' servigi di Sua Maestà?" - "Sì, o
    Milord," rispose Kendall "ma mio fratello è morto ora che è poco, e
    mi ha lasciato settecento lire sterline l'anno."
    
    XIII. Come i questori compirono l'ufficio loro, i voti affermativi
    furono cento ottantadue, i negativi cento ottantatre. In quella
    Camera di Comuni, che era stata messa insieme per mezzo di raggiri,
    di corruzione e di violenza; in quella Camera di Comuni, della quale
    Giacomo aveva detto che più di undici dodicesimi de' membri erano
    quali dovevano essere se gli avesse nominati da sè, la Corte aveva
    avuta una sconfitta sopra una questione vitale(593).  A cagione
    di questo voto, le espressioni adoperate dal Re parlando dell'Atto
    di Prova furono, il dì 13 novembre, poste in discussione. E' fu
    risoluto, dopo molto discutere, di fargli un indirizzo, a
    rammentargli come ei non potesse legalmente seguitare a tenere in
    ufficio uomini che ricusassero di uniformarsi alla legge, e a
    sollecitarlo perchè prendesse gli opportuni provvedimenti a quietare
    i sospetti e le gelosie del popolo(594).
    
    Fu poi proposto che i Lordi venissero richiesti di aderire allo
    indirizzo. Adesso è impossibile chiarirsi se mai tale proposta fosse
    stata onestamente fatta dalla opposizione, sperante che il concorso
    dei Pari avrebbe aggiunto peso alla rimostranza, o fatta
    artificiosamente dai cortigiani con la speranza che ne seguisse un
    dissenso fra le due Camere. La proposta venne rigettata(595).
    
    La Camera si era formata in Comitato onde deliberare intorno la
    pecunia da concedersi. Il Re chiedeva un milione(596) e quattrocento
    mila lire sterline; ma i Ministri s'accorsero che sarebbe stato vano
    domandare una sì grossa somma. Il Cancelliere dello Scacchiere
    propose un milione e dugento mila lire sterline. I capi della
    opposizione risposero, che concedere tanta pecunia sarebbe stato il
    medesimo che approvare la permanenza delle forze militari allora
    esistenti: mentre essi erano disposti solo a dar tanto da bastare
    pel mantenimento delle truppe regolari finchè le milizie civiche
    venissero riformate; e però proposero quattro cento mila lire
    sterline. I cortigiani si misero ad urlare contro siffatta proposta,
    come indegna della Camera e irriverente al Re. Ma trovarono vigorosa
    resistenza. Uno de' rappresentanti le Contee Occidentali, voglio
    dire Giovanni Windham, che era deputato di Salisbury, si oppose
    vivamente, dicendo come egli avesse sempre avuto terrore ed
    abborrimento per gli eserciti stanziali; massime da che la recente
    esperienza l'aveva riconfermato in tale pensiero. Si provò poi di
    toccare d'una cosa che fino allora era stata con sommo studio
    schivata. Dipinse la desolazione delle Contee Occidentali. Disse che
    i popoli erano stanchi della oppressura delle truppe, stanchi degli
    alloggi, delle depredazioni, e di scelleratezze anche peggiori che
    la legge chiamava fellonie, ma che essendo commesse da tale classe
    di felloni, non era possibile ottenerne giustizia. I ministri del Re
    avevano detto alla Camera, che erano stati fatti buoni provvedimenti
    pel governo dell'armata; ma nessuno avrebbe osato dire che fossero
    stati mandati ad esecuzione. Quale ne era la necessaria conseguenza?
    Il contrasto tra i paterni ammonimenti profferiti dal trono e la
    intollerabile tirannia de' soldati, non provava egli che l'armata
    era anche allora troppa e pel principe e pel popolo? I Comuni
    potevano, perfettamente coerenti a sè stessi, senza menomare la
    fiducia che avevano posta nelle intenzioni di Sua Maestà, ricusare
    che venisse aumentata una forza che, manifestamente, la Maestà Sua
    non avrebbe potuto tenere in freno.
    
    XIV. La proposta delle quattrocento mila lire sterline, non passò
    per dodici voti di minoranza. Questa vittoria, riportata dai
    Ministri, era una quasi sconfitta. I capi del partito patriottico,
    non punto scoraggiati, indietreggiarono un poco, per ritornare alla
    prova, e proposero la somma di settecentomila lire sterline. Il
    Comitato votò nuovamente, e i cortigiani furono sconfitti con
    dugentododici voti contro centosessanta(597).  Il dì dopo, i
    Comuni andarono solennemente a Whitehall recando l'indirizzo, dove
    si parlava dell'Atto di Prova. Il Re li accolse seduto sul trono.
    L'indirizzo era scritto con parole spiranti riverenza ed affetto;
    imperocchè la maggior parte di coloro che avevano votato a favore di
    quello, erano fervidamente anzi superstiziosamente realisti, e
    avevano di leggieri assentito ad inserirvi alcune frasi di
    complimento, omettendo ogni parola che i cortigiani avevano reputata
    offensiva. La risposta di Giacomo fu una fredda e austera
    riprensione. Manifestò dispiacere e maraviglia nel vedere che i
    Comuni avevano così poco profittato degli ammonimenti dati loro.
    "Ma," soggiunse "quantunque possiate seguitare a fare a modo vostro,
    io sarò fermissimo in tutte le promesse che vi ho fatte(598)."
    
    I Comuni si radunarono nella loro sala mal satisfatti, e alquanto
    intimoriti. La più parte di loro portavano al Re alta riverenza. Tre
    anni d'oltraggi, e d'insulti più duri degli oltraggi stessi,
    bastavano appena a sciogliere i vincoli onde i gentiluomini
    Cavalieri erano legati al trono.
    
    Il Presidente ridisse la sostanza della risposta del Sovrano.
    Successe per alcun tempo un solenne silenzio; poi si lesse
    regolarmente l'ordine del giorno; e la Camera si formò in Comitato
    per discutere la legge di riforma della milizia civica.
    
    XV. Nondimeno, servirono poche ore perchè la opposizione si
    rifacesse d'animo. Come, sul cadere del giorno, il Presidente
    riprese il seggio, Wharton, il più ardito ed operoso de' Whig,
    propose di stabilire il giorno in cui la risposta del Re si dovesse
    prendere in considerazione. Giovanni Coke, rappresentante di Derby,
    quantunque fosse Tory conosciuto, secondò le parole di Wharton,
    dicendo: "Spero che noi tutti saremo Inglesi, e che poche parole
    altere non varranno a intimorirci e distoglierci dal proprio
    dovere."
    
    E furono parole coraggiose, ma non savie. "Notate le sue parole! -
    Alla barra! - Alla Torre!" gridavano da ogni canto della sala. I più
    moderati proposero, che l'offensore venisse severamente ripreso: ma
    i Ministri insisterono con veemenza perchè fosse mandato in
    prigione. Dissero che la Camera poteva perdonare le offese fatte ad
    essa, ma non aveva ragione di rimettere un insulto fatto alla
    Corona. Coke fu condotto alla Torre. La indiscretezza di un solo
    uomo aveva interamente disordinato il sistema di strategia con tanta
    arte congegnato dai capi della opposizione. Invano, in quel momento,
    Eduardo Seymour tentò di riordinare i suoi aderenti, esortandoli a
    stabilire il giorno per discutere la risposta del Re, ed esprimendo
    la fiducia che la discussione sarebbe stata condotta col rispetto
    debito de' sudditi verso il sovrano. I rappresentanti erano tanto
    intimiditi dal dispiacere del Re, e tanto esasperati dalla rozzezza
    di Coke, che non sarebbe stato savio partito fare squittinio di
    divisione(599).
    
    La Camera si aggiornò; e i Ministri s'illusero credendo che lo
    spirito della opposizione fosse domo. Ma la mattina del dì 19
    novembre, nuovi e sinistri segni comparvero. Era giunto il tempo di
    prendere in considerazione le petizioni arrivate da ogni parte
    dell'Inghilterra contro le ultime elezioni. Allorquando, nella prima
    adunanza del Parlamento, Seymour s'era altamente querelato del
    Governo, il quale usando la forza e la fraude aveva impedito che la
    opinione de' collegi elettorali liberamente si manifestasse, non
    aveva trovato niuno che lo secondasse. Ma molti che allora s'erano
    da lui scostati, avevano poi ripreso animo, e con a capo Sir
    Giovanni Lowther, rappresentante di Cumberland, innanzi lo
    aggiornamento avevano manifestata la necessità d'inquisire intorno
    agli abusi che avevano tanto commossa l'opinione pubblica. La Camera
    adesso trovavasi più stizzita; e molti alzavano la voce in tono di
    minaccia e d'accusa. Ai Ministri fu detto, che la nazione aspettava
    e doveva avere solenne giustizia de' torti patiti. Intanto
    accennavasi destramente, che la migliore espiazione che ogni
    gentiluomo eletto con illeciti mezzi potesse fare agli occhi del
    pubblico, era di usare il mal conseguito potere in difesa della
    religione e delle libertà della patria. Niun rappresentante, che in
    tanta ora di pericolo facesse il debito proprio, aveva nulla a
    temere. Forse potevano trovarsi argomenti per escluderlo dal
    Parlamento; ma la opposizione prometteva di adoperare tutta la
    propria influenza a farlo rieleggere(600).  XVI. Il giorno
    stesso chiaramente si conobbe, che lo spirito d'opposizione(601)
    erasi propagato dalla Camera de' Comuni a quella de' Lordi, e
    perfino al banco de' vescovi. Guglielmo Cavendish, Conte di
    Devonshire, aperse lo arringo nella Camera Alta, e a ciò fare aveva
    i necessari requisiti. Per ricchezze ed influenza a nessuno de'
    Nobili inglesi era secondo; e la voce pubblica lo diceva il più
    compito gentiluomo de' tempi suoi. La magnificenza, il gusto, lo
    ingegno, la classica dottrina, l'altezza dello spirito, la grazia e
    la urbanità de' modi, erano qualità che i suoi stessi nemici gli
    consentivano. Sventuratamente, i panegiristi suoi non potrebbero
    sostenere che la sua morale rimanesse incontaminata dal contagio a
    que' tempi sparso dappertutto. Quantunque ei procedesse avverso al
    papismo e al potere arbitrario, aveva sempre abborrito dagli
    esagerati provvedimenti; era, come vide perduta la Legge
    d'Esclusione, inchinato ad un compromesso, e non s'era mai
    immischiato negli illegali ed imprudenti disegni che avevano
    screditato il partito Whig. Ma benchè gli spiacesse in parte la
    condotta de' propri amici, ei non aveva mai mancato di compire con
    zelo gli ardui e perigliosi doveri d'amicizia. S'era mostrato al
    fianco di Russell alla sbarra; nel tristo giorno della sua
    decapitazione, gli aveva detto addio, fra amplessi affettuosi e
    copiose ed amarissime lacrime; anzi, s'era offerto di mettere a
    repentaglio la propria vita per procurargli la fuga(602). Questo
    grand'uomo, adunque, propose in Parlamento di fissare un giorno per
    esaminare il discorso del Re. Dal lato opposto sostenevasi, che i
    Lordi col deliberare rendimenti di grazie al Sovrano per il
    discorso, s'erano privati del diritto di muovere querela. Ma Halifax
    trattò con ispregio simile risposta. "Cosiffatti ringraziamenti"
    disse egli con quella piacevolezza di sarcasmo di cui era maestro
    "non includono approvazione. Siamo gratissimi sempre che il nostro
    Sovrano si degna di rivolgerci la parola. E in ispecie siamo grati
    quando, come ha fatto nella presente occasione, ci parla chiaro ed
    accenna ciò che ci tocchi a patire(603)."
    
    XVII. Il dottore Enrico Compton, vescovo di Londra. parlò fortemente
    a favore della proposta. Quantunque ei non avesse ricco corredo di
    insigni doti, nè fosse profondamente versato negli studi della
    propria professione, la Camera sempre lo ascoltava con riverenza;
    imperocchè egli era uno de' pochi ecclesiastici che in quell'età
    potesse vantare nobiltà di sangue. Ed egli e la sua famiglia avevano
    dato prove di lealtà. Suo padre, secondo Conte di Northampton, aveva
    strenuamente combattuto per Carlo I, e circuito dai soldati
    dell'armata parlamentare, era caduto con la spada in pugno,
    ricusando di concedere o d'accettare quartiere. Lo stesso vescovo,
    innanzi di ricevere gli ordini sacri, era stato nelle Guardie; e
    ancorchè generalmente facesse ogni sforzo per mostrare la gravità e
    la sobrietà convenevoli ad un prelato, di quando in quando si vedeva
    in lui sfavillare qualche scintilla dell'antico spirito militare.
    Gli era stata affidata la educazione religiosa delle due
    Principesse, e aveva adempito a quel solenne dovere in modo da
    soddisfare tutti i buoni Protestanti, e da assicurargli
    considerevole influenza sopra le menti delle sue discepole, e
    massime della Principessa Anna(604). Adesso dichiarò d'avere potestà
    di manifestare l'opinione de' suoi confratelli, i quali insieme con
    lui pensavano che la intera Costituzione civile ed ecclesiastica del
    reame fosse in pericolo(605).
    
    XVIII. Uno de' più segnalati discorsi di quel giorno uscì dalle
    labbra d'un giovane, che con la bizzarria de' suoi casi era
    destinato a rendere attonita la Europa. Aveva nome Carlo Mordaunt,
    Visconte Mordaunt, grandemente rinomato anni dopo come Conte di
    Peterborough. Aveva già date numerose prove di coraggio, di
    capacità, e di quella stranezza di cervello che rese quel coraggio e
    quella capacità inutili alla propria patria. S'era perfino messo in
    mente di rivaleggiare con Bourdaloue e Bossuet. Quantunque ei fosse
    conosciuto come libero pensatore, aveva vegliato tutta notte in un
    viaggio di mare per comporre sermoni, e con difficoltà gli era stato
    impedito di edificare con un pio discorso la ciurma di un vascello
    da guerra. Adesso favellò per la prima volta nella Camera de' Pari
    con singolare eloquenza, con ardore, con audacia. Biasimò i Comuni
    di non essersi messi in una via più ardimentosa, dicendo: "Essi
    hanno avuto timore di parlare schietto. Hanno ragionato di sospetti
    e di gelosie. Che c'entrano qui le gelosie ed i sospetti? Essi sono
    sentimenti che provansi per danni incerti e futuri; e il male che
    stiamo esaminando non è futuro nè incerto. Esiste un esercito
    stanziale. È comandato da ufficiali papisti. Non abbiamo nemico
    straniero. Non v'è ribellione nel paese nostro. A che fine, dunque,
    si mantengono tanto numerose forze se non per abbattere le nostre
    leggi, e stabilire il potere arbitrario, cotanto giustamente
    abborrito dagli Inglesi(606)?"
    
    Jeffreys parlò contro la proposta con quel rozzo e feroce stile di
    cui egli era maestro; ma si accôrse subito non essere così agevole
    atterrire gli alteri e potenti baroni d'Inghilterra nella loro sala,
    come lo era intimidire gli avvocati, il cui pane dipendeva dal
    favore, o gli accusati le cui teste erano nelle mani di lui. Un uomo
    che abbia passata la vita ad aggredire ed imporre ad altrui, sia
    quale si voglia supporre il suo coraggio ed ingegno, generalmente,
    qualvolta è rigorosamente aggredito, fa meschina figura:
    imperciocchè, non essendo avvezzo a starsi sulla difensiva, si
    confonde; e il sapere che tutti gl'insultati da lui godono della sua
    confusione, lo confonde vie maggiormente. Jeffreys, per la prima
    volta da che era divenuto grand'uomo, veniva incontrato a condizioni
    uguali da avversari che non lo temevano. A soddisfazione universale,
    era quella la prima volta ch'egli passava dallo estremo
    dell'insolenza allo estremo dell'abbiettezza, e non potè frenarsi di
    spargere lacrime di rabbia e di dispetto(607). Nulla, a dir vero,
    mancò ad umiliarlo; poichè la sala era piena di circa cento Pari,
    numero maggiore anche di quello che vi s'era trovato nel gran dì del
    voto intorno alla Legge d'Esclusione. Arrogi che v'era presente
    anche il Re. Carlo aveva avuto costume di assistere alle tornate
    della Camera de' Lordi per sollazzo, e spesso era solito dire che
    una discussione gli era di piacevole intertenimento al pari d'una
    commedia. Giacomo ci andò non per divertirsi, ma con la speranza che
    la propria presenza fosse di qualche freno alla discussione. E
    s'ingannò. Gli umori della Camera si manifestarono con tanto vigore,
    che dopo una pungentissima orazione fatta da Halifax a concludere, i
    cortigiani non vollero avventurarsi allo squittinio di divisione. Fu
    stabilito un giorno prossimo a prendere in considerazione il
    discorso del Re; e fu ordinato che tutti i Pari i quali non fossero
    in luoghi molto distanti da Westminster, si trovassero al proprio
    posto(608).
    
    XIX. Il dì seguente, il Re in tutta pompa andò alla Camera de'
    Lordi. L'Usciere della Verga Nera intimò ai Comuni di recarsi alla
    sbarra; e il Cancelliere annunziò che il Parlamento era prorogato
    fino al giorno decimo di febbraio(609). I membri che avevano votato
    contro la Corte, furono destituiti dai pubblici uffici. Carlo Fox fu
    cacciato dalla Pagatoria. Il vescovo di Londra cessò d'essere Decano
    della Cappella Reale, e il suo nome fu casso dalla lista de'
    Consiglieri Privati.
    
    Lo effetto della proroga fu di porre fine ad un processo della più
    alta importanza. Tommaso Grey, Conte di Stamford, discendente da una
    delle più illustri famiglie dell'Inghilterra, incolpato di
    crimenlese, era stato di recente preso e posto in istretta prigionia
    dentro la Torre. Lo accusavano d'essere stato implicato nella
    congiura di Rye House. La esistenza del fatto era stata dichiarata
    dai Grandi Giurati della Città di Londra, e la causa era stata
    portata alla Camera de' Lordi, che erano il solo tribunale dinanzi a
    cui un Pari secolare, durante la sessione del Parlamento, potesse
    essere processato per grave delitto. Il dì stabilito allo esame del
    caso era il primo di decembre; erano stati dati ordini perchè nella
    sala di Westminster si facessero gli apparecchi bisognevoli. A
    cagione della proroga, la causa venne differita ad un tempo
    indefinito; e Stamford fu tosto messo in libertà(610).
    
    Tre altri Whig di grande importanza stavano già incarcerati
    allorquando si chiuse la sessione: cioè Carlo Gerard, Lord Gerard di
    Brandon, primogenito del conte di Maclesfield; Giovanni Hampden,
    nipote del rinomato capo del Lungo Parlamento; ed Enrico Booth, Lord
    Delamere. Gerard e Hampden erano accusati come complici della
    Congiura di Rye House, Delamere, di avere favorita la insurrezione
    delle Contrade Occidentali.
    
    XX. Non era intendimento del Governo far morire Gerard o Hampden.
    Grey, prima che acconsentisse a testificare contro di loro, aveva
    patteggiato per la vita loro(611). Ma v'era anche una ragione più
    forte a lasciarli vivi. Erano eredi di grosso patrimonio; ma i
    genitori loro vivevano ancora. La Corte, quindi, poteva ottenere
    poco in via di confisca, ma molto in via di riscatto. Gerard fu
    processato, e dalle assai scarse notizie che ci rimangono, e' sembra
    che si difendesse con grande animo e con vigorose parole. Vantò gli
    sforzi e i sacrifici fatti dalla sua famiglia per la causa di Carlo
    I, e provò che Rumsey, quel desso che inventando una storiella aveva
    assassinato Russell, e poi Cornish dicendone un'altra, era testimone
    affatto indegno di fede. I Giurati, dopo qualche esitazione, lo
    dissero colpevole. Dopo una lunga prigionia, a Gerard fu concesso di
    redimersi(612). Hampden aveva ereditate le opinioni politiche e gran
    parte delle esimie doti dell'avo, ma era degenerato dalla probità e
    dal coraggio onde l'avo erasi tanto predistinto. E' pare che lo
    accusato, per crudele astuzia del Governo, fosse lungamente tenuto
    in una agonia di dubbio, affinchè la sua famiglia s'inducesse a
    pagare assai caro il perdono. Il suo spirito prostrossi sotto il
    terrore della morte. Condotto al banco degli accusati, non solo si
    confessò reo, ma disonorò il nome illustre ch'egli portava, con
    sommissioni e suppliche abiette. Protestò di non essere stato
    partecipe del secreto disegno di assassinare Carlo e Giacomo, ma
    confessò di avere meditata la ribellione; dichiarossi profondamente
    pentito del fallo, implorò la intercessione de' Giudici, giurando
    che ove la reale clemenza si stendesse sopra lui, dedicherebbe
    intera la vita a mostrare la propria gratitudine. I Whig a tanta
    pusillanimità divennero furiosi, ed altamente dichiararono lui
    meritare più biasimo di Grey, il quale, diventando testimonio del
    Governo, aveva serbato un certo decoro. Ad Hampden fu perdonata la
    vita; ma la sua famiglia pagò alcune migliaia di lire sterline al
    Cancelliere. Altri cortigiani di minore momento estorsero da lui
    altre somme più tenui. Lo sciagurato aveva spirito bastevole a
    sentire la vergogna in cui s'era gettato. Sopravvisse di parecchi
    anni al giorno della propria ignominia. Ei visse per vedere il
    proprio partito trionfante, avere in esso importantissima parte,
    innalzarsi nello Stato, e far tremare i propri persecutori. Ma una
    rimembranza insopportabile gli attoscava tanta prosperità. Non
    riacquistò mai la gaiezza dello spirito, e finalmente di propria
    mano si tolse la vita(613).  XXI. Che Delamere, ove avesse
    avuto mestieri della regia clemenza, l'avrebbe potuta ottenere, non
    è molto probabile. Egli è certo che tutto il vantaggio che la
    lettera della legge dava al Governo, fu adoperato contro lui senza
    scrupolo o vergogna. Era in condizioni diverse da quelle in cui
    trovavasi Stamford. L'accusa contro costui era stata portata dinanzi
    alla Camera de' Lordi mentre il Parlamento era in sessione, e però
    non poteva essere processato se non alla riapertura del Parlamento.
    Tutti i Pari avrebbero allora avuto un voto da dare, e sarebbero
    stati giudici di diritto e di fatto. Ma l'atto d'accusa contro
    Delamere non fu prodotto fuori se non dopo la proroga(614). Egli
    era, quindi, soggetto alla giurisdizione della corte del Lord Gran
    Maggiordomo. Questa corte, alla quale appartiene mentre è chiuso il
    Parlamento la cognizione de' delitti di tradimento e di fellonia
    commessi dai Pari secolari, era allora siffattamente costituita, che
    nessuno accusato di delitto politico poteva sperare un processo
    imparziale. Il Re nominava il Lord Gran Maggiordomo. Questi, a
    proprio arbitrio, nominava vari Pari a giudicare il loro accusato
    confratello. Al numero loro non era limite. Una semplice maggioranza
    di voti, purchè fosse di dodici, serviva a dichiarare colpevole. Il
    Gran Maggiordomo era solo giudice di diritto; e i Lordi erano
    Giurati per pronunciare sul fatto. Jeffreys fu nominato Gran
    Maggiordomo. Scelse trenta Pari, e la scelta fu qual poteva
    aspettarsi da siffatto uomo in simiglianti tempi. Tutti que' trenta
    per opinioni politiche procedevano avversi allo accusato. Quindici
    erano colonnelli di reggimenti, e potevano essere destituiti a
    volontà del Re. Tra gli altri quindici erano il Lord Tesoriere,
    principale segretario di Stato, il Maggiordomo e il Sindaco di
    Palazzo, il Capitano della Banda de' Gentiluomini Pensionisti, il
    Ciamberlano della Regina, ed altri individui fortemente vincolati
    alla Corte. Nondimeno, Delamere aveva alcuni grandi vantaggi sopra i
    colpevoli di minor grado processati in Old Bailay. Quivi i Giurati,
    violenti uomini di partito, presi per un solo giorno dagli Sceriffi
    cortigiani fra la massa della società, e rimandati poi nella massa,
    non avevano freno di rossore; e poco avvezzi a giudicare della
    evidenza del caso, seguivano senza scrupolo le voglie del seggio. Ma
    nella corte del Gran Maggiordomo, ogni Giurato era uomo esperto ne'
    gravi negozi, e considerevolmente noto al pubblico; e doveva
    profferire separatamente, e sull'onor suo, la propria opinione
    dinanzi a un numeroso concorso. Quella opinione, insieme col suo
    nome, sarebbe andata in tutte le parti del mondo e rimasta nella
    storia. Inoltre, quantunque i nobili scelti fossero tutti Tory e
    quasi tutti impiegati, molti di loro avevano cominciato a sentire
    inquietudine della condotta del Re, e dubitavano un giorno non
    s'avessero a trovare nel caso di Delamere.
    
    Jeffreys si condusse, secondo l'usato, con iniquità ed insolenza.
    Serbava in petto un vecchio rancore che lo irritava. Era stato capo
    Giudice di Chester allorquando Delamere, che allora chiamavasi il
    Signor Booth, rappresentava quella Contea in Parlamento. Booth aveva
    mosso amarissima querela nella Camera de' Comuni perchè i più cari
    interessi de' suoi elettori erano affidati ad un buffone
    briaco(615). Il giudice vendicativo, ora non arrossì di adoperare
    artifici tali, che sarebbero stati criminosi anche in un avvocato.
    Ricordò ai Lordi Giurati con significantissime parole, che Delamere
    in Parlamento erasi opposto alla condanna infamante di Monmouth;
    fatto che non era nè poteva essere provato. Ma non era in potestà di
    Jeffreys intimorire un sinodo di Pari, come era avvezzo a fare verso
    i Giurati ordinari. La testimonianza addotta dalla Corona si sarebbe
    forse reputata ampiamente bastevole nel giorno giuridico nelle
    Contrade Occidentali o nelle sessioni di Città, ma non poteva per un
    momento imporre ad uomini come Rochester, Godolphin e Churchill; nè
    essi, con tutti i falli loro, erano sì depravati, da condannare a
    morte un uomo contro le più semplici norme della giustizia. Grey,
    Wade e Goodenough furono dal Governo addotti come testimoni, ma
    poterono solo ripetere ciò che avevano udito dire da Monmouth e
    dagli emissari di Wildman. Fu dimostrato con incontrastabile
    evidenza che un ribaldo, di nome Saxton, principale testimonio
    dell'accusa, già stato implicato nella ribellione, ed ora
    affaccendato a procacciarsi il perdono testificando contro tutti
    gl'invisi al Governo, aveva detto gran numero di menzogne. Tutti i
    Lordi Giurati, da Churchill, il quale come il più giovane de' baroni
    parlò primo, fino al Tesoriere, dichiararono sull'onor loro, che
    Delamere non era colpevole. La gravità e la pompa del processo fece
    profonda impressione nell'animo del Nuncio, ancorchè fosse
    assuefatto alle cerimonie della Corte di Roma, le quali per
    solennità e magnificenza vincono tutte le cerimonie del mondo(616).
    Il Re, che v'era presente, e non poteva muovere lamento della
    sentenza evidentemente giusta, montò in furore contro Saxton,
    giurando che lo sciagurato sarebbe stato prima posto alla berlina,
    come reo di spergiuro, innanzi a Westminster Hall; e poi mandato
    nelle contrade occidentali, per essere appeso alle forche e
    squartato come reo di tradimento(617).
    
    XXII. La pubblica esultanza, come si seppe che Delamere era stato
    assoluto, fu grande. Il regno del terrore era finito. L'innocente
    incominciava a respirare liberamente, e il falso accusatore a
    tremare. Non può leggersi senza lacrime una lettera scritta in
    questa occasione. Giunse alla vedova di Russell nella sua solitudine
    la nuova, e le suscitò nell'anima un misto di sentimenti diversi.
    "Rendo grazie a Dio" scriveva ella, "che ha posto alcun freno allo
    spargimento del sangue in questo misero paese. Ma mentre me ne
    rallegro con altrui, mi tiro da parte a piangere. Più non mi sento
    capace di godere; ma ogni nuova circostanza, il paragonare la mia
    notte di dolore, dopo un tanto giorno, con le loro notti di gioia, o
    per un pensiero o per un altro, mi tortura l'anima. Comecchè io sia
    lungi dal desiderare che le loro ore trascorrano come le mie, non
    posso frenarmi talvolta di lamentare che le mie non siano simili
    alle loro(618)."
    
    Adesso il vento era cangiato. La morte di Stafford, accolta con
    segni di tenerezza e di rimorso dalla plebaglia, alla cui rabbia
    egli era stato sacrificato, stabilisce il finire di una
    proscrizione. Il proscioglimento di Delamere stabilisce il chiudersi
    d'un'altra. I delitti che avevano disonorato il procelloso tribunato
    di Shaftesbury, erano stati terribilmente espiati. Il sangue
    degl'innocenti papisti era stato più che dieci volte vendicato dal
    sangue de' fervidi protestanti. Un'altra grande reazione era
    incominciata. Le fazioni andavano speditamente prendendo nuove
    forme. I vecchi collegati scindevansi. Si congiungevano i vecchi
    nemici. I mali umori spandevansi in tutto il partito fino allora
    predominante. Una speranza, comunque per allora debole e indistinta,
    di vittoria e vendetta, rianimava il partito che pareva estinto. In
    siffatte condizioni si chiuse il 1685, anno torbido e pieno
    d'eventi, e incominciò il 1686.
    
    XXIII. La proroga aveva disimpacciato il Re dalle moderate
    rimostranze delle Camere; ma gli toccava udirne altre, simili per lo
    effetto, ma formulate con parole anche più caute e sommesse. Taluni,
    che fino allora lo avevano servito con cecità tale da nuocere alla
    loro fama e al pubblico bene, cominciarono a provare dolorosi
    presentimenti, e di quando in quando risicavansi a significare alcun
    che di ciò che sentivano.
    
    Per molti anni lo zelo del Tory inglese per la monarchia ereditaria
    e per la religione stabilita, erano insieme venuti crescendo e
    scambievolmente afforzandosi. Ei non aveva mai pensato che questi
    due sentimenti, i quali parevano inseparabili e pressochè identici,
    si sarebbero un giorno potuti trovare non solo distinti, ma
    incompatibili. Dal principio della lotta tra gli Stuardi e i Comuni,
    la causa della Corona e quella della gerarchia erano state
    apparentemente una causa sola. Carlo I veniva dalla Chiesa
    considerato come martire. Se Carlo II aveva contro quella
    congiurato, aveva congiurato secretamente. In pubblico s'era sempre
    confessato grato e devoto figliuolo, erasi inginocchiato dinanzi
    agli altari di essa; e malgrado i suoi corrotti costumi, gli era
    riuscito di persuadere il maggior numero degli aderenti alla Chiesa,
    che egli sinceramente la preferisse. Per tutti i conflitti che
    l'onesto Cavaliere avesse fino allora potuto sostenere contro i Whig
    e le Teste-Rotonde, non aveva almeno dovuto patire nessun conflitto
    nella mente propria. Egli s'era veduto piano ed aperto dinanzi agli
    occhi il sentiero del dovere. Traverso al bene e al male, ei doveva
    mantenersi fedele alla Chiesa e al Re. Ma se que' due augusti e
    venerandi poteri, i quali fino allora sembravano così strettamente
    congiunti, che i fedeli all'uno non potevano essere perfidi
    all'altro, venissero divisi da mortale nimistà, a quale partito
    doveva il realista ortodosso appigliarsi? Quale condizione sarebbe
    stata più critica che quella di trovarsi ondeggiante tra due doveri
    egualmente sacri, tra due affetti egualmente fervidi? Come poteva
    egli rendere a Cesare ciò ch'era di Cesare, e non negare a Dio parte
    di ciò ch'era di Dio? Nessuno che avesse siffattamente sentito,
    poteva mirare, senza profondo timore e neri presentimenti, il
    contrasto tra il Re e il Parlamento intorno all'Atto di Prova. Se
    Giacomo anche ora si fosse indotto a ripensare sul proprio disegno,
    a lasciare riaprire le Camere, e cedere ai desiderii loro, tutto
    poteva rivolgersi a bene.
    
    Così opinavano i due cognati del Re, i Conti cioè, di Clarendon e di
    Rochester. La potenza e il favore che godevano questi gentiluomini,
    sembrava veramente grande. Il più giovane de' fratelli era Lord
    Tesoriere e primo ministro; il maggiore, dopo di avere per alquanti
    mesi tenuto il Sigillo Privato, era stato nominato Luogotenente
    d'Irlanda. Il venerando Ormond pensava medesimamente. Middleton e
    Preston, che, come dirigenti la Camera de' Comuni, avevano di
    recente sperimentato quanto cara fosse a' gentiluomini realisti
    d'Inghilterra la religione stabilita, davano consigli di
    moderazione.
    
    In sul principio del nuovo anno, i sopraddetti uomini di Stato, e il
    numeroso partito da essi rappresentato, ebbero a patire una crudele
    mortificazione. Che il Re defunto fosse Cattolico Romano, era stato
    per molti mesi sospettato e bisbigliato, ma non annunziato
    formalmente. Tale manifestazione non si sarebbe potuta fare senza
    grave scandalo. Carlo erasi innumerevoli volte dichiarato
    protestante, ed aveva avuto costumanza di ricevere dai vescovi della
    Chiesa stabilita il sacramento della eucaristia. Que' Protestanti
    che lo avevano sostenuto ne' pericoli, e che di lui serbavano
    tuttavia affettuosa rimembranza, dovevano provare sdegno e rossore
    al sentire che la intera sua vita era stata una menzogna; che mentre
    confessava d'appartenere alla loro religione, gli aveva veramente
    tenuti per eretici; e che i demagoghi, i quali lo avevano chiamato
    papista nascosto, erano stati i soli che avessero formato un esatto
    giudicio del suo carattere. Anche Luigi intendeva tanto lo stato
    dell'opinione pubblica in Inghilterra, da accorgersi come il
    divulgare il vero potesse recar nocumento, ed aveva, d'accordo,
    fatta promissione di tenere strettamente segreta la conversione di
    Carlo(619). Giacomo, nel principio del suo regno, aveva pensato
    doversi in tanto negozio procedere cauto, e non erasi rischiato a
    seppellire il fratello, secondo il rito della Chiesa di Roma. Per
    qualche tempo, quindi, ciascuno potè liberamente credere ciò che
    volesse. I papisti dicevano che il defunto principe era loro
    proselite. I Whig lo esecravano come ipocrita e rinnegato. I Tory
    consideravano la voce della sua apostasia come una calunnia che i
    papisti e i Whig, per ragioni differentissime, avevano interesse a
    spargere.
    
    XXIV. Giacomo ora fece un passo che pose in gran perturbazione tutto
    il partito anglicano. Due scritture, in cui erano concisamente
    esposti gli argomenti d'ordinario usati dai Cattolici Romani nella
    controversia coi Protestanti, s'erano trovate nella cassa forte di
    Carlo, e sembravano di mano sua. Le quali scritture Giacomo mostrò,
    menandone trionfo, a parecchi Protestanti, e dichiarò sapere che il
    suo fratello era vissuto e morto Cattolico Romano(620). Uno di
    coloro ai quali i manoscritti furono mostrati, fu lo arcivescovo
    Sancroft. Li lesse grandemente commosso, e rimase tacito. Tale
    silenzio era solo lo effetto naturale di una lotta tra la riverenza
    e la repugnanza. Ma Giacomo suppose che il Primate tacesse per la
    forza irresistibile della ragione, e seriamente lo sfidò a produrre,
    col soccorso di tutto il seggio episcopale, una soddisfacente
    risposta. "Datemi una risposta solida e in istile da gentiluomini; e
    forse potrà far sì, secondo che molto vi sta a cuore, di convertirmi
    alla vostra Chiesa." Lo arcivescovo dolcemente rispose, che, secondo
    lui, cotale risposta poteva farsi senza molta difficoltà; ma non
    accettò la controversia, adducendo per iscusa la riverenza alla
    memoria del suo defunto signore. Il Re considerò la scusa come un
    sutterfugio d'un vinto avversario(621). Se egli avesse conosciuta la
    letteratura polemica de' centocinquanta anni precedenti, avrebbe
    saputo che i documenti ai quali ei dava tanto peso, gli avrebbe
    potuti comporre ogni giovinetto di quindici anni della scuola di
    Doaggio, e che non contenevano cosa alcuna, la quale, secondo
    l'opinione di(622) tutti i teologi protestanti, non fosse stata
    dieci mila volte confutata. Nella sua stolta esultanza, ordinò che
    quegli scritti si stampassero col più squisito lusso tipografico, e
    vi appiccicò dietro una dichiarazione munita della sua firma, ad
    attestare che gli originali erano scritti di pugno del fratello.
    Giacomo ne distribuì con le proprie mani tutti gli esemplari ai
    cortigiani, e alle persone del popolo che si affollavano attorno il
    suo cocchio. Ne dette un esemplare ad una giovine di vile
    condizione, ch'egli supponeva appartenere alla religione da lui
    professata, e le assicurò che leggendolo se ne troverebbe edificata
    grandemente e confortata. In ricambio di questa cortesia, pochi
    giorni dopo, ella gli mandò una lettera, scongiurandolo di uscire
    dalla mistica Babilonia, e rimuovere dalle sue labbra la coppa delle
    fornicazioni(623).
    
    XXV. Tali cose davano somma inquietudine ai Tory aderenti alla
    Chiesa Anglicana. Nè i più spettabili Cattolici Romani ne rimanevano
    meglio satisfatti. Si sarebbero, in verità, potuti scusare, se in
    cosiffatte circostanze la passione gli avesse resi sordi alla voce
    della prudenza e della giustizia, come quelli che avevano molto
    sofferto. La gelosia de' Protestanti gli aveva gittati giù dal grado
    in cui erano nati, aveva chiuse le porte del Parlamento agli eredi
    de' Baroni che avevano firmata la Magna Carta, e deciso che il
    comando d'una compagnia di pedoni non fosse da fidarsi ai
    discendenti dei capitani che avevano vinto a Flodden e a San
    Quintino. Non v'era un solo Pari eminente, fido alla vecchia
    religione, del quale l'onore, gli averi, la vita non fossero stati
    in pericolo; che non avesse passati molti mesi rinchiuso dentro la
    Torre, che più volte non si fosse aspettata la miseranda sorte di
    Stafford. Uomini che erano stati così lungamente e con tale crudeltà
    oppressati, si sarebbero potuti perdonare, se avessero avidamente
    côlta la prima occasione a conseguire a un tempo grandezza e
    vendetta. Ma nè fanatismo, nè ambizione, nè rancore di torti patiti,
    nè ebrietà prodotta dalla súbita buona fortuna, poterono far sì che
    i più cospicui Cattolici Romani non si accorgessero come la
    prosperità che finalmente erano pervenuti a godere, fosse solo
    temporanea, e non usata saggiamente, potrebbe tornar loro fatale.
    Avevano con dura esperienza imparato, che l'avversione del popolo
    alla religione loro non era fantasia che sarebbe svanita al comando
    d'un principe, ma profondo sentimento, tramandato crescendo per
    cinque generazioni, spanto(624) in tutte le classi e in tutti i
    partiti, e avvincolato non meno strettamente coi principii de' Tory
    che con quelli de' Whig. Certo, il Re poteva, nello esercizio della
    sua prerogativa di far grazia, sospendere le leggi penali. Avrebbe
    in appresso potuto, operando con discrezione, ottenere dal
    Parlamento la revoca de' decreti che privavano de' diritti civili
    gli aderenti alla religione di lui. Ma tentando di domare il
    sentimento protestante della Inghilterra con mezzi bruschi, era
    facile vedere che la violenta compressione d'una molla così potente
    ed elastica, sarebbe seguita da uno scatto egualmente violento. I
    Pari Cattolici Romani, tentando prematuramente di entrare a forza
    nel Consiglio Privato e nella Camera de' Lordi, avrebbero potuto
    perdere le case e le vaste possessioni loro, e finire la vita o da
    traditori in Tower Hill, o da mendicanti alle porte de' conventi
    d'Italia.
    
    Così pensava Guglielmo Herbert, conte di Powis, generalmente
    considerato come capo della aristocrazia cattolica romana, il quale,
    secondo le fandonie di Oates, doveva essere primo ministro se la
    congiura papale sortiva prospero successo. Medesimamente opinava
    Giovanni Bellasyse. In gioventù, aveva valorosamente pugnato per
    Carlo I; dopo la Restaurazione era stato rimunerato con onori e con
    gradi militari, e gli aveva deposti dopo che fu promulgato l'Atto di
    Prova. A questi insigni capi del partito cattolico facevano eco
    tutti i più nobili ed opulenti membri della loro Chiesa, tranne Lord
    Arundell di Wardour, uomo decrepito e pressochè rimbambito.
    
    XXVI. Ma in Corte era un piccolo nucleo di Cattolici Romani, che
    avevano il cuore esulcerato da vecchie ingiurie, il cervello
    inebriato dal recente innalzamento; che erano impazienti di
    rampicarsi alle dignità dello Stato, ed avendo poco da perdere, non
    si davano punto pensiero del giorno del rendimento de' conti.
    
    XXVII. Uno di costoro era Ruggiero Palmer, conte di Castelmaine in
    Irlanda, e marito della Duchessa di Cleveland. Sapevasi da tutti
    ch'egli aveva comperato il suo titolo col disonore della moglie e
    col proprio. Il suo patrimonio era scarso. L'indole sua, scortese
    per natura, era stata esasperata dalle domestiche vessazioni, dai
    pubblici rimproveri, e da ciò ch'egli aveva patito a tempo della
    congiura papale. Era stato lungamente in carcere, e in fine era
    stato processato per delitto capitale. Fortunatamente per lui, non
    fu tratto al banco degli accusati se non dopo che erasi spento il
    primo scoppio del furore popolare, e i falsi testimoni avevano
    perduto ogni credito. Gli era, quindi, riuscito di campare a gran
    pena dal pericolo(625). Con Castelmaine era collegato uno de' più
    prediletti de' cento amanti di sua moglie; cioè Enrico Jermyn, che
    da Giacomo di recente era stato fatto Pari col titolo di Lord Dover.
    Jermyn, venti e più anni innanzi, erasi reso notevole con isconci
    amori e disperati duelli. Adesso trovavasi rovinato dal giuoco, ed
    era ansioso di rifare il patrimonio col mezzo degli uffici lucrosi,
    dai quali lo escludevano le leggi(626). Al medesimo branco
    apparteneva un intrigante ed importuno Irlandese, chiamato White,
    che aveva molto viaggiato, aveva servito la Casa d'Austria con un
    impiego mezzo tra l'inviato e la spia, e che in rimunerazione de'
    servigi resi era stato fatto marchese d'Albeville(627).
    
    Tosto dopo la proroga, questa trista fazione s'afforzò di un nuovo
    aiuto. Riccardo Talbot, conte di Tyrconnel, il più feroce ed
    implacabile di quanti avevano in odio le libertà e la religione
    dell'Inghilterra, da Dublino era giunto alla Corte.
    
    Talbot discendeva da una antica famiglia normanna, la quale, da
    lungo tempo stabilita in Leicester, era degenerata, aveva adottati i
    costumi de' Celti, e come essi aderito alla vecchia religione, e
    partecipato alla ribellione del 1641. In gioventù egli era stato uno
    de' più rinomati scrocconi e bravazzoni di Londra; era stato
    presentato a Carlo ed a Giacomo mentre erano esuli in Fiandra, come
    un uomo adatto e pronto ad assassinare infamemente il Protettore.
    Subito dopo la Restaurazione, Talbot si provò d'ottenere il favore
    della famiglia reale con un servigio anche più infame. Bisognava un
    pretesto per mezzo del quale giustificare il Duca di York a rompere
    la promessa di matrimonio onde egli aveva ottenuto da Anna Hyde
    l'estrema prova d'affetto che possa dare una donna. Talbot,
    d'accordo con alcuni de' suoi dissoluti compagni, imprese di
    apprestare siffatto pretesto. Concertarono di dipingere la povera
    giovinetta come donna priva di virtù, di pudore, di delicatezza, e
    inventare lunghe storielle di teneri ritrovi e di rapiti favori.
    Talbot, segnatamente, riferì come in una delle secrete visite a lei
    fatte, avesse per caso versato il calamaio del Cancelliere sopra un
    fascio di scritture, e con quanta destrezza, perchè il vero non si
    scoprisse, ella ne avesse data la colpa alla sua scimmia. Tali
    storielle, che se fossero state vere, non sarebbero uscite dalle
    labbra di nessuno che non fosse il più vile degli uomini, erano
    prette invenzioni. Talbot tosto fu costretto a confessare che erano
    tali, e lo fece senza ombra di rossore. L'oltraggiata donna divenne
    duchessa di York. Ove il suo sposo fosse stato uomo diritto ed
    onorevole, avrebbe con indignazione e disprezzo cacciato via dal
    proprio cospetto gli sciagurati che gli avevano calunniata la
    consorte. Ma una delle particolarità del carattere di Giacomo era
    che nessuna azione, comunque si fosse malvagia e vergognosa, fatta
    col desiderio di ottenere il suo favore, gli sembrava mai degna
    d'essere riprovata. Talbot seguitò a frequentare la Corte,
    mostravasi quotidianamente con fronte di bronzo dinanzi alla
    principessa di cui aveva tentata la rovina, ed ottenne il posto
    lucroso di principale lenone del Re. Dopo non molto tempo, Whitehall
    si mise sossopra alla nuova che Riccardo (Dick) Talbot, come veniva
    comunemente chiamato, aveva concepito il disegno di assassinare il
    Duca d'Ormond. Il bravo fu mandato alla Torre; ma dopo pochi giorni
    fu visto chiassando per le sale di palazzo, e recando letterine
    d'amore su e giù tra il suo signore e le più brutte dame di Corte.
    Invano i vecchi e discreti consiglieri supplicavano i due principi a
    non proteggere quel ribaldo, che altro merito non aveva, tranne la
    prestanza della persona e il gusto nel vestirsi. Talbot non solo era
    bene accolto nella reggia quando la bottiglia e i dadi giravano
    attorno, ma veniva attentamente udito in negozi di grave momento.
    Affettava il carattere di un patriotto irlandese, e patrocinava con
    grande audacia, e talvolta con esito prospero, la causa de' suoi
    concittadini, i beni de' quali erano stati confiscati. Studiavasi,
    nulladimeno, di farsi ben pagare de' servigi che rendeva, e gli
    venne fatto di acquistare, parte vendendo protezione, parte
    scroccando, e parte facendo il lenone, una rendita di tremila lire
    sterline l'anno; imperocchè, sotto la maschera di leggiero, di
    prodigo, d'improvvido e di impudente bisbetico, egli era pur troppo
    uno de' più venali e cupidi uomini del mondo. Oramai non era più
    giovane, e scontava con acerbi dolori le stemperatezze della
    gioventù; ma gli anni e le infermità non gli avevano essenzialmente
    mutato il carattere e i modi. Sempre che apriva la bocca,
    schiamazzava, imprecava e bestemmiava con sì terribile violenza, che
    i più superficiali osservatori lo giudicavano il più feroce de'
    libertini. Il popolo non sapeva intendere come un uomo il quale
    anche da sobrio, era più furioso e vanitoso d'altri ubbriaco, e che
    sembrava affatto incapace di mascherare il più lieve moto dell'animo
    o di serbare il minimo secreto, potesse veramente essere un
    adulatore di cuore freddo, d'occhio acuto e d'ingegno macchinatore.
    Non pertanto, tale era Talbot. E davvero la sua ipocrisia era d'una
    specie più squisita e più rara che non fosse quella che regnava nel
    Parlamento di Barebone. Perocchè lo ipocrita perfetto non è colui
    che asconde il vizio sotto i sembianti della virtù, ma colui il
    quale si serve del vizio che egli non si vergogna di mostrare, come
    di maschera per celare un altro vizio più nero e proficuo, che gli
    giova di tenere nascosto.
    
    Talbot, fatto da Giacomo conte di Tyrconnel, aveva comandate le
    truppe in Irlanda ne' nove mesi che corsero dalla morte di Carlo al
    principio del viceregno di Clarendon. Quando il nuovo Luogotenente
    stava per partire da Londra alla volta di Dublino, il Generale fu
    chiamato da Dublino a Londra. Dick Talbot(628) era da lungo tempo
    conosciuto nel cammino che doveva fare. Fra Chester e la Metropoli
    non v'era quasi locanda nella quale non avesse attaccato lite.
    Dovunque giungeva, affaticava i cavalli a dispetto della legge,
    imprecava ai cuochi ed ai postiglioni, e quasi destava tumulti con
    le sue insolenti rodomonterie. Andava dicendo che la Riforma aveva
    rovinato ogni cosa. Ma il bel tempo era presso. Tra breve i
    Cattolici si sarebbero rialzati, e si sarebbero rifatti sugli
    eretici. Infuriando e bestemmiando sempre come un indemoniato, ei
    giunse alla Corte(629); dove tosto si collegò strettamente con
    Castelmaine, Dover ed Albeville. Costoro ad una voce gridavano
    guerra alla costituzione della Chiesa e dello Stato. Dicevano al
    loro signore, ch'egli per la sua religione e per la dignità della
    sua Corona, era in debito di affrontare intrepidamente il grido
    degli eretici demagoghi, e mostrare fin da principio al Parlamento
    ch'egli sarebbe il signore a dispetto della opposizione, e che il
    solo effetto della opposizione sarebbe stato di renderlo signore
    severo.
    
    XXVIII. Ciascuno de' due partiti in che la Corte era divisa, aveva
    zelanti alleati stranieri. I ministri di Spagna, dello Impero e
    degli Stati Generali erano adesso desiderosi di sostenere Rochester,
    come per lo innanzi lo erano stati verso Halifax. Barillon adoperava
    tutta la propria influenza dalla parte opposta, ed era aiutato da un
    altro agente francese, inferiore a lui per grado, ma assai superiore
    per ingegno; voglio dire da Bonrepaux. Barillon non era privo di
    buone qualità, ed aveva grande corredo di quelle doti onde allora
    andavano predistinti i gentiluomini francesi. Ma la sua capacità non
    era quale il suo alto ufficio richiedeva. Era divenuto pigro e a sè
    troppo indulgente; amava i piaceri della società e della tavola,
    meglio delle faccende; e nelle grandi occasioni era d'uopo che da
    Versailles venissero ammonimenti, ed anche riprensioni, per
    ispingerlo ad operare(630). Bonrepaux si era alzato dalla oscurità a
    cagione della intelligenza ed industria che aveva mostrata come
    impiegato nel dipartimento della marina, ed aveva riputazione
    d'iniziato ai misteri della politica mercantile. Alla fine del 1685,
    fu mandato a Londra con varie commissioni d'alta importanza. Doveva
    stabilire le basi per un trattato di Commercio, indagare e riferire
    in che condizioni trovavansi la flotta e gli arsenali inglesi, e
    fare qualche proposta ai fuorusciti Ugonotti, i quali supponevasi
    che fossero tanto prostrati dalla penuria e dall'esilio, che
    avrebbero di gran cuore accettato quasi qualunque patto di
    riconciliazione. Il nuovo inviato nasceva da parenti plebei; era di
    statura quasi nano, d'aspetto sì brutto da muovere a scherno, e
    parlava con l'accento di Guascogna dove era nato: ma vigoroso buon
    senso, acutezza di mente, e vivacità di spirito lo rendevano
    eminentemente adatto al suo ufficio. In onta ad ogni svantaggio di
    nascita e di persona, fu tosto stimato come assai piacevole
    compagno, ed espertissimo diplomatico. Mentre folleggiava con la
    duchessa di Mazzarino, studiavasi di discutere di cose letterarie
    con Waller e Saint Evremond, e carteggiare con la Fontaine, onde
    bene erudirsi nella politica inglese. Per la perizia ch'egli aveva
    nelle cose marittime, venne in grazia di Giacomo; il quale, per
    molti anni, prestò non poca attenzione alle faccende dello
    Ammiragliato, e le intendeva quanto egli era capace d'intendere cosa
    alcuna al mondo. Conversavano entrambi ogni giorno lungamente e
    liberamente intorno alle condizioni delle navi e degli arsenali. Lo
    effetto di tale dimestichezza fu quale era da aspettarsi: val quanto
    dire, che lo acuto e vigilante francese concepì sommo pregio per le
    doti e il carattere del re, dicendo il mondo avere male giudicato
    Sua Maestà Britannica, che aveva meno capacità, e non maggiori virtù
    di Carlo(631).
    
    I due inviati di Luigi, comecchè mirassero ad un medesimo fine, con
    molto accorgimento presero vie diverse. Si partirono fra loro la
    Corte. Bonrepaux usava principalmente con Rochester e gli aderenti
    di lui. Le relazioni di Barillon erano principalmente con la opposta
    fazione. Conseguenza ne fu, ch'essi soventi volte guardassero un
    medesimo fatto da diversi punti di veduta. Il migliore racconto che
    esista intorno alla contesa che a quel tempo ferveva in Whitehall, è
    da trovarsi ne' loro dispacci.
    
    XXIX. Come ciascuno de' due partiti nella Corte di Giacomo era
    sostenuto da principi stranieri, così ciascuno aveva il sostegno
    d'una autorità ecclesiastica, alla quale il Re mostrava gran
    deferenza. Il sommo pontefice inchinava alla moderazione; e i suoi
    sentimenti erano espressi dal Nunzio e dal Vicario Apostolico(632).
    Dall'altra parte, stava una corporazione che col suo peso
    controbilanciava anche quello del Papato; stava, cioè, la potente
    Compagnia di Gesù.
    
    È circostanza importantissima e degna di considerazione, che queste
    due grandi potenze spirituali, un tempo, a quanto pareva,
    inseparabilmente collegate, fossero fra loro opposte. Per un periodo
    di tempo poco minore di mille anni, il clero regolare era stato il
    sostegno precipuo della Santa Sede. Essa lo aveva protetto da'
    vescovi che volevano immischiarsi nelle sue faccende, e ne era stata
    ampiamente ricompensata. Senza gli sforzi dei regolari, è probabile
    che il Vescovo di Roma si sarebbe ridotto ad essere il presidente
    onorario d'una aristocrazia di prelati. E' fu col soccorso de'
    Benedettini, che Gregorio VII potè lottare ad un tempo contro
    gl'Imperatori della Casa di Franconia, e contro il clero secolare.
    E' fu col soccorso de' Domenicani e de' Francescani, che Innocenzo
    III spense la setta degli Albigesi.
    
    XXX. Nel secolo decimosesto, il Papato, esposto a nuovi pericoli e
    più formidabili di quanti lo avessero per innanzi minacciato, fu
    salvato da un nuovo ordine religioso, animato da vigoroso entusiasmo
    e costituito con insigne magistero. Allorquando i Gesuiti accorsero
    alla liberazione del Papato, lo trovarono in estremo pericolo; ma da
    quel momento le sue sorti mutarono aspetto. Al protestantismo, che
    per una intera generazione aveva abbattuto tutto ciò che aveva
    incontrato per via, fu mozzo lo andare avanti, e fu rapidamente
    fatto indietreggiare dalle Alpi fino alle sponde del Baltico. Non
    era scorso un secolo da che la Compagnia di Gesù esisteva, e il
    mondo era pieno de' ricordi di quanto essa aveva fatto e sofferto
    per la fede. Non v'è comunità religiosa che possa gloriarsi d'una
    schiera di uomini così variamente cospicui; nessuna aveva esteso le
    proprie operazioni sopra uno spazio sì vasto; e nondimeno, in
    nessuna v'era stata cotanto perfetta unità di sentimento e d'azione.
    Non era contrada nel mondo, non sentiero nella vita attiva o
    speculativa, in cui non si trovassero i Gesuiti. Dirigevano i
    Consigli dei re: decifravano iscrizioni latine: osservavano il moto
    de' Satelliti di Giove: pubblicavano intere biblioteche,
    controversia, casistica, storia, trattati d'ottica, odi alcaiche,
    edizioni dei Santi Padri, madrigali, catechismi e satire. La
    educazione letteraria della gioventù era quasi interamente nelle
    loro mani, e condotta con esquisita maestria. Sembra che avessero
    scoperto il punto preciso al quale possa condursi la cultura
    intellettuale senza il rischio della intellettuale emancipazione.
    Gli stessi nemici loro erano costretti a confessare, che nell'arte
    di governare e formare le menti de' giovani, i Gesuiti non avevano
    rivali. Infrattanto, con assiduità e prospero successo coltivavano
    la eloquenza del pulpito. Con assiduità e successo anche maggiore si
    dettero al ministero del confessionale. Per tutta la Europa
    Cattolica, i secreti d'ogni Governo, e quasi d'ogni notevole
    famiglia, erano in poter loro. Girovagavano da un paese protestante
    ad un altro, travestendosi in infinite fogge, da galanti cavalieri,
    da semplici contadini, da predicatori puritani. Viaggiavano fin dove
    nè l'avidità mercantile nè la curiosità della scienza aveva persuaso
    altri ad andare. Trovavansi in abito di mandarini a dirigere
    l'osservatorio astronomico di Pechino. Si vedevano con la marra in
    mano ammaestrare nell'agricoltura i selvaggi del Paraguay. Ciò non
    ostante, in qualunque parte risedessero, qualunque mestiere
    esercitassero, il loro spirito era sempre lo stesso; cioè piena
    devozione alla causa comune, implicita obbedienza all'autorità
    centrale. Nessuno s'era scelto da sè il luogo dove abitare e la
    vocazione da seguire. Se il Gesuita dovesse vivere sotto il cerchio
    artico o sotto l'equatore, se dovesse passare tutti i suoi giorni a
    classificare gemme e a collazionare manoscritti nel Vaticano, o a
    persuadere i barbari dell'emisfero meridionale perchè non si
    divorassero l'un l'altro, erano cose che egli con profonda
    sommissione lasciava all'altrui pensiero. Se lo volevano a Lima,
    trovavasi con la prima flotta a veleggiare sull'Atlantico. Se di lui
    vi era bisogno in Bagdad, si vedeva traverso al deserto fra la prima
    caravana. Se v'era bisogno del suo ministero in qualche regione dove
    la sua vita fosse meno sicura di quella d'un lupo, dove fosse
    delitto l'ospitarlo, dove i teschi e i corpi squartati de' suoi
    confratelli gl'indicavano quale sorte egli dovesse aspettarsi,
    andava senza lamento o esitazione al proprio destino. Nè questo
    spirito eroico è oggimai estinto. Allorchè, ai tempi nostri, una
    nuova e terribile pestilenza girò infuriando attorno al globo,
    mentre in alcune grandi città lo spavento aveva rotti tutti i
    vincoli che congiungono la società, mentre il clero secolare aveva
    abbandonato il proprio gregge, mentre non v'era oro che bastasse a
    comperare il soccorso del medico, mentre i più potenti affetti di
    natura cedevano allo amore della vita, il Gesuita vedevasi presso a
    quel lettuccio che il vescovo e il curato, il medico e la balia, il
    padre e la madre avevano abbandonato; vedevasi, dico, piegare la
    persona sulle labbra infette, per raccogliere il fioco accento del
    moribondo che si confessava, e tenergli dinanzi agli occhi fino
    all'ultimo istante della vita la immagine del Redentore spirante
    sulla croce.
    
    Ma, con l'ammirevole energia, il disinteresse, e l'abnegazione che
    facevano il carattere della Società, erano mescolati grandi vizi.
    Dicevasi, e non senza fondamento, che l'ardente spirito pubblico che
    rendeva il Gesuita spregiatore degli agi, della libertà e della vita
    propria, lo induceva parimente a spregiare il vero e a non sentire
    pietà; che nessun mezzo il quale potesse promuovere l'utile della
    sua religione, sembravagli illecito, e che col vocabolo d'utilità
    della propria religione ei troppo spesso intendeva l'utile della
    Società sua. Affermavasi, che nelle più atroci congiure di cui
    faccia ricordanza la storia, l'azione di lui poteva distintamente
    scoprirsi; che, solo costante nello affetto per la confraternita
    alla quale egli apparteneva, in parecchi Stati era l'inimico più
    pericoloso della libertà, in altri il più pericoloso nemico
    dell'ordine. Le più grandi vittorie che vantasse avere riportate pel
    bene della Chiesa, erano, secondo il giudicio di molti illustri
    membri di quella, più apparenti che reali. Si era, in verità,
    affaticato con maraviglioso buon esito a ridurre il mondo sotto le
    leggi della Chiesa; ma lo aveva fatto rilassando le leggi in guisa
    che si adattassero ai gusti mondani. Invece di studiarsi d'inalzare
    la natura umana alla meta stabilita dai precetti ed esempi divini,
    egli aveva abbassata quella meta al di sotto dell'umana natura.
    Gloriavasi d'una moltitudine di convertiti, che per mano sua avevano
    ricevuto il battesimo nelle più rimote regioni dell'Oriente; ma
    correva la voce, che ad alcuni di que' convertiti, i fatti da' quali
    dipende tutta la dottrina del Vangelo erano stati astutamente
    nascosti, e che ad altri era stato permesso di schivare la
    persecuzione coll'inchinarsi dinanzi alle immagini de' falsi Dei,
    mentre internamente recitavano Pater ed Ave. Nè simiglianti arti
    erano adoperate solo ne' paesi pagani. Non era da maravigliare che
    genti d'ogni grado, e specialmente quelle in alto locate, si
    affollassero attorno ai confessionali nei tempii de' Gesuiti;
    imperocchè da que' tribunali di penitenza nessuno se ne andava poco
    contento. Ivi il sacerdote era tutto a tutti. Mostrava tanto rigore
    quanto bastasse perchè coloro che gli s'inginocchiavano dinanzi non
    ricorressero alle chiese de' Domenicani o dei Francescani. Se aveva
    da fare con un'anima veramente divota, parlava con le caute parole
    degli antichi padri cristiani; ma con quella gran parte degli uomini
    che hanno religione abbastanza da sentire rimorso quando commettono
    il male, e non abbastanza da astenersi di commetterlo, il Gesuita
    seguiva un sistema diverso. Non potendo ritrarli dalla colpa,
    studiavasi di salvarli dal rimorso. Aveva agli ordini suoi un
    deposito immenso di farmachi per le coscienze perturbate. Ne' libri
    composti da' casisti suoi confratelli, e stampati con licenza de'
    suoi superiori, trovavasi in gran copia dottrine di conforto per
    ogni generazione di peccatori. Ivi il mercatante fallito imparava in
    che modo potesse, senza peccato, nascondere le mercanzie alle
    indagini de' suoi creditori. Il servo apprendeva come potere, senza
    peccato, rubare le argenterie del proprio padrone. Il mezzano
    d'amore veniva fatto certo, ad un cristiano esser lecito sostentare
    la vita recando lettere e messaggi tra le donne maritate e i loro
    amanti. Gli alteri e puntigliosi gentiluomini di Francia ricevevano
    lietamente una decisione a favore del duello. Gl'Italiani, avvezzi a
    vendicarsi con modi più vili e crudeli, godevano d'imparare che essi
    potevano, senza peccato, tirare, nascosti dietro a una siepe,
    archibugiate ai loro nemici. Allo inganno era lasciata licenza
    bastevole a distruggere il valore del contratto e del testimonio fra
    gli uomini. E veramente, se l'umana società non si disciolse, se vi
    fu alcuna certezza della vita e degli averi, egli fu perchè il senso
    comune e la umanità frenavano i popoli dal fare ciò che la Società
    di Gesù assicurava loro che potessero fare con sicura coscienza.
    
    Erano così stranamente mescolati il bene e il male nel carattere di
    que' celebri padri; e in tale mistura stava il secreto della loro
    gigantesca potenza. La quale non poteva appartenere nè ai pretti
    ipocriti, nè ai rigidi moralisti; ma poteva solo conseguirsi da
    uomini che con vero entusiasmo correvano dietro ad un fine, e nel
    tempo stesso non pativano scrupoli rispetto ai mezzi di giungervi.
    
    Fin da principio, i Gesuiti erano vincolati da un voto speciale
    d'obbedienza verso il papa. Avevano missione di domare ogni
    insubordinazione in seno della Chiesa, non che di respingere le
    ostilità degli aperti nemici di quella. La loro dottrina era
    similissima a quella che oggidì di qua dalle Alpi si chiama
    oltremontana, e differiva dalla dottrina di Bossuet quasi quanto da
    quella di Lutero. Dannavano le libertà gallicane, il diritto de'
    concili ecumenici a sindacare la Santa Sede, e il diritto che
    vantavano i vescovi a un mandato divino indipendente da Roma.
    Lainez, a nome di tutta la confraternita, proclamò nel Concilio di
    Trento, fra gli applausi delle creature di Pio IV e le mormorazioni
    de' prelati francesi e spagnuoli, che il governo dei fedeli era
    stato affidato da Cristo al solo Papa, e che nel solo Papa era
    accentrata tutta l'autorità sacerdotale, e che per mezzo del solo
    Papa i sacerdoti e i vescovi erano rivestiti di tutta l'autorità
    loro(633). Per molti anni la colleganza tra il Sommo Pontefice e la
    Società di Gesù non era stata rotta. Ed ove lo fosse stata allorchè
    Giacomo II ascese al trono d'Inghilterra, ove la influenza de'
    Gesuiti, non che quella del Papa, avesse promossa una politica
    costituzionale moderata, è probabile che la grande rivoluzione, la
    quale in breve tempo cangiò le condizioni dell'Europa, non sarebbe
    accaduta. Ma anche avanti la metà del secolo diciassettesimo, la
    Società, inorgoglita da' servigi resi alla Chiesa, fidente nella
    propria forza, era divenuta disdegnosa del giogo. Sorse una
    generazione di Gesuiti disposti a lasciarsi proteggere e guidare
    dalla Corte di Francia, meglio che da quella di Roma; la quale
    disposizione non era lieve allorchè Innocenzo XI ascese al trono
    pontificio.
    
    In quel tempo, i Gesuiti combattevano una guerra a morte contro un
    nemico da loro in prima spregiato, ma pel quale poscia erano stati
    costretti a sentire riverenza e timore. Mentre erano pervenuti al
    più alto grado di prosperità, furono sfidati da una mano di
    avversarii, che, a dir vero, non avevano influenza sopra i potenti
    del mondo, ma avevano fortissima fede religiosa ed energia
    intellettuale. Travagliavansi in una lunga, strana e gloriosa lotta
    del genio contro il potere. I Gesuiti chiamarono in soccorso loro,
    ministeri, tribunali, università, che risposero alla chiamata. Porto
    Reale si richiamò, e non invano, ai cuori ed alle menti di milioni
    d'uomini. I dittatori della Cristianità si trovarono, in un subito,
    nella condizione di colpevoli. Furono accusati di avere
    sistematicamente abbassata la mêta della morale evangelica a fine
    d'accrescere la loro influenza; e l'accusa fu formulata in modo che
    tirò a sè l'attenzione dello intero mondo, imperocchè il principale
    accusatore era Biagio Pascal. Le sue doti intellettuali erano quali
    rade volte sono state impartite ad alcuna umana creatura; e dello
    zelo veemente che l'animava, erano solenni argomenti le penitenze e
    le vigilie che anzi tempo trascinarono al sepolcro il macero suo
    corpo. Aveva lo spirito di San Bernardo; ma la squisitezza, il brio,
    la purità, la energia, la semplicità della sua eloquenza, nessuno ha
    mai raggiunto, tranne i grandissimi oratori greci. Tutta Europa
    lesse e ammirò i suoi scritti, piangendo e ridendo ad un tempo. I
    Gesuiti si provarono di rispondergli, ma le loro deboli risposte
    furono ricevute dal pubblico con fischi di scherno. Non che avessero
    difetto d'ingegno, e di quelle doti le quali si acquistano con
    elaborata educazione; ma tale educazione, quantunque possa suscitare
    le forze di una mente ordinaria, tende a spegnere, più presto che a
    promuovere, il genio originale. Fu universalmente riconosciuto che
    nella contesa letteraria i Giansenisti rimasero vincitori. Ai
    Gesuiti null'altro restava, che opprimere la setta da essi non
    potuta confutare. Luigi XIV era il loro sostegno precipuo. La sua
    coscienza, fino dagli anni suoi primi, era nelle mani loro; egli
    aveva da loro imparato ad aborrire il Giansenismo, come aborriva il
    Protestantismo, e molto più di quanto aborrisse l'Ateismo. Innocenzo
    XI, dall'altra parte, pendeva verso le opinioni giansenistiche.
    Quindi fu che la Compagnia di Gesù trovossi in una situazione non
    contemplata mai dal suo fondatore. I Gesuiti si scissero dal Sommo
    Pontefice, e collegaronsi fortemente con un principe che si
    spacciava campione delle gallicane libertà e nemico delle pretese
    oltremontane. In tal guisa la Compagnia divenne in Inghilterra
    strumento de' disegni di Luigi, e cooperò con successo tale che i
    Cattolici Romani poi lungamente ed amaramente deplorarono, ad
    accrescere la rottura tra il Re e il Parlamento, ad impacciare il
    Nunzio, a minare il potere del Lord Tesoriere, ed a promuovere i
    disperatissimi intendimenti di Tyrconnel.
    
    Così, da una parte stavano gli Hydes e tutti i Tory aderenti alla
    Chiesa Anglicana, Powis e tutti i più rispettabili gentiluomini e
    nobili, credenti nella religione del Re, gli Stati Generali, la Casa
    d'Austria e il Pontefice. Dall'altra parte erano pochi avventurieri
    cattolici romani, senza fortuna e senza riputazione, spalleggiati
    dalla Francia e da' Gesuiti.
    
    XXXI. Il principale rappresentante de' Gesuiti in Whitehall, era un
    Inglese padre della Compagnia, il quale per qualche tempo era stato
    vice-provinciale, prediletto da Giacomo con peculiare favore, e di
    recente fatto scrivano del gabinetto intimo. Quest'uomo, chiamato
    Eduardo Petre, discendeva da onorevole famiglia. Aveva modi cortesi
    e facondo parlare; ma era debole, vano, ambizioso e cupido. Di tutti
    i pessimi consiglieri che andavano a Whitehall, egli forse fu il
    fabbro principale nella rovina della Casa Stuarda.
    
    XXXII. La ostinata e imperiosa natura del Re faceva grandemente
    prevalere coloro che lo consigliavano a star fermo, a non cedere in
    nulla, e a rendersi temuto. Una massima politica gli s'era
    cosiffattamente abbarbicata al cervello, che non v'era ragione che
    bastasse a sradicarla. A dir vero, egli non era assuefatto a porgere
    ascolto alla ragione. Il suo modo d'argomentare, se così si debba
    chiamare, era quello che non di rado s'osserva negli individui tardi
    di cervello e caparbi, avvezzi ad essere circuiti dai loro
    sottoposti. Asseriva una cosa; e qualvolta i savi uomini provavansi
    di mostrargli rispettosamente essere erronea, l'asseriva di nuovo
    con le stessissime parole, e pensava che così facendo tutte le
    obiezioni sparissero(634). "Non farò mai concessioni" spesso ei
    ripeteva; "mio padre le fece, e gli fu mozzo il capo(635)." Se fosse
    stato vero che le concessioni erano tornate fatali a Carlo I, un
    uomo di buon senso avrebbe conosciuto, un solo esperimento non
    essere bastevole a stabilire una regola generale anche nelle scienze
    molto meno complicate di quella di governare; che dal principio del
    mondo fino a noi, non vi furono mai due fatti politici, le cui
    condizioni fossero esattamente simili; e che l'unico modo d'imparare
    dalla storia prudenza civile, è quello di esaminare e raffrontare un
    infinito numero di casi. Ma se l'unico esempio sul quale
    appoggiavasi il Re, era buono a provare alcuna cosa, provava solo
    ch'egli aveva torto. Mal può dubitarsi che, se Carlo avesse
    francamente fatte al Corto Parlamento, che si ragunò nella primavera
    del 1640, solo mezze le concessioni ch'egli, pochi mesi dopo, fece
    al Lungo Parlamento, sarebbe vissuto e morto da Re potentissimo.
    Dall'altro canto, non può punto dubitarsi che, se egli avesse
    ricusato di fare concessione alcuna al Lungo Parlamento, e avesse
    ricorso alle armi a difesa della imposta pel mantenimento della
    flotta, e a difesa della Camera Stellata, avrebbe veduto nelle file
    degli inimici Hyde e Falkland accanto a Hollis e Hampden. Ma, certo,
    non avrebbe potuto ricorrere alle armi; poichè nè anche venti
    Cavalieri sarebbero accorsi al suo vessillo. Solo alle concessioni
    fatte egli era debitore del soccorso prestatogli dalla gran classe
    de' nobili e de' gentiluomini, i quali pugnarono per tanto tempo e
    con tanto valore per la causa di lui. Ma sarebbe stato inutile
    dimostrare a Giacomo simiglianti cose.
    
    Un altro fatale errore gli si era fitto in mente, e vi stette finchè
    lo condusse alla rovina. Credeva fermamente, che per qualunque cosa
    egli avesse potuto fare, i credenti nella Chiesa Anglicana avrebbero
    sempre agito a seconda de' loro principii. Sapeva d'essere stato
    proclamato da dieci mila pulpiti. La Università di Oxford aveva
    solennemente dichiarato, che anche una tirannide terribile quanto
    quella de' più depravati Cesari, non giustificava i sudditi a
    resistere alla regia autorità: e da ciò egli era cotanto stolto da
    concludere, che lo intero corpo de' Tory gentiluomini e chierici, si
    sarebbero da lui lasciati spogliare, opprimere ed insultare, senza
    alzare una mano a difendersi. E' sembra strano che un uomo possa
    avere trapassato l'anno cinquantesimo della propria vita, senza
    scoprire che il popolo talvolta fa ciò che stima illecito: e Giacomo
    altro fare non doveva che frugarsi nell'anima, per trovarvi
    abbondevoli prove a conoscere, che anche un forte sentimento de'
    religiosi doveri non sempre serve a impedire che la fragile creatura
    umana indulga alle proprie passioni, a dispetto delle leggi divine
    ed a rischio di terribili pene. Avrebbe dovuto sapere, che comunque
    egli giudicasse atto peccaminoso lo adulterio, era un adultero; ma
    nulla valeva a convincerlo che chiunque per principio credeva la
    ribellione essere peccato, si potesse anche in grande estremità
    indurre a ribellare. Credeva che la Chiesa Anglicana fosse una
    vittima paziente, ch'egli poteva senza pericolo oltraggiare e
    torturare a suo libito; nè si accorse mai del suo errore se non dopo
    che vide le Università pronte a coniare le loro argenterie per
    sussidiare la cassa militare de' suoi nemici, e un vescovo
    lungamente rinomato per la lealtà sua, gettar via la sottana, e
    cingendo una spada, prendere il comando d'un reggimento d'insorti.
    
    XXXIII. A coteste fatali follie il Re era studiosamente incoraggiato
    da un ministro, che era già stato esclusionista, e tuttavia
    seguitava a chiamarsi protestante; voglio dire dal Duca di
    Sunderland. Le cagioni della condotta di questo immorale uomo
    politico, sono state spesso erroneamente esposte. Mentre ancora
    viveva, fu dai Giacomisti accusato di avere, anche avanti il
    cominciamento del regno di Giacomo, il pensiero di produrre una
    rivoluzione a favore del principe d'Orange, e d'avere, con tale
    scopo, consigliato il Re a commettere numerose aggressioni contro la
    costituzione civile ed ecclesiastica del reame: frivola storiella
    che è stata fino ai dì nostri ripetuta da ignoranti scrittori. Ma
    nessuno storico bene erudito nel vero, qualunque si vogliano
    supporre i suoi pregiudicii, si è indotto ad accoglierla, come
    quella che non riposa sopra nessuna prova; e non v'è prova che basti
    a convincere gli uomini assennati, che Sunderland deliberatamente si
    gettasse nella colpa e nella infamia onde produrre un mutamento di
    cose, nel quale ei vedeva chiaramente di non poter vantaggiare, e
    seguíto il quale, di fatto ei perdè le immense ricchezze e la
    influenza che sotto Giacomo possedeva. Nè vi è la più lieve cagione
    per ricorrere ad una sì strana ipotesi, poichè il vero traspare
    dalla superficie stessa de' fatti. Per quanto tortuosa e subdola
    fosse la via nella quale cotesto uomo procedeva, la ragione che ve
    lo aveva spinto era semplice. La sua condotta è da attribuirsi alla
    possanza della cupidigia e del timore che avvicendavansi in un'anima
    molto subietta ad entrambe cotali passioni, e che aveva occhio lesto
    anzichè acuto. Aveva mestieri di assai più potere e pecunia. L'uno
    ei poteva ottenere solamente a danno di Rochester, e l'unico modo di
    conseguirlo a detrimento di Rochester, era quello di accrescere
    l'avversione che il Re sentiva pei moderati consigli di Rochester.
    Danari, ei con grande agevolezza e in gran copia poteva ottenere
    dalla corte di Versailles; e Sunderland fu sollecito a vendersi a
    quella. Non aveva nessun vizio gioviale o generoso. Curava poco il
    vino e la beltà, ma bramava la ricchezza con insaziabile e
    irrefrenabile cupidigia. La passione del giuoco gl'infuriava
    tempestosamente nell'anima, nè era stata domata da perdite
    rovinosissime. Il suo avito patrimonio era grande. Egli aveva
    lungamente occupato uffici lucrosi, e non avea trascurata arte
    nessuna a renderli più lucrosi; ma la sua mala ventura a' giuochi di
    sorte fu tanta, che i suoi beni diventavano quotidianamente più
    gravati di debiti. Sperando di disimpacciarsi da tante molestie,
    rivelava a Barillon tutti i disegni che il governo inglese meditasse
    ostili alla Francia, ed accennò che, pei tempi che correvano, un
    Segretario di Stato poteva rendere servigi che Luigi avrebbe fatto
    opera savia a pagare largamente. Lo ambasciatore disse al proprio
    signore, che sei mila ghinee era la minore gratificazione che
    potesse offrirsi ad un così importante ministro. Luigi assentì a
    dare venticinque mila scudi, somma equivalente a circa cinque mila
    seicento lire sterline. Fu stabilito che Sunderland riceverebbe
    annualmente la predetta somma, e che egli in ricompensa farebbe ogni
    sforzo per impedire il ragunarsi del Parlamento.  Si collegò
    quindi alla cabala gesuitica, e usò così destramente dell'influenza
    della cabala, che gli venne fatto di succedere ad Halifax nell'alta
    dignità di Lord Presidente, senza rinunziare all'ufficio
    maggiormente lucroso di Segretario(636). Sentì nondimeno di non
    potere ottenere l'equivalente influenza in Corte, finchè fosse
    riputato aderente alla Chiesa Anglicana. Tutte le religioni per lui
    erano una medesima cosa. Nelle private conversazioni aveva costume
    di parlare con profano dispregio delle cose più sacre. Deliberò,
    dunque, di dare al Re il diletto e la gloria di avere compita una
    conversione. Se non che, eravi d'uopo qualche destrezza a ciò fare.
    Non v'è uomo che sia affatto non curante dell'opinione dei suoi
    simili; ed anche Sunderland, quantunque non sentisse molto la
    vergogna, rifuggiva dalla infamia della pubblica apostasia.
    Rappresentò la parte sua con esimio magistero. Agli occhi del mondo
    mostravasi protestante; nelle secreto stanze del re, assumeva il
    contegno di uno che, seriamente affaccendato ad indagare il vero,
    pressochè persuaso a dichiararsi Cattolico Romano, ed aspettando
    d'essere maggiormente illuminato, era pronto a rendere tutti i
    possibili servigi ai credenti nella vecchia fede. Giacomo, che non
    ebbe mai grande discernimento, e nelle materie religiose era affatto
    cieco, in onta alla esperienza che aveva della umana malvagità,
    della malvagità de' cortigiani come classe, e di quella di
    Sunderland come individuo, si lasciò gabbare inducendosi a credere
    che la grazia aveva toccato il più falso e indurito de' cuori umani.
    Per molti mesi lo astuto ministro fu considerato in Corte come buon
    catecumeno, senza mostrarsi al pubblico in sembianza di
    rinnegato(637).
    
    Poco dopo, mostrò al Re l'utilità d'istituire un comitato secreto di
    Cattolici Romani, onde consigliare intorno a tutte le cose spettanti
    all'interesse della loro religione. Il comitato adunavasi talvolta
    nelle stanze di Chiffinch, e tal'altra negli appartamenti ufficiali
    di Sunderland, il quale, quantunque fosse tuttavia protestante di
    nome, era ammesso a tutte le deliberazioni di quello, e tosto giunse
    a predominarne tutti i membri. Ogni venerdì la cabala gesuitica
    desinava col Segretario. A mensa conversavano liberamente: e non
    risparmiavano nè anche le debolezze del Principe, verso il quale
    intendevano mostrarsi indulgenti. A Petre, Sunderland promise un
    cappello cardinalizio; a Castelmaine, una magnifica ambasciata a
    Roma; a Dover, un lucroso comando nelle guardie; e a Tyrconnel, un
    alto impiego in Irlanda. In tal guisa, stretti insieme dai più forti
    vincoli dell'interesse, costoro cooperavano a cacciare di seggio il
    Lord Tesoriere(638).
    
    XXXIV. V'erano due membri protestanti del Gabinetto, i quali non
    presero decisamente parte al conflitto. Jeffreys, in questo tempo,
    era torturato da una crudele infermità interna, esacerbata dalla
    intemperanza. In un pranzo che un ricco Aldermanno dette ad alcuni
    de' principali membri del Governo, il Lord Tesoriere e il Lord
    Cancelliere ubriacaronsi tanto, che si spogliarono quasi ignudi, e
    vennero a stento impediti dallo arrampicarsi ad un piuolo per bere
    alla salute di Sua Maestà. Al pio Tesoriere non toccò altro che i
    pungoli della maldicenza per l'osceno baccano; ma il Cancelliere fu
    assalito da un violento accesso del suo vecchio male. Per qualche
    tempo fu creduto in gravissimo pericolo di vita. Giacomo mostrossi
    inquietissimo, pensando di dovere perdere un ministro che gli
    conveniva sì bene, e disse, con qualche verità, la perdita di un
    tanto uomo non potersi così di leggieri riparare. Jeffreys, venuto
    in convalescenza, promise di sostenere ambedue i partiti, aspettando
    di vedere quale di loro fosse rimasto vittorioso. Esistono tuttora
    alcune curiose prove della sua doppiezza. È stato già notato che i
    due diplomatici francesi i quali trovavansi in Londra, s'erano
    divisi fra loro la Corte. Bonrepaux era di continuo con Rochester, e
    Barillon stava con Sunderland. A Luigi nella medesima settimana fu
    scritto da Bonrepaux, che il Cancelliere era tutto dalla parte del
    Tesoriere, e da Barillon che il Cancelliere era in lega col
    Segretario(639).
    
    XXXV. Godolphin, cauto e taciturno, fece ogni sforzo a serbarsi
    neutrale. Le opinioni e i desiderii suoi erano senza dubbio con
    Rochester; ma, per debito d'ufficio, gli era necessario starsi
    sempre presso alla Regina, ch'ei naturalmente voleva tenersi bene
    edificata. Certo, v'è ragione a credere ch'egli sentisse per lei un
    affetto più romantico di quello che spesso nasce nel cuore dei
    vecchi uomini di Stato; e certe circostanze che adesso è uopo
    riferire, l'avevano interamente gettato nelle mani della cabala
    gesuitica(640).
    
    Il Re, per quanto fosse uomo d'indole severa e di grave contegno,
    rimaneva sotto lo impero delle malie donnesche, quasi al pari del
    suo vivace ed amabile fratello. Se non che, la beltà delle leggiadre
    dame di Carlo non era qualità necessaria a muovere i sensi di
    Giacomo. Barbera Palmer, Eleonora Gwynn e Luisa de Querouaille
    annoveravansi tra le più avvenenti donne de' tempi loro. Giacomo,
    mentre era giovane, aveva perduta la libertà propria, era disceso
    dal proprio grado, e incorso nel dispiacere della propria famiglia
    per le grossolane fattezze di Anna Hyde. Tosto, a gran sollazzo di
    tutta la Corte, venne rapito alle braccia di una disavvenente
    consorte da una concubina anche più disavvenente, cioè da Arabella
    Churchill. La sua seconda moglie, quantunque avesse venti anni meno
    di lui, e non fosse spiacevole di viso e di persona, ebbe spessi
    motivi a lamentare la incostanza del marito. Ma di tutte le sue
    illecite relazioni, la più forte era quella che lo avvincolava a
    Caterina Sedley.
    
    XXXVI. Questa donna era figliuola di Sir Carlo Sedley, uno de' più
    gai e dissoluti ingegni della Restaurazione. La licenza de' suoi
    scritti non è compensata da molta grazia e vivacità; ma il prestigio
    del suo conversare era riconosciuto anche dagli uomini più sobri che
    non facevano stima del suo carattere. Sedergli accanto in teatro, e
    udirlo a giudicare d'una nuova produzione, consideravasi quale
    insigne favore(641). Dryden lo aveva onorato ponendolo precipuo
    interlocutore nel Dialogo intorno alla Poesia Drammatica. I costumi
    di Sedley erano tali, che anche in quell'età porsero grave argomento
    di scandalo. Una volta, dopo un baccano, si mostrò ignudo al balcone
    d'una taverna presso Covent Garden, arringando la gente che passava
    con linguaggio così sconcio e insolente, che fu ricacciato dentro da
    una pioggia di sassate, venne processato per indecente condotta,
    condannato ad una grossa multa, e dalla Corte del Banco del Re
    ricevette una invettiva espressa con energiche parole(642). La sua
    figlia ne aveva ereditate le doti e la impudenza. Non aveva alcuna
    leggiadria di persona, tranne due occhi brillanti, lo splendore de'
    quali, agli uomini di gusto squisito, sembrava fiero e punto
    donnesco. Era magra di forme, e feroce di portamento. Carlo, benchè
    amasse di conversare secolei, rideva a vederla sì brutta, e soleva
    dire che i preti l'avrebbero dovuta prescrivere a Giacomo come
    penitenza. Ella conosceva bene di non essere bella, e liberamente
    scherzava sulla propria disavvenenza. Nondimeno, con istrana
    incoerenza a sè stessa, amava ornare magnificamente la propria
    persona, e attirarsi i pungentissimi scherzi del pubblico,
    comparendo in teatro impiastrata, dipinta, coperta di trine di
    Bruxelles, e fiammeggiante di diamanti, affettando il grazioso
    contegno d'una giovinetta di diciotto anni(643).
    
    Non è agevole a spiegare di che natura fosse la influenza che ella
    esercitava sopra l'animo di Giacomo. Ei più non era giovine. Era
    religioso; almeno desiderava fare per la propria religione sforzi e
    sacrifici, da cui la più parte di coloro che si chiamano uomini
    religiosi avrebbero abborrito. Sembra strano che vi fossero al mondo
    attrattive le quali valessero a gettarlo in un modo di vita ch'egli
    avrebbe dovuto considerare altamente criminoso: e in questo caso,
    niuno poteva intendere in che consistevano tali attrattive. La
    stessa Caterina era stupefatta della violenta passione del suo reale
    amante. "E' non può essere per la mia bellezza" diceva essa, "poichè
    bisogna che egli veda che io non sono punto bella; non può essere
    per il mio spirito, poichè egli non ne ha tanto da conoscere ch'io
    ne abbia alcuno."
    
    Il Re, come fu asceso al trono, pel sentimento della nuova
    responsabilità che pesava sopra lui, aperse per qualche tempo
    l'anima propria alle impressioni religiose. Fece ed annunziò molte
    buone determinazioni, parlò pubblicamente con gran severità degli
    empii e licenziosi costumi di quel tempo, e in privato assicurò la
    Regina e il confessore che non avrebbe mai più veduta Caterina
    Sedley. Le scrisse difatti scongiurandola di abbandonare gli
    appartamenti da lei occupati in Whitehall, e di trasferirsi in una
    casa in Saint James's Square, che le era stata, a spese di lui,
    splendidamente addobbata. Le promise nel tempo stesso di darle una
    grossa pensione dalla sua borsa privata. Caterina, destra, forte,
    intrepida, e conscia del proprio potere, lo compiacque. Dopo pochi
    mesi, cominciossi a vociferare che Chiffinch aveva di nuovo ripreso
    l'esercizio del proprio ufficio, e che la druda spesso andava e
    veniva per l'uscio segreto, pel quale fu fatto passare Padre
    Huddleston allorquando portò l'Eucaristia al moribondo Carlo. E'
    sembra che i ministri protestanti del Re sperassero che la cecità
    del loro signore per cotesta donna, lo avrebbe guarito della cecità
    assai più perniciosa che lo spingeva a' danni della loro religione.
    Caterina aveva tutti i requisiti che le erano necessari a governare
    i sentimenti e gli scrupoli del Re, e porgli in piena luce dinanzi
    allo sguardo tutte le difficoltà e i pericoli contro ai quali ei
    correva ad urtare a capo fitto.
    
    XXXVII. Rochester, campione della Chiesa, sforzossi di accrescere
    siffatta influenza. Ormond, che è popolarmente considerato come la
    personificazione di tutto ciò che v'è di più puro ed elevato in un
    Inglese Cavaliere, approvò quel disegno. Perfino Lady Rochester non
    arrossì di cooperarvi, e con riprovevolissimi mezzi. Si tolse lo
    incarico di dirigere la gelosia dell'offesa moglie contro una
    giovinetta che era al tutto innocente. Tutta la Corte notò i modi
    freddi ed aspri con che la Regina trattava la povera fanciulla
    sospetta; ma la cagione del mal umore della Maestà Sua era un
    mistero. Per alcun tempo, cotesto intrigo andò innanzi con prospero
    successo e con segretezza. Caterina spesso ripeteva chiaramente al
    Re ciò che i Lordi protestanti del Consiglio osavano appena
    accennare con delicate parole. Gli diceva come la sua Corona
    corresse gravissimo pericolo: il vecchio pazzo Arundell e il
    furfante Tyrconnel lo condurrebbero alla rovina. Può darsi che le
    carezze di lei avessero potuto fare ciò che gli sforzi insieme
    congiunti della Camera de' Lordi e di quella de' Comuni, della Casa
    d'Austria e della Santa Sede, non erano riusciti ad ottenere, se non
    fosse stata una strana avventura che fece onninamente mutare aspetto
    alle cose. Giacomo, in un accesso di amorosa insania, deliberò di
    creare la sua druda Contessa di Dorchester di proprio diritto.
    Caterina misurò tutto il pericolo di tal passo, e ricusò un onore
    che le avrebbe suscitata contro la invidia altrui. Lo amante
    ostinossi, e pose di forza il diploma nelle mani di lei. Ella infine
    accettò ad un patto, che serve a mostrare quanta fiducia avesse
    nella propria potenza e nella debolezza di lui. Gli fece
    solennemente promettere di non lasciarla giammai; ma che volendola
    lasciare, le dovesse annunziare egli stesso la propria risoluzione,
    e concederle un abboccamento.
    
    Appena divulgossi la nuova dello innalzamento di lei, tutto il
    palazzo fu sossopra. La Regina sentì ribollirsi nelle vene il
    fervido sangue italiano. Altera della giovinezza e dell'avvenenza
    propria, dell'alto grado e della intemerata castità, non potè senza
    strazio di dolore e di rabbia vedersi abbandonata ed insultata per
    una simile rivale. Rochester, rammentando forse con quanta pazienza,
    dopo una breve lotta, Caterina di Braganza aveva acconsentito ad
    usare cortesia alle concubine di Carlo, aveva sperato che, dopo un
    poco di lamento e di sdegno, Maria di Modena si sarebbe mostrata
    egualmente sommessa. E' non fu così. Nè anche si provò di ascondere
    agli occhi del mondo la violenza delle proprie emozioni.
    Quotidianamente, i cortigiani che andavano a vederla desinare,
    notavano come le vivande erano riportate via senza ch'ella le avesse
    assaggiate. Le lacrime le scorrevano giù per le guance alla presenza
    di tutto il cerchio de' ministri e degli ambasciatori. Al Re parlò
    con veemenza. "Lasciatemi andare" esclamò. "Avete fatta la vostra
    druda contessa; fatela regina. Strappate dal mio capo la corona, e
    mettetela sopra il suo. Solo lasciatemi seppellire in qualche
    convento, ch'io non la vegga mai più." Poi, con più calma, gli
    chiese in che guisa egli potesse conciliare la sua riprovevole
    condotta con lo spirito religioso di cui faceva mostra. "Voi siete
    pronto" disse ella "a porre a repentaglio il vostro Regno per la
    salute dell'anima vostra, e nondimeno vi dannate l'anima per amore
    di siffatta donna." Padre Petre, prostrato sulle ginocchia,
    secondava la Regina. Era suo debito così fare; e lo adempiva
    valorosamente, poichè era connesso con l'utile proprio. Il Re per
    qualche tempo si confessò peccatore, e si mostrò pentito. Nelle ore
    in che lo assalivano i rimorsi, faceva severe penitenze. Maria serbò
    fino all'ultimo dì di sua vita, e morente la legò al convento di
    Chaillot, la disciplina con che Giacomo aveva scontate le proprie
    peccata flagellandosi vigorosamente le spalle. Nulla, fuorchè lo
    allontanamento di Caterina, avrebbe potuto porre fine a cotesto
    conflitto tra un abietto amore ed una superstizione abietta. Giacomo
    le scrisse, supplicandola e comandandole di partire. Confessava di
    averle promesso che le avrebbe detto addio col proprio labbro. "Ma
    conosco pur troppo" soggiungeva "lo impero che voi avete sopra di
    me. Non avrei forza d'animo bastevole a tenermi fermo nella mia
    risoluzione, se consentissi a rivedervi." Le offerse un legno per
    trasportarla, con tutti i comodi e il decoro, alle Fiandre; e le
    minacciò che ove non si fosse indotta ad andarsene quietamente,
    sarebbe stata mandata via per forza. La donna, in sulle prime, provò
    di destare la pietà del Re fingendosi inferma. Poscia prese il
    contegno d'una martire, ed impudentemente si spacciò di patir tanto
    per la religione protestante. Riprese quindi i modi di Giovanni
    Hampden, sfidando il re a mandarla via; nel quale caso se ne sarebbe
    richiamata ai tribunali. Finchè la Magna Carta e l'Habeas Corpus
    erano leggi del Regno, ella voleva starsi dove meglio le talentasse.
    "E in Fiandra" gridò ella "giammai! Ho imparato una cosa dalla
    Duchessa di Mazzarino mia amica, ed è di non fidarmi mai d'un paese
    dove siano conventi." Alla perfine, elesse l'Irlanda come luogo
    d'esilio, probabilmente perchè ivi era vicerè il fratello di
    Rochester suo protettore. E dopo molto indugiare, ella si partì,
    lasciando vittoriosa la Regina(644).
    
    La storia di questo stranissimo intrigo sarebbe incompiuta, ove non
    aggiungessi che esiste tuttora una meditazione religiosa, scritta di
    mano propria dal Lord Tesoriere, nel giorno stesso in cui la notizia
    ch'egli si provava di governare il suo signore per mezzo d'una
    concubina, fu trasmessa da Bonrepaux a Versailles. Nessun
    componimento di Ken o di Leighton è imbevuto di spirito più fervido
    e di pietà più esaltata, che questa religiosa effusione. Non può
    tenersi in sospetto d'ipocrisia; imperocchè manifesto si conosce che
    quello scritto doveva solo servire per uso privato dello scrittore,
    e non fu pubblicato se non cento e più anni dopo ch'egli giaceva
    cenere ed ossa dentro il sepolcro. Fino a tal segno la storia supera
    in istranezza la finzione! ed è pur troppo vero che la natura ha
    capricci che l'arte non osa imitare. Un poeta drammatico mal si
    rischierebbe a porre sulla scena un principe severo, nel verno degli
    anni, pronto a sacrificare la corona per giovare la propria
    religione, instancabile nel fare proseliti, che ad un'ora
    abbandonava ed insultava la moglie giovine e bella, per vaghezza di
    una druda che non aveva nè giovinezza nè beltà. Anche meno, se pure
    è possibile, un drammaturgo ardirebbe immaginare un uomo di Stato
    che si abbassi al vergognoso mestiere di mezzano d'amore, e chiami
    la propria moglie ad aiutarlo in quel disonorevole ufficio; e
    nulladimanco, nei momenti d'ozio, ridottosi nel domestico ritiro,
    innalzi l'anima a Dio, spargendo lacrime di penitenza e recitando
    devote giaculatorie(645).  XXXVIII. Il Tesoriere presto
    s'accôrse che servendosi di mezzi scandalosi per giungere ad un
    laudevole fine, aveva commesso non solo un delitto ma uno sbaglio.
    Adesso la Regina gli era divenuta nemica. Ella fece sembiante, a dir
    vero, di ascoltare con cortesia le parole con che gli Hydes
    tentarono di scusare, come meglio poterono, la propria condotta; e
    in alcune occasioni mostrò di usare la sua influenza a favor loro:
    ma avrebbe dovuto essere o da più o da meno che non è una donna, se
    avesse veramente dimenticata la congiura ordinata dalla famiglia
    della prima moglie di Giacomo contro la sua dignità e felicità
    domestica. I Gesuiti, con rigorose parole, dimostrarono al Re il
    pericolo dal quale era, quasi per miracolo, campato, dicendo come la
    riputazione, la pace e l'anima di lui fossero state poste a
    repentaglio per le trame del suo primo ministro. Il Nunzio, che
    volentieri avrebbe frustrato la influenza del partito violento, e
    cooperato cogli uomini moderati del Gabinetto, non potè onestamente
    e decentemente dividersi in questa occasione da Padre Petre. Lo
    stesso Giacomo, dopo che il mare lo ebbe partito dalle malíe onde
    era stato sì fortemente affascinato, non potè non sentire ira e
    dispregio verso coloro i quali s'erano studiati di governarlo per
    mezzo de' suoi vizi. Le cose successe era mestieri che gli facessero
    maggiormente stimare la sua Chiesa, e disistimare quella
    d'Inghilterra. I Gesuiti che, come correva la moda, erano chiamati i
    più pericolosi de' consiglieri spirituali, sofisti che sovvertivano
    tutto il sistema della morale evangelica, adulatori che andavano
    debitori del proprio potere principalmente alla indulgenza con cui
    trattavano i peccati de' grandi, lo avevano ritratto da una vita
    colpevole con rimproveri acri ed arditi, come quelli che Natan fece
    a David, o Giovanni Battista ad Erode. Dall'altra parte, i fervidi
    Protestanti, che parlavano sempre della rilassatezza de' casisti
    papali, e della malvagità di operare il male perchè se ne potesse
    conseguire il bene, avevano tentato di procurare il bene della
    propria Chiesa per una via considerata da ogni cristiano come
    gravemente criminosa. La vittoria della cabala de' pessimi
    consiglieri fu quindi compiuta. Il Re trattò freddamente Rochester.
    I cortigiani e i ministri stranieri tosto si accorsero che il Lord
    Tesoriere era primo ministro solamente di nome. Seguitò a dare
    consigli ogni giorno, ed ebbe l'onta di vederli ogni giorno
    rigettati. Nulladimeno, non sapeva indursi ad abbandonare
    quell'apparenza di potere, e gli emolumenti che direttamente e
    indirettamente ei ricavava dal suo alto ufficio. Fece quindi quanto
    potè per nascondere agli occhi del pubblico l'amarezza dell'anima
    sua. Ma le sue violenti passioni e le sue intemperanti abitudini non
    gli concedevano di sostenere la parte di simulatore. Il suo
    conturbato aspetto, sempre che egli usciva dalla sala del Consiglio,
    mostrava che non erano stati lieti i momenti ivi passati; e quando
    il bicchiere gli scaldava il cervello, gli fuggivano di bocca parole
    che manifestamente rivelavano la inquietudine dell'animo(646).
    
    E aveva ragione d'essere inquieto. Gl'indiscreti e impopolari
    provvedimenti si succedevano rapidamente l'un l'altro. Ogni pensiero
    di ritornare alla politica della Triplice Alleanza era abbandonato.
    Il Re esplicitamente confessò ai ministri di que' potentati
    continentali, coi quali già aveva avuto intendimento di collegarsi,
    che aveva affatto mutato pensiero, e che l'Inghilterra doveva
    seguitare ad essere, come era stata sotto l'avo, il padre e il
    fratello suoi, di nessun conto in Europa. "Non sono in condizioni"
    ei disse allo Ambasciatore Spagnuolo "d'impacciarmi di ciò che
    accade fuori de' miei Stati. Sono risoluto di lasciare che le
    faccende straniere piglino il loro corso, di consolidare l'autorità
    mia nel mio Regno, e di fare qualche cosa a pro della mia
    religione." Pochi giorni dipoi manifestò i medesimi intendimenti
    agli Stati Generali(647). Da quel tempo sino alla fine del suo
    ignominioso regno, non fece alcuno positivo sforzo a trarsi di
    vassallaggio, quantunque non potesse mai, senza dare in furore,
    sentirsi chiamare vassallo.
    
    I due fatti onde il pubblico si accôrse che Sunderland e il suo
    partito avevano vinto, furono la proroga del Parlamento dal febbraio
    al maggio, e la partenza di Castelmaine per Roma, col grado
    d'ambasciatore di primissima classe(648).
    
    Fino allora tutti gli affari del Governo Inglese alla Corte Papale
    erano stati affidati a Giovanni Caryl. Questo gentiluomo era noto ai
    suoi coetanei come persona ricca e educata, e come autore di due
    opere drammatiche applaudite; cioè d'una tragedia in versi rimati,
    che era stata resa popolare dall'insigne attore Betterton; e di una
    commedia, che d'ogni suo pregio va debitrice alle(649) scene rubate
    a Molière. Questi componimenti sono da lungo tempo caduti in oblio;
    ma ciò che Caryl non valse a fare a suo pro, è stato fatto per lui
    da un più possente ingegno. Un mezzo verso nel Riccio Rapito ha reso
    immortale il suo nome.
    
    XXXIX. Caryl, il quale al pari di tutti gli altri rispettabili
    Cattolici Romani era nemico alle misure violente, aveva con buon
    senso e buon animo adempiuto il suo delicato incarico a Roma. La
    commissione affidatagli ei compì lodevolmente; ma non aveva
    carattere officiale, e studiosamente schivò ogni dimostrazione. E
    però i suoi servigi furono quasi di nessuna spesa al Governo, e non
    provocarono mormorazioni. Al suo ufficio venne adesso sostituita una
    dispendiosa e pomposa ambasciata, che offese grandissimamente il
    popolo inglese, mentre non piacque punto alla Corte di Roma.
    Castelmaine ebbe lo incarico di domandare un cappello cardinalizio
    pel suo alleato Padre Petre.
    
    Verso il medesimo tempo, il Re cominciò a mostrare, in modo non
    equivoco, ciò che veramente sentiva verso gli esuli Ugonotti. Mentre
    sperava di sedurre il Parlamento a mostrarsi sommesso, e intendeva
    di farsi capo della coalizzazione europea contro la Francia, aveva
    simulato di biasimare la revoca dello editto di Nantes, e
    commiserare quegli infelici dalla persecuzione cacciati lungi dalle
    patrie contrade. Aveva fatto annunziare che in ogni chiesa del Regno
    si sarebbe fatta, con la sua approvazione, una colletta a beneficio
    loro. Un apposito proclama era stato compilato con parole che
    avrebbero ferito l'orgoglio di un sovrano meno irritabile e
    vanaglorioso di Luigi. Ma adesso tutto mutò d'aspetto. I principii
    del trattato di Dover diventarono di nuovo i fondamenti della
    politica estera dell'Inghilterra. Si fecero quindi ampie apologie
    per la scortesia con cui il Governo Inglese aveva agito verso la
    Francia mostrando favore ai fuorusciti francesi. Il proclama che era
    spiaciuto a Luigi, fu revocato(650). I ministri Ugonotti furono
    avvertiti di parlare con riverenza del loro oppressore ne' loro
    pubblici discorsi; se no, avrebbero corso pericolo. Giacomo non solo
    cessò di manifestare commiserazione per que' malarrivati, ma
    dichiarò di credere che essi covassero perfidissimi disegni, e
    confessò di avere errato proteggendoli. Giovanni Claude, uno de' più
    illustri fuorusciti, aveva pubblicato nel continente un piccolo
    volume, nel quale dipingeva con tinte vigorose i patimenti de' suoi
    confratelli. Barillon chiese che il libro venisse solennemente
    vituperato. Giacomo assentì, e in pieno Consiglio dichiarò, come
    fosse suo piacere che il libello di Claude venisse bruciato dinanzi
    la Borsa Reale per mano del boia. Anche Jeffreys ne rimase attonito,
    e provossi di mostrare che siffatto procedimento era senza esempio;
    che il libro era scritto in lingua straniera; che era stato stampato
    in una tipografia straniera; che si riferiva interamente a fatti
    successi in un paese straniero; e che nessun Governo inglese s'era
    mai impacciato di tali opere. Giacomo non patì che la questione
    venisse discussa. "La mia deliberazione" disse egli "è fatta. Oramai
    è nata l'usanza di trattare i Re con poco rispetto, ed è mestieri
    che tutti vicendevolmente si difendano. Un Re dovrebbe essere sempre
    il sostegno dell'altro; ed io ho ragioni particolari per rendere al
    Re di Francia questo atto di rispetto." I consiglieri stettero muti.
    L'ordine fu emanato; e il libro di Claude fu dato alle fiamme, non
    senza alte mormorazioni di molti che erano stati ognora riputati
    fermi realisti(651).
    
    La colletta, già promessa, fu per lungo tempo per vari pretesti
    differita. Il Re volentieri avrebbe mancato alla sua parola; ma
    l'aveva così solennemente data, che non poteva, senza somma
    vergogna, ritirarla(652). Non per tanto, nulla fu omesso che potesse
    intiepidire lo zelo delle congregazioni. Aspettavasi che, secondo la
    costumanza solita in simili casi, il popolo venisse esortato dai
    pulpiti. Ma Giacomo era determinato di non tollerare declamazioni
    contro la religione e l'alleato suo. Lo arcivescovo di Canterbury
    ebbe, perciò, ordine di far sapere al clero, che si doveva
    semplicemente leggere il regio proclama, senza presumere di
    predicare intorno ai patimenti de' protestanti francesi(653).
    Nondimeno, le offerte furono in tanta copia, che, fatta ogni
    deduzione, la somma di quaranta mila lire sterline venne depositata
    nella Camera di Londra. Forse non v'è stata nell'età nostra colletta
    così generosa in proporzione de' mezzi della nazione(654).
    
    Il Re rimase amaramente mortificato da sì generosa colletta, fattasi
    in ubbidienza(655) al suo invito. Sapeva bene, disse egli, che cosa
    significava tale liberalità. Era un puro dispetto che i Whig avevano
    inteso di fare a lui ed alla sua religione(656); ed aveva già deciso
    che la somma raccolta non servisse per coloro che i donatori
    volevano beneficare. Era stato per parecchie settimane in istretta
    comunicazione intorno a questo negozio con la Legazione Francese; ed
    approvante la Corte Francese, si appigliò ad un partito che non può
    di leggieri conciliarsi co' principii di tolleranza ch'egli poscia
    pretese di professare. I fuorusciti erano zelanti del culto e della
    disciplina de' Calvinisti. Giacomo, quindi, fece comandamento che a
    niuno fosse dato un tozzo di pane o una cesta di carbone, se prima
    non avesse prestato il giuramento a seconda del rituale
    anglicano(657). È cosa strana che questo inospitale provvedimento
    fosse stato immaginato da un principe, il quale considerava l'Atto
    di Prova come un oltraggio fatto ai diritti della coscienza:
    imperocchè, per quanto ingiusto possa essere l'imporre un Atto di
    Prova con sacramento onde chiarirsi se gli uomini meritino occupare
    gli uffici civili e militari, è senza alcun dubbio assai più
    ingiusto imporre il detto sacramento per conoscere se essi, nella
    estrema miseria, meritino carità. Nè Giacomo aveva la scusa che
    potrebbe allegarsi a scemare la colpa da tutti quasi i persecutori;
    perocchè la religione ch'egli imponeva ai fuorusciti, a pena di
    lasciarli morire di fame, non era la religione ch'egli professava.
    La sua condotta, adunque, verso loro era meno scusabile di quella di
    Luigi: poichè costui gli oppressava sperando di ricondurli da una
    dannevole eresia alla vera Chiesa; Giacomo gli opprimeva solo onde
    costringerli ad apostatare da una dannevole eresia, ed abbracciarne
    un'altra.
    
    Una Commissione, nella quale era il Cancelliere, fu istituita a
    distribuire le pubbliche limosine. Nella prima adunanza, Jeffreys
    manifestò la volontà del Re. Disse che i fuorusciti erano troppo
    generalmente nemici della monarchia e dello episcopato. Se volevano
    ottenere qualche sussidio, era mestieri che si convertissero alla
    Chiesa Anglicana, e prestassero il giuramento nelle mani del suo
    cappellano. Molti esuli che erano andati pieni di gratitudine e di
    speranza a chiedere qualche soccorso, udirono la propria sentenza, e
    con la disperazione nel cuore partironsi. 
    
    XL. Si appressava il mese di maggio, mese stabilito per la ragunanza
    delle Camere; ma furono di nuovo prorogate sino a novembre(658). Non
    era strano che il Re aborrisse di vederle adunate; imperciocchè era
    risoluto di abbracciare una politica che egli sapeva bene essere da
    loro detestata. Da' suoi predecessori aveva ereditate due
    prerogative, i confini delle quali non sono stati rigorosamente
    definiti, e che, esercitate illimitatamente, basterebbero a
    sovvertire tutto l'ordinamento politico dello Stato e della Chiesa.
    Erano il potere di dispensare e la supremazia ecclesiastica. Per
    virtù dell'uno, il Re propose di ammettere i Cattolici Romani, non
    solo agli uffici civili e militari, ma anche agli spirituali. Per
    virtù dell'altra, sperava di rendere il clero anglicano strumento
    della distruzione della loro propria Chiesa.
    
    Questo disegno si venne gradatamente esplicando da sè. Non si stimò
    sicuro cominciare concedendo allo intero corpo de' Cattolici Romani
    dispensa dagli statuti che imponevano pene e giuramenti; perciocchè
    non v'era cosa che fosse così pienamente stabilita come la
    illegalità di una tale dispensa. La Cabala nel 1672 aveva promulgata
    una dichiarazione generale d'Indulgenza. I Comuni, appena adunatisi,
    protestarono contro. Carlo II aveva ordinato che fosse cassata in
    sua presenza, ed aveva di propria bocca e con un messaggio scritto
    data assicurazione alle Camere, che l'atto che aveva cagionato tanto
    lamento, non sarebbe stato mai considerato come esempio precedente.
    Sarebbe stato difficile trovare in tutti i collegi d'avvocati un
    giureconsulto di qualche riputazione, che avesse voluto difendere
    una prerogativa, alla quale il Sovrano, assiso sul trono in pieno
    Parlamento, aveva solennemente pochi anni innanzi rinunziato. E
    però, il primo fine che Giacomo si prefisse(659), fu quello
    d'ottenere che le Corti di Diritto Comune riconoscessero ch'egli,
    almeno fino a questo segno, possedeva la potestà di dispensare.
    
    XLI. Ma, quantunque le sue pretese fossero modiche in agguaglio di
    quelle che manifestò pochi mesi dopo, si accôrse tosto che gli stava
    contro l'opinione di quasi tutta Westminster(660) Hall. Quattro de'
    giudici gli fecero intendere, che in questa occasione non potevano
    secondare il suo proponimento; ed è da notarsi che tutti e quattro
    erano Tory violenti, e fra essi v'erano uomini che avevano
    accompagnato Jeffreys nella sua missione di sangue, e che avevano
    assentito alla morte di Cornish e d'Elisabetta Gaunt. Jones, Capo
    Giudice de' Piati Comuni, uomo che non s'era mai prima ricusato a
    nessuna bassa azione, comunque crudele e servile, adesso parlò nel
    gabinetto regio con parole che sarebbero state convenevoli alle
    labbra de' magistrati più integerrimi di cui faccia ricordo la
    storia nostra. Gli fu detto chiaramente, o di smettere la propria
    opinione, o lasciare l'impiego. "In quanto al mio impiego" rispose,
    "poco mi curo. Ormai son vecchio, e mi son logorata la vita in
    servizio della Corona; ma rimango mortificato nel vedere che Vostra
    Maestà mi stimi capace di dare un giudicio che nessuno, tranne un
    uomo stolto e disonesto, potrebbe(661) dare." - "Ho risoluto" disse
    il Re "di avere dodici giudici i quali la pensino come me in questo
    negozio." - "La Maestà Vostra" rispose Jones "potrebbe trovare
    dodici giudici che la pensino come Voi, ma non dodici
    giurisperiti(662)." Fu destituito, con Montague, Capo Barone dello
    Scacchiere; e due altri giudici inferiori, Neville e Charlton. Uno
    de' nuovi giudici era Cristoforo Milton, fratello minore del gran
    poeta. Poco si sa di Cristoforo, salvo che a tempo della guerra
    civile era stato realista, e che adesso, giunto alla vecchiezza,
    pendeva verso il papismo. Non pare che si convertisse mai
    formalmente alla Chiesa di Roma; ma certo scrupoleggiava a
    comunicare con la Chiesa d'Inghilterra, ed aveva quindi un forte
    interesse a difendere la potestà di dispensare(663).
    
    Il Re trovò i suoi consiglieri giuristi disubbidienti quanto i
    giudici. Il primo che seppe di dovere difendere la potestà di
    dispensare, fu l'Avvocato Generale Heneage Finch. Senza tanti
    andirivieni, ricusò di farlo, e il dì dopo fu destituito
    dall'ufficio(664). Al Procuratore Generale Sawyer fu ingiunto di
    rilasciare ordini per autorizzare i membri della Chiesa di Roma ad
    occupare i beneficii pertinenti a quella d'Inghilterra. Sawyer era
    stato profondamente implicato nelle più crude e inique persecuzioni
    di quel tempo, ed era da' Whig abborrito come uomo che aveva le mani
    imbrattate del sangue di Russell e di Sidney; ma in questa occasione
    non mostrò difetto d'onestà e di fermezza. "Sire," disse egli
    "questo non importa dispensare semplicemente da uno statuto; ma vale
    il medesimo che annullare l'intero Diritto Statutario, da Elisabetta
    fino a noi. Io non oso porvi mano; e scongiuro la Maestà Vostra a
    considerare se una tanta aggressione ai diritti della Chiesa sia
    d'accordo con le ultime promesse che avete generosamente
    fatte(665)." Sawyer sarebbe stato come Finch destituito, se il
    Governo avesse potuto trovargli un successore: ma ciò non era cosa
    di poco momento. Era necessario, a proteggere i diritti della
    Corona, che uno almeno de' legali della Corona fosse uomo dotto,
    abile ed esperto; e non era da trovarsi un tale uomo che difendesse
    la potestà di dispensare. Al Procuratore Generale fu, dunque, per
    pochi mesi lasciato l'impiego. Tommaso Powis, uomo da nulla, che non
    aveva altri requisiti, dalla servilità all'infuori, per occupare
    qualche alto ufficio, fu nominato Avvocato Generale.
    
    XLII. Gli apparecchi preliminari erano ormai compiti. V'erano un
    Avvocato Generale per difendere la potestà di dispensare, e dodici
    giudici per decidere a favore di quella. La questione, adunque, fu
    sollecitamente messa in campo. Sir Eduardo Hales, gentiluomo di
    Kent, erasi convertito al papismo in tempi ne' quali niuno poteva
    impunemente dichiararsi papista. Aveva tenuta secreta la propria
    conversione, e tutte le volte che ne veniva richiesto, affermava
    d'essere Protestante con solennità tale, da dare poco credito ai
    suoi principii. Come Giacomo ascese al trono, non vi fu mestieri di
    simulazione. Sir Eduardo apostatò pubblicamente, e ne ebbe in
    ricompensa il comando d'un reggimento di fanteria. Lo aveva tenuto
    per più di tre mesi senza prestare il giuramento. Era quindi
    soggetto alla pena di cinquecento lire sterline, che chi lo avesse
    accusato poteva ricuperare per via d'azione di debito. Un uomo di
    condizione servile fu adoperato a portare l'azione nella Corte del
    Banco del Re. Sir Eduardo non negò i fatti allegati contro lui, ma
    disse di possedere lettere patenti, che lo autorizzavano a tenere il
    suo ufficio, malgrado l'Atto di Prova. Lo accusatore ammise che le
    ragioni di Sir Eduardo erano vere in fatto, ma negò che quella fosse
    una soddisfacente risposta. Così fu fatta una semplice questione di
    diritto da decidersi dalla Corte. Un avvocato che era notissimo
    strumento del Governo, comparve per il simulato accusatore, e fece
    alcune lievi obiezioni alle ragioni allegate dall'accusato. Il nuovo
    Avvocato Generale rispose. Il Procuratore Generale non prese parte
    al giudicio. Il Lord Capo Giudice, Sir Eduardo Herbert, profferì la
    sentenza. Annunziò d'avere esposta la questione a tutti i dodici
    giudici, e che undici di loro opinavano che il Re potesse
    legittimamente dispensare dagli statuti penali nei casi particolari,
    e per ragioni di grave importanza. Il Barone Street, l'unico che
    dette il voto contrario, non fu destituito dall'ufficio. Era uomo
    così immorale, che era abborrito perfino dai suoi stessi parenti, e
    che il Principe d'Orange, a tempo della Rivoluzione, fu avvertito di
    non ammetterlo al suo cospetto. Il carattere di Street rende
    impossibile il credere che egli avesse voluto mostrarsi più
    scrupoloso de' suoi colleghi. Il carattere di Giacomo rende
    impossibile il credere che un Barone dello Scacchiere, mostratosi
    disubbidiente, fosse stato lasciato nell'impiego. Non può esservi
    alcun dubbio ragionevole che il giudice dissenziente, come
    l'accusatore e il costui difensore, non avessero agito d'accordo.
    Importava assai che vi fosse grande preponderanza d'autorità a
    favore della potestà di dispensare; ed era al pari importante che il
    Banco, che era stato studiosamente ricomposto per quella
    circostanza, avesse l'apparenza d'essere indipendente. Ad un
    giudice, quindi, che era il meno rispettabile de' dodici, fu
    permesso, e più probabilmente comandato, di votare contro la
    prerogativa(666).
    
    La potestà in tal modo riconosciuta dalle Corti di Legge, non fu
    lasciata inoperosa. Un mese dopo la sentenza proferita dal Banco del
    Re, quattro Lordi cattolici romani furono chiamati al Consiglio
    Privato. Due di loro, Powis e Bellasyse, appartenevano al partito
    moderato, e probabilmente accettarono l'ufficio con repugnanza e con
    molti tristi presentimenti. Gli altri due, Arundell e Dover, non
    avevano cosiffatti presentimenti(667).
    
    XLIII. La potestà di dispensare fu, nel medesimo tempo, adoperata a
    rendere i Cattolici Romani atti ad occupare i beneficii
    ecclesiastici. Il nuovo Avvocato Generale prontamente emanò i
    decreti che Sawyer aveva ricusato di fare. Uno di questi decreti fu
    in favore d'uno sciagurato che aveva nome Eduardo Sclater, e che
    possedendo due beneficii, voleva tenerli a qualunque costo, e in
    tutte le vicissitudini. La domenica delle Palme del 1686, egli
    amministrò la comunione ai suoi parrocchiani secondo il rito della
    Chiesa Anglicana. Nella seguente domenica della Pasqua, celebrò la
    Messa. La regia dispensa lo autorizzò a fruire degli emolumenti de'
    suoi beneficii. Alle rimostranze de' patroni che gli avevano
    conferiti, rispose con insolenti parole di provocazione; e mentre
    alla causa de' Cattolici Romani spirava prospero il vento, ei
    pubblicò un assurdo trattato in difesa della propria apostasia. Ma
    pochi giorni dopo la Rivoluzione, una gran folla convenne nel tempio
    di Santa Maria nel Savoy, per vederlo rientrare nel grembo della
    religione da lui abbandonata. Leggendo l'abjura, le lacrime gli
    scendevano copiose giù per le guance, e profferì un'acre invettiva
    contro i preti papisti, dalle arti de' quali era stato sedotto(668).
    
    Con non minore infamia si condusse Obadia Walker. Era vecchio prete
    della Chiesa Anglicana, e ben noto nella Università d'Oxford come
    uomo dotto. Sotto il regno di Carlo, era venuto in sospetto
    d'inclinare al papismo, ma esteriormente erasi conformato alla
    religione stabilita, ed infine era stato eletto Maestro o Rettore
    del Collegio Universitario. Subito dopo che Giacomo ascese al trono,
    Walker deliberò di gettar via la maschera con che fino allora s'era
    coperto. Si astenne dal culto anglicano, e con alcuni convittori e
    sottograduati da lui pervertiti, ascoltava giornalmente la Messa nel
    proprio appartamento. Uno de' primi atti del nuovo Avvocato
    Generale, fu di fare un decreto che autorizzava Walker e i suoi
    proseliti a ritenere i loro beneficii, non ostante la loro
    apostasia. Furono tosto chiamati de' muratori, perchè trasformassero
    in oratorio due file di stanze. In pochi giorni nel Collegio
    Universitario celebraronsi pubblicamente i riti cattolici romani. Vi
    fu posto a cappellano un Gesuita. Vi fu allogata una tipografia con
    licenza regia, per istampare i libri cattolici romani. Per lo spazio
    di due anni e mezzo, Walker seguitò a guerreggiare contro il
    protestantismo con tutto il rancore d'un rinnegato: ma quando la
    fortuna mutò faccia, ei mostrò che gli mancava il coraggio d'un
    martire. Fu tratto alla barra della Camera de' Comuni perchè
    rendesse ragione della propria condotta, e fu tanto vigliacco da
    protestare di non aver mai mutato religione, nè mai cordialmente
    approvate le dottrine della Chiesa di Roma, e di non essersi mai
    provato a convertire a quella nessun uomo. Non valeva l'incomodo di
    violare gli obblighi più sacri della legge e della fede data per
    convertire uomini come Walker(669).
    
    XLIV. Dopo breve tempo, il Re fece un passo più innanzi. A Sclater e
    Walker era stato solamente permesso di tenere, dopo d'essersi fatti
    papisti, i beneficii già loro concessi mentre si dicevano
    protestanti. Conferire un'alta dignità nella Chiesa Anglicana ad un
    aperto nemico di quella, era un atto più audace che rompeva le leggi
    e la reale promessa. Ma non v'era provvedimento che a Giacomo
    paresse ardito. Il decanato di Christchurch divenne vacante.
    Quell'ufficio, e per dignità e per emolumenti, era uno de' più
    considerevoli nella Università di Oxford. Al decano era affidato il
    governo di un maggior numero di giovani di cospicue parentele e di
    grandi speranze, che si potesse trovare in qualunque altro collegio.
    Egli era parimente il capo di una cattedrale. Con ambedue questi
    caratteri, era necessario ch'egli appartenesse alla Chiesa
    Anglicana. Nondimeno, Giovanni Massey, che manifestamente era membro
    della Chiesa di Roma, e che altro merito non aveva, tranne d'esser
    membro di quella Chiesa, fu, per virtù della potestà di dispensare,
    nominato all'ufficio predetto; e tosto dentro le mura di
    Christchurch fu innalzato un altare, dove ogni giorno si celebrava
    la Messa(670). Al Nunzio il Re disse, che come aveva fatto in
    Oxford, così tra breve farebbe in Cambrigde(671).
    
    XLV. Non pertanto, anche ciò era lieve male in paragone di quello
    che i Protestanti avevano buone ragioni a temere. Sembrava assai
    probabile che l'intero governo della Chiesa Anglicana verrebbe, tra
    poco tempo, posto nelle mani de' suoi mortali nemici. V'erano tre
    insigni sedi vacanti; quella di York, quella di Chester e quella
    d'Oxford. Il vescovato d'Oxford fu dato a Samuele Parker, parassito;
    la cui religione, se pure egli aveva religione alcuna, era quella di
    Roma; e che si chiamava protestante, solo perchè aveva l'impaccio
    d'una moglie. "Io voleva" disse il Re ad Adda "nominare un aperto
    cattolico: ma il tempo non è ancora giunto. Parker è bene disposto
    per noi; sente come noi; ed a poco per volta convertirà tutto il suo
    clero(672)." Il vescovato di Chester, vacante per la morte di
    Giovanni Pearson, uomo di grande rinomanza e come filologo e come
    teologo, fu conferito a Tommaso Cartwright, anche più abietto
    parassito di Parker. Lo arcivescovato di York rimase varii anni
    vacante. E non potendosi a ciò allegare nessuna buona ragione,
    sospettavasi che il Re differisse la nomina, finchè si potesse
    rischiare di porre quell'insigne mitra sul capo d'un papista. E
    veramente, egli è molto probabile che il senno e la buona
    disposizione del Papa salvassero da tanto oltraggio la Chiesa
    Anglicana. Senza speciale dispensa del Papa, nessun Gesuita poteva
    divenire vescovo; e non vi fu mai modo d'indurre Innocenzo ad
    accordarla a Petre.
    
    XLVI. Giacomo nè anche dissimulò lo intendimento che aveva di
    giovarsi con vigore e sistematicamente di tutti i poteri che aveva
    come capo della Chiesa stabilita, per distruggerla. Disse con chiare
    parole, che per opera della divina Provvidenza, l'Atto di Supremazia
    sarebbe stato il mezzo di richiudere la fatale ferita da esso
    inflitta nel corpo della Chiesa universale. Enrico ed Elisabetta
    avevano usurpato un dominio che di diritto apparteneva alla Sede.
    Tale dominio, nel corso della successione, era venuto nelle mani di
    un principe ortodosso, il quale lo terrebbe come deposito
    appartenente alla Santa Sede. La legge gli dava potestà di reprimere
    gli abusi spirituali: e il primo di quelli ch'egli intendeva
    reprimere, era la libertà con cui il clero anglicano difendeva la
    propria religione e combatteva contro le dottrine di Roma(673).
    
    XLVII. Ma incontrò un grande ostacolo. La supremazia ecclesiastica
    di che egli andava rivestito, non era punto la stessa alta e
    terribile prerogativa da Elisabetta, da Giacomo I e da Carlo I
    esercitata. L'atto che dava alla Corona una quasi infinita autorità
    visitatoria sopra la Chiesa, quantunque non fosse mai stato
    formalmente abrogato, aveva veramente perduto in gran parte il
    primitivo vigore. La legge in sostanza rimaneva, ma senza nessuna
    formidabile sanzione, e senza efficace sistema di procedura; ed era
    perciò poco più che una lettera morta.
    
    Lo statuto che rese ad Elisabetta il dominio spirituale, assunto dal
    padre e deposto dalla sorella, conteneva una clausula che dava al
    Sovrano autorità di costituire un tribunale che poteva inchiedere e
    riformare, e punire i delitti ecclesiastici. Per virtù di tale
    clausula, fu creata la Corte dell'Alta Commissione; Corte che per
    molti anni era stata terribile ai non-conformisti, e sotto la cruda
    amministrazione di Laud divenne argomento di timore e d'odio, anche
    a coloro che amavano maggiormente la Chiesa stabilita. Adunatosi il
    Lungo Parlamento, l'Alta Commissione venne generalmente giudicata
    come il più grave degli abusi che la nazione sosteneva. E però fu
    fatta alquanto frettolosamente una legge, la quale non solo privò la
    Corona della potestà di nominare visitatori per soprintendere alle
    faccende della Chiesa, ma abolì senza distinzione ogni specie di
    corti ecclesiastiche.
    
    Dopo la Restaurazione, i Cavalieri, che erano numerosissimi nella
    Camera de' Comuni, per quanto fossero zelanti della prerogativa,
    rammentavano ancora con amarezza la tirannia dell'Alta Commissione,
    e non erano punto disposti a richiamare a vita una cotanto odiosa
    istituzione. Pensavano, ad un'ora, e non senza ragione, che lo
    statuto il quale aveva distrutte tutte le corti cristiane del reame
    senza nulla sostituirvi, fosse soggetto a gravi obiezioni. E però lo
    revocarono, tranne nella parte che riferivasi all'Alta Commissione.
    Così le Corti Arcidiaconali, le Concistoriali, quella
    dell'Arcivescovo di Canterbury, l'altra così detta de' Peculiari, e
    la Corte dei Delegati furono richiamate a vita; ma l'atto per virtù
    del quale ad Elisabetta ed a' suoi successori era stata concessa la
    potestà di nominare Commissioni con autorità visitatoria sopra la
    Chiesa, non solo non fu rimesso in vigore, ma con parole
    estremamente forti fu dichiarato pienamente abrogato. È, dunque,
    chiaro, quanto può esserlo qualunque punto di diritto
    costituzionale, che Giacomo II non era competente a istituire una
    Commissione, con potestà di visitare e governare la Chiesa
    Anglicana(674). Che se così fosse stato, poco valeva che l'Atto di
    Supremazia, con parole alto sonanti, gli desse facoltà da correggere
    ciò che non era equo in quella Chiesa. Null'altro, fuorchè una
    macchina formidabile come quella, ch'era stata distrutta dal Lungo
    Parlamento, poteva forzare il clero anglicano a divenire strumento
    del Re per la distruzione della dottrina e del culto anglicano.
    Egli, perciò, nell'aprile del 1686, deliberò di creare una nuova
    Corte d'Alta Commissione. Il disegno non fu mandato subitamente ad
    esecuzione. Fu avversato da tutti i ministri che non erano ligii
    alla Francia ed a' Gesuiti. I giureconsulti lo considerarono come
    oltraggiosa violazione della legge, e gli aderenti alla Chiesa
    Anglicana come un'aggressione alla Chiesa loro. Forse la contesa
    sarebbe durata più a lungo, se non fosse accaduto un fatto che ferì
    l'orgoglio e infiammò la collera del Re. Egli, come capo supremo
    ordinario, aveva dato ordini affinchè il clero anglicano si
    astenesse di toccare i punti controversi della dottrina. In tal
    guisa, mentre tutte le Domeniche e le festività dentro il ricinto
    de' reali palazzi recitavansi sermoni a difesa della religione
    cattolica romana, alla Chiesa dello Stato, alla Chiesa della
    grandissima parte della nazione era inibito di spiegare e difendere
    i propri principii. Lo spirito di tutto l'ordine clericale destossi
    contro cotesta ingiustizia. Guglielmo Sherlock, teologo insigne, che
    aveva scritto con asprezza contro i Whig e i Dissenzienti, e ne era
    stato rimunerato dal Governo coll'ufficio di Maestro o Rettore del
    Tempio e con una pensione, fu uno de' primi a incorrere nello sdegno
    del Re. Gli fu sospesa la pensione, ed ei venne severamente
    redarguito(675). Poco appresso Giovanni Sharp, Decano di Norwich e
    Rettore di Saint Giles-in-the-Fields, fece più grave offesa a
    Giacomo. Era uomo dotto e di fervida pietà, predicatore di gran
    fama, e prete esemplare. In politica, come tutti i suoi confratelli,
    era Tory, ed era pur allora stato fatto regio cappellano. Ricevè una
    lettera di un anonimo, il quale simulava venire da uno de' suoi
    parrocchiani che era stato vinto dagli argomenti de' teologi
    cattolici romani, ed agognava d'imparare se la Chiesa Anglicana
    fosse parte della vera Chiesa di Cristo. Nessun teologo che non
    avesse perduto ogni senso de' religiosi doveri o dell'onore del
    proprio ministero, poteva ricusare di rispondere. La Domenica
    prossima, Sharp fece un vigoroso discorso contro le alte pretese
    della Chiesa di Roma. Alcune delle sue espressioni vennero
    esagerate, scontorte, e recate dai ciarlieri a Whitehall. Fu
    falsamente riferito, ch'egli avesse vituperosamente parlato dello
    disquisizioni teologiche già trovate nella cassa forte di Carlo, e
    pubblicate da Giacomo. Compton, vescovo di Londra, ebbe da
    Sunderland ordini di sospendere Sharp, fino a tanto che il Re avesse
    altrimenti provveduto. Il vescovo si sentì grandemente perplesso. La
    sua recente condotta nella Camera dei Lordi aveva profondamente
    offesa la Corte. Il suo nome era già stato casso dalla lista de'
    Consiglieri Privati. Egli era già stato cacciato dall'ufficio che
    occupava nella cappella reale. Non voleva aggiungere nuove
    provocazioni; ma l'atto che gli s'imponeva era un atto giudiciale.
    Intese essere ingiusto, e i migliori consiglieri gli assicuravano
    essere illegale infliggere una pena senza che al supposto colpevole
    fosse dato modo a difendersi. E però, con umilissime parole, espose
    al Re le difficoltà ad eseguire l'ordine ricevuto, e avvertì
    privatamente Sharp a non mostrarsi per allora in pulpito. Per quanto
    ragionevoli fossero gli scrupoli di Compton, per quanto ossequiose
    le sue scuse, Giacomo montò in gran furore. Quale insolenza allegare
    o la giustizia naturale o la legge positiva in opposizione ad un
    espresso comandamento del Sovrano! Sharp fu dimenticato. Il vescovo
    divenne segno alla vendetta del Governo(676).
    
    XLVIII. Il Re sentì più penosamente che mai la mancanza di quella
    arme tremenda che un tempo aveva costretti i disobbedienti
    ecclesiastici a cedere. Probabilmente, sapeva che per poche acri
    parole profferite contro il governo di Carlo I, il vescovo Williams
    era stato dall'Alta Commissione sospeso da tutte le dignità e
    funzioni ecclesiastiche. Il disegno di richiamare a vita quel
    formidabile tribunale, fu più che mai affrettato. Nel mese di
    luglio, Londra fu in commovimento per la nuova che il Re, sfidando
    direttamente due atti del Parlamento formulati in vigorosissimi
    termini, affidava l'intero governo della Chiesa a sette
    Commissari(677). Le parole con che la giurisdizione loro veniva
    significata, erano, come suol dirsi, elastiche, e potevano essere
    stiracchiate per ogni verso. Tutti i collegi e le scuole di
    grammatica, anche quelli ch'erano stati istituiti dalla liberalità
    di benefattori privati, furono sottoposti alla autorità della nuova
    Commissione. Tutti coloro che per guadagnarsi il pane avevano
    mestieri d'impiego nella Chiesa o nelle istituzioni accademiche, dal
    Primate fino al più piccolo curato, dai vicecancellieri d'Oxford e
    di Cambridge fino al più umile pedagogo che insegnava il Corderio,
    rimasero in preda alle voglie del Re. Se qualcuno di quelle molte
    migliaia di uomini cadeva in sospetto di aver fatto o detto la
    minima cosa spiacevole al Governo, i Commissari potevano citarlo
    dinanzi al loro tribunale. Nel modo di contenersi con lui, non erano
    vincolati da alcun freno, come quelli che erano accusatori a un
    tempo e giudici. Allo accusato non davasi copia dell'atto d'accusa.
    Era esaminato e riesaminato; ed ove le sue risposte non fossero
    soddisfacenti, poteva essere sospeso dall'ufficio, destituito,
    dichiarato incapace di occupare beneficio alcuno per lo avvenire.
    S'egli fosse stato contumace, poteva essere scomunicato, o, in altre
    parole, privato di tutti i diritti civili, e imprigionato a vita.
    Poteva anco, a discrezione della Corte, essere condannato a pagare
    le spese del processo che lo aveva ridotto ad accattare. Non v'era
    appello. I Commissarii avevano ordine di eseguire l'ufficio loro,
    non ostante alcuna legge che fosse o paresse essere incompatibile
    con le norme ricevute. Da ultimo, perchè nessuno dubitasse essere
    stata intenzione del Governo ristabilire quella terribile Corte
    dalla quale il Lungo Parlamento aveva liberata la nazione, al nuovo
    tribunale fu ingiunto di usare un suggello in cui fosse il medesimo
    segno e la epigrafe medesima che erano nel suggello della vecchia
    Alta Commissione(678).  Capo della Commissione era il
    Cancelliere. La presenza e lo assenso di lui erano necessarii ad
    ogni atto. Ciascuno ben conosceva con quanta ingiustizia, insolenza,
    e barbarie egli s'era condotto nei tribunali, dove, fino ad un certo
    segno, era infrenato dalle leggi dell'Inghilterra. Non era quindi
    difficile prevedere come si sarebbe portato in una situazione in cui
    egli aveva pieno arbitrio di fare da sè forme di procedura o regole
    ad investigare i casi.
    
    Degli altri sei Commissarii, tre erano prelati e tre laici. A capo
    della lista era il nome dello Arcivescovo Sancroft. Ma egli era
    pienamente convinto che la Corte era illegale, che tutti i suoi
    giudicii sarebbero stati nulli, e che sedendovici sarebbe incorso in
    grave responsabilità. Deliberò quindi di non accettare il regio
    mandato. Nulladimeno, non agì in questa occasione con quel coraggio
    e con quella sincerità ch'ei mostrò allorchè, due anni dopo, si
    trovò ridotto agli estremi. Pregò lo scusassero, allegando gli
    affari e la mal ferma salute. Gli altri membri della Commissione,
    egli soggiunse, erano uomini di tanta abilità, da non avere mestieri
    del suo aiuto. Queste poco sincere scuse sedevano male sul labbro
    del Primate di tutta l'Inghilterra in quella occasione; nè valsero a
    salvarlo dalla collera del Re. Egli è vero che il nome di Sancroft
    non fu cancellato dalla lista de' Consiglieri Privati; ma, con amara
    mortificazione degli amici della Chiesa, non fu più chiamato ne'
    giorni di sessione. "Se egli" disse il Re "è sì malato da non potere
    andare alla Commissione, è cortesia alleggiarlo dal carico di venire
    al Consiglio(679)."
    
    Il Governo non incontrò uguale difficoltà con Nataniele Crewe,
    Vescovo della grande e ricca diocesi di Durham, uomo di nobile
    stirpe, e nella sua professione salito tanto alto, che quasi non
    poteva desiderare di salire di più; ma abietto, vano e codardo. Era
    stato fatto decano della Cappella Reale, allorquando il vescovo di
    Londra fu cacciato di Palazzo. L'onore di sedere fra il numero de'
    Commissarii ecclesiastici toccò a Crewe. Nulla giovò che alcuni de'
    suoi amici gli mostrassero il rischio a cui egli si esponeva sedendo
    in un tribunale illegale. Non vergognò di rispondere, ch'ei non
    poteva vivere privo del sorriso del Re, ed, esultando, significò la
    speranza che il suo nome sarebbe rimasto nella storia: speranza che
    non gli andò al tutto fallita(680).
    
    Tommaso Sprat, vescovo di Rochester, fu il terzo Commissario
    clericale. Era uomo, allo ingegno del quale la posterità non ha reso
    giustizia. Sventuratamente per la sua riputazione, i suoi versi sono
    stati stampati nelle raccolte de' Poeti Inglesi; e chi lo voglia
    giudicare da' suoi versi, è forza che lo consideri come un imitatore
    servile, che senza una scintilla dell'ammirevole genio di Cowley,
    scimmiottava ciò che nello stile di Cowley era meno commendevole: ma
    chi conosce le prose di Sprat, farà un diverso giudicio delle sue
    facoltà intellettuali. E veramente, era grande maestro della nostra
    lingua, e possedeva ad un'ora la eloquenza dell'oratore, del
    controversista e dello storico. Il suo carattere morale avrebbe
    riportato poco biasimo, se egli fosse stato addetto ad una
    professione meno sacra; imperocchè il peggio che intorno a lui si
    possa dire, è d'essere stato indolente, lussurioso e mondano; ma
    tali falli, quantunque nei secolari non sogliano comunemente
    considerarsi come bruttissimi, sono scandalosi in un prelato. Lo
    arcivescovato di York era vacante; Sprat sperava d'ottenerlo, e però
    accettò l'ufficio nella Commissione ecclesiastica: ma era uomo di sì
    buona indole, da non potersi condurre con durezza; ed aveva tanto
    buon senso, da vedere che avrebbe in futuro potuto essere chiamato a
    render conto di sè dinanzi al Parlamento. Per la qual cosa, benchè
    egli acconsentisse di accettare l'ufficio, si studiò di acquistare,
    quanto gli fu possibile, meno nemici(681).
    
    I tre altri Commissari furono il Lord Tesoriere, il Lord Presidente,
    e il Capo Giudice del Banco del Re. Rochester, disapprovando la cosa
    e brontolando, assentì a servire. Quantunque gli toccasse di soffrir
    molto alla Corte. non sapeva indursi ad abbandonarla. Quantunque
    molto amasse la Chiesa, non sapeva indursi a sacrificare per essa il
    suo bianco bastone, il potere di disporre degl'impieghi, la sua paga
    di ottomila lire sterline l'anno, e gli assai più grossi emolumenti
    indiretti del suo ufficio. Scusò con gli altri la propria condotta,
    e forse con sè stesso, allegando che, come Commissario, avrebbe
    potuto impedire molti danni; ed ove egli avesse ricusato quel posto,
    sarebbe stato occupato da qualcun altro meno di lui devoto alla
    religione protestante. Sunderland rappresentava la cabala gesuitica.
    La sentenza di recente profferita da Herbert intorno alla questione
    della potestà di dispensare, era bastevole argomento a provare che
    non avrebbe abborrito di obbedire ciecamente a tutte le voglie di
    Giacomo.
    
    XLIX. Appena apertasi la Commissione, il vescovo di Londra fu citato
    dinanzi al nuovo tribunale. Obbedì. "Io voglio da voi" disse
    Jeffreys "una risposta diretta e positiva. Perchè non avete sospeso
    il Dottor Sharp?"
    
    Il vescovo chiese copia dell'atto che istituiva la Commissione, per
    conoscere per virtù di quale autorità egli fosse così interrogato.
    "Se intendete" disse Jeffreys "contrastare all'autorità nostra,
    userò altri mezzi con voi. In quanto all'atto che chiedete, non
    dubito punto che lo abbiate veduto. In ogni caso, potreste vederlo
    per un soldo in qualunque bottega di caffè." E' pare che la
    insolente risposta del Cancelliere muovesse a sdegno gli altri
    Commissari, sì che gli fu forza di addurre qualche scusa contorta.
    Ritornò poi al punto dal quale erasi dilungato, dicendo: "Questa non
    è una Corte dove le accuse si mostrano in iscritto. La nostra
    procedura è sommaria, e verbale. La questione è chiarissima. Perchè
    non avete voi obbedito al Re?" Con qualche difficoltà Compton potè
    ottenere un breve indugio, e l'assistenza d'un avvocato. Udite le
    ragioni da lui allegate, fu manifesto a tutti che il vescovo aveva
    semplicemente fatto ciò ch'egli era tenuto a fare. Il Tesoriere, il
    Capo Giudice e Sprat opinarono di mandarlo assoluto. Il Re arse di
    sdegno. E' pareva che la sua Commissione Ecclesiastica gli volesse
    anch'ella mancare, come gli aveva mancato il suo Parlamento Tory. A
    Rochester disse di eleggere tra il dichiarare colpevole il vescovo,
    o lasciare l'ufficio del Tesoro. Rochester fu sì vile, che si
    arrese. Compton fu sospeso dalle sue funzioni spirituali; il carico
    della sua grande diocesi fu commesso ai suoi giudici, Sprat e Crewe.
    Seguitò, non per tanto, a risedere nel proprio palazzo e ricevere le
    rendite; perocchè sapevasi che ove avessero tentato di privarlo de'
    suoi emolumenti temporali, ei si sarebbe posto sotto la protezione
    del diritto comune; e lo stesso Herbert dichiarò, che i tribunali di
    diritto comune avrebbero profferita sentenza contro la Corona. Ciò
    indusse il Re a star cheto. Solo alquanti giorni erano corsi dacchè
    egli aveva a suo modo raffazzonate le Corti di Westminster Hall,
    onde ottenere una sentenza favorevole alla sua potestà di
    dispensare; e adesso si accôrse che, ove non le avesse di nuovo
    raffazzonate, non avrebbe potuto ottenere una decisione in favore
    degli atti della sua Commissione Ecclesiastica. Deliberò, quindi, di
    differire per breve tempo la confisca de' beni liberi de' chierici
    disubbidienti(682).
    
    L. Gli umori della nazione, a dir vero, erano tali da renderlo
    esitante. Per alcuni mesi, il malcontento era venuto grandemente e
    con rapidità crescendo. Il Parlamento da lungo tempo aveva inibita
    la celebrazione del culto cattolico romano. Pel corso di varie
    generazioni, nessun prete cattolico romano aveva osato mostrarsi in
    pubblico con le insegne del proprio ufficio. Contro il clero
    regolare, e contro gl'irrequieti e sottili Gesuiti, erano state
    fatte molte leggi rigorose. Ogni Gesuita che avesse posto piede nel
    Regno, era soggetto ad essere impiccato, strascinato e squartato.
    Coloro che lo avessero scoperto, ricevevano un premio. Non godeva nè
    anche il beneficio della regola generale, che gli uomini non sono
    tenuti ad accusare sè stessi. Chiunque fosse in sospetto di essere
    Gesuita, poteva essere interrogato; e ricusando di rispondere,
    incarcerato a vita(683). Tali leggi, benchè non fossero state poste
    rigorosamente in esecuzione, tranne in tempi di speciale pericolo, e
    benchè non avessero mai impedito i Gesuiti di venire in Inghilterra,
    avevano reso necessario il travestirsi. Ma adesso ogni travestimento
    fu messo da parte. Alcuni insani uomini appartenenti alla religione
    del Re, incoraggiati da lui, ebbero l'orgoglio di sfidare leggi che
    senza verun dubbio erano ancor valide, e sentimenti abbarbicati nel
    cuore del popolo come non lo erano stati mai nei tempi trascorsi.
    Sorsero in ogni dove, per tutto il paese, cappelle cattoliche
    romane. Cocolle, cordoni e rosari vedevansi di continuo per le vie,
    e rendevano attonita una popolazione di cui l'uomo più vecchio non
    aveva mai veduto, tranne sulla scena, un abito monacale. Un convento
    fu innalzato in Clerkenwell, nel luogo dell'antico chiostro di San
    Giovanni. I Francescani occuparono un edificio in Lincoln's Inn
    Fields. I Carmelitani furono acquartierati nella Città. Una congrega
    di Benedettini ebbe alloggio nel Palazzo di San Giacomo. Nel Savoy
    fu edificata ai Gesuiti una vasta casa, con una chiesa e una
    scuola(684). L'arte e la cura onde cotesti padri avevano, per
    parecchie generazioni, educata la gioventù, avevano strappate le
    lodi alle labbra ripugnanti de' Protestanti più savi. Bacone aveva
    detto, che il metodo d'istruzione adoperato nei collegi de' Gesuiti,
    era il migliore che fino allora si conoscesse nel mondo, ed aveva
    mostrato amaro rincrescimento pensando che un sistema cotanto
    ammirevole di disciplina intellettuale e morale dovesse servire agli
    interessi d'una religione cotanto corrotta(685). Non era improbabile
    che il nuovo collegio nel Savoy, sotto la protezione del Re, sarebbe
    diventato formidabile rivale delle grandi scuole di Eaton, di
    Westminster e di Winchester. Poco dopo aperta, la scuola contava
    quattrocento fanciulli, metà circa de' quali erano Protestanti.
    Costoro non erano tenuti ad assistere alla Messa; ma non poteva
    esservi dubbio che la influenza di esperti precettori appartenenti
    alla Chiesa Cattolica Romana, e versati in tutte le arti che valgono
    a conseguire la fiducia e l'affetto della gioventù, non avrebbe
    fatto molti proseliti.
    
    LI. Siffatte cose produssero sommo eccitamento fra il basso popolo,
    il quale sempre è mosso da ciò che tocca i sensi, più presto che da
    ciò che si dirige alla ragione. Migliaia di rozze e ignoranti
    persone, per le quali la potestà di dispensare e la Commissione
    Ecclesiastica erano parole vuote di senso, videro con indignazione e
    terrore un collegio di Gesuiti sorgere sulle rive del Tamigi, frati
    in sottana e cappuccio passeggiare nello Strand, i devoti accorrere
    in folla alle porte de' tempii dove adoravansi le sculte immagini.
    In parecchi luoghi del paese scoppiarono tumulti. In Coventry e in
    Worcester, il culto cattolico romano fu violentemente
    interrotto(686). In Bristol la marmaglia, spalleggiata, secondo fu
    detto, dai magistrati, dette un profano ed indecente spettacolo, in
    cui la Vergine Maria era rappresentata da un buffone, e un'ostia
    finta era portata in processione. Il presidio fu chiamato a
    reprimere la plebaglia. Questa, che sempre era stata lì più che in
    altro luogo del Regno ferocissima, oppose resistenza. Seguirono da
    ambe le parti percosse e ferite(687). Grande era l'agitazione nella
    capitale, e maggiore nella Città propriamente detta, che in
    Westminster. Imperocchè il popolo era avvezzo a vedere le cappelle
    private degli Ambasciatori Cattolici Romani; ma la Città, a memoria
    d'uomo vivente, non era stata mai profanata da cerimonie
    idolatriche. Nondimeno, l'inviato dell'Elettore Palatino,
    incoraggiato dal Re, eresse una cappella in Lime Street. I capi del
    municipio, quantunque fossero uomini posti in quell'ufficio perchè
    riconosciuti come Tory, protestarono contro questo fatto, che,
    dicevano essi, i più dotti gentiluomini in abito lungo consideravano
    illegale. Il Lord Gonfaloniere ricevè ordine di presentarsi dinanzi
    al Consiglio Privato. "Badate a quel che fate" disse il Re,
    "obbeditemi; e non v'impacciate con gentiluomini in abito lungo, o
    in abito corto." Il Cancelliere tosto cominciò ad inveire contro il
    malarrivato magistrato, con quella stessa eloquenza che soleva
    adoperare in Old Bailey. La cappella fu aperta. Tutto il vicinato si
    pose subito in movimento. Gran torme di popolo accorsero a Cheapside
    per aggredire la nuova chiesa. I sacerdoti furono insultati. Un
    crocifisso fu strappato dal luogo, e posto sopra il pozzo della
    parrocchia. Il Lord Gonfaloniere uscì fuori a quietare il tumulto,
    ma fu accolto col grido di "Non vogliamo Dio di legno." La milizia
    civica ebbe comandamento di sgominare la folla; ma partecipava al
    sentimento del popolo; e voci corsero per le file che dicevano: "Noi
    non possiamo in coscienza combattere a pro del papismo(688)."
    
    Lo Elettore Palatino era, come Giacomo, sincero e zelante Cattolico,
    e imperava, al pari di lui, sopra una popolazione protestante; ma i
    due principi si somigliavano poco per indole e per intendimento. Lo
    Elettore aveva promesso di rispettare i diritti della Chiesa ch'egli
    trovò stabilita ne' suoi domini. Aveva rigorosamente mantenuta la
    promessa, e non s'era lasciato trascinare a nessun atto di violenza
    dai predicatori, i quali abborrendo dalla sua credenza,
    dimenticavano di quando in quando il rispetto che gli dovevano(689).
    Seppe, e gliene increbbe, che l'atto imprudente del suo
    rappresentante aveva grandemente offeso il popolo di Londra; e, a
    suo sommo onore, dichiarò ch'egli avrebbe rinunziato al privilegio
    al quale, come principe straniero, aveva diritto, anzi che mettere a
    rischio la tranquillità d'una grande metropoli. "Anch'io" scrisse
    egli a Giacomo "ho sudditi protestanti; e so con quanta cautela e
    destrezza debba agire un principe Cattolico posto in cosiffatte
    condizioni." Giacomo, invece di sentire gratitudine per questa mite
    e savia condotta, mise la lettera in canzone avanti ai ministri
    stranieri; e deliberò che lo Elettore, volesse o non volesse,
    avrebbe una cappella nella Città; e qualora la milizia cittadina
    avesse ricusato di fare il debito proprio, si sarebbero chiamate le
    guardie(690).
    
    LII. Lo effetto che cotesti perturbamenti produssero sul commercio,
    fu assai grave. Il ministro olandese scrisse agli Stati Generali,
    che gli affari alla Borsa erano arrestati. I Commissari delle Dogane
    riferirono al Re, come nel mese che seguì l'apertura della Cappella
    in Lime Street, gl'incassi del porto del Tamigi fossero scemati
    d'alcune migliaia di lire sterline(691). Vari Aldermanni, i quali,
    comecchè fossero realisti zelanti, nominati in ufficio sotto il
    nuovo statuto municipale, avevano molto interesse alla prosperità
    commerciale della città loro, e non amavano nè il papismo nè la
    legge marziale, dettero la loro rinunzia. Ma il Re era risoluto a
    non cedere. Formò un campo militare in Hounslow Heath, dove, in una
    circonferenza di circa due miglia e mezzo, raccolse quattordici
    battaglioni di fanteria, e trentadue squadroni di cavalleria, che
    insieme facevano un'armata di tredici mila combattenti. Ventisei
    pezzi d'artiglieria, e molti carriaggi carichi d'armi e di
    munizioni, furono trascinati dalla Torre, traverso alla città, a
    Hounslow(692). I Londrini, vedendo ragunarsi queste grandi forze
    militari nei dintorni della terra, sentirono un terrore, che in
    breve scemò coll'avvezzarvisi. Visitare Hounslow ne' giorni festivi
    divenne un sollazzo. Il campo offriva lo aspetto d'una vasta fiera.
    Confusa coi moschettieri e coi dragoni, una moltitudine di lindi
    gentiluomini e dame di Soho Square, di borsaiuoli e di sgualdrine di
    Whitefriars co' visi imbellettati, d'infermi in portantine, di frati
    in cappucci e sottane, di servitori coperti di ricche livree, di
    merciaiuoli ambulanti, di fruttaiuole, di impertinenti garzoni di
    bottega e di stupefatti villani, passava di continuo e ripassava fra
    mezzo alle lunghe file delle tende. In alcuni padiglioni udivasi il
    baccano dei beoni, in altri le bestemmie de' giocatori. E davvero,
    il luogo pareva un allegro suburbio della metropoli. Il Re, come ben
    si conobbe due anni dopo, aveva commesso un grande errore. Aveva
    dimenticato che la vicinanza agisce in più modi. Aveva sperato che
    lo esercito avrebbe atterrita Londra; ma lo effetto di questo
    provvedimento fu, che i sentimenti e le opinioni de' cittadini di
    Londra invasero pienamente l'esercito(693).
    
    Erano appena formati gli accampamenti, allorquando corse voce di
    litigi tra i soldati protestanti e i papisti(694). Un breve scritto
    intitolato: Indirizzo a tutti gl'Inglesi protestanti dell'armata, -
    era stato con attività distribuito nel campo. Lo scrittore con
    veementi parole esortava le truppe a pugnare in difesa, non del
    Messale, ma della Bibbia, della Magna Charta e della Petizione de'
    Diritti. Il Governo lo vedeva di mal occhio. Era uomo notevole per
    carattere, e la cui storia può riuscire istruttiva.
    
    LIII. Aveva nome Samuele Johnson, era prete della Chiesa Anglicana,
    e già stato cappellano di Lord Russell. Johnson era uno di quelli
    uomini mortalmente odiati da' loro oppositori, e meno amati che
    rispettati da' loro colleghi. La sua morale era pura, fervido il
    sentimento religioso che gli stava nel cuore, non ispregevoli la
    dottrina e le doti dello ingegno, debole il giudicio, e l'indole
    acre, torbida e invincibilmente ostinata. Per la sua professione,
    egli era venuto in odio agli zelanti sostenitori della monarchia;
    perocchè un repubblicano con gli ordini sacri appariva un ente
    strano, e quasi contro natura. Mentre Carlo regnava, Johnson aveva
    pubblicato un libro col titolo di Giuliano Apostata. Era suo scopo
    mostrare, che i Cristiani del quarto secolo non ammettevano la
    dottrina della non-resistenza. Era agevole addurre passi di
    Crisostomo e di Girolamo, scritti con uno spirito assai diverso da
    quello de' teologi anglicani che predicavano contro la Legge
    d'Esclusione. Johnson, nulladimeno, trascorse anche più oltre. Tentò
    di richiamare a vita l'odioso addebito che, per manifestissime
    ragioni, Libanio aveva gettato sopra i soldati cristiani di
    Giuliano; ed affermò che il dardo che uccise l'imperiale rinnegato,
    partì non dagl'inimici, ma da qualche Rumbold o Ferguson delle
    legioni romane. Ne seguì caldissima controversia. I disputatori Whig
    e Tory lottarono accanitamente intorno ad un passo oscuro, nel quale
    Gregorio Nazianzeno loda un pio vescovo che andava ad infliggere la
    fustigazione ad alcuno. I Whig sostenevano che l'uomo santo andasse
    a fustigare lo imperatore; i Tory, che egli volesse fustigare, a
    tutto dire, un capitano delle Guardie. Johnson compose una risposta
    ai suoi avversarii, nella quale fece un elaborato paragone tra
    Giuliano e Giacomo, allora Duca di York. Giuliano per molti anni
    aveva fatto sembiante di aborrire la idolatria, mentre in cuor suo
    era idolatra. Giuliano aveva, per giungere a certi suoi fini, in
    alcune occasioni simulato di rispettare i diritti della coscienza.
    Giuliano aveva punite le città che erano zelanti per la vera
    religione, spogliandole de' loro privilegii municipali. Giuliano da'
    suoi adulatori era stato chiamato il Giusto. Giacomo si sentì
    provocato a segno, da non poterlo patire. Johnson fu accusato di
    calunnia, convinto reo, e condannato ad una multa che egli non aveva
    mezzi di pagare. Fu quindi gettato in un carcere; e sembrava
    probabile che vi dovesse rimanere per tutta la vita(695).
    
    LIV. Sopra la stanza ch'egli occupava nella prigione del Banco del
    Re, era rinchiuso un altro condannato, il cui carattere è degno di
    studio. Chiamavasi Ugo Speke, ed era giovane di buona famiglia, ma
    di singolarmente bassa e depravata indole. In lui la passione del
    mal fare e di giungere per vie torte ai suoi fini, era quasi
    frenesia. Arruffare senza essere scoperto, era a lui occupazione e
    diletto; ed aveva grande arte di giovarsi degli onesti entusiasti
    come di strumenti della sua fredda malignità. Aveva tentato, per
    mezzo di uno de' suoi fantocci, di spingere Carlo e Giacomo ad
    assassinare Essex nella Torre. Scopertosi lui essere stato lo
    istigatore a quel delitto, quantunque gli fosse riuscito gettare in
    gran parte la colpa sull'uomo da lui sedotto, non gli era venuto
    fatto di sottrarsi al castigo. Adesso era in carcere; ma col danaro
    potè procacciarsi i comodi che ai più poveri prigioni mancavano, ed
    era tenuto con tanto poco rigore, da comunicare di continuo con uno
    de' suoi colleghi che dirigeva una tipografia clandestina.
    
    LV. Johnson era l'uomo adatto ai fini di Speke. Era zelante ed
    intrepido, dotto ed esperto disputatore, ma semplice come un
    fanciullo. Una stretta amicizia nacque fra' due compagni di
    prigione. Johnson scriveva diversi acri e virulenti trattati, che
    Speke faceva giungere allo stampatore. Allorquando formossi il campo
    militare in Hounslow, Speke incitò Johnson a comporre un indirizzo
    per istigare le truppe al disordine. Detto, fatto. Ne furono tirate
    molte migliaia di copie e portate alla stanza di Speke, da dove
    furono sparse per tutto il paese, e in ispecie fra' soldati. Un
    Governo più mite di quello che allora reggeva l'Inghilterra si
    sarebbe risentito a simigliante provocazione. Si fecero rigorose
    ricerche. Un agente subordinato, di cui eransi serviti per
    distribuire l'indirizzo, salvò sè, tradendo Johnson; e Johnson non
    era uomo da salvarsi tradendo Speke. Se ne fece processo, e lo
    scrittore fu dichiarato reo. Giuliano Johnson, come comunemente lo
    chiamavano, fu condannato ad essere tre volte posto alla berlina, e
    fustigato da Newgate a Tyburn. Il giudice, Sir Francesco Withins,
    disse al condannato di dovere rendere grazie al Procuratore
    Generale, che aveva mostrata moderazione, là dove poteva considerare
    il delitto come crimenlese. "Io non gli debbo punto ringraziamenti"
    rispose intrepidamente Johnson. "Debbo io, il cui solo delitto è
    quello di avere difeso la Chiesa e le leggi, mostrarmi grato
    d'essere flagellato a guisa d'un cane, mentre gli scrivacchiatori
    papisti si lasciano ogni giorno impunemente insultare la Chiesa e
    violare le leggi?" La energia con che egli favellò fu tale, che i
    giudici e i legali della Corona stimarono necessario difendersi, e
    protestarono di non saper nulla di pubblicazioni papiste, a cui il
    prigione alludeva. Il quale immantinente si trasse di tasca alcuni
    libri o ninnoli cattolici romani, che allora vendevansi liberamente
    sotto la regia protezione; lesse ad alta voce i titoli di que'
    libri, e gettò un rosario sul banco agli Avvocati del Re; e forte
    gridando, disse: "Io presento questa prova dinanzi a Dio, a questo
    tribunale ed al popolo inglese. Ora vedremo se il Signor Procuratore
    Generale farà il proprio dovere."
    
    Fu deliberato che innanzi di mandare ad esecuzione la sentenza,
    Johnson fosse degradato della dignità sacerdotale. I prelati ai
    quali dalla Commissione Ecclesiastica era stata affidata la cura
    della diocesi di Londra, lo citarono dinanzi a loro nelle stanze del
    Capitolo della Cattedrale di San Paolo. Il modo onde egli subì la
    ceremonia, fece profonda impressione nell'animo di molti. Mentre lo
    spogliavano degli abiti sacerdotali, esclamò: "Voi mi private
    dell'abito sacro, perchè mi sono studiato di tenervi addosso il
    vostro." L'unica formalità che parve contristarlo, fu l'avergli
    strappato dalle mani la Bibbia. Lottò debolmente perchè non gliela
    togliessero, la baciò e diede in uno scoppio di pianto. "Voi non
    potete" disse egli "privarmi delle speranze che io debbo a quel
    libro santo." Tentossi di ottenere che gli fosse perdonata la
    fustigazione. Un sacerdote cattolico romano, a cui fu fatta la
    promessa di duecento lire sterline, s'offerse d'intercedere per lui.
    Fu fatta una colletta, e raccolta la somma; e il prete fece ogni
    possibile sforzo, ma invano. "Il signore Johnson" rispose il Re "ha
    lo spirito d'un martire; ed è giusto che divenga tale." Guglielmo
    III, pochi anni dopo, disse d'uno de' più arrabbiati e imperterriti
    Giacomiti: "Egli s'è fitta in cuore la voglia d'essere martire, ed
    io mi son fitto in capo di privarlo della gloria del martirio."
    Questi due detti basterebbero soli a spiegare lo differentissime
    sorti di quei due Principi.
    
    Giunse il dì stabilito per la fustigazione. Fu adoperato un flagello
    di nove funi. Trecento diciassette furono i colpi; ma il paziente
    non fe' motto. Dopo, confessò che il tormento era stato crudele; ma
    mentre ci veniva trascinato, richiamava al pensiero la pazienza con
    che il Salvatore aveva portata la croce al Golgota; e ne ebbe tanto
    conforto, che se non fosse stato impedito dal timore d'incorrere
    nella taccia di vanaglorioso, avrebbe cantato un salmo con la voce
    ferma e lieta con che avrebbe adorato Dio nella congregazione. E fu
    eroismo da farci desiderare che fosse meno macchiato d'intemperanza
    e d'intolleranza(696).
    
    LVI. Fra il clero anglicano, Johnson non trovò compatimento. Aveva
    tentato di giustificare la ribellione; aveva anche accennato di
    approvare il regicidio; e i preti della Chiesa d'Inghilterra,
    malgrado tanta provocazione, sostenevano tenacemente la dottrina
    della non-resistenza. Ma inquieti e impauriti vedevano il progresso
    di quella che essi consideravano dannosa superstizione; e mentre
    aborrivano dal pensiero di difendere la propria religione con la
    spada, battagliavano con armi di specie diversa. Il predicare contro
    gli errori del papismo, adesso era da loro considerato come dovere e
    punto d'onore. Il clero di Londra, il quale per meriti ed influenza
    primeggiava fra l'ordine sacerdotale, porse un esempio che
    intrepidamente seguirono i suoi confratelli in tutto il Regno. Se
    pochi spiriti audaci avessero osato tanto, sarebbero stati
    probabilmente riconvenuti dinanzi alla Commissione Ecclesiastica; ma
    era quasi impossibile punire un fallo che veniva commesso ogni
    Domenica da migliaia di teologi, da Berwick fino a Penzance. Le
    tipografie della metropoli, d'Oxford e di Cambridge, erano in
    continuo moto. La legge che sottoponeva la stampa alla censura, non
    impediva gli sforzi de' controversisti protestanti; perocchè
    conteneva una clausula a favore delle due Università, ed autorizzava
    la pubblicazione delle opere teologiche approvate dallo Arcivescovo
    di Canterbury. Non era, quindi, in potestà del Governo lo imporre
    silenzio ai difensori della religione dello Stato. Erano una
    numerosa, imperterrita e ben formata legione di combattenti.
    Comprendeva eloquenti favellatori, esperti dialettici, dotti
    profondamente versati nella lettura degli scritti de' Santi Padri,
    ed in ogni ramo di storia ecclesiastica. Alcuni di loro, tempo dopo,
    rivolsero vicendevolmente gli uni contro gli altri le armi
    formidabili, da essi già impugnate contro il nemico comune; e a
    cagione delle feroci contese e delle insolenti vittorie loro,
    recarono biasimo alla Chiesa che avevano salvata. Ma adesso erano
    una falange unita. Stava nel vanguardo una fila di fermi ed esperti
    veterani; Tillotson, Stillingfleet, Sherlock, Prideaux, Whitby,
    Patrick, Tenison, Wake. Il retroguardo era composto dai più insigni
    baccellieri, che studiavano per conseguire il diaconato. Predistinto
    fra le reclute che Cambridge mandava al campo di battaglia, era uno
    scolare del gran Newton. Aveva nome Enrico Wharton, e pochi mesi
    prima era stato capo disputatore, ossia principe della sua classe:
    la sua morte poco appresso fu compianta dagli uomini di ogni
    partito, qual perdita irreparabile per le lettere(697). Oxford
    anch'essa s'inorgogliva d'un giovane, le cui grandi doti
    intellettuali, che facevano il primo esperimento in questo
    conflitto, turbarono poscia per quaranta anni la Chiesa e lo Stato;
    voglio dire di Francesco Atterbury. Da tali ingegni venivano
    discusse tutte le questioni tra papisti e protestanti, ora in istile
    sì popolare che potessero intendere i fanciulli e le donne, ora con
    estremo acume di logica, ed ora con immenso corredo di dottrina. Le
    pretese della Santa Sede, l'autorità della tradizione, il
    purgatorio, la transustanziazione, il sacrificio della Messa,
    l'adorazione dell'ostia, il negare il calice ai laici, la
    confessione, la penitenza, le indulgenze, l'estrema unzione, la
    invocazione dei santi, l'adorazione delle immagini, il celibato del
    clero, i voti monastici, l'uso di celebrare il culto pubblico in una
    lingua ignota al popolo, la corruttela della Corte di Roma, la
    storia della Riforma, i caratteri de' principali riformatori,
    venivano copiosamente discussi. Gran numero di assurde leggende di
    miracoli fatti da' santi e dalle reliquie furono tradotte
    dall'italiano, e pubblicate come esempi delle arti pretine che
    avevano ingannata gran parte della Cristianità. Molti degli scritti
    pubblicati dai teologi anglicani nel breve regno di Giacomo II,
    probabilmente perirono. Coloro che possono anche oggi trovarsi nelle
    nostre grandi biblioteche, formano una congerie di circa ventimila
    pagine(698).
    
    LVII. I Cattolici Romani non cessero senza lottare. Uno di loro,
    chiamato Enrico Hills, era stato nominato stampatore della casa e
    cappella reale, e posto dal Re a capo d'un grande ufficio in Londra,
    dal quale uscivano a centinaia libri e libercoli teologici. Non meno
    operosi in Oxford erano i torchi d'Obadia Walker. Ma, salvo qualche
    cattiva traduzione degli ammirevoli scritti di Bossuet, quelle
    tipografie non pubblicarono cosa alcuna che avesse il minimo pregio.
    Nessun savio e sincero Cattolico Romano poteva negare che i campioni
    della sua Chiesa, e per ingegno e per dottrina, erano di gran lunga
    inferiori ai loro avversari. Il più grande degli scrittori cattolici
    sarebbe stato reputato di terzo ordine. Molti di loro, anche
    qualvolta avessero qualche cosa da dire, non sapevano come dirla. La
    loro religione gli aveva esclusi dalle scuole e università inglesi;
    nè fino al tempo in cui Giacomo ascese al trono, essi avevano
    reputata l'Inghilterra gradita o nè anche sicura residenza. Avevano
    però spesa la più gran parte della loro vita sul continente, e quasi
    disimparata la lingua materna. Quando predicavano, il loro accento
    mezzo forestiero moveva a riso l'uditorio. Pronunziavano le parole a
    mo' di vetturini. La loro locuzione era deturpata da frasi
    straniere; e quando intendevano essere eloquenti, imitavano, come
    meglio potevano, quello che consideravasi come bello stile in quelle
    accademie italiane dove la rettorica, a que' tempi, era caduta nella
    più gran corruzione. Disputatori impacciati da tutti cotesti
    svantaggi, non avrebbero potuto, anche qualora il vero fosse stato
    dalla loro parte, far fronte ad uomini, lo stile de' quali rifulge
    mirabilmente di purità e di grazia(699).  Le condizioni in cui
    la Inghilterra trovatasi nel 1686, non possono esser meglio
    descritte che con le parole dello Ambasciatore Francese. "Il
    malcontento" dice egli "è grande e universale; ma il timore di
    cadere in mali maggiori trattiene tutti coloro che hanno qualche
    cosa da perdere. Il Re apertamente manifesta la gioia che prova
    trovandosi in condizione da potere menare arditissimi colpi. Egli
    ama vedere che altri se ne congratuli con lui. Me ne ha parlato,
    assicurandomi che non vorrà indietreggiare(700)."
    
    LVIII. Frattanto, nelle altre parti del Regno erano accaduti
    importantissimi fatti. Le condizioni de' protestanti Episcopali di
    Scozia grandemente differivano da quelle in cui trovavansi i loro
    confratelli inglesi. Nelle contrade meridionali dell'isola, la
    religione dello Stato era quella del popolo, ed aveva forza al tutto
    indipendente da quella che derivava dal sostegno del Governo. I
    conformisti sinceri erano in molto maggior numero de' papisti e de'
    Protestanti dissenzienti, insieme congiunti. La Chiesa stabilita in
    Iscozia era la Chiesa di pochi. La più parte della popolazione delle
    pianure aderiva fermamente alla disciplina de' Presbiteriani. La
    gran massa de' Protestanti scozzesi abborriva dalla prelatura, come
    istituzione contraria alle divine scritture e d'origine straniera. I
    discepoli di Knox la consideravano quale reliquia delle abominazioni
    della grande Babele. Quel popolo, altero della memoria di Wallace e
    di Bruce, amaramente rammentava come la Scozia, dacchè i suoi
    sovrani erano ascesi al trono dell'Inghilterra, fosse stata
    indipendente solo di nome. L'ordinamento episcopale alla mente di
    ciascuno richiamava la immagine di tutti i danni prodotti da
    venticinque anni di corrotto e crudele Governo. Nulladimeno, tale
    ordinamento, quantunque sopra un'angusta base e fra mezzo a
    terribili procelle, stette, tentennante, a dir vero, ma sostenuto
    dai magistrati civili, e sperante d'essere soccorso, sempre che si
    facesse grave il pericolo, dalla potenza inglese. I ricordi del
    Parlamento di Scozia erano pieni zeppi di leggi spiranti vendetta
    contro coloro che in qualunque modo traviassero dalla meta
    prescritta. Secondo un Atto parlamentare, fatto a tempo di Knox e
    impregnato del suo spirito, era gravissimo delitto ascoltare la
    Messa; delitto che, ripetuto tre volte, diventava capitale(701). Un
    altro Atto, di fresco approvato ad istanza di Giacomo, puniva di
    morte chiunque avesse osato predicare in un conventicolo
    presbiteriano qualunque, ed anche coloro che fossero intervenuti ad
    un conventicolo all'aria aperta(702). La Eucaristia non era, come in
    Inghilterra, degradata alla condizione di Atto di Prova civile; ma
    niuno poteva occupare qualsifosse ufficio, aver seggio in
    Parlamento, o anche diritto di votare nelle elezioni parlamentari,
    senza firmare, prestando giuramento, una dichiarazione che
    riprovasse con fortissime parole i principii e de' papisti e quelli
    de' Convenzionisti(703).
    
    LIX. Nel Consiglio Privato di Scozia erano due partiti, rispondenti
    a quelli che lottavano tra loro in Whitehall. Guglielmo Douglas,
    Duca di Queensberry, era Lord Tesoriere, e per vari anni era stato
    considerato come primo ministro. Era strettamente vincolato, per
    parentela e per simiglianza d'indole e d'opinioni, al Tesoriere
    d'Inghilterra. Entrambi erano Tory, entrambi uomini di cervello
    fervido e di forti pregiudicii, entrambi pronti a secondare il loro
    signore in ogni aggressione contro le libertà civili del suo popolo;
    ma entrambi portavano sincero affetto alla Chiesa dello Stato.
    Queensberry aveva fin dapprima annunziato alla Corte, che non
    avrebbe partecipato a qualunque innovazione concernente la Chiesa.
    Ma fra' suoi colleghi erano vari uomini, non meno di Sunderland,
    spregiatori d'ogni principio. E veramente, la Camera del Consiglio
    d'Edimburgo era stata, per lo spazio di venticinque anni, scuola di
    vizi pubblici e privati; ed alcuni uomini politici ivi educati,
    avevano una così peculiare durezza di cuore e di fronte, che
    Westminster, anche in quella pessima età, non aveva nulla da
    contrapporvi. Il Cancelliere Drummond, Conte di Perth, e suo
    fratello Lord Giovanni Melfort(704), Segretario di Stato,
    studiavansi di supplantare Queensberry. Il Cancelliere aveva già un
    incontrastabile diritto al regio favore, come quello che aveva posto
    in uso una piccola vite per torturare le dita, la quale recava così
    esquisito tormento, che aveva strappato confessioni dalle labbra
    anche di coloro che lo stivaletto, dalla Maestà Sua tanto amato, non
    aveva potuto indurre a confessare(705).
    
    LX. Ma era ben noto che la barbarie non apriva, così agevolmente
    come l'apostasia, il varco al cuore di Giacomo. Alla apostasia,
    dunque, Perth e Melfort ricorsero con certa audace abiettezza, che
    nessuno inglese uomo di Stato avrebbe potuto sperar di uguagliare.
    Dichiararono che ambidue erano stati convertiti dagli scritti
    trovati entro la cassa forte di Carlo II, e che avevano incominciato
    a confessarsi e ad ascoltare la Messa(706). Quanto poco entrasse la
    coscienza nella conversione di Perth, ne fu chiaro argomento l'avere
    egli sposata, pochi giorni dopo, a dispetto delle leggi della
    religione da lui pur allora abbracciata, una sua cugina germana,
    senza provvedersi d'una dispensa. Come il buon Pontefice seppe la
    nuova del fatto, disse, con quello spregio e disdegno convenevole
    alla dignità sua, quella essere una strana specie di
    conversione(707). Ma Giacomo ne rimase più agevolmente satisfatto. I
    due apostati s'appresentarono a Whitehall, dove riceverono tali
    assicurazioni di favore, che provaronsi di apporre direttamente
    addebiti al Tesoriere. Ma tali addebiti erano così manifestamente
    frivoli, che a Giacomo fu forza di assolvere lo accusato ministro; e
    molti credettero che il Cancelliere si fosse rovinato per la maligna
    voglia di rovinare il rivale. Taluno, nondimeno, faceva più esatto
    giudicio. Halifax, al quale Perth manifestò qualche timore, rispose,
    con un sorriso di scherno, che non v'era punto pericolo. "Sta' di
    buon animo, Milord; la tua fede ti ha salvato." La profezia fu vera.
    Perth e Melfort ritornarono a Edimburgo capi del Governo della loro
    patria(708). Un altro membro dei Consiglio Privato di Scozia, cioè
    Alessandro Stuart, conte di Murrey, discendente ed erede del
    Reggente, abiurò quella religione della quale il suo illustre
    antenato era stato precipuo campione, e si dichiarò membro della
    Chiesa di Roma. Devoto, come sempre era stato Queensberry, alla
    causa della regia prerogativa, non poteva resistere ai suoi
    competitori, i quali ambivano, mostrandosi ligii al Sovrano,
    acquistarne la grazia. Gli toccava sostenere mille mortificazioni ed
    umiliazioni, simili a quelle che, verso quel tempo, cominciarono ad
    amareggiare la vita del suo amico Rochester.
    
    LXI. Giunsero a Edimburgo lettere regie che autorizzavano i papisti
    ad occupare gli uffici senza essere sottoposti all'Atto di Prova. Al
    clero fu fatto rigoroso comandamento di non fare nelle prediche
    riflessioni sulla Religione Cattolica Romana. Il Cancelliere si
    tolse il carico di mandare i mazzieri del Consiglio Privato attorno
    per le poche tipografie e librerie che allora si trovavano in
    Edimburgo, ad ordinar loro di non pubblicare nessuna opera senza sua
    licenza. Intendevasi bene che tale ordine doveva impedire la
    circolazione degli scritti protestanti. Un onesto cartolaro disse ai
    mazzieri, ch'egli aveva in bottega un libro che con dure parole
    discorreva del papismo, e chiese di sapere se lo potesse vendere.
    Coloro domandarono di vederlo, ed egli mostrò loro un esemplare
    della Bibbia(709). Un carico d'immagini, di rosari, di croci e di
    turiboli, giunse a Leith, diretto a Lord Perth. La importazione di
    tali cose da lungo tempo consideravasi illegale; ma adesso
    gl'impiegati delle dogane le lasciarono passare liberamente(710).
    Poco dopo si seppe che una cappella papalina era stata accomodata
    nella casa del Cancelliere, e che vi si celebrava regolarmente la
    Messa. Insorse la plebe, ed assaltò ferocemente il luogo dove
    celebravansi i riti idolatrici. Strappò le inferriate delle
    finestre. Lady Perth, ed alcune altre donne sue amiche, furono
    imbrattate di fango. Uno de' faziosi fu preso, e condannato per
    ordine del Consiglio Privato alla fustigazione. I suoi compagni lo
    liberarono, e bastonarono il boia. La città per tutta la notte fu in
    tumulto. Gli studenti della Università si congiunsero alla folla,
    incoraggiando gl'insorti. I borghesi zelanti bevevano alla salute
    de' giovani collegiali, a confusione de' papisti; e vicendevolmente
    facevansi animo ad affrontare i soldati. Questi, che erano già sotto
    le armi, furono ricevuti con una pioggia di sassate, nella quale un
    ufficiale rimase ferito. Fu dato ordine di far fuoco; e vari
    cittadini furono uccisi. Il tumulto fu serio; ma i Drummonds,
    infiammati dall'odio e dall'ambizione, stranamente lo esagerarono.
    Queensberry fece osservare, che la loro relazione avrebbe fatto
    credere, a chiunque non fosse stato testimonio oculare, che in
    Edimburgo fosse seguita una sedizione formidabile quanto quella di
    Masaniello. Essi, all'incontro, accusarono il Tesoriere non solo di
    scemare la gravita del delitto, ma d'averlo suggerito, e fecero ogni
    possibile sforzo a procurarsi una prova della colpa di lui. Ad uno
    de' capi, che cadde nelle mani del Governo, fu offerta la grazia, a
    patto che confessasse d'essere stato incitato a tumultuare da
    Queensberry: ma lo stesso entusiasmo religioso che(711) aveva spinto
    lo sventurato prigione ad illegittima violenza, gl'impedì di
    comprare la propria vita con una calunnia. Egli e vari altri de'
    suoi complici furono impiccati. Un soldato che accusavano d'avere
    gridato, mentre infuriava la sommossa, come egli desiderasse di dare
    addosso con la spada ad un papista, venne fucilato; in Edimburgo fu
    ristabilita la tranquillità: ma coloro che patirono il rigore del
    Governo furono considerati come martiri; e il Cancelliere papista
    divenne segno ad un odio mortale, che tra non molto tempo fu
    ampiamente appagato(712).
    
    LXII. La collera si accese nell'animo del Re. La nuova del tumulto
    gli pervenne mentre la Regina, aiutata dai Gesuiti, aveva pur allora
    riportata vittoria sopra Lady Dorchester(713) e i suoi collegati
    protestanti. I malcontenti si accorgerebbero, disse egli, che il
    solo effetto della resistenza che avevano fatta alla sua volontà,
    era di renderlo sempre più fermo nel proprio proponimento(714).
    Spedì ordini al Consiglio Scozzese di punire con estrema severità i
    colpevoli, e d'adoperare senza ritegno lo stivaletto(715). Simulò di
    essere profondamente convinto della innocenza del Tesoriere, e gli
    scrisse cortesissime parole; alle quali parole tennero dietro
    scortesissimi atti. Il Tesoro scozzese fu affidato ad una
    Commissione, in onta alle calde insistenze di Rochester, il quale
    probabilmente previde la propria sorte in quella del proprio
    parente(716). Queensberry fu nominato Primo Commissario, e
    Presidente del Consiglio Privato; ma la sua caduta, quantunque
    siffattamente addolcita, era sempre una caduta. Gli fu tolto anche
    il comando del Castello d'Edimburgo, ed in quel posto di fiducia gli
    successe(717) il Duca di Gordon, cattolico romano(718).
    
    LXIII. Giunse da Londra al Consiglio Privato una lettera, nella
    quale erano appieno dichiarati gl'intendimenti del Re. Ei voleva che
    i Cattolici Romani fossero esenti dalle leggi che imponevano pene e
    incapacità civili a coloro che non si uniformassero alla religione
    dello Stato; voleva, inoltre, che si perseguissero senza pietà i
    Convenzionisti(719). Ciò incontrò grave opposizione in Consiglio.
    Alcuni non amavano vedere rilassate le leggi esistenti. Altri, che a
    ciò non erano punto contrari, sentivano ancora quanto sarebbe stato
    mostruoso ammettere i Cattolici Romani alle dignità dello Stato, e
    frattanto non revocare l'Atto che puniva di morte chiunque
    intervenisse ad un conventicolo presbiteriano. La risposta del
    Consiglio, quindi, non fu, secondo l'usato, ossequiosa.
    
    LXIV. Il Re riprese severamente gl'irriverenti consiglieri, e ordinò
    che tre di loro, cioè il Duca di Hamilton, Sir Giorgio Lockhart e il
    Generale Drummond, si recassero a Westminster presso lui. L'abilità
    e la istruzione di Hamilton, quantunque non fossero tali da bastare
    a trarre un uomo dall'oscurità, sembravano altamente rispettabili in
    uno che era primo Pari di Scozia. Lockhart era stato da lungo tempo
    considerato come uno de' principali giureconsulti, logici, ed
    oratori che fossero mai stati nella sua patria, e godeva anche
    quella specie di stima che deriva dalle vaste possessioni; perocchè
    la sua opulenza era quale a que' tempi pochi de' nobili scozzesi
    possedevano(720). Era stato, da ultimo, fatto Presidente della Corte
    di Sessione. Drummond, fratello minore di Perth e di Melfort, era
    comandante delle forze in Iscozia. Era uomo dissoluto e profano; ma,
    per un sentimento d'onore, che mancava affatto ai suoi confratelli,
    abborriva dalla pubblica apostasia. Visse e morì, secondo
    l'espressiva frase d'un suo concittadino, da cattivo cristiano, ma
    da buon protestante(721).
    
    Giacomo si compiacque dell'ossequiose parole con che gli favellarono
    i tre consiglieri, allorchè primamente comparvero al suo cospetto.
    Parlò assai bene di loro a Barillon, e in specie esaltò Lockhart,
    come il più esperto ed eloquente degli Scozzesi. Nondimeno, poco
    appresso si accôrse di non averli esattamente giudicati; e corse
    voce alla Corte, che fossero stati pervertiti dalle genti con le
    quali avevano usato famigliarmente in Londra. Hamilton stava molto
    in compagnia de' saldi partigiani della Chiesa Anglicana; e temevasi
    che Lockhart, il quale era congiunto alla famiglia Wharton, fosse
    caduto in una compagnia anche peggiore. E veramente, egli era
    naturale che quelli uomini di Stato, pur allora arrivati da un paese
    dove era quasi sconosciuta ogni altra specie d'opposizione, tranne
    quella che facevasi per mezzo d'aperta insurrezione o d'assassinio,
    e dove tutto ciò che non fosse furore eslege veniva considerato come
    avvilimento, rimanessero maravigliati vedendo il caldo e vigoroso e,
    nondimeno, sobrio scontento che regnava in Inghilterra, e nascesse
    in loro il pensiero di far prova di resistenza costituzionale alle
    voglie del Re. Dichiararonsi però dispostissimi ad alleggiare
    grandemente i Cattolici Romani, ma a due condizioni: primo, che una
    simile indulgenza venisse anco concessa ai settari calvinisti; e
    poi, che il Re promettesse solennemente di non tentar nulla a danno
    della religione protestante.
    
    LXV. Ambedue coteste condizioni spiacquero sommamente a Giacomo.
    Nondimeno, assentì con ripugnanza, dopo parecchi giorni di
    contrasto, che i presbiteriani venissero trattati con qualche
    indulgenza; ma non volle affatto concedere loro la piena libertà
    ch'egli voleva pei membri della sua propria religione(722). La
    seconda condizione proposta da' tre consiglieri Scozzesi, ei ricusò
    positivamente d'ammettere, dicendo: la religione protestante essere
    falsa; per lo che egli non voleva promettere di non giovarsi del
    proprio potere a danno d'una falsa religione. La disputa fu lunga, e
    non condusse a conclusione che soddisfacesse ad alcuna delle
    parti(723).
    
    Appressavasi il tempo stabilito alla ragunanza degli Stati Scozzesi;
    ed era d'uopo che i tre consiglieri si partissero da Londra per
    trovarsi all'apertura del Parlamento in Edimburgo. In questa
    occasione, Queensberry ricevette un altro affronto. Nell'antecedente
    sessione aveva occupato l'ufficio di Lord Alto Commissario, e, come
    tale, rappresentava la maestà del Re assente. Simile dignità, che
    era la grandissima alla quale un nobile scozzese potesse aspirare,
    fu adesso conferita al rinnegato Murray.
    
    LXVI. Il dì vigesimonono d'aprile, il Parlamento s'adunò in
    Edimburgo. Vi si lesse una lettera, nella quale il Re esortava gli
    Stati ad alleggiare i suoi sudditi cattolici romani, ed offriva in
    ricambio il libero traffico con la Inghilterra, e una amnistia pei
    delitti politici. Fu istituita una Commissione onde compilare la
    risposta da farsi al Re. Tale Commissione, quantunque fosse nominata
    da Murray e composta di Consiglieri Privati e di cortigiani, scrisse
    una risposta, piena, a dir vero, di espressioni di riverenza e
    d'ossequio, ma che chiaramente indicava che il Parlamento avrebbe
    respinto la richiesta del Re. Gli Stati - diceva la Commissione -
    sarebbero andati sin dove avrebbe loro consentito la propria
    coscienza, per compiacere ai desiderii della Maestà Sua rispetto ai
    sudditi appartenenti alla Religione Cattolica Romana. Queste
    espressioni non soddisfecero punto il Cancelliere: nondimeno, gli fu
    forza accettarle, ed incontrò anche qualche difficoltà a persuadere
    il Parlamento perchè le adottasse. Alcuni zelanti partigiani del
    protestantismo obiettarono contro le parole Religione Cattolica
    Romana, dicendo non esistere tale religione; bensì una apostasia
    idolatra, che dalle leggi era punita col capestro: non essere quindi
    convenevole ad un Cristiano ricordarla con nomi onorevoli. Chiamare
    Cattolica una simile superstizione, era un rinunziare interamente
    alla questione che agitavasi fra Roma e le Chiese riformate.
    L'offerta del libero traffico con la Inghilterra, fu considerata
    come un insulto. "I nostri padri" disse un oratore "venderono il
    loro Re per l'oro del mezzogiorno; e sopra noi pesa tuttavia il
    rimprovero di quell'iniquo mercato. Non si dica di noi, che abbiamo
    venduto il nostro Dio!" Sir Giovanni Lauder di Fountainhall, uno de'
    Senatori del Collegio di Giustizia, propose le parole "le persone
    comunemente chiamate Cattoliche Romane." - "E che! vorreste voi dare
    tal soprannome a Sua Maestà?" esclamò il Cancelliere. La risposta,
    così come fu formata dalla Commissione, passò; ma una grande e
    rispettabile minoranza votò contro le parole proposte, perchè troppo
    cortigiane(724). E' fu notato che i rappresentanti della città
    mostraronsi, quasi tutti, contrari al Governo. Fino allora essi
    erano stati di poco peso nel Parlamento, e generalmente considerati
    come sottoposti ai nobili potenti. Eglino adesso per la prima volta
    mostrarono indipendenza e risolutezza e spirito di colleganza tali,
    che la Corte ne ebbe terrore(725).
    
    La risposta spiacque talmente a Giacomo, che non permise che si
    stampasse nella Gazzetta. Subito dopo, gli giunse la nuova, che una
    certa legge ch'egli voleva vedere approvata, non sarebbe stata nè
    anche proposta. I Lordi degli Articoli, che avevano l'ufficio di
    formulare gli atti, intorno ai quali poscia gli Stati dovevano
    deliberare, erano virtualmente nominati dal Re. E anche i Lordi
    degli Articoli mostraronsi disubbidienti. Come si ragunarono i tre
    Consiglieri Privati, che erano di recente ritornati da Londra, si
    fecero capi della opposizione alle voglie del Re. Hamilton dichiarò
    apertamente di non poter fare ciò che gli veniva chiesto. Egli era
    suddito fido e leale; ma v'era un limite imposto dalla coscienza.
    "La coscienza!" esclamò il Cancelliere "la coscienza è una parola
    vaga, che significa ogni cosa, o niente." Lockhart, che sedeva in
    Parlamento come rappresentante della grande Contea di Lanark,
    l'interruppe dicendo: "Se la coscienza è una parola vuota di senso,
    la cambieremo con altra frase, che spero significhi qualche cosa.
    Tolgasi dunque via il vocabolo coscienza, e si adotti - le leggi
    fondamentali di Scozia." Queste parole fecero nascere una virulenta
    discussione. Il Generale Drummond, che rappresentava la Contea di
    Perth, dichiarò di concordare con l'opinione di Hamilton e di
    Lockhart. La maggior parte de' vescovi ivi presenti furono del
    medesimo parere(726).
    
    Bene si scorgeva che nè anche nel Comitato degli Articoli Giacomo
    poteva avere una maggioranza. Tali nuove lo afflissero e lo
    irritarono. Parlò in tono d'ira e di minaccia, e punì alcuni de'
    suoi sediziosi ministri, sperando che ciò agli altri servisse
    d'ammonimento. Parecchi furono cacciati di Consiglio; altri privati
    delle pensioni, che erano molta parte delle loro entrate. Sir
    Giorgio Mackenzie di Rosehaugh fu la più cospicua di quelle vittime.
    Aveva lungamente occupato l'ufficio di Lord Avvocato, ed aveva avuta
    tanta parte nella persecuzione de' Convenzionisti, che fino ai dì
    nostri presso l'austero e religioso contadiname di Scozia serba una
    odiosa rinomanza, quasi simile a quella di Claverhouse. Mackenzie
    non aveva profondi studii giuridici; ma come ingegno dotto,
    spiritoso e fecondo, era altamente riputato fra' suoi concittadini;
    e la sua rinomanza si era sparsa per tutte le botteghe di Città in
    Londra e pei chiostri di Oxford. Quel che ci rimane delle sue
    orazioni forensi, lo fa estimare uomo fornito di egregie doti
    intellettuali; se non che il suo stile è imbrattato di quelle
    ch'egli certamente considerava come grazie ciceroniane: cioè di
    esclamazioni, che mostrano più arte che passione, e di
    amplificazioni studiate, in cui gli epiteti sono, l'uno sopra
    l'altro, accumulati in pesantissimo modo. Adesso, per la prima
    volta, aveva manifestati scrupoli; e però, nonostante tutti i suoi
    diritti alla gratitudine del Governo, fu destituito del suo ufficio.
    Si ritrasse in campagna, e poco dopo andò a Londra onde scolparsi,
    ma gli fu negato l'accesso alla regia presenza(727). Intanto che il
    Re in tal guisa provavasi di atterrire i Lordi degli Articoli, e
    indurli alla cieca ubbidienza, la pubblica opinione gl'inanimiva a
    non cedere. Gli estremi sforzi del Cancelliere non poterono far sì,
    che il sentire della nazione non si manifestasse dal pulpito e dalla
    stampa. Un libretto scritto con tale audacia ed acrimonia che nessun
    tipografo volle rischiarsi a stamparlo, girava per tutti i luoghi
    manoscritto. Le scritture degli avversarii avevano molto minore
    effetto, quantunque fossero diffuse a spese pubbliche, e gli
    Scozzesi difensori del Governo fossero soccorsi da un collega
    inglese di gran fama; voglio dire da Lestrange, che era stato
    mandato a Edimburgo ed alloggiava in Holyrood House(728).
    
    Alla perfine, dopo tre settimane di continuo discutere, i Lordi
    degli Articoli vennero ad una risoluzione. Proposero semplicemente,
    che ai Cattolici Romani fosse permesso di adorare Dio nelle case
    private, senza incorrere nelle pene comminate dalle leggi; e tosto
    si conobbe, che quantunque tale provvisione fosse assai lontana
    dalle richieste e speranze del Re, gli Stati o non l'avrebbero
    approvata affatto, o l'avrebbero approvata con grandi restrizioni e
    modificazioni.
    
    Mentre ferveva la contesa, Londra era in grande ansietà. Ogni
    relazione, ogni rigo giunto da Edimburgo, era avidamente letto. Un
    giorno spargevasi la voce che Hamilton avesse ceduto, e che il
    Governo l'avrebbe vinta in tutto. Un altro arrivava la nuova che la
    opposizione si fosse rianimata, e si mostrasse più ostinata che mai.
    Nei momenti più critici, ordinavasi agli ufficii postali di mandare
    a Whitehall le valigie della Scozia. Per tutta una settimana, nè
    anche una lettera privata che venisse di là dal Tweed, fu
    distribuita in Londra. Ai tempi nostri, un simile interrompimento di
    comunicazione metterebbe sossopra l'isola intera; ma allora v'era
    così poco traffico e carteggio tra l'Inghilterra e la Scozia, che il
    danno fu probabilmente molto minore di quello che oggidì arrechi un
    breve indugio nello arrivo della valigia delle Indie. Mentre i mezzi
    ordinari di sapere le nuove erano in tal modo intercetti, la folla
    nelle gallerie di Whitehall osservava intentamente il contegno del
    Re e de' suoi ministri. Fu detto, a grande soddisfazione del popolo,
    che ogni qualvolta giungeva un corriere dal Nord, gl'inimici della
    religione protestante avevano aspetti sempre più tristi. Finalmente,
    con universale esultanza, fu annunziato che la lotta era terminata,
    il Governo non aveva potuto fare adottare le proposte misure, e il
    Lord Alto Commissario aveva aggiornato il Parlamento(729).
    
    LXVII. Se Giacomo non fosse stato sordo ad ogni ammonimento, questi
    fatti sarebbero bastati ad ammonirlo. Pochi mesi avanti, il più
    ossequioso de' Parlamenti Inglesi aveva ricusato di cedere ai voleri
    di lui. Ma il più ossequioso de' Parlamenti Inglesi poteva
    considerarsi come un'assemblea animosa e indipendente in agguaglio
    di qualunque Parlamento che fosse mai stato in Iscozia; e lo spirito
    servile de' Parlamenti Scozzesi, era da trovarsi in altissimo grado
    estratto, dirò così, e condensato ne' Lordi degli Articoli. Ed anche
    costoro s'erano mostrati disubbidienti. Era, dunque, chiaro che
    tutte le classi, tutte le istituzioni che fino a quell'anno erano
    state considerate come i più forti puntelli della monarchia,
    persistendo il Re nella sua insana politica, fossero da reputarsi
    come parte della forza dell'opposizione. Nulladimanco, tutti cotesti
    segni gli tornavano inutili. Ad ogni querela egli dava una sola e
    medesima risposta; cioè che non cederebbe mai, perocchè le
    concessioni erano state la rovina di suo padre; e alla sua
    invincibile fermezza facevano plauso la Legazione Francese e la
    cabala gesuitica.
    
    Quindi dichiarò d'essere stato troppo generoso allorchè s'indusse a
    richiedere che gli Stati Scozzesi assentissero ai suoi desiderii. La
    regia prerogativa gli dava potestà di proteggere gli amici e di
    punire gli oppositori suoi. Fidavasi che in Iscozia la sua potestà
    di dispensare non gli verrebbe contrastata da nessuna corte di
    legge. Ivi esisteva un Atto di Supremazia, il quale dava al Sovrano
    tale un predominio sopra la Chiesa, che avrebbe potuto satisfare
    anco Enrico VIII. E però i Papisti furono ammessi in folla agli
    ufficii ed agli onori. Il vescovo di Dunkeld, che come Lord del
    Parlamento aveva fatta opposizione al Governo, fu arbitrariamente
    cacciato dalla sua sede, e gli fu dato un successore. Queensberry fu
    destituito da tutti i suoi impieghi, ed ebbe ordine di rimanere in
    Edimburgo, finchè fossero ricerchi ed approvati i conti del Tesoro
    per tutto il tempo della sua amministrazione(730). E perchè i
    rappresentanti delle città erano stati i più sediziosi del
    Parlamento, fu deliberato di modificare ogni borgo in tutto il
    Regno. Simile cangiamento era stato poco innanzi fatto in
    Inghilterra per mezzo di sentenze giudiciarie; ma in quanto alla
    Scozia, un semplice mandato del Principe reputavasi sufficiente.
    Furono inibite tutte le elezioni de' Magistrati e Consigli
    municipali; e il Re assunse il diritto di nominare da sè
    gl'individui a quegli ufficii(731). In una lettera formale al
    Consiglio Privato annunziò che intendeva di erigere una Cappella
    Cattolica Romana nel palazzo di Holyrood; e comandò che i Giudici
    considerassero come nulle tutte le leggi contro i papisti, a pena
    d'incorrere nella sua disgrazia. Confortò nondimeno i Protestanti
    Episcopali, assicurando loro che comunque egli fosse deliberato di
    proteggere la Chiesa Cattolica Romana contro loro, era egualmente
    deliberato a protegger loro contro ogni usurpazione dalla parte de'
    fanatici. A cotesta lettera Perth propose una risposta, espressa con
    servilissime parole. Il Consiglio comprendeva molti papisti; e i
    membri protestanti che continuavano a sedervi, erano intimiditi
    dalla ostinazione e severità del Re; ed osavano appena sommessamente
    mormorare. Hamilton profferì alcune parole contro la potestà di
    dispensare, ma affrettossi a palliarle spiegandole. Lockhart disse,
    che avrebbe amato meglio perdere il capo, anzi che apporre la sua
    firma ad una lettera quale era quella composta dal Cancelliere; ma
    ebbe destrezza di dire tali cose così piano, che fu udito dai soli
    amici. Le parole di Perth furono approvate con frivolissime
    modificazioni; gli ordini del Re furono eseguiti; ma un cupo
    scontento si diffuse in tutta quella minoranza della nazione
    scozzese, con l'aiuto della quale il Governo fino allora aveva
    tenuto in freno la maggioranza(732).
    
    LXVIII. Allorquando lo storico di questo perturbato regno rivolge lo
    sguardo alla Irlanda, l'opera sua diventa singolarmente difficile e
    delicata. Ei procede - per usare la squisita immagine adoperata in
    simigliante occasione da un poeta latino - sopra un fuoco
    d'ingannatrici ceneri coperto. Il secolo decimosettimo, in quello
    sventurato paese, ha lasciato al decimonono un fatale retaggio di
    maligne passioni. Nessuna delle due razze ha perdonato di cuore i
    vicendevoli torti recati dai Sassoni difensori di Londonderry, e dai
    Celti difensori di Limerick. Fino ai dì nostri, una più che spartana
    alterigia deturpa le molte insigni qualità che caratterizzano i
    figli de' vincitori; mentre un sentimento da Iloti, misto d'odio e
    di paura, si manifesta troppo spesso ne' figli de' vinti.
    
    Nessuna delle caste avverse può equamente andare assoluta dal
    biasimo; ma il maggior biasimo tocca a quell'insensato e testardo
    principe, il quale, posto in condizioni di poterle riconciliare,
    adoperò tutta la sua possa a soffiare nel fuoco della nimistà loro,
    e in fine le costrinse ad affrontarsi e pugnare per la vita e la
    morte.
    
    LXIX. Gli aggravi che i membri della sua Chiesa sostenevano in
    Irlanda, differivano grandemente da quelli ch'egli tentava di far
    cessare in Inghilterra e in Iscozia. Il Libro degli Statuti
    Irlandesi, poscia deturpato da una intolleranza barbara quanto
    quella de' tempi barbarici, allora conteneva appena un solo Atto, e
    non molto rigoroso, che imponesse penalità ai papisti, considerati
    come tali. Al di qua del Canale di San Giorgio, ciascun prete che
    avesse ricevuto un neofito nel grembo della Chiesa di Roma, era
    soggetto ad essere appeso alle forche e squartato. Al di là del
    Canale non correva simile pericolo. Un Gesuita che approdasse a
    Dover, metteva a repentaglio la vita, mentre poteva in sicurtà
    passeggiare per le vie di Dublino. Tra noi, niuno poteva occupare un
    ufficio, o anche procacciarsi da vivere come avvocato o maestro di
    scuola, senza avere solennemente prestato il giuramento di
    supremazia; ma in Irlanda un pubblico funzionario non era tenuto a
    prestare tale giuramento, se non quando gli veniva formalmente
    imposto(733). La qual cosa non escludeva dagl'impieghi niuno che il
    Governo avesse voluto promuovere. La prova sacramentale e la
    dichiarazione contro la transustanziazione erano ignote; ed ambedue
    le Camere del Parlamento ammettevano nel proprio seno gl'individui
    di qualunque setta religiosa si fossero.
    
    LXX. Parrebbe, adunque, che l'Irlandese Cattolico Romano fosse in
    posizione tale, da essere invidiato da' suoi confratelli
    d'Inghilterra e di Scozia. In fatto, nondimeno, le sue condizioni
    erano più misere ed ardue delle loro; imperciocchè, quantunque non
    fosse perseguitato come Cattolico Romano, era oppresso come
    Irlandese. Nel suo paese, il medesimo confine che partiva le
    religioni, divideva le razze; ed egli apparteneva alla razza vinta,
    soggiogata ed avvilita. Nel medesimo suolo stanziavano due
    popolazioni, localmente mescolate, ma mortalmente e politicamente
    divise. La differenza di religione non era la sola, e forse nè anche
    la principale differenza che esistesse tra loro. Discendevano da
    genti diverse, parlavano diversa lingua. Non solo differivano di
    carattere, ma l'una era opposta all'altra, quanto lo possono essere
    due qualunque altri caratteri di razze diverse in Europa:
    differivano per grado di civiltà. Tra coteste due popolazioni non
    poteva essere se non poca simpatia; e secoli di calamità e di danni
    hanno fatto nascere un forte vicendevole abborrimento. La relazione
    che la minoranza aveva con la maggioranza, somigliava a quella de'
    commilitoni di Guglielmo il Conquistatore co' villani sassoni, o a
    quella de' seguaci di Cortes cogl'Indiani del Messico.
    
    Il nome d'Irlandesi allora davasi esclusivamente ai Celti, e a
    quelle famiglie, le quali, ancorchè non fossero d'origine celtica,
    avevano nel decorso degli anni adottati i celtici costumi. Queste
    genti, che erano probabilmente un po' meno d'un milione, aderivano,
    tranne poche, alla Chiesa di Roma. Fra mezzo a loro risedevano circa
    dugento mila coloni, alteri del loro sangue sassone e della loro
    fede protestante(734).
    
    La grande preponderanza del numero da una parte, era più che
    controbilanciata da una gran superiorità d'intelligenza, di vigore e
    d'ordine, dall'altra. Sembra che gl'Inglesi ivi stabiliti fossero
    per istruzione, energia e perseveranza più presto sopra che sotto
    l'ordinario livello della popolazione della madre patria.
    All'incontro, il contadiname aborigeno era in uno stato quasi
    selvaggio. Non lavoravano, se non quando sentivano il pungolo della
    fame. Contentavansi d'abitazioni inferiori a quelle che in paesi più
    prosperi servivano per i bestiami domestici. Già la patata, radice
    la quale può essere coltivata quasi senza arte, industria o spesa, e
    non può lungamente tenersi ammassata in gran quantità, era divenuta
    lo alimento del popolo comune(735). Da genti che siffattamente
    vivevano, non era da aspettarsi diligenza nè preveggenza. Anche a
    poche miglia da Dublino, il viandante, in un suolo che è il più
    fertile e verdeggiante che sia nel mondo, vedeva con disgusto le
    misere capanne, innanzi alle quali i barbari, squallidi e seminudi,
    stavano attoniti a guardarlo mentre passava(736).
    
    LXXI. L'aristocrazia aborigena serbava ancora l'orgoglio della sua
    nascita, ma aveva perduto la influenza che deriva dalla ricchezza e
    dal potere. Le terre de' signori erano state da Cromwell partite
    fra' suoi seguaci. Parte, a dir vero, del vasto territorio da lui
    confiscato, era stato reso, dopo la restaurazione della Casa
    Stuarda, agli antichi proprietari: ma grandissima parte rimaneva in
    mano degl'Inglesi, ivi stabiliti sotto la guarentigia di un Atto del
    Parlamento. Questo atto era rimasto in vigore pel corso di
    venticinque anni; e per virtù di quello, erano state fatte ipoteche,
    concessioni, vendite e fitti innumerevoli. Gli antichi gentiluomini
    irlandesi erano dispersi per tutto il mondo. I discendenti de'
    capitani Milesii brulicavano in tutte le corti e in tutti i campi
    militari del Continente. Quelli spogliati possidenti che rimanevano
    tuttavia nella patria loro, ripensavano amaramente alle loro
    perdite, piangevano la dignità od opulenza di che erano stati
    privati, e nutrivano le feroci speranze d'un'altra rivoluzione. Un
    individuo appartenente a cotesto ceto, veniva dipinto da' suoi
    concittadini come un gentiluomo che sarebbe dovizioso ove gli fosse
    resa giustizia, e che sarebbe provveduto d'un ricco stato ove
    potesse riaverlo(737). Rade volte ei si dava a qualche pacifica
    occupazione. Reputava il commercio più disonorevole del ladroneccio.
    Talvolta ei diventava predone; tal'altra, a dispetto della legge,
    studiavasi di vivere a spese degli antichi affittuari di sua
    famiglia, i quali, per quanto tristi fossero le loro condizioni, non
    potevano ricusare parte del loro alimento ad uno che essi
    seguitavano a considerare come legittimo signore(738). Quel
    gentiluomo che avesse avuta la sorte di serbare o riavere qualcuna
    delle sue terre, spesso viveva a guisa di principotto d'una tribù
    selvaggia, e delle umiliazioni che la razza dominante gli faceva
    soffrire, rifacevasi governando dispoticamente i propri vassalli,
    immerso nelle voluttà d'un rozzo harem, o abbrutendosi
    quotidianamente con liquori spiritosi(739). Politicamente, ei non
    contava nulla. Egli è vero che non v'era statuto che lo escludesse
    dalla Camera de' Comuni; ma aveva quasi tanto poca probabilità ad
    essere eletto membro del Parlamento, quanto negli Stati Uniti ne ha
    un mulatto ad essere eletto senatore. Difatti, un solo papista,
    dalla Ristaurazione in poi, era stato eletto al Parlamento
    Irlandese. Il potere legislativo ed esecutivo era interamente nelle
    mani dei coloni inglesi; la preponderanza de' quali era sostenuta da
    un'armata stanziale di sette mila uomini, del cui zelo per ciò che
    chiamavasi gl'interessi inglesi, il Governo di Londra poteva
    fidarsi(740).
    
    Rigorosamente esaminando la cosa, si conoscerà che nè l'Irlandismo
    nè l'Inglesismo formavano un corpo perfettamente omogeneo. La
    distinzione fra gl'Irlandesi di razza celtica, e gl'Irlandesi
    discendenti dai seguaci di Strongbow e di De Burgh, non era affatto
    cancellata. I Fitz alcuna volta osavano parlare con dispregio degli
    O' e dei Mac; e questi talvolta siffatto dispregio ricambiavano con
    l'odio. Nella precedente generazione, uno de' più potenti degli O'
    Neill ricusò di mostrare il più lieve segno di rispetto a un
    gentiluomo cattolico romano d'origine normanda. "Dicesi che la sua
    famiglia sia rimasta tra noi per quattro cento anni. Non importa. Io
    odio quel villano come se fosse arrivato ieri(741)." Nulladimeno, e'
    pare che tali sentimenti fossero rari, e che la lotta la quale da
    lungo tempo ardeva fra i Celti aborigeni e gl'Inglesi degeneri,
    avesse pressochè ceduto alla lotta più feroce che divideva ambedue
    le razze dalla colonia moderna e protestante.
    
    LXXII. La colonia era anch'essa lacerata da intestine contese, sì
    nazionali che religiose. Di quei che la componevano, i più erano
    Inglesi; ma non pochi erano delle contrade meridionali della Scozia.
    Metà appartenevano alla Chiesa Anglicana; gli altri erano
    Dissenzienti. Ma in Irlanda lo Scozzese e l'Inglese erano fortemente
    vincolati dalla comune origine: l'Anglicano e il Presbiteriano lo
    erano dal protestantismo comune. Tutti i coloni avevano comuni la
    lingua e gl'interessi pecuniarii. Erano circondati da nemici comuni,
    e potevano vivere sicuri per mezzo di cautele e sforzi comuni. Per
    le quali cose, le poche leggi penali che erano state fatte in
    Irlanda contro i Protestanti Non-Conformisti, erano lettera
    morta(742). La bacchettoneria dei più ostinati partigiani della
    Chiesa, non poteva allignare al di là del Canale di San Giorgio.
    Appena il Cavaliere giungeva in Irlanda e vedeva che senza valido e
    coraggioso aiuto de' suoi compatriotti puritani, egli e tutta la sua
    famiglia avrebbe corso pericolo d'essere assassinato da' ladroni
    papisti, l'odio ch'ei sentiva contro il Puritanismo, cominciava, suo
    malgrado, ad intiepidire e spegnersi. Fu notato da uomini illustri
    di ambedue i partiti, che un Protestante il quale in Irlanda veniva
    chiamato Tory, in Inghilterra sarebbe stato tenuto per Whig
    moderato(743).
    
    I Protestanti Non-Conformisti da parte loro tolleravano, con
    pazienza maggiore di quanta potesse da loro aspettarsi, la vista del
    più assurdo ordinamento ecclesiastico che sia mai stato nel mondo.
    Quattro arcivescovi e diciotto vescovi erano impiegati a reggere
    circa la quinta parte del numero degli Anglicani che abitavano nella
    sola diocesi di Londra. Del clero parrocchiale, gran parte erano
    pluralisti, e risedevano lungi dalle loro cure. V'erano alcuni che
    dai propri beneficii ricavavano poco meno di mille lire sterline di
    rendita annua, senza mai adempire al loro ufficio spirituale. E non
    pertanto. questa istituzione mostruosa ai Puritani stabiliti in
    Irlanda, spiaceva meno che la Chiesa Anglicana ai settari inglesi.
    Imperocchè in Irlanda le scissure religiose erano subordinate alle
    nazionali; e il Presbiteriano, mentre come teologo non poteva non
    condannare la gerarchia stabilita, sentiva per essa una specie di
    compiacimento, qualvolta la considerava come un sontuoso e pomposo
    trofeo della vittoria riportata dalla illustre razza da cui
    discendeva(744).
    
    In tal modo i mali che pativano i Romani Cattolici irlandesi, non
    avevano nulla di comune con quelli de' Cattolici inglesi. Il
    Cattolico Romano delle Contee di Lancaster o di Stafford altro far
    non doveva che diventare protestante, e subito trovavasi, per ogni
    rispetto, nel medesimo livello in cui erano i suoi vicini: ma se i
    Cattolici Romani di Munster o di Connaught si fossero fatti
    protestanti, sarebbero sempre rimasti un popolo soggetto. Tutti i
    danni che il Cattolico Romano avesse potuto patire, in Inghilterra,
    erano effetto di durissime leggi, e vi si poteva porre rimedio con
    leggi più liberali. Ma fra le due popolazioni che abitavano in
    Irlanda, era una ineguaglianza, la quale non essendo cagionata dalle
    leggi, non poteva per virtù di quelle cessare. Lo impero che l'una
    esercitava sull'altra, era quello della opulenza, sopra la povertà,
    del sapere sopra l'ignoranza, e della cultura sopra la barbarie.
    
    LXXIII. E' parve che lo stesso Giacomo, in sul principio del suo
    regno, conoscesse perfettamente le sopra esposte cose. I
    perturbamenti dell'Irlanda, diceva egli, nascevano non dalle
    differenze tra Cattolici e Protestanti, ma da quelle tra Irlandesi
    ed Inglesi(745). Le conseguenze che da tali premesse avrebbe dovuto
    dedurre, erano chiare; ma, sventuratamente, per lui e per l'Irlanda,
    ei non seppe conoscerle.
    
    Se si fosse potuta mitigare la sola animosità nazionale, non v'è
    dubbio che l'animosità religiosa, non essendo tenuta desta da crude
    leggi penali, e da rigorosi Atti di Prova, si sarebbe spenta da sè.
    Calmare una animosità nazionale simile a quella che vicendevolmente
    sentivano le due razze abitatrici della Irlanda, non poteva essere
    opera di pochi anni. Nondimeno, un savio e buon principe vi avrebbe
    potuto molto contribuire; e Giacomo l'avrebbe potuto imprendere con
    vantaggi che nessuno de' suoi predecessori o successori ebbe
    giammai. Come Inglese e Cattolico Romano, egli apparteneva mezzo
    alla casta dominatrice e mezzo alla dominata, e però aveva i
    requisiti necessari a far la parte di mediatore fra esse. Nè riesce
    difficile indicare la via ch'egli avrebbe dovuto prendere. Avrebbe
    dovuto dichiarare inviolabile la proprietà territoriale esistente,
    ed annunziare ciò in modo così efficace da calmare l'ansietà de'
    nuovi possidenti, e da estinguere le sinistre speranze che i vecchi
    proprietari potessero nutrire. Poco importava chiarirsi se vi fosse
    ingiustizia nel passaggio de' beni da uno ad un altro individuo.
    Quel passaggio, giusto o ingiusto, era seguito tanti anni innanzi,
    che rovesciarlo sarebbe stato il medesimo che crollare le fondamenta
    della società. È d'uopo che ci sia un limite di tempo ad ogni
    diritto. Dopo trentacinque anni di non interrotto possesso, dopo
    venticinque anni di possesso solennemente guarentito dalle leggi,
    dopo innumerevoli fitti e cessioni, ipoteche e legati, era troppo
    tardi porre ad esame la validità de' titoli. Nondimeno, qualche cosa
    si sarebbe potuta fare a guarire, i cuori lacerati e rialzare, le
    prostrate fortune de' gentiluomini irlandesi. I coloni erano in
    prospere condizioni. Avevano grandemente migliorate le loro terre
    facendovi su fabbricati, piantagioni e chiuse. In pochi anni la
    rendita era quasi raddoppiata; il commercio era vivo; e le pubbliche
    entrate, che ascendevano quasi a trecento mila sterline l'anno,
    erano più che bastevoli alle spese del Governo locale, e davano un
    avanzo che mandavasi in Inghilterra. Non v'era dubbio alcuno, che il
    primo Parlamento che si fosse ragunato in Dublino, ancorchè
    rappresentasse quasi esclusivamente gl'interessi inglesi, in
    ricompensa alla promessa che il Re avrebbe fatta di mantenere
    quegl'interessi ne' loro diritti legali, gli avrebbe volentieri
    concessa una considerevolissima somma onde indennizzare, almeno in
    parte, le famiglie irlandesi ingiustamente spogliate. In cotesto
    modo, a' tempi nostri, il Governo Francese pose fine ai litigi nati
    dalla più vasta confisca che sia mai stata in Europa. E in simil
    modo, se Giacomo avesse seguito il parere de' suoi consiglieri
    protestanti, avrebbe almeno grandemente mitigato uno dei precipui
    mali che affliggevano l'Irlanda(746).
    
    Fatto ciò, egli avrebbe dovuto affaticarsi a porre in armonia le
    razze avverse, proteggendo imparzialmente i diritti e frenando gli
    eccessi di entrambe. Avrebbe dovuto punire con pari severità
    l'indigeno che trascorreva alla licenza della barbarie, e il colono
    che abusava della forza della civiltà. Fino al punto cui poteva
    giungere la legittima autorità della Corona - e in Irlanda era molto
    estesa - niuno che per occupare un ufficio avesse i requisiti
    d'integro e di esperto, avrebbe dovuto esserne escluso a cagione
    della razza alla quale apparteneva e della religione che professava.
    È probabile che un Re Cattolico Romano, potendo liberamente disporre
    d'una grossa rendita, avrebbe, senza grave difficoltà, potuto
    persuadere i prelati e i preti cattolici romani a cooperare con lui
    nella grande impresa della riconciliazione. Molto, nondimeno,
    sarebbe rimasto a farsi dalla mano riparatrice del tempo. La razza
    natia avrebbe dovuto imparare dalla colonia la industria e la
    preveggenza, le arti del vivere civile, e la lingua
    dell'Inghilterra. Non poteva essere uguaglianza tra uomini che
    abitavano dentro case, e uomini che stavansi dentro porcili; tra gli
    uni che si cibavano di pane, o gli altri che alimentavansi di
    patate; tra quelli che parlavano la nobile favella di grandi
    filosofi e poeti, e questi che, con pervertito orgoglio, vantavansi
    di non potere contorcere la loro bocca a balbettare un gergo nel
    quale erano scritti gli Augumenti delle Scienze e il Paradiso
    perduto(747). Nulladimeno, non è irragionevole il credere che se la
    moderata politica la quale siamo venuti esponendo, fosse stata
    fermamente seguita dal Governo, ogni distinzione si sarebbe andata a
    poco a poco cancellando; e adesso non vi sarebbe vestigio della
    ostilità che ha formata la sciagura della Irlanda, come non ne
    esiste della avversione che un tempo regnava tra i Sassoni e i
    Normanni in Inghilterra.
    
    LXXIV. E fu sventura che Giacomo, invece di farsi mediatore,
    divenisse il più feroce e dissennato uomo di parte. Invece di
    calmare il rancore delle due popolazioni, l'infiammò fino ad un
    punto non mai prima veduto. Deliberò di invertire(748) la loro
    posizione relativa, e porre i coloni protestanti sotto i piedi de'
    Celti papisti. Appartenere alla Chiesa Anglicana, essere di razza
    inglese, era agli occhi suoi un demerito per conseguire gli uffici
    civili e militari. Meditava il disegno di confiscare nuovamente e
    partire il suolo di mezza l'isola; e manifestava così chiaramente
    tale pensiero, che una classe degli abitatori dell'Irlanda fu tosto
    agitata da terrori ch'ei poscia invano volle calmare, e l'altra da
    speranze ch'egli poi vanamente si studiò di frenare. Ma questa era
    piccolissima parte della sua colpa e demenza. Stabilì
    deliberatamente, non solo di dare agli abitatori aborigeni
    dell'isola l'intero possesso del loro paese, ma di giovarsene anche
    come strumenti per istabilire la tirannide in Inghilterra. L'esito
    di questo divisamento fu quale era da prevedersi. I coloni si posero
    in sulle difese, con la invincibile pertinacia della loro razza. La
    madre patria considerava come sua propria la causa loro. Allora
    seguì una lotta disperata per una terribile partita di giuoco, sulla
    quale ambe le parti posero ogni cosa più caramente diletta: nè
    possiamo giustamente biasimare l'Irlandese o l'Inglese per avere, in
    tanta estremità, ubbidito alla legge della propria difesa. Il
    conflitto fu tremendo, ma breve. Il più debole cedette. La sua sorte
    fu crudele; e nondimeno la crudeltà onde fu trattato, era degna, non
    di difesa, ma di scusa; imperocchè, quantunque egli avesse sofferto
    tutto ciò che la tirannia possa infliggere, non patì più di quanto
    egli stesso avesse inflitto altrui. Lo effetto dell'insano attentato
    di soggiogare la Inghilterra per mezzo della Irlanda, fu che
    gl'Irlandesi divennero servitori degl'Inglesi. Gli antichi
    possidenti sforzandosi di ricuperare ciò che avevano perduto,
    perderono la maggior parte di ciò che era loro rimasto. Il breve
    predominio del papismo produsse poi tal numero di leggi barbare
    contro il papismo, che il libro statutario d'Irlanda è passato in
    proverbio d'infamia per tutta la Cristianità. Tali furono gli amari
    frutti della politica di Giacomo.
    
    Abbiamo già veduto che uno de' primi suoi atti, dopo che ascese al
    trono, fu quello di richiamare Ormond dalla Irlanda. Ormond in quel
    Regno era considerato come capo degl'interessi inglesi; aderiva
    fermamente alla religione protestante; e il suo potere eccedeva
    d'assai quello di un ordinario Lord Luogotenente, prima perchè per
    grado ed opulenza era il più grande fra' coloni, e poi perchè non
    solo era capo dell'amministrazione civile, ma anco comandante delle
    forze. Il Re, in quel tempo, non voleva affidare interamente ad un
    Irlandese il Governo. Vero è ch'egli avea detto che un vicerè nativo
    dell'isola, sarebbe presto diventato sovrano indipendente(749). Per
    allora, quindi, ei pensò di partire il potere di che Ormond era
    rivestito, dando l'amministrazione civile ad un Lord Luogotenente
    inglese e protestante, e il comando delle armi ad un Irlandese
    Cattolico Romano. Lord Luogotenente fu fatto Clarendon; Comandante
    dello esercito Tyrconnel.
    
    Tyrconnel discendeva, secondo che sopra abbiamo detto, da una di
    quelle degeneri famiglie di Pale, che comunemente erano annoverate
    fra la popolazione primigenia d'Irlanda. Talvolta chiacchierando
    parlava con albagia normanna dei barbari Celti(750), ma in fatto
    parteggiava per i naturali dell'isola. Odiava i coloni protestanti,
    i quali lo rimeritavano di pari abborrimento. Clarendon sentiva
    assai diversamente; ma per indole, interesse e principii, era un
    ossequioso cortigiano. Aveva animo basso; trovavasi in circostanze
    impacciate; ed aveva la mente profondamente imbevuta delle dottrine
    che la Chiesa Anglicana aveva a quei tempi con tanta assiduità
    propagate. Nondimeno, era fornito di doti non ispregevoli; e sotto
    un buon Re, forse sarebbe stato un rispettabile vicerè.
    
    LXXV. Circa nove mesi erano scorsi dal richiamo d'Ormond allo arrivo
    di Clarendon in Dublino. In quell'intervallo di tempo, il Re era
    rappresentato da un Consiglio di Lordi Giudici; ma l'amministrazione
    militare era nelle mani di Tyrconnel. Già i disegni della Corte
    cominciavano a svolgersi. Un ordine reale giunse da Whitehall per
    disarmare la popolazione. Tale ordine fu rigorosamente eseguito da
    Tyrconnel, rispetto agl'Inglesi. Benchè le campagne fossero
    infestate da bande di ladroni, un gentiluomo protestante appena
    poteva impetrare licenza di tenere un paio di pistole. Al
    contadiname del paese, dall'altra parte, fu concesso di tenere le
    armi(751). La esultanza de' coloni perciò fu grande; allorchè,
    finalmente, nel dicembre del 1685, Tyrconnel fu chiamato a Londra, e
    Clarendon spedito a Dublino. Ma tosto si conobbe che la direzione
    del Governo Irlandese era di fatto in Londra, non in Dublino. Ogni
    corriere postale che giungeva dal Canale di San Giorgio, recava
    nuove della infinita influenza che Tyrconnel esercitava nelle cose
    irlandesi. Dicevasi che sarebbe fatto Marchese, Duca, comandante
    delle armi; che gli sarebbe affidata la impresa di riordinare
    l'armata e le Corti di Giustizia(752).
    
    LXXVI. Clarendon rimase amaramente mortificato al trovarsi come un
    membro subordinato in quella amministrazione, della quale egli aveva
    creduto d'essere il capo. Lamentavasi che qualunque cosa egli
    facesse, fosse male rappresentata da' suoi detrattori: e che i più
    gravi provvedimenti intorno al paese da lui governato, erano fatti
    in Westminster, resi noti al pubblico, discussi nelle botteghe di
    Caffè, scritti in migliaia di lettere private, vari giorni prima che
    ne fosse dato avviso al Lord Luogotenente. Poco importargli, diceva,
    la sua dignità personale; ma non esser cosa lieve, che il
    rappresentante della maestà del trono fosse reso zimbello al
    pubblico disprezzo(753). La paura rapidamente si diffuse fra
    gl'Inglesi appena conobbero che il vicerè, loro concittadino e
    protestante, non poteva proteggerli secondo che avevano sperato.
    Cominciarono a fare amaro esperimento di ciò che importi essere una
    casta soggetta. Erano molestati dagl'indigeni con accuse di
    crimenlese e di sedizione. Questo protestante aveva carteggiato con
    Monmouth; quell'altro aveva con poco rispetto favellato del Re
    quattro o cinque anni innanzi, mentre si discuteva la Legge
    d'Esclusione; e la testimonianza del più infame degli uomini serviva
    a provare la colpa. Il Lord Luogotenente riferì, che temeva, ove non
    si fosse posto fine a siffatto modo d'agire, in Dublino tra breve
    sarebbe stato il regno del terrore simile a quello che s'era veduto
    in Londra, allorchè l'onore e la vita de' cittadini erano nelle mani
    di Oates e di Bedloe(754).
    
    A Clarendon fu, dopo poco tempo, annunziato, in un conciso dispaccio
    di Sunderland, il principe avere deliberato di fare senza indugio un
    pieno cangiamento nel Governo civile e militare dell'Irlanda, e di
    porre negli uffici un gran numero di Cattolici Romani; e si
    aggiungeva, con pochissima grazia, che la Maestà Sua aveva in tali
    cose chiesto consiglio a uomini più competenti del suo inesperto
    Lord Luogotenente(755).
    
    Avanti che cotesta lettera fosse pervenuta al vicerè, la nuova di
    ciò che vi si conteneva era per vari mezzi arrivata in Irlanda. Il
    terrore de' coloni fu immenso. Essendo inferiori di numero alla
    popolazione indigena, la loro condizione sarebbe stata tristissima
    se la popolazione indigena si fosse armata contro loro di tutti i
    poteri dello Stato: e tale, nientemeno, era la minaccia. Gli Inglesi
    abitanti di Dublino passava l'uno accanto all'altro per le vie con
    afflitto sembiante. Nella Borsa i negozi erano sospesi. I possidenti
    affrettavansi a vendere a qualunque prezzo le loro terre, e mandare
    in Inghilterra le somme ricavate. I trafficanti cominciavano ad
    assestare i loro conti, ed apparecchiavansi a ritirarsi dai
    commerci. Lo effetto della paura tosto si risentì nella pubblica
    rendita(756). Clarendon tentò d'ispirare agli impauriti quella
    fiducia ch'ei non aveva in cuore. Assicurò loro, che la proprietà
    sarebbe stata considerata come sacra; e disse di sapere di certa
    scienza, che il Re era determinato di mantenere l'Atto, così
    chiamato, di Stabilimento, che guarentiva i loro diritti sulle
    terre. Ma al Governo in Inghilterra egli scriveva in tono diverso.
    Rischiossi per fino a querelarsi del Re, e senza biasimare lo
    intendimento che Sua Maestà aveva d'impiegare i Cattolici Romani,
    suggerì con vigorose parole, che i Cattolici Romani destinati agli
    impieghi fossero inglesi(757).
    
    La risposta di Giacomo fu secca e fredda. Dichiarò, come egli non
    intendesse privare i coloni inglesi delle terre loro, ma molti di
    loro ei teneva suoi nemici; e dacchè consentiva di lasciare tutta
    l'opulenza nelle mani degl'inimici, era maggiormente necessario che
    l'amministrazione civile e militare fosse posta in quelle degli
    amici suoi(758).
    
    Per le quali cose, vari Cattolici Romani furono chiamati al
    Consiglio Privato; e spedironsi ordini ai municipii perchè
    ammettessero i Cattolici Romani ai privilegi municipali(759). A
    molti ufficiali dell'esercito fu arbitrariamente tolto e grado e
    pane. Invano il Lord Luogotenente patrocinò la causa di parecchi,
    che egli sapeva essere buoni soldati e leali sudditi. Fra costoro
    erano vecchi Cavalieri, che avevano strenuamente pugnato per la
    monarchia, e che portavano onorate cicatrici. Ne' loro posti furono
    messi uomini i quali altro merito non avevano che la loro religione.
    Dicevasi che de' nuovi capitani e luogotenenti alcuni erano stati
    bifolchi, altri servitori, altri anche predoni; taluni erano così
    assuefatti a portare scarponi, che inciampavano e procedevano
    stranamente impacciati ne' loro stivali da soldati. Non pochi degli
    ufficiali destituiti arruolaronsi nell'esercito olandese, e quattro
    anni dopo provarono il diletto di sconfiggere ignominiosamente i
    loro successori, e cacciarli oltre le acque del Boyne(760).
    
    L'angoscia e il timore di Clarendon si accrebbero ad una nuova che
    gli giunse per vie private. Senza la sua approvazione, senza nè
    anche fargliene saper nulla, facevansi apparecchi per armare e
    disciplinare tutta la popolazione celtica dell'isola di cui egli era
    governatore di solo nome. Tyrconnel da Londra dirigeva le cose; e i
    prelati cattolici erano suoi agenti. Ciascun prete era stato
    richiesto di compilare una lista di tutti i suoi parrocchiani
    maschi, atti alle armi, e mandarla al suo Vescovo(761).
    
    LXVII. Già correva voce che Tyrconnel sarebbe tra breve ritornato a
    Dublino, investito di poteri straordinari e indipendenti; e la voce
    ogni giorno maggiormente spandevasi. Il Lord Luogotenente, che per
    nessuno insulto al mondo sapeva indursi a rinunziare alla pompa e
    agli emolumenti del suo ufficio, dichiarò che avrebbe piegata la
    fronte dinanzi al volere del Re, e si sarebbe mostrato in ogni cosa
    suddito obbediente e fedele. Disse di non avere mai in vita sua
    avuto il minimo litigio con Tyrconnel, ed era sicuro che nè anche
    adesso nascerebbe differenza tra loro(762). E' pare che Clarendon
    non si rammentasse della congiura fatta a rovinare la fama della sua
    innocente sorella, della quale congiura Tyrconnel era stato precipuo
    macchinatore. Simigliante ingiuria non è tale che un uomo d'alto
    animo possa agevolmente perdonare. Ma nella malvagia corte nella
    quale gli Hydes si erano tanto tempo affaccendati a farsi lo stato,
    simiglianti ingiurie venivano di leggeri perdonate e poste in oblio,
    non mai per magnanimità di carità cristiana, ma per semplice
    abiettezza e difetto di senso morale. Nel giugno 1686, Tyrconnel
    giunse in Irlanda. Il regio mandato l'autorizzava solamente a
    comandare le truppe; ma aveva istruzioni concernenti tutte le parti
    dell'amministrazione, e a un tratto si recò in mano il Governo
    effettivo dell'isola. Il dì dopo il suo arrivo, esplicitamente
    dichiarò, che gli uffici dovevano largamente darsi ai Cattolici
    Romani, e che per ciò era d'uopo mandar via i Protestanti. Si dette
    con pertinacia ed ardore a riordinare l'armata. E davvero ch'era
    questa l'unica delle funzioni di comandante supremo ch'egli potesse
    adempire: poichè, quantunque fosse coraggioso nelle risse e ne'
    duelli, non conosceva punto l'arte militare. Alla prima rassegna
    ch'egli fece, coloro i quali gli stavano da presso poterono
    chiaramente accorgersi che egli non sapeva guidare un
    reggimento(763).
    
    LXXVIII. Cacciare dall'armata gl'Inglesi e porvi gl'Irlandesi, era,
    secondo la sua opinione, il principio e il fine dell'amministrazione
    della guerra. Ebbe l'insolenza di cassare il capitano delle Guardie
    del Corpo del Lord Luogotenente; nè Clarendon seppe di ciò ch'era
    seguíto, se non quando vide un Cattolico Romano, il cui volto gli
    giungeva nuovo, scortare il suo cocchio di gala(764). Il cangiamento
    non si limitò ai soli ufficiali. Le file furono pienamente disfatte
    e rifatte. Quattro o cinquecento soldati furono reietti da un solo
    reggimento, principalmente sotto pretesto d'essere di statura
    inferiore a quella richiesta dalla legge. Nulladimeno, anche
    l'occhio più inesperto conobbe a un tratto che essi erano più atti e
    meglio formati de' loro successori, il cui aspetto selvaggio e
    squallido disgustava i riguardanti(765). Ai nuovi ufficiali fu
    ingiunto di non arruolare nessun soldato protestante. I reclutatori,
    invece di battere i loro tamburi per raccogliere volontari nelle
    fiere e nei mercati, secondo l'antica usanza, recavansi ai luoghi a'
    quali i Cattolici Romani solevano andare in devoto pellegrinaggio.
    In poche settimane, il Generale aveva posto nello esercito più di
    due mila reclute indigene; e chi gli stava dappresso, con sicurtà
    affermava che pel dì di Natale in tutta l'armata non sarebbe rimasto
    nè anche un soldato di razza inglese(766).
    
    In tutte le questioni che sorgessero nel Consiglio Privato,
    Tyrconnel mostravasi similmente violento e parziale. Giovanni
    Keating, Capo giudice de' Piati Comuni, uomo insigne per abilità,
    integrità e lealtà, espose con modi assai miti, che tutto ciò che il
    Generale potesse ragionevolmente chiedere per la sua propria Chiesa,
    era la perfetta uguaglianza. Disse, il Re aver voluto manifestamente
    intendere, che nessun uomo meritevole della fiducia pubblica dovesse
    essere escluso perchè Cattolico Romano, e nessuno immeritevole della
    pubblica fiducia dovesse essere ammesso perchè Protestante.
    Tyrconnel subito cominciò a vomitare imprecazioni e bestemmie. "Io
    non so che rispondere a ciò; ma devono essere tutti Cattolici
    Romani(767)." I più assennati Irlandesi aderenti alla Religione
    Cattolica rimasero atterriti alla demenza di lui, e provaronsi di
    rimproverarlo; ma li cacciò via imprecando(768). La sua brutalità
    trascorreva tant'oltre, che molti lo credevano ammattito. Eppure,
    era meno strana della svergognata volubilità con che gli uscivano di
    bocca le bugie. Lungo tempo prima aveva acquistato il soprannome di
    Lying Dick Talbot (il bugiardo Guglielmo Talbot); e a Whitehall ogni
    strana finzione veniva chiamata una delle verità di Dick Talbot.
    Adesso giornalmente mostrava d'essere ben meritevole di cotesta non
    invidiabile riputazione. E davvero in lui il mentire era una
    infermità. Dopo d'aver dato ordini di destituire gli ufficiali
    inglesi, era capace di condurli nelle sue segrete stanze, e
    assicurarli della fiducia ed amicizia che sentiva per loro, dicendo:
    "Dio mi confonda, mi sperda, mi fulmini s'io non avrò a cuore i
    vostri interessi." Talvolta coloro ai quali aveva fatto simili
    giuramenti, sapevano, innanzi che il giorno si chiudesse, d'essere
    stati destituiti(769).
    
    LIX. Al suo arrivo, quantunque bestemmiasse oscenamente contro
    l'Atto di Stabilimento, e chiamasse gl'interessi inglesi cosa
    iniqua, cosa scellerata, cosa maledetta, simulò nondimeno d'esser
    convinto che la distribuzione delle proprietà, non si poteva, dopo
    sì lungo corso d'anni, alterare(770). Ma giorni dopo, cangiò
    linguaggio. In Consiglio si mise a declamare con veemenza intorno
    alla necessità di rendere le terre agli antichi padroni. Ma non
    aveva per anche ottenuto l'assenso del Re a codesto fatale disegno.
    Nella mente di Giacomo, il sentimento nazionale tenzonava ancora
    debolmente contro la superstizione. Egli era uomo inglese; era Re
    inglese; e non poteva, senza tristi presentimenti, acconsentire alla
    destruzione della maggior colonia che l'Inghilterra avesse mai
    fondata. Gl'inglesi Cattolici Romani, ai quali aveva costume di
    chiedere consiglio, furono di quasi unanime opinione a favore
    dell'Atto di Stabilimento. Non solo l'onesto e moderato Powis, ma il
    dissoluto e testardo Dover, porsero savi e patriottici consigli.
    Tyrconnel mal poteva sperare di frustrare da lungi lo effetto che
    tali ammonimenti producevano nella mente del Re. Deliberò, quindi,
    di difendere in persona la causa della sua casta; e però, verso la
    fine d'Agosto, partì per l'Inghilterra.
    
    LXXX. Sì la presenza che l'assenza di lui erano egualmente cagione
    di timore al Lord Luogotenente. Gli era veramente doloroso vedersi
    ogni giorno umiliato dal suo nemico; ma non eragli di minor dolore
    il sapere che il suo nemico ogni giorno susurrava calunnie(771) e
    pessimi consigli alle orecchie del Principe. Clarendon era
    tormentato da molte e diverse vessazioni. In una sua gita
    nell'interno dell'isola, s'era veduto trattare con disprezzo dalla
    popolazione irlandese. I preti cattolici romani esortavano le loro
    congregazioni a non fargli nessun atto di riverenza. I gentiluomini
    indigeni invece di andare a complirlo, rimanevano nelle proprie
    case. Il contadiname indigeno da per tutto cantava canzoni in lingua
    ersa in lode di Tyrconnel, il quale tra breve sarebbe riapparso ad
    umiliare pienamente i loro oppressori(772). Il vicerè era appena
    ritornato a Dublino dalla sua poco soddisfacente gita, allorquando
    gli giunsero lettere che gli annunciavano il Re essere seriamente
    sdegnato contro di lui. La Maestà sua - dicevano tali lettere -
    aspettarsi che i suoi ministri non solo adempissero i suoi
    comandamenti, ma gli adempissero di cuore e con esultanza. Esser
    vero che il Lord Luogotenente non aveva ricusato di cooperare alla
    riforma dell'armata e dell'amministrazione civile, ma averlo fatto
    con ripugnanza e con negligenza: il suo aspetto avere tradito il
    sentimento dell'animo: tutti essersi accorti com'egli disapprovasse
    la politica che gli era stato commesso di recare ad effetto(773).
    Immerso in amarissima angoscia, scrisse lettere onde difendersi; ma
    gli fu bruscamente annunziato, la sua difesa non essere
    soddisfacente. Allora, con abiettissime parole, dichiarò che non
    avrebbe tentato di giustificarsi; si sarebbe sobbarcato riverente
    alla sentenza, qualunque si fosse, del principe; si sarebbe
    prostrato nella polvere onde implorare perdono, dacchè egli
    sincerissimamente pentivasi, e riputava glorioso il morire pel suo
    sovrano: ma gli era impossibile di vivere percosso dall'ira di lui.
    Tali parole non movevano da sola ipocrisia d'interesse, ma, almeno
    in parte, da animo prettamente servile e meschino; avvegnachè, nelle
    lettere di confidenza non destinate ad andare sotto gli occhi del
    Re, Clarendon si spassionasse nel medesimo tono lamentevole con la
    propria famiglia: sè essere degno di pietà, sè ruinato, sè non aver
    forza da sostenere la collera del Re, sè non curare punto la vita
    ove non vi fosse mezzo a placare l'ira dell'adorato principe(774).
    Il misero si sentì accrescere in cuore lo spavento, come seppe
    essersi già deliberato in Whitehall di richiamare lui, e fargli
    succedere il suo rivale e calunniatore Tyrconnel(775). E in tanto,
    per alcun tempo l'avvenire parve rischiararsi; il Re era di buon
    umore; e per pochi giorni Clarendon s'illuse credendo che la
    intercessione del fratello fosse prevalsa, e la tempesta
    abbonacciata(776).
    
    LXXXI. La tempesta, invece, era appena incominciata. Mentre
    Clarendon studiavasi di appoggiarsi a Rochester, Rochester non
    bastava a sostenere sè stesso. Come in Irlanda il fratello maggiore,
    quantunque avesse le Guardie d'onore, la spada dello Stato e il
    titolo d'Eccellenza, era sottoposto di fatto al Comandante delle
    armi; così in Inghilterra il fratello minore, quantunque ritenesse
    il bastone bianco e la precedenza, in grazia del suo alto ufficio,
    sopra i grandi nobili ereditari, andava diventando un semplice
    impiegato nelle finanze. Il Parlamento fu nuovamente prorogato a un
    tempo lontano, contro i noti desiderii del Tesoriere. Nè anche gli
    fu detto che doveva esservi un'altra proroga, ma ei ne lesse la
    nuova nella Gazzetta. La effettiva direzione degli affari era
    passata nelle mani della cabala, che il venerdì pranzava a casa di
    Sunderland. Il Gabinetto si ragunava solo per udire la lettura de'
    dispacci giunti dalle Corti straniere; nè tali dispacci contenevano
    più di quel che si sapesse alla Borsa Reale; imperocchè tutte le
    legazioni inglesi avevano ricevuto ordini di porre nelle lettere
    officiali solo i discorsi ordinari delle anticamere, e comunicare
    privatamente i segreti importanti a Giacomo stesso, a Sunderland o a
    Petre(777). E di ciò la vincitrice fazione non era paga. Coloro de'
    quali il Re si fidava, gli dicevano che la ostinatezza con che la
    nazione avversava i disegni di lui, era veramente da attribuirsi a
    Rochester. In che guisa avrebbe potuto il popolo credere che il
    sovrano fosse incrollabilmente risoluto a perseverare nella via
    nella quale s'era messo, vedendogli a lato, ostensibilmente primo
    per possanza e fiducia fra i suoi consiglieri, un uomo che, come
    tutti sapevano, disapprovava grandemente quella via? Ogni passo che
    il principe aveva fatto ad umiliare la Chiesa Anglicana, ed esaltare
    quella di Roma, era stato avversato dal Tesoriere. Era pur vero, che
    qualvolta aveva sperimentata vana ogni opposizione, egli si era
    sottomesso di malavoglia; chè anzi aveva cooperato a mandare ad
    esecuzione quegli stessi progetti ch'egli aveva con estremo calore
    contrastati. Egli era vero che, quantunque abborrisse la Commissione
    Ecclesiastica, aveva consentito di essere uno de' Commissari. Era
    anche vero, che mentre dichiarava di non trovare nessuna cagione di
    biasimo nella condotta del vescovo di Londra, aveva ripugnantemente
    votato a favore della sentenza che lo cacciò dalla sua sede. Ma ciò
    non era bastevole. Un principe dedito ad un'intrapresa così grave ed
    ardua come quella in cui Giacomo s'era messo, aveva diritto
    d'esigere dal suo primo ministro, non una acquiescenza fatta mal
    volentieri e senza grazia, ma una zelante e fortissima cooperazione.
    Mentre con tali consigli la cabala tentava di continuo l'animo di
    Giacomo, gli giungevano per la posta-di-un-soldo molte lettere
    cieche, ripiene di calunnie contro il Lord Tesoriere. Questo modo
    d'aggressione era stato immaginato da Tyrconnel, e concordava
    perfettamente con ogni azione della sua vita infame(778).
    
    Il Re esitava. E' sembra, a dir vero, che portasse singolare affetto
    al suo cognato, e per l'affinità, e per la lunga dimestichezza, e
    per molti scambievoli buoni uffici. Pareva probabile che finchè
    Rochester avesse continuato a sottoporsi, quantunque lento e
    mormorando, alle voglie del Re, sarebbe rimasto, di nome, primo
    ministro. Sunderland, quindi, con finissima astuzia suggerì al
    proprio signore la convenevolezza di chiedere a Rochester l'unica
    prova d'obbedienza; prova che Rochester, senza alcun dubbio, non
    avrebbe mai data. Per allora - tale era il linguaggio dello scaltro
    segretario - tornava al Re impossibile consigliarsi col primo de'
    suoi ministri intorno a ciò che gli stava più a cuore.
    
    LXXXII. Era doloroso il pensare che i pregiudicii religiosi, in sì
    grave negozio, dovessero privare il Governo di un tanto aiuto. Forse
    non era impossibile vincere simiglianti pregiudicii. Allora lo
    ingannatore bisbigliò sapere che Rochester di recente avesse
    manifestato qualche dubbio intorno i punti in questione tra i
    Protestanti e i Cattolici(779). Ciò fu bastevole perchè il Re
    prendesse un partito. Cominciò a lusingarsi di potersi sottrarre
    alla necessità di allontanare da sè un amico, e nel tempo stesso
    assicurarsi un esperto coadiutore alla grand'opera ch'era in via di
    compiere. Fu anche solleticato dalla speranza d'acquistare il merito
    e la gloria di avere salvata un'anima dalla eterna perdizione. E'
    pare in verità, che intorno questo tempo fosse invaso da un insolito
    e violento accesso di zelo per la sua religione: la qual cosa è più
    da notarsi in quanto era pur allora ricaduto, dopo un breve
    intervallo d'astinenza, nella dissolutezza; che tutti i teologi
    cristiani condannano come peccaminosa, e che in un uomo maturo, ed
    ammogliato ad una giovine e leggiadra donna, anche dai mondani è
    giudicata riprovevole. Lady Dorchester era ritornata da Dublino, e
    nuovamente divenuta concubina del Re. Politicamente il suo ritorno
    non era d'alcuna importanza. Aveva imparato per propria esperienza,
    essere stoltezza ogni prova di salvare il suo amante dalla
    distruzione a cui correva diritto. E però lasciò che i Gesuiti lo
    guidassero nella condotta politica. Nondimeno, ella era la sola di
    parecchie donne abbandonate, che a quel tempo dividesse con la
    Chiesa Cattolica l'impero nel cuore di lui(780). Sembra ch'ei
    pensasse di fare ammenda di aver trascurata la salute dell'anima
    propria, dandosi cura delle anime altrui. Si pose, adunque, ad
    operare con sincera volontà, ma con la volontà d'un animo aspro,
    severo ed arbitrario, per la conversione del suo cognato. In ogni
    udienza accordata al Tesoriere, il tempo era speso ad argomentare
    intorno all'autorità della Chiesa ed al culto delle immagini.
    Rochester aveva fermo in cuore di non abiurare la propria religione;
    ma non pativa scrupoli a ricorrere, per difendersi, ad artifici
    disonorevoli al pari di quelli che altri aveva adoperati ad
    offenderlo. Simulava di parlare come uomo che ondeggi nel dubbio,
    mostrava desiderio di essere illuminato ove si trovasse nell'errore,
    si faceva prestare libri papisti, ed ascoltava cortesemente i
    teologi papisti. Ebbe vari colloqui con Leyburn vicario apostolico,
    con Godden cappellano e limosiniere della Regina vedova, e con
    Bonaventura Giffard, teologo educato alla polemica nelle scuole di
    Doaggio. Fu stabilito che vi sarebbe una disputa formale tra cotesti
    dottori ed alcuni ecclesiastici protestanti. Il Re disse a
    Rochester, di scegliere qualunque ministro della Chiesa Anglicana,
    da due soli all'infuori. I due esclusi erano Tillotson e
    Stillingfleet. Tillotson, il più popolare predicatore di que' tempi,
    e per costumi l'uomo più inoffensivo del mondo, aveva stretta
    relazione con alcuni dei principali Whig; e Stillingfleet, che avea
    voce di destro maneggiatore di tutte le armi della controversia, era
    anche più esoso a Giacomo per avere pubblicata una risposta agli
    scritti trovati nella cassa forte di Carlo II. Rochester elesse i
    due regi Cappellani, che per avventura trovavansi di servizio. Uno
    di loro chiamavasi Simone Patrick, i cui commentari sopra la Bibbia
    formano ancora parte delle biblioteche teologiche; l'altro era Jane,
    Tory virulento, il quale aveva cooperato a formulare il decreto, con
    cui la università d'Oxford aveva abbracciate le peggiori follie di
    Filmer. La conferenza seguì in Whitehall il dì 30 novembre.
    Rochester, che voleva non si sapesse lui avere consentito a porgere
    ascolto agli argomenti de' preti papisti, si fece promettere
    secretezza. Non fu presente altro uditore che il Re. La discussione
    versò intorno alla presenza reale. I teologi cattolici romani
    assunsero l'incarico di provarla. Patrik e Jane ragionarono poco; nè
    era mestieri consumare(781) molte parole, perocchè lo stesso Conte
    imprese a difendere la dottrina della sua Chiesa; e come soleva
    succedergli, tosto riscaldato dal conflitto, perdè il proprio
    contegno, e domandò con gran forza, se era da sperarsi ch'egli si
    inducesse mai a cangiare religione per argomenti sì frivoli. Poi si
    rammentò del rischio che egli correva, cominciò nuovamente a
    dissimulare, lodò i dottori per l'arte e la dottrina che avevano
    mostrata nella disputa, e chiese tempo a meditare sopra ciò che
    avevano detto(782).  Comecchè Giacomo fosse di tardo
    intendimento, non poteva non accorgersi che il cognato non diceva da
    senno. Il Re disse a Barillon, che il linguaggio di Rochester non
    era quello d'un uomo che sinceramente desideri di giungere al vero.
    Nondimeno, non amava di proporre al cognato direttamente di eleggere
    o l'apostasia o la destituzione: ma tre dì dopo la conferenza,
    Barillon recossi a visitare il Tesoriere, e con lunga
    circonlocuzione e molte espressioni d'amichevole affetto, gli rivelò
    la spiacevole verità. "Intendete forse" disse Rochester imbrogliato
    dalle confuse e cerimoniose frasi del ministro francese, "intendete
    forse che ove io non mi faccia Cattolico, la conseguenza ne sarà che
    debba perdere il mio posto?" - "Non parlo punto di conseguenze"
    rispose lo scaltro diplomatico. "Vengo solamente come amico a dirvi
    ch'io spero che abbiate cura di tenere il vostro posto." - "Ma
    certo," disse Rochester "ciò chiaramente significa che o mi debba
    fare Cattolico, o andar via." Gli fece molte dimande onde chiarirsi
    se Barillon parlasse per ordine del principe, ma non potè ricavarne
    se non vaghe e misteriose risposte. Infine, simulando una fiducia
    ch'egli non aveva punto, disse a Barillon che s'era lasciato
    ingannare dalle oziose ciarle de' maligni, e concluse: "Vi dico che
    il Re non mi destituirà, e ch'io non rinunzierò mai. Io conosco lui;
    egli conosce me; e non ho timore di nessuno." Il Francese rispose
    essere lieto, essere incantato di sentir ciò; e che l'unica cagione
    onde era stato mosso ad intromettersi in cotesta faccenda, era stata
    la sincera ansietà ch'egli provava per la prosperità e l'onore del
    suo egregio amico il Tesoriere. E in tal guisa partironsi, ciascuno
    illudendosi d'avere gabbato l'altro(783).
    
    Intanto, malgrado le promesse di serbare il secreto, la nuova che il
    Lord Tesoriere avesse consentito ad essere ammaestrato nelle
    dottrine del papismo, erasi sparsa per tutta Londra. Patrick e Jane
    erano stati veduti entrare per quella porta misteriosa che conduceva
    alle stanze di Chiffinch. Alcuni Cattolici Romani che rigiravano in
    Corte, avevano indiscretamente o ad arte propalato tutto ciò che
    sapevano, ed altro ancora. I Tory aderenti alla Chiesa Anglicana,
    stavano ad aspettare più fondate notizie. Incresceva loro il pensare
    che il loro capo si fosse mostrato ondeggiante nelle proprie
    opinioni; ma non sapevano indursi a credere ch'ei sarebbe sceso alla
    abbiettezza d'un rinnegato. Lo sventurato ministro, straziato a
    un'ora dalle sue feroci passioni e dai suoi bassi desiderii,
    molestato dal pubblico biasimo e dalle parole allusive di Barillon,
    trepidante di perdere la riputazione e l'ufficio, si condusse alle
    secrete stanze del Re, col proponimento di mantenere lo impiego, ove
    avesse potuto farlo, abbassandosi ad ogni specie d'infamia, tranne
    una sola. Farebbe sembiante di tentennare nelle sue opinioni
    religiose, e d'essere mezzo convertito; prometterebbe di sostenere
    con ogni sua possa quella politica fino allora da lui oppugnata: ma
    nel caso che ei si vedesse ridotto agli estremi, ricuserebbe di
    abbandonare la propria religione. Cominciò, dunque, con dire al Re:
    lo affare che importava tanto alla Maestà Sua, non sonnacchiare;
    Jane e Giffard attendere a rovistare libri intorno ai punti
    controversi fra le due Chiese; ed appena finite le loro
    lucubrazioni, essere convenevole un altro colloquio. Lamentò quindi
    amaramente come la città tutta sapesse ciò che avrebbe dovuto
    tenersi gelosamente nascosto, e come taluni, i quali per la loro
    posizione potevano supporsi bene informati, riferissero strane cose
    intorno agl'intendimenti del principe. "Si vocifera" disse egli "che
    ove io non faccia siccome la Maestà Vostra vorrebbe, non sarei più
    oltre tollerato nel mio ufficio." Il Re rispose con qualche
    espressione di cortesia, essere malagevole impedire i chiacchiericci
    del popolo, nè doversi badare alle scempie storielle. Siffatte
    inconcludenti parole non potevano calmare la perturbata mente del
    ministro; il quale, anzi, sentendosi violentemente agitato cominciò
    a supplicare per lo impiego come avrebbe fatto per la propria vita.
    "La Maestà Vostra vede bene ch'io fo tutto ciò che posso per
    obbedirvi. E davvero ch'io farò tutto il possibile per obbedirvi in
    ogni cosa. Vi servirò come vorrete. Anzi farò ogni sforzo per
    abbracciare la vostra fede; ma non mi si dica, che mentre mi provo
    di piegare a ciò l'animo mio, ove io nol possa, debba perdere ogni
    cosa. Imperocchè bisogna dire alla Maestà Vostra esservi altri
    riguardi..." - "Bisogna dirmi! bisogna dirmi!" esclamò il Re con una
    bestemmia. La minima parola che suonasse onesta e vigorosa, sfuggita
    fra mezzo a tanto abietto supplicare, bastò a muoverlo ad ira.
    "Spero" disse il misero Rochester "di non avervi offeso, o Sire.
    Vostra Maestà certamente non avrebbe fatto buon giudicio di me,
    qualora non avessi parlato in cotesta guisa." Il Re ritornò in sè,
    protestò di non sentirsi offeso, e consigliò il Tesoriere a
    spregiare le ciarle, e ragionar nuovamente con Jane e Giffard(784).
    
    LXXXIII. Dopo siffatto colloquio, corsero quindici giorni innanzi
    che gli giungesse il colpo fatale. Rochester spese que' quindici
    giorni a intrigare e supplicare. Studiossi di rendere a sè
    favorevoli quei Cattolici Romani che maggiormente influivano in
    Corte. Diceva loro di non potere rinunziare alla propria religione;
    ma, tranne ciò solo, esser pronto a far tutto quanto potessero
    desiderare. Soggiungeva che ove egli potesse rimanere in ufficio,
    avrebbero trovato più utile alla loro causa lui protestante, che
    qualunque altro della loro religione(785). Si disse che la moglie di
    Rochester, la quale giaceva inferma, avesse implorato l'onore d'una
    visita della molto offesa Regina col fine di muoverla a
    compassione(786). Ma gli Hydes scesero invano a tanta abiezione.
    Petre gli odiava implacabilmente, ed aveva giurata la loro
    rovina(787). La sera del diciassette dicembre, il Conte fu chiamato
    alle stanze del Re. Giacomo era stranamente commosso, e perfino
    aveva le lacrime sugli occhi. Quello istante, a dir vero, non poteva
    non isvegliare rimembranze tali da muovere anche un cuor duro. Disse
    rincrescergli grandemente che il proprio dovere gl'imponesse di
    sacrificare le sue inclinazioni private. Essere ormai
    impreteribilmente necessario, che coloro i quali stavano a capo de'
    suoi affari, abbracciassero le opinioni e i sentimenti suoi. Si
    confessò singolarmente obbligato a Rochester, e aggiunse non essere
    meritevole del più lieve biasimo il modo onde le finanze erano state
    da lui amministrate: ma l'ufficio di Lord Tesoriere era di sì grave
    momento, che, in generale, non era da fidarsi ad una sola persona, e
    da un Re Cattolico Romano non poteva fidarsi ad un uomo zelante
    della Chiesa d'Inghilterra. "Pensateci meglio, Milord," continuò il
    Re "rileggete gli scritti trovati nella cassa forte di mio fratello.
    Vi concederò anche qualche altro po' di tempo, se così desideriate."
    Rochester si accôrse che tutto era finito, e che il miglior partito
    che gli rimanesse a prendere, era quello di ritirarsi con quanto più
    danaro e credito gli fosse possibile; e bene vi riuscì. Ottenne una
    pensione vitalizia di quattro mila lire sterline annue per due vite,
    su' proventi dell'ufficio postale. Aveva accumulato gran copia di
    pecunia dagli averi de' traditori, e serbava la obbligazione scritta
    di quaranta mila sterline firmata da Grey, e una concessione di
    tutte le terre che la Corona aveva nei vasti beni di Grey(788).
    Niuno era stato mai cacciato dal proprio impiego a condizioni così
    vantaggiose. Al plauso de' sinceri amici della Chiesa Anglicana,
    Rochester aveva ben poco diritto. Per mantenersi in ufficio, aveva
    seduto in quel tribunale illegalmente creato con lo scopo di
    perseguitarla. Per mantenersi in ufficio, aveva disonestamente
    votato la degradazione de' più cospicui ministri di quella, aveva
    simulato di dubitare della ortodossia, ascoltato con apparenza di
    docilità i maestri che la chiamavano scismatica ed eretica, e s'era
    offerto di secondare i più accaniti nemici cospiranti a
    distruggerla. La maggior lode che egli potesse meritare, consisteva
    nello avere aborrito dalla enorme malvagità e vigliaccheria di
    abiurare pubblicamente, per amore di guadagno, la religione nella
    quale egli era nato e cresciuto, da lui creduta vera, e per lungo
    tempo e con ostentazione da lui professata. E nondimeno, la maggior
    parte degli aderenti alla Chiesa Anglicana, lo esaltavano, quasi
    fosse stato il più intrepido e puro de' martiri. Frugarono dentro il
    Vecchio e il Nuovo Testamento, dentro i Martirologi d'Eusebio e di
    Fox, per trovare esempi di paragone alla sua eroica pietà. Ei fu
    detto Daniele nella caverna de' leoni, Shadrach nella fornace
    ardente, Pietro nella prigione d'Erode, Paolo al tribunale di
    Nerone, Ignazio nell'anfiteatro, Latimer nei ceppi. Tra i molti
    fatti che provano come a que' tempi fosse bassa la idea dell'onore e
    della virtù negli uomini pubblici, il più convincente è forse
    l'ammirazione destata dalla costanza di Rochester.
    
    LXXXIV. Nella sua caduta trascinò seco Clarendon. Il dì settimo di
    gennaio 1687, la Gazzetta annunziò al popolo di Londra, che il
    Tesoro era stato affidato ad una Commissione. Il giorno seguente,
    giunse a Dublino un dispaccio, in cui formalmente dicevasi che
    dentro un mese Tyrconnel avrebbe preso le redini del Governo
    d'Irlanda. Non senza grande difficoltà costui aveva vinti i numerosi
    ostacoli che lo impedivano nel cammino dell'ambizione. Sapevasi come
    egli in cuore nutrisse la voglia di sterminare la colonia inglese in
    Irlanda. E però gli era necessario di vincere parecchi scrupoli che
    stavano nell'animo del Re. Doveva conquidere la opposizione, non
    solo de' membri protestanti del Governo, non solo de' moderati e
    rispettabili capi de' Cattolici Romani, ma altresì di parecchi
    membri della cabala gesuitica(789). Sunderland rifuggiva dal
    pensiero di un rivolgimento religioso, politico e sociale, in
    Irlanda. Dalla Regina Tyrconnel era personalmente detestato. Per la
    qual cosa, Powis venne proposto come l'uomo più atto alla dignità di
    vicerè. Era di nascita illustre; e comecchè fosse sinceramente
    Cattolico Romano, veniva dagl'imparziali Protestanti considerato
    come uomo onesto, e buono Inglese. Non pertanto, ogni opposizione
    cesse alla energia ed astuzia di Tyrconnel(790), il quale si mostrò
    infaticabile a strisciarsi, a bravazzare, a corrompere. Petre fu
    vinto dall'adulazione. Sunderland si arrese alle promesse ed alle
    minacce. Un prezzo immenso, - niente meno che cinque mila lire
    sterline annue sopra la Irlanda, redimibili col pagamento di
    cinquanta mila lire sterline, - gli fu offerto. Ove tale proposta
    fosse respinta, Tyrconnel minacciava di rivelare al Re che il Lord
    Presidente, ne' desinari ch'ei soleva dare alla cabala tutti i
    venerdì, aveva dipinto la Maestà Sua come uno imbecille, ch'era
    forza governare per mezzo d'una donna o d'un prete. Sunderland,
    pallido e tremante, offrì d'ottenere a Tyrconnel il supremo comando
    delle milizie, enormi emolumenti, in fine qual si fosse cosa, tranne
    l'ufficio di vicerè: ma ogni qualunque proposta venne ricusata; e fu
    mestieri cedere. La stessa Maria di Modena non andò immune della
    taccia di corruzione. Esisteva in Londra una famosa collana di
    perle, la quale stimavasi valere dieci mila lire sterline.
    Apparteneva già al principe Rupert, dal quale era stata lasciata a
    Margherita Hugues, cortigiana, che verso la fine della vita di lui,
    lo aveva grandemente dominato. Tyrconnel menava vanto di avere col
    dono di siffatta collana comperato la protezione della Regina.
    Furono nondimeno taluni, i quali sospettarono che cotesta asserzione
    fosse una delle verità di Dick Talbot, e che la non avesse miglior
    fondamento delle calunnie ventisei anni innanzi da lui inventate a
    denigrare la fama di Anna Hyde. Ai cortigiani cattolici romani parlò
    della incertezza onde essi tenevano gli uffici, gli onori e gli
    emolumenti loro. Disse, il Re poter morire da un giorno all'altro,
    lasciando tutti loro a discrezione di un ostile Governo, e d'una
    plebaglia ostile. Ma se la religione degli avi potesse predominare
    in Irlanda, se gli interessi inglesi potessero distruggersi,
    rimarrebbe loro, nel peggiore evento, assicurato un asilo dove
    riparare, venire a patti, o vantaggiosamente difendersi. Ad un prete
    papista fu promessa la mitra di Waterford, perchè predicasse in San
    Giacomo contro l'Atto di Stabilimento; e il suo sermone, comecchè
    suscitasse profondo disgusto nel cuore di tutti gl'Inglesi che
    stavano ad ascoltarlo, non andò privo d'effetto. Era cessata la
    lotta che lo amore di patria aveva fino allora nella mente del Re
    mantenuta contro la bacchettoneria. "Vi sono cose tali da eseguirsi
    in Irlanda," disse Giacomo "cose tali, che nessuno Inglese vorrà mai
    fare(791)."
    
    Alla perfine, tolto di mezzo ogni ostacolo, Tyrconnel, nel febbraio
    del 1687, cominciò a governare la sua terra natia con la potestà e
    gli emolumenti di Lord Luogotenente, ma col titolo più modesto di
    Lord Deputato.
    
    LXXXV. Il suo arrivo sparse lo sgomento fra tutta la popolazione
    inglese. Clarendon fu accompagnato, o sollecitamente seguito a
    traverso il Canale di San Giorgio, da moltissimi de' più illustri
    abitatori di Dublino, gentiluomini, trafficanti ed artigiani. Si
    disse che mille e cinquecento famiglie in pochi giorni emigrassero.
    Nè tanta paura era irragionevole. La impresa di porre tutti i coloni
    sotto i piedi degli Irlandesi, faceva rapidi progressi. In breve,
    quasi ogni Consigliere Privato, Giudice, Sceriffo, Gonfaloniere,
    Aldermanno e Giudice di Pace, fu Celta e Cattolico Romano. Sembrava
    che le cose presto si volessero disporre in modo, che da una
    elezione generale sorgerebbe una Camera di Comuni propensa ad
    abrogare l'Atto di Stabilimento(792). Coloro i quali fino allora
    erano stati signori dell'isola, adesso lamentavano, nell'amaritudine
    dell'anime loro, d'essere divenuti preda e ludibrio dei loro propri
    servi e manuali; le case essere bruciate, e gli armenti rubati
    impunemente; i nuovi soldati scorrazzare il paese saccheggiando,
    insultando, stuprando, mutilando qua, facendo colà saltare per aria
    sopra un lenzuolo un Protestante, legandone un altro pei capelli e
    flagellandolo; e nulla giovare il richiamarsi alle leggi: i giudici,
    gli sceriffi, i giurati, i testimoni irlandesi, tutti congiurare a
    salvare gl'Irlandesi delinquenti; e tra breve tempo, anche senza
    apposito Atto del Parlamento, tutto il suolo dover cangiare padroni;
    avvegnachè, governante Tyrconnel, in ogni causa di sfratto, i
    Giudici avevano sempre sentenziato contro l'Inglese, ed a favore
    dell'Irlandese(793).  Mentre Clarendon rimaneva in Dublino, il
    Sigillo Privato era stato affidato ad una Commissione. I suoi amici
    speravano che, ritornato a Londra, gli sarebbe tosto reso l'ufficio.
    Ma il Re e la cabala gesuitica volevano intera la caduta degli
    Hydes. Lord Arundell(794) di Wardour, Cattolico Romano, ricevè il
    Sigillo Privato. Bellasyse, Cattolico Romano, fu fatto Primo Lord
    del Tesoro; e Dover, altro Cattolico Romano, ebbe un posto in
    quell'ufficio. La nomina di un giuocatore rovinato ad un impiego di
    tanta fiducia, sarebbe sola bastata a disgustare il pubblico. Il
    dissoluto Etherege, che allora dimorava in Ratisbona come inviato
    del Governo inglese, non potè frenarsi dallo esprimere, con un
    sarcasmo, la speranza che il suo vecchio compagno Dover avrebbe
    custoditi i danari del Re meglio che i propri. Perchè le finanze non
    fossero rovinate da' papisti privi di capacità ed esperienza,
    l'ossequioso, diligente e taciturno Godolphin fu nominato
    Commissario del Tesoro; ma seguitò a rimanere Ciamberlano della
    Regina(795).
    
    LXXXVI. La destituzione de' due fratelli forma una grande epoca
    nella storia del regno di Giacomo. Da quel tempo apparve manifesto
    come ciò ch'egli voleva, non fosse la libertà di coscienza pe' suoi
    correligionarii, ma la libertà di perseguitare i membri delle altre
    Chiese. Pretendendo di non volere Atti di Prova, egli ne aveva
    imposto uno. Pensava che fosse cosa dura, cosa mostruosa, che uomini
    abili e leali fossero esclusi da' pubblici uffici solo perchè erano
    Cattolici Romani. E nulladimeno, aveva cacciato via un Tesoriere
    ch'egli teneva leale ed abile, solo perchè era protestante.
    
    Corse la voce, essere vicina una proscrizione generale, ed ogni
    pubblico funzionario dovere eleggere fra la perdita dell'anima o
    dell'impiego(796). E chi, a dir vero, avrebbe potuto sperare di
    mantenersi dopo che gli Hydes erano caduti? Erano cognati del Re,
    zii e tutori naturali delle sue figliuole; gli erano stati amici
    fino dagli anni suoi primi, fermi seguaci nell'avversità e nel
    pericolo, servi ossequiosi dopo che era asceso sul trono. Loro sola
    colpa era la religione, e per essa erano stati messi da parte.
    Ineffabilmente perturbato, ciascuno cominciò a volgere attorno lo
    sguardo desioso di trovare scampo all'imminente pericolo; e tosto
    gli occhi di tutti posaronsi sopra un uomo, il quale da un raro
    concorso di doti personali e di circostanze fortuite veniva indicato
    come liberatore.
    
    
    CAPITOLO SETTIMO.
    
    SOMMARIO.
    
    I. Guglielmo principe d'Orange. Suo aspetto. - II. Sua vita
    giovanile. - III. Sue opinioni teologiche. - IV. Sue doti militari.
    - V. Suo amore de' pericoli; sua salute cagionevole; freddezza de'
    suoi modi e forza delle sue emozioni. - VI. Sua amicizia per
    Bentinck. - VII. Maria Principessa d'Orange. - VIII. Gilberto
    Burnet. - IX. Mette d'accordo il Principe e la Principessa. - X
    Relazioni tra Guglielmo e i Partiti inglesi. - XI. Suoi sentimenti
    verso la Inghilterra, verso l'Olanda e la Francia. - XII. Coerenza
    della sua politica. - XIII. Trattato d'Augusta. - XIV. Guglielmo
    diviene capo della Opposizione inglese. - XV. Mordaunt propone a
    Guglielmo(797)di andare in Inghilterra. - XVI. Guglielmo ricusa il
    consiglio. - XVII. Malumori in Inghilterra dopo la caduta degli
    Hydes. - XVIII. Conversioni al Papismo; Peterborough; Salisbury. -
    XIX. Wycherley; Tindal; Haines. - XX. Dryden. - XXI. La Cerva e la
    Pantera. - XXII. La Corte muta politica verso i Puritani. - XXIII.
    Concede alla Scozia una certa tolleranza. - XXIV. Tenta con segrete
    conferenze di corrompere gli avversari. - XXV. Non vi riesce;
    l'Ammiraglio Herbert. - XXVI. Dichiarazione d'Indulgenza. - XXVII.
    Umori de' Protestanti Dissenzienti. - XXVIII. Umori della Chiesa
    Anglicana. - XXIX. La Corte e la Chiesa si contendono il favore de'
    Puritani. - XXX. Lettera ad un Dissenziente(798). - XXXI. Condotta
    dei Dissenzienti - XXXII. Alcuni di loro parteggiano per la Corte;
    Care; Alsop; Rosewell; Lobb - XXXIII. Penn. - XXXIV. La maggior
    parte de' Puritani si dichiarano avversi alla Corte; Baxter; Howe -
    XXXV. Bunyan. - XXXVI. Kiffin - XXXVII. Il Principe e la Principessa
    d'Orange si mostrano ostili alla Dichiarazione d'Indulgenza. -
    XXXVIII. Loro modo di vedere intorno alla difesa de' Cattolici
    Romani In Inghilterra. - XXXIX. Nimistà di Giacomo per Burnet. - XL.
    Missione di Dykvelt in Inghilterra. - XLI. Negoziati di Dykvelt con
    gli statisti inglesi; Danby. - XLII. Nottingham. - XLIII. Halifax;
    Devonshire. - XLIV. Eduardo Russell. - XLV. Compton; Hebert;
    Churchill. - XLVI. Lady Churchill e la Principessa Anna. - XLVII.
    Dykvelt ritorna all'Aja, recando lettere di molti uomini cospicui
    d'Inghilterra. - XLVIII. Missione di Zulestein - XLIX. La inimicizia
    tra Giacomo e Guglielmo s'accresce(799) - L. Influenza della stampa
    olandese - LI. Carteggio di Stewart e Fagel - LII. Ambasceria di
    Castelmaine a Roma.
    
    
    I. Il luogo che Guglielmo Enrico, Principe d'Orange, occupa nella
    storia d'Inghilterra e in quella del genere umano, è siffattamente
    grande, da far desiderare che il suo carattere venga con molta
    diligenza pennelleggiato(800).
    
    All'epoca cui richiama la presente narrazione, egli toccava l'anno
    trentasettesimo dell'età sua. Ma e nel corpo e nella mente sembrava
    più vecchio di quel che sogliono gli uomini di pari numero d'anni. E
    veramente, potrebbe dirsi ch'egli non sia mai stato giovane. I suoi
    sembianti sono a noi famigliari quasi come lo poterono essere ai
    suoi capitani e consiglieri. Scultori, pittori, intagliatori, posero
    ogni arte nel tramandare ai posteri le fattezze di lui; e la sua
    fisionomia(801) era tale, che, vista una volta, non poteva
    dimenticarsi mai più. Il suo nome ci sveglia in mente a un tratto la
    immagine d'una figura debole e delicata, con ampia ed elevata
    fronte, naso ricurvo ed aquilino, occhio sì lucido e acuto da
    rivaleggiare con quello dell'aquila, ciglio pensoso e alquanto
    tristo, bocca ferma ed alquanto sdegnosa, guance pallide, scarne, e
    profondamente solcate dalla infermità e dalle cure. Un aspetto sì
    pensoso, severo e solenne, mal si giudicherebbe quello d'un uomo
    felice o di buon umore: ma indica manifestamente una capacità pari
    alle più ardue imprese, e una fortezza che non cede a sciagure e
    pericoli.
    
    II. La natura aveva con profusione conceduto a Guglielmo le doti
    d'un gran dominatore; e la educazione le aveva in modo non comune
    esplicate. Dotato di vigoroso buon senso naturale, di rara forza di
    volontà, trovossi, appena la sua mente cominciò a concepire, figlio
    orbato di padre e di madre, capo d'una grande ma depressa e
    disanimata parte, ed erede di vaste e indefinite pretese, le quali
    destavano paura e avversione nella oligarchia che allora predominava
    nelle Provincie Unite. Il popolo, che per un secolo s'era mostrato
    teneramente affettuoso alla famiglia di Guglielmo, sempre che lo
    vedeva, a chiari segni indicava di considerarlo come suo legittimo
    capo. Gli abili ed esperti ministri della Repubblica, implacabili
    nemici al nome di lui, recavansi quotidianamente a fargli simulati
    complimenti, e ad osservare i progressi della sua mente. I primi
    moti della sua ambizione vennero con istudio invigilati: ogni parola
    che gli uscisse spensieratamente dal labbro, era notata, nè egli
    aveva da presso alcuno del cui senno potesse fidarsi. Toccava appena
    il quindicesimo degli anni suoi, allorquando tutti i famigliari che
    amavano il suo bene, o godevano in alcun modo la sua fiducia, furono
    dal geloso Governo rimossi dalla sua casa. Indarno ei protestò con
    energia superiore alla sua età; e taluni videro più volte le lagrime
    spuntare sugli occhi del giovine prigioniero di Stato. La sua
    salute, naturalmente delicata, rimase qualche tempo depressa dalle
    emozioni che la sua trista situazione destavagli in cuore.
    Simiglianti condizioni traviano e snervano l'animo debole, ma nel
    forte suscitano tutta la vigoria di cui sia capace. Circuito da
    trame, nelle quali un giovane d'indole ordinaria sarebbe perito,
    Guglielmo imparò a procedere cauto e fermo ad un tempo. Assai prima
    ch'ei giungesse alla virilità, sapeva il modo di mantenere un
    secreto, frustrare l'altrui curiosità con secche e caute risposte,
    nascondere le passioni sotto l'apparenza di una grave tranquillità.
    Intanto ei progrediva poco nella educazione letteraria e socievole.
    I modi de' nobili in Olanda difettavano, a quei tempi, di quella
    grazia che trovavasi in grado perfettissimo ne' gentiluomini
    francesi, e che, in grado inferiore, adornava la Corte
    d'Inghilterra; e i modi di Guglielmo erano prettamente olandesi. Gli
    stessi suoi concittadini lo reputavano brusco. Ai forestieri spesso
    ei sembrava grossolano. Nelle sue relazioni colle persone in
    generale, ci pareva ignorante o non curante di quelle arti che
    accrescono il pregio d'un favore, e scemano l'amarezza d'un rifiuto.
    Amava poco le lettere e le scienze. I trovati di Newton e di
    Leibnizio, i poemi di Dryden e di Boileau gli erano ignoti. Le
    rappresentazioni drammatiche lo annoiavano; e sia che Oreste
    vaneggiasse o Tartuffo stringesse la mano d'Elmira, ei volgeva gli
    occhi dal proscenio per parlare d'affari di Stato. Aveva, a dir
    vero, un certo ingegno pel sarcasmo, e non di rado adoperava, senza
    saperlo, una certa eloquenza manierata, ma vigorosa ed originale.
    Nulladimeno, non pretendeva minimamente a mostrarsi ciò che dicesi
    bello spirito ed oratore. Aveva intera rivolta la mente a quelli
    studi che formano i valorosi e sagaci uomini di affari. Fino da
    fanciullo ascoltava con interesse le discussioni concernenti leghe,
    finanze e guerre. Di geometria sapeva quanto bisogna alla
    costruzione di un rivellino o di un'opera a corno. Di lingue, con
    l'aiuto d'una singolare memoria, imparò tanto da potere intendere e
    rispondere senza altrui sussidio ad ogni cosa che gli venisse detta,
    ad ogni lettera che gli fosse scritta. Il suo idioma natio era
    l'olandese. Intendeva il latino, l'italiano e lo spagnuolo. Parlava
    e scriveva il francese, lo inglese e il tedesco, inelegantemente, a
    dir vero, ed inesattamente, ma con facilità e in guisa da farsi
    intendere. Non v'erano qualità che potessero essere più proprie ad
    un uomo destinato ad organizzare grandi alleanze, ed a comandare
    eserciti, raccolti da diversi paesi.
    
    III. Le circostanze lo avevano costretto ad intendere ad una specie
    di questioni filosofiche, le quali, a quanto sembra, lo
    interessarono più di quel che fosse da aspettarsi dall'indole sua.
    Fra' protestanti dell'isola nostra, erano due grandi partiti
    religiosi, che quasi esattamente coincidevano coi due grandi partiti
    politici. I capi della oligarchia municipale erano Arminiani,
    comunemente dalla moltitudine considerati poco migliori de' papisti.
    I principi d'Orange erano quasi sempre stati i protettori del
    Calvinismo, ed andavano debitori di non piccola parte della
    popolarità loro allo zelo da essi mostrato per le dottrine della
    elezione e della perseveranza finale; zelo non sempre illuminato
    dalla scienza o temperato dall'umanità. Guglielmo, fin da fanciullo,
    era stato diligentemente erudito nel sistema teologico al quale la
    sua famiglia aderiva, e prediligevalo con parzialità maggiore di
    quella che gli uomini generalmente sentono per una fede ereditaria.
    Aveva meditato intorno ai grandi enimmi ch'erano stati discussi nel
    Sinodo di Dort, ed aveva trovato nella austera ed inflessibile
    logica della Scuola Ginevrina qualche cosa che armonizzava con lo
    intelletto e l'indole suoi. Certo, egli non imitò mai la
    intolleranza di cui avevano porto esempio alcuni de' suoi antenati.
    Abborriva da ogni specie di persecuzione: aborrimento ch'egli
    confessò non solo quando il confessarlo era manifestamente atto
    politico, ma in parecchi casi in cui sembrava che la simulazione o
    il silenzio dovessero maggiormente giovargli. Nondimeno le sue
    opinioni teologiche erano più definite di quelle degli avi suoi. La
    dottrina della predestinazione egli teneva come pietra angolare
    della sua religione; e dichiarò più volte, che ove fosse costretto
    ad abbandonarla, avrebbe con essa perduto ogni fede nella Divina
    Provvidenza, e sarebbe divenuto un pretto epicureo. Tranne in questo
    solo caso, fino dai suoi primi anni egli rivolse tutta la vigoria
    del suo robusto intelletto dalla speculazione alla pratica. I
    requisiti necessari a condurre importanti affari, in lui erano
    maturi in un'epoca della vita, nella quale per la più parte degli
    uomini appena cominciano a fiorire. Da Ottavio in poi, il mondo non
    aveva mai veduto altro esempio di precocità nell'arte di governare.
    I più esperti diplomatici rimanevano attoniti udendo le osservazioni
    che a diciassette anni il Principe faceva sugli affari di Stato, ed
    anche più attoniti vedendo un giovinetto, posto in circostanze tali
    da farlo apparire passionato, mostrare un contegno composto e
    imperturbabile al pari del loro. A diciotto anni egli sedeva fra'
    padri della repubblica, grave, discreto e giudizioso, come il più
    vecchio di loro. A ventun anno, in un giorno di tristezza e di
    terrore, ei fu posto a capo del Governo. A ventitrè anni godeva per
    tutta la Europa rinomanza di soldato e d'uomo politico. Aveva
    schiacciate le fazioni domestiche; era l'anima d'una potente
    coalizione, ed aveva pugnato onorevolmente in campo contro alcuni
    de' più grandi generali di quel tempo.
    
    IV. Per inclinazione di natura era più guerriero che uomo di Stato;
    ma, a somiglianza dell'avo, il tacito Principe che fondò la
    Repubblica Batava, egli tiene un posto più elevato fra gli uomini di
    Stato che fra' guerrieri. Veramente l'esito delle battaglie non è
    prova infallibile dello ingegno d'un capitano; e sarebbe cosa
    singolarmente ingiusta giudicare con siffatta prova Guglielmo;
    imperocchè gli toccò sempre di combattere con capitani, profondi
    maestri dell'arte militare, e con milizie per disciplina molto
    superiori alle sue. Nulladimeno abbiamo ragione di credere che egli
    non pareggiasse punto, come generale nel campo, alcuni che per doti
    intellettuali erano a lui molto inferiori. Ai suoi familiari ei
    ragionava sopra tale subietto con la magnanima franchezza d'uomo che
    aveva fatto grandi cose, e che poteva confessare i propri difetti.
    Diceva di non aver fatto mai il necessario tirocinio dell'arte
    militare. Da fanciullo era stato preposto a capo di un'armata. Fra i
    suoi ufficiali non era alcuno che potesse ammaestrarlo. Solo i
    propri errori e le conseguenze loro gli avevano servito di scuola.
    "Darei volentieri" esclamò un giorno "buona parte delle mie
    possessioni pel vantaggio di aver militato in poche campagne sotto
    il Principe di Condé, prima che avessi comandato un esercito contro
    lui." Non è improbabile che l'ostacolo onde Guglielmo fu impedito di
    conseguire eccellenza nella strategica, contribuisse a rinvigorirgli
    lo intelletto. Le sue battaglie non lo mostrano un gran tattico, ma
    gli dànno diritto alla rinomanza di grand'uomo. Non v'era disastro
    che gli potesse far perdere la fermezza o lo impero della propria
    mente. Rimediava alle proprie sconfitte con celerità talmente
    maravigliosa, che avanti che gl'inimici cantassero il Te Deum, era
    nuovamente pronto al conflitto; nè l'avversa fortuna gli fece mai
    perdere il rispetto e la fiducia de' soldati; fiducia e rispetto
    ch'egli massimamente doveva al proprio coraggio. La più parte degli
    uomini hanno o con la educazione possono acquistare il coraggio di
    cui un soldato ha mestieri per condursi senza infamia in una
    campagna; ma un coraggio simile a quello di Guglielmo, è veramente
    raro. Egli sostenne ogni prova; guerre, ferite, penose ed opprimenti
    infermità, fortune di mare, imminente e continuo pericolo d'essere
    assassinato; pericolo che ha prostrato uomini di vigorosissima
    tempra; pericolo che angosciò fortemente il carattere adamantino di
    Cromwell. Eppure non vi fu occhio che potesse scoprire qual fosse la
    cosa che il Principe d'Orange temeva. I suoi consiglieri con
    difficoltà lo potevano indurre a munirsi contro le pistole e i
    pugnali de' cospiratori(802). I vecchi marinari maravigliavano
    vedendo la compostezza ch'egli serbava fra mezzo agli ardui scogli
    d'un pericoloso littorale. Nelle battaglie il suo valore lo rendeva
    cospicuo fra le migliaia di strenui guerrieri, meritavagli il plauso
    degl'inimici, e non veniva mai posto in dubbio nè anche dalle
    avverse fazioni. Nella sua prima campagna si espose al pericolo come
    uomo che cerchi la morte, fu sempre primo allo assalto ed ultimo
    alla ritirata, combattè con la spada in pugno dove più ferveva la
    mischia; e con una palla d'archibugio fitta nel braccio e col sangue
    che gli scorreva giù per la corazza, rimase fermo al suo posto,
    agitando il cappello sotto il fuoco più vivo. Gli amici lo pregavano
    di avere più cura della propria vita, che era di inestimabile prezzo
    alla salute della patria; e il più illustre de' suoi antagonisti, il
    Principe di Condé, notò, dopo la sanguinosa giornata di Seneff, come
    il Principe d'Orange in ogni cosa si fosse portato da vecchio
    generale, tranne nello avere esposto sè stesso al pericolo come un
    giovine soldato. Guglielmo negò d'essere reo di temerità, dicendo
    ch'era sempre rimaso nel posto del pericolo, mosso dal sentimento
    del proprio dovere e dal pensiero del bene pubblico. Le milizie da
    lui comandate erano poco assuefatte alla guerra, ed aborrivano da
    uno stretto scontro colle agguerrite soldatesche di Francia. Era
    quindi mestieri che il loro capitano mostrasse il modo di vincere le
    battaglie. E veramente, più d'una volta al pericolo d'una giornata
    che pareva disperatamente perduta, ei riparò arditamente riordinando
    le sgominate schiere, e tagliando con la propria spada i codardi che
    davano lo esempio della fuga. Alcuna volta, nondimeno, e' pareva che
    sentisse uno strano compiacimento nell'arrisicare la propria
    persona. Taluni notarono che non si mostrò mai di così allegro
    umore, di modi così graziosi ed affabili, come fra mezzo al tumulto
    od alla strage d'una battaglia. Perfino ne' sollazzi amava lo
    eccitamento del pericolo. Le carte, gli scacchi, il biliardo non gli
    andavano punto a sangue. La caccia era la prediletta delle sue
    ricreazioni; e tanto maggiormente piacevagli, quanto era più
    rischiosa. Talvolta spiccava tali salti, che i più audaci de' suoi
    compagni non osavano seguirlo. Sembra anche ch'egli reputasse come
    esercizi effeminati le più difficili cacce dell'Inghilterra, e fra
    mezzo alle immense foreste di Windsor con doloroso desio ripensasse
    alle belve che egli aveva costume di inseguire ne' boschi di
    Guelders, ai lupi, ai cignali, ai grossi cervi dall'enormi
    corna(803).
    
    V. Cotesta impetuosità d'anima diventa straordinario fenomeno, solo
    che si consideri come egli fosse singolarmente delicato di corpo.
    Fino da fanciullo egli era stato debole e malaticcio. In sulla
    virilità la sua salute erasi intristita per un forte accesso di
    vajolo. Era asmatico, e pareva volesse andare in consunzione. La sua
    gracile persona era travagliata da una continua tosse secca. Ei non
    poteva dormire se non appoggiando il capo sopra parecchi guanciali,
    e non poteva trarre il respiro se non nell'aria più pura. Spesso era
    torturato da crudeli dolori al capo; tosto stancavasi al moto. I
    medici mantenevano ognora deste le speranze de' suoi nemici,
    predicendo l'epoca in cui, se pure v'era certezza alcuna nella
    scienza, avrebbe cessato di vivere. Nonostante, in una vita che
    poteva dirsi una continua malattia, la forza dell'anima non gli
    fallì mai, in ogni grave occasione, a sostenere il suo infermo e
    languido corpo.
    
    Era nato con violente passioni e con gagliardo sentire; ma la forza
    delle sue emozioni non era minimamente da altri sospettata. Agli
    occhi del mondo ei nascondeva la gioia, il dolore, l'affezione, il
    risentimento sotto il velo d'una calma flemmatica, che lo faceva
    reputare il più freddo degli uomini. Coloro che gli recavano buone
    nuove, rade volte potevano in lui scoprire il più lieve segno di
    contento. Chi lo vedeva dopo una disfatta, in vano cercava di
    leggergli in volto il dispiacere dell'animo. Lodava e riprendeva,
    premiava e puniva con l'austera tranquillità d'un capitano di
    Mohawk; ma coloro che bene lo conoscevano e gli stavano da presso
    sapevano pur troppo che sotto cotesto ghiaccio ardeva perpetuamente
    un gran fuoco. Rade volte l'ira gli faceva perdere il contegno. Ma
    quando davvero lo invadeva la rabbia, il primo scoppio ne era
    tremendo, si che altri appena reputavasi sicuro a farglisi da
    presso. In simiglianti rari casi, nulladimeno, appena riacquistava
    lo impero delle proprie facoltà, faceva tali riparazioni a coloro
    che ne avevano patito il danno, da tentarli a desiderare ch'egli
    andasse nuovamente in collera. Nell'affetto procedeva impetuoso come
    nell'ira. Amando, egli amava con tutta la vigoria della sua
    vigorosissima anima. Quando la morte lo privava dell'oggetto amato,
    que' pochi che erano testimoni del suo strazio, temevano non volesse
    perdere il senno o la vita. A' pochi intimi amici, nella cui fedeltà
    e secretezza ei poteva onninamente riposare, era un uomo ben diverso
    dal riserbato e stoico Guglielmo, che la moltitudine supponeva privo
    d'ogni mite sentimento. Era cortese, cordiale, aperto, ed anche
    festevole e faceto, da rimanere a mensa lunghe ore, ed abbandonarsi
    all'allegria del conversare.
    
    VI. Fra tutti i suoi più cari, ei prediligeva singolarmente un
    gentiluomo chiamato Bentinck, discendente da una nobile famiglia
    batava, e destinato ad essere fondatore d'una delle maggiori case
    patrizie dell'Inghilterra. La fedeltà di Bentinck era stata
    sottoposta a prove non comuni. Mentre le Provincia Unite lottavano a
    difendere la propria esistenza contro la potenza francese, il
    giovine Principe, nel quale erano poste tutte le loro speranze,
    infermò di vajuolo. Tal malattia era stata fatale a parecchi della
    sua famiglia; e quanto a lui, in sulle prime si manifestò
    peculiarmente maligna. Grande era la costernazione pubblica. Le
    strade dell'Aja erano affollate da mane a sera di gente ansiosa di
    sapere le nuove di Sua Altezza. Infine il male prese un corso meno
    sinistro. La salvezza dello infermo fu attribuita in parte alla sua
    singolare tranquillità di spirito, e in parte alla intrepida e
    instancabile amicizia di Bentinck. Dalle sole mani di Bentinck
    Guglielmo prendeva i farmachi e il nutrimento. Il solo Bentinck era
    colui che alzava Guglielmo da letto e ve lo riponeva. "Se Bentinck
    dormisse o non dormisse mai nel tempo ch'io giacqui infermo" diceva
    Guglielmo grandemente intenerito a Temple; "non so. Ma questo io so,
    che per sedici giorni e sedici notti, non chiesi mai cosa alcuna che
    Bentinck all'istante non fosse accanto al mio letto." Innanzi che
    questo amico fedele finisse di prestare i propri servigi, fu preso
    dal contagio. Non pertanto, ei non curò la febbre e lo stordimento
    del capo ond'era travagliato, finchè il suo signore fu dichiarato
    convalescente. Allora Bentinck chiese d'andare a casa; e ne era
    tempo, imperocchè non poteva più sostenersi sulle proprie gambe.
    Corse gravissimo pericolo, ma risanò; e non appena si senti in forze
    da sorgere dal letto, corse all'armata, dove per molte ardue
    campagne fu sempre veduto da presso a Guglielmo, come vi era già
    stato in pericoli di altra specie.
    
    È questa la origine d'una amicizia fervida e pura più di qualunque
    altra di cui faccia ricordo la storia antica o la moderna. I
    discendenti di Bentinck serbano tuttavia molle lettere da Guglielmo
    scritte al loro antenato; e non è troppo il dire che chiunque non le
    abbia studiate, non potrà mai formarsi una giusta idea dell'indole
    del Principe. Egli, che i suoi ammiratori generalmente reputavano il
    più freddo e inaffabile degli uomini, in coteste lettere dimentica
    ogni distinzione di grado, ed apre l'anima sua con la ingenuità d'un
    fanciullo. Partecipa senza riserbo arcani di gravissimo momento.
    Palesa con tutta semplicità vasti disegni concernenti tutti i
    governi europei. Miste a siffatte cose trovansi altre d'assai
    diversa natura, ma forse di non minore interesse. Tutte le sue
    avventure, i suoi sentimenti, le sue lunghe corse ad inseguire un
    enorme cervo, il suo folleggiare nella festa di Santo Uberto, il
    vegetare delle sue piantagioni, i suoi poponi andati a male, in che
    condizione sono i suoi cavalli, il desiderio ch'egli ha di trovare
    un buon palafreno per la sua moglie; il suo dispiacere udendo che un
    suo famigliare dopo d'avere rapito l'onore ad una fanciulla di buona
    famiglia, ricusi di sposarla; il suo mal di mare, la sua tosse, il
    suo mal di capo, i suoi accessi di divozione, la gratitudine ch'egli
    sente per la divina Provvidenza che lo ha scampato da un grave
    pericolo, gli sforzi ch'egli fa a sottoporsi alla volontà divina
    dopo un disastro: queste e simiglianti cose ivi sono descritte con
    una amabile garrulità, tale da non aspettarsi dal più discreto e
    calmo uomo di Stato de' tempi suoi. Va anche maggiormente notata la
    spensierata espansione della sua tenerezza, e il fraterno interesse
    ch'egli prende nella domestica felicità dell'amico. Se nasce un
    figlio a Bentinck, Guglielmo gli dice: "Io spero ch'egli viva, per
    essere buono come voi; ed ove io abbia un figliuolo, le nostre
    creature si ameranno, lo spero, come ci siamo amati noi(804)." Per
    tutta la vita egli seguita ad amare i piccoli Bentinck con affetto
    paterno. Gli chiama coi più cari nomi; nell'assenza del padre prende
    cura di loro; e quantunque gli rincresca di rifiutare loro cosa
    alcuna, non permette che vadano alla caccia, dove potrebbero correre
    il pericolo di ricevere un colpo di corno dal cervo inseguito, o
    abbandonarsi alle intemperanze d'una gozzoviglia(805). Se la loro
    madre si ammala nell'assenza del marito, Guglielmo, fra mezzo ad
    affari di gravissimo momento, trova il tempo di spedire parecchi
    corrieri in un giorno per recargli notizie della salute di lei(806).
    Una volta, come essa dopo una grave infermità è dichiarata fuori di
    pericolo, il Principe con fervidissime espressioni rende grazie a
    Dio: "Io scrivo lacrimando di gioia" dice egli(807). Serpe una
    singolare magia in coteste lettere, scritte da un uomo, la cui
    irresistibile energia ed inflessibile fermezza imponevano riverenza
    ai nemici, il cui freddo e poco grazioso contegno respingeva
    l'affetto di quasi tutti i partigiani, e la cui mente era occupata
    da giganteschi disegni che hanno cangiata la faccia del mondo.
    
    E tanto affetto non era mal collocato. Bentinck allora fu detto da
    Temple il migliore e più sincero ministro che alcun principe abbia
    mai avuta la fortuna di possedere, e continuò per tutta la vita a
    meritarsi un nome tanto onorevole. I due amici veramente erano fatti
    l'uno per l'altro. Guglielmo non aveva mestieri di chi lo dirigesse
    o lo lusingasse. Avendo ferma e giusta fiducia nel proprio giudizio,
    non amava i consiglieri che inclinavano molto a suggerire o ad
    obiettare. Nel tempo stesso, aveva discernimento ed altezza di mente
    bastevoli a sdegnare l'adulazione. Il confidente di un tal principe
    doveva essere uomo non di genio inventivo, o di predominante
    carattere, ma valoroso e fedele, capace d'eseguire puntualmente gli
    ordini ricevuti, di serbare inviolabilmente il secreto, di notare
    con occhio vigilante i fatti e riferirli con verità: e tale era
    Bentinck.
    
    VII. Guglielmo nel matrimonio non fu meno fortunato che
    nell'amicizia. Nulladimeno, il matrimonio in sulle prime non parve
    dovere essergli fonte di felicità domestica. A quel parentado egli
    era stato indotto principalmente da cagioni politiche; nè sembrava
    probabile che alcuna forte affezione dovesse nascere tra una
    avvenente fanciulla di sedici anni, di buona indole e intelligente,
    ma ignorante e semplice; ed uno sposo, il quale, comecchè non
    giungesse ai ventotto anni, era per costituzione più vecchio del
    padre di lei, ed aveva modi agghiaccianti, e tenea di continuo la
    mente occupata d'affari pubblici e di cacce. Per qualche tempo
    Guglielmo fu marito negligente. Fu strappato alle braccia della
    moglie da altre donne, e in ispecie da Elisabetta Villiers(808), che
    era una delle dame di lei, e che quantunque fosse priva di
    attrattive personali e sfigurata da un occhio guercio, aveva ingegno
    tale da rendersi gradevole a Guglielmo(809). Per vero dire, egli
    vergognavasi de' propri falli, e con ogni studio cercava
    nasconderli; ma, non ostanti tutte le sue cautele, Maria bene
    conosceva la infedeltà del marito. Spie e delatori, istigati dal
    padre di lei, fecero ogni sforzo per infiammarla all'ira. Un uomo di
    assai diverso carattere, l'ottimo Ken, il quale fu suo cappellano
    all'Aja per parecchi mesi, prese tanto fuoco vedendo i torti che
    ella soffriva, che con più zelo che giudizio minacciò di
    rimproverare severamente lo infido marito(810). Ella, non pertanto,
    sosteneva le proprie ingiurie con tanta mansuetudine e pazienza, che
    meritò e, a poco a poco, ottenne la stima e la gratitudine di
    Guglielmo. Rimaneva nondimeno un'altra cagione che teneva divisi i
    loro cuori. Poteva probabilmente giungere il giorno, in cui la
    Principessa, la quale era stata educata solo a ricamare, leggere la
    Bibbia e i Doveri dell'Uomo, diverrebbe sovrana d'un gran Regno,
    terrebbe la bilancia della politica europea; mentre lo sposo di lei,
    ambizioso, esperto de' pubblici negozi e inchinevole alle grandi
    intraprese, non troverebbe nel Governo d'Inghilterra luogo a sè
    convenevole, e avrebbe potere quale e quanto e finchè a lei piacesse
    concedergliene. Non è strano che un uomo come Guglielmo, amante
    dell'autorità e conscio del proprio genio a comandare, sentisse
    fortemente quella gelosia, la quale in poche ore di sovranità pose
    la dissensione tra Guildford Dudley e Lady Giovanna, e produsse una
    rottura anche più tragica fra Darnley e la Regina di Scozia. La
    Principessa d'Orange non aveva il più lieve sospetto de' pensieri
    del marito. Il vescovo Compton, suo istitutore, con gran cura
    l'aveva erudita nelle cose di religione, insegnandole specialmente a
    guardarsi dalle arti de' teologi cattolici romani; ma l'aveva
    lasciata profondamente ignara della sua posizione e della
    Costituzione inglese. Ella sapeva che, per dovere conjugale, era
    tenuta ad obbedire al proprio sposo; e non le era mai venuto in
    mente come la relazione in cui stavano entrambi potesse essere
    invertita. Nove anni erano corsi di matrimonio innanzi ch'ella
    sapesse la cagione del malcontento di Guglielmo; nè l'avrebbe mai
    saputa da lui. Generalmente, ei per natura inchinava più presto a
    chiudere in cuore che a sfogare i propri dolori; ed in cotesta
    peculiare occasione le sue labbra rendeva mute una ragionevole
    delicatezza. In fine, per mezzo di Gilberto Burnet, i due coniugi,
    avuta una spiegazione, pienamente riconciliaronsi.
    
    VIII. La fama di Burnet è stata assalita con singolare malizia e
    pertinacia. Tali aggressioni cominciarono fino dai suoi primi anni,
    e continuano tuttavia con non minore virulenza, comecchè egli da
    cento venticinque e più anni riposi sotterra. Veramente, egli è il
    bersaglio più adatto che l'animosità delle fazioni e gli spiriti
    petulanti possano mai desiderare; imperciocchè i suoi difetti
    d'intendimento e d'indole sono così visibili, che facile è a ognuno
    il notarli. Non erano quei difetti che ordinariamente si reputano
    comuni a tutti i suoi concittadini. Solo fra tutti i non pochi
    Scozzesi che si sono inalzati a grandezza e prosperità in
    Inghilterra, egli aveva quel carattere che gli scrittori satirici, i
    drammatici, i romanzieri sogliono concordemente ascrivere ai
    venturieri irlandesi. Gli spiriti animali, le millanterie, la
    vanità, la propensione a spropositare, la provocante indiscretezza,
    la indomita audacia di lui apprestavano inesauribile materia agli
    scherni de' Tory. Nè i suoi nemici trascuravano di complirlo
    talvolta, più con piacenteria che con delicatezza, per la spaziosità
    delle sue spalle, la grossezza delle sue gambe, il buon successo de'
    suoi disegni matrimoniali con qualche amorosa e ricca vedova. Ciò
    non ostante, Burnet, benchè per molti rispetti fosse subietto di
    scherno ed anche di grave riprensione, non era uomo spregevole.
    Aveva vivissima intelligenza, instancabile industria, vasta e
    svariata dottrina. Era, a un sol tempo, storico, antiquario,
    teologo, predicatore, articolista, disputatore ed operoso capo
    politico; e in ciascuna di coteste cose emergeva cospicuo fra' suoi
    competitori. I molti vivaci e brevissimi scritti ch'egli pubblicò
    sopra i fatti di que' tempi, oggimai son noti solo agli amatori di
    curiosità letterarie; ma la Storia de' suoi Tempi, la Storia della
    Riforma, la Esposizione degli Articoli, il Discorso de' Doveri d'un
    Pastore, la Vita di Hale, la Vita di Wilmot, vengono anche a' dì
    nostri ristampati, nè vi è buona biblioteca privata che non gli
    abbia ne' suoi scaffali. Contro questi argomenti tutti gli sforzi
    dei detrattori riescono vani. Uno scrittore, le cui opere voluminose
    in diversi rami della letteratura, trovano numerosi lettori cento
    trenta anni dopo la sua morte, può avere avuto grandi difetti, ma è
    mestieri che abbia anche avuto meriti grandi; e Burnet aveva grandi
    meriti, cioè fecondo e vigoroso intelletto e stile, ancorchè ben
    lontano dalla intemerata purità del bello scrivere, sempre chiaro,
    spesso vivace, e talvolta inalzantesi fino alla solenne e calorosa
    eloquenza. Nel pulpito, lo effetto de' suoi discorsi, ch'egli
    recitava senza sussidio di manoscritto, era accresciuto dalla
    nobiltà della sua persona, e da un modo patetico di porgere. Spesso
    veniva interrotto dal profondo fremito del suo uditorio; e quando,
    dopo d'avere predicato tanto che fosse trascorsa l'ora dell'oriuolo
    a polvere - che a que' giorni era parte degli ordegni del pulpito, -
    egli lo prendeva in mano, la congrega clamorosamente lo incoraggiava
    a seguitare finchè la polvere non fosse passata di nuovo(811). Sì
    nel suo carattere morale, che nello intellettuale, i grandi difetti
    erano più che compensati da grandi meriti. Tuttochè spesso fosse
    traviato dai pregiudizi e dalla passione, era uomo onesto per
    eccellenza. Tuttochè non sapesse resistere alle seduzioni della
    vanità, aveva spirito superiore ad ogni influenza di cupidigia o
    timore. Era, per indole, cortese, generoso, grato,
    compassionevole(812). Il suo zelo religioso, comunque fermo ed
    ardente, era per lo più temperato d'umanità, e di rispetto pei
    diritti della coscienza. Vigorosamente aderendo a quello ch'egli
    credeva spirito del Cristianesimo, considerava con indifferenza i
    riti, i nomi e le forme dell'ordinamento della Chiesa; e non era
    punto inchinevole ad essere severo anche con gl'infedeli e gli
    eretici la cui vita fosse pura, e i cui errori sembrassero più
    presto effetto d'intelligenza pervertita, che di cuore depravato;
    ma, al pari di molti dabbene uomini di quella età, considerava il
    caso della Chiesa di Roma come una eccezione a tutte le regole
    ordinarie.
    
    Burnet, per alcuni anni, ebbe rinomanza europea. La sua Storia della
    Riforma era stata accolta con istrepitosi applausi da tutti i
    Protestanti, mentre i Cattolici Romani l'avevano giudicata come un
    colpo mortale inflitto alla loro credenza. Il più grande dottore che
    la Chiesa di Roma abbia mai avuto dopo lo scisma del secolo
    decimosesto, voglio dire Bossuet vescovo di Meaux, tolse lo incarico
    di farne una elaborata confutazione. Burnet era stato onorato con un
    voto di ringraziamento da uno de' più zelanti Parlamenti del tempo
    in cui ferveva la concitazione della Congiura Papale, ed era stato
    esortato, a nome della Camera de' Comuni d'Inghilterra, a seguitare
    i suoi studi storici. Era stato ammesso alla familiarità di Carlo e
    di Giacomo, era vissuto in intimità con parecchi egregi uomini di
    Stato, segnatamente con Halifax, ed era stato direttore spirituale
    di molti grandi personaggi. Aveva redento dallo ateismo e dalla
    licenza Giovanni Wilmot, Conte di Rochester, ch'era uno de' più
    splendidi libertini di quel secolo. Lord Stafford, vittima di Oates,
    comunque Cattolico Romano, aveva, nelle ore estreme di sua vita,
    ricevuto il conforto delle esortazioni di Burnet intorno a que'
    punti di dottrina sui quali tutti i cristiani concordano. Pochi anni
    dopo, un'altra vittima più illustre, cioè Lord Russell(813), era
    stata accompagnata da Burnet dalla Torre al patibolo in Lincoln's
    Inn Fields. La Corte non aveva trascurato mezzo alcuno per trarre a
    sè un teologo cotanto profondo ed operoso. Non vi fu cosa che non
    tentasse, regie blandizie e promesse di alte dignità; ma Burnet,
    quantunque fino dalla giovinezza fosse imbevuto delle servili
    dottrine che erano in quel tempo comuni al clero, era divenuto Whig
    per convinzione; e traverso a tutte le vicissitudini, fermamente
    aderiva ai propri principii. Nondimeno, ei non fu partecipe di
    quella congiura che recò tanto disonore e calamità al partito Whig,
    e non solo aborriva dai disegni d'assassinio concepiti da
    Goodenough, e da Ferguson, ma opinava che anche il suo diletto ed
    onorato amico Russell(814) si fosse spinto troppo oltre contro il
    Governo. Finalmente arrivò tempo in cui la stessa innocenza non era
    arra di sicurezza. Burnet, comecchè non fosse reo di nessuna
    trasgressione della legge, fu fatto segno alla vendetta della Corte.
    Si rifugiò nel Continente, e dopo d'avere speso un anno a viaggiare
    la Svizzera, l'Italia e la Germania - viaggi de' quali egli ci ha
    lasciata una piacevole descrizione, - nella state del 1686 giunse
    all'Aia, e vi fu accolto con cortesia e riverenza. Conversò più
    volte e liberamente con la Principessa intorno alle cose politiche e
    religiose, e tosto le divenne direttore spirituale e confidente.
    Guglielmo gli usò ospitalità più graziosa di quel che si potesse
    sperare. Imperciocchè, fra tutti i difetti umani, quei che più
    l'offendevano, erano l'officiosità e l'indiscretezza; e Burnet, a
    confessione anche de' suoi amici e ammiratori, era il più officioso
    e indiscreto degli uomini. Ma il savio Principe s'accôrse che quel
    petulante e ciarliero teologo, il quale sempre cicalava di secreti,
    faceva impertinenti domande, sciorinava consigli non richiesti, era,
    nonostante, uomo retto, animoso, esperto, e ben conosceva gli umori
    e i disegni delle sètte e delle fazioni inglesi. Burnet aveva gran
    fama d'uomo eloquente e dotto. Guglielmo non era uomo erudito; ma da
    molti anni era stato capo del Governo Olandese in un tempo, in cui
    la stampa olandese era una delle macchine più formidabili che
    muovessero l'opinione pubblica dell'Europa; e benchè egli non
    gustasse i piaceri delle lettere, era savio ed osservatore tanto, da
    pregiare l'utilità dello aiuto de' letterati. Sapeva bene che un
    libercolo popolare talvolta poteva tornare proficuo al pari d'una
    vittoria riportata in campo. Sentiva parimente la importanza di
    avere sempre da presso alcun uomo ben esperto nell'ordinamento
    politico ed ecclesiastico dell'isola nostra; e Burnet aveva in sommo
    grado i requisiti ad essere un dizionario vivente delle cose
    inglesi, perocchè le sue cognizioni, quantunque non sempre accurate,
    erano immensamente vaste; e sì in Inghilterra che in Iscozia, pochi
    erano gli uomini insigni di qual si fosse partito politico o
    religioso, co' quali egli non avesse conversato. Per le quali cose
    ottenne tanta parte di favore e di fiducia, quanta ne era concessa
    solo a coloro che formavano il piccolo nucleo intimo de' privati
    amici del Principe. Quando il dottore si prendeva qualche libertà,
    il che non rade volte avveniva, il suo protettore diventava oltre
    l'usato freddo e severo, e tal fiata gli usciva dalle labbra qualche
    pungente sarcasmo che avrebbe fatto ammutolire chiunque. Tranne in
    cotesti casi, nondimeno, l'amicizia tra questi due uomini singolari
    durò, con qualche temporanea interruzione, fino alla morte. Certo,
    e' non era agevole ferire la sensibilità di Burnet. La compiacenza
    ch'egli provava di sè, gli spiriti animali, la mancanza di tatto in
    lui erano tali, che quantunque spesso offendesse altri, giammai egli
    ne rimaneva offeso.
    
    IX. Per cosiffatto carattere, egli aveva i requisiti necessari ad
    essere paciere tra Guglielmo e Maria. Ogni qualvolta coloro che
    dovrebbero vicendevolmente stimarsi ed amarsi, si trovano per
    avventura divisi, come spesso accade, per qualche differenza che
    sole poche parole franche e chiare basterebbero a comporre, debbono
    riputarsi bene avventurati ove abbiano un indiscreto amico che
    palesi intera la verità. Burnet, senza andirivieni, rivelò alla
    Principessa il pensiero che turbava la mente del suo consorte. E fu
    quella la prima volta in cui ella seppe, non senza grandemente
    maravigliarne, come diventando Regina d'Inghilterra, Guglielmo non
    dovesse secolei sedere sul trono. Dichiarò quindi caldamente d'esser
    pronta a porgere qual si fosse prova di sommessione e d'affetto
    conjugale. Burnet, assicurando e giurando di non parlare per
    suggerimento altrui, disse in lei sola stare intero il rimedio. Ella
    poteva di leggieri, appena assunta la Corona, indurre il Parlamento
    non solo a concedere al marito il titolo di Re, ma con un atto
    legislativo in lui trasferire il Governo dello Stato. "Ma Vostra
    Altezza Reale" aggiunse egli "dovrebbe, innanzi di parlare,
    maturamente considerare la cosa; imperocchè egli è un passo, che una
    volta fatto, non potrebbe facilmente e senza pericolo disfarsi." -
    "Non ho bisogno di tempo alcuno a considerare ciò ch'io fo" rispose
    Maria. "A me basta di cogliere questa occasione per mostrare il mio
    rispetto pel Principe. Riportategli ciò ch'io vi dico; e conducetelo
    a me, perchè egli possa udirlo ripetere dal mio labbro stesso."
    Burnet andò in traccia di Guglielmo; ma Guglielmo trovavasi molte
    miglia lontano a dar la caccia ad un cervo. E' non fu se non il
    giorno susseguente, che ebbe luogo il colloquio fra' due conjugi.
    "Non avevo mai saputo fino a ieri" disse Maria "che vi fosse tale
    differenza tra le leggi dell'Inghilterra e quelle di Dio. Ma adesso
    vi prometto che voi sarete colui che governerà sempre; e in
    ricambio, questo solo vi chiedo, che come io osserverò il divino
    comandamento, il quale vuole che le mogli obbediscano ai mariti, voi
    osserviate l'altro che ingiunge ai mariti d'amare le proprie mogli."
    Tanta generosità d'affetto, pienamente conquise il cuore di
    Guglielmo. Da quel tempo fino al di funesto in cui egli fu
    trasportato convulso lungi da lei che giaceva sul letto di morte,
    fra loro fu sempre vera amicizia e piena confidenza. Esistono ancora
    molte delle lettere che ella gli scrisse, e porgono numerosi
    argomenti come a questo uomo così inamabile, quale sembrava agli
    occhi del pubblico, fosse riuscito d'ispirare ad una bella e
    virtuosa donna, a lui superiore per nascita, una passione che era
    quasi idolatria.
    
    Il servigio in tal guisa reso da Burnet alla propria patria, era di
    sommo momento, perocchè era giunto il tempo in cui molto importava
    alla pubblica salvezza che il Principe e la Principessa fossero
    pienamente concordi.
    
    X. Fino dal tempo in cui fu spenta la insurrezione delle Contrade
    Occidentali, gravi cagioni di dissenso avevano scisso Guglielmo dai
    Whig e dai Tory. Aveva con rincrescimento veduti i tentativi fatti
    da' Whig a privare il Governo di certi poteri ch'egli riputava
    necessari alla efficacia e dignità di quello. Aveva con molto
    maggiore rincrescimento veduto il modo onde molti di loro s'erano
    contenuti verso le pretensioni di Monmouth(815). E' pareva che
    l'opposizione volesse avvilire la Corona d'Inghilterra, e porla sul
    capo di un bastardo e di un impostore. Nel tempo stesso, il sistema
    religioso del Principe grandemente differiva da ciò che formava il
    segno distintivo della credenza de' Tory. Costoro erano tutti
    Arminiani e Prelatisti; spregiavano le Chiese protestanti del
    continente, e consideravano ogni rigo della loro liturgia e rubrica
    sacro quasi al pari del vangelo. Le sue opinioni concernenti la
    metafisica della teologia, erano calviniste: le sue opinioni
    rispetto all'ordinamento e ai modi del culto, erano larghe.
    Ammetteva lo episcopato essere una forma legittima e convenevole di
    governo ecclesiastico; ma parlava con parole acri e sprezzanti della
    bacchettoneria di coloro i quali giudicavano la ordinazione de'
    vescovi essenziale alla società cristiana. Non aveva punto scrupolo
    intorno ai vestimenti e ai gesti prescritti dal libro della
    Preghiera Comune; ma confessava che i riti della Chiesa Anglicana
    sarebbero migliori se più si allontanassero da' riti della Chiesa di
    Roma. Era stato udito mormorare con segni di cattivo augurio,
    allorquando nella cappella privata della sua moglie ei vide un
    altare acconcio secondo il rito anglicano, e non parve molto
    satisfatto di vedere nelle mani di lei il libro di Hooker sopra
    l'Ordinamento Ecclesiastico(816).
    
    XI. Egli, adunque, da lungo tempo seguiva con occhio vigile il
    progresso della contesa tra le fazioni inglesi; ma senza sentire
    forte predilezione per nessuna di quelle. In verità, fino all'ultimo
    giorno di sua vita, ei non divenne nè Whig nè Tory. Difettava di ciò
    che è fondamento ad ambi cotesti caratteri; imperciocchè egli non
    diventò mai Inglese. È vero che salvò l'Inghilterra; ma non l'amò
    mai, e non fu mai da essa riamato. Per lui l'isola nostra fu sempre
    terra d'esilio, ch'egli visitava con ripugnanza e abbandonava con
    diletto. Anche mentre le rendeva quei servigi, de' quali fino ai
    nostri giorni sentiamo i felici effetti, il bene di quella non era
    lo scopo precipuo delle sue azioni. S'ei sentiva amore di patria, lo
    sentiva tutto per la Olanda. Quivi era la splendida tomba entro la
    quale riposava il grande uomo politico, di cui egli aveva ereditato
    il sangue, il nome, l'indole, il genio. Quivi il semplice suono del
    suo titolo era una magica parola, che per tre generazioni aveva
    destato lo affettuoso entusiasmo de' contadini e degli artigiani.
    L'olandese era lo idioma ch'egli aveva imparato dalla balia;
    olandesi gli amici della sua giovinezza. I sollazzi, gli edifizi, le
    campagne della sua terra natia gli empivano il cuore. Ad essa ei
    volgeva sempre desioso lo sguardo da un'altra patria più altera e
    più bella. Nella galleria di Whitehall egli amaramente ripensava
    alla sua avita casa nel Bosco all'Aja; e non sentivasi mai tanto
    felice, quanto nel giorno in cui dalla magnificenza di Windsor
    passava alla sua molto più modesta abitazione in Loo. Nel suo
    splendido esilio ei trovava consolazione creandosi d'intorno, con
    edifici, piantagioni, escavazioni, una scena che gli rammentasse le
    uniformi moli di rossi mattoni, i lunghi canali, e le simmetriche
    aiuole di fiori, fra mezzo ai quali egli aveva trascorsi i suoi
    giovani anni. E nonostante, cotesto suo affetto per la sua terra
    materna era subordinato ad un altro sentimento che da gran tempo
    aveva signoreggiato nell'anima sua, erasi mescolato a tutte le sue
    passioni, lo aveva spinto a maravigliose imprese, lo aveva sostenuto
    nelle mortificazioni, ne' dolori, nelle infermità, e che verso la
    fine della sua vita sembrò per alcun tempo languire, ma tosto
    ridestossi più fiero che mai, e seguitò ad animarlo fino all'ora
    suprema, in cui i ministri di Dio recitavano accanto al suo letto di
    morte la prece de' moribondi. Questo sentimento era la inimicizia
    alla Francia, e al Re magnifico, il quale in più sensi rappresentava
    la Francia, e a virtù e pregi eminentemente francesi congiungeva
    quell'ambizione irrequieta, scevra di scrupoli e vanagloriosa, che
    ha più volte ridesto contro la Francia il risentimento dell'Europa.
    
    Non è difficile rintracciare il progresso del sentimento che a poco
    a poco s'insignorì interamente dell'anima di Guglielmo. Mentre egli
    era ancora fanciullo, la sua patria era stata aggredita da Luigi,
    sfidando con ostentazione la giustizia e il diritto pubblico; era
    stata corsa, devastata, ed abbandonata ad ogni eccesso di
    ladroneria, di licenza e di crudeltà. Gli Olandesi sgomenti, s'erano
    umiliati dinanzi all'orgoglioso vincitore, chiedendo mercè. Era
    stato loro risposto, che ove desiderassero ottenere la pace, era
    mestieri rinunciare alla indipendenza, e rendere ogni anno omaggio
    alla Casa de' Borboni. L'oltraggiata nazione, disperando d'ogni
    altro umano argomento, aveva aperte le sue dighe, chiamando in
    soccorso le onde marine contro la tirannia francese. E' fu nelle
    angosce di quel conflitto, allorquando i contadini tremebondi
    fuggivano dinanzi agli invasori, centinaia di ameni giardini e di
    ville erano sepolte sotto le acque, le deliberazioni del Senato
    erano interrotte dagli svenimenti e dal pianto de' vecchi senatori,
    i quali non potevano sopportare il pensiero di sopravvivere alla
    libertà ed alla gloria della loro terra natia; e' fu in que'
    terribili giorni, che Guglielmo fu chiamato a capo dello Stato. Per
    alcun tempo la resistenza gli parve impossibile. Cercava da per
    tutto soccorso, e lo cercava invano. Spagna era snervata, Germania
    conturbata, Inghilterra corrotta. Null'altro partito sembrava
    rimanere al giovine Statoldero, che quello di morire con la spada in
    pugno, o farsi lo Enea d'una grande emigrazione, e creare un'altra
    Olanda in contrade inaccessibili alla tirannia della Francia.
    Nessuno ostacolo sarebbe allora rimasto a infrenare il progresso
    della Casa Borbonica. In pochi anni essa avrebbe potuto annettere ai
    propri domini la Lorena e le Fiandre, Castiglia ed Aragona, Napoli e
    Milano, il Messico e il Perù. Luigi avrebbe potuto assumere la
    Corona imperiale, porre un principe della sua famiglia sopra il
    trono della Polonia, divenire solo signore dell'Europa dai deserti
    della Scizia fino all'Oceano Atlantico, e dell'America dalle regioni
    nordiche del tropico del Cancro, fino alle regioni meridionali del
    tropico del Capricorno. Tale era il prospetto del futuro che stava
    dinanzi agli occhi di Guglielmo nel suo primo entrare nella vita
    politica, e che non gli sparì mai dallo sguardo fino all'estremo de'
    suoi giorni. La Monarchia Francese era per lui ciò che la Repubblica
    Romana era per Annibale, ciò che la Potenza Ottomana era per
    Scanderbeg, ciò che la dominazione inglese era per Wallace. Questa
    intensa e invincibile animosità era rafforzata dalla religione.
    Centinaia di concionatori calvinisti predicavano, che il medesimo
    potere che aveva suscitato Sansone per essere il flagello de'
    Filistei, e che aveva chiamato Gedeone dall'aja per domare i
    Madianiti, aveva suscitato Guglielmo d'Orange per essere il campione
    di tutte le nazioni libere, e di tutte le Chiese pure; pensiero che
    non fu senza influenza sulla mente di lui. Alla fiducia che lo
    eroico fatalista aveva posta nel suo alto destino e nella sua sacra
    causa, è da attribuirsi in parte la singolare indifferenza onde egli
    affrontava il pericolo. Aveva debito di compire un'altra impresa; e
    finchè non fosse compita, nulla gli avrebbe potuto nuocere. E però,
    per virtù di questo pensiero, egli, malgrado i pronostici de'
    medici, si riebbe da infermità che sembravano disperate; lo aperto
    navicello in cui egli si gettò nel fitto buio della notte fra mezzo
    alle frementi onde dell'Oceano, e presso ad una traditrice spiaggia,
    lo condusse a terra; e in venti campi di battaglia, le palle de'
    cannoni gli fischiarono d'intorno senza toccarlo. Lo ardore e la
    perseveranza con che egli si dedicò alla propria missione, mal
    troverebbero agguaglio nella storia degli uomini illustri.
    Considerando il suo gran fine, ei reputava la vita altrui di sì poco
    pregio, come la propria. Pur troppo, anche i più miti e generosi
    soldati di quella età avevano l'abitudine di curar poco lo
    spargimento del sangue, e le devastazioni inseparabili dalle grandi
    imprese militari; e il cuore di Guglielmo era indurito non solo
    dalla insensibilità acquistata nell'esercizio della guerra, ma da
    quella specie di insensibilità più severa, la quale nasce dalla
    coscienza del dovere. Tre grandi coalizioni, tre lunghe e sanguinose
    guerre, in cui tutta Europa dalla Vistola fino all'Oceano
    occidentale era in armi, devono attribuirsi alla sua invincibile
    energia. Allorquando nel 1678 gli Stati Generali, esausti e
    scuorati, desideravano posa, la sua voce tuonava contro coloro che
    volevano riporre la spada nel fodero. Se la pace fu fatta, ciò
    avvenne solo perchè egli non potè infondere ne' cuori altrui uno
    spirito fiero e risoluto come il suo. In sullo estremo istante, con
    la speranza di rompere le pratiche che ei sapeva pressochè concluse,
    combattè una delle più sanguinose ed ostinate battaglie, de' tempi
    suoi. Dal giorno in cui fu firmata la pace di Nimega egli cominciò a
    meditare un'altra coalizione. La sua contesa con Luigi, tradotta dal
    campo di battaglia al gabinetto, venne poco dopo esacerbata da un
    privato litigio. Per ingegno, indole, modi ed opinioni, i due rivali
    erano l'uno all'altro diametralmente opposti. Luigi, gentile e
    dignitoso, prodigo e voluttuoso, amante della pompa ed abborrente
    dai pericoli, munificente protettore delle arti e delle lettere, e
    crudele persecutore de' Calvinisti, offriva un notevole contrasto
    verso Guglielmo, semplice nelle sue inclinazioni, di poco grazioso
    portamento, infaticabile e intrepido in guerra, non curante degli
    ameni studi, e fermo partigiano de' teologi Ginevrini. I due nemici
    non osservarono lungamente quelle cortesie che i loro pari, anche
    oppugnantisi con le armi, rade volte trascurano. Guglielmo, a dir
    vero, giunse fino ad offrire i suoi migliori servigi al Re di
    Francia. Ma tali cortesie vennero estimate al loro giusto pregio, e
    ricompensate con una riprensione. Il gran Re affettava disprezzo pel
    principotto servitore d'una federazione di città commercianti; e ad
    ogni segno di spregio lo intrepido Statoldero rispondeva con una
    nuova disfida. Guglielmo prendeva il suo titolo - titolo che le
    vicissitudini del secolo precedente avevano reso uno de' più
    illustri in Europa - da una città che giace sulle rive del Rodano
    non lungi da Avignone; e che, al pari d'Avignone, quantunque da ogni
    lato circuita dal territorio francese, era propriamente feudo non
    della Corona di Francia, ma dello Impero. Luigi, con quella
    ostentazione spregiatrice del diritto pubblico, la quale formava il
    suo carattere, occupò Orange, ne smantellò le fortificazioni e ne
    confiscò le rendite. Guglielmo dichiarò ad alta voce a molti
    cospicui personaggi, i quali con lui sedevano a mensa, che avrebbe
    fatto pentire il Re Cristianissimo dell'oltraggio ricevuto; ed
    allorchè dal Conte d'Avaux gli fu chiesto conto delle parole
    profferite, ricusò positivamente o di ritrattarle o di spiegarle. La
    querela andò tanto oltre, che il ministro francese non poteva
    rischiarsi di comparire nelle sale della Principessa per timore di
    essere insultato(817).
    
    I sentimenti di Guglielmo verso la Francia, spiegano tutta la sua
    politica verso la Inghilterra. Il suo spirito pubblico era europeo.
    Il fine principale d'ogni suo studio non era l'isola nostra, non era
    nè anche la sua Olanda, ma la grande comunità delle nazioni
    minacciata di essere soggiogata da uno Stato troppo potente. Coloro
    i quali commettono lo errore di considerarlo come uomo di Stato
    inglese, è forza che guardino la intera sua vita in una falsa luce,
    e non perverranno a scoprire nessun principio buono o cattivo, Whig
    o Tory, al quale possano riferirsi le sue più importanti azioni. Ma
    ove lo consideriamo come uomo, il cui fine speciale era quello di
    congiungere una torma di Stati deboli, divisi e sgomenti, in ferma e
    vigorosa concordia contro un comune nemico; ove lo consideriamo come
    uomo, agli occhi del quale la Inghilterra importava principalmente,
    perchè, senza essa, la grande coalizione da lui desiderata, sarebbe
    stata incompiuta; saremo costretti ad ammettere che non vi è stata
    una vita sì lunga, di cui facciano ricordo le storie, maggiormente
    uniforme dal principio sino alla fine, quanto quella di cotesto gran
    Principe(818).
    
    XII. Col filo che adesso abbiamo tra le mani, potremo senza
    difficoltà rintracciare la via dritta in effetto, sebbene in
    apparenza talvolta tortuosa, ch'egli prese verso le nostre interne
    fazioni. Chiaramente vedeva (ciò che non era sfuggito agli occhi di
    uomini meno sagaci di lui) come la impresa alla quale egli con tutta
    l'anima intendeva, potesse avere probabilità di prospero successo
    con la Inghilterra amica, d'esito incerto con la Inghilterra
    neutrale, e di disperatissimo fine ove la Inghilterra agisse come
    aveva agito ai tempi della Cabala. Con non minore chiarezza, vedeva
    che tra la politica estera e la interna del Governo Inglese v'era
    stretta connessione; che il sovrano del nostro paese, operando
    d'accordo col Parlamento, deve sempre di necessità esercitare grande
    influenza negli affari della Cristianità, e deve anche avere un
    evidente interesse di avversare lo indebito ingrandimento d'ogni
    potentato continentale; che, dall'altro canto, il sovrano privo
    della fiducia del Parlamento e impedito nella sua via, non può avere
    se non poco peso nella politica europea, e che quel poco peso
    potrebbe anche gettarsi tutto nel lato nocivo della bilancia. Il
    principe, adunque, desiderava massimamente la concordia fra il Trono
    e il Parlamento. Il modo di stabilirla, e quale delle due parti
    dovesse fare concessioni all'altra, erano, secondo lui, cose
    d'importanza secondaria. Avrebbe gradito, senza alcun dubbio, di
    vedere una piena riconciliazione senza il sacrificio d'un briciolo
    della regia prerogativa; perocchè alla integrità di quella egli
    aveva diritto di reversibilità; ed egli, per indole, era cupido di
    potere e intollerante di freno, almeno quanto qualunque degli
    Stuardi. Ma non v'era gioiello della Corona ch'egli non fosse
    apparecchiato a sacrificare, anche dopo che la Corona era passata
    sul suo capo, qualvolta fosse convinto siffatto sacrificio essere
    impreteribilmente necessario al suo grande disegno. E però, nel
    tempo della congiura papale, comecchè egli disapprovasse la violenza
    con cui la opposizione assaliva la regia autorità, esortò il Governo
    a desistere. La condotta della Camera de' Comuni rispetto(819) agli
    affari interni, diceva egli, era molto irragionevole: ma finchè
    rimaneva malcontenta, le libertà della Europa pericolavano; ed a
    questa suprema ragione ogni altra doveva cedere. Giusta siffatti
    principii egli operò allorquando la Legge d'Esclusione pose la
    nazione tutta in commovimento. Non v'è ragione a credere ch'egli
    incoraggiasse la opposizione a spingere innanzi quella legge, e
    ricusare ogni patto che le venisse offerto dal trono. Ma come chiaro
    si conobbe che, ove non si fosse posta in campo quella legge, vi
    sarebbe stata seria rottura tra i Comuni e la Corte, egli
    intelligibilmente, benchè con assai decoroso riserbo, manifestò la
    propria opinione, dicendo il Governo dovere ad ogni costo
    riconciliarsi coi rappresentanti del popolo. Allorchè una violenta e
    rapida mutazione dell'opinione pubblica aveva lasciato per alcun
    tempo il partito Whig privo d'ogni soccorso, Guglielmo tentò di
    giungere al suo scopo supremo per una nuova via, forse all'indole
    sua più convenevole di quella ch'egli aveva anteriormente presa. Pei
    cangiati umori della nazione, era poco probabile che venisse eletto
    un Parlamento disposto ad opporsi alle voglie del Sovrano. Carlo per
    alcun tempo fu solo padrone. Il Principe quindi rivolse ogni
    pensiero a renderselo favorevole. Nella state del 1683, quasi nel
    momento medesimo in cui la scoperta della congiura di Rye House
    sconfisse i Whig e rese trionfante il Re, succedevano altrove fatti
    tali che Guglielmo non poteva vedere senza estrema ansietà e timore.
    Il Turco aveva condotte le sue schiere fino ai suburbii di Vienna.
    La grande Monarchia Austriaca, nel cui soccorso il Principe aveva
    calcolato, sembrava giunta alla estrema rovina. Per la qual cosa, ei
    mandò in fretta Bentinck dall'Aja a Londra, ingiungendogli di nulla
    omettere che fosse necessario a riconciliargli la Corte
    d'Inghilterra, e peculiarmente significare, con le più calde
    espressioni, l'orrore che il suo signore aveva sentito per la
    congiura de' Whig.
    
    Nel corso de' diciotto susseguenti mesi, vi fu qualche speranza che
    la influenza di Halifax prevalesse, e che la Corte di Whitehall
    ritornasse alla politica della Triplice Alleanza. Guglielmo nutrì
    avidamente in cuore tale speranza, e fece ogni sforzo per conseguire
    l'amicizia di Carlo. La ospitalità che Monmouth trovò all'Aja, deve
    principalmente attribuirsi alla brama che il Principe aveva di
    appagare i segreti desideri del padre di Monmouth. Appena morto
    Carlo, Guglielmo mirando ognora intentamente al supremo suo scopo,
    di nuovo cangiò contegno. Aveva ospitato Monmouth per piacere al Re
    defunto. Affinchè il Re Giacomo non avesse argomento di querelarsi,
    Monmouth ebbe commiato. Abbiamo veduto come, scoppiata la
    insurrezione delle contrade occidentali, i reggimenti inglesi che
    servivano in Olanda, fossero, alla prima richiesta, mercè gli sforzi
    del Principe, mandati alla patria loro. Per vero dire, Guglielmo
    anche si offerse a comandare in persona contro i ribelli; e che tale
    offerta fosse perfettamente sincera, non potrà mai dubitarsi, solo
    che si leggano le sue lettere confidenziali a Bentinck(820).
    
    Il Principe manifestamente in quel tempo sperava, che il gran
    disegno al quale nella mente sua ogni altra cosa era subordinata,
    fosse approvato e sostenuto dal suo suocero. L'altero linguaggio che
    allora Giacomo teneva verso la Francia, la prontezza con che egli
    consentì ad una alleanza difensiva con le Provincie Unite, la
    inclinazione ch'egli mostrava a collegarsi con la Casa d'Austria,
    accrescevano cotesta speranza. Ma poco dopo rabbuiossi la scena. La
    caduta di Halifax, la rottura tra Giacomo e il Parlamento, la
    proroga, lo annunzio distintamente fatto dal Re ai ministri
    stranieri che oramai la politica estera non lo distrarrebbe dallo
    intendere a trovare provvedimenti onde rinvigorire la regia
    prerogativa e promuovere gl'interessi della sua Chiesa, posero fine
    a tanta illusione. Chiaro vedevasi, che arrivato il tempo critico
    per la Europa, la Inghilterra, signoreggiata da Giacomo, o sarebbe
    rimasta inoperosa, o avrebbe operato in unione della Francia.
    
    XIII. E la crisi europea era imminente. La Casa d'Austria, dopo una
    serie di vittorie, erasi assicurata d'ogni pericolo da parte della
    Turchia, e non trovavasi più nella necessità di sostenere
    pazientemente le usurpazioni e gl'insulti di Luigi. Per lo che, nel
    luglio del 1686, fu firmato in Augusta un trattato, col quale i
    Principi dello Impero collegavansi strettamente insieme a
    vicendevole difesa. Il Re di Spagna e di Svezia erano parti di
    cotesta alleanza; l'uno come Sovrano delle provincie comprese nel
    circolo della Borgogna, l'altro come Duca di Pomerania. I
    confederati dichiaravano di non avere intendimento alcuno di
    aggredire, nè voglia d'offendere nessun potentato, ma erano bene
    risoluti di non tollerare la minima infrazione dei diritti che il
    Corpo Germanico possedeva sotto la sanzione del diritto pubblico e
    della pubblica fede. Vincolavansi tutti a difendersi in caso di
    bisogno, e stabilivano le forze che ogni membro della lega dovesse
    apprestare, ove fosse mestieri respingere l'aggressione(821). Il
    nome di Guglielmo non si leggeva in quell'atto; ma tutti sapevano
    che esso era opera di lui, e prevedevano che tra breve tempo egli
    sarebbe nuovamente il capitano d'una coalizione contro la Francia.
    In cosiffatte circostanze, tra lui e il vassallo della Francia non
    poteva esistere buono e cordiale intendimento. Non v'era aperta
    rottura, non ricambio di minacce o di rimproveri; ma il suocero e il
    genero s'erano per sempre l'uno dall'altro separati.
    
    XIV. Nel tempo medesimo in cui il Principe era così diviso dalla
    Corte d'Inghilterra, andavano disparendo le cagioni che avevano fino
    allora prodotto freddezza tra lui e i due grandi partiti del popolo
    inglese. Gran parte, che formava forse una maggioranza numerica, dei
    Whig, aveva prestato favore a Monmouth: ma Monmouth non era più. I
    Tory, dall'altro canto, avevano temuto che gl'interessi della Chiesa
    anglicana non avessero ad essere sicuri sotto lo impero d'un uomo
    educato fra' presbiteriani olandesi, e, come ciascuno sapeva, di
    larghe opinioni rispetto ai vestimenti, alle cerimonie, allo
    episcopato: ma dacchè quella Chiesa diletta era stata minacciata da
    molto maggiori pericoli, cosiffatti timori erano quasi spenti. In
    tal guisa, nello istante medesimo, ambidue i grandi partiti
    cominciarono a porre le speranze e lo affetto loro nello stesso
    capo. I vecchi repubblicani non potevano ricusare la loro fiducia ad
    un uomo, il quale aveva per molti anni degnamente tenuta la più alta
    magistratura d'una repubblica. I vecchi realisti credevano di agire
    secondo i loro principii, tributando profonda riverenza ad un
    Principe cotanto vicino al trono. In tali condizioni, era cosa di
    massima importanza la perfetta unione tra Guglielmo e Maria. Un
    malinteso tra la erede presuntiva della Corona e il marito, avrebbe
    prodotto uno scisma in quella vasta massa che da ogni parte andavasi
    raccogliendo intorno al vessillo d'un solo capo. Avventuratamente,
    ogni pericolo di questo malinteso fu tolto dallo intervento di
    Burnet; e il Principe divenne lo incontrastato capo di tutto quel
    gran partito che faceva opposizione al Governo, partito che quasi
    comprendeva la intera nazione.
    
    Non v'è ragione a credere che egli verso questo tempo meditasse la
    grande impresa alla quale poscia fu da una dura necessità
    trascinato. Scorgeva bene che la opinione pubblica dell'Inghilterra,
    comecchè i cuori fossero esasperati dagli aggravi del Governo, non
    era punto matura per la rivoluzione. Avrebbe senza dubbio voluto
    evitare lo scandolo che doveva produrre una lotta mortale tra
    persone strette con vincoli di consanguineità e d'affinità. Anche
    per ambizione, gli ripugnava il riconoscere dalla violenza quella
    grandezza alla quale egli sarebbe pervenuto pel corso ordinario
    della natura e della legge: perocchè, bene sapeva che ove la corona
    fosse regolarmente toccata in sorte alla sua moglie, le regie
    prerogative non patirebbero detrimento; ed all'incontro, se ei
    l'ottenesse per elezione, gli verrebbe concessa con quelle
    condizioni che agli elettori piacesse d'imporre. Egli, adunque, fece
    pensiero, come sembra, di attendere con pazienza il giorno in cui
    potesse(822) con incontrastato titolo governare, e di contentarsi
    infrattanto di esercitare grande influenza sopra gli affari della
    Inghilterra, come primo Principe del sangue, e capo del partito che
    decisamente preponderava nella nazione, e che certo, appena ragunato
    il Parlamento, avrebbe decisamente preponderato in ambedue le
    Camere.
    
    XV. Egli è vero che già a Guglielmo, da un uomo meno savio e più
    impetuoso ch'egli non fosse, era stato consigliato di appigliarsi a
    più audace partito. Questo consigliere era il giovane Lord Mordaunt.
    In quel tempo non era sorto un uomo che avesse genio più inventivo e
    spirito più ardimentoso di lui. Se la impresa era splendida,
    Mordaunt rade volte chiedeva se fosse fattibile. La sua vita fu un
    bizzarro romanzo, composto di misteriosi intrighi d'amore e di
    politica, di violente e rapide variazioni di scena e di fortuna, e
    di vittorie somiglievoli a quelle d'Amadigi e di Lancillotto, più
    presto che a quelle di Lussemburgo e d'Eugenio. Gli episodii
    disseminati nella sua strana istoria erano cónsoni a tutto il tenore
    della vita sua. V'erano notturni incontri con ladroni generosi; e
    dame nobili e belle liberate dalle mani de' loro rapitori. Mordaunt
    essendosi reso notevole per la eloquenza e l'audacia con che nella
    Camera de' Lordi erasi opposto alla Corte, tosto dopo la proroga del
    Parlamento, si rifuggì all'Aja, e propose a Guglielmo di fare una
    subita discesa in Inghilterra. Erasi persuaso che sarebbe stato così
    facile sorprendere tre grandi Regni, come lungo tempo dopo gli tornò
    facile sorprendere Barcellona.
    
    XVI. Guglielmo ascoltò, ripensò, e rispose, con parole vaghe: il
    bene dell'Inghilterra stargli tanto a cuore, che non lo perderebbe
    mai d'occhio(823). Qualunque fossero i suoi intendimenti, non era
    probabile ch'ei si scegliesse a confidente un temerario e
    vanaglorioso cavaliere errante. Questi due mortali null'altro
    avevano di comune che il coraggio personale, il quale in entrambi
    giungeva all'altezza d'un favoloso eroismo. Mordaunt aveva bisogno
    solamente di eccitarsi nel conflitto, e di rendere attonito il
    mondo. Guglielmo mirava perpetuamente ad un solo gran fine, al quale
    era trascinato da una forte passione, ch'egli reputava sacro dovere.
    Onde ridursi a quel fine, faceva prova d'una pazienza, siccome una
    volta egli disse, simile a quella con cui aveva veduto nel canale un
    marinaio lottare contro la corrente, spesso ricacciato indietro, ma
    non cessando mai di spingersi innanzi, satisfatto se potesse con
    molte ore di fatica, avanzare di pochi passi(824). Il Principe
    pensava che le imprese le quali non lo facevano avvicinare a cotesto
    fine, per quanto il volgo potesse estimarle gloriose, fossero vanità
    fanciullesche.
    
    S'avvisò, quindi, di ricusare il consiglio di Mordaunt; e senza
    alcun dubbio ei fece bene. Se Guglielmo nel 1686, o anche nel 1687,
    avesse tentato di fare ciò che egli fece con tanto prospero esito
    nel 1688, è probabile che molti Whig, alla sua chiamata, sarebbero
    corsi alle armi; ma avrebbe, ad un'ora, sperimentato la nazione non
    essere per anche apparecchiata ad accogliere un liberatore armato
    che veniva da terra straniera, e la Chiesa non essere stata
    provocata e insultata fino a porre in dimenticanza la dottrina
    politica, della quale s'era per tanto tempo singolarmente
    inorgoglita. I vecchi Cavalieri sarebbero accorsi intorno al regio
    vessillo: si sarebbe, probabilmente, in tutti i tre Regni accesa una
    guerra civile, lunga e sanguinosa al pari di quella della precedente
    generazione. E mentre nelle Isole Britanniche infuriasse siffatta
    guerra, che non avrebbe mai potuto tentare Luigi nel continente? E
    quale speranza sarebbe rimasta alla Olanda, emunta di forze militari
    ed abbandonata dal suo Statoldero?
    
    XVII. Guglielmo, adunque, fu pago per allora di provvedere in modo
    da rendere concorde e rianimare la potente opposizione dalla quale
    era riconosciuto come capo. E ciò non era difficile. La caduta degli
    Hydes aveva destato in tutta la Inghilterra strano timore e forte
    sdegno. Tutti accorgevansi, oggimai trattarsi di sapere non se il
    protestantismo sarebbe predominante, ma se sarebbe tollerato. Al
    Tesoriere era succeduta una Commissione, della quale era capo un
    papista. Il Sigillo Privato era stato affidato ad un papista. Al
    Lord Luogotenente d'Irlanda era succeduto un uomo, il quale non
    aveva nessun altro merito per quell'alto ufficio, tranne d'essere
    papista. L'ultima persona che un Governo, sollecito del bene dello
    Stato, avrebbe dovuto mandare a Dublino, era Tyrconnel. Per le sue
    maniere brutali era indegno di rappresentare la maestà della Corona.
    Per la pochezza dello intendimento e la violenza dell'indole, era
    inetto a maneggiare gravi affari di Stato. L'odio mortale ch'egli
    sentiva pei possessori della più parte del suolo d'Irlanda, lo
    rendeva segnatamente inabile a governare quel Regno. Ma la sua
    intemperante bacchettoneria era reputata bastevole espiazione della
    intemperanza delle altre sue passioni; e a contemplazione del suo
    odio contro la fede riformata, lo lasciavano abbandonarsi senza
    freno al suo odio contro il nome inglese. Tale era allora il vero
    intendimento del Re intorno ai diritti della coscienza! Voleva che
    il Parlamento abrogasse tutte le incapacità delle quali erano
    gravati i papisti, solo perchè potesse alla sua volta imporre pari
    incapacità ai Protestanti. Chiaro vedevasi che sotto un simigliante
    Principe l'apostasia era il solo sentiero da condurre alla
    grandezza. E non pertanto, era un sentiero pel quale pochi
    rischiavansi di procedere; avvegnachè lo spirito nazionale fosse
    ormai desto, e ad ogni rinnegato toccasse soffrire tanto scherno ed
    abborrimento da parte del pubblico, che anche i cuori più induriti e
    nudi di vergogna non potevano non sentirlo.
    
    XVIII. Non può negarsi che alcune notevoli conversioni di recente
    avevano avuto luogo; ma tutte erano tali da accrescere poco credito
    alla Chiesa di Roma. Due uomini d'alto grado, Enrico Mordaunt Conte
    di Peterborough, e Giacomo Cecil Conte di Salisbury, avevano
    abbracciata quella religione. Ma Peterborough, il quale era stato
    operoso soldato, cortigiano e diplomatico, allora giaceva affranto
    dagli anni e dalle infermità; e coloro che lo vedevano procedere per
    le sale di Whitehall barcollante, appoggiato ad un bastoncello e
    ravvolto di pannilani e d'impiastri, della sua diserzione
    confortavansi pensando ch'egli s'era mantenuto fido alla religione
    degli avi finchè le sue facoltà intellettive non furono spente(825).
    La imbecillità di Salisbury era passata in proverbio. Oltremodo
    sensuale, era tanto ingrassato che appena si poteva muovere, e quel
    corpo tardo era degno abitacolo d'un'anima stupida. Le satire di
    que' tempi lo dipingono come uomo nato stampato per farsi ingannare,
    il quale fino allora essendo stato vittima de' giuocatori, poteva di
    leggieri essere vittima dei frati. Una pasquinata, la quale circa
    l'epoca del ritiro di Rochester, fu appiccata alla porta della casa
    di Salisbury nello Strand, esprimeva con grossolane parole l'orrore
    con cui il savio Roberto Cecil, ove fosse potuto sorgere dal
    sepolcro, avrebbe veduto quale abbietta creatura era l'erede de'
    suoi titoli ed onori(826).
    
    XIX. Questi due uomini erano i più alti per grado fra' proseliti di
    Giacomo. V'erano altri rinnegati di un'altra specie; uomini di doti
    insigni, ma privi d'ogni principio e d'ogni senso della propria
    dignità. Abbiamo ragione di credere che fra costoro fosse Guglielmo
    Wycherley, il più licenzioso e insensibile scrittore d'una scuola
    singolarmente insensibile e licenziosa(827). È certo che Matteo
    Tindal, il quale più tardi acquistò grande rinomanza scrivendo
    contro il Cristianesimo, fu in quel tempo ricevuto nel grembo della
    Chiesa infallibile; fatto, che, come può agevolmente supporsi, i
    teologi coi quali egli poscia appiccò controversia, non lasciarono
    punto nell'oblio(828). Altro più infame apostata fu Giuseppe Haines,
    il cui nome adesso giace quasi dimenticato, ma che era ben noto a
    que' tempi come avventuriere di versatile ingegno, scroccone,
    falsificatore di monete, falso testimonio, mallevadore impostore,
    maestro di ballo, buffone, comico, poeta. Taluni de' suoi prologhi
    ed epiloghi furono molto ammirati da' suoi contemporanei, i quali
    universalmente gli rendevano lode di buono attore. Costui si fece
    Cattolico Romano, e si recò in Italia come addetto all'ambasciata di
    Castelmaine; ma tosto, per riprovevole condotta, venne cacciato via.
    Se è da prestarsi fede ad una tradizione lungamente conservatasi,
    Haines ebbe la impudenza d'asserire che la Vergine Maria gli era
    apparsa per esortarlo alla penitenza. Dopo la Rivoluzione, si provò
    di pacificarsi coi suoi concittadini con una ammenda più scandolosa
    dell'offesa stessa. Una notte, innanzi di rappresentare la parte sua
    in una farsa, comparve sul proscenio, avvolto in un bianco lenzuolo,
    con una torcia in mano, recitando una profana ed indecente
    filastrocca di versi, ch'egli chiamò la propria ritrattazione(829).
    
    XX. Col nome di Haines correva congiunto in molti libelli il nome di
    un rinnegato più illustre, cioè di Giovanni Dryden. A quel tempo
    egli era in sul declinare degli anni suoi. Dopo molti successi ora
    prosperi ora sinistri, l'opinione generale lo considerava come primo
    fra i poeti inglesi coetanei. I suoi diritti alla gratitudine di
    Giacomo erano molto superiori a quelli di qualunque altro scrittore
    del Regno. Ma Giacomo pregiava poco i versi, e molto il danaro. Dal
    dì in cui egli ascese al trono, si diede a fare piccole riforme
    economiche, e tali che acquistano sempre al Governo la taccia di
    spilorceria, senza recare alcun manifesto giovamento alle finanze.
    Una delle vittime di questa insensata parsimonia, fu il Poeta
    Laureato. E' fu ordinato, che nella patente, la quale a cagion della
    nuova successione al trono, doveva rinnovarsi, l'annuo onorario in
    origine concesso a Jonson, e continuato ai suoi successori, si
    omettesse(830). Fu questo l'unico pensiero che il Re, nel primo anno
    del suo regno, si degnò di volgere al possente poeta satirico, il
    quale, mentre ardeva il conflitto intorno alla Legge d'Esclusione,
    aveva sparso il terrore nel partito de' Whig. Dryden era povero, e
    mal sopportava la povertà. Sapeva poco e davasi poco pensiero delle
    cose di religione. Se aveva in petto profondamente radicato alcun
    sentimento, era l'avversione contro i preti di tutte le religioni,
    Leviti, Auguri, Muftì, Cattolici Romani, Presbiteriani, Anglicani.
    La natura non gli aveva largito anima elevata; e le sue occupazioni
    non erano state punto tali, da fargli acquistare altezza e
    delicatezza d'animo. Per molti anni erasi guadagnato il pane
    quotidiano arruffianando la sua musa al pervertito gusto della
    platea, e grossolanamente adulando ricchi e nobili protettori.
    Rispetto di sè, e senso squisito di convenevolezza, non potevano
    trovarsi in un uomo il quale aveva trascinata una vita di mendicità
    e di adulazione. Pensando che ove egli seguitasse a chiamarsi
    protestante, i suoi servigi non verrebbero rimunerati, si dichiarò
    papista. Cessò subitamente la parsimonia del Re. A Dryden fu
    conceduta una annua pensione di cento lire sterline, ed ebbe il
    carico di difendere in verso e in prosa la sua nuova religione.
    
    Due illustri scrittori, Samuele Johnson e Gualtiero Scott, hanno
    fatto ogni sforzo per persuadere sè ed altrui, che cotesta
    memorabile conversione fosse sincera. Era cosa naturale che
    volessero cancellare una macchia disonorevole dalla memoria d'un
    ingegno da essi giustamente ammirato, e col quale concordavano
    rispetto ad opinioni politiche; ma lo storico imparziale è uopo che
    pronunci un giudizio assai dal loro differente. Vi sarà sempre forte
    presunzione contro la sincerità d'una conversione ogni qualvolta
    riesca a utile del convertito. Nel caso di Dryden, non vi ha nulla
    che contrappesi siffatta presunzione. I suoi scritti teologici
    provano ad esuberanza ch'egli non si studiò mai con diligenza ed
    amore di imparare il vero, e che le sue nozioni intorno alla Chiesa
    abbandonata e alla Chiesa abbracciata da lui, erano
    superficialissime. Nè la sua condotta dopo la conversione, fu quella
    d'un uomo da un profondo senso de' propri doveri costretto a fare un
    così solenne passo. Ove egli fosse stato tale, la medesima
    convinzione che lo aveva condotto ad abbracciare la Chiesa di Roma,
    gli avrebbe certo impedito di violare gravemente e per abitudine i
    precetti da quella Chiesa, come da ogni altra società cristiana,
    riconosciuti obbligatorii. Tra i suoi scritti precedenti e tra'
    susseguenti alla sua conversione, vi sarebbe stata notevole
    diversità. Avrebbe sentito rimorso de' suoi trenta anni di vita
    letteraria, durante i quali egli aveva sistematicamente adoperata la
    sua rara potenza di linguaggio e di versificazione a corrompere il
    pubblico. Dalla sua penna non sarebbe uscita, da quell'ora in poi,
    una sola parola tendente a rendere spregevole la virtù, e ad
    infiammare le licenziose passioni. Ed è sventuratamente vero, che i
    drammi da lui scritti dopo la sua pretesa conversione, non sono
    punto meno impuri o profani di quelli della sua giovinezza. Anche
    traducendo, scostavasi dai suoi originali per andare in cerca
    d'immagini, che, ove le avesse trovate negli originali stessi,
    avrebbe dovuto schivare. Ciò che in quelli era cattivo, nelle sue
    versioni diventava peggiore; ciò che era puro, passando nella sua
    mente, contraeva qualche macchia. Le più grossolane satire di
    Giovenale egli rese più riprovevoli; inserì descrizioni lascive
    nelle Novelle di Boccaccio; e corruppe la dolce e limpida poesia
    delle Georgiche con lordure che avrebbero stomacato Virgilio.
    
    XXI. Lo aiuto di Dryden fu accolto con gioia da quei teologi
    cattolici romani, i quali con difficoltà sostenevano un conflitto
    contro i più illustri ingegni della Chiesa Stabilita. Non potevano
    non riconoscere il fatto, che il loro stile, sfigurato da barbarismi
    contratti in Roma e in Doaggio, faceva meschina figura in paragone
    della eloquenza di Tillotson e Sherlock. Per lo che, pareva loro non
    essere lieve acquisto la cooperazione del più grande scrittore
    vivente dell'idioma inglese. Il primo servigio che a lui fu chiesto
    in prezzo della sua pensione, fu di difendere in prosa la sua Chiesa
    contro Stillingfleet. Ma l'arte di dir bene le cose diventa inutile
    ad un uomo che non abbia nulla da dire; e tale era il caso di
    Dryden. Vide come egli non valesse a sostenere il combattimento con
    un uomo da lunghi anni assuefatto a maneggiare le armi della
    controversia. Il battagliere veterano disarmò il novizio, gli
    inflisse qualche ferita di dispregio, e si volse contro più
    formidabili combattenti. Dryden allora impugnò un'arma, nella quale
    non era agevole trovare chi potesse vincerlo. Si ritrasse alcun
    tempo dal trambusto de' caffè e de' teatri per rinchiudersi in un
    quieto luogo nella Contea di Huntingdon, ed ivi compose con insolita
    cura e fatica il suo celebre poema intorno ai punti disputati tra la
    Chiesa di Roma e quella d'Inghilterra. Rappresentò la Romana sotto
    la similitudine d'una candida cerva, sempre in pericolo di morte, e
    nondimeno destinata a non morire. Le belve della foresta
    congiuravano a spegnerla. Il Tremante coniglio, a dir vero, si
    teneva strettamente neutrale; ma la volpe Sociniana, il lupo
    Presbiteriano, l'orso Indipendente, il cignale Anabattista,
    avventavano sguardi feroci alla intemerata creatura. Nondimeno ella
    poteva rischiarsi a bere insieme con loro alla fonte comune sotto la
    protezione del leone Regale. La Chiesa Anglicana era significata
    dalla pantera con la pelle macchiata, ma bella, anco troppo bella
    per bestia da preda. La cerva e la pantera, egualmente esose al
    feroce popolo della foresta, si ritrassero da parte per ragionare
    intorno al pericolo comune. Quindi seguitarono a discutere intorno
    ai punti delle loro differenze, e dimenando le code e leccandosi le
    ganasce, tennero un lungo colloquio sopra la presenza reale,
    l'autorità de' papi e de' concili, le leggi penali, l'Atto di Prova,
    gli spergiuri d'Oates, i servigi resi da Butler, benchè non
    ricompensati, al partito de' Cavalieri, i libercoli di
    Stillingfleet, e le ampie spalle e i fortunati negozi matrimoniali
    di Burnet.
    
    L'assurdità di questo poetico disegno è manifestissima. E in vero,
    cosiffatta allegoria non poteva regolarmente procedere oltre a dieci
    versi. Non v'è magistero di forma che possa servire di compenso agli
    errori di un tal disegno. E nulladimeno, la Favola della Cerva e
    della Pantera è senza verun dubbio la produzione più pregevole della
    letteratura inglese del breve e torbido regno di Giacomo II. In
    nessuna delle opere di Dryden si potrebbero trovare brani più
    patetici e splendidi, maggior pieghevolezza ed energia di stile, e
    più piacevole e variata armonia.
    
    Il poema comparve alla luce con ogni vantaggio che la regia
    protezione potesse impartire. Una magnifica edizione ne fu fatta per
    la Scozia nella tipografia cattolica romana di Holyrood House. Ma le
    genti non erano in umore da lasciarsi ammaliare dal lucido stile e
    dagli armoniosi versi dello apostata. Il disgusto eccitato dalla sua
    venalità, il timore eccitato dalla politica di cui egli s'era fatto
    panegirista, non erano cose da cantarsi per addormentare le menti.
    Il pubblico fu infiammato di giustissimo sdegno da coloro cui gli
    scherni del poeta scottavano, e da coloro che erano invidi della sua
    rinomanza. Non ostante le restrizioni che avvincolavano la stampa,
    ogni giorno apparivano satire intorno alla vita e agli scritti di
    lui. Ora lo chiamavano Bayes, ora il Poeta Squab. Gli rammentavano
    come in gioventù avesse tributato alla Casa di Cromwell le medesime
    servili lusinghe le quali egli adesso tributava alla Casa degli(831)
    Stuardi. Alcuni de' suoi avversari maliziosamente ristamparono i
    versi pieni di sarcasmo già da lui scritti contro il papismo,
    allorquando non gli avrebbe nulla giovato l'essere papista. Tra i
    molti componimenti satirici venuti alla luce in tale occasione, il
    più notevole fu opera di due giovani, i quali di recente avevano
    compiti i loro studi in Cambridge, ed erano stati accolti come
    novizi di belle speranze ne' caffè letterari di Londra; voglio dire
    Carlo Montague e Matteo Prior. Montague era di nobile schiatta; la
    origine di Prior era talmente oscura, che nessun biografo ha potuto
    rinvenirla: entrambi poscia giunsero in alto; entrambi allo amore
    delle lettere congiungevano arte mirabile in quella specie d'affari
    di che i letterati generalmente sentono disgusto. Tra i cinquanta
    poeti de' quali Johnson ha scritto le vite, Montague e Prior sono i
    soli che avessero profonda conoscenza del commercio e delle finanze.
    Non andò guari, e presero vie l'una dall'altra diverse. La loro
    giovanile amicizia si sciolse. Uno di loro divenne capo del partito
    Whig, e fu processato dai Tory. All'altro furono affidati tutti i
    misteri della diplomazia de' Tory, e fu lungamente tenuto in
    istretta prigionia dai Whig. Infine, dopo molti anni di
    vicissitudini, i due colleghi, ch'erano stati lungo tempo divisi, si
    ricongiunsero nell'Abbadia di Westminster.
    
    XXII. Chiunque abbia attentamente letto il racconto della Cerva e
    della Pantera, si sarà dovuto accorgere che mentre Dryden lo stava
    componendo, grande variazione era seguita ne' disegni di coloro che
    si servivano di lui come loro interprete. In sul principio, la
    Chiesa Anglicana è rammentata con tenerezza e rispetto, e viene
    esortata a collegarsi co' Cattolici Romani contro le sètte de'
    Puritani; ma alla fine del componimento, e nella prefazione scritta
    dopo che quello fu compiuto, i Protestanti Dissenzienti vengono
    invitati a far causa comune coi Cattolici Romani contro la Chiesa
    d'Inghilterra.
    
    Sì fatto mutamento di linguaggio nel poeta cortigiano indicava un
    grande mutamento nella politica della Corte. Il primitivo scopo di
    Giacomo era stato quello d'ottenere per la propria Chiesa non solo
    piena immunità da tutte le pene e da tutte le incapacità civili, ma
    ampia partecipazione ai beneficii ecclesiastici ed universitari, e
    nel tempo stesso di rinvigorire le leggi contro le sètte puritane.
    Tutte le dispense speciali da lui concedute, erano state a pro de'
    Cattolici Romani. Tutte le leggi più dure contro i Presbiteriani,
    gl'Indipendenti, i Battisti, erano state per qualche tempo da lui
    mandate severamente ad esecuzione. Mentre Hale comandava un
    reggimento, mentre Powis sedeva nel Consiglio, mentre Massey era
    decano, mentre i breviari e i messali stampavansi in Oxford muniti
    di regia licenza, mentre l'Ostia esponevasi pubblicamente in Londra
    sotto la protezione delle picche e degli archibugi delle guardie
    reali, mentre frati e monaci vestiti degli abiti loro passeggiavano
    per le vie della metropoli, Baxter era sepolto in carcere; Howe era
    in esilio; le leggi dette Five-Mile-Act, e Conventicle-Act, erano in
    pieno vigore; gli scrittori puritani erano costretti a ricorrere
    alle tipografie straniere o clandestine; le congregazioni puritane
    potevano riunirsi solamente di notte o in luoghi vasti, e i ministri
    puritani erano forzati a predicare travestiti da carbonai o da
    marinari. In Iscozia il Re, mentre non trascurava sforzo nessuno ad
    estorcere dagli Stati pieno alleggiamento pei Cattolici Romani,
    aveva chiesto ed ottenuto nuovi statuti di severità senza esempio
    contro i presbiteriani. La sua condotta verso gli esuli Ugonotti
    aveva con non minore chiarezza rivelato il suo cuore. Abbiamo di
    sopra veduto, che quando la pubblica munificenza aveva posto nelle
    mani del Re una grossa somma per alleggiare la sciagura di que'
    miseri, egli, rompendo ogni legge d'ospitalità e di buona fede,
    impose loro di rinunziare al culto calvinista, cui essi forte
    aderivano, ed abbracciare quello della Chiesa Anglicana, innanzi
    d'ottenere la più piccola parte delle limosine che erano state a lui
    affidate.
    
    Tale fu la sua politica finchè nutrì la speranza che la Chiesa
    Anglicana avrebbe consentito a predominare insieme con la Chiesa di
    Roma. Tanta speranza un tempo fu per lui una certezza. Lo entusiasmo
    con che i Tory lo avevano salutato nello ascendere ch'egli fece al
    trono, le elezioni, il rispettoso linguaggio e le ampie concessioni
    del suo Parlamento, la insurrezione delle Contrade Occidentali
    spenta, prostrato il partito che aveva tentato di privarlo della
    corona; queste e simiglianti altre cose lo avevano spinto oltre i
    confini della ragione. Era sicuro che ogni ostacolo cederebbe
    innanzi la sua potenza e fermezza. Il Parlamento gli oppose
    resistenza. Egli adoperò il cipiglio e le minacce; ma a nulla
    giovarono. Si provò di prorogarlo; ma dal giorno della proroga la
    opposizione ai suoi disegni era divenuta ognora più forte. Sembrava
    chiaro che volendo mandare ad effetto il proprio pensiero, gli era
    mestieri farlo sfidando quel gran partito che aveva dato segnalate
    prove di fedeltà al suo grado, alla sua famiglia, alla sua persona.
    Tutto il clero anglicano, tutti i gentiluomini(832) Cavalieri gli
    stavano contro. Invano egli, per virtù della sua supremazia
    ecclesiastica, aveva comandato al clero che si astenesse dal
    discutere i punti controversi. In ogni chiesa parrocchiale del
    Regno, tutte le domeniche i sacerdoti esortavano i fedeli a
    guardarsi dagli errori di Roma: esortazioni che erano le sole
    efficaci, perocchè venivano accompagnate da proteste di riverenza
    verso il Sovrano, e da giuramenti di sopportare pazientemente ciò
    che gli sarebbe piaciuto di infliggere. I Cavalieri e scudieri
    realisti, i quali in quarantacinque anni di guerra e di fazioni
    avevano con esimio valore difeso il trono, adesso andavano con
    franche parole dicendo, essere risoluti di difendere con pari valore
    la Chiesa. Per quanto duro d'intelletto fosse Giacomo, per quanto ei
    fosse d'indole dispotica, conobbe ch'era tempo di appigliarsi ad
    altra via. Non poteva a un tratto rischiarsi ad oltraggiare tutti i
    suoi sudditi protestanti. Se si fosse potuto indurre a fare
    concessioni al partito predominante in ambe le Camere, a lasciare
    alla Chiesa Stabilita tutti gli emolumenti, i privilegi, le dignità,
    avrebbe potuto sturbare le ragunanze de' presbiteriani, ed empire le
    carceri di predicatori Battisti. Ma se era risoluto di spogliare la
    gerarchia, gli era mestieri privarsi della voluttà di perseguire i
    Dissenzienti. Se doveva da quinci innanzi appiccare lite co' suoi
    vecchi amici, gli era necessario far tregua coi vecchi nemici.
    Poteva opprimere la Chiesa Anglicana solo formando contro essa una
    vasta coalizione, che comprendesse le sètte, le quali, benchè e per
    dottrine e per ordinamento differissero l'una dall'altra molto più
    che da quella, potevano, perchè erano egualmente gelose della sua
    grandezza e ne temevano la intolleranza, essere indotte a far posa
    alle loro animosità finchè la ponessero in condizione di non poterle
    più opprimere.
    
    Cosiffatto disegno piacevagli singolarmente per questa ragione.
    Potendo riuscirgli di riconciliare fra loro i protestanti
    non-conformisti, gli era dato sperare di porsi al sicuro contro ogni
    probabilità di ribellione. Secondo i teologi anglicani, nessun
    suddito per qual si fosse provocazione poteva equamente resistere
    con la forza all'unto del Signore. La dottrina de' Puritani era ben
    diversa. Essi non avevano scrupolo a trucidare i tiranni con la
    spada di Gedeone. Molti di loro non temevano d'usare la daga di
    Ehud. E forse in quel mentre meditavano un'insurrezione simile a
    quella delle Contrade Occidentali, una congiura come quella di Rye
    House. Giacomo quindi pensò di potere senza pericolo perseguitare la
    Chiesa qualora gli fosse riuscito di amicarsi i Dissenzienti. Il
    partito, i cui principii non gli offrivano nessuna guarentigia, si
    sarebbe a lui accostato per interesse. Il partito del quale egli
    aggrediva gl'interessi, sarebbe stato impedito d'insorgere per
    principio politico.
    
    Mosso da tali considerazioni, Giacomo, dal tempo in cui si divise di
    mal umore dal suo Parlamento, cominciò a meditare una lega generale
    di tutti i non-conformisti, cattolici e protestanti, contro la
    religione dello Stato. Fino dal Natale del 1685, gli agenti delle
    Provincie Unite scrivevano al loro Governo, essersi deliberato di
    concedere, e pubblicare tra breve una tolleranza generale(833). Si
    vide col fatto che tale annunzio era prematuro. E' sembra nondimeno,
    che i separatisti fossero trattati con più mitezza nel 1686, che
    nell'anno precedente. Ma solo a poco a poco, e dopo lunga tenzone
    con le proprie inclinazioni, il Re potè indursi a formare colleganza
    con coloro ch'egli sopra tutti aborriva. Doveva vincere un odio non
    lieve o capriccioso, non nato e cresciuto pur allora, ma, ereditario
    nella sua famiglia, rinvigorito da gravissimi torti inflitti e
    sofferti pel corso di cento venti anni di vicende, e immedesimato a
    tutti i suoi sentimenti religiosi, politici, domestici e personali.
    Quattro generazioni di Stuardi avevano mosso guerra mortale a
    quattro generazioni di Puritani; e per tutta quella lunga guerra non
    v'era stato nessuno fra gli Stuardi che al pari di lui odiasse i
    Puritani, e fosse da loro odiato. Eransi provati a disonorarlo, e ad
    escluderlo dal trono; lo avevano chiamato incendiario, scannatore,
    avvelenatore; lo avevano cacciato dallo Ammiragliato e dal
    Consiglio; lo avevano più volte bandito; avevano congiurato ad
    assassinarlo; gli erano a migliaia insorti contro impugnando le
    armi. Ei se ne era vendicato con una strage non mai fino allora
    veduta in Inghilterra. I loro capi e le loro squartate membra
    stavansi tuttavia fitti sulle pertiche a imputridire in tutte le
    piazze delle Contee di Somerset e di Dorset. Donne venerande per età
    e tenute in grande onoranza per religione e carità da' settarii,
    erano state decapitate e bruciate vive per falli sì lievi, che
    nessun buon principe avrebbe giudicate meritevoli nè anche d'una
    severa riprensione. Tali erano state, anco in Inghilterra, le
    relazioni tra il Re e i Puritani; e in Iscozia, la tirannia del Re e
    il furore de' Puritani erano tali, che nessuno Inglese gli avrebbe
    potuti concepire. Porre in oblio una nimistà così lunga e mortale
    non era lieve impresa per un cuore singolarmente duro e implacabile
    qual era quello di Giacomo.
    
    La tenzone che travagliava l'animo del Re, non isfuggì all'occhio di
    Barillon. Alla fine di gennaio 1687, egli spedì a Versailles una
    lettera notevolissima. Il Re - tale era la sostanza di cotesto
    documento - era quasi convinto di non potere ottenere piena libertà
    a pro de' Cattolici Romani, e a un tempo mantenere le leggi contro i
    Protestanti Dissenzienti. Per la qual cosa, inclinava al partito di
    concedere una indulgenza generale; ma in cuor suo amerebbe meglio di
    potere anche adesso dividere la sua protezione e il suo favore tra
    la Chiesa di Roma e quella d'Inghilterra, escludendone tutte le
    altre sètte religiose(834).
    
    XXIII. Pochissimi giorni dopo che fu scritto cotale dispaccio,
    Giacomo, esitando e di poco buona grazia, fece i primi passi a
    negoziare coi Puritani. Aveva fatto pensiero di cominciare dalla
    Scozia, dove la sua potestà di dispensare era stata riconosciuta
    dagli Stati verso lui ossequenti. Il dì 12 febbraio, quindi, fu
    pubblicata in Edimburgo una ordinanza ad alleggiare le coscienze
    scrupolose(835), la quale prova come fosse esatto il giudicio di
    Barillon. Fino nello stesso atto di fare concessioni ai
    Presbiteriani, Giacomo non poteva nascondere il disgusto che sentiva
    per essi. I Cattolici ebbero piena tolleranza. I Quacqueri ebbero
    poca ragione di dolersi. Ma la indulgenza concessa ai Presbiteriani,
    che formavano la maggioranza del popolo scozzese, fu inceppata da
    condizioni tali, da renderla pressochè inutile. Al vecchio Atto di
    Prova, il quale escludeva egualmente i Cattolici e i Presbiteriani
    dagli uffici, fu sostituito un nuovo Atto di Prova che ammetteva i
    Cattolici, ma escludeva la maggior parte de' Presbiteriani. Ai
    Cattolici era lecito edificare cappelle, e anche portare l'Ostia
    processionalmente in ogni luogo, tranne nelle strade maestre de'
    borghi reali; ai Quacqueri era lecito di ragunarsi ne' pubblici
    edifici: ma ai Presbiteriani fu inibito di adorare Dio altrove che
    nelle private abitazioni; non dovevano osare di erigere edifici per
    ragunarvisi; non potevano servirsi nè anche di una loggia o di un
    granaio per gli esercizi religiosi; e fu loro distintamente
    notificato, che ove avessero ardimento di tenere conventicole
    all'aria aperta, la legge che puniva di morte i predicatori e gli
    uditori, verrebbe eseguita senza misericordia. Qualunque prete
    cattolico poteva dir Messa; qualunque Quacquero poteva arringare
    innanzi ai suoi confratelli: ma il Consiglio Privato ebbe
    comandamento di impedire che nessun ministro presbiteriano
    predicasse, senza speciale licenza del Governo. Ogni parola di
    cotesto Atto e delle lettere onde fu accompagnato, mostra quanto
    costasse al Re di mitigare minimamente il rigore col quale egli
    aveva sempre trattato i vecchi nemici della sua famiglia(836).
    
    XXIV. Veramente, abbiamo ragione di credere, che allorquando egli
    pubblicò cotesta ordinanza, non era pienamente risoluto di far lega
    coi Puritani, e che il suo scopo era solo di concedere loro tanto
    favore che bastasse ad atterrire i credenti della Chiesa Anglicana e
    indurli a cedere. Onde egli aspettò per un mese a fine di vedere lo
    effetto che produrrebbe in Inghilterra l'editto promulgato in
    Edimburgo. Quel mese fu da lui impiegato assiduamente, giusta il
    consiglio di Petre, in ciò che chiamavasi ingabinettare. Londra era
    molto affollata di gente. Aspettavasi d'ora in ora la riapertura
    delle Camere pel disbrigo degli affari, e molti de' membri erano in
    città. Il Re si pose a indagare l'animo di ciascuno partitamente.
    Lusingavasi che i Tory zelanti - e di siffatti uomini, tranne
    pochissimi, era composta la Camera de' Comuni - avrebbero difficoltà
    a resistere alle calde dimande, fatte loro non in comune, ma
    separatamente a ciascuno, non dal trono, ma nella familiarità della
    conversazione. I rappresentanti, perciò, i quali recavansi a
    Whitehall per rendere riverenza al sovrano, erano tratti in
    disparte, e ricevevano l'onore di lunghi colloqui. Il Re li pregava,
    a nome della lealtà loro, a compiacerlo nella sola cosa che gli
    stesse a cuore. Diceva andarci dell'onor suo; le leggi fatte sotto
    il suo predecessore da Parlamenti faziosi contro i Cattolici Romani,
    avere avuto di mira lui solo; tali leggi avergli inflitta una
    macchia, averlo espulso dall'Ammiragliato e dal Consiglio Privato;
    avere egli diritto che tutti coloro dai quali era amato e riverito,
    dovessero cooperare ad abrogare quelle leggi. Come si accôrse che i
    rappresentanti rimanevano duri alle sue esortazioni, si mise ad
    intimidirli e a corromperli. A coloro che ricusarono di cedere alle
    sue voglie, fu a chiare note detto, che non dovevano aspettarsi il
    più lieve segno della grazia sovrana. Per quanto ei fosse spilorcio,
    aperse e profuse i suoi tesori. Parecchi di coloro, ch'erano stati
    invitati a conferire con lui, uscirono dalle regie stanze con le
    mani piene d'oro dato dal Re stesso.
    
    XXV. I Giudici, che a quel tempo facevano il giro ufficiale di
    primavera, ebbero ordine di vedere quei rappresentanti che
    rimanevano in provincia, e investigare i loro intendimenti. Il
    risultamento di tali investigazioni fu, che la grande maggioranza
    della Camera de' Comuni era risolutamente decisa ad opporsi alle
    misure della Corte(837). Fra coloro la cui fermezza destò universale
    ammirazione, si rese notevole Arturo Herbert, fratello del Capo
    Giudice, rappresentante di Dover, Maestro Guardaroba e
    Contrammiraglio d'Inghilterra. Arturo Herbert era molto amato da'
    marinai, ed aveva voce d'essere uno de' migliori ufficiali
    appartenenti al ceto aristocratico. Supponevasi comunemente ch'egli
    avrebbe di leggeri aderito alle voglie del Re, imperciocchè era non
    curante della religione, amante di godere e di spendere; non aveva
    patrimonio; i suoi impieghi gli fruttavano quattromila lire sterline
    l'anno; ed era da lungo tempo annoverato tra i più fidi partigiani
    di Giacomo. Non per tanto, allorchè il Contrammiraglio fu condotto
    alle secrete stanze del suo signore e gli fu richiesta la promessa
    di votare contro la revoca dell'Atto di Prova, rispose che l'onore e
    la coscienza non gli consentivano di farlo. "Nessuno dubita
    dell'onor vostro," disse il Re "ma un uomo che conduce la vita come
    voi, non dovrebbe parlare di coscienza." A questo rimprovero, che
    usciva con cattiva grazia dalle labbra del drudo di Caterina Sedley,
    Herbert animosamente rispose: "Io ho i miei difetti, o Sire; ma
    potrei nominare taluni i quali parlano di coscienza assai più di
    quel che io ho costume di fare, e intanto menano una vita sciolta
    come la mia." Fu destituito da tutti i suoi impieghi; e i suoi conti
    d'entrata e uscita come Maestro Guardaroba, furono sindacati con
    grande, e - come egli se ne dolse - ingiusta severità(838). 
    Oggimai vedevasi chiaramente, che era mestieri abbandonare la
    speranza d'una lega tra la Chiesa d'Inghilterra e quella di Roma a
    fine di partire tra esse gli uffici e gli emolumenti. Null'altro
    rimaneva, che tentare una coalizione tra la Chiesa di Roma e le
    sètte puritane contro la Chiesa Anglicana.
    
    XXVI. Il diciottesimo giorno di marzo, il Re annunziò al Consiglio
    Privato il pensiero di prorogare il Parlamento sino alla fine di
    novembre, e concedere, di propria autorità, a tutti i suoi sudditi
    piena libertà di coscienza(839). Il di quarto d'aprile, fu
    promulgata la memorabile Dichiarazione d'Indulgenza.
    
    In questa Dichiarazione, il Re significava essere suo desiderio di
    vedere il suo popolo rientrare in grembo di quella Chiesa alla quale
    egli apparteneva. Ma poichè ciò non poteva conseguirsi, annunziava
    ch'era suo intendimento proteggere ciascuno nel pieno esercizio
    della propria religione. Ripeteva tutte quelle frasi che otto anni
    innanzi, quando anch'egli pativa oppressione, s'udivano di continuo
    sulle sue labbra, ma che aveva cessato d'usare fino dal giorno in
    cui, per un volgere di fortuna, era venuto in condizione di farsi
    oppressore. Diceva, essere da lungo tempo convinto, che la coscienza
    non doveva forzarsi; che la persecuzione tornava nociva allo
    incremento della popolazione e del commercio, e non conduceva mai al
    fine vagheggiato dal persecutore. Ripeteva la promessa, già più
    volte fatta e più volte violata, di volere proteggere la Chiesa
    dello Stato nel godimento de' suoi diritti. Procedeva quindi ad
    annullare, di propria autorità, una lunga serie di Statuti.
    Sospendeva tutte le leggi penali contro tutte le classi de'
    non-conformisti. Autorizzava i Cattolici Romani e i Protestanti
    Dissenzienti a esercitare pubblicamente il loro culto. Inibiva a'
    suoi sudditi - pena la collera sovrana - di molestare alcuna
    religiosa assemblea. Abrogava parimente quegli Atti che imponevano
    la prova religiosa come requisito ad occupare gli uffici civili e
    militari(840).
    
    Che la Dichiarazione d'Indulgenza fosse atto incostituzionale, è
    cosa, intorno alla quale entrambi i grandi partiti inglesi hanno
    sempre pienamente concordato. Chiunque sia capace di ragionare sopra
    una questione politica, deve intendere che un monarca competente ad
    emanare una simigliante dichiarazione, è niente meno che un monarca
    assoluto. Nè a difesa di Giacomo possono allegarsi quelle ragioni
    con le quali molti atti arbitrari degli Stuardi sono stati difesi o
    scusati. Non può dirsi ch'ei s'ingannasse circa i confini della
    regia prerogativa, come quelli che non erano esattamente definiti.
    Imperciocchè è innegabile ch'egli li travarcava, non ostante che gli
    stesse dinanzi allo sguardo un esempio recente che in quel caso
    precisamente li stabiliva. Quindici anni innanzi, una Dichiarazione
    d'Indulgenza era stata promulgata dal suo fratello per consiglio
    della Cabala. Ove cotesta Dichiarazione si paragoni con quella di
    Giacomo, potrebbe reputarsi modesta e cauta. La Dichiarazione di
    Carlo dispensava solo dalle leggi penali. La Dichiarazione di
    Giacomo dispensava anco da tutti gli Atti di Prova religiosa. La
    Dichiarazione di Carlo permetteva ai Cattolici Romani di celebrare
    il loro culto solamente nelle private abitazioni. Per virtù della
    Dichiarazione di Giacomo, essi potevano erigere e adornare i tempii,
    ed anche andare processionalmente lungo Fleet Street con croci,
    immagini e gonfaloni. E non ostante ciò, la Dichiarazione di Carlo
    era stata nel modo più solenne giudicata illegale. La Camera de'
    Comuni aveva deliberato, che il Re non aveva potestà di dispensare
    dagli Statuti nelle materie ecclesiastiche. Carlo aveva ordinato che
    quell'istrumento venisse cancellato in presenza sua, aveva con le
    proprie mani strappato il sigillo, e con un messaggio munito della
    sua firma, e colle proprie labbra dal trono in pieno Parlamento,
    aveva chiaramente promesso ad ambe le Camere, che quell'Atto, il
    quale aveva loro recato si grave offesa, non verrebbe mai
    considerato come esempio. Le Camere a pieni voti, tranne un solo,
    avevano ringraziato il Re per essersi degnato di compiacere ai
    desiderii loro. Non v'è questione costituzionale che sia stata
    decisa con maggiore delicatezza, chiarezza ed unanimità.
    
    I difensori di Giacomo, ad escusarlo, hanno spesso allegato il
    giudizio della Corte del Banco del Re intorno alla querela
    collusivamente deposta contro Sir Eduardo Hales: ma tale argomento è
    di nessun valore; imperocchè quella sentenza, come è a tutti noto,
    fu ottenuta da Giacomo per mezzo di sollecitazioni e di minacce,
    cacciando via i magistrati scrupolosi, e sostituendone altri più
    cortigiani. E nondimeno, quella sentenza, tuttochè dal fôro e dalla
    nazione venisse generalmente considerata come incostituzionale,
    giunse solo ad affermare, che il sovrano, per ispeciali ragioni di
    Stato, può gl'individui nominatamente esentare dagli Statuti
    portanti incapacità. Ma nessun tribunale, di faccia alla solenne
    decisione parlamentare del 1673, si era arrischialo ad affermare,
    che il Re avesse facoltà d'autorizzare con un solo editto tutti i
    suoi sudditi a disubbidire ad interi volumi di leggi.
    
    XXVII. Tali, nonostante, erano le condizioni de' partiti, che
    credevasi certo, la Dichiarazione di Giacomo, quantunque fosse il
    più audace degli attentati fatti dagli Stuardi contro le pubbliche
    libertà, dover piacere a quegli stessi cittadini, i quali avevano
    con più coraggio e pertinacia resistito a tutti gli altri attentati
    degli Stuardi contro le libertà pubbliche. Non era supponibile che
    il Protestante non-conformista, da' suoi concittadini diviso da dure
    leggi rigorosamente eseguite, volesse contrastare la validità d'un
    decreto che lo alleggiava da insopportabili aggravi. Un osservatore
    pacato e filosofo avrebbe indubitatamente affermato, che nessun male
    derivante da tutte le leggi intolleranti fatte dai Parlamenti, era
    da paragonarsi a quello che sarebbe nato, ove il potere legislativo
    dal Parlamento fosse passato nelle mani del principe. Ma tanta
    pacatezza e filosofia non è da trovarsi in coloro che gemono nella
    sciagura, e ai quali s'offre la tentazione d'essere subitamente
    liberati. Un teologo puritano non poteva punto negare, che la
    potestà di dispensare pretesa dalla Corona, era incompatibile co'
    principii fondamentali della Costituzione. Ma anderebbe forse
    scusato s'egli avesse detto: Che importa a me della Costituzione?
    L'Atto d'Uniformità lo aveva, in onta alle promissioni sovrane,
    privato di un beneficio ch'era sua proprietà, e lo aveva ridotto
    miserabile e dipendente. L'Atto, chiamato Five-Mile-Act, lo aveva
    bandito dalla sua abitazione, da' parenti, dagli amici, da quasi
    tutti i luoghi pubblici. Per vigore del Conventicle-Act, gli erano
    stati tolti i beni, ed egli era stato seppellito in carcere fra
    mezzo ai ladroni ed agli assassini. Fuori di prigione si vedeva ai
    fianchi gli ufficiali della giustizia; era costretto a dar la mancia
    alle spie perchè non lo denunciassero; passava ignominiosamente
    travestito, per finestre e bugigattoli onde riunirsi al proprio
    gregge; e versando l'onda battesimale e amministrando il pane
    eucaristico, tendeva gli orecchi ansiosamente ascoltando il segno
    che l'avvertisse come gli uscieri si avvicinavano. Non era egli uno
    scherno pretendere che un uomo in siffatta guisa oppresso patisse il
    martirio per gli averi e la libertà de' suoi spogliatori ed
    oppressori? La Dichiarazione, per quanto potesse sembrare dispotica
    ai suoi felici vicini, lo liberava da tanti mali. Egli fu chiamato
    ad eleggere, non tra la libertà e la schiavitù, ma fra due gioghi;
    ed è naturale ch'egli stimasse il giogo del Re più lieve di quello
    della Chiesa Anglicana.
    
    XXVIII. Mentre tali pensieri agitavansi in mente ai Dissenzienti, il
    partito anglicano era compreso di maraviglia e di terrore. Cotesto
    nuovo rivolgimento delle pubbliche cose era, a dir vero, terribile.
    La Casa Stuarda in lega co' repubblicani e coi regicidi contro i
    Cavalieri d'Inghilterra; il papismo in lega co' Puritani contro un
    ordinamento ecclesiastico, del quale i Puritani non querelavansi, se
    non che riteneva troppo de' riti papali: erano portenti tali da
    confondere tutti i calcoli degli uomini di Stato. La Chiesa doveva,
    adunque, essere aggredita da ogni parte; e capo della aggressione
    doveva essere colui che, per virtù della costituzione, era capo
    della Chiesa stessa. Era, quindi, naturale che rimanesse
    maravigliata e atterrita. E misti alla maraviglia e al terrore,
    destaronsi altri sinistri umori: risentimento contro lo spergiuro
    Principe, da essa fino allora affettuosamente servito; e rimorso
    delle crudeltà, a commettere le quali egli era stato complice della
    Chiesa, e adesso pareva dovernela punire. Ed era giusta punizione,
    imperocchè essa raccoglieva ciò che aveva seminato. Dopo la
    Restaurazione, trovandosi al più alto grado di sua potenza, non
    aveva ella altro spirito che vendetta. Aveva inanimati, incitati e
    quasi costretti gli Stuardi a rimunerare con perfida ingratitudine i
    recenti servigi de' Presbiteriani. Se nella stagione della
    prosperità ella si fosse interposta, come era suo debito, a pro de'
    propri nemici, gli avrebbe ora nella sciagura trovati amici. Forse
    non era troppo tardi; forse poteva anche riuscire di volgere la
    strategia del suo infido oppressore contro lui stesso. Esisteva fra
    il Clero Anglicano un partito moderato, il quale era stato sempre
    animato da miti sentimenti verso i Protestanti Dissenzienti. Cotesto
    partito non era numeroso; ma s'era reso rispettabile per l'abilità,
    la dottrina, e la virtù di coloro che lo componevano. Gli alti
    dignitari ecclesiastici gli erano stati poco favorevoli, e i
    bacchettoni della scuola di Laud lo avevano senza pietà oltraggiato:
    ma dal giorno in cui apparve la Dichiarazione d'Indulgenza fino a
    quando la potenza di Giacomo cessò d'incutere terrore, tutta quanta
    la Chiesa Anglicana sembrò animata dallo spirito, e guidata dai
    consigli de' calunniati Latitudinarii.
    
    XXIX. Allora seguì, per così dire, una concorrenza al rincaro più
    strana d'ogni altra, di cui serbi ricordo la storia. Da una parte il
    Re, dall'altra la Chiesa, studiavano acquistarsi, ciascuno a danno
    dell'altro, i favori di coloro ad opprimere i quali, fino a quel
    tempo, il Re e la Chiesa erano andati d'accordo. I Protestanti
    Dissenzienti, pochi mesi innanzi, erano una classe spregiata e
    proscritta; adesso tenevano la bilancia del potere. La durezza usata
    loro venne universalmente condannata. La Corte si provò di gettare
    tutta la colpa sopra la gerarchia; la quale la rigettava in viso
    alla Corte. Il Re dichiarò d'avere a malincuore perseguito i
    Separatisti, solo perchè i suoi affari erano in tali condizioni, che
    egli non poteva rischiarsi a spiacere al clero anglicano. Il clero
    protestava d'avere avuto parte in una severità contraria alle
    proprie inclinazioni, solo per deferenza all'autorità del Re. Il Re
    mise insieme una raccolta di storielle concernenti rettori e vicari,
    i quali con minacce di persecuzione avevano estorto danaro dai
    Protestanti Dissenzienti. Ne parlò molto e pubblicamente; minacciò
    d'istituire un'inchiesta, la quale avrebbe mostrato al mondo i
    parrochi nelle loro genuine sembianze: e di fatto, creò diverse
    Commissioni, incaricando certi agenti, de' quali credeva potersi
    fidare, d'indagare quanta pecunia in diversi luoghi del reame gli
    aderenti alla religione dello Stato avevano estorta da' settari. I
    difensori della Chiesa, dall'altro canto, citavano esempi di onesti
    sacerdoti, i quali dalla Corte erano stati ripresi e minacciati per
    avere dal pulpito inculcata la tolleranza, e ricusato di spiare e
    denunziare le piccole congregazioni di Non-Conformisti. Il Re
    asseriva che parecchi partigiani della Chiesa Anglicana, coi quali
    aveva conferito in secreto, gli avevano offerte ampie concessioni a
    favore de' Cattolici, a patto che la persecuzione contro i Puritani
    avesse a continuare. Gli accusati partigiani della Chiesa
    animosamente dicevano falsa l'accusa, aggiungendo che ove avessero
    voluto consentire ciò che il Re domandava, questi avrebbe volentieri
    conceduto loro che si indennizzassero perseguitando e spogliando i
    Protestanti Dissenzienti(841).
    
    La Corte era cangiata d'aspetto. L'abito da prete non poteva
    mostrarvisi senza provocare gli scherni e i maliziosi bisbigli de'
    cortigiani. Le dame di Corte, invece, astenevansi di ridere, e i
    ciamberlani s'inchinavano profondamente quando per la reggia
    vedevano il viso e il vestire de' Puritani, che da tanto tempo erano
    stati ne' circoli del bel mondo materia di scherno. Taunton, che pel
    corso di due generazioni era stata il baluardo del partito delle
    Teste-Rotonde nelle Contrade Occidentali, che aveva due volte
    respinto le armi di Carlo I, che s'era levata come un solo uomo a
    favore di Monmouth, e che da Kirke e da Jeffreys era stata
    trasmutata in macello di carne umana, sembrava avere repentinamente
    acquistato nel cuore del Re il posto una volta occupato da
    Oxford(842). Il Re faceva forza a sè stesso, per mostrarsi
    lusinghevolmente cortese a' più egregi fra' Dissenzienti. A chi
    offerse danari, a chi uffici municipali, a chi grazie pei parenti ed
    amici, i quali, implicati nella congiura di Rye House o nella
    ribellione di Monmouth, ramingavano nel continente, o sudavano fra
    le piantagioni americane. Simulò perfino di consentire co' Puritani
    inglesi nella cortesia che mostravano ai loro confratelli stranieri.
    Furono pubblicati in Edimburgo un secondo e un terzo proclama, co'
    quali considerevolmente egli slargava la futile tolleranza concessa
    ai presbiteriani dallo editto di febbraio(843). I banditi Ugonotti,
    che il Re per molti mesi aveva guardati in cagnesco, privandoli
    della limosina fatta loro dalla nazione, adesso ricevevano
    alleggiamento e carezze. Il Consiglio emanò un ordine per destare a
    favor loro la pubblica liberalità. La condizione di conformarsi al
    culto anglicano, che il Re aveva loro imposta per ottenere parte
    della limosina, sembra questa volta essere stata tacitamente
    abrogata; e i difensori della politica del Re ebbero la sfrontatezza
    di affermare, che quella condizione - la quale, come risulta
    incontrastabilmente da' fatti, era stata immaginata da lui d'accordo
    con Barillon - fosse stata adottata ad istanza de' prelati della
    Chiesa Anglicana(844).
    
    Mentre il Re in cotesto modo studiavasi di blandire i suoi antichi
    avversari, gli amici della Chiesa non erano meno di lui operosi.
    Appena vedevansi i segni di quell'acrimonia e di quel disprezzo con
    che, dopo la Restaurazione, i prelati e i preti solevano trattare i
    settarii. Coloro che poco innanzi erano additati come scismatici o
    fanatici, adesso erano divenuti diletti confratelli protestanti;
    deboli uomini forse, ma tuttavia confratelli, i cui scrupoli
    meritavano pietoso compatimento. Ove essi in cotesta crisi si
    mostrassero sinceri alla causa della Costituzione inglese e della
    religione riformata, la loro generosità verrebbe tosto e largamente
    rimunerata. Invece di una indulgenza di nessun valore legale, ne
    otterrebbero una vera, assicurata con un atto del Parlamento. Anzi,
    molti aderenti alla Chiesa Anglicana, i quali fino allora s'erano
    fatti notare per la loro inflessibile venerazione d'ogni gesto e
    d'ogni parola prescritta nel Libro della Preghiera Comune,
    dichiaravansi oramai favorevoli, non solo alla tolleranza, ma anche
    alla comprensione. Dicevano che la disputa intorno al vestire e allo
    atteggiarsi, aveva per lungo tempo diviso coloro i quali
    concordavano intorno ai punti essenziali della religione. Finita la
    lotta mortale contro il comune nemico, vedrebbero come il clero
    anglicano si mostrerebbe pronto a far loro ogni concessione. Se i
    Dissenzienti dimandassero allora ciò che è ragionevole, non solo
    sarebbero loro concessi gli uffici civili, ma gli ecclesiastici; e
    Baxter e Howe, senza macchia veruna d'onore e di coscienza,
    potrebbero assidersi fra i vescovi.
    
    XXX. Fra tutti i numerosi scritti co' quali in quel tempo la Corte e
    la Chiesa ingegnavansi di trarre a sè il Puritano, che oggimai, per
    uno strano volgere di fortuna, era divenuto arbitro delle sorti de'
    suoi persecutori, d'un solo è serbata fino ai dì nostri ricordanza;
    cioè della Lettera a un Dissenziente. In questo articoletto,
    tratteggiato con gran magistero, tutti gli argomenti atti a
    convincere un Non-Conformista com'era di suo dovere e interesse il
    preferire la lega con la Chiesa alla lega con la Corte, sono
    condensati nel più breve spazio, con lucidissimo ordine disposti,
    illustrati con spiritosa vivacità, e rinvigoriti con eloquenza, la
    quale, ancorchè fervida e veemente, non travarca i confini del buon
    senso e della convenevolezza. La sensazione da esso prodotta fu
    immensa; imperocchè, essendo un solo foglio volante, ne furono
    spediti per la posta ventimila e più esemplari; e non vi fu luogo
    nel Regno, in cui non ne fosse sentito lo effetto. Tosto comparvero
    alla luce ventiquattro risposte; ma la voce pubblica le disse tutte
    cattive, e peggiore di tutte quella di Lestrange(845). Il Governo ne
    fu fortemente irritato, e fece ogni sforzo a scoprire lo autore
    della Lettera; ma non fu possibile trovarne prove legali. Ad alcuni
    parve riconoscervi le opinioni e lo stile di Temple(846). Ma, a dir
    vero, quella larghezza e acutezza di concepimento, quella vivacità
    di fantasia, quello stile terso ed energico, quella calma dignità,
    mezzo cortigiana e mezzo filosofica, non perturbata mai dalla
    estrema concitazione del conflitto, erano qualità appartenenti al
    solo Halifax. XXXI. I Dissenzienti ondeggiavano; nè vanno di ciò
    rimproverati, avvegnachè il Re gli alleviasse da' mali che essi
    soffrivano. Molti insigni pastori erano stati liberati dalla
    prigionia; altri eransi rischiati a ritornare dallo esilio. Le
    congregazioni che fino allora s'erano tenute di furto e fra le
    tenebre, adesso ragunavansi in pieno giorno; cantavano salmi ad alta
    voce, tanto da farsi udire dai magistrati, da' sagrestani e dagli
    agenti di polizia. Parecchi modesti edifici per servigio del culto
    puritano, cominciarono a sorgere in tutta la Inghilterra. Un
    diligente viaggiatore potrebbe anche oggi notare la data del 1687,
    in alcuno de' più vecchi di siffatti edifici. Nondimeno, per un
    giudizioso Dissenziente, le profferte della Chiesa erano più
    accettabili di quelle fatte dal Re. La Dichiarazione era nulla al
    cospetto della legge. Sospendeva gli statuti penali contro i
    Non-Conformisti, solo finchè rimanevano sospesi i principii
    fondamentali della Costituzione, e l'autorità legittima del corpo
    legislativo. E che era mai il valore di privilegi posseduti con
    tanta ignominia e con sì poca sicurezza? Il trono da un giorno
    all'altro avrebbe potuto divenire vacante, e toccare in sorte ad un
    Sovrano fedele osservatore della religione dello Stato. Si sarebbe
    potuto ragunare un Parlamento composto di credenti nella Chiesa
    Anglicana. Quanto deplorabile sarebbe allora la situazione de'
    Dissenzienti, collegati co' Gesuiti contro la Costituzione! La
    Chiesa offriva una indulgenza molto differente da quella concessa da
    Giacomo, e valida e sacra al pari della Magna Carta. Ambedue i
    partiti avversi offrivano libertà ai Separatisti: ma l'uno voleva
    che essi la comperassero col sacrifizio della libertà civile;
    l'altro gl'invitava a godere della libertà civile e della religiosa.
    
    Per tali ragioni, quando anche si fosse potuto prestar fede alla
    sincerità della Corte, un Dissenziente avrebbe ragionevolmente
    dovuto congiungere la propria sorte con quella della Chiesa. Ma qual
    guarentigia della propria sincerità offriva la Corte? La condotta
    fino a quel tempo tenuta da Giacomo era nota a ciascuno. Per vero
    dire, non era impossibile che un persecutore si fosse potuto col
    ragionamento e con la esperienza convincere dell'utilità della
    tolleranza. Ma Giacomo non asseriva d'essersi pur allora convinto:
    all'incontro, non lasciava sfuggire nessuna occasione per protestare
    come egli da molti anni per principio abborrisse da ogni
    intolleranza. E nulladimeno, in pochi mesi, aveva perseguitato a
    morte uomini, donne, giovinette, per la loro religione. Aveva egli
    agito contro la evidenza e le proprie convinzioni? O adesso mentiva
    per calcolo? Da questo dilemma non v'era modo a svincolarsi; ed
    ambedue le supposizioni erano fatali alla pretesa onestà del Re. Era
    parimente manifesto, ch'egli s'era compiutamente sottoposto ai
    Gesuiti. Solo pochi giorni innanzi la pubblicazione della
    Indulgenza, la Società di Gesù era stata da lui onorata, malgrado i
    ben noti desiderii della Santa Sede, con un nuovo segno di fiducia
    ed approvazione. Il Padre Mansueto, dell'Ordine de' Francescani, suo
    confessore, riverito da tutti per la sua indole dolce e per la sua
    vita irreprensibile, ma da lungo tempo in odio a Tyrconnel e Petre,
    era stato posto da parte. Il posto vacante era stato dato ad un
    Inglese, di nome Warner, il quale, apostatando dalla religione del
    proprio paese, erasi fatto Gesuita. Tale nomina non fu punto
    gradevole ai Cattolici Romani moderati ed al Nunzio; e da ogni
    protestante venne considerata come prova dello assoluto predominio
    de' Gesuiti sull'animo del Re(847). Siano quante si vogliano le lodi
    alle quali que' reverendi possano giustamente pretendere, gli stessi
    adulatori non potrebbero loro attribuire le qualità di largamente
    liberali o rigorosamente veraci. Che, trattandosi dello interesse
    dell'ordine, non avessero mai avuto scrupoli a chiamare in loro
    aiuto la spada de' Principi, o violare il vero e la buona fede, era
    stato asserito al cospetto del mondo, non solo da' protestanti loro
    accusatori, ma da uomini altresì della cui virtù e del cui genio
    gloriavasi la Chiesa di Roma. Era incredibile che un cieco discepolo
    de' Gesuiti, per principio fosse zelante della libertà di coscienza;
    ma non era nè incredibile nè improbabile ch'egli si reputasse
    giustificato, dissimulando i propri veri sentimenti, onde rendere
    servigio alla propria vera religione. Era certo che il Re in cuor
    suo gli Anglicani preferiva ai Puritani. Era certo parimente, che
    mentre aveva speranza di trarre al suo partito i credenti della
    Chiesa d'Inghilterra, non s'era menomamente mostrato cortese verso i
    Puritani. Poteva, adunque, dubitarsi, che ove gli Anglicani si
    fossero anche allora arresi ai suoi desiderii, non avrebbe
    volentieri sacrificato i Puritani? Per la parola da lui più volte
    data, ei non s'era astenuto dallo invadere i diritti legittimi di
    quel clero, il quale aveva date cotante prove di affetto e di
    fedeltà verso la casa di lui. Di qual sicurtà sarebbe adunque la sua
    parola alle sètte che da lui divideva la rimembranza di mille
    imperdonabili ferite fatte e ricevute?
    
    XXXII. Calmato il primo concitamento, prodotto dalla promulgazione
    della Indulgenza, e' parve che una rottura avesse avuto luogo nel
    partito puritano. La minoranza, capitanata da pochi faccendieri che
    difettavano di senno e miravano al proprio interesse, sosteneva il
    Re. Enrico Care, il quale da gran tempo era stato il più acre ed
    indefesso articolista de' Non-Conformisti, e ne' giorni della
    Congiura Papale aveva osteggiato Giacomo con estremo furore in un
    Giornale settimanale detto Pacco di Notizie da Roma, adesso alzava
    la voce ad adulare, come l'aveva già alzata a vomitare calunnie ed
    insulti(848). Lo agente precipuo adoperato dal Governo a raggirare i
    Presbiteriani, era Vincenzo Alsop, teologo di qualche riputazione, e
    come predicatore e come scrittore. Il suo figliuolo, che era incorso
    nelle pene comminate a' rei di crimenlese, ottenne la grazia; e in
    tal guisa il padre adoperò tutta la propria influenza a pro della
    Corte(849). Con Alsop si congiunse Tommaso Rosewell. Costui, mentre
    infuriava la persecuzione contro i Dissenzienti dopo la scoperta
    della Congiura di Rye House, era stato falsamente accusato di avere
    predicato contro il Governo, era stato processato da Jeffreys, e in
    onta alla evidenza de' fatti, convinto da' giurati corrotti e
    dannato a morte. La ingiustizia della sentenza era sì enorme, che
    gli stessi cortigiani ne vergognarono. Un gentiluomo Tory che era
    stato presente al processo, corse di subito a Carlo, dichiarando che
    la testa del suddito più leale in Inghilterra non sarebbe più in
    sicuro, qualora Rosewell venisse punito. Gli stessi giurati punse il
    rimorso quando ripensarono sopra ciò che avevano fatto, e
    sforzaronsi di salvare la vita a quel misero. In fine, egli ottenne
    perdono, ma a patto di dare una forte cauzione di buona condotta per
    tutta la vita, e di presentarsi periodicamente al Banco della Corte
    del Re. Oggimai per volere del Re fu liberato da cotesto carico; e
    in tal modo divenne partigiano della Corte(850).
    
    Lo incarico di trarre al partito della Corte gl'indipendenti, venne
    affidato ad uno de' loro ministri, chiamato Stefano Lobb. Lobb era
    uomo debole, violento ed ambizioso. S'era spinto tanto oltre nella
    opposizione, ch'era stato nominatamente proscritto in parecchi
    editti. Adesso si rappacificò col Governo, e trascese tanto a
    mostrarsi servile, quanto aveva trasceso a mostrarsi fazioso. Si
    collegò con la cabala gesuitica, e caldamente suggerì cose, dalle
    quali abborrivano i più savi ed onesti Cattolici Romani. Fu notato
    come egli di continuo fosse in palazzo, e spesso nelle secrete
    stanze del Re; come menasse una vita splendida, alla quale i teologi
    puritani erano poco assuefatti; e fosse perpetuamente circondato da
    sollecitatori, imploranti protezione ad ottenere grazie od
    uffici(851).
    
    XXXIII. Con Lobb era in grande intimità Guglielmo Penn. Penn non era
    stato mai uomo di vigoroso intelletto. La vita da lui per due anni
    menata, gli aveva non poco guasto il senso morale; e se la coscienza
    mai gli rimordesse, confortavasi pensando di tendere a buono e
    nobile scopo, e di non ricevere paga in danaro pe' propri servigii.
    
    Per influenza di questi, e d'altri uomini meno cospicui, diverse
    corporazioni di Dissenzienti presentarono al Re indirizzi in
    rendimento di grazie. Gli scrittori Tory hanno dirittamente notato,
    che il linguaggio di cotesti scritti era così disgustevolmente
    servile, come qualunque altra cosa che possa trovarsi ne' più
    ampollosi elogi che i Vescovi facevano degli Stuardi. Ma,
    diligentemente esaminando, è agevole accorgersi che tale vergogna
    pesa sopra pochi del partito puritano. Non v'era città di mercato in
    Inghilterra, in cui non fosse almeno un nucleo di Separatisti. Non
    fu trascurato sforzo veruno per indurli a ringraziare il Re della
    largita Indulgenza. Lettere circolari, con preghiera di firmarle,
    correvano per ogni angolo del Regno, in tanto numero, che le valigie
    postali - come scherzevolmente dicevasi - erano troppo gravi per
    essere trasportate dai cavalli da posta. E nulladimeno, tutti
    gl'indirizzi che poteronsi ottenere da tutti i Presbiteriani,
    Indipendenti e Battisti, sparsi per la Inghilterra, non giunsero, in
    sei mesi, al numero di sessanta; nè v'è ragione a credere che
    fossero muniti di numerose firme(852).
    
    XXXIV. La massima parte de' protestanti non-conformisti, con
    fermezza aderenti alla libertà civile, e non fidenti nelle promesse
    del Re e de' Gesuiti, immutabilmente ricusarono di rendere grazie
    per un favore, il quale, come bene poteva auspicarsi, nascondeva una
    trama. Così pensavano tutti i più illustri capi di quel partito. Uno
    di essi era Baxter. Secondo che abbiamo osservato, era stato
    processato tosto dopo l'ascensione di Giacomo al trono; era stato
    brutalmente insultato da Jeffreys, e convinto da giurati, quali in
    que' tempi gli Sceriffi cortigiani avevano costume di scegliere.
    Baxter da circa un anno e mezzo era rimasto in carcere, allorquando
    la Corte cominciò seriamente a pensare di collegarsi coi
    non-conformisti. Non solo gli fu data libertà, ma gli venne detto
    che ove volesse abitare in Londra, poteva farlo, senza temere che la
    legge chiamata Five-Act-Mile gli fosse applicata. Il Governo forse
    sperava che la rimembranza de' mali sofferti, e il sentimento del
    conseguito riposo, avrebbe in lui prodotto il medesimo effetto che
    destò in Rosewell e Lobb. Vana speranza! perocchè Baxter non era
    uomo da lasciarsi ingannare o corrompere. Ricusò di firmare
    qualunque indirizzo per rendere al Sovrano grazie della compartita
    Indulgenza, e adoperò tutta l'autorità sua a promuovere la concordia
    tra la Chiesa e i Presbiteriani(853).  Se vi fu uomo da'
    Protestanti Dissenzienti maggiormente stimato di Baxter, egli era
    Giovanni Howe. Ad Howe, come a Baxter, tornava personalmente utile
    il mutamento nella politica pur allora seguito. La tirannide stessa
    la quale aveva sepolto Baxter in carcere, aveva cacciato Howe in
    bando; e tosto dopo che Baxter era stato tratto fuori della prigione
    del Banco del Re, Howe da Utrecht ritornava in Inghilterra.
    Aspettavasi a Whitehall, che Howe adoperasse a beneficio della Corte
    tutta l'autorità ch'egli esercitava sopra i suoi confratelli. Il Re
    stesso condiscese a chiedere il soccorso del suddito da lui già
    oppresso. E' sembra che Howe tentennasse; ma gli Hampden, ai quali
    era vincolato di stretta amistanza, lo mantennero fermamente fedele
    alla causa della Costituzione. Una ragunanza di ministri
    presbiteriani fu tenuta in sua casa, onde considerare le condizioni
    de' tempi, e stabilire il cammino da prendersi. La Corte era ansiosa
    di conoscerne il risultamento. Due messi regii erano presenti alla
    discussione, e recarono la trista nuova, che Howe s'era dichiarato
    decisamente avverso alla potestà di dispensare, e, dopo lunghe
    dispute, aveva tratto alla propria opinione la maggioranza della
    assemblea(854).
    
    XXXV. Ai nomi di Baxter e di Howe è d'uopo aggiungere quello di un
    uomo loro inferiore e per grado sociale e per istruzione, ma uguale
    per virtù, e superiore per ingegno; voglio dire Giovanni
    Bunyan(855). Aveva esercitato il mestiere di calderaio, e servito
    come semplice soldato nello esercito parlamentare. Ancora nel fiore
    degli anni, s'era sentito torturare dal rimorso pei peccati della
    sua gioventù, il più grave de' quali sembra essere stato di quelli
    che il mondo reputa veniali. Un vivo sentire e una potente
    immaginazione rendevano nel cuor suo singolarmente terribile il
    conflitto. Gli pareva d'essere colpito da una sentenza di
    riprovazione, d'avere bestemmiato contro lo Spirito Santo, d'avere
    venduto Cristo, di essere ossesso dal demonio. Ora udiva alte voci
    dal cielo che lo ammonivano; ora si sentiva dalle furie infernali
    susurrare agli orecchi empi consigli. Gli apparivano visioni di
    lontane montagne sopra le cui cime il sole mandava coruschi i suoi
    raggi; ma dalle quali egli era diviso da un vasto deserto di neve.
    Sentiva dietro le spalle il demonio tirarlo per gli abiti. Pensava
    portare impresso sulla fronte il segno di Caino. Temeva d'esser
    presso a scoppiare al pari di Giuda. La tortura della mente gli
    rovinò la salute. Un giorno, dibattevasi come uomo colpito da
    paralisi. Un altro, ei si sentiva ardere in petto un vivo fuoco.
    Torna difficile lo intendere in che guisa egli potesse sopravvivere
    a uno strazio sì forte e sì lungo. In fine, squarciaronsi le nubi
    che gli ottenebravano la mente. Dal fondo della disperazione, il
    penitente innalzossi a uno stato di calma beata. Adesso sentivasi
    tratto da irresistibile impulso ad impartire agli altri la
    beatitudine ch'egli godeva(856). Si aggregò ai Battisti, e divenne
    predicatore e scrittore. La sua educazione era stata quella d'un
    artigiano. Non sapeva altra lingua che la inglese, così come era
    parlata dal volgo. Non aveva studiato nessuno insigne modello di
    scrivere, ad eccezione - eccezione, a dir vero, importantissima -
    della nostra egregia versione della Bibbia. Scriveva con cattiva
    ortografia. Commetteva di frequente errori grammaticali.
    Nulladimeno, la innata forza del genio e la esperienza di tutte le
    passioni religiose, dalla disperazione fino all'estasi, supplivano
    in lui abbondantemente al difetto della dottrina. La sua rozza
    eloquenza concitava e faceva stemperare in lacrime coloro che
    ascoltavano svogliatamente gli elaborati discorsi di grandi filosofi
    ed ebraisti. I suoi scritti erano grandemente popolari nelle infime
    classi. Uno di essi, intitolato il Viaggio del Pellegrino, venne,
    vivente ancora l'autore, tradotto in varie lingue straniere. E non
    per tanto, era pressochè sconosciuto agli uomini dotti e culti; e da
    quasi un secolo formava il diletto de' pii abitatori delle capanne e
    degli artigiani, innanzi che venisse pubblicamente commendato da
    alcuno letterato eminente. Alla perfine, i critici s'indussero a
    ricercare dove giacesse il segreto d'una popolarità cotanto ampia e
    durevole; e furono costretti a confessare, che la ignorante
    moltitudine aveva giudicato più dirittamente dei dotti, e che lo
    spregiato libercolo era veramente un capo-lavoro. Bunyan(857), per
    certo, è il primo degli scrittori d'Allegorie, come Demostene è il
    primo degli oratori, e Shakespeare(858) il primo de' poeti
    drammatici. Altri allegoristi hanno fatto prova di uguale ingegno;
    ma a nessun altro di loro è mai riuscito di toccare il cuore, e
    trasmutare in astrazioni oggetti di terrore, di pietà e
    d'affetto(859).
    
    Mal potrebbe dirsi che alcun Dissenziente inglese avesse più di
    Giovanni Bunyan(860) provato il rigore delle leggi penali. De'
    ventisette anni corsi dopo la Restaurazione, ne aveva passati dodici
    in carcere. Persisteva a predicare, ma gli era uopo travestirsi da
    carrettiere. Spesso veniva introdotto nelle ragunanze per qualche
    uscio segreto, con la casacca sur una spalla e la frusta in mano. Se
    avesse pensato alla salvezza ed agli agi suoi, avrebbe plaudito alla
    pubblicazione della Indulgenza. Adesso, in fine, gli era dato
    liberamente pregare e predicare di pieno giorno. Il suo uditorio
    s'andava rapidamente accrescendo; migliaia di cuori pendevano dallo
    sue labbra; e in Bedford, dove egli d'ordinario stanziava, furono
    raccolti in abbondanza danari a edificare una sala d'adunanza.
    L'autorità di lui sul basso popolo era tanta, che il Governo
    volentieri gli avrebbe dato qualche ufficio municipale: ma il suo
    vigoroso intendimento e il suo robusto animo inglese resistettero
    contro ogni tentazione ed inganno. Vedeva chiaramente come la
    concessa tolleranza altro non fosse che un amo per trarre alla
    rovina il partito puritano; nè accettando un ufficio, a conseguire
    il quale egli non aveva i requisiti legali, voleva riconoscere la
    validità della potestà di dispensare. Uno degli ultimi atti della
    gloriosa sua vita fu di ricusare un convegno al quale ei venne
    invitato da un agente del Governo(861).
    
    XXXVI. Per quanto grande fosse fra' Battisti l'autorità di
    Bunyan(862), quella di Guglielmo Kiffin era anco maggiore. Kiffin
    era primo tra loro e per ricchezze e per grado. Aveva costume di
    compartire nelle loro ragunanze i suoi doni spirituali; ma non
    sosteneva la vita con la predicazione. Conduceva esteso traffico;
    aveva gran credito nella Borsa di Londra; ed aveva accumulato un
    gran patrimonio. Forse in quella occasione non v'era uomo che
    potesse rendere alla Corte maggiori servigi. Ma tra lui e la Corte
    stava la rimembranza d'un terribile fatto. Egli era l'avo de' due
    Hewling, que' prestanti giovani, i quali, fra tutte le vittime del
    Tribunale di Sangue, erano stati i più universalmente compianti.
    Della trista sorte di uno di loro, Giacomo era in guisa speciale
    responsabile. Jeffreys aveva differita la esecuzione della sentenza
    pel minore de' fratelli. La sorella del malarrivato giovane era
    stata introdotta da Churchill al cospetto di Giacomo, ed aveva
    implorata mercè; ma il cuore del Re era rimasto duro come un
    macigno. Grande, a tanta sciagura, era stato il dolore della
    famiglia; ma Kiffin era colui che destava più compassione. Aveva
    settanta anni di età allorquando rimase deserto e superstite a
    coloro che dovevano chiudergli i moribondi lumi. Gli adulatori
    venali e senza cuore di Whitehall, da sè giudicando gli altri,
    pensavano che il venerando vecchio si sarebbe agevolmente
    riconciliato, ove il Re gli gittasse sulle spalle la veste di
    Aldermanno, e gli desse qualche compensazione pecuniaria pei beni
    confiscati ai nepoti. Penn ebbe incarico di sedurlo, ma invano.
    Giacomo volle provare quale effetto produrrebbero le regie
    blandizie. Kiffin fu chiamato a palazzo. Vi trovò una eletta brigata
    di nobili e di gentiluomini. Appena egli comparve, il Re gli si fece
    incontro volgendogli graziose parole, e concluse: "Io ho notato il
    vostro nome, signore Kiffin, nella lista degli Aldermanni di
    Londra." Il vegliardo fisse gli occhi negli occhi del Re, e dando in
    uno scoppio di pianto, rispose: "Sire, io son logoro affatto: mi
    sento inetto a servire Vostra Maestà o la Città. Ahi! Sire, la morte
    delle mie povere creature mi ha trafitto il cuore. La ferita mi
    sanguina più che mai, e la porterò meco sotterra." Il Re per un
    istante ammutolì confuso; poi disse: "Signore Kiffin, troverò io un
    balsamo a cotesta piaga." Certamente Giacomo non intendeva dire cosa
    crudele o insolente; all'opposto e' sembra che fosse, contro
    l'usato, di modi dolci e cortesi. Nondimeno, la storia non rammenta
    parole uscitegli dal labbro, che, al pari delle poche riferite,
    porgano più sinistra idea del suo carattere. Sono parole d'un uomo
    di cuor duro e di mente abietta, inetto a concepire che v'hanno
    dolori, a mitigare i quali non valgono nè pensioni nè onorificenze
    d'uffici(863).
    
    La parte de' Dissidenti favorevoli alla nuova politica del Re, se in
    prima era poco numerosa, tosto cominciò a scemare; imperciocchè i
    Non-Conformisti non guari dopo s'accôrsero che la Indulgenza aveva
    ristretto più presto che esteso i loro privilegi spirituali. La
    precipua caratteristica del Puritano era lo abborrimento de' riti
    della Chiesa di Roma. Egli aveva abbandonata la Chiesa Anglicana,
    perocchè stimava ch'essa somigliasse molto alla sua superba e
    voluttuosa sorella, la maliarda dalla coppa d'oro e dal manto di
    porpora. Adesso vedeva che una delle condizioni implicite di quella
    colleganza, da parecchi de' suoi pastori fatta con la Corte, era che
    la religione della Corte dovesse essere trattata con rispetto e
    dolcezza. Sentì quindi amaro desio de' giorni della persecuzione.
    Mentre erano in vigore le leggi penali, egli aveva ascoltata la
    parola di vita furtivamente e con suo pericolo: ma tuttavia l'aveva
    ascoltata. Quando i confratelli ragunavansi nella più secreta
    stanza, quando le scolte erano ai posti loro, le porte ben chiuse, e
    il predicatore, travestito da macellaio o da vetturino, s'era
    introdotto su pe' tetti, allora almeno poteva adorare Dio secondo il
    vero culto. La verità divina non era minimamente taciuta o
    timidamente espressa per umani riguardi. Tutte le dottrine
    distintive della teologia puritana erano pienamente, e perfino con
    modi rozzi, significate. Alla Chiesa di Roma non usavasi punto
    indulgenza. La Bestia, lo Anticristo, l'Uomo del Peccato, la mistica
    Jezabelle, la mistica Babilonia, erano le frasi ordinariamente
    adoperate a descrivere quella augusta e incantevole superstizione.
    In siffatto modo avevano favellato un tempo Alsop, Lobb, Rosewell ed
    altri ministri, i quali erano stati poco innanzi accolti nella
    reggia; ma così più non favellavano. Teologi che avevano in animo di
    conseguire la grazia e la fiducia del Re, non potevano rischiarsi a
    parlare aspramente della religione del Re. Le congregazioni per ciò
    altamente dolevansi, che dopo promulgata la Dichiarazione che
    pretendeva dar loro piena libertà di coscienza, non avevano mai più
    udito predicare fedelmente e con franchezza il Vangelo. Per lo
    innanzi erano stati costretti a procacciarsi di furto il cibo
    spirituale; ma avutolo, lo trovavano condito a seconda del gusto
    loro. Adesso potevano liberamente cibarsi; ma quel cibo aveva
    perduto tutto il suo sapore. Adunavansi di giorno e dentro comodi
    edifici; ma udivano discorsi meno soddisfacenti di quelli che
    avrebbero udito da' rettori anglicani. Nella chiesa parrocchiale il
    culto e la idolatria di Roma venivano ogni domenica energicamente
    riprovati; ma nella sala dell'adunanza, il pastore che pochi mesi
    prima aveva vituperato il clero anglicano quasi al pari de' papisti,
    adesso con gran cura astenevasi dal biasimare il papismo, o
    esprimeva quel biasimo con parole sì delicate, da non offendere nè
    anche le orecchie di Padre Petre. Nè era possibile addurre ragione
    plausibile a giustificare siffatto mutamento. Le dottrine cattoliche
    romane non avevano patita la minima variazione. A memoria d'uomo
    vivente, i preti cattolici romani non erano stati mai cotanto
    operosi a fare proseliti; non erano mai usciti da' torchi tanti
    scritti cattolici romani; tutti coloro, ai quali importavano le cose
    di religione, non avevano mai con tanto calore atteso al conflitto
    tra i Cattolici Romani e i Presbiteriani. Che poteva pensarsi della
    sincerità di teologi i quali non s'erano mai stanchi di irridere al
    papismo, quando esso era comparativamente innocuo e privo di
    soccorso, e che adesso, giunto il tempo di vero pericolo per la fede
    riformata, schivavano studiosamente di profferire una sola parola
    offensiva contro un Gesuita? La loro condotta di leggeri spiegavasi.
    Era noto che parecchi di loro avevano ottenuto il perdono.
    Sospettavasi che altri avessero ricevuto danari. Il loro modello
    poteva trovarsi in quel debole apostolo, il quale, vinto dalla
    paura, rinnegò il Maestro, cui aveva pur dianzi giurato immutabile
    affetto; e in quell'altro apostolo più vigliacco, che vendè il
    proprio Signore per un pugno di monete(864).  In cotal modo i
    ministri Dissenzienti i quali s'erano dati alla Corte, andavano
    rapidamente perdendo l'autorità da essi un dì esercitata sopra i
    loro confratelli. Dall'altra banda, i settari sentivansi tratti da
    un forte sentimento religioso verso que' prelati e preti della
    Chiesa Anglicana, i quali, in onta a' comandamenti, alle minacce,
    alle promesse del Re, facevano ostinata guerra alla Chiesa di Roma.
    Gli Anglicani e i Puritani, sì lungamente divisi da nimistà mortale,
    si venivano sempre più ravvicinando, ed ogni passo che facevano
    verso l'unione, accresceva la influenza di colui che era capo
    d'entrambi. Guglielmo, per ogni rispetto, era l'uomo adatto a fare
    la parte di mediatore tra questi due grandi partiti della nazione
    inglese. Non poteva dirsi aderente nè all'uno nè all'altro.
    Nondimeno, nessuno di quelli, non traviando dalla ragione, poteva
    non considerarlo come amico. Il suo sistema teologico concordava con
    quello de' Puritani. Nel tempo stesso, ei reputava lo episcopato,
    non quale istituzione divina, ma qual forma veramente legale ed
    utile di Governo ecclesiastico. Le questioni di gesti, di
    vestimenti, di feste, di liturgie, egli considerava come di nessuna
    importanza. Avrebbe meglio gradito un culto più semplice, e simile a
    quello al quale fin da fanciullo egli era assuefatto. Ma era
    apparecchiato ad uniformarsi a qualunque rituale fosse stato accetto
    alla nazione; e solo insisteva che altri non pretendesse dovere egli
    perseguitare i suoi confratelli protestanti a' quali la coscienza
    non consentiva di seguire lo esempio di lui. Due anni innanzi, i
    numerosi bacchettoni di ambe le sètte lo avrebbero giudicato un
    pretto Laodiceo, nè caldo nè freddo, e solo degno d'essere respinto.
    Ma lo zelo che aveva già infiammato gli Anglicani contro i
    Dissenzienti, e i Dissenzienti contro gli Anglicani, s'era talmente
    mitigato nella avversità e nel pericolo comuni, che la tiepidezza,
    un tempo attribuita a Guglielmo come un delitto, oggimai veniva
    annoverata fra le precipue virtù sue.
    
    XXXVII. Tutti erano ansiosi di sapere ciò che egli pensasse intorno
    alla Dichiarazione d'Indulgenza. Per qualche tempo, in Whitehall
    speravasi che, pel suo ben noto rispetto verso i diritti della
    coscienza, egli si sarebbe almeno astenuto dal disapprovare
    pubblicamente una politica che aveva una speciosa apparenza di
    liberalità. Penn spedì in gran copia disquisizioni all'Aja, e
    perfino ci andò da sè, sperando nessuno resisterebbe alla sua
    eloquenza, della quale egli aveva alto concetto. Ma, comunque
    arringasse intorno al subietto con una facondia tale da stancare i
    suoi uditori, e comecchè assicurasse d'essergli stato rivelato da un
    uomo al quale era concesso di conversare con gli angioli, lo
    approssimarsi di una età d'oro per la libertà religiosa, non fece la
    menoma impressione sopra l'animo del principe(865). "Voi mi
    chiedete" disse Guglielmo ad uno degli agenti del Re "di secondare
    una guerra contro la mia propria religione. Io non posso con sicurtà
    di coscienza farlo, e nol farò, no, nè anche per la Corona
    d'Inghilterra, nè per lo impero del mondo." Tali parole vennero
    ridette al Re, e grandemente lo perturbarono(866). Scrisse di
    propria mano urgentissime lettere. Talvolta usò il tono d'un uomo
    offeso. Egli era il capo della famiglia reale, e come tale aveva
    diritto d'esigere obbedienza da' membri di quella; e gli tornava
    duro vedersi avversato nella cosa che gli stava più a cuore. Altra
    volta, adoperando una seduzione, alla quale credevano Guglielmo non
    potere resistere, gli fu fatto sapere, che ove egli cedesse in
    cotesto solo punto, il Governo inglese in ricompensa lo avrebbe con
    tutte le sue forze aiutato nella lotta contro la Francia. Ma non era
    uomo da lasciarsi cogliere alla rete. Bene sapeva che Giacomo, senza
    il concorso del Parlamento, non avrebbe in guisa alcuna potuto
    rendere efficaci servigi alla causa comune a tutta l'Europa; e non
    era dubbio, che ove venisse ragunato il Parlamento, ambedue le
    Camere avrebbero, prima d'ogni altra cosa, chiesta l'abrogazione
    della Indulgenza.
    
    La Principessa assenti a tutto ciò che le fu detto dal marito. I
    loro concordi pareri, espressi con parole ferme, ma temperate,
    furono comunicati al Re. Dichiaravano, profondamente rincrescere
    loro il cammino nel quale la Maestà Sua erasi messa: esser convinti,
    aver egli usurpata una prerogativa che per legge non gli
    apparteneva: contro siffatta usurpazione protestare, non solo come
    amici alla libertà civile, ma come membri della regale famiglia, i
    quali avevano grande interesse a mantenere i diritti di quella
    Corona che un giorno essi avrebbero forse portato; imperocchè erasi
    per esperienza veduto, come in Inghilterra il governo dispotico non
    potesse mancare di far nascere una reazione più perniciosa dello
    stesso dispotismo; e poteva ragionevolmente temersi, che la nazione
    impaurita ed esacerbata dalla minaccia della tirannide, potrebbe
    prendere a schifo anco la monarchia costituzionale. E però
    consigliavano il Re di governare il paese secondo lo leggi.
    Ammettevano, la legge potersi variare in meglio dalla autorità
    competente, e alcuni articoli della Dichiarazione meritare d'essere
    formulati in un Atto di Parlamento. Aggiungevano, ch'essi non erano
    persecutori, e avrebbero quindi con satisfazione veduto i
    Protestanti Dissenzienti alleggiati, ma con modo convenevole, da
    tutti gli statuti penali: avrebbero, con pari satisfazione, veduto
    ammetterli, ma con modo egualmente convenevole, agli uffici civili.
    Quivi era d'uopo alle Altezze Loro fermarsi; imperciocchè non
    potevano non temere grandemente, che se i Cattolici Romani venissero
    dichiarati capaci ad occupare impieghi di pubblica fiducia,
    gravissimi mali ne nascerebbero; e lasciavano senza ambiguità
    intendere, che tali timori originavano precipuamente dalla condotta
    di Giacomo(867).
    
    XXXVIII. La opinione manifestata dal Principe e dalla Principessa
    intorno alle incapacità che gravavano i Cattolici Romani, era quella
    di quasi tutti gli uomini di Stato e i filosofi che allora erano
    zelanti della libertà politica e religiosa. Nella età nostra,
    all'incontro, gli uomini illuminati hanno soventi volte con
    rincrescimento asserito, che in cotesto subietto Guglielmo sembra
    minore, ove si agguagli al suo suocero. Vero è che alcune
    considerazioni necessarie a rettamente giudicare, sono sfuggite alla
    mente di molti scrittori del secolo decimonono.  Vi sono due
    opposti errori, in cui coloro che studiano gli annali della patria
    nostra, continuamente pericolano di cadere: lo errore di giudicare
    il presente per mezzo del passato; e lo errore di giudicare il
    passato per mezzo del presente. Il primo appartiene alle menti
    inchinevoli a venerare ciò che è vecchio: il secondo alle menti
    corrive ad ammirare ciò che è nuovo. L'uno può sempre osservarsi ne'
    ragionamenti de' politici conservatori intorno alle questioni de'
    loro tempi; l'altro, nelle speculazioni degli scrittori della scuola
    liberale sempre che discutono intorno ai fatti d'un età trascorsa.
    Quello è più pernicioso in un uomo di Stato; questo in uno storico.
    
    Non è agevole a chi, ne' tempi nostri, imprende a trattare della
    rivoluzione che detronizzò gli Stuardi, tenersi fermamente per lo
    diritto mezzo fra cotesti due estremi. La questione se i membri
    della Chiesa Cattolica Romana potevano senza pericolo ammettersi al
    Parlamento e agli uffici, perturbò la patria nostra, regnante
    Giacomo II; quietò alla caduta di lui; e dopo d'essere rimasta
    sopita per più d'un secolo, fu ridestata da quel grande concitamento
    dello spirito umano, dopo il ragunarsi della Assemblea Nazionale in
    Francia. Pel corso di trenta anni, la contesa progredì in ambedue le
    Camere del Parlamento, in ogni collegio elettorale, in ogni cerchio
    sociale. Distrusse ministeri, sgominò partiti; in una parte dello
    Impero rese impossibile ogni specie(868) di Governo; e in fine ci
    condusse all'orlo d'una guerra civile. Anche terminata la lotta, le
    passioni che ne erano nate, continuarono ad infuriare. Era pressochè
    impossibile a chiunque avesse la mente dominata da cotali passioni,
    il vedere nella loro vera luce gli eventi degli anni 1687 e 1688.
    
    Parecchi uomini politici, muovendo da questa retta sentenza, che la
    Rivoluzione è stata un gran bene alla patria nostra, giunsero alla
    falsa conclusione, che non si poteva senza pericolo abolire nessuno
    Atto di Prova, cui gli uomini di Stato della Rivoluzione avevano
    creduto necessario d'imporre, a fine di proteggere la religione e la
    libertà nostra. Altri, muovendo dalla retta sentenza, che le
    incapacità imposte ai Cattolici Romani non avevano prodotto altro
    che danno, giunsero alla falsa conclusione, che in nessun tempo le
    predette incapacità furono mai necessarie. Il primo errore serpeva
    per entro alle orazioni dell'acuto e dotto Eldon; il secondo influì
    anche sopra un intelletto grave e filosofico, qual era quello di
    Mackintosh.
    
    Nonostante, esaminando bene la cosa, si vedrà forse che noi possiamo
    difendere la condotta che era unanimemente approvata da tutti gli
    statisti inglesi del secolo decimosettimo, senza porre in questione
    la saviezza della condotta unanimemente approvata da tutti
    gl'inglesi statisti del tempo nostro.
    
    Senza dubbio, egli è un male che alcun cittadino sia escluso dagli
    uffici civili a cagione delle sue opinioni religiose; ma talvolta
    alla umana saggezza altro non rimane che lo scegliere fra diversi
    mali. Può una nazione trovarsi in tale situazione, che la
    maggioranza debba o imporre incapacità o sottoporvisi; e ciò che in
    condizioni ordinarie può giustamente biasimarsi come persecuzione,
    possa essere considerato come retto mezzo di difesa: e siffatta,
    nell'anno 1687, era la situazione dell'Inghilterra.
    
    Secondo la Costituzione del Regno, Giacomo aveva potestà di nominare
    quasi tutti i pubblici ufficiali; politici, giudiciali,
    ecclesiastici, militari e marittimi. Nello esercizio di tale potestà
    egli non era, al pari de' Sovrani de' giorni nostri, costretto ad
    agire secondo il consiglio de' ministri approvati dalla Camera de'
    Comuni. Era quindi evidente, che, a meno ch'egli non fosse
    strettamente obbligato per legge a non concedere uffici ad altri che
    ai Protestanti, starebbe in lui di non concederli ad altri che ai
    Cattolici Romani. I Cattolici Romani erano pochi di numero, e fra
    loro non v'era un solo uomo de' cui servigi la cosa pubblica non
    potesse fare a meno. La proporzione in che essi stavano verso la
    popolazione dell'Inghilterra, era assai minore di quel che sia nei
    giorni nostri. Imperciocchè, adesso, dalla Irlanda l'onda della
    emigrazione di continuo si versa sulle nostre grandi città; ma nel
    secolo decimosettimo non era in Londra nè anche una colonia
    irlandese. Quarantanove cinquantesimi degli abitanti del reame,
    quarantanove cinquantesimi dei possidenti del reame, pressochè tutti
    gli uomini abili, esperti e dotti nella politica, nella
    giurisprudenza, nell'arte militare, erano Protestanti. Nondimeno, il
    Re, stranamente acciecato, s'era fitto in capo di servirsi della sua
    potestà di conferire gl'impieghi, come di un mezzo a fare proseliti.
    Appartenere alla Chiesa di lui, era agli occhi suoi il primo di
    tutti i requisiti ad ottenere un ufficio. Appartenere alla Chiesa
    dello Stato, era una positiva incapacità. Biasimava, egli è vero,
    con parole, cui hanno fatto plauso alcuni creduli amici della
    libertà religiosa, la mostruosa ingiustizia di quell'Atto di Prova,
    che escludeva una piccola minoranza della nazione da' pubblici
    impieghi; ma nel tempo stesso studiavasi d'imporre un Atto di Prova
    che escludesse la maggioranza. Gli pareva ingiusto che un uomo il
    quale fosse buon finanziere e suddito leale, dovesse essere escluso
    dall'ufficio di Lord Tesoriere solamente perchè era papista. Ma egli
    stesso aveva cacciato via un Lord Tesoriere, da lui tenuto per buon
    finanziere e leale suddito, solamente perchè era Protestante. Aveva
    più volte e chiaramente detto, che non avrebbe mai posto il bianco
    bastone nelle mani d'un eretico. Quanto agli altri grandi uffici
    dello Stato, aveva tenuto la medesima condotta. Già il Lord
    Presidente, il Lord del Sigillo Privato, il Lord Ciamberlano, il
    Lord detto Groom of the Stole, il primo Lord del Tesoro, un
    Segretario di Stato, il Lord Alto Commissario di Scozia, il
    Cancelliere e il Segretario di Scozia, erano, o facevano mostra
    d'essere, Cattolici Romani. Molti di costoro nati nella Chiesa
    Anglicana, s'erano resi colpevoli d'apostasia pubblica o segreta,
    onde ottenere i loro alti uffici, o mantenervisi. Tutti i
    Protestanti che seguitavano a rimanere in alcuni impieghi
    d'importanza, di continuo temevano d'essere destituiti. Non finirei
    mai se volessi notare gli altri impieghi occupati dai Cattolici
    Romani, i quali già brulicavano in ogni dipartimento del pubblico
    servizio. Essi erano Lordi Luogotenenti, Deputati Luogotenenti,
    Magistrati, Giudici di Pace, Commissari delle Dogane, Legati presso
    le Corti straniere, Colonnelli di Reggimento, Governatori di
    fortezze. La proporzione degli emolumenti che la Corona aveva
    potestà di concedere e che i Cattolici avevano in pochi mesi
    ottenuti, era dieci volte maggiore di quel che sarebbe stata sotto
    un governo imparziale. E v'era anche peggio. Ad essi fu data potestà
    di governare la Chiesa Anglicana. Uomini che avevano assicurato al
    Re di professare la religione di lui, sedevano nell'Alta
    Commissione, ed esercitavano giurisdizione suprema nelle cose
    spirituali sopra tutti i prelati e i preti della Religione dello
    Stato. Beneficii ecclesiastici di grande dignità erano stati
    impartiti ad uomini che o professavano apertamente il papismo, o lo
    professavano di furto. E tutto ciò compivasi mentre le leggi contro
    il papismo non erano per anche abrogate, e mentre Giacomo aveva non
    poco interesse a simulare rispetto ai diritti della coscienza.
    Quale, dunque, sarebbe verosimilmente stata la sua condotta, se i
    suoi sudditi avessero consentito con un Atto legislativo a liberarlo
    anco dall'ombra della restrizione? È egli possibile dubitare, che
    facendo uso strettamente legale della prerogativa, i Protestanti
    sarebbero stati esclusi dagli uffici, come lo fossero mai stati i
    Cattolici Romani per virtù d'Atto Parlamentare?
    
    Con quanta ostinazione Giacomo fosse deliberato a compartire ai suoi
    correligionari gli emolumenti dello Stato fuori d'ogni proporzione
    col numero e con l'importanza loro, si raccoglie dalle istruzioni
    ch'egli, esule e vecchio, scrisse per ammaestramento di suo figlio.
    Non è possibile senza un sentimento di pietà e di scherno leggere
    quelle espansioni d'una mente alla quale tutti gli ammonimenti della
    esperienza e dell'avversità erano tornati vani. Ivi il Pretendente è
    avvertito, ove ascendesse mai sul trono d'Inghilterra, a partire gli
    uffici, e conferirne ai membri della Chiesa di Roma tanta parte,
    quanta sarebbe loro bastata se invece d'essere la cinquantesima
    parte della nazione, ne fossero stati la metà. Un Segretario di
    Stato, un Commissario del Tesoro, un Segretario di Guerra, il
    maggior numero de' grandi dignitari della Casa Reale, il maggior
    numero degli ufficiali dell'esercito, debbono sempre essere
    Cattolici. Tali erano gl'intendimenti di Giacomo dopo che la sua
    perversa bacchettoneria gli aveva chiamato sul capo una punizione la
    quale aveva spaventato il mondo intero. È egli, quindi, possibile
    dubitare quale sarebbe stata la sua condotta se il suo popolo,
    tratto in inganno dal vuoto nome di libertà religiosa, lo avesse
    lasciato senza freno procedere per la sua via?  E' sembra che
    anco Penn, per quanto intemperante e dissennato fosse il suo zelo
    per la dichiarazione, sentisse come la parzialità onde gli onori e
    gli emolumenti erano prodigati ai Cattolici Romani, poteva
    ragionevolmente destare gelosia nella nazione. Ei confessava, che,
    abrogando l'Atto di Prova, i Protestanti avrebbero diritto ad un
    compenso, o, come egli diceva, equivalente; e giunse fino a indicare
    varie specie di compensi. Per parecchi giorni la parola equivalente,
    dalla Francia pur allora passata in Inghilterra, s'udiva sulle
    labbra di tutti gli oratori delle botteghe di caffè: se non che
    poche pagine, condite di acuta logica e delicato sarcasmo, scritte
    da Halifax, posero fine a que' futili disegni. Una delle proposte di
    Penn era di fare una legge la quale dividesse in tre parti uguali
    gl'impieghi che la Corona aveva potestà di concedere, e desse una di
    queste tre parti ai membri della Chiesa di Roma. Ed anche con
    siffatto ordinamento, i membri della Chiesa di Roma avrebbero
    ottenuto gli uffici in proporzione quasi venti volte maggiore di
    quel che sarebbe stato giusto; e nondimeno, non abbiamo ragione a
    credere che il Re volesse consentire a cotale ordinamento. Ma ove
    avesse consentito, quale guarentigia avrebbe egli offerto di
    mantenere il patto? Il dilemma proposto da Halifax non ammetteva
    risposta. Se le leggi vi legano, osservate quella che esiste; se non
    vi legano, è inutile farne una nuova(869).
    
    È chiaro, adunque, che la questione non era di vedere se gli uffici
    secolari dovessero essere accessibili agl'individui di tutte le
    sètte. Finchè Giacomo rimaneva sul trono, era inevitabile la
    esclusione; e si trattava di sapere quali dovevano rimanere esclusi,
    i Papisti o i Protestanti, i pochi o i molti, centomila inglesi o
    cinque milioni.
    
    Cotali sono i gravi argomenti pei quali la condotta del Principe
    d'Orange verso i Cattolici Romani d'Inghilterra si può conciliare
    co' principii della libertà religiosa. Questi argomenti, come
    potrebbe notarsi, non hanno relazione alcuna con la teologia
    cattolica romana. Potrebbe anche notarsi, che essi tornarono vani
    dopo che la Corona si fu rafferma in una dinastia di sovrani
    protestanti, e dopo che la Camera de' Comuni nello Stato ebbe
    acquistata tanta preponderanza, che nessun sovrano, siano qualunque
    si vogliano supporre le sue opinioni o le sue tendenze, avrebbe
    potuto imitare lo esempio di Giacomo. La nazione, non per tanto,
    dopo i terrori, le lotte, i pericoli suoi, rimase piena d'umori
    sospettosi e vendicativi. E però que' mezzi di difesa, un tempo
    dalla necessità giustificati, e dalla sola necessità giustificabili,
    furono ostinatamente adoperati anco dopo che non furono più
    necessari, e non furono messi da banda finchè il volgare pregiudizio
    mantenne un conflitto di molti anni contro la nazione. Ma ne' tempi
    di Giacomo la nazione e il pregiudizio volgare stavano insieme
    congiunti. I fanatici ed ignoranti volevano escludere dagli uffici
    il Cattolico Romano perchè adorava gl'idoli di legno e di pietra;
    perchè era segnato del segno della bestia, aveva arsa Londra,
    strangolato sir Edmondsbury Godfrey; e il più savio e tollerante
    politico, mentre sorrideva agl'inganni che traviavano la plebe,
    riusciva, per diverso cammino, alla stessa conclusione.
    
    Il gran pensiero di Guglielmo oramai era quello di congiungere in un
    solo corpo le numerose parti del popolo, le quali lo consideravano
    come loro capo comune. A compire cotesta opera fu aiutato da alcuni
    abili e fidi uomini, fra' quali gli furono di singolare utilità
    Burnet e Dykvelt.
    
    XXXIX. Quanto a Burnet, a dir vero, era mestieri servirsene con
    qualche cautela. La cortesia onde egli era stato accolto all'Aja,
    aveva destata la rabbia di Giacomo. Il quale scrisse a Maria varie
    lettere piene d'invettive contro lo insolente e sedizioso teologo da
    lei protetto. Ma cosiffatte accuse fecero in lei sì poco effetto,
    che scrisse al padre lettere di risposta dettate dallo stesso
    Burnet. In fine, nel gennaio del 1687, il Re ricorse a più vigorosi
    mezzi. Skelton, che aveva rappresentato il governo inglese appo le
    Provincie Unite, era stato inviato a Parigi, e gli era stato
    sostituito Albeville, il più debole e vile di tutti i componenti la
    cabala gesuitica. Albeville non curavasi d'altro che del danaro, e
    lo prendeva da tutti coloro che gliel'offrissero. Era pagato a un
    tempo dalla Francia e dall'Olanda; anzi abbassavasi fino al di sotto
    della miserabile dignità della corruzione, ed accettava mance sì
    frivole, ch'erano degne più presto d'un facchino o d'un servitore
    che d'un inviato, baronetto inglese e insignito di un marchesato in
    paese straniero. Una volta accettò con molta compiacenza una
    gratificazione di cinquanta zecchini in prezzo d'un servigio da lui
    reso agli Stati Generali. Costui ebbe incarico di chiedere che
    Burnet non fosse più oltre tollerato all'Aja. Guglielmo che non
    voleva perdere un amico sì utile, rispose tosto con la sua solita
    freddezza: "Io non so, o Signore, che il Dottore da che è stato qui,
    abbia fatto o detto cosa, di cui sua Maestà possa muovere giusto
    lamento." Ma Giacomo instette; il tempo d'una aperta rottura non era
    per anche arrivato; e fu mestieri cedere. Per diciotto e più mesi
    Burnet non comparve mai dinanzi al Principe o alla Principessa: ma
    abitava loro da presso; sapeva ogni cosa che seguisse; veniva
    continuamente richiesto di consiglio; la sua penna era adoperata in
    tutte le più importanti occorrenze; e molti de' più pungenti ed
    efficaci articoli, che intorno a quel tempo pubblicavansi in Londra,
    venivano dirittamente a lui attribuiti.
    
    Oltre misura s'accrebbe la rabbia di Giacomo, il quale era sempre
    stato non poco inchinevole all'ira. Per nessuno de' suoi nemici, nè
    anche per coloro che lo avevano con lo spergiuro incolpato di
    tradimento e d'assassinio, aveva egli mai sentito lo sdegno onde
    adesso era acceso contro Burnet. Sua Maestà quotidianamente
    vituperava il Dottore con parole indegne d'un Re, e meditava
    vendicarsene con modo proditorio. Il solo sangue non sarebbe bastato
    a sbramare quell'odio frenetico. Lo insolente teologo, innanzi che
    gli fosse concessa la morte, doveva patire i tormenti della tortura.
    Fortunatamente egli era scozzese; e in Iscozia, avanti che fosse
    appeso alle forche nel Grassmarket, potevano dirompergli le gambe
    con lo stivaletto. Per la qual cosa venne contro lui istituito un
    processo in Edimburgo: ma s'era naturalizzato in Olanda; aveva
    sposata una olandese; e sapevasi certo che il governo della sua
    patria adottiva non lo avrebbe(870) consegnato. Fu quindi deliberato
    di coglierlo alla rete e rapirlo. Con grossa somma di pecunia si
    presero a soldo alcuni facinorosi uomini per compire la perigliosa
    ed infame opera. Un ordine di sborsare tre mila lire sterline a
    cotesto uso fu scritto per esser firmato nell'ufficio del Segretario
    di stato. A Luigi fu palesato il disegno, e vi prese un caldo
    interesse. Diceva di volere fare ogni sforzo perchè lo scellerato
    fosse dato nelle mani del Governo inglese, promettendo ad un tempo
    asilo sicuro in Francia ai ministri della vendetta di Giacomo.
    Burnet bene sapeva d'essere in grave pericolo; ma la timidità non
    andava annoverata fra' suoi difetti. Stampò una coraggiosa risposta
    alle colpe che gli erano state apposte da' tribunali di Edimburgo.
    Diceva saper bene che lo volevano ammazzare senza processo; ma
    affidarsi nel Re dei Re, al cospetto del quale il sangue innocente
    non grida invano vendetta anco contro i possenti principi della
    terra. Invitò a desinare alcuni amici suoi, e in sulla fine disse
    loro in solenne contegno l'ultimo addio, come uomo dannato a morire,
    col quale non era quinci innanzi per loro sicuro il conversare. Non
    pertanto seguitò a mostrarsi in tutti i luoghi pubblici dell'Aja con
    tanta audacia da muovere gli amici suoi a rimproverarlo di insana
    temerità(871).
    
    XL. Mentre Burnet era segretario di Guglielmo per gli affari inglesi
    in Olanda, Dykvelt non era stato meno utilmente mandato in
    Inghilterra. Dykvelt apparteneva a quella insigne classe d'uomini
    pubblici, i quali avendo imparato la politica nella nobile scuola di
    Giovanni De Witt, dopo la caduta di quel gran ministro, pensavano di
    adempiere meglio al debito loro verso la repubblica collegandosi col
    Principe di Orange. Fra tutti i diplomatici a' servigi delle
    Provincie Unite nessuno per destrezza, indole e modi, era superiore
    a Dykvelt. Nella conoscenza degli affari inglesi, a quanto sembra,
    nessuno l'uguagliava. Trovato un pretesto, egli in sul principio del
    1687 fu spedito in Inghilterra per una commissione speciale, munito
    di lettere di credenza dagli Stati Generali. Ma in verità egli non
    andava ambasciatore al Governo, bensì alla opposizione; e intorno al
    modo di condursi ricevè istruzioni peculiari scritte da Burnet ed
    approvate da Guglielmo(872).
    
    XLI. Dykvelt scrisse come Giacomo fosse amaramente mortificato della
    condotta del Principe e della Principessa. "Il dovere del mio
    nepote" disse il Re "è quello di rinvigorire il mio braccio, ed
    invece gli è piaciuto di contrariarmi sempre." Dykvelt rispose che
    nelle faccende private Sua Altezza aveva mostrato ed era pronto a
    mostrare la più grande deferenza ai voleri del Re; ma non era
    ragionevole pretendere ch'egli, principe protestante, cooperasse con
    altri a' danni della religione protestante(873). Il Re si tacque, ma
    non calmossi. Vedeva, con tanto cattivo umore da non poterlo
    nascondere, Dykvelt ordinare e disciplinare le varie frazioni della
    opposizione, con una maestria, che sarebbe stata argomento di lode
    in uno statista inglese, e che era maravigliosa in uno straniero. Al
    clero diceva che avrebbe nel principe d'Orange trovato un amico allo
    episcopato e al Libro della Preghiera Comune. Incoraggiava i
    Non-Conformisti ad aspettarsi da lui, non solo tolleranza, ma
    comprensione ovvero assimilazione alla Chiesa dello Stato. Seppe
    conciliarsi perfino i Cattolici Romani; ed alcuni de' più
    rispettabili fra loro dichiararono al cospetto del Re d'essere
    soddisfatti delle proposte di Dykvelt, e d'amar meglio una
    tolleranza assicurata con un Atto legislativo, che un predominio
    illegale e precario(874). I capi di tutti i più importanti partiti
    della nazione conferivano spesso in presenza del destro diplomatico.
    In siffatte ragunanze le opinioni del partito Tory erano
    principalmente espresse da' Conti di Danby e di Nottingham.
    Quantunque otto e più anni fossero decorsi dacchè Danby era caduto
    dal potere, ei godeva tuttavia grande reputazione fra' vecchi
    Cavalieri di Inghilterra; e molti anche di que' Whig, i quali lo
    avevano per innanzi osteggiato, adesso inchinavano a credere ch'egli
    portasse la pena di falli non suoi, e che il suo zelo per la regia
    prerogativa, comecchè lo avesse di sovente fatto traviare, fosse
    contemperato da due sentimenti che gli tornavano ad onore: dallo
    zelo per la religione dello Stato, e dallo zelo per la dignità e la
    indipendenza della patria. Era parimente tenuto in grande stima
    all'Aja, dove non era stato mai dimenticato come egli fosse colui,
    il quale, malgrado la Francia e i Papisti, aveva indotto Carlo a
    concedere la mano della Principessa Maria al cugino di lei.
    
    XLII. Daniele Finch, Conte di Nottingham, gentiluomo il cui nome
    spesso s'incontrerà nella storia di tre regni pieni di
    vicissitudini, discendeva da una famiglia sopra tutte eminente nel
    fôro. Uno de' suoi congiunti era stato Guardasigilli di Carlo I,
    aveva prostituito le insigni qualità e la dottrina onde era adorno,
    a riprovevoli fini, ed era stato perseguitato dalla vendetta della
    Camera de' Comuni allora governata da Falkland. Heneage Finch nella
    susseguente generazione aveva acquistata più onorevole rinomanza.
    Tosto dopo la Ristaurazione era stato fatto Avvocato Generale. S'era
    quindi inalzato al grado di Procuratore Generale, di Lord
    Guardasigilli, di Lord Cancelliere, di Barone Finch, di Conte di
    Nottingham. In tutta la sua prospera carriera aveva sempre mantenuta
    la prerogativa tanto alto quanto più glielo avevano conceduto la
    onestà e la decenza; ma non s'era mai implicato in nessuna
    cospirazione contro le leggi fondamentali del Regno. Fra mezzo a una
    Corte corrotta aveva mantenuta intemerata la propria integrità.
    Godeva alta riputazione d'oratore, quantunque il suo stile formato
    sopra scrittori anteriori alle guerre civili, venisse verso gli
    ultimi suoi anni giudicato duro e pedantesco dagl'ingegni della
    sorgente generazione. In Westminster Hall lo rammentano tuttora con
    riverenza, come colui che, primo tra tutti, da quella confusione che
    in antico dicevasi Equità, trasse un nuovo sistema di
    giurisprudenza, regolare e compiuto al pari di quello il quale a' dì
    nostri amministrano i Giudici del Diritto Comune(875). Parte
    considerevole delle doti morali o intellettuali di questo gran
    magistrato aveva ereditate col titolo di Nottingham il maggiore de'
    suoi figli. Il conte Daniele era onorevole e virtuoso uomo. Comecchè
    fosse schiavo d'alcuni assurdi pregiudicii, e soggetto a strani
    accessi di capriccio, non può tacciarsi d'avere deviato dal sentiero
    della rettitudine per correre dietro ad illeciti guadagni o ad
    illeciti diletti. Come il padre suo, egli era egregio parlatore,
    penetrante, ma prolisso, e solenne con troppa monotonia. La sua
    persona era in perfetta armonia con la sua eloquenza. Il suo
    atteggiamento era secco e diritto, il colore della pelle sì bruno
    che si sarebbe potuto riputare nato in un clima più caldo del
    nostro; e i suoi austeri sembianti componeva in guisa da somigliare
    al capo de' piagnoni in un funerale. Dicevasi comunemente ch'egli
    sembrasse un grande di Spagna, più presto che un gentiluomo inglese.
    I soprannomi di Dismal (lugubre, tristo), Don Dismallo, Don Diego,
    gli furono apposti dagli spiriti arguti, e non sono per anche caduti
    nell'oblio. Aveva studiosamente atteso alla scienza ch'era stata
    cagione dello inalzamento di sua famiglia, e per uomo del suo grado
    e della sua ricchezza, egli era assai dotto nelle patrie leggi.
    Amava fervidamente la Chiesa Anglicana, e mostrava ad essa riverenza
    in due modi non comuni fra que' Lordi, i quali in quel tempo
    menavano vanto d'esserle caldi amici, pubblicando, cioè, scritti a
    difenderne i dogmi, e conducendo la vita secondo i precetti di
    quella. Al pari degli altri zelanti della Chiesa Anglicana, aveva,
    fino a poco innanzi, tenacemente sostenuta l'autorità monarchica. Ma
    alla politica adottata dalla Corte, dopo che fu spenta la
    insurrezione delle Contrade Occidentali, egli era acremente ostile,
    e lo divenne maggiormente dal dì in cui il suo minor fratello
    Heneage Finch era stato destituito dall'ufficio di Avvocato Generale
    per avere ricusato di difendere la potestà di dispensare, pretesa
    dal Re(876).
    
    XLIII. Con questi due Conti del partito Tory oggimai trovavasi
    congiunto Halifax, lo spettabile capo de' Barcamenanti. E' pare che
    in quel tempo Halifax avesse un gran predominio sulla mente di
    Nottingham. Tra Halifax e Danby era una nimistà, la quale, già nota
    nella Corte di Carlo, poi perturbò la Corte di Guglielmo, ma come
    molte altre nimicizie, fu sopita dalla tirannia di Giacomo. I due
    avversari di frequente trovavansi insieme nelle ragunanze tenute da
    Dykvelt, e concordavano nel biasimare la politica del Governo, nel
    riverire il Principe d'Orange. La diversità del carattere di cotesti
    due uomini di Stato vedevasi a chiari segni nelle loro relazioni con
    l'oratore olandese. Halifax mostrava ammirevole ingegno nel
    discutere, ma ripugnava a venire ad alcuna ardimentosa e
    irrevocabile deliberazione. Danby, assai meno sottile ed eloquente,
    aveva più energia, risolutezza, e pratica sagacia.
    
    Non pochi de' Whig più cospicui di continuo comunicavano con
    Dykvelt. Ma i capi delle grandi famiglie Cavendish e Russell non
    poterono prendervi quella parte attiva e notevole ch'era da
    aspettarsi dal grado e dalle opinioni loro. Sopra la fama e le sorti
    di Devonshire pesava in quel tempo una nube. Egli aveva una
    malaugurata contesa con la Corte, non per una ragione politica ed
    onorevole, ma per una rissa privata, nella quale anche i più caldi
    de' suoi amici non lo reputavano affatto scevro di biasimo.
    Trovandosi a Whitehall era stato insultato da un uomo che aveva nome
    Colepepper, ed era uno di que' bravazzoni i quali infestavano le
    sale di Corte, e studiavano di procacciarsi il favore del Governo
    affrontando i membri dell'opposizione. Il Re stesso si mostrò
    grandemente sdegnato pel modo con che uno de' più illustri Pari del
    Regno era stato trattato dentro la reggia; e a placare Devonshire
    promise che Colepepper non metterebbe mai più il piede in palazzo.
    Nulladimeno, poco dopo, lo interdetto fu tolto; e il risentimento
    del Conte destossi di nuovo. I suoi servi ne abbracciarono la causa;
    e per le vie di Westminster si videro scene che parevano richiamare
    la memoria di tempi barbari. Il Consiglio Privato consumava il suo
    tempo nelle accuse e recriminazioni delle parti avverse. La moglie
    di Colepepper dichiarò come la vita di lei e quella del marito
    fossero in continuo pericolo, e le case loro fossero state assalite
    da facinorosi coperti della livrea di Cavendish. Devonshire disse
    che dalle finestre di Colepepper gli era stato tirato un colpo di
    pistola. Colepepper negò il fatto, confessando a un tempo stesso,
    che una pistola, carica solo a polvere, era stata scaricata in un
    momento di terrore a fine di chiamare all'armi le guardie. Mentre
    ferveva il litigio, il Conte incontrò Colepepper nella gran sala di
    Whitehall, e gli parve di vedere in sulla fronte al bravazzone
    un'aria di fiducia e di trionfo. Nulla d'inconvenevole accadde al
    cospetto del Re, ma appena entrambi trovaronsi fuori la sala, lungi
    dalla presenza di lui, Devonshire propose di terminare in
    sull'istante la contesa con la spada. L'altro ricusò la disfida.
    Allora l'altero ed animoso Pari, dimenticando la riverenza dovuta al
    luogo, ed al proprio carattere, diede un colpo di mazza in viso a
    Colepepper. Tutti concordemente biasimarono quest'atto come
    indiscretissimo e indecentissimo; nè lo stesso Devonshire, come si
    sentì calmare il sangue, ci potè ripensare senza rincrescimento e
    vergogna. Il Governo nondimeno, con la solita insania, lo trattò con
    tanto rigore, che in breve egli si acquistò la universale simpatia
    della nazione. Una accusa criminale fu deposta presso il Banco del
    Re. Lo accusato allegò i suoi privilegi di Pari; ma ciò con una
    pronta sentenza non fu ammesso; nè si può negare che tale sentenza,
    fosse o non fosse conforme alle regole pratiche della legge inglese,
    era in istretta conformità coi grandi principii sopra i quali ogni
    legge dovrebbe appoggiarsi. Null'altro dunque rimanevagli che il
    confessarsi reo. Il tribunale, per le successive destituzioni, era
    stato ridotto ad una sommissione così assoluta, che il governo il
    quale aveva intentato il processo, potè dettare la condanna. I
    giudici andarono in corpo da Jeffreys, il quale insistè che
    condannassero il reo ad una pena di trentamila lire stelline.
    Siffatta somma, ragguagliata alle rendite de' nobili di quella età,
    risponderebbe a centocinquantamila sterline del decimonono secolo.
    In presenza del Cancelliere i giudici non profferirono verbo di
    disapprovazione; ma appena partitisi, Sir Giovanni Powell(877), nel
    quale s'era ridotto tutto quel poco d'onestà che rimanesse nel
    tribunale, mormorò dicendo la multa essere enorme, e solo la decima
    parte essere bene bastevole. I suoi confratelli non furono d'accordo
    con lui; nè egli in cotesto caso fece prova di quel coraggio, con
    che pochi mesi dopo, in un memorando giorno, redense la propria
    fama. Il Conte quindi fu condannato ad una pena di trentamila lire
    sterline, e alla carcere fino alla estinzione del pagamento. Una
    tanta somma di pecunia non si sarebbe in un solo giorno potuta
    mettere insieme nè anche dal grandissimo de' nobili. La sentenza
    della carcerazione nondimeno fu più agevolmente pronunziata che
    eseguita. Devonshire erasi ritirato a Chatsworth, dove attendeva a
    trasformare la vecchia magione gotica della sua famiglia in un
    edificio degno di Palladio. Il distretto del Peak era in quei tempi
    rozzo come oggidì trovasi Connemara, e lo sceriffo credeva, o
    simulava, essere difficile metter le mani addosso al signore d'una
    regione così selvaggia fra mezzo a cotanti fedeli famigliari e
    dipendenti. In tal guisa passarono parecchi giorni: ma in fine il
    Conte e lo sceriffo furono entrambi imprigionati. Intanto una folla
    d'intercessori cominciò a darsi moto. Si disse che la Contessa
    vedova di Devonshire era stata ammessa alle secrete stanze del Re,
    al quale aveva rammentato come il valoroso Carlo Cavendish cognato
    di lei fosse morto in Gainsborough combattendo a difesa della
    Corona, ed aveva mostrato certe scritte nelle quali Carlo I e Carlo
    II riconoscevano di avere ricevuto grosse somme prestate loro da suo
    marito a tempo delle guerre civili. Siffatte somme non erano state
    mai rese, e computatovi i frutti, ammontavano ad una somma maggiore
    della immensa multa imposta dalla Corte del Banco del Re. Vi era
    altra ragione che sembra avere avuto agli occhi di Giacomo maggior
    peso che la rimembranza de' servigi resi al trono. Forse sarebbe
    stato mestieri convocare il Parlamento, e credevasi che allora
    Devonshire avrebbe prodotto un ricorso contro la sentenza per
    difetto di forma. Il punto, intorno al quale egli intendeva di
    appellarsi contro la sentenza del Banco del Re, riferivasi ai
    privilegi della paria. Il tribunale che doveva di ciò giudicare era
    la Camera de' Pari; e così essendo, la Corte non poteva essere
    sicura neppure del voto dei più cortigiani fra' nobili. Non era
    dubbio alcuno che la sentenza verrebbe annullata, e che il Governo
    per volere abbracciar troppo perderebbe ogni cosa cosa. E però
    Giacomo inchinava a venire a patti. A Devonshire fu fatto sapere che
    ove egli firmasse una scritta d'obbligo di trenta mila sterline, e
    in tal guisa si precludesse la vita a intentare un'azione per
    difetto di forma, sarebbe liberato di prigione, e dipenderebbe dalla
    sua futura condotta l'uso da farsi di cotale documento. S'egli
    votasse a favore della potestà di dispensare, non se ne parlerebbe
    altrimenti; ma s'egli amasse meglio di mantenere la propria
    popolarità, gli si farebbe pagare trenta mila lire sterline. Ei
    ricusò, per qualche tempo, di consentire a tale proposta; ma
    divenutagli insopportabile la prigionia, firmò la scritta d'obbligo
    e fu scarcerato: e comecchè consentisse a gravare di tal pesante
    carico il suo patrimonio, nulla potè indurlo a promettere
    d'abbandonare il partito e i principii suoi. Seguitò ad essere
    partecipe di tutti gli arcani della opposizione: ma per alquanti
    mesi i suoi amici politici reputarono esser meglio per lui e per la
    causa comune ch'egli si tenesse in fondo alla scena(878).
    
    XLIV. Il Conte di Bedford non s'era mai più riavuto dal colpo con
    che, quattro anni innanzi, la sventura gli aveva trafitto il cuore.
    Per sentimenti personali, non che per opinioni politiche, egli
    procedeva ostile alla Corte: ma non era operoso nel combinare i
    mezzi d'avversarla. Nelle ragunanze de' malcontenti lo suppliva il
    suo nepote, cioè il celebre Eduardo Russell, uomo d'incontrastato
    coraggio ed abilità, ma di principii sciolti e d'indole torbida. Era
    marino, s'era segnalato nell'arte sua, e sotto il precedente regno
    aveva occupato un ufficio in palazzo. Ma tutti i vincoli onde era
    legato alla famiglia reale erano stati infranti dalla morte del suo
    cugino Guglielmo. L'audace, irrequieto e vendicativo marino ormai
    sedeva nei Consigli, che, secondo lo Inviato Olandese,
    rappresentavano la più ardita ed operosa parte dell'opposizione, di
    quegli uomini, i quali sotto i nomi di Teste rotonde, Esclusionisti
    e Whig avevano mantenuta con varia fortuna una contesa di
    quarantacinque anni contro tre Re successivi. Cotesto partito,
    dianzi depresso e quasi estinto, ma ora nuovamente risorto e pieno
    di vita e pressochè predominante, non pativa gli scrupoli de' Tory o
    de' Barcamenanti, ed era pronto a snudare il ferro contro il tiranno
    nel primo giorno in cui il ferro si sarebbe potuto snudare con
    ragionevole speranza di buon esito.
    
    XLV. Rimane ancora a far menzione di tre uomini co' quali Dykvelt
    tenne relazioni di confidenza, e con l'aiuto de' quali egli sperava
    di assicurarsi del buon volere di tre grandi classi di cittadini. Il
    Vescovo Compton assunse lo incarico di acquistare il favore del
    clero: l'Ammiraglio Herbert imprese di esercitare la propria
    influenza sulla flotta; e per mezzo di Churchill doveva crearsi un
    partito nell'esercito.
    
    Non è mestieri ragionare della condotta di Compton e di quella
    d'Herbert. Avendo essi nelle cose temporali servito con zelo e
    fedeltà la Corona, erano incorsi nella collera del Re, ricusando di
    farsi strumenti a distruggere la propria religione. Entrambi avevano
    dalla esperienza imparato come agevolmente Giacomo ponesse in oblio
    gli obblighi, e con quanta acrimonia rammentasse quelle ch'egli
    considerava offese. Il Vescovo con una sentenza illegale era stato
    sospeso dalle sue funzioni. Lo Ammiraglio in un solo istante dalla
    opulenza aveva ruinato a povertà. La situazione di Churchill era ben
    differente. Egli pel regio favore era stato inalzato dalla oscurità
    ad alto grado, e dalla povertà alla ricchezza. Avendo cominciata la
    propria carriera da semplice porta-bandiera e da povero, a
    trentasette anni trovavasi Maggiore Generale, Pari di Scozia e Pari
    d'Inghilterra: comandava una compagnia delle Guardie del Corpo:
    occupava varii lucrosi impieghi; e fino allora nessun indizio
    mostrava ch'egli avesse minimamente perduto quel favore al quale
    tanto doveva. Era vincolato a Giacomo, non solo per debito comune di
    fedeltà, ma per onor militare, per gratitudine personale, e, siccome
    pareva ai frivoli osservatori, pei più forti legami dell'utile
    proprio. Ma Churchill non era osservatore superficiale, e conosceva
    profondamente dove stava il suo vero utile. Se il suo signore
    conseguisse piena libertà di concedere gli uffici ai papisti, non
    rimarrebbe in quelli nemmeno un solo de' protestanti. Per qualche
    tempo pochi de' più prediletti servitori della Corona forse
    sarebbero esenti dalla proscrizione universale, sperando che
    s'inducessero a cangiare religione; ma anche essi tra breve
    cadrebbero, l'uno dopo l'altro, come era già caduto Rochester.
    Churchill avrebbe potuto schivare cotesto pericolo, ed acquistare
    maggior grazia presso il Re uniformandosi alla Chiesa di Roma; e
    pareva probabile con un uomo che non era meno notevole per avarizia
    ed abiettezza, che per capacità e valore, non aborrirebbe dal
    pensiero di ascoltare la Messa. Ma v'ha tale incoerenza nella umana
    natura, che esiste qualche parte sensibile anche nelle coscienze più
    dure. E così costui, che doveva il proprio inalzamento al disonore
    della sorella, ch'era stato mantenuto dalla più prodiga, imperiosa e
    svergognata delle bagasce, e la cui vita pubblica, a coloro che
    possono tenere fitti gli occhi allo abbagliante splendore del genio
    e della gloria, sembrerà un prodigio di turpitudini, credeva nella
    religione ch'egli aveva succhiata col latte, e rifuggiva dal
    pensiero di abiurarla formalmente. Egli si stava fra un terribile
    dilemma. Tra i mali terreni quello che più egli temeva era la
    povertà. L'unico delitto del quale il suo cuore aveva ribrezzo, era
    l'apostasia. Ed ove la corte giungesse a conseguire il fine al quale
    aspirava, non v'era dubbio ch'egli sarebbe stato costretto ad
    eleggere o l'apostasia, o la povertà. Per le quali considerazioni
    deliberò di attraversare i disegni della Corte; e tosto si vide come
    non v'era colpa nè infamia nella quale egli non fosse pronto ad
    incorrere, onde far fronte al bisogno di rinunciare o agl'impieghi o
    alla propria religione(879).
    
    XLVI. E' non era soltanto come comandante d'alto grado nelle
    milizie, e cospicuo per arte e coraggio, che Churchill potesse
    giovare l'opposizione. Era, se non assolutamente essenziale,
    importantissimo al buon successo de' disegni di Guglielmo, che la
    sua cognata, la quale nell'ordine della successione alla Corona
    d'Inghilterra stava tra la sua moglie e lui, cooperasse di pieno
    accordo con essi. Tutti gli ostacoli che gli si paravano dinanzi si
    sarebbero grandemente accresciuti, se Anna si fosse dichiarata
    favorevole alla Indulgenza. Il partito al quale ella si sarebbe
    appigliata dipendeva dalla volontà altrui, perocchè era donna di
    tardo intendimento, e quantunque nel suo carattere fossero i semi di
    una caparbietà e inflessibilità ereditarie, che molti anni dipoi
    gran potere e grandi provocazioni fecero germogliare e crescere,
    nondimeno era allora schiava obbediente ad una donna di carattere
    più vivo ed imperioso. Colei, dalla quale Anna lasciava
    dispoticamente governarsi, era la moglie di Churchill, donna che
    poscia ebbe grande influenza sopra le sorti della Inghilterra e
    dell'Europa.
    
    La celebre favorita chiamavasi Sara Jennings. Francesca sua sorella
    maggiore aveva acquistata rinomanza di beltà e leggerezza di
    carattere fra mezzo la folla delle donne belle e dissolute che
    adornarono e disonorarono Whitehall finchè durò l'intemperante
    carnevale della Restaurazione. Una volta si travestì da fruttaiuola
    e corse gridando per le vie(880). Le persone gravi predicevano che
    una fanciulla così poco discreta e delicata difficilmente troverebbe
    marito. Nondimeno ebbe tre mariti, e adesso era la moglie di
    Tyrconnel. Sara, dotata di bellezza meno regolare, aveva forse
    maggiori attrattive. Il suo viso era espressivo; le sue forme non
    avevano difetto di vezzi donneschi; e i suoi copiosi e leggiadri
    capelli non per anche sfigurati dalla polvere, secondo il barbaro
    costume, che, vivente lei, fu introdotto in Inghilterra, formavano
    l'ammirazione di tutti.
    
    Tra i galanti giovani che tentavano di conquiderle il cuore, ella
    prescelse il Colonnello Churchill, giovane, bello, grazioso,
    insinuante, eloquente, valoroso. Certo egli ne era innamorato,
    imperocchè non aveva patrimonio, tranne l'annua rendita da lui
    acquistata cogl'infami doni della Duchessa di Cleveland: aveva
    avidità insaziabile di ricchezze: Sara era povera; e a lui era stata
    proposta la mano di un'altra poco avvenente ma ricca fanciulla. Dopo
    una interna lotta fra i due partiti, l'amore vinse l'avarizia; il
    vincolo maritale non fece che accrescergli in cuore la passione; e
    fino all'ultima ora della vita di lui, Sara gustò il diletto
    d'essere la sola fra le umane creature la quale potesse far traviare
    quell'acuto e fermo intelletto, e fosse fervidamente amata da quel
    gelido cuore, e servilmente temuta da quell'animo intrepido.
    
    Secondo l'opinione del mondo, il fido amore di Churchill ebbe ampia
    rimunerazione. La sua moglie, comunque scarsa di sostanze, gli portò
    una dote, che impiegata con giudizio, lo inalzò al grado di Duca, di
    Principe dello Impero, di capitano generale d'una grande coalizione,
    di arbitro tra principi potenti, e, ciò ch'egli pregiava sopra ogni
    cosa, lo rese il più ricco suddito che fosse in Europa. Ella era
    cresciuta fino dall'infanzia con la Principessa Anna, e ne' cuori di
    entrambe era nata stretta amicizia. Per indole l'una poco somigliava
    all'altra. Anna era inerte e taciturna. Verso coloro ch'erano cari
    al suo cuore, mostravasi soave. La ira ne' suoi sembianti prendeva
    forma di tristezza. Chiudeva in petto forte sentimento di religione,
    ed amava anche con bacchettoneria il rito e l'ordinamento della
    Chiesa Anglicana. Sara era vivace e volubile, dominava coloro ai
    quali prodigava le sue carezze, e ogni qual volta sentivasi offesa,
    sfogava la propria rabbia con pianti e impetuosi rimproveri. Non
    pretendeva affatto a mostrarsi una santa, e rasentò la taccia
    d'irreligiosa. Allora non era per anche ciò che ella divenne quando
    certi vizi le sviluppò in cuore la prosperità, e certi altri
    l'avversità, quando il buon successo e le lusinghe le avevano dato
    volta al cervello, quando il suo cuore esulcerarono mortificazioni e
    disastri. Ella visse tanto da ridursi la più odiosa e misera delle
    umane creature, vecchia strega in guerra con tutti i suoi, in guerra
    coi propri figli, e co' figliuoli de' figli, grande e ricca, ma
    apprezzatrice della grandezza e delle ricchezze, perchè con esse
    ella poteva affrontare l'opinione pubblica, e sfrenatamente sbramare
    l'odio suo contro i vivi e i morti. Regnante Giacomo, ella veniva
    considerata solo come una leggiadra ed altera giovine, la quale a
    volte mostravasi di cattivo umore o bisbetica, difetti che le
    venivano di leggieri perdonati in grazia della sua leggiadria.
    
    È comune opinione che le differenze d'inclinazione, di mente,
    d'indole non siano d'impedimento all'amicizia, e che sovente la più
    stretta intimità esista tra due anime, l'una delle quali possegga
    ciò di cui l'altra difetta. Lady Churchill era amata e quasi adorata
    da Anna, la quale non poteva vivere divisa dall'oggetto della sua
    romanzesca tenerezza. Anna prese marito, e fu moglie fedele ed
    affettuosa. Ma il Principe Giorgio, uomo pesante, che amava di cuore
    sopra ogni cosa un buon desinare e un buon fiasco, non acquistò mai
    su lei una influenza da paragonarsi a quella che esercitava l'amica,
    e tosto si sottopose anch'egli con istupida pazienza allo impero di
    quel vigoroso e predominante spirito che governava la moglie. Dai
    regali sposi nacquero figliuoli; ed Anna non difettava di sentimento
    materno. Ma la tenerezza che ella sentiva per le proprie creature
    era languida, in agguaglio allo affetto con che amava la compagna
    della sua infanzia. In fine la Principessa divenne insofferente de'
    riguardi che la convenienza imponevale: non poteva sentirsi chiamare
    Madama ed Altezza Reale da colei che le era più che sorella. Tali
    parole, per vero, erano necessarie nella galleria o nel salone; ma
    smettevansi nelle segrete stanze. Anna chiamavasi la signora Morley,
    e Lady Churchill la signora Freeman; e sotto questi fanciulleschi
    nomi corse per venti anni un carteggio da cui finalmente dipesero le
    sorti di governi e dinastie. Ma per allora Anna non aveva potere
    politico nè patronato. L'amica Sara faceva l'ufficio di Maggiordoma,
    con un onorario di sole quattrocento lire sterline annue.
    Nonostante, vi è ragione a credere che in quel tempo Churchill
    potesse per mezzo della moglie appagare la passione onde era
    governato. La principessa, quantunque avesse una pingue entrata e
    gusti semplici, contrasse debiti, che furono da suo padre non senza
    brontolare pagati: e fu detto che di cotesti impacci pecuniarii era
    stata cagione la sua prodiga bontà verso la prediletta amica(881).
    
    Alla perfine era giunto il tempo in cui cotesta singolare amicizia
    doveva esercitare grande influenza sopra gli affari dello Stato.
    Aspettavasi con grande ansietà sapere qual parte seguirebbe la
    Principessa Anna nella contesa che agitava la Inghilterra tutta
    quanta. Da un lato stava il dovere filiale; dall'altro la salvezza
    della religione, da lei sinceramente amata. Un carattere meno inerte
    avrebbe lungamente tentennato fra motivi così forti e rispettabili.
    Ma la influenza dei Churchill risolvè la questione; e la loro
    protettrice divenne parte importante di quella vasta lega che aveva
    per capo il Principe d'Orange.
    
    XLVII. Nel giugno del 1686 Dykvelt ritornò all'Aja. Presentò agli
    Stati Generali una lettera del Re, che encomiava la condotta tenuta
    da lui nella sua dimora in Londra. Cotesti encomii, nulladimeno,
    erano prettamente formali. Giacomo nelle comunicazioni private,
    scritte di propria mano, acremente querelavasi che il Legato era
    vissuto in grande intimità coi più faziosi che fossero nel Regno, e
    gli aveva animati a persistere ne' loro maligni proponimenti.
    Dykvelt recò parimente un fascio di lettere de' più eminenti tra
    coloro co' quali erasi abboccato nel suo soggiorno in Inghilterra.
    Costoro generalmente esprimevano infinita riverenza ed affetto per
    Guglielmo, e quanto alle loro mire, riferivansi alle informazioni
    orali che ne averebbe date il portatore delle lettere. Halifax
    ragionava colla sua consueta acutezza e vivacità intorno alle
    condizioni e alle speranze del paese, ma adoperava gran cura a non
    impegnarsi in nessuna pericolosa linea di condotta. Danby scrisse in
    un tono più audace e risoluto, e non potè frenarsi dallo schernire
    delicatamente gli scrupoli del suo egregio rivale. Ma la più
    notevole fra tutte era la lettera di Churchill. Era scritta con
    quella eloquenza naturale, la quale, per quanto egli fosse
    letterato, non gli mancava mai nelle grandi occasioni, e con un'aria
    di magnanimità, che egli, perfido qual era, sapeva assumere con
    singolare destrezza. Diceva, la Principessa Anna avergli fatto
    comandamento di assicurare i suoi illustri parenti dell'Aja ch'essa
    era, con l'aiuto di Dio, deliberatissima a perdere piuttosto la
    vita, che rendersi colpevole d'apostasia. Quanto a sè stesso,
    gl'impieghi e la grazia del Re erano nulla, trattandosi della sua
    religione. E concludeva dichiarando altamente, che se non poteva
    pretendere di avere menata la vita d'un santo, sarebbe pronto,
    venuta l'occasione, a morire da martire(882).
    
    XLVIII. Dykvelt era così bene riuscito nella sua commissione, che
    tosto trovossi un pretesto a spedire un altro agente onde continuare
    l'opera con sì buoni auspici incominciata. Il nuovo Inviato, che
    poscia fondò una nobile casa inglese estinta ai tempi nostri, era
    cugino illegittimo di Guglielmo; e portava un titolo tratto dalla
    signoria di Zulestein. La parentela di Zulestein con la Casa
    d'Orange gli dava importanza agli occhi del pubblico. Aveva il
    portamento d'un valoroso soldato; per ingegno diplomatico e scienza
    cedeva di molto a Dykvelt(883), ma anche tale inferiorità aveva i
    suoi vantaggi. Un militare, il quale non s'era mai impacciato di
    cose politiche, poteva, senza ombra di sospetto, tenere con
    l'aristocrazia inglese relazioni, che, ove egli fosse stato rinomato
    maestro degli intrighi di Stato, sarebbero state rigorosamente
    spiate. Zulestein, dopo una breve assenza, fece ritorno alla patria
    recando lettere e messaggi orali non meno importanti di quelli
    ch'erano stati affidati al suo predecessore. Da quel tempo s'istituì
    un carteggio regolare tra il Principe e la opposizione. Agenti di
    varie condizioni andavano e venivano dal Tamigi all'Aja. Fra questi
    fu utilissimo uno Scozzese non privo d'ingegno, e fornito di grande
    attività, il quale aveva nome Johnstone. Era cugino di Burnet, e
    figlio d'un illustre convenzionista, il quale poco dopo la
    Restaurazione era stato dannato a morire come reo d'alto tradimento,
    e veniva onorato come martire dal proprio partito.
    
    XLIX. La rottura tra il re d'Inghilterra e il Principe d'Orange
    facevasi sempre maggiore. Una grave contesa era nata a cagione dei
    sei reggimenti che erano al soldo delle Provincie Unite. Il Re
    desiderava che venissero posti sotto il comando d'ufficiali romani.
    Il Principe fermamente s'opponeva. Il Re aveva ricorso ai soliti
    luoghi comuni della tolleranza. Il Principe rispondeva ch'egli altro
    non faceva che seguire lo esempio di Sua Maestà. Era a tutti noto
    che uomini abili e leali erano stati in Inghilterra cacciati da'
    loro uffici, solo per essere protestanti. Era quindi ragione che lo
    Statoldero e gli Stati Generali tenessero ai papisti chiuso l'adito
    agli alti impieghi pubblici. La risposta del Principe provocò l'ira
    di Giacomo a tal segno, ch'egli nel suo furore perdè d'occhio la
    verità e il buon senso. Diceva con veemenza esser falso ch'egli
    avesse cacciato alcuno per motivi religiosi. E se lo avesse fatto,
    che importava ciò al Principe o agli Stati? Erano essi suoi padroni?
    Dovevano essi sedere a scranna per giudicare della condotta de'
    Sovrani stranieri? Da quel dì egli ebbe voglia di richiamare i suoi
    sudditi ch'erano a' servigi del Governo Olandese. Pensava che
    facendoli venire in Inghilterra, avrebbe reso più forte sè, e più
    deboli i suoi peggiori nemici. Ma v'erano difficoltà tali di finanza
    che era impossibile non se ne accorgesse. Il numero de' soldati
    ch'egli manteneva, comecchè fosse maggiore che ne' tempi trascorsi,
    e amministrato con parsimonia, era quale le sue rendite potessero
    sopportare. Se allo esercito si aggiungessero i battaglioni che
    erano al soldo dell'Olanda, il Tesoro fallirebbe. Forse si potrebbe
    indurre Luigi a prenderli al suo servizio. Così verrebbero
    allontanati da un paese dove rimanevano sempre esposti alla
    corruttrice influenza d'un governo repubblicano e d'un culto
    calvinista, e sarebbero posti in un paese dove niuno rischiavasi a
    far fronte ai comandi del Sovrano o alle dottrine della vera Chiesa.
    I soldati tosto disimparerebbero ogni eresia politica e religiosa.
    Il Principe loro naturale potrebbe in pochi dì richiamarli a
    prestargli mano forte, e in ogni occorrenza esser sicuro della
    fedeltà loro.
    
    S'aprirono intorno a questo negozio pratiche tra Whitehall e
    Versailles. Luigi aveva quanti soldati gli bisognavano; e se così
    non fosse stato, non avrebbe mai voluto milizie inglesi al suo
    soldo; imperciocchè la paga in Inghilterra, per quanto oggimai ci
    possa sembrare poca, era maggiore di quella che si dava in Francia.
    Nel tempo stesso era un gran che privare Guglielmo di sì belle
    milizie. Dopo un carteggio che durò alcune settimane, a Barillon fu
    data podestà di promettere che ove Giacomo richiamasse dall'Olanda i
    soldati inglesi, Luigi pagherebbe la spesa a mantenerne due mila in
    Inghilterra. Tale offerta Giacomo accettò con calde espressioni di
    gratitudine. Ordinate le cose a quel modo, chiese agli Stati
    Generali che gli mandassero i sei reggimenti. Gli Stati Generali
    ligi a Guglielmo, risposero che simigliante domanda, in siffatte
    circostanze, non era autorizzata dai Trattati esistenti, e
    positivamente ricusarono d'ammetterla. È cosa notevole come
    Amsterdam, la quale aveva votato per tenere le predette milizie in
    Olanda, mentre Giacomo ne aveva mestieri contro gl'insorti delle
    Contrade Occidentali, adesso fece ogni sforzo perchè si cedesse alla
    domanda del Re. In ambedue i casi, il solo scopo di coloro che
    reggevano quella grande città era quello di opporsi ai desiderii del
    Principe d'Orange(884).
    
    L. Ma le armi d'Olanda erano a Giacomo meno formidabili di quel che
    fossero i torchj olandesi. All'Aja stampavansi quotidianamente libri
    e libercoli inglesi contro il Governo di lui; nè vi era vigilanza a
    impedire che migliaia di esemplari ne fossero introdotte di
    contrabbando nelle Contee poste lungo l'oceano germanico. Fra tutte
    coteste pubblicazioni ne va predistinta una per la sua importanza e
    per lo immenso effetto che produsse. La opinione che intorno
    all'Atto d'Indulgenza tenevano il Principe e la Principessa
    d'Orange, era ben nota a tutti coloro che prendevano interesse alle
    cose pubbliche. Ma perchè tale opinione non era stata officialmente
    annunciata, molti che non avevano mezzi di ricorrere a buone fonti,
    erano ingannati o rimanevano perplessi vedendo la sicurezza con che
    i partigiani della Corte asserivano le Altezze Loro approvare i
    recenti Atti del Re. Smentire pubblicamente tal voce sarebbe stato
    un mezzo semplice ed ovvio, se il solo scopo di Guglielmo fosse
    stato quello di vantaggiare i propri interessi in Inghilterra. Ma
    egli considerava la Inghilterra principalmente come strumento
    necessario alla esecuzione de' suoi grandi disegni intorno l'Europa;
    ai quali egli sperava di ottenere la cooperazione di ambedue le Case
    d'Austria, de' Principi Italiani ed anche del Sommo Pontefice. V'era
    ragione a temere, una dichiarazione soddisfacente ai Protestanti
    inglesi non eccitasse sospetto e sinistri umori in Madrid, in
    Vienna, in Torino ed in Roma. A tal fine il Principe si astenne
    lungo tempo dallo esprimere i propri sentimenti. In fine gli fu
    fatto notare come il suo prolungato silenzio avesse destato
    inquietudine e diffidenza fra coloro che volevano il suo bene, e
    fosse ormai tempo di parlare: deliberò quindi di manifestare il
    proprio intendimento.
    
    LI. Un Whig scozzese, chiamato Giacomo Stewart, parecchi anni
    innanzi, s'era rifugiato in Olanda onde sottrarsi allo stivaletto e
    alle forche, ed aveva stretto amicizia col Gran Pensionario Fagel,
    il quale godeva largamente la fiducia e la grazia dello Statoldero.
    Stewart era colui che aveva scritto il virulento Manifesto d'Argyle.
    Appena promulgata la Indulgenza, Stewart pensò di cogliere il destro
    non solo ad ottenere perdono, ma a meritarsi una ricompensa. Offerse
    al governo(885) al quale egli era stato nemico i propri servigi, che
    furono accettati, e mandò a Fagel una lettera dicendo essere stata
    scritta per ordine di Giacomo. In essa il Pensionario veniva
    richiesto di adoperare tutta la sua influenza sul Principe e la
    Principessa onde indurli a secondare la politica del padre loro.
    Dopo alcuni giorni d'indugio Fagel mandò una risposta profondamente
    pensata, e scritta con arte squisitissima. Niuno che mediti quel
    notevole documento, può non accorgersi che quantunque fosse composto
    con lo intendimento di rassicurare e piacere ai Protestanti inglesi,
    non vi si contiene una sola parola che possa recare offesa nè anche
    al Vaticano. Vi si diceva che Guglielmo e Maria approverebbero
    volentieri l'abrogazione d'ogni legge penale contro ogni Inglese di
    qualunque classe si fosse, per cagione d'opinioni religiose. Ma
    bisognava distinguere punizione da incapacità. Ammettere agli uffici
    i Cattolici Romani, non sarebbe, secondo opinavano le Altezze loro,
    vantaggioso nè al bene dell'Inghilterra, nè a quello degli stessi
    Cattolici Romani. Il Manifesto fu tradotto in varie lingue, e sparso
    profusamente per tutta l'Europa. Della versione inglese, fatta con
    gran cura da Burnet, ne furono introdotti nelle Contee Orientali
    circa cinquantamila esemplari, e furono rapidamente diffusi per
    tutto il reame. Nessuno scritto politico ebbe mai esito cotanto
    felice. I Protestanti dell'isola nostra fecero plauso alla mirabile
    fermezza con che Guglielmo dichiarava di non potere assentire che i
    papisti avessero partecipazione alcuna alle cose di Governo. Ai
    Principi Cattolici Romani, dall'altro canto, piaceva lo stile mite e
    sobrio con cui era vestito il concetto del Principe, e la speranza
    ivi espressa che sotto il suo governo nessun credente della Chiesa
    di Roma riceverebbe molestia per motivo di religione.
    
    LII. È probabile che anche il Pontefice leggesse con piacere cotesta
    celebre lettera. Alcuni mesi innanzi aveva dato commiato a
    Castelmaine in un modo tale da mostrare poco riguardo pel Re
    d'Inghilterra. A Papa Innocenzo spiaceva affatto la politica interna
    non che la esterna del Governo Britannico. Vedeva come gl'ingiusti e
    impolitici provvedimenti della cabala gesuitica avessero a rendere
    perpetue le leggi penali più presto che giungere ad abrogare l'Atto
    di Prova. La sua contesa con la Corte di Versailles diveniva sempre
    più grave; nè poteva egli o come Principe temporale o come Sommo
    Pontefice sentire schietta amistà pel vassallo di quella Corte.
    Castelmaine non aveva i requisiti necessari a spegnere cotesta
    ripugnanza. Conosceva bene Roma, e, come laico, era profondamente
    erudito nelle controversie teologiche(886). Ma non aveva la
    destrezza che il suo ufficio richiedeva; e quand'anche fosse stato
    abilissimo diplomatico, v'era una ragione che lo avrebbe reso
    inadatto a compire convenevolmente la sua commissione. Tutta Europa
    conoscevalo come il marito della più svergognata femmina, e non
    altrimenti. Era impossibile parlare con lui senza richiamarsi alla
    memoria il modo onde erasi acquistato il titolo ch'egli portava. Ciò
    sarebbe stato ben poco, s'egli fosse stato ambasciatore a qualche
    dissoluta Corte, come quella in cui aveva pur dianzi dominato la
    Marchesa di Montespan. Ma era manifestamente inconvenevole lo averlo
    inviato ad un'ambasciata di natura più presto spirituale che
    temporale e ad un Pontefice di austerità antica. I Protestanti in
    tutta Europa lo ponevano in canzone; ed Innocenzo, già
    sfavorevolmente disposto verso il Governo Inglese, considerò il
    complimento fattogli quasi come affronto. A Castelmaine era stata
    assegnata una paga di cento lire sterline per settimana; ma egli ne
    mosse lamento dicendo che tre volte tanto appena sarebbe bastato:
    imperocchè in Roma i Ministri de' grandi potentati continentali si
    sforzavano di vincersi vicendevolmente per isplendidezza agli occhi
    di un popolo, il quale per essere avvezzo a vedere tanta
    magnificenza di edifizi, di decorazioni e di cerimonie, era di
    difficile contentatura. Dichiarò sempre di averci rimesso del suo.
    Lo accompagnavano vari giovani delle migliori famiglie cattoliche
    dell'Inghilterra, come sarebbero i Ratcliffe, gli Arundell, e i
    Tichborne. In Roma alloggiava in palazzo Panfili a mezzogiorno della
    magnifica Piazza Navona. Fino da' primi giorni era stato
    privatamente ricevuto da Papa Innocenzo; ma la pubblica udienza fu
    lungamente ritardata. E veramente gli apparecchi che andava facendo
    Castelmaine erano così sontuosi, che quantunque fossero incominciati
    alla Pasqua di Resurrezione del 1686 non furono compiti se non nel
    novembre dell'anno stesso; nel quale mese il Papa ebbe, o simulò
    d'avere un accesso di podagra che fece differire la cerimonia.
    Finalmente nel gennaio del 1687 la solenne presentazione seguì con
    insolita pompa. I cocchi già lavorati appositamente in Roma, erano
    così magnifici che vennero reputati degni d'essere trasmessi ai
    posteri per mezzo di belle incisioni, e celebrati dai poeti in
    diverse lingue(887). La facciata del palazzo della legazione in quel
    solenne giorno era decorata con pitture di assurde e gigantesche
    allegorie. V'erano effigiati San Giorgio col piede sul collo di Tito
    Oates, ed Ercole che con la mazza percoteva College, il manuale
    protestante, il quale invano tentava difendersi col suo correggiato.
    Dopo cotesta pubblica dimostrazione, Castelmaine invitò tutti i più
    notevoli personaggi che allora si trovassero in Roma, ad un
    banchetto in quella gaia e splendida sala, la quale Pietro da
    Cortona ornò con pitture rappresentanti i fatti dell'Eneide. La
    intiera città corse a vedere la solennità; e a stento una compagnia
    di Svizzeri potè mantenere l'ordine fra gli spettatori. I nobili
    dello Stato Pontificio in contraccambio offrirono dispendiosi
    intertenimenti allo Ambasciatore; e i poeti e i belli spiriti furono
    invitati a tributare a lui e al suo signore iperboliche adulazioni,
    quali sogliono usarsi quando il genio e il gusto trovansi in gran
    decadenza. Fra tutti cotesti adulatori va predistinta una testa
    coronata. Erano corsi trenta e più anni da che Cristina, figlia del
    grande Gustavo, era volontariamente discesa dal trono di Svezia.
    Dopo lungo pellegrinare, nel corso del quale ella commise molte
    follie e molti delitti, erasi finalmente fermata in Roma, dove
    occupavasi di calcoli astrologici, d'intrighi di conclave, e
    sollazzavasi con pitture, gemme, manoscritti, e medaglie. In
    quell'occasione ella compose alcune stanze in italiano in lode del
    Principe inglese, il quale, al pari di lei, nato da stirpe di Re
    fino allora considerati come campioni della Riforma, erasi, come
    lei, riconciliato all'antica Chiesa. Una splendida ragunanza ebbe
    luogo nel suo palazzo; i suoi versi, posti in musica, furono cantati
    fra gli applausi(888) universali; ed un suo famigliare, uomo
    letterato, recitò una orazione sul medesimo subietto, scritta in un
    stile sì florido e intemperante, che pare offendesse il severo
    orecchio degli Inglesi che v'erano presenti. I Gesuiti, nemici del
    Papa, devoti agli interessi della Francia, e inchinevoli a
    glorificare Giacomo, accolsero la legazione inglese con estrema
    pompa in quella principesca casa dove riposano le ossa d'Ignazio di
    Loyola, rinchiuse in un monumento di lapislazzuli e d'oro. La
    scultura e la pittura, la poesia e l'eloquenza furono adoperate ad
    onorare gli stranieri: ma le arti tutte erano miseramente
    degenerate. Vi fu profusione di turgida ed impura latinità, indegna
    d'un Ordine così erudito; e talune delle iscrizioni che adornavano
    le pareti, peccavano in cosa ben altrimenti più seria che non fosse
    lo stile. In una dicevasi che Giacomo aveva spedito al cielo il
    proprio fratello come suo messaggiero, ed in un'altra che Giacomo
    aveva apprestate le ali, con che il fratello erasi levato all'eteree
    regioni. V'era anco un più sciagurato distico, al quale per allora
    si badò poco, ma che pochi mesi dopo fu rammentato ed ebbe sinistra
    interpretazione. "O Re," diceva il poeta "cessa di sospirare per
    avere un figlio. Quand'anche la natura si mostrasse avversa al tuo
    desiderio, le stelle troveranno modo di compiacerti."
    
    Fra mezzo a tanti festeggiamenti, Castelmaine ebbe a soffrire
    mortificazioni ed umiliazioni crudeli. Il Pontefice trattavalo con
    estrema freddezza e riserbo. Qualvolta lo Ambasciatore lo
    sollecitava d'una risposta alla richiesta fatta di concedere un
    cappello cardinalizio a Petre, Papa Innocenzio, facendosi venire un
    violento colpo di tosse, poneva fine al colloquio. Si sparse per
    tutta Roma la voce di coteste singolari udienze. Pasquino non
    tacque. Tutti i curiosi e i ciarlieri della città più sfaccendata
    del mondo, tranne solo i Gesuiti e i Prelati partigiani della
    Francia, facevano le matte risate alla sconfitta di Castelmaine; ed
    egli ch'era poco dolce d'indole, ne divenne furioso, e fece correre
    in giro uno scritto mordace contro il Papa. Castelmaine così
    ponevasi dalla parte del torto; e lo scaltro Italiano acquistava
    vantaggio e voleva giovarsene. Dichiarò senza ambagi come la regola
    che escludeva i Gesuiti dalle dignità ecclesiastiche non si dovesse
    violare in favore di Padre Petre. Castelmaine offeso minacciò di
    andarsene via da Roma. Innocenzo rispose, con una mansueta
    impertinenza, tanto più provocante quanto non poteva distinguersi
    dalla semplicità, che Sua Eccellenza se ne andasse pure se così le
    piacesse. "Ma se noi dobbiamo perderlo" aggiunse il venerando
    Pontefice, "speriamo ch'egli badi alla propria salute nel fare il
    viaggio. Gl'Inglesi non sanno quanto sia pernicioso in questi nostri
    paesi il viaggiare sotto i calori del giorno. Sarebbe bene adunque
    ch'egli si partisse avanti l'alba onde a mezzodì si potesse
    riposare." Con tale salutare consiglio e col dono d'un rosario, il
    malarrivato ambasciatore ebbe commiato. Pochi mesi di poi comparve
    alla luce, in italiano e in inglese, una pomposa storia della sua
    legazione, stampata magnificamente in foglio e adorna d'incisioni.
    Il frontespizio, a grande scandalo di tutti i Protestanti,
    rappresentava Castelmaine nel suo abito di Pari, con la corona di
    Conte nelle mani, in atto di baciare il piede a Papa Innocenzo(889).
    
    
    CAPITOLO OTTAVO.
    
    SOMMARIO.
    
    I. Consacrazione del Nunzio nel Palazzo di San Giacomo; Sua solenne
    presentazione a Corte. - II. Il Duca di Somerset. - III.
    Scioglimento del Parlamento. Delitti militari illegalmente puniti -
    IV. Atti dell'Alta Commissione. - V. Le Università. - VI. Processi
    contro la Università di Cambridge. - VII. Il Conte di Mulgrave -
    VIII. Condizioni d'Oxford. - IX. Il Collegio della Maddalena in
    Oxford. - X. Il Re raccomanda Antonio Farmer per la presidenza. -
    XI. I Convittori del Collegio della Maddalena sono citati dinanzi
    l'Alta Commissione. - XII. Parker raccomandato per Presidente; la
    Certosa. - XIII. Viaggio del Re. - XIV. Il Re in Oxford; riprende i
    Convittori della Maddalena. - XV. Penn tenta di farsi mediatore. -
    XVI. Commissarii speciali ecclesiastici mandati in Oxford. - XVII.
    Protesta di Hough; Parker entra in ufficio. - XVIII. I Convittori
    sono cacciati via. - XIX. Il Collegio della Maddalena diventa
    seminario papale. - XX. Risentimento del Clero. - XXI. Disegni della
    Cabala Gesuitica rispetto alla successione - XXII. Disegni di
    Giacomo e Tyrconnel a fine di impedire che la Principessa d'Orange
    succedesse nel regno d'Irlanda. - XXIII. La Regina è incinta; il
    fatto non è creduto da nessuno. - XXIV. Umori de' Collegi
    elettorali, e dei Pari. - XXV. Giacomo delibera di convocare il
    Parlamento adulterando le elezioni. - XXVI. Il Consiglio de'
    Regolatori. - XXVII. Destituzioni di molti Lordi Luogotenenti; il
    Conte d'Oxford. - XXVIII. Il Conte di Shrewsbury. - XXIX. Il Conte
    di Dorset. - XXX. Domande fatte ai magistrati. - XXXI. Loro
    risposta; i disegni del Re riescono vani. - XXXII. Lista di
    Sceriffi. - XXXIII. Carattere dei gentiluomini Cattolici Romani
    nelle campagne - XXXIV. Umori de' Dissenzienti; Regolamento dei
    Municipi. - XXXV. Inquisizione in tutti i Dipartimenti del Governo -
    XXXVI. Destituzione di Sawyer. - XXXVII. Williams avvocato Generale.
    - XXXVIII. Seconda Dichiarazione d'Indulgenza. - XXXIX. Il Clero
    riceve ordine di leggerla. - XL. Il Clero esita a farlo;
    Patriottismo de' Protestanti non-conformisti di Londra. - XLI.
    Consulte del Clero di Londra. - XLII. Consulte nel Palazzo Lambeth.
    - XLIII. Petizione de' sette Vescovi presentata al Re. - XLIV. Il
    Clero di Londra disubbidisce agli ordini reali. - XLV. Il Governo
    esita. - XLVI. Delibera di fare ai Vescovi un processo per calunnia.
    - XLVII. Vengono esaminati dal Consiglio Privato. - XLVIII.
    Incarcerati nella Torre di Londra - XLIX. Nascita del Pretendente;
    universalmente creduta supposta. - L. I Vescovi, tradotti dinanzi
    il  Banco del Re, son posti in libertà sotto cauzione. - LI.
    Agitazioni nel pubblico. - LII. Inquietudini di Sunderland. - LIII.
    Fa professione di Cattolico Romano. - LIV. Processo de' Vescovi. -
    LV. Sentenza; esultanza del popolo. - LVI. Stato singolare
    dell'opinione pubblica in quel tempo.
    
    
    I. Le aperte scortesie del Pontefice erano bastevoli a irritare il
    più mansueto de' principi; ma il solo effetto che produssero
    sull'animo di Giacomo fu quello di renderlo più prodigo di carezze e
    di complimenti. Mentre Castelmaine, coll'anima esasperata dallo
    sdegno, cammino faceva alla volta dell'Inghilterra, il Nunzio era
    colmato di onori tali che se fosse dipeso da lui li avrebbe
    ricusati. Per una finzione d'uso frequente nella Chiesa di Roma, era
    stato poco innanzi insignito della dignità vescovile senza diocesi.
    Gli era stato dato il titolo di Vescovo d'Amasia, città del Ponto e
    patria di Strabone e di Mitridate. Giacomo insistè perchè la
    cerimonia della consacrazione fosse fatta entro la Cappella del
    Palazzo di San Giacomo. Leyburn Vicario Apostolico, e due prelati
    irlandesi officiarono. Le porte furono spalancate al pubblico; e fu
    notato come parecchi Puritani, i quali pur dianzi s'erano fatti
    cortigiani, fossero fra gli spettatori. La sera di quel dì medesimo,
    Adda, vestito degli abiti alla nuova dignità convenevoli, si recò
    allo appartamento della Regina. Re Giacomo in presenza di tutta la
    Corte cadde sulle ginocchia implorando la benedizione. E in onta del
    freno imposto dall'uso cortigianesco, gli astanti indarno
    studiaronsi di nascondere il disgusto che loro ispirava
    quell'atto(890). E davvero da lunghissimo tempo non s'era visto un
    sovrano inglese piegare il ginocchio innanzi ad uomo mortale; e
    coloro i quali contemplarono quello strano spettacolo, non potevano
    non richiamare alla memoria il giorno di vergogna, in cui Re
    Giovanni rese omaggio per la sua corona nelle mani di Pandolfo.
    
    II. Breve tempo dopo, una cerimonia anche di più ostentata solennità
    ebbe luogo in onore della Santa Sede. E' fu deliberato che il Nunzio
    andasse processionalmente a Corte. In tale occasione alcuni, della
    cui obbedienza il Re era sicuro, mostrarono per la prima volta segni
    di spirito disubbidiente. Si rese notevole fra tutti Carlo Seymour,
    secondo Pari secolare del Regno, e comunemente chiamato l'orgoglioso
    Duca di Somerset. E certo egli era uomo, in cui l'orgoglio della
    stirpe e del grado era quasi infermità di mente. Le sostanze da lui
    ereditate non erano pari all'alto posto ch'egli teneva
    nell'aristocrazia inglese; ma era diventato signore della più vasta
    possessione territoriale d'Inghilterra sposando la figlia ed erede
    dell'ultimo Percy, il quale portava l'antica corona ducale di
    Northumberland. Somerset aveva soli venticinque anni, ed era poco
    noto al pubblico. Era Ciamberlano del Re, e colonnello di uno de'
    reggimenti levati a tempo della insurrezione delle Contrade
    Occidentali. Non aveva avuto scrupolo di portare la Spada dello
    Stato nella Cappella reale, ne' giorni di festa: ma adesso
    risolutamente ricusò di mischiarsi al corteggio che doveva
    festeggiare il Nunzio. Taluni di sua famiglia lo supplicarono a non
    tirarsi sul capo la collera del Re; ma i loro preghi furono vani. Il
    Re stesso si provò a rimproverarlo dicendo: "Io credeva, Milord,
    farvi un grande onore eleggendovi ad accompagnare il ministro della
    prima testa coronata del mondo." - "Sire," rispose il Duca "mi si
    assicura che io non possa obbedire a Vostra Maestà senza contraffare
    alla legge." - "Farò che voi temiate me al pari della legge,"
    riprese insolentemente il Re: "non sapete che io sono superiore alla
    legge?" - "Vostra Maestà potrebbe essere superiore alla legge"
    rispose Somerset, "ma io non lo sono; e mentre obbedisco alla legge,
    non ho timore di nulla." Il Re gli volse altamente irato le spalle,
    e tosto lo destituì d'ogni ufficio nella casa reale e nello
    esercito(891).
    
    Nondimeno in una cosa Giacomo usò alquanto di prudenza. Non si
    rischiò di esporre il Nunzio in solenne processione agli occhi della
    vasta popolazione di Londra. La ceremonia fu fatta il dì 3 luglio
    1687, in Windsor. La gente accorse in folla a quella piccola città,
    tanto che mancarono i viveri e gli alloggi; e molte persone d'alta
    condizione rimasero tutta la giornata nelle loro carrozze aspettando
    di vedere lo spettacolo. In fine, in sul tardi del pomeriggio,
    comparve il maresciallo del palazzo seguito da' suoi uomini a
    cavallo. Quindi veniva una lunga fila di volanti, e da ultimo in un
    cocchio di Corte procedeva Adda coperto d'una veste purpurea, con
    una croce che gli luccicava sul petto. Era seguito dalle carrozze
    de' principali cortigiani e ministri di Stato. Ed in questo corteo
    gli spettatori riconobbero con indignazione l'armi e le livree di
    Crewe vescovo di Durham, e di Cartwright Vescovo di Chester(892).
    
    III. Il dì susseguente leggevasi nella gazzetta un decreto che
    discioglieva il Parlamento, il quale di tutti i quindici Parlamenti
    convocati dagli Stuardi era stato il più ossequioso(893).
    
    Intanto nuove difficoltà sorgevano in Westminster Hall. Pochi mesi
    erano corsi da che erano stati destituiti alcuni giudici e
    sostituiti altri a fine d'ottenere una sentenza favorevole alla
    Corona nella causa di Sir Eduardo Hales; e già era necessario fare
    nuovi cangiamenti.
    
    Il Re aveva appena formato quello esercito, con l'aiuto del quale
    principalmente egli sperava di compire i propri disegni, allorchè si
    avvide di non poterlo tenere in freno. In tempo di guerra nel Regno
    un soldato ribelle o disertore poteva esser giudicato da un
    tribunale militare, e la sentenza eseguita dal Provosto Maresciallo.
    Ma adesso v'era perfetta pace. Il diritto comune d'Inghilterra,
    originato in una età in cui ogni uomo portava le armi secondo le
    occorrenze, e giammai di continuo, non faceva distinzione, in tempo
    di pace, da un soldato ad un altro suddito qualunque; nè v'era Atto
    alcuno somiglievole a quello, per virtù del quale l'autorità
    necessaria al governo delle truppe regolari, annualmente si affida
    al Sovrano. Alcuni vecchi statuti, a dir vero, dichiaravano in certi
    casi speciali crimenlese la diserzione. Ma tali statuti erano
    applicabili solo ai soldati nell'atto di prestare servizio al Re in
    guerra, e non potevansi senza aperta mala fede stiracchiare tanto da
    applicarli al caso di colui, il quale, in tempo di profonda quiete
    dentro e fuori lo Stato, sentendosi stanco di rimanere più oltre
    negli accampamenti di Hounslow facesse ritorno al suo villaggio
    nativo. Sembra che il Governo non avesse potestà di ritenere un tale
    uomo più di quella che non ne abbia un fornaio o un sartore sopra i
    suoi lavoranti. Il soldato e i suoi ufficiali agli occhi della legge
    erano in pari condizione. S'egli bestemmiava contro loro, era punito
    come reo di bestemmia; se gli batteva, era processato per offesa.
    Vero è che le milizie regolari avevano minor freno delle civiche.
    Perocchè queste erano un corpo istituito da un Atto parlamentare, il
    quale aveva provveduto che si potessero, per violazione di
    disciplina, infliggere sommariamente pene leggiere.
    
    Non sembra che sotto il regno di Carlo II si fosse fatta molto
    sentire la inconvenevolezza pratica di siffatta condizione della
    legge. Ciò potrebbe forse spiegarsi dicendo che fino all'ultimo anno
    del suo regno, le forze ch'egli manteneva in Inghilterra, erano
    precipuamente composte di soldati appartenenti alla casa reale, la
    cui paga era tanta che la destituzione dal servizio sarebbe stata
    dalla più parte di loro considerata come una sciagura. Lo stipendio
    di un soldato comune nelle Guardie del Corpo era una provvisione
    degna del figlio minore d'un gentiluomo. Anche le Guardie a piedi
    erano pagate quanto i manifattori in tempi prosperi, ed erano quindi
    in condizioni tali da essere invidiati dalla classe de' lavoranti.
    Il ritorno del presidio di Tangeri, e le leve de' nuovi reggimenti
    avevano apportata una seria riforma. Adesso erano in Inghilterra
    molte migliaia di soldati, ciascuno de' quali riceveva soli otto
    soldi di paga per giorno. Il timore d'essere licenziati non era
    bastevole a tenerli dentro gli stretti confini del dovere: e le pene
    corporali non potevano legalmente dagli ufficiali essere inflitte.
    Giacomo aveva quindi due sole vie ad eleggere, o lasciare che la sua
    armata si disciogliesse da sè, o indurre i Giudici a dichiarare che
    la legge fosse ciò che ogni giureconsulto sapeva non essere.
    
    A ciò fare importava segnatamente esser sicuro della cooperazione di
    due tribunali; la Corte del Banco del Re che era il primo tribunale
    criminale del Regno, e la Corte chiamata del goal-delivery, che
    sedeva in Old Bailey, ed aveva giurisdizione sopra i delitti
    commessi nella capitale. In ambedue queste Corti v'erano grandi
    difficoltà. Herbert, Capo Giudice del Banco del Re, per quanto fino
    allora si fosse mostrato servile, non avrebbe osato di trascorrere
    più oltre. Più ostinata resistenza era da aspettarsi da Giovanni
    Holt, il quale, come Recorder della città di Londra, occupava il
    banco in Old Bailey. Holt era uomo eminentemente dotto nella
    giurisprudenza, dotato di mente lucida, coraggioso ed onesto; e
    comecchè non fosse stato mai fazioso, le sue opinioni politiche
    sentivano di spirito Whig. Nulladimeno dinanzi alla volontà del Re
    disparvero tutti gli ostacoli. Ad Holt fu tolto l'ufficio. Herbert
    ed un altro giudice furono cacciati dal Banco del Re; e que' posti
    vacanti vennero dati ad uomini nei quali il Governo poteva
    pienamente confidare. E per vero dire, ei fu mestieri scendere a ciò
    che vi era di più basso nel ceto legale per trovare uomini pronti a
    rendere i servigi richiesti dal Re. La ignoranza del nuovo Capo
    Giudice Sir Roberto Wright passava in proverbio; e pure la ignoranza
    non era il peggiore de' suoi difetti. Era stato rovinato da' vizii,
    aveva ricorso a mezzi infami per far danari, ed una volta fece un
    falso affidavit, ovvero dichiarazione con giuramento, per guadagnare
    cinquecento sterline. Povero, dissoluto e svergognato, era divenuto
    uno de' parassiti di Jeffreys, che lo promosse nel medesimo tempo in
    cui lo caricava d'insulti. Tale era l'uomo scelto da Giacomo a Lord
    Capo Giudice d'Inghilterra. Un certo Roberto Allibone, che era nelle
    leggi anche più ignorante di Wright, e come cattolico romano non
    poteva occupare impieghi, fu fatto secondo giudice del Banco del Re.
    Sir Bartolommeo Shower, ugualmente noto come Tory servile ed oratore
    noioso, fu nominato Recorder di Londra. Dopo tali variazioni, a
    parecchi disertori fu fatto il processo. Vennero dichiarati rei a
    dispetto della lettera e dello spirito della legge. Alcuni furono
    condannati a morte nel Banco del Re, altri in Old Bailey. Vennero
    impiccati al cospetto de' reggimenti ai quali appartenevano; e
    s'ebbe cura che la esecuzione della sentenza fosse annunziata nella
    gazzetta di Londra, la quale di rado dava notizia di siffatti
    eventi(894).  IV. Era da credersi che la legge, violata con
    tanta impudenza da Corti la cui autorità derivava interamente da
    quella, e che avevano costume di toglierla a guida ne' loro
    giudizii, sarebbe poco rispettata da un tribunale istituito da un
    capriccio tirannico. La nuova Alta Commissione nei primi mesi della
    sua esistenza aveva semplicemente inibito ad alcuni chierici lo
    esercizio delle loro funzioni spirituali; essa non aveva attentato
    ai diritti di proprietà. Ma sul principio del 1687, e' fu deliberato
    di colpire cotesti diritti, e di porre in mente ad ogni prete e
    prelato anglicano la convinzione, che, ricusando di aiutare il
    Governo a distruggere la Chiesa di cui egli era ministro, verrebbe
    in un attimo ridotto alla miseria.
    
    Sarebbe stata prudenza farne la prima prova sopra qualche oscuro
    individuo. Ma era tanta la cecità del Governo, che in una età più
    credula si sarebbe chiamata fatalità. A un tratto dunque fu
    dichiarata la guerra alle due più venerabili corporazioni del reame,
    voglio dire alle Università d'Oxford, e di Cambridge.
    
    V. Que' due grandi corpi da lunghissimi anni erano stati molto
    potenti; e la potenza loro in sul declinare del secolo decimo
    settimo era giunta al più alto grado. Nessuno de' paesi vicini
    poteva gloriarsi di centri di dottrina splendidi ed opulenti al pari
    di quelli. Le scuole d'Edimburgo e di Glasgow, di Leida e di
    Utrecht, di Lovanio e di Lipsia, di Padova e di Bologna, sembravano
    dappoco ai dotti ch'erano stati educati ne' magnifici istituti di
    Wykeham e di Wolsey, di Enrico VI, e d'Enrico VIII. Le lettere e le
    scienze nel sistema accademico d'Inghilterra, erano circondate di
    gran pompa, avevano una magistratura, ed erano strettamente connesse
    con tutte le più auguste istituzioni dello Stato. Essere Cancelliere
    d'una Università reputavasi onorificenza, alla quale ardentemente
    ambivano i magnati del Regno. Rappresentare una Università in
    Parlamento era scopo all'ambizione degli uomini di Stato. I nobili e
    perfino i principi inorgoglivansi di ricevere da una Università il
    privilegio d'indossare la veste scarlatta di dottore. I curiosi
    erano attratti alle Università dal diletto di ammirare quegli
    antichi edifizi ricchi di memorie del medio evo, quelle moderne
    fabbriche che mostravano quanto potessero gli squisiti ingegni di
    Jones e di Wren, quelle magnifiche sale e cappelle, i Musei, i
    giardini botanici, e le sole grandi Biblioteche pubbliche che a quei
    tempi esistessero nel Regno. La pompa che Oxford mostrava nelle
    solennità, rivaleggiava con quella de' principi sovrani. Quando il
    venerando Duca d'Ormond Cancelliere di quell'Università, coperto del
    suo manto ricamato, sedeva sul trono sotto la dipinta volta del
    teatro di Sheldon, circondato da centinaia di graduati vestiti
    secondo l'ordine loro, mentre i più nobili giovani dell'Inghilterra
    solennemente a lui presentavansi come candidati pe' grandi
    accademici, egli faceva una comparsa regale quasi al pari del suo
    signore nella Sala del Banchetto in Whitehall. Nella Università
    s'erano educati gl'intelletti di quasi tutti i più eminenti
    chierici, laici, medici, begli spiriti, poeti, ed oratori del reame,
    e gran parte de' nobili e dei ricchi gentiluomini. È anche da
    notarsi che la relazione tra lo scolare e la scuola non rompevasi
    alla sua partenza da quella. Spesso egli seguitava ad essere per
    tutta la vita membro del corpo accademico, e come tale votava in
    tutte le elezioni di maggiore importanza. Serbava quindi per le sue
    antiche passeggiate lungo il Cam e l'Isis una memoria più
    affettuosa, che gli uomini educati spesso non sentono per il luogo
    della loro educazione. In tutta Inghilterra non era angolo in cui le
    due Università non avessero grati e zelanti figli. Ogni attentato
    contro l'onore e gli interessi di Cambridge e di Oxford non poteva
    non provocare il risentimento d'una possente, operosa e intelligente
    classe, sparsa in ogni Contea da Northumberland fino a Cornwall.
    
    I graduati residenti, come corpo, allora non erano forse
    positivamente superiori a quelli de' tempi nostri: ma in paragone
    delle altre classi sociali occupavano una posizione più alta:
    imperocchè Cambridge ed Oxford erano allora le sole due città
    provinciali del Regno, nelle quali si trovasse un gran numero
    d'uomini eminenti per cultura intellettuale. Anche la metropoli
    teneva in grande riverenza l'autorità delle Università non solo
    nelle questioni di teologia, di filosofia naturale e d'antichità
    classiche, ma altresì in quelle materie nelle quali le metropoli
    generalmente pretendono il diritto di giudicare in ultimo appello.
    Dal Caffè Will e dalla platea del teatro regio di Drury Lane i
    critici riferivansi al giudizio de' due grandi centri del sapere e
    del gusto. Le produzioni drammatiche, ch'erano state con entusiasmo
    applaudite in Londra, non riputavansi fuori di pericolo finchè non
    avessero sperimentato il severo giudizio degli uditori assuefatti a
    studiare Sofocle e Terenzio(895).
    
    Le Università d'Inghilterra avevano adoperata tutta la loro
    influenza morale ed intellettuale a pro della Corona. Carlo I aveva
    fatto d'Oxford il suo quartiere generale; e tutti i Collegi a
    impinguare la sua cassa militare avevano fuse le loro argenterie.
    Cambridge non era meno benevola alla Corona. Aveva mandata anche
    essa a' regi accampamenti gran parte delle sue argenterie, e avrebbe
    parimenti dato il resto se la città non fosse stata presa dalle
    soldatesche del Parlamento. Ambedue le Università dai vittoriosi
    Puritani erano state severissimamente trattate; ambedue avevano con
    gioia plaudito alla Restaurazione; fermamente avversata la Legge
    d'Esclusione; e mostrato profondo orrore alla scoperta della
    Congiura di Rye-House. Cambridge non solo aveva deposto Monmouth
    dall'ufficio di Cancelliere, ma ad esprimere come forte abborrisse
    il tradimento di lui, con modo indegno della sede della sapienza
    aveva data alle fiamme la tela in cui il pennello di Kneller aveva
    con isquisitissimo magistero dipinto il ritratto del Duca(896).
    Oxford, la quale era più presso agli insorti delle Contrade
    Occidentali, aveva date prove maggiori della sua lealtà. Gli
    studenti, con l'approvazione de' loro maestri, avevano a centinaia
    preso le armi per difendere i diritti ereditari del Re. Tali erano
    le corporazioni che Giacomo aveva deliberato di insultare e
    spogliare, rompendo apertamente le leggi e la fede data.
    
    VI. Parecchi Atti di Parlamento, chiari quanto qualunque altro che
    si contenga nel libro degli Statuti, avevano provveduto che niuno si
    potesse ammettere ad alcun grado in ambe le Università senza
    prestare il giuramento di supremazia, e un altro di simile
    carattere, detto giuramento di obbedienza. Nonostante, nel febbraio
    del 1687, giunse a Cambridge una lettera del Re che ingiungeva fosse
    ammesso al grado di Maestro dell'Arti un monaco benedettino chiamato
    Albano Francis.
    
    Gli ufficiali accademici, ondeggiando tra la riverenza pel Re e la
    riverenza per le leggi, stavansi gravemente contristati. Mandarono
    in gran diligenza messaggi al Duca d'Albemarle, successore di
    Monmouth nella dignità di Cancelliere dell'Università. Lo pregavano
    di presentare nel suo vero aspetto il caso al Sovrano. Intanto
    l'archivista e i bidelli andarono ad annunziare a Francis che ove
    egli prestasse i giuramenti secondo richiedeva la legge, sarebbe
    subito ammesso. Francis ricusò di giurare(897), inveì contro gli
    ufficiali della Università mancatori di rispetto al comando sovrano,
    e trovandoli inflessibili, montò a cavallo, e corse a recare le sue
    doglianze a Whitehall.
    
    I Capi de' Collegi allora si ragunarono a consiglio. Vennero
    consultati i migliori giureconsulti, e tutti unanimemente
    giudicarono il corpo universitario avere bene operato. Ma già era
    per via un'altra lettera scritta da Sunderland con altere e
    minacciose parole. Albemarle annunziò contristatissimo alla
    Università avere egli fatto ogni sforzo, ma essere stato freddamente
    e con poca grazia accolto dal Re. Il corpo accademico, impaurito
    della collera sovrana, e sinceramente desideroso di compiacere ai
    voleri del Re, ma deliberato di non violare le patrie leggi, gli
    sottopose le più umili e riverenti spiegazioni, ma indarno. Poco
    dopo al Vice-Cancelliere e al Senato universitario fu formalmente
    intimato di comparire, pel dì 21 aprile, dinanzi alla nuova Alta
    Commissione; il Vice-Cancelliere in persona; il Senato, che è
    composto di tutti i Dottori e Maestri dell'Università, per mezzo di
    suoi deputati.
    
    VII. Giunto il dì stabilito, la sala del Consiglio era affollata.
    Jeffreys teneva il seggio presidenziale. Rochester, dopo che gli era
    stato tolto il bianco bastone, non era più membro, e gli era
    succeduto al posto il Lord Ciamberlano Giovanni Sheffield Conte di
    Mulgrave. La sorte di questo gentiluomo da un solo lato è simile a
    quella del suo collega Sprat. Mulgrave scrisse versi appena al
    disopra della mediocrità; ma perchè era uomo d'alto grado nel mondo
    politico ed elegante, i suoi versi trovarono ammiratori. Il tempo
    sciolse il prestigio, ma, sciaguratamente per lui, ciò non avvenne
    se non dopo che i suoi poetici componimenti per diritto di
    prescrizione erano stati inseriti in tutte le raccolte de' Poeti
    inglesi. Per la qual cosa fino a' dì nostri i suoi insipidi Saggi in
    verso e le sue scempiate canzoni ad Amoretta e Gloriana ristampansi
    accanto al Como di Milton e al Festino d'Alessandro di Dryden. Onde
    è che adesso Mulgrave è conosciuto come poetastro, e come tale
    meritamente spregiato. Nondimeno, egli era, a dir vero, come
    affermano anche coloro che non lo amavano nè lo stimavano, uomo
    d'insigni doti intellettuali, e nella eloquenza parlamentare punto
    inferiore a qual si fosse oratore de' tempi suoi. Il suo carattere
    morale era spregevole. Egli era libertino senza quella larghezza di
    cuore e di mano che talvolta rende amabile il libertinismo, ed
    altero aristocratico senza quella altezza di sentimenti, che
    talvolta rende rispettabile l'aristocratica alterigia. Gli scrittori
    satirici di quell'età gli apposero il soprannome di Lord
    Tuttorgoglio. Eppure cotesto suo orgoglio egli accompagnava con
    tutti i vizi più abietti. Molti maravigliavansi come un uomo, che
    aveva così alta opinione della propria dignità, fosse tanto
    difficile e misero in tutte le sue faccende pecuniarie. Aveva
    gravemente offesa la famiglia regale osando accogliere in petto la
    speranza di ottenere il cuore e la mano della Principessa Anna.
    Disilluso di cotanta speranza, s'era sforzato di riacquistare con
    ogni bassezza la grazia che per presunzione egli aveva perduta. Il
    suo epitaffio, composto da lui stesso, rivela tuttora a coloro che
    traversano l'Abbadia di Westminster, ch'egli visse e morì da
    scettico nelle cose di religione; e dalle memorie che ci ha
    lasciate, impariamo come uno de' suoi più ordinari subietti di
    scherzo fosse la superstizione romana. Ma appena Giacomo salì al
    trono, Mulgrave cominciò a manifestare forte inclinazione verso il
    papismo, e in fine privatamente fece sembiante d'esser convertito.
    Questa abietta ipocrisia era stata ricompensata con un posto nella
    Commissione Ecclesiastica(898).
    
    Innanzi cotesto formidabile tribunale si appresentò il Dottore
    Giovanni Pechell Vice-Cancelliere della Università di Cambridge. Era
    uomo di non grande abilità e vigoria di carattere, ma lo
    accompagnavano otto insigni accademici eletti a rappresentare il
    Senato. Uno di loro era Isacco Newton, Convittore del Collegio della
    Trinità e Professore di Matematiche. Il suo genio era allora nel
    massimo vigore. La grande opera, che lo ha collocato di sopra ai
    geometri e a' naturalisti di tutti i tempi e di tutte le nazioni,
    stavasi stampando per ordine della Società Reale, ed era pressochè
    pronta a pubblicarsi. Egli amava fermamente la libertà civile e la
    religione protestante; ma per le sue abitudini, valeva poco ne'
    conflitti della vita attiva. E però tenne un modesto silenzio fra
    mezzo ai deputati, lasciando ad uomini maggiormente esperti nelle
    faccende lo incarico di difendere la causa della sua diletta
    Università.
    
    Non vi fu mai caso più chiaro di cotesto. La legge non ammetteva
    stiracchiature. La pratica aveva quasi invariabilmente seguita
    sempre la legge. Poteva forse essere accaduto che in un giorno di
    solennità, nel conferirsi gran numero di gradi onorari, fosse
    passato fra la folla qualcuno senza prestare i giuramenti. Ma tale
    irregolarità, semplice effetto della inavvertenza e della fretta,
    non poteva citarsi come esempio. Ambasciatori stranieri di diverse
    nazioni, ed in ispecie un Musulmano, erano stati ammessi senza
    giuramento; ma poteva dubitarsi se a cosiffatti casi fossero
    applicabili la ragione e lo spirito degli Atti del Parlamento. Non
    pretendevasi nè anco che alcuno il quale, richiesto, avesse ricusato
    di prestare i giuramenti, ottenesse mai un grado accademico; e
    questo era precisamente il caso di Francis. I deputati mostraronsi
    pronti a provare che, regnante Carlo II, parecchi ordini regali
    erano stati considerati come nulli, perocchè le persone raccomandate
    non si erano volute uniformare alla legge, e che, in simili casi, il
    Governo aveva sempre approvato l'operare dell'Università. Ma
    Jeffreys non volle udire nulla. Disse il Vice-Cancelliere essere
    uomo debole, ignorante e timido, per lo che disfrenò tutta la
    insolenza che era per tanti anni stata il terrore di Old Bailey. Lo
    sventurato Dottore, non avvezzo a tale spettacolo, cadde in
    disperata agitazione di mente, e perdè la parola. Allorchè gli altri
    accademici, che potevano meglio difendere la propria causa,
    provaronsi di parlare, furono duramente fatti tacere: "Voi non siete
    Vice-Cancelliere; quando lo sarete, parlerete; per ora è vostro
    debito tenere chiuse le labbra." Furono cacciati fuori la sala senza
    che potessero farsi ascoltare. Poco tempo dopo, citati di nuovo a
    presentarsi, fu loro annunziato che la Commissione aveva deliberato
    di sospendere Pechell dall'ufficio, e toglierli tutti gli emolumenti
    ch'erano come sua proprietà. "Quanto a voi altri," disse Jeffreys
    "che per la più parte siete ecclesiastici, vi manderò a casa con un
    testo della Scrittura. Andate, e non peccate mai più, perchè non vi
    accada peggio(899)."
    
    VIII. Siffatto procedere potrebbe sembrare bastevolmente ingiusto e
    violento. Ma il Re aveva già incominciato a trattare Oxford con
    tanto rigore, che quello mostrato contro Cambridge potrebbe
    chiamarsi dolcezza. Già il Collegio della Università era stato
    trasmutato da Obadia Walker in seminario cattolico romano. Già il
    Collegio della Chiesa-di-Cristo era governato da un decano
    cattolico. La Messa celebravasi giornalmente in ambidue cotesti
    collegi. La tranquilla e maestosa città, un tempo sì devota ai
    principii monarchici, era agitata da passioni non mai per lo innanzi
    conosciute. I sottograduati, con connivenza de' loro superiori,
    facevano le fischiate ai membri della congregazione di Walker, e
    cantavano satire sotto le sue finestre. Sono giunti fino a noi
    alcuni frammenti delle serenate che mettevano in subbuglio(900)
    High-Street. Lo intercalare d'una ballata diceva: "Il vecchio Obadia
    - Canta l'Ave Maria."
    
    Come i comici giunsero in Oxford, l'opinione pubblica si manifestò
    con maggior forza. Venne rappresentata la produzione drammatica di
    Howard intitolata il Comitato. Questo componimento, scritto poco
    dopo la Restaurazione, dipingeva i Puritani in sembianti odiosi e
    spregevoli, e però era stato per venticinque anni applaudito dagli
    Oxfordiani. Adesso piaceva più che mai; imperciocchè per fortuna uno
    de' precipui caratteri era un vecchio ipocrita che aveva nome
    Obadia. Gli uditori diedero in fragoroso scoppio d'applausi quando,
    nell'ultima scena, Obadia viene strascinato fuori con un capestro al
    collo; e i clamori raddoppiarono quando uno degli attori, alterando
    la commedia, annunziò che Obadia meritava d'essere impiccato per
    avere rinnegata la propria religione. Il Re rimase grandemente
    irritato a tale insulto. Era cotanto rivoluzionario lo spirito della
    Università, che uno de' nuovi reggimenti - quel desso che ora
    chiamasi Secondo de' Dragoni delle Guardie - fu acquartierato in
    Oxford, onde impedire uno scoppio(901).
    
    Dopo cotesti fatti Giacomo avrebbe dovuto convincersi che la via da
    lui presa doveva di necessità condurlo a ruina. Ai clamori di Londra
    era da lungo tempo assuefatto. S'erano levati contro lui ora
    giustamente ed ora a torto. Egli li aveva più volte affrontati, e
    poteva forse tuttavia affrontarli. Ma che Oxford, sede della lealtà,
    quartiere generale dello esercito de' Cavalieri, luogo dove il padre
    e il fratello trasferirono la corte loro quando non si tenevano più
    sicuri nella loro tempestosa metropoli, luogo dove gli scritti de'
    grandi intelletti repubblicani erano stati di recente dati alle
    fiamme, fosse ora agitata da sinistri umori; che quegli animosi
    giovani, i quali pochi mesi innanzi avevano ardentemente prese le
    armi contro gl'insorti delle Contrade Occidentali, avessero ad
    essere con difficoltà tenuti in freno dalla carabina e dalla spada,
    erano segni di cattivo augurio per la casa degli Stuardi. Tali
    ammonimenti, nondimeno, tornarono inutili allo stupido, inflessibile
    e testardo tiranno. Era deliberato di dare alla sua Chiesa i più
    ricchi e splendidi stabilimenti d'Inghilterra. A nulla giovarono le
    rimostranze de' migliori e più savi tra' suoi consiglieri cattolici
    romani. Gli dimostrarono come egli potesse rendere grandi servigi
    alla causa della sua religione, senza violare i diritti di
    proprietà. Un assegnamento annuo di due mila lire sterline, che
    agevolmente poteva trarsi dal suo tesoro privato, sarebbe bastato a
    mantenere un collegio di Gesuiti. Siffatto collegio provveduto di
    abili, dotti e zelanti precettori, sorgerebbe come formidabile
    rivale alle vecchie istituzioni accademiche, le quali mostravano non
    pochi segni di quella languidezza, che è quasi inseparabile dal
    sentirsi sicuro ed opulento. Il collegio di Re Giacomo tosto
    verrebbe considerato, anche dagli stessi Protestanti, il primo
    istituto d'educazione nell'isola e per scienza e per disciplina
    morale. Ciò sarebbe il mezzo più efficace e meno odioso con che
    umiliare la Chiesa Anglicana ed esaltare la cattolica. Il Conte
    d'Ailesbury, uno de' più fidi servitori della regale famiglia,
    quantunque Protestante, offerse mille lire sterline per mandare ad
    esecuzione quel disegno, più presto che vedere che il suo signore
    violasse i diritti di proprietà, e rompesse la fede data alla Chiesa
    dello Stato(902). Tale proposta, nondimeno, non piacque al Re, come
    quella che, a dir vero, per molte ragioni, era poco convenevole alla
    dura indole di lui. Imperciocchè aveva non poco diletto a domare e
    sconfiggere l'altrui volontà, e gli doleva privarsi de' propri
    danari. Ciò ch'egli non aveva la generosità di fare a proprie spese,
    voleva farlo a spese degli altri. Deliberato di conseguire un fine,
    l'orgoglio e l'ostinazione gl'impedivano di retrocedere; e a poco
    per volta si era già ridotto a commettere atti di turchesca
    tirannide, atti che ridussero la nazione a convincersi che la
    proprietà di un libero possidente inglese sotto un Re cattolico
    romano non era punto sicura, come non lo era quella d'un greco sotto
    la dominazione musulmana.
    
    IX. Il Collegio della Maddalena in Oxford, fondato nel secolo
    decimoquinto da Guglielmo di Waynflete Vescovo di Winchester e Lord
    Gran Cancelliere, era uno de' più cospicui de' nostri istituti
    accademici. Una graziosa torre, in cima alla quale all'alba del di
    primo di maggio i coristi cantavano un inno latino, presentavasi da
    lungi all'occhio del viandante che veniva da Londra. Come egli
    appressavasi, la vedeva sorgere fra' merli sopra una vasta mole
    bassa ed irregolare, ma singolarmente veneranda, la quale, cinta di
    verdura, signoreggiava le lente acque del Cherwell. Egli entrava per
    una porta sormontata da una leggiadra finestra, e penetrava in uno
    spazioso chiostro ornato d'immagini rappresentanti le virtù e i
    vizi, rozzamente scolpite in pietra grigia dai muratori del secolo
    decimoquinto. La mensa della società era con profusione
    apparecchiata in un magnifico refettorio adorno di pitture e di
    fantastici intagli. Il servizio di chiesa facevasi mattina e sera in
    una cappella, ch'era stata molto danneggiata da' Riformatori e dai
    Puritani, ma tuttavia, così guasta, era edificio d'insigne bellezza,
    ai tempi nostri ristaurato con arte e con gusto squisiti. I vasti
    giardini lungo la riva del fiume, erano notevoli per la grandezza
    degli alberi, fra mezzo ai quali torreggiava una delle maraviglie
    della vegetazione dell'isola, cioè una quercia gigantesca, secondo
    che comunemente dicevasi, d'un secolo più antica del più antico
    collegio dell'Università.
    
    Gli statuti collegiali ordinavano che i Re d'Inghilterra e i
    Principi di Galles dovessero alloggiare alla Maddalena. Eduardo IV
    vi aveva abitato quando la fabbrica non era peranche finita.
    Riccardo III vi aveva tenuto corte, udito le dispute nella sala,
    regalmente festeggiato, e a rimunerare i suoi ospiti aveva loro
    fatto presenti di daini delle sue foreste. Due eredi presuntivi
    della Corona, anzi tempo spenti, Arturo fratello maggiore di Enrico
    VIII, ed Enrico fratello maggiore di Carlo I, erano stati membri di
    quel collegio. Un altro Principe del sangue, l'ultimo e migliore
    degli Arcivescovi cattolici romani di Canterbury, il buon Reginaldo
    Polo, vi aveva fatti i suoi studi. A' tempi della guerra civile il
    Collegio della Maddalena era rimasto fido alla Corona. Ivi Rupert
    aveva stabilito il suo quartiere generale; e le sue trombe s'udivano
    per quei quieti chiostri quando egli ragunava i suoi cavalli per
    muovere a qualcuna delle sue più audaci intraprese. La maggior parte
    de' collegiali erano ecclesiastici, e non potevano aiutare il Re se
    non con preci e pecunia. Ma un collega loro, il quale era Dottore in
    Diritto Civile, fece leva d'una schiera di sottograduati, e cadde
    valorosamente combattendo alla loro testa contro i soldati d'Essex.
    Posate le armi, e venuta la Inghilterra sotto la dominazione delle
    Teste-Rotonde, sei settimi dei membri del collegio ricusarono di
    sottomettersi agli usurpatori: per la qual cosa furono cacciati
    dalle loro abitazioni, e privati delle rendite. Coloro che
    sopravvissero alla Restaurazione, fecero ritorno alle loro gradite
    stanze. Adesso era loro succeduta una generazione d'uomini, i quali
    ne avevano ereditato le opinioni e lo spirito. Mentre infuriava la
    ribellione delle Contrade Occidentali, tutti coloro che nel Collegio
    della Maddalena la età o la professione non impediva dal portare le
    armi, erano ardentemente accorsi a combattere a pro della Corona. E'
    sarebbe difficile trovare in tutto il Regno una corporazione, che al
    pari di cotesta fosse meritevole della gratitudine degli
    Stuardi(903).
    
    La società era composta d'un Presidente, di quaranta Convittori
    (Fellows), di trenta scolari chiamati Demies, e d'un convenevole
    numero di cappellani, cherici e coristi. A tempo della visita
    generale sotto il regno di Enrico VIII, le rendite del collegio
    erano molto maggiori di quelle d'ogni altro simigliante istituto nel
    reame, maggiori quasi per metà di quelle del magnifico istituto da
    Enrico VI fondato in Cambridge; e assai più del doppio di quelle che
    Guglielmo Wykeham aveva assegnato al suo collegio in Oxford. Sotto
    Giacomo II le ricchezze della Maddalena erano immense, e la fama le
    esagerava. Dicevasi comunemente che il collegio fosse più ricco
    delle più ricche Abadie del continente; e il popolo affermava che,
    finiti i fitti esistenti, la entrata crescerebbe fino alla somma
    prodigiosa di quaranta mila lire sterline l'anno(904).  I
    Convittori, per virtù degli statuti compilati dal fondatore, avevano
    potestà di eleggere il presidente fra coloro che erano allora o
    erano stati convittori o della Maddalena o del Collegio Nuovo.
    Avevano per lo più siffatta potestà liberamente esercitato. Ma
    alcuna volta il Re aveva raccomandato qualche partigiano della Corte
    alla scelta degli elettori; e in tali casi il collegio s'era
    mostrato riverente ai desiderii del Sovrano.
    
    Nel marzo del 1687, il Presidente della Maddalena finì di vivere.
    Aspirava a succedergli uno de' Convittori, cioè il Dottore Tommaso
    Smith, volgarmente soprannominato Rabbi Smith, insigne viaggiatore,
    bibliofilo, antiquario, ed orientalista, già stato cappellano di
    legazione a Costantinopoli, e adoperato a collazionare il
    Manoscritto Alessandrino. Credeva di meritare la protezione del
    Governo come uomo dotto e come Tory zelante. E davvero era
    ardentemente e fermamente il più realista che si potesse trovare in
    tutta la Chiesa Anglicana. Da lungo tempo aveva stretta amicizia con
    Parker Vescovo d'Oxford, per mezzo del quale egli sperava ottenere
    dal Re una lettera commendatizia al collegio; Parker gli promise di
    fare il possibile, ma tosto riferì di avere incontrato parecchie
    difficoltà. "Il re" disse egli "non raccomanderà alcuno che non sia
    amico alla religione della Maestà Sua. Che potreste voi fare per
    compiacerlo in quanto a ciò?" Smith rispose che ove egli fosse fatto
    Presidente, farebbe ogni sforzo per promuovere le lettere, la vera
    religione di Cristo, e la lealtà verso il Sovrano. "Ciò non
    servirebbe" disse il Vescovo. "Se è così" rispose animosamente
    Smith, "sia chi si voglia il Presidente: io non posso promettere
    altro."
    
    X. La elezione era stabilita pel dì 13 aprile, e ai Convittori fu
    annunziato di ragunarsi. Dicevasi che il Re manderebbe una lettera a
    raccomandare pel posto vacante un certo Antonio Farmer. Era stato
    membro della Università di Cambridge ed aveva schivato di essere
    espulso, accortamente ritirandosi a tempo. S'era quindi collegato
    co' Dissidenti; e poi, recatosi ad Oxford, era entrato nel Collegio
    della Maddalena, dove si rese notevole per ogni generazione di vizi.
    Quasi sempre strascinavasi al collegio a notte avanzata, senza
    potere profferire parola, come colui ch'era briaco. Acquistò fama
    per essersi messo a capo d'un tumulto in Abingdon. Frequentava
    sempre i convegni de' libertini. In fine, fattosi lenone, era
    disceso anche al di sotto della ordinaria sozzura del suo mestiere,
    ricevendo danari da certi dissoluti giovani per aver loro resi
    servigi tali che il labbro pudico della storia non può ricordare
    senza arrossirne. Cotesto sciagurato, nondimeno, aveva simulato di
    farsi papista, e la sua apostasia fu considerata come bastevole
    espiazione di tutti i suoi vizi. E comecchè fosse ancora giovine
    d'anni, fu dalla Corte scelto a governare una grave e religiosa
    società, nella quale era tuttavia fresca la scandalosa memoria del
    suo depravato vivere.
    
    Come cattolico romano, egli, secondo la legge comune del paese, non
    poteva occupare veruno ufficio accademico. Per non essere mai stato
    Convittore della Maddalena o del Collegio Nuovo, non poteva, in
    virtù d'un ordinamento speciale di Guglielmo Waynflete, essere
    eletto Presidente. Guglielmo aveva anche comandato a coloro che
    dovevano fruire della liberalità sua, di badare peculiarmente alla
    moralità di colui che dovevano eleggere a loro capo; e quand'anche
    egli non avesse lasciato scritto cotale comandamento, una
    corporazione composta in massima parte di ecclesiastici non poteva
    decentemente affidare ad un uomo quale era Farmer il governo d'un
    istituto d'educazione.
    
    I Convittori rispettosamente esposero al Re le difficoltà in cui si
    troverebbero, ove, come ne correva la voce, Farmer venisse loro
    raccomandato; e pregavano, che qualora piacesse alla Maestà Sua
    immischiarsi nella elezione, proponesse qualche persona a favore
    della quale potessero legalmente e con sicura coscienza votare. La
    rispettosa preghiera fu posta in non cale. La lettera del Re giunse,
    e fu recata da Roberto Charnock, che dianzi s'era fatto papista,
    uomo fornito di coraggio e di qualità, ma di sì violenta indole che
    pochi anni dopo commise un atroce delitto ed ebbe miseranda fine. Il
    dì 13 aprile, la società congregossi nella cappella. Speravano tutti
    che il Re si movesse alla rimostranza che gli avevano presentata.
    L'assemblea quindi si aggiornò al dì 15, che era l'ultimo giorno,
    nel quale, secondo gli statuti del collegio, la elezione doveva aver
    luogo.  Giunto il predetto giorno, i Convittori ragunaronsi di
    nuovo entro la cappella. Non v'era risposta alcuna da Whitehall. Due
    o tre degli anziani, fra' quali era Smith, inchinavano a posporre
    ancora la elezione, più presto che fare un passo che avrebbe potuto
    offendere il Re. Ma il testo degli statuti, che i membri del
    collegio avevano giurato di osservare, era chiaro. Fu quindi
    generale opinione di non ammettere altro indugio. Ne seguì vivissima
    discussione. Gli elettori erano sì concitati che non potevano starsi
    ne' loro seggi, e tumultuavano. Coloro che volevano la elezione
    immediata, richiamavansi a' loro giuramenti ed alle prescrizioni del
    fondatore, del quale mangiavano il pane, e ripetevano il Re non
    avere diritto d'imporre un candidato anche avente i necessari
    requisiti. Fra mezzo alla contesa udironsi alcune parole spiacevoli
    alle orecchie d'un Tory, sì che Smith irritato esclamò: lo spirito
    di Ferguson avere invaso i cuori de' suoi confratelli. Finalmente e'
    fu deliberato di fare subito la elezione. Charnock uscì fuori della
    cappella. Gli altri Convittori, ricevuta la comunione, procederono a
    votare, e sortì eletto Giovanni Hough uomo di grande virtù e
    prudenza, il quale avendo sostenuto con fortezza la persecuzione, e
    con mansuetudine la prosperità, elevatosi a più alte dignità e
    rifiutatene anche di maggiori, morì estremamente vecchio, senza
    perdere la vigoria della mente, cinquantasei e più anni dopo quel
    memorando giorno.
    
    La società affrettossi a far conoscere al Re le circostanze che
    avevano reso necessario lo eleggere senza altro indugio il
    Presidente, e pregarono il Duca di Ormond, come patrono della
    Università, e il Vescovo di Winchester, come ispettore del Collegio
    della Maddalena, perchè volessero assumersi l'ufficio
    d'intercessori: ma il Re, torpido di mente, era siffattamente
    incollerito che non volle ascoltare spiegazioni.
    
    XI. Ne' primi giorni di giugno, i Convittori furono citati ad
    appresentarsi dinanzi all'Alta Commissione in Whitehall. Cinque di
    loro, come deputati degli altri, obbedirono. Jeffreys gli trattò
    secondo suo costume. Quando uno di loro, ch'era un venerando Dottore
    nomato Fairfax, espresse qualche dubbio intorno alla validità della
    Commissione, il Cancelliere cominciò ad urlare a guisa di belva
    feroce: "Chi è costui? Chi gli ha dato lo incarico di venire a far
    lo impudente in questo luogo? Chiappatelo; mettetelo in secreta. Che
    fa egli senza custode? Egli è pazzo, ed è sotto la mia custodia. Mi
    maraviglio che nessuno sia venuto a richiedermelo per tenerlo in
    buona guardia." Poichè si fu così sfogato, e furono lette le
    deposizioni concernenti il carattere morale del candidato proposto
    dal Re, nessuno de' Commissari ebbe la sfrontatezza di asserire che
    un tale uomo potesse convenevolmente essere eletto capo d'un gran
    collegio. Obadia Walker e gli altri papisti d'Oxford i quali
    trovavansi lì presenti a difendere gl'interessi del loro proselito,
    rimasero estremamente confusi. La Commissione dichiarò nulla la
    elezione di Hough, e sospese Fairfax dall'ufficio di Convittore: ma
    non fu più ragionato di Farmer; e nel mese di agosto giunse ai
    Convittori una lettera del Re, il quale proponeva loro Parker,
    Vescovo d'Oxford.
    
    XII. Parker non era apertamente papista. Nondimeno esisteva contro
    lui un impedimento, il quale, quando anche la presidenza fosse stata
    vacante, sarebbe stato decisivo: imperocchè egli non era mai stato
    Convittore nè della Maddalena, nè del Collegio Nuovo. Ma la
    presidenza non era vacante: Hough era stato debitamente eletto; e
    tutti i membri del Collegio erano tenuti per sacramento a sostenerlo
    nell'ufficio. E però, significando la lealtà e il rincrescimento
    loro, scusaronsi di non potere obbedire ai comandi del Re.
    
    Mentre Oxford in siffatto modo opponeva ferma resistenza alla
    tirannide, altri altrove non meno ferma opposizione faceva. Tempo
    innanzi, Giacomo, ai rettori della Certosa, che erano uomini
    d'altissimo grado e reputatissimi nel Regno, aveva comandato
    d'ammettere un certo Popham cattolico romano allo Spedale loro
    sottoposto. Il Direttore Tommaso Burnet, ecclesiastico insigne per
    ingegno, dottrina e virtù, ebbe il coraggio di dir loro, quantunque
    il feroce Jeffreys fosse del seggio, come ciò che da loro volevasi
    era contrario alla volontà del fondatore, non che ad un Atto del
    Parlamento. "E che importa ciò?" disse un cortigiano che era uno de'
    governatori. "Importa molto, io credo," rispose una voce resa fioca
    dagli anni e dal dolore, e che non pertanto moveva da tal uomo da
    essere udita con rispetto, cioè la voce del venerando Ormond. "Un
    Atto di Parlamento" seguitò il patriarca de' Cavalieri "non è,
    secondo il mio giudicio, cosa di lieve momento." Fu messa innanzi la
    questione se Popham dovesse essere ammesso, e fu risoluta pel no. Il
    Cancelliere, che non potè sfogarsi bestemmiando e imprecando contro
    Ormond, uscì fuori spumante di rabbia e fu seguito da pochi altri,
    di guisa che i membri rimasti non furono più in numero legale, e non
    poterono fare una formale risposta all'ordine sovrano.
    
    L'altra adunanza ebbe luogo solo due giorni dopo che l'Alta
    Commissione aveva con sua sentenza cassato la elezione di Hough e
    sospeso Fairfax. Un secondo ordine sovrano, munito del Gran Sigillo,
    fu presentato ai rettori: ma il tirannesco modo con cui era stato
    trattato il Collegio della Maddalena, aveva maggiormente destato il
    loro coraggio invece di domarlo. Scrissero una lettera a Sunderland,
    onde pregarlo ad annunziare al Re come essi in quel negozio non
    potessero obbedire alla Maestà Sua, senza violare la legge e mancare
    al debito loro.
    
    E' non è dubbio veruno che se cotesto documento fosse stato
    sottoscritto da nomi ordinari, il Re sarebbe trascorso a qualche
    eccesso. Ma anche a lui imponevano riverenza i grandi nomi di
    Ormond, Halifax, Danby, e Nottingham, capi di tutti i vari partiti
    ai quali egli andava debitore della Corona. E però fu pago di
    ordinare che Jeffreys pensasse quale fosse la via da prendersi. Una
    volta fu annunciato che verrebbe istituito un processo nella Corte
    del Banco del Re; un'altra, che la Commissione Ecclesiastica
    evocherebbe a sè la faccenda; ma tali minacce a poco a poco
    svanirono(905).
    
    XIII. La estate era bene inoltrata allorquando il Re intraprese un
    viaggio, il più lungo e più magnifico che da molti anni i sovrani
    d'Inghilterra avessero fatto. Da Windsor il dì 16 agosto egli passò
    a Portsmouth, girò attorno le fortificazioni, toccò parecchie
    persone scrofolose, e quindi imbarcatosi in uno de' suoi legni
    giunse a Southampton. Da Southampton viaggiò a Bath, dove rimase
    pochi giorni e lasciò la Regina. Nel partirsi fu accompagnato dal
    Grande Sceriffo della Contea di Somerset e da una numerosa coorte di
    gentiluomini fino ai confini, dove il Grande Sceriffo della Contea
    di Gloucester con un non meno splendido accompagnamento stavasi ad
    aspettarlo. Il Duca di Beaufort corse ad incontrare i cocchi del Re
    e li condusse a Badminton, dove era apparecchiato un banchetto degno
    della rinomata magnificenza della sua casa. Nel pomeriggio, la
    cavalcata procedè fino a Gloucester; e a due miglia dalla città fu
    salutata dal Vescovo e dal clero. A Porta Orientale aspettavala il
    Gonfaloniere recando le chiavi. Le campane sonavano a festa; e le
    fontane versavano vino mentre il Re traversava le vie per andare al
    ricinto che chiude il venerando Duomo. Dormì quella notte nel
    decanato, e la dimane partì per Worcester. Da Worcester andò a
    Ludlow, Shrewsbury, e Chester, e venne in ogni luogo accolto con
    segni di riverenza e di gioia, dimostrazioni ch'egli ebbe la
    debolezza di considerare come prove che il malcontento, provocato
    dagli atti suoi, era ormai cessato, e che egli poteva di leggieri
    riportare piena vittoria. Barillon, il quale era più sagace, scrisse
    a Luigi che il Re d'Inghilterra illudevasi, che il viaggio non aveva
    recato nessun bene positivo, e che quegli stessi gentiluomini delle
    Contee di Worcester e di Shrop i quali avevano creduto loro debito
    accogliere il loro ospite e Sovrano con ogni segno d'onorificenza,
    si troverebbero più disubbidienti che mai quando verrebbe fuori la
    questione intorno all'Atto di Prova(906).
    
    Lungo il viaggio, al regio corteo si congiunsero due cortigiani per
    indole ed opinioni l'uno dall'altro grandemente diversi. Penn
    trovavasi a Chester per un giro pastorale. La popolarità e
    l'autorità ch'egli aveva fra' suoi confratelli erano grandemente
    scemate sino da quando egli s'era fatto strumento del Re e dei
    Gesuiti(907). Ei fu, nondimeno, assai graziosamente accolto da
    Giacomo, e la domenica gli fu concesso di arringare in piazza,
    mentre Cartwright predicava dentro il Duomo, e il Re ascoltava la
    Messa ad un altare appositamente accomodato nel Palazzo della
    Contea. E per vero dire si disse che la Maestà Sua si degnasse di
    recarsi alla ragunanza de' Quacqueri, ed ascoltare con gravità la
    melodiosa eloquenza dell'amico suo(908).
    
    Il furioso Tyrconnel era arrivato da Dublino per rendere conto della
    propria amministrazione. Tutti i più spettabili Inglesi cattolici lo
    guardavano di mal occhio, considerandolo come nemico della loro
    razza e scandalo della religione loro. Ma egli fu cordialmente
    accolto dal suo signore, il quale lo accomiatò dandogli più che mai
    assicurazioni di fiducia e di appoggio. Piacque grandemente a
    Giacomo l'udire che tra breve lo intero Governo d'Irlanda si
    ridurrebbe in mano de' soli Cattolici Romani. Ai coloni inglesi era
    stato già tolto ogni potere politico; null'altro rimaneva che
    privarli delle loro sostanze; oltraggio, ch'era differito finchè si
    fosse a ciò fare assicurata la cooperazione d'un Parlamento
    irlandese(909).
    
    Dalla Contea di Chester il Re si volse verso il mezzogiorno, e
    indubitabilmente credendo che i Convittori del Collegio della
    Maddalena, comunque turbolenti, non ardirebbero disobbedire ad un
    comandamento uscito dalle stesse sue labbra, s'avviò a Oxford.
    Cammino facendo, visitò vari luoghi che peculiarmente lo
    interessavano, come Re, come fratello, e come figlio. Visitò il
    tetto ospitale di Boscobel e gli avanzi della quercia tanto famosa
    nella storia di sua famiglia. Cavalcò al campo d'Edgehill, dove i
    Cavalieri primamente pugnarono coi soldati del Parlamento. Il dì 3
    di settembre, pranzò solennemente nel palazzo di Woodstock, antica e
    rinomata magione, della quale adesso non resta nè anco una pietra,
    ma il cui sito sul prato del parco di Blenheim è indicato da due
    sicomori che sorgono presso al magnifico ponte.
    
    XIV. La sera ei giunse ad Oxford, e vi fu ricevuto co' soliti onori.
    Gli studenti con indosso l'abito accademico erano schierati a
    salutarlo a destra e a sinistra dallo ingresso della città fino alla
    porta maggiore dalla Chiesa-di-Cristo. Prese stanza al decanato,
    dove fra gli altri preparamenti a convenevolmente riceverlo, trovò
    una cappella acconcia alla celebrazione della Messa(910). Il dì
    seguente al suo arrivo i Convittori della Maddalena ebbero ordine di
    appresentarsi a lui. Quando gli furono dinanzi, gli ricevè con
    insolenza maggiore di quella che i Puritani avevano usata ai loro
    antecessori. "Voi non vi siete condotti meco da gentiluomini,"
    esclamò Giacomo. "Voi siete stati male educati e avete mancato al
    proprio dovere." E quelli, cadendo sulle proprie ginocchia, gli
    porgevano una petizione, ch'egli non volle ricevere. "È questa la
    lealtà di cui mena sì gran vanto la vostra Chiesa Anglicana? Non
    avrei mai creduto che tanti chierici della Chiesa d'Inghilterra si
    trovassero immischiati in siffatto negozio. Andate via, andate. Io
    sono il Re, e voglio essere ubbidito. Adunatevi sull'istante nella
    vostra cappella, ed eleggete il Vescovo d'Oxford. Coloro che
    ricuseranno, ci pensino prima. Sentiranno sui loro capi tutto il
    peso della mia mano. Sapranno che importi spiacere al loro Re." I
    Convittori, rimanendo tuttavia inginocchioni, di nuovo porsero la
    petizione. Ma il Re irato, gettandola via, gridò: "Toglietevi dal
    mio cospetto, vi dico; non riceverò nulla da voi, finchè non abbiate
    eletto il Vescovo."
    
    Se ne andarono, e senza un momento d'indugio ragunaronsi nella loro
    cappella. Proposero se si avesse ad obbedire ai comandi del Re.
    Smith era assente. Il solo Charnock dètte il voto affermativo. Gli
    altri Convittori che ivi trovavansi, dichiararono d'essere in ogni
    cosa pronti ad obbedire al Re, ma di non volere violare gli statuti
    e i giuramenti loro.
    
    Il Re, gravemente incollerito e mortificato per la sua sconfitta, si
    partì da Oxford e andò a raggiungere la Regina in Bath. Per la
    ostinazione e violenza sue ei s'era posto in una impacciosa
    situazione. Aveva avuta molta fiducia nello effetto del suo cipiglio
    e delle sue sdegnose parole, ed aveva sull'esito della contesa
    incautamente giocato non il solo credito del suo Governo, ma la sua
    dignità personale. Poteva egli cedere ai suoi sudditi da lui
    minacciati a voce alta e con furiosi gesti? E nondimeno poteva egli
    rischiarsi a destituire in un solo giorno una folla di rispettabili
    ecclesiastici, rei soltanto di avere adempito ciò che la nazione
    intera considerava come debito loro? Forse si sarebbe potuta trovare
    una via ad uscirne da questo dilemma. Forse il collegio si sarebbe
    potuto ridurre alla sommissione per mezzo del terrore, delle
    carezze, della corruzione.
    
    XV. E però si dètte incarico a Penn d'accomodare la faccenda. Egli
    aveva tanto buon senso da non approvare il violento ed ingiusto
    procedere del Governo, e perfino rischiossi ad esprimere in parte il
    proprio intendimento. Giacomo, come sempre, ostinavasi nel torto. Il
    Quacquero cortigiano fece ogni sforzo per sedurre il collegio ad
    uscire dalla diritta via. Parimente provossi ad intimidirlo, dicendo
    il collegio correre a certa rovina; il Re essere grandemente
    corrucciato; il caso potere farsi, come da tutti generalmente
    credevasi, gravissimo; non esservi fanciullo il quale non pensasse
    che Sua Maestà voleva fare a suo modo, e non avrebbe sofferto di
    essere avversata. Per le quali cose Penn esortava i Convittori a non
    confidare nella rettitudine della loro causa, ma a sottomettersi, o
    almeno a temporeggiare. Tali consigli parvero stranissimi sulle
    labbra d'un uomo, il quale era stato espulso dalla Università per
    avere suscitato un tumulto in occasione della cotta da prete, il
    quale aveva corso pericolo d'essere diseredato più presto che far di
    cappello ai principi del sangue, ed era stato più volte messo in
    carcere per avere arringato nelle conventicole. Non gli riuscì di
    intimorire i Convittori della Maddalena. I quali rispondendo ai suoi
    ammonimenti rammentarongli come nella passata generazione
    trentaquattro sopra quaranta Convittori avevano lietamente
    abbandonato i loro diletti chiostri e giardini, la sala, la
    cappella, andando alla ventura senza tetto nè pane, piuttosto che
    violare il giuramento di fedeltà al legittimo Sovrano. Il Re adesso
    volendoli costringere a rompere un altro giuramento, si sarebbe
    accorto che l'antico coraggio non era spento nel Collegio della
    Maddalena.
    
    Allora Penn provò maniere più dolci. Ebbe un colloquio con Hough e
    alcuni de' Convittori, e dopo molte proteste di simpatia ed amicizia
    cominciò ad accennare ad un compromesso. Il Re non patirebbe
    contradizione. Era forza che il collegio cedesse. Parker doveva
    essere eletto. Ma costui era di mal ferma salute; tutti i suoi
    beneficii tra breve diverrebbero vacanti. "Il Dottore Hough" disse
    Penn "potrebbe allora diventare Vescovo d'Oxford. Vi piacerebbe ciò,
    o signori?" Penn aveva spesa la vita a declamare contro un culto
    salariato. Sosteneva d'essere tenuto a ricusare il pagamento della
    decima, e ciò quando aveva comperato terreni soggetti alla decima, e
    gli era stato concesso redimerli pagando un tanto. Secondo i suoi
    stessi principii, egli commetteva un grave peccato adoperandosi ad
    ottenere un beneficio ad onorevolissime condizioni per il più pio
    degli ecclesiastici. Nulladimeno fino a tal segno i suoi costumi
    erano stati corrotti dalle sue cattive relazioni, e il suo
    intendimento s'era intenebrato per intemperante zelo d'una sola
    cosa, ch'ei non si fece scrupolo di diventare mezzano di turpissima
    simonia, e di usare un vescovato come amo a indurre un ecclesiastico
    allo spergiuro. Hough rispose con cortese dispregio non richiedere
    altro dalla Corona che la sola giustizia. "Noi stiamo fermi"
    diss'egli "sui nostri statuti e i giuramenti nostri: ma, anche
    ponendo da parte giuramenti e statuti, sentiamo il debito di
    difendere la nostra religione. I papisti ci hanno rubato il Collegio
    dell'Università, e quello della Chiesa-di-Cristo. Adesso combattono
    a toglierci la Maddalena. Tra breve avranno il resto."
    
    Penn ebbe la stoltezza di rispondere ch'egli in verità credeva
    adesso i papisti sarebbero contenti. "Il Collegio dell'Università è
    molto piacevole. La Chiesa-di-Cristo è un luogo magnifico. La
    Maddalena è un bello edificio; convenevole la posizione; deliziosi i
    viali lungo il fiume. Se i Cattolici Romani sono ragionevoli,
    potrebbero di ciò chiamarsi satisfatti." Questa assurda confessione
    sarebbe sola bastata a rendere impossibile che Hough e i suoi
    confratelli cedessero. Le pratiche furono rotte; e il Re
    affrettossi, siccome aveva minacciato, a far provare ai
    disobbedienti tutto il peso dell'ira sua.
    
    XVI. A Cartwright Vescovo di Chester, a Wright Capo Giudice del
    Banco del Re, e a Sir Tommaso Jenner, uno de' Baroni dello
    Scacchiere, fu data commissione speciale di esercitare potestà di
    ispezione sul collegio. Il dì 20 ottobre giunsero in Oxford scortati
    da tre compagnie di dragoni con le spade sguainate. Il giorno
    susseguente presero i loro seggi nella sala della Maddalena.
    Cartwright pronunciò una orazione piena di sensi di lealtà, che
    pochi anni innanzi sarebbe stata ricolma d'applausi, e che ora,
    invece, fu ascoltata con indignazione. Ne seguì una lunga disputa.
    Il Presidente difese con arte, contegno e coraggio i propri
    diritti(911). Protestò grande rispetto per l'autorità regia; ma
    fermamente sostenne che per virtù delle leggi inglesi era libero
    possessore della casa e delle rendite annesse all'ufficio di
    Presidente; di siffatta proprietà sua ei non poteva essere privato
    da un atto arbitrario del Sovrano. "Vi sottometterete" chiese il
    Vescovo "alla nostra ispezione?" - "Mi ci sottometto" rispose
    destramente Hough "tanto quanto è compatibile con le leggi, e non
    più." - "Volete voi consegnare le chiavi delle vostre stanze?" disse
    Cartwright. Hough rimase tacito. L'altro ripetè la dimanda, e Hough
    rispose con un cortese ma fermo rifiuto. I commissari lo
    dichiararono intruso, e imposero ai Convittori di non più
    riconoscere l'autorità di lui, e di assistere alla istallazione del
    Vescovo d'Oxford. Charnock fu pronto a promettere obbedienza; Smith
    diede una risposta evasiva; ma tutti gli altri membri del collegio
    dichiararono fermamente di riconoscere Hough come loro legittimo
    capo.
    
    XVII. Allora Hough supplicò i Commissari perchè gli dessero licenza
    di dire poche parole. Cortesemente consentirono quelli, perocchè
    speravano ch'egli in grazia dell'indole sua calma e soave
    cominciasse a cedere. "Milordi," disse egli "oggidì voi mi avete
    privato della mia libera proprietà: protesto quindi contro ogni
    vostro atto come illegale, ingiusto e nullo; e me ne appello al Re
    nostro sovrano nelle sue corti di giustizia." Un alto rumore
    d'applauso levossi fra mezzo agli uditori che riempivano la sala. I
    Commissari andarono in sulle furie. Invano fecero ricercare de'
    perturbatori, e volsero la rabbia loro contro il solo Hough. "Non
    crediate di far bravazzate con noi," disse Jenner. - "Io sosterrò
    l'autorità della Maestà Sua" esclamò Wright "finchè avrò fiato in
    corpo. Tutto questo nasce dalla vostra sediziosa protesta. Voi avete
    turbata la pace, e ne renderete ragione dinanzi al Banco del Re.
    V'impongo di presentarvi alla prima sessione sotto pena di mille
    lire sterline. Vedremo se la potestà civile vi possa mettere la
    testa a partito; ed ove ciò non basti, proverete l'autorità
    militare." E veramente Oxford era in tale fermento che i Commissari
    vivevano inquieti. A' soldati fu fatto comandamento di caricare le
    loro carabine. Dicevasi che si fosse spedito a Londra un messo per
    affrettare l'arrivo d'un rinforzo di milizie. Ciò non ostante, non
    seguì alcun disturbo. Il Vescovo d'Oxford fu pacificamente istallato
    per procura: ma soli due membri del collegio erano presenti alla
    cerimonia. Numerosi segni indicavano che lo spirito di resistenza
    s'era sparso anco nella plebe. Il portinaio del collegio gettò via
    le chiavi; il camarlingo ricusò di cancellare dal libro delle spese
    il nome di Hough, e fu tosto cacciato. In tutta la città non fu
    possibile trovare un magnano che forzasse la serratura delle stanze
    del Presidente, e fu d'uopo che gli stessi servitori de'
    Commissari(912) rompessero le porte con barre di ferro. I sermoni
    recitati la susseguente Domenica nella chiesa dell'Università erano
    pieni di considerazioni tali, che Cartwright ne rimase ferito nel
    vivo; ma erano espresse con tal arte, ch'egli non potè mostrare
    ragionevole risentimento.
    
    A questo punto, ove Giacomo non fosse stato affatto accecato, le
    cose si sarebbero potute fermare. I Convittori generalmente non
    erano inchinevoli a spingere più oltre la resistenza. Opinavano che
    ricusando di assistere all'ammissione del Presidente intruso,
    porgerebbero sufficiente prova di rispetto agli statuti e ai
    giuramenti loro, e che, trovandosi egli in possesso dell'ufficio,
    potrebbero equamente riconoscerlo per loro capo, finchè una sentenza
    d'un tribunale competente lo rimovesse. Solo uno de' Convittori,
    voglio dire il Dottore Fairfax, ricusava di cedere. I Commissari
    sarebbero volentieri venuti a cotesti patti; e per poche ore vi fu
    una tregua che molti credevano probabile finisse con un pacifico
    accomodamento: ma tosto ogni cosa andò sossopra. I convittori si
    accòrsero che l'opinione pubblica accusavali di codardia. I
    cittadini già parlavano ironicamente della coscienza de' membri
    della Maddalena, ed affermavano che il coraggioso Hough e l'onesto
    Fairfax erano stati traditi e abbandonati. Anche più molesto
    giungeva loro lo scherno di Obadia Walker e de' suoi confratelli
    rinnegati. In tal guisa dunque, dicevano gli apostati, dovevano
    finire tutti i paroloni con che il Collegio aveva dichiarato di
    difendere ad ogni costo il suo legittimo Presidente, e la sua
    religione protestante! Mentre i Convittori acremente molestati dal
    pubblico biasimo, pentivansi della condizionata sommissione alla
    quale avevano assentito, seppero che il Re non ne era punto
    soddisfatto. Diceva egli non bastare ch'essi fossero pronti a
    riconoscere il Vescovo d'Oxford come Presidente di fatto; era d'uopo
    che distintamente riconoscessero la legalità della Commissione e di
    tutto ciò che essa aveva operato. Era d'uopo che confessassero
    d'avere mancato al debito loro, che si dichiarassero pentiti,
    promettessero di condursi meglio in avvenire, e chiedessero perdono
    alla Maestà Sua prostrandosi ai suoi piedi. I due Convittori, de'
    quali il Re non aveva cagione a dolersi, furono esentati
    dall'obbligo di scendere a tanta umiliazione.
    
    Giacomo - ed è tutto dire - non commise mai un errore più madornale.
    I Convittori già forte pentiti d'avere concesso tanto, e incitati
    dal pubblico biasimo, ardentemente colsero il destro di riacquistare
    la pubblica stima. Dichiararono quindi unanimemente che non
    avrebbero mai chiesto perdono d'avere ragione, o ammesso la legalità
    della ispezione del collegio e della destituzione del loro
    Presidente.
    
    XVIII. Allora il Re, secondo che avea minacciato, fece loro sentire
    tutto il peso della sua mano. Con un solo decreto furono tutti
    dannati ad essere espulsi. E poichè sapevasi che molti nobili e
    gentiluomini, i quali avevano patronato di beneficii, gli avrebbero
    volentieri dati a coloro che tanto soffrivano per le leggi della
    Inghilterra e la religione protestante, l'Alta Commissione dichiarò
    i cacciati Convittori incapaci d'occupare beneficii ecclesiastici; e
    coloro i quali non avevano per anche presi gli ordini sacri,
    incapaci di ricevere il carattere clericale. Giacomo poteva gioire
    pensando d'avere tolto a molti di loro gli agi e le speranze di
    maggiori dignità, e di averli gettati in una disperata indigenza.
    
    Ma tutti questi rigori produssero un effetto onninamente contrario a
    quello ch'egli s'era augurato. Lo spirito inglese, quell'indomito
    spirito che nessun Re della Casa Stuarda potè mai giungere per
    esperienza ad intendere, destossi vigorosissimo contro una tanta
    ingiustizia. Oxford, sede tranquilla delle lettere e della lealtà,
    era in condizioni somiglievoli a quelle in cui trovavasi la città di
    Londra il giorno dopo che Carlo I tentò di porre le mani addosso ai
    cinque rappresentanti della Camera. Il Vice-Cancelliere, invitato a
    pranzo dai Commissari nel dì stesso della espulsione, ricusò
    dicendo: "Il mio gusto è ben differente da quello del Colonnello
    Kirke. Non posso mangiare con appetito accanto ad una forca." Gli
    scolari ricusavano di far di cappello ai nuovi rettori della
    Maddalena. A Smith fu apposto il soprannome di Dottore Birba, e
    venne pubblicamente insultato in un Caffè. Allorchè Charnock ordinò
    ai Demies di fare i loro esercizi accademici dinanzi a lui, quelli
    risposero che essendo privi de' loro legittimi direttori, non
    volevano sottomettersi all'autorità usurpata. Congregavansi da sè e
    per gli studi e per gli uffici divini. A corromperli vennero loro
    offerti lucrosi posti di Convittori che erano per allora stati
    dichiarati vacanti: ma tutti i sottograduati, uno dopo l'altro,
    animosamente risposero le loro coscienze non consentire ch'essi
    traessero profitto(913)  dalla ingiustizia. Un solo giovanetto,
    che venne indotto ad accettare un posto, fu dai colleghi cacciato
    fuori dalla sala. Vari giovani di altri collegi vennero invitati; ma
    ogni prova fu vana. Il più ricco istituto che fosse nel Regno
    sembrava avere perduta ogni attrattiva per gli studenti bisognosi.
    Frattanto, in Londra e per tutto il reame, facevansi collette per
    soccorrere i cacciati Convittori. La Principessa d'Orange, a somma
    soddisfazione di tutti i Protestanti, si firmò per dugento lire
    sterline. E nondimeno il Re persisteva a procedere nell'intrapreso
    cammino. Alla cacciata de' Convittori seguì quella d'una folla di
    Demies. Intanto il nuovo Presidente andava languendo per infermità
    di corpo e d'animo. Aveva fatto un ultimo e debole sforzo a servire
    il Governo pubblicando, mentre il collegio era in aperta ribellione
    contro l'autorità sua, una difesa della Dichiarazione d'Indulgenza,
    o per dir meglio una difesa della dottrina della transustanziazione.
    Questo scritto provocò molte risposte, ed in ispecie una dettata con
    istraordinaria vigoria ed acrimonia da Burnet. Parecchi giorni dopo
    la espulsione dei Demies, Parker morì nella casa stessa, della quale
    egli s'era violentemente impossessato. Si disse che il rimorso e la
    vergogna lo facessero morire di crepacuore. Le sue ossa giacciono
    nella leggiadra cappella del collegio: ma nessun monumento ne indica
    il luogo.
    
    XIX. Allora il Re volle mandare ad esecuzione tutto il suo disegno.
    Il collegio fu trasformato in seminario papale. Bonaventura Giffard,
    vescovo cattolico di Madura, fu nominato Presidente. Nella Cappella
    celebravansi i riti cattolici romani. In un solo giorno dodici
    Cattolici Romani furono ammessi come Convittori. Alcuni abietti
    Protestanti chiesero il convittorato, ma fu loro risposto con aperto
    rifiuto. Smith, realista esagerato, ma tuttavia sincero credente
    nella Chiesa Anglicana, non potè patire di vedere tanta
    trasformazione, e si assentò. Gli fu fatto comandamento di ritornare
    alla sua residenza, e non avendo obbedito, fu espulso anch'egli: e
    in tal guisa l'opera della spoliazione fu compiuta(914).
    
    La natura del sistema accademico dell'Inghilterra è tale che nessuna
    cosa, la quale tocchi seriamente lo interesse e l'onore dell'una o
    dell'altra Università può mancare di produrre grave concitamento in
    tutto il paese. Per la quale cosa ogni colpo che andasse a
    percuotere il Collegio della Maddalena, era sentito fino al più
    remoto angolo del Regno. Ne' caffè di Londra, ne' tribunali, ne'
    recinti di tutte le cattedrali, ne' presbiterii e nelle ville sparse
    per le più remote Contee, gli uomini tutti sentivano commiserazione
    per gli sciagurati e sdegno contro il Governo. La protesta di Hough
    venne in ogni dove applaudita, in ogni dove destava orrore la
    violenza contro il suo domicilio; ed in fine la cacciata de'
    Convittori ruppe que' vincoli, un tempo sì forti e sì cari, che
    congiungevano la Chiesa Anglicana alla Casa Stuarda.
    
    XX. Amari risentimenti e crudeli sospetti da' cuori di tutti
    cacciarono via lo affetto e la fiducia. Non v'era canonico, non
    rettore, non vicario, la cui mente non fosse perturbata dal
    pensiero, che, per quanto la sua indole fosse quieta, ed oscura la
    sua condizione, potesse in pochi mesi essere cacciato dalla propria
    abitazione con un editto arbitrario, e ridursi a mendicare lacero e
    stanco con la moglie e i figliuoli, e vedere occupata da qualche
    apostata quella proprietà che era a lui assicurata da leggi
    d'antichità immemorabile e dalla parola sovrana. Tale era dunque la
    ricompensa di quella eroica lealtà che non venne mai meno fra mezzo
    alle vicende di cinquant'anni procellosi! Egli era per questo che il
    clero aveva sostenuto la spoliazione e la persecuzione nella causa
    di Carlo I! Egli era per questo ch'esso aveva favoreggiato Carlo II,
    nella sua dura contesa coi Whig! Egli era per questo ch'esso si era
    spinto in capo alla pugna contro coloro che studiavansi di privare
    Giacomo del suo diritto ereditario! Alla sola fedeltà del clero, il
    tiranno era debitore di quel potere ch'egli adesso adoperava ad
    opprimerlo e rovinarlo. Il clero da lungo tempo era assuefatto a
    raccontare con acerbe parole tutto ciò che aveva sofferto sotto il
    dominio de' Puritani. Ma i Puritani potevano in alcun modo
    escusarsi. Erano aperti nemici; avevano torti da vendicare; e anche
    rifoggiando la costituzione ecclesiastica del paese e cacciando
    chiunque aveva ricusato di riconoscere la loro Convenzione, non
    erano stati affatto privi di pietà. A colui, al quale avevano tolti
    i beneficii, avevano almeno lasciato tanto da poter sostenere la
    vita. Ma l'odio che il Re sentiva contro la Chiesa, la quale lo
    aveva salvato dallo esilio e posto sul trono, non era tale da
    potersi di leggieri saziare. Null'altro, fuorchè la estrema rovina
    delle sue vittime, l'avrebbe potuto far pago. Non bastava che
    fossero espulsi dalle loro case e spogliati degli averi: furono con
    maligno studio chiusi dinanzi a loro tutti i sentieri della vita ne'
    quali gli uomini della loro professione potessero procacciarsi la
    sussistenza; e nulla rimase loro che il precario ed umiliante mezzo
    d'andare accattando per lo amore di Dio.
    
    Il Clero Anglicano, quindi, e quelli tra' laici, i quali erano
    partigiani dello episcopato protestante, provavano oggimai pel Re
    quei sentimenti che la ingiustizia congiunta alla ingratitudine
    fanno naturalmente nascere e crescere nel cuore umano. Nulladimeno
    il credente nella Chiesa Anglicana doveva vincere non pochi scrupoli
    di coscienza e d'onore innanzi d'indursi a resistere con la forza al
    Governo. Gli era stato insegnato che la obbedienza passiva era
    comandata senza restrizione o eccezione dalle leggi divine: ed era
    dottrina ch'egli professava con ostentazione. Aveva sempre spregiata
    la idea che potrebbe succedere un caso estremo il quale
    giustificasse colui che sguainasse la spada contro la tirannide
    regia. Per lo che i propri principii e la vergogna gl'impedivano
    d'imitare lo esempio delle ribelli Teste-Rotonde, mentre restava
    speranza di pacifico e legittimo rimedio: la quale speranza poteva
    ragionevolmente durare finchè la Principessa d'Orange rimaneva erede
    immediata della Corona. Se ci potesse pazientemente sostenere questa
    dura prova della sua fede, le leggi della natura farebbero per lui
    ciò ch'egli non potrebbe fare da sè senza peccato e senza disonore.
    A' danni della Chiesa verrebbe il rimedio; i beni e la dignità sue
    sarebbero tutelati da nuove guarentigie; ed a quei perversi
    ministri, da' quali ne' dì dell'avversità aveva patito offese ed
    insulti, sarebbe inflitta memorabile pena.
    
    XXI. L'avvenimento che la Chiesa Anglicana considerava in futuro
    come un pacifico ed onorevole fine di tutte le sue perturbazioni,
    era tale che nè anche i membri più scioperati della cabala gesuitica
    potevano pensarvi senza gravi timori. Se il loro signore morendo non
    lasciasse loro altra sicurtà contro le leggi penali se non una
    Dichiarazione che l'opinione pubblica universalmente considerava
    come nulla, se un Parlamento animato dallo stesso spirito che aveva
    predominato nel Parlamento di Carlo II si ragunasse intorno al trono
    d'un sovrano protestante, non era egli probabile che seguisse una
    terribile rappresaglia, che le vecchie leggi contro il papismo
    venissero rigorosamente poste in vigore, e che altre nuove e più
    severe se ne aggiungessero al libro degli Statuti? I malvagi
    consiglieri tormentava da lungo un cupo timore, e parecchi di loro
    meditavano strani e disperati rimedi. Giacomo era appena asceso sul
    trono allorquando cominciò a correre sorda una voce per le sale di
    Whitehall, che, ove la Principessa Anna consentisse a farsi
    cattolica romana, non sarebbe impossibile, col soccorso di Re Luigi,
    trasferire in lei il diritto ereditario che spettava alla maggiore
    sorella. Dalla Legazione Francese tale disegno venne caldamente
    approvato; e Bonrepaux asserì di credere che Giacomo vi avrebbe
    agevolmente consentito(915). Nondimeno e' fu in breve tempo a tutti
    manifesto che Anna irremovibilmente aderiva alla Chiesa Anglicana.
    Il perchè ogni pensiero di farla Regina fu messo da banda.
    Nonostante, una mano di fanatici continuavano ancora a nutrire la
    perversa speranza di giungere a cangiare l'ordine della successione.
    Il piano da essi immaginato fu espresso in uno scritto di cui rimane
    una rozza traduzione francese. Dicevano come era da sperare che il
    Re potesse stabilire la vera religione senza appigliarsi a partiti
    estremi, ma nel peggior caso potrebbe lasciare la sua corona a
    disposizione di Luigi. Era meglio per gl'Inglesi essere vassalli
    della Francia che schiavi del demonio(916). Questo stranissimo
    documento corse tanto per le mani de' gesuiti e de' cortigiani, che
    alcuni insigni Cattolici, ne' quali la bacchettoneria non aveva
    spento lo amore della patria, ne dettero una copia allo Ambasciatore
    Olandese. Costui lo pose nelle mani di Giacomo; il quale grandemente
    agitato lo disse foggiato da qualche articolista in Olanda. Il
    Ministro Olandese risolutamente rispose che poteva provare il
    contrario con la testimonianza di vari cospicui membri della Chiesa
    di Sua Maestà; anzi non gli sarebbe tornato difficile additarne lo
    scrittore, il quale, al postutto, aveva espresso semplicemente ciò
    che molti preti e molti faccendieri politici andavano tuttodì
    dicendo nelle sale del palazzo. Il Re non credè opportuno chiedere
    chi fosse cotesto scrittore, ma lasciando da parte l'accusa di
    falsità, protestò in tono veemente e solenne che non gli era mai
    venuto in capo il minimo pensiero di diseredare la maggiore delle
    sue figliuole. "Nessuno" disse egli "osò giammai accennarmene. Non
    gli avrei mai prestato ascolto: perocchè Dio non ci comanda di
    propagare la vera religione per mezzo dell'ingiustizia; e questa
    sarebbe la più stolta e snaturata ingiustizia." Nonostante siffatte
    proteste, Barillon(917), pochi giorni dopo, scrisse alla sua Corte
    che Giacomo aveva incominciato a porgere ascolto a consigli
    concernenti un cambiamento nell'ordine della successione; che la
    questione, senza alcun dubbio, era delicatissima, ma v'era ragione a
    sperare che col tempo e coll'accortezza si troverebbe una via a
    porre la Corona in capo a qualche Cattolico Romano escludendone le
    due Principesse(918). Per molti mesi tale questione seguitò a
    discutersi da' più arrabbiati e stravaganti papisti cortigiani, i
    quali giunsero per fino a nominare i candidati alla regia
    dignità(919).
    
    XXII. Nulladimeno e' non è probabile che Giacomo intendesse mai
    appigliarsi a così insano partito. Doveva conoscere che la
    Inghilterra non avrebbe nè anche per un solo giorno sopportato il
    giogo d'un usurpatore, il quale per giunta fosse papista, e che ogni
    attentato contro i diritti della Principessa Maria avrebbe provocato
    mortale resistenza, e da parte di tutti coloro che avevano difesa la
    Legge d'Esclusione, e da parte di tutti coloro che l'avevano
    oppugnata. Non v'è nondimeno il minimo dubbio che il Re fosse
    complice in una congiura meno assurda ma non meno ingiustificabile
    contro i diritti delle proprie figliuole. Tyrconnel con
    l'approvazione del suo signore, aveva ordita una trama a separare la
    Irlanda dalla Monarchia Britannica, e porla sotto la protezione di
    Luigi, appena la corona passasse ad un sovrano protestante.
    Bonrepaux, al quale sopra ciò era stato chiesto consiglio, aveva
    comunicato quel disegno alla sua Corte, e gli era stato risposto
    d'assicurare a Tyrconnel che la Francia a compierlo presterebbe ogni
    efficace soccorso(920). Coteste pratiche, delle quali, quantunque
    forse non fossero esattamente conosciute all'Aja, v'era forte
    sospetto, non debbono porsi da canto qualora si voglia equamente
    giudicare della condotta che pochi mesi dopo tenne la Principessa
    d'Orange. Coloro che l'accusano di avere violato il debito filiale,
    è forza che ammettano che il suo fallo era grandemente escusato pei
    torti da lei sofferti. Se per giovare alla propria religione ella
    ruppe i più sacri vincoli del sangue, altro non fece che seguire lo
    esempio del padre. Essa non consentì a rovesciarlo dal trono se non
    quando fu certa ch'egli congiurava a diseredarla.
    
    XXIII. Bonrepaux aveva appena ricevute lettere che gli dicevano come
    Luigi avesse deliberato di aiutare Tyrconnel nella audace
    intrapresa, allorquando fu forza abbandonarne il pensiero. Nel cuore
    di Giacomo era già sceso il primo raggio d'una speranza di
    consolazione e diletto. La Regina era incinta.
    
    Innanzi la fine d'ottobre 1687, la nuova cominciò a bisbigliarsi. E'
    fu notato come la Regina non fosse intervenuta a qualche pubblica
    cerimonia, dicendo di non sentirsi bene in salute. E' fu detto che
    portava sempre addosso molte reliquie alle quali ascrivevasi virtù
    straordinaria. In breve la novella dalla reggia passò ai caffè della
    Metropoli e si sparse per tutto il paese. Pochi ne accolsero con
    gioia lo annunzio. Quasi tutta la nazione l'udì con un sentimento
    misto di timore e di scherno. Certo non v'era nulla di strano nella
    cosa. Il Re aveva pur allora compiuto il cinquantesimoquarto degli
    anni suoi. La Regina era nel meriggio della vita. Aveva già
    concepiti quattro figliuoli ch'erano morti; e lungo tempo dopo
    sgravossi d'un altro bambino allorchè nessuno più aveva interesse a
    crederlo supposto, e che perciò non fu mai reputato tale. Nondimeno
    essendo corsi cinque anni dalla sua ultima gravidanza, la gente,
    governata dallo inganno che agli uomini rende credibile ciò ch'essi
    desiano, aveva cessato di temere ch'ella darebbe un erede al trono.
    Dall'altra parte, nulla sembrava più naturale e probabile che una
    pia frode immaginata dai Gesuiti. Era certo ch'essi dovevano
    considerare lo scettro nelle mani della Principessa d'Orange come
    una delle maggiori calamità che potessero accadere alla Chiesa. Era
    medesimamente certo ch'essi non avrebbero avuto scrupolo alcuno a
    fare ogni cosa necessaria a salvare la Chiesa loro da una grave
    calamità. In parecchi libri, scritti da ingegni eminenti della
    Compagnia e stampati con licenza de' superiori, insegnavasi
    distintamente che mezzi più contrari alle idee della giustizia e
    della umanità che non fosse quello d'introdurre un erede spurio in
    una famiglia, potevano legittimamente adoperarsi per fini meno
    importanti che non fosse la conversione d'un Regno eretico. S'era
    sparsa la voce che alcuni de' regi consiglieri, e perfino il Re
    stesso, cospirassero a fraudare la Principessa Maria, in tutto o in
    parte, del suo legittimo retaggio. Nacque quindi nel popolo un
    sospetto, a dir vero non bene fondato, ma in nessuna maniera così
    assurdo come comunemente si suppone. La stoltezza di alcuni
    Cattolici Romani confermava il pregiudicio del volgo. Ragionavano
    del lieto evento come di cosa strana e miracolosa, come di opera di
    quello stesso Potere Divino che aveva reso Sara felice ed orgogliosa
    d'Isacco, ed aveva concesso Samuele alle preci di Anna. Era di
    recente morta la Duchessa di Modena madre di Maria. Dicevasi che
    poco tempo innanzi di morire ella supplicasse la Vergine di Loreto
    con fervidi voti e ricche offerte, a dare un figlio a Giacomo. Lo
    stesso Re nello antecedente agosto deviò dallo intrapreso viaggio
    per visitare il Pozzo Santo, dove aveva pregato San Venifredo a fine
    d'ottenere quel dono, senza il quale il suo gran disegno di
    propagare la vera fede sarebbe rimasto incompiuto. Gl'imprudenti
    zelatori che armeggiavano con siffatte novelle, predicevano con
    sicurezza che la creatura non ancor nata sarebbe un maschio, ed
    erano pronti a scommettere venti ghinee contro una. Affermavano che
    il cielo non ci si sarebbe intromesso senza un gran fine. Un certo
    fanatico annunciò che la Regina partorirebbe due gemelli, il
    maggiore de' quali sarebbe Re d'Inghilterra, il minore Pontefice di
    Roma. Maria non seppe nascondere il diletto con che udì tale
    vaticinio, e le sue cameriste si accòrsero che parlandogliene le
    recavano grandissima consolazione. I Cattolici Romani avrebbero
    fatto assai meglio se avessero favellato della gravidanza come di
    cosa naturale, e se si fossero mostrati temperanti nella loro
    inattesa ventura. Il loro insolente tripudio destò la pubblica
    indignazione. Dal Principe e dalla Principessa di Danimarca fino ai
    vetturini e alle pettegole niuno alludeva senza dileggio allo
    aspettato parto. I belli spiriti di Londra descrissero il nuovo
    miracolo in versi, i quali, come può bene supporsi, non erano troppo
    delicati. I rozzi scudieri delle campagne davano in uno scoppio di
    riso qualvolta s'imbattevano in qualche persona semplice tanto da
    credere che la Regina dovesse positivamente di nuovo esser madre.
    Comparve un proclama del Re che ordinava al clero di leggere una
    formula di preghiera e rendimento di grazie, la quale era stata
    composta per cotesto lieto evento da Crewe e da Sprat. Il clero
    obbedì: ma fu notato che le congregazioni non rispondevano nè
    facevano segni di riverenza. Poco dopo in tutte le botteghe da caffè
    andò in giro una satira brutale contro i prelati cortigiani che
    avevano venduta la propria penna a Giacomo. Alla madre East toccò
    ancora buona parte d'ingiurie. Con quel volgare monosillabo i nostri
    antenati avevano degradato il nome della grande Casa d'Este, che
    regnava in Modena(921).  La nuova speranza che sollevò l'animo
    del Re, sorgeva commista a non pochi timori. Qualche cosa di più che
    non fosse il nascimento di un principe di Galles, era necessaria al
    complemento de' disegni del partito gesuitico. Non era molto
    verosimile che Giacomo vivesse fino a tanto che il suo figliuolo
    fosse in età da esercitare la potestà regia. La legge non provvedeva
    al caso d'un sovrano minorenne. Il regnante principe non era
    competente a fare per testamento gli opportuni provvedimenti. Il
    solo corpo legislativo poteva supplire a tale difetto. Se Giacomo,
    innanzi che si fosse ciò fatto, morisse lasciando un successore di
    tenera età, il potere sovrano indubitabilmente andrebbe nelle mani
    de' Protestanti. Que' Tory, i quali aderivano fermamente alla
    dottrina, che nulla poteva giustificarli a resistere al loro signore
    sovrano, non patirebbero scrupoli a snudare la spada contro una
    donna papista che osasse usurpare la tutela del reame e del Re
    fanciullo. L'esito della contesa non era da porsi in dubbio. Il
    Principe d'Orange o la sua moglie sarebbe Reggente. Il giovane Re
    verrebbe posto nelle mani di istitutori eretici, le cui arti
    potrebbero speditamente cancellare dalla sua mente le impressioni
    ricevute nella prima fanciullezza. Egli sarebbe forse un altro
    Eduardo VI; e la grazia, ottenuta da Dio ad intercessione della
    Vergine Madre e di San Venifredo, diventerebbe una sciagura(922).
    Questo era un pericolo al quale nulla, tranne un Atto del
    Parlamento, poteva provvedere; ed ottenere tale Atto non era facile.
    
    XXIV. Ogni cosa pareva indicare che ove le Camere venissero
    convocate, si ragunerebbero in Westminster animate dallo spirito del
    1640. L'esito delle elezioni delle Contee mal poteva porsi in
    dubbio. Tutti i liberi possidenti, grandi e piccoli, chierici e
    laici, erano forte esasperati contro il Governo. Nella maggior parte
    di quelle città, dove il diritto di votare dipendeva dal pagare le
    imposte o dall'occupare certe possessioni, nessun candidato della
    corte ardirebbe mostrare il viso. Moltissimi de' membri della Camera
    dei Comuni erano eletti dalle corporazioni municipali, le quali
    erano state dianzi riordinate con lo scopo di distruggere la
    influenza dei Whig e dei Dissenzienti. Più di cento collegi
    elettorali erano stati spogliati del loro privilegio da tribunali
    devoti alla Corona, o erano stati persuasi a rinunziarlo
    volontariamente per evitare di esservi costretti. Ogni Gonfaloniere,
    ogni Aldermanno, ogni cancelliere comunitativo da Berwick a Helstone
    era Tory e credente nella Chiesa Anglicana: ma i Tory e gli
    Anglicani adesso più non erano devoti al Sovrano. I nuovi municipi
    erano più intrattabili degli antichi, e senza dubbio eleggerebbero
    rappresentanti, il cui primo Atto sarebbe quello di incriminare
    tutti i papisti del Consiglio Privato e tutti i componenti l'Alta
    Commissione.
    
    Nella Camera de' Lordi lo aspetto non era meno minaccioso che in
    quella de' Comuni. Egli era certo che la immensa maggioranza de'
    Pari secolari avverserebbe le proposte del Re: e fra tutti i
    vescovi, che sette anni innanzi erano stati unanimi a difenderlo
    contro coloro i quali sforzavansi di privarlo del suo diritto
    ereditario, egli poteva sperare aiuto solo da quattro o cinque
    adulatori, spregiati da' loro colleghi e da tuttaquanta la
    nazione(923).
    
    A quanti non erano accecati dalla passione, coteste difficoltà
    parevano insuperabili. I meno scrupolosi schiavi del Potere
    mostravano segni d'inquietudine. Dryden diceva sotto voce che il Re
    provandosi d'acconciare le cose, le rendeva più triste, e così
    dicendo sospirava gli aurei giorni dello spensierato e buon
    Carlo(924). Perfino Jeffreys tentennava. Fintanto che rimase povero,
    mostrossi in tutto e per tutto pronto ad affrontare l'odio pubblico
    per amore di guadagno. Ma adesso, per mezzo della corruzione e delle
    estorsioni, aveva accumulate grandi ricchezze; e desiderava
    conservarle più presto che accrescerle. Il Re aspramente lo
    rimproverò di lentezza. Temendo che gli venisse tolto il Gran
    Sigillo, promise tutto ciò che gli fu chiesto: ma Barillon,
    scrivendo la cosa a Luigi, notò che il Re d'Inghilterra poteva avere
    poca fiducia in chiunque avesse qualche cosa da perdere(925).
    
    XXV. Ciò non ostante, Giacomo deliberò di andare innanzi. La
    sanzione del Parlamento era necessaria al suo sistema; ed era
    manifestamente impossibile ottenerla da un libero e legittimo
    Parlamento: ma non sarebbe stato affatto impossibile, per mezzo
    della corruzione, delle minacce, dello arbitrio regio, dello
    stiracchiamento della legge, mettere insieme un'assemblea che si
    chiamasse Parlamento e registrasse vogliosamente ogni qualunque
    editto del Sovrano. Dovevansi nominare tali relatori elettorali che
    si giovassero del minimo pretesto a dichiarare debitamente eletti i
    rappresentanti favorevoli al Re. Dovevasi far sapere ad ogni
    impiegato, dal massimo all'infimo, che ove egli desiderasse di
    ritenere l'ufficio era mestieri, in questa faccenda, mettere il voto
    agli ordini del Governo. Intanto l'Alta Commissione terrebbe gli
    occhi sul clero. I borghi, i quali erano già stati riformati per
    servire ad un altro scopo, lo sarebbero di nuovo per servire a
    questo. Il Re sperava con tali mezzi ottenere la maggioranza nella
    Camera de' Comuni; e avuta questa, torrebbe a quella de' Lordi ogni
    arma da nuocere. A lui incontrastabilmente la legge dava la potestà
    di creare Pari senza limite alcuno; e adesso era risoluto
    d'adoperarla. Non desiderava, e certo nessun sovrano potrebbe mai
    desiderarlo, di rendere spregevole la più alta dignità che la Corona
    possa concedere. Sperava che chiamando alcuni eredi presuntivi
    all'assemblea nella quale col tempo dovevano sedere, e conferendo
    titoli inglesi ad alcuni Lordi di Scozia e d'Irlanda, potrebbe
    assicurarsi la desiderata maggioranza senza nobilitare uomini nuovi
    in tanto numero da rendere ridicoli la coronetta e lo ermellino,
    voglio dire i nomi di Duca e di Conte. Ma in caso di necessità non
    v'era eccesso a cui egli non fosse pronto a trascorrere. Allorchè
    fra mezzo una numerosa brigata taluno disse che i Pari sarebbero
    intrattabili, "Stolto che siete," esclamò Sunderland rivolto a
    Churchill, "le vostre compagnie di Guardie saranno tutte inalzate
    alla dignità di Pari(926)."
    
    Deliberato dunque di adulterare il Parlamento, Giacomo si pose con
    metodo ed energia all'ardua opera. Comparve nella Gazzetta un
    proclama ad annunziare come il Re volesse riesaminare le Commissioni
    di Pace e di Luogotenenza, e ritenere ne' pubblici uffici solo que'
    gentiluomini che fossero pronti a sostenere la sua politica(927). Un
    comitato di sette consiglieri sedeva in Whitehall onde regolare -
    era questo il vocabolo - le corporazioni municipali. In quel
    comitato il solo Jeffreys rappresentava gl'interessi del
    protestantismo; e il solo Powis i Cattolici moderati: tutti gli
    altri membri appartenevano alla fazione gesuitica. Fra essi era
    Petre, il quale aveva pur allora prestato giuramento di Consigliere
    Privato. Finchè egli non prese seggio al Banco, la dignità ricevuta
    era stata un segreto per ciascuno, fuori che per Sunderland. A
    questa nuova violazione della legge il pubblico sdegno scoppiò in
    violenti clamori; e fu notato che i Cattolici Romani ne sparlavano
    più de' Protestanti. Il vano ed ambizioso Gesuita ebbe adesso lo
    incarico di disfare e rifare mezzi i collegi elettorali del Regno.
    Sotto la direzione del Comitato de' Consiglieri Privati fu istituito
    un Sotto-Comitato composto di faccendieri di grado più basso, ai
    quali erano affidate le minuzie dell'impresa. I Sotto-Comitati
    locali in tutto il paese comunicavano col seggio centrale in
    Westminster(928).  XXVI. Coloro dai quali Giacomo precipuamente
    sperava aiuto in cotesta nuova ed ardua intrapresa, erano i Lordi
    Luogotenenti. A ciascuno di costoro furono mandati ordini in
    iscritto perchè immediatamente si recasse nella propria Contea.
    Quivi doveva chiamare dinanzi a sè tutti i Giudici di Pace, e far
    loro parecchie domande congegnate in modo da chiarire come essi si
    condurrebbero in una generale elezione. Doveva fedelmente notare le
    loro risposte e trasmetterle al Governo. Doveva presentare una lista
    di Cattolici Romani e di Dissenzienti che avessero più requisiti per
    occupare gli uffici civili e militari. Doveva inoltre indagare le
    condizioni de' borghi nella sua Contea, e riferire tutto ciò che
    fosse necessario a guidare le operazioni dell'Ufficio de'
    Regolatori. Gli fu ingiunto di eseguire cotesti ordini da sè, e
    inibito di delegare qualunque altra persona(929).
    
    XXVII. Il primo effetto che tali ordini produssero avrebbe tosto
    fatto rinsavire un principe meno ebbro di Giacomo. Metà de' Lordi
    Luogotenenti d'Inghilterra perentoriamente ricusarono di prestarsi
    all'odioso servigio che da essi voleva il Governo; e furono
    incontanente destituiti. Tutti coloro sopra i quali piombò questa
    gloriosa sciagura, erano Pari di gran conto e fino allora
    considerati come strenui propugnatori della monarchia. È pregio
    dell'opera che di taluni sia fatto peculiare ricordo.
    
    Il più nobile suddito inglese, e per vero, secondo che gl'Inglesi
    solevano dire, il più nobile suddito che fosse in Europa, era Aubrey
    De Vere, ventesimo ed ultimo degli antichi Conti d'Oxford. Derivava
    il suo titolo, per una non interrotta linea mascolina, da un tempo
    in cui le famiglie di Howard e di Seymour erano ancora nella
    oscurità, quando i Neville e i Percy avevano solo rinomanza
    provinciale, e quando il gran nome di Plantageneto non s'era per
    anche udito in Inghilterra. Uno dei capi della famiglia De Vere era
    rivestito d'alto comando in Hastings: un altro aveva marciato con
    Goffredo e Tancredi sopra cumuli di teste musulmane al Sepolcro di
    Cristo. Il primo Conte d'Oxford era stato ministro ad Enrico
    Beauclerc. Il terzo Conte si era reso notevole fra' Lordi, i quali
    strapparono la Magna Charta a Giovanni. Il settimo Conte aveva
    strenuamente pugnato a Cressy e Pointiers(930). Il decimoterzo Conte
    tra mezzo a molte vicende di fortuna era stato capo del partito
    della Rosa Rossa, ed aveva capitanato il vanguardo nella battaglia
    campale di Bosworth. Il decimosettimo Conte nella Corte d'Elisabetta
    s'era acquistato onorato seggio fra i vetusti poeti inglesi. Il
    decimonono Conte era caduto combattendo per la Religione Protestante
    e per la libertà della Europa sotto le mura di Maastricht(931). Il
    suo figlio Aubrey, nel quale si estinse la più lunga e più illustre
    discendenza de' Nobili inglesi, uomo di morale dissoluta, ma
    d'indole inoffensiva e di maniere cortigianesche, era Lord
    Luogotenente d'Essex, e Colonnello degli Azzurri. Non era di
    carattere fazioso, e per interesse propendeva ad evitare ogni
    rottura con la Corte; perocchè il suo patrimonio era impacciato; e
    il suo comando militare, lucroso. Fu chiamato alle stanze del Re, il
    quale gli chiese quale fosse il suo intendimento. "Sire," rispose
    Oxford "verserò per la Maestà Vostra contro tutti i suoi nemici fino
    l'ultima stilla del mio sangue. Ma in cotesto affare ne va la
    coscienza, e non posso obbedire." Gli furono in sull'istante tolti
    il reggimento e la luogotenenza(932).
    
    XXVIII. Inferiore per antichità e splendore alla casa De Vere, ma ad
    essa sola, era quella di Talbot. Dal regno di Eduardo III in poi, i
    Talbot avevano sempre seduto fra' Pari del Regno. La Contea di
    Shrewsbury era stata, nel secolo decimoquinto, concessa a Giovanni
    Talbot, lo antagonista della Pulcella d'Orleans. I suoi concittadini
    lo avevano lungo tempo ricordato con riverenza ed affetto quale uno
    de' più illustri fra quei guerrieri, che s'erano sforzati a fondare
    un grande impero inglese nel Continente d'Europa. Lo indomito
    coraggio, di cui egli fece prova fra mezzo ai disastri, aveva per
    lui destato uno interesse maggiore di quello che avevano ispirato
    capitani più fortunati; e la sua morte aveva apprestato al nostro
    antico teatro una commoventissima scena. I suoi posteri, per dugento
    anni, goderono de' più grandi onori. Capo della famiglia a tempo
    della Restaurazione era Francesco, undecimo Conte, e Cattolico
    Romano. La sua morte era stata accompagnata da vicissitudini, che
    anche in que' licenziosi tempi che seguirono alla caduta della
    tirannide dei Puritani, avevano in tutti destato orrore e pietà. Il
    Duca di Buckingham nel corso de' suoi scandalosi amori s'invaghì per
    un istante della Contessa di Shrewsbury. Ella agevolmente gli si
    arrese. Il marito sfidò il drudo, e cadde morto. Taluni affermarono
    che l'abbandonata donna, travestita da uomo, si stette a vedere il
    duello, ed altri che essa strinse al seno il vittorioso amante
    ancora lordo del sangue del suo marito. Le dignità dell'ucciso
    passarono al suo figliuolo, ancora infante, che aveva nome Carlo.
    Giunto l'orfanello alla virilità, tutti confessavano che fra'
    giovani Nobili dell'Inghilterra a nessuno, quanto a lui, la natura
    era stata prodiga de' suoi doni. Aveva prestante la persona,
    singolarmente dolce l'indole, tanto alto lo ingegno, che ove gli
    fosse toccato di nascere in umile condizione, si sarebbe potuto
    inalzare alle maggiori dignità civili. Tante squisite doti egli
    aveva siffattamente perfezionate, che innanzi che uscisse di
    minorità, era reputato uno de' più egregi gentiluomini e sapienti
    de' tempi suoi. Della sua dottrina porgono testimonio libri d'ogni
    genere, che tuttora esistono, postillati di sua mano. Parlava il
    francese al pari d'un ciamberlano della Corte di Re Luigi, e
    l'italiano come un cittadino di Firenze. Era impossibile che un
    tanto giovane non desiderasse sapere le ragioni per cui la sua
    famiglia aveva ricusato di uniformarsi alla religione dello Stato.
    Studiò con somma cura le dottrine controverse, sottopose i suoi
    dubbi ad alcuni sacerdoti della sua propria religione, pose le loro
    risposte sotto gli occhi di Tillotson, ponderò lungamente e con
    attenzione gli argomenti prodotti da ambe le parti, e dopo due anni
    d'esame si fece Protestante. La Chiesa Anglicana accolse con gioia
    lo illustre convertito. Egli godeva grande popolarità, la quale
    divenne maggiore dopo che si seppe come il Re avesse indarno
    adoperate sollecitazioni e promesse a farlo ritornare alla abiurata
    superstizione. Nondimeno il carattere del giovine Conte non si
    esplicò in modo affatto soddisfacente a coloro che avevano
    principalmente cooperato a convertirlo. I suoi costumi non
    ischivarono il contagio del libertinismo comune alle classi elevate.
    E veramente la scossa, che aveva distrutti i suoi pregiudizi, aveva
    nel tempo stesso rese fluttuanti le sue opinioni lasciandolo in
    piena balía al proprio sentire. Ma comecchè i suoi principii
    difettassero di fermezza, i suoi impulsi erano così generosi, la sua
    indole sì blanda, i suoi modi cotanto graziosi e semplici, che
    tornava impossibile non amarlo. Lo chiamarono tosto il Re de' Cuori,
    e per tutto il corso d'una lunga, fortunosa ed agitatissima vita,
    non demeritò mai tal nome(933).
    
    Shrewsbury era Lord Luogotenente della Contea di Stafford e
    colonnello d'uno de' reggimenti di cavalleria fatti in occasione
    della insurrezione delle Contrade Occidentali, e perchè ricusò di
    ubbidire alle voglie de' Regolatori, fu privato di entrambi gli
    uffici.
    
    XXIX. Nessuno de' Nobili inglesi aveva reputazione nel pubblico al
    pari di Carlo Sackville Conte di Dorset. E davvero egli era insigne
    uomo. In gioventù era stato uno de' più famosi libertini de'
    licenziosi tempi della Restaurazione. Era stato il terrore delle
    guardie di Città, aveva passate molte notti nel corpo di guardia, e
    infine fu rinchiuso nella prigione di Newgate. La sua passione per
    Bettina Morrice, e per Norina Gwynn, che lo chiamava il suo Carlo I,
    aveva apprestato non poca materia di sollazzo e di scandalo alla
    città(934). Nondimeno fra mezzo alle follie e ai vizi, ciascuno
    riconosceva il suo coraggio, il suo squisito intendimento, e la
    natia bontà del suo cuore. Dicevano che gli eccessi, ai quali s'era
    abbandonato, fossero a lui comuni con tutta la classe de' gaii
    giovani Cavalieri; ma la sua pietà pel dolore altrui e la generosità
    con che egli espiava i suoi torti, erano qualità tutte sue. I
    colleghi maravigliavansi della distinzione che il pubblico faceva
    tra lui ed essi. "Qualunque cosa egli faccia," diceva Wilmot "non ha
    mai torto." L'opinione del mondo divenne più favorevole a Dorset
    quando il fuoco dell'anima sua fu temperato dagli anni e dal
    matrimonio. Le sue graziose maniere, il suo gaio conversare, la
    dolcezza del suo cuore, la generosità della sua mano, universalmente
    lodavansi. Dicevasi non vi fosse giorno in cui qualche sventurata
    famiglia non avesse cagione a benedire il nome di lui. E
    nulladimeno, con tutta la sua buona indole, erano tali le punture
    de' suoi sarcasmi, che coloro i quali erano da tutta la città temuti
    pel loro spirito satirico, temevano forte la lingua di Dorset. Tutti
    i partiti politici lo stimavano e carezzavano: ma la politica non
    gli andava molto a sangue. S'egli dalla necessità avesse avuto
    incitamento a cercare ventura, probabilmente si sarebbe inalzato ai
    più alti uffici pubblici; ma la sua schiatta era sì illustre e la
    sua opulenza sì vasta, che mancavano a lui gli sproni più potenti
    che stimolano gli uomini a gettarsi ne' pubblici affari. La parte
    che egli ebbe nel Parlamento e nella Diplomazia basta a dimostrare
    che a lui null'altro mancava che la inclinazione per gareggiare con
    Danby e con Sunderland: ma ei si volse a studi che maggiormente gli
    talentavano. Al pari di molti, i quali, forniti di doti naturali,
    sono per indole ed abitudine indolenti, divenne buontempone(935),
    voluttuoso, e maestro in quelle dilettevoli conoscenze che si
    acquistano senza severa applicazione. Era universalmente tenuto pel
    miglior giudice che fosse nella Corte in materia di pittura,
    scultura, architettura e teatri. Nelle questioni di lettere amene i
    suoi giudizi erano considerati in tutti i Caffè come inappellabili.
    Varie egregie produzioni drammatiche, che non erano state applaudite
    alla prima rappresentazione, si sostennero col solo soccorso della
    autorità di lui contro i clamori della platea, e si avventurarono
    con prospero esito ad una seconda prova. La squisitezza del suo
    gusto nella letteratura francese ebbe le lodi di Saint-Evremond e di
    La Fontaine. La Inghilterra non aveva mai avuto un uguale protettore
    delle lettere. La sua bontà estendevasi con pari giudizio e
    liberalità a tutti, senza riguardo di sètte o di fazioni.
    Gl'ingegni, l'uno all'altro avversi per gelosia letteraria o per
    diversità d'opinioni politiche, concordavano a riconoscere la sua
    imparziale cortesia. Dryden confessava d'essere stato salvato dalla
    rovina per la principesca generosità di Dorset. E nel tempo medesimo
    Montague e Prior, che avevano scritto pungenti satire contro Dryden,
    furono posti da Dorset nella vita pubblica; e la migliore commedia
    di Shadwell, mortale nemico di Dryden, fu scritta in una villa di
    Dorset. Il magnifico Conte, ove ne avesse avuta voglia, avrebbe
    potuto rivaleggiare con coloro ai quali contentavasi d'essere
    benefattore; imperciocchè i versi ch'egli alcuna volta compose, per
    quanto non fossero studiati, rivelano un ingegno, il quale,
    assiduamente coltivato, avrebbe prodotto qualche cosa di grande. Nel
    volumetto delle sue opere si trovano canzoni che hanno la spontanea
    vigoria di Suckling, e satire nelle quali scintilla lo arguto
    spirito di Butler(936).
    
    Dorset era Lord Luogotenente di Sussex, e sopra Sussex i Regolatori
    tenevano con ansietà fitti gli occhi: imperocchè in nessuna altra
    Contea, tranne Cornwall e Wiltshire, era sì gran numero di piccoli
    borghi. Gli fu ingiunto di recarsi al suo posto. Niuno di coloro che
    lo conoscevano aspettavasi ch'egli obbedisse. Rispose come
    conveniva, e gli fu annunciato non esservi più mestieri de' suoi
    servigi. Si accrebbe lo interesse che ispiravano le sue nobili ed
    amabili qualità, poichè si seppe ch'egli aveva ricevuto per la posta
    una lettera cieca, in cui si diceva che, ove egli non si prestasse
    prontamente ai desiderii del Re, tutto il suo ingegno e la sua
    popolarità non lo avrebbero salvato dallo assassinio. Simile
    ammonimento era stato mandato a Shrewsbury. Le lettere di minaccia
    erano allora più rare di quello che divennero poi. Non è quindi
    strano che il popolo esasperato inchinasse a credere che i migliori
    e più nobili uomini d'Inghilterra dovevano veramente essere vittime
    de' pugnali papisti(937). Appunto quando coteste lettere formavano
    il chiacchiericcio di tutta Londra, trovossi in sulla via mutilato
    il cadavere d'un cospicuo Puritano. Tosto si conobbe che il braccio
    dello assassino non era stato mosso da cagione religiosa o politica.
    Ma i primi sospetti della plebe caddero sopra i papisti. Lo sbranato
    corpo fu portato in processione alla casa de' Gesuiti nel Savoy; e
    per poche ore il terrore e la rabbia del popolaccio non furono meno
    violenti che nel giorno in cui l'assassinato Godfrey fu portato alla
    sepoltura(938).
    
    Le altre destituzioni vanno con maggior brevità riferite. Il Duca di
    Somerset, al quale pochi mesi prima era stato tolto il comando del
    reggimento, adesso fu privato della luogotenenza di East-Riding
    nella Contea di York. Il North-Riding fu tolto al Visconte
    Fauconberg, il Shropshire al Visconte Newport, e la Contea di
    Lancastro al Conte di Derby, nipote dello strenuo cavaliere, che
    animosamente era corso incontro alla morte per difendere la Casa
    Stuarda. Il Conte di Pembroke, il quale di recente aveva con fedeltà
    e coraggio difesa la Corona contro Monmouth, fu destituito nel
    Wiltshire, il Conte di Rutland nella Contea di Leicester, il Conte
    di Bridgewater in quella di Buckingham, il Conte di Thanet in
    Cumberland, il Conte di Northampton nella Contea di Warwick, il
    Conte d'Abingdon in quella di Oxford, e in quella di Derby il Conte
    di Scarsdale. Questi fu anche destituito dall'ufficio di colonnello
    di cavalleria, e da un altro ufficio nella casa della Principessa di
    Danimarca. Essa lottò per mantenerlo al suo servizio, e cedette solo
    ad un comando perentorio del padre. Il Conte di Gainsborough fu
    cacciato non solo dalla luogotenenza di Hampshire, ma anche dal
    governo di Portsmouth e dalla ispezione di New-Forest, due posti che
    egli pochi mesi prima aveva comperati per cinquemila lire
    sterline(939).
    
    Il Re non potè trovare nessuno de' grandi Lordi, e, per dir vero,
    de' Lordi Protestanti di nessuna specie, i quali volessero accettare
    gli uffici vacanti. E gli fu mestieri assegnare due Contee a
    Jeffreys, uomo nuovo che possedeva pochi beni territoriali, e due a
    Preston, il quale non era nè anche Pari Inglese. Le altre Contee le
    quali rimasero senza governatori, furono affidate ad alcuni ben noti
    Cattolici, o a cortigiani che avevano secretamente promesso a
    Giacomo di dichiararsi cattolici appena lo potessero prudentemente
    fare.
    
    XXX. Alla perfine la nuova macchina fu messa in azione; e tosto da
    ogni parte del Regno arrivarono nuove che non era punto riuscita. Il
    catechismo, a norma del quale i Lordi Luogotenenti dovevano saggiare
    le opinioni de' gentiluomini delle campagne, comprendeva tre
    questioni. Dovevasi chiedere ad ogni magistrato, e ad ogni
    luogotenente deputato, primo, se nel caso ch'egli venisse eletto
    rappresentante al Parlamento, voterebbe a favore d'una proposta
    formata secondo i principii della Dichiarazione d'Indulgenza;
    secondo, se, come elettore, sosterrebbe i candidati impegnati a
    votare a favore di quella proposta; terzo, se, come uomo privato
    seconderebbe i benevoli disegni del Re vivendo in pace con gli
    uomini di qualunque religione si fossero(940).
    
    XXXI. Appena furono spedite le domande, una formula di risposta,
    congegnata con ammirevole arte, fu mandata in giro per tutto il
    Reame, e venne generalmente adottata; ed era del seguente tenore:
    "Come membro della Camera de' Comuni, ove avessi l'onore di esserlo,
    sarà mio debito ponderare con gran cura tutte le ragioni che nella
    discussione si adducessero pro e contro una legge d'Indulgenza, e
    quindi voterò secondo la convinzione della mia coscienza. Come
    elettore, sosterrò que' candidati le cui opinioni intorno ai doveri
    di rappresentante concorderanno con le mie. Come uomo privato,
    desidero vivere in pace ed affetto con ciascuno." Questa risposta
    più provocante d'un diretto rifiuto, come quella che olezzava un
    poco di sì castigata e decorosa ironia da non destare risentimento,
    fu tutto ciò che gli emissari della Corte poterono ricavare dalle
    labbra di quasi tutti i gentiluomini delle campagne. Ragioni,
    promesse, minacce, tutto fu vano. Il Duca di Norfolk, comecchè fosse
    Protestante e non approvasse il procedere del Governo, aveva
    acconsentito a servirlo da agente in due Contee. Prima andò in
    Surrey dove s'accòrse di non potere far nulla(941). Poi passò a
    Norfolk, e tornò indietro per annunziare al Re che di settanta
    notevoli gentiluomini che erano in ufficio in quella grande
    provincia, solo sei porgevano speranza che sosterrebbero la politica
    della Corte(942). Il Duca di Bedford, la cui autorità estendevasi
    sopra quattro Contee inglesi e sopra tutto il Principato di Galles,
    ritornò a Whitehall con nuove non meno scoraggianti(943). Rochester
    era Lord Luogotenente della Contea di Hertford. Aveva consumato
    tutto quel poco di virtù che egli aveva in cuore lottando contro la
    tentazione di vendere la propria fede religiosa. Lo vincolava
    tuttavia alla Corte un'annua pensione di quattromila lire sterline;
    e in ricambio era pronto a rendere al Governo qualunque servigio,
    comunque illegale e disonorevole, purchè non si volesse da lui una
    formale riconciliazione con Roma. Aveva volentieri accettato lo
    incarico di corrompere la sua Contea; e lo eseguì, secondo era suo
    costume, con indiscreto ardore e violenza. Ma la sua collera non
    produsse alcuno effetto negli animi inflessibili degli scudieri ai
    quali ei s'era rivolto. Ad una voce gli dissero di non volere
    mandare al Parlamento un uomo, il quale fosse disposto a votare per
    la distruzione delle guarentigie della fede protestante(944). La
    medesima risposta fu data al Cancelliere nella Contea di
    Buckingham(945). I gentiluomini di quella di Shrop, ragunati a
    Ludlow, unanimemente ricusarono di vincolarsi con la promessa che il
    Re chiedeva loro(946). Il Conte di Yarmouth riferì dal Wiltshire che
    di sessanta magistrati e Deputati Luogotenenti, coi quali aveva
    tenuto ragionamento, soli sette avevano date risposte favorevoli, ed
    anche in que' sette non era da fidare(947). Il rinnegato
    Peterborough non fece nulla di buono nella Contea di
    Northampton(948). Il suo confratello rinnegato, Dover, ebbe la
    medesima sorte nella Contea di Cambridge(949). Preston recò sinistre
    nuove da Cumberland e Westmoreland(950). Le Contee di Dorset e di
    Huntingdon erano animate del medesimo spirito. Il Conte di Bath,
    dopo lunghe pratiche, ritornò dalle Contrade Occidentali con tristi
    augurii. Aveva avuta potestà di fare le più seducenti offerte agli
    abitatori di quella regione. In ispecie aveva loro promesso che ove
    si mostrassero riverenti ai voleri del sovrano, il traffico del rame
    sarebbe reso libero dalle oppressive restrizioni che lo gravavano.
    Tutti i Giudici e i Deputati Luogotenenti di Devonshire e di
    Cornwall, senza eccettuarne nè anche uno, dichiararono d'esser
    pronti a porre a repentaglio vita e sostanze pel Re, ma la religione
    protestante era ad essi più cara della roba e della vita. "Sire,"
    soggiunse Bath "se Vostra Maestà destituisse tutti cotesti
    gentiluomini, i successori loro darebbero precisamente la medesima
    risposta(951)." Se vi era distretto in cui il Governo potesse
    sperare esito prospero, era quello di Lancastro. Molto dubitavasi
    del risultamento di ciò che quivi succedeva. In nessuna parte del
    reame era sì gran numero di famiglie sempre fide alla vecchia
    religione. I capi di molte di quelle famiglie, per virtù della
    potestà di dispensare, erano stati fatti Giudici di Pace, e
    comandanti delle milizie civiche. E nonostante, dalla Contea di
    Lancastro il nuovo Luogotenente, ch'era cattolico romano, riferì
    come due terzi dei deputati e de' magistrati procedessero avversi
    alla Corte(952). Ma ciò che seguì in Lancastro irritò anche più
    profondamente l'orgoglio del Re. Arabella Churchill, venti e più
    anni innanzi, gli aveva partorito un figlio, che dipoi acquistò gran
    fama d'essere il più esperto capitano d'Europa. Il giovinetto, che
    aveva nome Giacomo Fitzjames, non aveva per anche dato segni di
    dovere pervenire a quell'altezza a cui poscia pervenne: ma i suoi
    modi erano così gentili e inoffensivi ch'egli non aveva altro nemico
    che Maria di Modena, la quale da lungo tempo sentiva pel figlio
    della concubina l'implacabile odio d'una moglie priva di figliuoli.
    Alcuni della fazione gesuitica, avanti lo annunzio della gravidanza
    della Regina, avevano seriamente pensato di contrapporlo come rivale
    alla Principessa d'Orange(953). Ove si rammenti che Monmouth,
    comecchè fosse creduto legittimo dal volgo, e fosse campione della
    religione dello Stato, aveva pienamente fallito in un simigliante
    tentativo, e' sembra straordinario che vi fossero uomini tanto
    ciechi per fanatismo, da pensare di porre sul trono un giovane che
    era universalmente conosciuto come bastardo papista. E' non parve
    che il Re secondasse mai un così assurdo disegno. Il fanciullo,
    nondimeno, fu riconosciuto, e gli furono prodigate tutte quelle
    onorificenze che si possano concedere ad un suddito che non sia di
    sangue regio. Era stato creato Duca di Berwick, ed allora occupava
    non pochi onorevoli e lucrosi uffici, tolti a que' Nobili che
    avevano ricusato di arrendersi ai desiderii sovrani. Successe al
    Conte d'Oxford nel grado di colonnello degli Azzurri, e al Conte di
    Gainsborough nella Luogotenenza di Hampshire, nella ispezione di
    New-Forest, e nel Governo di Portsmouth(954). Berwick aspettavasi
    che gli venisse incontro, alla frontiera di Hampshire, secondo era
    costume, una lunga cavalcata di baronetti, cavalieri, e scudieri: ma
    non ci fu una sola persona di riguardo che si mostrasse a dargli il
    benvenuto. Ordinò per lettere ai gentiluomini che comparissero al
    suo cospetto, ma solo cinque o sei obbedirono: gli altri non
    aspettarono d'essere destituiti per dichiarare ch'essi non
    parteciperebbero al Governo civile e militare della loro Contea,
    mentre il Re vi era rappresentato da un papista; e deposero, di
    propria volontà, i loro uffici(955). Sunderland, il quale era stato
    nominato Lord Luogotenente della Contea di Northampton, trovò
    qualche pretesto per non andare ad affrontare lo sdegno e lo spregio
    de' gentiluomini di quella Contea; e le sue scuse furono di leggieri
    ammesse, dacchè il Re aveva cominciato a intendere come non fosse da
    porre speranza alcuna nei gentiluomini delle campagne(956).
    
    È da notarsi che coloro i quali mostravansi così animosi non erano
    gli antichi nemici della Casa Stuarda. Dalle commissioni di Pace e
    di Luogotenenza erano stati già da lungo tempo eliminati tutti i
    nomi repubblicani. Coloro, dai quali la Corte si era indarno
    studiata d'ottenere la promessa di secondarla, erano, senza
    eccettuarne nè anche uno, tutti Tory. I più vecchi di loro avevano
    le cicatrici delle ferite riportate dalle spade delle Teste-Rotonde,
    e le ricevute delle argenterie con le quali avevano soccorso Carlo I
    in bisogno. I più giovani avevano fermamente parteggiato per Giacomo
    contro Shaftesbury e Monmouth. Tali erano coloro che furono
    destituiti in massa da quello stesso principe, al quale avevano dato
    cotanto segnalate prove di fedeltà. Ma la cacciata dall'ufficio
    altro non fece che renderli più inflessibili nel loro proponimento.
    Essi consideravano come sacro punto d'onore difendersi animosamente
    a vicenda in cotesta crisi. Non vi poteva essere dubbio che,
    raccogliendo onestamente i suffragi de' liberi possidenti, non
    verrebbe eletto nè anche un solo rappresentante favorevole alla
    politica del Governo. Gli elettori con grande ansietà chiedevansi a
    vicenda se fosse verosimile che i suffragi venissero onestamente
    raccolti.
    
    XXXII. Aspettavasi con impazienza la lista degli Sceriffi per l'anno
    nuovo. Giunse nelle Contee mentre i Lordi Luogotenenti
    affaccendavansi ne' loro maneggi elettorali, e fu ricevuta con
    universale grido di timore e di sdegno. La maggior parte di coloro
    che dovevano presedere alle elezioni delle Contee, erano Cattolici
    Romani o Protestanti Dissenzienti, i quali avevano approvata la
    Dichiarazione d'Indulgenza(957). Per qualche tempo regnò gravissimo
    timore; ma poco dopo si spense. Eravi buona ragione a credere che vi
    fosse un punto oltre il quale il Re non poteva nemmeno sperare la
    cooperazione degli Sceriffi suoi correligionari.
    
    XXXIII. Tra il cattolico cortigiano e il gentiluomo di campagna
    cattolico era poca simpatia. La cabala che predominava in Whitehall
    era composta in parte di fanatici, pronti a rompere tutti i
    principii della morale e mandare a soqquadro il mondo a fine di
    propagare la religione loro, e in parte d'ipocriti, i quali per
    cupidigia di guadagno avevano rinnegata la fede in che erano
    cresciuti, e adesso travarcavano i confini dello zelo che è proprio
    dei neofiti. Entrambi, i fanatici cortigiani e gl'ipocriti, erano
    generalmente privi d'ogni patrio sentimento, che in alcuni di loro
    era stato spento dallo affetto per la propria Chiesa. Alcuni erano
    Irlandesi, il cui patriottismo consisteva nell'odiare mortalmente i
    Sassoni conquistatori dell'Irlanda. Altri erano traditori
    stipendiati da un Potentato straniero. Taluni avevano passata gran
    parte della loro vita lungi dal patrio suolo, e, od erano
    cosmopoliti, od aborrivano i costumi e le istituzioni del paese
    ch'erano deputati a governare. Tra cosiffatti uomini e il gentiluomo
    rurale di Chester o di Stafford che aderiva alla vecchia Chiesa, non
    era nulla di comune. Senza essere nè fanatico nè ipocrita, era
    Cattolico Romano, perchè il padre e l'avo erano stati Cattolici; e
    manteneva l'avita fede come generalmente gli uomini sogliono fare,
    cioè con sincerità, ma con poco entusiasmo. In ogni altra cosa egli
    era un semplice scudiere o possidente inglese; e se differiva da'
    suoi vicini, differiva in ciò ch'egli era più semplice e
    contadinesco di loro. Per le sue incapacità civili non aveva potuto
    esplicare le sue doti intellettuali fino a quell'altezza - comunque
    fosse moderata - alla quale giungevano ordinariamente gl'intelletti
    de' protestanti gentiluomini delle campagne. Nella fanciullezza
    escluso da Eaton e da Westminster, nella gioventù da Oxford e da
    Cambridge, e nella virilità dal Parlamento e dalle magistrature,
    generalmente ei vegetava tranquillo come gli olmi del viale che
    conduceva alla rustica magione degli avi suoi. I campi, le cascine,
    i cani, la canna da pescare, lo schioppo, il sidro, la birra e il
    tabacco occupavano pressochè tutti i suoi pensieri. Co' suoi vicini,
    malgrado la differenza di religione, era per lo più in amichevoli
    relazioni: perocchè essi lo sperimentavano inoffensivo e scevro di
    ambizione. Egli era quasi sempre di buona ed antica famiglia, e
    sempre Cavaliere. Le sue peculiari opinioni, delle quali ei non
    faceva pompa, non davano noia a nessuno. Egli non tormentava, al
    pari del Puritano, sè ed altrui, scrupoleggiando sopra ogni cosa che
    fosse dilettevole. All'incontro egli era allegro cacciatore, e
    compagnevole quanto qualunque altro uomo, che avesse prestato il
    giuramento di supremazia, e fatta la dichiarazione contro la
    transustanziazione. Trovavasi co' suoi vicini all'agguato, inseguiva
    con essi il fuggente animale, e finita la caccia, gli conduceva seco
    a casa a mangiare un pasticcio e bere un bicchiere di vecchia birra.
    L'oppressione da lui sofferta non era stata tale da spingerlo a
    disperati eccessi. Anche quando la sua Chiesa pativa barbara
    persecuzione, egli aveva corso lieve pericolo nella vita e negli
    averi. I più impudenti e falsi testimoni mal potevano rischiarsi ad
    oltraggiare il buon senso, accusando il gentiluomo cattolico come
    reo di congiura. I papisti che Oates volle colpire, erano Pari,
    Prelati, Gesuiti, Benedettini, faccendieri politici, rinomati
    legisti, medici di Corte. Il gentiluomo cattolico delle campagne,
    protetto dalla propria vita oscura e pacifica, e dal buon volere de'
    suoi vicini, faceva il suo ricolto di fieno, o riempiva di caccia la
    sua carniera senza molestia veruna, mentre Coleman(958) e
    Langhorne(959), Whitbread e Pikering, lo Arcivescovo Plunkett e Lord
    Stafford, morivano di capestro o di scure. Parecchi scellerati, a
    dir vero avevano tentato accusare di tradimento Sir Tommaso
    Gascoigne, vecchio baronetto cattolico della Contea di York: ma
    dodici fra' migliori gentiluomini del West-Riding, che conoscevano
    il suo modo di vivere, non poterono persuadersi che l'onesto vecchio
    avesse assoldati sicari ad assassinare il Re; e in onta alle accuse,
    che fecero poco onore ai giudici, lo dichiararono innocente.
    Talvolta, in verità, il capo d'un'antica e rispettabile famiglia di
    provincia forse amaramente considerava d'essere escluso, a cagione
    delle sue religiose credenze, dagli uffici e dalle dignità che
    uomini di più umile stirpe e meno opulenti erano reputati capaci
    d'occupare: ma era poco inchinevole a rischiare le sostanze e la
    vita in una lotta sproporzionatamente disuguale; e l'onesto suo
    patriottismo avrebbe con raccapriccio aborrito dai pensieri di Petre
    e di Tyrconnel. Certo ei sarebbe stato pronto, come ciascuno de'
    suoi vicini protestanti, a cingersi la spada ed a porre le pistole
    negli arcioni per difendere la terra natia contro i Francesi o i
    papisti d'Irlanda. Tale era comunemente il carattere degli uomini
    de' quali Giacomo voleva servirsi come di strumento a condurre a suo
    modo le elezioni delle Contee. Ei tosto s'accòrse come essi non
    fossero propensi a perdere la stima de' loro concittadini, e mettere
    in pericolo il capo e la roba, rendendo al Sovrano infami e
    criminosi servigi. Parecchi di loro non accettarono la nomina di
    Sceriffo. Di coloro i quali accettarono l'ufficio, molti
    dichiararono che farebbero onestamente il debito proprio, come se
    fossero membri della Chiesa dello Stato, e non proclamerebbero
    eletto alcun candidato che non riportasse la maggioranza de'
    suffragi(960).
    
    XXXIV. Se il Re poteva poco confidare ne' suoi Sceriffi Cattolici,
    anche meno lo poteva ne' Puritani. Dacchè era stata pubblicata la
    Dichiarazione(961) d'Indulgenza, erano corsi vari mesi pieni di
    gravissimi eventi e di continue controversie. Il lungo discutere
    aveva aperti gli occhi a molti Dissenzienti: ma gli Atti del
    Governo, e segnatamente il rigore col quale aveva trattato il
    Collegio della Maddalena, avevano contribuito, anche più della penna
    di Halifax, a insospettire e collegare tutte le classi de'
    Protestanti. Molti di que' settari che s'erano indotti ad esprimere
    la propria gratitudine per la Indulgenza, adesso vergognavano del
    proprio errore, ed erano desiderosi di fare ammenda accomunando le
    loro sorti a quelle del maggior numero de' loro concittadini.
    
    A cagione di cotesto mutamento seguito ne' Non-Conformisti, il
    Governo trovò nella città ostacoli pressochè uguali a quelli che
    aveva incontrato nelle Contee. Quando i Regolatori incominciarono
    l'opera loro, reputarono come certo che ogni Dissenziente,
    beneficiato dalla Indulgenza, sarebbe favorevole alla politica del
    Re. Erano quindi sicuri di potere mettere in tutti gli uffici
    municipali del Regno fermissimi amici. Nei nuovi statuti municipali
    la Corona s'era riserbata la potestà di destituire, a suo arbitrio,
    i magistrati, e adesso l'adoperò illimitatamente. Non era al pari
    evidente che Giacomo avesse la potestà di nominare nuovi magistrati;
    ma, l'avesse o non l'avesse, egli era deliberato d'arrogarsela. In
    ogni parte, dal Tweed al Land's End tutti i funzionari Tory furono
    destituiti, e negli uffici vacanti furono posti Presbiteriani,
    Indipendenti, e Battisti. Nel nuovo statuto municipale di Londra la
    Corona s'era riserbata la potestà di destituire i Maestri, i
    Direttori, e gli Assessori di tutte le compagnie. E però più di
    ottocento spettabilissimi cittadini, tutti aderenti a quel partito
    che aveva avversata la Legge di Esclusione, furono con un solo
    editto cacciati da' loro uffici. Poco dopo, comparve un supplemento
    a cotesta lunga lista(962). Ma avevano appena prestato giuramento i
    nuovi ufficiali, allorquando si conobbe come essi fossero
    intrattabili quanto i loro predecessori. In Newcastle-on-Tyne i
    Regolatori nominarono un Gonfaloniere Cattolico Romano, e Aldermanni
    Puritani. Non dubitavasi punto che il corpo municipale,
    siffattamente ricostituito, non votasse un indirizzo, dichiarando di
    volere secondare i provvedimenti del Re. Ma quando fu proposto dal
    Gonfaloniere, venne rigettato; onde egli corse furioso a Londra per
    dire al Re che i Dissenzienti erano tutti birboni e ribelli, e che
    in tutto il Municipio di Governo non poteva sperare altro che
    quattro voti(963). In Reading furono destituiti ventiquattro
    Aldermanni Tory, ed eletti altrettanti nuovi, de' quali ventitrè,
    dichiaratisi immediatamente avversi alla Indulgenza, furono anche
    essi cacciati via(964). In pochi giorni il borgo di Yarmouth fu
    retto da tre diverse magistrature; tutte medesimamente ostili alla
    corte(965). Questi sono semplici esempi di ciò che accadeva in tutto
    il reame. Lo ambasciatore Olandese scrisse agli Stati che in molte
    città i pubblici ufficiali entro un mese si erano mutati due volte e
    anche tre, e lo erano stati invano(966). Dai ricordi del Consiglio
    Privato si raccoglie che il numero delle regolazioni - tale è il
    vocabolo che adoperavano - furono oltre a dugento(967). I Regolatori
    conobbero, come, tranne in pochi Municipi, le cose s'erano mutate in
    peggio. I Tory malcontenti, anco mentre mormoravano contro la
    politica del Re, avevano sempre protestato del loro rispetto per la
    persona e la dignità di lui, e riprovato ogni pensiero di
    resistenza. Assai diverso era il linguaggio di alcuni tra' membri
    de' Corpi Municipali. Dicevasi che taluni vecchi soldati della
    Repubblica, i quali con maraviglia loro e del pubblico, erano stati
    creati Aldermanni, rispondessero chiaramente agli agenti della Corte
    che il sangue scorrerebbe a fiumi innanzi che si raffermasse in
    Inghilterra il papismo e la tirannide(968).
    
    I Regolatori conobbero essersi poco o nulla conseguito da ciò che
    fino allora avevano fatto. Non vi era altro che un solo mezzo il
    quale facesse loro sperare di ottenere lo scopo. Era mestieri
    togliere gli statuti ai borghi, e concederne altri che limitassero
    la franchigia elettorale a piccolissimi collegi d'elettorali
    nominati dal Sovrano(969).
    
    Ma in che guisa mandare siffatto(970) disegno ad esecuzione? In
    pochi di tali statuti la Corona s'era riserbata il diritto di
    revoca: ma gli altri egli poteva riprendere solo per rinunzia
    volontariamente fatta dai Municipi, o per sentenza del Banco del Re.
    Intanto pochi corpi municipali erano disposti a rinunziare
    volontariamente ai loro statuti; e una sentenza secondo gli
    intendimenti del Governo non poteva sperarsi nè anche da uno schiavo
    qual era Wright. I mandati di Quo Warranto, pochi anni innanzi
    spediti per ischiacciare il partito de' Whig, erano stati
    disapprovati da ogni uomo imparziale. Eppure tali mandati avevano
    almeno sembianza di giustizia; perocchè colpivano gli antichi corpi
    municipali, de' quali pochi erano quelli in cui, col volgere degli
    anni, non fosse nato qualche abuso bastevole a fornire un pretesto
    per un processo penale. Ma i Corpi Municipali che ora volevasi
    disfare erano tuttavia nella innocenza della infanzia, sì che il più
    vecchio non aveva compiuto il quinto degli anni suoi. Era
    impossibile che molti di essi avessero commesso delitti da meritarsi
    la privazione del privilegio elettorale. Gli stessi giudici erano
    inquieti, e dimostrarono al Re come ciò che da loro si voleva, fosse
    diametralmente contrario ai più evidenti principii della legge e
    della giustizia: ma ogni rimostranza fu vana. Ai borghi fu intimato
    di rinunciare ai loro statuti. Pochi ubbidirono, e il modo onde il
    Re si condusse con que' pochi non confortò gli altri a fidarsi di
    lui. In varie città il diritto di votare fu tolto alla comunità, e
    dato a pochi, ai quali fu chiesto il giuramento di eleggere i
    candidati proposti dal Governo. In Tewkesbury, per modo d'esempio,
    la franchigia fu data solo a tredici persone; e nondimeno anche
    questo numero era grande. L'odio e il timore s'era talmente sparso
    per tutta la popolazione, che tornava quasi impossibile mettere
    insieme in una città, con qual si fosse specie d'imbroglio, tredici
    individui ne' quali la Corte potesse avere piena fiducia. Corse la
    voce che la maggioranza del nuovo collegio elettorale di Tewkesbury
    fosse animata dal medesimo sentimento ch'era universale in tutta la
    nazione, e che, arrivato il giorno decisivo, manderebbe Protestanti
    sinceri al Parlamento. I Regolatori in gran collera minacciarono di
    ridurre a tre soli il numero degli elettori(971). Frattanto la
    maggior parte de' borghi negarono di rinunciare ai loro privilegi.
    Barnstaple, Winchester, e Buckingham si resero notevoli per essersi
    arditamente opposti. In Oxford la proposta che la città rinunziasse
    alle franchigie fu rigettata da ottantadue voti contro due(972). Il
    Temple e Westminster erano sossopra per lo strano affollamento degli
    affari che giungevano da ogni angolo del Regno. Ogni legale di gran
    nome era sopraccarico de' ricorsi de' Municipi che a lui si
    volgevano per essere difesi. I litiganti privati querelavansi che le
    loro faccende venivano trascurate(973). Era impossibile in
    pochissimo tempo sbrigare tanto numero di cause. La tirannide se ne
    accorgeva, ma non poteva patire il minimo indugio, e non trascurò
    nulla che valesse ad atterrire i borghi disubbidienti, e indurli a
    sottomettersi. In Buckingham alcuni degli ufficiali del Municipio
    avevano detto di Jeffreys parole che non erano di lode. Fu loro
    intentato un processo, e fatto intendere che ove non volessero
    redimersi rinunziando ai loro statuti, non verrebbe loro usata ombra
    di misericordia(974). In Winchester vennero adottati provvedimenti
    anche più rigorosi. Una numerosa soldatesca fu spedita alla città a
    solo fine di gravare e vessare gli abitanti(975): i quali stettero
    fermi ed animosi; e l'opinione pubblica accusava Giacomo di volere
    imitare la peggiore delle scelleratezze del suo confratello di
    Francia. Dicevasi che principiavano già le dragonate; e vi era
    cagione a temere tanta enormezza. Giacomo s'era fitto in mente il
    pensiero che l'unico mezzo di far cedere una città ostinata era
    quello di acquartierare i soldati in seno alle famiglie. Avrebbe
    dovuto conoscere che questo provvedimento, sessanta anni innanzi,
    aveva destato terribili mali umori, ed era stato solennemente
    dichiarato illegale dalla Petizione dei Diritti. E difatti ne chiese
    consiglio al Capo Giudice del Banco del Re(976): il risultamento
    della consulta rimase secreto; ma in pochi giorni lo aspetto degli
    affari si fece tale, che un timore più forte ed efficace che non
    fosse quello di suscitare la collera del Re, cominciò a imporre
    qualche freno anco ad un uomo abietto qual era Wright.
    
    XXXV. Mentre i Lordi Luogotenenti interrogavano i Giudici di Pace,
    mentre i Regolatori riformavano i borghi, in tutti i dipartimenti
    dell'amministrazione pubblica facevasi rigorosa inquisizione. Ad
    ognuno de' vecchi Cavalieri rovinati, i quali in ricambio del sangue
    sparso e de' beni perduti per difendere la Corona, avevano ottenuto
    qualche piccolo ufficio sotto la giurisdizione del Guardaroba o del
    Maestro di caccia, fu intimato di eleggere fra il Re e la Chiesa. I
    Commissari delle Dogane o dell'Excise ebbero comandamento di
    appresentarsi alla Maestà Sua nell'Ufficio del Tesoro. Quivi egli
    chiese loro la promessa di secondare la sua politica, e ingiunse di
    farlo parimente promettere a' loro sottoposti(977). Un ufficiale di
    Dogana rispose al regio comandamento in un modo tale da destare
    compassione e riso. "Io ho" disse egli "quattordici ragioni per
    ubbidire a Sua Maestà, una moglie e tredici figliuoli(978)." Tali
    ragioni, per vero dire, ponevano alle strette; nulladimeno non
    furono pochi gli esempi, nei quali, malgrado ragioni siffatte,
    prevalse la riverenza della religione e lo amore della patria.
    Abbiamo argomento di credere che il Governo allora meditasse
    profondamente un colpo che avrebbe ridotto molte migliaia di
    famiglie ad accattare, e perturbato tutto l'ordine sociale in
    ciascuna parte del paese. Non era concesso vendere senza(979)
    licenza, vino, birra, o caffè. S'era sparsa la voce che a chiunque
    possedeva siffatta licenza sarebbe tra breve ingiunto di fare quella
    promessa ch'era stata imposta ai pubblici impiegati, e, negando,
    abbandonare il suo traffico(980). E' sembra certo, che ove si fosse
    fatto un tal passo, i luoghi di pubblico divertimento o ritrovo
    sarebbero a un tratto stati chiusi a centinaia in tutto il Regno.
    Quale effetto avrebbe prodotto cotesto immischiarsi del Governo nei
    comodi di tutte le classi, può di leggieri immaginarsi. Il
    risentimento che fanno nascere gli aggravi non è sempre
    proporzionato alla importanza loro; e non è affatto improbabile che
    la revoca delle licenze avrebbe fatto ciò che la revoca degli
    statuti municipali aveva mancato di fare. Le alte classi sociali
    avrebbero sentita la mancanza della bottega di Saint-James-Street,
    dove solevano prendere la cioccolata; e agli uomini di faccende
    sarebbe mancata la tazza di caffé ch'essi erano assuefatti a bere
    fumando la pipa e chiacchierando di cose politiche in Change-Alley.
    I Circoli si sarebbero affannati a trovare un ricovero. Il viandante
    avrebbe sul far della notte trovato deserta l'osteria, dove credeva
    potere alloggiare e cenare. Il contadino avrebbe amaramente
    ripensato alla botteghetta dove egli soleva bere la birra sulla
    panca ne' giorni estivi, e accanto al camino in tempo d'inverno. Il
    popolo, a cosiffatta provocazione, sarebbe forse insorto tuttoquanto
    senza attendere il soccorso di stranieri alleati.
    
    XXXVI. Non era da aspettarsi che un Principe, il quale voleva che
    tutti i più umili servitori del Governo secondassero la sua politica
    sotto pena d'essere destituiti, seguitasse a mantenere in ufficio un
    Procuratore Generale, che non ascondeva la propria avversione a
    quella politica. Sawyer era stato tollerato nel suo posto per
    diciotto e più mesi, dopo ch'egli s'era dichiarato contrario alla
    potestà di dispensare. Di tale strana indulgenza egli andava
    debitore alla estrema difficoltà che incontrò il Governo a trovare
    un uomo da sostituirgli. Per proteggere gl'interessi pecuniari della
    Corona, era mestieri che almeno uno de' due capi della legge fosse
    uomo dotto ed esperto; e non era punto facile indurre qual si fosse
    legale dotto ed esperto ad esporsi al pericolo, commettendo
    quotidianamente atti, che dal Parlamento alla prima riunione
    verrebbero forse considerati come gravi delitti. Era stato
    impossibile trovare un Avvocato Generale migliore di Powis, uomo che
    non conosceva nessuna specie di freno, ma era incompetente ad
    adempiere gli ordinari doveri del proprio ufficio. Per tali ragioni
    fu creduto necessario partire il lavoro. Congiunsero insieme un
    Procuratore, la cui scienza giuridica scemava di pregio pe' suoi
    scrupoli di coscienza, con un Avvocato, nel quale la mancanza d'ogni
    scrupolo compensava in alcun modo la mancanza del sapere. Quando il
    Governo voleva fare osservare la legge si serviva di Sawyer; quando
    desiderava violarla adoperava Powis. Cotesto accomodamento durò
    finchè il Re potè assicurarsi de' servigi di un avvocato il quale
    era ad un tempo e più vile di Powis e più abile di Sawyer.
    
    XXXVII. Nessuno de' legali allora viventi aveva fatto più che
    Guglielmo Williams virulenta opposizione alla Corte. Sotto Carlo II,
    egli aveva acquistato reputazione e come Whig e come Esclusionista.
    Prevalenti le fazioni, era stato eletto Presidente della Camera de'
    Comuni. Dopo la proroga del Parlamento d'Oxford aveva comunemente
    difeso i più turbolenti demagoghi accusati di sedizione. Nessuno gli
    negava acutezza di mente e scienza; credevasi che i principali suoi
    difetti fossero temerità e spirito di parte. Non v'era per anche il
    menomo sospetto ch'egli avesse altri difetti, in paragone de' quali
    la temerità e lo spirito di parte potevano considerarsi come virtù.
    Il Governo cercava pretesto a colpirlo, e non gli fu difficile
    trovarlo. Egli aveva pubblicato, per ordine della Camera de' Comuni,
    una relazione scritta da Dangerfield, la quale, qualora fosse stata
    pubblicata da un uomo privato, sarebbe stata indubitabilmente tenuta
    per libello sedizioso. Williams fu accusato dinanzi la Corte del
    Banco del Re; invano allegò i privilegi parlamentari; fu dichiarato
    reo, e condannato ad una pena di dieci mila lire sterline. Ne pagò
    una parte, e del rimanente firmò una scritta d'obbligo. Il Conte di
    Peterborough, il quale era stato ingiuriosamente rammentato nella
    relazione di Dangerfield, all'esito prospero del processo, intentò
    un'azione civile contro Williams e chiese una forte somma per
    rifacimento di danni. Williams era ridotto agli estremi, allorquando
    gli si offrì una sola via di scampo, ed era via dalla quale con
    raccapriccio avrebbe arretrato il piede ogni uomo fermo ne' suoi
    principii ed animoso, affrontando più presto la miseria, la
    prigione, o la morte. Pensò di vendersi al Governo del quale era
    stato nemico e vittima; offrirsi d'assaltare con audacia da
    disperato quelle libertà e quella religione, per le quali aveva
    dianzi mostrato zelo intemperante; espiare i suoi principii Whig
    rendendo servigi, dai quali i bacchettoni Tory, lordi ancora del
    sangue di Russell e di Sidney, rifuggivano inorriditi. Il mercato fu
    concluso; gli fu condonato il debito ch'egli aveva verso la Corona;
    e per la mediazione del Re, Peterborough s'indusse ad un
    compromesso. Sawyer fu cacciato; Powis fatto Procuratore Generale; e
    Williams, nominato Avvocato Generale, ebbe la dignità di cavaliere,
    e in gran copia il regio favore. E ancorchè per grado ei fosse il
    secondo ufficiale della Corona nell'ordine giudiciario, aveva tanta
    abilità, dottrina ed energia, che cacciò tosto nell'ombra il proprio
    superiore(981).
    
    Williams non era da lungo tempo in ufficio allorquando dovè essere
    parte principale nel più memorabile processo di Stato, di cui
    facciano ricordo gli Annali dell'Inghilterra.
    
    XXXVIII. Il dì 27 aprile 1688, il Re promulgò una seconda
    Dichiarazione d'Indulgenza. In essa citava per esteso la
    Dichiarazione dello scorso aprile, e diceva che la sua vita passata
    doveva oramai convincere il popolo ch'egli non era uomo da
    retrocedere da un intrapreso cammino. Ma perchè alcuni faziosi si
    andavano affaccendando a persuadere al pubblico ch'egli poteva
    essere forzato a mutare proposito quanto alla Indulgenza, reputava
    necessario dichiarare ch'egli era determinatissimo di compiere ciò
    che aveva divisato, e che perciò aveva destituiti molti ufficiali
    civili e militari disubbidienti. Annunciava che avrebbe convocato il
    Parlamento nel novembre, al più tardi; ed esortava i suoi sudditi ad
    eleggere rappresentanti tali che lo aiutassero a mandare ad effetto
    la grande opera intrapresa(982).  XXXIX. Questo Atto in sulle
    prime fece poca impressione. Non conteneva nulla di nuovo; e tutti
    maravigliavano come il Re avesse creduto valere lo incomodo di
    pubblicare un solenne Manifesto semplicemente con lo scopo di
    dichiarare ch'egli si manteneva sempre fermo nel proprio
    proposito(983). Forse Giacomo si sentì pungere al vivo dalla
    indifferenza onde venne dal pubblico accolto lo annunzio della presa
    determinazione, e credè che la dignità e autorità sue ne
    soffrirebbero ove ei senza indugio non compisse alcun che di nuovo e
    di notevole. Il dì 4 maggio, quindi, egli fece un'Ordinanza in
    Consiglio nella quale comandava che la nuova Dichiarazione venisse
    letta per due domeniche successive fra mezzo al servizio divino, dai
    ministri officianti in tutte le chiese e cappelle del Regno. In
    Londra e ne' suburbii la lettura doveva aver luogo ne' dì 20 e 27
    maggio, nelle altre parti d'Inghilterra nei dì 3 e 10 giugno. Ai
    vescovi fu ingiunto di distribuire esemplari della Dichiarazione
    nelle loro diocesi(984).
    
    Ove si consideri come il clero della Chiesa stabilita, senza quasi
    nessuna eccezione, reputasse la Indulgenza violazione delle leggi
    del reame, infrazione della fede data dal Re, e colpo fatale contro
    gl'interessi e la dignità della loro professione, non potrebbe punto
    dubitarsi che la Ordinanza in Consiglio mirava ad essere accolta dal
    clero come un affronto. Dicevasi comunemente fra il popolo che Petre
    aveva affermato tale intenzione del Governo, usando una grossolana
    metafora tolta dalla rettorica delle lingue orientali. Diceva che
    avrebbe fatto al clero mangiar fango, il più schifoso e nauseante
    fango. Ma per quanto tirannico e maligno fosse il mandato, il clero
    anglicano ubbidirebbe egli? La indole del Re era arbitraria e
    severa. La Commissione Ecclesiastica giudicava con modo pronto e
    spicciativo, quasi fosse Corte Marziale. Chiunque si rischiasse a
    resistere, dentro una sola settimana poteva esser cacciato dal suo
    presbiterio, privato di tutte le sue entrate, dichiarato incapace di
    occupare ogni altro beneficio ecclesiastico, e ridotto a mendicare
    di porta in porta. Se, a dir vero, lo intero corpo del clero si
    fosse collettivamente opposto agli ordini regi, era probabile che nè
    anche Giacomo avrebbe osato di punire a un tratto diecimila
    delinquenti. Ma non vi fu tempo di formare una estesa combinazione.
    L'Ordinanza in Consiglio fu riferita nella Gazzetta del dì 7 di
    maggio. Il dì 20 la Dichiarazione doveva essere letta da tutti i
    pulpiti di Londra e de' luoghi circostanti. Non v'era sforzo in que'
    tempi che bastasse a conoscere entro quindici giorni le intenzioni
    della decima parte de' ministri parrocchiali sparsi in tutto il
    Regno. Non era agevole raccogliere in breve gl'intendimenti de'
    Vescovi. Era anche da temersi che, se il clero ricusasse di leggere
    la Dichiarazione, e i Protestanti Dissenzienti interpretassero
    sinistramente il rifiuto, ei dispererebbe d'ottenere tolleranza pel
    credenti della Chiesa Anglicana, e darebbe compiuta vittoria alla
    Corte.
    
    XL. Il clero quindi esitava; ed era degno di scusa, imperocchè
    parecchi laici eminenti, che godevano molto la pubblica fiducia,
    inchinavano a consigliare obbedienza. Pensavano essi che non fosse
    da sperarsi in una generale opposizione, e che una opposizione
    parziale rovinerebbe gl'individui, con poca utilità della Chiesa e
    della nazione. Così a quel tempo opinavano Halifax e Nottingham. Il
    giorno era vicino, e nondimeno non v'era accordo nè risoluzione
    presa(985).
    
    In tali circostanze, i Protestanti Dissenzienti di Londra
    acquistaronsi diritto alla eterna gratitudine del loro paese. Il
    Governo gli aveva fino allora considerati come parte della sua
    forza. Pochi de' loro più operosi e tonanti predicatori, corrotti
    dai favori della Corte, avevano formato indirizzi ad approvare la
    politica del Re. Altri irritati dalla rimembranza di gravissimi
    danni recati loro dalla Chiesa Anglicana e dalla Casa Stuarda,
    avevano veduto con crudele diletto il Principe tiranno dalla tiranna
    gerarchia per fiera nimistà separarsi; ed entrambi affaccendarsi a
    cercare, per nuocersi a vicenda, soccorso presso le sètte dianzi
    perseguite e spregiate. Ma cotesto sentimento, comunque fosse
    naturale, era stato lungamente appagato; ed era giunto il tempo in
    cui era necessario eleggere: e i Non-Conformisti della città, con
    insigne generosità d'animo, si collegarono coi membri della Chiesa a
    difendere le leggi fondamentali del Regno. Baxter, Bates e Howe si
    resero notevoli per gli sforzi fatti a formare tal colleganza: ma il
    generoso entusiasmo che animava la intera classe de' Puritani rese
    agevole il negozio. Lo zelo del gregge vinse quello de' pastori. A
    quei predicatori Puritani e Indipendenti, che si mostravano
    inchinevoli a secondare il Re contro l'ordinamento ecclesiastico, fu
    chiaramente detto, che ove non cangiassero condotta, le loro
    congregazioni non li avrebbero mai più ascoltati nè pagati. Alsop,
    che s'era illuso di potere fra' suoi discepoli acquistare al Re un
    gran numero di partigiani, s'accòrse d'essere spregiato ed abborrito
    da coloro che dianzi gli prestavano riverenza come a guida
    spirituale; cadde in profonda malinconia, e si sottrasse agli occhi
    del pubblico. Giungevano deputazioni a vari membri del clero,
    supplicandoli a non volere giudicare di tutti i Dissenzienti dalle
    abbiette adulazioni onde di recente andava ripiena la Gazzetta di
    Londra, ed esortandoli - poichè erano posti alla vanguardia di
    questa grande battaglia - a mostrarsi imperterriti per difendere le
    libertà dell'Inghilterra e la fede data in custodia ai Santi.
    Coteste assicurazioni furono accolte con gioia e gratitudine.
    Esisteva, nondimeno, molta ansietà e discordanza di opinioni fra
    coloro ai quali apparteneva deliberare se la domenica del dì 20 si
    dovesse o non si dovesse obbedire al comando del Re.
    
    XLI. Il clero di Londra, allora universalmente reputato come il
    fiore del ceto ecclesiastico, tenne una ragunanza, alla quale
    intervennero quindici Dottori in Divinità. Tillotson Decano di
    Canterbury, il più celebre predicatore di quel tempo, si mosse dal
    letto dove giaceva infermo. Sherlock Maestro del Tempio, Patrick
    Decano di Peterborough e Rettore della insigne parrocchia di San
    Paolo in Convento-Garden, e Stillingfleet Arcidiacono di Londra e
    Decano della Cattedrale di San Paolo vi assistevano. L'opinione
    generale dell'Assemblea, a quanto sembra, era quella di doversi
    obbedire all'Ordinanza in Consiglio. La disputa cominciava a
    divenire procellosa, e avrebbe potuto produrre conseguenze fatali,
    se non vi avesse posto fine con la sua fermezza e col suo senno il
    Dottore Eduardo Fowler, Vicario di San Gilles in Cripplegate, uno
    del piccolo ma cospicuo numero degli ecclesiastici i quali
    accoppiavano lo amore della libertà civile, proprio della scuola di
    Calvino, con le dottrine teologiche della scuola di Arminio(986).
    Fowler dunque, levandosi, favellò in questa guisa: "Bisogna ch'io
    parli chiaro. La questione è così semplice che il ragionare a lungo
    non potrà chiarirla, bensì riscaldare i cervelli. Ciascuno dica un
    Sì o un No. Io non m'intendo vincolato dal voto della maggioranza.
    Mi rincrescerebbe di rompere l'unità. Ma in coscienza non posso
    leggere questa Dichiarazione." Tillotson, Patrick, Sherlock e
    Stillingfleet dichiararono d'essere della medesima opinione. La
    maggioranza cede all'autorità d'una minoranza cotanto rispettabile.
    Fu quindi posta in iscritto una deliberazione per la quale tutti
    gl'intervenuti all'adunanza vincolavansi fra loro a non leggere la
    Dichiarazione. Patrick fu il primo ad apporvi il proprio nome;
    Fowler firmò dopo lui. Il documento fu mandato in giro per tutta la
    città, e fu tosto sottoscritto da ottantacinque beneficiarii(987).
    
    Intanto vari Vescovi stavansi ansiosamente a meditare intorno al
    partito da abbracciarsi. Il dì 12 di maggio, una grave e dotta
    comitiva sedeva a mensa in casa del Primate a Lambeth. Compton
    Vescovo di Londra, Turner Vescovo d'Ely, White Vescovo di
    Peterborough, e Tenison Rettore della Parrocchia di San Martino
    erano fra gli ospiti. Il Conte di Clarendon, incrollabile zelatore
    della Chiesa, v'era stato invitato. Cartwright Vescovo di Chester vi
    s'era intruso, probabilmente per ispiare la ragunanza; e finchè vi
    rimase, non vi fu conversazione confidenziale: ma appena partitosi;
    venne proposta e discussa la grande quistione che agitava le menti
    di tutti, ed opinarono generalmente che la Dichiarazione non si
    dovesse leggere. Lettere furono tosto spedite a vari de' più
    spettabili prelati della provincia di Canterbury, sollecitandoli a
    recarsi senza il minimo indugio a Londra onde spalleggiare il loro
    metropolitano in un caso così importante(988). E non dubitandosi
    punto, che, ove tali lettere si mettessero all'ufficio postale in
    Lombard-Street, verrebbero intercettate, spedironsi corrieri a
    cavallo per deporle agli uffici postali delle più vicine città di
    provincia. Il Vescovo di Winchester, il quale aveva dato segnalate
    prove della sua lealtà in Sedgemoor, comecchè fosse infermo, volle
    ubbidire alla chiamata, ma non ebbe forze bastevoli a soffrire il
    moto della carrozza. La lettera diretta a Guglielmo Lloyd Vescovo di
    Norwich, non ostanti tutte le cautele prese, fu trattenuta dal
    postiere; e cotesto prelato, che non era secondo a nessuno de' suoi
    confratelli per coraggio e zelo della causa comune al clero, non
    giunse in Londra a tempo(989). Il Vescovo di Santo Asaph, che, come
    il precedente, aveva nome Guglielmo Lloyd, uomo pio, dotto ed
    onesto, ma di poca mente, mezzo ammattito dall'ostinatezza di volere
    pescare nelle Profezie di Daniele e nell'Apocalisse non so quali
    schiarimenti intorno al Papa e al Re di Francia, arrivò
    frettolosamente alla Metropoli il dì 16(990). Nel giorno seguente vi
    giunse lo egregio Ken Vescovo di Bath e Wells, Lake Vescovo di
    Chichester, e Sir Giovanni Trelawney Vescovo di Bristol, baronetto
    discendente da antica ed onorevole famiglia di Cornwall.
    
    XLII. Il dì 18 ebbe luogo in Lambeth un'adunanza di prelati e di
    altri eminenti teologi. Tillotson, Tenison, Stillingfleet, Patrick e
    Sherlock erano presenti. Dopo lungo discutere, lo Arcivescovo
    scrisse di propria mano una petizione che esprimeva il generale
    intendimento dell'assemblea. Non era scritta con istile molto
    felice, sì che la sintassi impacciata ed inelegante destò alquanto
    dileggio contro Sancroft, il quale lo sostenne con meno pazienza di
    quella onde egli fece prova in circostanze assai più ardue. Ma nella
    sostanza nulla potrebbe essere formato con più magistero di cotesto
    memorando documento. Protestavano caldamente contro ogni taccia di
    slealtà ed intolleranza. Assicuravano il Re che la Chiesa era
    tuttavia, come era sempre stata, fedele al trono; assicuravano che i
    Vescovi, a tempo e a luogo, come Lordi del Parlamento e membri della
    Alta Camera di Convocazione, mostrerebbero di sapere compatire gli
    scrupoli di coscienza ne' Dissenzienti. Ma il Parlamento, sì sotto
    il regno passato che sotto il presente, aveva decretato, il Sovrano
    non essere costituzionalmente competente a dispensare dagli statuti
    in materie ecclesiastiche. La Dichiarazione quindi era illegale; e i
    supplicanti non potevano, per prudenza, coscienza, ed onore
    partecipare alla solenne pubblicazione d'un Atto illegale nella casa
    di Dio e fra mezzo agli uffici divini.
    
    XLIII. Questo documento fu firmato dall'Arcivescovo e da sei de'
    suoi suffraganei, Lloyd di Santo Asaph, Turner d'Ely, Lake di
    Chichester, Ken di Bath e Wells, White di Peterborough, e Trelawney
    di Bristol. Il vescovo di Londra, come sospeso dalle sue funzioni,
    non firmò. Era la sera di venerdì in sul tardi: e la domenica
    mattina la Dichiarazione doveva leggersi nelle chiese di Londra. Era
    necessario che la petizione pervenisse senza indugio alle mani del
    Re. I sei Vescovi si recarono a Whitehall(991). L'Arcivescovo, al
    quale da lungo tempo era stato inibito l'accesso alla Corte, non
    accompagnò i colleghi. Lloyd, lasciati i suoi confratelli in casa di
    Lord Dartmouth ch'era presso al palazzo, s'appresentò a Sunderland,
    pregandolo di leggere la petizione, e di dirgli quando al Re
    piacerebbe di riceverla. Sunderland, temendo di compromettersi,
    rifiutò di leggere lo scritto, ma si condusse subitamente alle regie
    stanze. Giacomo ordinò di far passare i vescovi. Gli era stato
    riferito dal suo cagnotto Cartwright, che essi erano inchinevoli ad
    ubbidire al regio mandato, ma che desideravano si facesse qualche
    lieve modificazione nella forma, al qual fine intendevano presentare
    una umilissima dimanda. Per lo che la Maestà Sua era di buonissimo
    umore. Come gli si furono inginocchiati dinanzi, disse cortesemente
    si alzassero, e prese lo scritto dalle mani di Lloyd, dicendo:
    "Questa è scrittura di Monsignore di Canterbury." - "Sì, o Sire,
    scritta di sua propria mano," gli, fu risposto. Giacomo lesse la
    petizione; la ripiegò; e turbossi nello aspetto dicendo: "Ciò mi
    sorprende grandemente. Non me lo sarei mai aspettato dalla vostra
    Chiesa, e segnatamente da alcuni di voi. Questo importa inalzare il
    vessillo della ribellione." I vescovi si misero a protestare
    fervidamente della loro lealtà: ma il Re, come era suo costume, non
    cessava di ripetere le medesime parole: "Vi dico che è inalzare il
    vessillo della ribellione." - "Ribellione!" esclamò Trelawney
    cadendo sulle sue ginocchia; "Per lo amore di Dio, o Sire, non ci
    dite parole così dure. Nessuno de' Trelawney può essere un ribelle.
    Vi ricordi che la mia famiglia ha combattuto in difesa della Corona.
    Vi rimembri de' servigi ch'io vi resi quando Monmouth aveva invaso
    le Contrade Occidentali." - "Siamo noi che abbiamo spenta l'ultima
    ribellione," disse Lake "e non ne susciteremo un'altra." - "Noi
    ribelli!" esclamò Turner, noi siamo pronti a morire ai piedi di
    Vostra Maestà." - "Sire," disse Ken con tono più fermo, "spero che
    ci vogliate concedere quella libertà di coscienza che voi accordate
    a tutto il genere umano." E nulladimeno Giacomo seguitava: "Questa è
    ribellione. Questo importa inalzare il vessillo della ribellione. Fu
    ella mai posta in dubbio, prima d'oggi, da un buono Anglicano la
    potestà di dispensare? Alcuni di voi non hanno eglino predicato e
    scritto a difenderla? È pretta ribellione. Voglio che la mia
    Dichiarazione sia letta." - "Noi abbiamo due doveri da compiere,"
    rispose Ken, "il nostro dovere verso Dio, e il nostro dovere verso
    Vostra Maestà. Voi onoriamo: ma temiamo Dio." - "Merito io questo?"
    gridò il Re viemaggiormente incollerito. "Io che sono stato tanto
    amico della vostra Chiesa! Non mi aspettava tanto da alcuni di voi.
    Io voglio essere ubbidito. La mia Dichiarazione deve essere
    pubblicata. Voi siete trombe di sedizione. Che fate voi qui? Andate
    alle vostre diocesi, e fate che io sia ubbidito. Terrò questo
    scritto; non lo perderò mai, e mi ricorderò sempre che voi lo avete
    firmato." - "Sia fatta la volontà di Dio," disse Ken. - "Dio mi ha
    data la potestà di dispensare," disse il Re, ed io saprò mantenerla.
    Vi dico che vi sono settemila credenti della vostra Chiesa, i quali
    non hanno piegato il ginocchio dinanzi a Baal." I vescovi
    rispettosamente partironsi(992). Quella stessa sera il documento da
    loro presentato al Re, si vide messo a stampa, parola per parola;
    trovavasi in tutte le botteghe da caffè, e si vendeva per le strade.
    In ogni parte la gente si alzava da letto e fermava i rivenditori.
    Si disse che lo stampatore in poche ore guadagnasse mille lire
    sterline vendendo questo scritto a un soldo. Ciò forse è una
    esagerazione: ma tuttavia prova che la vendita fu enorme. In che
    guisa la petizione pervenisse allo stampatore è tuttora un mistero.
    Sancroft dichiarò d'avere prese tutte le cautele perchè non fosse
    pubblicata, e di non conoscerne altra copia, tranne quella scritta
    di sua mano, e da Lloyd posta nelle mani del Re. La veracità dello
    Arcivescovo non ammette il minimo sospetto. Pure non è punto
    improbabile che alcuni de' teologi, i quali aiutarono a compilare la
    petizione, possano averla tenuta a mente e mandata allo stampatore.
    Nondimeno comunemente credevasi che qualche famigliare del Re fosse
    stato indiscreto o traditore(993). Poco minore fu la impressione che
    fece nel popolo una breve lettera, scritta con gran vigoria di
    raziocinio e di stile, stampata alla macchia, e profusamente sparsa
    il dì medesimo per la posta e per mezzo de' procacci. Ne fu mandata
    copia ad ogni chierico del Regno. Lo scrittore non istudiavasi di
    dissimulare il pericolo che correrebbero i disubbidienti al regio
    mandato; ma dimostrava vivamente come era maggiore il pericolo di
    cedere. "Se leggiamo la Dichiarazione," diceva egli, "cadiamo per
    non rialzarci mai più; cadiamo incompianti e spregiati; cadiamo fra
    le maledizioni d'un popolo che sarà rovinato dalla nostra
    debolezza." Taluni credevano che questa lettera fosse venuta dalla
    Olanda. Altri l'attribuirono a Sherlock. Ma Prideaux, Decano di
    Norwich, il quale fu principale agente a spargerla, la credè lavoro
    di Halifax.
    
    La condotta de' prelati fu universalmente e immensamente applaudita:
    ma taluni mormoravano dicendo che uomini sì gravi, se reputavansi
    obbligati in coscienza a fare al Re una rimostranza, dovevano farla
    assai prima. Era egli bene lasciarlo nel buio fino a trentasei ore
    avanti il tempo stabilito per la lettura della Dichiarazione?
    Quand'anche volesse revocare l'ordinanza in Consiglio, non era egli
    troppo tardi? Così sembravano concludere che la petizione aveva lo
    scopo, non di muovere il Re, ma d'infiammare gli umori del
    popolo(994). Tali doglianze erano affatto prive di fondamento.
    L'ordine del Re era giunto ai vescovi nuovo, inaspettato,
    impacciante. Era debito loro consultarsi vicendevolmente, ed
    indagare, per quanto fosse possibile, l'opinione del clero innanzi
    di appigliarsi ad un partito. Il clero era sparso per tutto il
    reame. Alcuni distavano gli uni dagli altri una settimana di
    cammino. Giacomo concedeva loro solo quindici giorni ad informarsi,
    riunirsi, discutere e decidere; e però non aveva diritto a credersi
    leso per essere presso a finire i quindici giorni innanzi ch'egli
    conoscesse la loro deliberazione. E non è vero ch'essi non gli
    dessero tempo bastevole a revocare l'Ordinanza qualora avesse avuto
    la prudenza di farlo. Avrebbe potuto convocare il Consiglio nel
    sabato mattina, e innanzi che fosse notte, si sarebbe saputo per
    tutta Londra e pe' suburbii, ch'egli aveva ceduto alle preghiere de'
    padri della Chiesa Anglicana. Nonostante, il sabato scorse senza che
    il Governo mostrasse segno di cedere, e giunse la domenica, giorno
    lungamente memorabile.
    
    XLIV. Nella città e nel circondario di Londra erano circa cento
    chiese parrocchiali. Solo in quattro fu eseguito l'ordine del Re. In
    San Gregorio la Dichiarazione fu letta da un ecclesiastico chiamato
    Martin. Appena egli ebbe profferite le prime parole tutti gli
    astanti alzaronsi ed uscirono. In San Matteo in Friday-Street uno
    sciagurato che aveva nome Timoteo Hall, e che aveva disonorato
    l'abito sacerdotale facendo da sensale alla Duchessa di Portsmouth
    nella vendita delle grazie, e adesso nutriva speranza d'ottenere il
    vescovato d'Oxford, fu similmente lasciato solo in chiesa. In
    Serjeant's Inn in Chancery-Lane, il chierico disse di avere
    dimenticato a casa lo scritto; e al Capo Giudice del Banco del Re,
    il quale vi s'era condotto per vedere se si obbedisse al regio
    mandato, fu forza contentarsi di siffatta scusa. Samuele Wesley,
    padre di Giovanni e di Carlo Wesley, e Curato in una chiesa di
    Londra, predicando in quel giorno, prese a testo l'animosa risposta
    fatta dai tre Ebrei al tiranno Caldeo: "Sappi, o Re, che noi non
    serviremo ai tuoi Dii, nè adoreremo la immagine d'oro da te
    inalzata." Perfino nella cappella del Palazzo di San Giacomo il
    ministro che officiava ebbe il coraggio di non ubbidire al comando
    regio. I giovani di Westminster lungo tempo rammentaronsi della
    scena che seguì quel giorno nell'Abbadia. Vi officiava, come Decano,
    Sprat vescovo di Rochester. Appena cominciò a leggere la
    Dichiarazione, la sua voce fu soffocata dalle mormorazioni e dal
    rumore della gente che usciva in folla dal coro. Egli fu preso da sì
    forte tremito che mal poteva tenere in mano lo scritto. Assai prima
    ch'egli finisse di leggere, il luogo era abbandonato da tutti,
    fuorchè da coloro che la propria condizione costringeva a
    rimanervi(995).
    
    La Chiesa non era mai stata tanto cara alla nazione quanto nel
    pomeriggio di quel giorno. Ogni dissenso pareva sparito. Baxter dal
    pergamo fece lo elogio de' vescovi e del clero parrocchiale. Il
    Ministro Olandese, poche ore dopo, scrisse agli Stati Generali, che
    il Clero Anglicano si era acquistata la pubblica stima tanto da non
    credersi. Diceva che i Non-Conformisti con grido unanime asserivano
    amar meglio rimanere sotto gli Statuti penali che separare la causa
    loro da quella de' prelati(996).
    
    Scorsa un'altra settimana d'ansietà e d'agitazione, giunse la
    domenica. Nuovamente le chiese della Metropoli erano affollate di
    migliaia e migliaia di persone. La Dichiarazione non fu letta in
    nessuno altro luogo che in quelle poche chiese dove era stata letta
    la precedente settimana. Il ministro, che aveva officiato nella
    cappella del Palazzo di San Giacomo, era stato destituito, e in
    vece(997) sua un ecclesiastico più ossequioso comparve con lo
    scritto in mano; ma era tanto commosso che non potè profferire
    parola. E veramente l'opinione pubblica si era manifestata in guisa
    che nessuno, tranne il migliore e più nobile, o il peggiore e più
    vile degli uomini, poteva senza scomporsi, affrontarla(998).
    
    XLV. Il Re stesso per un momento rimase attonito dinanzi alla
    violenta tempesta da lui suscitata. Che farebbe egli adesso? Andare
    avanti, o retrocedere: ed era impossibile procedere senza pericolo e
    tornare indietro senza umiliazione. Ebbe allora il pensiero di
    emanare una seconda Ordinanza per ingiungere al clero con parole
    d'ira e d'alterigia di pubblicare la Dichiarazione, minacciando a un
    tempo che chiunque si mostrasse disubbidiente verrebbe subitamente
    sospeso. L'Ordinanza fu scritta e mandata al tipografo, poi fu
    ritirata; poi rimandata di nuovo alla stamperia, e di nuovo
    ritirata(999). Coloro i quali volevano si adoperassero mezzi
    rigorosi, consigliavano un diverso provvedimento: citare, cioè,
    dinanzi alla Commissione Ecclesiastica i prelati che avevano firmata
    la petizione, e deporli dalle loro sedi. Ma contro questo partito
    sorsero forti obiezioni in Consiglio. Era stato annunziato che le
    Camere verrebbero convocate innanzi la fine dell'anno. I Lordi
    considererebbero come nulla la sentenza di deposizione contro i
    vescovi, insisterebbero che Sancroft e i suoi colleghi fossero
    ammessi ai loro seggi nel Parlamento, e ricuserebbero di riconoscere
    un nuovo Arcivescovo di Canterbury o un nuovo Vescovo di Bath e
    Wells. In tal modo, la sessione, la quale pareva dovere essere per
    sè stessa bastevolmente procellosa, incomincerebbe con una mortale
    contesa tra la Corona e i Pari. Se quindi reputavasi necessario
    punire i vescovi, ciò doveva farsi secondo l'usanza delle Leggi
    Inglesi. Sunderland fin da principio si era opposto, per quanto gli
    fu possibile, alla Ordinanza in Consiglio. Adesso suggerì di
    prendere una via, la quale se non era scevra d'inconvenienti, era la
    più prudente e la più dignitosa che fra tanti sbagli rimanesse
    aperta al Governo. Il Re con grazia e dignità annunzierebbe al mondo
    essere profondamente dolente della indebita condotta della Chiesa
    Anglicana, ma non potere porre in oblio tutti i servigi resi da
    quella, in perigliosi tempi, al padre, al fratello ed a sè; non
    volere egli, come fautore della libertà di coscienza, trattare
    rigorosamente uomini ai quali la coscienza, comecchè mal consigliata
    e piena d'irragionevoli scrupoli, non consentiva d'ubbidire ai suoi
    comandi; per la qual cosa abbandonerebbe i colpevoli a quella pena
    che loro infliggerebbe il rimorso, quando, meditando pacatamente
    sulle azioni proprie, le raffrontassero con quelle dottrine di
    lealtà, delle quali menavano sì gran vanto. Non solo Powis e
    Bellasyse, i quali avevano sempre consigliato moderazione, ma anco
    Dover ed Arundell inchinavano alla proposta di Sunderland. Jeffreys,
    dall'altro canto, sosteneva che il Governo sarebbe disonorato ove
    siffatti trasgressori, quali erano i sette vescovi, si punissero con
    una semplice riprensione. Nondimeno ei non desiderava che venissero
    citati dinanzi la Commissione Ecclesiastica, della quale egli era
    capo, o per dir meglio, solo Giudice: imperocchè il peso dell'odio
    pubblico che già lo premeva, era troppo anco per la sua svergognata
    fronte e il suo cuore indurato; e rifuggiva dalla responsabilità in
    cui sarebbe incorso pronunziando una sentenza illegale contro i
    governanti della Chiesa amati tanto dalla nazione. E però propose di
    perseguitarli criminalmente.
    
    XLVI. Fu quindi determinato che lo Arcivescovo e gli altri sei che
    avevano firmata la petizione, fossero tradotti dinanzi la Corte del
    Banco del Re, come autori di un libello sedizioso. Non era da
    dubitarsi che verrebbero dichiarati rei. I giudici e gli ufficiali
    loro erano cagnotti della Corte. Dal dì in cui la Città di Londra
    era stata privata dello Statuto Municipale, nè anche uno di coloro i
    quali il Governo aveva voluto punire, era stato assoluto da'
    Giurati. I prelati disubbidienti sarebbero probabilmente condannati
    a rovinose multe ed a lunga prigionia, e si reputerebbero bene
    avventurati di potersi redimere, secondando, e dentro e fuori il
    Parlamento, i disegni del sovrano(1000).
    
    Il dì 27 maggio fu intimato ai Vescovi di appresentarsi pel giorno
    ottavo di giugno dinanzi il Consiglio del Re. Non sappiamo perchè
    fosse loro dato sì lungo periodo di tempo. Forse Giacomo sperava che
    alcuni de' colpevoli, paventando la sua collera, cedessero pria che
    giungesse il giorno stabilito a leggere la Dichiarazione nelle loro
    diocesi, e a fine di pacificarsi secolui, persuadessero il loro
    clero ad obbedire al regio decreto. Se tale era la sua speranza,
    egli sperò invano. Giunta la domenica del 3 giugno, in tutta
    Inghilterra fu seguíto lo esempio della Metropoli. Già i Vescovi di
    Norwich, Gloucester, Salisbury, Winchester, ed Exeter, avevano, in
    pegno dell'approvazione loro, firmate alcune copie della petizione.
    Il Vescovo di Worchester aveva rifiutato di distribuire la
    Dichiarazione fra il suo clero. Il Vescovo di Hereford l'aveva
    distribuita; ma comunemente credevasi che egli, per avere ciò fatto,
    fosse straziato dal rimorso e dalla vergogna. Neppure un solo prete
    di parrocchia fra cinquanta ubbidì alla Ordinanza in Consiglio.
    Nella grande diocesi di Chester, la quale comprendeva la Contea di
    Lancastro, Cartwright non potè persuadere altri che tre soli
    ecclesiastici ad obbedire al Re. Nella diocesi di Norwich sono molte
    centinaia di parrocchie, e non pertanto in sole quattro fu letta la
    Dichiarazione. Il cortigiano Vescovo di Rochester non potè vincere
    gli scrupoli del cappellano di Chatam, il cui pane dipendeva dal
    Governo. Esiste tuttora una commovente lettera che questo buon
    sacerdote scrisse al Segretario dello Ammiragliato. "Io non posso"
    diceva egli "sperare la protezione di Vostra Eccellenza. Sia fatta
    la volontà di Dio. Io scelgo i patimenti più presto che il
    peccato(1001)."
    
    XLVII. La sera dell'8 giugno i sette prelati, provvedutisi
    dell'assistenza de' più illustri giureconsulti d'Inghilterra, si
    condussero a palazzo, e furono introdotti nella camera del
    Consiglio. La loro petizione era sulla tavola. Il Cancelliere la
    prese in mano, e mostrandola allo Arcivescovo disse: "È questa la
    carta scritta da Vostra Eccellenza Reverendissima, e presentata a
    Sua Maestà da' sei Vescovi qui presenti?" Sancroft guardò il foglio,
    e volgendosi al Re favellò in questa guisa: "Sire, io mi sto in
    questo luogo in sembianza di colpevole; io non lo era mai stato per
    lo innanzi, e non credevo mai che un giorno lo sarei. Meno anco
    avrei potuto credere che fossi accusato d'offesa contro il mio Re:
    ma se ho la sventura di trovarmi in questa condizione, prego Vostra
    Maestà di non offendersi, se mi valgo del mio legittimo diritto,
    ricusando di dire cosa che mi possa rendere reo." - "Cotesti sono
    pretti cavilli," disse il Re. "Spero che Vostra Eccellenza non osi
    negare la propria scrittura." - "Sire," disse Lloyd che aveva molto
    studiato i casisti, "tutti i teologi concordano ad asserire che un
    uomo in situazione pari alla nostra può ricusare di rispondere ad
    una simile domanda." Il Re, che era tardo di mente quanto corrivo a
    riscaldarsi il sangue, non intese le parole del prelato; ed
    insisteva e andava viepiù montando in collera. "Sire," disse lo
    Arcivescovo, "io non sono tenuto ad accusare me stesso. Nondimeno se
    Vostra Maestà positivamente mi comanda di rispondere, obbedirò con
    la fiducia che un principe giusto e generoso non permetta che ciò
    ch'io dico per ubbidire agli ordini suoi, sia considerato come
    argomento ad incriminarmi." - "Voi non dovete venire a patti col
    vostro Sovrano," disse il Cancelliere. "No," esclamò il Re. "Io non
    vi comando questo. Se a voi parrà di negare la vostra scrittura, non
    ho più nulla a dire."
    
    I Vescovi furono più volte fatti uscire dalla sala, e più volte
    richiamati. Alla perfine, Giacomo positivamente comandò loro di
    rispondere alla domanda. Non promise espressamente che la
    confessione non verrebbe considerata come argomento contro di loro.
    Ma essi non senza ragione supponevano che dopo la protesta fatta
    dallo Arcivescovo e la risposta data dal Re, un tale impegno fosse
    sottinteso nel suo comando. Sancroft riconobbe per suo lo scritto, e
    i suoi confratelli ne seguirono lo esempio. Allora furono
    interrogati intorno alla significanza d'alcune parole della
    petizione, e intorno alla lettera che era andata in giro con tanto
    effetto per tutto il Regno: ma le loro parole furono così
    circospette, che il Consiglio non potè ricavare nulla dallo esame.
    Il Cancelliere quindi annunziò loro che verrebbe fatto contro essi
    un processo criminale nella Corte del Banco del Re, e intimò che
    sottoscrivessero l'obbligo di presentarsi. Ricusarono allegando il
    privilegio della Paria: imperocchè i migliori giuristi di
    Westminster Hall avevano assicurato loro che nessun Pari poteva
    esser costretto a firmare il predetto obbligo per accusa di libello;
    ed essi non reputavansi in diritto di rinunciare al privilegio
    dell'ordine loro. Il Re fu tanto stolto da stimarsi personalmente
    offeso, perchè, in una questione legale, si richiamavano al parere
    de' dottori della legge. "Voi prestate fede a chiunque, fuori che a
    me," disse egli. E davvero sentivasi mortificato e trepidava come
    quegli che s'era spinto tanto oltre, che, persistendo essi, a lui
    non rimaneva altro partito che gettarli in carcere; e quantunque non
    prevedesse punto tutte le conseguenze di un tale passo, forse le
    prevedeva tanto da esserne perturbato. I Vescovi rimasero fermissimi
    nel loro proposto. Fu quindi spedito un mandato al Luogotenente
    della Torre per tenerli in custodia, ed apparecchiata una barca a
    trasportarveli pel fiume(1002).
    
    XLVIII. Sapevasi in tutta Londra che i Vescovi erano dinanzi al
    Consiglio. La pubblica ansietà era infinita. Una grande moltitudine
    s'accalcava nei cortili di Whitehall e nelle vie circostanti. Molti
    avevano costume di recarsi sulle rive del Tamigi a godervi il fresco
    nelle sere estive. Ma in cotesta sera tuttoquanto il fiume era
    coperto di barche. Come i sette Vescovi comparvero circondati dalle
    guardie, l'emozione del popolo ruppe ogni freno. La gente a migliaia
    cadde inginocchioni pregando ad alta voce per coloro, i quali,
    animati dal coraggio di Ridley e di Latimer, avevano affrontato il
    tiranno reso insano di tutta la bacchettoneria di Maria la
    Bevisangue. Molti gettaronsi nelle acque fino al petto, implorando
    dai Padri Santi la benedizione. Per tutto il fiume, da Whitehall
    fino al Ponte di Londra, la barca regia passò fra mezzo a due file
    di gondole, dalle quali moveva unanime il grido: "Dio benedica alle
    Vostre Eccellenze Reverendissime." Il Re grandemente impaurito,
    comandò che si raddoppiasse il presidio della Torre, che le Guardie
    si tenessero pronte a combattere, e che si staccassero due compagnie
    da ogni reggimento nel Regno, e si dirigessero subito a Londra. Ma
    le milizie ch'egli reputava mezzo precipuo a coartare il popolo,
    partecipavano al sentire del popolo. Le stesse sentinelle che
    facevano la guardia alla Porta de' Traditori, chiedevano la
    benedizione ai martiri affidati alla loro custodia. Sir Eduardo
    Hales, Luogotenente della Torre, era poco propenso a usare cortesia
    a' suoi prigionieri: perocchè aveva rinnegata la Chiesa per la quale
    essi tanto pativano, ed occupava vari uffici lucrosi per virtù di
    quella potestà di dispensare, contro la quale essi avevano
    protestato. Arse di sdegno allorchè seppe che i suoi soldati
    bevevano alla salute de' Vescovi, e ordinò agli ufficiali che(1003)
    provvedessero che lo scandalo non fosse ripetuto. Ma gli ufficiali
    riferirono non esservi modo a impedire la cosa, e che il presidio
    non voleva bere alla salute di nessun altro. Nè solo con siffatti
    festeggiamenti i soldati mostravano riverenza ai padri della Chiesa.
    Si videro entro la Torre tali segni di divozione, che i pii
    sacerdoti ringraziavano Dio di avere fatto nascere il bene dal male,
    e reso la persecuzione de' suoi servi fedeli mezzo di salvazione a
    molte anime. Per tutto il giorno i cocchi e le livree de' primi
    nobili dell'Inghilterra vedevansi attorno alle porte della prigione.
    Migliaia di spettatori coprivano di continuo Tower-Hill(1004). Ma
    fra le testimonianze della pubblica riverenza e simpatia che i
    prelati ricevevano, ve ne fu una la quale, sopra tutte, recò sdegno
    e paura al Re. Egli seppe che una deputazione di dieci ministri
    Non-Conformisti erasi recata alla Torre. Ne fece venire quattro
    dinanzi al suo cospetto, ed aspramente rimproverolli. Costoro
    animosamente risposero come essi reputavano debito loro porre in
    oblio i passati litigi, e collegarsi con gli uomini che difendevano
    la Religione Protestante(1005).
    
    XLIX. Le porte della Torre s'erano appena chiuse dietro a' prigioni,
    allorquando sopraggiunse un fatto ad accrescere il pubblico
    concitamento. Era stato annunziato che la Regina non avrebbe
    partorito avanti il mese di Luglio. Ma il dì dopo che i Vescovi
    s'erano presentati dinanzi al Consiglio, e' fu notato come il Re
    fosse inquieto per lei. La sera, non pertanto, ella giuocò a carte
    in Whitehall fin presso la mezzanotte. Poi fu menata in portantina
    al Palazzo di San Giacomo, dove le era stato in fretta apparecchiato
    un appartamento a riceverla. Allora si videro vari messi correre qua
    e colà in cerca di medici, di preti, di Lordi del Consiglio, di dame
    di Corte. In poche ore molti pubblici ufficiali e signore d'alto
    grado si raccolsero nella camera della Regina. Ivi la domenica
    mattina del dì 10 di giugno, giorno per lungo tempo celebrato come
    sacro dai troppo fedeli partigiani d'una malvagia causa, nacque il
    più sventurato de' principi, destinato a settanta anni di vita esule
    e raminga, di vani disegni, di onori più amari degl'insulti, e di
    speranze che fanno sanguinare il cuore.
    
    Le calamità della povera creatura cominciarono innanzi la sua
    nascita. La nazione sopra la quale, secondo il corso ordinario della
    successione, egli doveva regnare, era profondamente persuasa che la
    Regina non fosse gravida. Per quanto fossero evidenti le prove della
    verità del parto, un numero considerevole di persone si sarebbe
    forse ostinato a sostenere che i Gesuiti avessero destramente fatto
    un giuoco di mano: e le prove, parte per caso, parte per grave
    imprudenza, sottostavano a non poche obiezioni. Molti d'ambo i sessi
    trovavansi dentro la camera della puerpera nel momento che nacque il
    bambino, ma nessuno di loro godeva largamente la pubblica fiducia.
    De' Consiglieri Privati, ivi presenti, mezzi erano Cattolici Romani;
    e coloro che chiamavansi Protestanti venivano comunemente reputati
    traditori della patria e di Dio. Molte delle cameriste erano
    Francesi, Italiane e Portoghesi. Delle dame inglesi alcune erano
    Papiste ed altre mogli di Papisti. Taluni che avevano diritto
    speciale ad essere presenti, e la cui testimonianza avrebbe
    satisfatto a tutti gl'intelletti accessibili alla ragione, erano
    assenti; e di ciò il Re fu tenuto responsabile. Tra tutti gli
    abitatori della isola, la Principessa Anna era colei che avesse
    maggiore interesse nella cosa. Il sesso e la esperienza la rendevano
    adatta a proteggere il diritto ereditario della sua sorella e suo
    proprio. Le si era nell'anima fortemente insinuato il sospetto che
    veniva confermato da circostanze frivole o immaginarie. Credeva che
    la Regina con grande studio fuggisse la vigilanza della cognata, ed
    attribuiva a colpa una riserva che forse nasceva da
    delicatezza(1006). Incitata da tali sospetti, Anna aveva deliberato
    di trovarsi presente e vigilare quando sarebbe giunto il gran
    giorno. Ma non aveva estimato necessario trovarsi al suo posto un
    mese innanzi, e come si disse, seguendo il consiglio del padre, era
    andata a bere le acque di Bath. Sancroft, che pel suo eminente
    ufficio era in debito di trovarsi presente, e nella cui probità la
    nazione aveva piena fiducia, poche ore prima era stato rinchiuso da
    Giacomo dentro la Torre. Gli Hydes erano protettori naturali de'
    diritti delle due Principesse. Lo Ambasciatore Olandese poteva
    essere considerato come rappresentante di Guglielmo, il quale, come
    primo principe del sangue e marito della figlia maggiore del Re,
    aveva sommo interesse a vedere con gli occhi propri ciò che seguiva.
    Giacomo non pensò mai di chiamare nessuno, nè maschio nè femmina,
    della famiglia Hyde; nè lo Ambasciatore Olandese fu invitato a
    trovarsi presente.
    
    I posteri hanno pienamente assoluto il Re della frode imputatagli
    dal suo popolo. Ma torna impossibile lo assolverlo di quella insania
    e testardaggine che spiegano e scusano lo errore de' suoi coetanei.
    Conosceva benissimo i sospetti sparsi per tutto il reame(1007);
    avrebbe dovuto sapere che non potevano dileguarsi alla sola
    testimonianza de' membri della Chiesa di Roma, o di tali, che
    sebbene si facessero chiamare membri della Chiesa d'Inghilterra, si
    erano mostrati pronti a sacrificare gli interessi di quella per
    ottenere il regio favore. Che il fatto fosse giunto imprevisto al
    Re, è innegabile: ma ebbe dodici ore di tempo a disporre le cose.
    Non gli fu difficile empire il palazzo di San Giacomo con una folla
    di bacchettoni e di parassiti, nella cui parola la nazione non aveva
    punto fiducia. Sarebbe stato egualmente facile invitare alcuni
    eminenti personaggi, il cui affetto verso le Principesse e la
    religione dello Stato non ammetteva dubbio nessuno.
    
    Tempo dopo, allorquando egli aveva già caramente pagato il suo
    temerario spregio della pubblica opinione, era usanza in San Germano
    escusare lui gettandone sugli altri il biasimo. Alcuni Giacomisti
    accusarono Anna di essersi appositamente tenuta da parte. Anzi non
    vergognarono d'affermare che Sancroft aveva astutamente provocato il
    Re per essere imprigionato nella Torre, onde mancasse il suo
    attestato che avrebbe dissipate le calunnie de' malcontenti(1008).
    L'assurdità di tali accuse è evidente. Era egli possibile che Anna o
    Sancroft prevedessero che la Regina avesse ad ingannarsi d'un mese
    ne' propri calcoli? Se ella avesse calcolato rettamente, Anna
    sarebbe ritornata da Bath, e Sancroft sarebbe uscito dalla Torre per
    trovarsi al posto loro pel tempo del parto. In ogni modo gli zii
    paterni delle figlie del Re non erano nè lontani nè in carcere. Il
    messo, il quale recò lo annunzio a tutto il drappello de' rinnegati,
    Dover, Peterborough, Murray, Sunderland, e Mulgrave, lo avrebbe con
    la stessa facilità recato a Clarendon, il quale, come essi, era
    membro del Consiglio Privato. La sua casa in Jermyn Street non
    distava più di dugento passi dalla camera della Regina, e nondimeno
    gli toccò a sapere, dall'agitarsi e dal sussurrare della
    congregazione nella Chiesa di San Giacomo, che la sua nipote non era
    più la erede presuntiva della Corona(1009). Non fu egli chiamato
    forse perchè era il più prossimo parente delle Principesse d'Orange
    e di Danimarca, o perchè invariabilmente aderiva alla Chiesa
    Anglicana?
    
    La nazione diceva con grido unanime che v'era stato di mezzo una
    impostura. I papisti, per parecchi mesi, avevano predetto nelle
    prediche e negli scritti loro, in prosa e in verso, in inglese e in
    latino, che Dio concederebbe alle preci della Chiesa un Principe di
    Galles: e i loro vaticinii oggimai s'erano avverati. Tutti i
    testimoni che non potevano essere ingannati o corrotti, erano stati
    con sommo studio esclusi. Anna era stata gabbata mandandola a Bath.
    Il Primate, la vigilia del dì stabilito a compiere la scellerata
    opera, era stato gettato in carcere in onta ad ogni uso di legge e
    ai privilegi della Paria. Non s'era permesso che vi si trovasse
    presente nè anche un solo degli uomini o delle donne, che avessero
    il più lieve interesse a smascherare la frode. La Regina era stata,
    nel cuore della notte e improvvisamente, condotta al palazzo di San
    Giacomo, perocchè in quello edifizio, meno adatto di Whitehall agli
    onesti comodi, aveva stanze e aditi bene convenevoli alle intenzioni
    de' Gesuiti. Quivi, fra una congrega di zelanti, i quali non
    reputavano delitto nessuna cosa che tendesse a promuovere
    gl'interessi della Chiesa loro, e di cortigiani che non istimavano
    criminoso nulla che tendesse ad arricchirli ed inalzarli, un bambino
    nato pur allora era stato messo di furto nel regio talamo, e quindi
    mostrato in trionfo come lo erede di tre Regni. Col cervello
    infiammato da tali sospetti, ingiusti a dir vero, ma non innaturali,
    gli uomini affollavansi più che mai a rendere omaggio a quelle sante
    vittime del tiranno, il quale, dopo d'avere per tanto tempo recato
    iniquissimi danni al suo popolo, aveva adesso colma la misura della
    iniquità sua, mostrandosi proditoriamente ingiusto contro le proprie
    creature(1010).
    
    Il Principe d'Orange, non sospettando di nessuna frode, e ignorando
    qual fosse la opinione pubblica in Inghilterra, ordinò che si
    facessero in casa sua preghiere pel bene del suo piccolo cognato, e
    spedì Zulestein a Londra a congratularsi col suocero. Zulestein
    maravigliò udendo tutte le persone nelle quali s'imbatteva, parlare
    apertamente della infame frode praticata dai Gesuiti, e ad ogni
    istante vedendo qualche nuova pasquinata intorno alla gravidanza; e
    al parto. Però scrisse all'Aja che in dieci uomini nè anche uno solo
    credeva che il fanciullo fosse nato dalla Regina(1011).
    
    Infrattanto il contegno dei sette prelati accresceva lo interesse
    che il caso loro aveva suscitato. La sera del Venerdì Nero - così il
    popolo chiamava il giorno in cui furono arrestati - giunsero al
    carcere all'ora del servizio divino. Recaronsi tosto alla cappella.
    Accadde che nella seconda lezione fossero queste parole: "In ogni
    cosa commendandoci, come ministri di Dio, nella molta pazienza,
    nelle afflizioni, nella miseria, nelle percosse, nelle prigionie."
    Tutti gli zelanti Anglicani gioirono della coincidenza, e
    rammentarono quanta consolazione una simile coincidenza, quaranta
    anni innanzi, aveva arrecata a Carlo I, in punto di morte.
    
    La sera del giorno seguente, ch'era sabato 8 giugno, giunse una
    lettera di Sunderland che ordinava al cappellano di leggere la
    Dichiarazione pel dì seguente fra mezzo agli uffici divini. E poichè
    il giorno stabilito dalla Ordinanza in Consiglio per la lettura da
    farsi in Londra, era da lungo tempo spirato, questo nuovo atto del
    Governo poteva considerarsi come vilissimo e puerile insulto fatto
    ai venerandi prigioni. Il cappellano ricusò d'obbedire; fu
    destituito, e la cappella venne chiusa(1012).
    
    L. I vescovi edificavano tutti quelli che stavano loro d'intorno,
    per la fermezza e la calma con che sostenevano la prigionia, per la
    modestia e mansuetudine onde accoglievano gli applausi e le
    benedizioni di tutto il paese, e per la lealtà ch'essi mostravano
    verso il loro persecutore, il quale agognava a distruggerli.
    Rimasero in carcere soli otto giorni. Il venerdì 15 giugno, ch'era
    il primo giorno dell'apertura del giudizio, furono condotti dinanzi
    al Banco del Re. Immensa folla di popolo stavasi lì ad aspettarli.
    Dagli scali del fiume fino alla Corte gli spettatori erano in lunghe
    file schierati, colmandoli di benedizioni o di applausi. "Amici,"
    dicevano i prigioni passando "onorate il Re; e ricordatevi di noi
    nelle vostre preci." Queste umili e pie parole commossero gli
    spettatori fino alle lacrime. Come essi giunsero al cospetto de'
    Giudici, il Procuratore Generale produsse la requisitoria, che aveva
    avuto incarico di preparare, e propose che agli accusati si desse
    ordine di favellare. I loro avvocati dall'altro canto obiettavano
    dicendo che i vescovi erano stati illegalmente rinchiusi in carcere,
    e quindi la loro presenza dinanzi la Corte non era regolare. Fu
    dibattuta lungamente la questione se un Pari fosse tenuto a firmare
    una obbligazione per presentarsi al giudizio, come incolpato di
    libello, e fu risoluta dalla maggior parte de' giudici a favore
    della Corona. I prigionieri allora si dichiararono non colpevoli. La
    discussione della causa fu rimessa a quindici giorni, cioè al 29
    giugno. Frattanto furono posti in libertà dopo d'essersi obbligati a
    presentarsi pel dì stabilito. I legati della Corona operarono con
    prudenza, non richiedendo mallevadorie. Imperciocchè Halifax aveva
    ordinate le cose in modo che ventuno Pari secolari fra' più cospicui
    fossero pronti a prestarsi come mallevadori, tre per ciascuno
    accusato; ed una tanta manifestazione di sentimento fra' nobili
    sarebbe stata di non lieve danno al Governo. Sapevasi ancora che uno
    de' più ricchi Dissenzienti della città aveva sollecitato l'onore di
    dare cauzione per Ken.
    
    Ai vescovi fu allora concesso di andarsene a casa loro. Il volgo che
    non s'intendeva punto della procedura giudiciaria che aveva avuto
    luogo nel Banco del Re, e che aveva veduto i suoi prediletti pastori
    condotti sotto stretta guardia a Westminster Hall, ed ora li vedeva
    uscirne liberi, immaginò che la buona causa prosperasse, e diede in
    uno scoppio d'applausi. Le campane sonavano in segno di gioia. Sprat
    rimase attonito vedendo il campanile della sua Abbadia fare eco agli
    altri, e lo fece subitamente tacere; ma ciò provocò sdegnose
    mormorazioni. Ai vescovi riusciva difficile sottrarsi alle
    importunità della folla che gli acclamava. Lloyd fu ritenuto nel
    cortile di Palazzo dagli ammiratori che si accalcavano d'intorno a
    toccargli la mano e baciargli il lembo della veste, finchè Clarendon
    non senza difficoltà lo trasse seco conducendolo a casa per una via
    traversa. Vuolsi che Cartwright fosse sì stolto da mischiarsi nella
    folla. Alcuno che lo vide in abito episcopale chiese e ricevè la
    benedizione. Ma un altro che gli stava accanto, gridò: "Sapete voi
    chi è colui che vi ha data la benedizione?" - "Certo ch'io lo so,"
    rispose il benedetto; "egli è uno de' Sette." - "No," riprese
    l'altro, "è il vescovo papista di Chester." - "O papista cane,"
    esclamò rabbiosamente il Protestante, "ripigliati la tua
    benedizione."
    
    Tale era il concorso e tale il concitamento del popolo, che lo
    Ambasciatore d'Olanda rimase meravigliato vedendo finire il giorno
    senza lo scoppio d'una insurrezione. Il re non era punto tranquillo.
    Per trovarsi parato a reprimere ogni commovimento, la mattina aveva
    passato in rivista in Hyde-Park vari battaglioni di fanteria. Non
    ostante, non è certo che in caso di bisogno le sue truppe gli
    avrebbero ubbidito. Quando Sancroft, nel pomeriggio, giunse a
    Lambeth, trovò i granatieri, i quali avevano quartiere in quel
    suburbio, dinanzi alla porta del suo palazzo. Schierati in fila a
    destra e a sinistra, gli chiedevano la benedizione mentre egli
    passava fra loro. A stento potè dissuaderli dallo accendere un falò
    ad onorare il suo ritorno a casa. Quella sera nondimeno furono molti
    i fuochi di gioia nella Città. Due Cattolici Romani che ebbero la
    indiscretezza di percuotere alcuni fanciulli intervenuti a cotesti
    festeggiamenti, furono presi dalla plebe, la quale strappò loro gli
    abiti, e ignominiosamente li segnò in fronte con un ferro
    infocato(1013).
    
    Sir Eduardo Hales si recò presso i vescovi chiedendo d'essere
    pagato. Essi rifiutarono di pagare cosa alcuna per una detenzione da
    essi considerata illegale, ad un officiale la cui commissione,
    secondo i principii loro, era nulla. Il Luogotenente accennò con
    intelligibilissime parole che ove gli cadessero nuovamente tra le
    mani, gli avrebbe messi ai ferri e fatti dormire sulla nuda terra. I
    vescovi risposero: "Siamo in disgrazia del Re, e profondamente ce ne
    rincresce; ma un suddito che ci minacci, invano perde il flato." Non
    è agevole immaginare quale fosse la indignazione del popolo,
    allorchè, concitato come era, seppe che un rinnegato della religione
    protestante, il quale teneva un comando in onta alle leggi
    fondamentali della Inghilterra, aveva osato minacciare a quegli
    ecclesiastici, venerandi per età e dignità, tutte le barbarie della
    Torre di Lollard(1014).
    
    LI. Innanzi che giungesse il giorno stabilito pel processo,
    l'agitazione erasi sparsa fino alle più remote parti dell'isola.
    Dalla Scozia i vescovi riceverono lettere con le quali i
    Presbiteriani di quel paese da tanto tempo e così acremente ostili
    alla prelatura, gli assicuravano della loro simpatia(1015). Il
    popolo di Cornwall, razza fiera, ardita, atletica, nella quale il
    sentimento della terra natia è più forte che in qualunque altra
    parte del Regno, fu grandemente commosso dal pericolo di Trelawney,
    da essi venerato meno come Principe della Chiesa che come capo d'una
    onorevole casata, ed erede, per venti generazioni, d'antenati i
    quali erano famosi avanti che i Normanni ponessero piede in
    Inghilterra. Per tutto il paese il contadiname cantava una ballata,
    della quale tuttavia si rammenta lo intercalare che diceva così:
    "Dovrà morire Trelawney, dovrà morire Trelawney? Allora trentamila
    giovani di Cornwall ne vorranno sapere il perchè." I minatori di
    fondo alle loro cave facevano eco a quel canto con questa leggiera
    variante: "Allora ventimila di sotto terra ne vorranno sapere il
    perchè(1016)."
    
    I contadini in molte parti di quelle contrade ad alta voce parlavano
    d'una strana speranza che non s'era mai spenta ne' loro cuori.
    Dicevano che il Duca Protestante, il loro diletto Monmouth tra breve
    si mostrerebbe, li condurrebbe alla vittoria, e calpesterebbe il Re
    e i Gesuiti(1017).
    
    I ministri erano costernati. Lo stesso Jeffreys sarebbe volentieri
    tornato addietro. Egli incaricò Clarendon d'un amichevole messaggio
    ai vescovi, e diede ad altrui la colpa della persecuzione da lui
    consigliata. Sunderland di nuovo rischiossi a provare la necessità
    di fare concessioni, dicendo come il fortunato nascimento dello
    erede del trono apprestasse al Re il destro di ritirarsi da una
    posizione piena di pericoli e d'inconvenevolezza senza acquistarsi
    il rimprovero di timidità o di capriccio. In cosiffatti felici
    eventi i sovrani avevano avuto costume di allegrare i sudditi con
    atti di clemenza, e nulla poteva tornare di tanta utilità al
    Principe di Galles, quanto l'essere, fino dalle fasce, pacificatore
    del padre con l'agitata nazione. Ma il Re stava più che mai duro.
    "Anderò avanti," diceva egli. "Finora sono stato troppo indulgente;
    e la indulgenza trasse mio padre alla rovina(1018).
    
    LII. L'artifizioso ministro si accòrse che Giacomo aveva per innanzi
    seguito i consigli di lui solamente perchè concordavano
    cogl'intendimenti suoi, e che dal momento in cui egli aveva
    cominciato a consigliare il bene, lo aveva fatto indarno. Nel
    processo contro il Collegio della Maddalena, Sunderland aveva
    mostrato segni di lentezza. S'era dianzi provato a persuadere il Re
    che il disegno di Tyrconnel di confiscare i beni de' coloni inglesi
    in Irlanda era pieno di pericoli, e col soccorso di Powis e
    Bellasyse aveva potuto ottenere che la esecuzione fosse differita ad
    un altro anno. Ma cotesta timidità e scrupolosità spiaceva al Re e
    gli aveva messo in cuore il sospetto(1019). Il giorno della
    giustizia era giunto per Sunderland. Egli trovavasi nelle condizioni
    in cui s'era, alcuni mesi prima, trovato Rochester. Entrambi questi
    uomini di Stato provarono l'angoscia di tenersi dolorosamente
    aggrappati al potere che visibilmente fuggiva loro di mano. Entrambi
    videro i suggerimenti loro con ischerno rigettati. Entrambi
    sentirono l'amarezza di leggere la collera e la diffidenza nel viso
    e negli atti del loro signore; e nondimeno il paese gli chiamò
    responsabili di que' delitti ed errori dai quali invano s'erano
    sforzati a dissuaderlo. Mentre sospettava ch'essi si studiassero di
    acquistarsi popolarità a danno dell'autorità e dignità loro, la voce
    pubblica altamente accusavali che volessero conseguire il regio
    favore a danno del proprio onore e del bene della nazione.
    Nondimeno, malgrado tutte le mortificazioni e le umiliazioni,
    ambidue si tennero attaccati allo ufficio con la tenacità d'un uomo
    che stia per annegarsi. Ambidue tentarono di rendersi propizio il Re
    simulando il desiderio di entrare nel grembo della sua Chiesa. Ma in
    ciò vi fu un limite che Rochester non osò travarcare. Si spinse fino
    sull'orlo dell'apostasia: ma retrocesse: e il mondo, a
    contemplazione della fermezza onde egli ricusò di fare l'ultimo
    passo, gli perdonò generosamente tutti i falli anteriori.
    
    LIII. Sunderland, meno scrupoloso e suscettibile di rossore,
    deliberò di scontare la sua moderazione e ricuperare la regia
    confidenza, con un atto, che ad un cuore che senta la importanza
    delle verità religiose, deve sembrare uno de' più infami delitti, e
    che gli stessi mondani considerano come ultimo eccesso di bassezza.
    Circa otto giorni innanzi il dì stabilito pel gran processo, venne
    pubblicamente annunziato ch'egli era Papista. Il Re raccontava con
    gioia questo nuovo trionfo della grazia divina. I cortigiani e gli
    ambasciatori facevano ogni sforzo a non perdere il contegno, mentre
    il rinnegato asseriva d'essere stato convinto da lungo tempo della
    impossibilità di trovare salvazione fuori della Chiesa di Roma, e
    che la sua coscienza non fu mai tranquilla finchè egli non ebbe
    rinunciato alle eresie nelle quali era stato educato. La nuova in
    breve si sparse. In tutti i Caffè raccontavasi come il primo
    Ministro d'Inghilterra, a piedi nudi, e con torcetto in mano, si
    fosse presentato alla porta della cappella regale, e umilmente
    picchiasse per essere messo dentro; come un prete di dentro
    dimandasse chi era egli; come Sunderland rispondesse: un povero
    peccatore, che lungo tempo aveva errato lungi dalla vera Chiesa,
    supplicare che la lo accogliesse e lo assolvesse; come allora le
    porte si aprissero, e il neofito fosse ammesso ai santi
    misteri(1020).
    
    LIV. Questa scandalosa apostasia altro non fece che accrescere lo
    interesse col quale la nazione aspettava il giorno in cui dovevano
    decidersi le sorti de' sette animosi confessori della Chiesa
    Anglicana. Il Re quindi pose ogni cura a mettere insieme un Collegio
    di giurati ligi alle sue voglie. I legali della Corona ebbero ordine
    di fare rigorosa inquisizione delle opinioni di coloro i cui nomi
    erano registrati nel libro de' liberi possidenti. Sir Samuele Astry,
    Cancelliere della Corona, il quale in simili casi doveva scegliere i
    nomi, fu chiamato a palazzo ed ebbe un colloquio con Giacomo alla
    presenza del Gran Cancelliere(1021). E' sembra che Sir Samuele
    facesse ogni sforzo: imperocchè fra i quarantotto individui da lui
    nominati, v'erano, come si disse, vari servitori del Re e vari
    Cattolici Romani(1022). Ma poichè gli avvocati de' vescovi avevano
    diritto di cassare otto nomi, e servi del Re e Cattolici furono
    rigettati. I legali della Corona ne rigettarono altri dodici: in tal
    guisa la lista venne ridotta a ventiquattro; e i dodici che
    risponderebbero i primi all'appello nominale dovevano giudicare del
    fatto.
    
    Il dì 29 giugno Westminster Hall, Old-Place-Yard, e New-Place-Yard,
    e tutte le vie circostanti per lungo tratto, erano accalcati di
    gente. Simigliante uditorio non fu veduto nè prima nè poi nella
    Corte del Banco del Re. Trentacinque Pari secolari del Regno furono
    contati fra mezzo alla folla(1023).
    
    Tutti e quattro i giudici della Corte erano ai loro seggi. Wright,
    il quale presedeva, era stato inalzato al suo alto ufficio sopra
    molti altri uomini di maggiore abilità e dottrina, solo perchè la
    servilità sua non conosceva scrupoli. Allybone era Papista, e del
    suo impiego andava debitore a quella potestà di dispensare, la cui
    legalità era materia alla presente discussione. Holloway fino allora
    era stato docile e utile strumento del Governo. Lo stesso Powell che
    godeva somma riputazione d'onestà, aveva partecipato a certi atti
    che era impossibile difendere. Nella famosa causa di Sir Eduardo
    Hales, Powis, esitando alquanto, a dir vero, e dopo qualche indugio,
    si era congiunto alla maggioranza del seggio, e in tal modo aveva
    impresso al proprio carattere una macchia che fu pienamente
    cancellata dalla onorevole condotta che ei tenne in questo giorno.
    
    La difesa d'ambe le parti non era punto equilibrata. Il Governo
    aveva da' suoi legali richiesto servigi così odiosi e disonorevoli
    che tutti i più esperti giureconsulti del partito Tory avevano,
    l'uno dopo l'altro, rifiutato di prestarsi, ed erano stati
    destituiti da' loro uffici. Sir Tommaso Powis, Procuratore Generale,
    era appena di terzo ordine nella sua professione. L'Avvocato
    Generale Sir Guglielmo Williams aveva mente viva e indomito
    coraggio, ma difettava di giudizio, amava il bisticciare, non sapeva
    governare le proprie passioni, ed era in odio e dispregio a tutti i
    partiti politici. I più notevoli assessori dell'uno e dell'altro
    erano Serjeant Trinder Cattolico Romano, e Sir Bartolommeo Shower
    Recorder di Londra, il quale era alquanto dotto negli studi legali,
    ma con le sue nauseanti adulazioni e col perpetuamente ridire il già
    detto apprestava materia di dileggio a Westminster Hall. Il Governo
    voleva assicurarsi i servigi di Maynard; ma costui dichiarò che in
    coscienza non poteva fare ciò che gli si chiedeva(1024).
    
    Dall'altra parte si stavano quasi tutti i più illustri ingegni di
    cui in quella età il fôro potesse gloriarsi. Sawyer e Finch, i
    quali, quando Giacomo ascese al trono, erano Procuratore ed Avvocato
    Generali, e mentre si perseguitavano i Whig sotto il regno di Carlo,
    avevano servito la Corona con soverchio ardore ed esito prospero,
    erano fra i difensori degli accusati. V'erano parimente altri due
    uomini, i quali, dopo che l'attività di Maynard era scemata col
    crescere degli anni, avevano reputazione d'essere i due migliori
    legali che si potessero trovare ne' tribunali. L'uno chiamavasi
    Pemberton, e nel tempo di Carlo II era stato Capo Giudice del Banco
    del Re; destituito poscia perchè troppo umano e moderato, aveva
    ripreso lo esercizio della sua professione. L'altro aveva nome
    Pollexfen; era stato per lungo tempo il principale assessore de'
    giudici nel loro periodico giro per le Contrade Occidentali, e
    quantunque avesse perduta ogni popolarità difendendo la Corona nel
    Tribunale di Sangue, e in specie arringando contro Alice Lisle, era
    a tutti noto ch'egli fosse internamente Whig, per non dire
    repubblicano. V'era anche Sir Creswell Levinz, uomo di grande
    dottrina ed esperienza, ma singolarmente pusillanime. Era stato
    destituito dal suo ufficio per avere avuto timore di servire ai fini
    del Governo. Adesso temeva di mostrarsi fra gli avvocati de'
    vescovi, e in sulle prime aveva ricusato d'assumerne la difesa: ma
    l'intero corpo de' procuratori che solevano impiegarlo, lo minacciò
    di non dargli più nessuna causa, qualora egli ricusasse di assumere
    quella de' vescovi(1025).
    
    Sir Giorgio Treby, abile e zelante Whig, il quale, vigente il
    vecchio Statuto, era stato Recorder di Londra, difendeva anch'ei gli
    accusati. Sir Giovanni Holt Avvocato Whig più illustre anco di
    Treby, non fu chiamato alla difesa, a cagione, per quanto sembra, di
    qualche pregiudizio che Sancroft aveva contro lui, ma venne
    privatamente consultato dal Vescovo di Londra(1026). Il più giovane
    fra i difensori era un avvocato chiamato Giovanni Somers. Non aveva
    vantaggio di nascita o di ricchezza, nè fino allora aveva avuto il
    destro di acquistare reputazione agli occhi del pubblico: ma il suo
    genio, la sua industria, le sue grandi e varie qualità erano note a
    parecchi suoi amici; e nonostanti le sue opinioni Whig, il suo
    giusto e lucido modo d'argomentare, e la costante irreprensibilità
    della condotta gli avevano già reso benevolo l'orecchio della Corte
    del Banco del Re. Johnstone aveva ai Vescovi energicamente
    dimostrata la importanza di averlo nella difesa; e dicesi che
    Pollexfen dichiarasse non esservi in Westminster Hall un uomo che
    potesse, al pari di Somers, trattare una questione storica e
    costituzionale.
    
    I giurati prestarono sacramento: erano tutti di condizione
    rispettabile. Ne era capo Sir Ruggiero Langley, baronetto d'antica
    ed onorevole famiglia. Gli erano colleghi un cavaliere e dieci
    scudieri, parecchi de' quali erano conosciuti come ricchi
    possidenti. V'erano alcuni Non-Conformisti, perocchè i Vescovi erano
    saviamente deliberati di non mostrare diffidenza de' protestanti
    Dissenzienti. Il solo Michele Arnold dava da temere, dacchè essendo
    egli il birraio del palazzo, sospettavasi che votasse a favore del
    Governo. Fu detto ch'egli amaramente si lamentasse della posizione
    in cui si trovava. "Qualunque cosa io faccia," disse egli "sono
    sicuro d'uscirne mezzo rovinato. Se dico: Non Colpevole, non venderò
    più la mia birra al Re; e se dico: Colpevole, non ne venderò più a
    nessun altro(1027)."
    
    Finalmente incominciò il processo. Ed è tale, che anche letto con
    freddezza dopo più d'un secolo e mezzo, serba tutto lo interesse
    d'un dramma. Gli avvocati disputavano da ambo i lati con insolito
    accanimento e veemenza; l'uditorio ascoltava con estrema ansietà,
    quasi la sorte di ciascuno dipendesse dal detto che dovevano
    profferire i giurati; e il volgere della fortuna era così subitaneo
    e maraviglioso, che la moltitudine in un solo momento più volte
    passò dall'ansietà alla gioia, e dalla gioia a più profonda ansietà.
    
    I Vescovi erano accusati d'avere pubblicato, nella Contea di
    Middlesex(1028), un falso, maligno, e sedizioso libello. Il
    Procuratore e lo Avvocato tentarono di provare la scrittura. A
    questo fine varie persone furono chiamate per testificare delle
    firme de' Vescovi. Ma i testimoni sentivano tanta ripugnanza che la
    Corte da nessuno di loro potè ottenere una sola chiara risposta.
    Pemberton, Pollexfen, e Levinz dichiararono che nessuna delle
    predette testimonianze era atta a convincere i giurati. Due de'
    Giudici, cioè Holloway e Powell, furono della stessa opinione; e in
    cuore agli spettatori crebbe la speranza. A un tratto i legali della
    Corona dissero di volere prendere una via diversa. Powis, con
    rossore e ripugnanza tali da non poterli dissimulare, pose nel banco
    de' testimoni Blathwayt ch'era uno degli scrivani del Consiglio
    Privato, e trovavasi presente quando i Vescovi furono interrogati
    dal Re. Blathwayt giurò di averli uditi riconoscere le loro firme.
    Tale testimonianza era decisiva. "Perchè dunque," disse il giudice
    Holloway al Procuratore Generale "se avevate cotesta prova, non
    l'avete prodotta in principio, senza farci perdere cotanto tempo?"
    Allora si conobbe che la difesa della Corona non aveva voluto, senza
    assoluto bisogno, valersi di questo modo di prova. Pemberton
    interruppe Blathwayt, lo assoggettò ad un contro-esame, ed insistè
    perchè raccontasse pienamente tutto ciò ch'era seguito fra il Re e
    gli accusati. "Questa è curiosa davvero!" esclamò Williams. "Credete
    voi" disse Powis "di potere liberamente fare ai testimoni tutte le
    impertinenti domande che vi passano pel capo?" Gli avvocati de'
    Vescovi non erano uomini da lasciarsi soverchiare. "Egli ha giurato"
    rispose Pollexfen "di dire la verità, e tutta la verità; e a noi fa
    mestieri una risposta, e l'avremo." Il testimone si confuse,
    equivocò, simulò di fraintendere(1029) la domanda, implorò la
    protezione della Corte. Ma era caduto in mani dalle quali non era
    facile svincolarsi. Infine il Procuratore Generale s'interpose,
    dicendo: "Se voi persistete a fare tali dimande, diteci almeno l'uso
    che intendete di farne." Pemberton, il quale in tutto il
    dibattimento aveva fatto il debito proprio da uomo coraggioso ed
    accorto, rispose senza esitare: "Signori, risponderò al Procuratore,
    ed agirò schiettamente con la Corte. Se i Vescovi riconobbero questo
    scritto sulla promessa della Maestà Sua che la loro confessione non
    verrebbe adoperata come arma a ferirli, spero che l'Accusa non se ne
    voglia slealmente giovare." - "Voi attribuite a Sua Maestà una cosa
    ch'io non ardisco nominare," disse Williams, "e dacchè vi piace di
    essere tanto importuno, chiedo a nome del Re, che se ne prenda
    ricordo." - "Che intendete dire, Signore Avvocato Generale?" disse,
    interponendosi, Sawyer. "So io quello che dico," rispose lo
    apostata; "voglio che nella Corte si prenda ricordo della domanda."
    - "Prendete quanti ricordi vi aggrada, io non vi temo, Signore
    Avvocato Generale," disse Pemberton. Seguì quindi un rumoroso ed
    accanito alterco, che a stento fu fatto cessare dal Capo Giudice. In
    altre circostanze probabilmente avrebbe ordinato di prendere ricordo
    della domanda, e mandato Pemberton in carcere. Ma in quel gran
    giorno egli era impaurito. Spesso gettava gli occhi su quel folto
    drappello di Conti e di Baroni, che lo invigilavano, e forse alla
    prima apertura del Parlamento potevano essergli giudici. Uno degli
    astanti affermò che il Capo Giudice aveva tal viso come se credesse
    ciascuno de' Pari ivi presenti avesse nella propria tasca un
    capestro(1030).
    
    Finalmente Blathwayt fu costretto a fare un minuto racconto di ciò
    che aveva veduto con gli occhi propri. Da quanto egli disse pareva
    che il Re non fosse venuto ad espresso patto coi Vescovi. Ma pareva
    medesimamente che i Vescovi potessero con tutta ragione credere che
    il patto fosse sottinteso. A dir vero, dalla ripugnanza che avevano
    i legali della Corona a porre nel banco de' testimoni lo scrivano
    del Consiglio, e dalla virulenza con che s'opposero al contro-esame
    di Pemberton, chiaro si deduce che avessero la stessa opinione.
    
    Nondimeno rimase provato che la scrittura era de' Vescovi. Ma surse
    una nuova e più grave obiezione. Non bastava che i Vescovi avessero
    scritto l'allegato libello; era necessario provare che lo avevano
    scritto nella Contea di Middlesex(1031). La qual cosa non solo non
    potevano provare il Procuratore e l'Avvocato Generale, ma la Difesa
    aveva i mezzi di provare il contrario. Imperocchè avvenne che dal
    tempo in cui fu pubblicata l'Ordinanza in Consiglio, fino a dopo che
    la petizione era stata presentata al Re, Sancroft non fosse nè anche
    una volta uscito dal suo palazzo di Lambeth. In tal guisa ruinava al
    tutto il fondamento sul quale posava l'Accusa, e l'uditorio con gran
    gioia aspettavasi che i Vescovi fossero immediatamente prosciolti.
    
    I legali della Corona di nuovo cangiarono tattica, ed abbandonando
    affatto l'accusa d'avere scritto un libello, impresero a provare che
    i Vescovi avevano pubblicato un libello nella Contea di Middlessex.
    E anche ciò era molto difficile a provare. La consegna della
    petizione al Re, indubitabilmente, agli occhi della legge, era lo
    stesso che pubblicarla. Ma in che guisa provare siffatta consegna?
    Niuno nelle regie stanze s'era trovato presente all'udienza. La
    scena era seguita solo tra il Re e gli accusati. Il Re non poteva
    essere chiamato in testimonio; non v'era dunque altro mezzo a
    provare la cosa che la confessione degli accusati. Indarno Blathwayt
    venne nuovamente esaminato. Disse di rammentarsi bene che i Vescovi
    avevano riconosciute le loro firme; ma non si ricordava affatto che
    confessassero che lo scritto che era sul banco del Consiglio
    Privato, fosse quel medesimo che avevano posto nelle mani del Re;
    non si ricordava nè anco che venissero sopra ciò interrogati. Furono
    chiamati vari altri ufficiali ch'erano di servizio al Consiglio
    Privato, e fra essi Samuele Pepys segretario dello Ammiragliato; ma
    nessuno di loro potè rammentarsi che si parlasse della consegna.
    Nulla valse che Williams accatastasse le domande, finchè la difesa
    de' Vescovi dichiarò che tante storture, tante sottigliezze, tanti
    cavilli non s'erano mai veduti in nessuna corte di giustizia; e lo
    stesso Wright fu costretto a confessare che il modo tenuto dallo
    Avvocato Generale nello esame de' testimoni era contrario a tutte le
    regole. Come i testimoni, l'uno dopo l'altro, negativamente
    rispondevano, gli astanti davano in tali scoppi di riso e grida di
    trionfo, che parevano far crollare la sala e che i giudici non
    s'attentavano di reprimere.
    
    Finalmente la vittoria de' Vescovi pareva assicurata. Se i loro
    difensori si fossero taciuti, la sentenza favorevole sarebbe stata
    sicura; perocchè non v'era nessuno attestato che dal più corrotto e
    svergognato giudice potesse considerarsi come prova legale della
    pubblicazione. Il Capo Giudice incominciava già a favellare ai
    giurati, e avrebbe sicuramente loro inculcato di assolvere gli
    accusati, allorquando Finch, con somma imprudenza, chiese licenza di
    parlare, "Se volete essere ascoltato," disse Wright, "lo sarete: ma
    voi non conoscete i vostri interessi." Gli altri difensori fecero si
    che Finch tacesse, e pregarono il Capo Giudice a continuare. E già
    ricominciava a favellare, allorchè giunse allo Avvocato Generale un
    messo, recando la nuova che Lord Sunderland proverebbe la
    pubblicazione, e arriverebbe fra un istante alla Corte. Wright
    malignamente disse ai difensori non avessero a ringraziare altri che
    sè stessi per la nuova piega che erano per prendere le cose. Lo
    scoraggiamento si mostrò nello aspetto di ciascuno degli astanti.
    Finch per alcune ore fu l'uomo più impopolare del paese. Perchè egli
    non si stava seduto come avevano fatto i suoi colleghi, migliori di
    lui, Sawyer, Pemberton, e Pollexfen? Il prurito d'immischiarsi in
    ogni cosa, e l'ambizione ch'egli aveva di fare un bel discorso
    avevano rovinato tutto.
    
    Intanto il Lord Presidente fu condotto in portantina fra mezzo alla
    sala. Come egli passava nessuno gli faceva di cappello; e s'udirono
    molte voci che lo chiamavano "Papista cane." Giunse alla Corte
    pallido e tremante, cogli occhi bassi; e nel fare la sua
    deposizione, a quando a quando gli mancava la voce. Giurò che i
    Vescovi gli avevano palesato lo intendimento di presentare una
    petizione al Re, e che a tal fine erano stati introdotti nelle regie
    stanze. Questo fatto congiunto con l'altro, che dopo d'essersi
    partiti dalla presenza del Re, fu vista nelle mani di lui una
    petizione munita delle loro firme, era tal prova che poteva
    ragionevolmente convincere i giurati del fatto della pubblicazione.
    
    La pubblicazione adunque rimase provata. Ma lo scritto in tal guisa
    pubblicato era un libello falso, maligno, sedizioso? Fino a questo
    punto s'era discusso se un fatto, che ciascuno sapeva esser vero,
    potesse provarsi secondo le regole tecniche della scienza legale; ma
    adesso la contesa divenne assai più grave. Era necessario esaminare
    i limiti della prerogativa e della libertà, il diritto del Re a
    dispensare dagli statuti, il diritto de' sudditi a presentare
    petizioni a risarcimento di danni. Per tre ore gli avvocati degli
    accusati argomentarono con gran forza a difendere i principii
    fondamentali della costituzione, e provarono coi Giornali, ovvero
    processi verbali della Camera de' Comuni, che i Vescovi avevano
    detta la schietta verità quando dimostrarono al Re che la potestà di
    dispensare ch'egli voleva arrogarsi, era stata più volte dichiarata
    illegale dal Parlamento. Somers fu l'ultimo a perorare. Parlò poco
    più di cinque minuti; ma ogni parola che gli usci dalle labbra era
    pregna di significanza; e allorquando si assise, la sua reputazione
    d'oratore e di giureconsulto costituzionale era stabilita. Esaminò,
    una per una, tutte le parole adoperate dall'Accusa per esprimere il
    delitto imputato ai Vescovi, e mostrò che ciascuna, sia aggettivo,
    sia sostantivo, era affatto impropria. I Vescovi venivano accusati
    d'avere scritto e pubblicato un libello falso, maligno, e sedizioso.
    Lo scritto loro non era falso; perchè ogni fatto allegato provavano
    i Giornali del Parlamento esser vero. Lo scritto non era maligno;
    perchè gli accusati non avevano cercato pretesto ad una lotta, ma
    erano stati messi dal Governo in posizione tale che dovevano od
    opporsi al volere del Re, o violare i più sacri doveri della
    coscienza e dell'onore. Lo scritto non era sedizioso; perchè non era
    stato sparso dagli scrittori fra la plebe, ma privatamente messo da
    loro nelle mani del solo Re; e non era un libello, ma era una
    petizione decente, e tale che per le leggi della Inghilterra, anzi
    per le leggi di Roma Imperiale, per le leggi di tutti gli Stati
    inciviliti, un suddito che si creda gravato, può lecitamente
    presentare al Sovrano.
    
    Il Procuratore Generale nella sua risposta fu breve e fiacco. Lo
    Avvocato Generale parlò diffusissimamente e con grande acrimonia, e
    venne spesso interrotto da' clamori e dai fischi dell'uditorio.
    Giunse perfino ad affermare che nessun suddito o corporazione di
    sudditi, tranne le Camere del Parlamento, hanno diritto di
    presentare petizioni al Re. A tali parole le gallerie divennero
    furiose; e lo stesso Capo Giudice rimase attonito alla sfrontatezza
    di cotesto giubba-rivoltata.
    
    In fine Wright cominciò a riassumere la questione. Le sue parole
    mostravano che la paura ch'egli aveva del Governo era temperata da
    quella che gli aveva posta nell'animo un uditorio sì numeroso, sì
    illustre e sì grandemente concitato. Disse che non darebbe parere
    intorno alla questione della podestà di dispensare, poichè non lo
    reputava necessario; che non poteva approvare in gran parte il
    discorso dello Avvocato Generale; che i sudditi avevano diritto di
    far petizioni, ma che la petizione della quale facevasi dibattimento
    nella Corte, era formulata con parole sconvenevoli, e la legge la
    considerava come libello. Medesimamente opinò Allybone, ma nel
    favellare mostrò tanto grossolana ignoranza della legge e della
    storia, da meritarsi il disprezzo di tutti gli astanti. Holloway
    scansò la questione della potestà di dispensare, ma disse che la
    petizione gli sembrava tale quale i sudditi che si credano gravati
    hanno diritto di presentare; e quindi non era un libello. Powell
    ebbe anche maggiore ardimento. Confessò che, secondo lui, la
    Dichiarazione d'Indulgenza era nulla, e che la potestà di
    dispensare, nel modo onde dianzi s'era esercitata, era onninamente
    incompatibile con la legge. Se a tali usurpazioni della prerogativa
    non si poneva freno, il Parlamento era finito. Tutta l'autorità
    legislativa si ridurrebbe nelle mani del Re. "L'esito di questa
    faccenda, o Signori," disse egli, "lo lascio a Dio e alla vostra
    coscienza(1032)."  Era ben tardi quando i giurati si ritrassero
    a deliberare. E fu notte di forte ansietà. Ci rimangono alcune delle
    lettere che furono scritte in quelle ore di perplessità, e che
    perciò hanno per noi speciale interesse. "È assai tardi," scriveva
    il Nunzio del Papa, "e la sentenza finora non si conosce. I giudici
    e gli accusati se ne sono andati alle loro case. I giurati sono in
    sessione. Domani sapremo l'esito di questa gran lotta."
    
    Il patrocinatore de' Vescovi rimase tutta la notte con un numero di
    servi nelle scale che conducevano alla stanza dove i giurati
    deliberavano. Era impreteribile invigilare gli ufficiali che
    guardavano l'uscio; perocchè essendo costoro in sospetto di
    favoreggiare la Corona, ove non fossero rigorosamente sorvegliati,
    avrebbero potuto apprestare de' cibi a qualche giurato cortigiano,
    il quale avrebbe così affamato i colleghi. E però la gente dei
    Vescovi faceva stretta guardia. Non fu concesso nè anche
    d'introdurre una candela per accendere una pipa. Verso le ore
    quattro di mattina si lasciarono passare alcuni vasi d'acqua da
    lavarsi; e i giurati, ardendo di sete, la beverono tuttaquanta. Gran
    numero di gente si aggirò fino all'alba per le vie circostanti. Ogni
    ora giungeva da Whitehall un messo per sapere ciò che facevasi.
    Dalla stanza si udivano spesso le voci e gli alterchi de' giurati:
    ma non sapevasi nulla di certo(1033).
    
    In sul principio, nove opinavano che non vi fosse colpa, e tre che
    la vi fosse. Due della minoranza dopo poco cedettero; ma Arnold
    rimaneva ostinato. Tommaso Austin ricchissimo gentiluomo di
    campagna, il quale aveva prestata somma attenzione al detto de'
    testimoni e alla discussione, ed aveva preso copiosi appunti, voleva
    ragionare con Arnold; ma costui nol consentì, dicendo sgarbatamente
    ch'egli non era assuefatto ad argomentare e discutere; la sua
    coscienza non era satisfatta; e quindi egli non avrebbe dichiarati
    innocenti i Vescovi. "Se dite questo," disse Austin, "guardatevi
    bene. Io sono il più grasso e il più forte di tutti, e innanzi che
    altri mi costringa a chiamare libello simile petizione, mi starò qui
    finchè mi sarò ridotto alla grossezza d'una canna da pipa." Erano le
    ore sei della mattina, allorquando Arnold cedè. Tosto si sparse la
    voce che tutti i giurati erano d'accordo: ma il giudicio era sempre
    un segreto(1034).
    
    Alle ore dieci antimeridiane ragunossi di nuovo la Corte. La folla
    era immensa. I giurati si assisero ai posti loro. Nessuno osava
    alitare, era profondo silenzio.
    
    LV. Sir Samuele Astry disse ai giurati: "Trovate voi gli accusati, o
    alcuno di loro, colpevoli del delitto ad essi imputato, o gli
    trovate non colpevoli?" Sir Ruggiero Langley rispose: "Non
    colpevoli." Appena profferite queste parole, Halifax si alzò e
    scosse in aria il cappello. A quel segno, i banchi e le gallerie
    diedero in uno scoppio d'applausi. In un momento diecimila persone
    accalcate dentro la spaziosa sala risposero con sì fragorose grida
    di gioia che ne tremò il vecchio palco di quercia, e un istante dopo
    l'innumerevole turba che stava fuori levò tal grido d'allegrezza che
    fu udito fino a Temple-Bar, al quale grido risposero le barche che
    coprivano il Tamigi. Un tonfo d'arme risonò sul fiume, e poi un
    altro ancora, talmente che in pochi momenti la lieta nuova volò ai
    quartieri di Savoy e di Blackfriars fino al Ponte di Londra, ed alla
    selva di navi che oltre si distende. Come fu sparsa la nuova, le vie
    e le piazze, i mercati e i caffè echeggiavano d'acclamazioni. Eppure
    queste acclamazioni erano meno strane delle lacrime che si vedevano
    negli occhi di tutti: imperocchè i cuori di tutti erano stati
    trafitti a tal punto che l'austera natura degl'Inglesi, così poco
    avvezzi a mostrare con segni esteriori le interne emozioni, non potè
    resistere; e migliaia di persone singhiozzavano lacrimando di gioia.
    Infrattanto di mezzo alla folla movevansi uomini a cavallo
    dirigendosi per tutte le grandi vie, nunzi della vittoria riportata
    dalla Chiesa e dalla patria nostre. E non pertanto l'acre e
    intrepido animo dell'Avvocato Generale non impaurì a quella immensa
    esplosione. Sforzandosi di farsi udire, non ostante i clamori,
    richiese che i giudici facessero arrestare coloro, i quali con grida
    sediziose avevano violata la dignità del tribunale. I giudici fecero
    arrestare un popolano; ma pensando che sarebbe assurdo il punire un
    solo individuo per un delitto di cui erano rei centinaia di
    migliaia, lo mandarono via con una lieve riprensione(1035).
    
    Era inutile in quel momento pensare a qualunque altra cosa. E
    davvero i clamori della moltitudine erano tali, che per una mezza
    ora non fu possibile dire una sola parola nella Corte. Williams
    giunse alla sua vettura fra mezzo a una tempesta di fischi e
    d'imprecazioni. Cartwright, che non poteva frenare la propria
    curiosità, aveva avuta la stoltezza e la impudenza di recarsi a
    Westminster per udire la sentenza. Agli abiti sacerdotali e alla
    corpulenza fu riconosciuto, e fischiato passando per la sala.
    "Badate" diceva uno "al lupo sotto veste d'agnello." - "Fate largo"
    esclamò un altro "all'uomo che ha il papa nel ventre(1036)."
    
    I prelati, a fin d'evitare la folla che chiedeva la loro
    benedizione, si rifugiarono dentro la più vicina cappella, dove si
    celebravano gli uffici divini. Quel dì molte chiese erano aperte in
    tutta la metropoli, alle quali accorreva gran numero di persone pie.
    Le campane di tutte le parrocchie nella città e ne' luoghi
    circostanti sonavano a festa. Intanto i giurati non sapevano
    distrigarsi dalla calca per uscire dalla sala. Erano costretti a
    stringere le mani a centinaia. "Dio ve ne renda merito," esclamava
    la gente; "Dio protegga le vostre famiglie; vi siete portati da
    onesti e buoni gentiluomini; oggi voi ci avete salvato tutti." Come
    i nobili, i quali erano intervenuti alla udienza per proteggere la
    buona causa, si rimisero in carrozza, spargevano dagli sportelli
    pugni di monete fra il popolo, dicendogli bevesse alla salute del
    Re, de' Vescovi, e dei Giurati(1037).
    
    Il Procuratore Generale recò la trista nuova a Sunderland, il quale
    per avventura in quell'ora stavasi conversando col Nunzio. "Non vi
    sono state mai a memoria d'uomo" disse Powis "grida e lacrime di
    gioia come quelle d'oggi(1038)." Il Re in quel giorno era andato a
    visitare il campo in Hounslow Heath. Sunderland subitamente spedì un
    messo a dare la nuova a Giacomo, il quale in quello istante
    trovavasi entro la tenda di Feversham. Ne rimase estremamente
    turbato; esclamò in francese: "Peggio per loro!" e partì tosto per
    Londra. Presente lui, la riverenza impedì ai soldati la libera
    espansione de' loro cuori; ma appena egli si discostò dal campo,
    furono udite alte acclamazioni. Ne rimase maravigliato, e chiese che
    significasse quel frastuono. "Non è nulla," gli fu risposto: "i
    soldati tripudiano per la liberazione de' Vescovi." - "E voi
    chiamate nulla ciò?" disse Giacomo. E ripetè: "Peggio per
    loro(1039)."
    
    Ed aveva bene ragione d'essere di cattivo umore. La sua sconfitta
    era stata piena ed umiliantissima. Se i prelati si fossero sottratti
    alla condanna per difetto di forma nella procedura, o perchè non
    avevano scritta la petizione in Middlessex, o perchè era stato
    impossibile provare che avevano posto nelle mani del Re lo scritto
    pel quale la Corona gli aveva chiamati in giudizio, la prerogativa
    regia non avrebbe patito detrimento. Ma fu insigne ventura pel paese
    che il fatto della pubblicazione venisse pienamente provato. La
    Difesa quindi era stata costretta a combattere contro la potestà di
    dispensare, e l'aveva combattuta con audacia, dottrina ed eloquenza.
    Gli avvocati del Governo, come tutti vedevano, erano stati vinti
    nella contesa. Nemmeno un solo dei giudici erasi rischiato ad
    asserire che la Indulgenza fosse legale, chè anzi uno di loro
    l'aveva con forti parole dichiarata illegale. La nazione intera ad
    una voce diceva che la potestà di dispensare aveva ricevuto un colpo
    fatale. Finch, che il giorno precedente era stato universalmente
    vituperato, adesso ebbe plausi universali. Dicevasi ch'egli non
    aveva fatto decidere la causa in un modo che avrebbe lasciata nel
    dubbio la grande questione costituzionale: imperocchè una sentenza
    che avesse assoluto i suoi clienti, senza condannare la
    Dichiarazione d'Indulgenza, sarebbe stata una mezza vittoria. Vero è
    che Finch non meritava nè il biasimo che gli fu dato mentre l'esito
    della causa era ancora dubbio, nè le lodi che gli profusero dopo che
    l'esito fu prospero. Era assurdo vituperarlo, perchè, nel breve
    indugio di cui egli fu cagione, i legali della Corona scoprirono
    inaspettatamente novelle prove. Era egualmente assurdo supporre
    ch'egli per calcolo esponesse i suoi clienti al pericolo a fine di
    stabilire un principio generale: ed era anche più assurdo
    commendarlo di ciò che sarebbe stato violare gravemente il dovere
    della sua professione.
    
    A quel lieto giorno seguì una notte di non minore letizia. I
    Vescovi, ed alcuni de' loro più rispettabili amici, indarno
    sforzaronsi d'impedire ogni tumultuoso festeggiamento. Giammai a
    memoria de' più vecchi, nè anche in quella sera nella quale si
    sparse per tutta Londra la nuova che lo esercito di Scozia erasi
    dichiarato a favore d'un libero Parlamento, giammai le vie della
    città s'erano viste così splendenti di fuochi di gioia. Attorno ad
    ogni luminaria la folla beveva alla salute de' vescovi ed alla
    confusione de' Papisti. Le finestre erano illuminate con file di
    candele; ciascuna fila ne aveva sette, e il torcetto di mezzo che
    s'inalzava fra tutte, simboleggiava il Primate. S'udiva di continuo
    lo scoppio delle bombe e delle arme da fuoco. Una catasta di fascine
    ardeva di faccia alla porta maggiore di Whitehall; altre dinanzi
    alle case de' Pari Cattolici Romani. Lord Arundell di Vardour
    saviamente abbonì la marmaglia facendo distribuire un po' di moneta.
    Ma nel palazzo Salisbury nello Strand si provarono di fare
    resistenza. I servi di Lord Salisbury uscirono fuori e fecero fuoco;
    uccisero soltanto lo scaccino della parrocchia ch'era lì per
    ispengere le fiamme, e subito sconfitti furono ricacciati nel
    palazzo. Nessuno degli spettacoli di quella notte diede tanto
    sollazzo alla plebe quanto uno al quale pochi anni prima era
    assuefatta, e che adesso volle rinnovellare, voglio dire il
    bruciamento della effigie del Papa. Questo spettacolo, che un tempo
    era famigliare, è oggimai da noi conosciuto solamente per mezzo di
    descrizioni e d'incisioni. Una figura, in nulla somiglievole alle
    rozze immagini di Guido Faux che ai tempi nostri si conducono in
    processione il dì 5 novembre, ma fatta di cera con una certa arte, e
    adorna, con spesa non lieve, degli abiti pontificali e della tiara,
    era posta sopra una sedia somigliante a quella sulla quale i vescovi
    di Roma nelle grandi solennità vengono condotti in San Pietro fino
    allo altare maggiore. Sua Santità era generalmente accompagnata da
    un corteo di Cardinali e di Gesuiti. Gli stava accanto,
    chinandoglisi all'orecchio, un buffone travestito da demonio con le
    corna e la coda. Non vi era Protestante ricco e zelante che si
    mostrasse avaro di dare la sua ghinea per tal festa; e se debbasi
    credere alla voce popolare, la spesa della processione talvolta
    ascendeva a mille lire sterline. Dopo che la immagine del Papa era
    stata solennemente condotta per alcune ore fra mezzo alla folla, era
    data alle fiamme tra le fragorose acclamazioni degli astanti. Finchè
    durò la popolarità di Oates e di Shaftesbury questa cerimonia ebbe
    luogo ogni anno il dì natalizio della Regina Elisabetta, in
    Fleet-Street, di faccia alle finestre del Circolo Whig. Ed era tanta
    la celebrità di cotesto grottesco spettacolo, che Barillon una volta
    pose a repentaglio la propria vita, sporgendo la persona, per meglio
    vederlo, da un luogo ove erasi nascosto(1040). Ma dal giorno in cui
    fu scoperta la congiura di Rye House fino a quello in cui furono
    assoluti i sette Vescovi, la cerimonia era caduta in disuso. Adesso,
    nondimeno, vari fantocci rappresentanti il Papa si videro in varie
    parti di Londra. Il Nunzio ne rimase scandalizzato, e il Re sentì
    questo insulto più di tutti gli affronti fino allora ricevuti. I
    magistrati non poterono porvi impedimento alcuno. La domenica
    albeggiava, e le campane delle Chiese parrocchiali chiamavano i
    devoti alle preci mattutine, quando i fuochi cominciavano ad
    estinguersi e la folla a disperdersi. Fu allora promulgato un editto
    contro i perturbatori; molti de' quali - ed erano per la più parte
    giovani di bottega - furono arrestati; ma alle sessioni di
    Middlesex(1041) i giurati dichiararono non esservi luogo a
    procedere. I magistrati, molti de' quali erano cattolici romani,
    rimproverarono il Gran Giury, e gli rimandarono tre o quattro volte
    gl'incolpati, ma non poterono ottenere nulla(1042).
    
    LVI. Intanto la lieta nuova giungeva a volo in ogni parte del Regno,
    e dovunque era ricevuta con gioia. Gloucester, Bedford, e Linchfield
    mostrarono grande zelo: ma Bristol e Norwich, che per popolazione e
    ricchezza erano dopo Londra le prime, furono solo a Londra seconde
    per l'entusiasmo con che celebrarono il lieto evento.
    
    La persecuzione de' Vescovi è un evento che sta da sè nella nostra
    storia. Esso fu il primo ed ultimo(1043) fatto in cui due sentimenti
    tremendamente potenti, due sentimenti che per lo più si sono
    vicendevolmente avversati, e ciascuno de' quali, qualvolta sono
    venuti in forte concitamento, è bastato a sconvolgere lo Stato,
    erano congiunti in perfetta armonia. Questi sentimenti erano lo
    affetto per la Chiesa e lo affetto per la libertà. Pel corso di
    molte generazioni ogni violento scoppio del sentimento per la Chiesa
    Anglicana è stato sempre, tranne una sola volta, avverso alla
    libertà civile; ogni violento scoppio di zelo per la libertà è stato
    sempre, tranne una sola volta, avverso all'autorità ed influenza
    della prelatura e del elencato. Nel 1688 la causa della gerarchia fu
    per un istante identica a quella del popolo. Novemila e più
    ecclesiastici capitanati dal Primate e da' suoi più spettabili
    suffraganei, si mostrarono pronti a soffrire la carcere e la perdita
    degli averi per difendere il gran principio fondamentale della
    nostra costituzione. Ne nacque una coalizione che comprendeva i più
    zelanti Cavalieri, i più zelanti repubblicani, e tutte le classi
    intermedie del popolo. Il coraggio che nella precedente generazione
    aveva sostenuto Hampden, il coraggio che nella generazione
    susseguente sostenne Sacheverell, si congiunsero insieme per
    sostenere l'Arcivescovo il quale era Hampden e Sacheverell in una
    sola persona. Le classi della società che hanno maggiore interesse a
    mantenere l'ordine, che in tempi di politici commovimenti sono
    sempre pronte a rafforzare il braccio al Governo, e che naturalmente
    abborrono gli agitatori, si lasciarono, senza scrupolo, guidare
    dall'uomo venerabile, che era primo Pari del Regno, primo ministro
    della Chiesa, Tory in politica, santo per costumi; uomo che la
    tirannide, malgrado lui, aveva fatto diventare demagogo. Coloro,
    dall'altra banda, i quali avevano sempre abborrito l'Episcopato,
    come rimasuglio del Papismo, e come strumento del potere assoluto,
    domandavano ora colle ginocchia inchine la benedizione di un
    prelato, che era pronto a soffrire la carcere e posare le stanche
    sue membra sulla nuda terra, più presto che tradire gl'interessi
    della Religione protestante e porre la prerogativa disopra alla
    legge. Allo amore della Chiesa ed all'amore della libertà era
    congiunto, in questa gran crisi, un altro sentimento che va
    annoverato fra le più pregievoli peculiarità del nostro carattere
    nazionale. Un individuo oppresso dal Governo, ove anche non abbia il
    minimo diritto alla riverenza ed alla gratitudine pubblica,
    generalmente desta simpatia nel popolo nostro. Così, al tempo degli
    avi nostri, la persecuzione di Wilkes bastò a porre sossopra la
    nazione. Noi stessi l'abbiamo veduta agitarsi quasi fino alla
    insania pe' torti fatti alla Regina Carolina. È quindi probabile che
    quando anche al processo contro i vescovi non fosse stato annesso un
    grande interesse politico e religioso, la Inghilterra non avrebbe
    veduto, senza sentirsi fortemente mossa ad ira e pietà, sette
    vegliardi di intemerata virtù perseguitati dalla vendetta d'un
    temerario ed inesorabile Principe, il quale doveva alla fedeltà loro
    la Corona ch'egli portava.
    
    Animati da cosiffatti sentimenti, i nostri antichi ordinaronsi in
    vasta e stretta falange contro il Governo. Comprendeva tutti i
    Protestanti di qual si fosse grado, partito o setta. Nella
    vanguardia stavano i Lordi spirituali e secolari. Li seguivano i
    gentiluomini possidenti e il clero, entrambe le Università, tutte le
    corti di giustizia, i mercanti, i bottegaj, i fattori, i facchini
    delle grandi città, i contadini che lavoravano la terra. La lega
    contro il Re comprendeva gli ufficiali che comandavano sulle navi,
    le sentinelle che guardavano il suo palazzo. I nomi di Whig(1044) e
    di Tory furono per un momento posti in oblio. Il vecchio
    Esclusionista stringeva la mano al vecchio abborrente. Episcopali,
    Presbiteriani, Indipendenti, Battisti dimenticarono le loro lunghe
    contese, per ricordarsi soltanto della comune fede protestante e del
    pericolo comune. I teologi educati nella scuola di Laud parlavano a
    voce alta non solo di tolleranza, ma di comprensione. Lo Arcivescovo
    poco dopo d'essere stato assoluto pubblicò certa lettera pastorale
    che è uno dei più notevoli componimenti di quella età. Fino dagli
    anni suoi primi aveva combattuto contro i Non-Conformisti, e gli
    aveva più volte assaliti con ingiusta e poco cristiana acrimonia. La
    sua principale opera era indecente caricatura della teologia
    calvinista(1045). Aveva composto pei dì 14 gennaio e 29 maggio certe
    preci, le quali toccavano de' Puritani con parole sì ostili, che il
    Governo aveva reputato necessario temperarle. Ma adesso il suo cuore
    si era addolcito ed aperto. Solennemente ingiunse ai Vescovi e al
    clero, usassero estrema benevolenza ai loro confratelli
    Dissenzienti, li visitassero spesso, ospitalmente li trattassero,
    cortesemente con essi conversassero, gli persuadessero, se fosse
    possibile, ad uniformarsi alla Chiesa Anglicana; ma se non fosse
    possibile, si congiungessero loro con sincero e cordiale affetto a
    propugnare la benedetta causa della Riforma(1046).  Molti
    uomini pii negli anni susseguenti ripensavano con amaro desiderio a
    quell'epoca. La dipingevano come la breve alba di una età d'oro fra
    due età di ferro. Tali lamenti, comecchè fossero naturali, non erano
    ragionevoli. La coalizione del 1688 nacque, e potè nascere, solo
    dalla tirannide ch'era quasi frenesia, e dal pericolo che minacciava
    a un tempo tutte le grandi istituzioni del paese. Se poscia non vi è
    stata mai una somigliante colleganza, egli è perchè non vi è mai
    stato simile pessimo governo. È mestieri rammentare, che quantunque
    la concordia sia in sè migliore della discordia, la discordia può
    indicare un migliore cammino di quello che indichi la concordia. Le
    calamità e i pericoli soventi volte stringono gli uomini a
    collegarsi. La prosperità e la sicurezza spesso gli spingono a
    separarsi.
    
    
    CAPITOLO NONO.
    
    SOMMARIO.
    
    I. Mutamento nell'opinione de' Tory circa la legalità della
    Resistenza. - II. Russell propone al Principe d'Orange uno sbarco in
    Inghilterra. - III. Enrico Sidney. - IV. Devonshire; Shrewsbury;
    Halifax. - V. Danby. - VI. Il Vescovo Compton - VII. Nottingham;
    Lumley - VIII. Invito mandato a Guglielmo. - IX. Condotta di Maria.
    - X. Difficoltà della impresa di Guglielmo. - XI. Condotta di
    Giacomo dopo il Processo dei Vescovi. - XII. Destituzioni e
    Promozioni. - XIII. Procedimenti nell'Alta Commissione; Spart
    rinunzia al suo ufficio. - XIV Malcontento del Clero; Affari
    d'Oxford. - XV. Malcontento de' Gentiluomini. - XVI. Malcontento
    dello Esercito. - XVII. Arrivo delle truppe Irlandesi; indignazione
    pubblica. - XVIII. Lillibullero - XIX. Politica delle Provincie
    Unite. - XX. Errori del Re di Francia. - XXI. Sua contesa col Papa
    rispetto alle Franchigie. - XXII. Lo Arcivescovato di Colonia. -
    XXIII. Destrezza di Guglielmo - XXIV. Suoi apparecchi militari e
    navali. - XXV. Gli giungono dalla Inghilterra numerose assicurazioni
    di soccorso. - XXVI. Sunderland. - XXVII. Ansietà di Guglielmo;
    Ammonimenti dati a Giacomo. - XXVIII. Sforzi di Luigi per salvare
    Giacomo. - XXIX. Giacomo li rende vani. - XXX. Le armi francesi
    invadono la Germania. - XXXI. Guglielmo ottiene la Sanzione degli
    Stati Generali alla sua impresa. - XXXII. Schomberg; Avventurieri
    Inglesi all'Aja. - XXXIII. Manifesto di Guglielmo - XXXIV. Giacomo
    si scuote alla presenza del pericolo; suoi mezzi marittimi. - XXXV.
    Suoi mezzi militari. - XXXVI. Tenta di rendersi benevoli i sudditi.
    - XXXVII. Dà udienza ai Vescovi. - XXXVIII. Le sue concessioni sono
    mal ricevute. - XXXIX. Prove della nascita del Principe di Galles
    presentate al Consiglio Privato. - XL. Disgrazia di Sunderland. -
    XLI. Guglielmo prende commiato dagli Stati d'Olanda. - XLII.
    S'imbarca, fa vela, ed è ricacciato addietro da una tempesta. -
    XLIII. Il suo Manifesto giunge in Inghilterra; Giacomo interroga i
    Lordi. - XLIV. Guglielmo fa vela di nuovo. - XLV. Passa lo Stretto.
    - XLVI. Approda a Torbay. - XLVII. Entra in Exeter. - XLVIII.
    Colloquio del Re coi Vescovi. - XLIX. Tumulti in Londra. - L. Uomini
    d'alto grado cominciano ad accorrere al Principe. - LI. Lovelace. -
    LII. Colchester; Abingdon. - LIII Diserzione di Cornbury. - LIV.
    petizione de' Lordi per la convocazione del Parlamento. - LV. Il Re
    va a Salisbury. - LVI. Seymour; Corte di Guglielmo in Exeter. -
    LVII. Insurrezione nelle Contrade Settentrionali. - LVIII.
    Scaramuccia in Wincanton. - LIX. Diserzione di Churchill e di
    Grafton - LX. Lo esercito regio si ritira da Salisbury. - LXI.
    Diserzione del Principe Giorgio e di Ormond. - LXII. Fuga della
    Principessa Anna. - LXIII. Giacomo convoca un Consiglio di Lordi. -
    LXIV. Nomina una Commissione per trattare con Guglielmo - LXV. È una
    finzione. - LXVI. Dartmouth ricusa di mandare il Principe di Galles
    in Francia. - LXVII. Agitazione di Londra. - LXVIII. Proclama
    apocrifo. - LXIX. Insurrezione in varie parti del paese. - LXX.
    Clarendon si reca presso il Principe in Salisbury; Dissenzione nel
    campo del Principe. - LXXI. Il Principe giunge a Hungerford;
    Scaramuccia in Reading; La Commissione del Re arriva a Hungerford. -
    LXXII. Negoziati. - LXXIII. La Regina e il Principe di Galles sono
    mandati in Francia; Lauzun. - LXXIV. Il Re s'apparecchia a fuggire.
    - LXXV. Sua fuga.
    
    
    I. Il processo vinto da' Vescovi non fu il solo evento che fa del
    giorno decimoterzo di giugno 1688 una grande epoca nella storia. In
    quel dì, mentre le campane di cento chiese sonavano a festa, mentre
    numerose turbe di popolo affaccendavansi da Hyde-Park a Mile-End a
    fare fuochi di gioia ed ardere le immagini del Papa per celebrare la
    memoranda notte, fu spedito da Londra all'Aja un documento quasi
    quanto la Magna Charta importantissimo alle libertà della
    Inghilterra.
    
    La persecuzione de' Vescovi, e la nascita del Principe di Galles
    avevano prodotto un grande rivolgimento nell'opinione di molti Tory.
    Nel momento stesso, in cui la loro Chiesa pativa gli ultimi eccessi
    di danno e d'insulto, vedevansi costretti a perdere ogni speranza di
    pacifica liberazione. Fino allora s'erano lusingati che la prova
    alla quale era stata posta la lealtà loro, quantunque severa,
    sarebbe temporanea, e che alle loro doglianze, verrebbe resa
    giustizia senza che si rompesse il corso ordinario della successione
    al trono. Adesso ravvisavano le cose in modo assai diverso. Per
    quanto potessero addentrare lo sguardo nel futuro, altro non
    vedevano che il mal governo degli ultimi tre anni prolungarsi a
    tempo indefinito. La cuna dello erede presuntivo della Corona era
    circondata di Gesuiti; i quali con sommo studio gli avrebbero nella
    mente infantile istillato odio mortale contro quella Chiesa di cui
    un giorno ei sarebbe stato capo, odio ispiratore di tutta la sua
    vita, e ch'egli avrebbe trasmesso ai suoi successori. A questo
    spettacolo di calamità non era confine; estendevasi al di là della
    vita del più giovane de' viventi, al di là del secolo decimottavo.
    Nessuno avrebbe potuto asserire per quante generazioni i Protestanti
    sarebbero dannati a gemere sotto una oppressura, la quale, anche
    allorchè reputavasi breve, era stata quasi insopportabile.
    
    I più illustri fra' dottori anglicani di quell'epoca avevano
    insegnato come nessuna infrazione di legge o di contratto, nessuno
    eccesso di crudeltà, di rapacità, di licenza, dalla parte del Re
    legittimo, bastasse a giustificare la resistenza che il popolo
    potrebbe opporre alla forza di lui. Taluni di loro s'erano piaciuti
    di mostrare la dottrina della non-resistenza in una forma cotanto
    esagerata da scandalizzarne il buon senso del genere umano. Spesso e
    con veemenza notavano che Nerone era capo del Governo Romano, mentre
    San Paolo inculcava il debito d'ubbidire ai magistrati. La
    conseguenza che ne deducevano era, che se un Re inglese, senza
    autorità di legge ma a suo libito, perseguitasse i propri sudditi
    ripugnanti ad adorare gli idoli; se li gettasse fra mezzo ai leoni
    nella Torre; se, coprendoli d'una veste di pece, gli bruciasse per
    illuminare il Parco di San Giacomo, e procedesse con siffatte stragi
    fino a lasciare intere città e Contee senza un solo abitante, i
    sopravviventi sarebbero tuttavia tenuti a sottomettersi, e lasciarsi
    sbranare o arrostire vivi senza opporre la più lieve resistenza. Gli
    argomenti addotti a sostenere cotesta sentenza erano futilissimi; ma
    al difetto di solidi argomenti suppliva l'onnipotente sofisticare
    dello interesse e della passione. Molti scrittori si sono
    maravigliati che gli alteri Cavalieri d'Inghilterra potessero
    mostrarsi caldi difensori per la più servile dottrina che sia mai
    stata fra gli uomini. Vero è che essa in principio era pel Cavaliere
    tutt'altro che servile; per l'opposto tendeva a renderlo non
    schiavo, ma libero e signore di sè; lo esaltava esaltando il Re
    ch'egli considerava suo protettore, suo amico, e capo del suo
    diletto partito e della sua dilettissima Chiesa. Mentre i
    Repubblicani dominavano, il Realista aveva sofferto danni ed
    insulti, de' quali, mercè la restaurazione del governo legittimo,
    egli aveva potuto prendersi la rivincita. Nella sua mente quindi la
    idea della ribellione richiamava quella di degradazione e servaggio,
    e la idea di autorità monarchica, quella di libertà e predominio.
    Non gli era mai venuto in capo che potesse giungere il tempo in cui
    un Re, uno Stuardo, perseguiterebbe i più leali del clero e de'
    gentiluomini con animosità maggiore di quella Coda del Parlamento e
    del protettore. Eppure siffatto tempo era giunto. Adesso era da
    vedersi con che modo la pazienza che gli aderenti della Chiesa
    confessavano d'avere imparata negli scritti di San Paolo
    resisterebbe alla prova d'una persecuzione da non paragonarsi alla
    severissima di Nerone. Lo evento fu tale che ciascuno, il quale per
    poco conoscesse la natura umana, avrebbe di leggieri predetto.
    L'oppressione fece sollecitamente ciò che la filosofia e la
    eloquenza non avevano potuto fare. Il sistema di Filmer avrebbe
    potuto sopravvivere agli assalti di Locke: ma non si riebbe mai dal
    colpo mortale datogli da Giacomo.
    
    Quella logica, la quale, mentre veniva adoperata a provare che i
    Presbiteriani e gl'Indipendenti avrebbero dovuto sopportare
    mansuetamente la prigione e la confisca, era stata giudicata tale da
    non ammettere risposta, parve di pochissimo peso allorquando fu
    questione di sapere se i Vescovi Anglicani dovevano essere
    imprigionati, e le rendite de' Collegi Anglicani confiscate. Era
    stato soventi volte ripetuto da' pergami di tutte le cattedrali del
    paese, che il precetto apostolico di obbedire ai magistrati civili
    fosse assoluto ed universale, e che fosse empia presunzione
    nell'uomo il volere limitare un precetto al quale non aveva posto
    limite alcuno la parola di Dio. E nondimeno adesso i teologi, la cui
    sagacità stimolavano gl'imminenti pericoli ne' quali trovavansi di
    essere privati de' loro benefizi e prebende per fare posto ai
    papisti, trovavano vizioso il ragionamento dianzi reputato
    convincentissimo. La morale della scrittura non era da interpretarsi
    come gli Atti del Parlamento, o i trattati de' casisti delle scuole.
    E davvero chi de' cristiani porse mai la guancia sinistra al
    malfattore che lo aveva percosso nella destra? Chi de' cristiani
    diede mai il suo mantello ai ladri che gli avevano rubato la veste?
    Sì nel Vecchio che nel Nuovo Testamento le regole generali erano
    sempre scritte senza eccezioni. A mo' d'esempio, il precetto
    generale di non uccidere non era accompagnato dalla eccezione che
    giustifica il guerriero che uccida altri a difesa del suo Re e della
    sua patria. Il generale precetto di non giurare non era accompagnato
    da nessuna eccezione a favore del testimonio che giuri di dire il
    vero dinanzi ai giudici. E nondimeno la legalità della guerra
    difensiva e del giuramento giudiciale era impugnata solo da pochi
    oscuri settari, e positivamente affermata negli articoli della
    Chiesa Anglicana. Tutti gli argomenti i quali dimostravano che il
    Quacquero, ricusando di servire nella milizia o di baciare il
    Vangelo, era irragionevole e perverso, potevan rivolgersi contro
    coloro che negavano ai sudditi il diritto(1047) di resistere con la
    forza alla eccessiva tirannia. Se ammettevasi che le autorità
    bibliche che proibivano l'omicidio e quelle che proibivano il
    giuramento, comunque espresse in forma generale, dovevano essere
    interpretate in subordinazione al gran comandamento che ingiunge ad
    ogni uomo il debito di promuovere il bene del prossimo, e
    siffattamente interpretate non si trovavano applicabili ai casi in
    cui l'omicidio e il giuramento potrebbe essere assolutamente
    necessario a proteggere i più gravi interessi della società, non era
    agevole negare che le autorità bibliche che inibivano la resistenza
    si dovessero interpretare nel modo medesimo. Se allo antico popolo
    di Dio era stato talvolta ordinato di distruggere la vita umana e
    tal altra d'obbligarsi per sacramento, talvolta gli era stato anche
    ordinato di resistere ai principi malvagi. Se i primitivi Padri
    della Chiesa avevano in varie occasioni detto parole, che sembravano
    sottintendere la riprovazione della resistenza, avevano parimente in
    altre occasioni usato parole che sembravano sottintendere la
    riprovazione d'ogni guerra e d'ogni giuramento. E veramente la
    dottrina della obbedienza passiva, quale insegnavasi in Oxford sotto
    il regno di Carlo II, può dedursi dalla Bibbia soltanto con un modo
    d'interpretazione che irresistibilmente ci condurrebbe alle
    conclusioni di Barclay e di Penn.
    
    E' non era solo per mezzo degli argomenti tratti dalla lettera delle
    Sante Scritture che i teologi anglicani, negli anni che
    immediatamente seguirono alla Restaurazione, si studiavano di
    provare la loro prediletta dottrina. Aveano tentato dimostrare, che,
    quando anche(1048) la rivelazione non avesse parlato, la ragione
    avrebbe insegnato ai savi uomini essere iniqua e insana ogni
    resistenza al Governo stabilito. Universalmente ammettevasi che
    cosiffatta resistenza, tranne nei casi estremi, non era
    giustificabile. Ma chi avrebbe osato stabilire il confine fra i casi
    estremi e gli ordinari? V'era egli governo al mondo sotto cui non
    fossero malcontenti e faziosi i quali potessero dire, e forse
    pensare, che le loro doglianze costituissero un caso estremo? Se
    fosse stato possibile stabilire una regola chiara ed esatta che
    inibisse agli uomini di ribellarsi contro Trajano, e ad un tempo
    desse loro libertà di ribellarsi contro Caligola, tale regola
    sarebbe stata sommamente benefica. Ma siffatta regola non v'è stata
    nè vi sarà mai. Dire che la ribellione fosse legittima, date certe
    circostanze, senza esattamente definirle, era come si dicesse che a
    ciascuno era lecito ribellarsi tutte le volte che lo reputasse
    opportuno; ed una società nella quale ciascuno potesse ribellarsi
    ogni qual volta lo reputasse opportuno, sarebbe più infelice d'una
    società governata dal più crudele e sfrenato despota. Era quindi
    mestieri di mantenere in tutta la sua interezza il gran principio
    della non-resistenza. Forse potevano addursi casi peculiari ne'
    quali la resistenza tornasse utile ad un popolo: ma generalmente era
    meglio che un popolo tollerasse con pazienza un cattivo governo,
    anzi che alleggiarsi violando una legge dalla quale dipendeva la
    sicurtà d'ogni governo.
    
    Cotesti ragionamenti di leggieri potevano persuadere un partito
    dominante e felice, ma non potevano sostenere lo esame di cervelli
    fortemente concitati dalla ingiustizia e ingratitudine del principe.
    Egli è vero che è impossibile stabilire lo esatto confine fra la
    resistenza legittima e la illegittima: ma tale impossibilità sorge
    dalla natura stessa del diritto e del torto, e si trova pressochè in
    ciascuna parte della Scienza Morale. Una buona azione non è distinta
    da una cattiva coi segni chiari che distinguono una figura esagona
    da una quadra. V'è un punto in cui la virtù e il vizio si confondono
    insieme. E chi ha potuto mai additare con esattezza il limite tra il
    coraggio e la temerità, tra la prudenza e la codardia, tra la
    liberalità e la prodigalità? Chi ha potuto mai dire fino a che punto
    debba giungere la mercè verso gli offensori, e quando cessi di
    meritare tal nome e diventi perniciosa debolezza? Quale casista o
    legislatore ha potuto mai rettamente definire i confini del diritto
    della propria difesa? Tutti i nostri giureconsulti sostengono che
    una certa misura di pericolo di vita o di perdita di membra
    giustifica un uomo ad uccidere l'aggressore: ma hanno disperato di
    poter descrivere con precisi vocaboli, quanta e quale debba essere
    la misura del pericolo. Dicono soltanto che non debba essere lieve
    pericolo; ma un pericolo tale che dia grave timore ad un uomo di
    spirito fermo; e chi oserebbe dire quale sia questo timore che
    meriti d'essere chiamato grave, o qual sia la precisa tempra dello
    spirito che meriti il nome di fermo? Senza dubbio è cosa
    increscevole che l'indole de' vocaboli e quella delle cose non
    ammettano leggi più accurate: nè è da negarsi che male possono
    operare gli uomini qualvolta sono giudici in causa propria, e
    procedere con subito impeto alla esecuzione del proprio giudicio. E
    nulladimeno chi per ciò interdirebbe(1049) la propria difesa? Il
    diritto che ha un popolo di resistere ad un cattivo governo, ha
    stretta analogia col diritto che un individuo, privo di protezione
    legale, ha ad uccidere lo aggressore. In ambi i casi il male deve
    essere grave. In ambi i casi ogni regolare e pacifico modo di difesa
    deve essere esaurito pria che la parte offesa si appigli ad un
    partito estremo. In ambi i casi s'incorre in terribile
    responsabilità. In ambi i casi la prova grava sulla coscienza di
    colui che s'appiglia ad uno espediente sì disperato; ed ove non
    riesca a difendersi, va giustamente soggetto alla più severe pene.
    Ma in nessun caso potremmo assolutamente negare la esistenza del
    diritto. Un uomo aggredito dagli assassini, non è tenuto a lasciarsi
    torturare o scannare senza far uso delle proprie armi per la ragione
    che nessuno ha mai potuto con precisione definire la misura del
    pericolo che giustifica l'omicidio. Nè una società è tenuta a
    sopportare passivamente gli eccessi della tirannide per la ragione
    che nessuno ha mai potuto precisamente definire la misura del mal
    governo che giustifica la ribellione.
    
    Ma poteva ella la resistenza degli Inglesi ad un principe quale era
    Giacomo chiamarsi propriamente ribellione? Egli è vero che i
    migliori discepoli di Filmer sostenevano non esservi differenza
    veruna tra l'ordinamento politico della patria nostra e quello della
    Turchia, e che se il Re non confiscava il contenuto di tutte le
    casse che erano in Lombard-Street, e non mandava i muti a recare il
    capestro a Sancroft e ad Halifax, ciò era solo perchè egli era sì
    benigno da non usare tutta la potestà datagli da Dio. Ma la maggior
    parte de' Tory, quantunque nel fervore del conflitto potessero
    adoperare parole che sembrassero approvare coteste enormi dottrine,
    abborrivano cordialmente il dispotismo. Agli occhi loro il governo
    inglese era una monarchia limitata. E come potrebbe chiamarsi
    limitata una monarchia ove non si possa mai, nè anche come unico ed
    estremo mezzo, adoperare la forza a fine di mantenere tali
    limitazioni? In Moscovia, dove per virtù della costituzione dello
    Stato il sovrano era assoluto, poteva con qualche apparenza di vero
    sostenersi che, per qualunque eccesso egli commettesse, aveva
    diritto, giusta i principii della religione cristiana, ad essere
    obbedito da' suoi sudditi. Ma tra noi principe e popolo erano
    vicendevolmente vincolati dalle leggi. Giacomo adunque era colui il
    quale rendevasi meritevole del castigo minacciato a coloro che
    insultassero la potestà costituita. Giacomo era colui che resisteva
    ai comandamenti di Dio; che ricalcitrava contro l'autorità
    legittima, alla quale doveva sottoporsi, non solo per timore, ma per
    coscienza, e che, secondo il vero senso delle parole di Cristo, non
    rendeva a Cesare ciò che era di Cesare.
    
    Mossi da simiglianti considerazioni, i più illustri e savi fra i
    Tory incominciarono ad accorgersi d'avere troppo stiracchiata la
    dottrina della obbedienza passiva. La differenza fra costoro e i
    Whig rispetto agli obblighi vicendevoli del Re e dei sudditi cessò
    allora d'essere una differenza di principio. Certo rimanevano per
    anche molte storielle controversie tra il partito che da lungo tempo
    aveva propugnato la legalità della resistenza e i nuovi convertiti.
    La memoria del Martire beato seguitava ad essere quanto mai riverita
    da que' vecchi Cavalieri, i quali erano pronti a impugnare le armi
    contro il degenere figlio, e seguitavano ad abborrire il Lungo
    Parlamento, la Congiura di Rye House, e la insurrezione delle
    contrade Occidentali. Ma non ostante i loro pensamenti intorno al
    passato, il modo onde ravvisavano il presente era identico a quello
    de' Whig: imperocchè ammettevano che la estrema oppressione potesse
    giustificare la resistenza, ed affermavano che la oppressione, sotto
    la quale la nazione allora gemeva, era estrema(1050).
    
    Nulladimeno non è da supporsi che tutti i Tory, anche in quelle
    circostanze, abbandonassero un domma che fino da fanciulli avevano
    imparato a considerare come parte essenziale della dottrina
    cristiana, che avevano per molti anni con veemente ostentazione
    professato, e tentato di propagare per mezzo della persecuzione.
    Molti manteneva fermi nei principii loro la coscienza, e molti il
    rossore. Ma la maggior parte, anche di coloro che seguitavano
    tuttavia a credere illegale ogni resistenza al sovrano, inchinavano,
    nel caso d'un conflitto civile, a tenersi neutrali. Nessuna
    provocazione gli avrebbe tratti a ribellare: ma ove la ribellione
    scoppiasse, non sembra che si reputassero tenuti a combattere per
    Giacomo II come avevano combattuto per Carlo I. Ai Cristiani di Roma
    San Paolo aveva inibito di fare resistenza al governo di Nerone: ma
    non v'era ragione a credere che lo Apostolo, se fosse stato vivo
    allorquando le legioni e il Senato insorsero contro quel malvagio
    imperatore, avrebbe comandato a' suoi confratelli di correre in armi
    a difesa della tirannide. Il dovere della Chiesa perseguitata era
    manifesto: soffrire con pazienza e porre la propria causa nelle mani
    di Dio. Ma se a Dio, la cui provvidenza suscita perpetuamente il
    bene dal male, piacesse, come soventi volte gli era piaciuto, di
    rimediare ai danni per mezzo di tali le cui tristi passioni la
    Chiesa co' suoi ammonimenti non aveva potuto mansuefare, essa poteva
    con gratitudine accettare da Dio la liberazione, che a lei, secondo
    le sue dottrine, non era concesso di compiere da sè. E però molti
    de' Tory, i quali tuttavia abborrivano da ogni pensiero di aggredire
    il Governo, non erano minimamente inchinevoli a difenderlo, e forse,
    mentre gloriavansi de' loro scrupoli, in cuor loro godevano che
    altri non fosse come essi scrupoloso.
    
    I Whig s'accôrsero che il tempo per loro era arrivato. La questione
    se dovessero snudare la spada contro il governo era stata per sei o
    sette anni pretta questione di prudenza; e adesso la prudenza stessa
    gl'incitava ad appigliarsi a più audaci partiti.
    
    II. Nel maggio, innanzi al nascimento del Principe di Galles, e
    mentre era tuttavia incerto se la Dichiarazione d'Indulgenza sarebbe
    o non sarebbe letta nelle chiese, Eduardo Russell era andato
    all'Aja. Aveva con vivi colori rappresentato al principe lo stato
    del pubblico sentire, e lo aveva consigliato a mostrarsi in
    Inghilterra capo d'una forte schiera di soldati, e chiamare il
    popolo alle armi.
    
    Guglielmo ad un solo sguardo conobbe la importanza della crisi. "O
    adesso o mai," disse in latino a Dikwelt(1051). Con Russell tenne
    parole più misurate, riconobbe i mali dello Stato essere tali da
    richiedere straordinario rimedio, ma parlò calorosamente del caso
    d'un esito sinistro, e delle calamità che da ciò ne verrebbero alla
    Gran Brettagna e alla Europa. Sapeva bene che coloro i quali
    parlavano con sonanti paroloni di sacrificare vita e roba pel bene
    della patria esiterebbero ove si presentasse alle loro menti lo
    spettacolo d'un altro Tribunale di Sangue. Per la qual cosa a lui
    bisognavano non vaghe proteste di buon volere, ma inviti chiari e
    promesse esplicite di appoggio, munite della firma di potenti e
    cospicui uomini. Russell gli fece notare come fosse pericoloso
    affidare il disegno a un gran numero di persone. Guglielmo ne
    convenne, e disse bastargli poche firme, purchè fossero d'uomini di
    Stato rappresentanti di grandi interessi(1052).
    
    III. Con tale risposta Russell fece ritorno a Londra dove trovò il
    pubblico concitamento maggiore e sempre crescente. La carcerazione
    de' vescovi e il parto della Regina resero l'opera di lui più
    agevole di quello ch'egli aveva presupposto. Non perdè tempo a
    raccogliere i voti de' capi della opposizione, avendo a principale
    coadiutore Enrico Sidney fratello d'Algernon(1053). È da notarsi che
    Eduardo Russell ed Enrico Sidney erano stati addetti alla famiglia
    di Giacomo; che entrambi, in parte per private e in parte per
    pubbliche cagioni, gli divennero nemici; e che entrambi avevano da
    vendicare il sangue de' congiunti, i quali, l'anno stesso, erano
    caduti vittime della implacabile ferocia del tiranno. Qui finisce
    ogni somiglianza tra loro. Russell, fornito di non poca abilità, era
    orgoglioso, virulento, irrequieto, e violento. Sidney, dotato
    d'indole dolce e d'amabilissimi modi, sembrava difettare di capacità
    e di sapere, e starsi immerso nella voluttà e nell'indolenza. Era
    assai bello di viso e di persona. In gioventù era stato il terrore
    de' mariti, ed anche adesso che toccava quasi cinquanta anni, era il
    prediletto delle donne e lo invidiato da' giovani. Per innanzi era
    stato all'Aja con un pubblico ufficio, ed erasi acquistato in larga
    misura la confidenza di Guglielmo. Molti ne maravigliavano:
    imperciocchè e' sembrava che tra il più austero degli uomini di
    Stato e il più dissoluto degli oziosi non vi potesse essere nulla di
    comune. Swift, molti anni dopo, non poteva persuadersi in che modo
    un uomo, ch'egli aveva conosciuto solo come un vecchio libertino,
    frivolo e privo di lettere, avesse veramente avuto tanta parte in
    una grande rivoluzione. Nondimeno un ingegno meno acuto di Swift si
    sarebbe potuto accorgere che nell'indole umana esiste un certo
    tatto, somiglievole ad un istinto, che spesso manca ai grandi
    oratori e ai filosofi, e che spesso si trova in individui, i quali,
    ove si giudichino dal conversare e dagli scritti loro, si
    reputerebbero semplicioni. E davvero quando un uomo possiede cotesto
    tatto, in un certo senso gli torna utile l'essere privo di quelle
    doti più appariscenti che lo renderebbero oggetto di ammirazione,
    d'invidia, e di timore. Sidney è un notevolissimo esempio di questa
    verità. Poco capace, ignorante, e dissoluto come pareva essere,
    intendeva, o per dire meglio, sentiva con chi era necessario tenersi
    in riserbo, e con chi liberamente e con securtà comunicare. Per la
    qual cosa egli compì ciò che Mordaunt con tutta la sua vivacità ed
    immaginazione, o Burnet con tutta la sua svariata dottrina e fluida
    eloquenza, non avrebbero potuto mai fare(1054).
    
    IV. Co' vecchi Whig egli non poteva incontrare nessuna difficoltà;
    come quelli che opinavano non esservi stato in molti anni un solo
    momento, in cui i pubblici danni non giustificassero la resistenza.
    Devonshire, che poteva considerarsi loro capo, e che aveva torti
    privati e pubblici da vendicare, accolse con tutto il cuore il gran
    disegno e si fece mallevadore di tutto il suo partito(1055).
    
    Russell rivelò il secreto a Shrewsbury. Sidney saggiò Halifax.
    Shrewsbury assunse la parte sua con coraggio e risolutezza tali, che
    anni dopo parvero mancare al suo carattere. Tosto si profferì parato
    a porre a repentaglio roba, onori, e vita. Halifax allo incontro
    accolse i primi cenni della impresa in un modo da far temere che
    fosse inutile, e forse pericoloso parlargliene esplicitamente. Certo
    egli non era l'uomo per una tanta impresa. Aveva intelletto
    inesauribilmente fecondo di distinzioni e d'obiezioni, e indole
    tranquilla e repugnante alle avventure. Era pronto ad avversare la
    Corte fino allo estremo nella Camera de' Lordi e con scritti
    anonimi, ma poco disposto a cangiare i suoi ozi signorili per la mal
    sicura ed agitata vita di cospiratore, a porsi nelle mani de'
    complici, a vivere in perenne timore dello arrivo d'un mandato
    d'arresto e de' regii messaggieri, e forse anco di finire i suoi
    giorni sul palco, o di vivere accattando in qualche appartata via
    dell'Aja. E però disse poche parole che chiaramente significavano la
    sua ripugnanza a conoscere le arcane intenzioni de' suoi più arditi
    e impetuosi amici. Sidney lo intese, e tacque(1056).
    
    V. Si rivolse quindi a Danby, ed ebbe miglior ventura. E veramente
    il pericolo e lo eccitamento, che riuscivano insoffribili alla mente
    di Halifax più delicatamente organizzata, erano d'irresistibile
    fascino allo audace ed attivo spirito di Danby. I differenti
    caratteri di questi due uomini di Stato si leggevano ne' loro visi.
    Il ciglio, l'occhio e la bocca di Halifax indicavano un potente
    intelletto, e uno squisito senso di scherzo; ma la sua espressione
    era quella d'uno scettico, d'un voluttuoso, d'un uomo ripugnante a
    rischiare tutto in una sola partita, o ad essere martire d'un
    principio. Chi conosce le fattezze di Halifax non maraviglierà che
    sopra tutti gli scrittori egli si dilettasse di Montaigne(1057).
    Danby era uno scheletro; e la sua faccia scarna e solcata di rughe,
    benchè bella e nobile, esprimeva esattamente l'acutezza della sua
    intelligenza e la sua irrequieta ambizione. Una volta ei si era già
    inalzato dalla oscurità ai fastigi del potere; ne era caduto a
    capofitto; aveva corso pericolo di vita; aveva passati degli anni in
    carcere; adesso era libero: ma ciò non lo appagava: egli ardeva di
    farsi nuovamente grande. Fedele alla Chiesa Anglicana, e ostile alla
    influenza francese, non poteva sperare di divenire grande in una
    Corte brulicante di Gesuiti ed ossequiosa alla Casa de' Borboni. Ma
    s'egli fosse parte precipua d'una rivoluzione che farebbe svanire i
    disegni de' Papisti, che porrebbe fine al vassallaggio sotto il
    quale la Inghilterra da lunghi anni gemeva, e trasferirebbe la
    potestà regia a due anime illustri da lui unite in matrimonio,
    potrebbe risorgere dalla oscurità con nuovo splendore. I Whig,
    l'animosità de' quali, nove anni innanzi, lo aveva cacciato
    dall'ufficio, congiungerebbero, alla sua avventurata riapparizione,
    i loro applausi agli applausi de' Cavalieri suoi vecchi amici. Già
    egli s'era pienamente riconciliato con uno de' precipui personaggi
    che lo avevano messo in istato d'accusa, cioè col conte di
    Devonshire. Entrambi si erano incontrati in un villaggio nel Peak, e
    s'erano ricambiati assicurazioni di benevolenza. Devonshire aveva
    francamente confessato che i Whig erano rei d'una grande
    ingiustizia, ma aveva dichiarato che adesso confessavano d'avere
    errato. Danby, dal canto suo, aveva qualche ritrattazione a fare. Un
    tempo aveva professato, o simulato di professare la dottrina
    dell'obbedienza passiva nel senso più esteso del vocabolo. Mentre
    egli era ministro e con la sua sanzione era stata proposta una
    legge, la quale ove fosse stata approvata, avrebbe escluso dal
    Parlamento e dagli uffici chiunque avesse ricusato di dichiarare con
    giuramento la illegalità della resistenza. Ma il suo vigoroso
    intendimento, ora affatto desto per l'ansietà del bene pubblico e
    del proprio, non poteva lasciarsi ingannare, se pure lo avea mai
    fatto innanzi, da cotali fanciullesche fallacie.
    
    VI. Il perchè assentì, senza andirivieni, alla congiura, e sforzossi
    di trarvi dentro Compton Vescovo di Londra, già sospeso, e non
    incontrò difficoltà veruna a riuscirvi. Non v'era prelato che al
    pari di Compton avesse patito la ingiustizia del Governo; nè v'era
    prelato che potesse tanto sperare da un rivolgimento; imperciocchè
    egli aveva diretta la educazione della Principessa d'Orange, e
    credevasi che ne avesse in larga misura la fiducia. Come i suoi
    confratelli egli, finchè non fu oppresso, aveva insegnato essere
    delitto resistere alla oppressione; ma dacchè gli fu forza
    appresentarsi all'Alta Commissione, un nuovo raggio di luce scese a
    stenebrargli la mente(1058).
    
    VII. Danby e Compton desideravano avere Nottingham compagno alla
    impresa. Gli apersero intieramente il disegno, e quei lo approvò. Ma
    dopo pochi giorni cominciò a sentirsi inquieto. Non aveva mente
    abbastanza forte da emanciparsi dai pregiudicii della educazione.
    Andò in giro da un teologo ad un altro proponendo loro con parole
    generali casi ipotetici di tirannia, e chiedendo se in simili casi
    la resistenza fosse legittima. Le risposte che n'ebbe accrebbero la
    irrequietudine dell'animo suo, finchè disse ai suoi complici di non
    potere andare più oltre con essi. Se lo stimavano capace di
    tradirli, potevano pugnalarlo, chè non gli avrebbe biasimati,
    imperocchè tirandosi indietro dopo essersi spinto tanto innanzi,
    aveva loro dato diritto sopra la sua vita. Gli assicurò nondimeno
    che non avevano nulla a temere da lui; ch'egli manterrebbe il
    segreto; desiderava loro prospera fortuna, ma la sua coscienza non
    gli consentiva di partecipare ad una ribellione. Ascoltarono
    siffatte parole con sospetto e con isdegno. Sidney, le cui idee
    intorno agli scrupoli di coscienza, erano
    
    Footnote 1: Vedi la Introduzione, che Danby prepose agli scritti da
    lui pubblicati, 1710; Burnet, I, 764.] estremamente vaghe, scrisse
    al Principe che Nottingham s'era impaurito. È debito di giustizia,
    nondimeno, il confessare che tutta la vita di Nottingham fu tale che
    ci è forza credere la sua condotta in questa circostanza, quantunque
    poco savia e irresoluta, essere stata onestissima(1059).
    
    Gli agenti del Principe ebbero miglior ventura con Lord Lumley, il
    quale, non ostanti i grandi servigi da lui resi nel tempo della
    insurrezione delle Contrade Occidentali, sapeva d'essere abborrito
    in Whitehall non solo come eretico, ma come rinnegato, e per ciò era
    più ardente che non fossero la maggior parte de' nati Protestanti, a
    prendere le armi in difesa del Protestantismo(1060).
    
    VIII. Nel mese di giugno le ragunanze de' congiurati furono
    frequenti; e fecero il passo decisivo nell'ultimo giorno del mese,
    in quel giorno stesso in che i Vescovi furono dichiarati innocenti.
    Spedirono all'Aja un invito formale ricopiato da Sidney, ma composto
    da qualcuno più esperto di lui nell'arte di scrivere. In quel
    documento assicurano a Guglielmo che diciannove ventesimi del popolo
    inglese erano desiderosi di un mutamento, e coopererebbero ad
    effettuarlo solo che potessero ottenere di fuori il soccorso di una
    forza bastevole a impedire che coloro i quali corressero alle armi
    fossero dispersi e macellati innanzi che si potessero in un modo
    qualunque militarmente ordinare. Se Sua Altezza approdasse all'isola
    accompagnato da una schiera di soldati, le genti a migliaia
    correrebbero a porsi sotto la sua bandiera; sì che bene presto si
    vedrebbe alla testa di forze assai superiori allo esercito regio
    dell'Inghilterra. Oltre di che il Governo non poteva implicitamente
    essere sicuro della obbedienza di cotesto esercito. Gli ufficiali
    erano malcontenti; e i soldati sentivano contro il papismo quella
    avversione che era comune a tutta la classe dalla quale erano stati
    presi. Nella flotta il sentimento protestante era anche più forte.
    Importava singolarmente fare un passo decisivo mentre le cose erano
    in tali condizioni. La impresa diverrebbe vie maggiormente ardua ove
    venisse differita fino a che il Re, riformando borghi e reggimenti,
    mettesse insieme un parlamento ed una armata sopra cui potesse
    riposare. I cospiratori, quindi, supplicavano il Principe di venire
    fra loro al più tosto possibile. Gli davano parola d'onore che si
    sarebbero associati a lui; e imprendevano a trarre al partito tanto
    numero di persone da poterle impunemente rendere partecipi di un
    così grave e pericoloso secreto. Rispetto ad una sola cosa si
    credevano in debito di rimostrare con sua Altezza, cioè di non
    essersi giovato della opinione che la massima parte del popolo
    inglese aveva intorno al nascimento del regio infante, e d'avere,
    invece, mandate congratulazioni a Whitehall, quasi sembrasse
    riconoscere che il neonato, che chiamavasi Principe di Galles, fosse
    il legittimo erede del trono. Ciò era un grave errore ed aveva
    intiepidito lo zelo nel cuore di molti. Nè anche una in mille
    persone dubitava che lo infante fosse un intruso; e il Principe
    tradirebbe i propri interessi ove le sospettose circostanze che
    avevano accompagnato il parto della Regina, non primeggiassero fra
    le ragioni che lo costringevano a prendere le armi(1061).
    
    Cotesto scritto fu firmato in cifra dai sette capi della congiura,
    Shrewsbury, Devonshire, Danby, Lumley, Compton, Russell e Sidney.
    Herbert si tolse il carico di messaggiero. Ed essendo la sua
    commissione pericolosissima, si travestì da semplice marinaio ed
    approdò sicuro in Olanda il dì dopo finito il processo de' Vescovi.
    Appresentossi sull'istante al Principe; il quale, chiamati a sè
    Bentinck e Dykvelt, si stette con loro parecchi giorni a deliberare.
    Prima conseguenza di ciò fu che più non si leggesse(1062) nella
    cappella della Principessa la preghiera pel Principe di
    Galles(1063).
    
    IX. Dalla consorte Guglielmo non poteva temere veruna opposizione.
    Lo intelletto di Maria era stato pienamente soggiogato da quello di
    lui; e ciò che è più estraordinario, egli ne acquistò intieramente
    lo affetto. Egli le teneva luogo di genitori, da lei perduti per
    morte e per allontanamento, di figli che il cielo aveva negati alle
    sue preci, e di patria dalla quale ella era bandita. Nel cuore di
    lei Guglielmo divideva lo impero soltanto con Dio. Probabilmente non
    portò mai vero affetto al padre da lei lasciato nella prima
    giovinezza, e da lunghi anni non riveduto: oltrechè dopo il suo
    matrimonio, Giacomo non le aveva mostrato segni di tenerezza, nè si
    era condotto in modo da destare teneri sentimenti nel cuore della
    figlia. Anzi fece ogni possibile sforzo a perturbarle la felicità
    domestica stabilendo nella stessa casa di Maria un sistema di
    spionaggio, di sorveglianza e di chiacchiericcio. Egli possedeva
    entrate molto maggiori di quelle de' predecessori suoi, ed aveva
    assegnato alla figlia minore una provvisione annua di quarantamila
    lire sterline(1064): ma la erede presuntiva del suo trono non aveva
    mai ricevuto da lui il minimo soccorso pecuniario, ed appena aveva i
    mezzi di poter fare una convenevole comparsa fra le principesse
    d'Europa. Erasi provata ad intercedere appo lui a favore di Compton
    suo precettore ed amico, il quale, accusato di non avere voluto
    commettere un atto di flagrante ingiustizia, era stato sospeso dalle
    funzioni episcopali: ma era stata respinta con mala grazia(1065).
    Dal giorno in cui s'era chiaramente conosciuto che ella e il marito
    erano deliberati di non partecipare alla distruzione della
    Costituzione inglese, uno de' fini precipui della politica di
    Giacomo era stato quello di nuocere ad entrambi. Aveva richiamate le
    milizie inglesi dalla Olanda, congiurato con Tyrconnel e con la
    Francia contro i diritti di Maria, ordito trame per privarla almeno
    d'una delle tre Corone, che, alla morte di lui, le spettavano.
    Adesso credevasi da quasi tutto il popolo e da molti personaggi alto
    locati per grado e per abilità, che egli avesse introdotto nella
    famiglia regale un Principe di Galles supposto, onde privare della
    magnifica eredità la figliuola; e non v'è ragione a dubitare ch'essa
    non partecipasse al comune sospetto. Era dunque impossibile che
    amasse un cotal padre. I suoi principii religiosi, a dir vero, erano
    siffattamente rigidi che probabilmente si sarebbe provata a compiere
    quello che ella considerava suo dovere anche verso un padre da lei
    non amato. Nondimeno nelle presenti circostanze giudicò che il
    diritto di Giacomo ad essere obbedito doveva cedere ad un altro più
    sacro diritto. E veramente tutti i teologi e pubblicisti concordano
    ad affermare che quando la figlia del principe d'un paese è
    congiunta in matrimonio al principe d'un altro, è tenuta a
    dimenticare il suo popolo e la famiglia paterna, e nel caso d'una
    rottura tra il suo marito e i suoi parenti, associarsi alle sorti
    del marito. Questa è la regola incontrastabile anche ove il marito
    abbia torto; ed a Maria la impresa meditata da Guglielmo sembrava
    non solo giusta, ma santa.
    
    X. E quantunque ella con ogni cura s'astenesse dal fare o dal dire
    la più lieve cosa che potesse accrescere le difficoltà del consorte,
    coteste difficoltà erano veramente gravi; erano poco intese anco da
    coloro che lo avevano invitato, e sono state imperfettamente esposte
    da coloro che hanno scritta la storia della sua espedizione.
    
    Gli ostacoli che doveva aspettarsi d'incontrare in Inghilterra,
    comecchè fossero i meno formidabili fra' molti che attraversavano il
    suo disegno, erano tuttavia gravi. Accorgevasi che sarebbe stata
    demenza imitare lo esempio di Monmouth, traversare il mare con pochi
    avventurieri inglesi, e sperare in una generale insurrezione delle
    popolazioni. Era necessario - e lo avevano detto tutti coloro dai
    quali egli era stato invitato - di condurre seco un'armata. E, così
    facendo, chi risponderebbe dello effetto che potrebbe produrre la
    comparsa di cosiffatta armata? Il Governo era giustamente odiato: ma
    il popolo inglese, non avvezzo a vedere mai le Potenze continentali
    immischiarsi nelle cose d'Inghilterra, guarderebbe di buon occhio un
    liberatore che venisse circondato da soldati stranieri? Se parte
    delle regie milizie facesse risolutamente fronte agl'invasori, non
    desterebbero esse ben presto la simpatia di milioni? Una sconfitta
    sarebbe fatale alla impresa. Una vittoria sanguinosa riportata nel
    cuore dell'isola da' mercenari degli Stati Generali sopra le Guardie
    e le altre milizie del Re, sarebbe calamità grave quasi al pari
    d'una sconfitta; sarebbe la più cruda ferita inflitta all'orgoglio
    della più orgogliosa tra le nazioni. Il principe non avrebbe mai
    portata con pace e sicurezza una corona siffattamente acquistata.
    L'odio contro l'Alta Commissione e i Gesuiti cederebbe il posto
    all'odio più intenso che susciterebbero gli stranieri conquistatori;
    e molti che fino allora avevano sentito timore ed abborrimento per
    la Potenza francese, direbbero, che, ove fosse mestieri sopportare
    un giogo straniero, sarebbe minore ignominia sottoporsi alla Francia
    anzi che all'Olanda.
    
    Tali considerazioni erano bastevoli a rendere inquieto l'animo di
    Guglielmo anche ove avesse potuto disporre di tutti i mezzi militari
    delle provincie Unite. Ma in verità pareva assai dubbio che
    ottenesse un solo battaglione. Tra tutte le difficoltà con le quali
    gli toccava lottare, la maggiore, benchè poco notata dagli Storici
    inglesi, sorgeva dalla costituzione stessa della Repubblica Batava.
    Nessuno Stato è mai esistito per lungo ordine d'anni con un
    ordinamento politico egualmente inconvenevole. Gli Stati Generali
    non potevano fare guerra, pace, leghe, o imporre tasse senza il
    consenso degli Stati di ciascuna provincia. Gli Stati d'una
    provincia non potevano dare tale consenso senza quello di ogni
    municipio, che partecipava alla rappresentanza. Ciascun municipio,
    in un certo senso, era uno Stato sovrano, e come tale pretendeva al
    diritto di comunicare direttamente con gli Ambasciatori stranieri, e
    di stabilire con essi i mezzi a frustrare i disegni a' quali gli
    altri municipii intendevano. In alcuni Consigli municipali era
    potentissimo il partito che pel corso di varie generazioni sentiva
    gelosia della influenza dello Statoldero. Capi di questo partito
    erano i magistrati della nobile città d'Amsterdam, la quale in que'
    tempi godeva della più grande prosperità. Dalla pace di Nimega in
    poi non avevano cessato mai di tenere amichevoli relazioni con Re
    Luigi per mezzo del suo esperto ed operoso ambasciatore il Conte
    d'Avaux. Alcune proposte presentate dallo Statoldero come
    indispensabili alla sicurtà della Repubblica, sanzionate da tutte le
    provincie, tranne dagli Stati della Olanda, e sanzionate da
    diciassette de' diciotto Consigli municipali d'Olanda, erano state
    più volte respinte dal solo voto d'Amsterdam. L'unico rimedio
    costituzionale in simiglianti casi era quello di mandare i deputati
    delle città assenzienti alla città dissenziente onde fare una
    rimostranza. Il numero dei deputati era illimitato; potevano
    continuare a rimostrare per quanto tempo credessero necessario; e
    intanto la città che ostinavasi a non cedere ai loro ragionamenti
    era tenuta a mantenerli a sue spese. Questo modo assurdo di coartare
    era stato una volta sperimentato con esito prospero nella piccola
    città di Gorkum, ma non era verosimile che riuscisse efficace nella
    potente e ricca Amsterdam, famosa in tutto il mondo per i suoi
    bacini popolati di navi, i suoi canali circondati da vaste magioni,
    il sue maestoso palazzo governativo coperto da cima a fondo di
    peregrini marmi, i suoi magazzini ripieni dei più costosi prodotti
    di Ceylan e di Surinam, e la sua Borsa che perpetuamente risonava di
    tutti gl'idiomi parlati dalle nazioni civili(1066).
    
    Le contese tra la maggioranza che spalleggiava lo Statoldero, e la
    minoranza capitanata da' magistrati d'Amsterdam erano più volte
    trascorse tanto oltre da far temere inevitabile lo spargimento del
    sangue. Una volta, il Principe tentò di punire come traditori i
    deputati disubbidienti; un'altra, le porte d'Amsterdam gli vennero
    chiuse in faccia, e si fecero leve di milizie per difendere i
    privilegi del Consiglio Municipale. E però non era verosimile che i
    rettori di quella grande città consentissero ad una impresa
    grandemente offensiva a Luigi da essi cotanto corteggiato, impresa
    che probabilmente ingrandirebbe la Casa d'Orange da essi abborrita.
    Nulladimeno senza cotesto consenso la impresa non poteva legalmente
    eseguirsi. Vincere con la forza la opposizione loro, era un partito
    al quale, in circostanze diverse, l'inflessibile e audace Statoldero
    non avrebbe sdegnato d'appigliarsi. Ma in quel momento egli era
    importantissimo schivare con sommo studio ogni atto che avesse
    sembianza di tirannesco. Non poteva rischiarsi a violare le leggi
    fondamentali della Olanda nell'istante medesimo in cui egli era per
    isnudare la spada contro il suocero che violava le leggi
    fondamentali della Inghilterra. Il rovesciare con violenza una
    libera Costituzione sarebbe stato uno strano preludio a ristabilirne
    violentemente un'altra(1067).  E v'era anche un'altra
    difficoltà, pochissimo notata dagli scrittori inglesi, alla quale
    Guglielmo teneva sempre fitta la mente. Nella spedizione che egli
    meditava, poteva aver prospero successo solamente appellandosi al
    sentimento protestante dell'Inghilterra, e stimolandolo finchè
    divenisse, per un certo tempo, il dominante e quasi esclusivo
    sentimento della nazione. Ciò sarebbe stato agevolissimo qualora lo
    scopo di tutta la sua politica fosse stato di produrre un
    rivolgimento nella isola nostra e regnarvi. Ma contemplava un altro
    fine ch'egli poteva conseguire con lo aiuto de' principi, sinceri
    credenti nella Chiesa di Roma. Voleva congiungere lo Impero, il Re
    Cattolico, e la Santa Sede insieme con l'Inghilterra e la Olanda in
    una lega contro la preponderanza francese. Era quindi mestieri che,
    mentre vibrava il più gran colpo che fosse mai dato in difesa del
    protestantismo, si studiasse a non perdere il buon volere di que'
    Governi che consideravano il protestantismo come mortale eresia.
    
    Erano coteste le complicate difficoltà della grande impresa. Gli
    statisti del continente ne vedevano una parte; gli Inglesi un'altra.
    Solo una mente vasta e vigorosa le comprese tutte, e deliberò di
    vincerle. Non era agevole rovesciare il Governo inglese per mezzo
    d'un'armata straniera senza offendere l'orgoglio nazionale degli
    Inglesi. Non era agevole ottenere dalla fazione Batava, partigiana
    della Francia e avversa alla Casa d'Orange, il consenso ad una
    impresa che distruggerebbe tutti i disegni della Francia e
    inalzerebbe a grandezza la Casa d'Orange. Non era agevole condurre i
    Protestanti entusiasti in una crociata contro il Papismo col plauso
    di quasi tutti i governi papisti e del Papa stesso. E nondimeno
    Guglielmo compiè tutte le sopradette cose. Tutti i suoi fini, anche
    quelli che sembravano singolarmente incompatibili fra loro, egli
    raggiunse pienamente e a un tratto. Le storie degli antichi e de'
    moderni tempi non ricordano un simile trionfo di sapienza politica.
    
    L'opera sarebbe veramente stata difficile anche per un uomo di Stato
    qual era il Principe d'Orange, ove i suoi precipui oppositori non si
    fossero trovati in preda ad un'ebbrezza tale che da molti, non
    inchinevoli alla superstizione, fu attribuita a singolare giudizio
    di Dio. Il Re d'Inghilterra non solo fu, come era sempre stato,
    stupido e testardo: ma perfino i consigli dello astuto Re di Francia
    parvero dettati dalla insania. Guglielmo fece ogni sforzo possibile
    di saviezza e d'energia. Ma i suoi nemici posero ogni studio a
    sgombrargli il terreno di quegli ostacoli cui nessuna saviezza od
    energia avrebbe potuto vincere.
    
    XI. Nel gran giorno in cui furono assoluti i Vescovi, e spedito lo
    invito all'Aja, Giacomo, tristo ed agitato, da Hounslow fece ritorno
    a Westminster. E non ostante che si sforzasse di mostrarsi in lieto
    aspetto(1068), i fuochi di gioia, le bombe, e soprattutto il
    bruciamento delle immagini del Papa in ogni quartiere di Londra non
    erano cose da addolcirgli l'animo. Coloro che lo avevano veduto la
    mattina, poterono leggergli nel viso e nel portamento le violente
    emozioni che gli perturbavano la mente(1069). Per varii giorni parve
    così ripugnante a parlare del processo, che nè anco Barillon potè
    rischiarsi a fargliene motto(1070).
    
    Tosto cominciò a farsi manifesto come la sconfitta e la
    mortificazione avessero indurito il cuore del Re. Le prime parole
    che egli profferì appena seppe che le vittime erano campate dagli
    artigli della sua vendetta, furono: "Peggio per loro!" In pochi
    giorni chiaramente si vide quale fosse il significato di coteste
    parole, da lui, secondo il costume, ripetute molte volte. Accusava
    sè stesso non d'avere perseguito i Vescovi, ma d'averlo fatto
    dinanzi a un tribunale, dove le questioni di fatto erano decise dai
    giurati, e dove i principii stabiliti dalla legge non potevano porsi
    in non cale nemmeno da' giudici più servili. Deliberò adunque di
    rimediare a tanto errore. Non solo i sette prelati che avevano
    firmata la petizione, ma tutto il Clero Anglicano avrebbero ragione
    di maledire quel giorno in cui avevano riportato vittoria sopra il
    loro sovrano. Circa quindici giorni dopo il processo, fu emanato un
    ordine che ingiungeva a tutti i Cancellieri della Diocesi e a tutti
    gli Arcidiaconi di fare stretta inquisizione in tutti i luoghi
    soggetti alla giurisdizione loro, e riferire all'Alta Commissione,
    entro cinque settimane, i nomi di que' rettori, vicari e curati, che
    avevano ricusato di leggere la Dichiarazione d'Indulgenza(1071). Il
    Re godeva immaginando il terrore che sentirebbero i colpevoli
    vedendosi citati dinanzi ad un tribunale che loro non avrebbe dato
    quartiere(1072). Il numero de' rei era quasi, o senza quasi, dieci
    mila: e dopo ciò ch'era accaduto al Collegio della Maddalena,
    ciascuno di loro poteva a ragione aspettarsi d'essere interdetto da
    tutte le sue funzioni spirituali, privato del suo benefizio,
    dichiarato incapace di occuparne qualunque altro, e obbligato a
    pagare le spese del processo che lo aveva ridotto a mendicare.
    
    XII. Tale era la persecuzione che Giacomo, fremente di rabbia per la
    sconfitta ricevuta a Westminster Hall, aveva pensato di far piombare
    sopra il clero. Intanto si provò di mostrare ai legali con una
    spicciativa distribuzione di premii e di castighi, che una intrepida
    e svergognata servilità anche con poco prospero esito, era argomento
    sicuro per meritarsi il regio favore; e chiunque, dopo anni di
    ossequiosità, si attentasse deviare d'un attimo per far mostra di
    onestà o di coraggio, rendevasi reo d'imperdonabile offesa. La
    violenza e l'audacia che lo apostata Williams aveva mostrato nel
    processo de' Vescovi lo aveva reso segno all'odio della intera
    nazione(1073). Il re lo rimeritò col farlo baronetto. Holloway e
    Powell avevano scemata alquanto la propria infamia dichiarando che,
    secondo il loro giudizio, la petizione non era un libello. Il Re li
    destituì(1074). Le sorti di Wright sembrarono per qualche tempo
    ondeggiare nella incertezza. Nel riassunto ch'ei fece della
    discussione s'era mostrato avverso a' Vescovi: ma aveva tollerato
    che gli avvocati loro ponessero in questione la potestà di
    dispensare. Aveva detto che la petizione era un libello: ma a bello
    studio erasi astenuto dal chiamare legale la Dichiarazione; e per
    tutto il corso del processo il suo contegno era stato quello di chi
    ricordi che potrà giungere il giorno di renderne conto. A dir vero,
    egli era ben meritevole d'indulgenza; imperocchè mal poteva
    aspettarsi che vi fosse al mondo impudenza tale da star salda senza
    traballare un momento al cospetto di tali giureconsulti e d'un tanto
    uditorio. Nondimeno i membri della cabala gesuitica lo accusarono di
    pusillanimità; il Cancelliere gli dette del somaro; ed era opinione
    generale che verrebbe nominato un nuovo Capo Giudice(1075). Ma non
    seguì nessun cangiamento. E davvero non sarebbe stata lieve impresa
    il supplire al posto di Wright. I molti giurati che erano a lui
    superiori per abilità e per dottrina, quasi senza nessuna eccezione,
    procedevano avversi ai disegni del Governo; e i pochi che lo
    vincevano per turpitudine e sfrontatezza, quasi senza nessuna
    eccezione, trovavansi solo negli infimi gradi del ceto legale, e
    sarebbero stati incompetenti a condurre gli affari ordinarii della
    Corte del Banco del Re. Egli è vero che Williams aveva tutte le
    qualità che Giacomo richiedeva in un magistrato; ma i suoi servigi
    erano necessari alla barra; e qualora lo avessero da quivi rimosso,
    la Corona sarebbe rimasta senza il concorso di un solo avvocato nè
    anche di terzo ordine.
    
    A null'altra cosa il Re era rimasto attonito e mortificato quanto al
    vedere lo entusiasmo de' Dissenzienti nella causa de' Vescovi. Penn,
    il quale quantunque avesse sacrificato ricchezze ed onorificenze
    agli scrupoli della coscienza, sembrava immaginare che nessuno altri
    che lui avesse coscienza, attribuì il malcontento de' Puritani ad
    invidia e ad ambizione non appagata. Essi non avevano partecipato ai
    benefizi promessi loro dalla Dichiarazione d'Indulgenza: nessuno di
    loro era stato elevato ad alti ed onorevoli uffici; per la qual cosa
    non era strano che fossero gelosi de' Cattolici Romani. Pochissimi
    giorni dopo finito il processo de' Vescovi, Silas Titus, cospicuo
    presbiteriano, virulento esclusionista, e uno degli accusatori di
    Stafford, fu invitato ad occupare un seggio nel Consiglio Privato.
    Egli era uno di coloro sopra i quali l'opposizione con grande
    fiducia riposava. Ma la dignità offertagli, e la speranza di riavere
    una grossa somma di pecunia dovutagli dalla Corona, vinsero la sua
    virtù, e con estremo disgusto di tutti i Protestanti, prestò il
    giuramento(1076).
    
    XIII. I disegni vendicativi del Re contro la Chiesa non ebbero
    effetto. Quasi tutti gli Arcidiaconi e Cancellieri diocesani
    ricusarono di dare le richieste informazioni. Giunto il giorno che
    il Governo aveva stabilito a citare tutto il clero per render conto
    del delitto di disobbedienza, l'Alta Commissione ragunossi, e trovò
    che quasi nessuno degli ufficiali ecclesiastici aveva trasmesso la
    relazione ordinata. Nel tempo stesso fu deposta sul Banco una
    scrittura di grave importanza. La mandava Sprat Vescovo di
    Rochester. Pel corso di due anni, lusingato dalla speranza d'un
    arcivescovato, erasi sobbarcato al rimprovero di perseguitare quella
    Chiesa che egli era tenuto con ogni obbligo di coscienza e d'onore a
    difendere. Ma, disilluso nella sua speranza, s'accorse che ove non
    abiurasse la sua religione, non avrebbe probabilità di ascendere
    alla sede metropolitana di York. Era di tanto buona indole che non
    poteva godere della tirannide, ed aveva tanto discernimento da
    vedere i segni della vicina retribuzione. Per lo che deliberò di
    rinunciare al suo odioso ufficio: e comunicò la sua deliberazione ai
    colleghi con una lettera, scritta, al pari di tutti i suoi
    componimenti in prosa, con grande proprietà e dignità di stile.
    Diceva essergli impossibile continuare più oltre a sedere nella
    Commissione: avere egli, per obbedire ai comandamenti sovrani, letta
    la Dichiarazione: ma non poter presumere di condannare migliaia di
    pii e leali ecclesiastici, i quali ravvisavano in diverso aspetto la
    cosa; e poichè si voleva punirli per avere agito secondo la loro
    coscienza, ei dichiarava essere pronto a soffrire con loro più
    presto che farsi strumento de' loro danni.
    
    I Commissarii lessero e rimasero sbalorditi. Gli errori del loro
    collega, la conosciuta scioltezza de' suoi principii, la conosciuta
    bassezza del suo animo, davano maggior peso alla sua defezione. È
    mestieri che un Governo sia in vero pericolo quando un uomo come
    Sprat gli favella col linguaggio di Hampden. Il tribunale, dianzi
    così insolente, a un tratto invilì. Gli ecclesiastici che ne avevano
    sfidata l'autorità, non furono nè anco rimproverati. Non fu reputato
    savio consiglio sospettare minimamente che si fossero di proposito
    mostrati disobbedienti; fu loro semplicemente ingiunto di mandare le
    relazioni dentro quattro mesi. La Commissione poi si sciolse
    singolarmente perturbata come quella che aveva ricevuto un colpo
    mortale(1077).
    
    XIV. Mentre l'Alta Commissione retrocedeva da un conflitto con la
    Chiesa, la Chiesa, con la coscienza della propria forza ed animata
    da nuovo entusiasmo, provocò con parecchie disfide l'Alta
    Commissione allo assalto. Tosto dopo l'assoluzione de' Vescovi, il
    venerabile Ormond, il più illustre de' Cavalieri della gran guerra
    civile, soccombeva al peso delle sue infermità. La nuova della sua
    morte fu speditamente trasmessa ad Oxford. Sull'istante la
    Università della quale egli da lungo tempo era stato Cancelliere,
    ragunossi per eleggere il successore. Un partito voleva lo eloquente
    ed egregio Halifax, un altro il grave ed ortodosso Nottingam. Alcuni
    rammentarono il Conte d'Abingdon che abitava lì vicino ed era stato
    pur allora destituito dalla Luogotenenza della Contea per non avere
    voluto secondare il Re contro la religione dello Stato. Ma la
    maggioranza, composta di centottanta graduati, votò a favore del
    giovine Duca d'Ormond, nipote del defunto, e figlio del valoroso
    Ossory. La fretta con che eseguirono la elezione nacque dal timore
    che, indugiando un solo giorno, il Re potesse imporre loro qualche
    candidato che tradirebbe i loro diritti. Siffatto timore era ben
    ragionevole: imperciocchè solo due ore dopo sciolta l'adunanza,
    giunse un ordine da Whitehall che richiedeva eleggessero Jeffreys.
    Per buona sorte la elezione del giovane Ormond era già
    irrevocabilmente fatta(1078). Alquanti giorni dopo l'infame Timoteo
    Hall, il quale s'era reso notevole fra il clero di Londra leggendo
    la Dichiarazione, fu rimunerato col vescovato di Oxford che era
    rimasto vacante dopo la morte del non meno infame Parker. Hall
    giunse alla sua sede: ma i canonici della cattedrale ricusarono di
    assistere alla sua istallazione. La Università non volle concedergli
    il titolo di Dottore: nè anche uno degli scolari ricorse a lui per
    gli ordini sacri: nessuno gli faceva di cappello; ed ei si trovò
    solo dentro il suo palazzo(1079).
    
    Tosto dopo il Collegio della Maddalena doveva disporre d'un
    benefizio vacante. Hough e i suoi cacciati confratelli ragunaronsi e
    proposero un chierico; il vescovo di Gloucester, nella cui diocesi
    era quel benefizio, diede senza esitare la investitura allo
    eletto(1080).
    
    XV. I gentiluomini non erano meno riottosi del clero. I tribunali in
    quella estate avevano in tutto il paese un insolito aspetto. Ai
    giudici, innanzi di mettersi in giro, era stato ordinato di
    presentarsi al Re, il quale aveva loro fatto comandamento d'ispirare
    ai grandi giurati, in tutto il Regno, il dovere di eleggere
    rappresentanti al Parlamento disposti a secondare la sua politica.
    Essi obbedirono declamando con veemenza contro il clero, ingiuriando
    i vescovi, chiamando la memoranda petizione libello sedizioso,
    criticando aspramente lo stile di Sancroft, il quale, a dir vero,
    offriva pretesto alla critica, e dicendo che monsignore meritava le
    sferzate per mano del Dottore Busby per avere scritto in cattivo
    inglese. Ma il solo effetto di cotali indecenti declamazioni fu
    d'accrescere il malcontento del popolo. Furono loro negate tutte le
    dimostrazioni di quella riverenza che il popolo soleva mostrare alla
    dignità giudiciale ed alla regia Commissione. Era antica usanza che
    uomini rispettabili per nascita e ricchezza si unissero a cavallo
    con lo Sceriffo quando egli scortava i giudici alla città della
    Contea; ma siffatta processione adesso non fu possibile formare in
    nessuna parte del reame. I successori di Powell e di Holloway
    segnatamente furono trattati con notevole dispregio. Era loro stato
    assegnato il giro d'Oxford; aspettavansi d'essere accolti in ogni
    Contea da una cavalcata di gentiluomini realisti; ma come si
    appressarono a Wallingford, dove dovevano aprire la loro commissione
    per Berkshire, il solo Sceriffo uscì loro incontro. Come si
    avvicinarono ad Oxford, la metropoli eminentemente realista di una
    eminentemente realista provincia, furono anche quivi incontrati dal
    solo Sceriffo(1081).
    
    XVI. L'esercito non era meno disaffezionato del clero e de'
    gentiluomini. Il presidio della Torre aveva bevuto alla salute de'
    vescovi prigioni. Le Guardie a piedi in Lambeth avevano con ogni
    dimostrazione di rispetto salutato il Primate che faceva ritorno al
    suo palazzo. In nessun luogo quanto nel campo di Hounslow Heath la
    nuova della liberazione de' vescovi era stata accolta con più
    clamorosa gioia. In verità le grandi forze che il Re aveva ragunate
    a fine d'atterrire la ricalcitrante metropoli erano divenute più
    ricalcitranti alla metropoli stessa, ed incuteveno maggior timore
    alla Corte, che ai cittadini. Per lo che in sul principio d'agosto
    il campo fu sciolto, e le truppe furono acquartierate in varie parti
    del Regno(1082).
    
    Giacomo lusingavasi che sarebbe più agevole governare separati
    battaglioni, che molte migliaia d'uomini insieme raccolti. Volle
    farne esperienza col reggimento di fanteria comandato da Lord
    Lichfield, e che ora chiamasi Duodecimo di Linea. Lo scelse
    probabilmente per essere stato creato a tempo della insurrezione
    delle Contrade Occidentali, nella Contea di Stafford, dove i
    Cattolici Romani erano più numerosi e potenti che quasi in ciascuna
    altra parte della Inghilterra. I soldati furono schierati alla
    presenza del Re. Il Maggiore disse loro che Sua Maestà desiderava
    ch'essi firmassero una scritta con la quale obbligavansi a
    secondarlo nel mandare ad esecuzione i suoi intendimenti rispetto
    all'Atto di Prova, e che coloro ai quali piacesse di non obbedire,
    lasciassero in sull'istante il servigio. Il Re rimase sommamente
    attonito vedendo intiere file di soldati porre giù le picche e gli
    archibugi. Solo due ufficiali e pochi comuni, tutti Cattolici,
    obbedirono. Egli rimase per poco in silenzio: poi comandò ai
    disobbedienti di ripigliare le armi loro, e con irato ciglio disse:
    "un'altra volta non vi farò più l'onore di consultarvi(1083)." 
    Chiaro vedevasi che essendo egli deliberato a persistere nel suo
    proposito, gli era mestieri riformare lo esercito. Se non che a ciò
    fare non poteva trovare i mezzi nell'isola nostra. I membri della
    sua Chiesa, anche ne' distretti dove erano più numerosi, erano una
    piccola minoranza rispetto alla popolazione. L'odio contro il
    papismo erasi sparso in tutte le classi de' Protestanti, ed era
    divenuto la suprema passione perfino negli agricoltori e negli
    artigiani. Ma in un'altra parte de' suoi dominii la maggioranza del
    popolo era animata da spirito assai differente. Non v'era limite al
    numero de' soldati cattolici che la buona paga e i quartieri in
    Inghilterra attirerebbero al di qua del Canale di San Giorgio.
    Tyrconnel per qualche tempo aveva posto ogni cura a formare dal
    contadiname della sua patria una forza militare della quale il suo
    signore potesse fidarsi. Già quasi tutta l'armata d'Irlanda era
    composta di papisti Celti per sangue e per lingua. Barillon più
    volte fervidamente consigliò Giacomo a condurre in Inghilterra
    quell'armata per coartare gl'Inglesi(1084).
    
    XVII. Giacomo tentennava. Voleva essere circondato da milizie sopra
    le quali potesse riposare: ma temeva l'esplosione del sentimento
    nazionale che si sarebbe manifestato al comparire d'una gran forza
    irlandese sopra il suolo d'Inghilterra. In fine, come segue spesso
    allorquando una mente debole si prova di schivare due opposte
    inconvenienze, egli s'attenne ad un partito che le congiunse tutte
    quante. Fece venire tanti Irlandesi quanti non bastavano a tenere
    sottomessa la sola città di Londra, o la sola Contea di York, ma più
    che bastevoli a destare rabbia e paura in tutto il Regno da
    Northumberland fino a Cornwall. Un battaglione dopo l'altro,
    composti e disciplinati da Tyrconnel, approdavano sulle coste
    occidentali e movevano verso la metropoli; e furono fatte venire non
    poche reclute irlandesi per riempire i vuoti de' reggimenti
    inglesi(1085).
    
    Tra tutti gli errori commessi da Giacomo nessuno fu più fatale di
    questo. Già aveva perduto lo affetto del suo popolo violando le
    leggi, confiscando gli averi e perseguitando la religione. Nel cuore
    di coloro, che un tempo erano stati fervidi zelatori della
    monarchia, aveva già posto i semi della ribellione. E nondimeno
    poteva ancora, con qualche probabilità di buona riuscita, rivolgersi
    allo spirito patriottico de' suoi sudditi contro un invasore;
    perocchè erano razza isolana per indole e geografica posizione. Le
    loro antipatie nazionali in quella età erano, per vero dire,
    irragionevolmente forti. Gl'Inglesi non erano assuefatti al freno e
    allo immischiarsi dello straniero. La comparsa d'un'armata
    forestiera nell'isola loro gli avrebbe spinti a correre sotto il
    vessillo d'un Re ch'essi non avevano ragione di amare. Guglielmo
    forse non avrebbe potuto vincere un tale ostacolo; ma Giacomo lo
    tolse di mezzo. Nemmeno l'arrivo di una brigata di moschettieri del
    Re Luigi avrebbe destato risentimento e vergogna quanto ne sentirono
    i nostri antenati allorchè videro le schiere de' Papisti, pur allora
    giunti da Dublino, marciare con pompa militare lungo le vie maestre.
    Niun uomo di sangue inglese considerava come compatriotti
    gl'Irlandesi aborigeni. Essi non appartenevano alla nostra razza;
    erano distinti da noi per più particolarità morali e intellettuali,
    che la diversità delle condizioni e della educazione, per quanto
    fosse grande, non bastava a spiegare. Avevano aspetto e idioma tutto
    proprio. Quando parlavano inglese, la loro pronunzia era ridicola;
    le loro frasi grottesche, come sempre sono le frasi di chi pensi in
    una lingua ed esprima i propri pensieri in un'altra. Per la qual
    cosa per noi essi erano stranieri; e di tutti gli stranieri erano i
    più odiati e tenuti in dispregio: i più odiati, perocchè per cinque
    secoli erano sempre stati nostri nemici; i più tenuti in dispregio,
    perocchè erano nostri nemici vinti, resi schiavi e spogliati. Lo
    Inglese paragonava con orgoglio i propri campi colle desolate lande,
    donde sbucavano i banditi a rubare ed assassinare, e la propria
    abitazione co' tuguri dove il villano e il maiale di Shannon
    s'avvoltolavano insieme nel sudiciume. Egli apparteneva ad una
    società molto inferiore certamente per ricchezza e civiltà a quella
    in che noi viviamo, ma tuttavia a una delle più opulente e
    incivilite società del mondo: gl'Irlandesi erano rozzi quasi al pari
    de' selvaggi di Labrador. Egli era uomo libero: gl'Irlandesi erano
    servi ereditari della razza inglese. Egli adorava Dio con un culto
    puro e ragionevole: gl'Irlandesi giacevano immersi nella idolatria e
    nella superstizione. Egli sapeva che grandi torme d'Irlandesi erano
    spesso fuggite dinanzi ad una mano d'Inglesi, e che la intera
    popolazione d'Irlanda era stata tenuta in freno da una piccola
    colonia inglese: e compiacevasi a concludere ch'egli nell'ordine di
    natura era un essere più elevato dello Irlandese: imperocchè in tal
    guisa una razza dominante sempre spiega la sua superiorità ed escusa
    la sua tirannia. Nessuno oggimai nega agli Irlandesi vivacità, brio,
    eloquenza, fra le nazioni del mondo: cento campi di battaglia
    testificano che essi, ove abbiano buona disciplina, sono strenui
    soldati. Nondimeno egli è certo, che un secolo e mezzo fa erano
    generalmente spregiati nella isola nostra come gente stupida e
    codarda. E questi erano gli uomini che dovevano tenere in freno la
    Inghilterra a viva forza, mentre compivasi la distruzione della
    libertà e della Chiesa sue! Al solo pensiero ribolliva il sangue
    nelle vene d'ogni Inglese. Essere vinti da' Francesi o dagli
    Spagnuoli sarebbe, in paragone, sembrato un destino tollerabile. Noi
    eravamo assuefatti a trattare da pari a pari co' Francesi e con gli
    Spagnuoli. Ne avevamo ora invidiata la prosperità, ora temuta la
    potenza, ora gioito della loro amicizia. In onta al nostro
    insocievole orgoglio, le consideravamo come grandi nazioni, e non
    negavamo che andavano gloriose di uomini insigni nelle arti della
    guerra e della pace. Ma essere soggiogati da una casta inferiore era
    avvilimento oltre ogni credere grandissimo. Gl'Inglesi provavano
    quel sentimento che proverebbero gli abitatori di Charleston e della
    Nuova Orleans, se quelle città fossero occupate da un presidio di
    Negri. I fatti genuini sarebbero stati sufficienti a suscitare
    inquietudine e sdegno: ma cotesti fatti erano inoltre adulterati da
    mille sinistre finzioni che correvano di caffè in caffè, di bettola
    in bettola, e andando diventavano sempre più terribili. Il numero
    delle truppe irlandesi venute fra noi poteva suscitare ragionevole e
    grave timore rispetto a' disegni del Re: ma era ingrandito dieci
    volte più dal pubblico timore. Poteva bene supporsi che il rozzo
    fantaccino di Connaught posto con l'armi in mano fra mezzo a un
    popolo straniero che egli odiava e dal quale egli era odiato,
    commettesse qualche eccesso. Ma tali eccessi venivano esagerati
    narrandoli; e per giunta agli oltraggi che lo straniero aveva
    veramente commessi, gli venivano attribuiti tutti i delitti de' suoi
    camerati inglesi. Da ogni parte del Regno sorse un grido contro i
    barbari forestieri che invadevano le case private, prendevano
    barocci e cavalli, estorcevano danari ed insultavano donne. Dicevasi
    che cotesti uomini fossero i figliuoli di coloro, che quarantasette
    anni innanzi avevano fatto strage di migliaia di Protestanti. La
    ribellione del 1641, la quale anche narrata con calma susciterebbe
    pietà ed orrore, e che era stata bruttamente esagerata da' nazionali
    e religiosi rancori, era adesso divenuta la materia prediletta delle
    conversazioni. Spaventevoli storielle di case bruciate con le
    famiglie dentro, di donne e fanciulli macellati, di consanguinei
    costretti dalla tortura ad assassinarsi a vicenda, di cadaveri
    oltraggiati e mutilati, erano narrate e udite con piena credenza e
    vivo interesse. Aggiungevasi poi che i codardi selvaggi che avevano
    di sorpresa commesse tutte coteste crudeltà sopra una colonia senza
    sospetto e priva d'ogni difesa, appena Cromwell si fu mostrato fra
    loro a farne vendetta, percossi da subito terrore, avevano messe giù
    le armi, e senza nè anche tentare le sorti di un solo combattimento
    erano ricaduti nel ben meritato servaggio. A molti indizi
    prevedevasi che il Lord Luogotenente meditava un'altra grande
    spoliazione e strage della colonia Sassone. Già migliaia di coloni
    protestanti, fuggendo la ingiustizia e la insolenza di Tyrconnel,
    avevano riacceso lo sdegno della madre patria narrando tutto ciò che
    avevano sofferto, e tutto ciò che avevano, con troppa ragione,
    temuto. Fino a che segno l'opinione pubblica fosse stata esasperata
    dalle querimonie de' fuggitivi era stato di recente mostrato in modo
    da non indurre in errore. Tyrconnel aveva mandato per essere
    approvata dal Re una proposta di revoca della legge che assicurava
    il possesso di mezzo il suolo d'Irlanda, e aveva spediti a
    Westminster due agenti cattolici suoi concittadini che erano stati
    inalzati ad alti uffici nell'ordine giudiciario: Nugent,
    Capo-Giudice della Corte del Banco del Re in Irlanda, uomo che
    personificava tutti i vizi e le debolezze che gl'Inglesi reputavano
    come facienti il carattere del papista celtico; e Rice, uno de'
    Baroni dello Scacchiere Irlandese, uomo che per abilità e cognizioni
    era il primo fra' suoi compatriotti e correligionari. Lo scopo della
    missione era a tutti noto; e i due giudici non potevano rischiarsi a
    comparire in pubblico. La plebaglia, riconoscendoli, gridava: "Fate
    largo agli ambasciatori(1086) irlandesi;" e il loro cocchio veniva
    scortato con solenne berlina da una turba d'uscieri e di corrieri
    che portavano in mano bastoni con patate fitte in punta(1087).
    
    E davvero, in quel tempo l'avversione de gl'Inglesi contro
    gl'Irlandesi era sì forte ed universale, che la sentivano perfino i
    più spettabili Cattolici Romani. Powis e Bellasyse anche in
    Consiglio significarono con aspre e virulente parole la loro
    antipatia contro gli stranieri(1088); antipatia che era anche più
    forte fra gl'Inglesi Protestanti, e più forte ancora nell'armata. Nè
    gli ufficiali, nè i soldati erano disposti a tollerare con pazienza
    la predilezione che il loro signore mostrava ad una razza vinta e
    forestiera. Il Duca di Berwick, colonnello dell'ottavo reggimento di
    linea acquartierato in Portsmouth, ordinò che trenta uomini pur
    allora giunti dall'Irlanda fossero inscritti ne' ruoli militari. I
    soldati inglesi dichiararono di non volere servire insieme con
    gl'intrusi. Giovanni Beaumont Luogotenente colonnello, a nome suo e
    di cinque capitani, protestò al cospetto del Duca contro questo
    insulto fatto alla nazione ed all'esercito inglese, dicendo: "Noi
    componemmo il reggimento a nostre proprie spese per difendere la
    corona della Maestà sua in perigliosi tempi. Allora non incontrammo
    difficoltà a trovare centinaia di reclute inglesi. Noi possiamo
    agevolmente tenere congiunta ogni compagnia senza ammettervi
    gl'Irlandesi. E però reputiamo che ne vada dell'onor nostro nel
    tollerare che ci vengano imposti cotesti stranieri; e chiediamo che
    o ci sia permesso di comandare a soldati nostri concittadini, o che
    si accetti la nostra rinuncia." Berwick scrisse a Windsor per sapere
    in che guisa comportarsi. Il Re, grandemente esasperato, spedì
    subito una legione di cavalleria a Portsmouth perchè gli conducesse
    dinanzi i sei ufficiali disubbidienti. Furono tradotti avanti a un
    Consiglio di guerra. Ricusarono di sottomettersi, e furono dannati
    ad essere cassi da' ruoli, la qual pena allora era la massima che
    una Corte marziale potesse infliggere. La intera nazione fe' plauso
    agli ufficiali caduti in disgrazia: e l'opinione pubblica fu
    maggiormente irritata dalla voce corsa, quantunque senza fondamento,
    che essi mentre rimanevano in carcere, erano stati crudelmente
    trattati(1089).
    
    XVIII. L'opinione pubblica non manifestavasi allora con que' segni
    che oggidì sono comuni fra noi, cioè con numerose ragunanze e
    veementi arringhe. Nondimeno trovò una via ad esplodere. Tommaso
    Wharton, il quale nell'ultimo Parlamento era stato rappresentante
    della Contea di Buckingam ed aveva fama di libertino e di Whig,
    scrisse una ballata satirica sopra Tyrconnel. In questa breve poesia
    un Irlandese si congratulava con un altro suo concittadino, in un
    gergo barbaro, pel prossimo trionfo del papismo e della razza
    milesia. Diceva che lo erede protestante della Corona sarebbe
    escluso. Gli ufficiali protestanti verrebbero cacciati. La Magna
    Charta e i ciarlieri che si richiamavano ad essa verrebbero
    impiccati alla medesima forca. Il buon Talbot verserebbe a torrenti
    gl'impieghi sopra i suoi concittadini, e segherebbe la gola
    agl'Inglesi. Questi versi, che non s'inalzavano punto sopra la
    poesia plateale, avevano per intercalare un vocabolo che dicevasi
    essere stato adoperato come parola d'ordine dagl'insorti d'Ulster
    nel 1644. La nazione s'incapriccì de' versi e della musica. Da un
    angolo all'altro, per l'intera Inghilterra, tutta la popolazione non
    rifiniva mai di cantare cotesti versi scempi, che in ispecie
    formavano il diletto dello esercito inglese. Settanta e più anni
    dopo la Rivoluzione, un grande scrittore dipinse con arte squisita
    un veterano che aveva combattuto sul Boyne e in Namur; e uno de'
    tratti caratteristici del buon veterano consisteva nel fischiare il
    Lilliburello(1090).
    
    Wharthon poscia menò vanto d'avere cacciato con cotesti versi un Re
    da tre Regni. Ma, a dir vero, la fama di Lilliburello fu lo effetto,
    non già la cagione, di quel concitamento nel pubblico sentire, che
    produsse la Rivoluzione.
    
    Mentre Giacomo suscitava contro sè stesso tutti i sentimenti
    nazionali, i quali, se non fosse stata la sua insania, avrebbero
    potuto salvargli il trono, Luigi in modo diverso sforzavasi non meno
    efficacemente a facilitare la intrapresa che Guglielmo stavasi
    meditando.
    
    XIX. In Olanda il partito favorevole alla Francia era una minoranza
    bastevolmente forte, secondo l'ordinamento politico della Batava
    Federazione, a impedire che lo Statoldero tentasse un gran colpo.
    Tenersi bene edificata cotesta minoranza era uno scopo al quale, se
    la Corte di Versailles fosse stata savia, doveva, in quelle
    circostanze, essere posposto ogni altro qualunque. Luigi, nondimeno,
    per qualche tempo aveva lavorato, quasi lo facesse di proposito, a
    straniarsi da' suoi amici Olandesi; ed in fine, benchè non senza
    difficoltà, gli venne fatto di renderseli nemici nel momento preciso
    in cui il loro aiuto gli sarebbe stato d'inestimabile prezzo.
    
    V'erano due cose, le quali gli Olandesi peculiarmente sentivano, la
    religione e il commercio; e il Re di Francia aveva pur allora
    assalito il commercio e la religione loro. La persecuzione degli
    Ugonotti e la revoca dello editto di Nantes avevano da per tutto
    destato in cuore de' Protestanti sdegno e dolore; sentimenti che in
    Olanda erano più forti che altrove: imperocchè molti individui
    oriundi Olandesi, fidando nelle ripetute e solenni dichiarazioni di
    Luigi, il quale assicurava di mantenere la tolleranza dall'avo suo
    concessa, s'erano, per cagione di commercio, stabiliti, e gran parte
    di loro naturalizzati in Francia. Ogni corso di posta recava in
    Olanda la nuova che costoro erano con estremo rigore trattati per
    semplici motivi religiosi. Dicevasi che in casa di uno stavano
    acquartierati i dragoni; un altro era stato posto ignudo presso al
    fuoco fino a rimanerne mezzo arrostito. A tutti era, sotto
    severissime pene, inibito di celebrare i riti della propria
    religione, e di partirsi dal paese, al quale, sotto promesse
    menzognere erano stati attirati. I partigiani della Casa d'Orange
    schiamazzavano contro la crudeltà e la perfidia del tiranno.
    L'opposizione era confusa e scuorata. Lo stesso Consiglio municipale
    d'Amsterdam, comechè fosse fortemente favorevole agl'interessi della
    Francia, e aderisse alla teologia arminiana, e fosse poco
    inchinevole a biasimare Luigi e consentire co' Calvinisti da esso
    perseguitati, non poteva rischiarsi ad avversare l'opinione
    pubblica; perocchè in quella grande città non era un solo mercante
    il quale non avesse qualche parente od amico fra coloro che pativano
    tanto danno. Numerose petizioni firmate da nomi rispettabili
    venivano presentate ai borgomastri, pregandoli a rimostrare
    vigorosamente presso lo Ambasciatore Avaux. Fra' supplichevoli erano
    taluni i quali osavano introdursi nel palazzo degli Stati, e cadendo
    sulle loro ginocchia descrivevano, fra le lagrime e i singhiozzi, la
    misera sorte de' loro cari, e supplicavano i magistrati ad
    intercedere. I pergami delle Chiese risonavano d'invettive e di
    lamenti. Da' torchi uscivano racconti che laceravano l'anima, e
    virulente arringhe. Avaux conobbe tutto il pericolo, e riferì alla
    sua Corte che anche i bene intenzionati - così egli sempre chiamava
    i nemici della Casa d'Orange - o partecipavano all'universale
    sentimento o ne erano impauriti; e consigliò si cedesse alquanto ai
    loro desiderii. Le risposte giuntegli da Versailles furono gelide ed
    acri. Ad alcune famiglie, non naturalizzate in Francia, era stato
    concesso di ritornare alla patria loro: ma a que' naturali d'Olanda
    che avevano ottenuto lettere di naturalizzazione Luigi ricusò ogni
    indulgenza, dicendo che nessuna Potenza sulla terra doveva
    immischiarsi fra lui e i suoi sudditi. Costoro avevano scelto di
    essere annoverati fra' sudditi suoi, e nessun potentato straniero
    aveva diritto a sindacarlo intorno al modo di trattarli. I
    magistrati d'Amsterdam naturalmente sdegnaronsi della spregiante
    ingratitudine del Principe al quale con ardore e senza ombra di
    scrupolo avevano servito contro l'opinione universale de' loro
    concittadini. Alla già riferita tenne dietro, poco dipoi, un'altra
    provocazione che fu più profondamente sentita. Luigi cominciò a far
    guerra al loro commercio. Dapprima con un editto proibì la
    importazione delle aringhe ne' suoi dominii. Avaux s'affrettò a
    scrivere alla sua Corte che un simigliante passo aveva destato
    indignazione e timore, che sessantamila persone vivevano con la
    pesca delle aringhe, e che gli Stati probabilmente adotterebbero
    qualche provvedimento di rappresaglia. Gli fu risposto che il Re era
    deliberato non solo a persistere, ma ben anco ad accrescere i dazi
    su molte mercanzie delle quali la Olanda faceva lucroso traffico con
    la Francia. La conseguenza di cotesti errori commessi in onta a
    ripetuti ammonimenti, e, a quanto sembra, per ebbrezza di
    caparbietà, fu, che nel momento in cui il voto d'un solo potente
    membro della Batava Federazione avrebbe potuto impedire un evento
    fatale a tutta la politica di Luigi, tal voto non osò manifestarsi.
    Lo Ambasciatore con tutta la sua arte invano si studiò di
    raggranellare quel partito, col cui soccorso, per vari anni era
    riuscito a tenere in freno lo Statoldero.
    
    XX. L'arroganza ed ostinazione del signore frustrava tutti gli
    sforzi del servo; il quale finalmente fu costretto ad annunziare a
    Versailles che non era più da confidare nella città d'Amsterdam da
    sì gran tempo amica della Francia, che alcuni de' bene intenzionati
    temevano per la loro religione, e che i pochi i quali ancora si
    mantenevano fermi non potevano rischiarsi a significare i loro
    intendimenti. La fervida eloquenza de' predicatori che declamavano
    contro gli orrori della persecuzione francese, e le querimonie dei
    falliti che attribuivano la propria rovina ai decreti francesi,
    avevano concitato il popolo a tal segno che nessuno de' cittadini
    poteva dichiararsi favorevole alla Francia senza imminente pericolo
    di essere gettato dentro il più vicino canale. Tutti rammentavansi
    che solo quindici anni innanzi il più illustre capo del partito
    avverso alla Casa d'Orange era stato fatto in brani dalla infuriata
    plebe nel ricinto stesso del palazzo degli Stati Generali; ed era
    probabile che ugual sorte toccasse a coloro i quali, in quella gran
    crisi, venissero accusati di secondare i disegni della Francia
    contro la patria loro e contro la religione riformata(1091).
    
    XXI. Mentre Luigi in tal guisa costringeva i suoi fautori in Olanda
    a diventare, o a fingersi, suoi nemici, lavorava con non minore
    efficacia a rimuovere tutti gli scrupoli che avrebbero potuto
    impedire i principi cattolici del continente di secondare i disegni
    di Guglielmo. Un nuovo litigio era sorto tra la Corte di Versailles
    e il Vaticano, litigio nel quale il Re francese si mostrò più che in
    ogni altra sua azione ingiusto ed insolente.
    
    Era vecchio costume in Roma che nessuno ufficiale di giustizia o di
    finanza potesse entrare nell'abitazione de' ministri che
    rappresentavano gli Stati cattolici. In progresso non solo
    l'abitazione, ma i luoghi circostanti reputavansi inviolabili. Era
    punto d'onore per ogni ambasciatore estendere quanto più potesse i
    confini del circondario che rimaneva sotto la sua protezione. Infine
    i distretti privilegiati, dentro i quali il Governo papale non aveva
    maggior potenza che nel Louvre o nell'Escuriale, comprendevano mezza
    la città. Ogni asilo era pieno di contrabbandieri, di falliti
    disonesti, di ladri e d'assassini. In ogni asilo erano magazzini di
    cose rubate o di mercanzie fraudolentemente introdotte. Da ogni
    asilo uomini facinorosi uscivano di notte a saccheggiare ed a
    pugnalare la gente. In nessuna terra della Cristianità, quindi, la
    legge era così impotente e la malvagità sì audace come nell'antica
    metropoli della religione e dell'incivilimento. Intorno a siffatto
    danno Innocenzo pensava come si conveniva ad un sacerdote e ad un
    principe. Dichiarò dunque di non volere accogliere nessuno
    Ambasciatore il quale si ostinasse a mantenere un diritto
    distruggitore dell'ordine e della morale. Vi fu dapprima un gran
    mormorare, ma egli si mostrò cotanto fermo che tutti i Governi,
    tranne un solo, in breve tempo cederono. Lo Imperatore, che per
    grado era il primo tra tutti i monarchi cristiani, la Corte di
    Spagna, che predistinguevasi fra tutte per suscettibilità e
    pertinacia ne' punti d'etichetta, rinunciarono al mostruoso
    privilegio. Il solo Luigi si mostrò intrattabile, dicendo
    importargli poco ciò che piacesse agli altri sovrani di fare. Per la
    qual cosa spedì a Roma un'ambasceria, scortata da numeroso stuolo di
    cavalli e di fanti. Lo Ambasciatore giunse al suo palazzo come un
    generale che entri trionfante in una città conquistata. Il palazzo
    era fortemente guardato; attorno al recinto privilegiato le
    sentinelle facevano la ronda di giorno e di notte, come sopra le
    mura d'una fortezza. Il Papa rimase fermo. "Confidano" esclamò egli
    "ne' cocchi e ne' cavalli: ma noi invocheremo il nome di Dio nostro
    signore." Diede di piglio alle sue armi spirituali, e pose la parte
    della città presidiata da' Francesi sotto lo interdetto(1092).
    
    Questo litigio era nel massimo fervore allorchè ne sorse un altro;
    nel quale tutto il Corpo Germanico aveva interesse ugualmente che il
    Papa.
    
    XXII. Colonia e il distretto circostante governava un Arcivescovo
    che era elettore dello Impero. Il diritto di eleggere il gran
    prelato spettava, sotto certe condizioni, al Capitolo della
    Cattedrale. Lo Arcivescovo era parimente Vescovo di Liegi, di
    Munster e di Hildesheim. I suoi dominii erano vasti, e comprendevano
    varie fortezze, le quali nel caso d'una campagna sul Reno sarebbero
    state importantissime. In tempo di guerra poteva condurre in campo
    venti mila uomini. Luigi aveva fatto ogni possibile sforzo a
    rendersi bene affetto un così valido alleato, e v'era tanto riuscito
    che Colonia rimaneva quasi divisa dalla Germania, e formava un
    baluardo della Francia. Molti ecclesiastici ligi alla Corte di
    Versailles erano stati messi nel Capitolo; e il Cardinale
    Furstemburg, creatura di quella Corte, era stato nominato
    Coadiutore.  Nella state del 1688 l'Arcivescovato divenne
    vacante. Furstemburg era il candidato della Casa de' Borboni. I
    nemici di quella proponevano il giovine Principe Clemente di
    Baviera. Furstemburg era già Vescovo, e quindi non poteva essere
    trasferito ad altra diocesi senza speciale dispensa del pontefice, o
    per una postulazione, nella quale era necessario che fossero
    concordi i voti di due terzi del Capitolo di Colonia. Il Papa non
    volle concedere la dispensa ad una creatura della Francia. Lo
    Imperatore indusse più d'una terza parte del Capitolo a votare in
    favore del Principe Bavaro. Infrattanto ne' Capitoli di Liegi, di
    Munster, e di Hildesheim la maggioranza procedeva avversa alla
    Francia. Luigi vide con isdegno e paura, come una vasta provincia
    che egli aveva incominciato a considerare qual feudo della sua
    Corona, fosse per divenire, non solo indipendente, ma ostile a lui.
    In una scrittura dettata con grande acrimonia si querelò della
    ingiustizia con che la Francia in tutte le occasioni era trattata
    dalla Santa Sede, la quale era in debito di largire la sua paterna
    protezione ad ogni parte della Cristianità. A molti segni vedevasi
    come egli avesse deliberato di sostenere la pretesa del suo
    candidato con le armi, contro il Papa, e i collegati del Papa(1093).
    
    XXIII. In cotal modo Luigi, con due opposti errori, suscitò a un
    tratto contro sè stesso il risentimento de' due partiti religiosi,
    nei quali l'Europa occidentale era divisa. Inimicatasi una grande
    classe de' cristiani col perseguitare gli Ugonotti, si inimicava
    l'altra coll'insultare la Santa Sede. Tali errori egli commise in un
    tempo in cui non poteva impunemente commetterne alcuno, e sotto gli
    occhi d'un avversario, il quale per vigilanza, sagacia, ed energia
    non era secondo a nessun uomo politico di cui serbi ricordo la
    storia. Guglielmo vide con austero diletto i suoi avversari
    affaticarsi a sgombrargli d'ogni ostacolo il cammino. Mentre
    suscitavano contro sè stessi la nimistà di ogni setta, egli poneva
    sommo studio a conciliarsele tutte. Con isquisito magistero presentò
    ai vari Governi in differente aspetto il gran disegno ch'egli
    meditava; ed è mestieri aggiungere che quantunque tali aspetti
    fossero differenti, nessuno era falso. Esortò i Principi della
    Germania settentrionale a collegarsi con lui per difendere la causa
    comune di tutte le chiese riformate. Pose sotto gli occhi de' due
    capi della Casa d'Austria il pericolo onde erano minacciati
    dall'ambizione francese, e la necessità di redimere l'Inghilterra
    dal vassallaggio e di congiungerla alla Federazione Europea(1094).
    Mostrossi sdegnoso, e con tutta verità, d'ogni bacchettoneria.
    Diceva che il vero nemico de' Cattolici Inglesi era quel monarca,
    uomo corto di vista, e duro di cuore, il quale potendo agevolmente
    ottenere ad essi una tolleranza legale, aveva calpestata la legge,
    la libertà e il diritto di proprietà, per inalzarli ad un predominio
    odioso e precario. Se si lasciava continuare nella sua insania ne
    conseguiterebbe tra breve uno scoppio popolare, al quale terrebbe
    dietro una barbara persecuzione de' papisti. Il Principe dichiarava
    che lo evitare gli errori di tale persecuzione era uno de' precipui
    suoi fini. Ove egli fosse avventurato nel suo disegno, adoprerebbe
    lo acquistato potere come capo de' Protestanti, a proteggere i
    credenti nella Chiesa di Roma. Forse le passioni destate dalla
    tirannia di Giacomo renderebbero impossibile l'abrogazione delle
    leggi penali, ma un savio governo ben poteva mitigarle. A nessuna
    classe d'uomini poteva recare vantaggio la proposta spedizione
    quanto a' que' pacifici e non ambiziosi Cattolici Romani, i quali
    desideravano solamente seguire la propria vocazione e senza molestia
    adorare il Creatore. I soli perdenti sarebbero i Tyrconnel, i Dover,
    gli Albeville, e gli altri avventurieri politici, i quali in
    ricompensa delle adulazioni e de' pessimi consigli avevano ottenuto
    dal loro troppo credulo signore governi, reggimenti, ed ambasciate.
    
    XXIV. Mentre Guglielmo sforzavasi a procacciarsi la simpatia dei
    Protestanti e de' Cattolici, si studiava con non minor vigore e
    prudenza a provvedersi dei mezzi militari che la sua impresa
    richiedeva. Non poteva fare uno sbarco in Inghilterra senza la
    sanzione delle Provincie Unite; ed ove l'avesse chiesta innanzi che
    il suo disegno fosse maturo per mandarsi ad effetto, i suoi
    intendimenti forse sarebbero avversati dalla fazione ostile alla sua
    Casa, e certamente verrebbero divulgati in tutto il mondo. Per lo
    che deliberò di fare con ispeditezza i necessari apparecchi, e
    appena compiuti, giovarsi di qualche momento favorevole per
    richiedere lo assenso alla Federazione. Gli agenti della Francia
    notavano che si mostrava quanto mai affaccendato. Non passava giorno
    senza che egli fosse veduto correre dalla sua villa all'Aja. Stavasi
    sempre rinchiuso a colloquio co' suoi più cospicui aderenti.
    Ventiquattro vascelli furono armati in addizione alle forze
    ordinarie mantenute dalla Repubblica. Per avventura v'era un bel
    pretesto ad accrescere la flotta: imperciocchè alcuni corsari
    algerini avevano dianzi osato mostrarsi nell'Oceano Germanico.
    Formossi un campo in Nimega, dove si raccolsero molte migliaia di
    soldati. A fine di rinforzare cotesto esercito richiamaronsi i
    presidii da' luoghi forti nel Brabante Olandese. Perfino la rinomata
    fortezza di Bergopzoom fu lasciata quasi senza difesa. Pezzi da
    campagna, bombe, e cassoni da tutti i magazzini delle Provincie
    Unite furono trasportati al quartiere generale. Tutti i fornai di
    Roterdam affaticavansi giorno e notte a fare biscotto. Tutti gli
    armaiuoli d'Utrecht non bastavano ad eseguire le commissioni di
    pistole ed archibugi. Tutti i sellai d'Amsterdam lavoravano
    indefessamente a fare arnesi. Sei mila marinai furono aggiunti al
    servizio della flotta. Si fece una leva di sette mila nuovi soldati.
    Veramente non potevano essere formalmente arruolati senza lo assenso
    della Federazione; ma erano bene ammaestrati e tenuti in tanta
    disciplina che potevano senza difficoltà ordinarsi a reggimenti
    dentro ventiquattro ore dopo ottenuto lo assenso. Tali preparamenti
    richiedevano pecunia annoverata: ma Guglielmo con rigida economia
    aveva accumulato per qualche grave occorrenza un tesoro di dugento
    cinquanta mila lire sterline. Al rimanente provvide lo zelo de' suoi
    partigiani. Oro in gran copia, o, come si disse, una somma non
    minore di cento mila ghinee gli fu mandata dall'Inghilterra. Gli
    Ugonotti, i quali avevano seco portato nello esilio molta quantità
    di metalli preziosi, di gran cuore gli prestarono tutto ciò che
    possedevano: imperciocchè ardentemente speravano, che, ove la
    impresa avesse esito prospero, sarebbe loro resa la patria, e
    temevano, che fallendo egli, non sarebbero nè anche sicuri nella
    patria adottiva(1095).
    
    XXV. Negli ultimi giorni di luglio e in tutto il mese d'agosto gli
    apparecchi processero rapidamente, se non che allo ardente animo di
    Guglielmo parevano andare troppo lenti. Intanto diventava più attiva
    la comunicazione tra la Olanda e l'Inghilterra. I consueti modi di
    trasmettere notizie e passeggieri più non furono reputati sicuri.
    Una barca leggiera e maravigliosamente veloce andava e veniva di
    continuo da Schevening(1096) alla costa orientale dell'isola
    nostra(1097). Per questo mezzo giunsero a Guglielmo non poche
    lettere scrittegli da uomini notevolissimi nella Chiesa, nello
    Stato, e nello esercito. Due de' sette prelati che avevano firmata
    la memoranda petizione, cioè Lloyd Vescovo di Santo Asaph, e
    Trelawney Vescovo di Bristol, mentre erano in carcere, avevano bene
    meditato sulla dottrina della resistenza, ed erano pronti ad
    accogliere un liberatore armato. Un fratello del Vescovo di Bristol,
    il colonnello Carlo Trelawney, che comandava uno de' reggimenti di
    Tangeri, adesso conosciuto come il Quarto di Linea, si mostrò
    ardente di snudare la spada a pro della Religione Protestante.
    Simiglianti assicurazioni mandò il feroce Kirke. Churchill, in una
    lettera scritta con qualche elevatezza di stile, indizio certo che
    egli era per commettere una viltà, si dichiarò deliberato a compiere
    il suo dovere verso Dio e la patria, e disse che poneva il proprio
    onore assolutamente nelle mani del Principe d'Orange. Guglielmo
    senza dubbio lesse queste parole con quell'amaro e cinico sorriso
    che dava una poco piacevole espressione al suo volto. Non ispettava
    a lui prender cura dell'onore degli altri; nè i più rigidi casisti
    avevano giudicato illecito ad un generale lo invitare, giovarsi, e
    rimunerare i servigi de' disertori ch'ei non potesse
    spregiare(1098).
    
    La lettera di Churchill fu recata da Sidney, la cui posizione in
    Inghilterra era divenuta pericolosa, e il quale, prese molte cautele
    a nascondere la sua traccia, era giunto in Olanda a mezzo
    agosto(1099). Verso il medesimo tempo Shrewsbury ed Eduardo Russell
    traversarono l'Oceano Germanico in un battello che avevano con
    grande segretezza noleggiato, e comparvero all'Aja. Shrewsbury recò
    seco dodici mila lire sterline, ch'aveva messe insieme ipotecando i
    suoi beni, e le pose nella banca d'Amsterdam(1100). Devonshire,
    Danby, e Lumley rimasero in Inghilterra, dove tolsero lo incarico di
    correre alle armi appena il Principe d'Orange ponesse piede
    nell'isola.
    
    XXVI. Non v'è ragione a credere che in questa occorrenza Guglielmo
    ricevesse assicurazioni di sostegno dalla parte d'un uomo bene dai
    sopranotati diverso. La storia degl'intrighi di Sunderland è coperta
    da un buio che non è probabile venga mai diradato da nessuno
    scrittore: ma comunque sia impossibile scoprire intera la verità,
    egli è agevole notare alcune finzioni palpabilissime. I Giacomiti,
    per manifeste ragioni, affermarono che la rivoluzione del 1688 fu il
    resultamento d'una congiura tramata lungo tempo innanzi, e
    rappresentarono Sunderland come capo de' congiurati. Asserivano
    ch'egli, per eseguire il suo arcano disegno, aveva incitato il suo
    troppo fidente signore a dispensare dagli statuti, a creare un
    tribunale illegale, a confiscare gli averi de' sudditi, e ad
    imprigionare i padri della Chiesa Anglicana. Questo romanzo non ha
    verun fondamento storico, e comechè sia stato più volte ripetuto
    fino ai tempi nostri, non merita confutazione. Non vi è fatto più
    certo di questo, che Sunderland si oppose quasi sempre agl'insani
    provvedimenti di Giacomo, ed in ispecie alla persecuzione de'
    Vescovi, la quale veramente produsse la crisi decisiva. Ma quando
    anche cotesto fatto non fosse provato, rimarrebbe un altro valido
    argomento che basterebbe a decidere la controversia. Qual
    ragionevole motivo aveva Sunderland per desiderare una rivoluzione?
    Nel sistema politico esistente egli trovavasi nella maggiore altezza
    di onori e di prosperità. Come presidente del Consiglio aveva la
    precedenza su tutti i Pari secolari. Come primo Segretario di Stato
    era il più attivo e potente membro del Gabinetto. Poteva anche
    sperare la dignità di Duca. Aveva ottenuto l'ordine della
    giarrettiera dianzi portato dallo splendido e versatile Buckingham,
    il quale, avendo consunto un patrimonio principesco e un vigoroso
    intelletto, era disceso nella tomba abbandonato, spregiato, e col
    cuore trafitto(1101). Il danaro che Sunderland amava più che li
    onori, pioveva sopra lui in tanta copia, che amministrandolo
    moderatamente, egli poteva sperare di farsi uno dei più ricchi
    uomini d'Europa. Gli emolumenti diretti del suo ufficio, benchè
    fossero considerevoli, erano piccola parte di ciò ch'egli
    guadagnava. Dalla sola Francia riceveva regolarmente uno stipendio
    annuo di circa sei mila sterline, oltre alle ampie gratificazioni
    straordinarie. Aveva patteggiato con Tyrconnel per cinque mila lire
    sterline l'anno, o cinquanta mila una volta sola, sopra l'Irlanda.
    Quali somme accumulasse vendendo impieghi, titoli e grazie, può solo
    immaginarsi, ma dovevano essere enormi. E' pareva che Giacomo
    godesse di far nuotare nell'oro un uomo ch'egli pretendeva d'avere
    convertito. Tutte le multe, tutte le confische andavano a
    Sunderland. In ogni concessione fatta esigeva una decima. Se qualche
    chiedente si rischiava implorare un favore direttamente dal Re,
    Giacomo gli rispondeva: "Avete voi parlato col Lord Presidente?" Un
    tale ardì dirgli che il Lord Presidente ingoiava tutto il danaro
    della Corte. "Bene" rispose Sua Maestà "egli lo merita tutto(1102)."
    Non vi sarebbe la minima esagerazione ad affermare che i guadagni
    del Ministro giungevano a trenta mila lire sterline l'anno: ed è
    mestieri rammentarsi che le rendite di trenta mila sterline erano in
    quel tempo più rare di quello che siano ai dì nostri le rendite di
    cento mila. È probabile che allora in tutto il Regno non vi fosse
    alcun Pari, la cui entrata patrimoniale uguagliasse quella che
    Sunderland traeva dal proprio ufficio.
    
    Poteva quindi Sunderland sperare che, sorto un nuovo ordine di cose,
    implicato, come egli era, in atti illegali ed impopolari, membro
    dell'Alta Commissione, rinnegato che il popolo in tutti i luoghi di
    pubblico convegno chiamava papista cane, egli conseguisse maggiore
    opulenza e grandezza? Poteva inoltre sperare di sottrarsi alla ben
    meritata pena?
    
    Certo egli era assuefatto da lungo tempo a prevedere il giorno, in
    cui Guglielmo e Maria, nel corso ordinario della natura e della
    legge, sarebbero saliti sul trono d'Inghilterra, ed è probabile che
    avesse tentato di aprirsi la via al favor loro con promesse e
    servigi, i quali, ove fossero stati scoperti, non avrebbero
    accresciuto il suo credito in Whitehall. Ma può con sicurtà
    affermarsi che egli non desiderava di vederli inalzati al potere per
    mezzo d'una rivoluzione, e che non prevedeva siffatta rivoluzione
    allorquando, verso la fine di giugno 1688, abbracciò solennemente la
    fede della Chiesa di Roma.
    
    Appena, nondimeno, egli con quell'inespiabile delitto s'era reso
    segno all'odio ed al disprezzo della intera nazione, quando seppe le
    armi nazionali e forestiere apparecchiarsi a rivendicare in breve
    tempo l'ordinamento politico ed ecclesiastico della Inghilterra. Da
    quello istante sembra che tutti i suoi disegni si cangiassero. La
    paura che gli aveva invilito l'animo gli stava scritta in viso sì
    che ciascuno poteva accorgersene(1103). Mal poteva dubitarsi, che,
    seguíta una rivoluzione, i pessimi consiglieri che circondavano il
    trono verrebbero chiamati a rendere rigoroso conto; e Sunderland fra
    cotesti consiglieri era primo per grado. La perdita dell'ufficio,
    della mercede, delle pensioni, era il meno ch'egli avesse a temere.
    La sua casa patrimoniale e i suoi boschi in Althorpe avrebbero corso
    pericolo d'essere confiscati; forse ei sarebbe gettato per lunghi
    anni in carcere; avrebbe finiti i suoi giorni in terra straniera
    dopo d'avere trascinata la vita con una pensione assegnatagli dalla
    generosità della Francia. Ed anche ciò non era il peggiore de' mali.
    Lo sventurato ministro cominciava a sentirsi perturbata la mente da
    sinistre visioni d'una innumerevole folla ragunata in Tower Hill e
    schiamazzante di feroce gioia alla vista dello apostata, del palco
    parato a bruno, di Burnet leggente la preghiera degli agonizzanti, e
    di Ketch appoggiato sopra la scure che aveva troncate le teste di
    Russell e di Monmouth. Gli rimaneva una via a salvarsi, via più
    terribile per un animo nobile di quello che sia la prigione o il
    patibolo; poteva forse, con una tradigione commessa a tempo,
    conseguire il perdono dagl'inimici del Governo. Stava in lui di
    render loro inestimabili servigi: poichè egli godeva della piena
    fiducia del Re, aveva grande influenza nella cabala gesuitica, e la
    cieca confidenza dello Ambasciatore Francese. Non mancava un mezzo
    di comunicazione, mezzo degno del fine al quale egli voleva
    giungere. La Contessa di Sunderland era una artificiosa donna, e
    sotto il manto della divozione che ingannava gli uomini gravi,
    conduceva di continuo amorosi e politici intrighi(1104). Il bello e
    dissoluto Enrico Sidney era stato per lungo tempo il suo favorito
    amante. Al marito piaceva di vederla in tal modo posta in
    comunicazione con la Corte dell'Aja. Quando egli desiderava far
    giungere un segreto messaggio in Olanda, parlava con la sua moglie;
    la quale scriveva a Sidney; e Sidney comunicava la lettera a
    Guglielmo. Una di coteste lettere, intercettata, fu recata a
    Giacomo. Essa protestò fervidamente chiamandola apocrifa. Sunderland
    con singolarissima astuzia si difese dicendo che era impossibile a
    qualunque uomo essere cotanto vile da fare ciò ch'egli veramente
    faceva. "E quando anche fosse carattere di Lady Sunderland"
    soggiunse, "io non vi ho nulla da vedere. Vostra Maestà conosce le
    mie domestiche sciagure. La relazione di mia moglie con Sidney è pur
    troppo nota a tutti. Chi potrebbe mai credere ch'io scegliessi a mio
    confidente l'uomo che mi ha offeso nell'onore, l'uomo che sopra
    tutti i viventi io dovrei maggiormente odiare(1105)?" Questa difesa
    fu reputata soddisfacente; e l'irco marito seguitò a comunicare
    secretamente colla sua moglie adultera, l'adultera con l'amante, e
    lo amante co' nemici di Giacomo.
    
    Egli è probabilissimo che le prime positive assicurazioni dello
    aiuto di Sunderland fossero oralmente da Sidney comunicate a
    Guglielmo verso la metà d'agosto. Certo è che da quel tempo fino a
    quando la spedizione fu pronta a far vela, la Contessa tenne col suo
    amante un significantissimo carteggio. Poche delle sue lettere, in
    parte scritte in cifra, esistono ancora, e contengono proteste di
    buon volere e promesse di servigi miste con ardenti preghiere di
    protezione. La scrittrice promette che il suo marito farà tutto ciò
    che i suoi amici dell'Aja possono desiderare: suppone che gli sarà
    mestieri per qualche tempo esulare: ma spera che il bando di lui non
    sia perpetuo, e che egli non venga spogliato de' suoi beni
    patrimoniali; e instantemente prega di sapere in che luogo sarà
    meglio per lui rifugiarsi, finchè sia abbonacciata la prima furia
    della tempesta popolare(1106).
    
    XXVII. Lo aiuto di Sunderland fu bene accolto: imperciocchè
    avvicinandosi il tempo di tentare il gran colpo, l'ansietà di
    Guglielmo s'era fatta grandissima. Agli occhi altrui con la fredda
    tranquillità dello aspetto ei nascondeva i suoi sentimenti, ma a
    Bentinck apriva tutto il suo cuore. Gli apparecchi non erano
    interamente compiuti. Il disegno era già sospettato e non poteva
    oltre differirsi. Il Re di Francia o la città d'Amsterdam potevano
    frustrarlo. Se Luigi mandasse una grande forza militare nel
    Brabante, se la fazione che odiava lo Statoldero alzasse il capo,
    tutto sarebbe finito. "Le mie pene, la mia irrequietudine," scriveva
    il Principe "sono terribili. Non so in che guisa io proceda. Mai in
    vita mia io ho sentito, come ora, il bisogno dello aiuto di
    Dio(1107)." La moglie di Bentinck era in quel tempo pericolosamente
    inferma, ed ambi gli amici sentivano per lei penosissima ansietà.
    "Dio vi conforti," scriveva Guglielmo, "e vi dia animo a sostenere
    la parte vostra in un'opera, dalla quale, per quanto è dato agli
    uomini conoscere, dipende il bene della sua Chiesa(1108)."
    
    E davvero egli era impossibile che un così vasto disegno contro il
    Re d'Inghilterra rimanesse per molti giorni secreto. Non v'era arte
    ad impedire che gli uomini savi s'accorgessero de' grandi apparati
    militari e marittimi che Guglielmo andava facendo, e ne
    sospettassero lo scopo. Sul principio d'agosto bisbigliavasi per
    tutta Londra dello avvicinarsi d'un grande evento. Il debole e
    corrotto Albeville in que' giorni trovavasi in Inghilterra, ed era o
    simulava d'essere certo che il Governo Olandese non macchinava nulla
    contro Giacomo. Ma mentre Albeville rimaneva lontano dal suo posto,
    Avaux con arte somma compiva i doveri d'Ambasciatore Francese ed
    Inglese presso gli Stati, e mandava copiose notizie a Barillon
    egualmente che a Luigi. Avaux era persuaso che si meditava uno
    sbarco in Inghilterra, e gli venne fatto di convincerne il suo
    signore. Ogni corriere che giungesse a Westminster o dall'Aja o da
    Versailles, recava seri ammonimenti(1109). Ma Giacomo trovavasi
    involto in uno inganno, che, a quanto sembra, era artificiosamente
    accresciuto da Sunderland. Lo astuto ministro diceva che il Principe
    d'Orange non si rischierebbe mai ad una spedizione oltre mare,
    lasciando la Olanda priva di difesa. Gli Stati rammentandosi de'
    danni patiti e del pericolo di patirne maggiori nell'infausto anno
    1672, non si porrebbero a repentaglio di vedere un esercito
    straniero accamparsi nel piano fra Utrecht e Amsterdam. Non era
    dubbio che fossero molti sinistri umori in Inghilterra: ma fra i
    mali umori e la ribellione era immenso lo spazio. I più ricchi e
    spettabili cittadini non erano minimamente disposti a rischiare
    onori, vita e sostanze. Quanti uomini cospicui fra' Whig avevano
    parlato con alto-sonanti parole, mentre Monmouth era ne' Paesi
    Bassi! E nondimeno chi di loro accorse al suo vessillo allorchè egli
    lo inalzò a ribellare l'Inghilterra? Era agevole ad intendere il
    perchè Luigi simulava di prestar fede a cotesti vani rumori. Certo
    egli sperava, atterrando il Re d'Inghilterra, indurlo a spalleggiare
    la Francia nella contesa per lo arcivescovato di Colonia. Con tali
    ragionamenti Giacomo era di leggieri tenuto in una stupida
    sicurezza(1110). I timori e lo sdegno di Luigi quotidianamente
    crescevano. Lo stile delle sue lettere si faceva sempre più pungente
    ed energico(1111). Scriveva di non sapere intendere cotesto letargo
    nella vigilia d'una tremenda crisi. Era il Re forse ammaliato? I
    suoi ministri erano forse ciechi? Era egli possibile che nessuno in
    Whitehall s'accorgesse di ciò che accadeva in Inghilterra e nel
    continente? Tanta sicurezza mal poteva essere lo effetto della
    imprevidenza. Qualche scelleraggine vi stava sotto. Giacomo
    evidentemente trovavasi in cattive mani. Barillon fu rigorosamente
    avvertito a non fidarsi alla cieca de' ministri inglesi: ma fu
    avvertito invano. Sunderland aveva avvinto e Barillon e Giacomo in
    un fascino tale che non v'era ammonimento che valesse a romperlo.
    
    XXVIII. Luigi affaccendavasi ognora con maggior vigoria. Bonrepaux
    il quale per perspicacia valeva molto più di Barillon, e aveva
    sempre aborrito e diffidato di Sunderland, fu spedito a Londra per
    offrire soccorsi marittimi. Ad Avaux nel tempo stesso fu ingiunto di
    dichiarare agli Stati Generali che la Francia aveva preso Giacomo
    sotto la sua protezione. Un gran corpo di truppe era pronto a
    marciare alla frontiera olandese. Questa audace prova di salvare suo
    malgrado lo accecato tiranno, fu fatta di pieno accordo con Skelton,
    il quale allora era ambasciatore d'Inghilterra presso la Corte di
    Versailles. Avaux uniformandosi alle ricevute istruzioni, chiese
    agli Stati una udienza che gli venne subito concessa. L'assemblea
    era oltre il consueto numerosa. Generalmente credevasi che il
    Francese dovesse fare qualche comunicazione concernente il
    commercio; e così supponendo il Presidente aveva apparecchiata una
    convenevole risposta in iscritto. Ma appena Avaux cominciò ad
    esporre la sua commissione, segni d'inquietudine apparvero in tutto
    l'uditorio. Coloro che erano in voce di godere la confidenza del
    Principe d'Orange, abbassaron gli occhi. L'agitazione si fece
    maggiore allorchè lo Inviato annunziò che il suo signore era
    intimamente stretto co' vincoli d'amistà e d'alleanza a Sua Maestà
    Britannica, e che ogni aggressione contro la Inghilterra verrebbe
    considerata come una dichiarazione di guerra alla Francia. Il
    presidente, côlto di sorpresa, balbettò poche parole evasive; e la
    conferenza si sciolse. Nel medesimo tempo fu notificato agli Stati
    che Luigi aveva preso sotto la sua protezione il Cardinale
    Furstemburg e il Capitolo di Colonia(1112).
    
    I deputati erano nella massima agitazione. Alcuni consigliavano
    indugio e cautela. Altri gridavano guerra. Fagel parlò con veementi
    parole della insolenza francese, e pregò i colleghi a non lasciarsi
    impaurire dalle minacce. Disse che la risposta più convenevole a
    cosiffatte comunicazioni era quella di accrescere maggiormente le
    forze di terra e di mare. Tosto fu spedito un corriere a richiamare
    Guglielmo da Minden, dove teneva un colloquio di somma importanza
    con lo Elettore di Brandenburgo.
    
    XXIX. Ma non v'era ragione alcuna di timore. Giacomo correva da sè
    alla propria rovina, ed ogni sforzo fatto a fermarlo lo spingeva più
    rapidamente al proprio destino. Mentre il suo trono era consolidato,
    il suo popolo sommesso, il più ossequioso de' Parlamenti pronto a
    indovinarne i desiderii e compiacerlo, mentre le repubbliche e i
    potentati stranieri gareggiavano a tenerselo bene edificato, mentre
    stava solo in lui il divenire l'arbitro della Cristianità, egli
    s'era abbassato a farsi lo schiavo e il mercenario della Francia. E
    adesso mentre per una catena di delitti e di follie, s'era inimicato
    co' vicini, co' sudditi, co' soldati, co' marinai, co' figli suoi,
    ed altro rifugio non rimanevagli che la protezione della Francia, fu
    preso da uno accesso d'orgoglio, e deliberò di far pompa
    d'indipendenza agli occhi di tutto il mondo. Lo aiuto, ch'egli,
    quando non ne aveva mestieri, non aveva vergognato di accettare con
    lacrime di gioia, adesso che gli era necessario, lo aveva
    sprezzantemente ricusato. Essendosi mostrato abietto mentre poteva
    con convenevolezza mostrarsi puntiglioso a mantenere la propria
    dignità, egli divenne con ingratitudine altero nel momento in cui
    l'alterigia doveva gettarlo nello scherno e nella rovina. Ei si
    mostrò risentito allo amichevole intervento che avrebbe potuto
    salvarlo. Si vide mai un Re siffattamente trattato? Era egli un
    fanciullo o un idiota, che altri avesse ad impacciarsi de' fatti
    suoi? Era egli un principotto, un Cardinale Furstemburg, il quale
    cadrebbe se non fosse sostenuto dal suo potente protettore? Doveva
    egli perdere la stima di tutta Europa accettando un pomposo
    protettorato che egli non aveva mai chiesto? Skelton fu richiamato a
    rendere ragione della sua condotta, ed appena giunto a Londra fu
    imprigionato nella Torre. Citters fu bene accolto in Whitehall ed
    ebbe una lunga udienza. Egli poteva, con veracità maggiore di quella
    che in simiglianti occasioni i diplomatici reputano necessaria,
    smentire dalla parte degli Stati Generali qual si fosse disegno
    ostile: imperciocchè gli Stati Generali fino allora non avevano
    notizia officiale dello intendimento di Guglielmo; nè era affatto
    impossibile che essi anche allora non gli dessero la loro
    approvazione. Giacomo disse che non prestava punto fede alle voci
    d'una invasione Olandese, e che la condotta del Governo Francese gli
    aveva recato maraviglia e molestia. A Middleton fu ingiunto di
    assicurare tutti i ministri stranieri come non esistesse tra la
    Francia e l'Inghilterra quella lega, che la Corte di Versailles
    voleva, pei propri fini, far credere. Al Nuncio il Re disse che i
    disegni di Luigi erano manifestissimi e che verrebbero frustrati.
    Questa officiosa protezione era un insulto e insieme una trappola.
    "Il mio buon fratello" soggiunse Giacomo "ha ottime qualità; ma
    l'adulazione e la vanità gli hanno dato volta al cervello(1113)."
    Adda, al quale importava più Colonia che la Inghilterra, secondò
    cotesto strano inganno. Albeville, che era già ritornato al suo
    posto, ebbe comandamento di dare assicurazioni d'amistà agli Stati
    Generali e di aggiungere parole che sarebbero state convenevoli
    sulle labbra d'Elisabetta o di Cromwell. "Il mio Signore" disse egli
    "per la sua potenza e pel suo animo si è inalzato al di sopra della
    posizione dove la Francia pretende tenerlo. Vi è qualche differenza
    tra un Re d'Inghilterra ed un Arcivescovo di Colonia." L'accoglienza
    fatta a Bonrepaux in Whitehall fu fredda. I soccorsi marittimi
    ch'egli offriva non furono affatto ricusati: ma gli fu forza
    tornarsene senza avere nulla concluso; e agli Ambasciatori delle
    Province Unite e della Casa d'Austria fu detto che l'ambasciata
    francese non era stata gradita dal Re e non aveva prodotto nessun
    effetto. Dopo la Rivoluzione Sunderland vantossi, e forse diceva il
    vero, d'avere indotto il proprio signore a rifiutare lo aiuto
    proffertogli dalla Francia(1114).
    
    La ostinata demenza di Giacomo destò, come era naturale, lo sdegno
    del suo potente vicino. Luigi si dolse che in ricambio de'
    grandissimi servigi ch'egli poteva rendere al Governo inglese, quel
    Governo gli aveva dato una mentita in faccia a tutta la Cristianità.
    Notò giustamente che tutto ciò che era stato detto da Avaux rispetto
    alla alleanza tra la Francia e la Gran Bretagna era vero secondo lo
    spirito, comechè forse non vero secondo la lettera. Non esisteva
    trattato compilato in articoli, munito di firme, sigilli e
    ratifiche; ma pel corso di parecchi anni erano state ricambiate tra
    le due Corti assicurazioni equivalenti, nell'opinione degli uomini
    d'onore, ad un trattato. Luigi aggiunse che per quanto fosse elevato
    il suo posto in Europa, non avrebbe mai sentita tanto assurda
    gelosia della propria dignità da prendere per insulto un atto
    suggerito dall'amicizia. Ma Giacomo era in condizioni
    differentissime, e in breve conoscerebbe il pregio di un aiuto da
    lui con sì poca buona grazia ricusato(1115).
    
    Nulladimeno, malgrado la stupidità e la ingratitudine di Giacomo,
    sarebbe stato savio provvedimento per Luigi il persistere nella
    determinazione notificata agli Stati Generali. Avaux che per sagacia
    e discernimento era degno antagonista di Guglielmo, era
    assolutamente di questa opinione. Precipuo scopo del Governo
    francese - così ragionava lo esperto Ambasciatore - dovrebbe essere
    quello d'impedire la invasione della Inghilterra. Il modo
    d'impedirla era d'invadere i Paesi Bassi sotto il dominio della
    Spagna, e minacciare i batavi confini. Il Principe d'Orange era
    cotanto impegnato nella sua intrapresa, da persistere quand'anco
    vedesse la bianca bandiera sventolare sopra le mura di Brusselles.
    Aveva già detto che ove gli Spagnuoli potessero fare in guisa da
    tenere fino a primavera Ostenda, Mons e Namur, ci sarebbe ritornato
    dalla Inghilterra con forze bastevoli a ricuperare tostamente le
    perdute province. Ma comechè tale fosse la opinione del Principe,
    tale non era quella degli Stati, i quali non avrebbero agevolmente
    consentito a mandare il Capitano e il fiore dell'armata loro oltre
    l'Oceano Germanico, mentre un formidabile nemico minacciava il loro
    territorio(1116).
    
    XXX. Luigi reputava savie coteste ragioni: ma era già deliberato di
    agire in modo diverso. Forse era stato provocato dalla scortesia e
    dalla caparbietà del Governo inglese, e voleva appagare lo sdegno a
    spese del proprio interesse. Forse lo traviavano i consigli di
    Louvois suo ministro della guerra, che aveva grande influenza e non
    guardava di buon occhio Avaux. Il Re di Francia deliberò di tentare
    altrove un grande ed inatteso colpo. Ritrasse le sue schiere dalle
    Fiandre e le gettò nella Germania. Un'armata, sotto il comando
    nominale del Delfino, ma veramente guidata dal Duca di Duras, e da
    Vauban, padre della scienza delle fortificazioni, invase
    Philipsburg. Un'altra, condotta dal Marchese di Bouffiers, prese
    Worms, Magonza e Treveri. Una terza, comandata dal Marchese di
    Humières, entrò in Bonn. Per tutta la linea del Reno, da Carlsruhe
    fino a Colonia, lo esercito francese fu vittorioso. La nuova della
    caduta di Philipsburg giunse a Versailles il dì d'Ognissanti, mentre
    la Corte ascoltava la predica nella cappella. Il Re fece al
    predicatore segno di fermarsi, annunziò la lieta nuova e
    inginocchiandosi ringraziò Dio di questa gran vittoria. L'uditorio
    ne pianse di gioia(1117). La notizia fu accolta con entusiasmo dallo
    ardente e vanitoso popolo della Francia. I poeti celebrarono il
    trionfo del loro magnifico protettore. Gli oratori esaltarono dai
    pergami la sapienza e magnanimità del figlio primogenito della
    Chiesa. Cantossi con insolita pompa il Te Deum, e le solenni melodie
    dell'organo risonavano miste al clangore de' timpani ed allo squillo
    delle trombe. Ma v'era poca ragione a rallegrarsi. Il grande uomo di
    Stato che capitanava la Coalizione Europea, gioiva in cuor suo
    vedendo così male diretta la energia del suo nemico. Luigi con la
    sua prontezza aveva ottenuto qualche vantaggio in Germania: ma
    poteva giovargli poco ove la Inghilterra, inoperosa e priva di
    gloria sotto quattro Re successivi, riprendesse l'antico suo grado
    fra i potentati d'Europa. Poche settimane bastavano per compire la
    impresa dalla quale dipendeva il destino del mondo; e per poche
    settimane le Province Unite potevano mantenersi sicure da ogni
    pericolo.
    
    XXXI. Guglielmo allora spinse i suoi apparecchi con indefessa
    operosità e con minore segretezza di quella che per innanzi aveva
    creduto necessaria. Giungevangli ogni giorno nuovo assicurazioni di
    soccorso dalle Corti straniere. Ogni opposizione nell'Aja era
    spenta. Invano Avaux in quegli estremi momenti studiossi con ogni
    sua arte a rianimare la fazione che pel corso di tre generazioni
    aveva avversato la Casa d'Orange. I capi di quella fazione, a dir
    vero, non procedevano favorevoli allo Statoldero; come quelli che
    ragionevolmente temevano che ove egli avesse prospera ventura in
    Inghilterra, diventerebbe assoluto signore della Olanda. Nondimeno
    gli errori della Corte di Versailles, e la destrezza onde egli se
    n'era giovato, rendevano impossibile il continuare la lotta contro
    di lui. Conobbe essere giunto il tempo di chiedere lo assenso degli
    Stati. Amsterdam era il quartiere generale del partito ostile alla
    razza, alla dignità, alla persona di lui; ed anche quivi ei non
    aveva adesso nulla da temere. Alcuni dei precipui magistrati di
    quella città avevano avuto più volte secreti colloqui con lui, con
    Dykvelt e con Bentinck, ed erano stati indotti a promettere che
    avrebbero secondato o almeno non avversato la grande intrapresa:
    altri erano esasperati dagli editti commerciali di Luigi: altri
    erano dolentissimi pei parenti e per gli amici tormentati dai
    dragoni francesi: altri abborrivano dalla responsabilità di far
    nascere uno scisma che potrebbe essere fatale alla Federazione
    Batava: ed altri avevano paura del popolo, il quale, incitato dalle
    arringhe de' zelanti predicatori, era pronto a porre le mani addosso
    ad ogni traditore della Religione Protestante. La maggioranza quindi
    di quel Consiglio municipale, che aveva da lungo tempo favorita la
    Francia, si dichiarò favorevole alla impresa di Guglielmo. E però in
    ogni parte delle Province Unite era svanito ogni timore
    d'opposizione; e lo assenso di tutta la Federazione fu formalmente
    dato in secrete ragunanze(1118).
    
    Il Principe aveva già posto gli occhi sopra un generale che avesse
    requisiti da essere a lui secondo nel comando. Ciò non era cosa di
    lieve importanza. Un'archibugiata fortuita o il pugnale d'un
    assassino avrebbe potuto in un istante lasciare lo esercito senza
    capo; ed era mestieri che un successore fosse pronto ad occupare il
    posto vacante. Nulladimeno egli era impossibile deputare a tanto
    ufficio un Inglese senza offendere i Whig o i Tory; nè fra
    gl'Inglesi v'era alcuno che avesse l'arte militare bisognevole a
    condurre una campagna. Dall'altro canto non era agevole proporre uno
    straniero senza offendere il senso nazionale degli alteri isolani.
    Un solo era l'uomo in Europa contro il quale non poteva farsi
    obiezione, cioè Federigo Conte di Schomberg, tedesco d'una famiglia
    nobile del Palatinato. Era universalmente reputato il più grande
    maestro dell'arte della guerra. La pietà e rettitudine sue, che non
    avevano mai ceduto a fortissime tentazioni, lo rendevano ben
    meritevole di riverenza e fiducia. Come che fosse Protestante, aveva
    per molti anni militato al soldo di Luigi, e in onta alle inique
    trame de' Gesuiti aveva strappato da lui, dopo una serie di gloriosi
    fatti, il bastone di Maresciallo di Francia. Allorquando la
    persecuzione cominciò ad infuriare, il valoroso veterano
    ostinatamente ricusò di conseguire con l'apostasia il regio favore;
    rinunziò, senza mormorare, a tutti i suoi onori e comandi; abbandonò
    per sempre la sua patria adottiva, e rifugiossi alla Corte di
    Berlino. Aveva settanta e più anni d'età, ma era in pieno vigore di
    mente e di corpo. Era stato in Inghilterra, dove fu molto amato ed
    onorato; e parlava la nostra favella non solo intelligibilmente, ma
    con grazia e purezza; qualità di cui allora pochi stranieri potevano
    menar vanto. Con lo assenso dello Elettore di Brandenburgo e con la
    cordiale approvazione di tutti i capi de' partiti inglesi fu
    nominato Luogotenente di Guglielmo(1119).
    
    XXXII. L'Aja era allora piena di avventurieri di tutti i vari
    partiti che la tirannia di Giacomo aveva congiunti in una strana
    coalizione; vecchi realisti, che avevano sparso il proprio sangue in
    difesa del trono; vecchi agitatori dell'esercito del Parlamento;
    Tory, che erano stati perseguitati a tempo della Legge d'Esclusione;
    Whig, che erano fuggiti al Continente per avere partecipato alla
    Congiura di Rye House.
    
    Primeggiavano in cotesto grande miscuglio Gherardo Conte di
    Maclesfield, antico Cavaliere che aveva combattuto per Carlo I ed
    esulato con Carlo II; Arcibaldo Campbell che era figlio primogenito
    dello sventurato Argyle, dal quale non aveva altro ereditato che il
    nome illustre e l'inalienabile affetto d'una numerosa tribù; Carlo
    Paulet, Conte di Wiltshire, erede presuntivo del Marchesato di
    Wincester; e Pellegrino Osborne, Lord Dumblane, erede presuntivo
    della Contea di Danby. Notavasi fra i più importanti volontari
    Mordaunt che esultava nella speranza di incontrare avventure, alle
    quali irresistibilmente lo traeva la fiera sua indole. Fletcher di
    Saltoun, mentre stavasi a guardare i confini della Cristianità
    contro gl'infedeli, avendo saputo che vi era speranza di liberare la
    patria, s'era affrettato ad offrire al liberatore lo aiuto della sua
    spada. Sir Patrizio Hume, il quale dopo di essere fuggito dalla
    Scozia era vissuto umilmente in Utrecht, adesso uscì dalla oscurità;
    ma per fortuna in questa occasione la sua eloquenza poteva recare
    poco danno; imperocchè il Principe d'Orange non era punto disposto
    ad essere Luogotenente d'una società ciarliera come era stata quella
    che aveva rovinata la impresa d'Argyle. Il sottile ed irrequieto
    Wildman, che alcuni anni innanzi, non trovandosi sicuro in
    Inghilterra, aveva cercato un asilo in Germania, adesso accorse alla
    Corte del Principe. V'era anche Carstairs, ministro Presbiteriano di
    Scozia, che per accorgimento e coraggio non era secondo a nessuno
    degli uomini politici di quell'epoca. Fagel, parecchi anni prima,
    gli aveva affidato segreti importantissimi, che i più orribili
    tormenti dello stivaletto e delle tanaglie non gli avevano potuto
    strappare dalle labbra. Per cotesta rara fortezza ei s'acquistò il
    primo posto dopo Bentinck nella stima e fiducia del Principe(1120).
    Ferguson non poteva rimanere quieto mentre apparecchiavasi una
    rivoluzione. Si procurò un imbarco nella flotta e cominciò ad
    affaccendarsi fra' suoi compagni d'esilio: ma trovò in tutti
    diffidenza e disprezzo. Egli era stato grande uomo in quel nucleo
    d'ignoranti e furibondi fuorusciti che avevano spinto il debole
    Monmouth alla rovina: ma tra i gravi uomini di Stato e Capitani che
    coadiuvavano il risoluto e sagace Guglielmo, non v'era luogo per un
    agitatore di bassa sfera, mezzo maniaco e mezzo birbone.
    
    XXXIII. La differenza fra la spedizione del 1685 e quella del 1688
    risultava bastevolmente dalla differenza tra le dichiarazioni
    pubblicate dai capi dell'una e dell'altra. Per Monmouth Ferguson
    aveva scrivacchiato un assurdo e brutale libello, dove accusava Re
    Giacomo d'avere bruciato Londra, strangolato Godfrey, fatto strage
    d'Essex, e propinato il veleno a Carlo. La Dichiarazione di
    Guglielmo fu scritta dal Gran Pensionario Fagel il quale aveva alta
    riputazione di pubblicista. Quantunque fosse grave e dotta, nella
    sua forma originale era troppo prolissa: ma venne compendiata e
    tradotta in inglese da Burnet, il quale s'intendeva bene dell'arte
    dello scrivere popolare. In un solenne preambolo stabiliva il
    principio che in ogni società la rigorosa osservanza della legge era
    egualmente necessaria alla felicità delle nazioni ed alla sicurezza
    de' Governi. Il Principe d'Orange aveva quindi veduto con profondo
    rammarico come le leggi fondamentali del Regno, al quale egli era
    congiunto con stretti vincoli di sangue e di matrimonio, fossero
    grandemente e sistematicamente violate. La potestà di dispensare
    dagli Atti del Parlamento era stata stiracchiata a segno che tutta
    l'autorità legislativa era ridotta nella sola Corona. Sentenze
    repugnanti allo spirito della Costituzione erano state profferite
    dai tribunali, destituendo i giudici incorruttibili, e sostituendo
    loro uomini pronti ad obbedire implicitamente agli ordini del
    Governo. Non ostanti le ripetute assicurazioni che il Re aveva date
    di mantenere la religione dello Stato, persone manifestamente
    avverse a quella erano state promosse non solo agli uffici civili,
    ma anco ai beneficii ecclesiastici. Il governo della Chiesa, in onta
    al chiarissimo senso degli Statuti, era stato affidato ad una nuova
    Corte d'Alta Commissione, nella quale aveva seggio un uomo che
    apertamente professava il Papismo. Uomini dabbene, per avere
    ricusato di violare il dovere e i giuramenti loro, erano stati
    spogliati della loro proprietà in dispregio della Magna Charta e
    delle libertà d'Inghilterra. Intanto individui che legalmente non
    potevano porre piede nell'isola erano stati posti a capo de'
    seminari per corrompere le menti de' giovani. Luogotenenti, Deputati
    Luogotenenti, Giudici di Pace erano stati a centinaia destituiti per
    avere rifiutato di secondare una politica perniciosa ed
    incostituzionale. Quasi tutti i borghi del Regno erano stati privati
    delle loro franchigie. Le Corti di giustizia erano in condizioni
    tali, che le loro sentenze, anche nelle cause civili, non ispiravano
    più fiducia, e la loro servilità nelle criminali aveva fatto
    spargere nel Regno il sangue innocente. Tutti cotesti abusi, venuti
    in disgusto alla nazione inglese, il Governo aveva intenzione di
    difendere, secondo che sembrava, con una armata di Papisti
    Irlandesi. Nè ciò era tutto. I Principi più assoluti del mondo non
    avevano reputato delitto in un suddito lo esporre modestamente e con
    pace gli aggravi, e chiederne giustizia. Ma in Inghilterra le cose
    erano giunte a tale eccesso che il supplicare veniva reputato
    gravissimo delitto. Per nessuna altra colpa che quella d'avere
    presentata al Sovrano una petizione scritta con rispettosissime
    parole i padri della Chiesa Anglicana erano stati messi in carcere e
    processati; e destituiti i giudici che diedero il voto in loro
    favore. La convocazione d'un legittimo Parlamento poteva essere un
    rimedio efficace a tutti cotesti mali: ma un simile Parlamento, a
    meno che non fosse interamente cangiato il Governo, non era da
    sperarsi dalla nazione. La Corte mostrava evidentemente la
    intenzione di mettere insieme, rifoggiando a suo modo i municipii e
    deputando ufficiali elettorali papisti, una Camera di Comuni che
    fosse tale di solo nome. In fine, v'erano circostanze che facevano
    sospettare non essere nato dalla Regina lo infante che chiamavasi
    Principe di Galles. Per queste ragioni il Principe, in
    contemplazione della sua stretta parentela con la regia famiglia, e
    per gratitudine dello affetto che il popolo inglese aveva sempre
    portato alla sua diletta consorte ed a lui, cedendo allo invito di
    non pochi Lordi spirituali e secolari e di molti altri uomini d'ogni
    grado, aveva deliberato di recarsi nell'isola con forze sufficenti a
    reprimere la violenza. Lungi dalla sua mente ogni pensiero di
    conquista. Protestava che finchè le sue milizie rimarrebbero in
    Inghilterra, sarebbero tenute nella più rigorosa disciplina, ed
    appena la nazione si fosse liberata dal giogo della tirannide,
    sarebbero mandate via. Suo unico scopo era quello di far convocare
    un libero e legittimo Parlamento; alla decisione del quale egli
    faceva solenne sacramento di lasciare tutte le questioni pubbliche e
    private.
    
    Come questa dichiarazione cominciò a correre attorno per l'Aja,
    apparvero segni di dissensione fra gl'Inglesi. Wildman, indefesso
    nel male, indusse alcuni de' suoi concittadini, ed in ispecie il
    testardo e leggiero Mordaunt a dichiarare che a tali patti non
    prenderebbero le armi, dicendo che lo scritto era stato ideato per
    piacere ai Cavalieri e ai parrochi; i danni della Chiesa e il
    processo de' Vescovi vi facevano troppa figura; e non v'era pur
    motto del tirannesco modo onde i Tory, innanzi che rompessero con la
    Corte, avevano trattato i Whig. Wildman allora produsse un
    contro-manifesto, da lui apparecchiato, il quale, ove fosse stato
    abbracciato, avrebbe indignati il Clero Anglicano e quattro quinti
    dell'aristocrazia territoriale. I principali Whig gli fecero
    vigorosa opposizione; e segnatamente Russell dichiarò che ove
    venisse adottato lo insano suggerimento di Wildman, si sarebbe
    sciolta la coalizione dalla quale unicamente poteva il popolo
    inglese sperare d'essere liberato. In fine la contesa fu ricomposta
    per l'autorità di Guglielmo, il quale, col suo consueto buon senso,
    stabilì che il manifesto rimanesse quasi come era stato congegnato
    da Fagel e da Burnet(1121).
    
    XXXIV. Mentre tali cose seguivano in Olanda, Giacomo erasi
    finalmente accorto del proprio pericolo. Da varie parti gli
    giungevano avvisi che mal potevano mettersi in non cale, finchè un
    dispaccio d'Albeville gli tolse ogni dubbio. Dicesi che come il Re
    lo ebbe letto, tosto impallidisse e perdesse per alcun tempo la
    parola(1122). Ed era naturale che ne rimanesse atterrito: imperocchè
    il primo vento che spirasse di levante avrebbe portato un esercito
    ostile alle spiagge del suo reame. Tutta Europa, tranne un solo
    potentato, attendeva con impazienza la nuova della sua caduta. Anzi
    egli aveva respinto con un insulto lo amichevole intervento che lo
    avrebbe potuto salvare. Le schiere francesi, che, s'egli non fosse
    stato demente, avrebbero potuto atterrire gli Stati Generali,
    stavansi ad assediare Philipsburg, o presidiavano Magonza. Tra pochi
    giorni forse gli toccherebbe di pugnare sul territorio inglese a
    difendere la propria corona e il diritto ereditario del suo
    figliuolo infante. Grandi, a dir vero, erano in apparenza i suoi
    mezzi. La flotta era in assai migliori condizioni di quello che
    fosse nel tempo, in cui egli ascese al trono: e tali miglioramenti
    in parte erano da attribuirsi a' suoi propri sforzi. Non aveva
    nominato Lord Grande Ammiraglio o Consiglio d'Ammiragliato, ma aveva
    riserbata a se stesso l'alta direzione degli affari marittimi con la
    vigorosa assistenza di Pepys. Dice il proverbio che l'occhio del
    padrone vale più di quello del ministro: e in una età di corruzione
    e di peculato è verosimile che un dipartimento al quale un sovrano,
    anche di pochissima mente, rivolge la propria attenzione, si
    mantenga comparativamente libero dagli abusi. Sarebbe stato facile
    trovare un ministro della marina più abile di Giacomo; ma non
    sarebbe stato facile, fra gli uomini pubblici di quel tempo,
    trovare, tranne Giacomo stesso, un ministro della marina, il quale
    non rubasse sulle provigioni, non accettasse doni dai contraenti, e
    non addebitasse la Corona de' non mai fatti ripari. E veramente il
    Re era quasi il solo del quale si potesse esser certi che non
    frodasse il Re. E però negli ultimi tre anni più che ne' precedenti
    eravi stato meno sciupío e meno rubamenti negli arsenali. S'erano
    costruiti parecchi vascelli atti a navigare. Giacomo aveva emanato
    un opportuno decreto col quale, accrescendo la paga dei capitani,
    rigorosamente inibiva loro di trasportare da un porto all'altro
    mercanzie senza regia licenza. Lo effetto di queste riforme già era
    visibile; e a Giacomo non riuscì difficile allestire in brevissimo
    tempo una considerevole flotta. Trenta vascelli di linea, tutti di
    terzo e quarto ordine, furono ragunati nel Tamigi sotto il comando
    di Lord Dartmouth, la cui lealtà non ammetteva sospetto. Egli veniva
    reputato nell'arte sua più esperto di tutti i marini patrizi, i
    quali in quella età inalzavansi ai supremi comandi nella flotta
    senza educazione marittima, ed erano a un tempo capitani di vascello
    sul mare, e colonnelli di fanteria per terra(1123).
    
    XXXV. L'armata regolare era più grande di quante ne avessero mai
    comandate i re d'Inghilterra, e fu rapidamente accresciuta. Nei
    reggimenti che esistevano vennero incorporate nuove compagnie.
    Furono create commissioni a formarne altri. Quattro mila uomini
    furono aggiunti alle forze militari dell'Inghilterra; tremila
    speditamente fatti venire dalla Irlanda; altrettanti dalla Scozia
    diretti verso il mezzogiorno. Giacomo stimava circa quaranta mila
    uomini - senza contarvi la milizia civica - le forze che poteva
    opporre agli invasori(1124).
    
    La flotta e lo esercito, quindi, erano più che bastevoli a
    respingere la invasione degli Olandesi. Ma poteva il Re fidarsi
    dello esercito e della flotta? Le milizie urbane non accorrerebbero
    a migliaia al vessillo del liberatore? Il partito, che pochi anni
    innanzi aveva snudata la spada in favore di Monmouth, senza dubbio
    accoglierebbe il Principe d'Orange. E dove era egli mai quel partito
    che per quarantasette anni era stato l'egida della monarchia? Dove
    erano quegli strenui gentiluomini i quali erano sempre stati pronti
    a spargere il proprio sangue a difesa della Corona? Oltraggiati e
    insultati, cacciati dalle magistrature e dalla milizia, mostravansi
    senza maschera lieti del pericolo in cui vedevano travagliarsi lo
    ingrato sovrano. Dove erano mai quei sacerdoti e prelati, i quali da
    dieci mila pergami avevano predicato il debito d'obbedire all'unto
    del Signore? Alcuni di loro erano stati messi in carcere, altri
    spogliati degli averi, e tutti posti sotto al ferreo giogo dell'Alta
    Commissione, ed avevano grandemente temuto un nuovo capriccio del
    tiranno non li privasse della libera proprietà loro, lasciandoli
    senza un tozzo di pane. E' sembrava incredibile che gli Anglicani,
    anche in quegli estremi, dimenticassero pienamente quella dottrina
    di cui menavano peculiare vanto. Ma poteva egli il loro oppressore
    augurarsi di trovare fra essi quello spirito che nella precedente
    generazione aveva trionfato sopra i soldati d'Essex e di Waller, e
    dopo una disperata lotta ceduto solo al genio e vigore di Cromwell?
    Il tiranno ne impaurì davvero. E cessando di ripetere che le
    concessioni avevano sempre tratto i principi alla rovina, confessò
    amaramente essergli d'uopo corteggiare di nuovo i Tory(1125).
    
    XXXVI. Abbiamo ragione di credere che Halifax verso questo tempo
    fosse invitato a rientrare nel governo, e che ciò non gli spiacesse.
    La parte di mediatore fra il trono e la nazione era quella che
    meglio gli stava, e che ei singolarmente ambiva. Non si sa in che
    guisa si rompessero le pratiche con lui: ma non è improbabile che la
    questione della potestà di dispensare fosse difficoltà
    insormontabile. Per averla avversata, tre anni innanzi, era caduto
    in disgrazia; e fra le cose che erano quinci succedute non ve n'era
    alcuna che gli potesse far cangiare opinione. Giacomo, dall'altro
    canto, era fermamente deliberato di non fare concessione alcuna
    intorno a quel punto(1126). Rispetto alle altre cose era meno
    pertinace. Emanò un proclama col quale solennemente prometteva
    proteggere la chiesa d'Inghilterra e mantenere l'Atto d'Uniformità.
    Dichiaravasi desideroso di fare grandi sacrifici alla concordia.
    Diceva non volere più oltre insistere sull'ammissione de' Cattolici
    Romani alla Camera de' Comuni; e sperava di sicuro che i suoi
    sudditi giustamente apprezzerebbero la prova ch'egli porgeva a
    volere appagare i loro desiderii. Tre giorni dopo espresse la
    intenzione di porre nuovamente in ufficio i magistrati o i
    luogotenenti deputati ch'egli aveva destituiti per avere ricusato di
    secondare la politica del governo. Il dì dopo la comparsa di questa
    notificazione Compton fu dalla sospensione prosciolto(1127).
    
    XXXVII. Nel tempo medesimo il Re diede udienza a tutti i vescovi che
    erano in Londra. Avevano chiesto d'essere ammessi alla presenza di
    lui onde confortarlo de' loro consigli in quelle gravissime
    circostanze. Il Primate favellò per tutti. Rispettosamente pregò il
    Re a porre l'amministrazione nelle mani d'uomini che avessero i
    debiti requisiti per condurre il governo; revocare tutti gli atti
    consumati sotto pretesto della potestà di dispensare; annullare
    l'Alta Commissione; riparare alle ingiustizie commesse contro il
    Collegio della Maddalena, e rendere ai Municipii le loro antiche
    franchigie. Accennò con molta chiarezza ad un desiderevole evento
    che avrebbe pienamente consolidato il trono e resa la pace al
    perturbato reame. Ove Sua Maestà s'inducesse a riesaminare i punti
    controversi fra la Chiesa di Roma e quella d'Inghilterra, forse,
    mercè la grazia divina, gli argomenti che i vescovi desideravano
    esporle l'avrebbero convinta essere suo debito ritornare alla
    religione del padre e dell'avo. Fin qui, disse Sancroft, aveva
    espresso gl'intendimenti de' suoi confratelli. Ma v'era una cosa
    intorno a cui non li aveva consultati, e ch'egli reputava suo dovere
    esporre al sovrano. E veramente egli era il solo uomo del clero che
    potesse toccare di tale subietto senza essere sospettato di mirare
    al proprio interesse. La sede metropolitana di York da tre anni era
    vacante. Lo arcivescovo supplicò il Re di darla a un pio e dotto
    teologo, ed aggiunse che un siffatto teologo poteva senza difficoltà
    trovarsi fra coloro che erano lì presenti. Il Re seppe frenarsi
    tanto da rendere grazie ai Vescovi per quegli sgradevoli
    ammonimenti, e promise loro di ponderare bene ciò che avevano
    detto(1128). Quanto alla potestà di dispensare non volle cedere un
    jota. Nessuno degl'individui incapaci fu rimosso dagli uffici civili
    o militari. Ma alcuni de' suggerimenti di Sancroft vennero
    abbracciati. Dentro quarantotto ore la Corte dell'Alta Commissione
    fu abolita(1129). Fu risoluto di rendere alla Città di Londra lo
    statuto toltole sei anni innanzi; e il Cancelliere fu mandato con
    gran solennità a recare a Guildhall quella veneranda
    cartapecora(1130). Sette giorni dopo fu annunziato al pubblico che
    il Vescovo di Winchester, il quale per virtù del proprio ufficio era
    Visitatore del Collegio della Maddalena, aveva avuto dal Re lo
    incarico di riparare ai danni recati a quella società. E' non fu
    senza una lunga lotta e un amarissimo affanno che Giacomo scese a
    questa ultima umiliazione; e per vero dire non cedette finchè il
    Vicario Apostolico Leyburn, il quale, a quanto sembra, si condusse
    sempre da onesto e savio uomo, dichiarò che, secondo il suo
    giudicio, il Presidente e i Convittori cacciati avevano patito
    ingiustizia, e che per ragioni religiose e politiche era d'uopo
    rendere loro il già tolto(1131). In pochi giorni fu pubblicato un
    decreto che restituiva le tolte franchigie a tutti i
    municipii(1132).
    
    XXXVIII. Giacomo lusingavasi che concessioni sì grandi, fatte nel
    breve spazio d'un mese, gli farebbero di nuovo acquistare lo affetto
    del suo popolo. Non può dubitarsi che ove egli le avesse fatte pria
    che vi fosse ragione ad attendere una invasione dalla Olanda,
    avrebbero molto contribuito a riconciliarlo coi Tory. Ma i principi
    che concedono al timore ciò che ricusano alla giustizia, non debbono
    sperare gratitudine. Per tre anni il Re era stato duro ad ogni
    argomento, ad ogni preghiera. Chi de' ministri aveva osato inalzare
    la voce in favore della costituzione civile ed ecclesiastica del
    Regno, era caduto in disgrazia. Un Parlamento eminentemente realista
    erasi provato a protestare con dolci e rispettosi modi contro la
    violazione delle leggi fondamentali della Inghilterra, ed era stato
    acremente ripreso, prorogato, e disciolto. I giudici, ad uno ad uno,
    erano stati privati dell'ermellino, per non essersi voluti indurre a
    profferire sentenze contrarie ad ogni specie di leggi. Ai più
    spettabili cavalieri era stato chiuso l'adito al governo delle loro
    Contee perchè avevano ricusato di tradire le libertà pubbliche. Gli
    ecclesiastici a centinaia erano stati privati de' loro beneficii,
    perchè s'erano mantenuti fedeli ai propri giuramenti. Alcuni
    prelati, alla cui ostinata fedeltà il Re era debitore della propria
    corona, lo avevano supplicato in ginocchioni a non volere che si
    violassero le leggi di Dio e della patria. La loro modesta petizione
    era stata considerata come libello sedizioso. Erano stati forte
    ripresi, minacciati, imprigionati, processati, e a mala pena avevano
    scansata la estrema rovina. La nazione in fine, vedendo il diritto
    soverchiato dalla forza, e perfino le supplicazioni reputarsi
    delitto, cominciò a pensare al modo di commettere le proprie sorti
    all'esito d'una guerra. L'oppressore seppe essere pronto un
    liberatore armato, il quale sarebbe di gran cuore accolto da' Whig e
    dai Tory, dai Dissenzienti e dagli Anglicani. E tutto cangiossi in
    un attimo. Quel governo che aveva rimeritato i suoi servitori fidi e
    costanti con la spoliazione e la persecuzione, quel governo che alle
    solide ragioni ed alle commoventi preghiere aveva risposto con le
    ingiurie e gl'insulti, si fece in un istante stranamente mite. La
    Gazzetta in ciascun suo numero annunziava la riparazione di qualche
    ingiustizia. Allora chiaramente si conobbe che non era da porre fede
    nella equità, nell'umanità, nella solenne parola del Re, e che egli
    avrebbe governato bene finchè esisteva il timore della resistenza. I
    suoi sudditi, quindi, non erano punto disposti a ridargli quella
    fiducia ch'egli aveva giustamente perduta, o a mitigare la pressura
    che sola gli aveva strappato dalle mani i pochi buoni atti da lui
    fatti in tutto il tempo del suo regnare. Cresceva sempre in cuore di
    tutti l'ardente desiderio dello arrivo degli Olandesi. La plebe
    aspramente imprecava e malediva ai venti che in quella stagione
    ostinatissimi spiravano da ponente, e impedivano che l'armata del
    Principe salpasse, e a un tempo portavano nuovi soldati irlandesi da
    Dublino a Chester. Dicevano spirare vento papista, ed affollavansi
    in Cheapside con gli occhi intenti sul campanile di Bow-Church
    pregando che la banderuola indicasse lo spirare di un vento
    protestante(1133).
    
    Il sentimento universale fu accresciuto da un fatto, che, sebbene
    fosse perfettamente accidentale, venne attribuito alla perfidia del
    Re. Il Vescovo di Winchester annunziò che, obbedendo al regio
    comando, egli doveva ribenedire i Convittori già cacciati dal
    Collegio della Maddalena. E avendo per cotesta cerimonia stabilito
    il dì 21 ottobre, il giorno precedente giunse in Oxford. La intera
    Università era in grande aspettazione(1134). Gli espulsi Convittori
    erano arrivati da ogni parte del Regno, bramosi di rientrare nelle
    loro dilette abitazioni. Trecento gentiluomini a cavallo scortarono
    il Vescovo Visitatore al suo alloggio. Mentre ei procedeva, le
    campane sonavano a festa, e un'innumerevole folla di popolo che
    accalcavasi per tutta High-Street mandava voci di acclamazione. Si
    ritrasse onde riposarsi. La dimane dinanzi le porte della Maddalena
    era accorsa una gran turba di gente: ma il Vescovo non compariva; e
    tosto si seppe essere giunto un regio messo recandogli l'ordine di
    partire immediatamente per Whitehall. Questo strano fatto destò in
    tutti molta maraviglia ed ansietà: ma in poche ore si sparse una
    nuova, la quale ad uomini non senza ragione disposti a pensare al
    peggio parve chiaramente spiegare il perchè Giacomo aveva mutato
    proponimento. La flotta olandese aveva messo alla vela, ed era stata
    ricacciata indietro da una tempesta. Le ciarle popolari esagerarono
    il disastro. Dicevasi, molti vascelli essersi perduti, migliaia di
    cavalli periti; ogni pensiero d'uno sbarco in Inghilterra doversi
    abbandonare almeno per quell'anno. Ed erano efficaci avvertimenti
    alla nazione. Mentre Giacomo era atterrito dalla prossima invasione
    e ribellione, aveva ordinato si rendesse giustizia a coloro che
    erano stati illegalmente spogliati. Appena si vide sicuro dello
    imminente pericolo, rivocò quegli ordini. Cotesta imputazione,
    comechè allora fosse generalmente creduta e dopo venisse ripetuta da
    scrittori che dovevano essere bene informati, era priva di
    fondamento. È certo che il disastro della flotta olandese non
    poteva, per nessuna guisa di comunicazione, sapersi in Westminster
    se non alcune ore dopo che il Vescovo di Winchester avesse ricevuto
    gli ordini di partirsi da Oxford. Il Re, nondimeno, aveva poca
    ragione a dolersi dei sospetti de' suoi popoli. Se talvolta, senza
    rigoroso esame de' fatti, attribuivano alla disonesta politica di
    lui ciò che veramente era effetto del caso e della imprevidenza, la
    colpa era tutta sua. Che a coloro, i quali hanno l'abitudine di
    rompere la fede, non si presti credenza quando intendono serbarla,
    ciò altro non è che giusta e ben meritata pena(1135).
    
    È da notarsi che Giacomo, in questa occasione, incorse in un non
    meritato addebito, soltanto per essersi mostrato corrivo a scolparsi
    d'un'altra imputazione ch'egli egualmente non meritava. Il Vescovo
    di Winchester era stato in gran fretta richiamato da Oxford per
    trovarsi presente ad una straordinaria sessione del Consiglio
    Privato, o, a dir meglio, Assemblea di Notabili convocata in
    Whitehall. In questa solenne ragunanza oltre i Consiglieri Privati
    furono chiamati tutti i Pari spirituali e secolari che per avventura
    trovavansi nella metropoli e ne' luoghi circostanti, i Giudici, gli
    Avvocati della Corona, il Lord Gonfaloniere e gli Aldermanni della
    Città di Londra. Fu fatto intendere a Petre che farebbe bene
    d'assentarsi: perocchè pochi Pari avrebbero tollerato di trovarsi in
    compagnia di lui. Presso al capo del banco era posto un seggio per
    la Regina vedova. La principessa Anna era stata invitata ad
    assistervi, ma si scusò dicendo sentirsi poco bene di salute.
    
    XXXIX. Giacomo disse a cotesto grande consesso ch'egli reputava
    necessario produrre le prove della nascita del proprio figliuolo.
    Uomini malvagi con le arti loro avevano invelenito a tal segno
    l'animo del pubblico, che moltissimi credevano il Principe di Galles
    non essere veramente nato dalla Regina. Ma la Provvidenza aveva
    ordinate le cose in modo che forse giammai principe venne al mondo
    in presenza di cotanti testimoni; i quali erano lì presenti per
    deporre il vero. Dopo che furono raccolte e scritte tutte le
    testimonianze, Giacomo con grande solennità dichiarò che lo addebito
    datogli era onninamente falso, e ch'egli avrebbe piuttosto patito
    mille morti che ledere i diritti di nessuna delle sue creature.
    
    Tutti gli astanti ne parvero soddisfatti. Le prove testimoniali
    vennero tosto pubblicate, e tutti gli uomini savi o imparziali le
    stimarono decisive(1136). Ma i savi sono sempre pochi; e quasi
    nessuno allora era imparziale. Tutta la nazione era persuasa che
    ogni papista sincero si credeva tenuto a spergiurare, qualora lo
    spergiuro giovasse alla propria Chiesa. Coloro che, nati
    protestanti, per cupidigia di guadagno avevano simulato di
    convertirsi al papismo, erano meno degni di fede anche de' sinceri
    papisti. Il detto di tutti coloro che appartenevano a queste due
    classi era quindi considerato come nullo. In tal guisa si trovò
    grandemente scemato il peso delle testimonianze nelle quali Giacomo
    confidava: le altre venivano malignamente esaminate. Trovavasi
    sempre qualche obiezione contro i pochi testimoni protestanti che
    avevano detto alcuna cosa d'importante. Questi era notissimo come
    avido adulatore. Quell'altro non aveva per anche apostatato, ma era
    stretto parente d'un apostata. La gente chiedeva, come aveva chiesto
    in principio, perchè, se non v'era nulla di male, il Re, sapendo che
    molti dubitavano della gravidanza della sua moglie, non aveva
    provveduto sì che il parto fosse provato in modo più soddisfacente.
    Non v'era nulla da sospettare ne' falsi calcoli, nello improvviso
    cangiare d'abitazione, nell'assenza della Principessa Anna e dello
    Arcivescovo di Canterbury? Perchè non era egli presente nessun
    prelato della Chiesa Anglicana? Perchè non fu chiamato lo
    Ambasciatore Olandese? Perchè, sopra tutto, agli Hyde, servi leali
    della Corona, figli fedeli della Chiesa, e naturali tutori degli
    interessi delle loro nepoti, non fu egli concesso di trovarsi fra la
    folla de' papisti che riempivano le sale e giungevano fino al regio
    talamo? Perchè, insomma, nella lunga lista degli astanti non era un
    solo nome meritevole della fiducia e del rispetto del pubblico? La
    vera risposta a coteste domande era che il Re, uomo di debole
    intendimento e d'indole dispotica, aveva volentieri côlto quel
    destro a manifestare il suo disprezzo per la opinione de' suoi
    sudditi. Ma la moltitudine, non contenta di questa spiegazione,
    attribuiva a una profondamente meditata scelleraggine ciò che era
    effetto di demenza e caparbietà. Nè così pensava la sola
    moltitudine. La Principessa Anna mentre stava ad abbigliarsi, il dì
    dopo la sopra riferita adunanza, parlò del fatto con tali parole di
    scherno che le sue cameriste ardirono celiarne anche esse. Alcuni
    de' Lordi che avevano ascoltato lo esame de' testimoni, e ne
    parevano sodisfatti, non ne erano punto convinti. Lloyd Vescovo di
    Santo Asaph, uomo universalmente riverito per la pietà e dottrina
    sue, seguitò finchè visse a credere alla esistenza d'un inganno.
    
    XL. Non erano trascorse molte ore da che le prove testimoniali prese
    nel Consiglio stavano nelle mani del pubblico, quando corse attorno
    la voce che Sunderland era stato destituito di tutti i suoi uffici.
    E' sembra che la nuova della sua disgrazia giungesse di sorpresa ai
    politici dei Caffè; ma coloro che notavano attentamente ciò che
    accadeva in Palazzo, non ne rimasero punto maravigliati. Non era
    legalmente o palpabilmente provato ch'egli fosse reo di tradimento:
    ma coloro che lo sorvegliavano da presso, forte sospettavano che per
    un mezzo o per un altro egli fosse in comunicazione cogl'inimici del
    Governo nel quale occupava un posto così alto. Con imperterrita
    fronte imprecò sul proprio capo tutti i mali in questo e nell'altro
    mondo ove fosse traditore. Protestò dicendo il suo solo delitto
    essere quello d'avere servito troppo bene la Corona. Non aveva egli
    dato pegni alla causa del Re? Non aveva egli rotto ogni ponte, che
    nel caso d'un disastro potesse servirgli di ritirata? Non aveva
    fatto il possibile per sostenere la potestà di dispensare; non aveva
    seduto nell'Alta Commissione, e firmato l'ordine d'imprigionare i
    Vescovi; non era comparso come testimonio contro loro, a risico
    della vita, fra i fischi e le maledizioni delle migliaia di
    spettatori che riempivano Westminster Hall? Non aveva egli data la
    estrema prova di fedeltà abiurando la propria fede ed entrando nel
    grembo della Chiesa detestata dalla nazione? Che poteva egli mai
    sperare da un mutamento politico? E che non aveva egli mai da
    temere? Questi ragionamenti, comechè fossero solidi ed espressi con
    la più insinuante destrezza, non potevano spengere la impressione
    prodotta dai bisbigli e dalle relazioni che giungevano da cento
    parti diverse. Il Re divenne ogni dì sempre più freddo. Sunderland
    tentò di sostenersi col soccorso della Regina; ottenne una udienza,
    e trovavasi già nello appartamento di lei, allorchè entrò Middleton,
    e per ordine del Re gli chiese i sigilli. Quella sera il caduto
    ministro fu ammesso per l'ultima volta alle secrete stanze del
    principe da lui lusingato e tradito. La scena fu stranissima.
    Sunderland sostenne maravigliosamente la parte della virtù
    calunniata. Disse non rincrescergli d'avere perduto il posto di
    Segretario di Stato o di Presidente del Consiglio, se gli rimaneva
    la fortuna di non demeritare la stima del suo Sovrano. "Deh! Sire,
    non mi vogliate rendere il gentiluomo più infelice che sia ne'
    vostri dominii, ricusando di dichiarare che non mi credete reo di
    slealtà." Il Re non sapeva che rispondere. Non aveva prove positive
    della colpa; e la energia e il tono patetico onde Sunderland mentiva
    erano tali, che avrebbero ingannato uno intendimento più acuto di
    quello con cui egli aveva da fare. Nella Legazione Francese le sue
    proteste erano credute vere. Ivi dichiarò che rimarrebbe per pochi
    giorni in Londra e si mostrerebbe alla Corte. Poi se ne anderebbe
    nella sua abitazione campestre in Althorpe e si proverebbe a rifare
    con la economia il dilapidato patrimonio. Ove scoppiasse una
    rivoluzione si rifugierebbe in Francia, perocchè la sua mal
    ricompensata lealtà non gli aveva lasciato altro asilo sulla
    terra(1137).  I Sigilli tolti a Sunderland furono affidati a
    Preston. La Gazzetta nel medesimo numero in cui annunziò questo
    cambiamento conteneva la notizia officiale del disastro della flotta
    olandese(1138): disastro grave, quantunque lo fosse meno di quello
    che il Re e i suoi pochi aderenti, traviati dal proprio desiderio,
    erano inchinevoli a credere.
    
    XLI. Il dì 16 ottobre, secondo il calendario inglese, fu convocata
    una solenne adunanza degli Stati d'Olanda. Il Principe vi andò per
    dir loro addio. Li ringraziò della benevolenza con la quale avevano
    vegliato sopra la sua persona quando egli era orfano fanciullo,
    della fiducia che avevano posta in lui durante il suo governo, e
    dell'aiuto che gli avevan prestato in quella gran crisi. Li pregò a
    credere che egli sempre aveva inteso con ogni studio promuovere il
    bene della patria. Ora li lasciava, forse per non più ritornare. Ove
    cadesse difendendo la religione riformata e la indipendenza della
    Europa, raccomandava loro la sua diletta consorte. Il Gran
    Pensionario gli rispose con tremula voce; e in tutto quel grave
    senato non v'era alcuno che non lacrimasse. Ma Guglielmo non fu nè
    anche per un istante abbandonato dal suo ferreo stoicismo, e si
    stava fra' suoi amici che piangevano tranquillo ed austero come se
    fosse per lasciarli onde partire per le sue foreste di Loo(1139).
    
    I deputati delle principali città lo accompagnarono fino al suo
    bargio. Gli stessi rappresentanti d'Amsterdam, da lungo tempo sede
    precipua d'opposizione al governo di lui, erano fra mezzo al corteo.
    In tutte le chiese dell'Aja si fecero pubbliche preci per lui.
    
    XLII. In sulla sera giunse a Helvoetsluys e si recò sur una fregata
    che aveva nome Brill. Tosto fece inalberare la sua bandiera, nella
    quale era l'arme di Nassau inquartata con quella d'Inghilterra. Il
    motto ricamato in lettere grandi tre piedi era felicemente scelto.
    La Casa d'Orange da lungo tempo aveva assunta l'epigrafe ellittica:
    "Io Manterrò," Adesso la ellissi fu compita con le parole: "Le
    libertà d'Inghilterra e la Religione Protestante."
    
    Erano corse poche ore da che il Principe era sulla nave, allorchè il
    vento cominciò a spirare secondo. Il dì 19 la flotta salpò, e spinta
    da un forte vento aveva corsa mezza la distanza dalla costa olandese
    a quella d'Inghilterra. Ed ecco improvviso cangiare il vento, che
    soffiando impetuoso da ponente suscitò una violenta tempesta. Le
    navi disperse e sbattute ripararonsi, come meglio poterono, ai lidi
    olandesi. Il Brill arrivò a Helvoetsluys il dì 21. Coloro che erano
    sulla nave del Principe notarono maravigliando che nè pericolo nè
    mortificazione valsero a perturbarlo un solo momento. Quantunque
    soffrisse di mal di mare, ricusò di andare a terra: imperocchè
    pensava che rimanendo sul bordo, ei significherebbe
    efficacissimamente alla Europa che la sostenuta fortuna aveva solo
    per breve tempo differita la esecuzione del suo disegno. In due o
    tre giorni la flotta si raccolse. Solo un bastimento s'era perduto.
    Non mancava nè anco uno de' soldati o marinaj. Alcuni cavalli erano
    periti: ma tale perdita speditamente riparò il Principe: e innanzi
    che la Gazzetta di Londra spargesse la nuova dello infortunio, egli
    era nuovamente pronto a far vela(1140).
    
    XLIII. Il Manifesto lo precedè di sole poche ore. Il dì primo di
    novembre cominciò a bisbigliarsene misteriosamente fra' politici di
    Londra: con gran segretezza correva di mano in mano, e fu introdotto
    nelle buche dello Ufficio postale. Uno degli agenti venne arrestato,
    e i pieghi che egli portava furono recati a Whitehall. Il Re lesse,
    e grandemente turbossi. Il suo primo impulso fu di nascondere agli
    occhi di tutti il Manifesto. Ne gettò nel fuoco tutti gli esemplari,
    tranne un solo ch'egli quasi non osava fare uscire dalle sue proprie
    mani(1141).
    
    Il paragrafo onde egli fu maggiormente perturbato, era quello in cui
    dicevasi che alcuni Pari spirituali e secolari avevano invitato il
    Principe d'Orange a invadere la Inghilterra. Halifax, Clarendon e
    Nottingham trovavansi in Londra, e vennero tosto chiamati al Palazzo
    e interrogati. Halifax, comechè fosse conscio della propria
    innocenza, in prima rifiutò di rispondere. "Vostra Maestà" disse
    egli "mi chiede se io sia reo di crimenlese. Se sono sospettato, mi
    traduca dinanzi ai miei Pari. E come può la Maestà Vostra riposare
    sulla risposta d'un colpevole che si veda in pericolo di vita?
    Quando anche io avessi invitato il Principe, senza il minimo
    scrupolo risponderei: Non sono colpevole." Il Re disse che non
    credeva Halifax reo, e che gli aveva fatta quella dimanda come un
    gentiluomo chiede ad altro gentiluomo calunniato se vi sia il minimo
    fondamento alla calunnia. "In questo caso" rispose Halifax "non ho
    difficoltà ad assicurarvi, come gentiluomo che parli a gentiluomo,
    sul mio onore, che è sacro quanto il mio giuramento, che non ho
    invitato il Principe d'Orange(1142)." Clarendon e Nottingham diedero
    la medesima risposta. Il Re desiderava anco più ardentemente di
    sincerarsi della inclinazione de' Prelati. Se essi gli erano ostili,
    il suo trono pericolava davvero. Ma ciò non era possibile. V'era
    alcun che di mostruoso nel supporre che un Vescovo della Chiesa
    Anglicana potesse ribellarsi contro il proprio Sovrano. Compton fu
    chiamato alle stanze del Re, il quale gli chiese se credeva che
    l'asserzione del Principe avesse il minimo fondamento. Il Vescovo
    trovossi impacciato a rispondere, poichè era uno de' sette che
    avevano sottoscritto lo invito; e la sua coscienza, che non era
    molto destra, non gli concedeva, a quanto sembra, di dire un'aperta
    bugia. "Sire," disse egli "io sono sicurissimo che non vi è uno tra'
    miei colleghi che non sia, al pari di me, innocente in questo
    negozio." Lo equivoco era ingegnoso: ma se la differenza fra il
    peccato di siffatto equivoco e il peccato d'una menzogna vaglia uno
    sforzo d'ingegno, è cosa da porsi in dubbio. Il Re ne fu satisfatto;
    e disse: "Vi assolvo tutti da ogni sospetto, ma reputo necessario
    che pubblicamente contraddiciate il calunnioso addebito datovi nel
    Manifesto del Principe." Il Vescovo naturalmente chiese di vedere lo
    scritto che egli doveva contradire; ma il Re non volle
    consentirvi.  Il dì seguente comparve un proclama che
    minacciava le più severe pene a tutti coloro che osassero spargere o
    semplicemente leggere il Manifesto di Guglielmo(1143). Il Primate e
    i pochi Pari spirituali che per avventura trovavansi in Londra
    riceverono ordine d'appresentarsi al Re. All'udienza v'era anche
    Preston col Manifesto in mano. "Milordi," disse Giacomo "udite
    questo paragrafo che tocca di voi." Preston allora lesse le parole
    colle quali erano rammentati i Pari spirituali. Il Re continuò: "Io
    non credo un jota di tutto questo: sono sicuro della vostra
    innocenza; ma stimo necessario farvi sapere ciò di che siete
    accusati."
    
    Il Primate con mille rispettose espressioni protestò che il Re non
    gli rendeva altro che giustizia. "Io sono nato suddito di Vostra
    Maestà. Ho più volte confermata la fedeltà mia con giuramento. Non
    posso avere se non un solo Re ad una volta. Non ho invitato il
    Principe; e credo che nessuno de' miei confratelli lo abbia fatto."
    - "Non io di certo," disse Crewe di Durham. "Nè anch'io," disse
    Cartwright di Chester. A Crewe ed a Cartwright bene poteva prestarsi
    fede; perocchè entrambi erano stati membri dell'Alta Commissione.
    Quando toccò a Compton di rispondere, evase la domanda con un modo
    che poteva fare invidia a un Gesuita: "Io diedi jeri la mia risposta
    a vostra Maestà."
    
    Il Re ripetè più volte che li credeva innocenti. Nondimeno disse
    che, secondo il suo giudicio, sarebbe utile a sè e all'onor loro che
    essi ne facessero pubblica discolpa. Richiese quindi che
    protestassero in iscritto d'abborrire il disegno del Principe. I
    Prelati rimasero taciti; il Re suppose che il silenzio significasse
    assentimento, e dette loro commiato(1144).
    
    Infrattanto l'armata navale di Guglielmo veleggiava l'Oceano
    Germanico. Aveva salpato per la seconda volta la sera del giovedì,
    primo di novembre. Il vento spirava prospero da levante. Il naviglio
    per dodici ore fece via fra ponente e settentrione. Le navi leggiere
    mandate dallo Ammiraglio inglese onde osservare, recarono la nuova
    la quale confermò la comune opinione, cioè che il nemico si
    proverebbe di approdare alla Contea di York. Improvvisamente, ad un
    segnale fatto dal vascello del Principe, l'intiera flotta girò di
    bordo e si diresse giù per la Manica. Il vento medesimo che spirava
    secondo agl'invasori, impediva Dartmouth d'uscire dal Tamigi. I suoi
    legni furono costretti ad ammainare; e due delle sue fregate che
    erano uscite in alto mare, sconquassate dalla violenza delle onde,
    furono respinte nel fiume(1145).
    
    XLIV. La flotta olandese andando rapidamente col vento in poppa,
    giunse allo Stretto verso le ore dieci antimeridiane nel sabato del
    3 novembre. La precedeva lo stesso Guglielmo sul Brill. Seicento e
    più navi, gonfie le vele dal prospero vento, lo seguivano. I legni
    da trasporto tenevano il centro fiancheggiati da più di cinquanta
    vascelli da guerra. Herbert col titolo di Luogotenente Generale
    Ammiraglio comandava la intera flotta, e stavasi nel retroguardo: e
    molti marinaj inglesi, infiammati dall'odio contro il papismo e
    attirati dalla buona paga, erano sotto i suoi ordini. Non senza
    difficoltà Guglielmo potè indurre alcuni ufficiali olandesi di
    grande reputazione a sottoporsi alla autorità d'uno straniero. Ma
    questo provvedimento era sommamente savio. Nella flotta del Re
    esistevano molti mali umori ed un fervido zelo per la fede
    protestante. A memoria de' vecchi marinaj la flotta inglese e la
    olandese avevano tre volte con eroico coraggio e varia fortuna
    conteso per lo impero del mare. I nostri marinaj non avevano
    dimenticato Tromp che aveva minacciato di spazzare con una scopa il
    Canale, o De Ruyter che aveva appiccato il fuoco agli arsenali del
    Medway. Se le due nazioni rivali si trovassero nuovamente faccia a
    faccia sull'elemento alla cui sovranità entrambe pretendevano, ogni
    altro pensiero cederebbe alla vicendevole animosità; e ne seguirebbe
    forse sanguinosa ed ostinata battaglia. Una sconfitta sarebbe stata
    fatale alla impresa di Guglielmo. Anche la vittoria avrebbe
    sconcertato i profondamente meditati disegni della sua politica. E
    però egli saviamente provvide che ove i marinaj di Giacomo lo
    inseguissero, sarebbero salutati nella patria lingua ed esortati da
    un ammiraglio, sotto il comando del quale avevano già servito, e che
    era da loro grandemente stimato, a non combattere contro i loro
    colleghi a favore della tirannide papale. Con ciò si scanserebbe
    forse un conflitto. Ed ove seguisse un conflitto, i due comandanti
    avversari sarebbero entrambi inglesi; nè l'orgoglio degl'isolani si
    sentirebbe offeso sapendo che Dartmouth era stato costretto a cedere
    a Herbert(1146).
    
    XLV. Fortunatamente le cautele di Guglielmo non furono necessarie.
    Poco dopo mezzodì egli si lasciò addietro lo Stretto. La sua flotta
    stendevasi fino ad una lega da Dover a tramontana e da Calais a
    mezzogiorno. I vascelli dalle estremità destra e sinistra salutarono
    a un tempo ambe le fortezze. Le trombe, i timpani, e i tamburi
    udivansi distintamente dalla spiaggia francese e dalla inglese. Una
    innumerevole turba di spettatori copriva il bianco littorale di
    Kent; un'altra la costa di Piccardia. Rapin di Thoyras, che la
    persecuzione aveva cacciato dalla sua patria, e che, preso servizio
    nell'armata olandese, aveva accompagnato il Principe in Inghilterra,
    descrisse, molti anni dipoi, cotesto spettacolo come il più
    magnifico e commovente che occhio umano giammai contemplasse. Al
    tramontare del sole la flotta aveva passato Beachy-Head. Si accesero
    i lumi. Il mare per un tratto di non poche miglia pareva in fiamme.
    Ma tutti i piloti tenevano fitti gli occhi per la intera notte alle
    tre vaste lanterne che risplendevano su la poppa Brill(1147).
    
    In quel mentre un messo corse per la posta da Dover Castle a
    Whitehall recando la nuova che gli Olandesi avevano passato lo
    Stretto e procedevano verso Ponente. E' fu mestieri cangiare in un
    subito tutti i provvedimenti militari. Furono da per tutto spediti
    messi. Gli ufficiali furono svegliati e fatti levare a mezza notte.
    Nella domenica alle tre della mattina in Hyde Park(1148) fu una gran
    rivista a lume di torce. Il Re, credendo che Guglielmo approderebbe
    alla Contea di York, aveva mandato vari reggimenti verso il paese
    settentrionale. Furono quindi spediti messi a richiamarli. Tutti i
    soldati, tranne quelli che reputavansi necessari a mantenere la pace
    nella metropoli, ebbero ordine di partire per l'occidente. Salisbury
    doveva essere il punto di riunione: ma stimandosi possibile che
    Portsmouth fosse la prima ad essere assaltata, tre battaglioni di
    Guardie e una forte schiera di cavalleria partirono per quella
    fortezza. In poche ore si seppe non esservi nulla da temere por
    Portsmouth, e le sopradette truppe ebbero ordine di cangiare cammino
    e correre in fretta a Salisbury(1149).
    
    All'albeggiare del dì, domenica 4 novembre, le alture dell'isola di
    Wight sorgevano dinanzi alla flotta olandese. Quel giorno era lo
    anniversario della nascita e del matrimonio di Guglielmo. La mattina
    abbassaronsi per qualche ora le vele, e sul bordo delle navi si
    celebrarono i divini uffici. Nel pomeriggio e per tutta la notte il
    naviglio seguitò a procedere. Torbay era il luogo dove il Principe
    aveva intendimento di approdare. Ma nella mattina del lunedì, 5 di
    novembre, era nuvolo. Il pilota del Brill non potè distinguere i
    segnali e condusse la flotta troppo oltre a Ponente. Il pericolo era
    grande. Ritornare contro il vento, impossibile. Il porto più vicino
    era Plymouth; ma quivi stavasi un presidio sotto il comando di Lord
    Bath; il quale si sarebbe potuto opporre allo sbarco, e ne sarebbero
    forse nate gravi conseguenze. Inoltre non vi poteva essere dubbio
    che in quel momento la flotta regia fosse uscita dal Tamigi e
    venisse a piene vele giù per la Manica. Russell conobbe la gravità
    del pericolo, e, rivoltosi a Burnet, esclamò: "Ormai potete recitare
    le vostre preci, o Dottore: tutto è finito." In quell'istante il
    vento cangiò; una brezza leggiera cominciò a spirare da Mezzogiorno:
    la nebbia si disperse; ricomparve il sole; e alla luce temperata
    d'un mezzodì d'autunno la flotta rivolse le prore, passò attorno
    l'elevata punta di Berry-Head, e si diresse in salvamento al porto
    di Torbay(1150).
    
    XLVI. Da quell'epoca in poi quel porto ha grandemente cangiato
    d'aspetto. Lo anfiteatro che circonda lo spazioso bacino, adesso
    mostra in ogni dove i segni della prosperità e dello incivilimento.
    Alla estremità fra Tramontana e Levante sorge un vasto locale di
    bagni, ai quali accorrono le genti dalle più rimote parti dell'isola
    nostra attrattevi dalla dolcezza di un aere d'Italia; imperocchè in
    quel clima il mirto fiorisce a cielo aperto; e perfino i mesi del
    verno sono più dolci che lo aprile in Northumberland. Contiene circa
    diecimila abitatori. Le chiese e le cappelle novellamente edificate,
    i bagni e le biblioteche, gli alberghi e i pubblici giardini, la
    infermeria e il museo, le bianche strade che giacciono a guisa di
    terrazze, l'una sovrapposta all'altra, le amene ville che sorgono
    fra gli alberi e i fiori, offrono uno spettacolo grandemente diverso
    da qualunque altro potesse nel secolo decimo settimo offrirne la
    Inghilterra. All'opposita punta della baja giace, coperta da
    Berry-Head, la città di Brixham, dove è il più ricco mercato di
    pesci nell'isola. Ivi sul principio del secolo nostro sono stati
    fatti una darsena e un porto, ma si sono sperimentati insufficienti
    al traffico ognora crescente. Ha circa sessantamila abitanti, e
    dugento navi con un tonnellaggio più del doppio maggiore di quello
    del porto di Liverpool sotto i Re Stuardi. Ma Torbay, allorquando la
    flotta olandese vi gettò l'ancora, conoscevasi solo come un seno di
    mare dove i legni talvolta si rifugiavano cacciati dalle procelle
    dello Atlantico. Le sue tranquille spiagge non erano disturbate dal
    frastuono del commercio e del piacere; e i tuguri de' contadini e
    de' pescatori sorgevano sparsi qua e là, dove ora il luogo è coperto
    di popolosi mercati e di eleganti edifici.
    
    Il contadiname della costa di Devonshire ricordava con affetto il
    nome di Monmouth, e detestava il Papismo. E però corse alla spiaggia
    recando vettovaglie e profferendosi a servire i liberatori. Subito
    cominciò ad eseguirsi lo sbarco. Sessanta barche trasportarono le
    truppe a terra. Le precedeva Mackay co' reggimenti inglesi. Gli
    tenne dietro il Principe, il quale sbarcò dove adesso è la riviera
    di Brixham. Il luogo è cangiato intieramente d'aspetto. Dove ora
    vediamo un porto popolato di navi, e una piazza di mercato
    brulicante di compratori e venditori, allora le acque rompevansi
    contro una desolata scogliera: ma un frammento del sasso sopra il
    quale il liberatore pose primamente il piede scendendo dalla sua
    barca, è stato con gran cura conservato ed esposto alla pubblica
    venerazione nel centro di quella riviera.
    
    Il Principe, appena posto il piede a terra, chiese de' cavalli.
    Procuraronsi nel vicino villaggio due bestie, quali i piccoli
    possidenti di quel tempo solevano tenere. Guglielmo e Schomberg,
    montativi sopra, andarono ad esaminare il paese.
    
    Come Burnet scese alla spiaggia, corse al Principe. Ebbe luogo tra
    loro un piacevole colloquio. Burnet, fattegli con sincera gioia le
    sue congratulazioni, chiese con sollecitudine quali erano i suoi
    disegni. I militari rade volte inchinano a consigliarsi con gli
    uomini da sottana intorno a cose spettanti alla milizia; e Guglielmo
    pei consiglieri che, senza professare l'arte della guerra,
    s'immischiano nelle questioni della guerra, sentiva un disgusto
    maggiore di quello che i soldati, in simili casi, ordinariamente
    provano. Ma in quello istante egli era di assai buono umore, ed
    invece d'esprimere il proprio dispiacere con una breve e pungente
    riprensione, graziosamente stese la destra al suo cappellano,
    rispondendogli con un'altra dimanda: "Orbene, Dottore, che pensate
    voi adesso della predestinazione?" Il rimprovero era così delicato
    che Burnet, il quale non avea prontissimo intendimento, non se ne
    accôrse; e però rispose con gran fervore ch'egli non dimenticherebbe
    mai il modo segnalato onde la Provvidenza aveva favorito la loro
    intrapresa(1151).
    
    Nel primo giorno le milizie scese a terra patirono molti disagi. Il
    suolo per le cadute piogge era fangoso. I bagagli rimanevano
    tuttavia sulle navi. Ufficiali d'alto grado furono costretti a
    dormire con addosso gli abiti bagnati, sull'umido terreno: lo stesso
    Principe dovette contentarsi d'una povera trabacca, dove fu dalla
    sua nave portato un lettuccio che accomodarono sul suolo. La sua
    bandiera venne inalberata sul tetto di frasche(1152). Era alquanto
    difficile sbarcare i cavalli; e pareva probabile che a ciò fare si
    richiedessero vari giorni. Ma la susseguente dimane le cose
    cangiarono. Il vento calmossi; il mare era piano come un cristallo.
    Alcuni pescatori additarono un luogo dove le navi potevano spingersi
    fino a quaranta piedi dalla riva. E ciò fatto, in tre ore molte
    centinaia di cavalli sani e salvi furono condotti nuotando fino alla
    spiaggia.
    
    Era appena terminato lo sbarco allorchè il vento ricominciò a
    soffiare impetuoso da Ponente. L'inimico che veniva giù per la
    Manica era stato impedito dal medesimo mutamento di tempo, che aveva
    concesso a Guglielmo d'approdare. Per due giorni la flotta del Re
    rimase immobile per la bonaccia in vista a Beachy-Head. Infine
    Dartmouth potè muoversi. Passò l'isola di Wight, e da uno de' suoi
    vascelli scoprivansi le cime degli alberi della flotta olandese
    ancorata in Torbay. In quel momento sopravvenne una tempesta, e lo
    costrinse a ricoverarsi nel porto di Portsmouth(1153). Allora
    Giacomo, che poteva giudicare intorno a cose di marina, si dichiarò
    sodisfattissimo della condotta del suo ammiraglio, il quale aveva
    fatto ciò che uomo potesse fare, ed aveva ceduto solo alla
    irresistibile contrarietà del vento e delle onde. Più tardi lo
    sciagurato principe cominciò, senza ragione, a sospettare che
    Dartmouth fosse reo di tradimento o almeno di lentezza(1154).
    
    Il tempo aveva sì bene giovata la causa de' Protestanti, che taluni
    più pii che savi crederono sicuramente le ordinarie leggi della
    natura essere state sospese per la salvezza della libertà e della
    religione d'Inghilterra. Precisamente cento anni innanzi, dicevano
    essi, l'armata, invincibile da forza umana, era stata dispersa dal
    soffio dell'ira di Dio. La libertà civile e la vera fede trovaronsi
    di nuovo in pericolo, e di nuovo i docili elementi combatterono per
    la buona causa. Il vento sbuffava forte da Levante mentre il
    Principe voleva passare lo Stretto; cominciò a spirare da
    Mezzogiorno allorchè egli desiderava d'approdare a Torbay; era
    cessato affatto mentre facevasi lo sbarco, e divenne di nuovo
    procelloso percotendo in faccia la flotta regia. Nè tralasciavano di
    notare come per una straordinaria coincidenza il Principe fosse
    giunto alle nostre spiagge nel giorno in cui la Chiesa Anglicana
    celebrava con preci e rendimenti di grazie la memoria di quello
    evento onde miracolosamente la casa regale e i tre Stati del Regno
    avevano scansato la più nera congiura che ordissero mai i papisti.
    Carstairs, i cui consigli ascoltava con attenzione il Principe, gli
    suggerì che, appena eseguito lo sbarco, si rendessero solenni
    ringraziamenti a Dio per la protezione manifestamente accordata alla
    grande intrapresa. Questo provvedimento produsse ottimo effetto. I
    soldati così, persuasi d'avere il favore del cielo, sentironsi
    rianimati di nuovo coraggio; e il popolo inglese si formò la
    migliore opinione d'un capitano e d'un esercito cotanto osservatori
    dei religiosi doveri.
    
    Martedì, 6 di novembre, l'armata di Guglielmo incominciò a marciare.
    Alcuni reggimenti si avanzarono fino a Newton-Abbot. Un sasso
    collocato nel centro di quella piccola città, indica tuttora il
    luogo dove il Manifesto del Principe fu letto solennemente al
    popolo. Le truppe si movevano lente: imperciocchè la pioggia cadeva
    giù a torrenti; e le strade della Inghilterra erano allora in
    condizioni che parevano terribili a genti avvezze alle eccellenti
    vie della Olanda. Guglielmo si fermò per due giorni in Ford, sede
    dell'antica e illustre famiglia di Courtenay nelle vicinanze di
    Newton-Abbot. Ivi fu splendidamente alloggiato e festeggiato; ma è
    da notarsi che il padrone di casa, comechè fosse conosciutissimo
    Whig, non volle essere il primo a rischiare la vita e gli averi, e
    cautamente si astenne di fare cosa, che, ove il Re vincesse, potesse
    prendersi per delitto.
    
    XLVII. Intanto Exeter era grandemente agitata. Il vescovo Lamplugh,
    appena saputa la nuova dello arrivo degli Olandesi a Torbay,
    atterrito corse a Londra. Il Decano fuggì anch'esso. I Magistrati
    rimasero fedeli al Re, gli abitanti si dichiararono a favore del
    Principe. Ogni cosa era in iscompiglio allorquando, il giovedì
    mattina 8 novembre, un corpo di truppe, capitanate da Mordaunt,
    comparve dinanzi alla città. V'era anco Burnet, al quale Guglielmo
    aveva affidato lo incarico di preservare il clero della cattedrale
    dai danni e dagl'insulti(1155). Il Gonfaloniere e gli Aldermanni
    avevano ordinato che si chiudessero le porte, ma alla prima
    intimazione vennero aperte. Apparecchiossi l'abitazione del Decano
    per alloggiarvi il Principe; il quale vi arrivò il dì seguente,
    venerdì 9 febbraio. I Magistrati erano stati sollecitati ad andargli
    solennemente incontro alle porte della città, ma ostinatamente
    ricusarono. Nondimeno la pompa di quel giorno poteva far senza di
    loro. Non s'era mai visto in Devonshire un tanto spettacolo. Molti
    fecero mezza giornata di cammino per incontrare il campione della
    religione loro. Gli abitatori di tutti i villaggi circostanti
    uscivano in folla. Una gran moltitudine composta principalmente di
    giovani contadini armati de' loro bastoni si era raccolta sulla cima
    di Haldon-Hill, d'onde l'armata, passato Chudleigh, primamente
    scoprì la fertile convalle dell'Exe, e le due massicce torri
    sorgenti fra la nuvola di fumo che copriva la metropoli del paese
    occidentale. Lo stradale, per tutto il lungo pendío e il piano fino
    alle sponde del fiume, era fiancheggiato da file di spettatori.
    Dalla Porta Occidentale fino al ricinto della Cattedrale la folla e
    le acclamazioni erano tali che rammentavano ai Londrini lo
    affollarsi del popolo nel giorno festivo del Lord Gonfaloniere. Le
    case erano parate a festa. Porte, finestre, veroni, e tetti
    rigurgitavano di spettatori. Un occhio assuefatto alla pompa della
    guerra, avrebbe trovato molto a ridire intorno a cosiffatto
    spettacolo. Imperciocchè lo affannoso marciare sotto la pioggia per
    istrade dove i piedi de' viandanti affondavano ad ogni passo non
    aveva migliorato l'aspetto dei soldati nè degli arnesi loro. Ma la
    popolazione di Devonshire, non avvezza punto allo splendore de'
    campi bene ordinati, era compresa d'ammirazione e diletto.
    Cominciarono a correre per tutto il Regno descrizioni di cotesto
    marziale spettacolo, fatte in guisa da appagare la vaghezza che
    sente il volgo pel maraviglioso. Imperocchè l'armata olandese,
    composta d'uomini nati in vari climi, e che avevano militato sotto
    varie bandiere, offriva una scena grottesca e insieme magnifica e
    terribile agl'Isolani, i quali generalmente avevano confusissima
    idea de' paesi stranieri. Macclesfield precedeva a cavallo guidando
    dugento gentiluomini, la più parte d'origine inglese, coperti di
    luccicanti elmi e corazze, e montati sopra destrieri fiamminghi.
    Ciascuno di loro era accompagnato da un moro delle piantagioni di
    zucchero sulle coste della Guiana. I cittadini d'Exeter i quali non
    avevano mai veduto tanto numero d'individui della razza affricana,
    guardavano stupefatti que' neri visi adorni di ricamati turbanti e
    di bianche piume. Veniva poscia uno squadrone di cavalieri svedesi
    vestiti di nere armature e di pelli, e con le spade in pugno.
    Attiravano peculiarmente gli sguardi di tutti, poichè dicevasi che
    fossero abitanti d'una terra cinta dai ghiacci dell'Oceano, nella
    quale la notte durava sei mesi, e che ciascuno di loro avesse ucciso
    l'enorme orso bianco di cui indossava la pelle. Quindi circondato da
    una nobile compagnia di gentiluomini e di paggi procedeva
    sventolando all'aura il vessillo del Principe. Il popolo affollato
    su per i tetti e le finestre vi figgeva sopra gli sguardi leggendovi
    con diletto la memoranda epigrafe: "La Religione Protestante e le
    libertà della Inghilterra." Ma si accrebbero oltre misura le grida
    di plauso allorquando, preceduto da quaranta battistrada, sopra un
    candido destriero comparve il Principe chiuso nelle armi, con una
    bianca piuma sull'elmo. Lo aspetto marziale con cui egli cavalcava,
    la pensosa e imponente espressione della sua vasta fronte e del suo
    occhio aquilino si ravvisano anche oggi nel dipinto di Kneller. Una
    sola volta il suo austero sembiante si atteggiò al sorriso. Una
    donna, grave d'anni, forse appartenente a quegli zelanti Puritani i
    quali per ventotto anni di persecuzione avevano con ferma fede
    aspettato la consolazione d'Israele, o forse madre di qualche
    ribelle che aveva perduta la vita nella strage di Sedgemoor, o nel
    più atroce macello del Tribunale di Sangue, uscì dalla folla, e
    precipitandosi fra mezzo alle spade sguainate e ai frementi cavalli,
    toccò la mano del liberatore, ed esclamò che oramai era felice.
    Presso al Principe cavalcava un uomo sul quale parimente si
    fissavano gli sguardi di tutti. Dicevano che egli era il gran Conte
    Schomberg, il più valoroso soldato che fosse in Europa dopo la morte
    di Turenna e di Condé; l'uomo, il cui genio e valore avevano salvato
    la monarchia portoghese nel campo di Montes Claros, l'uomo che s'era
    acquistato gloria anche maggiore deponendo il bastone di Maresciallo
    di Francia per serbarsi fedele alla propria religione. Rammentavasi
    parimente come i due eroi, i quali indissolubilmente congiunti dal
    comune Protestantismo ora entravano in Exeter, un tempo erano stati
    l'uno all'altro avversi sotto le mura di Maastricht(1156), e che la
    energia del giovine principe era stata costretta a cedere alla
    fredda scienza del veterano, il quale adesso cavalcava amico al
    fianco di Guglielmo. Seguiva poi una colonna di fanti svizzeri
    barbuti, famosi per valore e disciplina già da due secoli in tutte
    le guerre del continente, ma non veduti mai fino allora in
    Inghilterra. Venivano quindi parecchie legioni, le quali, secondo la
    costumanza di quei tempi, portavano i nomi de' loro condottieri,
    Bentinck, Solmes e Ginkell, Talmash e Mackay. Con peculiare
    compiacenza gl'Inglesi miravano un valoroso reggimento che tuttavia
    portava il nome dell'onorando e compianto Ossory. Lo effetto di
    cotesto spettacolo era accresciuto dalla memoria delle famose gesta
    delle quali erano stati parte molti dei guerrieri che adesso
    entravano per Porta Orientale: imperocchè avevano ben altrimenti
    militato che la guardia civica di Devonshire o i soldati del campo
    di Hounslow. Alcuni di loro avevano respinto il feroce assalto de'
    Francesi sul campo di Seneff, altri erano venuti alle mani con
    gl'Infedeli per difendere la Cristianità nel gran giorno in cui fu
    levato lo assedio di Vienna. L'accesa fantasia faceva nella
    moltitudine aberrare gli stessi sensi. Lettere di notizie spargevano
    per ogni contrada del Regno favolosi racconti della statura e della
    forza degli invasori. Affermavasi che erano, quasi senza eccezione,
    alti più di sei piedi, ed avevano sì enormi picche, spade ed
    archibugi, che non s'era mai veduto nulla di simile in Inghilterra.
    Nè la maraviglia nel popolo scemò quando comparve l'artiglieria, che
    era composta di ventuno vasti cannoni di bronzo, ciascuno con gran
    fatica trascinato da sedici cavalli. Molta curiosità destò anche una
    strana macchina montata sopra ruote, ed era una fucina mobile
    provveduta di tutti gli strumenti e i materiali bisognevoli a
    riattare armi e carriaggi. Ma nessuna cosa suscitò tanto la
    universale ammirazione quanto un ponte di barche che fu
    celerissimamente gettato sull'Exe pel passaggio de' vagoni, e con la
    medesima celerità levato, e in pezzi portato via. Era stato
    costruito, se la fama porgeva il vero, secondo un disegno immaginato
    dai Cristiani che guerreggiavano contro i Turchi sul Danubio. Gli
    stranieri ispiravano affetto insieme ed ammirazione. Il loro
    condottiere politico studiossi di acquartierarli in modo da recare
    il minore incomodo possibile agli abitatori di Exeter e dei
    circostanti villaggi. Fu mantenuta la più rigorosa disciplina. Non
    solo s'impedì efficacemente il saccheggio e l'insulto, ma fu
    ingiunto alle truppe di mostrarsi cortesi a tutte le classi. Coloro
    i quali giudicavano d'un'armata dalla condotta di Kirke e de' suoi
    Agnelli, rimanevano attoniti a vedere i soldati di Guglielmo non
    bestemmiare mai parlando alle ostesse, o non prendere un ovo senza
    pagarlo. In ricambio di cotesta moderazione il popolo li provvide
    abbondantemente di vettovaglie a modico prezzo(1157).  Era di
    non poca importanza vedere il partito al quale in questa gran crisi
    il Clero della Chiesa Anglicana si appiglierebbe. I membri del
    Capitolo di Exeter furono i primi richiesti a dichiararsi. Burnet
    fece sapere ai Canonici, ormai per la fuga del Decano rimasti senza
    capo, che non sarebbe loro più oltre consentito di usare la
    preghiera pel Principe di Galles, e che si celebrerebbe un solenne
    servigio divino in onore del prospero arrivo del Principe d'Orange.
    I Canonici non vollero mostrarsi ne' loro stalli; ma alcuni de'
    coristi e prebendari intervennero. Guglielmo si condusse con gran
    solennità militare alla Cattedrale; ed appena entratovi, il famoso
    organo, che non era secondo a nessuno di quelli onde avea vanto la
    Olanda, cominciò a suonare trionfalmente. Egli ascese al magnifico
    seggio vescovile, adorno d'intagli del secolo decimoquinto. Gli
    stava ai piedi Burnet, e da ambo i lati era schierata una turba di
    guerrieri e di nobili. I cantori, vestiti di bianco, intonarono il
    Te Deum. Finito il cantico, Burnet lesse il Manifesto del
    Principe(1158); ma come ebbe profferite le prime parole i prebendari
    e i cantori uscirono frettolosamente dal coro. Infine Burnet gridò:
    "Dio salvi il Principe d'Orange!" E molte voci fervorosamente
    risposero "Amen(1159)."
    
    La domenica, 11 novembre, Burnet predicò dinanzi al Principe nella
    Cattedrale, e si diffuse sopra la grande misericordia di Dio verso
    la Chiesa e la nazione d'Inghilterra. Nel tempo stesso un evento
    singolarissimo seguiva in un luogo sacro di minore importanza.
    Ferguson ardeva di predicare in una ragunanza di presbiteriani. Il
    ministro e gli anziani non lo consentirono: ma quel torbido e mezzo
    demente uomo, immaginando che fossero giunti di nuovo i tempi di
    Fleetwood e di Harrison, forzò lo ingresso, e con la spada in pugno
    facendosi far largo, ascese sul pulpito, ed eruttò una feroce
    invettiva contro il Re. Ma la stagione per siffatte follie non era
    più; e cotesta scena altro non eccitò che scherno e disgusto(1160).
    
    XLVIII. Mentre le sopra narrate cose accadevano in Devonshire,
    l'agitazione in Londra era grandissima. Il Manifesto del Principe,
    nonostanti tutte le cautele del Governo, correva per le mani di
    ciascuno. Il dì sesto di novembre, Giacomo, ancora ignorando in qual
    parte della costa gl'invasori erano sbarcati, chiamò alle sue stanze
    il Primate ed altri tre Vescovi, cioè Compton di Londra, White di
    Peterborough, e Sprat di Rochester. Il Re cortesemente si stette ad
    ascoltare i prelati che facevano fervide proteste di lealtà, e li
    assicurò che non aveva di loro il più lieve sospetto. "Ma dov'è"
    soggiunse poi "lo scritto che mi dovevate portare?" - "Sire,"
    rispose Sancroft "non abbiamo nessuno scritto da darvi. Non abbiamo
    mestieri scolparci al cospetto del mondo. Non è cosa nuova per noi
    il patire insulti e calunnie. La nostra coscienza ci assolve: la
    Maestà Vostra ci assolve: e di ciò siamo satisfatti." - "Bene" disse
    il Re. "Ma una dichiarazione fatta da voi mi è necessaria." E
    mostrando loro un esemplare del Manifesto del Principe, "Ecco"
    soggiunse, "ecco in che modo voi siete qui rammentati." - "Sire,"
    rispose uno de' Vescovi, "nè anche una persona in cinquecento reputa
    genuino cotesto documento." - "No!" esclamò fieramente il Re:
    "eppure questi cinquecento condurranno il Principe d'Orange a
    segarmi la gola." - "Dio nol voglia," esclamarono ad una voce i
    prelati. Ma Giacomo che non fu mai di lucido intendimento, adesso lo
    aveva onninamente turbato. Una delle peculiarità del suo carattere
    consisteva in questo, che quando la sua opinione non veniva
    adottata, ei credeva che si dubitasse della sua veracità. "Questo
    scritto non è genuino!" esclamò egli svoltandone con le proprie mani
    i fogli. "Non sono io degno di fede? La mia parola non val forse
    nulla?" - "Ad ogni modo, o Sire," disse uno de' Vescovi "questo non
    è affare ecclesiastico, ed entra nella sfera della potestà secolare.
    Dio ha posta nelle mani vostre la spada; e non ispetta a noi
    invadere le vostre funzioni." Allora lo Arcivescovo con quella dolce
    e temperata malignità che reca più profonde ferite, chiese scusa di
    non volere impacciarsi di documenti politici. "Io e i miei
    confratelli, o Sire," soggiunse "abbiamo già crudelmente sofferto
    per esserci voluti immischiare negli affari di Stato: e saremo sì
    cauti da non farlo di nuovo. Una volta firmammo una innocentissima
    petizione; la presentammo nella maniera più rispettosa; e ci fu
    detto di avere commesso un grave delitto. La sola misericordia
    divina potè salvarci. E, Sire, i vostri Procuratore ed Avvocato
    Generali affermarono, come fondamento d'accusa, che noi fuori del
    Parlamento siamo uomini privati, e quindi era criminosa presunzione
    in noi lo immischiarsi di cose politiche. E ci aggredirono con tale
    furore, che, quanto a me, io mi detti per ispacciato." - "Vi
    ringrazio di ciò che dite, Monsignore di Canterbury," disse il Re;
    "speravo che non vi reputaste perduto cadendo nelle mie mani."
    Queste parole sarebbero state bene nella bocca d'un Sovrano
    misericordioso, ma uscivano di mala grazia dalle labbra d'un
    principe il quale aveva arsa viva una donna per avere ospitato uno
    de' fuorusciti; d'un principe, il quale erasi mostrato duro come un
    macigno verso il nipote, che disperatamente dolorando gli
    abbracciava le ginocchia. Ma lo Arcivescovo non era uomo da
    lasciarsi imporre silenzio. Egli riepilogò la storia delle proprie
    vicende, enumerò gl'insulti che le creature della corte avevano
    fatto alla Chiesa Anglicana, e fra gli altri non dimenticò gli
    scherni ai quali era stato segno il suo stile. Il Re non aveva nulla
    a dire se non che era inutile ripetere le vecchie doglianze, e
    ch'egli aveva sperato coteste cose essere già cadute in oblio. Egli,
    che non dimenticava mai la più lieve ingiuria, non sapeva intendere
    in che guisa altri avessero a rammentarsi per poche settimane le più
    mortali ingiurie che avesse fatto loro.
    
    Infine il discorso fu ricondotto al subietto dal quale aveva
    deviato. Il Re instava perchè i Vescovi dichiarassero con pubblico
    documento aborrire dalla impresa del Principe. Ma essi protestando
    sommessamente della loro lealtà, furono ostinatissimi a ricusare,
    dicendo il Principe asserire che era stato invitato da' Pari
    spirituali e secolari; l'addebito era a tutti comune; perchè dunque
    non doveva essere comune anco la discolpa? "Io vedo come egli è,"
    disse Giacomo. "Voi avete favellato con alcuni Pari secolari, i
    quali vi hanno persuaso a contrariarmi in questo negozio." I Vescovi
    solennemente affermarono che ciò non era vero. Ma sembrerebbe
    strano, soggiunsero, che in una questione che spettava a cose
    politiche e militari importantissime, non si avesse a far conto de'
    Pari secolari, e la parte precipua fosse assegnata ai prelati. "Ma
    questo" disse il Re "è il mio metodo. Io sono il Re vostro; e spetta
    a me giudicare di ciò che meglio mi conviene. Io vo' fare a mio
    modo; e richiedo che mi aiutiate." I Vescovi lo assicurarono di
    aiutarlo come ministri di Dio con le loro preci, e come Pari del
    Regno col loro consiglio nel Parlamento. Giacomo, al quale non
    facevano mestieri nè le preci degli eretici nè consigli di
    Parlamento, si sentì amaramente contrariato. Dopo un lungo alterco:
    "Ho finito" disse egli, "io non vi dirò più nulla. Dacchè non volete
    secondarmi, è uopo ch'io confidi in me solo e nelle mie armi(1161)."
    
    XLIX. I Vescovi s'erano appena partiti dal cospetto del Re,
    allorquando giunse un messo recando la nuova che il dì precedente il
    Principe d'Orange era sbarcato in Devonshire. Nella susseguente
    settimana Londra fu nella più violenta agitazione. La domenica, 11
    novembre, si sparse la voce che dentro un monastero istituito in
    Clerkenwell sotto la protezione del Re nascondevansi coltelli,
    gratelle e caldaie per torturare gli eretici. Una gran folla si
    raccolse attorno quell'edificio, e stava per demolirlo, allorchè
    giunse la forza militare. La folla fu dispersa, e vari individui
    rimasero morti. Fu fatta una inchiesta, e i Giurati diedero una
    decisione tale che era indizio certo del pubblico sentire. Dissero
    che alcuni leali e bene intenzionati individui, i quali erano
    accorsi per disperdere i traditori e i pubblici nemici ragunatisi
    intorno ad un convento cattolico, erano stati premeditatamente
    assassinati dai soldati: e questo strano giudicio fu firmato da
    tutti i Giurati. Gli ecclesiastici di Clerkenwell, naturalmente
    impauriti a questi sinistri segni, volevano porre in salvo le cose
    loro. Venne lor fatto di trafugare la maggior parte de' propri
    mobili innanzi che traspirasse nella città la loro intenzione. Ma
    finalmente la marmaglia ne ebbe sospetto. Gli ultimi due barocci
    furono fermati in Holborn, e tutto ciò che v'era sopra fu arso nella
    pubblica via. E n'ebbero tanto terrore i Cattolici, che tutti i
    luoghi destinati al loro culto furono chiusi, tranne quelli che
    appartenevano alla famiglia regale ed agli Ambasciatori
    stranieri(1162).
    
    Nulladimeno le cose non procedevano per anche affatto sfavorevoli a
    Giacomo. Gl'invasori da parecchi giorni erano in Inghilterra, e non
    pertanto nessun personaggio notevole si era con essi congiunto.
    Nessuno scoppio di ribellione nè a settentrione nè a levante. Non
    pareva che alcuno impiegato avesse tradito il proprio Sovrano.
    L'armata regia s'andava speditamente raccogliendo in Salisbury, e
    quantunque per disciplina fosse inferiore a quella di Guglielmo, la
    superava per numero.
    
    L. Senza dubbio il Principe rimase attonito e mortificato vedendo la
    indolenza di coloro che lo aveano invitato alla impresa. Il basso
    popolo di Devonshire lo aveva accolto con ogni segno di affetto: ma
    nessuno de' Nobili, nessun gentiluomo di alta importanza era fino
    allora accorso al quartiere generale. La spiegazione di questo
    singolarissimo fatto è probabilmente da trovarsi in ciò, che egli
    aveva approdato ad un luogo dell'isola, nel quale ei non era
    aspettato. I suoi amici nel paese settentrionale avevano fatti i
    necessari apparecchi ad insorgere, supponendo ch'egli si mostrerebbe
    fra loro con un'armata. I suoi amici nelle contrade occidentali non
    avevano fatto apparecchi di nessuna specie, e rimasero naturalmente
    sconcertati trovandosi allo improvviso chiamati ad iniziare un
    movimento sì grande e pieno di pericoli. Rammentavano, o, per dir
    meglio, avevano dinanzi agli occhi i disastrosi effetti della
    ribellione, forche, capi mozzi, membra squartate, famiglie tuttavia
    coperte di vesti gramagliose per la morte di que' valorosi che
    avevano amata la patria loro di grande ma imprudente amore. Dopo
    esempi così terribili e recenti era naturale lo esitare. Era
    medesimamente naturale, dall'altro canto, che Guglielmo, il quale,
    fidandosi alle promesse giuntegli dalla Inghilterra, aveva posto a
    repentaglio non solo la fama e le sorti sue, ma anche la prosperità
    e la indipendenza della sua terra natia, ne rimanesse profondamente
    mortificato. E n'ebbe tanto sdegno, che parlò di retrocedere a
    Torbay, rimbarcare le sue truppe, e ritornare in Olanda abbandonando
    coloro che lo avevano tradito al ben meritato destino. Infine il
    lunedì, 12 novembre, un gentiluomo chiamato Burrington, che abitava
    nelle vicinanze di Crediton, accorse al vessillo del Principe, e il
    suo esempio fu seguito da alcuni altri di quei luoghi.
    
    LI. E già parecchi personaggi di maggiore importanza da varie parti
    del paese dirigevansi ad Exeter. Primo tra loro era Giovanni Lord
    Lovelace, uomo cospicuo per gusto, per magnificenza e per audaci e
    veementi opinioni Whig. Era stato per cagioni politiche cinque o sei
    volte messo in carcere. L'ultimo delitto di cui gli facevano
    addebito era il non avere egli voluto riconoscere la validità d'un
    mandato d'arresto firmato da un Giudice di Pace cattolico. Tradotto
    dinanzi il Consiglio Privato, aveva subito rigoroso esame, ma senza
    esito alcuno. Ostinatamente ricusò di confessarsi reo; e le
    testimonianze a lui contrarie non furono bastevoli a farlo
    condannare. Fu posto in libertà; Ma avanti ch'egli si partisse,
    Giacomo, acceso d'ira, esclamò(1163): "Milord, questa non è la prima
    volta che voi mi gabbate." - "Sire," rispose Lovelace imperterrito
    "io non ho mai gabbato Vostra Maestà, nè alcun altro; e i miei
    accusatori, qualunque essi siano, mentiscono." Lovelace era stato
    dipoi ammesso alla confidenza di coloro che tramavano la
    rivoluzione(1164). La sua magione, edificata dagli avi suoi con le
    spoglie de' galeoni spagnuoli che tornavano dalle Indie, inalzatasi
    sopra le rovine d'un edifizio dedicato a Nostra Donna in quella
    amenissima valle, fra mezzo alla quale il Tamigi, ancora non
    contaminato dal contatto d'una grande capitale, e le cui acque non
    erano costrette ad alzarsi ed abbassarsi pel flusso e riflusso del
    mare, scorre sotto foreste di faggi attorno le vaghe colline di
    Berkshire. Sotto la magnifica sala adorna delle opere de' pennelli
    italiani, era un sotterraneo, nel quale talora s'erano trovate le
    ossa di vetusti cenobiti. In questo tenebroso luogo alcuni zelanti e
    audaci oppositori del Governo eransi molte volte nel cuor della
    notte raccolti a secreto colloquio in que' giorni ne' quali la
    Inghilterra ansiosamente aspettava il vento protestante(1165).
    Adesso era giunto il tempo d'operare. Lovelace con settanta suoi
    seguaci, bene armati a cavallo, partì dalla sua abitazione
    dirigendosi verso ponente. Giunse alla Contea di Gloucester senza
    incontrare veruno ostacolo. Ma Beaufort, governatore di quella
    Contea, faceva ogni sforzo d'autorità e d'influenza a difesa della
    Corona. Aveva chiamato alle armi la milizia civica, e ne aveva
    appostata una forte schiera a Cirencester. Come Lovelace quivi
    arrivò, gli fu fatto sapere che gli verrebbe negato il passo. Gli
    era quindi forza o abbandonare il suo disegno o aprirsi la via
    combattendo. Deliberò di combattere; e gli amici e fittajuoli suoi
    valorosamente lo secondarono. Si venne alle mani; la milizia civica
    perdè un ufficiale e sei o sette uomini; ma infine i seguaci di
    Lovelace furono vinti, ed egli, fatto prigione, fu mandato al
    castello di Gloucester(1166).
    
    LII. Ad altri corse più prospera la fortuna. Nel giorno in cui
    accadeva la scaramuccia in Cirencester, Riccardo Savage Lord
    Colchester, figlio ed erede del conte Rivers, e padre, per un
    illegittimo amore, di quello sventurato poeta i cui misfatti ed
    infortuni formano una delle più nere pagine della storia letteraria,
    giunse con tra sessanta o settanta cavalieri ad Exeter. Con lui vi
    arrivò lo audace e turbulento Tommaso Wharton. Poche ore dopo
    comparve Eduardo Russell, figlio del conte di Bedford e fratello del
    virtuoso gentiluomo al quale era stato mozzo il capo sul palco. Un
    altro arrivo di maggiore importanza fu poco dopo annunziato.
    Colchester, Wharton, e Russell appartenevano a quel partito che era
    stato sempre avverso alla corte. All'incontro Giacomo Bertie, conte
    d'Abingdon, veniva considerato come partigiano del governo
    dispotico. S'era mostrato fedele a Giacomo nel tempo in cui
    discutevasi della Legge d'Esclusione. Mentre era Luogotenente
    d'Oxford aveva agito con severità e vigore contro i fautori di
    Monmouth, ed aveva acceso fuochi di gioia per celebrare la sconfitta
    d'Argyle. Ma il timore del papismo lo aveva cacciato nella
    opposizione fra' ribelli. Egli fu il primo Pari del Regno che
    comparisse al quartiere generale del Principe d'Orange(1167).
    
    Ma il Re aveva meno da temere da coloro i quali apertamente
    procedevano avversi all'autorià(1168) sua, che dalla tenebrosa
    congiura le cui fila eransi sparse nella sua armata e perfino nella
    sua propria famiglia. Della quale congiura va considerato come
    l'anima Churchill, uomo senza rivali per sagacia e destrezza, da
    natura dotato d'una certa fredda intrepidezza che non gli veniva mai
    meno nel combattere o nel mentire, occupante un posto elevato
    nell'ordine militare, e oltre misura favorito dalla Principessa
    Anna. Non era ancora tempo ch'egli facesse il colpo decisivo. Ma
    anche allora, per mezzo d'un suo agente subordinato, inflisse una
    ferita, se non mortale, gravissima alla causa regia.
    
    LIII. Eduardo, visconte Cornbury, figlio primogenito del conte di
    Clarendon, era un giovane di poca abilità, di stemperati costumi, e
    d'indole violenta. Aveva da' suoi primi anni imparato a considerare
    i suoi vincoli di sangue con la Principessa Anna come lo sgabello a
    salire sublime, e lo avevano esortato a tenersela bene edificata.
    Non era mai venuto in mente al padre suo che la lealtà ereditaria
    degli Hyde potesse correre pericolo di contaminarsi dentro la
    famiglia della figliuola prediletta del Re: ma in quella famiglia
    signoreggiavano i Churchill; e Cornbury divenne loro strumento.
    Comandava uno de' reggimenti de' Dragoni che era stato mandato nelle
    contrade occidentali. Le cose erano state disposte in modo che per
    poche ore il dì 14 novembre egli fosse il più anziano degli
    ufficiali in Salisbury, e tutte le milizie ivi raccolte rimanessero
    sottoposte alla sua autorità. E' sembra straordinario che in tanta
    crisi, l'armata dalla quale ogni cosa dipendeva, fosse, anco per un
    solo istante, lasciata sotto il comando d'un giovane colonnello,
    privo d'abilità e di esperienza. Se non che mal può dubitarsi che
    tale combinazione fosse lo effetto di un disegno profondamente
    meditato, e non è dubbio nessuno a quale testa ed a qual cuore si
    debba attribuire.  Tosto fu dato ordine a' tre reggimenti di
    cavalleria congregati in Salisbury di marciare verso ponente. Lo
    stesso Cornbury, capitanandoli, li condusse prima a Blandford,
    poscia a Dorchester, donde, dopo un'ora di riposo, partirono per
    Axminster. Alcuni degli ufficiali cominciarono a sentire
    inquietudine e chiesero la spiegazione di questi strani movimenti.
    Cornbury rispose ch'egli aveva ordini di dare un notturno assalto ad
    alcune schiere dal Principe d'Orange poste in Honiton. Non per ciò
    si spense ogni sospetto. Alle ripetute insistenze Cornbury
    evasivamente rispondeva, finchè gli ufficiali vivamente lo
    sollecitarono mostrasse loro i pretesi ordini. Egli s'accòrse non
    solo essergli impossibile di condurre più oltre, secondo che aveva
    sperato, i tre reggimenti, ma trovarsi in grave pericolo. Per la
    qual cosa riparò con pochi seguaci al quartiere generale degli
    Olandesi. La maggior parte delle sue milizie ritornò a Salisbury: ma
    alcuni soldati, già distaccati dal corpo, seguitarono a dirigersi ad
    Honiton. Quivi trovaronsi in mezzo ad una grossa schiera bene
    apparecchiata a riceverli. Resistere era impossibile. Il loro
    condottiere li persuase a porsi sotto il vessillo di Guglielmo. A
    gratificarli venne loro offerto un mese di paga, che fu dalla più
    parte di loro accettata(1169).
    
    La nuova di questi eventi giunse a Londra il dì 15. Giacomo in
    quella mattina era di buonissimo umore. Il vescovo Lamplugh s'era
    pur allora presentato a Corte arrivando da Exeter, ed era stato con
    estrema cortesia accolto. "Monsignore," gli disse il Re "voi siete
    un vero vecchio Cavaliere." L'arcivescovato di York, da due anni e
    mezzo vacante, fu immediatamente conferito a Lamplugh in
    rimunerazione della sua lealtà. Nel pomeriggio, il Re pur allora
    s'era posto a desinare, quando giunse un messo recando la nuova
    della diserzione di Cornbury. Giacomo lasciò intatto il pranzo,
    mangiò un crostino di pane, bevve un bicchiere di vino, e si ritirò
    alle sue stanze. Seppe dipoi che mentre alzavasi da mensa, vari
    Lordi ne' quali egli poneva grandissima fiducia, stringevansi
    vicendevolmente le destre nella contigua galleria congratulandosi
    del prospero andamento delle cose. Quando la nuova fu recata agli
    appartamenti della Regina, essa e le sue cameriste diedero in uno
    scoppio di pianto, mettendo dolorose grida(1170).
    
    E davvero il colpo era gravissimo. Egli è vero che la perdita che
    direttamente faceva la Corona e il guadagno diretto degli invasori
    ascendeva appena a dugento uomini ed altrettanti cavalli. Ma dove
    avrebbe potuto d'allora in poi Giacomo trovare que' sentimenti che
    formano la forza degli Stati e degli eserciti? Cornbury era lo erede
    di una casa che primeggiava fra tutte pel suo affetto verso la
    monarchia. Clarendon suo padre e Rochester suo zio erano uomini la
    cui fedeltà riputavasi inaccessibile ad ogni qualsiasi tentazione.
    Quale doveva essere la forza di quel sentimento contro cui nulla
    giovavano gli ereditari pregiudizi più profondamente radicati, di
    quel sentimento che poteva persuadere un giovine ufficiale d'alta
    nascita alla diserzione, resa più colpevole dallo abuso di fiducia e
    dalla menzogna? Lo avvenimento era assai più grave appunto perchè
    Cornbury non era dotato di egregie qualità nè d'indole
    intraprendente. Era impossibile dubitare che esistesse in alcun
    luogo una mano più potente ed artificiosa che lo moveva. Tosto si
    conobbe chi era cotesto motore. Intanto non v'era uomo nel campo
    regio che fosse sicuro di non essere circondato da traditori. Il
    grado politico, il grado militare, l'onore d'un gentiluomo, l'onore
    d'un soldato, le più forti proteste di fedeltà, il più puro sangue
    di Cavaliere, oramai non offrivano sicurtà alcuna. Ciascuno poteva
    dubitare che gli ordini datigli da' suoi superiori non tendessero a
    giovare l'inimico. Era quindi necessariamente distrutta quella cieca
    obbedienza senza la quale gli eserciti diventano una semplice
    marmaglia. Quale disciplina poteva esistere tra soldati che s'erano
    dianzi sottratti ad una trama, ricusando di seguire il loro capitano
    in una secreta spedizione, e insistendo che mostrasse gli ordini
    sovrani?
    
    Cornbury fu poco dopo seguito da una folla di disertori che lo
    superavano per grado e capacità: ma per pochi giorni egli fu solo
    nella sua vergogna ed acremente ripreso da molti i quali poscia,
    imitandone lo esempio, gl'invidiarono la disonorevole precedenza.
    Era fra costoro il suo proprio padre. Clarendon, appena saputane la
    nuova, diede pateticamente in uno scoppio di rabbia e di dolore.
    "Dio mio!" esclamò "che un mio figliuolo debba essere ribelle!"
    Quindici giorni dopo era anche egli nel numero de' ribelli.
    Nondimeno sarebbe ingiusto chiamarlo un ipocrita. Nelle rivoluzioni
    la vita dell'uomo si svolge celerissima: la esperienza di molti anni
    si trova concentrata tutta in poche ore: le vecchie abitudini di
    pensiero e d'azione violentemente si rompono: le novità, che a primo
    sguardo destano timore ed aborrimento, in pochi giorni diventano
    familiari, tollerabili, seducenti. Molti, dotati di virtù più pura e
    di maggiore animo che non fosse Clarendon, erano pronti, innanzi che
    si chiudesse quell'anno memorabile, a fare ciò che al principio
    dell'anno essi avrebbero giudicato iniquo ed infame.
    
    Lo sventurato padre, come meglio potè ricomponendosi, fece chiedere
    una privata udienza al Re, il quale gliela consentì. Giacomo con
    insolita cortesia disse commiserare nel profondo del cuore i parenti
    di Cornbury, e non reputarli tenuti a render conto del delitto
    commesso dallo indegno giovane. Clarendon ritornò a casa sua non
    osando guardare in viso i propri amici. Tosto nondimeno ei rimase
    attonito sapendo che l'azione la quale, secondo che egli credè in
    sulle prime, aveva per sempre disonorata la sua famiglia, era stata
    applaudita da vari personaggi alto locati. La Principessa di
    Danimarca sua nipote gli chiese perchè si teneva chiuso agli occhi
    del mondo. Egli rispose, la scelleraggine del figlio averlo oppresso
    di vergogna. Anna parve di non intendere punto, e soggiunse: "La
    gente è molto inquieta rispetto al papismo. Io credo che molti altri
    dello esercito faranno lo stesso(1171)."
    
    Il Re, grandemente perturbato, chiamò a sè i precipui ufficiali che
    erano in Londra. Churchill che verso quel tempo era stato promosso
    al grado di Luogotenente Generale, si presentò con quella blanda
    serenità di aspetto, che non era mai turbata da periglio o da
    infamia. All'adunanza intervenne Enrico Fitzroy Duca di Grafton, il
    quale per audacia ed operosità predistinguevasi tra i figli naturali
    di Carlo II. Grafton era colonnello del primo reggimento delle
    Guardie a piedi. A quanto pare, in quel tempo egli era sotto
    l'impero di Churchill, ed apparecchiato a disertare dalla regia
    bandiera, appena giungesse il momento opportuno. Erano anco ivi
    presenti due altri traditori, cioè Kirke e Trelawney, i quali
    comandavano due feroci e sfrenate bande, allora detti i reggimenti
    di Tangeri. Entrambi, al pari degli altri ufficiali protestanti
    dello esercito, da lungo tempo mal tolleravano la predilezione del
    Re verso i suoi correligionari; e Trelawney in ispecie rammentava
    con acre risentimento la persecuzione del vescovo di Bristol suo
    fratello. Giacomo favellò all'assemblea con parole degne d'un
    migliore uomo e d'una causa migliore. Disse potere darsi che taluni
    degli ufficiali avessero scrupoli di coscienza per combattere in suo
    favore. Quando così fosse, ei desiderava che dessero la loro
    rinuncia. Ma li esortava e come gentiluomini e come soldati a non
    imitare il vergognoso esempio di Cornbury. Tutti parevano commossi,
    e nessuno lo era quanto Churchill. Egli fu il primo a giurare con
    ben simulato entusiasmo d'essere pronto a spargere fino l'ultima
    stilla del proprio sangue pel suo amato Sovrano. Simiglianti
    proteste fece Grafton; e Kirke e Trelawney ne seguirono lo
    esempio(1172).
    
    LIV. Ingannato da tali assicuranze il Re si apparecchiò a recarsi in
    Salisbury. Avanti la sua partenza seppe che un numero considerevole
    di Pari secolari e spirituali desiderava un'udienza. Andavano,
    guidati da Sancroft, per porre nelle mani di Giacomo una petizione,
    nella quale lo pregavano a convocare un libero e legittimo
    Parlamento, e aprire pratiche d'accordo col Principe d'Orange.
    
    La storia di questa petizione è ben curiosa. E' sembra che due
    grandi capi de' partiti, che da lungo tempo rivaleggiavano ed
    osteggiavansi, ne concepissero ad un tempo il pensiero. Parlo di
    Rochester e di Halifax. Ambedue, senza che l'uno sapesse dell'altro,
    ne chiesero consiglio ai Vescovi. I Vescovi caldamente ne
    approvarono la idea. Fu quindi proposto di ragunare un'assemblea di
    Pari, onde deliberare intorno alla forma da darsi alla sopra
    riferita petizione. E perchè era il tempo delle sessioni
    giudiciarie, gli uomini di grado e di alta condizione
    quotidianamente accorrevano a Westminster Hall come adesso
    affollansi ai Circoli di Pall Mall in Saint James's-Street(1173).
    Nulla poteva essere più facile ai Pari ivi presenti, che ritirarsi
    in qualche stanza contigua, e sedersi a consulta. Ma sorsero
    inaspettatamente alcuni ostacoli. Halifax prima si mostrò freddo,
    poi contrario. Era sua indole obiettare ad ogni cosa, ed in questa
    occasione le sue facoltà intellettive aguzzava la rivalità. Il
    disegno, da lui approvato mentre consideravalo come suo proprio,
    cominciò a dispiacergli appena seppe ch'era anco venuto in mente a
    Rochester, dal quale egli era stato lungamente avversato e infine
    cacciato dal posto, e che egli odiava, secondochè lo consentiva il
    suo pacifico temperamento. Nottingham allora lasciava trascinarsi da
    Halifax; ed entrambi dichiararono che non avrebbero posto i nomi
    loro nella petizione qualora Rochester vi apponesse il suo.
    Clarendon invano lo scongiurò. "Io non intendo mancare di rispetto a
    Milord Rochester," rispose Halifax "ma egli è stato membro della
    Commissione Ecclesiastica, gli atti della quale tra breve saranno
    subietto di gravissima inchiesta; e non è convenevole che un uomo il
    quale ha seduto in quel tribunale partecipi alla nostra petizione."
    Nottingham con alte parole di stima personale verso Rochester fu
    della opinione di Halifax. L'autorità di questi due Lordi
    dissenzienti distolse vari altri dal sottoscrivere l'indirizzo; ma
    gli Hyde e i Vescovi stettero fermi. Si raccolsero diciannove firme;
    e i chiedenti recaronsi in corpo al cospetto del Re(1174).
    
    Giacomo ricevè di mala grazia la petizione. Li assicurò stargli
    molto a cuore la convocazione d'un libero Parlamento; e promise,
    sulla fede di Re, che lo convocherebbe appena il Principe d'Orange
    sgombrasse dall'isola. "Ma in che guisa" disse egli "può dirsi
    libero un Parlamento mentre il Regno è invaso da un nemico, che può
    disporre di quasi cento voti?" Ai prelati favellò con peculiare
    acrimonia, dicendo: "L'altro giorno non potei indurvi a protestare
    contro questa invasione: ma voi adesso siete abbastanza pronti a
    dichiararvi contro me. Allora non v'era lecito immischiarvi di cose
    politiche; ed ora non avete scrupolo a farlo. Voi avete suscitato
    questo spirito di ribellione nel vostro gregge, e adesso lo
    fomentate. Fareste meglio ad insegnare al popolo il modo di
    obbedire, che insegnare a me il modo di governare." S'accese poi di
    grande ira come vide sotto il nome di Grafton segnato presso quello
    di Sancroft, ed aspramente gli disse: "Voi non sapete un jota di
    religione, nè ve ne importa nulla; e nondimeno, in fè di Dio!
    pretendete d'avere una coscienza." - "Egli è vero, o Sire," rispose
    con impudente franchezza il nipote; "egli è vero che io ho poca
    coscienza; ma appartengo ad un partito che ne ha molta(1175)."
    
    LV. Per quanto fossero acri le parole del Re, lo erano meno di
    quelle che profferì dopo che i Vescovi si furono dalla sua presenza
    partiti. Disse d'avere già fatto troppo sperando di gratificarsi un
    popolo irreverente ed ingrato; avere sempre abborrito dalla idea di
    fare concessioni; ma vi s'era lasciato indurre; e adesso, come il
    padre suo, vedeva per prova che le concessioni rendono i sudditi più
    esigenti. Quinci innanzi non cederebbe in nulla, nè anche d'un
    atomo; e secondo suo costume ripetè più volte e con forza: "Nè anche
    d'un atomo." Non solo non farebbe proposte agli invasori, ma non ne
    accetterebbe nessuna. Se gli Olandesi mandassero a chiedere tregua,
    il primo messaggiero sarebbe rimandato senza risposta, il secondo
    impiccato(1176). In tale umore Giacomo partì per Salisbury. Il suo
    ultimo atto, avanti di partirsi, fu di nominare un Consiglio di
    cinque Lordi, perchè lo rappresentassero durante la sua assenza. De'
    cinque, due erano papisti, e per virtù della legge inabili ad
    occupare gli uffici. Jeffreys era con essi, ma la nazione
    detestavalo più dei papisti. A Preston e Godolphin, che erano gli
    altri due membri, non si poteva nulla obiettare. Il dì, in che il Re
    partì da Londra, il Principe di Galles fu mandato a Portsmouth.
    Questa fortezza aveva uno strenuo presidio sotto il comando di
    Berwick. Era lì presso la flotta comandata da Dartmouth; e
    supponevasi, che ove le cose procedessero male, il regio infante si
    sarebbe senza ostacolo potuto condurre in Francia(1177).
    
    LVI. Il dì 19, Giacomo giunse a Salisbury, e pose il suo quartiere
    generale nel palazzo del Vescovo. Da ogni parte gli arrivavano
    sinistre nuove. Le Contee occidentali alla perfine erano insorte.
    Appena si seppe la diserzione di Cornbury, molti ricchi possidenti
    presero animo ed accorsero ad Exeter. Era fra essi Sir Guglielmo
    Portman di Bryanstone, uno de' più grandi uomini della Contea di
    Dorset, e Sir Francesco Warre di Hestercombe che aveva somma
    riputazione nella Contea di Somerset(1178). Ma il più cospicuo de'
    nuovi venuti era Seymour, che aveva di recente ereditato il titolo
    di baronetto, - titolo che aggiungeva poco alla sua dignità, - e per
    nascita, per influenza politica e per abilità parlamentare
    primeggiava oltre ogni paragone fra' gentiluomini Tory
    d'Inghilterra. Dicesi che nella prima udienza porgesse tale
    argomento dell'altera indole sua, che recò maraviglia e sollazzo al
    Principe. "Io credo, Sir Eduardo," disse Guglielmo per usargli una
    cortesia "che voi siate della famiglia del Duca di Somerset." -
    "Altezza, chiedo scusa," rispose Sir Eduardo che non dimenticava mai
    d'essere il capo del ramo maggiore de' Seymours, "il Duca di
    Somerset è della mia famiglia(1179)."
    
    Il quartiere generale di Guglielmo allora cominciò a prendere la
    sembianza d'una corte. Sessanta e più personaggi cospicui per grado
    ed opulenza trovavansi in Exeter; e la mostra quotidiana delle
    ricche livree e de' cocchi a sei cavalli nel ricinto della
    Cattedrale rendeva in alcun modo immagine della magnificenza e
    gaiezza di Whitehall. Il basso popolo anelava di correre alle armi,
    sì che sarebbe stato agevole formare molti battaglioni di fanti. Ma
    Schomberg, che faceva poco conto di soldati novellamente tolti allo
    aratro, sosteneva che ove la impresa non avesse prospero successo
    senza siffatto aiuto, non sarebbe riuscita affatto: e Guglielmo, che
    quanto Schomberg bene intendevasi d'arte militare, era del medesimo
    parere. E però difficilmente concedeva commissioni di reclutare
    nuovi reggimenti, non accettando altri che uomini scelti.
    
    Desideravasi che il Principe ricevesse pubblicamente in corpo tutti
    i nobili e i gentiluomini che s'erano raccolti in Exeter. Rivolse
    loro brevi, caute e dignitose parole. Disse che sebbene non
    conoscesse di aspetto tutti coloro che gli stavano dinanzi, pure ne
    aveva notati i nomi, e sapeva quale insigne reputazione godessero
    nel paese loro. Dolcemente li rimproverò di lentezza ad accorrere,
    ma espresse la ferma speranza che non sarebbe stato troppo tardi per
    salvare il reame. "Adunque, o gentiluomini, amici, e confratelli
    protestanti," soggiunse egli "noi con tutto il cuore diciamo a tutti
    voi e ai seguaci vostri, siate ben venuti alla nostra corte ed al
    nostro campo(1180)."
    
    Seymour, accorto uomo politico, per la sua lunga esperienza nella
    tattica delle fazioni, tosto conobbe che il partito che s'andava
    raccogliendo sotto il vessillo del Principe aveva mestieri d'essere
    organizzato. Lo chiamava una corda di sabbia: non v'era scopo comune
    o formalmente determinato; nessuno s'era impegnato a nulla. Appena
    si sciolse l'assemblea tenuta da Guglielmo nel Decanato, Seymour
    fece chiamare Burnet, e gli suggerì il pensiero di formare
    un'associazione, e d'obbligare tutti gl'Inglesi aderenti al Principe
    ad apporre le loro firme ad un documento, in cui si dichiarassero
    fedeli al loro condottiero e si vincolassero vicendevolmente. Burnet
    riferì la cosa al Principe ed a Shrewsbury, i quali l'assentirono.
    Fu convocata un'adunanza nella Cattedrale, dove fu letto, approvato,
    e firmato un breve documento scritto da Burnet. I soscrittori
    promettevano di eseguire concordemente le cose contenute nel
    Manifesto di Guglielmo; difendere lui, ed a vicenda difendersi; fare
    segnalata vendetta di chi attentasse alla vita di lui, ed anche, ove
    siffatto attentato sventuratamente avesse effetto, persistere nella
    impresa finchè le libertà e la religione del paese fossero
    pienamente assicurate(1181).
    
    Verso quel tempo arrivò ad Exeter un messaggiero del Conte di Bath,
    il quale aveva il comando di Plymouth. Bath poneva sè, le sue truppe
    e la fortezza da lui governata a disposizione del Principe.
    Gl'invasori quindi non avevano più un solo nemico alle spalle(1182).
    
    LVII. Mentre le contrade occidentali in tal guisa insorgevano ad
    affrontare il Re, le settentrionali gli divampavano dietro. Il dì
    16, Delamere corse alle armi nella Contea di Chester. Convocò i suoi
    fittajuoli, gli esortò a seguirlo, promise loro che, ove cadessero
    in battaglia, ei rinnoverebbe il fitto ai loro figli, ed ammonì
    chiunque avesse un buon cavallo di andare al campo, o mandarvi altri
    in sua vece(1183). Comparve a Manchester con cinquanta armati a
    cavallo, il quale numero si triplicò innanzi ch'egli giungesse a
    Boaden Downs.
    
    Le circostanti contrade erano in somma agitazione. Era stato
    provveduto che Danby prendesse York, e Devonshire si mostrasse in
    Nottingham. Quivi non si temeva alcuna resistenza. Ma in York
    trovavasi un piccolo presidio sotto il comando di Sir Giovanni
    Reresby. Danby agì con rara destrezza. Era stata convocata pel dì 22
    novembre una ragunanza de' gentiluomini e de' possidenti della
    Contea di York per fare un indirizzo al Re sullo stato delle cose.
    Tutti i Luogotenenti deputati dei tre Ridings, vari nobili, e una
    folla di ricchi scudieri e di pingui possidenti erano andati alla
    capitale della provincia. Quattro distaccamenti di milizia civica
    erano sotto le armi per mantenere la pubblica tranquillità. Il
    palazzo comunitativo era pieno di liberi possidenti, ed era appena
    cominciata la discussione, allorquando levossi repentinamente il
    grido che i Papisti, corsi alle armi, facevano strage de'
    protestanti. I Papisti di York più verisimilmente studiavansi a
    cercare dove nascondersi che ad aggredire i nemici, i quali per
    numero li superavano in proporzione di cento ad uno. Ma in quel
    tempo non vi era storiella orrenda o maravigliosa delle atrocità dei
    Papisti, alle quali il popolo non prestasse fede. La ragunanza
    sgomentata si disciolse. La intera città fu in iscompiglio. In quel
    mentre Danby con circa cento uomini a cavallo corse dinanzi alla
    milizia civica gridando: "Giù il Papismo! Viva il libero Parlamento!
    Viva la religione protestante!" Le milizie risposero al grido.
    Sorpresero tosto e disarmarono il presidio. Il governatore venne
    arrestato; le porte furono chiuse, e in ogni dove poste sentinelle.
    Lasciarono che la infuriata plebe atterrasse una cappella cattolica,
    ma pare che non seguisse altro danno. Il dì seguente il palazzo
    comunitativo era pieno de' più notabili gentiluomini della Contea, e
    dei principali magistrati della città. Il Lord Gonfaloniere teneva
    il seggio. Danby propose di scrivere una dichiarazione nella quale
    fossero espresse le ragioni che inducevano gli amici della
    Costituzione e della religione protestante a correre alle armi.
    Questa dichiarazione fu calorosamente approvata, e in poche ore
    munita delle firme di sei Pari, di cinque baronetti, di sei
    cavalieri, e di molti gentiluomini di gran conto(1184).
    
    Infrattanto Devonshire, capitanando una grossa legione di amici e
    dipendenti suoi, partitosi dal palagio ch'egli stava erigendo in
    Chatsworth, comparve armato in Derby. Quivi consegnò formalmente
    alle autorità municipali uno scritto in cui erano esposte le ragioni
    che lo avevano spinto alla impresa. Ne andò quindi a Nottingham, che
    tosto divenne il centro della insurrezione delle contrade
    settentrionali. Promulgò un proclama scritto con forti e ardite
    parole. Vi si diceva che il vocabolo ribellione era uno spauracchio
    che non poteva spaventare alcun uomo ragionevole. Era ella
    ribellione difendere quelle leggi e quella religione che ogni Re
    d'Inghilterra era tenuto per sacramento a tutelare? In che modo
    siffatto giuramento fosse stato osservato, era questione la quale,
    come speravasi, un libero Parlamento tra breve scioglierebbe. Nel
    tempo stesso gl'insorti dichiaravano di non considerare qual
    ribellione, ma quale legittima difesa, il resistere ad un tiranno,
    che, tranne la propria volontà, non conosceva legge veruna. La
    insurrezione del paese settentrionale diventava ogni giorno più
    formidabile. Quattro potenti e ricchi Conti, cioè Manchester,
    Stamford, Rutland, Chesterfield giunsero a Nottingham, e furono
    seguiti da Lord Cholmondley e da Lord Grey di Ruthyn(1185).
    
    Intanto le due armate nel mezzogiorno facevansi l'una all'altra
    sempre più presso. Il Principe d'Orange, saputo lo arrivo del Re a
    Salisbury, pensò essere tempo di partirsi da Exeter. Pose la città e
    il paese circostante sotto il governo di Sir Eduardo Seymour, e il
    mercoledì 21 novembre, scortato da molti de' più notevoli
    gentiluomini delle contrade occidentali, si avviò ad Axminster, dove
    rimase vari giorni.
    
    Il Re ardeva di venire alle mani; ed era naturale ch'egli così
    bramasse. Ogni ora che passava, scemava le sue forze, ed accresceva
    quelle del nemico. Inoltre era importantissimo che le sue truppe
    venissero allo spargimento del sangue: imperciochè una grande
    battaglia, qualunque ne fosse l'esito, non poteva altro che nuocere
    alla popolarità del Principe. Guglielmo intendeva profondamente
    tutto ciò, ed era deliberato di evitare, quanto più potesse, un
    combattimento. Dicesi che quando a Schomberg fu riferito che i
    nemici si appressavano deliberatissimi a combattere, rispondesse col
    contegno di capitano espertissimo nell'arte sua: "Sarà come vorremo
    noi." Era, nondimeno, impossibile scansare qualunque scaramuccia tra
    le vanguardie dei due eserciti. Guglielmo desiderava che in siffatte
    piccole fazioni non accadesse nulla che potesse offendere l'orgoglio
    o destare il sentimento di vendetta della nazione di cui s'era fatto
    liberatore. E però con ammirevole prudenza pose i suoi reggimenti
    inglesi in quei luoghi dove maggiore era il rischio d'una
    collisione. E perchè gli avamposti dell'armata regia erano
    Irlandesi, nei piccoli combattimenti(1186) di questa breve campagna
    gl'invasori avevano seco la cordiale simpatia di tutti
    gl'Inglesi.  LVIII. Il primo di cotesti scontri ebbe luogo in
    Wincanton. Il reggimento di Mackay, composto di soldati inglesi, era
    presso a un corpo di regie truppe irlandesi, capitanate dal valoroso
    Sarsfield loro concittadino. Mackay mandò un piccolo drappello de'
    suoi sotto il comando d'un luogotenente chiamato Campbell, in cerca
    di cavalli pel bagaglio. Campbell li trovò in Wincanton, e già
    allontanavasi dalla città per ritornare al campo, allorquando vide
    avvicinarsi un forte distaccamento delle truppe di Sarsfield.
    Gl'Irlandesi erano in proporzione di quattro contro uno: ma Campbell
    deliberò di combattere fino all'ultimo sangue. Con una mano di
    coraggiosissimi uomini si appostò sul cammino. Gli altri suoi
    soldati si posero lungo le siepi che fiancheggiavano da ambe le
    parti lo stradale. Giunti gl'inimici, Campbell gridò: "Alto! Per chi
    siete voi?" - "Io sono pel re Giacomo," rispose il condottiero delle
    milizie regie. "Ed io pel Principe d'Orange, esclamò Campbell. "E
    noi v'imprinciperemo bene," rispose imprecando l'Irlandese. "Fuoco!"
    gridò Campbell: ed una grandine di fuoco piovve all'istante da ambe
    le siepi. I soldati del Re riceverono tre bene aggiustate scariche
    innanzi che potessero far fuoco. In fine venne loro fatto di
    superare una delle siepi, ed avrebbero oppressa la piccola banda
    degl'inimici, se i campagnuoli che portavano odio mortale
    agl'Irlandesi non avessero sparsa la falsa nuova dello appressarsi
    d'altre truppe del Principe. Sarsfield suonò a raccolta e ritirossi;
    Campbell seguitò il cammino senza molestia, seco recando i cavalli
    da bagaglio. Questo fatto, onorevole, senza dubbio, al valore ed
    alla disciplina dell'armata del Principe, fu dalla voce pubblica
    esagerato come una vittoria che i protestanti inglesi avevano
    riportata contro un numero grandemente maggiore di barbari papisti,
    venuti da Connaught ad opprimere l'isola nostra(1187).
    
    Poche ore dopo la narrata scaramuccia seguì un evento che pose fine
    ad ogni pericolo di più grave conflitto tra i due eserciti.
    Churchill ed alcuni de' suoi principali complici erano in Salisbury.
    Due de' congiurati, cioè Kirke e Trelawney, se n'erano andati a
    Warminster dove i reggimenti loro stanziavano. Tutto era maturo per
    eseguire la lungamente meditata tradigione.
    
    Churchill consigliò il Re a visitare Warminster, onde ispezionarvi
    le truppe. Giacomo assentì; ed il suo cocchio stavasi alla porta del
    palagio vescovile, quando ei cominciò a versare abbondantemente
    sangue dalle narici. Fu quindi costretto a differire la sua gita, e
    porsi in mano de' medici. La emorragia non gli cessò se non dopo tre
    giorni; e intanto gli giungevano funestissime nuove.
    
    Non era possibile che una congiura la quale aveva sì sparse le fila
    come quella di cui Churchill era capo, si tenesse strettamente
    secreta. Non v'era prova che potesse farlo tradurre dinanzi ai
    Giurati o ad una corte marziale: ma strani bisbigli correvano per
    tutto il campo. Feversham, il quale era comandante supremo, riferì
    che regnavano sinistri umori nell'armata. Fu fatto intendere al Re
    che alcuni i quali gli stavano da presso non gli erano amici, e che
    sarebbe stata saggia cautela mandare Churchill e Grafton sotto buona
    guardia a Portsmouth. Giacomo respinse il consiglio; dacchè fra i
    suoi vizi non era la inclinazione a sospettare. A vero dire la
    fiducia ch'egli poneva nelle proteste di fedeltà e d'affetto, era
    quanta ne avrebbe potuto avere più presto un fanciullo di buon cuore
    e privo d'esperienza, che un politico molto provetto negli anni, il
    quale aveva praticato assai il mondo, aveva molto sofferto dalle
    arti degli scellerati, e il cui carattere non faceva punto onore
    alla specie umana. Sarebbe difficile additare un altro uomo, il
    quale, così poco scrupoloso a rompere la fede, fosse così restio a
    credere che altri volesse contro di lui tradirla. Nondimeno le nuove
    ricevute intorno le condizioni della sua armata lo conturbarono
    molto. Adesso non più mostravasi impaziente di venire a battaglia:
    pensava anzi di ritirarsi. Nella sera del sabato 24 novembre convocò
    un consiglio di guerra. Alla ragunanza convennero quegli ufficiali
    contro cui era stato caldamente ammonito a tenersi cauto. Feversham
    opinò per la ritirata. Churchill manifestò contrario parere. Il
    consiglio durò fino a mezza notte. Finalmente il Re dichiarò essere
    deliberato a ritirarsi. Churchill vide o s'immaginò d'essere
    sospettato, e comunque sapesse perfettamente governare i moti dello
    animo, non valse a nascondere la propria inquietudine. Innanzi
    l'alba, accompagnato da Grafton, fuggì al quartiere generale del
    Principe(1188).
    
    LIX. Churchill, partendo, lasciò una lettera a spiegare il suo
    intendimento. Era scritta con quel decoro ch'egli non mancò mai di
    serbare fra mezzo alla colpa e al disonore. Riconobbe d'andar
    debitore d'ogni sua cosa alla regia benevolenza. Lo interesse e la
    gratitudine, diceva egli, lo persuadevano a mantenersi fido al
    proprio Sovrano. Sotto nessun altro governo poteva sperare la
    grandezza e prosperità ch'egli allora godeva, ma tutti cotesti
    argomenti dovevano cedere al primissimo de' doveri. Egli era
    protestante, e non poteva in coscienza snudare la spada contro la
    causa del Protestantismo. Quanto al resto, era pronto a porre a
    repentaglio vita ed averi per difendere la sacra persona e i diritti
    del suo amatissimo signore(1189).
    
    Alla dimane il campo era sossopra. Gli amici del Re percossi da
    spavento; i suoi nemici non potevano nascondere la gioia de' loro
    cuori. La costernazione di Giacomo s'accrebbe alle nuove che
    giunsero il dì medesimo da Warminster. Kirke che ivi comandava,
    aveva ricusato di obbedire ad ordini giunti da Salisbury. Non era
    più dubbio che anche egli fosse in lega col Principe d'Orange.
    Dicevasi inoltre ch'egli fosse già passato con le sue milizie al
    campo del nemico; e tale voce, comechè falsa, fu per alcune ore
    pienamente creduta(1190). Un nuovo raggio di luce lampeggiò alla
    mente dello sciagurato Re. Gli parve d'intendere il perchè pochi
    giorni innanzi era stato esortato a visitare Warminster. Ivi si
    sarebbe trovato privo di soccorso, in balía de' congiurati, e presso
    agli avamposti nemici. Coloro che sarebbero stati disposti a
    difenderlo avrebbero agevolmente ceduto agli aggressori. Egli
    sarebbe stato condotto prigioniero al quartiere generale
    degl'invasori. Forse sarebbe stato commesso qualche più nero
    tradimento; imperocchè chi una volta ha posto il piede in una via di
    malvagità e di periglio non è più padrone di fermarsi, e spesso una
    fatalità, che gli è di giusta pena, lo spinge a delitti, dalla idea
    dei quali egli avrebbe dapprima rifuggito con raccapriccio. E
    davvero era visibile la mano di qualche Santo protettore in ciò, che
    un Re sì devoto alla Chiesa Cattolica, nel momento medesimo in cui
    correva a gran passi alla cattività, e forse alla morte, fosse stato
    improvvisamente impedito da quella ch'egli aveva giudicata
    pericolosa infermità.
    
    LX. Tutte coteste cose raffermarono l'animo del Re nel pensiero
    ch'egli aveva fatto la sera antecedente. Ordinò una subita ritirata.
    Salisbury fu tutta in subuglio. Il campo levossi con tal confusione
    che rendeva immagine d'una fuga. Niuno sapeva di chi fidarsi, e a
    cui obbedire. La forza materiale dello esercito era di poco scemata;
    ma la morale non era più. Molti, che la vergogna frenava dal correre
    al quartiere generale del Principe, affrettaronsi a seguire lo
    esempio dal quale avrebbero ognora aborrito; e molti che avrebbero
    difeso il Re mentre pareva risolutamente correre incontro
    agl'invasori, non si sentirono inchinevoli a seguire un vessillo che
    fuggiva(1191).
    
    Giacomo quel giorno giunse ad Andover. Lo accompagnavano il Principe
    Giorgio suo genero, e il Duca d'Ormond. Entrambi erano fra'
    cospiratori, e avrebbero forse tenuto dietro a Churchill, ove
    questi, a cagione di ciò che seguì nel consiglio di guerra, non
    avesse reputato più utile partirsi allo improvviso. La impenetrabile
    stupidità del Principe Giorgio in questa occasione gli fu più utile
    di ciò che sarebbe stata l'astuzia. Ogni qualvolta udiva alcun che
    di nuovo, egli aveva il vezzo di esclamare in francese: "Est-il
    possible?" Questo ritornello adesso gli fu di grande utilità.
    "Est-il possible?" gridò egli come seppe che Churchill e Grafton se
    n'erano andati. Ed appena giunte le sinistre nuove di Warminster,
    esclamò nuovamente: "Est-il possible?"
    
    LXI. Il Principe Giorgio ed Ormond in Andover furono invitati a
    cenare col Re. Tristissima cena! Il Re gemeva sotto la soma delle
    sue sciagure. Il suo genero gli teneva stupidissima compagnia. "Io
    ho saggiato il Principe Giorgio mentre era sobrio," diceva Carlo II,
    "e l'ho saggiato mentre era ubriaco; e o briaco o sobrio non val
    nulla(1192)." Ormond, che per indole era timido e taciturno, non era
    verosimile che fosse d'allegro umore in quel momento. Alla perfine
    la cena terminò. Il Re si ritrasse a riposare. Il Principe ed
    Ormond, appena Giacomo sorse da mensa, montando sui cavalli che
    erano lì pronti, partironsi, accompagnati dal Conte di Drumlanrig,
    figlio primogenito del Duca di Queensberry. La defezione di questo
    giovine Nobile non era cosa di poca importanza; imperocchè
    Queensberry era il capo dei protestanti episcopali di Scozia, setta
    al cui paragone i più esagerati Tory inglesi potevano considerarsi
    pressochè Whig; e lo stesso Drumlanrig era luogotenente colonnello
    del reggimento di Dundee, banda dai Whig detestata più degli Agnelli
    di Kirke. La mattina appresso fu recato al Re lo annunzio di questa
    nuova sciagura, e se ne mostrò meno dolente di quel che si sarebbe
    supposto. Il colpo da lui ricevuto ventiquattro ore innanzi lo aveva
    apparecchiato quasi a qualunque disastro, e non poteva seriamente
    adirarsi del Principe Giorgio, - il quale era uomo da non farsene
    nessun conto, - per avere ceduto alle arti d'un tentatore quale era
    Churchill. "E che! Est-il possible se ne è andato anche egli?" disse
    Giacomo. "Al postutto sarebbe stata maggiore la perdita di un buon
    soldato(1193)." Per dir vero, e' sembra che in quel tempo tutta la
    collera del Re fosse accentrata, e non senza cagione, sopra un solo
    uomo. Prese la via di Londra, ardendo di vendetta contro Churchill,
    ed appena giuntovi seppe che l'arcingannatore aveva commesso un
    nuovo delitto. La Principessa Anna da parecchie ore era sparita.
    
    LXII. Anna, la quale altra volontà non aveva che quella dei
    Churchill, una settimana innanzi era stata da loro persuasa a
    scrivere di propria mano a Guglielmo, significandogli che approvava
    la impresa. Assicuravalo ch'ella trovavasi interamente nelle mani
    de' suoi amici, e che sarebbe rimasta in palazzo o sarebbesi
    rifugiata nella Città a seconda del loro consiglio(1194). La
    domenica, 25 novembre, ella e coloro che per lei pensavano,
    trovaronsi nella necessità di prendere una improvvisa deliberazione.
    Nel pomeriggio di quel dì stesso un corriere da Salisbury recò la
    nuova che Churchill era scomparso, ch'era stato accompagnato da
    Grafton, che Kirke aveva tradito, e che le milizie regie
    frettolosamente ritiravansi. Quella sera le sale di Whitehall erano
    affollate da immenso numero di persone come usualmente avveniva
    quando una grave notizia buona o cattiva giungeva alla città. La
    curiosità e l'ansietà erano dipinte nel viso di ciascuno. La Regina
    proruppe naturalmente in parole di sdegno contro il capo de'
    traditori, e non risparmiò la sua troppo compiacente protettrice.
    Nella parte del palazzo abitata da Anna furono raddoppiate le
    sentinelle. La Principessa era atterrita. Tra poche ore il padre
    sarebbe giunto a Westminster. Non era verosimile che l'avrebbe
    personalmente trattata con severità; ma non era da sperarsi ch'egli
    le permetterebbe di godere più a lungo della compagnia della sua
    diletta amica. Mal poteva dubitarsi che Sara verrebbe arrestata e
    sottoposta al rigoroso esame di astuti e crudi inquisitori. Le sue
    carte sarebbero sequestrate. Forse si scoprirebbe qualche documento
    che mettesse in pericolo la sua vita. Ed ove ciò fosse, v'era da
    temere di peggio. La vendetta dello implacabile Re non conosceva
    distinzione di sesso. Per delitti molto più lievi di quelli che
    probabilmente verrebbero imputati a Lady Churchill, aveva mandate
    donne alle forche e al ceppo. La forza dello affetto infiammò
    l'animo debole della Principessa. Non v'era vincolo ch'ella non
    fosse pronta a rompere, non rischio a correre per l'oggetto del suo
    immenso amore. "Mi getterò giù dalla finestra" gridò ella "piuttosto
    che lasciarmi trovare qui da mio padre." Lady Churchill s'incaricò
    di apparecchiare la fuga. Si pose frettolosamente in comunicazione
    con alcuni capi della congiura. In poche ore ogni cosa fu pronta.
    Quella sera Anna si ritrasse, secondo il consueto modo, alle sue
    stanze. Sul cadere della notte levossi, ed accompagnata dall'amica
    Sara e da due altre donne discese per le secrete scale in veste da
    camera e in pianelle. Le fuggenti giunsero nella strada senza
    ostacolo, dove le attendeva una carrozza d'affitto, dinanzi al cui
    sportello stavano due uomini. Uno era Compton Vescovo di Londra,
    vecchio ajo della Principessa; l'altro era il magnifico e squisito
    Dorset, che vedendo la grandezza del pubblico pericolo erasi destato
    dal suo voluttuoso far niente. La carrozza tosto si diresse ad
    Aldersgate Street, dove allora sorgeva l'abitazione di città de'
    Vescovi di Londra, accanto alla Cattedrale. Ivi la Principessa passò
    la notte. Il dì seguente partì per Epping Forest. In que' selvaggi
    luoghi Dorset possedeva una veneranda magione, oggimai da lungo
    tempo distrutta. Sotto il suo tetto ospitale che da molti anni era
    il favorito ritrovo de' begli spiriti e de' poeti, i fuggitivi
    fecero breve soggiorno. Non potevano sperare di giungere in sicurtà
    al campo di Guglielmo, perocchè il cammino era occupato dalle regie
    milizie. Fu quindi deliberato che Anna riparasse fra mezzo agli
    insorti delle contrade settentrionali. Compton per allora dismesse
    al tutto il suo carattere sacerdotale. Il pericolo e il conflitto
    gli avevano riacceso nel cuore tutto il fuoco guerriero onde era
    pieno ventotto anni innanzi, allorquando cavalcava fra le Guardie
    del Corpo. Ei precedeva il cocchio della Principessa, vestito d'un
    giustacore di cuojo di bufalo, grandi stivali, spada a fianco, e
    pistole all'arcione. Innanzi di giungere a Nottingham trovossi
    circondata da un drappello di gentiluomini che volontariamente erano
    corsi a scortarla. Costoro invitarono il Vescovo a farsi loro
    colonnello; ed egli vi consentì con alacrità tale da scandalizzarne
    i rigidi Anglicani, e da non acquistargli grande reputazione agli
    occhi de' Whig(1195).
    
    LXIII. Allorquando la mattina del dì 26 lo appartamento di Anna fu
    trovato vuoto, nacque grande costernazione in Whitehall. Mentre le
    sue cameriste correvano su e giù pe' cortili del palazzo strillando
    e torcendosi le mani, mentre Lord Craven comandante delle Guardie a
    piedi interrogava le sentinelle della galleria, mentre il
    Cancelliere poneva i suggelli alle carte de' Churchill, la nudrice
    della Principessa negli appartamenti del Re piangeva gridando che la
    sua diletta signora era stata assassinata dai papisti. La nuova volò
    a Westminster Hall. Ivi si disse che Sua Altezza era stata
    trascinata a forza e in qualche luogo imprigionata. Quando non fu
    più possibile negare che la sua fuga era stata volontaria,
    s'inventarono mille ciarle a spiegarne la cagione. Era stata
    villanamente insultata e minacciata; anzi, quantunque si trovasse in
    quella condizione in cui la donna merita peculiarmente l'altrui
    tenerezza, era stata battuta dalla sua crudele madrigna. La plebe,
    da molti anni di pessimo governo resa sospettosa e irritabile, venne
    in tanto concitamento per queste calunnie, che la Regina non si
    teneva sicura. Molti Tory cattolici e alcuni protestanti, la cui
    lealtà era incrollabile, corsero alla reggia pronti a difenderla ove
    seguisse uno scoppio d'ira popolare. Fra mezzo a tanta perturbazione
    e a tanto terrore giunse la nuova della fuga del Principe Giorgio.
    Poco dopo verso sera arrivò il Re, al quale fu annunziato la sua
    figlia essere scomparsa. Dopo tanti patimenti quest'ultima
    afflizione gli strappò dalle labbra un doloroso grido: "Dio mi
    soccorra, anche i miei figli mi hanno abbandonato(1196)!"
    
    Quella sera fino a tardi sedè in consiglio co' suoi principali
    ministri. Fu deliberato di intimare a tutti i Lordi spirituali e
    secolari che allora trovavansi in Londra, che comparissero la dimane
    al suo cospetto, onde richiederli solennemente di consiglio. Per la
    qual cosa, il pomeriggio del martedì 27, i Lordi adunaronsi nella
    sala da pranzo del palazzo. L'assemblea era composta di nove prelati
    e fra trenta e quaranta Nobili secolari, tutti protestanti. I due
    Segretari di Stato, Middleton e Preston, quantunque non fossero Pari
    d'Inghilterra, erano presenti. Il Re presedeva in persona. Gli si
    leggeva sul viso e nello atteggiamento ch'egli soffriva d'anima e di
    corpo. Aperse la ragunanza facendo capo dalla petizione che gli era
    stata presentata poco innanzi la sua partenza per Salisbury. In
    quella petizione veniva pregato a convocare un libero Parlamento.
    Disse che nelle condizioni in cui egli allora trovavasi, non aveva
    reputato opportuno acconsentire. Ma nel tempo della sua assenza da
    Londra erano seguíti gravissimi mutamenti. Aveva parimente notato
    che il suo popolo dappertutto mostrava bramosía di vedere adunate le
    Camere. Per tutte queste cose egli chiamava a consiglio i suoi Pari
    fedeli, perchè gli manifestassero il loro parere.
    
    Per qualche tempo e' fu silenzio, finchè Oxford, la cui famiglia,
    per antichità e magnificenza superiore a tutte, gli dava una specie
    di primato nella ragunanza, disse che secondo la sua opinione que'
    Lordi i quali avevano sottoscritta la petizione, cui la Maestà Sua
    accennava, erano in debito di manifestare i loro pensieri.
    
    Queste parole mossero Rochester a favellare. Difese la petizione e
    dichiarò di non vedere altra speranza per il trono e il paese che la
    convocazione d'un libero Parlamento. Disse non volere rischiarsi ad
    affermare che in tanto grave estremità, anche quel rimedio potesse
    tornare efficace: ma non ne aveva altro da proporre. Aggiunse
    parergli sano partito aprire pratiche col Principe d'Orange.
    Jeffreys e Godolphin parlarono dopo, ed entrambi dichiararono essere
    della medesima opinione di Rochester.
    
    Allora sorse Clarendon, e, con somma maraviglia di quanti
    rammentavano le sue proteste di lealtà, e i suoi disperati affanni e
    il rossore cui si era abbandonato, solo pochi giorni innanzi, per la
    diserzione del proprio figliuolo, proruppe in virulenti invettive
    contro la tirannide e il papismo. "Anche adesso" disse egli "Sua
    Maestà in Londra fa leva d'un reggimento al quale non è ammesso
    nessun protestante." - "Non è vero!" gridò dal seggio Giacomo
    grandemente agitato. Clarendon insisteva, e lasciò da parte questo
    offensivo subietto per passare ad un altro maggiormente offensivo.
    Accusò lo sventurato Re di pusillanimità. Perchè ritirarsi da
    Salisbury? Perchè non tentare le sorti d'una battaglia? Era forse da
    biasimarsi il popolo se cedeva ad un invasore mentre vedeva il
    proprio Re fuggire insieme con la sua armata? Giacomo sentì
    amaramente cotesti insulti, e ne serbò lunga ricordanza. E davvero
    gli stessi Whig reputarono indecenti e poco generose le parole di
    Clarendon. Halifax parlò in modo diverso. Per molti anni di pericolo
    aveva con ammirevole abilità difeso la costituzione civile ed
    ecclesiastica del paese contro la regia prerogativa. Ma il suo
    lucido intendimento, singolarmente nemico d'ogni entusiasmo, ed
    avverso agli estremi, cominciò a pendere verso la causa del Sovrano
    nel momento stesso nel quale que' romorosi realisti, che poco
    innanzi avevano esecrato i Barcamenanti quasi fossero ribelli,
    alzavano il vessillo della ribellione. Egli ambiva, in quella
    congiuntura, a farsi paciere fra il trono e la nazione. A ciò lo
    rendevano adatto lo ingegno e il carattere; e se non vi riuscì, deve
    attribuirsi a certe cagioni, a vincere le quali non era destrezza
    che bastasse, e precipuamente alla follia, slealtà, ed ostinatezza
    del Principe ch'egli si studiava di salvare.
    
    Halifax disse non poche verità spiacevoli a Giacomo, ma con tal
    delicatezza da meritargli la taccia d'adulatore da parte di quegli
    abietti spiriti, i quali non sanno intendere come ciò che
    giustamente merita il nome di adulazione quando è diretto al
    potente, sia debito d'umanità quando si rivolge al caduto. Con mille
    espressioni di simpatia e deferenza, dichiarò essere d'avviso che il
    Re dovesse oggimai apparecchiarsi a fare grandi sacrifici. Non
    bastava convocare un libero Parlamento o iniziare pratiche d'accordo
    col Principe d'Orange. Era necessario fare ragione almeno ad alcuni
    de' torti di cui moveva lamento la nazione, senza attendere che lo
    esigessero le Camere o il Capitano dello esercito nemico. Nottingham
    con parole egualmente rispettose fece eco a quelle di Halifax. Le
    principali concessioni che i Lordi volevano che il Re facesse erano
    queste: cacciare dagli uffici tutti i Cattolici Romani; separarsi
    interamente dalla Francia; e concedere illimitata amnistia a tutti
    coloro che avevano prese le armi contro lui. Pareva che intorno
    all'ultima di coteste concessioni non fosse da disputare.
    Imperocchè, quantunque coloro che pugnavano contro il Re avessero
    agito in modo da suscitargli in cuore, non senza ragione, il più
    acre risentimento, era più verosimile ch'egli si trovasse tra breve
    in loro balía, che essi nella sua. Sarebbe stata cosa puerile
    iniziare pratiche d'accordo con Guglielmo, e nello stesso tempo
    riserbarsi il diritto di vendetta contro coloro che Guglielmo non
    poteva senza infamia lasciare in abbandono. Ma lo intenebrato
    intendimento e l'indole implacabile di Giacomo resisterono
    lungamente alle ragioni addotte da coloro che affaticavansi a
    convincerlo essere opera da savio perdonare delitti ch'egli non
    poteva punire. "Non posso acconsentire," esclamò egli. "È mestieri
    ch'io dia degli esempi: Churchill sopra tutti, Churchill, quel desso
    ch'io inalzai tanto. Egli è la sola cagione di tanto male. Egli ha
    corrotta la mia armata. Egli ha corrotta la mia figliuola. Egli mi
    avrebbe dato in mano al Principe d'Orange, se non mi avesse soccorso
    la mano di Dio. Milordi, voi siete stranamente ansiosi per la
    salvezza de' traditori, e nessuno di voi si dà il minimo pensiero
    della mia." In risposta a questo scoppio d'ira impotente, coloro i
    quali lo avevano esortato a concedere l'amnistia, gli mostrarono con
    profondo rispetto, ma con fermezza, che un Principe aggredito da
    potenti nemici non può trovare scampo se non nella vittoria o nella
    riconciliazione. "Se la Maestà Vostra, dopo ciò che è accaduto, vede
    tuttavia speranza alcuna di salvezza nelle armi, l'opera nostra è
    finita: ma se non ha questa speranza, non le resta altra áncora di
    salute che il riacquistare lo affetto del popolo." Dopo una lunga e
    calorosa discussione, il Re sciolse la ragunanza dicendo: "Milordi,
    voi avete usata meco gran libertà di parole; ma non me ne ho per
    male. Oramai mi son messo in capo una cosa, e vi rimango
    irremovibile, cioè, convocherò il Parlamento. Gli altri consigli che
    mi avete pôrti sono di grave momento: nè vi dee far meraviglia se
    innanzi di decidere, io prendo tempo una notte a pensarvi
    sopra(1197)."  LXIV. Primamente Giacomo parve disposto a bene
    giovarsi del tempo da lui preso a riflettere. Al Cancelliere fu
    fatto comandamento di scrivere il decreto a convocare il Parlamento
    pel dì 13 gennaio. Halifax fu chiamato al palazzo, ed ebbe una lunga
    udienza, e parlò molto più liberamente di quello che egli aveva
    reputato decoroso di fare al cospetto d'una numerosa assemblea. Gli
    fu detto d'essere stato nominato commissario per trattare col
    Principe d'Orange. In questo ufficio gli furono dati a compagni
    Nottingham e Godolphin. Il Re dichiarò d'essere parato a fare grandi
    sacrifici per amore della pace. Halifax rispose ch'era d'uopo farli
    pur troppo. "Vostra Maestà" disse egli "non deve aspettarsi che
    coloro i quali hanno in mano il potere, consentano a patti che
    lascino le leggi in balía della regia prerogativa." Con questa
    distinta dichiarazione delle sue mire, egli accettò la commissione
    che il Re desiderava affidargli(1198). Le concessioni che poche ore
    innanzi erano state ostinatissimamente respinte, adesso furono fatte
    in modo liberalissimo. Fu pubblicato un proclama nel quale il Re non
    solo concedeva pieno perdono a tutti i ribelli, ma li dichiarò
    elegibili al prossimo Parlamento. Nè anche si richiedeva come
    condizione d'elegibilità che dovessero porre giù le armi. La
    medesima Gazzetta che annunziava la prossima ragunanza delle Camere,
    conteneva la notificazione che Sir Eduardo Hales, il quale, come
    papista, rinnegato e precipuo campione della potestà di dispensare,
    e come duro carceriere de' Vescovi, era uno degli uomini più
    impopolari del Regno, aveva cessato di essere Luogotenente della
    Torre, e gli aveva succeduto Bevil Skelton, dianzi suo prigione, il
    quale quantunque avesse poca riputazione presso i suoi concittadini,
    almeno non difettava dei necessari requisiti ad occupare un pubblico
    ufficio(1199).
    
    LXV. Se non che coteste concessioni erano dirette solo ad abbacinare
    i Lordi e la nazione per nascondere i veri disegni del Re. Egli
    aveva secretamente deliberato, anche in quell'ora di pericolo, di
    non voler cedere in nulla. Nel giorno medesimo, in cui pubblicò il
    proclama d'amnistia, spiegò pienamente le proprie intenzioni a
    Barillon. "Queste pratiche d'accordo" disse Giacomo "sono una pretta
    finzione. È mestieri ch'io mandi commissari a mio nipote, affinchè
    io acquisti tempo ad imbarcare la mia moglie e il Principe di
    Galles. Voi conoscete gli umori delle mie truppe. Di nessuno altro
    che degl'Irlandesi io potrei fidarmi; e gl'Irlandesi non sono in
    numero bastevole a resistere all'inimico. Il Parlamento m'imporrebbe
    patti ch'io non potrei sopportare. Sarei forzato a disfare ciò che
    ho già fatto a pro de' Cattolici, ed a romperla col Re di Francia. E
    però, appena la Regina e mio figlio saranno in salvo, partirò dalla
    Inghilterra e cercherò rifugio in Irlanda, in Iscozia, o presso il
    vostro signore(1200)."
    
    E già il Re aveva fatti i preparamenti bisognevoli a mandare questo
    disegno ad esecuzione. Dover era stato spedito a Portsmouth con
    ordine di aver cura del Principe di Galles; e a Dartmouth, che ivi
    comandava la flotta, era stato ingiunto d'obbedire a Dover in tutto
    ciò che concernesse il regio infante, e di tenere prontissimo a far
    vela per la Francia, appena ricevutone l'avviso, un naviglio
    equipaggiato da marinaj fedeli(1201). Il Re quindi mandò ordini
    positivi perchè lo infante fosse subito condotto al più vicino porto
    del continente(1202). Dopo il Principe di Galles, il primo pensiero
    del Re era il Gran Sigillo. A questo simbolo della regia autorità i
    nostri giureconsulti hanno sempre attribuito una quasi misteriosa
    importanza. Ammettono che se il Cancelliere, senza licenza del Re,
    lo apponga ad un diploma di paría o a un decreto di grazia,
    quantunque ei si renda colpevole di grave delitto, il documento non
    può essere posto in questione da nessuna Corte di legge, e può
    essere annullato solo da un atto parlamentare. E' sembra che Giacomo
    paventasse che questo strumento della sua volontà potesse cadere
    nelle mani de' suoi nemici, i quali con esso potrebbero dare
    validità legale ad atti che lo avrebbero potuto gravemente
    danneggiare. Nè i suoi timori sono da reputarsi irragionevoli sempre
    che si rammenti che appunto cento anni più tardi il Gran Sigillo di
    un Re fu adoperato, con lo assenso de' Lordi e de' Comuni, e con
    l'approvazione di molti incliti statisti e giureconsulti, a fine di
    trasferire al figliuolo le prerogative di lui. Perchè non si facesse
    abuso del talismano che aveva tanto formidabile potenza, Giacomo
    deliberò di tenerlo a brevissima distanza dal suo gabinetto. Per la
    qual cosa ingiunse a Jeffreys di sloggiare dalla casa da lui di
    recente edificata in Duke Street, e di risedere in un piccolo
    appartamento di Whitehall(1203).
    
    LXVI. Il Re aveva fatto ogni apparecchio a fuggire, allorquando un
    inatteso ostacolo lo costrinse a differire la esecuzione del proprio
    disegno. I suoi agenti in Portsmouth cominciarono a scrupoleggiare.
    Lo stesso Dover, ancorchè fosse uno della cabala gesuitica, mostrò
    segni di titubanza. Dartmouth era anche meno inchinevole ad obbedire
    alle voglie del Re. Fino allora s'era mantenuto fedele al trono, ed
    aveva fatto il possibile, con una flotta disaffezionata e col vento
    contrario, per impedire che gli Olandesi sbarcassero in Inghilterra;
    ma era membro zelante della Chiesa stabilita, e in nessuna maniera
    partigiano della politica di quel governo ch'egli si reputava
    tenuto, per debito e per onore, a difendere. I torbidi umori degli
    ufficiali e degli altri uomini a lui sottoposti gli recavano non
    poca ansietà; ed era giunta opportuna ad alleggiargli l'animo la
    nuova della convocazione d'un libero Parlamento, e della nomina de'
    commissari a trattare col Principe d'Orange. La flotta ne fece
    clamoroso tripudio. Un indirizzo onde ringraziare il Re per queste
    generose concessioni fatte all'opinione pubblica fu scritto sul
    bordo della nave capitana. Lo ammiraglio fu il primo a firmare.
    Trentotto capitani, dopo lui, vi apposero i loro nomi. Mentre questo
    documento era recato a Whitehall, giunse a Portsmouth il messo che
    recava l'ordine di condurre in sull'istante il Principe di Galles in
    Francia. Dartmouth seppe, e ne provò amaro dolore e risentimento, il
    libero Parlamento, la generale amnistia, le pratiche coll'inimico,
    altro non essere che parte d'un grande inganno ordito contro la
    nazione, del quale inganno egli doveva essere complice. In una
    patetica ed animosa lettera dichiarò d'avere ormai obbedito fino al
    punto oltre il quale ad un protestante e ad un Inglese non era
    lecito andare. Porre lo erede presuntivo della corona britannica
    nelle mani di Luigi sarebbe stato niente meno che tradimento contro
    la monarchia; lo che avrebbe resa furibonda la nazione della quale
    il Sovrano aveva pur troppo perduto lo affetto. Il Principe di
    Galles non sarebbe mai più ritornato, o ritornerebbe condotto in
    Inghilterra da un'armata francese. Ove Sua Altezza rimanesse
    nell'isola, il peggio che sarebbe potuto accadere era di vederlo
    educare in seno alla Chiesa nazionale; e ch'egli fosse siffattamente
    educato doveva essere il desiderio d'ogni suddito leale. Dartmouth
    concludeva dichiarandosi pronto a rischiare la propria vita per la
    difesa del trono, ma protestava di non volere partecipare al
    trasferimento del Principe in Francia(1204).
    
    Questa lettera sconcertò tutti i disegni di Giacomo. S'accorse,
    inoltre, di non potere in questa circostanza aspettarsi obbedienza
    passiva dal suo ammiraglio: imperocchè Dartmouth era giunto fino a
    porre parecchie scialuppe alla bocca del porto di Portsmouth con
    ordine di non lasciar passare nessun legno senza prima esaminarlo.
    Era quindi necessario fare altri provvedimenti; era mestieri
    condurre il bambino a Londra, e da quivi mandarlo in Francia. A far
    ciò bisognava passassero alcuni giorni. Frattanto era d'uopo
    lusingare il popolo con la speranza d'un libero Parlamento e con la
    simulazione di trattare col Principe d'Orange. Furono quindi spediti
    i decreti per le elezioni. I trombetti andavano e venivano dalla
    metropoli al quartiere generale degli Olandesi. Infine giunsero i
    salvocondotti pei tre Commissari regi, i quali partirono pel campo
    nemico.
    
    LXVII. Lasciarono Londra tremendamente agitata. Le passioni che pel
    corso di tre anni di perturbazioni, s'erano gradualmente
    rinvigorite, adesso, libere da ogni freno di timore, e stimolate
    dalla vittoria e dalla simpatia, mostravansi senza maschera perfino
    dentro la reggia. I Gran Giurati di Middlesex(1205) pronunciarono un
    atto d'accusa contro il Conte di Salisbury per avere abbracciato il
    papismo(1206). Il Lord Gonfaloniere ordinò che le case de' cattolici
    romani nella Città venissero perquisite onde vedere se contenessero
    armi. La plebaglia irruppe nell'abitazione di un rispettabile
    mercatante cattolico, per sincerarsi s'egli avesse scavata una mina
    dalla sua cantina fino alla chiesa parrocchiale onde far saltare in
    aria il parroco e i congregati(1207). I merciaioli per le vie
    gridavano vendendo satire contro Padre Petre, il quale s'era
    sottratto, e non quando era ancor tempo, dal suo appartamento in
    palazzo(1208). La celebre canzone di Wharton con molti versi
    aggiunti cantavasi più che mai ad alta voce in tutte le strade della
    metropoli. Le stesse sentinelle che guardavano il palazzo cantavano
    sotto voce: "Gl'Inglesi bevono a confusione del Papismo,
    Lillibullero bullen a la." Le tipografie clandestine di Londra
    lavoravano senza posa. Molti fogli correvano giornalmente per la
    città, nè i magistrati avevano modo o non volevano scoprire per
    quali mezzi.
    
    LXVIII. Uno di questi scritti hanno salvato dall'oblio la singolare
    audacia onde era composto e lo immenso effetto che produsse.
    Simulava d'essere un supplemento al Manifesto del Principe d'Orange,
    scritto di suo pugno e munito del suo sigillo: ma lo stile era molto
    diverso da quello del Manifesto vero. Minacciava vendetta, senza
    riguardo alle costumanze de' popoli inciviliti e cristiani, contro
    tutti quei papisti che osassero parteggiare pel Re. Verrebbero
    trattati non come soldati o gentiluomini, ma come predoni. La
    ferocia e licenza dell'armata degli invasori che una vigorosa mano
    aveva fino allora rattenuti, sarebbe lasciata senza freno contro i
    papisti. I buoni protestanti, e in ispecie coloro che abitavano
    nella metropoli, venivano esortati, a nome di quanto avevano di più
    caro al mondo, e comandati, sotto pena dello sdegno del Principe, a
    prendere, disarmare e condurre in carcere i Cattolici loro vicini.
    Dicesi che questo documento una mattina fosse trovato da un libraio
    Whig all'uscio della sua bottega. Affrettossi a stamparlo. Molti
    esemplari ne furono spediti per la posta e corsero rapidamente per
    le mani di tutti. Gli uomini savi non esitarono a reputarlo
    scrittura foggiata da qualche irrequieto e immorale avventuriere
    della razza di coloro che nei tempi torbidi sono sempre pronti ad
    eseguire i più vili e tenebrosi uffici delle fazioni. Ma la
    moltitudine restò presa all'amo. E veramente a tal punto era stato
    concitato il sentimento nazionale e religioso contro i papisti
    irlandesi, che la maggior parte di coloro, i quali non reputavano
    autentico quello scritto spurio, inclinavano ad applaudirlo come
    opportuno esempio di energia. Come si seppe che Guglielmo non ne era
    lo autore, tutti interrogavansi a vicenda chi fosse lo impostore che
    con tanta audacia e tanto effetto aveva presa la maschera di Sua
    Altezza. Alcuni sospettarono di Ferguson, altri di Johnson.
    Finalmente dopo ventisette anni Ugo Speke confessò d'averlo egli
    composto, e chiese alla Casa di Brunswick una rimunerazione per
    avere reso alla religione protestante un così segnalato servigio.
    Asserì, col tono di chi creda avere fatto cosa eminentemente
    virtuosa ed onorevole, che quando la invasione olandese aveva
    gettato Whitehall nella costernazione, egli s'era profferto alla
    Corte, e simulando rottura co' Whig, aveva promesso di spiarne i
    passi; che con tale mezzo era stato ammesso al cospetto del Re,
    aveva giurato fedeltà, gli era stata promessa pecunia in gran copia,
    e s'era procurato de' segnali con che poteva andare e venire nel
    campo nemico. Protestò di avere fatte tutte coteste cose col solo
    scopo di avventare senza sospetto un colpo mortale al Governo, e far
    nascere nel popolo un violento scoppio di sdegno contro i Cattolici
    Romani. Disse che il falso Manifesto era uno de' mezzi da lui
    divisati: ma è da dubitare se le sue pretensioni fossero bene
    fondate. Imperocchè indugiò tanto a dirlo da farci ragionevolmente
    sospettare ch'egli aspettasse la morte di chi poteva contradirgli;
    oltrechè non addusse altra testimonianza che la propria
    asserzione(1209).
    
    LXIX. Mentre le cose sopra narrate succedevano in Londra, ogni
    corriere postale da tutte le parti del Regno recava la notizia di
    qualche novella insurrezione. Lumley aveva presa Newcastle. Gli
    abitatori lo avevano accolto con gioia. La statua del Re, che
    sorgeva sopra un alto piedistallo di marmo, era stata rovesciata e
    gettata nel Tyne. Fu lungamente serbata in Hull la memoria del 3
    dicembre, come giorno della presa della città. V'era un presidio
    sotto il comando di Lord Langdale cattolico romano. Gli ufficiali
    protestanti concertarono colla magistratura un piano d'insurrezione:
    Langdale e i suoi fautori furono arrestati; e i soldati e i
    cittadini si congiunsero a favore della religione protestante e d'un
    libero Parlamento(1210).
    
    Le contrade orientali erano anche esse insorte. Il Duca di Norfolk,
    seguito da trecento gentiluomini bene armati a cavallo, comparve
    nella vasta piazza di mercato in Norwich. Il Gonfaloniere e gli
    Aldermanni corsero a lui e promisero di collegarsi con lui contro il
    papismo e la tirannide(1211). Lord Herbert di Cherbury e Sir Eduardo
    Harley presero le armi nella Contea di Worchester(1212). Bristol,
    seconda città del reame, aprì le sue porte a Shrewsbury. Il Vescovo
    Trelawney, il quale nella Torre aveva disimparato affatto la
    dottrina della non resistenza, fu il primo a far plauso alla venuta
    delle truppe del Principe. Siffatti erano gli umori degli abitanti,
    che non s'era creduto necessario lasciare fra loro una
    guarnigione(1213). La popolazione di Gloucester insorse e liberò di
    prigione Lovelace, il quale si vide tosto raccogliere dintorno
    un'armata irregolare. Alcuni de' suoi cavalieri avevano semplici
    cavezze invece di briglie. Molti de' suoi fanti per tutt'arme
    avevano bastoni. Ma queste schiere, comunque si fossero, marciarono
    senza contrasto traverso alle Contee già sì fide alla Casa Stuarda,
    e infine entrarono trionfanti in Oxford. Corsero loro incontro
    solennemente i magistrati. La stessa Università, esasperata dagli
    oltraggi dianzi sostenuti, era poco inchinevole a disapprovare la
    ribellione. Già alcuni de' capi dei Collegi avevano spedito un loro
    rappresentante per riferire al Principe d'Orange che essi di tutto
    cuore erano per lui, e pronti a fondere, ove bisognasse, le loro
    argenterie. Per lo che il condottiero Whig cavalcò per la città
    principale de' Tory fra le acclamazioni universali. Lo precedevano i
    tamburi sonando il Lillibullero. Gli teneva dietro una vasta onda di
    cavalli e di fanti. Tutta High Street era parata con drappi color
    d'arancio, imperocchè questo colore aveva già il doppio significato,
    che dopo centosessanta anni serba tuttavia, voglio dire per lo
    Inglese protestante era emblema di libertà civile e religiosa, pel
    Celta cattolico era simbolo di persecuzione e servaggio(1214).
    
    LXX. Mentre da ogni lato sorgevano nemici attorno al Re, gli amici
    sollecitamente lo abbandonavano. La idea della resistenza era
    divenuta famigliare a ciascuno. Molti che mostraronsi inorriditi
    allorchè ebbero la nuova delle prime diserzioni, adesso
    rimproveravano sè stessi d'essere stati così lenti a conoscere il
    tempo. Non v'era più ostacolo o periglio ad accorrere a Guglielmo.
    Il Re, chiamando la nazione ad eleggere i rappresentanti al
    Parlamento, aveva implicitamente autorizzato ognuno a recarsi dove
    avesse voti o interessi; e molti di que' luoghi erano già occupati
    dagl'invasori o dagli insorti. Clarendon ardentemente colse il
    destro di abbandonare il già cadente Sovrano. Sapeva d'averlo
    mortalmente offeso col suo discorso in Consiglio: e si sentì
    mortificato non vedendosi nominare per uno de' tre regii Commissari.
    Egli aveva de' possessi nel Wiltshire. Deliberò di portare candidato
    per quella Contea il proprio figlio, quel desso della cui condotta
    egli aveva dianzi sentito dolore ed orrore; e sotto pretesto di
    badare alla elezione partì per il paese occidentale. Tosto gli
    tennero dietro il Conte d'Oxford, ed altri i quali fino allora
    avevano protestato di non avere nissuna relazione con la intrapresa
    del Principe(1215).
    
    Verso questo tempo gl'invasori, regolarmente, comechè con lentezza,
    procedendo, trovavansi a settanta miglia da Londra. Quantunque il
    verno fosse quasi a mezzo, il tempo era bello, il cammino piacevole;
    e i piani di Salisbury sembravano prati amenissimi a loro che
    s'erano affannati traverso alle fangose rotaje degli stradali di
    Devonshire e di Somersetshire. L'armata procedeva accanto a
    Stonehenge, e i reggimenti, l'uno dopo l'altro, stavansi a
    contemplare quelle misteriose rovine, famose per tutto il
    continente, come la più grande maraviglia della nostra isola.
    Guglielmo entrò in Salisbury con la stessa pompa militare con cui
    era entrato in Exeter, ed alloggiò nel palazzo, pochi giorni innanzi
    occupato dal Re(1216).
    
    Quivi al suo corteo si aggiunsero i Conti di Clarendon e d'Oxford ed
    altri cospicui personaggi, i quali fino a pochi giorni avanti erano
    considerati zelanti realisti. Van Citters arrivò anche egli al
    quartiere generale degli Olandesi. Per parecchie settimane egli era
    stato quasi prigione nella sua casa presso Whitehall, di continuo
    sorvegliato da spie che s'avvicendavano senza perderlo d'occhio un
    istante. Nondimeno, malgrado le spie, o forse per mezzo loro, gli
    era venuto fatto di sapere esattamente ciò che succedeva in palazzo;
    e adesso bene e copiosamente edotto degli uomini e delle cose,
    giunse al campo a giovare le deliberazioni di Guglielmo(1217).
    
    Fino a questo punto la impresa del Principe era proceduta
    prosperamente oltre le speranze de' più ardenti suoi fautori. E
    adesso, secondo la legge universale che governa le cose umane, la
    prosperità cominciò a produrre la disunione. Gl'Inglesi raccolti in
    Salisbury si scissero in due partiti. L'uno era composto di Whig, i
    quali avevano sempre considerato le dottrine della obbedienza
    passiva e dello incancellabile diritto ereditario come superstizioni
    servili. Molti di loro avevano passato degli anni in esilio; tutti
    erano stati esclusi da' favori della Corona. Adesso esultavano
    vagheggiando vicinissimo il giorno della grandezza e della vendetta.
    Ardenti di sdegno, inebriati di vittoria e di speranza, non volevano
    udire a parlare di patti. Null'altro fuorchè la detronizzazione del
    loro nemico gli avrebbe contentati: nè può negarsi che, ciò volendo,
    fossero a sè medesimi perfettamente coerenti. Nove anni innanzi
    avevano fatto ogni sforzo per escluderlo dal trono, perchè credevano
    ch'egli sarebbe verosimilmente stato cattivo Re. E però non era da
    sperarsi che lo lascerebbero volentieri sul trono dopo che lo
    avevano sperimentato Re oltre ogni ragionevole preveggenza
    cattivissimo.
    
    Dall'altro canto non pochi de' fautori di Guglielmo erano Tory
    zelanti, i quali fino allora avevano professata la dottrina della
    non resistenza nella forma più assoluta, ma la cui fede in cotesta
    dottrina per un istante aveva ceduto alle irruenti passioni eccitate
    dalla ingratitudine del Re e dal pericolo della Chiesa. Per un
    vecchio Cavaliere non v'era condizione più tormentosa che quella di
    impugnare le armi contro il trono. Gli scrupoli che non gli avevano
    impedito dallo accorrere al campo degli Olandesi cominciarono,
    appena vi giunse, a straziargli crudelmente la coscienza, la quale
    lo faceva dubitare di avere commesso un delitto. In ogni evento
    s'era reso meritevole di rimprovero operando in diretta opposizione
    ai principii di tutta la sua vita. Sentiva invincibile avversione
    pei suoi nuovi collegati, gente, per quanto egli potesse
    rammentarsi, da lui sempre ingiuriata e perseguitata, cioè
    Presbiteriani, Indipendenti, Anabattisti, vecchi soldati di
    Cromwell, bravi di Shaftsbury, congiurati di Rye House, capitani
    della Insurrezione delle contrade occidentali. Naturalmente
    desiderava trovare qualche scusa che gli ponesse in pace la
    coscienza, lo liberasse dalla taccia d'incoerenza, e stabilisse una
    distinzione tra lui e la folla de' ribelli scismatici, da lui sempre
    spregiati e aborriti, ma coi quali egli adesso correva pericolo
    d'essere confuso. Per le quali cose protestava fervidamente contro
    ogni pensiero di strappare la corona da quella cervice resa sacra
    dal volere di Dio e dalle leggi del Regno. Il suo più caldo
    desiderio era di vedere una riconciliazione a patti non indecorosi
    alla dignità regia. Egli non era traditore; e a dir vero non
    opponeva resistenza all'autorità del Sovrano. Era corso alle armi
    perchè egli era convinto che il miglior servizio che si potesse
    rendere al trono era quello di redimere con una lievissima
    coercizione la Maestà Sua dalle mani de' pessimi consiglieri.
    
    I mali, che la vicendevole animosità di queste fazioni tendeva a far
    nascere, furono in gran parte scansati per l'autorità e saggezza del
    Principe. Circuito da ardenti disputatori, officiosi consiglieri,
    abietti adulatori, spie vigilanti, maligni ciarlieri, rimaneva
    sempre tranquillo senza che altri potesse leggergli nel cuore.
    Potendo, taceva; costretto a parlare, il tono serio e imperioso con
    che significava le sue bene ponderate opinioni, faceva tosto
    ammutolire chiunque. Qualsivoglia cosa dicessero i suoi troppo
    zelanti fautori, ei non profferì mai verbo che desse il minimo
    sospetto di ambire alla corona d'Inghilterra. Senza dubbio ben si
    accorgeva che fra lui e quella corona esistevano tuttavia parecchi
    ostacoli, i quali nessuna prudenza avrebbe potuto vincere, e
    potevano ad un solo passo falso diventare insormontabili. La sola
    probabilità ch'egli avesse di ottenere quello splendido premio non
    istava nello impossessarsene ruvidamente, ma nello aspettare fino a
    tanto che senza la minima apparenza di sforzo e d'astuzia lo
    conducessero al suo arcano scopo la forza delle circostanze, gli
    errori de' suoi avversari, e la libera elezione dei tre Stati del
    reame. Coloro che provaronsi d'interrogarlo, non riuscirono a saper
    nulla, e nondimeno non poterono accusarlo di simulazione. Egli
    tranquillamente li rimandava al suo Manifesto, assicurandoli che le
    sue mire non erano cangiate da poi che era stato scritto quel
    documento. Con tanta espertezza governava gli animi dei suoi
    partigiani, che pare la loro discordia gli rafforzasse, anzichè
    indebolirgli il braccio: ma la discordia scoppiava violentissima
    appena sottraevansi al freno di lui, sturbava l'armonia de' conviti,
    e non rispettava nè anche la santità della casa di Dio. Clarendon,
    il quale si studiava di nascondersi agli occhi altrui e a quelli
    della propria coscienza, affettando con ostentazione sentimenti di
    lealtà - prova manifesta della sua ribellione - raccapricciò vedendo
    alcuni de' suoi colleghi col bicchiere in mano schernire l'amnistia
    che il Re generosamente aveva offerta loro. Dicevano non aver
    bisogno di perdono: ma innanzi di finire, volevano ridurre il Re a
    domandare perdono a loro. Anche maggiormente impaurì e disgustò ogni
    buon Tory un fatto che accadde nella cattedrale di Salisbury. Appena
    il ministro che officiava cominciò a leggere la preghiera pel Re,
    Burnet, il quale fra i molti suoi pregi non annoverava la facoltà di
    sapere frenarsi e il senso delicato delle convenevolezze, essendo in
    ginocchioni, si alzò, si assise nel proprio stallo, e profferì
    alcune sprezzanti parole che sturbarono le divozioni degli
    astanti(1218).
    
    In breve le fazioni, onde era diviso il campo regio, ebbero
    occasione a misurare le proprie forze. I Commissari del Re erano già
    in viaggio. Erano corsi vari giorni dopo la loro nomina; e
    reputavasi strano che in un caso cotanto urgente indugiassero sì
    lungamente ad arrivare. Ma in verità nè Giacomo nè Guglielmo
    desideravano che le pratiche speditamente s'iniziassero; imperocchè
    l'uno bramava solo di acquistare il tempo bastevole a mandare in
    Francia la moglie e il figliuolo; e la posizione dell'altro si
    faceva ognora più vantaggiosa. Infine il Principe fece annunziare ai
    Commissari che gli avrebbe ricevuti in Hungerford. Probabilmente
    scelse questo luogo, perchè, ad uguale distanza da Salisbury e da
    Oxford, era bene adattato per un convegno de' suoi più importanti
    fautori. In Salisbury erano quei nobili e gentiluomini che lo
    avevano accompagnato da Olanda od erano corsi a trovarlo nelle
    contrade occidentali; ed in Oxford erano molti de' capi della
    insurrezione del paese settentrionale.
    
    LXXI. In sul tardi, giovedì 6 dicembre, giunse a Hungerford. La
    piccola città fu tosto ripiena di persone d'alto grado e notevoli
    che vi accorrevano da diverse parti. Il Principe era scortato da un
    forte corpo di truppe. I Lordi del settentrione conducevano seco
    centinaia di cavalieri irregolari, il cui equipaggio e modo di
    cavalcare moveva a riso coloro ch'erano assuefatti allo splendido
    aspetto ed agli esatti movimenti delle armate regolari(1219).
    
    Mentre il Principe rimaneva in Hungerford ebbe luogo un accanito
    scontro tra dugentocinquanta de' suoi e seicento Irlandesi che erano
    appostati in Reading. Gl'invasori in questo fatto fecero bella prova
    della superiorità della loro disciplina. Comechè fossero molto
    inferiori di numero, essi al primo assalto sgominarono le regie
    milizie, le quali corsero giù per le strade fino alla piazza di
    mercato. Quivi gl'Irlandesi tentarono di riordinarsi; ma
    vigorosamente aggrediti di fronte, mentre gli abitanti facevano
    fuoco dalle finestre delle case circostanti, tosto scoraronsi, e
    fuggirono perdendo la bandiera e cinquanta uomini. Dei vincitori
    solo cinque caddero morti. Ne gioirono tutti ugualmente i Lordi e i
    Gentiluomini che seguivano Guglielmo; perocchè in quel fatto non
    accadde nulla che offendesse il sentimento nazionale. Gli Olandesi
    non avevano vinto gl'Inglesi, ma avevano soccorsa una città inglese
    a liberarsi dalla insopportabile dominazione degl'Irlandesi(1220).
    
    La mattina del sabato, 8 dicembre, i commissari del Re giunsero a
    Hungerford. Le Guardie del Corpo del Principe schieraronsi a
    riceverli con gli onori militari. Bentinck li accolse e propose loro
    di condurli immediatamente al cospetto del suo signore.
    Manifestarono la speranza che il Principe volesse accordar loro una
    udienza privata; ma fu loro risposto ch'egli era deliberato di
    ascoltarli e rispondere in pubblico. Furono introdotti nella sua
    camera da letto, dove lo trovarono fra mezzo a una folla di nobili e
    di gentiluomini. Halifax, cui il grado, la età, l'abilità davano il
    diritto di precedenza, prese a favellare. La proposta che i
    Commissari avevano ordine di fare era, che i punti di controversia
    fossero portati dinanzi al Parlamento, a convocare il quale già si
    stavano suggellando i decreti, e che in quel mentre l'armata del
    Principe si fermasse a trenta o quaranta miglia lontano da Londra.
    Halifax dopo d'aver detto che questa era la base sopra cui egli e i
    suoi colleghi erano apparecchiati a trattare, pose nelle mani di
    Guglielmo una lettera del Re, e prese commiato. Guglielmo, schiusa
    la lettera, parve oltre l'usato commuoversi. Era la prima che
    ricevesse dal suocero dopo che erano in aperta rottura. Un tempo
    erano stati in buone relazioni e familiarmente carteggiavano; nè
    anco dopo che entrambi avevano cominciato a sospettarsi ed aborrirsi
    vicendevolmente s'erano astenuti nelle loro lettere da quelle forme
    di cortesia che comunemente adoperano le persone strettamente
    congiunte co' vincoli del sangue e del matrimonio. La lettera recata
    da' Commissari era scritta da un segretario in forma diplomatica e
    in lingua francese. "Ho avute molte lettere del Re," disse
    Guglielmo, "ma tutte sempre in inglese e scritte di suo pugno."
    Favellò con una sensibilità ch'egli era poco assuefatto a mostrare.
    Forse in quello istante pensava quanto rimprovero dovesse arrecare a
    lui e alla consorte, così a lui affettuosa, la sua intrapresa,
    comechè fosse giusta, benefica e necessaria. Forse rammaricavasi
    della durezza del destino, il quale lo aveva ridotto a una
    condizione tale ch'ei non poteva adempiere ai suoi doveri pubblici
    senza frangere i domestici vincoli, e invidiava lo avventuroso stato
    di coloro che non sono responsabili della salvezza delle nazioni e
    delle Chiese. Ma siffatti pensieri, se pure gli sorsero in mente, ei
    fermamente represse. Esortò i Lordi e i Gentiluomini, da lui
    convocati in questa occasione, a consultare insieme, senza lo
    impaccio della sua presenza, intorno alla risposta da farsi al Re.
    Riserbossi non per tanto la potestà della decisione finale dopo
    avere ascoltati i loro consigli. Quindi lasciolli, e si ritirò a
    Littlecote Hall, magione rurale giacente a circa due miglia di
    distanza, e famosa fino ai tempi nostri non tanto per la sua
    veneranda architettura e i suoi begli arredi, quanto per un orribile
    e misterioso delitto ivi commesso ne' tempi dei Tudor(1221).
    
    Innanzi che si allontanasse da Hungerford gli fu detto che Halifax
    aveva desiderato di abboccarsi con Burnet. In questo desiderio non
    era nulla di strano; imperocchè Halifax e Burnet avevano da lungo
    tempo avuto relazioni d'amicizia. E per vero dire non v'erano due
    uomini che così poco si rassomigliassero. Burnet era estremamente
    privo di delicatezza e di tatto. Halifax aveva delicatissimo gusto,
    e fortissima tendenza al dileggio. Burnet mirava ogni azione ed ogni
    carattere traverso a uno strumento scontorto e colorato dallo
    spirito di parte. La mente di Halifax inchinava a scoprire i falli
    de' suoi colleghi più presto che quelli degli avversari. Burnet, non
    ostante le sue debolezze e le vicissitudini d'una vita passata in
    circostanze non molto favorevoli alla pietà, era uomo sinceramente
    pio. Lo scettico e satirico Halifax aveva taccia d'incredulo.
    Halifax quindi aveva spesso provocato la sdegnosa censura di Burnet;
    e Burnet era spesso lo zimbello de' pungenti e gentili scherzi di
    Halifax. Nondimeno l'uno sentivasi vicendevolmente attirato verso
    l'altro, ne amava il conversare, ne pregiava l'abilità, liberamente
    ricambiava le opinioni e i buoni uffici in tempi pericolosi.
    Nondimeno Halifax adesso non desiderava rivedere il suo vecchio
    conoscente soltanto per riguardi personali. I Commissari erano di
    necessità ansiosi di sapere quale fosse il vero scopo del Principe.
    Aveva loro ricusato un colloquio privato; e poco poteva raccogliersi
    da ciò ch'egli potesse dire in una pubblica udienza. Quasi tutti i
    suoi confidenti erano uomini al pari di lui taciturni e
    impenetrabili. Il solo Burnet era ciarliero e indiscreto. E
    nondimeno le circostanze avevano fatto nascere il bisogno di fidarsi
    di lui; e Halifax con la sua squisita destrezza gli avrebbe
    indubitatamente tratto dalla bocca i secreti, agevolmente come le
    parole. Guglielmo sapeva tutto questo, e come gli fu detto che
    Halifax andava in cerca del dottore, non potè frenarsi dallo
    esclamare: "Se si uniranno insieme, e' vi sarà un bel pettegolezzo."
    A Burnet fu inibito di vedere i Commissari in privato; ma con parole
    cortesissime gli fu detto che il Principe non aveva il più lieve
    sospetto della fedeltà di lui; e perchè non vi fosse cagione a
    dolersene, la inibizione fu generale.
    
    LXXII. Quel dì i nobili e i gentiluomini, ai quali Guglielmo aveva
    chiesto consiglio, adunaronsi nella gran sala del principale albergo
    di Hungerford. Oxford presedeva, e le proposte del Re furono prese
    in considerazione. Tosto si conobbe che l'assemblea era divisa in
    due partiti, l'uno de' quali era bramoso di venire a patti col Re,
    l'altro ne voleva la piena rovina; ed erano i più. Ma fu notato che
    Shrewsbury, il quale a preferenza di tutti i Nobili d'Inghilterra
    supponevasi godere la confidenza di Guglielmo, quantunque fosse
    Whig, in questa occasione era coi Tory. Dopo molto contendere fu
    formulata la questione. La maggioranza opinò doversi rigettare le
    proposte che i regii Commissari avevano ordine di fare. La
    deliberazione dell'assemblea fu recata al Principe in Littlecote. In
    nessun'altra circostanza per tutto il corso della sua fortunosa vita
    egli mostrò maggiore prudenza e ritegno. Non poteva volere la buona
    riuscita dello accordo. Ma era tanto savio da conoscere, che ove le
    pratiche andassero a vuoto per cagione delle sue irragionevoli
    pretese, ei perderebbe il pubblico favore. E però, vinta la opinione
    de' suoi ardenti fautori, si dichiarò deliberatissimo a trattare
    sopra le basi proposte dal Re. Molti dei Lordi e dei Gentiluomini
    radunati in Hungerford rimostrarono: litigarono un intero giorno: ma
    Guglielmo rimase incrollabile nel suo proposito. Dichiarò di volere
    porre ogni questione nelle mani del Parlamento pur allora convocato,
    e di non procedere oltre a quaranta miglia da Londra. Dal canto suo
    fece certe domande che anche i meno inchinevoli a lodarlo reputarono
    moderate. Insistè perchè gli statuti vigenti rimanessero in vigore
    finchè venissero riformati dall'autorità competente, e perchè
    chiunque occupasse un ufficio senza i requisiti legali fosse quinci
    innanzi destituito. Dirittamente pensava che le deliberazioni del
    Parlamento non potevano procedere libere, se dovesse aprirsi
    circondato dai reggimenti irlandesi, mentre egli e la sua armata
    rimanevano lontani di parecchie miglia. Per lo che reputava
    necessario che, dovendo le sue truppe rimanersi a quaranta miglia da
    Londra dalla parte occidentale, le truppe del Re si dovessero
    ritirare ad uguale distanza dalla parte orientale. In tal guisa
    rimaneva attorno al luogo, dove le Camere dovevano adunarsi, un
    ampio cerchio di terreno neutrale, dentro cui erano due fortezze di
    grande importanza per la popolazione della metropoli; la Torre cioè,
    che signoreggiava le abitazioni, e Tilbury Fort che signoreggiava il
    commercio marittimo. Era impossibile lasciare questi due luoghi
    senza presidio. Guglielmo quindi propose che temporaneamente
    venissero affidati alla Città di Londra. Sarebbe forse convenevole,
    che il Re, apertosi il Parlamento, se ne andasse a Westminster con
    un corpo di guardie. In questo caso il Principe voleva il diritto di
    andarvi anch'egli con un eguale numero di soldati. Parevagli giusto,
    che, mentre rimanevano sospese le operazioni militari, ambedue le
    armate si considerassero come ai servigi della nazione inglese, e
    fossero pagate dall'entrate dell'Inghilterra. Da ultimo richiese
    alcune guarentigie perchè il Re non si giovasse dello armistizio per
    introdurre forze francesi nell'isola. Il punto di maggior pericolo
    era Portsmouth. Il Principe non insisteva che gli venisse data nelle
    mani questa importante fortezza, ma propose che, durante la tregua,
    fosse affidata al comando d'un ufficiale meritevole della fiducia
    sua e di Giacomo.
    
    Le proposte di Guglielmo erano espresse con la dilicata equità
    convenevole meglio a un arbitro disinteressato il quale profferisca
    un giudizio, che ad un principe vittorioso il quale imponga
    condizioni ad un disastrato nemico. I partigiani del Re non ebbero
    nulla a ridire. Ma fra' Whig nacquero assai mormorazioni. Dicevano
    non volere riconciliazione col loro vecchio signore; reputarsi
    sciolti da ogni vincolo di fedeltà; non essere disposti a
    riconoscere l'autorità d'un Parlamento convocato con decreto di lui.
    Aggiungevano ch'essi non volevano armistizio, e non poteano
    intendere, che dovendo esservi un armistizio, fosse da concludersi a
    patti uguali. Per virtù di tutte le leggi della guerra il più forte
    aveva diritto a giovarsi della propria forza; e nella indole di
    Giacomo v'era egli nulla che giustificasse una tanto estraordinaria
    indulgenza? Coloro che siffattamente ragionavano, ben poco
    conoscevano da quale altezza e con che occhio veggente il
    condottiero da essi biasimato contemplasse la intera situazione
    della Inghilterra e dell'Europa. Anelavano a rovinare Giacomo, e
    però avrebbero voluto o ricusare di trattare con essolui a patti
    uguali, o imporgli condizioni insopportabilmente dure. Perchè il
    vasto e profondo disegno politico di Guglielmo non patisse
    detrimento era necessario che Giacomo ruinasse al precipizio,
    rigettando condizioni così ostentatamente liberali. L'esito delle
    cose provò la saviezza de' provvedimenti che la maggioranza degli
    Inglesi ragunati in Hungerford era inchinevole a condannare.
    
    La domenica, 9 dicembre, le domande del Principe furono poste in
    iscritto e consegnate a Halifax. I Commissari desinarono in
    Littlecote, dove una splendida assemblea era stata invitata a
    incontrarli. L'antica sala, dalle cui pareti pendevano armature che
    avevano veduto la guerra delle Rose, e ritratti de' valorosi che
    erano stati ornamento della corte di Filippo e di Maria, era adesso
    ripiena di Pari e di Generali. In tanta folla potevano ricambiarsi
    brevi dimande e risposte senza farsi scorgere. Halifax colse il
    destro che gli si offrì primo, per conoscere ciò che Burnet sapeva o
    pensava. "Che intendete di fare?" chiese lo accorto diplomatico.
    "Desiderate di avere il Re nelle vostre mani?" - "Niente affatto"
    rispose Burnet; "non vogliamo fare il minimo male alla sua persona."
    - "E ove se ne andasse?" soggiunse Halifax. "Non potremmo desiderare
    nulla di meglio" disse Burnet. Non v'è dubbio che Burnet, così
    favellando, esprimesse la opinione universale de' Whig(1222) nel
    campo del Principe. Tutti bramavano che Giacomo fuggisse dal paese:
    ma solo pochi de' più savi tra loro intendevano di quanta importanza
    fosse che la sua fuga venisse attribuita dalla nazione alla insania
    e ostinatezza di lui, e non ai duri trattamenti e a ben fondati
    timori. E' pare probabile che anche negli estremi cui egli era
    adesso ridotto, tutti i suoi nemici congiunti insieme non
    l'avrebbero potuto rovesciare, qualora egli non fosse stato il
    peggiore nemico di sè stesso: ma mentre i suoi Commissari
    affaticavansi a salvarlo, egli con ogni studio cercava di rendere
    vani gli sforzi loro(1223).
    
    I suoi disegni infine erano maturi per la esecuzione. Le pretese
    pratiche avevano risposto allo intento. Nel dì stesso in cui i tre
    Lordi giunsero a Hungerford, il Principe di Galles arrivò a
    Westminster. Avevano provveduto che passasse pel Ponte di Londra; ed
    alcune legioni irlandesi gli erano state spedite incontro a
    Southwark; ma vennero accolte da una gran folla di popolo con tale
    tempesta di fischi e di maledizioni, che esse reputarono prudente
    con tutta fretta ritirarsi. La povera creatura passò il Tamigi a
    Kingston, e fu condotta a Whitehall con tanta secretezza che molti
    la credevano tuttavia a Portsmouth(1224).
    
    LXXIII. Adesso il primo pensiero di Giacomo era quello di mandare il
    figlio e la moglie senza indugio fuori del Regno. Ma di chi fidarsi
    per eseguire la fuga? Dartmouth era il più leale de' Tory
    protestanti; e Dartmouth aveva ricusato. Dover era creatura de'
    Gesuiti: e anche Dover aveva esitato. Non era assai facile trovare
    un Inglese d'alto grado ed onore il quale si togliesse lo incarico
    di porre nelle mani del Re di Francia lo erede presuntivo della
    Corona d'Inghilterra.
    
    In queste circostanze Giacomo pose gli occhi sopra un gentiluomo
    francese il quale allora dimorava in Londra, cioè Antonio Conte di
    Lauzun. È stato detto che la vita di costui fosse più strana d'un
    sogno. Ne' suoi giovani anni era stato intimo collega di Luigi, ed
    aveva avuta speranza de' più alti impieghi sotto la Corona francese.
    Poi la fortuna volse la sua ruota. Luigi aveva con amari rimproveri
    allontanato da sè lo amico della sua giovinezza, e, dicesi, poco
    mancò non lo schiaffeggiasse. Il caduto cortigiano era stato
    rinchiuso in una fortezza: ma ne era uscito, aveva riacquistata la
    grazia del suo signore, ed acceso il cuore ad una delle più grandi
    dame d'Europa, cioè Anna Maria, figlia di Gastone Duca d'Orleans,
    nipote del Re Enrico IV, ed erede delle immense possessioni della
    Casa di Monpensier. I due amanti si volevano congiungere in
    matrimonio, che fu assentito dal Re. Per poche ore Lauzun fu
    considerato in Corte come membro adottivo della famiglia Borbone. La
    dote della Principessa poteva essere ambita anche da un Sovrano: tre
    grandi ducati, un principato indipendente con zecca e tribunali, ed
    una rendita superiore a quella del Regno di Scozia. Ma tanto
    splendido apparato in un istante svanì. Gli sponsali furono rotti.
    Lo amante per molti anni visse rinchiuso in un castello sulle Alpi.
    In fine Luigi divenne più mite. A Lauzun fu inibito di comparire al
    cospetto del Re, ma gli venne data libertà, lontano dalla Corte.
    Visitò la Inghilterra, e fu bene accolto da Giacomo e dal ceto
    elegante di Londra: imperciocchè in quel tempo i gentiluomini
    francesi venivano reputati per tutta Europa modelli di squisita
    educazione: e molti Cavalieri e Visconti, i quali non erano mai
    stati ammessi al cerchio di Versailles, erano oggetto di curiosità e
    di ammirazione in Whitehall. Lauzun quindi nelle presenti
    circostanze era l'uomo opportuno. Aveva animo e sentimento d'onore,
    era assuefatto a strane avventure, e con l'acutezza di mente e lo
    ironico dileggio d'un compíto uomo di mondo aveva forte propensione
    a farla da cavaliere errante. Lo amore di patria e i propri
    interessi lo persuadevano a addossarsi una commissione, dalla quale
    tutti i più fedeli sudditi della Corona inglese parevano aborrire.
    Come custode, in un pericoloso momento, della Regina della Gran
    Bretagna e del Principe di Galles, poteva onorevolmente ritornare al
    paese natio; e forse verrebbe nuovamente ammesso a vedere Luigi
    vestirsi e desinare, e dopo tante vicende, nel volgere degli anni
    suoi, si rimetterebbe forse in via di riacquistare con istrana guisa
    il regio favore.
    
    Spinto da tali sentimenti Lauzun con ardore accettò l'alto incarico
    propostogli. Gli apparecchi per la fuga si fecero sollecitamente: fu
    ordinato che una nave stesse pronta a Gravesend: ma giungere a
    Gravesend non era agevole cosa. La città era in estremo
    concitamento. La minima cagione bastava a fare ragunare il popolo.
    Nessun forestiero poteva mostrarsi per le vie senza timore d'essere
    fermato, interrogato, e condotto dinanzi a un magistrato come fosse
    gesuita travestito. Era quindi necessario prendere la via lungo la
    sponda meridionale del Tamigi. Non fu trascurata nessuna cautela a
    evitare ogni sospetto. Il Re e la Regina, secondo il consueto modo,
    ritiraronsi per riposare. Quando per qualche tempo fu quiete
    universale in palazzo, Giacomo levatosi chiamò uno de' suoi
    servitori dicendogli; "Troverete un uomo alla porta dell'anticamera;
    conducetelo a me." Il servo obbedì, e Lauzun fu introdotto nella
    stanza del regio talamo. "Affido a voi" disse Giacomo "la Regina e
    mio figlio; bisogna porre a rischio ogni cosa per condurli in
    Francia." Lauzun con ispirito veramente cavalleresco rese grazie del
    pericoloso onore che Giacomo gli faceva, e chiese licenza di
    giovarsi dello aiuto del suo amico Saint-Victor gentiluomo
    provenzale, che aveva dato numerose prove di coraggio e di fede. Il
    Re accettò volentieri i servigi di un tanto uomo. Lauzun porse la
    mano a Maria; Saint-Victor inviluppò nel suo caldo pastrano lo
    sventurato erede di tanti Re: e scesi giù per una scala secreta,
    s'imbarcarono in una gondola scoperta. Ed era pur miserabile
    viaggio. La notte era nera; pioveva a dirotto; il vento mugghiava;
    le onde accavallavansi: alla perfine la barchetta giunse a Lambeth;
    e i fuggenti sbarcarono presso a una locanda dove stava ad
    aspettarli una carrozza. Corse qualche tempo innanzi di attaccare i
    cavalli. Maria, temendo d'essere riconosciuta, non volle entrare
    nella locanda, ma si rimase col figliuolo nelle braccia sotto la
    torre della Chiesa di Lambeth per ricoverarsi dalla tempesta,
    tremando ogni volta che il mozzo di stalla le si avvicinava con la
    lanterna. Era accompagnata da due donne, l'una delle quali aveva
    l'ufficio di allattare il Principe, l'altra quello di vegliarlo alla
    culla; ma potevano essere di poca utilità alla loro signora, come
    quelle che erano straniere, mal potevano parlare l'inglese, e
    tremavano sotto la rigida sferza del clima d'Inghilterra. L'unica
    consolazione fu quella che lo infante era di buona salute e non
    pianse punto. La carrozza finalmente si mosse. Saint-Victor la
    seguiva a cavallo. I fuggenti giunsero sani e salvi a Gravesend, e
    s'imbarcarono nella nave che li aspettava. Vi trovarono Lord Powis
    con sua moglie. V'erano anco tre ufficiali irlandesi. Costoro erano
    stati spediti colà, onde, nascendo un caso disperato, soccorressero
    Lauzun; poichè non reputavasi punto impossibile che il capitano
    della nave si scoprisse infido: ed erano stati dati ordini di
    pugnalarlo al minimo sospetto di tradigione. Nulladimeno non fu
    necessario appigliarsi ad alcun violento partito. La nave, spinta da
    prospero vento, scese giù pel fiume; e Saint-Victor, avendola veduta
    far vela, ritornò spronando il cavallo per recare la lieta nuova a
    Whitehall(1225).
    
    La mattina del lunedì, 10 dicembre, il Re seppe che la moglie ed il
    figliuolo avevano intrapreso il loro viaggio con molta probabilità
    di giungere al luogo dove erano diretti. Verso quel tempo arrivò a
    Whitehall un messo con dispacci da Hungerford. Se Giacomo avesse
    avuto un poco più di discernimento, e un poco meno di ostinazione,
    que' dispacci lo avrebbero indotto a considerare nuovamente i propri
    disegni. I Commissari mandavano lettere piene di speranza. I patti
    proposti dal vincitore erano stranamente liberali. Il Re stesso non
    potè frenarsi dal dire che erano più favorevoli di quel che si
    sarebbe aspettato. Certo egli avrebbe potuto non senza ragione
    sospettare che fossero stati fatti con intendimento non amichevole:
    ma ciò non importava nulla; imperocchè, sia che fossero offerti con
    la speranza che accettandoli egli ponesse i fondamenti d'una felice
    riconciliazione(1226), sia, come è più probabile, con la speranza
    che rigettandoli sarebbe comparso alla nazione estremamente
    irragionevole e incorreggibile, il modo di condursi era al pari
    evidente. In entrambi i casi la sua politica era quella di
    accettarli senza il menomo indugio e fedelmente osservarli.
    
    LXXIV. Ma tosto fu chiaro che Guglielmo aveva profondamente
    conosciuta l'indole dell'uomo col quale egli aveva da fare, e
    nell'offrire que' patti che i Whig in Hungerford avevano biasimati
    come troppo indulgenti, non aveva rischiato nulla. La solenne
    commedia, onde il pubblico era stato tenuto a bada fino dalla
    ritirata dello esercito regio da Salisbury, fu prolungata anche per
    poche ore. Tutti i Lordi che trovavansi ancora nella metropoli
    furono invitati al palazzo per udire in che stato erano le pratiche
    aperte per loro consiglio. Fu stabilita un'altra ragunanza di Pari
    pel dì susseguente. Al Lord Gonfaloniere e agli Sceriffi di Londra
    fu anche intimato di recarsi presso il Re. Gli esortò ad adempiere
    con energia i loro doveri, e confessò come egli avesse creduto utile
    mandare la moglie e il figlio fuori del paese, ma gli assicurò ch'ei
    rimarrebbe al suo posto. Mentre egli profferiva questa menzogna
    indegna d'un uomo e d'un Re, rimaneva fermissimo nel proposito di
    partirsi innanzi l'alba del prossimo giorno. E difatti aveva già
    affidati i più preziosi de' suoi arredi a vari ambasciatori
    stranieri. Le sue più importanti scritture erano state depositate
    nelle mani del Ministro Toscano. Ma innanzi d'accingersi alla fuga
    rimaneva anco qualche altra cosa a farsi. Il tiranno gioiva del
    pensiero di vendicarsi d'un popolo aborrente dal dispotismo,
    rovesciandogli sul capo tutti i mali dell'anarchia. Comandò che il
    Gran Sigillo e i decreti per la convocazione del Parlamento fossero
    recati alle sue stanze. Tutti i decreti che potè avere in mano egli
    gettò nel fuoco. Quelli ch'erano stati spediti annullò con una
    scrittura stesa in forma legale. A Feversham scrisse una lettera,
    che aveva sembianza di comando, ingiungendogli di sciogliere lo
    esercito. Non ostante il Re seguitava a nascondere anche ai suoi
    principali ministri la intenzione di fuggire. Sul punto di ritirarsi
    esortò Jeffreys a trovarsi la dimane a buon'ora nel gabinetto; e
    mentre stava per entrare a letto susurrò all'orecchio di Mulgrave
    dicendo che le nuove giunte da Hungerford erano sodisfacenti.
    Ciascuno si ritirò, tranne il duca di Northumberland. Questo
    giovane, figlio naturale di Carlo II, partoritogli dalla Duchessa di
    Cleveland, comandava una compagnia di Guardie del Corpo, ed era Lord
    Ciamberlano. E' pare essere costumanza di Corte che, assente la
    Regina, un Ciamberlano dormisse in un lettuccio nella camera del Re;
    e quella sera ciò toccava a Northumberland.  LXXV. Alle ore tre
    della mattina, martedì 11 dicembre, Giacomo levossi, prese in mano
    il Gran Sigillo, fece comandamento a Northumberland di non aprire
    l'uscio avanti l'ora consueta, e disparve per un andito secreto,
    probabilmente lo stesso pel quale Huddleston era stato introdotto al
    letto del moribondo Carlo. Sir Eduardo Hales stavasi ad aspettare
    con una carrozza d'affitto. Giacomo fu condotto a Millbank, dove
    traversò con un navicello il Tamigi. Presso Lambeth gettò nelle onde
    il Gran Sigillo, che molti mesi dopo venne per avventura tratto
    fuori da un pescatore che trovollo nella sua rete.
    
    Sbarcò a Wauxhall, dove era pronto un cocchio, e immediatamente
    prese la via di Sheerness, dove una barca della dogana aveva ordine
    di aspettare il suo arrivo(1227).
    
    
    CAPITOLO DECIMO.
    
    SOMMARIO.
    
    I. Si sparge la nuova della fuga di Giacomo; grande agitazione. -
    II. I Lordi si radunano in Guildhall - III. Tumulti in Londra. - IV.
    La casa dello Ambasciatore di Spagna è saccheggiata. - V. Arresto di
    Jeffreys. - VI. La Notte Irlandese - VII. Il Re è arrestato presso
    Sheerness. - VIII. I Lordi ordinano che sia posto in libertà. - IX.
    Imbarazzo di Guglielmo. - X. Arresto di Feversham; arrivo di Giacomo
    a Londra. - XI. Consulta tenuta in Windsor. - XII. Le truppe
    olandesi occupano Whitehall. - XIII. Messaggio del Principe a
    Giacomo. - XIV. Giacomo parte per Rochester. - XV. Arrivo di
    Guglielmo al Palazzo San Giacomo. - XVI. Lo consigliano ad assumere
    la Corona per diritto di conquista. - XVII. Egli convoca i Lordi e i
    Membri de' Parlamenti di Carlo II. - XVIII. Giacomo fugge da
    Rochester. - XIX. Discussioni e determinazioni de' Lordi. - XX.
    Discussioni e determinazioni de' Comuni convocati dal Principe. -
    XXI. Si convoca una Convenzione; sforzi del Principe per ristabilire
    l'ordine. - XXII. Sua politica tollerante. - XXIII. Satisfazione de'
    potentati cattolici romani; pubblica opinione in Francia. - XXIV.
    Accoglienze fatte alla Regina d'Inghilterra in Francia. - XXV.
    Arrivo di Giacomo a Saint-Germain. - XXVI. Pubblica opinione nelle
    Province Unite - XXVII. Elezione dei Membri della Convenzione. -
    XXVIII. Affari di Scozia. - XXIX. Partiti in Inghilterra. - XXX.
    Disegno di Sherlock - XXXI. Disegno di Sancroft. - XXXII. Disegno di
    Danby. - XXXIII. Disegno dei Whig. La Convenzione si aduna; membri
    principali della Camera dei Comuni. - XXXIV. Elezione del Presidente
    - XXXV. Discussione sopra le condizioni della nazione. - XXXVI.
    Deliberazione che dichiara vacante il trono. È spedita alla Camera
    dei Lordi; Discussione nella Camera dei Lordi intorno al disegno di
    nominare una reggenza. - XXXVII. Scisma tra i Whig e i seguaci di
    Danby. - XXXVIII. Adunanza in casa del Conte di Devonshire. - XXXIX.
    Discussione nella Camera de' Lordi intorno alla questione se il
    trono debba considerarsi come vacante. La maggioranza nega. - XL.
    Agitazione in Londra. - XLI. Lettera di Giacomo alla Convenzione. -
    XLII. Discussioni; Negoziati; Lettera del Principe d'Orange a Danby.
    - XLIII. La principessa Anna aderisce al disegno de' Whig. - XLIV.
    Guglielmo manifesta i proprii pensieri. - XLV. Conferenza delle due
    Camere. - XLVI. I Lordi cedono. - XLVII. Proposta di nuove Leggi per
    la sicurezza della Libertà. - XLVIII. Dispute e Concordia. - XLIX.
    La Dichiarazione dei Diritti. - L. Arrivo di Maria. - LI. Offerta ed
    accettazione della Corona. - LII. Guglielmo e Maria vengono
    proclamati. - LIII. Indole speciale della Rivoluzione inglese.
    
    
    I. Northumberland ubbidì fedelmente al comando, e non aprì l'uscio
    del regio appartamento se non a giorno chiaro. L'anticamera era
    piena di cortigiani venuti a complire il Re all'alzarsi da letto, e
    di Lordi chiamati a consiglio. La nuova della fuga di Giacomo in un
    istante volò dalla reggia alle strade, e tutta la metropoli ne
    rimase commossa.
    
    E' fu un terribile momento. Il Re se n'era andato; il Principe non
    ancora giunto; non era stata istituita una Reggenza; il Gran
    Sigillo, essenziale all'amministrazione della ordinaria giustizia,
    era scomparso. Presto si seppe che Feversham, ricevuta la lettera
    del Re, aveva subitamente disciolto lo esercito. Quale rispetto per
    le leggi e la proprietà potevano avere i soldati in armi e raccolti,
    senza il freno della disciplina militare, e privi delle cose
    necessaria alla vita? Dall'altro canto la plebe di Londra da
    parecchi giorni mostravasi fortemente inchinevole al tumulto ed alla
    rapina. La urgenza del caso congiunse per breve tempo tutti coloro
    ai quali importava la pubblica quiete. Rochester aveva fino a quel
    giorno fermamente aderito alla causa regia. Adesso conobbe non
    esservi che una sola via per evitare lo universale scompiglio.
    "Congregate le vostre guardie" disse egli a Northumberland, "e
    dichiaratevi pel Principe d'Orange." Northumberland seguì
    prontamente il consiglio. I precipui ufficiali dello esercito che
    allora trovavansi in Londra convennero a Whitehall, e deliberarono
    di sottoporsi alle autorità di Guglielmo, e finchè conoscessero la
    volontà di lui, tenere sotto disciplina i loro soldati, ed assistere
    la potestà civile onde mantenere l'ordine(1228).
    
    II. I Pari recaronsi a Guildhall, e dai magistrati della città vi
    furono ricevuti con tutti gli onori. A rigore di legge i Pari non
    avevano maggior diritto che ogni altra classe di persone ad assumere
    il potere esecutivo. Ma egli era alla pubblica salvezza necessario
    un governo provvisorio; e gli occhi di tutti naturalmente volgevansi
    ai magnati ereditari del Regno. La gravità del pericolo trasse
    Sancroft fuori dal suo palazzo. Occupò il seggio; e, lui presidente,
    il nuovo Arcivescovo di York, cinque Vescovi, e ventidue Lordi
    secolari, deliberarono di comporre, sottoscrivere e pubblicare un
    Manifesto. In questo documento dichiararono di aderire fermamente
    alla religione e alla costituzione del paese; aggiunsero che avevano
    vagheggiata la speranza di vedere raddrizzati i torti e ristabilita
    la pubblica quiete dal Parlamento pur allora convocato dal Re; ma
    tale speranza rimaneva distrutta dalla sua fuga. Per lo che avevano
    deliberato di congiungersi col Principe d'Orange onde rivendicare le
    patrie libertà, assicurare i diritti della Chiesa, accordare una
    giusta libertà di coscienza ai dissenzienti e rafforzare in tutto il
    mondo gl'interessi del protestantismo. Fino allo arrivo di Sua
    Altezza essi erano pronti ad assumere la responsabilità di prendere
    i provvedimenti necessari alla conservazione dell'ordine.
    Sull'istante fu spedita una deputazione a presentare il predetto
    Manifesto al Principe, ed annunziargli ch'egli era impazientemente
    aspettato a Londra(1229).
    
    I Lordi quindi si posero a pensare intorno ai modi di prevenire ogni
    tumulto. Fecero chiamare i due Segretari di Stato. Middleton ricusò
    di ubbidire a quella ch'egli considerava autorità usurpata: ma
    Preston, ancora attonito per la fuga del suo signore, e non sapendo
    che cosa aspettarsi, obbedì alla chiamata. Un messaggio fu mandato a
    Skelton Luogotenente della Torre, perchè si presentasse in
    Guildhall. Andatovi, gli fu detto non esservi più oltre mestieri de'
    suoi servigi, e però consegnasse immediatamente le chiavi. Gli fu
    sostituito Lord Lucas. Nel tempo stesso i Pari ordinarono che si
    scrivesse a Darthmouth ingiungendogli d'astenersi da ogni atto
    ostile contro la flotta olandese, e di licenziare tutti gli
    ufficiali papisti a lui sottoposti(1230).
    
    La parte che in cotesti procedimenti ebbero Sancroft ed altri che
    fino a quel giorno si erano mantenuti strettamente fedeli al
    principio della obbedienza passiva, è degna di speciale
    considerazione. Usurpare il comando delle forze militari e navali
    dello Stato, destituire gli ufficiali preposti dal Re al comando de'
    suoi castelli e navigli, e inibire allo ammiraglio di dare battaglia
    ai nemici di lui, erano niente meno che atti di ribellione. E
    nonostante vari Tory abili ed onesti, seguaci della scuola di
    Filmer, erano persuasi di poter fare tutte le sopra dette cose senza
    incorrere nella colpa di resistere al loro Sovrano. Il loro
    argomentare era per lo meno ingegnoso. Dicevano, il Governo essere
    ordinato da Dio, e la monarchia ereditaria eminentemente ordinata da
    Dio. Finchè il Re comanda ciò che è legittimo, noi siamo tenuti a
    prestargli obbedienza attiva; comandando ciò che è illegittimo,
    obbedienza passiva. Non vi è caso estremo che ne possa giustificare
    ad opporci a lui con la forza. Ma ove a lui piaccia di deporre il
    suo ufficio, egli perde ogni diritto sopra di noi. Finchè ci
    governa, quantunque ci governi male, siamo obbligati a chinare la
    fronte; ma ricusando egli di governarci in veruna maniera, non siamo
    tenuti a rimanere perpetuamente privi di governo. L'anarchia non è
    ordinamento di Dio; nè egli ci ascriverà a peccato se nel caso che
    un principe, il quale in onta a gravissime provocazioni non abbiamo
    cessato mai di onorare e obbedire, si parta senza che noi sappiamo
    dove, non lasciando un suo vicario, ci apprendiamo al solo partito
    che ci rimanga a impedire la dissoluzione della società. Se il
    nostro Sovrano fosse rimasto fra noi, noi saremmo pronti, per quanto
    poco egli meritasse il nostro affetto, a morire ai suoi piedi. Se,
    lasciandoci, avesse nominato una reggenza per governarci con
    autorità delegatale durante la sua assenza, noi ci saremmo rivolti a
    tale reggenza soltanto. Ma egli è scomparso senza lasciare nessun
    provvedimento per la conservazione dell'ordine o per
    l'amministrazione della giustizia. Con lui e col suo Gran Sigillo è
    sparita tutta la macchina per mezzo della quale si possa punire un
    assassino, decidere del diritto di proprietà, distribuire ai
    creditori i beni d'un fallito. Il suo ultimo atto è stato di
    sciogliere migliaia d'uomini armati dal freno della disciplina
    militare, e porli in condizioni o di saccheggiare o di morire di
    fame. Fra poche ore ciascun uomo s'armerà contro il suo prossimo. La
    vita, gli averi, l'onore delle donne saranno in balía di ogni uomo
    sfrenato. Noi adesso ci troviamo in quello stato di natura intorno
    al quale i filosofi hanno scritto cotanto; nel quale stato siamo
    posti non per colpa nostra, ma per volontario abbandono di colui che
    avrebbe dovuto essere nostro protettore. Il suo abbandono può
    dirittamente chiamarsi volontario: imperocchè nè la vita nè la
    libertà sue erano in periglio. I suoi nemici già avevano consentito
    ad aprire pratiche d'accordo sopra una base proposta da lui stesso,
    ed eransi offerti a sospendere immediatamente le ostilità a patti
    che egli non negava essere liberali. In tali circostanze egli ha
    disertato il suo posto. Noi non facciamo la minima ritrattazione;
    non siamo in cosa alcuna incoerenti. Ci manteniamo tuttavia fermi
    senza modificazione nelle nostre vecchie dottrine. Seguitiamo a
    credere che in qualunque caso è peccato resistere al magistrato; ma
    affermiamo che adesso non vi è verun magistrato cui resistere. Colui
    che era magistrato, dopo d'avere per lungo tempo fatto abuso della
    propria potestà, ha abdicato da sè. Lo abuso non ci dava diritto a
    deporlo: ma l'abdicazione ci dà diritto a provvedere al miglior modo
    di supplire al suo ufficio.
    
    III. Per cosiffatte ragioni il partito del Principe si accrebbe di
    molti che per l'innanzi s'erano tenuti in disparte. A memoria d'uomo
    non era mai stata, come in quella congiuntura, una quasi universale
    concordia fra gl'Inglesi; e mai quanto allora v'era stato sì grande
    bisogno di concordia. Non v'era più alcuna autorità legittima. Tutte
    le tristi passioni che il Governo ha debito d'infrenare, e che i
    migliori Governi imperfettamente infrenano, trovaronsi in un subito
    sciolte d'ogni ritegno; l'avarizia, la licenza, la vendetta, il
    vicendevole odio delle sètte, il vicendevole odio delle razze. In
    simiglianti casi avviene che le belve umane, le quali, abbandonate
    dai ministri dello Stato e della religione, barbare fra mezzo alla
    città, pagane fra mezzo al cristianesimo, brulicano tra ogni fisica
    e morale bruttura nelle cantine e nelle soffitte delle grandi città,
    acquistino a un tratto terribile importanza. Così fu di Londra. Allo
    avvicinarsi della notte - per avventura la più lunga notte dell'anno
    - eruppero da ogni spelonca di vizio, dalle taverne di Hockley e dal
    laberinto d'osterie e di bordelli nel quartiere di Friars, migliaia
    di ladroncelli e di ladroni, di borsaiuoli e di briganti. A costoro
    mescolaronsi migliaia d'oziosi giovani di bottega, i quali ardevano
    solo della libidine di tumultuare. Perfino uomini pacifici ed onesti
    erano spinti dall'animosità religiosa a congiungersi con la sfrenata
    plebaglia: imperocchè il grido di "Giù il Papismo," grido che aveva
    più volte messa a repentaglio la esistenza di Londra, era il segnale
    dell'oltraggio e della rapina. Primamente la canaglia gettossi sopra
    le case appartenenti al culto cattolico. Gli edifici furono
    atterrati. Banchi, pulpiti, confessionali, breviari furono
    accatastati ed arsi. Un gran monte di libri e di arredi era in
    fiamme presso il convento di Clerkenwell. Un'altra catasta bruciava
    innanzi le rovine del convento de' Francescani in Lincoln's Inn
    Fields. La cappella in Lime Street, la cappella in Bucklersbury,
    furono smantellate. Le dipinture, le immagini, i crocifissi vennero
    condotti trionfalmente per le vie al lume delle torce divelte dagli
    altari. La processione pareva una selva di spade e di bastoni, e in
    cima ad ogni spada e bastone era fitta una melarancia. La stamperia
    reale, donde nei precedenti tre anni erano usciti innumerevoli
    scritti in difesa della supremazia del Papa, del culto delle
    immagini, e de' voti monastici, per adoperare una grossolana
    metafora che allora per la prima volta cominciò ad usarsi, fu
    sventrata. La vasta provigione di carta, che in gran parte non era
    lordata dalla stampa, apprestò materia ad un immenso falò. Da'
    monasteri, dai templi, dai pubblici uffici la furibonda moltitudine
    si volse alle private abitazioni. Parecchie case furono saccheggiate
    e distrutte: ma la pochezza del bottino non appagando i
    saccheggiatori, tosto si sparse la voce che le cose più preziose de'
    papisti erano state poste al sicuro presso gli ambasciatori
    stranieri. Nulla importava alla selvaggia e stolta plebaglia il
    diritto delle genti e il rischio di provocare contro la patria la
    vendetta di tuttaquanta l'Europa. Le case degli ambasciatori furono
    assediate. Una gran folla si raccolse dinanzi la porta di Barillon
    in Saint James's Square. Ei nondimeno si condusse meglio di quel che
    si sarebbe creduto. Imperocchè, quantunque il Governo da lui
    rappresentato fosse tenuto in aborrimento, la liberalità sua nello
    spendere e la puntualità nel pagare lo avevano reso bene affetto al
    popolo. Inoltre egli aveva presa la precauzione di chiedere parecchi
    soldati a guardia della sua casa: e perchè vari uomini d'alto grado
    che abitavano vicino a lui, avevano fatto lo stesso, una forza
    considerevole si raccolse in quella piazza. La tumultuante plebe
    quindi, assicuratasi che sotto il tetto di Barillon non v'erano
    nascosti nè armi nè preti, cessò di molestarlo e ne andò via. Lo
    ambasciatore veneto fu protetto da una compagnia militare: ma le
    magioni dove abitavano i ministri dello Elettore Palatino e del
    Granduca di Toscana, furono distrutte. Una preziosa cassetta il
    Ministro Toscano riuscì a salvare dalle mani de' facinorosi. Vi si
    contenevano nove volumi di memorie scritte di mano propria da
    Giacomo. I quali volumi, pervenuti a salvamento in Francia, dopo lo
    spazio di cento e più anni, perirono fra le stragi d'una rivoluzione
    assai più formidabile di quella dalla quale erano scampati. Ma ne
    rimangono tuttavia alcuni frammenti, che, comunque gravemente mutili
    e incastrati in una farragine di fanciullesche finzioni, sono ben
    meritevoli d'attento studio.
    
    IV. Le ricche argenterie della Cappella Reale erano state depositate
    in Wild House presso Lincoln's Inn Fields, dove abitava Ronquillo
    ambasciatore di Spagna. Ronquillo, sapendo ch'egli e la sua Corte
    non avevano male meritato della nazione inglese, non aveva creduto
    necessario chiedere dei soldati: ma la marmaglia non era in umore da
    fare sottili distinzioni. Il nome di Spagna da lungo tempo
    richiamava alla mente degli Inglesi la idea della Inquisizione,
    dell'Armada, delle crudeltà di Maria, e delle congiure contro
    Elisabetta. Ronquillo dal canto suo s'era acquistato di molti nemici
    fra il popolo, giovandosi del suo privilegio per non pagare i suoi
    debiti. E però la sua casa fu saccheggiata senza misericordia; ed
    una pregevole biblioteca da lui raccolta rimase preda delle fiamme.
    Il solo conforto ch'egli ebbe in tanto disastro fu di potere salvare
    dalle mani degli aggressori l'ostia santa che era nella sua
    cappella(1231).  La mattina del dì 12 dicembre sorse in assai
    lugubre aspetto. La metropoli in molti luoghi presentava lo
    spettacolo d'una città presa d'assalto. I Lordi ragunaronsi in
    Whitehall e fecero ogni sforzo per ristabilire la quiete. Le milizie
    civiche furono chiamate alle armi. Un corpo di cavalleria fu tenuto
    pronto a disperdere i tumultuosi assembramenti. Ai governi stranieri
    fu pe' gravi insulti data quella soddisfazione che si potè maggiore
    in quel momento. Fu promesso un premio a chiunque scoprisse le robe
    rapite in Wild House; e Ronquillo al quale non era rimasto un solo
    letto o un'oncia d'argento, fu splendidamente alloggiato nel deserto
    palagio dei Re d'Inghilterra. Gli fu apprestata una sontuosa mensa;
    e gli ufficiali della Guardia Palatina ebbero ordine di stare nella
    sua anticamera come costumavasi fare col Sovrano. Tali segni di
    rispetto abbonirono il puntiglioso orgoglio della Corte Spagnuola, e
    tolsero ogni pericolo di rottura(1232).
    
    V. Ad ogni modo, non ostante i bene intesi sforzi del Governo
    Provvisorio, l'agitazione facevasi ognora più formidabile. La fu
    accresciuta da un caso che anche oggi dopo tanto tempo non può
    narrarsi senza provare il piacere della vendetta. Uno speculatore
    che abitava in Wapping, e trafficava prestando ai marini del luogo
    pecunia ad usura, aveva tempo innanzi prestato una somma, prendendo
    ipoteca sul carico d'una nave. Il debitore ricorse al tribunale
    detto d'Equità, per essere sciolto dalla sua obbligazione; e la
    causa fu portata dinanzi a Jeffreys. Lo avvocato del debitore avendo
    poche ragioni da allegare, disse che il prestatore era un
    barcamenante. Il Cancelliere, appena udito ciò, si accese di rabbia.
    "Un barcamenante! dove è egli? Ch'io lo veda. Ho sentito parlare di
    quella specie di mostro. A che si assomiglia egli?" Lo sventurato
    creditore fu costretto a comparire. Il Cancelliere gli rivolse
    ferocissimo lo sguardo, inveì contro lui, e cacciollo via mezzo
    morto dallo spavento. "Finchè avrò vita" disse il povero uomo
    uscendo barcollante dalla corte, "non dimenticherò mai quel
    terribile aspetto." Ma finalmente era per lui arrivato il giorno
    della vendetta. Il barcamenante passeggiava per Wapping, allorquando
    gli parve di conoscere il riso d'un uomo il quale faceva capolino
    dalla finestra d'una birreria. Non poteva ingannarsi. Aveva rasi i
    sopraccigli; vestiva l'abito di un marinajo di Newcastle ed era
    coperto di polve di carbone: ma il selvaggio occhio e la bocca di
    Jeffreys non erano tali da non riconoscersi. Fu dato l'allarme. In
    un istante la birreria fu circondata da centinaia di popolani che
    imprecando scuotevano i loro bastoni. Il fuggitivo Cancelliere ebbe
    salva la vita da una compagnia della milizia civica; e fu condotto
    dinanzi al Lord Gonfaloniere. Questi era uomo semplice, vissuto
    sempre nella oscurità, e adesso trovandosi attore importante in una
    grande rivoluzione, s'era sentito venire il capogiro. Gli
    avvenimenti delle ventiquattro ore decorse, e lo stato pericoloso
    della Città alle sue cure affidata, lo avevano perturbato di mente e
    di corpo. Allorchè il grande uomo, al cui cipiglio, pochi giorni
    avanti, aveva tremato l'intero Regno, fu tratto al tribunale,
    bruttato di ceneri, mezzo morto di spavento e seguito da una
    rabbiosa moltitudine, si accrebbe oltre ogni credere l'agitazione
    del male arrivato Gonfaloniere. Convulso e fuori di sè fu
    trasportato a letto, donde non sorse più. Intanto la folla di fuori
    cresceva sempre, e orribilmente tempestava. Jeffreys pregò d'essere
    menato in prigione. Si ottenne a tale effetto un ordine de' Lordi
    che sedevano in Whitehall; ed ei fu condotto in una carrozza alla
    Torre. Procedeva scortato da due reggimenti della milizia civica, i
    quali non senza difficoltà potevano frenare il popolo. Più volte si
    videro nella necessità di ordinarsi come se avessero a sostenere un
    assalto di cavalleria, e di presentare una selva di picche alla
    irrompente plebe. La quale vedendo rapirsi la vendetta teneva dietro
    al cocchio con urli di rabbia fino alla porta della Torre, brandendo
    bastoni e scuotendo capestri agli occhi del prigioniero. Lo
    sciagurato intanto tremava di spavento; arrostava le mani,
    affacciavasi con occhi stralunati ora a questo ora a quello degli
    sportelli, e fra il tumulto si udiva gridare: "Teneteli lontani, o
    signori! Per l'amore di Dio, teneteli lontani!" Infine dopo aver
    provate amarezze maggiori di quelle della morte, fu in sicurtà
    alloggiato nella fortezza, dove alcune delle sue più illustri
    vittime avevano passati gli estremi giorni della loro vita, e dove
    egli fu destinato a finire la sua con inenarrabile ignominia ed
    orrore(1233).
    
    In tutto questo tempo si cercarono diligentemente i preti cattolici
    romani. Molti vennero arrestati. Due Vescovi, cioè Ellis e Leyburn,
    furono mandati a Newgate. Il Nunzio che aveva poca ragione a sperare
    che la moltitudine rispettasse il suo carattere sacerdotale e
    politico, fuggì travestito da servitore fra la gente del Ministro di
    Savoja(1234).
    
    VI. Un altro giorno di agitazione e di terrore si chiuse, e fu
    seguito dalla più strana e terribile notte che fosse mai stata in
    Inghilterra. Sul far della sera la plebaglia aggredì una magnifica
    casa pochi mesi avanti edificata per Lord Powis, la quale nel regno
    di Giorgio II era residenza del Duca di Newcastle, e che si vede
    anche oggi all'angolo tra ponente e tramontana di Lincoln's Inn
    Fields. Vi furono mandati alcuni soldati: la plebaglia fu dispersa,
    la quiete sembrava ristabilita, e i cittadini se ne tornavano in
    pace alle proprie case, quando sorse un bisbiglio che in un momento
    divenne tremendo clamore, ed in un'ora da Piccadilly giunse a
    Whitechapel e si sparse per tutta la metropoli. Dicevasi che
    gl'Irlandesi lasciati senza freno da Feversham marciavano alla volta
    di Londra facendo strage d'ogni uomo, donna e fanciullo che
    incontrassero per via. All'una ora della mattina i tamburi della
    milizia civica suonavano all'arme. In ogni dove le donne atterrite
    piangevano ed arrostavano le mani, mentre i padri e i mariti loro
    armavansi per uscire a combattere. Prima delle ore due la metropoli
    presentava un aspetto sì bellicoso che avrebbe potuto atterrire
    un'armata regolare. A tutte le finestre vedevansi i lumi. I luoghi
    pubblici risplendevano come se fosse pieno giorno. Le grandi vie
    erano asserragliate. Venti e più mila picche ed archibugi
    fiancheggiavano le strade. L'ultima alba del solstizio d'inverno
    trovò tutta la città ancora in armi. Pel corso di molti anni i
    Londrini serbarono viva ricordanza di quella ch'essi chiamavano la
    Notte Irlandese. Come si seppe non esservi nessuna cagione di
    timore, il Governo cercò studiosamente d'indagare l'origine della
    ciarla che aveva fatto nascere cotanta agitazione. Sembra che
    taluni, che avevano sembianze e vesti di contadini pur allora giunti
    dalla campagna, spargessero poco prima di mezza notte la nuova ne'
    suburbi: ma donde venissero e chi li movesse, rimase sempre un
    mistero. Poco dopo da molti luoghi arrivarono notizie che accrebbero
    maggiormente la universale perplessità. Il timore panico non aveva
    invaso la sola Londra. La voce che i soldati irlandesi disciolti
    venivano a fare scempio de' Protestanti era stata sparsa, con
    maligna destrezza, in molti luoghi l'uno a lunga distanza
    dall'altro. Gran numero di lettere, con molta arte scritte a fine di
    spaventare lo ignorante popolo, erano state spedite per le
    diligenze, i vagoni, e la posta a varie parti della Inghilterra.
    Tutte queste lettere giunsero a' loro indirizzi quasi nel medesimo
    tempo. In cento città a un'ora la plebe credè che si appressassero i
    barbari in armi con lo intendimento di commettere scelleratezze
    simili a quelle che avevano infamata la ribellione d'Ulster. A
    nessuno de' Protestanti si sarebbe usata misericordia. I figliuoli
    sarebbero stati costretti per mezzo della tortura a trucidare i loro
    genitori. I bambini sarebbero confitti alle picche o gettati fra le
    fiammeggianti rovine di quelle che pur dianzi erano felici
    abitazioni. Grandi turbe di popolo si raccolsero armate; in taluni
    luoghi cominciarono a distruggere i ponti ed asserragliare le vie:
    ma il concitamento presto calmossi. In molti distretti coloro che
    erano stati vittime di tanto inganno udirono con piacere misto di
    vergogna non esservi un solo soldato papista che non fosse lontano
    sei o sette giorni di marcia. Veramente in qualche luogo accadde che
    alcuna banda dispersa d'Irlandesi si mostrasse e dimandasse pane; ma
    non può loro attribuirsi a delitto se non si contentassero di morire
    di fame; e non v'è prova che commettessero alcun grave oltraggio.
    Certo erano meno numerosi di quel che supponevasi comunemente; e
    trovavansi scorati, vedendosi a un tratto privi di capitani e di
    vettovaglie framezzo a una potente popolazione, dalla quale erano
    considerati come un branco di lupi. Fra tutti i sudditi di Giacomo
    nessuno aveva più ragione ad esecrarlo che questi sciagurati membri
    della sua Chiesa e difensori del suo trono(1235).
    
    È cosa onorevole al carattere degl'Inglesi, che non ostante la
    generale avversione contro la religione cattolica romana e la razza
    irlandese, non ostante l'anarchia che nacque alla fuga di Giacomo,
    non ostante le subdole macchinazioni adoperate a inferocire la
    plebe, non fu commesso in quella congiuntura nessuno atroce delitto.
    Molte facultà, a dir vero, furono distrutte e rapite; le case di
    molti gentiluomini cattolici romani aggredite; giardini devastati;
    cervi uccisi e portati via. Alcuni venerandi avanzi della nostra
    architettura del medio evo serbano tuttora i segni della violenza
    popolare. In molti luoghi lo andare e venire liberamente per le
    strade era impedito da una polizia creatasi da sè, la quale fermava
    ogni viandante onde sincerarsi con prove se fosse papista. Il Tamigi
    era infestato da una torma di pirati, che sotto pretesto di cercare
    armi o delinquenti, mettevano sossopra ogni barca che passava;
    insultati e maltrattati gli uomini impopolari. Molti che tali non
    erano, reputaronsi fortunati di potere riscattare le persone e la
    roba loro donando alcune ghinee ai fanatici Protestanti, i quali
    senza autorità legittima s'erano fatti inquisitori. Ma in tutta
    cotesta confusione che durò vari giorni e si estese a molte Contee,
    nessuno de' Cattolici Romani perdè la vita. La plebaglia non mostrò
    brama di sangue, tranne nel caso di Jeffreys; e l'odio di che s'era
    reso segno costui poteva piuttosto chiamarsi umanità che
    crudeltà(1236).
    
    Molti anni dipoi Ugo Speke affermò che la Notte Irlandese era opera
    sua, ch'egli aveva istigati i villani che posero in concitazione
    Londra, e che egli era lo autore delle lettere le quali avevano
    sparso lo spavento in tutta l'isola. La sua asserzione non è
    intrinsecamente improbabile: ma non ha altra prova tranne le parole
    di lui. Egli era uomo bene capace di commettere tanta scelleraggine,
    e anche capace di vantarsi falsamente d'averla commessa(1237).
    
    Guglielmo era impazientemente aspettato a Londra, poichè nessuno
    dubitava che egli con la energia e abilità sue ristabilisse tosto
    l'ordine e la sicurezza pubblica. Nondimeno vi fu qualche indugio,
    del quale il Principe non può giustamente biasimarsi. La sua
    primitiva intenzione era stata di recarsi da Hungerford ad Oxford,
    dove, secondo che lo avevano assicurato, avrebbe avuto onorevoli e
    affettuose accoglienze: ma lo arrivo della deputazione partita da
    Guildhall lo indusse a cangiare pensiero e correre speditamente alla
    metropoli. Per via seppe che Feversham, obbedendo ai comandamenti
    del Re, aveva disciolto lo esercito, e che migliaia di soldati senza
    freno, e privi delle cose necessarie alla vita, erano sparse per le
    Contee le quali attraversa la via che mena a Londra. Gli era quindi
    impossibile di viaggiare con poco seguito senza grave pericolo non
    solo per la sua propria persona, di cui non aveva costume d'essere
    molto sollecito, ma anche pei grandi interessi a lui affidati. Era
    mestieri che egli si movesse a seconda del muoversi delle sue
    milizie, le quali in quei tempi non potevano procedere se non
    lentamente a mezzo il verno per gli stradali della Inghilterra. In
    cosiffatte circostanze egli perdè alquanto il suo ordinario
    contegno. "Con me non si deve trattare a questo modo" esclamò egli
    con acrimonia, "e Milord Feversham se ne avvedrà bene." Furono presi
    pronti e savi provvedimenti per rimediare ai mali cagionati da
    Giacomo. A Churchill e Grafton fu dato lo incarico di raggranellare
    la dispersa soldatesca e riordinarla. I soldati inglesi vennero
    invitati a rientrare nello esercito. Agli irlandesi fu fatto
    comandamento di rendere le armi sotto pena di essere trattati come
    banditi, ma fu loro assicurato che, obbedendo con pace, verrebbero
    provveduti del necessario(1238).
    
    Gli ordini del Principe furono quasi senza ostacolo mandati ad
    esecuzione, tranne la resistenza che fecero i soldati irlandesi che
    presidiavano Tilbury. Uno di costoro appuntò una pistola contro
    Grafton; l'arme non prese fuoco, e lo assassino in sull'istante fu
    steso morto da un Inglese. Circa due cento di cotesti sciagurati
    stranieri coraggiosamente tentarono di ritornare alla loro patria.
    Impossessaronsi di un bastimento grave di un ricco carico che pur
    allora dalle Indie era arrivato al Tamigi, e provaronsi di avere a
    forza piloti a Gravesend. Ma non ne potendo trovare alcuno, furono
    costretti a confidare in quel poco che essi medesimi sapevano d'arte
    nautica. Il legno poco dopo investì contro la spiaggia, e a quei
    miseri dopo qualche spargimento di sangue fu forza porre giù le
    armi(1239).
    
    Erano già corse cinque settimane da che Guglielmo era in
    Inghilterra, duranti le quali gli aveva arriso la fortuna. Egli
    aveva fatto bella mostra di prudenza e fermezza, e nondimeno gli
    avevano meno giovato queste virtù sue che l'altrui insania e
    pusillanimità.
    
    Ed ora che ei sembrava vicino a conseguire il fine della sua
    intrapresa, sopraggiunse a sconcertargli i disegni uno di quegli
    strani accidenti che così spesso confondono i più studiati
    divisamenti della politica.
    
    VII. La mattina del dì 13 dicembre, il popolo di Londra, non per
    anco riavutosi dall'agitazione della Notte Irlandese, rimase
    attonito alla nuova che il Re era stato fermato ed era sempre
    nell'isola. La nuova prese consistenza per tutto il giorno, e avanti
    sera fu pienamente confermata.
    
    Giacomo aveva viaggiato mutando cavalli lungo la riva meridionale
    del Tamigi, e la mattina del dì 12 era giunto ad Emley Ferry presso
    l'isola di Sheppey, dove aspettavalo la nave sopra la quale ei
    doveva imbarcarsi. Vi montò sopra; ma il vento spirava forte, e il
    padrone non volle rischiarsi a mettere alla vela senza maggior
    quantità di zavorra. In tal guisa una marea andò perduta. Era quasi
    a mezzo il suo corso la notte allorquando la nave cominciò a
    muoversi. In que' giorni la nuova che il Re era scomparso, che il
    paese era senza governo, e Londra tutta sossopra, erasi sparsa lungo
    il Tamigi, e ne' luoghi dove era giunta aveva fatto nascere violenza
    e disordine. I rozzi pescatori della spiaggia di Kent adocchiarono
    con sospetto e cupidigia la nave. Corse voce che alcuni individui
    vestiti da gentiluomini erano frettolosamente andati in sul bordo.
    Forse erano Gesuiti: forse erano ricchi. Cinquanta o sessanta
    barcaiuoli, spinti a un tempo dall'odio contro il papismo e dalla
    avidità di predare, circondarono la nave quando ella era in sul
    punto di far vela. Fu detto ai passeggieri che bisognava andare a
    terra per essere esaminati da un magistrato. La figura del Re
    suscitò de' sospetti. "Gli è padre Petre" gridò uno di que' ribaldi
    "lo conosco alle sue scarne ganasce." - "Fruga cotesto vecchio
    gesuita, cotesto viso da galera" urlarono tutti ad una voce. Ei
    tosto fu segno alle ruvide spinte di coloro che lo circondavano. Gli
    tolsero i danari e l'oriuolo. Egli aveva addosso l'anello della
    incoronazione ed altre gioie di gran valore, che sfuggirono alle
    ricerche di que' ladri, i quali erano così ignoranti in materia di
    gioie che presero per pezzi di vetro i diamanti delle fibbie del Re.
    
    In fine i prigioni furono messi a terra e condotti ad una locanda.
    Quivi a vederli erasi affollata molta gente; e Giacomo, quantunque
    fosse sfigurato da una parrucca di forma e colore diversa da quella
    ch'egli era uso a portare, fu a un tratto riconosciuto. Per un
    istante la plebaglia parve compresa di terrore; ma i capi
    esortandola la rianimarono; e la vista di Hales, che tutti ben
    conoscevano e forte odiavano, infiammò il loro furore. Il suo parco
    era in quelle vicinanze, e in quel momento stesso una banda di
    facinorosi saccheggiavano la casa e davano la caccia ai cervi di
    lui. La folla assicurò il Re, che non aveva intenzione di fargli
    alcun male, ma ricusò di lasciarlo partire. Avvenne che il Conte di
    Winchelsea protestante ma fervido realista, capo della famiglia
    Finch e prossimo parente di Nottingham, si trovasse in Canterbury.
    Appena seppe lo accaduto corse in fretta alla costa accompagnato da
    alcuni gentiluomini di Kent. Per mezzo loro il Re fu condotto a un
    luogo più convenevole: ma rimaneva tuttavia prigioniero. La folla
    non cessava di vigilare attorno alla casa dove era stato condotto; e
    alcuni dei capi stavansi a guardia dinanzi l'uscio della sua camera.
    Il suo contegno infrattanto era quello di un uomo snervato di mente
    e di corpo sotto il peso delle proprie sciagure. Talvolta parlava
    con tanta alterigia che i villani, i quali lo guardavano, sentivansi
    provocati ad insolenti risposte. Poi piegavasi a supplicare.
    "Lasciatemene andare" diceva egli "procuratemi una barca. Il
    Principe d'Orange mi fa la caccia per togliermi la vita. Se non mi
    lascerete fuggire, e' sarà troppo tardi. Il mio sangue ricadrà sulle
    vostre teste. Colui che non è con me, è contro me." Togliendo
    occasione da queste parole del Vangelo predicò per mezz'ora. Favellò
    stranamente sopra moltissime cose, sopra la disobbedienza de'
    Convittori del Collegio della Maddalena, i miracoli del Pozzo di San
    Venifredo, la slealtà de' preti, la virtù d'un frammento del vero
    legno della Santa Croce ch'egli aveva sventuratamente perduto. "E
    che ho mai fatto?" chiese agli scudieri di Kent che gli stavano
    attorno. "Ditemi il vero: qual fallo ho io mai commesso?" Coloro, ai
    quali egli faceva queste domande, furono tanto umani da non dargli
    le risposte che meritava, e stavansi con compassionevole silenzio ad
    ascoltare quell'insano cicaleccio(1240).
    
    Quando pervenne alla metropoli la nuova ch'egli era stato fermato,
    insultato, manomesso e spogliato, e che tuttavia rimaneva nelle mani
    di que' brutali ribaldi, ridestaronsi molte passioni. I rigidi
    Anglicani, i quali poche ore innanzi avevano cominciato a credersi
    liberi dal debito di fedeltà verso lui, adesso scrupoleggiavano.
    Egli non aveva abbandonato il reame, nè abdicato. Ove egli
    ripigliasse la regia dignità, potrebbero essi, secondo i principii
    loro, ricusare di prestargli obbedienza? I veggenti uomini di stato
    prevedevano con rammarico che tutte le contese che per un momento la
    sua fuga aveva abbonacciate, tornando egli, tornerebbero a rinascere
    assai più virulente. Alcuni del popolo basso, comechè animati dal
    sentimento de' recenti torti, sentivano pietà d'un gran Principe
    oltraggiato da gente ribalda, e inchinavano a sperare - speranza più
    onorevole alla indole che al discernimento loro - che anche adesso
    egli si sarebbe potuto pentire delle colpe che gli avevano attirato
    sul capo un così tremendo castigo.
    
    Dal momento in che si seppe il Re essere tuttavia in Inghilterra,
    Sancroft che fino allora era stato capo del Governo Provvisorio, si
    assentò dalle sedute de' Pari. Sul seggio presidenziale fu posto
    Halifax, il quale era allora ritornato dal quartiere generale degli
    Olandesi. In poche ore l'animo suo era grandemente mutato. Adesso il
    senso del bene pubblico e privato lo spingeva a collegarsi coi Whig.
    Ove candidamente si ponderino le prove fino a noi pervenute, è forza
    credere ch'egli accettasse l'ufficio di Commissario Regio con la
    sincera speranza di effettuare tra il Re e il Principe un
    accomodamento a convenevoli patti. Le pratiche d'accordo erano
    incominciate prosperamente: il Principe aveva offerto patti che il
    Re stesso giudicò convenevoli: il facondo e ingegnoso barcamenante
    lusingavasi di rendersi mediatore fra le inferocite fazioni, dettare
    un trattato d'accordo fra le opinioni esagerate ed avverse,
    assicurare le libertà e la religione della patria senza esporla ai
    pericoli inseparabili da un mutamento di dinastia e da una
    successione contrastata. Mentre compiacevasi di un pensiero così
    consentaneo alla indole sua, seppe d'essere stato ingannato, e
    adoperato come strumento a ingannare la nazione. La sua commissione
    ad Hungerford era stata quella d'uno stolto. Il Re non aveva mai
    avuto intendimento di osservare le condizioni ch'egli aveva ai
    Commissari ordinato di proporre. Aveva loro ordinato di dichiarare
    ch'egli voleva sottoporre tutte le questioni controverse al
    Parlamento da lui convocato; e mentre essi eseguivano il suo
    messaggio, aveva bruciati i decreti di convocazione, fatto sparire
    il Sigillo, sbandato lo esercito, sospesa l'amministrazione della
    giustizia, disciolto il Governo, e se n'era fuggito dalla metropoli.
    Halifax s'accorse oramai non essere più possibile comporre
    amichevolmente le cose. È anche da sospettarsi ch'egli provasse
    quella molestia che è naturale ad un uomo che, godendo grande
    riputazione di saviezza, si trovi ingannato da una intelligenza
    immensurabilmente inferiore alla sua propria, e quella molestia che
    è naturale a chi, essendo espertissimo nell'arte del dileggio, si
    trovi posto in una situazione ridicola. Dalla riflessione e dal
    risentimento fu indotto ad abbandonare ogni pensiero di
    conciliazione alla quale egli aveva fino allora sempre mirato, e a
    farsi capo di coloro che volevano porre Guglielmo sul trono(1241).
    
    Esiste ancora un Diario dove Halifax scrisse di propria mano tutto
    ciò che seguì nel Consiglio da lui preseduto(1242). Non fu
    trascurata precauzione alcuna creduta necessaria a prevenire gli
    oltraggi e i ladronecci. I Pari si assunsero la responsabilità di
    ordinare ai soldati, che, ove la plebaglia tumultuasse di nuovo, le
    facessero fuoco contro. Jeffreys fu condotto a Whitehall e
    interrogato affinchè rivelasse ciò che era divenuto del Gran Sigillo
    e dei decreti di convocazione. E pregando egli ardentemente, fu
    rimandato alla Torre come unico luogo dove potesse avere salva la
    vita. Si ritirò ringraziando e benedicendo coloro che gli avevano
    conceduta la protezione del carcere. Un Nobile Whig propose di porre
    in libertà Oates; ma la proposta venne respinta(1243).
    
    Le faccende del giorno erano quasi sbrigate, e Halifax stava per
    alzarsi dal seggio, quando gli fu annunziato essere giunto un
    messaggiero da Sheerness. Non v'era cosa che potesse produrre più
    perplessità o molestia. Fare o non far nulla importava incorrere in
    grave responsabilità. Halifax, desiderando probabilmente acquistar
    tempo per comunicare col Principe, avrebbe voluto differire la
    sessione; ma Mulgrave pregò i Lordi a rimanere, e fece entrare il
    messaggiero. Questi raccontò con molte lacrime il successo, consegnò
    una lettera scritta di mano propria dal Re, la quale non era diretta
    a nessuno, ma invocava lo aiuto di tutti i buoni Inglesi(1244).
    
    VIII. Non era possibile porre in non cale un simigliante appello. I
    Lordi ordinarono a Feversham corresse con una compagnia di Guardie
    del Corpo al luogo dove il Re era arrestato e gli desse libertà.
    
    Già Middleton ed altri pochi aderenti di Giacomo s'erano partiti per
    soccorrere il loro sventurato signore. Lo trovarono tenuto in
    istretta prigionia, sì che non fu loro concesso di essere introdotti
    al cospetto di lui senza aver prima consegnate le spade. Il concorso
    del popolo era immenso. Taluni gentiluomini Whig di quelle vicinanze
    avevano condotto un numeroso corpo di milizie civiche per guardarlo.
    Avevano erroneamente pensato che ritenendolo prigioniero si
    acquisterebbero la grazia de' suoi nemici, e rimasero grandemente
    conturbati allorchè seppero che il Governo Provvisorio di Londra
    aveva disapprovato il modo onde il Re era stato trattato, e che era
    presso a giungere una squadra di cavalleria per liberarlo. Difatti
    Feversham non indugiò ad arrivare. Aveva lasciate le sue truppe in
    Sittingbourne; ma non vi fu mestieri adoperare la forza. Il Re fu
    lasciato partire senza ostacolo, e venne da' suoi amici condotto a
    Rochester, dove prese un poco di riposo di cui aveva sommo bisogno.
    Era in istato da fare pietà. Non solo aveva onninamente perturbato
    lo intendimento, che per altro non era stato mai lucidissimo, ma
    quel coraggio, ch'egli da giovane aveva mostrato in varie battaglie
    di mare e di terra, lo aveva abbandonato. E' pare che le ruvide
    fatiche corporali da lui adesso per la prima volta sostenute, lo
    prostrassero più che ogni altro evento della travagliata sua vita.
    La diserzione del suo esercito, de' suoi bene affetti, della sua
    famiglia, lo toccava meno delle indegnità patite quando ei venne
    arrestato in su la nave. La ricordanza di tali indegnità seguitò
    lungo tempo a invelenirgli il cuore, e una volta fece cose da
    muovere a scherno tutta la Europa. Nel quarto anno del suo esilio
    tentò di sedurre i propri sudditi offrendo loro un'amnistia. Vi si
    conteneva una lunga lista d'eccezioni, e in essa i poveri pescatori
    che gli avevano sgarbatamente frugate le tasche erano notati accanto
    ai nomi di Churchill e di Danby. Da ciò possiamo giudicare quanto
    amaramente ei sentisse l'oltraggio pur dianzi sofferto(1245). 
    Nulladimeno, ove egli avesse avuto un poco di buon senso, si sarebbe
    accorto che coloro i quali lo avevano arrestato, gli avevano, senza
    saperlo, reso un gran servigio. Gli eventi successi dopo la sua
    assenza dalla metropoli lo avrebbero dovuto convincere che, qualora
    gli fosse riuscito fuggire, non sarebbe più mai ritornato. A suo
    dispetto era stato salvato dal precipizio. Gli rimaneva un'altra
    sola speranza. Per quanto gravi fossero i suoi delitti,
    detronizzarlo mentre ei rimaneva nel Regno e mostravasi pronto ad
    assentire ai patti che gl'imporrebbe un libero Parlamento, sarebbe
    stato pressochè impossibile.
    
    Per breve tempo egli parve propenso a rimanere. Spedì Feversham da
    Rochester con una lettera a Guglielmo. La sostanza della quale era
    che Sua Maestà già s'era messo in cammino per ritornare a Whitehall,
    che desiderava avere un colloquio col Principe, e che il palazzo di
    San Giacomo sarebbe apparecchiato per Sua Altezza(1246).
    
    IX. Guglielmo era in Windsor. Aveva con profondo rincrescimento
    saputi i fatti successi nella costa di Kent. Poco avanti che gliene
    giungesse la nuova, coloro che gli stavano da presso avevano notato
    ch'egli era d'insolito buon umore. Ed aveva ragione di star lieto.
    Vedevasi dinanzi lo sguardo un trono vacante; parea che tutti i
    partiti a una voce lo invitassero a salirvi. In un baleno la scena
    cangiossi: l'abdicazione non era consumata; molti de' suoi stessi
    fautori avrebbero scrupoleggiato a deporre un Re che rimanesse fra
    loro, gl'invitasse ad esporre le loro doglianze in modo
    parlamentare, e promettesse piena giustizia. Era uopo che il
    Principe esaminasse le nuove condizioni in cui si trovava, e si
    appigliasse a nuovo partito. Non vedeva alcuna via alla quale non si
    potesse nulla obbiettare, nessuna via che lo ponesse in una
    situazione vantaggiosa al pari di quella dove egli era poche ore
    innanzi. Nondimeno qualche cosa poteva farsi. Il primo tentativo
    fatto dal Re per fuggire non era riuscito: era sommamente da
    desiderarsi ch'egli si ponesse di nuovo alla prova con migliore
    successo. Bisognava impaurirlo e sedurlo. La liberalità usatagli
    nelle pratiche d'accordo fatte in Hungerford, liberalità alla quale
    egli aveva risposto rompendo la fede, adesso sarebbe intempestiva.
    Bisognava non proporgli patti nessuni d'accomodamento; e
    proponendone egli, rispondergli con freddezza; non usargli violenza,
    e neanche minacce; e nondimeno non era impossibile, anco senza
    siffatti mezzi, rendere un uomo cotanto pusillanime, inquieto della
    propria salvezza. E allora, posto di nuovo l'animo nel solo pensiero
    della fuga, era d'uopo facilitargliela, e procurare che qualche
    zelante stoltamente non lo arrestasse una seconda volta.
    
    X. Tale era il concetto di Guglielmo: e la destrezza e fermezza con
    che lo mandò ad esecuzione offre uno strano contrasto con la demenza
    e codardia dell'uomo con cui egli aveva da fare. Tosto gli si
    presentò il destro d'iniziare un sistema d'intimidazione. Feversham
    giunse a Windsor portatore della lettera di Giacomo. Il messaggiero
    non era stato giudiciosamente scelto. Egli era quel desso che aveva
    disciolto lo esercito regio. A lui principalmente imputavano la
    confusione e il terrore della Notte Irlandese. Il pubblico ad alta
    voce lo biasimava. Guglielmo, provocato, aveva profferito poche
    parole di minaccia; e poche parole di minaccia uscite dalle labbra
    di Guglielmo sempre significavano qualcosa. A Feversham fu detto
    mostrasse il salvocondotto. Non ne aveva. Venendo senza esso
    framezzo a un campo ostile, secondo le leggi della guerra, s'era
    reso meritevol d'essere trattato con estrema severità. Guglielmo non
    volle vederlo, e comandò che venisse arrestato(1247). Zulestein fu
    tostamente spedito a riferire a Giacomo che Guglielmo non consentiva
    il proposto colloquio, e desiderava che la Maestà Sua rimanesse in
    Rochester.
    
    Ma non era più tempo. Giacomo era già in Londra. Aveva esitato circa
    al viaggio, e una volta si era nuovamente provato a fuggire
    dall'isola. Ma infine cedè alle esortazioni degli amici ch'erano più
    savi di lui, e partì alla volta di Whitehall. Vi arrivò il
    pomeriggio di domenica, 16 dicembre. Temeva che la plebe, la quale
    nella sua assenza aveva dato tanti segni della avversione che
    sentiva contro il Papismo, gli facesse qualche affronto. Ma la
    stessa violenza dell'ira popolare erasi calmata; la tempesta
    abbonacciata. Gaiezza e compassione avevano succeduto al furore.
    Nessuno mostravasi inchinevole a insultare il Re; qualche
    acclamazione fu udita mentre il suo cocchio traversava la Città. Le
    campane di alcune chiese suonarono a festa; furono accesi pochi
    fuochi di gioia a onorare il suo ritorno(1248). La sua debole mente
    pur dianzi oppressa dallo scoraggiamento dette in istravaganze a
    cotesti inattesi segni di bontà e compassione mostrati dal popolo.
    Giacomo entrò rinfrancato nel proprio palazzo, il quale subitamente
    riprese il suo antico aspetto. I preti cattolici romani, che ne'
    decorsi giorni s'erano frettolosamente nascosti ne' sotterranei e
    nelle soffitte per scansare il furore della plebe, uscirono dai loro
    luridi nascondigli chiedendo i loro antichi appartamenti in palazzo.
    Un Gesuita recitava il rendimento di grazie alla mensa del Re. Il
    vernacolo irlandese, allora il più odioso di tutti i suoni alle
    orecchie inglesi, udivasi per tutti i cortili e le sale. Il Re
    stesso aveva ripresa la sua vecchia alterigia. Tenne un Consiglio -
    l'ultimo de' suoi Consigli - ed anche negli estremi cui era ridotto
    convocò individui privi de' requisiti legali ad intervenirvi. Si
    mostrò gravemente indignato contro quei Lordi, che nella sua assenza
    avevano osato assumere il governo dello Stato. Era loro dovere
    lasciare che la società si dissolvesse, le case degli Ambasciatori
    venissero distrutte, Londra arsa, più presto che assumere le
    funzioni ch'egli aveva creduto giusto abbandonare. Fra coloro che ei
    così gravemente riprendeva, erano alcuni Nobili e Prelati, i quali a
    dispetto di tutti i suoi errori gli erano rimasti costantemente
    fedeli, e anche dopo questa altra provocazione non seppero, per
    timore o speranza, indursi a prestare obbedienza ad altro
    sovrano(1249).  Ma tale coraggio presto gli venne meno. Era
    egli appena entrato in palazzo allorquando gli fu detto che
    Zulestein era pur giunto messaggiero del Principe. Zulestein espose
    la fredda e severa ambasciata di Guglielmo. Il Re insisteva per
    avere un colloquio col nepote. "Non mi sarei partito da Rochester"
    disse egli "se avessi saputo tale essere il suo volere: ma da che
    qui mi ritrovo, spero ch'ei voglia venire al palazzo di San
    Giacomo." - "Debbo dire chiaramente alla Maestà Vostra" rispose
    Zulestein "che Sua Altezza non verrà a Londra finchè vi rimarranno
    soldati che non siano sotto gli ordini suoi." Il Re confuso a
    siffatta risposta, ammutolì. Zulestein andonne via; e tosto entrò in
    camera un gentiluomo recando la nuova dello arresto di
    Feversham(1250). Giacomo ne rimase grandemente conturbato. Pure la
    rimembranza de' plausi con che era pur dianzi stato accolto, gli
    confortava l'animo. Gli sorse in cuore una stolta speranza. Pensò
    che Londra, la quale da tanto tempo era stata il baluardo della
    religione protestante e delle opinioni Whig, fosse pronta a prendere
    le armi in difesa di lui. Mandò a chiedere al Municipio, se
    s'impegnerebbe a difenderlo contro il Principe, qualora Giacomo si
    recasse ad abitare nella Città. Ma il Municipio, che non aveva posto
    in oblio la confisca de' suoi privilegi e lo assassinio giuridico di
    Cornish, ricusò di dare la promessa richiesta. Allora il Re si sentì
    nuovamente scorato. In qual luogo, diceva egli, troverebbe
    protezione? Valeva lo stesso essere circondato dalle truppe olandesi
    che dalle sue Guardie del Corpo. Quanto ai cittadini, adesso egli
    comprese quanto valessero i plausi e le luminarie. Altro partito non
    gli rimaneva che fuggire; e nondimeno vedeva bene che nessuna cosa
    potevano tanto desiderare i suoi nemici, quanto la sua fuga(1251).
    
    XI. Mentre egli siffattamente trepidava, in Windsor deliberavasi
    intorno al suo fato. Adesso la corte di Guglielmo era
    strabocchevolmente affollata di uomini illustri di tutti i partiti.
    V'erano giunti la più parte de' capi della insurrezione delle
    contrade settentrionali. Vari Lordi, i quali nell'anarchia de'
    giorni precedenti si erano costituiti da sè in Governo provvisorio,
    appena ritornato il Re, lasciata Londra, se n'erano andati al
    quartier generale. Fra loro era anco Halifax. Guglielmo lo aveva
    accolto con gran satisfazione, ma non aveva potuto frenare un
    ironico sorriso vedendo lo ingegnoso e compito uomo politico, il
    quale aveva ambito a farsi arbitro in quella grande contesa, essere
    costretto ad abbandonare ogni via di mezzo e prendere un partito
    deciso. Fra coloro che in questa congiuntura arrivarono a Windsor
    erano alcuni che avevano con ignominiosi servigi comperata la grazia
    di Giacomo, e adesso erano bramosi di scontare, tradendo il loro
    signore, il delitto d'avere tradita la patria. Tale era Titus, che
    aveva seduto in Consiglio in onta alle leggi, e s'era affaticato a
    stringere i puritani co' Gesuiti in una lega contro la costituzione.
    Tale era Williams, il quale, per cupidigia di guadagno, di demagogo
    s'era fatto campione della regia prerogativa, e adesso era
    prontissimo a commettere una seconda apostasia. Il Principe con
    giusto dispregio lasciò che cotesti uomini si stessero vanamente
    aspettando un'udienza alla porta del suo appartamento(1252).
    
    Il lunedì, 17 dicembre, tutti i Pari che erano in Windsor furono
    convocati a una solenne consulta da tenersi nel castello. Il
    subietto delle loro deliberazioni era ciò che fosse da farsi del Re:
    Guglielmo non reputò savio partito trovarsi presente alla
    discussione. Ei si ritirò; ed Halifax fu posto sul seggio
    presidenziale. I Lordi concordavano in una cosa sola, cioè non
    doversi permettere che il Re rimanesse dove era. Unanimemente
    estimavano dannoso che l'un principe si fortificasse in Whitehall, e
    l'altro nel palazzo di San Giacomo, e che vi fossero due guarnigioni
    nemiche in uno spazio di cento acri. Un tale provvedimento non
    poteva mancare di far nascere sospetti, insulti, e battibecchi che
    finirebbero forse col sangue. Per le quali ragioni i Lordi ingannati
    crederono necessario mandar via Giacomo di Londra. Proposero qual
    luogo convenevole Ham, che Lauderdale lungo la riva del Tamigi aveva
    edificato con le ricchezze rubate in Iscozia e con la pecunia
    datagli dalla Francia a corromperlo, e che era considerato come la
    più magnifica delle ville. I Lordi, venuti a tale conclusione,
    invitarono il Principe a recarsi fra loro. Halifax gli comunicò la
    deliberazione. Guglielmo approvò. Fu scritto un breve messaggio da
    spedirsi al Re. "E per chi glielo manderemo?" domandò Guglielmo.
    "Non dovrebbe essergli recato" disse Halifax "da uno degli ufficiali
    di Vostra Altezza?" - "No, milord," rispose il principe; "con vostra
    licenza, il messaggio è spedito per consiglio delle Signorie Vostre;
    dovrebbe quindi recarglielo alcuno di voi." Allora senza far sosta,
    onde non si desse luogo a rimostranze, ei nominò messaggieri
    Halifax, Shrewsbury e Delamere(1253).
    
    Sembra che la deliberazione de' Lordi fosse unanime. Ma
    nell'assemblea erano alcuni, che non approvavano affatto il
    provvedimento ch'essi affettavano di approvare, e che desideravano
    vedere usata verso il Re una severità che non rischiavansi a
    manifestare. È cosa notevole che capo di questo partito era un Pari,
    già stato Tory esagerato, che poscia non volle prestare giuramento a
    Guglielmo: questo Pari era Clarendon. La rapidità onde in cotesta
    crisi ei passò da uno all'altro estremo, parrebbe incredibile a
    coloro che vivono in tempi di pace, ma non ne maraviglieranno coloro
    i quali hanno avuto occasione di osservare il corso delle
    rivoluzioni. Si avvide che l'asprezza con cui egli al regio cospetto
    aveva censurato lo intero sistema del governo, aveva mortalmente
    offeso il suo antico signore. Dall'altra parte, come zio delle
    Principesse, poteva sperare d'ingrandirsi e arricchire nel nuovo
    ordine di cose che già s'iniziava. La colonia inglese in Irlanda lo
    teneva come amico e patrono; ed ei pensava che assai parte della
    propria importanza riposava sulla fiducia e lo affetto di quella. A
    tali considerazioni cederono i principii da lui con tanta
    ostentazione per tutta la sua vita professati. Si recò dunque alle
    secrete stanze del Principe e gli appresentò il pericolo di lasciare
    il Re in libertà. I protestanti d'Irlanda essere in estremo
    periglio. Uno solo il mezzo ad assicurare loro la roba e la vita,
    tenere, cioè, Sua Maestà in istretta prigionia. Non essere prudente
    rinchiuderlo in uno de' castelli della Inghilterra: ma potersi
    mandarlo di là dal mare e chiuderlo nella fortezza di Breda finchè
    fossero pienamente ricomposte le cose delle Isole Britanniche. Se
    tanto ostaggio rimanesse nelle mani del Principe, Tyrconnel
    probabilmente porrebbe giù la spada del comando, e senza strepito la
    preponderanza inglese verrebbe ristabilita in Irlanda. Se dall'altro
    canto Giacomo fuggisse in Francia, e si mostrasse a Dublino
    accompagnato da un esercito straniero, ne nascerebbero gli effetti
    più disastrosi. Guglielmo riconobbe la gravità di cotesti
    ragionamenti: ma ciò non poteva farsi. Ei conosceva l'indole di sua
    moglie, e sapeva bene ch'ella non avrebbe mai consentito. E
    veramente non sarebbe stata per lui onorevole cosa trattare con
    tanto rigore il vinto suocero. Nè poteva affermarsi come certo la
    generosità non essere la più sana politica. Chi avrebbe potuto
    prevedere lo effetto che la severità suggerita da Clarendon
    produrrebbe nella opinione pubblica della Inghilterra? Era forse
    impossibile che quello entusiasmo di lealtà, che il Re aveva
    prostrato con la propria malvagia condotta, risorgesse appena si
    sapesse egli essere entro le mura di una fortezza straniera? Per
    queste ragioni Guglielmo si tenne fermissimo a non privare della
    libertà il proprio suocero; e non è dubbio che ciò fosse savio
    partito(1254).
    
    Giacomo, mentre si discuteva intorno alla sua sorte, rimase in
    Whitehall, affascinato, a quanto sembra, dalla grandezza e imminenza
    del pericolo, e inetto a lottare o a fuggire. La sera giunse la
    nuova che gli Olandesi avevano occupato Chelsea e Kensington. Il Re
    nondimeno si apparecchiò a riposarsi secondo il consueto. Le guardie
    dette Coldstream erano di servizio in palazzo. Le comandava
    Guglielmo Conte di Craven, uomo vecchio, che cinquanta e più anni
    prima si era reso famoso nelle armi e negli amori, aveva sostenuto a
    Creutznach con tanto coraggio la disperata battaglia, che vuolsi il
    gran Gustavo battendogli la spalla gli dicesse: Bravo! - e credevasi
    che sopra mille rivali avesse conquistato il cuore della sventurata
    Regina di Boemia. Craven adesso aveva ottant'anni, ma il suo spirito
    non era per anche domo dal tempo(1255).
    
    XII. Erano battute le ore dieci allorquando gli fu annunziato che
    tre battaglioni di fanteria del Principe con alcune legioni di
    cavalleria venivano giù pel lungo viale del Parco di San Giacomo con
    micce accese, e prontissimi ad agire. Il Conte Solmes che comandava
    gli stranieri disse avere ordine d'impossessarsi(1256) militarmente
    dei posti attorno a Whitehall, ed esortò Craven a ritirarsi in pace.
    Craven giurò di lasciarsi piuttosto tagliare a pezzi: ma come il Re,
    che stavasi spogliando, seppe ciò che seguiva, vietò al valoroso
    veterano di fare una resistenza che non poteva essere che vana.
    Verso le ore undici le guardie Coldstream s'erano ritirate, e a
    guardia di ogni angolo del palazzo vedevansi le sentinelle olandesi.
    Alcuni de' servitori del Re chiesero se sarebbesi rischiato a
    dormire circondato dagl'inimici. Rispose che essi non potevano
    trattarlo peggio di quel che avevano fatto i suoi propri sudditi, e
    con l'apatia di un uomo istupidito dalle sciagure andossene a letto
    e si pose a dormire(1257).
    
    XIII. Appena erasi fatto silenzio in palazzo quando esso fu
    nuovamente interrotto. Poco dopo mezzanotte i tre Lordi giunsero da
    Windsor. Middleton fu chiamato a riceverli. Gli dissero ch'erano
    portatori d'un messaggio che non poteva differirsi. Il Re fu destato
    dal suo primo sonno; ed essi furono introdotti nella sua camera da
    letto. Gli posero nelle mani la lettera loro affidata, e gli dissero
    che il Principe tra poche ore arriverebbe a Westminster, e che Sua
    Maestà farebbe bene a partire per Ham avanti le ore dieci della
    mattina. Giacomo fece qualche obiezione. Disse non piacergli Ham,
    essere luogo gradevole in estate, ma freddo e privo di comodi a
    Natale; oltre di che era senza mobilia. Halifax rispose che
    sull'istante verrebbe ammobiliato. I tre messaggieri ritiraronsi, ma
    furono subitamente seguiti da Middleton, il quale disse loro che il
    Re preferirebbe Rochester ad Ham. Risposero non avere potestà di
    consentire al desiderio della Maestà Sua, ma manderebbero tosto un
    messo al Principe, il quale quella notte doveva alloggiare in Sion
    House. Il messo partì immediatamente, e tornò innanzi l'alba recando
    il consenso di Guglielmo; il quale lo diede di gran cuore:
    imperciocchè non era dubbio che il Re avesse scelto Rochester come
    luogo che offriva agevolezza a fuggire, e ch'egli fuggisse era ciò
    che desiderava il suo genero(1258).
    
    XIV. La mattina del dì 18 dicembre, giorno di pioggia e di procella,
    il bargio del Re a buon'ora aspettava dinanzi le scale di Whitehall,
    ed era circondato da otto o dieci barche ripiene di soldati
    olandesi. Vari Nobili e gentiluomini accompagnarono il Re fino alla
    riva. Dicesi, e può ben credersi, che piangessero: imperciocchè
    anche i più zelanti amici della libertà non potevano vedere senza
    commuoversi la trista e ignominiosa fine d'una dinastia che avrebbe
    potuto essere sì grande. Shrewsbury fece quanto più potè per
    consolare il caduto Sovrano. Perfino l'aspro ed esagerato Delamere
    era intenerito. Ma fu notato che Halifax, che aveva sempre mostrata
    tenerezza verso i vinti, in quel caso era meno compassionevole de'
    suoi due colleghi. Aveva tuttavia l'anima invelenita dalla
    rimembranza d'essere stato spedito ambasciatore da scherno a
    Hungerford(1259).
    
    Mentre il bargio reale lentamente procedeva su per le agitate onde
    del fiume, lo esercito del Principe dall'occidente veniva arrivando
    a Londra. Era stato saviamente ordinato che il servigio della
    metropoli fosse fatto dai soldati britannici al soldo degli Stati
    Generali. I tre reggimenti inglesi furono acquartierati dentro e
    attorno alla Torre, i tre scozzesi in Southwark(1260).
    
    XV. Malgrado il cattivo tempo una gran folla di popolo s'era
    raccolta fra Albemarle House e il palazzo di San Giacomo per
    plaudire al Principe. Tutti i cappelli e i bastoni erano ornati d'un
    nastro colore di melarancia. Le campane suonavano per tutta Londra.
    Le finestre erano tutte piene di candele per la luminara. Nelle
    strade vedevansi cataste di legna e fascine per accendere fuochi di
    gioia. Guglielmo nondimeno cui non garbava lo affollarsi e il
    rumoreggiare della gente, passò traverso al Parco. Avanti notte
    giunse al palazzo di San Giacomo in un cocchio leggiero,
    accompagnato da Schomberg. In breve tutte le stanze e le scale del
    palazzo furono popolate da coloro che erano accorsi a corteggiarlo.
    E la folla era tanta, che personaggi d'altissimo grado non poterono
    penetrare nella sala dove stavasi il Principe(1261).
    
    Mentre Westminster era in cotesto concitamento, il Municipio in
    Guildhall apparecchiava un indirizzo di ringraziamenti e
    congratulazioni. Il Lord Gonfaloniere non potè presedere. Non aveva
    mai più alzato il capo da letto sino dal giorno in cui il
    Cancelliere travestito da carbonaio era stato trascinato alla sala
    della giustizia. Ma gli Aldermanni e gli altri ufficiali del corpo
    municipale erano ai loro posti. Il dì seguente i magistrati della
    città recaronsi solennemente a complire il liberatore. La
    gratitudine loro fu con eloquenti parole espressa dal cancelliere
    Sir Giorgio Treby. Disse che alcuni Principi della Casa di Nassau
    erano stati principali ufficiali d'una grande repubblica. Altri
    avevano portata la corona imperiale. Ma il titolo peculiare di
    questa illustre famiglia alla pubblica venerazione era che Dio
    l'aveva eletta e consacrata all'alto ufficio di difendere il vero e
    la libertà contro i tiranni di generazione in generazione. Il dì
    stesso tutti i prelati che trovavansi in città, tranne Sancroft,
    andarono in corpo al cospetto del Principe; quindi il clero di
    Londra, cioè gli uomini più cospicui del ceto ecclesiastico per
    dottrina, facondia e influenza, aventi a capo il loro Vescovo. Erano
    fra loro alcuni illustri ministri dissenzienti, i quali Compton, a
    suo sommo onore, trattò con segnalata cortesia. Pochi mesi avanti o
    dopo, simigliante cortesia sarebbe stata da molti anglicani
    considerata come tradigione verso la Chiesa. Anche allora un occhio
    veggente poteva bene accorgersi che la tregua, alla quale le sètte
    protestanti erano state costrette, non sarebbe lungamente
    sopravvissuta al pericolo che l'aveva fatta nascere. Circa cento
    teologi non conformisti, residenti nella capitale, presentarono un
    indirizzo a parte. Furono introdotti da Devonshire ed accolti con
    ogni segno di gentilezza e rispetto. Il ceto legale andò anch'esso a
    fare omaggio; lo conduceva Maynard, il quale a novanta anni d'età
    era forte di mente e di corpo come quando in Westminster Hall sorse
    accusatore di Strafford. "Signore Avvocato" disse il Principe "voi
    dovete avere sopravvissuto a tutti i legali vostri coetanei." - "Sì,
    Altezza," rispose il vegliardo "e se non venivate voi sopravvivevo
    anco alle leggi(1262)."
    
    Ma comechè gl'indirizzi fossero molti e pieni di elogi, le
    acclamazioni alte, le illuminazioni splendide, il palazzo di San
    Giacomo troppo angusto per la folla de' corteggiatori, i teatri ogni
    notte dalla platea al soffitto adorni di nastri colore di
    melarancia, Guglielmo sentiva che le difficoltà della sua intrapresa
    cominciavano allora. Aveva rovesciato un Governo, ma adesso doveva
    compiere l'assai più difficile lavoro di ricostruirne un altro. Da
    quando sbarcò a Torbay finchè giunse a Londra, aveva esercitata
    l'autorità, che per le leggi della guerra, riconosciute da tutto il
    mondo incivilito, appartiene al comandante d'un esercito nel campo.
    Adesso era necessario mutare il suo carattere di generale in quello
    di magistrato; e questa non era agevole impresa. Un solo passo falso
    poteva esser fatale; ed era impossibile fare un solo passo senza
    offendere pregiudicii e svegliare acri passioni.
    
    XVI. Alcuni de' consiglieri del Principe lo incitavano a prendere a
    un tratto la corona per diritto di conquista; e poi in qualità di Re
    spedire muniti del proprio Gran Sigillo i decreti a convocare il
    Parlamento. Molti insigni giureconsulti lo confortavano ad
    appigliarsi a tale partito, dicendo essere quella la via più breve
    di giungere dove, andandovi altrimenti, s'incontrerebbero
    innumerevoli ostacoli e contese. Ciò era strettamente conforme al
    felice esempio dato da Enrico VII dopo la battaglia di Bosworth.
    Farebbe ad un tempo cessare gli scrupoli che molti spettabili uomini
    sentivano quanto alla legalità di trasferire il giuramento di
    fedeltà da un sovrano ad un altro. Nè la legge civile nè quella
    della Chiesa Anglicana riconoscevano ne' sudditi il diritto di
    detronizzare il Sovrano. Ma nessun giureconsulto, nessun teologo
    negò mai che una nazione vinta in guerra, potesse senza peccato
    sobbarcarsi al volere del Dio degli eserciti. Difatti dopo la
    conquista caldea, i più pii e patriottici degli Ebrei non crederono
    di mancare al proprio debito verso il Re loro, servendo lealmente il
    nuovo signore dato loro dalla Provvidenza. I tre confessori, che
    erano rimasti miracolosamente illesi nell'ardente fornace, tennero
    altri uffici nella provincia di Babilonia. Daniele fu ministro dello
    Assiro che soggiogò Giuda, e del Persiano che soggiogò l'Assiria.
    Che anzi lo stesso Gesù, il quale secondo la carne era Principe
    della Casa di David, comandando ai suoi concittadini di pagare il
    tributo a Cesare, aveva voluto significare che la conquista
    straniera annulla il diritto ereditario ed è titolo legittimo di
    dominio. Era quindi probabile che un gran numero di Tory, quantunque
    non potessero con sicura coscienza eleggersi un Re, accetterebbero
    senza esitazione quello che gli eventi della guerra avevano dato
    loro(1263).
    
    Dall'altra parte, nondimeno, v'erano ragioni di grave momento. Il
    Principe non poteva pretendere d'avere guadagnata la corona con la
    propria spada senza bruttamente rompere la fede data. Nel suo
    Manifesto aveva protestato contro ogni pensiero di conquistare la
    Inghilterra; aveva asserito che coloro i quali gli attribuivano
    siffatto disegno, calunniavano iniquamente non solo lui, ma tutti
    quei Nobili e gentiluomini patriotti che lo avevano invitato; che le
    forze da lui condotte erano evidentemente inadeguate(1264) ad una
    impresa così ardua; e che era fermamente deliberato di portare
    innanzi a un libero Parlamento tutte le pubbliche doglianze e le sue
    proprie pretese. Non era equo nè saggio ch'ei per qualsiasi cosa
    terrena rompesse la sua parola solennemente impegnata al cospetto di
    tutta la Europa. Nè era certo che, chiamandosi conquistatore,
    chetasse quegli scrupoli onde i rigidi Anglicani ripugnavano a
    riconoscerlo Re. Imperocchè, in qualunque modo egli si chiamasse,
    tutto il mondo sapeva ch'egli non era vero conquistatore. Era
    manifestamente un'aperta finzione il dire che questo gran Regno, con
    una potente flotta in mare, con un esercito stanziale di
    quarantamila uomini, e con una milizia civica di centotrentamila
    uomini, fosse stato, senza un solo assedio o una sola battaglia,
    ridotto a condizione di provincia da quindicimila invasori. Non era
    verosimile che cosiffatta finzione rasserenasse le coscienze
    realmente scrupolose, mentre non mancherebbe di ferire l'orgoglio
    nazionale ormai cotanto sensitivo e irritabile. I soldati inglesi
    erano in tali umori che richiedevano d'essere con somma accortezza
    governati. Sentivano che nella recente campagna non avevano
    sostenuta una onorevolissima parte. I capitani e i soldati comuni
    erano al pari impazienti di provare che non avevano per difetto di
    coraggio ceduto a forze inferiori. Taluni officiali olandesi erano
    stati tanto indiscreti da vantarsi, col bicchiere in mano dentro una
    taverna, d'avere rinculata l'armata regia. Questo insulto aveva fra
    le truppe inglesi suscitato un fermento, che ove non vi si fosse
    prontamente immischiato Guglielmo, sarebbe forse finito in una
    terribile strage(1265). Quale, in tali circostanze, poteva essere lo
    effetto di un proclama che avesse annunziato il comandante degli
    stranieri considerare l'isola intera come legittima preda di guerra?
    
    Era anche da ricordarsi che, pubblicando un simigliante proclama, il
    Principe avrebbe a un tratto abrogati tutti quei diritti de' quali
    egli s'era dichiarato campione: perocchè l'autorità di un
    conquistatore straniero non è circoscritta dalle costumanze e dagli
    statuti della nazione conquistata, ma è in sè stessa dispotica. E
    quindi Guglielmo o non poteva dichiararsi Re, o poteva dichiarare
    nulle la Magna Charta e la Petizione dei Diritti, abolire il
    processo dinanzi ai Giurati, e imporre tasse senza il consenso del
    Parlamento. Poteva, a dir vero, ristabilire l'antica costituzione
    del reame. Ma, ciò facendo, era provvedimento arbitrario. Quinci
    innanzi la libertà dell'Inghilterra verrebbe fruita dai cittadini
    con umiliante possesso; nè sarebbe, quale era stata fino allora,
    un'antichissima eredità, ma un dono recente che il generoso signore,
    da cui era stato ai suoi sudditi impartito, poteva ripigliare a suo
    talento.
    
    XVII. Guglielmo adunque dirittamente e con prudenza fece pensiero
    d'osservare le promesse contenute nel suo Manifesto, e lasciare alle
    Camere l'ufficio di riordinare il governo. Con tanto studio egli
    schivò tutto ciò che potesse sembrare usurpazione, che non volle,
    senza una qualche sembianza d'autorità parlamentare, avventurarsi a
    convocare gli Stati del Regno, o dirigere il potere esecutivo nel
    tempo in cui si facevano le elezioni. Nello Stato non v'era autorità
    strettamente parlamentare: ma potevasi in poche ore mettere insieme
    una assemblea alla quale la nazione portasse gran parte della
    riverenza dovuta a un Parlamento. Poteva formarsi una Camera de'
    numerosi Lordi spirituali e secolari che allora si trovavano in
    Londra, e l'altra degli antichi membri della Camera de' Comuni e de'
    Magistrati della Città. Tale disegno era ingegnoso e venne
    prontamente mandato ad effetto. Fu intimato ai Pari di trovarsi pel
    dì 21 dicembre al Palazzo di San Giacomo. Vi accorsero circa
    settanta. Il Principe gli esortò considerassero le condizioni del
    paese, e presentassero a lui il resultato delle loro deliberazioni.
    Poco dopo comparve un annunzio, col quale invitavansi tutti i
    gentiluomini che erano stati membri della Camera de' Comuni sotto il
    regno di Carlo II, a presentarsi a Sua Altezza la mattina del dì 26.
    Furono anche chiamati gli Aldermanni di Londra, e al Municipio fu
    richiesto di mandare una deputazione(1266).
    
    Taluni hanno spesso richiesto, in tono di rimprovero, il perchè lo
    invito non fu mandato anche ai membri del Parlamento che l'anno
    precedente era stato disciolto. La risposta è chiara. Uno de'
    precipui aggravi de' quali la nazione querelavasi era il modo onde
    era stato eletto quel Parlamento. La maggior parte de'
    rappresentanti i borghi erano stati eletti da collegi elettorali
    ordinati in un modo che veniva universalmente considerato illegale,
    ed era stato biasimato dal Principe nel suo Manifesto. Lo stesso
    Giacomo, poco innanzi la sua caduta, aveva assentito a rendere a'
    Municipi le antiche franchigie. Guglielmo adunque sarebbe stato
    incoerentissimo a sè stesso, qualora, dopo d'avere prese le armi col
    fine di ricuperare i ritolti privilegi municipali, avesse
    riconosciuto come legittimi rappresentanti delle città d'Inghilterra
    individui eletti in onta a quei privilegi.
    
    Sabato, il dì 22, i Lordi ragunaronsi nella consueta sala. Spesero
    quel giorno a stabilire il modo di procedere. Elessero un
    segretario; e non potendosi avere fiducia di nessuno de' dodici
    giudici, invitarono alcuni de' più reputati avvocati per giovarsi
    del loro consiglio nelle questioni legali. Deliberarono che nel
    prossimo lunedì lo stato del Regno verrebbe preso in
    considerazione(1267).
    
    Lo intervallo fra la tornata del sabato e quella del lunedì fu tempo
    d'ansietà e pieno d'avvenimenti. Un forte partito fra' Pari
    vagheggiava tuttavia la speranza che la Costituzione e la religione
    del Regno si potessero assicurare senza deporre il Re dal trono.
    Costoro determinarono di mandargli un indirizzo supplicandolo
    consentisse termini tali da far cessare il malcontento e i timori
    suscitati dalla sua passata condotta. Sancroft, il quale, dopo il
    ritorno del Re da Kent a Whitehall, non s'era più immischiato ne'
    pubblici affari, in questa occasione uscì fuori del suo ritiro onde
    porsi a capo dei realisti. Parecchi messaggieri furono spediti a
    Rochester con lettere pel Re. Lo assicuravano che i suoi interessi
    sarebbero strenuamente difesi, solo ch'egli in questo estremo
    momento si persuadesse a rinunziare ai disegni cotanto dal suo
    popolo aborriti. Alcuni spettabili Cattolici Romani gli tennero
    dietro onde scongiurarlo, per amore della comune religione, non si
    ostinasse in una vana contesa(1268).
    
    Il consiglio era salutare; ma Giacomo non era in condizione da
    seguirlo. Comunque avesse avuto sempre debole e tardo intendimento,
    le donnesche paure e le puerili fantasie che gli agitavano l'anima,
    glielo rendevano affatto inutile. Accorgevasi bene la sua fuga
    essere la cosa che sopra tutto temevano gli amici e desideravano
    gl'inimici suoi. E quando anco avesse corso pericolo di vita a
    rimanere, l'occasione era tale ch'egli avrebbe dovuto reputare
    infame il ritirarsi: imperocchè(1269)  trattavasi di sapere se
    egli e i posteri suoi dovessero regnare assisi sul trono avito, o
    andare raminghi ed accattando in terra straniera. Ma nell'anima sua
    ogni altro sentimento aveva ceduto al vigliacco timore di perdere la
    vita. Alle calde preghiere e alle incontrastabili ragioni degli
    agenti mandati a Rochester dagli amici suoi, egli dava una sola
    risposta: la sua testa essere in pericolo. Invano gli assicuravano
    tale sospetto essere privo di fondamento; il buon senso, ove non
    fosse la virtù, dovere dissuadere il Principe d'Orange dalla colpa e
    vergogna del regicidio e del parricidio, e molti, i quali non
    consentirebbero a detronizzare il loro Sovrano mentre rimaneva
    nell'isola, reputarsi per la sua diserzione sciolti dal loro debito
    di fedeltà. Ma la paura vinse ogni altro sentimento. Giacomo risolvè
    di partirsi; e gli era agevole farlo. Era trascuratamente guardato:
    tutti avevano a lui libero accesso; navi pronte a far vela
    trovavansi poco da lui distanti, e le barche potevano spingersi fino
    al giardino della casa dove egli alloggiava. Se fosse stato savio,
    le cure che davansi i suoi custodi a facilitargli la fuga, sarebbero
    state sufficienti(1270) a convincerlo ch'egli avrebbe dovuto
    rimanere colà dove era. E veramente la rete era così apertamente
    tesa da non ingannare altri che uno stolto reso insano dal terrore.
    
    XVIII. Il Re sollecitamente apparecchiò tutto per eseguire il
    proprio disegno. La sera del sabato 22 assicurò alcuni de'
    gentiluomini, i quali erano stati spediti da Londra portatori di
    nuove e di consigli, che li avrebbe veduti la dimane. Andonne a
    letto, levossi sul cadere della notte, e accompagnato da Berwick per
    un uscio secreto scese, e andò, traversando il giardino, alla
    spiaggia del Medway. Una piccola gondola stavasi ad aspettarlo. La
    domenica all'alba i fuggenti erano sopra una barca da pescare che
    scendeva giù pel Tamigi(1271).  Il pomeriggio la nuova della
    fuga giunse a Londra. I fautori del Re rimasero confusi. I Whig non
    poterono frenare la gioia loro. La fausta notizia incoraggiò il
    Principe a fare un ardito ed importante passo. Sapeva esservi
    comunicazioni tra la Legazione Francese e il partito ostile a lui.
    Era ben noto che quella Legazione s'intendeva maravigliosamente di
    tutte le arti della corruzione; e mal poteva dubitarsi che in tanta
    congiuntura non aborrirebbero di adoperare le pistole e ogni sorta
    d'intrighi. Barillon sommamente desiderava di rimanere per pochi
    altri giorni in Londra, e a tale scopo non aveva trascurata arte
    alcuna a blandire i vincitori. Nelle strade abboniva il popolaccio,
    che lo guardava in cagnesco, gettandogli dal cocchio pugni di
    monete. A mensa beveva pubblicamente alla salute del Principe
    d'Orange. Ma Guglielmo non era uomo da lasciarsi prendere all'amo da
    tali moine. A dir vero, non erasi arrogato lo esercizio della regia
    autorità; ma era Generale, e come tale non era tenuto a tollerare
    nel territorio da lui militarmente occupato la presenza di un uomo
    ch'egli credeva spione. Innanzi sera a Barillon fu intimato di
    partirsi dalla Inghilterra entro ventiquattro ore. Pregò caldamente
    gli si concedesse un breve indugio: ma i momenti erano preziosi;
    l'ordine fu ripetuto in modo più perentorio, ed ei di mala voglia
    partì per Dover. E perchè non vi mancasse nessuna dimostrazione di
    spregio e di sfida, venne scortato fino alla costa da uno de' suoi
    concittadini protestanti dalla persecuzione cacciati in esilio. Era
    tanto il risentimento che nel cuore di tutti avevano suscitato
    l'ambizione e l'arroganza francese, che perfino quegli Inglesi i
    quali generalmente non inchinavano a guardare di buon occhio la
    condotta di Guglielmo, altamente plaudirono allorchè lo videro
    ritorcere con tanta energia la insolenza con che Luigi per tanti
    anni aveva trattato ogni corte d'Europa(1272).
    
    XIX. Il lunedì i Lordi adunaronsi di nuovo. Halifax venne eletto a
    presiedere. Il Primate era assente, i realisti afflitti e scuorati,
    i Whig ardenti ed animosissimi. Sapevasi che Giacomo partendo aveva
    lasciata una lettera. Alcuni degli amici suoi proposero che fosse
    deposta sul banco, vanamente sperando che contenesse cose tali da
    apprestare la base ad un prospero accomodamento. A tale proposta fu
    fatta e vinta la questione pregiudiciale. Godolphin, che era tenuto
    per bene affetto al suo antico signore, profferì poche parole che
    furono decisive. "Ho veduto lo scritto," disse egli "e mi duole il
    dirvi che non contiene nulla che possa minimamente satisfare le
    Signorie Vostre." E veramente non conteneva una sola parola di
    pentimento de' passati errori, non speranza di non più ricadervi in
    futuro, e di ciò che era accaduto dava la colpa alla malizia di
    Guglielmo e alla cecità d'una nazione ingannata dagli speciosi nomi
    di proprietà e religione. Nessuno tentò di proporre di aprire
    pratiche d'accordo con un Principe che pareva reso più ostinato nel
    male dalla rigorosa scuola dell'avversità. Si disse qualcosa sul
    fare inchieste intorno alla nascita del Principe di Galles; ma i
    Pari Whig trattarono la cosa con isdegno. "Non mi aspettava,
    Milordi," esclamò Filippo Lord Wharton, vecchia Testarotonda che
    aveva comandato un reggimento contro Carlo I in Edgehill, "non mi
    aspettava di udire alcuno in questo giorno rammentare il fanciullo
    cui fu dato il nome di Principe di Galles; e spero che ormai sia
    rammentato per l'ultima volta." Dopo lungo discutere fu deliberato
    di presentare due indirizzi a Guglielmo. In uno lo pregavano di
    assumersi provvisoriamente l'amministrazione del governo; nell'altro
    lo esortavano a invitare con lettere circolari munite della sua
    propria firma tutti i collegi elettorali del Regno a inviare i loro
    rappresentanti a Westminster. Nel tempo stesso i Pari assumevano lo
    incarico di emanare un ordine perchè tutti i Papisti, salvo pochi
    individui privilegiati, fossero banditi da Londra e dalle
    vicinanze(1273).
    
    I Lordi presentarono i loro indirizzi al Principe il dì susseguente,
    senza attendere l'esito delle deliberazioni de' Comuni da lui
    convocati. E' sembra che i Nobili ereditari in questo momento
    fossero ansiosissimi di far mostra della dignità loro, e non erano
    inchinevoli a riconoscere uguale autorità in una assemblea non
    riconosciuta dalla legge. Pensavano d'essere una vera Camera di
    Lordi; l'altra disprezzavano come illusoria Camera di Comuni.
    Guglielmo, nondimeno, saviamente disse di non volere nulla decidere
    finchè non conoscesse l'opinione de' gentiluomini, i quali per
    l'innanzi erano stati onorati della fiducia delle Contee e delle
    città d'Inghilterra(1274).
    
    XX. I Comuni ch'erano stati chiamati adunaronsi nella Cappella di
    Santo Stefano e formarono un'assemblea numerosa. Posero sul seggio
    presidenziale Enrico Powle, già rappresentante di Cirencester in
    vari Parlamenti, e de' principali propugnatori della Legge
    d'Esclusione.
    
    Furono proposti e approvati indirizzi simili a quelli dei Lordi. Non
    vi fu differenza d'opinioni sopra alcuna questione di grave momento;
    ed alcuni deboli tentativi fatti a suscitare discussioni sopra
    materie di forma, incontrarono universale disprezzo. Sir Roberto
    Sawyer(1275) disse di non potere intendere in che modo il Principe
    potesse amministrare il governo senza alcun titolo speciale, come
    sarebbe Reggente o Protettore. Il vecchio Maynard il quale, come
    giureconsulto, non aveva chi gli stesse a fronte, e che anche aveva
    somma pratica della tattica delle rivoluzioni, non ebbe cura di
    frenare il proprio sdegno contro una obiezione così puerile, fatta
    in un momento in cui la concordia e la prontezza erano della più
    alta importanza. "Noi staremo qui un secolo" disse egli "se
    rimarremo finchè Sir Roberto intenda come la cosa sia possibile."
    L'assemblea reputò la risposta degna del cavillo che l'avea
    provocata(1276).
    
    XXI. Le deliberazioni dell'adunanza furono comunicate al Principe;
    il quale annunziò che oramai cederebbe alla richiesta delle due
    Camere, e spedirebbe lettere di convocazione per ragunare una
    Convenzione degli Stati del Reame, e finchè non fosse ragunata,
    eserciterebbe egli il potere esecutivo(1277).
    
    Ei s'era accinto a non lieve impresa. Il Governo era onninamente
    sossopra. I Giudici di Pace avevano abbandonate le loro funzioni.
    Gli ufficiali della pubblica rendita avevano cessato di riscuotere
    le tasse. L'armata disciolta da Feversham era ancora in confusione e
    pronta ad ammutinarsi. La flotta non era in meno tristi condizioni.
    Gli ufficiali militari e civili della Corona erano creditori di
    grosse somme per paghe arretrate; e nello Scacchiere altro non era
    che quarantamila lire sterline. Il Principe con somma energia si
    pose a rifare l'ordine. Pubblicò un proclama che esortava tutti i
    magistrati a continuare ne' loro uffici, e un altro in cui ordinava
    la riscossione delle imposte(1278).
    
    Il nuovo riordinamento dello esercito con rapidità procedeva. Molti
    de' Nobili e gentiluomini cui Giacomo aveva tolto il comando de'
    reggimenti inglesi furono richiamati. Fu trovato modo a impiegare le
    migliaia di soldati irlandesi da Giacomo fatti venire in
    Inghilterra. Non potevano in sicurtà rimanere in un paese dove essi
    erano segno alla animosità nazionale e religiosa. Non potevano con
    sicurtà mandarsi a casa loro per afforzare l'armata di Tyrconnel. Fu
    quindi provveduto di spedirli sul continente, dove, sotto il
    vessillo di Casa d'Austria, potevano riuscire d'indiretta ma
    efficace utilità alla causa della costituzione inglese e della
    religione protestante. Dartmouth fu destituito; e promettendo ad
    ogni marinaio prontamente la paga dovutagli, la flotta riconciliossi
    a Guglielmo. La città di Londra imprese ad appianargli le difficoltà
    di finanza. Il Consiglio Municipale, con voto unanime, s'impegnò a
    procurargli duecento mila lire sterline. E fu considerato come gran
    prova della opulenza e del patriottismo dei mercatanti della
    metropoli il trovare in quarantotto ore la intera somma senza altra
    guarentigia che la parola del Principe. Poche settimane innanzi
    Giacomo non aveva potuto procurarsi una somma assai minore, ancorchè
    avesse offerto di pagare frutti più alti, e dare in pegno beni di
    molto pregio(1279).
    
    XXII. In pochissimi giorni lo sconvolgimento prodotto dalla
    invasione, dalla insurrezione, dalla fuga di Giacomo e dalla
    sospensione d'ogni regolare governo, era finito, e il paese aveva
    ripreso il consueto aspetto. Regnava universale sentimento di
    sicurezza. Anche le classi maggiormente esposte all'odio pubblico, e
    che avevano maggiore ragione a temere una persecuzione, furono
    protette dalla accorta clemenza del vincitore. Individui
    profondamente implicati negli illegali atti dello antecedente regno,
    non solo passeggiavano sicuri per le vie, ma profferivansi candidati
    alla Convenzione. Mulgrave non fu accolto di mala grazia al palazzo
    di San Giacomo. A Feversham, sprigionato, fu permesso di riprendere
    l'unico ufficio pel quale aveva i debiti requisiti, cioè quello di
    tenere la banca al giuoco della bassetta in casa della Regina
    vedova. Ma non vi fu classe del popolo che avesse tanta cagione di
    sentire gratitudine per Guglielmo al pari de' Cattolici Romani. Non
    sarebbe stato savio partito abrogare formalmente i severi
    provvedimenti fatti da' Pari contro i credenti d'una religione
    generalmente aborrita dalla nazione: ma tali provvedimenti vennero
    praticamente annullati mercè la prudenza ed umanità del Principe.
    Marciando da Torbay alla volta di Londra aveva dato ordine di non
    recar danno alle persone e alle abitazioni de' papisti. Adesso
    rinnovò tali ordini, e ingiunse a Burnet gli facesse rigorosamente
    eseguire. Non poteva fare migliore scelta, imperciocchè Burnet era
    uomo di tanta generosità e buona indole, che il suo cuore era sempre
    aperto agl'infelici; e nel tempo medesimo il suo ben noto odio
    contro il papismo era pei più fervidi protestanti sufficiente
    sicurtà che gl'interessi della religione loro non correrebbero il
    minimo rischio nelle mani di lui. Ascoltava cortesemente le querele
    de' Cattolici Romani, procurava il passaporto a tutti coloro che
    amavano meglio andarsene di là dal mare, e si recò da sè a Newgate
    per visitare i prelati ivi rinchiusi. Ordinò che venissero
    trasferiti in più comode stanze, e serviti con ogni riguardo. Gli
    assicurò solennemente che non verrebbe loro torto un capello, ed
    appena il Principe fosse in condizione da agire secondo che
    desiderava, gli avrebbe posti in libertà. Il Ministro di Spagna
    riferì al proprio Governo, e per mezzo di questo al Papa, che nessun
    Cattolico poteva sentire scrupolo di coscienza a cagione della
    recente rivoluzione della Inghilterra; che de' pericoli, ai quali i
    credenti nella vera Chiesa trovavansi esposti, il solo Giacomo era
    responsabile, e che il solo Guglielmo li aveva salvati da una
    sanguinosa persecuzione(1280).
    
    XXIII. E però con quasi piena soddisfazione i Principi della Casa
    d'Austria e il Sommo Pontefice sentirono che il lungo vassallaggio
    della Inghilterra era finito. Come si seppe in Madrid che Guglielmo
    andava a vele gonfie nella sua intrapresa, un solo nel consiglio di
    Stato di Spagna osò esprimere il proprio rincrescimento al vedere
    come un fatto, che politicamente considerato era faustissimo,
    sarebbe stato dannoso agl'interessi della vera Chiesa(1281).
    
    Ma la tollerante politica del Principe prestamente quietò tutti gli
    scrupoli, e il suo inalzamento non fu veduto con minore satisfazione
    dai bacchettoni Grandi di Spagna, che dai Whig inglesi.
    
    Con assai diverso sentimento la nuova di questa grande rivoluzione
    fu accolta in Francia. In un solo giorno la politica d'un regno
    lungo, pieno di vicissitudini e glorioso, restò sconcertata.
    Inghilterra era di nuovo la Inghilterra d'Elisabetta e di Cromwell;
    e le relazioni di tutti gli Stati della Cristianità furono
    pienamente cangiate dalla repentina intromissione di questo nuovo
    potentato nel sistema europeo. I Parigini non sapevano d'altro
    discorrere se non di ciò che seguiva in Londra. Il sentimento
    nazionale e religioso spingevali a parteggiare per Giacomo. Non
    sapevano un jota della costituzione inglese. Abbominavano la Chiesa
    Anglicana. La nostra rivoluzione pareva loro non il trionfo della
    libertà sopra la tirannide, ma una orrenda tragedia domestica, nella
    quale un venerabile e pio Servio veniva tratto giù dal trono da un
    Tarquinio, e schiacciato dalle ruote del cocchio d'una Tullia.
    Gridavano vergogna ai capitani traditori, esecravano le snaturate
    figliuole, e sentivano per Guglielmo profondo disgusto, comecchè
    temperato dal rispetto che il valore, la capacità, e i prosperi
    successi sogliono ispirare(1282). La Regina, sotto la sferza del
    notturno vento e della pioggia, stringendo al petto il parvolo erede
    di tre corone, il Re arrestato, derubato, e oltraggiato da uomini
    ribaldi, erano cose che destavano commiserazione e romanzesco
    interesse nel cuore di tutti i Francesi. Ma Luigi fu quegli che
    provò particolari emozioni vedendo le calamità della Casa Stuarda.
    Si sentì ridestare nell'anima lo egoismo e la generosità tutta
    dell'indole sua. Dopo molti anni di prosperità egli aveva finalmente
    dato in un grave inciampo. Aveva calcolato sopra lo aiuto o la
    neutralità della Inghilterra; e adesso non poteva altro da quella
    aspettarsi che energica e pertinace ostilità. Parecchi giorni
    innanzi avrebbe non senza ragione potuto sperare di soggiogare le
    Fiandre e dettare la legge alla Germania; e adesso si reputerebbe
    fortunato ove potesse difendere i confini del Regno contro una lega
    da lunghissimi anni non più veduta in Europa. Da questa cotanto
    nuova, impacciosa e pericolosa posizione, null'altro che una
    controrivoluzione o una guerra civile nelle Isole britanniche poteva
    liberarlo. Per le quali cose ambizione e paura lo spingevano ad
    abbracciare la causa della caduta dinastia. Ed è giusto il dire che
    a ciò fare lo movevano anche sentimenti più nobili che l'ambizione e
    il timore non fossero. Il suo cuore era naturalmente
    compassionevole, e le sciagure di Giacomo erano tali da svegliare
    tutta la compassione di Luigi. Le circostanze in cui egli erasi
    trovato avevano impedito il libero corso ai suoi buoni sentimenti.
    La simpatia rade volte è vigorosa dove è grande ineguaglianza di
    condizioni; ed egli s'era tanto alto levato sopra gli altri uomini,
    che le loro miserie gli destavano in cuore una tepida pietà, quale
    sarebbe quella che noi proviamo ai patimenti degli animali
    inferiori, d'un pettirosso affamato o d'un spedato cavallo da posta.
    La devastazione del Palatinato e la persecuzione degli Ugonotti non
    gli avevano quindi turbato l'animo in guisa, che tosto non glielo
    mettessero in calma l'orgoglio e la bacchettoneria. Ma si sentì
    destare nell'anima tutta la tenerezza di cui egli era capace,
    vedendo la miseria di un gran Re, che pochi giorni innanzi era stato
    servito in ginocchio da grandi Signori, e che adesso era esule e
    mendico. A questo sentimento di tenerezza era commista una vanità
    non ignobile. Voleva dare al mondo un esempio di munificenza e
    cortesia. Voleva mostrare all'umanità quale dovrebbe essere il
    contegno di un perfetto gentiluomo in altissimo stato e in una
    solenne congiuntura; e, a vero dire, ei si condusse da uomo
    cavallerescamente urbano e generoso, sì che di altro esempio non si
    onoravano gli annali della Europa dal tempo in cui il Principe Nero
    si stette in piedi dietro la sedia del Re Giovanni a cena nel campo
    di Poitiers.
    
    XXIV. Appena si seppe in Versailles che la Regina d'Inghilterra era
    approdata in Francia, le venne apparecchiato un palazzo. Furono
    spediti cocchi e compagnie di Guardie por istarsi agli ordini di
    lei. Perchè ella potesse comodamente viaggiare, si fe' racconciare
    la strada di Calais. A Lauzun non solo fu, a riguardo di lei,
    concesso perdono delle colpe passate, ma egli ebbe l'onore d'una
    lettera amichevole scritta di mano di Luigi. Maria faceva cammino
    alla volta della corte francese, allorquando giunse la nuova che il
    suo marito, dopo un procelloso viaggio, era sbarcato a salvamento
    presso il piccolo villaggio d'Ambleteuse. Personaggi d'alto grado
    furono tosto spediti da Versailles a compirlo e servirgli di scorta.
    Frattanto Luigi, accompagnato dalla sua famiglia e da' suoi Nobili,
    uscì in solenne corteo a ricevere l'esule Regina. Il suo cocchio
    sontuoso era preceduto dagli alabardieri svizzeri. Lo fiancheggiava
    di qua o di là il corpo delle Guardie a cavallo sonando i cimbali e
    le trombe. Dietro il Re in cento carrozze, ciascuna tirata da sei
    cavalli, veniva la più splendida aristocrazia che fosse in Europa,
    tutta piume, nastri, gioie e ricami. La processione non aveva fatto
    molto cammino quando fu annunziato che Maria appressavasi. Luigi
    scese dal cocchio, e a piedi le andò incontro. Ella diede in uno
    scoppio di passionate espressioni di gratitudine. "Madama," disse il
    Re di Francia" egli è un tristo servigio quello che oggi vi rendo.
    Spero che in futuro io possa rendervene di maggiori e più
    piacevoli." Così dicendo, baciò il pargoletto Principe di Galles, e
    fece sedere alla sua destra la Regina nel cocchio reale. Allora la
    cavalcata si volse verso Saint-Germain.
    
    Quivi nella estremità d'una foresta popolata di belve da caccia, e
    in cima a un colle che sovrasta al tortuoso corso della Senna,
    Francesco I aveva edificato un castello, ed Enrico IV una magnifica
    terrazza. Di tutte le magioni de' Re di Francia, in nessuna si
    respirava aria più salubre e godevasi un più ameno spettacolo. La
    grandezza e vetustà veneranda degli alberi, la beltà de' giardini,
    l'abbondanza delle acque erano in gran fama. Ivi Luigi XIV era nato,
    e nei suoi giovani anni ivi avea tenuta la sua corte, aveva aggiunti
    vari padiglioni alla magione di Francesco, e finita la terrazza di
    Enrico. Nonostante, presto il Re provò inesplicabile disgusto pel
    luogo dove era nato. Ei lasciò Saint-Germain per trasferirsi a
    Versailles, e spese somme pressochè favolose nel vano sforzo di
    creare un paradiso in un luogo singolarmente sterile e insalubre,
    tutto sabbia e fango, senza boschi, senza acqua e senza caccia.
    Saint-Germain adunque fu scelto per abitazione della reale famiglia
    d'Inghilterra. Vi era stata in fretta trasportata sontuosa mobilia.
    Le stanze pel Principe di Galles erano state provvedute d'ogni cosa
    necessaria ai bisogni d'un pargolo. Uno de' servi presentò alla
    Regina la chiave di un ricco scrigno che trovavasi nello
    appartamento di lei. Ella lo aprì, e vi trovò dentro seimila luigi
    d'oro.
    
    XXV. Il dì susseguente Giacomo arrivò a Saint-Germain. Vi era Luigi
    a riceverlo. Lo sventurato esule gli fece un sì profondo inchino che
    pareva volesse abbracciare le ginocchia del suo protettore. Luigi
    sollevatolo, abbracciollo con fraterna tenerezza. I due Re entrarono
    in camera della Regina. "Ecco qui un gentiluomo" le disse Luigi "che
    voi gradirete di vedere." Quindi dopo avere pregato il suo ospite a
    volere pel dì prossimo visitare Versailles, e concedergli il piacere
    di mostrargli gli edificii, le pitture, e le piantagioni, prese
    commiato, senza cerimonie, quasi fossero vecchi amici.
    
    Dopo poche ore agli sposi reali venne annunziato che per tutto il
    tempo ch'essi farebbero al Re di Francia il favore di accettarne
    l'ospitalità, verrebbe loro pagata dal suo tesoro l'annua somma di
    quarantacinquemila lire sterline. Diecimila ne furono subito date
    loro per le spese d'installazione.
    
    La liberalità di Luigi fu non per tanto molto meno rara e ammirevole
    della squisita delicatezza con che ei si affaticò ad addolcire le
    amarezze de' suoi ospiti ed alleggiare il quasi intollerabile peso
    degli obblighi che addossava loro. Egli, che fino allora nelle
    questioni di precedenza era stato fastidioso, litigioso, insolente,
    che s'era più volte mostrato pronto a gettare la Europa in guerra
    più presto che cedere nel più frivolo punto d'etichetta, adesso fu
    puntiglioso contro sè stesso, ma puntiglioso per i suoi sventurati
    amici. Ordinò che Maria fosse trattata con tutti i segni di rispetto
    onde era stata trattata la defunta sua moglie. Fu discusso se i
    Principi della Casa di Borbone avessero diritto di sedersi in
    presenza della Regina. Simiglianti inezie erano cose gravi
    nell'antica Corte di Francia. V'erano esempi pro e contra: ma Luigi
    decise la questione contro il proprio sangue. Alcune dame
    d'altissimo grado trascurarono la cerimonia di baciare il lembo
    della veste di Maria. Luigi notò la omissione, e con voce tale e con
    tale sguardo, che tutte le dame di corte da quel giorno mostraronsi
    sempre pronte a baciarle il piede. Allorquando l'Ester, pur allora
    scritta da Racine, venne rappresentata in Saint-Cyr, Maria occupò il
    seggio d'onore. Giacomo le sedeva a destra. Luigi modestamente le si
    assise a sinistra. Anzi ei consentì che nel suo proprio palazzo un
    esule, il quale viveva della sua generosità, assumesse il titolo di
    Re di Francia, e come Re di Francia inquartasse i gigli co' lioni
    inglesi, e come Re di Francia ne' giorni in che la corte prendeva il
    lutto, vestisse abito di colore violetto.
    
    Il contegno de' Nobili francesi in pubblico prendeva norma dal
    Sovrano, ma non era possibile impedire che essi liberamente
    pensassero ed esprimessero i loro pensieri nelle conversazioni
    private, con la pungente e delicata arguzia che forma il carattere
    della nazione e del ceto loro. Di Maria pensavano favorevolmente. La
    trovavano piacente di persona e dignitosa nel portamento. Ne
    veneravano il coraggio e lo affetto di madre, e ne commiseravano la
    sinistra fortuna. Ma per Giacomo sentivano estremo dispregio. Non
    potevano patire la sua insensibilità, il modo freddo onde egli
    discorreva con chi che si fosse della propria rovina, e il
    fanciullesco diletto che prendeva della pompa e del lusso di
    Versailles. Attribuivano questa strana apatia, non a filosofia o
    religione, ma a stupidità e abiettezza d'animo, e notarono come
    nessuno che aveva avuto l'onore d'ascoltare dalla bocca di Sua
    Maestà Britannica il racconto dello proprie vicissitudini si
    maravigliasse di vedere lui in Saint-Germain e il suo genero nel
    palazzo di San Giacomo(1283).
    
    XXVI. Nelle Province Unite la commozione prodotta dalle nuove giunte
    d'Inghilterra era anche maggiore che in Francia. Era quello il tempo
    in cui la Batava Federazione era pervenuta al più alto fastigio di
    gloria e potenza. Dal giorno in cui la spedizione fece vela tutta la
    nazione olandese era stata in preda a somma ansietà. Le chiese non
    erano mai state come allora popolate di gente. I predicatori non
    avevano mai arringato con maggiore veemenza. Gli abitanti dell'Aja
    non poterono frenarsi dallo insultare Albeville. La sua casa era
    giorno e notte sì strettamente circondata dalla plebaglia, che
    nessuno rischiavasi a visitarlo; ed egli temeva non appiccassero
    fuoco alla sua cappella(1284). Ad ogni corriere che giungeva recando
    nuove dello avanzarsi del Principe, i suoi concittadini si sentivano
    rincuorati; e allorquando si seppe ch'egli, cedendo allo invito
    fattogli dai Lordi e dall'Assemblea de' Comuni, aveva assunto il
    potere esecutivo, tutte le fazioni olandesi proruppero in un grido
    universale di gioia e d'orgoglio. Sollecitamente fu spedita
    un'ambasceria straordinaria a recargli le congratulazioni della
    madre patria. Uno degli ambasciatori era Dykvelt, uomo in quella
    occasione di non poca utilità per la destrezza, e per la profonda
    scienza ch'egli aveva della politica inglese; e gli fu dato per
    collega Niccola Witsen, Borgomastro d'Amsterdam, il quale sembra
    essere stato scelto a fine di provare a tutta Europa che la lunga
    contesa tra la Casa d'Orange e la città principale della Olanda era
    cessata. Il dì 8 gennaio Dykwelt e Witsen si presentarono a
    Westminster. Guglielmo favellò loro con franchezza e cordialità tali
    che rare volte ei mostrava conversando con gl'Inglesi. Le sue prime
    parole furono queste: "Bene! e che cosa dicono ora gli amici a casa
    nostra?" E veramente il solo plauso che parve forte commuovere la
    stoica indole di lui, fu quello della terra natia. Della immensa
    popolarità ch'egli godeva in Inghilterra, parlò con freddo sdegno, e
    predisse con troppa verità la reazione che ne sarebbe seguita. "Qui"
    disse egli "oggi dappertutto si grida Osanna, e forse domani si
    griderà Crucifige"(1285)
    
    XXVII. Il dì appresso furono eletti i primi membri della
    Convenzione. La città di Londra diede lo esempio, e senza contesa
    elesse quattro ricchi mercatanti caldissimi Whig. Il Re e i suoi
    fautori avevano sperato che molti ufficiali de' collegi elettorali
    considererebbero come nulla la lettera del Principe; ma fu vana
    speranza. Le elezioni procederono rapidamente e senza intoppo. Non
    vi fu quasi ombra di contesa: imperocchè la nazione per più d'un
    anno aveva sempre aspettato l'apertura delle Camere. I decreti di
    convocazione erano stati due volte emessi e due revocati. Alcuni
    collegi elettorali, per virtù di tali decreti, avevano già eletto i
    loro rappresentanti. Non v'era Contea nella quale i gentiluomini e i
    borghesi non avessero, molti mesi prima, posto l'occhio sopra
    candidati buoni protestanti, ad eleggere i quali dovevasi fare ogni
    sforzo in onta ai voleri del Re e ai raggiri del Lord Luogotenente;
    e questi candidati ora vennero generalmente eletti senza
    opposizione.
    
    Il Principe diede rigorosi ordini che nessuno ufficiale pubblico in
    questa occasione adoperasse quelle arti che avevano recato tanto
    disonore al cessato Governo. Comandò in ispecie che nessun soldato
    osasse mostrarsi nelle città nelle quali facevansi le
    elezioni(1286). I suoi ammiratori poterono vantare, e i suoi nemici
    sembra non potessero negare, che gli elettori esprimessero
    liberamente la propria opinione. Vero è ch'egli rischiava poco. Il
    partito a lui bene affetto era trionfante e pieno d'entusiasmo, di
    vita e d'energia. Quello da cui poteva aspettarsi seria opposizione
    era disunito e scorato, stizzito con sè stesso, e anco più stizzito
    col proprio capo. La maggior parte, quindi, delle Contee e de'
    borghi elessero rappresentanti Whig.
    
    XXVIII. E' non fu sopra la sola Inghilterra che Guglielmo estese la
    sua tutela. La Scozia era insorta contro i suoi tiranni. Tutti i
    soldati regolari, i quali l'avevano lungamente tenuta in freno,
    erano stati richiamati da Giacomo per soccorrerlo contro gl'invasori
    olandesi, tranne un piccolo presidio, che sotto il comando del Duca
    di Gordon, gran signore cattolico, stavasi nel castello d'Edimburgo.
    Ogni corriere che era andato nelle contrade settentrionali nel mese
    di novembre, mese così pieno di vicende, aveva recato nuove che
    concitavano le passioni degli oppressi Scozzesi. Finchè era ancor
    dubbio l'esito delle operazioni militari, in Edimburgo accaddero
    subugli e clamori che si fecero più minacciosi dopo la ritirata di
    Giacomo da Salisbury. Gran torme di gente ragunavansi primamente di
    notte, poi di giorno. Bruciavano le immagini del papa; chiedevano
    clamorosamente un libero Parlamento: si videro attaccati ai muri de'
    cartelli dove le teste de' ministri della Corona erano messe a
    prezzo. Fra costoro il più detestato era Perth, come colui ch'era
    Cancelliere, godeva altamente il regio favore, era apostata della
    fede riformata, e il primo che aveva nelle leggi penali della patria
    introdotto il ferreo strumento per macerare le dita. Era uomo privo
    di vigore, e d'animo abietto; e il solo coraggio ch'egli avesse era
    la sfrontatezza che sfida la infamia, e assiste senza commuoversi
    agli altrui tormenti. In quel tempo era capo del Consiglio; ma,
    venutogli meno l'animo, abbandonò il proprio posto, e a fuggire ogni
    pericolo, - secondo che giudicava dagli sguardi e dalle grida del
    feroce popolaccio, - di Edimburgo, - ritirossi a una sua villa che
    sorgeva non lontana dalla città. Si fece accompagnare a Castle
    Drummond da una numerosa guardia; ma, appena partito lui, la città
    insorse. Pochi soldati provaronsi di reprimere la insurrezione, ma
    furono vinti. Il palazzo di Holyrood(1287), che era stato
    trasformato in seminario e tipografia cattolica romana, fu preso
    d'assalto e saccheggiato. Libri papalini, rosari, crocifissi e
    pitture furono accatastati e arsi in High Street. Framezzo a tanta
    agitazione giunse la nuova della fuga del Re. I membri del Governo
    deposero ogni pensiero di contendere col furore popolare, e mutarono
    partito con quella prontezza allora comune fra i politici scozzesi.
    Il Consiglio Privato con un proclama ordinò il disarmo di tutti i
    papisti, e con un altro invitò i protestanti a collegarsi per la
    difesa della religione pura. La nazione non aveva aspettato lo
    invito. Città e campagna erano già in arme a favore del Principe
    d'Orange. Nithisdale e Clydesdale erano le sole regioni in cui fosse
    ombra di speranza che i cattolici romani farebbero testa; ed
    entrambe furono occupate da bande di presbiteriani armati. Fra
    gl'insorti erano alcuni cupi e feroci uomini, i quali, già stati
    infidi ad Argyle, ora erano egualmente pronti ad esserlo a
    Guglielmo. Dicevano Sua Altezza essere uomo maligno; non una parola
    della Convenzione nel suo Manifesto; gli Olandesi, gente con la
    quale nessun vero servo di Dio poteva concordare, essere in lega co'
    Luterani, e un Luterano, al pari d'un Gesuita, essere figlio del
    demonio. Ma la voce universale di tutto il Regno vinse lo sconcio
    gracidare di cotesta odiata fazione(1288).
    
    Il concitamento in breve giunse fino alle vicinanze di Castle
    Drummond. Perth conobbe di non essere sicuro nè anche fra' suoi
    propri servi e fittajuoli. Si abbandonò a quel disperato dolore in
    cui la sua cruda tirannia aveva spesso gettato uomini migliori di
    lui. Si provò di cercare conforto ne' riti della sua novella Chiesa.
    Importunava i preti a confortarlo, pregava, si confessava, si
    comunicava: ma la sua fede era sì debole ch'egli affermò che,
    malgrado tutte le sue divozioni, era straziato dal terrore della
    morte. Intanto seppe che potea fuggire sopra un vascello che stavasi
    di faccia a Brentisland. Travestitosi come meglio potè, dopo un
    lungo e difficile cammino per non frequentati sentieri su per i
    monti d'Ochill, che allora erano coperti di neve, gli venne fatto
    d'imbarcarsi: ma, non ostante tutte le sue cautele, era stato
    riconosciuto, e il grido della scoperta s'era in un baleno
    propalato. Come si seppe che il crudo rinnegato era in mare ed aveva
    seco dell'oro, taluni incitati dall'odio e dalla cupidigia si posero
    ad inseguirlo. Un legno comandato da un antico cacciatore di buoi
    raggiunse il fuggente vascello e lo prese all'abbordaggio. Perth
    travestito da donna dal fondo in cui s'era nascosto fu tratto sul
    ponte, dove fu spogliato, frugato e saccheggiato. Gli aggressori
    appuntarongli le baionette al petto. E mentre ei con abiette strida
    supplicava gli lasciassero la vita, fu condotto a terra e gettato
    nella prigione comune di Kirkaldy. Di là, per ordine del Consiglio
    da lui dianzi presieduto, e che era composto d'uomini partecipi
    delle sue colpe, fu trasferito al Castello di Stirling. Era giorno
    di domenica, e l'ora degli uffici divini, allorquando egli, cinto da
    guardie, fu menato alla sua prigione; ma perfino i rigidi Puritani
    dimenticarono la santità del giorno e del servizio. La gente
    erompeva fuori dalle chiese per vedere passare quel carnefice, e il
    frastuono delle minacce, maledizioni e urli d'ira lo accompagnò fino
    alla porta del carcere(1289).
    
    Vari egregi Scozzesi trovavansi in Londra quando vi arrivò il
    Principe; e molti altri vi accorsero a corteggiarlo. Il dì 7 gennaio
    li chiamò a Whitehall. La congrega fu grande e rispettabile: al Duca
    di Hamilton e al Conte di Arran suo primogenito, capi d'una casa
    quasi regale, tenevano dietro trenta Lordi e circa ottanta
    gentiluomini di gran conto. Guglielmo gli esortò a consultare fra
    loro, e fargli sapere il miglior modo di promuovere il bene del loro
    paese. Quindi ritirossi perchè deliberassero liberamente senza lo
    impaccio della presenza di lui. Andati alla sala del Consiglio,
    posero Hamilton sul seggio. Ancorchè sembri che ci fosse poca
    differenza d'opinione, le discussioni loro durarono tre giorni,
    fatto che si spiega pensando che Sir Patrizio Hume era uno degli
    oratori. Arran rischiossi a proporre s'aprissero col Re pratiche
    d'accordo. Ma tale proposta, male accolta da suo padre e dalla
    intera assemblea, non trovò nessuno che la secondasse. Alla perfine
    vennero a deliberazioni strettamente somiglievoli a quelle che,
    pochi giorni innanzi, i Lordi e i Comuni d'Inghilterra avevano
    presentate al Principe. Lo pregavano di convocare una Convenzione
    degli Stati di Scozia, stabilire il dì 14 marzo per giorno
    dell'Adunanza, e fino a quel giorno assumersi egli l'amministrazione
    civile e militare. Il Principe assentì alla richiesta; e quindi il
    governo di tutta l'isola si ridusse nelle sue mani(1290).
    
    XXIX. Avvicinavasi il momento decisivo, e si accrebbe l'agitazione
    nel pubblico. In ogni dove vedevansi gli uomini politici far
    capannelli e discutere. Le botteghe da caffè fervevano; le
    tipografie della metropoli lavoravano senza posa. De' fogli stampati
    a quel tempo, anche oggi se ne possono raccogliere tanti da formare
    vari volumi; e non è difficile, leggendo tali scritture, farsi una
    idea delle condizioni in cui trovavansi i partiti.
    
    Era una piccolissima fazione che voleva richiamare Giacomo senza
    alcuna stipulazione. Altra fazione anch'essa piccolissima voleva
    istituire una repubblica, e affidare il governo ad un Consiglio di
    Stato sotto la presidenza del Principe d'Orange. Ma entrambe queste
    estreme opinioni erano a tutti in aborrimento. Diciannove ventesimi
    della nazione erano gente in cui lo affetto alla monarchia
    ereditaria era congiunto, benchè ove più ove meno, con lo affetto
    alla libertà costituzionale, e che era egualmente avversa
    all'abolizione della dignità regia e alla restaurazione
    incondizionata del Re.
    
    Ma nel vasto spazio che divideva i bacchettoni che seguitavano ad
    attenersi alle dottrine di Filmer, dagli entusiasti che tuttavia
    sognavano i sogni di Harrington, v'era luogo per molte varietà
    d'opinioni. Se poniamo da parte le minute suddivisioni, vedremo che
    la massima parte della nazione e della Convenzione era partita in
    quattro corpi: tre erano Tory, il quarto era Whig.
    
    L'accordo tra i Whig(1291) e i Tory non era rimaso superstite al
    pericolo che l'aveva fatto nascere. In varie occasioni mentre che il
    Principe marciava alla volta di Londra, la dissensione era scoppiata
    fra' suoi fautori. Mentre era ancor dubbio l'esito della impresa,
    egli con isquisito accorgimento aveva di leggieri chetato ogni
    dissenso. Ma dal dì in cui egli entrò trionfante nel palazzo di San
    Giacomo, ogni suo accorgimento tornò inefficace. La vittoria,
    liberando la nazione dalla paura della tirannide papale, gli aveva
    rapita di mano mezza la sua influenza. Vecchie antipatie, che
    sedaronsi mentre i Vescovi erano nella Torre, i Gesuiti in
    consiglio, i leali ecclesiastici a torme privati del loro pane, i
    leali gentiluomini a centinaia scacciati dalle Commissioni di pace,
    si ridestarono forti ed operose. Il realista raccapricciava pensando
    di trovarsi in lega con coloro ch'egli fino dalla sua giovinezza
    mortalmente odiava, coi vecchi capitani parlamentari che gli avevano
    devastate le ville, coi vecchi commissari parlamentari che gli
    avevano sequestrati i beni, con uomini che avevano in Rye House
    tramato il macello e capitanata la insurrezione delle contrade
    occidentali. Inoltre quella diletta Chiesa, per amore della quale
    egli, dopo una penosa lotta, aveva rotto il suo debito d'obbedienza
    verso il trono, era ella veramente salva? O l'aveva egli redenta da
    un nemico perchè rimanesse in preda ad un altro? I preti papisti, a
    dir vero, erano in esilio, nascosti, o imprigionati. Nessun Gesuita
    o Benedettino che avesse cara la vita osava mostrarsi vestito degli
    abiti dell'ordine suo. Ma i dottori presbiteriani e gl'Indipendenti
    andavano in processione a riverire il capo del governo, e venivano
    da lui accolti di buona grazia come i veri successori degli
    apostoli. Alcuni scismatici apertamente dicevano sperare che tosto
    sarebbe tolto via ogni ostacolo che gli escludeva da' beneficii
    ecclesiastici; che gli Articoli verrebbero mitigati, riformata la
    liturgia; non più festa il dì di Natale, non più digiuno il venerdì
    santo; canonici consacrati dal Vescovo, senza le bianche vestimenta,
    ministrerebbero nei cori delle cattedrali il pane e il vino
    eucaristico ai fedeli comodamente assisi ne' loro banchi. Il
    Principe certamente non era presbiteriano fanatico; ma per lo meno
    era Latitudinario: non aveva scrupolo di comunicarsi secondo il rito
    anglicano; ma non si dava pensiero intorno alla forma secondo la
    quale altri si comunicava. Era anco da temersi che la moglie fosse
    troppo imbevuta de' principii di lui. La coscienza della Principessa
    era diretta da Burnet. Ella aveva ascoltato predicatori appartenenti
    a diverse sètte protestanti. Aveva dianzi detto di non discernere
    differenza veruna tra la Chiesa anglicana e le altre Chiese
    riformate(1292). Era quindi necessario che i Cavalieri in cosiffatte
    circostanze seguissero lo esempio dato nel 1641 dai padri loro, si
    separassero dalle Testerotonde e dai settarii, e, nonostante tutti i
    falli del monarca ereditario, sostenessero la causa della ereditaria
    monarchia.
    
    La parte animata da questi sentimenti era numerosa e rispettabile.
    Comprendeva circa mezza la Camera de' Lordi, circa un terzo di
    quella de' Comuni, la maggior parte de' gentiluomini rurali, e
    almeno nove decimi del clero; ma era lacerata dalle dissensioni, e
    per ogni lato cinta di ostacoli.
    
    XXX. Una frazione di questo gran partito, frazione che era
    specialmente forte fra gli ecclesiastici, e della quale Sherlock era
    l'organo principale, voleva si aprissero pratiche d'accordo con
    Giacomo, che fosse invitato a ritornare a Whitehall a condizioni
    tali che pienamente rimanesse assicurata la costituzione civile ed
    ecclesiastica del Regno(1293). Egli è evidente che questo disegno,
    benchè fosse vigorosamente propugnato dal clero, era al tutto
    incompatibile con le dottrine per lunghi anni da esso insegnate.
    Veramente era un tentativo di aprire una via di mezzo dove non era
    spazio ad aprirla, di effettuare una concordia tra due cose che
    concordia non ammettevano, cioè tra la resistenza e la non
    resistenza. I Tory dapprima s'erano appoggiati al principio della
    non resistenza; ma la più parte di loro avevano abbandonato quel
    principio e non inchinavano a riabbracciarlo. I Cavalieri
    d'Inghilterra, come classe, erano stati così, direttamente o
    indirettamente, implicati nella ultima insurrezione contro il Re,
    che non potevano per vergogna parlare del sacro debito di obbedire a
    Nerone; nè volevano richiamare il Principe sotto il cui pessimo
    governo avevano cotanto sofferto, senza esigere da lui condizioni
    tali da rendergli impossibile ogni abuso di potere. Trovavansi
    quindi in falsa posizione. La loro antica teoria, vera o falsa che
    fosse, almeno era completa e coerente. Se era vera, dovevano
    immediatamente invitare il Re a tornare indietro e permettergli, ove
    così gli piacesse, di punire nel capo come rei di crimenlese Seymour
    e Danby, il Vescovo di Londra e quello di Bristol, ristabilire la
    Commissione ecclesiastica, riempiere la Chiesa di dignitari papisti,
    e porre lo esercito sotto il comando di ufficiali papisti. Ma se,
    come gli stessi Tory allora sembravano confessare, quella teoria era
    falsa, a che aprire pratiche d'accordo col Re? Se ammettevano
    ch'egli potesse legalmente essere privato del trono finchè non desse
    soddisfacenti guarentigie per la sicurtà della costituzione della
    Chiesa e dello Stato, non era agevole negare ch'egli potesse
    legalmente esserne privato per sempre. Imperocchè quale
    soddisfacente guarentigia poteva egli dare? Come era possibile
    formulare un Atto di Parlamento in termini più chiari di quelli in
    che erano espressi gli atti parlamentari, i quali ingiungevano che
    il Decano della Chiesa di Cristo fosse un protestante? Come era egli
    possibile esprimere una qualunque promessa con parole più energiche
    di quelle con le quali Giacomo aveva più volte dichiarato di
    rigorosamente rispettare i diritti del Clero Anglicano? Se legge od
    onore fossero stati bastevoli a vincolarlo, ei non sarebbe mai stato
    costretto a fuggire dal suo Regno. E non valendo onore o legge a
    vincolarlo, era savio provvedimento permettergli che ritornasse.
    
    XXXI. È possibile, non pertanto, che, malgrado i predetti argomenti,
    una proposta di aprire pratiche con Giacomo sarebbe stata fatta
    nella Convenzione e sostenuta da' Tory, ove egli in questa, come in
    qualsivoglia altra occasione, non fosse stato il peggiore nemico di
    sè stesso. Ogni corriere postale che giungeva a Londra da
    Saint-Germain, recava nuove tali da intiepidire lo ardore de' suoi
    partigiani. Ei non credeva valesse lo incomodo simulare
    rincrescimento de' passati errori o promessa di emendarsi. Pubblicò
    un Manifesto, nel quale diceva avere sempre posto ogni cura a
    governare con giustizia e moderazione i suoi popoli, e che essi
    ingannati da immaginari aggravi erano corsi da sè alla rovina(1294).
    La sua demenza ed ostinazione fece sì che coloro i quali più
    ardentemente desideravano riporlo sul trono ad eque condizioni,
    comprendessero che, proponendo in quel momento d'aprire pratiche con
    lui, danneggerebbero la causa che volevano propugnare. Deliberarono
    quindi di collegarsi con un'altra fazione di Tory capitanata da
    Sancroft. Questi credè avere trovato modo di provvedere al governo
    del paese senza richiamare Giacomo, non privandolo ad un tempo della
    sua Corona. Questo modo altro non era che istituire una Reggenza. I
    più ostinati di que' teologi che avevano inculcata la dottrina della
    obbedienza passiva non avevano mai sostenuto che siffatta obbedienza
    si dovesse prestare ad un bambino o a un demente. Era universalmente
    riconosciuto che, quando il legittimo Sovrano fosse
    intellettualmente incapace di esercitare il proprio ufficio, poteva
    deputarsi alcuno ad agire in sua vece, e che chiunque resistesse a
    cotesto deputato, e per iscusa allegasse il comando di un principe
    in fasce o demente, incorrerebbe giustamente nelle pene della
    ribellione. La stupidità, l'ostinatezza, e la superstizione - in
    questa guisa ragionava il Primate - avevano reso Giacomo inetto a
    reggere i propri dominii come un fanciullo in fasce, o un pazzo che
    nel Manicomio di Bedlam si giaccia sulla paglia digrignando i denti
    e dicendo scempie parole. Era dunque mestieri appigliarsi al
    provvedimento preso allorchè Enrico VI era infante, e una seconda
    volta abbracciato allorchè fu colpito da letargia. Giacomo non
    poteva esercitare l'ufficio di Re; ma doveva seguitare ad avere
    sembianza di Re. I decreti dovevano portare il suo nome, le monete e
    il Gran Sigillo essere segnati della immagine ed epigrafe di lui;
    gli Atti del Parlamento portare gli anni del suo regno. Ma il potere
    esecutivo doveva essergli tolto, ed affidato a un Reggente eletto
    dagli Stati del Reame. In questa guisa, sosteneva con gravità
    Sancroft, il popolo non mancherebbe al proprio debito, strettamente
    manterrebbe il giuramento di fedeltà prestato al suo Re; e i più
    ortodossi anglicani, senza il minimo scrupolo di coscienza,
    potrebbero esercitare gli uffici sotto il Reggente(1295).
    
    La opinione di Sancroft era di gran peso nel partito Tory e
    segnatamente nel clero. Una settimana innanzi il giorno stabilito al
    ragunarsi della Convenzione, una congrega di gravissimi uomini nel
    palazzo Lambeth, assistè alle preci nella cappella, desinò col
    Primate, e finalmente si strinse a consulta intorno alle pubbliche
    faccende. V'erano presenti cinque suffraganei dello Arcivescovo, i
    quali nella decorsa estate avevano secolui diviso i perigli e la
    gloria. I Conti di Clarendon e di Ailesbury rappresentavano i Tory
    secolari. Parve che unanimemente l'assemblea opinasse che coloro i
    quali avevano prestato a Giacomo il giuramento di fedeltà, potevano
    lecitamente negargli obbedienza; ma non potevano con sicurtà di
    coscienza chiamare chiunque altri si fosse col nome di
    Re(1296).  XXXII. In tal modo due frazioni del partito Tory,
    l'una che desiderava un accomodamento con Giacomo, l'altra che
    avversava tale accomodamento, concordarono a propugnare il disegno
    d'instituire una Reggenza. Ma una terza frazione, la quale comechè
    non fosse numerosa aveva gran peso e influenza, proponeva un assai
    diverso provvedimento. I capi di questa piccola schiera erano Danby
    e il Vescovo di Londra nella Camera de' Lordi, e Sir Roberto Sawyer
    in quella de' Comuni. Crederono d'avere trovato modo di fare una
    compiuta rivoluzione sotto forme rigorosamente legali. Dicevano
    essere contrario ad ogni principio che il Re venisse detronizzato
    da' suoi sudditi; nè v'era necessità di farlo. Fuggendo, egli aveva
    abdicato il suo potere e la sua dignità. Il trono doveva
    considerarsi come vacante; e tutti i giureconsulti costituzionali
    sostenevano che il trono d'Inghilterra non poteva esserlo nè anche
    un momento. E però il più prossimo erede era da reputarsi Sovrano.
    Ma chi era cotesto prossimo erede? Quanto al pargolo che era stato
    condotto in Francia, la sua venuta al mondo era accompagnata da
    molti sospetti. Era dovere verso gli altri membri della regale
    famiglia e verso la nazione che si rimovesse ogni dubbio. Guglielmo,
    a nome della Principessa d'Orange sua consorte, aveva solennemente
    dimandata una inchiesta, la quale sarebbe stata instituita se gli
    accusati di frode non si fossero appigliati ad un partito, che in
    qualunque caso ordinario sarebbe stato considerato come prova
    decisiva della colpa. Senza aspettare l'esito di un solenne processo
    parlamentare, se n'erano fuggiti in paese straniero, secoloro
    conducendo lo infante, e le cameriste francesi e italiane, le quali,
    ove ci fosse stato frode, avrebbero dovuto saperla, e quindi
    sarebbero state sottoposte a rigoroso controesame. Era impossibile
    ammettere il diritto del fanciullo senza avere compita la inchiesta;
    e coloro che si dicevano suoi genitori avevano resa ogni inchiesta
    impossibile. Era quindi mestieri reputarlo condannato in contumacia.
    Se ei pativa ingiustizia, ne avea colpa non la nazione, ma coloro la
    cui strana condotta al tempo della nascita di lui aveva giustificato
    la nazione a domandare una inchiesta, alla quale si sottrassero con
    la fuga. Per le quali cose poteva a buon diritto considerarsi come
    pretendente; e in tal modo la Corona rimaneva devoluta alla
    Principessa d'Orange. Essa era adunque di fatto Regina regnante.
    Alle Camere altro non rimaneva a fare che proclamarla. Ella poteva,
    se così le piacesse, nominare primo ministro il marito, e anche,
    assenziente il Parlamento, conferirgli il titolo di Re.
    
    Coloro, che preferivano questo disegno a qualunque altro, erano
    pochi; ed era sicuro che verrebbe avversato da tutti quei che
    tuttavia serbavano qualche affetto per Giacomo, e da tutti i
    partigiani di Guglielmo. Pure Danby, fidando nella pratica ch'egli
    aveva della tattica parlamentare, e sapendo quanto possa,
    ogniqualvolta i grandi partiti trovinsi a un dipresso bilanciati,
    una piccola schiera di dissenzienti, non disperava di tenere sospeso
    il resultato della contesa, finchè entrambi, Whig e Tory, non avendo
    più speranza di piena vittoria, e tementi gli effetti dello
    indugiare, lo lasciassero agire come arbitro. E non era impossibile
    che gli riuscisse, se i suoi sforzi fossero stati secondati, anzi
    non fossero stati frustrati da colei ch'egli desiderava inalzare al
    fastigio della umana grandezza. Per quanto egli avesse occhio
    veggente e pratica negli affari, ignorava affatto la indole di Maria
    e lo affetto ch'ella nutriva pel suo consorte; nè Compton antico
    precettore di lei era meglio informato. Guglielmo aveva modi secchi
    e freddi, inferma salute, indole punto blanda; non era uomo da fare
    supporre che potesse ispirare una violenta passione ad una giovane
    di ventisei anni. Sapevasi ch'egli non era stato sempre
    rigorosamente fedele alla propria moglie; e i ciarlieri andavano
    dicendo ch'ella non menava felice la vita in compagnia di lui. I più
    sottili politici, perciò, non sospettarono mai che con tutti i suoi
    falli egli regnasse sul cuore di lei con un impero che non ottennero
    mai sul cuore di nessuna donna principi rinomatissimi pei loro
    successi nelle faccende d'amore, come a modo d'esempio Francesco I
    ed Enrico IV, Luigi XIV e Carlo II, e che i tre regni aviti non
    fossero principalmente d'alcun valore agli occhi di lei, se non
    perchè, nel concederli allo sposo, poteva provargli quanto intenso e
    disinteressato era lo affetto ch'ella gli portava. Danby, affatto
    ignaro di coteste cose, le assicurò che egli avrebbe difesi i
    diritti di lei, e che, ove ella lo secondasse, sperava di porla sola
    sul trono(1297).
    
    XXXIII. La condotta de' Whig era semplice e ragionevole.
    Professavano il principio che il nostro Governo era essenzialmente
    un contratto formato per una parte dal giuramento di fedeltà, e per
    un'altra dal giuramento della incoronazione, e che i doveri imposti
    da tale contratto erano scambievoli. Credevano che un Sovrano il
    quale abusasse gravemente de' propri poteri, potesse essere
    legittimamente avversato dal suo popolo e privato del trono. Ciò
    posto, nessuno negava che Giacomo avesse fatto grave abuso del
    proprio potere; e tutto il partito Whig era pronto a dichiararlo
    decaduto. Se il Principe di Galles fosse o non fosse legittimo, non
    era subietto meritevole d'essere discusso. Per escluderlo dal trono
    ora esistevano ragioni più forti di quelle che si potessero dedurre
    dalla qualità di sua nascita. Un bambino introdotto di soppiatto nel
    regio talamo poteva forse riuscire buon Re d'Inghilterra. Ma non era
    possibile sperarlo trattandosi d'un bambino cresciuto e educato da
    un padre ch'era il più stupido ed ostinato dei tiranni, in un paese
    straniero, sede del dispotismo e della superstizione; in un paese
    dove gli ultimi vestigi della libertà erano scomparsi; dove gli
    Stati Generali avevano cessato di ragunarsi; dove i Parlamenti da
    lungo tempo registravano senza la più lieve rimostranza i più
    oppressivi editti del Sovrano; dove il valore, lo ingegno, la
    dottrina sembravano esistere solamente a fine d'ingrandire un solo
    uomo; dove l'adulazione era precipuo subietto alla stampa, al
    pulpito, alla scena; e dove uno de' precipui subietti della
    adulazione era la barbara persecuzione della Chiesa Riformata. Era
    egli verosimile che sotto cosiffatta tutela e in quella cotale
    situazione il fanciullo imparasse rispetto verso le istituzioni
    della sua terra natia? Poteva egli dubitarsi che crescerebbe per
    essere lo schiavo de' Gesuiti e de' Borboni, che avrebbe più
    sinistri pregiudicii - se pure ciò era possibile - che qualunque
    altro de' precedenti Stuardi contro le leggi della
    Inghilterra?  I Whig inoltre non pensavano, che, avuto riguardo
    alle attuali condizioni della patria, fosse opera in sè stessa
    inconvenevole dipartirsi dalla ordinaria regola della successione.
    Opinavano che finchè tale regola rimaneva in vigore, le dottrine
    dell'indestruttibile diritto ereditario e della obbedienza passiva
    piacerebbero alla Corte, verrebbero inculcate dal clero, e
    rimarrebbero abbarbicate nelle menti del popolo. Seguiterebbe a
    prevalere la idea che la dignità regia è ordinamento di Dio con
    significato diverso da quello che s'intende dicendo ogni altra
    specie di Governo essere ordinamento di Dio. Era chiaro che finchè
    questa superstizione non fosse spenta, la Costituzione non avrebbe
    mai sicurtà: imperocchè una monarchia veramente limitata non può
    lungo tempo durare in una società che consideri la monarchia come
    cosa divina, e le limitazioni come trovati umani. Perchè il
    principato esista in perfetta armonia con le libertà nostre, è
    mestieri che esso non possa mostrare un titolo più alto e venerando
    di quello onde noi possediamo le nostre libertà. Il Re va quinci
    innanzi considerato come magistrato, alto magistrato, a dir vero, e
    degno di somma onoranza, ma, al pari di tutti gli altri magistrati,
    soggetto alla legge, e derivante la potestà sua dal cielo in senso
    non diverso da quello che potrebbe intendersi dicendo che le Camere
    de' Lordi e dei Comuni derivano la potestà loro dal cielo. Il modo
    migliore a conseguire un così salutare cangiamento sarebbe quello
    d'interrompere il corso della successione. Sotto sovrani i quali
    reputassero a un dipresso alto tradimento il predicare la non
    resistenza e la teoria del governo patriarcale, sotto sovrani la cui
    autorità derivando dalle deliberazioni delle due Camere non
    s'inalzasse di sopra alla sua sorgente, vi sarebbe poco pericolo di
    patire oppressione simile a quella che aveva per due generazioni
    costretti gl'Inglesi a correre alle armi contro gli Stuardi. Per
    cotali ragionamenti i Whig erano apparecchiati a dichiarare vacante
    il trono, a provvedervi per mezzo della elezione, e imporre al
    Principe da loro scelto condizioni tali che fermamente tutelassero
    il paese contro il pessimo Governo.
    
    E oramai era arrivato il tempo di risolvere queste grandi questioni.
    All'alba del dì 22 gennaio la Camera de' Comuni era affollata di
    rappresentanti delle Contee e de' borghi. Sui banchi vedevansi molti
    visi ben noti in quel luogo sotto il regno di Carlo II, ma che non
    vi s'erano più veduti sotto il suo successore. Molti di quegli
    scudieri Tory, e di que' bisognosi dipendenti dalla Corte i quali
    erano stati eletti deputati al Parlamento del 1685, avevano dato
    luogo ad uomini dello antico partito patriottico, a coloro che
    avevano strappato di mano alla Cabala il potere, votato l'Atto
    dell'Habeas Corpus, e mandato alla Camera de' Lordi la Legge
    d'Esclusione. Fra essi era Powle, uomo profondamente versato nella
    storia e nelle leggi del Parlamento, e dotato di quella specie di
    eloquenza che si richiede ogni qualvolta gravi questioni si agitano
    dinanzi a un Senato; e Sir Tommaso Littleton, versato nella politica
    europea e dotato di forte e sottile logica, con la quale sovente,
    dopo una lunga seduta, accesi i lumi, aveva ridesta la stanca
    camera, e deciso dell'esito della discussione. Eravi anco Guglielmo
    Sacheverell, oratore, la cui somma abilità parlamentare molti anni
    dipoi era tema prediletto ai discorsi di quei vecchi che vissero
    tanto da vedere i conflitti di Walpole e di Pulteney(1298). Con
    questi illustri uomini vedevasi Sir Roberto Clayton, il più ricco
    mercatante di Londra, il cui palazzo nel Ghetto Vecchio vinceva per
    magnificenza le magioni aristocratiche di Lincoln's Inn Fields e di
    Covent Garden, la cui villa sorgente tra i colli di Surrey veniva
    descritta come un Eden, i cui banchetti gareggiavano con quelli de'
    Re, e la cui giudiciosa munificenza, della quale fanno tuttora
    testimonio molti pubblici monumenti, lo avevano reso degno di
    occupare negli annali della Città un posto secondo solamente a
    quello di Gresham. Nel Parlamento che nel 1681 si tenne in Oxford,
    Clayton, come rappresentante la metropoli e ad istanza de' suoi
    elettori, aveva chiesto licenza di presentare la Legge d'Esclusione,
    ed era stato secondato da Lord Russell.
    
    Nel 1685, la Città privata delle sue franchigie e governata dalle
    creature della Corte, aveva eletto quattro rappresentanti Tory. Ma
    ora le erano stati resi i perduti privilegi, ed aveva nuovamente
    eletto Clayton per acclamazione(1299). Nè deve tacersi di Giovanni
    Birch. Aveva incominciata la vita facendo il carrettiere, ma nelle
    guerre civili, lasciato il suo baroccio, si era fatto soldato, e
    inalzato al grado di Colonnello nello esercito della repubblica,
    aveva in alti uffici fiscali mostrato grande ingegno per gli affari,
    e comechè serbasse fino allo estremo suo dì i ruvidi modi del
    dialetto plebeo della sua giovinezza, mercè il suo vigoroso buon
    senso e il suo naturale acume, erasi acquistato tanta reputazione
    nella Camera de' Comuni da essere considerato qual formidabile
    avversario da' più compiti oratori del suo tempo(1300). Questi erano
    i più cospicui fra' veterani, i quali dopo un lungo ritiro
    ritornavano alla vita pubblica. Ma tosto furono vinti da due giovani
    Whig, i quali in cotesto solenne giorno sedevano per la prima volta
    nella Camera; inalzaronsi poi ai più alti onori dello Stato, fecero
    fronte alle più feroci procelle delle fazioni, ed avendo per lungo
    tempo goduta somma rinomanza di statisti, d'oratori, e di magnifici
    protettori degl'ingegni e del sapere, morirono nello spazio di pochi
    mesi, tosto dopo che la Casa di Brunswick ascese al trono
    d'Inghilterra. Costoro chiamavansi Carlo Montague e Giovanni Somers.
    
    È d'uopo fare menzione d'un altro nome, d'un nome allora noto a un
    piccolo drappello di filosofi, ma adesso pronunciato di là dal Gange
    e dal Mississipì con riverenza maggiore di quella che il mondo
    tributa alla memoria dei grandissimi guerrieri e regnatori. Fra la
    folla dei rappresentanti che stavansi in silenzio vedevasi la
    maestosa e pensosa fronte d'Isacco Newton. La famosa Università
    sulla quale il genio di lui aveva già incominciato ad imprimere un
    carattere peculiare, tuttora chiaramente visibile dopo lo spazio di
    centosessanta anni, lo aveva mandato suo rappresentante alla
    Convenzione; ed egli vi sedeva nella sua modesta grandezza, discreto
    ma incrollabile amico della libertà civile e religiosa.
    
    XXXIV. Il primo atto della Convenzione fu quello di eleggere un
    Presidente; e la elezione da essa fatta indicò manifestissimamente
    la opinione che aveva rispetto alle grandi questioni che doveva
    risolvere. Fino alla vigilia dell'apertura delle Camere era bene
    inteso che Seymour sarebbe chiamato al seggio presidenziale. Ei lo
    aveva già per vari anni occupato, aveva titoli insigni e diversi a
    quella onorificenza, nobiltà di sangue, opulenza, sapere,
    esperienza, facondia. Aveva da lunghi anni capitanato una potente
    schiera di rappresentanti delle Contee occidentali. Benchè fosse
    Tory, nell'ultimo Parlamento s'era messo con notevole abilità e
    coraggio, a capo della opposizione contro il papismo e la tirannide.
    Era uno de' gentiluomini che primi accorsero al quartiere generale
    degli Olandesi in Exeter, e aveva formata quella lega, per vigore
    della quale i fautori del Principe s'erano vicendevolmente vincolati
    a vincere o morire insieme. Ma poche ore innanzi l'apertura delle
    Camere, corse la voce che Seymour era avverso a dichiarare vacante
    il trono. Appena, quindi, i banchi furono ripieni, il Conte di
    Wiltshire, che rappresentava la Contea di Hamp, levossi e propose
    Powle a presidente. Sir Vere Fane, rappresentante di Kent, secondò
    la proposta. Poteva farsi una ragionevole obiezione, perocchè si
    sapeva che una petizione doveva essere presentata contro la elezione
    di Powle; ma il grido generale della Camera lo chiamò al seggio; e i
    Tory reputarono prudente assentire(1301). Il bastone fu quindi posto
    sul banco; si lesse la lista de' rappresentanti, e i nomi di coloro
    che mancavano furono notati.
    
    Intanto i Pari, in numero di circa cento, s'erano adunati, avevano
    eletto Halifax a presidente, e nominato vari reputati giureconsulti
    a fare l'ufficio che negli ordinari Parlamenti spetta ai Giudici.
    Per tutto quel giorno vi fu frequente comunicazione tra le due
    Camere. Furono d'accordo a pregare il Principe seguitasse ad
    amministrare il governo finchè gli farebbero sapere le deliberazioni
    loro, a significargli la loro gratitudine d'avere egli, con l'aiuto
    di Dio, liberata la nazione, e a stabilire che il 31 gennaio si
    osservasse come giorno di ringraziamento per la
    liberazione(1302).  Fin qui non era differenza alcuna di
    opinione: ma ambedue le parti apparecchiavansi alla lotta. I Tory
    erano forti nella Camera Alta, e deboli nella Bassa; e s'accorgevano
    che in quella congiuntura la Camera che fosse prima a prendere una
    risoluzione avrebbe gran vantaggio sopra l'altra. Non v'era la più
    lieve probabilità che i Comuni mandassero ai Lordi un voto a favore
    del disegno d'istituire una Reggenza: ma ove tal voto dai Lordi
    fosse mandato ai Comuni, non era onninamente impossibile che molti
    rappresentanti, anco Whig, inchinassero ad assentire più presto che
    incorrere nella grave responsabilità di far nascere discordia e
    indugio in una crisi che richiedeva unione e prestezza. I Comuni
    avevano deliberato che lunedì 28 di gennaio prenderebbero in
    considerazione le condizioni del paese. I Lordi Tory, perciò,
    proposero di discutere, nel venerdì 25, intorno al grande affare pel
    quale erano stati convocati. Ma le cagioni che a ciò li movevano
    furono chiaramente conosciute, e la loro tattica frustrata da
    Halifax, il quale dopo il suo ritorno da Hungerford aveva sempre
    veduto che il governo poteva riordinarsi solo a seconda de'
    principii de' Whig, e però s'era temporaneamente con costoro
    collegato. Devonshire propose che il martedì 29 fosse il giorno
    stabilito. "Allora" disse egli con più verità che discernimento
    "potrebbe venirci dalla Camera Bassa qualche lume che ci servisse di
    guida." La proposta fu approvata: ma le sue parole vennero
    severamente censurate da alcuni de' suoi confratelli come offensive
    alla dignità dell'ordine loro(1303).
    
    XXXV. Il dì 28 i Comuni si formarono in Comitato generale. Un
    rappresentante, il quale trenta e più anni innanzi era stato uno de'
    Lordi di Cromwell, voglio dire Riccardo Hampden figlio dello
    illustre condottiero delle Testerotonde e padre dello sventurato
    gentiluomo, il quale con dispendiosi donativi ed abiette sommissioni
    aveva a mala pena campata la vita dalla vendetta di Giacomo, fu
    posto nel seggio; e il grande dibattimento ebbe principio.
    
    In breve ora si vide che da una immensa maggioranza Giacomo non era
    più considerato come Re. Gilberto Dolben, figlio dello Arcivescovo
    di York, fu il primo a dichiarare la propria opinione. Fu sostenuto
    da molti, e in ispecie dallo audace e virulento Wharton; da Sawyer,
    il quale, facendo vigorosa opposizione alla potestà di dispensare,
    aveva in alcun modo scontato le antiche colpe; da Maynard, la cui
    voce, quantunque fosse cotanto fievole per la età da non giungere ai
    banchi distanti, imponeva tuttavia riverenza a tutti i partiti, e da
    Somers, che nella Sala del Parlamento mostrò per la prima volta in
    quel giorno luminosa eloquenza e svariata erudizione. Sir Guglielmo
    Williams con la sua fronte di bronzo e la sua lingua volubile
    sosteneva la predetta opinione. Era già stato profondamente
    implicato in tutti gli eccessi d'una pessima opposizione e d'un
    pessimo governo. Aveva perseguitati gl'innocenti papisti e i
    protestanti innocenti; era stato protettore d'Oates e strumento di
    Petre. Il suo nome era associato con una sediziosa violenza che
    tutti i rispettabili Whig con rincrescimento e vergogna ricordavano,
    e con gli eccessi del dispotismo aborriti dai Tory rispettabili. Non
    è facile intendere in che modo gli uomini possano vivere sotto il
    pondo di cotanta infamia: ma anche tanta infamia non bastava ad
    opprimere Williams. Non arrossì di vituperare il caduto padrone, al
    quale erasi venduto per far cose tali che nessun uomo onesto del
    ceto legale avrebbe mai fatte, e dal quale dopo sei mesi aveva
    ricevuta la dignità di baronetto come ricompensa di servilità.
    
    Tre soli si rischiarono di opporsi a quella che evidentemente era
    opinione universale di tutta l'assemblea. Sir Cristoforo Musgrave,
    gentiluomo Tory di gran conto ed abilità, espresse alcuni dubbi.
    Heneage Finch si lasciò uscire di bocca alcune parole, le quali
    erano intese a insinuare si aprissero pratiche col Re. Questo
    suggerimento fu così male accolto, ch'egli fu costretto a spiegarsi.
    Protestò d'essere stato frainteso(1304), esser convinto che sotto un
    tale Principe non sarebbero sicure la religione, la libertà, le
    sostanze; richiamare Re Giacomo e secolui trattare, essere un fatale
    provvedimento; ma molti che non consentivano ch'egli esercitasse la
    potestà regia, scrupoleggiare nel volerlo privare del regio titolo.
    L'unico espediente che poteva far cessare ogni difficoltà era
    l'istituire una Reggenza. La proposta piacque sì poco che Finch non
    ebbe animo di chiedere si ponesse ai voti. Riccardo Fanshaw,
    Visconte Fanshaw del Regno d'Irlanda, disse poche parole a favore di
    Giacomo e propose la discussione si aggiornasse; ma la proposta
    provocò universale riprovazione. I rappresentanti, l'uno dopo
    l'altro, affaccendavansi a mostrare la importanza del far presto.
    Dicevano i momenti essere preziosi, intensa la pubblica ansietà,
    sospeso il commercio. La minoranza con tristo animo si sobbarcò,
    lasciando che il partito predominante procedesse per la intrapresa
    via.
    
    XXXVI. Quale sarebbe stata questa via non si poteva chiaramente
    conoscere: avvegnachè la maggioranza si componesse di due classi
    d'uomini. Gli uni erano ardenti e virulenti Whig, i quali ove
    fossero lasciati liberi d'ogni intoppo avrebbero dato ai
    procedimenti della Convenzione un carattere affatto rivoluzionario.
    Gli altri ammettevano la necessità d'una rivoluzione, ma la
    consideravano come un necessario male, e desideravano mascherarla,
    per quanto fosse possibile, con la sembianza della legittimità. I
    primi richiedevano si riconoscesse distintamente nei sudditi il
    diritto di detronizzare i principi; i secondi desideravano di
    liberare la patria da un cattivo principe senza promulgare alcun
    principio di cui si potesse fare abuso a fine di indebolire la
    giusta e salutare autorità de' futuri monarchi. Gli uni discorrevano
    principalmente del mal governo del Re; gli altri della sua fuga.
    Quegli lo consideravano come decaduto; questi pensavano ch'egli
    avesse abdicato. Non era agevole formulare un pensiero in modo da
    essere approvato da coloro il cui assenso era importante; ma in fine
    dei molti suggerimenti che si facevano da tutte le parti, formarono
    una deliberazione che riuscì a tutti soddisfacente. Fu proposto si
    dichiarasse, che il Re Giacomo II, intento a distruggere la
    Costituzione del Regno, rompendo il primitivo contratto tra Re e
    popolo, e pei consigli de' Gesuiti e di altri malvagi uomini avendo
    violato le leggi fondamentali, ed essendo fuggito dal Regno, aveva
    abdicato il governo, per la quale cosa il trono era divenuto
    vacante.
    
    Questa deliberazione è stata spesso sottoposta a critica sottile e
    severa quanto non lo fu mai sentenza alcuna scritta dalla mano
    dell'uomo: e forse non vi fu mai sentenza umana che sia meno
    meritevole di siffatta critica. Che un Re facendo grave abuso del
    proprio potere possa perderlo, è vero. Che un Re che fugga senza
    provvedere al Governo e lasci i suoi popoli in istato d'anarchia,
    possa senza molta stiracchiatura di parole considerarsi come colui
    che ha abdicato anche il suo ufficio, è pur vero. Ma nessuno
    scrittore accurato affermerebbe che il tristo governo lungamente
    continuato e la diserzione, congiunti insieme, costituiscano un atto
    d'abdicazione. È del pari evidente che il rammentare i Gesuiti e gli
    altri sinistri consiglieri di Giacomo indebolisce, invece di
    afforzare, il caso contro lui. Perciocchè certo e' si deve maggiore
    indulgenza ad un uomo traviato da perniciosi consigli, che ad un
    uomo il quale per semplice tendenza di sua indole commetta il male.
    Non importa ciò nonostante esaminare coteste memorande parole come
    esamineremmo un capitolo d'Aristotele o di Hobbes; esse vanno
    considerate non come parole, ma come fatti. Se producono ciò che
    devono, sono ragionevoli ancorchè possano sembrare contradittorie.
    Se falliscono al fine loro, sono assurde quando anche avessero la
    evidenza d'una dimostrazione. La logica non transige. La politica
    consiste essenzialmente nella transazione. Non è quindi cosa strana
    che alcuni de' più importanti e utili documenti del mondo si
    annoverino fra i componimenti più illogici che sieno stati mai
    scritti. Lo scopo di Somers, di Maynard e degli altri cospicui
    uomini che formularono quella celebre proposta, fu non di lasciare
    alla posterità un modello di definizione e di partizione, ma di
    rendere impossibile la ristaurazione d'un tiranno, e porre sul trono
    un Sovrano sotto il quale le leggi e la libertà non pericolassero.
    Questo scopo conseguirono adoperando un linguaggio che in un
    trattato filosofico verrebbe equamente tacciato di inesattezza e
    confusione. Poco badavano se la maggiore concordasse con la
    conclusione, mentre l'una procacciava loro duecento voti, e la
    conclusione altrettanti. Infatti la sola bellezza di quella
    deliberazione consiste nella sua incoerenza. Conteneva una frase
    atta a satisfare ogni frazione della maggioranza. Il rammentare il
    primitivo contratto piaceva ai discepoli di Sidney. La parola
    abdicazione appagava i politici d'una più timida scuola. Erano senza
    dubbio molti fervidi protestanti i quali rimanevano soddisfatti
    della censura gettata su' Gesuiti. Pel vero uomo di Stato la sola
    clausula importante era quella che dichiarava vacante il trono; e
    ove ei potesse farla abbracciare, poco gl'importava il preambolo. La
    forza che in tal modo trovossi raccolta rese disperata ogni
    resistenza. La proposta venne adottata senza voto dalla Commissione.
    Fu ordinato di farne in sull'istante la relazione. Powle ritornò al
    seggio; il bastone fu posto sul banco: Hampden lesse, la Camera
    assentì alla relazione, e gli ordinò la portasse alla Camera de'
    Lordi(1305).
    
    La dimane i Lordi ragunaronsi a buon'ora. I banchi de' Pari sì
    spirituali che secolari erano affollati. Hampden comparve alla
    sbarra e pose la deliberazione de' Comuni nelle mani di Halifax. La
    Camera Alta si formò in Comitato, e Danby fu fatto presidente.
    
    La discussione fu poco dopo interrotta da Hampden che ritornava con
    un altro messaggio. La Camera riprese la seduta: fu annunziato che i
    Comuni avevano reputato incompatibile con la sicurezza e col bene di
    questa nazione protestante l'essere governata da un Re papista. A
    questa deliberazione, evidentemente inconciliabile con la dottrina
    dello indestruttibile diritto ereditario, i Pari dettero immediato e
    unanime assenso. Questo principio in tal guisa affermato, da allora
    fino ad oggi è stato tenuto sacro da tutti gli statisti protestanti,
    e da tutti i cattolici ragionevoli non è stato creduto soggetto ad
    obiezioni. Se i nostri sovrani fossero al pari del presidente degli
    Stati Uniti, semplici ufficiali civili, non sarebbe facile difendere
    tale restrizione. Ma dacchè alla Corona inglese è annessa la qualità
    di capo della Chiesa Anglicana, non v'è intolleranza nel dire che
    una Chiesa non dovrebbe essere soggetta ad un capo che la consideri
    come scismatica ed eretica(1306).
    
    Dopo questa breve interruzione i Lordi nuovamente formaronsi in
    Comitato. I Tory insistevano perchè il loro disegno si discutesse
    prima che venisse preso in considerazione il voto dei Comuni che
    dichiarava vacante il trono. Ciò fu loro concesso; e fu posta la
    questione se una Reggenza, esercitando il regio potere, vita durante
    di Giacomo, ed in suo nome, sarebbe il migliore espediente a salvare
    le leggi e la libertà della nazione.
    
    La disputa fu lunga ed animata. I principali propugnatori della
    Reggenza erano Rochester e Nottingham. Halifax e Danby difendevano
    la contraria opinione. Il Primate - strano a dirsi! - non comparve,
    quantunque i Tory vivamente lo importunassero perchè si ponesse a
    capo loro. La sua assenza gli provocò contro molte aspre censure; e
    gli stessi suoi apologisti non hanno potuto addurre alcuna ragione
    che lo purghi del biasimo(1307). Era egli l'autore del disegno
    d'istituire una Reggenza. Pochi giorni innanzi in un foglio scritto
    di sua mano aveva asserito quel disegno essere manifestamente il
    migliore che si potesse trovare. Le deliberazioni dei Lordi i quali
    lo sostenevano avevano avuto luogo in casa di lui. Era suo debito
    dichiarare in pubblico i propri intendimenti. Nessuno potrebbe
    tenerlo in sospetto di codardia o di volgare cupidigia. E' fu
    probabilmente per paura di far male in cosa di tanto momento ch'egli
    non fece nulla; ma avrebbe dovuto sapere che un uomo nella sua
    posizione, non facendo nulla, faceva male. Un uomo che abbia
    scrupolo di assumere grave responsabilità in una solenne crisi,
    dovrebbe averlo parimenti ad accettare l'ufficio di primo ministro
    della Chiesa e primo Pari del Regno.
    
    Non è strana cosa, nondimeno, che la mente di Sancroft non fosse
    tranquilla; imperocchè egli non poteva essere tanto cieco da non
    vedere che il disegno da lui agli amici suoi proposto era
    estremamente incompatibile con tutto ciò che egli e i suoi
    confratelli avevano per molti anni insegnato. Che il Re avesse
    diritto divino e indistruttibile al potere regio, e che al potere
    regio, anche quando ne venga fatto enorme abuso, non si potesse
    senza peccato opporre resistenza, era dottrina della quale la Chiesa
    Anglicana andava da lunghi anni orgogliosa. Questa dottrina
    significava ella in que' tempi che il Re aveva un divino e
    indistruttibile diritto ad avere la effigie e il nome suo intagliati
    sopra un sigillo, che doveva quotidianamente adoperarsi, suo
    malgrado, onde apprestare ai suoi nemici i mezzi di fargli la
    guerra, e mandare gli amici di lui alle forche come rei di avergli
    obbedito? Tutto il debito di un buon suddito consisteva egli
    nell'usare il vocabolo Re? Così essendo, Fairfax in Naseby e
    Bradshau nell'Alta Corte di Giustizia avevano adempito tutti i
    doveri di buoni sudditi: imperciocchè Carlo dai Generali che gli
    guerreggiavano contro, ed anche da' giudici che lo condannarono,
    veniva chiamato Re. Nulla nella condotta del Lungo Parlamento era
    stato più severamente biasimato dalla Chiesa che l'ingegnoso
    artificio di usare il nome di Carlo contro Carlo stesso. A ciascuno
    de' ministri della Chiesa era stato imposto di firmare una
    dichiarazione che condannava come proditoria la finzione onde
    l'autorità del Sovrano veniva separata dalla sua persona(1308).
    Eppure cotesta proditoria finzione era adesso considerata dal
    Primate e da' suoi suffraganei come la sola base sopra la quale, in
    stretta uniformità ai principii del Cristianesimo, si potesse
    erigere un governo.
    
    La distinzione che Sancroft aveva preso dalle Testerotonde della
    precedente generazione, sovvertiva dalle fondamenta il sistema
    politico che la Chiesa e le Università pretendevano avere imparato
    da' libri di San Paolo. Lo Spirito Santo - era stato le mille volte
    ridetto - aveva comandato ai Romani d'obbedire a Nerone. Ed ora
    parea che tale precetto significasse che i Romani dovessero chiamare
    Nerone Augusto. Erano perfettamente liberi di cacciarlo oltre
    l'Eufrate, mandarlo a mendicare fra' Parti, opporgli la forza ove
    avesse tentato di ritornare, punire tutti coloro che osassero
    aiutarlo e tenere con lui corrispondenza, e concedere la potestà
    tribunizia e la consolare, la presidenza del Senato e il comando
    delle Legioni a Galba o a Vespasiano.
    
    L'analogia che lo Arcivescovo immaginò d'avere scoperta tra il caso
    di un Re perverso e quello di un Re maniaco non è degna del più
    lieve esame. Era chiaro non trovarsi Giacomo in quello stato di
    mente in cui, ove egli fosse stato un gentiluomo rurale o un
    mercatante, qualunque tribunale lo avrebbe dichiarato inetto a fare
    un contratto o un testamento. Egli era dissennato nel modo che lo
    sono tutti i Re malvagi; come era Carlo I quando andò ad arrestare i
    cinque rappresentanti de' Comuni; Carlo II quando concluse il
    trattato di Dover. Se questa sorte d'infermità mentale non
    giustifica i sudditi che negano d'obbedire ai principi, il disegno
    d'istituire una Reggenza era evidentemente inammissibile; se
    giustifica i sudditi che negano d'obbedire ai principi, la dottrina
    della non resistenza era pienamente rovesciata; e tutto ciò per cui
    ogni moderato Whig aveva lottato trovavasi pienamente ammesso.
    
    Quanto al giuramento di fedeltà, pel quale Sancroft e i suoi
    discepoli provavano tanta ansietà, una cosa almeno è chiara, cioè
    che, chiunque avesse ragione, essi avevano torto. I Whig pensavano
    che nel giuramento d'obbedienza erano sottintese certe condizioni,
    che il Re le aveva violate, e quindi il giuramento era divenuto
    nullo. Ma se la dottrina de' Whig era falsa, se il giuramento
    seguitava ad essere obbligatorio, potevano veramente credere gli
    uomini assennati che votando la Reggenza scanserebbero la colpa di
    spergiuri? Potevano essi affermare che rimanevano veramente fidi a
    Giacomo mentre, in onta alle proteste ch'egli faceva al cospetto di
    tutta Europa, essi davano ad altri la potestà di riscuotere la
    pubblica pecunia, convocare e prorogare il Parlamento, creare Duchi
    e Conti, nominare Vescovi e Giudici, graziare i rei, comandare le
    forze dello Stato, e concludere trattati con le Potenze straniere?
    Aveva egli il Pascal potuto trovare, in tutte le frenesie de'
    casisti gesuiti, un sofisma più spregevole di quello che adesso, a
    quanto parea, bastava a calmare le coscienze de' Padri della Chiesa
    Anglicana?
    
    Era evidentissimo che il disegno d'instituire una Reggenza non si
    poteva difendere che coi principii dei Whig. Tra i ragionatori che
    sostenevano quel disegno e la maggioranza della Camera de' Comuni
    non vi poteva essere disputa circa la questione del diritto. E' non
    rimaneva altro che la questione dell'utilità. E poteva un grave uomo
    di Stato pretendere essere utile costituire un governo con due capi,
    dando ad uno il regio potere senza la dignità regia, e all'altro la
    dignità regia senza il regio potere? Era chiaro che un simile
    ordinamento, anche reso necessario dalla infanzia o dalla demenza
    del Principe, recava seco gravissimi inconvenienti. Che i tempi di
    Reggenza fossero tempi di debolezza, di perturbamenti e di disastri,
    era verità provata dalla intera storia d'Inghilterra, di Francia, e
    di Scozia, ed era quasi divenuta proverbio. Pure, in un caso
    d'infanzia o di demenza, il Re per lo meno era passivo. Non poteva
    di fatto controbilanciare il Reggente. Ciò che ora proponevasi era
    che la Inghilterra avesse due primi magistrati d'età matura e di
    mente sana, che vicendevolmente si facessero implacabile guerra. Era
    assurdo discorrere di lasciare a Giacomo il nudo nome di Re e
    privarlo al tutto del potere regio; perocchè il nome era parte di
    quel potere; il vocabolo Re era parola di prestigio. Nella mente di
    molti Inglesi era congiunto con la idea di un carattere misterioso
    derivato dal cielo, e nella mente di quasi tutti gl'Inglesi con la
    idea di autorità legittima e veneranda. Certo se il titolo aveva
    tanto potere, coloro i quali sostenevano che Giacomo dovesse essere
    privato d'ogni potere, non potevano negare ch'egli dovesse essere
    privato del titolo.
    
    E fino a quando doveva egli durare lo strano governo proposto da
    Sancroft? Tutti gli argomenti che potevano addursi per istituirlo,
    si potevano con uguale forza addurre per mantenerlo sino alla fine
    de' secoli. Se il pargoletto trasportato in Francia era veramente
    nato dalla Regina, doveva ereditare il divino e inalienabile diritto
    di essere chiamato Re. Il medesimo diritto probabilmente sarebbe
    stato trasmesso di papista in papista per gl'interi secoli
    decimottavo e decimonono. Ambo le Camere avevano ad unanimità
    deliberato non dovere la Inghilterra essere governata da un papista.
    Poteva quindi darsi che di generazione in generazione il governo
    seguitasse ad essere amministrato da Reggenti a nome di Re raminghi
    e mendicanti. Non era dubbio che i Reggenti dovessero essere eletti
    dal Parlamento. Lo effetto, dunque, di questo disegno, trovato a
    serbare intatto il sacro principio della monarchia ereditaria,
    sarebbe stato quello di rendere elettiva la monarchia.
    
    Un'altra invincibile ragione fu addotta contro il disegno di
    Sancroft. Era nel libro degli Statuti una legge fatta tosto dopo la
    lunga e sanguinosa contesa tra la Casa di York e quella di
    Lancaster, a fine d'evitare che si rinnovassero le calamità che le
    vicendevoli vittorie delle predette Case avevano cagionato ai Nobili
    e gentiluomini del reame. Questa legge provvedeva che niuno,
    aderendo al Re in possesso del trono, incorrerebbe nelle pene di
    tradigione. Allorquando i regicidi furono processati dopo la
    Restaurazione, taluni di loro insisterono per essere giudicati
    secondo quella legge. Dicevano d'avere obbedito al governo esistente
    di fatto, e però non essere traditori. I giudici ammisero che tale
    difesa sarebbe stata buona ove gli accusati avessero agito sotto
    l'autorità di un usurpatore, il quale, come Enrico IV e Riccardo
    III, portasse il titolo di Re, ma dichiararono che non poteva
    giovare ad uomini i quali accusarono, condannarono e giustiziarono
    uno che nell'atto dell'accusa, della sentenza e della esecuzione,
    era designato col nome di Re. Ne seguiva quindi che chiunque
    sostenesse un Reggente in opposizione a Giacomo, correrebbe gran
    rischio di essere impiccato, trascinato e squartato, ove Giacomo
    ricuperasse il potere sovrano; ma nessuno, senza violare la legge in
    modo tale che forse nè anche Jeffreys si rischierebbe ad usare,
    potrebbe essere punito aderendo ad un Re che regnava, quantunque
    contro ogni diritto, in Whitehall contro un Re legittimo il quale
    era esule in Saint-Germain(1309).
    
    E' pare che i sopra esposti argomenti non ammettessero risposta; e
    furono energicamente addotti da Danby il quale aveva arte
    maravigliosa a rendere chiara alla più torpida mente ogni cosa ch'ei
    prendeva a dimostrare, e da Halifax il quale per abbondanza di
    concetti e splendore di locuzione non era pareggiato da nessuno fra
    gli oratori di quella età. Nondimeno erano così potenti e numerosi i
    Tory nella Camera Alta, che, nonostante la debolezza della causa
    loro, la diserzione del loro capo, e l'abilità de' loro oppositori,
    furono presso a trionfare in quel giorno. I votanti erano cento.
    Quarantanove votarono per la Reggenza, cinquantuno contro. Colla
    minoranza erano i figli naturali di Carlo, i cognati di Giacomo, i
    Duchi di Somerset e d'Ormond, lo Arcivescovo di York e undici
    vescovi. Nessuno de' prelati, salvo Compton e Trelawney, votò con la
    maggioranza(1310).
    
    Erano vicine le ore nove della sera quando fu levata la seduta nella
    Camera de' Lordi. Il dì che seguiva era il 30 gennaio, anniversario
    della morte di Carlo I. Il clero anglicano per molti anni aveva
    reputato debito sacro inculcare in quel giorno le dottrine della non
    resistenza e della obbedienza passiva. Ora i suoi vecchi sermoni
    giovavano poco; e molti teologi perfino dubitavano se potessero
    rischiarsi a leggere per intero la liturgia. La Camera Bassa aveva
    dichiarato vacante il trono. L'Alta non aveva per anche espressa
    alcuna opinione. Non era quindi facile cosa decidere se si dovessero
    recitare le preci pel Sovrano. Ogni ministro nel compiere i divini
    uffici seguì il proprio talento. Nella più parte delle chiese della
    metropoli le preghiere per Giacomo furono omesse: ma in Santa
    Margherita, Sharp Decano di Norwich, richiesto di predicare dinanzi
    ai Comuni, non solo lesse in faccia a loro l'intero servizio come
    era scritto nel libro, ma prima di incominciare il sermone invocò
    con sue proprie parole il cielo perchè benedicesse il Re, e verso la
    fine del suo discorso declamò contro la dottrina gesuitica che
    insegnava potere i principi essere legalmente detronizzati dai loro
    sudditi. Quel dì stesso il Presidente alla Camera mosse querela di
    tal affronto dicendo: "Voi un giorno votate un provvedimento, e il
    dì dopo viene contraddetto dal pulpito al cospetto vostro." Sharp fu
    energicamente difeso dai Tory, e trovò amici anche fra' Whig:
    imperocchè rammentavano tuttavia ch'egli aveva corso gravissimo
    pericolo allorquando nei tristi tempi ebbe il coraggio, malgrado il
    divieto del Re, di predicare contro il papismo. Sir Cristoforo
    Musgrave ingegnosissimamente notò non avere la Camera ordinato la
    pubblicazione della deliberazione che dichiarava vacante il trono.
    Sharp adunque non solo non era tenuto a saperla, ma non ne avrebbe
    potuto parlare senza violare i privilegi parlamentari, pel quale
    attentato avrebbe corso rischio di essere chiamato alla sbarra e
    prostrato sulle proprie ginocchia sostenere una riprensione. La
    maggioranza conobbe non essere savio partito in quel momento
    attaccar lite col clero; e troncò la questione(1311).
    
    Mentre i Comuni discutevano intorno al sermone di Sharp, i Lordi si
    erano di nuovo costituiti in Comitato per considerare le condizioni
    del paese, ed avevano ordinato che venisse paragrafo per paragrafo
    letta la deliberazione che dichiarava vacante il trono.
    
    La prima espressione che fece nascere una disputa era dove si
    ammetteva il contratto originale tra Re e popolo. Non era da
    aspettarsi che i Pari Tory lasciassero passare una frase che
    conteneva la quintessenza delle opinioni de' Whig. Si venne ai voti;
    e risultò con cinquantatre favorevoli sopra quarantasei contrari che
    le controverse parole rimarrebbero.
    
    Presero poscia in considerazione il severo biasimo che i Comuni
    avevano dato al governo di Giacomo e fu unanimemente approvato.
    Sorse qualche obiezione verbale contro la proposizione in cui si
    affermava che Giacomo aveva abdicato. Fu proposto si correggesse con
    dire ch'egli aveva abbandonato il Governo. Questa emenda fu
    abbracciata, a quanto sembra, quasi senza dibattimento nè votazione.
    Essendo già tardi, i Lordi aggiornarono la tornata(1312).
    
    XXXVII. Fin qui la piccola schiera dei Pari, guidati da Danby, aveva
    agito d'accordo con Halifax e coi Whig. Tale unione aveva fatto sì
    che il disegno d'instituire una Reggenza era stato rigettato, ed
    abbracciata la dottrina del contratto originale. La proposizione che
    Giacomo aveva cessato d'essere Re era stata il punto di congiunzione
    de' due partiti che formavano la maggioranza. Ma da quel punto l'uno
    dall'altro divergeva. La questione che doveva poscia risolversi era,
    se il trono fosse da considerarsi vacante; questione non di semplici
    parole, ma di grave importanza pratica. Se il trono era vacante, gli
    Stati del reame potevano darlo a Guglielmo. Se non era vacante, ei
    poteva succedere soltanto dopo la sua consorte, la Principessa Anna
    e i discendenti di lei.
    
    Secondo i seguaci di Danby era massima stabilita non potere la
    patria nostra nemmeno per un istante trovarsi senza legittimo
    Principe. L'uomo poteva morire; ma il magistrato era immortale.
    L'uomo poteva abdicare; ma il magistrato era irremovibile. Se noi -
    ragionavano essi - una volta ammettiamo il trono essere vacante,
    ammettiamo che la nostra monarchia è elettiva. Il monarca che vi
    poniamo diventa un Sovrano non secondo la forma d'Inghilterra, ma
    secondo quella di Polonia. Quando anche scegliessimo l'individuo
    stesso destinato a regnare per diritto di nascita, quell'individuo
    tuttavia regnerebbe non per diritto di nascita, ma per virtù della
    nostra elezione, e prenderebbe come dono ciò che dovrebbe
    considerarsi retaggio. La salutare riverenza tributata finora al
    sangue regio e all'ordine della primogenitura verrebbe grandemente
    scemata. Il male si farebbe anco maggiore se noi non solo dessimo il
    trono per elezione; ma lo dessimo a un principe il quale
    indubitatamente avesse i requisiti di un grande ed ottimo regnatore,
    e il quale ci avesse maravigliosamente liberati, ma non fosse primo
    e nè anco secondo nell'ordine della successione. Se una volta
    diciamo che il merito, ancorchè eminente, è un diritto per
    acquistare la Corona, distruggiamo i fondamenti del nostro
    ordinamento politico, e stabiliamo un esempio, del quale ogni
    guerriero o statista ambizioso che avesse reso grandi servigi al
    pubblico sarebbe tentato a giovarsi. Questo pericolo scansiamo
    seguendo logicamente i principii della Costituzione fino alle ultime
    conseguenze loro. Lo accesso alla Corona era aperto come alla morte
    del principe regnante: da quel momento medesimo il più prossimo
    erede diventò nostro legittimo Sovrano. Noi consideriamo la
    Principessa d'Orange come la più prossima erede, sosteniamo quindi
    che si debba senza il minimo indugio proclamare, quale è difatto,
    nostra Regina.
    
    I Whig rispondevano essere scempiezza applicare le regole ordinarie
    ad un paese in istato di rivoluzione, la gran questione non doversi
    decidere coi dettati de' pedanti curiali, e dovendosi a quel modo
    decidere, quei dettati potersi da ambe le parti addurre. Se era
    massima di legge che il trono non poteva essere giammai vacante, era
    parimente massima di legge che un uomo non poteva avere un erede,
    che, lui vivente, succeda. Giacomo era vivente. In che modo adunque
    la Principessa d'Orange poteva ella succedergli? Vero era che le
    leggi dell'Inghilterra avevano pienamente provveduto alla
    successione nel caso in cui il potere d'un sovrano e la sua vita
    naturale finissero ad un tempo, ma non avevano provveduto pe' casi
    in cui il suo potere cessasse innanzi ch'egli finisse di vivere; e
    la Convenzione ora doveva risolvere uno di questi rarissimi casi.
    Che Giacomo non possedeva più il trono, ambedue le Camere avevano
    dichiarato. Nè il diritto comune nè gli statuti designavano
    individuo alcuno che avesse diritto ad ascendere sul trono nel tempo
    che intercedeva tra la decadenza del Re e la sua morte. Ne seguiva
    dunque che il trono era vacante, e che le Camere potevano invitare
    il Principe d'Orange ad ascendervi. Ch'egli non fosse il più
    prossimo erede nell'ordine della discendenza, era vero: ma ciò non
    nuoceva punto, anzi era un positivo vantaggio. La monarchia
    ereditaria era una buona istituzione politica, ma non era in nulla
    più sacra delle altre buone istituzioni politiche. Sventuratamente i
    bacchettoni e servili teologi l'avevano fatta diventare mistero
    religioso, imponente e incomprensibile quasi al pari della
    transustanzazione. Primissimo scopo degli statisti inglesi doveva
    essere quello di mantenere la istituzione e a un tempo distrigarla
    dalle abiette e malefiche superstizioni fra le quali dianzi era
    stata involta, sì che invece di essere un bene riusciva dannosa alla
    società; e a cotesto scopo si giungerebbe meglio, pria deviando
    alquanto e per un tempo dalla regola generale della discendenza, per
    poscia ritornarvi.  XXXVIII. Molti sforzi furono fatti per
    impedire ogni aperta rottura tra i partigiani del Principe e quei
    della Principessa. Si tenne un'adunanza in casa del Conte di
    Devonshire, e vi fu caldo contendere. Halifax era il precipuo
    propugnatore di Guglielmo, Danby lo era di Maria. Danby non
    conosceva punto lo intendimento di Maria. Da qualche tempo era
    aspettata in Londra, ma l'avevano trattenuta in Olanda prima i massi
    di ghiaccio che impedivano il corso de' fiumi, e, strutto il
    ghiaccio, i venti che spiravano forte da ponente. Se ella fosse
    giunta più presto, la contesa probabilmente si sarebbe a un tratto
    calmata. Halifax dall'altro canto non aveva potestà di dire alcuna
    cosa in nome di Guglielmo. Il Principe, fedele alla promessa di
    lasciare alla Convenzione l'incarico di riordinare il governo, s'era
    tenuto in impenetrabile riserbo e non s'era lasciato sfuggire
    parola, sguardo o gesto, che esprimesse satisfazione o dispiacere.
    Uno degli Olandesi fidatissimo del Principe, invitato all'adunanza,
    fu dai Pari istantemente sollecitato desse loro qualche
    informazione. Ei si scusò lungamente. Infine cedè alle loro istanze
    sino a dire: "Io altro non posso che indovinare lo intendimento di
    Sua Altezza. Se desiderate sapere ciò che io ne indovino, credo che
    egli non amerà mai d'essere il ciamberlano di sua moglie: del resto
    non so nulla." - "E non per tanto adesso io ne so qualcosa" disse
    Danby, "ne so abbastanza, ne so molto." Quindi si partì, e
    l'assemblea si disciolse(1313).
    
    Il dì 31 gennaio la disputa che privatamente era finita nella sopra
    narrata guisa, fu pubblicamente rinnovata nella Camera de' Pari.
    Quel giorno era stato stabilito come solennità di rendimento di
    grazie. Vari vescovi, fra' quali erano Ken e Sprat, avevano composta
    una forma di preghiera adatta alla circostanza. È al tutto libera
    dalla adulazione e dalla malignità onde spesso in quella età erano
    deturpati simili componimenti; e meglio di qualunque altra forma di
    preghiera fatta per occasione speciale nello spazio di due secoli,
    sostiene il paragone con quel gran modello di casta, alta e patetica
    eloquenza, cioè col Libro delle Preghiere Comuni. I Lordi la mattina
    si condussero all'abadia di Westminster. I Comuni avevano desiderato
    che Burnet predicasse in Santa Margherita. Non era verosimile
    ch'egli cadesse nel medesimo errore che il dì precedente in quello
    stesso luogo altri aveva commesso. Non è dubbio che il suo vigoroso
    ed animato discorso ponesse in commovimento gli uditori. Non solo fu
    stampato per ordine della Camera, ma tradotto in francese per
    edificazione dei protestanti stranieri(1314). Il giorno si chiuse
    con le feste consuete in simili solennità. Tutta la città
    risplendeva con fuochi di gioia e luminarie: il rimbombo de' cannoni
    e il suono delle campane durò fino a notte inoltrata: ma innanzi che
    i lumi fossero spenti e le strade in silenzio, era seguito un evento
    che raffreddò la pubblica esultanza.
    
    XXXIX. I Pari dall'Abadia andati alla Camera avevano ripresa la
    discussione sopra le condizioni della nazione. Le ultime parole
    della deliberazione de' Comuni vennero prese in considerazione; e
    tosto chiaramente si vide che la maggioranza non era inchinevole ad
    approvarle. Ai circa cinquanta Lordi i quali sostenevano che il
    titolo di Re apparteneva sempre a Giacomo si aggiunsero altri sette
    o otto i quali dianzi volevano che fosse già devoluto a Maria. I
    Whig vedendosi vinti di numero, si provarono di venire a patti.
    Proposero di levare le parole che dichiaravano vacante il trono, e
    di semplicemente proclamare Re e Regina il Principe e la
    Principessa. Era evidente che tale dichiarazione comprendeva, benchè
    non lo affermasse espressamente, tutto ciò che i Tory repugnavano a
    concedere: imperocchè nessuno poteva pretendere che Guglielmo fosse
    succeduto alla dignità regia per diritto di nascita. Approvare
    quindi una deliberazione che lo riconoscesse era un atto d'elezione;
    e in che guisa poteva esservi elezione senza vacanza? La proposta
    de' Lordi Whig fu rigettata con cinquantadue voti contro
    quarantasette. Allora posero la questione se il trono fosse vacante.
    Gli approvanti furono quarantuno, i neganti cinquantacinque. Della
    minoranza trentasei protestarono(1315).
    
    XL. Nei due giorni susseguenti Londra era piena di ansietà e
    inquietudine. I Tory cominciarono a sperare di potere nuovamente con
    migliore esito mettere innanzi il loro prediletto disegno
    d'instituire una Reggenza. Forse lo stesso Principe, vedendo perduta
    ogni speranza di acquistare la Corona, preferirebbe il progetto di
    Sancroft a quello di Danby. Certo era meglio essere Re che Reggente;
    ma era anche meglio essere Reggente che Ciamberlano. Dall'altro
    canto la più bassa e feroce classe de' Whig, i vecchi emissari di
    Shaftesbury, e i vecchi complici di College, cominciarono ad
    affaccendarsi nella città. Si videro turbe affollarsi in Palace
    Yard, e prorompere in parole di minacce. Lord Lovelace il quale era
    in sospetto di avere suscitato il tafferuglio, annunziò ai Pari
    ch'egli aveva lo incarico di presentare una petizione nella quale si
    domandava che in sull'istante il Principe e la Principessa d'Orange
    venissero dichiarati Re e Regina. Gli fu domandato chi fossero
    coloro che avevano firmata la petizione. "Nessuno finora vi ha posto
    la mano" rispose egli, "ma quando ve la porterò, vi saranno mani
    tante che bastino." Tale minaccia impaurì e disgustò il suo proprio
    partito. E veramente i più cospicui Whig avevano, anche più de'
    Tory, bramosia che le deliberazioni della Convenzione fossero
    perfettamente libere, e che nessuno dei fautori di Giacomo potesse
    allegare che alcuna delle Camere fosse stata costretta dalla forza.
    Una petizione simile a quella affidata a Lovelace fu presentata alla
    Camera dei Comuni, ma venne sprezzantemente respinta. Maynard fu
    primo a protestare contro la canaglia delle strade che tentava
    d'intimorire gli Stati del reame. Guglielmo chiamò a sè Lovelace, lo
    rimproverò severamente, e ordinò che i magistrati agissero con
    vigore contro gl'illeciti assembramenti(1316). Non è cosa nella
    storia della nostra rivoluzione che meriti d'essere ammirata e tolta
    ad esempio, quanto il modo onde i due partiti della Convenzione, nel
    momento in cui più fervevano le loro contese, si congiunsero come un
    solo uomo per resistere alla dittatura della plebaglia di Londra.
    
    XLI. Ma quantunque i Whig fossero pienamente deliberati di mantenere
    l'ordine e rispettare la libertà de' dibattimenti, erano parimente
    determinati di non fare alcuna concessione. Il sabato, 2 febbraio, i
    Comuni senza votazione decisero di starsi fermi nella forma
    primitiva della loro deliberazione. Giacomo, come sempre, venne in
    aiuto de' suoi nemici. Era pur allora arrivata a Londra una lettera
    di lui diretta alla Convenzione. Era stata trasmessa a Preston dallo
    apostata Melfort, il quale era grandemente favorito in
    Saint-Germain. Il nome di Melfort era in abominio ad ogni Anglicano.
    L'essere egli ministro confidente di Giacomo bastava a dimostrare
    che la costui demenza ed ostinatezza erano infermità incurabili.
    Nessun membro dell'una o dell'altra Camera si rischiò a proporre la
    lettura di un foglio che veniva da quelle cotali mani. Non per tanto
    il contenuto era ben noto alla città tutta. La Maestà Sua esortava i
    Lordi e i Comuni a non disperare della sua clemenza, e benevolmente
    prometteva di perdonare coloro che lo avevano tradito, tranne pochi
    ch'egli non nominava. Come era egli possibile fare alcuna cosa a pro
    d'un Principe, il quale, vinto, abbandonato, bandito, vivente di
    limosine, diceva a coloro che erano arbitri delle sue sorti, che ove
    lo ponessero nuovamente sul trono, non impiccherebbe che pochi di
    loro?
    
    XLII. La contesa tra le due Camere durò alcuni altri giorni. Il
    lunedì 4 di febbraio i Pari deliberarono d'insistere sulle loro
    modificazioni: ma fu messa nel processo verbale una protesta firmata
    da trentanove membri(1317).  Il giorno dopo i Tory pensarono di
    far prova della forza loro nella Camera Bassa; vi concorsero assai
    numerosi, e fecero la proposta di assentire alle modificazioni de'
    Lordi. Coloro che erano pel progetto di Sancroft e coloro che erano
    pel progetto di Danby votarono insieme: ma furono vinti da
    duecentottantadue voti contro centocinquantuno. La Camera allora
    deliberò di avere un libero colloquio coi Lordi(1318).
    
    Nello stesso tempo potenti sforzi facevansi fuori le mura del
    Parlamento affine che la contesa fra le due Camere cessasse. Burnet
    si reputò dalla importanza della crisi giustificato a divulgare le
    mire secrete confidategli dalla Principessa. Disse sapere dalle
    labbra di lei, ch'era da lungo tempo pienamente deliberata, anche se
    il trono le venisse pel corso regolare della discendenza, a porre il
    potere, assenziente il Parlamento, nelle mani del suo consorte.
    Danby ricevè da lei una viva e quasi sdegnosa riprensione. Gli
    scrisse ch'ella era la moglie del Principe, che altro non
    desiderava, se non essere a lui sottoposta; la più crudele ingiuria
    che le si potesse fare era il controporla a lui come competitrice; e
    chiunque ciò facesse non verrebbe mai considerato da lei come vero
    amico(1319).
    
    XLIII. Ai Tory rimaneva ancora una speranza. Era possibile che Anna
    ponesse innanzi i propri diritti e quelli de' figli suoi. Provaronsi
    in tutte le guise a incitare l'ambizione e atterrire la coscienza di
    lei. Suo zio Clarendon si mostrò a ciò fare operosissimo. Solo poche
    settimane erano corse da che la speranza della opulenza e della
    grandezza lo aveva spinto a rinnegare i principii da lui
    ostentatamente professati per tutta la vita, abbandonare la causa
    del Re, collegarsi coi Wildman e coi Ferguson, anzi proporre che il
    Re fosse condotto prigione in terra straniera e rinchiuso in una
    fortezza cinta di pestilenti maremme. Era stato indotto a tale
    strana trasformazione dalla brama di essere fatto Vicerè d'Irlanda.
    Nonostante, presto si vide che il proselite aveva poca speranza di
    ottenere il magnifico premio al quale era intento il suo cuore:
    perocchè intorno agli affari di quell'isola ad altri chiedevasi
    consiglio; all'incontro, quando egli importunamente l'offriva, era
    accolto freddamente. Andò molte volte al palazzo di San Giacomo, ma
    appena potè ottenere il favore di una parola o d'uno sguardo. Ora il
    Principe scriveva; ora aveva mestieri d'aria e doveva cavalcare pel
    parco; ora stavasi rinchiuso con gli ufficiali ragionando di
    faccende militari e non poteva dare ascolto a nessuno. Clarendon si
    accôrse non essere verosimile di guadagnar nulla col sacrificio de'
    suoi principii e pensò di ripigliarli. In dicembre l'ambizione lo
    aveva reso ribelle. In gennaio il disinganno lo aveva fatto
    nuovamente diventare realista. Il rimorso che sentiva nella
    coscienza di non essere stato Tory costante, diede una speciale
    acrimonia al suo Torysmo(1320). Nella Camera dei Lordi aveva fatto
    il possibile a impedire ogni accomodamento. Adesso pel medesimo fine
    fece prova di tutta la sua influenza sullo spirito della Principessa
    Anna. Ma cotesta influenza era poca in paragone di quella dei
    Churchill, i quali accortamente chiamarono in aiuto due potenti
    collegati, cioè Tillotson, il quale come direttore spirituale aveva
    in que' tempi immensa autorità, e Lady Russell, le cui nobili e care
    virtù, esposte a crudelissime prove, le avevano acquistata
    reputazione di santa. Tosto si seppe che la Principessa di Danimarca
    desiderava che Guglielmo regnasse a vita; e quindi fu chiaro che
    difendere la causa delle figlie di Giacomo contro loro stesse era
    disperata impresa(1321).
    
    XLIV. Guglielmo intanto giudicò arrivato il tempo di dichiarare
    l'animo suo. Chiamò a sè Halifax, Danby, Shrewsbury e alcuni altri
    notevolissimi capi politici, e con quell'aria di stoica apatia,
    sotto la quale fino da fanciullo s'era avvezzo a nascondere le più
    forti emozioni, favellò loro poche parole profondamente meditate e
    di gran peso.  Disse che egli fino allora aveva taciuto; non
    adoperato sollecitazioni nè minacce, nè anche fatta la minima
    allusione alle opinioni e ai desiderii suoi: ma ormai il caso era sì
    critico ch'ei reputava necessario dichiarare il proprio
    intendimento. Non aveva nè diritto nè volontà di dettare alla
    Convenzione. Tutto ciò che egli pretendeva, altro non era che il
    privilegio di rifiutare ogni ufficio ch'egli non potesse occupare
    con onore per sè, ed a beneficio del pubblico.
    
    Un forte partito voleva instituire una Reggenza. Spettava alle
    Camere giudicare se tale provvedimento sarebbe utile alla nazione.
    In quel subietto egli aveva le sue ferme opinioni; e credeva giusto
    dire chiaramente ch'egli non voleva essere Reggente.
    
    Un altro partito voleva porre la Principessa sul trono, e a lui,
    vita durante, concedere il titolo di Re e tanta parte nel Governo
    quanta piacesse alla consorte dargliene. Ei non si abbasserebbe a
    tanto. Stimava la Principessa quanto era possibile che l'uomo stimi
    la donna; ma neanche da lei egli accetterebbe un posto subordinato e
    precario nel Governo. Era così fatto da non potere starsi legato al
    grembiule della migliore delle mogli. Non desiderava immischiarsi
    negli affari della Inghilterra; ma consentendo a prendervi parte,
    non v'era che una sola parte ch'egli potesse utilmente ed
    onorevolmente prendere. Se gli Stati gli offrissero la Corona a
    vita, ei l'accetterebbe. Se no, egli, senza dolersi, ritornerebbe
    alla terra natia. Concluse dicendo reputare ragionevole che la
    Principessa Anna e i suoi discendenti, nella successione al trono,
    venissero preferiti a qualunque figlio ei potesse avere da altra
    moglie che dalla Principessa Maria(1322).
    
    E sciolse la congrega. Le cose dette dal Principe in poche ore
    furono note a tutta Londra. Era chiaro che doveva essere Re. L'unica
    questione era sapere s'egli dovesse tenere la dignità regia solo, o
    insieme con la Principessa. Halifax e pochi altri politici uomini, i
    quali manifestamente discernevano il pericolo di partire la sovrana
    potestà esecutiva, desideravano che finchè vivesse Guglielmo, Maria
    fosse soltanto Regina Consorte e suddita. Ma questo ordinamento,
    comechè potesse con molte ragioni propugnarsi, urtava il sentimento
    universale, anche di quegli Inglesi che portavano maggiore affetto
    al Principe. La sua moglie aveva dato non mai vista prova di
    sommissione ed amore coniugale; ed il meno che potesse farsi per
    ricambiarla era conferirle la dignità di Regina Regnante. Guglielmo
    Herbert, uno de' più ardenti fautori del Principe, ne fu tanto
    esasperato che saltò fuori dal letto, dove egli si stava infermo di
    podagra, ed energicamente dichiarò che non avrebbe mai snudata la
    spada se avesse preveduto un sì vergognoso ordinamento. Nessuno
    quanto Burnet prese la faccenda sul serio. Sentì ribollirsi il
    sangue nelle vene pensando al torto che volevano fare alla sua
    diletta protettrice. Rimproverò acremente Bentinck, e chiese licenza
    di rinunciare all'ufficio di cappellano. "Finchè io sarò servo di
    Sua Altezza" disse il valoroso ed onesto teologo, "sarà per me
    inconvenevole avversare alcuna cosa che sia da lui secondata.
    Desidero quindi d'essere libero perchè io possa combattere per la
    Principessa con tutti i mezzi che Dio mi ha dato." Bentinck persuase
    Burnet a differire la dichiarazione delle ostilità fino a quando
    fosse chiaramente nota la risoluzione di Guglielmo. In poche ore il
    disegno che aveva suscitato tanto risentimento fu abbandonato; e
    tutti coloro i quali non più consideravano Giacomo come Re,
    concordarono intorno al modo di provvedere al trono. Era d'uopo che
    Guglielmo e Maria fossero Re e Regina; le effigie di ambedue si
    vedessero congiunte sulle monete; i decreti corressero in nome di
    entrambi; entrambi godessero tutti gli onori e le immunità personali
    della sovranità: ma il potere esecutivo, che non poteva senza
    pericolo partirsi, doveva appartenere al solo Guglielmo(1323). 
    XLV. Giunto il tempo stabilito al libero colloquio fra le due
    Camere, i Commissari dei Lordi, indossando l'abito del loro ufficio
    si assisero da un lato attorno la tavola nella Sala dipinta: ma
    dall'altro lato la folla de' membri della Camera de' Comuni era sì
    grande che i gentiluomini i quali dovevano discutere intorno al
    subietto controverso, invano provaronsi di ottenere posto. Non senza
    difficoltà e lungo indugio il Sergente d'Armi potè farsi
    passare(1324).
    
    Finalmente incominciò la discussione. È giunta sino a noi una
    copiosa relazione de' discorsi d'ambe le parti. Pochi sono gli
    studiosi della storia i quali non abbiano svolta con ardente
    curiosità tale relazione e non l'abbiano gettata via disillusi. La
    questione tra le due Camere fu discussa da ambo le parti come
    questione di legge. Le obiezioni fatte da' Lordi alla deliberazione
    dei Comuni furono in materia di vocaboli e di punti tecnici, ed
    ebbero risposte della medesima sorta. Somers difese l'uso della
    parola abdicazione citando Grozio e Brissonio, Spigelio e Bartolo.
    Sfidato ad addurre qualche autorità per sostenere la proposizione
    che la Inghilterra poteva essere senza sovrano, ei produsse un
    documento parlamentare del 1399 in cui stabilivasi espressamente che
    il trono era rimasto vacante dalla abdicazione di Riccardo II fino
    all'inalzamento di Enrico IV. I Lordi risposero adducendo un
    documento parlamentare dell'anno primo d'Eduardo IV, dal quale
    appariva, che lo strumento del 1399 era stato solennemente
    annullato. Sostenevano quindi che lo esempio recato da Somers non
    poteva applicarsi(1325) al caso. Surse allora Treby in soccorso di
    Somers, e produsse il documento parlamentare dell'anno primo di
    Enrico VII, che revocava l'atto d'Eduardo IV, e per conseguenza
    ristabiliva la validità del documento del 1399. Dopo parecchie ore
    il colloquio fu sciolto(1326). I Lordi si congregarono nella sala
    loro. Ben vedevasi che essi stavano quasi per cedere, e che il
    colloquio era stato per semplice forma. I fautori di Maria s'erano
    accorti che ponendola sul trono come rivale del marito, le avevano
    recato grave dispiacere. Taluni dei Pari che dianzi avevano votato
    per instituire una Reggenza avevano fatto pensiero o di assentarsi o
    di secondare la deliberazione della Camera Bassa. Affermavano non
    avere cangiato opinione; ma qual si fosse governo esser meglio che
    nessun governo; il paese non poter più a lungo sopportare cotesta
    angosciosa sospensione. Lo stesso Nottingham, il quale nella Sala
    dipinta aveva diretta la discussione contro i Comuni, dichiarò che,
    quantunque la coscienza non gli consentisse di cedere, ei godeva
    vedendo le coscienze degli altri essere meno fastidiose. Vari Lordi
    i quali non avevano fino allora votato nella Convenzione erano stati
    indotti a recarvisi: Lord Lexington il quale era pur allora giunto
    dal Continente; il Conte di Lincoln che era mezzo maniaco; il Conte
    di Carlisle che si trascinava sulle grucce; e il Vescovo di Durham,
    il quale s'era tenuto nascosto e intendeva fuggire oltre mare; ma
    gli era stato annunziato che ove egli votasse pel riordinamento del
    Governo, non si farebbe mai più parola della sua condotta nella
    Commissione Ecclesiastica. Danby, desideroso di spengere lo scisma
    da lui cagionato, esortò la Camera, con un discorso superiore anche
    alla sua ordinaria valentia, a non perseverare in una contesa che
    poteva riuscire fatale allo Stato. Fu caldamente secondato da
    Halifax. Il partito avverso si perdè d'animo. Posta la questione se
    Giacomo avesse abdicato il governo, solo tre Lordi dettero il voto
    negativo. Nella questione se il trono fosse vacante, gli approvanti
    furono sessantadue, i neganti quarantasette. Fu immediatamente
    approvata senza votazione la proposta che il Principe e la
    Principessa d'Orange fossero dichiarati Re e Regina
    d'Inghilterra(1327).
    
    XLVI. Nottingham allora propose che la formula de' giuramenti di
    fedeltà e di supremazia si variasse in modo da potersi con sicura
    coscienza prestare da coloro i quali al pari di lui disapprovavano
    ciò che la Convenzione aveva fatto, e non per tanto volevano
    schiettamente essere leali e rispettosi sudditi de' nuovi sovrani. A
    tale proposizione nessuno obiettò. Non è dubbio che intorno a ciò vi
    fosse intelligenza tra i capi de' Whig e quei Lordi Tory i cui voti
    avevano fatto traboccare la bilancia nell'ultima tornata. Le nuove
    formole di giuramento furono mandate ai Comuni insieme con la
    deliberazione che il Principe e la Principessa venissero dichiarati
    Re e Regina(1328).
    
    XLVII. Ormai era noto a chi doveva darsi la Corona. Rimaneva a
    decidersi a quali condizioni si dovesse darla. I Comuni avevano
    eletto un Comitato per discutere e riferire i provvedimenti da farsi
    onde assicurare la legge e la libertà contro le aggressioni de'
    futuri sovrani; e il Comitato aveva già fatta la relazione(1329). La
    quale proponeva primamente che quei grandi principii della
    Costituzione che erano stati violati dal deposto Re, fossero
    solennemente rivendicati: e in secondo luogo che si facessero molte
    nuove leggi a fine d'infrenare la regia prerogativa e purificare
    l'amministrazione della giustizia. La maggior parte de' suggerimenti
    del Comitato erano eccellenti; ma era affatto impossibile che le
    Camere nello spazio di un mese, e anche di un anno, potessero
    debitamente trattare così numerose, varie e importanti materie. Fra
    le altre cose fu proposto di riformare la milizia civica;
    restringere la potestà che i sovrani avevano di prorogare e
    sciogliere il Parlamento; limitare la durata de' Parlamenti;
    impedire che si opponesse la grazia del Re ad un'accusa
    parlamentare; concedere tolleranza ai protestanti dissenzienti;
    definire con maggior precisione il delitto d'alto tradimento;
    condurre i processi di crimenlese in modo più favorevole
    all'innocenza; rendere duraturo a vita l'ufficio di giudice; variare
    il modo di nominare gli sceriffi; nominare i giurati in guisa da
    impedire la parzialità e la corruzione; abolire l'uso di fare i
    processi criminali nella Corte del Banco del Re; riformare la Corte
    della Cancelleria; stabilire l'onorario de' pubblici ufficiali; ed
    emendare la legge di Quo Warranto. Era chiaro che a far leggi savie
    e profondamente pensate sopra tali materie bisognava più d'una
    laboriosa sessione; ed era parimente chiaro che leggi fatte in
    fretta e mal digerite sopra materie sì gravi non potevano che
    produrre nuovi mali peggiori di quelli che avrebbero potuto
    spegnere. Se il Comitato intendeva dare una lista di tutte le
    riforme che il Parlamento avrebbe dovuto fare in tempo proprio, la
    lista era stranamente imperfetta. Letta appena la relazione, i
    rappresentanti, l'uno dopo l'altro, sorsero suggerendo aggiunzioni.
    Fu proposto e approvato che si proibisse la rendita degl'impieghi,
    che si rendesse più efficace l'Atto dell'Habeas Corpus, e che si
    rivedesse la legge di Mandamus. Un tale si scagliò contro
    gl'impiegati della imposta sui fuochi, un altro contro quei
    dell'Excise: e la Camera deliberò di reprimere gli abusi d'entrambi.
    È cosa notevolissima che, mentre lo intero sistema politico,
    militare, giudiciario e fiscale del Regno nella sopradetta guisa
    passavasi a rassegna, nè anche uno de' rappresentanti del popolo
    proponesse la revoca della legge che sottoponeva la stampa alla
    censura. Gli stessi uomini intelligenti non ancora intendevano che
    la libertà della discussione è il precipuo baluardo di tutte le
    altre libertà(1330).
    
    XLVIII. La camera era in grave imbarazzo. Alcuni oratori
    calorosamente dicevano essersi già perduto assai tempo; doversi
    stabilire il Governo senza nemmeno un giorno d'indugio; la società
    inquieta; languente il commercio; la colonia inglese d'Irlanda in
    imminente pericolo di perire; sovrastare una guerra straniera;
    essere possibile che in pochi giorni l'esule Re approdasse con
    un'armata francese a Dublino, e da Dublino in breve tempo
    trapassasse a Chester. Non era ella insania in un caso tanto critico
    lasciare il trono vacante, e, mentre la esistenza stessa del
    Parlamento era in pericolo, consumare il tempo a discutere se i
    Parlamenti dovessero prorogarsi dal Sovrano o da sè? Dall'altra
    parte chiedevasi se la Convenzione credesse d'avere adempito il
    proprio debito col solo rovesciare un Principe per inalzare un
    altro. Certo ora, o mai, era il momento di assicurare la libertà
    pubblica con difese tali da potere efficacemente impedire le
    usurpazioni della regia prerogativa(1331). Senza alcun dubbio gravi
    erano le ragioni allegate da ambe le parti. Gli esperti capi dei
    Whig, fra i quali Somers andava sempre acquistando maggiore
    riputazione, proposero una via di mezzo. Dicevano la Camera avere in
    mira due cose ch'erano da considerarsi l'una dall'altra distinte;
    assicurare, cioè, l'antico ordinamento politico del reame contro le
    illegali aggressioni; e migliorare tale politico ordinamento con
    riforme legali. La prima poteva conseguirsi facendo nella
    deliberazione che chiamava i nuovi sovrani al trono, solenne ricordo
    del diritto che aveva la Nazione inglese alle sue vetuste
    franchigie, in guisa che il Re possedesse la sua Corona, e il popolo
    i suoi privilegi in forza di un solo e medesimo titolo. Ad ottenere
    la seconda era mestieri un intero volume di leggi elaborate. L'una
    poteva conseguirsi in un solo giorno; l'altra appena in cinque anni.
    Quanto alla prima tutti i partiti erano d'accordo; quanto alla
    seconda v'era innumerevole varietà d'opinioni. Nessun membro
    dell'una e dell'altra Camera esiterebbe un istante a votare che il
    Re non potesse imporre tasse senza consenso del Parlamento; ma non
    sarebbe possibile fare alcuna nuova legge di procedura nei casi
    d'alto tradimento, senza far nascere lunga discussione, ed essere da
    questi riprovata come ingiusta verso lo accusato, e da quelli come
    ingiusta verso la Corona. Lo scopo d'una straordinaria Convenzione
    degli Stati del reame non era di trattare le faccende che
    ordinariamente trattano i Parlamenti, stabilire l'onorario dei
    Maestri in Cancelleria, e fare provvisioni contro le esazioni degli
    ufficiali dell'Excise, ma di regolare la gran macchina del Governo.
    Fatto ciò, sarebbe tempo di ricercare quali miglioramenti le nostre
    istituzioni richiedessero; nè nello indugio sarebbe rischio;
    imperocchè un Sovrano che regnasse semplicemente mercè la elezione
    del popolo non potrebbe lungo tempo ricusare il suo assenso a quei
    provvedimenti che il popolo, parlando per mezzo de' suoi
    rappresentanti, chiedesse.
    
    Per tali ragioni i Comuni saggiamente s'indussero a differire ogni
    riforma finchè fosse ristaurata in tutte le sue parti l'antica
    Costituzione del Regno, e per allora pensare di provvedere al trono
    senza imporre a Guglielmo ed a Maria altro obbligo che quello di
    governare secondo le leggi esistenti d'Inghilterra. Affinchè le
    questioni controverse tra gli Stuardi e la nazione più oltre non
    risorgessero, e' fu deliberato che l'Atto in forza del quale il
    Principe e la Principessa d'Orange erano chiamati al trono
    contenesse espressi in distintissima e solenne forma i principii
    fondamentali della Costituzione. Questo documento che chiamasi
    Dichiarazione dei Diritti fu compilato da un Comitato preseduto da
    Somers. Per un giovine giureconsulto che soltanto dieci giorni
    innanzi aveva per la prima volta favellato nella Camera de' Comuni,
    l'essere stato eletto ad un ufficio di tanto onore e tanta
    importanza nel Parlamento, è sufficiente prova della superiorità del
    suo ingegno. In poche ore la Dichiarazione fu finita e approvata dai
    Comuni. I Lordi vi assentirono con qualche modificazione di poco
    momento(1332).
    
    XLIX. La Dichiarazione incominciava riepilogando gli errori e i
    delitti che avevano resa necessaria la rivoluzione. Giacomo aveva
    invaso il campo del Corpo Legislativo, trattato come delitto una
    modesta petizione, oppresso la Chiesa per mezzo di un tribunale
    illegale, senza consenso del Parlamento imposto tasse e mantenuto in
    tempo di pace un esercito stanziale, violato la libertà delle
    elezioni, e pervertito il corso della giustizia. Questioni che
    poteva legittimamente discutere il solo Parlamento erano state
    subietto di persecuzione nel Banco del Re. Erano stati eletti
    Giurati parziali e corrotti; estorti ai prigioni eccessivi riscatti;
    imposte multe eccessive; inflitte barbare e insolite pene; le
    sostanze degli accusati tolte a questi, e innanzi che fossero
    dichiarati rei convinti, date ad altrui. Colui, per autorità del
    quale s'erano fatte tali cose, aveva abdicato il Governo. Il
    Principe d'Orange, fatto da Dio glorioso strumento a liberare il
    paese dalla superstizione e dalla tirannide, aveva invitato gli
    Stati del reame a ragunarsi e consultare intorno al modo di
    assicurare la religione, la legge e la libertà. I Lordi e i Comuni
    dopo matura deliberazione aveano innanzi tutto, secondo lo esempio
    degli avi, rivendicato i vetusti diritti e le libertà della
    Inghilterra. Avevano quindi dichiarato che la potestà di dispensare
    dianzi usurpata ed esercitata da Giacomo non aveva esistenza legale;
    che senza l'autorizzazione del Parlamento il Sovrano non poteva
    esigere danaro dal suddito; che senza il consenso del Parlamento non
    poteva mantenersi esercito stanziale in tempo di pace. Il diritto
    de' sudditi a far petizioni, il diritto degli elettori a scegliere
    liberamente i loro rappresentanti, il diritto de' Parlamenti alla
    libertà della discussione, il diritto della Nazione ad una pura e
    mite amministrazione della giustizia secondo lo spirito mite delle
    sue leggi, tutte queste cose vennero solennemente espresse, e dalla
    Convenzione, a nome del popolo, reclamate come incontrastabile
    eredità degl'Inglesi. Rivendicati in cosiffatta guisa i principii
    della Costituzione, i Lordi e i Comuni, pienamente confidando che il
    liberatore reputasse sacre le leggi e le libertà da lui già salvate,
    determinavano che Guglielmo e Maria, Principe e Principessa
    d'Orange, venissero dichiarati Re e Regina d'Inghilterra, loro vita
    durante, e che, viventi entrambi, il potere esecutivo fosse nelle
    mani del solo Principe. Dopo la morte loro, al trono succederebbero
    i discendenti di Maria, poi la Principessa Anna e suoi discendenti,
    poi i discendenti di Guglielmo.
    
    L. Verso questo tempo il vento aveva cessato di spirare da ponente.
    La nave sulla quale la Principessa d'Orange s'era imbarcata,
    trovavasi il dì 11 febbraio di faccia a Margate, la dimane gettò
    l'áncora in Greenwich(1333). Le furono fatte gioiose e affettuose
    accoglienze: ma il suo contegno spiacque gravemente ai Tory, e da'
    Whig non fu reputato scevro di biasimo. Una donna giovane, da un
    destino tristo e tremendo come quello che pesava sulle favolose
    famiglie di Labdaco e di Pelope, posta in condizioni da non potere,
    senza violare i propri doveri verso Dio, il marito e la patria,
    ricusare d'ascendere al trono dal quale il padre suo era stato
    dianzi rovesciato, avrebbe dovuto avere aspetto tristo o almeno
    grave. E non per tanto Maria non solo era di lieto ma di stravagante
    umore. Fu detto ch'ella entrasse in Whitehall col fanciullesco
    diletto di vedersi padrona di un sì bel palagio, corresse per le
    stanze, facesse capolino negli stanzini, e si stesse ad osservare
    gli arredi del letto di gala siffattamente, che sembrava non
    rammentasse da chi quei magnifici appartamenti erano stati dianzi
    occupati. Burnet, il quale fino allora l'aveva reputata un angiolo
    in forma umana, non potè in quella occasione astenersi dal
    biasimarla. E ne era maggiormente attonito, perocchè nel togliere da
    lei commiato all'Aja, l'aveva veduta, - quantunque fosse pienamente
    persuasa di procedere per la via del dovere, - profondamente
    accuorata. A lui, come a direttore spirituale, ella poscia disse le
    ragioni della propria condotta. Guglielmo le aveva scritto che
    taluni di coloro che s'erano provati a dividere i suoi interessi da
    quelli di lei, seguitavano a tramare: andavano spargendo ch'essa si
    reputava lesa ne' suoi diritti; ed ove si mostrasse in melanconico
    aspetto, la ciarla toglierebbe sembianza di verità. La supplicava
    quindi ad assumere nella sua prima comparsa un'aria di allegria. Il
    suo cuore - diceva ella - era ben lungi dall'essere lieto; ma aveva
    fatto ogni sforzo a parerlo; e temendo di non rappresentare
    convenevolmente una parte ch'ella non sentiva, l'aveva esagerata. Il
    suo contegno fu subietto a volumi di scurrilità in prosa e in versi;
    le scemò reputazione presso taluni di coloro la cui stima ella
    teneva in pregio; nè il mondo mai seppe, finchè ella non fu in luogo
    dove nè lode nè biasimo poteva coglierla, che la condotta la quale
    le aveva meritato il rimprovero di insensibilità e leggerezza, era
    stupendo esempio di quella perfetta e disinteressata devozione di
    cui l'uomo sembra incapace, ma che talvolta si trova nella
    donna(1334).
    
    LI. Il mercoledì mattina, 13 febbraio, la Corte di Whitehall e tutte
    le vie circostanti erano accalcate di gente. La magnifica Sala del
    banchetto, capolavoro d'Inigo, e adorna de' capolavori di Rubens,
    era stata apparecchiata per una grande cerimonia. Lungo le pareti
    stavansi in fila gli ufficiali delle Guardie. Presso la porta di
    tramontana, a diritta, vedevasi un gran numero di Pari; v'erano a
    sinistra i Comuni col presidente loro accompagnato dal mazziere.
    Apertasi la porta di mezzogiorno, il Principe e la Principessa
    d'Orange l'uno a fianco dell'altra entrarono e presero posto sotto
    il baldacchino reale.
    
    Ambedue le Camere si appressarono inchinandosi. Guglielmo e Maria si
    fecero innanzi di pochi passi. Halifax a diritta e Powle a sinistra
    avanzatisi, Halifax favellò. Disse la Convenzione avere fatta una
    deliberazione ch'egli pregava le Altezze Loro d'ascoltare. Quelle
    fecero cenno d'assentimento, e il Cancelliere lesse ad alta voce la
    Dichiarazione dei Diritti. E come egli ebbe finito, Halifax in nome
    di tutti gli Stati del Reame, pregò il Principe e la Principessa
    d'accettare la Corona.
    
    LII. Guglielmo a nome suo e della moglie rispose che essi tenevano
    in maggior pregio la Corona perchè era loro offerta come pegno della
    fiducia della nazione. "Pieni di gratitudine noi accettiamo" disse
    egli "il dono che ci avete offerto." Poi, quanto a sè, gli assicurò
    che le leggi della Inghilterra da lui ora rivendicate, sarebbero
    norma della sua condotta; che egli si studierebbe di promuovere il
    bene del Regno, e quanto ai mezzi di farlo, chiederebbe sempre
    consiglio alle Camere, volendosi più volentieri fidare del giudicio
    loro che del suo(1335). Queste parole furono accolte con uno scoppio
    di gioiose grida alle quali in un baleno risposero dalle vie gli
    evviva di molte migliaia. I Lordi e i Comuni quindi rispettosamente
    uscirono dalla Sala del banchetto e andarono in processione alla
    maggior porta di Whitehall, dove li attendevano gli Araldi coperti
    de' loro sontuosi mantelli. Tutto quello spazio fino a Charing
    Cross(1336) rendeva immagine di un mare di teste. I timpani
    suonarono, squillarono le trombe, e il Re d'Armi ad alta voce
    proclamò il Principe e la Principessa d'Orange Re e Regina
    d'Inghilterra, intimò a tutti gl'Inglesi d'essere, d'allora innanzi,
    sinceramente fedeli e ligi ai nuovi sovrani, e supplicò Dio, il
    quale aveva con sì segnalato modo liberata la nostra Chiesa e la
    nostra Nazione, benedicesse Guglielmo e Maria, concedendo loro lungo
    e felice regno(1337).
    
    LIII. In questa guisa fu consumata la Rivoluzione inglese. Ogni qual
    volta la paragoniamo con quelle, che, negli ultimi sessanta anni,
    hanno rovesciato tanti vetusti governi, non possiamo a meno di
    rimanere maravigliati dell'indole speciale di quella. Perchè la sua
    indole fosse così speciale è bastevolmente chiaro, e non per tanto
    e' sembra che non sia stata sempre intesa da coloro che l'hanno
    commendata nè da coloro che l'hanno biasimata.
    
    Le rivoluzioni del Continente successe nei secoli decimottavo e
    decimonono ebbero luogo in paesi dove da lungo tempo più non
    rimaneva vestigio della monarchia temperata del medio evo. Il
    diritto che aveva il Principe di fare leggi, e imporre tasse, era
    rimasto per molte generazioni incontrastato. Il suo trono era difeso
    da un grande esercito stanziale. Il suo governo non poteva senza
    estremo pericolo essere biasimato nè anche con moderatissime parole.
    I suoi sudditi non godevano la libertà personale che a libito del
    Principe. Non restava neppure una istituzione, a memoria de' più
    vecchi, la quale prestasse al suddito sufficiente protezione contro
    le enormezze della tirannide. Quelle grandi congreghe che un tempo
    avevano domata la potestà regia erano cadute in oblio. La struttura
    e i privilegi loro erano noti ai soli antiquari. Non possiamo quindi
    maravigliarci che allorquando ad uomini siffattamente governati
    venne fatto di strappare il supremo potere dalle mani di un governo
    che in cuor loro da lungo tempo aborrivano, eglino fossero corrivi a
    demolire e inetti a riedificare; che rimanessero sedotti da ogni
    novità, proscrivessero ogni titolo, cerimonia, e frase che
    richiamava alla mente la idea del vecchio sistema, e dilungandosi
    con disgusto dalle nazionali tradizioni frugassero nei volumi de'
    politici filosofanti a trovarvi principii di governo, o con ridicola
    e stolta affettazione scimmiottassero i patriotti di Atene e di
    Roma. Non possiamo medesimamente maravigliarci che la violenta
    azione dello spirito rivoluzionario fosse seguita da una reazione al
    pari violenta, e che la confusione, poco dopo, generasse un
    dispotismo più severo di quello donde essa era nata.
    
    Se noi ci fossimo trovati nella medesima situazione; se a Strafford
    fosse riuscito di mandare ad effetto la sua prediletta idea del
    Compiuto, di formare un esercito numeroso e bene disciplinato, come
    quello che, pochi anni dopo, Cromwell creò; se parecchie decisioni
    giudiciali simili a quella che fu profferita dalla Camera dello
    Scacchiere nel caso della imposta marittima, avessero trasferito
    nella Corona il diritto di gravare il popolo di balzelli; se la
    Camera Stellata e l'Alta Commissione Ecclesiastica avessero
    seguitato a multare, mutilare e porre in carcere chiunque osava
    alzare la voce contro il Governo; se la stampa fosse stata
    pienamente inceppata come in Vienna e in Napoli; se i nostri Re
    avessero gradatamente recato alle loro mani tutto il potere
    legislativo; se pel corso di sei generazioni non avessimo avuta nè
    anche una sessione di Parlamento; e se alla perfine in qualche
    istante di fiero concitamento fossimo insorti contro i nostri
    padroni; quale scoppio di furore popolare ne sarebbe seguíto! Con
    che fracasso, udito e sentito sino ai confini del mondo, il vasto
    edificio sociale sarebbe caduto a terra! Quante migliaia d'esuli, un
    tempo i più felici e culti membri di questa grande cittadinanza,
    sarebbero andati mendicando il pane loro per le terre del
    Continente, o avrebbero cercato ricovero ne' rozzi tugurii fra mezzo
    alle foreste dell'America! Quante volte avremmo veduto sossopra i
    lastricati di Londra per asserragliare le strade, crivellate di
    palle le case, spumanti di sangue i rigagnoli! Quante volte saremmo
    furiosamente corsi da un estremo all'altro, dall'anarchia cercando
    rifugio nel dispotismo, e a liberarci dal dispotismo ricadendo
    nell'anarchia! Quanti anni di sangue e di confusione ci sarebbe
    costato lo imparare i rudimenti primi della sapienza politica! Da
    quante fanciullesche teorie saremmo stati ingannati! Quante informi
    e mal ponderate Costituzioni avremmo inalzate solo per vederle
    nuovamente cadere! Sarebbe stata insigne ventura per noi se mezzo
    secolo di rigida disciplina fosse stato sufficiente a educarci a
    godere della vera libertà.
    
    Tali sciagure la nostra Rivoluzione scansava. Era vigorosamente
    difensiva ed aveva seco prescrizione e legittimità. Tra noi, e solo
    tra noi, una monarchia temperata dal secolo decimoterzo s'era
    serbata intatta fino al decimosettimo. Le nostre istituzioni
    parlamentari erano in pieno vigore; eccellenti i più essenziali
    principii del Governo; non formalmente nè esattamente compresi in un
    solo documento scritto, ma sparsi nei nostri antichi e nobili
    statuti, e - cosa di somma importanza - impressi da quattrocento
    anni in cuore a tutti gl'Inglesi. Che senza il consenso de'
    rappresentanti della Nazione non si potesse fare atti legislativi,
    imporre tasse, mantenere esercito stanziale, imprigionare nessuno nè
    anche per un giorno ad arbitrio del Sovrano; che nessun satellite
    del Governo potesse allegare un ordine del Re come scusa per violare
    qual si fosse diritto dell'infimo suddito; tutte queste cose erano
    considerate tanto da' Whig che dai Tory quali leggi fondamentali del
    reame. Un Regno in cui erano siffatte leggi fondamentali non aveva
    mestieri d'una nuova Costituzione.
    
    Ma comechè non vi fosse cotesto bisogno, era chiara la necessità di
    riforme. Il pessimo governo degli Stuardi, e le perturbazioni da
    quello suscitate, bastevolmente provavano che il nostro ordinamento
    politico in alcuna sua parte difettava; ed era debito della
    Convenzione indagare e supplire a tale difetto.
    
    Varie questioni di grave momento lasciavano tuttavia aperto il campo
    alle dispute. La nostra Costituzione era nata in tempi nei quali gli
    uomini di Stato non erano cotanto assuefatti a fare definizioni
    esatte. Ne erano quindi impercettibilmente surte anomalie
    incompatibili con la Costituzione e pericolose alla sua stessa
    esistenza, e non avendo nel corso di anni molti cagionato gravi
    inconvenienti, avevano a poco a poco acquistato forza di
    prescrizione. Rimedio a questi mali era il riconfermare i diritti
    del popolo con parole tali che eliminassero ogni controversia, e
    dichiarare che nessuno esempio valesse a giustificare qual si fosse
    violazione di questi diritti.  Ciò fatto, e' sarebbe stato
    impossibile ai nostri principi male intendere la legge; ma non
    facendosi alcun'altra cosa di più, non era al tutto improbabile che
    essi la potessero violare. Sventuratamente la Chiesa aveva da lungo
    tempo insegnato alla Nazione che la monarchia ereditaria, sola tra
    tutte le nostre istituzioni, era divina e inviolabile; che il
    diritto che ha la Camera dei Comuni di partecipare al potere
    legislativo, era semplicemente diritto umano, ma quello che ha il Re
    alla obbedienza passiva del popolo era derivato dal Cielo; che la
    Magna Charta era uno statuto il quale poteva revocarsi da coloro che
    lo avevano fatto, ma il principio, per virtù del quale i principi di
    sangue regio venivano chiamati al trono per ordine di successione,
    era d'origine divina, ed ogni atto parlamentare incompatibile con
    quello era nullo. Egli è evidente che in una società nella quale
    tali superstizioni prevalgono, la libertà costituzionale è d'uopo
    sia mal sicura. Una potestà che è considerata come ordinamento
    dell'uomo non vale ad infrenare una potestà che è creduta
    ordinamento di Dio. È vano sperare che le leggi, per quanto siano
    eccellenti, infrenino durevolmente un Re, il quale secondo ch'egli
    stesso e la maggior parte de' suoi popoli credono, ha una autorità
    infinitamente più alta di quella che spetta alle leggi. Privare la
    dignità regia di cotali misteriosi attributi, e stabilire il
    principio che i Re regnino in forza d'un diritto che in nulla
    differisca da quello onde i liberi possidenti eleggono i
    rappresentanti delle Contee, o dal diritto onde i Giudici concedono
    un ordine di Habeas Corpus, era assolutamente necessario alla
    sicurezza delle libertà nostre.
    
    La Convenzione, dunque, aveva due grandi doveri da adempiere:
    distrigare, cioè, da ogni ambiguità le leggi fondamentali del reame;
    e sradicare dalle menti dei governanti e dei governati la falsa e
    perniciosa idea che la regia prerogativa era più sublime, e più
    sacra delle predette leggi fondamentali. Al primo scopo si giunse
    con la esposizione solenne e la rivendicazione con che incomincia la
    Dichiarazione dei Diritti; al secondo con la risoluzione onde il
    trono fu giudicato vacante, e Guglielmo e Maria furono invitati ad
    ascendervi.  Il mutamento sembra lieve. La Corona non fu
    privata nè anche d'uno de' suoi fiori; nessun nuovo diritto concesso
    al popolo. Le leggi inglesi in tutto e per tutto, secondo il
    giudicio de' più grandi giureconsulti, di Holt e di Treby, di
    Maynard e di Somers, dopo la Rivoluzione rimasero le stesse di
    prima. Alcuni punti controversi furono risoluti secondo la opinione
    de' migliori giuristi; e solo si deviò alquanto dall'ordinaria linea
    di successione. Ciò fu tutto; e bastava.
    
    Perchè la nostra Rivoluzione fu una rivendicazione degli antichi
    diritti, fu condotta rigorosamente osservando le antiche formalità.
    Quasi in ogni atto e in ogni parola manifesto si vede un profondo
    rispetto pel passato. Gli Stati del reame deliberarono nelle vecchie
    sale e giusta le vecchie regole. Powle fu condotto al seggio nella
    consueta forma fra colui che lo aveva proposto e colui che aveva
    secondata la proposta. L'usciere con la sua mazza guidò i
    messaggieri dei Lordi al banco dei Comuni: e le tre riverenze furono
    debitamente fatte. La conferenza d'ambedue le Camere ebbe luogo con
    tutte le antiche cerimonie. Da un lato della tavola, nella Sala
    Dipinta, i Commissari de' Lordi sedevano col capo coperto e vestiti
    d'ermellino e d'oro. Dall'altro lato i Commissari de' Comuni
    stavansi in piedi e a capo scoperto. I discorsi fattivi paiono un
    contrapposto pressochè ridicolo della eloquenza rivoluzionaria
    d'ogni altro paese. Ambidue i partiti mostrarono la medesima
    riverenza verso le antiche tradizioni costituzionali dello Stato.
    Solo disputavano in che senso quelle tradizioni erano da intendersi.
    I propugnatori della libertà non fecero pur motto dell'uguaglianza
    naturale degli uomini e della inalienabile sovranità del popolo, di
    Armodio o di Timoleone, di Bruto primo o di Bruto secondo.
    Allorquando fu detto che in forza della legge della Inghilterra la
    Corona rimaneva essenzialmente devoluta al più prossimo erede,
    risposero che in forza della legge della Inghilterra, un uomo ancora
    in vita non poteva avere erede. Allorquando fu detto non esservi
    esempio a dichiarare vacante il trono, mostrarono una pergamena,
    scritta circa trecento anni innanzi in bizzarro carattere e in
    barbaro latino, e tratta dagli Archivi della Torre, nella quale
    facevasi ricordo come gli Stati del reame avessero dichiarato
    vacante il trono d'un Plantageneto perfido e tiranno. In fine,
    composta ogni disputa, i nuovi Sovrani vennero proclamati con
    l'antica pompa. Vi fu tutto il bizzarro apparato araldico:
    Clarencieux e Norroy, Portcullis, e Rouge Dragon, le trombe, le
    bandiere, e le grottesche sopravvesti ricamate a lioni e a gigli. Il
    titolo di Re di Francia preso dal vincitore di Cressy non fu omesso
    nella lista dei titoli regi. A noi che siamo vissuti nel 1848 parrà
    forse un abuso di vocabolo chiamare col terribile nome di
    Rivoluzione un fatto consumato con tanta riflessione, con tanta
    moderazione, e con tanto scrupolosa osservanza delle forme
    prescritte.
    
    E nulladimeno questa Rivoluzione, fra tutte la meno violenta, di
    tutte la più benefica, sciolse diffinitivamente la grande questione
    di sapere se lo elemento popolare, il quale fino dalla età di
    Fitzwalter e di De Montfort era sempre esistito nell'ordinamento
    politico della Inghilterra, verrebbe distrutto dallo elemento
    monarchico, o si lascerebbe sviluppare liberamente e divenire
    predominante. La lotta tra' due principii era stata lunga, accanita,
    e dubbia. Era durata per quattro regni. Aveva prodotto sedizioni,
    accuse, ribellioni, battaglie, assedii, proscrizioni, stragi
    giudiciali. Tal volta la libertà, tal altra il principato parvero
    sul punto di spegnersi. Per molti anni la energia di metà della
    Inghilterra s'era sforzata di frustrare la energia dell'altra metà.
    Il potere esecutivo e il legislativo s'erano l'un l'altro tanto
    efficacemente contrastati da rimanerne entrambi impotenti, al segno
    che lo Stato era divenuto nulla nel sistema politico dell'Europa. Il
    Re d'Armi allorchè innanzi la porta di Whitehall proclamò Guglielmo
    e Maria, annunziava finita la gran lotta; perfetta l'unione fra il
    trono e il Parlamento; la Inghilterra da lungo tempo dipendente e
    caduta in abiezione, ridivenuta Potenza di primo ordine; le antiche
    leggi che vincolavano la regia prerogativa sarebbero per lo avvenire
    tenute sacre come la prerogativa stessa, e produrrebbero tutti gli
    effetti loro; il potere esecutivo verrebbe amministrato secondo il
    voto dei rappresentanti del popolo; qualunque riforma proposta dopo
    matura deliberazione dalle due Camere, non sarebbe ostinatamente
    avversata dal Sovrano. La Dichiarazione dei Diritti, comechè non
    rendesse legge ciò che per lo innanzi legge non era, conteneva i
    germi della legge che dette la libertà religiosa ai Dissenzienti,
    della legge che assicurò la indipendenza de' giudici; della legge
    che limitò la durata de' Parlamenti, della legge che pose la libertà
    della stampa sotto la protezione dei Giurati, della legge che vietò
    il traffico degli schiavi, della legge che abolì il giuramento
    religioso, della legge che liberò i Cattolici Romani dalle
    incapacità civili, della legge che riformò il sistema
    rappresentativo, d'ogni buona legge che è stata promulgata nello
    spazio di centosessanta anni, d'ogni buona legge in fine che quinci
    innanzi verrà reputata necessaria a promuovere il bene pubblico, e a
    soddisfare alle richieste della pubblica opinione.
    
    Il più grande encomio che possa farsi della Rivoluzione del 1688 sta
    nel dire che essa fu l'ultima delle nostre rivoluzioni. Ormai sono
    trascorse varie generazioni senza che nessuno Inglese assennato e
    animato di spirito patrio abbia fatto pensiero di resistere al
    Governo stabilito. Ogni onesto e savio uomo è profondamente convinto
    - convinzione ogni giorno riconfermata dalla esperienza - che i
    mezzi di ottenere qual si voglia miglioramento richiesto dalla
    Costituzione, si possano trovare nella Costituzione stessa.
    
    Ora, o giammai, dovremmo estimare di quale importanza sia la
    resistenza degli antichi nostri fatta alla Casa Stuarda. Dintorno a
    noi tutto il mondo è travagliato dal travaglio delle grandi nazioni.
    Governi che dianzi pareva dovessero durare de' secoli, sono stati,
    in un subito, scossi e rovesciati. Le più orgogliose metropoli della
    Europa occidentale sono state inondate di sangue cittadino. Tutte le
    sinistre passioni, cupidigia di guadagno, sete di vendetta,
    vicendevole aborrimento di classi, vicendevole aborrimento di razze,
    hanno rotto il freno delle leggi divine e delle umane. Timore e
    ansietà hanno annuvolato lo aspetto e contristato il cuore a milioni
    d'uomini. Sospeso il commercio; paralizzata la industria; diventato
    povero il ricco, poverissimo il povero; predicate dalla tribuna e
    difese con la spada dottrine ostili alle scienze, alle arti, alla
    industria, alla carità di famiglia; dottrine tali che, se potessero
    mandarsi ad effetto, disfarebbero, in trenta anni, tutto ciò che
    trenta secoli hanno fatto a bene della umanità, e renderebbero le
    più belle province di Francia e di Germania selvagge come il Congo e
    la Patagonia; la Europa è stata minacciata di giogo da barbari, al
    paragone dei quali i barbari seguaci d'Attila e Alboino erano culti
    ed umani. I veri amici del popolo con profondo dolore hanno
    confessato trovarsi in grave pericolo interessi più preziosi di
    qualsiasi privilegio politico, ed essere necessario sacrificare fino
    la libertà onde salvare lo incivilimento. Frattanto nell'isola
    nostra il corso regolare del Governo non è stato mai interrotto nè
    anche per un giorno. I pochi facinorosi arsi da libidine di licenza
    e di saccheggio, non hanno avuto l'animo d'affrontare la forza d'una
    nazione leale, schierata in ferma attitudine intorno a un trono
    paterno. E ove si chieda la ragione onde le sorti nostre sono state
    tanto diverse dalle altrui, è da rispondersi che noi non abbiamo mai
    perduto ciò che gli altri, ciechi e forsennati, si studiano di
    riacquistare. Perchè noi avemmo una rivoluzione conservatrice nel
    secolo decimosettimo, non ne abbiamo avuta una distruggitrice nel
    decimonono. Perchè serbammo la libertà fra mezzo al servaggio, noi
    abbiamo l'ordine fra mezzo all'anarchia. Per l'autorità delle leggi,
    la sicurezza degli averi, la pace delle strade, la felicità delle
    famiglie, noi dobbiamo essere grati, dopo Colui che a suo arbitrio
    esalta ed umilia le nazioni, al Lungo Parlamento, alla Convenzione,
    ed a Guglielmo d'Orange.
    
    FINE.
    
    
    
    NOTE:
    
    
    
    (1) Nell'originale "dalla". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (2) In questo e nel seguente Capitolo rarissime volte ho reputato
    necessario di citare autorità di scrittori; perocchè in questi
    Capitoli non ho descritti minutamente gli avvenimenti, e adoperati
    materiali reconditi; e i fatti che rammento sono in gran parte tali,
    che chi conosce anche non molto la storia d'Inghilterra, ove non li
    sapesse equamente estimare, saprebbe per lo meno dove ricorrere per
    sincerarsene. Ne' Capitoli susseguenti indicherò studiosamente le
    fonti alle quali ho ricorso.
    
    (3) Nell'originale "traportarono". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (4) Nell'originale "fraticelllo". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (5) Nell'originale "suoi suoi". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (6) Nell'originale "Yorck" [Nota per l'edizione elettronica Manuzio]
    Queste cose vengono magistrevolmente esposte da Hallam nel primo
    capitolo della sua Storia Costituzionale.
    
    (7) Sentiamo il dovere di avvertire una volta per sempre i nostri
    lettori, onde non dimentichino mai che l'autore inglese del presente
    libro è protestante; e quindi, comunque si mostri imparzialissimo e
    superiore alle passioni di setta, dipingendo a tratti brevi e
    filosofici il lacrimevole periodo delle lotte religiose nella Gran
    Bretagna, manifesta delle dottrine non conformi alla nostra
    religione cattolica. Tralasciamo di apporre delle annotazioni, prima
    perchè questa essendo un'opera storica, non può essere un trattato
    di controversia religiosa; e poi perchè ricorrono spontanee alla
    mente d'ogni lettore le risposte con le quali la Chiesa ha
    vittoriosamente combattute e respinte le opinioni de' protestanti.
     (L'Editore.)
    
    (8) Vedi un documento singolarissimo che Strype credeva scritto di
    mano di Gardiner. Ecclesiast. Memor., Lib. II, c. 17.
    
    (9) Sono precise parole di Cranmer. Vedi l'Appendice alla Storia
    della Riforma, di Burnet; Parte I, Lib. III, N. 21; Questione 9.
    
    (10) Neale, storico puritano, dopo d'avere riprovata la crudeltà con
    che Elisabetta trattò la setta alla quale egli apparteneva, conclude
    in questa guisa: "La regina Elisabetta, malgrado tutti cotesti
    falli, sarà sempre rammentata qual principessa savia e politica, per
    avere liberato il proprio Regno dalle difficoltà in cui trovavasi
    involto al suo avvenimento al trono; per avere serbata la Riforma
    protestante contro i vigorosi attentati del papa, dello Imperatore e
    del Re di Spagna al di fuori, e contro la Regina di Scozia, e i suoi
    sudditi papisti al di dentro... Fu gloria del suo secolo, e sarà
    sempre l'ammirazione de' posteri." Storia dei Puritani, Part. I,
    cap. 8.
    
    (11) Giuseppe Hall, a que' tempi decano di Worcester, e poi vescovo
    di Norwich, era uno de' commissarii. Nella vita ch'egli scrisse di
    sé, dice: "La mia indegnità fu nominata come uno degli assistenti di
    quell'onorevole, grave e reverenda ragunanza." Ai seguaci dell'Alta
    Chiesa siffatta umiltà parrà non poco fuor di luogo.
    
    (12) Peckard, Vita di Ferrar. - Il monastero Arminiano, ovvero Breve
    Descrizione del luogo dello il Monastero Arminiano a Little Gidding,
    nella Contea di Huntingdon, 1641.
    
    (13) Nell'originale "giuridicio". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (14) Nell'originale "cervio". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (15) Nell'originale "Jonson". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (16) Parmi che dal carteggio di Wentworth si raccolga chiaramente
    ciò che ho affermato nel testo. Ricopiare tutti i luoghi che mi
    hanno condotto alla conclusione surriferita, sarebbe impossibile; nè
    sarebbe agevole farne una scelta migliore di quella che è stata già
    fatta da Hallam. Esorto, non pertanto, il lettore a consultare il
    documento che concerne gli affari del Palatinato, in data del dì 31
    marzo 1637, e che fu dettato dallo stesso Wentworth.
    
    (17) Sono parole di Wentworth. Vedi la sua Lettera a Laud, in data
    del 16 decembre 1631
    
    (18) Vedi il suo rapporto a Carlo per l'anno 1639.
    
    (19) Vedi la sua lettera al conte di Northumberland, io data del 30
    luglio 1630.
    
    (20) Nell'originale "repubbicani". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (21) Nell'originale "Canturbery". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (22) Nell'originale "similie". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (23) Nell'originale "aqquartierati". [Nota per l'edizione
    elettronica Manuzio]
    
    (24) Nell'originale "inclinata". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (25) Nell'originale "aqquartierato". [Nota per l'edizione
    elettronica Manuzio]
    
    (26) Nell'originale"Yorck". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (27) Nell'originale "pur". [Nota per l'edizione elettronica Manuzio]
    
    (28) Nell'originale "errore". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (29) Nell'originale "diriritto". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (30) Nell'originale "bruciasssero". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (31) Quanto poco entrasse in ciò la compassione per l'orso, è
    provato a sufficienza dalle seguenti parole, estratte da una
    scrittura che porta per titolo: A perfect diurnal of some Passages
    of Parliament, and from other Parts of the Kingdom, from Monday July
    24th., to Monday July 31th. 1643. "La regina, venendo dall'Olanda,
    condusse seco, oltre una compagnia di uomini brutali, una compagnia
    di orsi selvaggi, a qual fine lo giudicherete da ciò che sono per
    dire. Codesti orsi erano tenuti intorno a Newark, ed erano condotti
    costantemente alle città di provincia nel giorno di domenica per
    farli tormentare: tale è la religione che ci si vorrebbe imporre; e
    se alcuno avesse osato astenersi da siffatte abominevoli
    profanazioni, o anche parlarne contro, veniva subito notato per
    Testa-Rotonda o Puritano, ed era sicuro d'essere spogliato. Ma
    alcuni soldati del colonello Cromwell [Nell'originale "Cromwel"]
    venuti a caso alla città di Uppingham in Rutland, la domenica
    trovarono gli orsi, che, secondo il costume, si facevano giuocare;
    li presero, li legarono ad un albero, e con gli archibugi li
    uccisero." Questo esempio non è solo. Il colonello Pride, quando era
    sceriffo di Surrey, ordinò che le bestie del serraglio di Southwark
    si uccidessero. Uno scrittore satirico gli pone in bocca le seguenti
    parole, con cui si sforza di difendere quell'atto: "La prima cosa
    che mi pesa sull'anima è l'uccisione degli orsi; per la quale il
    popolo mi odia, e mi carica di mille ingiurie e vituperii. Ma David
    non uccise egli un orso? Il Lord Deputato Ireton non uccise
    anch'egli un orso? Un altro de' nostri Lordi non uccise cinque
    orsi?" Ultimo discorso e parole di Tommaso Pride, dette dal letto di
    morte.]
    
    (32) "Rompig under the mistletoe." La frase esprime una costumanza
    inglese, e non ha corrispondente in italiano, e quindi riesce
    inintelligibile. In Inghilterra, ne' giorni di Natale, appendono
    alla soffitta d'una stanza un ramo di cotesta pianta parassita, che
    cresce sui tronchi degli alberi; e per parecchi giorni vi
    tripudiano, o fanno baccano sotto. (Nota del Traduttore.)
    
    (33) Abbiamo adoperato il vocabolo generico giuochi, perchè la
    parola hockey, che usa l'autore e significa un giuoco speciale, non
    ha corrispondente in italiano. Questo giuoco consiste in questo che
    i giuocatori si dividono in due opposte falangi; ciascuna delle
    quali, con bastoni ricurvi nella punta, si studia di spingere una
    palla verso una meta posta in direzione contraria di quella degli
    avversari ec. (Nota del Traduttore.)
    
    (34) Vedi l'opera di Pen intitolata: Nuovi Testimonii provati essere
    Vecchi Eretici; e le opere di Muggleton, passim.
    
    (35) Il Mercoledì in inglese si dice Wednesday, che secondo alcuni
    significa giorno d'Odino. (Nota del Traduttore.)
    
    (36) Nell'originale "spiacevali". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (37) Nell'originale "sepavava". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (38) Nell'originale "facende". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (39) Con questo nome chiamavasi uno strumento di tortura adoperato
    in Iscozia; perchè era a foggia di uno stivale di ferro, che
    adattavasi alle gambe de' martoriati, e stringevasi con una vite
    fino a dirompere le ossa. (Nota del Traduttore.)
    
    (40) Nell'originale "generamente". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (41) La cosa più notevole che fosse detta intorno a questo subietto
    nella Camera de' Comuni, uscì dalle labbra di Sir Guglielmo
    Coventry: "I nostri antenati non tirarono mai una linea a
    circonscrivere la prerogativa e la libertà."
    
    (42) A celebrare la memoria della condanna capitale di Carlo I,
    alcuni repubblicani mangiavano una testa di vitello. Ne nacque
    quindi un'associazione che assunse il nome notato nel testo. (Nota
    del Traduttore.)
    
    (43) Da quanto è detto nel testo, argomentasi che io reputo Halifax,
    autore, o almeno uno degli autori, del Carattere di un Barcamenante,
    che un tempo corse sotto il nome del suo congiunto Sir Guglielmo
    Conventry.
    
    (44) Mob vale folla, e Johnson la fa derivare dalla voce latina
    mobile. - Sham, che secondo lo stesso scrittore deriva dal vocabolo
    gallese shommi, significa inganno, impostura. (Nota del Traduttore.)
    
    (45) Esame di North, VII, 574.
    
    (46) Uno de' Pari che trovavasi presente, ha descritto lo effetto
    della eloquenza di Halifax con parole che io riporterò, perocchè,
    quantunque siano da lungo tempo a stampa, sono probabilmente
    conosciute da pochi anche fra i più curiosi e diligenti lettori
    della storia:
    
    "I nemici del Duca che sostenevano la legge, erano uomini
    eloquentissimi e forniti di egregie doti: ma sorse ad oppugnarla un
    nobile Lord, il quale, quel giorno, per vigoria di parola, per
    ragioni, per argomenti tratti da ciò che potesse concernere
    gl'interessi pubblici e privati degli uomini, per onore, coscienza,
    grado, superò se stesso ed ogni altro; e finalmente rimase
    vittorioso, abbattendo lo spirito e la malizia della parte avversa."
    
    Questo brano è tratto da una Memoria di Enrico Conte di Pietroburgo,
    in un volume intitolato "Brevi Genealogie di Roberto Halstead", in
    folio, 1685. Il nome di Halstead è fittizio. I veri autori furono il
    Conte di Pietroburgo stesso, e il suo cappellano. Questo libro è
    estremamente raro. Ne furono stampati soli ventiquattro esemplari:
    due de' quali ora si trovano nel Museo Britannico; uno apparteneva a
    Giorgio IV; l'altro al signor Grenville.
    
    (47) Nell'originale "potutto". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (48) Nell'originale "ed agli" [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (49) Di ciò si fa memoria in un'opera curiosa intitolata: Ragguaglio
    della solenne comparsa fatta a Roma gli otto di gennaio 1687
    dall'illustrissimo ed eccellentissimo signor conte di Castlemaine.
    
    (50) Nell'originale "infliggevano". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (51) Nell'originale "instette". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (52) Esame di North, 69.
    
    (53) Lord Preston, il quale era inviato in Parigi, scrisse di là ad
    Halifax le seguenti cose: "Mi accorgo che la Signoria vostra
    continua sempre nella sciagura di non essere bene accetto in questa
    Corte; e il signor Barillon non ardisce farvi buon viso dacchè il
    suo signore vi guarda in cagnesco. Conosco bene i meriti della
    Signoria vostra; ne hanno timore, e perciò vi odiano: siate sicuro,
    milord, se tutta la loro forza bastasse a mandarvi a Rufford,
    l'adoprerebbero a tal fine. Due sono gli addebiti che vi danno; la
    segretezza e la incorruttibilità. Lo so, perchè ne hanno parlato."
    La data della lettera è del 5 ottobre N. S. 1683.
    
    (54) Nell'originale "Brigton". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (55) Nell'originale "velecità". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (56) Osservazioni sulle liste di mortalità, del capitano Giovanni
    Graunt (sir Guglielmo Petty), cap. XI.
    
    (57) "Comprende un milione e cinquecentomila che passano la vita in
    essa." (Bellezze della Gran Brettagna, 1671.)
    
    (58) Isacco Vossio, De magnitudine urbium Sinarum, 1685. Vossio,
    secondo che narra Saint Evremond, parlava di questo subbietto più
    spesso e più a lungo di quel che le culte brigate ne volessero
    intendere.
    
    (59) King, Osservazioni Naturali e Politiche, 1696. Questo pregevole
    trattato, che dovrebbe leggersi nella forma in cui fu scritto
    dall'autore, e non come è stato raffazzonato da Davenant, si trova
    in alcune edizioni dei Computi di Chalmers.
    
    (60) Dalrymple, Appendice alla Parte II, Lib I. Il costume di
    computare la popolazione per sètte, fu lungo tempo di moda. Gulliver
    dice del Re di Brobdignag: "Egli rise alla mia strana aritmetica,
    come gli piacque di chiamarla, nell'indagare il numero della nostra
    popolazione, facendone un computo dalle diverse sètte religiose e
    politiche, che sono fra noi."
    
    (61) Prefazione alle Liste della popolazione del 1831.
    
    (62) Nell'originale "Midlessex". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (63) Nell'originale "Massachussetts". [Nota per l'edizione
    elettronica Manuzio]
    
    (64) Statutes, 14, Car. II cap. 22; 18 e 19, Car. II, cap. 3; 29 e
    30, Car. II, cap. 2.
    
    (65) Nicholson e Bourne, Discorso sullo antico Stato della
    Frontiera, 1777.
    
    (66) Gray, Diario di un Viaggio ai Laghi, 3 ottobre 1769.
    
    (67) North, Vita di Guildford. Hutchinson, Storia di Cumberland,
    parrocchia di Brampton.
    
    (68) Vedi il Diario di Sir Walter Scott, 7 ottobre 1827, nella Vita
    che ne scrisse Lockhart.
    
    (69) Darlymple, Appendice alla Parte II, lib. I. Il computo
    dell'imposta sui focolari conduceva, a un dipresso, alla medesima
    conclusione. I focolari nella provincia di York non erano neanche un
    sesto di quelli di tutta l'Inghilterra.
    
    (70) Naturalmente, qui non pretendo di essere esatto; ma credo che
    chiunque si voglia prendere l'incomodo di paragonare gli ultimi
    computi dell'imposta sui focolari di Guglielmo III col censimento
    del 1841, verrà ad una conclusione non molto diversa dalla mia.
    
    (71) Nella Biblioteca di Pepys esistono alcune ballate di quei tempi
    intorno alla imposta sui camini. Ne recherò uno o due brani: -
    
    "Le buone vecchierelle, ogni qualvolta spiavano l'esattore della
    tassa dei camini, affrettavansi a porre ne' loro nascondigli pentole
    e vasi di terra. Non v'è una vecchia fra dieci - cercate per tutta
    la nazione - la quale, se le parlate dell'esattore, non gli mandi
    una o due maledizioni."
    
    E di nuovo:
    
    "Come soldati saccheggiatori, essi (gli esattori) entravano nelle
    case e rapivano le sostanze de' poverelli, mentre i miseri fanciulli
    impauriti piangevano: il che non mitigava punto il loro insolente
    orgoglio."
    
    Nel Museo Britannico, esistono alcuni versi triviali, composti sul
    medesimo soggetto e col medesimo spirito:
    
    "Se anche la tassa non è pagata, malgrado la povertà, per crudeltà
    strappano via l'unico letto, sopra cui il povero uomo riposa il suo
    capo stanco, e lo privano ad un'ora del suo riposo e del suo pane."
    
    
    Colgo il destro, il primo che mi si faccia innanzi, di dichiararmi
    grato alla cortesia e liberalità, con cui il Maestro e il
    Vice-Maestro del Collegio della Maddalena di Cambridge mi hanno dato
    accesso alle pregevoli Raccolte di Pepys.]
    
    (72) Nell'originale "stati meno stati meno". [Nota per l'edizione
    elettronica Manuzio]
    
    (73) Le principali autorità di cui mi servo per queste nozioni
    intorno alle Finanze; si trovano nei Giornali de' Comuni, 1 e 20
    marzo 1688-89.
    
    (74) Vedi, a modo d'esempio, la pittura della terrazza di
    Malborough, nell'Itinerarium Curiosum di Stukeley.
    
    (75) Chamberlayne, Stato dell'Inghilterra, 1684.
    
    (76) 13 e 14, Car. II, cap. 3; 15 Car. II, cap. 4. Chamberlayne,
    Stato dell'Inghilterra, 1684.
    
    (77) Dryden,nel suo Cimone ed Ifigenia, esprime, con la sua consueta
    acutezza ed energia, i sentimenti di moda negli adulatori di Giacomo
    II.
    
    "La contrada risuona all'intorno d'alte grida, e la rozza milizia
    brulica su per i campi; bocche senza mani, mantenute con gravi
    spese, e che non per tanto sono un carico in tempo di pace, e una
    debole difesa in tempo di guerra. Una volta il mese marciano
    intrepidi; banda tumultuosa, e sempre, fuorchè in tempo di bisogno,
    pronta. Ciò era la mattina, quando, uscendo alla guardia ordinati,
    rendevano immagine di armati apparecchiati ad una breve prova; e poi
    correvano ad ubriacarsi: il che forma la loro occupazione
    giornaliera."
    
    (78) Nell'originale "posterioriori". [Nota per l'edizione
    elettronica Manuzio]
    
    (79) Equivale a Bufali.
    
    (80) La maggior parte dei materiali di cui ho fatto uso nel
    descrivere le milizie regolari, si trova nei Ricordi storici dei
    Reggimenti, pubblicati per ordine del Re Guglielmo IV, e sotto la
    direzione dell'Aiutante Generale. Vedi anche Chamberlayne, Stato
    dell'Inghilterra, 1684; Compendio della Disciplina Militare Inglese,
    stampato per ordine speciale, 1688; Esercizi di Fanteria per ordine
    delle Loro Maestà, 1690.
    
    (81) Mi riporto ad un dispaccio di Bonrepaux a Seignelay, in data
    dell'8 (o 18) febbraio 1686. Fu ricopiato per Fox negli Archivii
    francesi, durante la pace d'Amiens; e, con gli altri materiali
    raccolti da quel grande uomo, affidato a me dalla cortesia di Lady
    Holland defunta, e dell'attuale Lord Holland. Dovrei aggiungere che
    anche fra mezzo ai disturbi che di recente hanno sconvolta Parigi,
    non ho incontrata difficoltà ad ottenere, dalla liberalità di que'
    funzionari, estratti per supplire a certe lacune che trovansi nella
    collezione di Fox.
    
    (82) Nell'originale "corti". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (83) Le mie nozioni rispetto alla condizione della marina di quel
    tempo, sono attinte principalmente agli scritti di Pepys. La
    relazione ch'egli nel 1684 presentò a Carlo II, a quanto credo, non
    è stata mai pubblicata. Il manoscritto trovasi nel Collegio della
    Maddalena di Cambridge. Nel medesimo Collegio trovasi anche un altro
    pregevole manoscritto, contenente una minuta descrizione degli
    stabilimenti marittimi del paese nel dicembre del 1684. La Memoria
    concernente lo stato della Real Marina per lo spazio di dieci anni,
    fino a Dicembre 1688, scritta da Pepys, e il suo diario e carteggio,
    durante la sua missione a Tangeri, sono a stampa; e me ne sono molto
    servito. Vedi parimente Sheffield, Memorie; Teonge, Diario; Aubrey,
    Vita di Monk; la Vita di Sir Cloudesley Shovel, 1708; il Giornale
    dei Comuni, 1 e 20 marzo 1688-89.
    
    (84) Chamberlayne, Stato dell'Inghilterra, 1684; Giornale dei
    Comuni, 1° marzo, e 20 marzo 1688-89. Nel 1833 fu deliberato, dopo
    una esatta indagine, di tener sempre in pronto cento settanta mila
    barili di polvere: regola che è anche oggi osservata.
    
    (85) Sembra dai ricordi dell'Ammiragliato, che agli ufficiali di
    bandiera fosse concessa la mezza paga nel 1668, e ai Capitani di
    prima e seconda classe non prima del 1674.
    
    (86) Warrant, ne' Ricordi dell'Ufficio della Guerra, in data del 26
    marzo 1678.
    
    (87) Evelyn, Diario, 27 gennaio 1682. Ho veduto un atto munito del
    sigillo privato in data del 17 maggio 1683, che conferma la
    testimonianza di Evelyn.
    
    (88) Giacomo II spedì inviati in Spagna, Svezia e Danimarca:
    nondimeno, lui regnante, le spese diplomatiche ascendevano a poco
    più di 30,000 sterline l'anno. Vedi il Giornale dei Comuni, 20 marzo
    1688-89. Chamberlayne, Stato dell'Inghilterra, 1684, 1687.
    
    (89) Carte, Vita di Ormond.
    
    (90) Pepys, Diario, 14 febbraio 1668-69.
    
    (91) Vedi il Rapporto della causa di Bath e Montagne, che fu decisa
    dal Lord Cancelliere Somers nel decembre del 1593.
    
    (92) Per nove mesi dell'anno, cominciando dal Natale del 1679, le
    rendite della Sede di Canterbury venivano riscosse da un ufficiale
    nominato dalla Corona; i conti del quale oggidì esistono nel Museo
    Britannico (Mss. Lansdowne 885). La rendita lorda di que' nove mesi
    non arrivava a quattromila sterline; e la differenza tra la rendita
    lorda e la netta era evidentemente considerevole.
    
    (93) King, Conclusioni Naturali e Politiche. Davenant, Bilancia del
    Traffico. Sir Guglielmo Temple dice: "Le rendite della Camera dei
    Comuni di rado hanno sorpassato quattrocentomila lire sterline."
    Memorie, Parte III.
    
    (94) Langton, Conversazioni con Hale, 1672.
    
    (95) Nell'originale "sterlini". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (96) Giornale dei Comuni, 27 aprile 1689. Chamberlayne, Stato
    dell'Inghilterra, 1684.
    
    (97) Vedi i Viaggi del Granduca Cosimo.
    
    (98) King, Conclusioni Naturali e Politiche. Davenant, Bilancia del
    Traffico.
    
    (99) Vedi l'Itinerarium Angliæ, 1675, di Giovanni Ogilby, Regio
    Cosmografo. Descrive gran parte del paese come boscoso, incolto e
    pieno di rocce, e paludoso d'ambe le parti. In alcune delle sue
    Carte topografiche, le strade a traverso i luoghi chiusi sono
    descritte da linee, e quelle a traverso i luoghi non chiusi sono
    segnate con punti. La parte de' luoghi non chiusi, i quali, seppure
    erano coltivati, dovevano esserlo pessimamente, sembra essere stata
    grandissima. Da Abington fino a Gloucester, per modo d'esempio, che
    forma un tratto di quaranta o cinquanta miglia, non v'era un solo
    campo chiuso, e appena un solo tra Biggleswade e Lincoln.
    
    (100) Grandi copie di questi importantissimi disegni esistono nella
    bella raccolta legata da Grenville al Museo Britannico.
    
    (101) Evelyn, Diario, 2 giugno 1675.
    
    (102) Vedi White, Selborne; Bell, Storia dei Quadrupedi
    dell'Inghilterra; Ricreazione del Gentiluomo, 1686; Aubrey, Storia
    Naturale della Contea di Wilt, 1685; Morton, Storia della Contea di
    Northampton, 1712; Willougby, Ornitologia, 1678; Latham, Sinopsi
    Generale degli Uccelli; Sir Tommaso Browne, Descrizione degli
    Uccelli che si trovano in Norfolk.
    
    (103) Il sacco inglese (quarter) corrisponde a 8 staia toscane.
    
     (Nota del Traduttore.)
    
    (104) King, Conclusioni Naturali e Politiche. Davenant, Bilancia del
    traffico.
    
    (105) Vedi gli Almanacchi del 1684 e 1685.
    
    (106) Vedi M'. Culloch, Statistica dell'Impero Britannico, Parte
    III, cap. 1, sez. 6.
    
    (107) King e Davenant, luogo citato. Il Duca di Newcastle, Della
    Equitazione; Ricreazione del Gentiluomo, 1686. Il possedere "cavalle
    stornelle di Fiandra" era argomento di grandezza ai tempi di Pope,
    ed anche dopo.
    
    Il proverbio comune che la cavalla grigia è la migliore, originò,
    come credo, dalla preferenza che davasi generalmente alle cavalle
    grigie delle Fiandre sopra i migliori cavalli da carrozza di razza
    inglese
    
    (108) Vedi una nota curiosa di Tonkin nel libro di Carew, intitolato
    Considerazioni su Cornwall, edizione di Lord De Dunstanville.
    
    (109) Borlase, Storia Naturale di Cornwall, 1758. La quantità del
    rame che oggi si estrae, è stata da me desunta dalle relazioni fatte
    al Parlamento. Davenant, nel 1700, stimava il prodotto annuo di
    tutte le miniere dell'Inghilterra ad una somma tra sette o otto
    cento mila sterline.
    
    (110) Transazioni Filosofiche, N. 23, Nov. 1669; N. 66, Dic. 1670;
    N. 103, Mag. 1674; N. 156, Feb. 1683-84.
    
    (111) Yarranton, Progressi dell'Inghilterra per terra e per mare,
    1677; Porter, Progresso della Nazione. Vedi anche una breve storia,
    notevolmente perspicua, de' lavori di ferro dell'Inghilterra in M'.
    Culloch, Statistica dello Impero Britannico.
    
    (112) Misura di carbone, equivalente a trentasei moggia. (Nota del
    Trad.)
    
    (113) Vedi Chamberlayne, Stato dell'Inghilterra, 1684, 1687;
    Angliae[Nell'originale "Anglise"] Metropolis, 1691; M'. Culloch,
    Statistica dello Impero Britannico, parte III, cap. 2 (ediz. del
    1847). Nel 1845, la quantità del carbone trasportato a Londra, come
    si deduce dalle relazioni parlamentari, fu di 3,460,000 tonnellate.
    
    (114) Ho attinte le mie idee intorno al gentiluomo di provincia del
    secolo decimosettimo a così gran numero di fonti, da non esser
    possibile citarle tutte. È forza ch'io lasci la mia descrizione al
    giudizio di coloro che hanno studiata la storia e l'amena
    letteratura di quel tempo.
    
    (115) Vedi Heylin, Cyprianus Anglicus.
    
    (116) Eachard, Cagioni del dispregio del Clero; Oldham, Satira
    diretta ad un amico sul punto di lasciare l'Università; Tatler, 255,
    258. Che il Clero Inglese fosse composto d'individui di bassa
    nascita, è notato nei viaggi del Granduca Cosimo, Appendice A.
    
    (117) "A causidico, medicastro, ipsâque artificum farragine ecclesiæ
    rector aut vicarius contemnitur et fit ludibrio. Gentis et familiæ
    nitor sacris ordinibus pollutus censetur: fminisque natalitio
    insignibus unicum inculcatur sæpius præceptum, ne modestiæ
    naufragium faciant, aut (quod idem auribus tam delicatulis sonat) ne
    clerico se nuptas dari patiantur." Angliae Notitia di Tommaso Wood
    di New College; Oxford, 1686.
    
    (118) Vita di Clarendon, II. 21.
    
    (119) Vedi le Ingiunzioni del 1559, nella raccolta del Vescovo
    Sparrow. Geremia Collier, nel suo Saggio sopra l'orgoglio, parla di
    questa ingiunzione con un'acrimonia, che prova come il suo proprio
    orgoglio non fosse ancora domo.
    
    (120) Ruggiero ed Abigail, nella Donna Sprezzante di Fletcher; Bull
    e la Balia, nella Ricaduta di Vanbrough; Smirk e Susanna, nelle
    Streghe della Contea di Lancaster di Sadwell, possono servire
    d'esempio.
    
    (121) Swift, Avvertimenti ai Servi.
    
    (122) Questa distinzione fra clero rurale e clero cittadino, è
    positivamente notata da Eachard, e salta agli occhi di chiunque
    abbia studiata la storia ecclesiastica di quell'età.
    
    (123) Nelson, Vita di Bull. Intorno alla estrema difficoltà che
    incontrava il clero di provincia a procurarsi libri, vedi la Vita di
    Tommaso Bray, fondatore della Società per la propagazione del
    Vangelo.
    
    (124) "L'ho (Dryden) spesso udito confessare con compiacenza, che
    s'egli aveva qualche maestria nella prosa, la doveva allo avere
    spesso letti gli scritti dello Arcivescovo Tillotson." Congreve,
    Dedica dei Drammi di Dryden.
    
    (125) Leggi contro le riunioni legittime. (Nota del Traduttore.)
    
    (126) Ho adottato l'estimo di Davenant, che è poco più basso di
    quello di King.
    
    (127) Evelyn, Diario, 27 giugno 1654; Pepys, Diario, 13 giugno 1668;
    Ruggiero North, Vite del Lord Cancelliere Guildford, e di Sir Dudley
    North; Petty, Aritmetica Politica. Ho adottato i fatti di Petty, ma
    nel farne le deduzioni, ho seguito Hing e Davenant; i quali,
    quantunque non avessero maggiore abilità di lui, avevano il
    vantaggio di essere a lui posteriori di tempo. Intorno al mestiere
    di raccogliere e trafugare uomini, che rendeva infame il nome di
    Bristol, vedi North, Vita di Guildford, 121, 216, e l'arringa di
    Jeffreys su tale subietto, nella Storia imparziale della sua vita e
    morte, stampata ne' Bloody Assizes. Il suo stile era usualmente
    aspro; ma non posso annoverare fra i delitti ascrittigli la sua
    invettiva contro i magistrati di Bristol.
    
    (128) Fuller, Personaggi celebri; Evelyn, Diario, 17 ottobre 1671;
    Giornale di E. Browne, figlio di Sir Tommaso Browne, gennajo
    1663-64; Blomefield, Storia di Norfolk; Storia della città e Contea
    di Norwich, 2 vol. 1768.
    
    (129) Pare che la popolazione di York[Nell'originale "Yorch"],
    secondo le liste de' battesimi e delle morti, nella Storia di Drake,
    fosse, nel 1730, circa 13,000. Exeter aveva solo 17,000 abitanti nel
    1801. La popolazione di Worcester fu numerata tosto innanzi
    l'assedio del 1646. Vedi Nash, Storia della Contea di Worcester. Ho
    tenuto conto dell'aumento che deve supporsi esservi seguito nello
    spazio di quaranta anni. Nel 1740, la popolazione di Nottingham era,
    giusta l'enumerazione fattane, di 10,000 anime. Vedi la Storia di
    Dering. Qual fosse la popolazione di Gloucester, potrebbe dedursi
    dal numero delle case, che King trovò nelle liste della imposta sui
    fuochi, e dal numero delle nascite e morti, che è riportato nella
    Storia di Atkyns. La popolazione di Derby era di 4000 anime nel
    1712. Vedi la Storia Ms. di Wolley, citata nella Magna Britannia di
    Lyson. La popolazione di Shrewsbury fu numerata nel 1695. Intorno
    alle delizie di Shrewsbury, vedi l'Ufficiale Reclutatore di
    Farquhar. La descrizione che ne fa questo scrittore trovasi in una
    ballata, esistente nella Biblioteca di Pepys, ed ha l'intercalare
    "Shrewsbury for me."
    
    (130) Nell'originale "propresso". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (131) Blome, Britannia, 1673; Aikin Il Paese attorno Manchester;
    Direttorio di Manchester, 1845; Baines, Storia della manifattura di
    Cotone. Le migliori notizie che io abbia potuto trovare rispetto
    alla popolazione di Manchester nel secolo decimosettimo, si
    contengono in una scrittura del Reverendo R. Parkinson, pubblicata
    nel Giornale della Società Statistica, ottobre 1842.
    
    (132) Thoresby, Ducatus Leodensis; Whitaker, Loidis and Elmete;
    Wardell, Storia Municipale del Borgo di Leeds.
    
    (133) Nell'originale "Chauser". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (134) Hunter, Storia della Contea di Hallam.
    
    (135) Blome, Britannia, 1673; Dugdale, La Contea di Varwick; Nort,
    Esame, pag. 321, Prefazione all'Assalonne ed Achitofel; Hutton,
    Storia di Birmingham; Boswell, Vita di Johnson. Nel 1690, le morti
    di Birmingham furono 150; le nascite 125. Reputo probabile che la
    mortalità annua fosse poco meno di uno in ogni venticinque
    individui. In Londra era considerevolmente maggiore. Uno storico di
    Nottingham, mezzo secolo dopo, vantava la straordinaria salubrità
    della città propria, dove la mortalità annua era in proporzione di
    uno a trenta. Vedi Dering, Storia di Nottingham.
    
    (136) Blome, Britannia; Gregson, Antichità della Contea Palatina e
    del Ducato di Lancaster, Parte II; Petizione di Liverpool, nel Libro
    del Consiglio Privato, 10 maggio 1686. Nel 1690, le morti in
    Liverpool furono 151, le nascite 120. Nel 1844, la entrata netta
    delle dogane di Liverpool fu di 4,365,526 lire sterline, 1 scellino
    e 8 soldi.
    
    (137) Atkyns, Contea di Gloucester.
    
    (138) Magna Britannia; Grose, Antichità; New Brightelmstone
    Directory,
    
    1770.
    
    (139) Viaggio nella Contea di Derby, di Tomaso Browne, figlio di Sir
    Tommaso.
    
    (140) Vedi Wood, Storia di Bath, 1749; Evelin, Diario, 27 giugno
    1654; Pepys, Diario, 12 giugno 1668; Stukeley, Itinerarium curiosum;
    Collinson, Contea di Somerset; Dottor Peirce, Storia e Memorie di
    Bath, 1713, lib. I, cap. 8, osser. 2, 1684. Ho consultato varie
    carte topografiche e pitture di Bath, in ispecie una carta curiosa,
    che è circondata dalle vedute de' principali edificii. Ha la data
    del 1717.
    
    (141) Secondo King, 530,000.
    
    (142) Macpherson, Storia del Commercio; Chalmers; Chamberlayne,
    Stato dell'Inghilterra, 1684. Il tonnellaggio dei piroscafi
    appartenenti al porto di Londra alla fine del 1847 era di 60,000
    tonnellate. La somma media, dal 1842 al 1845, che incassava la
    Dogana del porto, era di 11,000,000.
    
    (143) Nell'originale "Middlessex". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (144) Lisson, Dintorni di Londra. I battesimi in Chelsea, tra il
    1680 e 1690, erano quarantadue l'anno.
    
    (145) Cowley, Discorso intorno la Solitudine.
    
    (146) Le notizie più ampie e più degne di fede inforno alla
    condizione degli edificii di Londra verso questo tempo, ritrovansi
    nelle carte topografiche e nei disegni esistenti nel Museo
    Britannico, e nella Biblioteca di Pepys. Della cattiva fattura de'
    mattoni delle fabbriche di Londra, è fatto speciale ricordo ne'
    Viaggi del Granduca Cosimo. Nello Esploratore di Londra di Ward, vi
    è una relazione de' lavori della chiesa di San Paolo. Mi vergogno
    quasi di citare un così nauseante cicaleccio; ma mi è stato forza
    scendere, se pure è possibile, anche più basso, per raccogliere
    materiali.
    
    (147) Evelyn, Diario, 20 settembre 1672.
    
    (148) Ruggiero North, Vita di Sir Dudley North.
    
    (149) North, Esame. Questo piacevole scrittore ci ha conservato un
    esempio dei voli sublimi ai quali abbandonavasi il Pindaro della
    Città:
    
    "Il venerando Sir Giovanni Moor!
    
    Dopo secoli adorisi tal nome!"
    
    (150) Chamberlayne, Stato dell'Inghilterra, 1684; Angliæ Metropolis,
    1690; Seymour, Londra 1734.
    
    (151) Nell'originale "loatana". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (152) Inigo Jones è uno dei più celebri architetti inglesi. (Nota
    del Trad.)
    
    (153) North, Esame, 116. Wood, Ath, Ox. Shaftesbury. La litania del
    Duca di Buckingam.
    
    (154) Viaggi del Granduca Cosimo.
    
    (155) Nell'originale "ricccamente". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (156) Chamberlayne, Stato dell'Inghilterra 1684; Pennant, Londra;
    Smith, Vita di Nollekens.
    
    (157) Evelyn, Diario, 10 ottob. 1683; 19 gennajo 1685-86.
    
    (158) Nell'originale "staso". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (159) Stat. I di Giac. II, c. 22; Evelyn, Diario, 7 dicembre 1684.
    
    (160) Il vecchio Generale Oglethorpe, morto nel 1785, aveva il
    costume di vantarsi d'avere in quel luogo ucciso degli uccelli sotto
    il regno di Anna. Vedi Pennant, Londra; e il Magazzino del
    Gentiluomo, luglio 1785.
    
    (161) Il campo della peste potrà vedersi nelle carte topografiche di
    Londra, anche in quelle edite verso la fine del regno di Giorgio I.
    
    (162) Vedi una curiosissima pianta di Covent Garden, fatta nel 1690,
    e incisa per la Storia di Westminster scritta da Smith. Vedi altresì
    il Mattino dipinto da Hogarth, allorquando le case della Piazza
    erano tuttavia abitate dai gentiluomini.
    
    (163) Lo Esploratore di Londra; Maso Brown, Vedute comiche di Londra
    e di Westminster; Turner, Proposta per impiegare i poveri, 1678;
    Corriere Quotidiano, e Giornale Quotidiano, 7 giugno 1733; Causa tra
    Michael ed Allestree nel 1676, 2 Levinz., pag 172. Michael era stato
    pesto da due cavalli che Allestree domava in Lincoln's Inn Fields.
    La dichiarazione stabiliva che l'accusato "porta deux chivals
    ungovernable en un coach, et improvide, incaute, et absque debita
    consideratione ineptitudinis loci la eux drive pur eux faire
    tractable et apt pur un coach, quels chivals, pur ceo que, per leur
    ferocite, ne poient estre rule, curre sur le plaintiff et le noie."
    
    (164) Stat. 12 di Gior. I, c. 25; Giornale dei Comuni, 25 febbraio,
    2 marzo 1725-26; Il Giardiniere di Londra, 1712; Evening Post, 25
    Marzo 1731. Non mi è riuscito di trovare questo numero del Giornale
    Evening Post: però lo cito sulla fede di Malcolm, che lo rammenta
    nella sua Storia di Londra.
    
    (165) Lettres sur les Anglois, scritte ne' primi anni del regno di
    Guglielmo III; Swift, City Shower; Gay, Trivia. Johnson aveva
    costume di riferire un colloquio che egli ebbe con sua madre intorno
    al cedere o a prendere il muro.
    
    (166) Oldham, Imitazione della Satira III di Giovenale, 1682;
    Shadwell, Scourers, 1690. Molte altre autorità incontrerà di
    leggieri chiunque conosca la letteratura popolare di quella e della
    susseguente generazione. Potrebbe sospettarsi che alcuni dei Tityre
    Tus, da buoni Cavalieri, rompessero le finestre di Milton poco dopo
    la Restaurazione. Io credo ch'egli pensasse a que' malanni di Londra
    allorquando dettò quei versi: "Nelle splendide città, quando lo
    strepito delle contese e dei danni e degli oltraggi giunge alle loro
    più alte torri, e quando la notte intenebra le vie, i figli di
    Belial gavazzano trasportati dal vino e dalla insolenza."
    
    (167) Angliae Metropolis, 1690, sez. 17, che ha per titolo: Intorno
    alla nuova luce; Seymour, Londra.
    
    (168) Stowe, Sguardo sopra Londra; Shadwell, Lo Scudiere d'Alsazia;
    Ward, L'Esploratore di Londra; Stat. 8 e 9 di Gugliel. III, cap. 27.
    
    (169) Vedi il racconto che fa Sir Ruggiero North del modo con cui
    Wright fu fatto giudice, e il racconto di Clarendon sul modo con cui
    Sir Giorgio Savile fu fatto Pari.
    
    (170) Le fonti alle quali ho attinto le mie nozioni intorno alla
    Corte, sono sì numerose, che mal si potrebbero citare. Fra esse
    giova indicare i Dispacci di Barillon, di Van Citters, di Ronquillo
    e d'Adda; i Viaggi del Granduca Cosimo, i Diarii di Pepys, di Evelyn
    e di Teonge; e le Memorie di Grammont e di Reresby.
    
    (171) La principale caratteristica di questo dialetto consisteva in
    ciò, che in moltissime parole la O si pronunciava come A. Stork, a
    modo d'esempio, era pronunciato Stark. Vedi Vanbrugh, La Ricaduta.
    Lord Sunderland era gran maestro di questo tono cortigiano, come lo
    chiama Ruggiero[Nell'originale "Ruggero"] North; e Tito Oates lo
    affettava, sperando di passare per un egregio gentiluomo. Esame, 77,
    254.
    
    (172) Non è d'uopo richiamare l'attenzione del lettore alla ironia
    della frase. Dai precedenti capitoli si sarà accorto come l'autore
    senza distinzione di opinioni politiche e religiose renda giustizia
    a tutti, anzi si mostri severissimo contro i protestanti fanatici.
    (Nota dell'Editore).
    
    (173) Lettres sur les Anglois; Viaggi di Maso Brown; Ward,
    Esploratore di Londra; La natura di una Bottega da Caffè, 1673;
    Regolamenti ed ordini della Bottega del Caffè, 1674; La Bottega del
    Caffè difesa, 1675; Satira contro il Caffè; North, Esame, 138; Vita
    di Guildford, 152; Vita di Sir Dudley North, 149; Vita del Dottor
    Radcliffe pubblicata da Curll nel 1715. La più viva descrizione del
    Caffè Will si trova nel Topo da città e da campagna. Vi è un tratto
    notevole intorno alla influenza degli oratori delle botteghe da
    caffè, nelle Brevi Genealogie di Halstead, stampate nel 1685.
    
    (174) Il testo dice cockney, vocabolo che non può avere in italiano
    l'equivalente. In Londra si chiamano cockney coloro che sono nati ed
    abitano presso Bow Church, e si suppone che non siano mai usciti dal
    ricinto della City, e che uscendo fuori si maravigliano di tutto, in
    guisa da rendersi ridicoli. Fra le mille storielle che si narrano
    per mettere in caricatura (ci si perdoni la frase) il Cockney,
    dicesi che uno di loro andando a caccia, uccidesse un'upupa o un
    barbagianni in un cimitero, e tornasse costernato a casa credendo di
    avere morto un cherubino. (Nota del Traduttore).
    
    (175) Nell'originale "avessse". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (176) Centuria d'Invenzioni, 1663, n° 68.
    
    (177) North, Vita di Guildford, 136.
    
    (178) Thoresby, Diario, 21 ottobre 1680, 3 agosto 1712.
    
    (179) Pepys, Diario, 12 e 16 giugno 1668.
    
    (180) Ibidem, 28 febbrajo 1660.
    
    (181) Thoresby, Diario, 17 maggio 1695.
    
    (182) Ibidem, 27 dicembre 1708.
    
    (183) Viaggio nella Contea di Derby, di G. Browne, figlio di Sir
    Tommaso Browne, 1662. Cotton Angler, 1676.
    
    (184) Carteggio di Enrico Conte di Clarendon, 30 Dicembre 1685, 1
    Gennajo 1686.
    
    (185) Postlethwaite, Vocabol. alla parola Strade. Storia di
    Hawkhurst, nella Bibliotheca Topographica Britannica.
    
    (186) Annali della Regina Anna, 1703: Appendice, n° 3.
    
    (187) Nell'originale "Huntingdom". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (188) 15 di Car. II, c. 1.
    
    (189) Gl'inconvenienti del vecchio sistema vengono esposti
    mirabilmente in molte petizioni, che trovansi nel Giornale dei
    Comuni del 1725-26. In quanto alle violente opposizioni che incontrò
    il sistema nuovo, veggasi il Magazzino del Gentiluomo del 1749.
    
    (190) Postlethwaite, Vocabol. alla parola Strade.
    
    (191) Loidis and Elmete. Marshall, Economia rurale dell'Inghilterra.
    Nel 1739, Roderico Random andò da Scozia a Newcastle sopra un
    cavallo da basto.
    
    (192) Cotton, Epistola a G. Bradshaw.
    
    (193) Anthony à Wood, Vita scritta da lui stesso.
    
    (194) Chamberlayne, Stato dell'Inghilterra, 1684. Vedi anche la
    lista delle carrozze e dei vagoni da viaggio, in fine del libro
    intitolato: Angliæ Metropolis, 1690.
    
    (195) Giovanni Cresset, Ragioni per sopprimere le carrozze da
    viaggio, 1672. Tali ragioni vennero poi inserite in uno scritto
    intitolato: Il grande interesse dell'Inghilterra spiegato, 1673.
    L'opposizione di Cresset alle vetture da viaggio provocò alcune
    risposte, da me consultate.
    
    (196) Nell'originale "Newmarket". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (197) Chamberlayne, Stato dell'Inghilterra, 1684; North, Esame, 105;
    Evelyn, Diario, 9 e 10 ottobre 1671.
    
    (198) Nell'originale "indivui".[Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (199) Vedi la Gazzetta di Londra, 14 maggio 1677, 4 agosto 1687, 5
    dicembre 1687. L'ultima confessione di Agostino King (figlio d'un
    illustre teologo, e educato in Cambridge), che nel marzo del 1688 fu
    impiccato a Gloucester, è sommamente curiosa.
    
    (200) "Aimwell. Di grazia, signore, non v'ho già veduto al Caffè
    Will? Gibbet. Sì, signore, e anche a quello di Wite" - Beaux,
    Stratagemma.
    
    (201) Gent, Storia di York. Un altro ladrone della medesima specie,
    chiamato Biss, fu nel 1695 impiccato in Salisbury. In una ballata
    che trovasi nella Biblioteca di Pepys, viene rappresentato in questa
    guisa:
    
    "Che direte voi ora, mio onorevole Signore? Che male c'è egli in
    ciò? Il bravo ed animoso Biss altro non ha fatto che aborrire i
    ricchi e gli avari opulenti."
    
    (202) Pope, Memorie di Duval, pubblicate poco dopo l'esecuzione
    della sentenza. Oates Eikôn Basilikê Part. I.
    
    (203) Vedi il Prologo ai Racconti di Cantorbery di
    Chaucer[Nell'originale "Chauser"]; Harrison, Descrizione storica
    dell'Isola della Gran Brettagna; e il racconto che fa Pepys del suo
    viaggio fatto nella state del 1668. Della superiorità delle Locande
    inglesi è fatta memoria nei Viaggi del Granduca Cosimo.
    
    (204) Nell'originale "Iohnson". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (205) Stat. 12 di Car. II, c. 35; Chamberlayne, Stato
    dell'Inghilterra, 1684; Angliæ Metropolis, 1690; Gazzetta di Londra,
    22 giugno 1685, 15 agosto 1687.
    
    (206) Gazzetta di Londra, 14 settembre 1685.
    
    (207) Smith, Notizie Correnti, 30 marzo e 3 aprile 1680.
    
    (208) Angliæ Metropolis, 1690.
    
    (209) Giornale de' Comuni, 4 settembre 1660, 1 marzo 1688-89;
    Chamberlayne, 1684; Davenant, Della Rendita pubblica, Discorso IV.
    
    (210) Gazzetta di Londra, 5 e 17 maggio 1680.
    
    (211) Nel Museo Britannico trovasi una curiosa, e, a quel ch'io ne
    penso, unica collezione di cotesti giornali.
    
    (212) Per modo d'esempio, non è pur motto nella Gazzetta intorno
    agli importantissimi atti parlamentari del novembre 1685, o intorno
    al processo e all'assoluzione de' sette vescovi.
    
    (213) Nell'originale "Baley". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (214) Ruggiero North, Vita, del dottor Giovanni North. Intorno alle
    lettere di notizie, vedi l'Esame, 133.
    
    (215) Colgo questa occasione per esprimere la mia gratitudine alla
    famiglia del mio diletto ed onorando amico Sir Giacomo Mackintosh,
    per avermi confidati i materiali da lui raccolti quando meditava un
    lavoro simigliante a quello che io ho intrapreso. Non ho mai veduto,
    e credo che altrove non esista, una sì pregevole collezione di
    documenti tratti dagli archivi pubblici e privati. Il giudicio con
    che Sir Giacomo, nelle grandi masse delle più rozze materie
    storiche, scelse l'utile e lasciò da parte l'inutile, può
    meritamente apprezzarsi solo da chi dopo lui abbia lavorato nella
    medesima miniera.
    
    (216) Vita di Tommaso Gent. Un compiuto catalogo di tutte le
    stamperie esistenti nel 1724, trovasi negli Aneddoti Letterarii del
    secolo decimottavo, di Nichols. In pochi anni il numero si era
    grandemente accresciuto; e nonostante, v'erano trentaquattro contee
    prive di tipografi, ed una di esse era quella di Lancaster.
    
    (217) Per la intelligenza di questo vocabolo, vedi a pag. 228. (Nota
    del Traduttore.)
    
    (218) Per la intelligenza di questo vocabolo vedi, a pag. 235. (Nota
    del Traduttore.)
    
    (219) L'Osservatore, 29 e 31 gennaio 1685; Calamy, Vita di Baxter;
    Memoriale non-conformista.
    
    (220) Sembra che Cotton, a quanto ricavasi dal suo Angler, avesse
    collocata tutta la sua biblioteca nel vano d'una finestra: e Cotton
    era un letterato. Allorchè Franklin nel 1724 visitò per la prima
    volta Londra, non vi si conoscevano biblioteche circolanti. Della
    folla de' lettori nelle botteghe de' librai, fa menzione Ruggiero
    North nella Vita di Giovanni suo fratello.
    
    (221) Basta un solo esempio. La regina Maria aveva commendevoli doti
    naturali, era stata educata da un vescovo, amava la storia e la
    poesia, e da uomini veramente illustri era considerata come donna
    illustre. Nella biblioteca dell'Aja esiste una bellissima Bibbia
    inglese, che fu presentata a lei nel dì della sua incoronazione
    nella Abbadia di Westminster. Nel frontespizio si vedono le seguenti
    parole scritte di sua propria mano: "This book was given the King
    and I, at our crownation. MARIE R."
    
    (222) Nell'originale "Huchinson". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (223) Ruggiero North racconta, come suo fratello Giovanni, che era
    professore di greco in Cambridge, lamentasse amaramente la ignoranza
    della lingua greca nel clero dell'Università.
    
    (224) Butler, in una satira pungentissima, dice: "Quantunque lo
    intarsiare ne' loro discorsi parole greche e latine venga reputata
    vanagloriosa rettorica di pedanti, imperlarli di frasi francesi è
    cosa meritoria."
    
    (225) L'esempio più notevole che mi corra alla memoria è in un
    poemetto di Dryden sopra la coronazione di Carlo II. Dryden di certo
    non poteva addurre la scusa di povertà della lingua per usare parole
    tratte da qualsifosse favella straniera: "Quivi nelle sere estive
    voi accorrete per gustare la fraicheur dell'aria più pura."
    
    (226) È una sètta che crede Adamo essere stato predestinato a
    peccare; ed e opposta alla sètta de' Sublapsarii, che ammettono la
    contraria opinione. (Nota del Traduttore.)
    
    (227) Per l'allusione di questo vocabolo, che metaforicamente vale
    parola d'ordine, o di riconoscimento, vedi la Bibbia, Giudici, Lib.
    XII, 6. (Nota del Traduttore.)
    
    (228) Geremia Collier, con la sua solita forza ed acrimonia, ha
    inveito contro siffatto odioso costume.
    
    (229) Il contratto trovasi nella edizione di Dryden, fatta da Sir
    Walter Scott.
    
    (230) Vedi la Vita di Southern, scritta da Shiels.
    
    (231) Vedi Rochester, Infortunii de' Poeti.
    
    (232) Saggio intorno alla scena inglese.
    
    (233) Shiels, Vita di Southern.
    
    (234) Se a qualche lettore le mie espressioni paressero troppo
    severe, lo consiglierei a leggere l'Epilogo di Dryden al Duca di
    Guisa, e notare che era recitato da una donna.
    
    (235) Vedi, in ispecie, l'Oceana di Harrington.
    
    (236) Vedi Sprat, Storia della Società Reale.
    
    (237) Cowley, Ode alla Società Reale.
    
    (238) "Allora anderemo sino allo estremo confine del globo, e
    vedremo l'océano pendere sul cielo: di là noi conosceremo i nostri
    rotanti vicini, ed esamineremo con sicurezza il mondo lunare." Annus
    Mirabilis, 164.
    
    (239) North, Vita di Guildford.
    
    (240) Pepys, Diario, 30 maggio 1667.
    
    (241) Io credo che Buttler fosse il solo uomo di vero genio, il
    quale tra la Restaurazione e la Rivoluzione mostrasse amara
    avversione alla nuova filosofia, come allora chiamavasi. Vedi la
    satira contro la Società Reale e l'Elefante nella Luna.
    
    (242) La sollecitudine onde gli agronomi di quella età facevano
    esperimenti a migliorare l'arte, è ben descritta da Aubrey, Storia
    naturale della Contea di Wilt, 1685.
    
    (243) Sprat, Storia della Società Reale.
    
    (244) Nell'originale "Hallay". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (245) Walpole, Aneddoti intorno alla Pittura; Gazzetta di Londra, 31
    marzo 1683. North, Vita di Guildford.
    
    (246) Dei gran prezzi con che furono pagate le opere di Varelst e di
    Verrio, è fatto ricordo da Walpole negli Aneddoti intorno la
    Pittura.
    
    (247) Petty, Aritmetica politica.
    
    (248) Nell'originale "agricola"
    
    (249) Stat. 5. di Elis., c. 4. Archeologia, vol. XI.
    
    (250) Riccardo Dunning, Metodo chiaro e facile che dimostra il modo
    d'adempiere l'ufficio di sorvegliatore de' poveri; 1a edizione 1685;
    2a edizione 1686.
    
    (251) Cullum, Storia di Hawsteed.
    
    (252) Ruggles, Dei Poveri.
    
    (253) Nell'originale "sufficente". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (254) Vedi Thurloe, Scritture di Stato; il Memorandum dei Deputati
    Olandesi in data del 2-12 agosto 1653.
    
    (255) Questo oratore fu Giovanni Basset, rappresentante di
    Barnstaple[Nell'originale "Barnstple"]. Vedi Smith, Memorie di Wool,
    cap. 68.
    
    (256) Questa ballata si conserva nel Museo Britannico. Non è notato
    l'anno preciso in cui fu scritta; ma l'Imprimatur di Ruggiero
    Lestrange determina la data in modo da servire al mio scopo. Ne
    riporterò alcuni versi. È il padrone che parla in questa guisa:
    
    "Nei tempi andati, avevamo il costume di pagare tanto che i nostri
    operai vivessero come fattori; ma i tempi sono cangiati, e lo faremo
    loro intendere......... gli faremo lavorare duramente per sei soldi
    il giorno; comecchè, ove si vogliano giustamente pagare, meritino
    uno scellino: se ne mormorassero dicendo di esser troppo poco,
    daremo loro la scelta, o di lavorare o d'andarsene via. E così noi
    accumuliamo le nostre ricchezze, e ci facciamo lo stato con le
    fatiche di molti poveri uomini che lavorano da mane a sera. Viva
    dunque l'arte della lana! Va mirabilmente bene! I nostri lavoranti
    sudano, ma noi viviamo tranquilli, andando e venendo quando e come
    ci piace."
    
    (257) Chamberlayne, Stato dell'Inghilterra; Petty, Aritmetica
    politica, cap. 8; Dunning, Metodo piano e facile; Firmin, Proposta
    per impiegare i Poveri. È da notarsi che Firmin era un insigne
    filantropo.
    
    (258) King, nelle sue Conclusioni naturali e politiche, calcolò
    all'ingrosso, la plebe dell'Inghilterra ascendere a 880,000
    famiglie; delle quali 440,000, secondo lui, mangiavano cibo animale
    due volte la settimana. Le altre 440,000 non ne mangiavano affatto,
    o almeno non più d'una volta la settimana.
    
    (259) Decimoquarto Rapporto della Commissione intorno alla Legge dei
    Poveri, Appendice B, n° 2, Appendice C, n° 1, 1848. De' due calcoli
    della Tassa de' Poveri rammentati nel testo, uno fu fatto da Arturo
    Moore; l'altro, alcuni anni dopo, da Riccardo Dunning. Il primo si
    trova nel Saggio sulle Vie e sui Mezzi di Davenant; il secondo,
    nella pregevole opera di Sir Federigo Eden sui Poveri. King e
    Davenant credono che i poveri e i mendicanti nel 1696 fossero
    l,330,000 in una popolazione di 5,500,000; lo che sembra
    incredibile. Nel 1846, il numero delle persone che ricevevano
    soccorso, da quanto appare da' documenti officiali, era solo di
    1,332,089, in una popolazione di circa 17,000,000. Dovrebbe ancora
    notarsi, che è probabile nelle liste ufficiali, che un povero venga
    riportato più volte.
    
    Consiglierei il lettore a consultare il libretto di De Foe, che ha
    per titolo: Dare l'elemosina, non è carità; e le tavole di
    Greenwich, che trovansi nel Dizionario Commerciale di Mc Culloch,
    alla parola Prezzi.
    
    (260) Le morti furono 23,222. - Petty, Aritmetica politica.
    
    (261) Burnet, I, 560.
    
    (262) : Muggleton, Atti de' Testimoni dello Spirito.
    
    (263) Maso Brown descrive cotesta scena con parole che non oso
    riferire.
    
    (264) Ward, Esploratore di Londra.
    
    (265) Nell'originale "dì". [Nota per l'edizione elettronica Manuzio]
    
    (266) Pepys, Diario, 28 decembre 1663, 2 settembre 1667.
    
    (267) Burnet, I, 606; Lo Spettatore, n° 462; Giornali dei Lordi, 28
    ottobre 1678; Cibber, Apologia.
    
    (268) Burnet, I, 605, 606; Welwood, 138; North, Vita di Guildford,
    251.
    
    (269) Potrei giovarmi di questa occasione per rammentare al lettore
    che qualvolta io noto una sola data, seguo il vecchio stile che nel
    secolo decimosettimo vigeva in Inghilterra; ma io pongo il principio
    dell'anno a dì 1 gennaio.
    
    (270) Saint-Evremond, passim. Saint-Réal, Memoires de la Duchesse de
    Mazarin; Rochester, L'Addio; Evelyn, Diario, 6 settembre 1676, 11
    giugno 1699.
    
    (271) Evelyn, Diario, 28 gennaio 1684-85; Saint-Evremond, Lettera a
    Déry.
    
    (272) Evelyn, Diario, 4 febbraio 1684-85.
    
    (273) Ruggiero North, Vita di Sir Dudley[Nell'originale "Duldey"]
    North, 170; Il vero Patriotta vendicato, ovvero Giustificazione di
    Sua Eccellenza il C....... di R........; Burnet, I, 605. I Libri del
    Tesoro provano che Burnet era bene informato.
    
    (274) Nell'originale "cammino". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (275) Evelyn, Diario, 24 gennaio 1681-82; 4 ottobre 1683.
    
    (276) Carteggio di Dugdale.
    
    (277) Hawkins, Vita di Ken, 1713.
    
    (278) Nell'originale "abraciarne". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (279) Vedi la Gazzetta di Londra 21 novembre 1678. Barillon e Burnet
    dicono che Huddleston fu eccettuato da tutti gli atti del Parlamento
    contro i preti; ma ciò è un errore.
    
    (280) Clarke, Vita di Giacomo, II, I, 746; Memorie Originali,
    Barillon, Dispaccio dell'8-18 febbraio 1685; Citters, Dispacci del
    3-13 e del 6-16 febbraio; Huddleston, Narrazione; Lettere di
    Filippo, secondo Conte di Chesterfield, Sir H. Ellis, Lettere
    Originali, Serie I, vol. III, 333; Serie II, vol. IV, 74; Ms.
    Chaillot; Burnet, I, 606; Evelyn, Diario, 4 febbraio 1684-85;
    Welwood, Memorie, 140; North, Vita di Guildford, 252; Esame, 648;
    Hawkins, Vita di Ken; Dryden, Threnodia Augustalis; Sir H. Halford,
    Saggio intorno alle morti di personaggi illustri. Vedi anche un
    frammento d'una lettera scritta da Lord Bruce, lungo tempo dopo che
    era divenuto Conte di Ailesbury, stampata nel Magazzino Europeo,
    aprile 1795. Ailesbury dà dell'impostore a Burnet. Nondimeno la sua
    propria narrazione e quella di Burnet ad ogni lettore d'animo
    schietto non parranno contraddittorie. Ho veduto nel Museo
    Britannico, ed anche nella Biblioteca dello Istituto Reale, un
    foglio curioso, dove si contiene un racconto della morte di Carlo.
    Trovasi nella Collezione di Somers. L'autore era evidentemente un
    cattolico romano zelante, e dovette essere in grado d'attingere a
    buone fonti di notizie. Sospetto molto che fosse in relazione
    diretta o indiretta con lo stesso Giacomo. Non vi si trova nome
    scritto pienamente; ma le iniziali, tranne in un solo luogo, sono
    perfettamente intelligibili Dice che al D. di Y. fu rammentato il
    debito in cui era verso il suo fratello da P. M. A C. F, Debbo
    confessare la mia impossibilità a decifrare le ultime cinque
    lettere; e a un tempo mi consola il vedere che Walter Scott non sia
    stato più avventurato di me. Dopo che fu pubblicata la prima
    edizione di questa opera, mi sono state comunicate varie ingegnose
    conghietture intorno a coteste lettere misteriose; ma rimango
    convinto che finora non mi è stata suggerita la vera soluzione.
    
    Parrebbe che nessun fatto nella storia dovesse essere più
    esattamente da noi conosciuto, di quelli che avvennero attorno al
    letto di morte di Carlo II. Abbiamo parecchie relazioni scritte da
    tali, che comunque non fossero testimoni oculari, avevano i mezzi
    migliori per sapere il vero da' testimoni oculari. Nulladimeno,
    chiunque si provasse a formare un racconto da siffatta vasta massa
    di materiali, troverebbe l'opera difficile. Certamente Giacomo e la
    sua moglie, allorquando riferirono il fatto alle monache di
    Chaillot, in alcune cose non poterono trovarsi d'accordo. La Regina
    diceva che, dopochè Carlo ebbe ricevuti gli ultimi sacramenti, i
    vescovi protestanti tornarono ad esortarlo. Il Re diceva che ciò non
    era vero. "Certo, ripigliò la Regina, me lo avete detto voi stesso."
    - "Egli è impossibile che io ve lo possa aver detto, disse il Re,
    poichè nulla accadde di simile."
    
    È cosa spiacevole che Sir Enrico Halford si fosse così poco studiato
    di sincerarsi de' fatti, intorno ai quali ha profferito giudicio.
    Non pare ch'egli conoscesse la esistenza delle narrazioni di
    Giacomo, di Barillon e di Huddleston.
    
    Poichè questa è la prima occasione in cui cito il carteggio de'
    Ministri olandesi alla Corte d'Inghilterra, debbo qui rammentare,
    che una serie di dispacci, dal dì in che Giacomo ascese al trono
    fino alla sua fuga, forma una delle parti più pregevoli della
    collezione di Mackintosh. I dispacci susseguenti fino al pieno
    stabilimento del governo nel febbraio 1689, me li sono procurati
    all'Aia. Negli archivi olandesi si è pochissimo frugato. Abbondano
    di notizie di grandissimo interesse per ogni Inglese. Sono
    mirabilmente ordinati, e affidati alla custodia di gentiluomini, la
    cortesia, la liberalità e lo zelo de' quali per il bene delle
    lettere non può essere bastevolmente commendata. Vorrei potere
    esprimere gli obblighi miei verso i signori De Jonge e Van Zwanne.
    
    (281) Clarendon, con giusto sdegno, fa menzione di questa calunnia:
    "Secondo la carità di quel tempo verso Cromwell, moltissimi
    avrebbero voluto credere che morisse di veleno: del che allora non
    vi fu apparenza; nè poi se ne fece mai prova." Libro XIV.]
    
    (282) Welwood, 139; Burnet, I, 609; Sheffield[**Nell'originale
    "Shelfield"], Carattere di Carlo II; North, Vita di Guildford, 252;
    Esame, 684; Politica della Rivoluzione; Higgons sopra Burnet. Ciò
    che North dice dell'imbarazzo e della perplessità de' medici, è
    confermato dai dispacci di Citters. Sono stato molto in dubbio
    intorno alla strana storiella de' sospetti di Short. Un tempo
    inchinavo a adottare l'opinione di North. Ma, comecchè io dia poco
    peso all'autorità di Welwood e di Burnet, in questo caso non posso
    ricusare la testimonianza d'un uomo così bene informato e imparziale
    come Sheffield.
    
    (283) Gazzetta di Londra, 9 febbraio 1684-85; Clarke, Vita di
    Giacomo II, vol. II, 3; Barillon, 9-19 febbraio; Evelyn, Diario, 6
    febbraio.
    
    (284) Vedi gli autori citati nella nota precedente. Vedi anche lo
    Esame, 647; Burnet, I, 620; Higgons, sopra Burnet.
    
    (285) Gazzetta di Londra, 14 febbraio 1684-85; Evelyn, Diario del
    medesimo giorno; Burnet, I, 610; Il villano sfrenato.
    
    (286) Nell'originale "impresssione". [Nota per l'edizione
    elettronica Manuzio]
    
    (287) Burnet, I, 628; Lestrange, l'Osservatore, 11 febbraio 1684-85.
    
    (288) Nell'originale "più più". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (289) Le lettere tra Rochester ed Ormond intorno a questa faccenda,
    si trovano nel carteggio di Clarendon.
    
    (290) Lo annunzio de' cangiamenti ministeriali trovasi nella
    Gazzetta di Londra, 19 febbraio 1684-85. Vedi Burnet, I, 621;
    Barillon, 9-19, 16-26 febbraio, e 19 febbraio-1 marzo.
    
    (291) Carte, Vita d'Ormond; Consulte secrete del partito papista in
    Irlanda, 1690. Memorie dell'Irlanda, 1716.
    
    (292) Sessioni di Natale, del 1678.
    
    (293) Gli atti de' Testimoni dello Spirito, parte V, cap. 5. In
    questa opera Ludowick, secondo la sua maniera, si vendica del
    "diavolo urlante" come egli chiama Jeffreys, con una lista di
    maledizioni che farebbero invidia all'Ernolfo di Sterne. Il processo
    seguì in gennaio 1677.
    
    (294) Queste parole si trovano in molti libretti di quel tempo. Tito
    Oates non
    
    si stancava mai di citarle. Vedi il suo Eikôn Basilikê.
    
    (295) Le principali fonti alle quali ho attinto per dipingere il
    carattere di Jeffreys, sono i Processi di Stato e la Vita di
    Guildford, scritta da North. Qualche tocco di minore importanza lo
    debbo ai libretti contemporanei in versi e in prosa; come il
    Tribunale di sangue, la Vita e Morte di Giorgio Lord Jeffreys, il
    Panegirico di Lord Jeffreys, la Lettera al Lord Cancelliere, la
    Elegia di Jeffreys. Vedi parimente Evelyn, Diario, 5 dicembre 1683,
    31 ottobre 1685. Non è mestieri avvertire il lettore di consultare
    la insigne opera di Lord Campbell.
    
    (296) Gazzetta di Londra, 12 febbraio 1684-85; North, Vita di
    Guildford, 254.
    
    (297) La fonte principale a cui ho attinto, è il dispaccio di
    Barillon, 9-19 febbraio 1685. Si trova nell'Appendice alla Storia di
    Fox. Vedi anche la Lettera di Preston a Giacomo, in data del 18-28
    aprile 1685, presso Dalrymple.
    
    (298) Luigi a Barillon, 10-20 febbraio 1685.
    
    (299) Barillon, 16-26 febbraio 1685[Nell'originale "1856"].
    
    (300) Barillon, 18-28 febbraio 1685.
    
    (301) Dartmouth, Annotazioni a Brunel, I, 264; Chesterfield,
    Lettere, 18 novembre 1784. Chesterfield è un testimonio
    incontrastabile; perocchè la rendita di cinquecento sterline era un
    carico sui beni di Halifax suo avo. Credo che siano mal fondate le
    aggiunte che fa Pope all'avarizia di Churchill. "Il galante cui ella
    pagò largamente il salto dalla finestra, visse assai per ricusare
    alla sua druda mezzo scudo." Curll chiama malediche queste parole.
    
    (302) Pope, negli Aneddoti di Spence.
    
    (303) Vedi i Ricordi Storici del 1° de' Dragoni Reali. La nomina di
    Churchill al comando di questo reggimento fu posta in ridicolo come
    esempio di assurda parzialità. Una satira di quel tempo, che non
    rammento di aver mai veduta a stampa, ma che esiste Ms. nel Museo
    Britannico, contiene le seguenti parole: "Tagliamo co' cucchiai la
    carne; la cosa è ragionevole quanto la nomina di Churchill al
    comando de' Dragoni."
    
    (304) Barillon, 16-24 febbraio 1685.
    
    (305) Barillon, 6-16 aprile; Luigi a Barillon, 14-24 aprile.
    
    (306) Nell'originale "frantesa". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (307) Nell'originale "fossse". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (308) Potrei trascrivere mezzo il carteggio di Barillon a provare la
    mia asserzione; ma ne citerò solo un brano, in cui la politica del
    Governo francese verso la Inghilterra è esposta concisamente e con
    perfetta chiarezza:
    
    "On peut tenir pour une maxime indubitable, que l'accord du Roy
    d'Angleterre avec son Parlement, en quelque manière qu'il ne faste,
    n'est pas conforme aux intérêts de V. M. Je me contente de penser
    cela sans m'en ouvrir à personne, ei je cache avec soin mes
    sentimens à cet égard," Barillon a Luigi, 28 febbraio-10 marzo 1687.
    Che questo fosse il vero secreto di tutta la politica di Luigi verso
    il paese nostro, la Corte di Vienna comprendeva perfettamente. Lo
    imperatore Leopoldo scriveva in questa guisa a Giacomo (30 marzo 9
    aprile 1689): "Galli id unum agebant, ut perpetuas inter Serenitatem
    vestram et ejusdem populos fovendo simultates, reliquae Christianae
    Europae tanto securius insultarent."
    
    (309) "Que sea unido con su reyno, y en toda buena intelligencia con
    el Parlamento." Dispaccio del Re di Spagna a Don Pietro Ronquillo,
    16-26 marzo 1685[Nell'originale "1856"]. Trovasi negli archivii di
    Simancas, che tengono gran copia di scritture relative agli affari
    d'Inghilterra. Copie delle più interessanti di tali scritture
    possiede Guizot, dal quale mi furono prestate. Provo particolare
    soddisfazione nello attestare questo segno d'amicizia d'un tanto
    uomo.
    
    (310) Pochi de' miei lettori inglesi vorranno approfondire la storia
    di questa contesa. Si trova sommariamente raccontata da Bossuet
    nella Vita del Cardinale Bausset, e da Voltaire nel Secolo di Luigi
    XIV.
    
    (311) Nell'originale "fossse". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (312) Brunet, I, 661; Lettera in data di Roma; e Dodd, Storia della
    Chiesa, parte VIII, libro I, art. 1.
    
    (313) Consulte del Consiglio di Stato di Spagna, 2-12 e 16-26 aprile
    1685. negli Archivii di Simancas.
    
    (314) Nell'originale "Westminister". [Nota per l'edizione
    elettronica Manuzio]
    
    (315) Luigi a Barillon, 22 maggio-1 giugno 1685[Nell'originale
    "1856"];] Burnet, I, 623.
    
    (316) Clarke, Vita di Giacomo II, vol. II, 5; Barillon, 19
    febbraio-1 marzo 1685; Evelyn, Diario, 5 marzo 1684-85.
    
    (317) "A coloro che chiedono grazie, egli giura pel sangue di Dio, e
    gli sgrida come se venissero a rubare cucchiai." Lamentable Lory,
    Ballata, 1684.
    
    (318) Nell'originale "saprannome". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]. Barillon, 20-30 aprile 1685.
    
    (319) Dal dispaccio d'Adda, in data del 23 gennaio-1 febbrajo 1686,
    e dalle parole del Padre d'Orléans (Histoire des Révolutions
    d'Angleterre, Lib. XI), chiaro si deduce che i Cattolici rigorosi
    giudicarono inescusabile la condotta del Re.
    
    (320) Gazzetta di Londra; Gazzetta di Francia; Clarke, Vita di
    Giacomo II, vol. II, 10; Gloria della incoronazione di Giacomo II e
    della Regina Maria, di Francesco Sandford, Araldo di Lancaster, in
    folio, 1687; Evelyn, Diario, 21 maggio 1685; Dispaccio degli
    ambasciatori Olandesi, 10-20 aprile 1685; Burnet, I,628; Eachard,
    III, 734; Sermone recitato avanti le LL. MM. Giacomo II e Maria, nel
    dì della loro incoronazione nella Badia di Westminster, 23 aprile
    1685, da Francesco, Lord Vescovo J'Ely e Lord Limosiniere. Ho veduta
    una relazione in italiano pubblicata in Modena, degna di
    considerazione, massime per l'artifizio con che lo scrittore tace il
    fatto, che le preci e i salmi furono cantati in inglese, e che i
    Vescovi erano eretici.
    
    (321) Vedi la Gazzetta di Londra ne' mesi di febbrajo, marzo ed
    aprile 1685.
    
    (322) Sarebbe facile riempire un volume delle cose che gli storici e
    gli articolisti Whig hanno scritto intorno a questo subietto. Citerò
    solo uno scrittore il quale era aderente alla Chiesa Anglicana e
    Tory. "Fu creduto che le elezioni" dice Evelyn "in parecchi luoghi
    fossero state indecentemente condotte. Il Cielo disponga le cose
    meglio di quello che alcuni credono inevitabile!" (10 maggio 1685.)
    E nuovamente: "Vero è che vi furono molti de' nuovi rappresentanti,
    la cui elezione o rielezione è stata universalmente condannata." (22
    maggio.)
    
    (323) Da una lettera di notizie, esistente nella Biblioteca dello
    Istituto Reale. Citters fa menzione della forza dei partito Whig
    nella Contea di Bedford.
    
    (324) Bramston, Memorie.
    
    (325) Riflessioni intorno a una Rimostranza e Protesta di tutti i
    buoni Protestanti di questo Regno, 1689; Dialogo tra Due amici,
    1689.
    
    (326) Nell'originale "alle alle". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (327) Memorie della Vita di Tommaso Marchese di Wharton, 1715.
    
    (328) Così chiamasi nelle città d'Inghilterra quel luogo dove in
    antico era eretta una croce. (Nota del Traduttore.)
    
    (329) Vedi nel Guardiano, N° 67, un articolo, squisito esempio della
    peculiare maniera di Addison. Sarebbe difficile trovare in qualsiasi
    altro scrittore un simile esempio di benevolenza condita
    delicatamente di spregio.
    
    (330) L'Osservatore, 4 aprile 1685.
    
    (331) Dispaccio degli Ambasciatori Olandesi, 10-20 aprile
    1685[**Nell'originale "1865"].
    
    (332) Burnet, I, 626.
    
    (333) Fedele racconto delle infermità, morte e sepoltura del
    Capitano Bedlow. 1680; - Narrazione del Lord Capo Giudice North.
    
    (334) Smith, Intrighi della Congiura Papale, 1685.
    
    (335) Burnet, I, 439.
    
    (336) Vedi il processo, nella Collezione de' Processi di Stato.
    
    (337) Evelyn, Diario, 7 maggio 1685.
    
    (338) Esistono molti ritratti di Oates. Le pittura più viva della
    sua persona si trovano nello Esame di North, 225, nell'Assalonne ed
    Achitofel di Dryden, e in un foglio volante che ha per titolo
    "Fischi e Grida contro T. O."
    
    (339) Vedi queste cose minutamente notate nella Collezione dei
    Processi di Stato.
    
    (340) Gazzetta di Francia, 29 maggio-9 giugno 1685.
    
    (341) Dispaccio degli Ambasciatori Olandesi, 19-29 maggio 1685.
    
    (342) Evelyn, Diario, 22 maggio, 1685; Eachard, III, 741; Burnet, I,
    637; L'Osservatore, 27 marzo 1685; Oates, Eichôn, 89; Eichôn,
    brotoloigou, 1697; Giornale dei Comuni, maggio, giugno e luglio
    1689; Maso Brown, Avvertimento al dottore Oates. Alcune circostanze
    interessanti sono rammentate in un foglio volante, stampato per A.
    Brooks, Charing, Cross, 1685. Ho veduto certi articoli di quel tempo
    scritti in francese e in italiano, e contenenti la storia del
    processo e della esecuzione della sentenza. Una stampa
    rappresentante Tito Oates posto alla gogna, fu pubblicata in Milano
    con questa curiosa epigrafe: "Questo è il naturale ritratto di Tito
    Otez, ovvero Oatz, Inglese, posto in berlina, uno de' principali
    professori della religione protestante, acerrimo persecutore de'
    Cattolici, e gran spergiuro." Ho veduto parimente una incisione
    olandese rappresentante la punizione d'Oates, con alcuni versi
    latini, de' quali i seguenti sono un esempio:
    
    At Doctor fictus non fictos pertulit ictus,
    
    A tortore datos haud molli in corpore gratos,
    
    Disceret ut vere scelera ob commissa rubere.
    
    L'anagramma del suo nome "Testis Ovat" trovasi in molte stampe
    pubblicate in vari paesi.
    
    (343) Blackstone, Commentarii, Capitolo dell'Omicidio.
    
    (344) Nell'originale "sufficente"
    
    (345) Secondo Ruggiero[Nell'originale "Ruggero"] North, i giudici
    decisero che Dangerfield, essendo stato prima convinto di spergiuro,
    era incompetente a far da testimonio nel processo della Congiura. Ma
    questo è uno de' molti esempi della inesattezza di Ruggiero. Dal
    rapporto del processo di Lord Castelmaine, fatto in giugno 1680,
    parrebbe che dopo molti contrasti tra gli avvocati, e molto
    consultare fra i giudici de' varii tribunali in Westminster Hall, a
    Dangerfield fosse concesso di prestare il giuramento e raccontare la
    propria storia: ma i giudici, con molto senno, non gli vollero
    prestar fede.
    
    (346) Il processo di Dangerfield non fu registrato; ma in un foglio
    volante contemporaneo ne ho veduto un racconto conciso. Un sunto
    della testimonianza contro Francis, e il discorso ch'ei fece sul
    punto di morire, trovasi nella Collezione dei Processi di Stato.
    Vedi Eachard, III, 741. La narrazione di Burnet contiene più abbagli
    che parole. Vedi anche lo Esame di North, 256; il breve racconto
    della vita di Dangerfield nel Tribunale di Sangue; l'Osservatore del
    20 giugno 1685; e il poemetto intitolato, Lo Spettro di Dangerfield
    a Jeffreys. Un rarissimo volume che ha per titolo Brevi Genealogie
    di Roberto Halstead, Lord Peterborough dice che Dangerfield, col
    quale egli aveva avuto qualche relazione, era "un giovane che aveva
    decente persona, serio contegno, e loquela che non sembrava
    procedere da una ordinaria intelligenza."
    
    (347) Baxter, nella prefazione all'opera di Sir Matteo Hale,
    intitolata: Giudicio intorno alla natura della vera Religione, 1684.
    
    (348) Vedi l'Osservatore del 25 febbraio 1685; l'atto d'accusa nella
    Collezione de' Processi di Stato; il racconto che fa Calamy di ciò
    che seguì nella corte (Vita di Baxter, cap. 14); e i curiosissimi
    estratti dei Mss. di Baxter, nella vita di lui, scritta da Orme e
    pubblicata nel 1830.
    
    (349) Mss. di Baxter, citati da Orme.
    
    (350) Atto Parlam. di Car. II, 29 marzo 1651; di Giac. VII, 28
    aprile e 13 maggio 1685.
    
    (351) Atto Parlam. di Giac. VII, 8 maggio 1685; l'Osservatore, 20
    giugno 1685. Lestrange evidentemente desiderava di vedere che lo
    esempio dato in Iscozia venisse imitato in Inghilterra.
    
    (352) Sono sue parole riferite da lui stesso. Clarke, Vita di
    Giacomo II, volume I, 656. Memorie Originali.
    
    (353) Atto Parlam. di Carlo II, 31 agosto 1681.
    
    (354) Burnet, I, 583; Wodrow, III, v. 2, Sventuratamente, mancano
    gli atti del Consiglio Privato Scozzese di quasi tutto il governo
    del duca di York.
    
    (355) Wodrow, III, IX, 6.
    
    (356) Wodrow, III, IX, 6. Lo editore del Burnet, stampato in Oxford,
    si studia di scusare quest'atto, asserendo che Claverhouse avesse
    allora l'incarico di intercettare ogni comunicazione tra Argyle e
    Monmouth, e supponendo che Giovanni Brown fosse stato scoperto come
    portatore di notizie tra i campi ribelli. Sventuratamente per questa
    ipotesi, Giovanni Brown fu morto il dì primo di maggio, mentre
    Argyle e Monmouth erano entrambi in Olanda, e mentre non era
    insurrezione in nessun luogo dell'Isola nostra.
    
    (357) Nell'originale "Giovannni". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (358) Wodrow, III, IX, 6.
    
    (359) Nell'originale "paedestinato"
    
    (360) Wodrow, III, IX, 6.
    
    (361) Ibidem, Nube di Testimonianza.
    
    (362) Wodrow,III, IX, 6. L'epitaffio di Margherita Wilson nel
    Camposanto di Wigton, è stampato nell'Appendice alla Nube di
    Testimonianza: "Assassinata per aver confessato Cristo capo supremo
    della Chiesa, e non per altro delitto, che per non avere confessata
    la Prelatura, e non avere abiurata la fede de' Presbiteriani, nel
    mare, legata ad un palo, ella patì il martirio per amore di Gesù
    Cristo."
    
    (363) Vedi la lettera al re Carlo II, premessa all'Apologia di
    Barclay.
    
    (364) Sewel, Storia dei Quacqueri, libro X.
    
    (365) Minute delle Adunante Annuali, 1689, 1690.
    
    (366) Clarkson, Del Quacquerismo; Costumi Peculiari, cap. 5.
    
    (367) Dopo ch'io aveva già scritto questo tratto, ho trovato nel
    Museo Britannico un manoscritto (Mss. Harl. 7506) col titolo
    seguente: Relazione delle presure, de' sequestri, delle grandi
    spoliazioni e stragi,fatte negli averi di varii protestanti
    Dissenzienti, chiamati Quacqueri, dietro processi a seconda di
    vecchi Statuti fatti contro i Papisti e i Recusanti papalini. Il MS.
    è notato come già appartenente a Giacomo, e sembra che dal suo servo
    di fiducia, Colonnello Graham, fosse stato dato a Lord Oxford. A me
    pare che ciò confermi il mio modo di giudicare la condotta del re
    verso i Quacqueri.
    
    (368) Le visita di Penn a Whitehall, e le sue levate da letto in
    Kensington, sono vivacissimamente descritte, benchè in cattivissimo
    latino, da Gherardo Croese: "Sumebat rex saepe secretum, non
    horarium, vero horarum plurium, in quo de variis rebus cum Penno
    serio sermonem conferebat; et interim differebat audire praecipuorum
    nobilium ordinem, qui hoc interim spatio in procoetone, in proximo,
    regem conventum praesto erant." Della folla de' chiedenti nella casa
    di Penn, Croese dice: "Vidi quandoque de hoc genere hominum non
    minus bis centum." Historia Quakeriana, lib. II, 1695.
    
    (369) "Ventimila sterline nella mia tasca, e centomila nella mia
    provincia." Lettera di Penn a Popple.
    
    (370) Questi ordini, firmati da Sunderland, si trovano nella Storia
    di Sewel. Hanno la data del 18 aprile 1685. Sono scritti in uno
    stile singolarmente oscuro ed intricato, ma credo d'averne
    esattamente esposto lo spirito. Non ho potuto trovare nessuna prova
    che alcuno che non fosse Cattolico Romano o Quacquero,
    riacquistasse, per virtù di questi ordini, la propria libertà. Vedi
    Neal, Storia dei Puritani, vol. II, cap. 3; Gherardo Croese, lib.
    II. Croese vuole che il numero dei Quacqueri liberati fosse
    millequattrocento sessanta.
    
    (371) Barillon, 28 maggio-7 giugno 1685; l'Osservatore del 27 maggio
    1685; Sir J. Reresby, Memorie.
    
    (372) Luigi XIV scriveva a Barillon, intorno a questa classe di
    Esclusionisti, le seguenti parole: "L'intérêt qu'ils auront à
    effacer cette tâche par des services considérables, les portera,
    selon toutes les apparences, à le servir plus utilement que ne
    pourraient faire ceux qui ont toujours été les plus attachés à sa
    personne." 15-25 maggio, 1685.
    
    (373) Barillon, 4-14 maggio 1685; Sir Giovanni Reresby, Memorie.
    
    (374) Burnet, I, 626; Evelyn, Diario, 22 maggio 1685.
    
    (375) Ruggiero[Nell'originale "Ruggero"] North, Vita di
    Guildford[Nell'originale "Guildfort"], 218; Bramston, Mémorie.
    
    (376) North, Vita di Guildford, 228; Notizie di Westminster.
    
    (377) Burnet, I, 382; Carte di Rowdon, Lord Conway a Sir Giorgio
    Rawdon, 28 dicembre 1677.
    
    (378) Gazzetta di Londra, 25 maggio 1685; Evelyn, Diario, 22 maggio
    1685.
    
    (379) North, Vita di Guildford, 256.
    
    (380) Burnet, 1, 639; Evelyn, Diario, 22 maggio 1685; Barillon, 23
    maggio-2 giugno, e 25 maggio-4 giugno, 1685, Il silenzio dei
    Giornali de' Comuni rese perplesso il signor Fox; ma si spiega dal
    fatto che la proposta di Seymour non fu secondata.
    
    (381) Giornali de' Comuni, 22 maggio. Stat. Jac. II, I, 1.
    
    (382) Giornali de' Comuni, 26, 27 maggio. Sir. J. Reresby, Memorie.
    
    (383) Nell'originale "fossse". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (384) Giornali de' Comuni, 27 maggio 1685.
    
    (385) Nell'originale "Streett". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (386) Ruggiero North, Vita di Sir Dudley North; Vita di Guildford,
    166; M'Culloc, Letteratura della Economia Politica.
    
    (387) Vita di Dudley North, 176; Lonsdale, Memorie; Van Citters, 12,
    22 giugno 1685.
    
    (388) Giornali de' Comuni, 1 marzo 1689.
    
    (389) Nell'originale "ririspetto". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (390) Giornali de' Lordi, 18, 19 marzo 1679; 22 maggio 1685.
    
    (391) Stat. 5 di Giorgio IV, c. 46.
    
    (392) Nell'originale "Goodenogh". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (393) Nell'originale "sopra sopra". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio] Clarendon, Storia della Ribellione, lib. XIV; Burnet, De'
    suoi tempi, I, 546, 625; Wade e Ireton, Narrazioni, MS. Landsdowne,
    1152, l'Informazione di West nell'Appendice alla Vera Relazione di
    Sprat. 
    
    (394) Gazzetta di Londra, 4 gennaio 1684-85; MS. Ferguson, nella
    Storia di Eachard, III, 764; Narrazione di Gray; Sprat, Vera
    Relazione; Danvers, Trattato intorno al Battesimo; Danvers, La
    Innocenza e la Verità vendicate; Crosby, Storia dei Battisti
    Inglesi.
    
    (395) Per la intelligenza dell'allusione, vedi gli Atti degli
    Apostoli, cap. XVIII. (Nota del Traduttore.)
    
    (396) Sprat, Vera Relazione; Burnet, I, 634; Confessione di Wade,
    Ms. Harl, 6845.
    
    Lord Howard d'Escrick accusò Ayloffe d'avere proposto lo assassinio
    del Duca di York; ma Lord Howard era un vile bugiardo: tale
    storiella non formò parte della sua confessione originale, ma vi fu
    aggiunta dipoi come supplemento; e però non è degna di fede.
    
    (397) Confessione di Wade, Ms. Harl. 6845; Ms. Lansdowne, 1152;
    Holloway, Narrazione nell'Appendice alla Vera Relazione di Sprat.
    Wade confessò che Holloway aveva detta la pura verità.
    
    (398) Sprat, Vera Relazione, e l'Appendice passim.
    
    (399) Sprat, Vera Relazione, e l'Appendice; Processo contro Rumbold,
    nella Collezione de' Processi di Stato; Burnet, De' suoi tempi, I,
    633; Appendice alla Storia di Fox, N° IV.
    
    (400) Narrazione di Grey: il suo processo trovasi nella Collezione
    dei Processi di Stato; Sprat, Vera Relazione.
    
    (401) Nella collezione di Pepys v'è una stampa rappresentante una
    delle feste da ballo che verso quel tempo Guglielmo e Maria dettero
    nell'Oranje Zaali.
    
    (402) Avaux, Neg. 25 gennaio 1685. Lettera di Giacomo alla
    Principessa d'Orange, gennaio 1684-85, fra gli Estratti di Birch nel
    Museo Britannico.
    
    (403) Narrazione di Grey; Confessione di Wade, Ms. Landsdowne 1152.
    
    (404) Burnet, I, 542; Wood, Athenae Oxonienses, sotto il nome di
    Owen[Nell'originale Ovven]; Assalonne ed Achitofel, parte II;
    Eachard; III, 682, 697; Sprat, Vera Relazione, passim; Memoriale de'
    Non-conformisti; North, Esame, 399.
    
    (405) Confessione di Wade, Ms. Harl. 6845.
    
    (406) Avaux, Neg. 20, 22 febbraio 1685; lettera di Monmouth a
    Giacomo, in data di Ringwood.
    
    (407) Storia del re Guglielmo III, 2a edizione 1703, vol. I, 160.
    
    (408) Nell'originale "sapava". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (409) Welwoold, Memorie, App. XV; Burnet, I, 630. Grey riferì la
    cosa in modo alquanto diverso, ma lo fece per salvare la propria
    vita. Don Pedro Ronquillo, ambasciatore spagnuolo presso la corte
    inglese, in una lettera al governatore de' Paesi Bassi, scritta
    verso quel tempo, irride Monmouth perchè viveva alle spese d'una
    donna innamorata; e sospetta, senza fondamento nessuno, che la
    passione del duca fosse venale. "Hallandose hoy tan falto de medios
    que ha menester trasformarse en Amor con Miledi, en vista de la
    necessitad de poder subsistir." Ronquillo a Grana, 30 marzo-9 aprile
    1685.
    
    (410) Processo contro Argyle, nella Collezione de' Processi di
    Stato; Burnet, I, 521; Relazione semplice e vera delle scoperte
    fatte in Iscozia, 1684; La nebbia scozzese dissipata; Vindicazione
    di Sir Giorgio Mackenzie; Lord Fountainhall, Note Cronologiche.
    
    (411) Informazione di Roberto Smith, nell'Appendice alla Vera
    Relazione di Sprat.
    
    (412) Relazione semplice e vera delle scoperte fatte in Iscozia.
    
    (413) Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio, lib. II, cap. 33.
    
    (414) Vedi la Narrazione di Sir Patrizio Hume, passim.
    
    (415) Narrazione di Grey; Confessione di Wade, Ms. Harl. 6845.
    
    (416) Burnet, I, 631.
    
    (417) Narrazione di Grey.
    
    (418) Le Clerc, Vita di Locke; Lord King, Vita di Locke; Lord
    Grenville, Oxford e Locke. Locke non è da confondersi
    coll'Anabattista Niccola Look, il cui nome è scritto Locke nella
    confessione di Grey, e che è ricordato nel Ms. Lansdowne N° 1152, e
    nella narrazione di Buccleuch aggiunta alla dissertazione di Rose.
    Non crederei quasi necessaria questa avvertenza, se non vedessi che
    la somiglianza di questi due nomi indusse in errore il presidente
    Onslow, ch'era uomo assai dotto nella storia di quei tempi. Vedi la
    sua annotazione a Burnet, I, 629.
    
    (419) Wodrow, libro III, cap. 9; Gazzetta di Londra, 11 maggio 1685;
    Barillon, 11-21 maggio.
    
    (420) Registro degli Atti degli Stati Generali, 5-15 maggio 1685.
    
    (421) Di ciò si fa ricordo nelle sue lettere credenziali in data del
    16 marzo 1684-85.
    
    (422) Bonnepaux a Seignelay, 4-14 febbraio 1686.
    
    (423) Avaux, Neg. 30 aprile, 10 marzo, 1-11 maggio, 5-15 maggio
    1685; Narrazione di Sir Patrick Hume; Lettera dell'Ammiragliato
    d'Amsterdam agli Stati Generali, 20 giugno 1685; Memoriale di
    Skelton, consegnato agli Stati Generali, 10 maggio 1685.
    
    (424) Nell'originale "fosee". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (425) Se taluno inchinasse a sospettare che io abbia esagerata
    l'assurdità e ferocia di questi uomini, lo consiglierei a leggere
    due libri, che varranno a convincerlo come io ne abbia mitigato più
    presto che esagerato il ritratto. Questi libri sono intitolati: Il
    villano sfrenato, e Le contese fedeli sbrogliate.
    
    (426) Poche parole che trovavansi nelle prime cinque edizioni di
    questa opera, sono state omesse in questo luogo. Qui ed altrove,
    secondo la osservazione di Aytoun, io aveva scambiate le Guardie
    della Città, che erano comandate da un ufficiale chiamato Graham,
    coi Dragoni di Graham di Claverhouse.
    
    (427) Gli autori, dai quali ho desunta la storia della espedizione
    d'Argyle, sono Sir Patrizio Hume, il quale fu testimone oculare di
    ciò che narrava; e Wodrow, che ebbe tra mani materiali
    pregevolissimi, e, fra gli altri, gli stessi scritti del Conte. Dove
    accade questione di veracità tra Argyle e Hume, non dubito che
    l'autorità d'Argyle meriti più fede.
    
    Vedi anche Burnet, I, 631, e la Vita di Bresson pubblicata
    dal[Nell'originale "da"] Dottore Mac Crie. Il racconto della
    Ribellione Scozzese nella Vita di Giacomo II, scritta da Clarke, è
    un romanzo ridicolo, composto da un Giacomista, il quale non si
    dette nè anche l'incomodo di guardare una carta topografica del
    teatro della guerra.
    
    (428) Wodrow, III, IX, 10; Martirologio dell'Occidente; Burnet I,
    633; Fox, Storia, Appendice IV. Non trovo modo, tranne quello
    indicato nel testo, a conciliare Rumbold che negava d'aver mai avuto
    in mente la idea d'assassinio, e Rumbold che confessava d'avere
    nominata la propria casa come luogo convenevole ad assalire i due
    Principi. La distinzione che, come ho supposto, egli faceva, fu
    fatta da un altro congiurato di Rye House, il quale, al pari di lui,
    era vecchio soldato della Repubblica; voglio dire il Capitano
    Walcot. Nel Processo di Walcot, West, testimone a favore della
    Corona, disse: "Capitano, voi avete acconsentito di essere uno di
    coloro che dovevano assaltare le Guardie." - "Quale è adunque la
    ragione," chiese il Capo Giudice Pemperton, "che egli non intendeva
    uccidere il Re?" - "Egli disse" rispose West "essere vigliaccheria
    uccidere un uomo disarmato, e che non lo avrebbe fatto."
    
    (429) Wodrow, III, IX, 9.
    
    (430) Nell'originale "Glascow". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (431) Narrazione di Wade, Ms. Harl, 6845; Burnet, I, 634; Dispaccio
    di Citters, 30 ottobre-9 novembre 1685; Luttrell, Diario della
    medesima data.
    
    (432) Wodrow, III, IX, 4, e III, IX, 10. Wodrow riferisce, giusta
    gli Atti del Consiglio, i nomi di tutti i prigioni, mutilati,
    deportati o segnati col ferro rovente.
    
    (433) Nell'originale "Rotterdarm". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (434) La lettera di Skelton ha la data del 7-17 maggio 1686. Trovasi
    insieme con una lettera dello Schout, o Gran Sergente d'Amsterdam,
    in un volumetto pubblicato pochi mesi dopo, che ha per titolo:
    "Histoire des événemens tragiques d'Angleterre." I documenti
    inseriti in quell'opera, sono, per quanto ho potuto sincerarmene,
    ricopiati esattamente dagli Archivi Olandesi, salvo che la dicitura
    francese di Skelton, che non era purissima, è leggiermente corretta.
    Vedi anche la Narrazione di Grey.
    
    Goodenogh, nel suo esame dopo la battaglia di Sedgemoor, disse che
    "lo Schout d'Amsterdam favoriva particolarmente il disegno dei
    fuorusciti." Ms. Lansdowne[Nell'originale "Lansdovvne"], 1152.
    
    Non vale l'incomodo di confutare quelli scrittori i quali
    rappresentano il Principe d'Orange come complice della impresa di
    Monmouth. La circostanza sopra la quale essi principalmente fondano
    la loro asserzione, è che le Autorità d'Amsterdam non adoperassero
    mezzi efficaci a impedire la partenza della spedizione. Questa
    circostanza, a vero dire, prova moltissimo che Guglielmo non
    favorisse la spedizione. Niuno che non ignori profondamente le
    istituzioni e la politica dell'Olanda, considererà lo Statoldero
    responsabile de' procedimenti de' capi del partito di Loevestein.
    
    (435) Avaux, Neg. 7-17, 8-18, 14-24 giugno 1685; Lettera del
    Principe d'Orange a Lord Rochester, 9 giugno, 1685. Nell'originale
    "Rotterdarm"
    
    (436) Citters, 9-19, 12-22 giugno 1685. Il carteggio di Skelton con
    gli Stati Generali e con l'Ammiragliato d'Amsterdam, esiste negli
    Archivii dell'Aja. Alcuni brani se ne trovano negli Evénements
    tragiques d'Angleterre. Vedi anche Burnet, I, 640.
    
    (437) Confessione di Wade, nelle carte di Hardwicke; Ms. Harl.,
    6845.
    
    (438) Nell'originale "della della"
    
    (439) Vedi la[Nell'originale "le"] testimonianza di Buyse contro
    Monmouth e Fletcher, nella Collezione dei Processi di Stato.
    
    (440) Giornali della Camera de' Comuni, 13 giugno 1685; Ms. Harl.
    1685; Ms. Lansdowne, 1152.
    
    (441) Burnet I, 641, Confessione di Goodenough, nel Ms. Lansdowne
    1152. La Dichiarazione, come fu originalmente stampata, è rarissima
    a trovarsi: ve n'è un esemplare nel Museo Britannico.
    
    (442) Nell'originale "motti". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (443) Racconto storico della Vita e delle azioni magnanime dello
    Illustrissimo Principe Giacomo, Duca di Monmouth; 1683.
    
    (444) Confessione di Wade; Carte di Hagdwicke; Carte di Axe; Ms.
    Harl, 6845.
    
    (445) Ms. Harl. 6845.
    
    (446) Testimonianza di Buyse, nella Collezione dei Processi di
    Stato; Burnet I, 642; Ms. di Ferguson citato da Eachard.
    
    (447) Gazzetta di Londra, 18 giugno 1685; Confessione di Wade, Carte
    di Hardwicke.
    
    (448) Nell'originale "del". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (449) Giornali de' Lordi, 13 giugno 1685.
    
    (450) Nell'originale "credessse". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (451) Confessione di Wade; Ms. di Ferguson; Carte di Axe, Ms. Harl.,
    6845; Oldmixon, 701, 702. Oldmixon, che allora era fanciullo,
    abitava presso il teatro degli avvenimenti.
    
    (452) Nell'originale "commisssioni". [Nota per l'edizione
    elettronica Manuzio]
    
    (453) Nell'originale "messagggio". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (454) Gazzetta di Londra, 18 giugno 1685; Giornali de' Lordi e de'
    Comuni, 13 e 15 giugno; Dispaccio Olandese, 16-26 giugno.
    
    (455) Oldmixon s'ingannava là dove dice che Fenwick portò il decreto
    alla Camera de' Lordi; mentre si raccoglie dai Giornali, che fu Lord
    Ancram.
    
    (456) Giornali de' Comuni, 17, 18, 19 giugno 1685; Raresby, Memorie.
    
    (457) Giornali de' Comuni, 19, 29 giugno 1685; Lord Lonsdale,
    Memorie, 8, 9; Burnet, I, 639. La Legge, come fu modificata dal
    Comitato, trovasi nella Storia di Fox, Appendice III. Se il racconto
    di Burnet è corretto, i delitti che, secondo la Legge modificata,
    furono puniti con la privazione de' diritti civili, nella
    compilazione[Nell'originale "compilazinoe"] primitiva della stessa
    legge venivano considerati come capitali.
    
    (458) Stat. I di Giac. II, c. 17; Giornali de' Lordi, 2 luglio 1685.
    
    (459) Giornali dei Lordi e de' Comuni, 2 luglio 1685.
    
    (460) Toulmin, Storia di Taunton, edizione di Savage.
    
    (461) Sprat, Vera Relazione; Toulmin, Storia di Taunton.
    
    (462) Vita e morte di Giuseppe Alleine, 1672. Memoriale dei
    Non-Conformisti.
    
    (463) Ms. Harl. 7006; Oldmixon, 702; Eachard, III, 763.
    
    (464) Confessione di Wade; Confessione di Goodenough, Ms. Harl.
    1152; Oldmixon, 702. La narrazione di Ferguson è al tutto indegna di
    fede. Una copia del proclama trovasi nel Ms. Harl. 7006.
    
    (465) Nel Museo Britannico si trovano le copie degli ultimi tre
    proclami; Ms. Harl. 7006. Il primo non l'ho mai veduto, ma è
    ricordato da Wade.
    
    (466) Narrazione di Grey; Ms. di Ferguson, Eachard, III, 754.
    
    (467) La Persecuzione esposta da Giovanni Whiting.
    
    (468) Ms. Harl. 6845.
    
    (469) Una di queste armi si vede anche oggi nella Torre.
    
    (470) Narrazione di Grey; Narrazione di Paschall, nell'Appendice
    alla Difesa di Heywood.
    
    (471) Oldmixon, 702.
    
    (472) North, Vita di Guildford, 132. Racconti della marcia di
    Beaufort per il Paese di Galles e le vicine Contee, si trovano nella
    Gazzetta di Londra, giugno 1684; Lettera di Beaufort a Clarendon, 14
    giugno 1685.
    
    (473) Il Vescovo Fell a Clarendon, 20 giugno; Abingdon a Clarendon
    20, 25, 26 giugno 1685; Ms. Lansdowne[Nell'originale "Landsovvne"],
    846.
    
    (474) Avaux 5-15, 6-16 luglio 1685.
    
    (475) Citters, 30 giugno-10 luglio, 3-13 luglio, 21-31 luglio, 1685;
    Avaux, Negoz., 5-15 luglio; Gazzetta di Londra, 6 luglio.
    
    (476) Barillon 6-16 luglio, 1685; Prefazione di Scott, nell'Albione
    e Albanio.
    
    (477) Abingdon a Clarendon, 29 giugno 1685; Bates, Vita di Filippo
    Henry.
    
    (478) Nell'originale "aqquartieraronsi". [Nota per l'edizione
    elettronica Manuzio]
    
    (479) Gazzetta di Londra 22 e 25 giugno 1685[Nell'originale "1635"];
    Confessione di Wade; Oldmixon, 703; Ms. Harl., 6845.
    
    (480) Confessione di Wade.
    
    (481) Confessione di Wade; Oldmixon, 703; Ms. Harl., 6845; Querela
    di Jeffreys al Gran Giurì di Bristol, 21 settembre 1685.
    
    (482) Gazzetta di Londra, 29 giugno 1685; Confessione di Wade.
    
    (483) Confessione di Wade.
    
    (484) Gazzetta di Londra, 2 luglio 1685; Barillon 6-16 luglio;
    Confessione di Wade.
    
    (485) Gazzetta di Londra, 29 giugno 1685, Citters, 30 giugno-10
    luglio.
    
    (486) Ms. Harl., 6845; Confessione di Wade.
    
    (487) Confessione di Wade; Eachard, III, 766.
    
    (488) Confessione di Wade.
    
    (489) Gazzetta di Londra, 6 luglio 1685; Citters 3-13 luglio;
    Oldmixon, 703.
    
    (490) Confessione di Wade.
    
    (491) Matt. West. Flor. Hist., A. D. 788; Cronaca Ms. citata da
    Sharon Turner nella Storia degli Anglo-Sassoni, libro IV, cap. 19.
    Drayton, Polyolbion, III; Leland, Itinerario; Oldmixon, 703.
    Oldmixon trovavasi allora a Bridgewater, e probabilmente vide il
    Duca sul campanile. Il piatto rammentato nel testo, appartiene al
    signor Stradling, il quale, con sollecitudine degna di lode, ha
    raccolte e serbate le reliquie e le tradizioni della insurrezione
    occidentale.
    
    (492) Nell'originale "Bridewater". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (493) Oldmixon, 703.
    
    (494) Nell'originale "disssimulare". [Nota per l'edizione
    elettronica Manuzio]
    
    (495) Churchill a Clarendon, 4 luglio, 1685.
    
    (496) Oldmixon, 703. L'Osservatore, 1 agosto, 1685.
    
    (497) Paschall, Narrazione, nell'appendice a Heywood.
    
    (498) Kennet, edizione del 1719, III, 432. Sono costretto a prestar
    fede alla verità di questo deplorabile fatto. Il vescovo asserisce
    d'essergli stato riferito, nel 1718, da un valoroso ufficiale degli
    Azzurri, il quale aveva combattuto a Sedgemoor, e aveva con gli
    occhi propri veduta la povera fanciulla andarsene in preda ad un
    disperato dolore.
    
    (499) Narrazione di un ufficiale delle Guardie a cavallo, presso
    Kennet, edizione del 1719, III, 432; Giornale Ms. della ribellione
    occidentale, scritto da Eduardo Dummer; Dryden, il Cervo e la
    Pantera, Parte II. Le parole di Dryden sono degne d'essere riferite:
    
    "Tali erano i lieti trionfi del cielo per l'ultima notturna vittoria
    di Giacomo, pegno d'amore del suo onnipotente Protettore, fuochi di
    gioia che gli angioli accendevano nelle celesti regioni. Vidi con
    gli occhi miei la pura luce e leggera serpere pel cupo orrore e
    vincere la notte. Il messaggiero sollecitamente recò la nuova che
    racconsolò tre nazioni afflitte; ma il Nunzio del cielo era arrivato
    innanzi."
    
    (500) Molti scrittori hanno affermato, ed in ispecie Pennan, che il
    quartiere di Londra chiamato Soho, deriva il nome dalla parola
    d'ordine dell'armata di Monmouth in Sedgemoor. Soho Fields si trova
    rammentato in parecchi libri stampati avanti la insurrezione delle
    Contrade Occidentali; a mo' d'esempio, in Chamberlayne; Stato
    d'Inghilterra, 1684.
    
    (501) Esiste un ordine di Giacomo perchè si pagassero quaranta lire
    sterline al Sergente Weems del Reggimento di Dumbarton "per avere
    resi buoni servigii nel fatto d'arme di Sedgemoor nello scaricare i
    grossi cannoni contro i ribelli." Ricordo Storico del 1°, ovvero del
    Reggimento Reale di Fanteria.
    
    (502) Giacomo II, Narrazione della Battaglia di Sedgemoor, nelle
    Scritture di Stato di Lord Hardwicke; Confessione di Wade; Ms. di
    Ferguson; Narrazione, presso Eachard, III, 768; Narrazione d'un
    Ufficiale delle Guardie a cavallo, presso Kennet, edizione del 1719,
    III, 432. Gazzetta di Londra, 9 luglio 1685; Oldmixon, 703;
    Paschall, Narrazione; Burnet I, 643; Evelyn Diario, 8 luglio;
    Citters 7-17 luglio; Barillon 9-19 luglio; Reresby, Memorie; La
    Battaglia di Sedgemoor, farsa del Duca di Buckingham; Giornale Ms.
    della Ribellione occidentale, fatto da Eduardo Dummer; che allora
    serviva nel corpo d'artiglieria adoperata da sua Maestà ad
    opprimerla. Quest'ultimo manoscritto trovasi nella Biblioteca di
    Pepys, ed è pregevolissimo; non per il racconto, che contiene poco
    di notevole, ma per la esposizione dei piani così detti, di
    battaglia, i quali la dimostrano qual era, in quattro o cinque
    diversi stadii.
    
    "La storia d'una battaglia" dice il più grande de' capitani viventi
    "non è dissimile dalla storia d'una festa da ballo. Alcuni possono
    ricordarsi di tutti i più piccoli eventi, il resultato de' quali è
    la perdita della battaglia, o la vittoria: ma nessuno può
    richiamarsi a mente l'ordine, o quel preciso momento nel quale
    seguirono; la qual cosa costituisce tutta la differenza rispetto al
    valore od importanza loro........ Appunto per mostrarvi quanto poca
    fiducia meritino quelle che si suppongono essere le migliori
    relazioni d'una battaglia, vi dico solo che il Generale..... nella
    sua narrazione, ricorda certe cose che non accaddero punto. È
    impossibile affermare il quando e in che ordine seguì ciascun fatto
    importante." Carte di Wellington, 8 e 17 agosto, 1815.
    
    La battaglia, intorno alla quale il Duca di Wellington scriveva nel
    riferito modo, era quella di Waterloo, combattuta solo pochi giorni
    innanzi, in pieno giorno, e sotto i vigili ed esperti occhi suoi.
    Quale, dunque, deve essere la difficoltà di compilare da dodici
    diverse relazioni il racconto d'una battaglia accaduta cento
    sessanta e più anni sono, e fra tale oscurità che i combattenti non
    potevano nulla discernere a cinquanta passi di distanza? La
    difficoltà è accresciuta da ciò, che i testimoni oculari che
    potevano sapere il vero, non erano inchinevoli a palesarlo. Lo
    scritto che io ho posto in cima alle autorità sopra citate, si
    mostra evidentemente parzialissimo di Feversham. Wade scriveva col
    terrore del capestro. Ferguson, che rade volte mostravasi scrupoloso
    intorno alla veracità delle proprie asserzioni, in questa occasione
    fu bugiardo quanto Bobadil o Parolles. Oldmixon che, allorquando
    seguì la battaglia, trovavasi fanciullo in Bridgewater, dove passò
    poi gran parte della sua vita, era a tal segno sotto la influenza
    delle passioni locali, che ogni informazione locale gli fu inutile.
    Il desiderio ch'egli aveva di magnificare il valore de' contadini
    della Contea di Somerset (valore riconosciuto anche da' loro nemici,
    e che per ciò non aveva mestieri d'esagerazioni o di finzioni), lo
    condusse a comporre un romanzo assurdo. La lode che Barillon, uomo
    francese, avvezzo a spregiare le leve in massa, fece dell'armata de'
    vinti, vale assai più: "Son infanterie fit fort bien. On eut de la
    peine à les rompre, et les soldats combattoient avec les crosses de
    mousquet et les scies qu'ils avoient au bout de grands bastons au
    lieu de picques."
    
    Oggimai, poco si può imparare visitando il campo della battaglia,
    perocchè lo aspetto del paese è grandemente mutato; e il vecchio
    Bussex Rhine, sulle cui sponde seguì la gran lotta, da lungo tempo
    più non esiste. Quello che adesso si chiama Rhine, è di data
    posteriore, ed ha un corso diverso da quello dell'antico.
    
    Mi sono molto giovato del racconto che Roberts fa di quella
    battaglia nella Vita di Monmouth, cap, XXII, il quale racconto in
    sostanza concorda con le descrizioni di Dummer.
    
    (503) Ho sapute queste cose da persone che abitano presso a
    Sedgemoor.
    
    (504) Oldmixon, 704.
    
    (505) Locke, Ribellione delle contrade occidentali; Stradling,
    Prioria di Chillon.
    
    (506) Locke, Ribellione delle contrade Occidentali; Stradling;
    Prioria di Chillon; Oldmixon, 704.
    
    (507) Aubrey, Storia Naturale della Contea di Wilt, 1691.
    
    (508) Relazione del modo onde fu preso il Duca di Monmouth,
    pubblicata d'ordine di Sua Maestà: Gazzetta di Francia, 18-28 luglio
    1685; Eachard, III, 770; Burnet, I, 644, e la Nota di Dartmouth;
    Citters, 10-20 luglio 1685
    
    (509) La lettera di Monmouth al Re fu stampata in quel tempo, per
    ordine del Governo; quella alla Regina vedova si trova fra le
    Lettere originali di Sir H. Ellis; l'altra a Rochester è nel
    Carteggio di Clarendon.
    
    (510) "On trouve" egli scrisse "fort à redire icy, qu'il ayt fait
    une chose si peu ordinaire aux Anglois;" 13-23 luglio 1685.
    
    (511) Relazione del modo onde fu preso il Duca di Monmouth:
    Gazzetta, 16 giugno 1685; Citters, 14-24 luglio.
    
    (512) Barillon ne fu manifestamente maravigliato: "Il se vient de
    passer icy une chose bien extraordinaire, et fort opposée à l'usage
    ordinaire des autres nations." 13-23 luglio 1685.
    
    (513) Burnet, I, 644; Evelyn, Diario, 15 luglio; Sir J. Bramstom,
    Memorie; Revesby, Memorie; Giacomo al Principe d'Orange, 14 luglio
    1685; Barillon, 16-26 luglio; Ms. Buccleuch.
    
    (514) Giacomo al Principe d'Orange, 14 luglio 1685; Dispacci
    Olandesi della medesima data: Luttrell, Diario; Dartmouth,
    Annotazione a Burnet, I, 646.
    
    (515) Ms. Buccleuch; Clarcke, Vita di Giacomo II, II, 37; Mem.
    Orig.; Citters, 14-24 luglio 1685; Gazzetta di Francia, 1-11 agosto.
    
    (516) Ms. Buccleuch; Clarke, Vita di Giacomo II, vol. II, 37, 38;
    Mem. Orig.; Burnet, I, 645; la Relazione di Tenison presso Kennet,
    III, 432, edizione del 1719.
    
    (517) Ms. Buccleuch.
    
    (518) Il nome di Ketch spesso andava unito con quello di Jeffreys
    nelle satire di que' tempi:
    
    
    
    "Mentre Jeffreys siede sul banco, Ketch siede sul gibetto;"
    
    
    
    dice un poeta. L'anno che seguì alla morte di Monmouth, Ketch fu
    destituito per avere insultato uno degli Sceriffi, e gli successe un
    macellaio chiamato Rose. Ma dopo quattro mesi, Rose fu impiccato in
    Tyburn, e Ketch rimesso in ufficio. Luttrell, Diario, 20 gennaio e
    28 maggio, 1686. Vedi una curiosa nota del Dottore Grey
    all'Hudibras, Parte III, Canto II, verso 1534.
    
    (519) Relazione della decapitazione di Monmouth, firmata dai teologi
    che lo assisterono. Ms. Buccleuch; Burnet, I, 646; Citters, 17-27
    luglio, 1685; Luttrell, Diario; Evelyn, Diario, 15 luglio; Barillon,
    19-29 luglio.
    
    (520) Non posso frenarmi d'esprimere il disgusto che provo pensando
    alla barbara stoltezza che ha trasformata questa interessantissima
    chiesetta in un luogo che rende immagine d'una sala d'adunanza in
    una città manifatturiera.
    
    (521) L'Osservatore, 1 agosto 1685; Gazzetta di Francia, 2 novembre
    1686; Lettera da Humphrey Vanley, in data del 25 agosto 1698, nella
    Collezione d'Aubrey; Voltaire, Dizionario filosofico. Nella
    Collezione di Pepys si trovano varie ballate scritte dopo la morte
    di Monmouth, le quali lo descrivono come vivente, e ne predicono il
    prossimo ritorno. Ne citerò due brani:
    
    "Quantunque questa sia una lugubre storia della caduta del mio
    disegno, pure verrò di nuovo cinto di gloria se vivrò fino
    all'ottantanove; poichè io ho un forte esercito e gran copia di
    munizioni."
    
    "Allora Monmouth si mostrerà in tutta la sua gloria ai suoi amici
    inglesi, e farà cessare tutte le storielle che si spacciano da per
    tutto. Vedranno che io non mi sono degradato ad esser preso
    cogliendo piselli, o nascosto dentro un capannone di fieno. Che
    strane fandonie sono coteste?"
    
    (522) Gazzetta di Londra, 3 agosto 1685; La Battaglia di Sedgemoor,
    Farsa.
    
    (523) Pepys, Diario scritto in Tangeri; Ricordi Storici del
    Reggimento Secondo, ovvero Reggimento R. Regina di Fanteria.
    
    (524) Tribunale di Sangue; Burnet, I, 647; Luttrell, Diario, 15
    luglio 1685; Locke, Ribellione delle Contrade Occidentali; Toulmin,
    Storia di Taunton, pubblicata da Savage.
    
    (525) Luttrell, Diario, 15 luglio 1685; Toulmin, Storia di Taunton.
    
    (526) Oldmixon, 705; Vita ed errori di Giovanni Dunton, cap. 7.
    
    (527) Il silenzio di Oldmixon e de' compilatori del Martirologio del
    Paese Occidentale, mi sembrerebbe bastevole a togliere ogni dubbio.
    Giova anche notare, che la storiella di Rhynsault è riferita da
    Steel nel n° 491 dello Spettatore. Certamente, egli è appena
    possibile il credere che se un delitto esattamente simile a quello
    di Rhynsault, fosse stato commesso, a memoria degli uomini allora
    viventi, in Inghilterra da un Ufficiale dì Giacomo II, Steel, che
    era indiscretamente e intempestivamente corrivo a far pompa delle
    sue opinioni Whig, non avrebbe fatta allusione a quel fatto. Intorno
    al caso di Lebon, Vedi il Monitore, 4 Messidoro, Anno III.
    
    (528) Sunderland a Kirke, 14 e 28 luglio 1685. "Sua Maestà" dice
    Sunderland, "mi comanda di esprimervi il dispiacere che Essa prova a
    siffatti procedimenti, e desidera che badiate perchè non vi fugga
    persona alcuna implicata nella ribellione." È giusto aggiungere che
    nella medesima lettera Kirke viene biasimato di permettere ai suoi
    soldati che dimorino fuori le caserme.
    
    (529) Nell'originale "riguargitavano". [Nota per l'edizione
    elettronica Manuzio]
    
    (530) Vorrei potere prestar fede alla novella popolare, che Ken,
    immediatamente dopo la battaglia di Sedgemoor, facesse conoscere ai
    capi dell'armata regia la illegalità delle esecuzioni militari. Non
    dubito che se egli si fosse trovato presente, avrebbe fatto ogni
    sforzo per far prevalere la legge e la clemenza. Ma non v'è
    testimonianza degna di fede, che affermi lui in que' giorni
    esservisi trovato. Dai Giornali della Camera de' Lordi certo
    risulta, che egli, il giovedì avanti la battaglia, fosse in
    Westminster. È similmente certo che il lunedì dopo la battaglia, ei
    si trovasse con Monmouth nella Torre.
    
    (531) Nell'originale "cocienza". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (532) North, Vita di Guildford, 260, 263, 273; Mackintosh, Sguardo
    sul regno di Giacomo II, pag. 16 in nota; Lettera di Jeffreys a
    Sunderland, 5 settembre 1685.
    
    (533) Vedi il preambolo all'Atto con cui il Parlamento revocò la
    sentenza che dannava Lady Alice a morte infamante.
    
    (534) Nell'originale "venise". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (535) Processo di Alice Lisle, nella Collezione de' Processi di
    Stato; Stat. I di Gugl. e Mar.; Burnet, I, 649; Avvertimento contro
    i Whig.
    
    (536) Tribunale di Sangue.
    
    (537) Locke, Ribellione delle Contrade Occidentali.
    
    (538) Ciò che qui affermo posso attestare per rimembranze della mia
    fanciullezza.
    
    (539) Lord Lonsdale dice che fossero settecento; Burnet seicento. Io
    mi sono attenuto alla lista che i Giudici mandarono al Tesoro, e che
    tuttora è visibile ivi in un Epistolario del 1685. Vedi il Tribunale
    di Sangue; Locke, Ribellione delle Contrade Occidentali; il
    Panegirico di Lord Jeffreys; Burnet, I, 648; Eachard, III, 775;
    Oldmixon, 705.
    
    (540) Alcune delle preci, esortazioni ed inni dei giustiziati si
    trovano nel Tribunale di Sangue.
    
    (541) Tribunale di Sangue; Locke, Ribellione delle Contrade
    Occidentali; Lord Lonsdale, Memorie; Narrazione della Battaglia di
    Sedgemoor, negli scritti di Hardwicke. Il racconto che ne fa Clarke
    nella Vita di Giacomo II, non è tratto dai manoscritti del re, e si
    confuta bastevolmente da sè.
    
    (542) Tribunale di Sangue; Locke, Ribellione delle Contrade
    Occidentali; Umile petizione delle Vedove e dagli Orfani delle
    Contrade Occidentali d'Inghilterra; Panegirico di Lord Jeffreys.
    
    (543) Intorno agli Hewling ho seguito le Memorie di Kiffin, e la
    narrazione di Hewling Luson, che trovasi nella seconda edizione del
    Carteggio di Hugues, vol. II, nell'Appendice. I racconti che se ne
    fanno nella Ribellione delle Contrade Occidentali di Locke, e nel
    Panegirico di Lord Jeffreys, sono pieni d'errori. Gran parte della
    relazione contenuta nel Tribunale di Sangue fu scritta da Kiffin, e
    concorda in ogni parola con le sue Memorie.
    
    (544) Vedi il racconto che Tutchin fa del proprio caso nel Tribunale
    di Sangue.
    
    (545) Sunderland a Jeffreys, 14 settembre 1685; Jeffreys al re, 19
    settembre 1685, nell'ufficio delle scritture di Stato.
    
    (546) La migliore descrizione de' patimenti de' ribelli che furono
    deportati, trovasi in un curiosissimo racconto scritto da Giovanni
    Coad, legnaiuolo onesto e pieno del timore di Dio. Aveva combattuto
    per Monmouth, era stato gravemente ferito a Philip's Norton,
    processato da Jeffreys e mandato alla Giammaica. Il Ms. originale mi
    fu cortesemente prestato dal signor Phippard, al quale appartiene.
    
    (547) Nei ricordi del Tesoro dell'autunno 1685, sono varie lettere,
    nelle quali si ordina che vengano fatte indagini intorno ad inezie
    di questa specie.
    
    (548) Giornali de' Comuni, 9 ottobre, 10 novembre, 26 dicembre 1690;
    Oldmixon, 706; Panegirico di Jeffreys.
    
    (549) Vita e morte di Lord Jeffreys; Panegirico di Jeffreys; Kiffin,
    Memorie.
    
    (550) Burnet, I, 368; Evelyn, Diario, 4 febbraio 1684-85, luglio
    1686. In una delle satire di quel tempo si leggono le seguenti
    parole:
    
    
    
    Mentre era duchessa, ella era gentile, soave e cortese;
    
    Quando fu regina, diventò un demonio rabido e furioso.]
    
    (551) Sunderland a Jeffreys, 14 settembre 1685.
    
    (552) Locke, Ribellione della Contrade Occidentali; Toulmin, Storia
    di Taunton, edizione di Savage; lettera del duca di Somerset a Sir
    F. Warre; lettera di Sunderland a Penn, 13 febbraio 1685-86, tratta
    dall'ufficio delle scritture di Stato, nella collezione di
    Mackintosh.
    
    (553) Burnet, I, 646, e la nota del presidente Onslow; Clarendon a
    Rochester, 8 maggio 1686.
    
    (554) Burnet, I, 634.
    
    (555) Calamy, Memorie; Giornali dei Comuni, 26 dicembre 1685;
    Sunderland a Jeffreys, 14 settembre 1685; libro del Consiglio
    Privato, 23 febbraio 1685-86.
    
    (556) Ms. Lansdowne 1152; Ms. Harl. 6845; Gazzetta di Londra, 20
    luglio 1685.
    
    (557) Nell'originale "fossse". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (558) Molti scrittori hanno asserito, senza il più lieve fondamento,
    che Giacomo concedesse il perdono a Ferguson. Taluni hanno spinta la
    propria assurdità fino a citare questo perdono immaginario, - il
    quale, ove fosse vero, proverebbe soltanto che Ferguson era una spia
    della corte, - in prova della magnanimità e benignità del principe
    che decapitò Alice Lisle e bruciò Elisabetta Gaunt. Ferguson non
    solo non fu perdonato, ma escluso nominatamente dall'amnistia
    generale data nella susseguente primavera (Gazzetta di Londra, 15
    marzo 1685-86). Se, come ne corse universale sospetto e come sembra
    probabile, gli fu usata clemenza, questa fu tale che Giacomo, non
    senza ragione, ne sentiva vergogna; e quindi, per quanto fu
    possibile, si tenne secreta. Le voci che allora ne corsero in
    Londra, sono ricordate nell'Osservatore, 1° agosto 1685.
    
    Sir Giovanni Raresby, che avrebbe dovuto essere bene informato,
    positivamente afferma, che Ferguson fu preso tre giorni dopo la
    battaglia di Sedgemoor. Ma Sir Giovanni errò certamente rispetto
    alla data, ed avrà quindi potuto errare rispetto all'intero fatto.
    Dalla Gazzetta di Londra, e dalla confessione di Goodenough (Ms.
    Lansdowne 1152), chiaro risulta che quindici giorni dopo la
    battaglia, Ferguson non era stato preso, e supponevasi nascosto in
    qualche luogo in Inghilterra.
    
    (559) Granger, Storia Biografica, "Jeffreys."
    
    (560) Burnet, I, 648; Giacomo al principe d'Orange, 10 e 20
    settembre 1685; Lord Lonsdale, Memorie; Gazzetta di Londra, 1°
    ottobre 1685.
    
    (561) Processo di Cornish, nella Collezione de' Processi di Stato;
    Sir G.Hawles, Osservazioni sopra il Processo di Cornish; Burnet, I,
    651; Il Tribunale di Sangue: Stat. I, Gugl. e Mar.
    
    (562) Processi di Fernley e d'Elisabetta Gaunt, nella Collezione de'
    Processi di Stato; Burnet, I, 649; Il Tribunale di Sangue; Sir G.
    Bramston, Memorie; Luttrell, Diario, 23 ottobre 1685.
    
    (563) Nell'originale: "Goodenongh". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (564) Processo di Bateman, nella Collezione de' Processi di Stato;
    Osservazioni di Sir Giovanni Hawles. È pregio dell'opera raffrontare
    la testimonianza di Tommaso Lee fatta in questa occasione, con la
    sua confessione tempo innanzi pubblicata per ordine del Governo.
    
    (565) Nell'originale "Middlessex". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (566) Citters, 13-23 ottobre, 1685.
    
    (567) Neal, Storia de' Puritani; Calamy, Relazione de' Ministri
    cacciati, e il Memoriale de' Non-Conformisti, contengono copiose
    prove della severità di questa persecuzione. La lettera d'Addio di
    Howe al suo gregge, trovasi nella vita di questo grande uomo,
    scritta egregiamente da Rogers. Howe lamenta di non potere porsi a
    risico di procedere per le vie di Londra, e la sua salute essere
    danneggiata per difetto d'aria e di moto. Ma la più viva pittura dei
    Non-Conformisti ci è data dalla penna di Lestrange, loro mortale
    nemico, nell'Osservatore, ne' mesi di settembre ed ottobre del 1685.
    
    (568) Nell'originale "negozianti". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (569) Nell'originale "Alto". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (570) Avaus, Neg., 6-16 agosto 1685; Dispaccio di Citters e de' suoi
    colleghi, nel quale è incluso il trattato, 14-24 agosto; Luigi a
    Barillon, 14-24 e 20-30 agosto.
    
    (571) Avvertimenti intitolati: Per mio figlio il Principe di Galles;
    nelle carte degli Stuardi.
    
    (572) "L'Habeas Corpus" diceva Johnson, che era il più bacchettone
    de' Tory, a Boswell, "è il solo pregio che il nostro Governo abbia
    sopra quelli degli altri paesi."
    
    (573) Vedi i Ricordi Storici de' Reggimenti, pubblicati sotto la
    revisione dell'Aiutante Generale.
    
    (574) Barillon, 3-13 dicembre 1685. Egli aveva studiato molto la
    materia: "C'est un détail, diceva, dont j'ai connoissance." Da'
    libri del Tesoro si raccoglie, che la spesa dell'armata per l'anno
    1687, fu stabilita il dì primo di gennaio a 623,104 lire sterline, 9
    scellini e undici soldi.
    
    (575) Burnet, I, 447.
    
    (576) Tillotson, Sermone detto innanzi alla Camera de' Comuni, il dì
    5 di novembre 1685.
    
    (577) Locke, Lettera prima intorno alla Tolleranza.
    
    (578) Libro del Consiglio. La destituzione di Halifax è in data del
    21 ottobre 1685. Halifax a Chesterfield; Barillon, 19-29 ottobre.
    
    (579) Barillon, 26 ottobre-5 novembre 1685; Luigi a Barillon, 27
    ottobre-6 novembre; 6-16 novembre.
    
    (580) Nell'originale "susurrava". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (581) Vi è un notevole racconto de' primi segni del malcontento fra'
    Tory, in una lettera di Halifax a Chesterfield, scritta nell'ottobre
    del 1685; Burnet, I, 684.
    
    (582) Gli scritti di quel tempo, trattanti in varie lingue di
    cotesta persecuzione, sono innumerevoli. Una narrazione chiara,
    tersa, vivace, trovasi nel libro di Voltaire: Siècle de Louis XIV.
    
    (583) "Misionarios embotados," dice Ronquillo. "Apostoli Armati" li
    chiama Innocenzo. Nella Collezione di Mackintosh vi è una notevole
    lettera di Ronquillo intorno a questo subbietto, in data del 26
    marzo-5 aprile 1687. Vedi Venier, Relazione di Francia, 1689, citata
    dal Professore Ranke nella sua Storia del Papato, libro VIII.
    
    (584) Nell'originale "Alva". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (585) Nell'originale "fancesi". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (586) "Mi dicono che tutti questi parlamentarii ne hanno voluto
    copia; il che assolutamente avrà causate pessime impressioni." -
    Adda, 9-19 Novembre 1685. Vedi Evelyn, Diario, 3 novembre.
    
    (587) Giornali de' Lordi, 9 novembre 1685. "Vengo assicurato (dice
    Adda) che S. M. stessa abbia composto il discorso." - Dispaccio del
    16-26 novembre 1685.
    
    (588) Giornali de' Comuni; Bramston, Memorie; Giacomo Von Leeuwen
    agli Stati Generali, 10-20 novembre 1685. Leeuwen era segretario
    dell'Ambasciata Olandese, e nell'assenza di Citters mantenne il
    carteggio col proprio Governo. Intorno a Clarges. Vedi Burnet, I,
    98.
    
    (589) Barillon, 16-26 novembre, 1685.
    
    (590) Dodd, Storia della Chiesa; Leeuven, 17-27 novembre 1685;
    Barillon, 24 Dicembre 1685. Barillon dice intorno ad Adda: "On
    l'avoit fait prévenir que la sûreté et l'avantage des Catholiques
    consistoient dans une réunìon entière de sa Majesté Britannique et
    de son Parlement." Lettere d'Innocenzio a Giacomo, in data del 27
    luglio-6 agosto, e del 23 settembre-3 ottobre 1685, Dispacci d'Adda,
    8-19 e 16-26 novembre 1685. L'interessantissimo Carteggio d'Adda,
    copiato dagli archivi papali, trovasi nel Museo Britannico; Mss.
    aggiunti, M° 15395.
    
    (591) Questo notevolissimo dispaccio ha la data del 9-19 novembre
    1685, ed è compreso nell'Appendice alla Storia di Fox.
    
    (592) Giornali de' Comuni, 12 novembre 1685; Leeuwen, 13-23
    novembre; Barillon 16-26 novembre: Sir Giovanni Bramston, Memorie.
    La migliore relazione delle discussioni de' Comuni nel Novembre
    1685, è una di quelle la cui storia è alquanto curiosa. Ve ne sono
    due copie manoscritte nel Museo Brittannico, Ms. Harl, 7187; Ms.
    Lans, 253. In queste copie, i nomi de' Presidenti sono interamente
    scritti. L'autore della Vita di Giacomo, pubblicata nel 1702,
    ricopiò questa relazione, ma diede solo le iniziali de' nomi de'
    Presidenti. Gli editori de' Dibattimenti di Chandler, e della Storia
    Parlamentare, si provarono d'indovinare i nomi da coteste iniziali,
    e talvolta non s'apposero al vero. Essi attribuiscono a Waller un
    pregevolissimo discorso, di cui parlerò tra poco, e che fu
    certamente fatto da Windham, rappresentante di Salisbury. Mi
    rincresce di vedermi forzato a smentire che le ultime parole
    profferite in pubblico da Waller, fossero così onorevoli per lui.
    
    (593) Giornali de' Comuni, 13 novembre 1685; Bramston, Memorie;
    Barillon, 16-26 novembre; Leeuwen, 12-23 novembre; Memorie di Sir
    Stefano Fox, 1717; La causa della Chiesa d'Inghilterra schiettamente
    dichiarata; Burnet, I, 666, e l'annotazione del Presidente Onslow.
    
    (594) Giornali de' Comuni, novembre 1685; Ms. Harl, 7187; Ms. Lans,
    253.
    
    (595) Intorno a questo subbietto, gli autori in modo straordinario
    discordano; e dopo d'avere lungamente esaminata la faccenda, debbo
    confessare che i pareri si equilibrano. Nella Vita di Giacomo (1702)
    è detto, che la proposta venisse dalla Corte. Il che è confermato da
    un luogo notevole nelle Carte degli Stuardi, il quale fu corretto
    dallo stesso pretendente (Clarke, Vita di Giacomo II, vol. II; 55).
    Dall'altro canto, Reresby che era presente alla discussione, e
    Barillon che avrebbe dovuto sapere il vero, fanno credere che la
    proposta venisse dalla opposizione. I manoscritti Harleiano e
    Lansdowniano differiscono nella sola parola da cui dipende la
    questione. Sventuratamente, Bramston quel dì non era nella Camera.
    (Giacomo Van Leeuwen rammenta la proposta e lo squittinio di
    divisione, ma non aggiunge una parola che possa spargere la più
    piccola luce sulle condizioni de' partiti. Mi è forza confessare la
    mia impossibilità a dedurre con sicurezza alcuna conseguenza da'
    nomi de' questori Sir Giuseppe Williamson e Sir Francesco Russell
    per la maggioranza, Lord Ancram e Sir Enrico Goodricke per la
    minoranza. Mi parrebbe probabile che Lord Ancram si fosse posto
    dalla parte della Corte, e Sir Enrico Goodricke da quella della
    opposizione.
    
    (596) Nell'originale "millione". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (597) Giornali de' Comuni, 16 novembre 1685; Ms. Harl 7187; Ms.
    Lans. 235.
    
    (598) Giornali de' Comuni, 17, 18 novembre 1685.
    
    (599) Giornali de' Comuni, 18 novembre 1685; Ms. Harl. 7187; Ms.
    Lans. 253; Burnet, I, 667.
    
    (600) Lonsdale, Memorie. Burnet dice (I, 667) che nella Camera de'
    Comuni seguì un'acre discussione rispetto alle elezioni dopo
    l'imprigionamento di Coke. Ciò, quindi, dovette accadere il dì 19 di
    novembre; perocchè Coke fu condotto alla Torre il dì 18, e il dì 20
    il Parlamento fu prorogato. La narrazione di Burnet è confermata dai
    Giornali de' Comuni, da cui si raccoglie che il dì 19 si discuteva
    di varie elezioni.
    
    (601) Nell'originale "oppozione". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (602) Burnet, I, 560; Orazione funebre del duca di Devonshire, detta
    da Kennet, 1708; Viaggi di Cosimo III in Inghilterra.
    
    (603) Bramston, Memorie. Burnet erra in quanto al tempo in cui fu
    fatta questa osservazione, e in quanto alla persona che la fece.
    Nella Lettera di Halifax ad un Dissenziente, trovasi una notevole
    allusione a questa discussione.
    
    (604) Wood, Athenæ Oxonienses; Gooch, Orazione funebre del Vescovo
    Compton.
    
    (605) Teonge, Diario.
    
    (606) Barillon ci ha lasciata la migliore relazione di questo
    dibattimento. Ne estrarrò ciò ch'ei dice intorno al discorso di
    Mordaunt. "Milord Mordaunt, quoique jeune, parla avec eloquence et
    force. Il dit que la question n'étoit pas reduite, comme la Chambre
    des Communes le prétendoit, à guérir des jalousies et défiances, qui
    avoient lieu dans les choses incertaines; mais que ce qui se passoit
    ne l'étoit pas; qu'il y avoit une armée sur pied qui subsistoit, et
    qui étoit remplie d'officiers catholiques; qui ne pouvoit être
    conservée que pour le renversement des loix; et que la subsistance
    de l'armée, quand il n'y a aucune guerre ni au dedans ni au dehors,
    étoit l'ètablissement du gouvernement arbitraire, pour le quel les
    Anglois ont une adversion si bien fondée."
    
    (607) Gli riusciva facilissimo il piangere. "Non poteva" dice
    l'autore del Panegirico "frenare le lacrime quando altri gli faceva
    fronte arditamente. - Parlasi delle sue bravazzate e del suo
    orgoglioso coraggio; ma vi può essere cosa alcuna di più umile in un
    uomo del suo alto grado, che piangere e singhiozzare?" Nella
    risposta al Panegirico si dice "che il non aver saputo frenare le
    lacrime gli toglieva di poter fare la parte d'ipocrita."
    
    (608) Giornali de' Lordi, 19 novembre 1685; Barillon, 23 novembre-3
    dicembre; Dispaccio Olandese, 20-30 novembre; Luttrell, Diario, 19
    Novembre; Burnet, I, 665. Il discorso di chiusura fatto da Halifax è
    rammentato dal Nunzio nel suo dispaccio del 16-26 novembre. Adda,
    circa un mese dopo, fa testimonianza del potente ingegno di Halifax:
    
    "Da questo uomo, che ha gran credito nel Parlamento e grande
    eloquenza, non si possono attendere che fiere contraddizioni; e nel
    partito regio non vi è un uomo da contrapporsi." 21-31 dicembre.
    
    (609) Giornali de' Lordi e de' Comuni, 20 novembre 1685.
    
    (610) Giornali de' Lordi, 11, 17, 18 novembre 1685.
    
    (611) Burnet, I, 616.
    
    (612) Bramston, Memorie; Luttrell, Diario.
    
    (613) Il processo trovasi nella Collezione de' Processi di Stato;
    Bramston, Memorie; Burnet, I, 647; Giornali de' Lordi, 20 dicembre
    1689.
    
    (614) Giornali de' Lordi, 9, 10, 16 Novembre 1685.
    
    (615) Discorso intorno alla corruzione de' Giudici, nelle Opere di
    Lord Delamere, 1694.
    
    (616) "Fu una funzione piena di gravità, di ordine e di gran
    speciosità." Adda, 15-25 gennaio, 1686.
    
    (617) Il processo trovasi nella Collezione de' Processi di Stato.
    Leeuwen 15-25. 19-29 gennaio 1686.
    
    (618) Lady Russell al Dottore Fitzwilliam, 15 gennaio 1686.
    
    (619) Luigi a Barillon, 10-20 febbraio 1685.
    
    (620) Evelyn, Diario, 2 ottobre, 1685.
    
    (621) Clarke, Vita di Giacomo II, vol. II, 9; Mem. Orig.
    
    (622) Nell'originale "di di". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (623) Leeuwen, 1-11 e 12-22 gennaio 1686. La lettera di questa
    giovinetta, quantunque fosse lunghissima ed assurda, fu reputata
    degna d'essere mandata agli Stati Generali, come espressione de'
    tempi.
    
    (624) Così nell'originale: forse "sparto" L'inglese ha "diffused".
    [Nota per l'edizione elettronica Manuzio]
    
    (625) Vedi il suo processo nella Collezione de' Processi di Stato, e
    il suo curioso Manifesto, stampato nel 1681.
    
    (626) Mémoires de Grammont; Pepys, Diario, 19 agosto 1662; Bonrepaux
    a Seignelay, 1-11 febbraio 1686.
    
    (627) Bonrepaux a Seignelay, 1-11 febbraio 1686.
    
    (628) Nell'originale "Talbolt". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (629) Mémoires de Grammont; Vita d'Eduardo, Conte di Clarendon;
    Carteggio d'Enrico, Conte di Clarendon, passim, e in ispecie la
    lettera in data del dì 29 dicembre 1685; Ms. di Sheridan, fra le
    Carte degli Stuardi; Carteggio di Ellis, 12 gennaio 1686.
    
    (630) Vedi il suo ultimo carteggio, passim; St. Evremond, passim; le
    lettere di madama di Sévigné in principio del 1689. Vedi anche le
    istruzioni a Tallard dopo la pace di Ryswick, negli Archivi
    francesi.
    
    (631) St. Simon, Memorie, 1697, 1719; St. Evremond; La Fontaine;
    Bonrepaux a Seignelay, 28 gennaio-7 febbraio, 8-18 febbraio 1686.
    
    (632) Adda, 16-26 novembre, 7-17, e 21-31 dicembre 1685. In questi
    dispacci Adda adduce alcune ragioni per venire ad un compromesso,
    abolendo le leggi penali, e lasciando l'Atto di Prova. Egli chiama
    il conflitto fra il Governo e il Parlamento "una gran disgrazia."
    Ripetutamente accenna che il Re, per mezzo d'una politica conforme
    alla Costituzione, avrebbe potuto ottenere molto a favore dei
    Cattolici Romani, e che gli sforzi ch'egli faceva a volerli
    illegalmente alleggiare, avrebbero probabilmente fatto nascere
    grandi calamità.
    
    (633) Fra Paolo Sarpi, libro VIII; Pallavicino, libro XVIII, cap.
    15.
    
    (634) Tale era il costume della sua figlia Anna; e Marlborough
    diceva ch'ella lo aveva imparato dal padre. - Difesa della Duchessa
    di Marlborough.
    
    (635) Fino al tempo del processo de' Vescovi, Giacomo andava sempre
    dicendo ad Adda, che tutte le calamità di Carlo I seguirono "per la
    troppa indulgenza." Dispaccio del 29 giugno-9 luglio 1688. Barillon
    16-26 novembre 1685; Luigi a Barillon, 26 novembre-6 dicembre. In
    una scrittura del 1687, molto curiosa, quasi senza alcun dubbio di
    mano di Bonrepaux, e che ora trovasi negli archivi di Francia,
    Sunderland è dipinto con queste parole: "La passion qu'il a pour le
    jeu, et les pertes considérables qu'il y a faites, incommodent fort
    ses affaires. Il n'aime pas le vin; et il hait les femmes."
    
    (636) Si ricava dal libro del Consiglio, ch'egli entrò nell'ufficio
    di presidente il dì 4 dicembre 1685.
    
    (637) Bonrepaux non si lasciò così agevolmente ingannare come
    Giacomo. "En son particulier, il (Sunderland) n'en professe aucune
    (religion), et en parle fort librement. Ces sortes de discours
    seroient en exécration en France. Ici ils sont ordinaires parmi un
    certain nombre de gens du pays." - Bonrepaux a Seignelay, 25
    maggio-4 giugno 1687.
    
    (638) Clarke, Vita di Giacomo II, vol. II, 74, 77; Mem. Orig.; Ms.
    di Sheridan; Barillon, 19-29 marzo 1686.
    
    (639) Beresby, Memorie; Luttrell, Diario, 2 febbraio 1685-86;
    Barillon 4-14 febbraio; Bonrepaux, 25 gennaio-4 febbraio.
    
    (640) Dartmouth, annotazione a Burnet, I, 621. In una satira di quel
    tempo è notato che Godolphin "Batte il tempo colla testa politica, e
    approva tutto, satisfatto dell'incarico di portare il manicotto e i
    guanti della Regina."
    
    (641) Pepys, 4 ottobre 1664.
    
    (642) Pepys, 1 luglio 1663.
    
    (643) Vedi i versi satirici che Dorset le scrisse contro.
    
    (644) Le fonti principali pel racconto di questo intrigo, sono i
    dispacci di Barillon e di Bonrepaux, del principio dell'anno 1686.
    Vedi Barillon, 25 gennaio, 4 febbraio; 28 gennaio-7 febbraio, 1-11,
    8-18, 19-29 febbraio, e Bonrepaux sotto le stesse prime quattro
    date; Evelyn, Diario, 19 gennaio; Reresby, Memorie; Burnet, I, 682;
    Ms. Sheridan; Ms. Chaillot; Dispacci d'Adda, 22 gennaio-1 febbraio,
    e 29 gennaio-8 febbraio 1686. Adda scrive da uomo pio, ma debole e
    ignorante. Sembra che non conoscesse nulla della vita anteriore di
    Giacomo.
    
    (645) La meditazione ha la data 25 gennaio-4 febbraio. Bonrepaux,
    nel suo dispaccio del medesimo giorno, dice: "L'intrigue avait été
    conduite par Milord Rochester et sa femme.... Leur projet étoit de
    faire gouverner le Roy d'Angleterre par la nouvelle comtesse; ils
    s'étoient assurés d'elle."Mentre Bonrepaux riferiva queste cose al
    suo Governo, Rochester scriveva: "O mio Dio, insegnami a numerare i
    miei giorni, onde io possa dedicare il mio cuore alla saviezza.
    Insegnami a contare i giorni da me spesi nella vanità e nell'ozio,
    ed insegnami a contare quelli che io ho spesi nel peccato e nelle
    male opere. O Dio, insegnami anche a numerare i giorni della mia
    afflizione, e a renderti grazie per tutto ciò che è venuto dalle tue
    mani. Insegnami parimente a numerare i giorni di questa grandezza
    mondana di cui io ho tanta parte, e insegnami a considerarli come
    giorni di vanità e di tribolazione di spirito."
    
    (646) "Je vis Milord Rochester, comme il sortoit du conseil, fort
    chagrin; et sur la fin du souper, il lui en échappe quelque chose."
    Bonrepaux, 18-28 febbraio 1686. Vedi anche Barillon, 1-14, 4-11
    marzo.
    
    (647) Barillon, 22 marzo-1 aprile, 12-22 aprile 1686.
    
    (648) Gazzetta di Londra, 15 febbraio 1685-86; Luttrell, Diario, 8
    febbraio; Leeuwen, 9-19 febbraio; Clarke, Vita di Giacomo II, vol.
    Il, 75; Mem. Orig.
    
    (649) Nell'originale "alla". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (650) Leeuwen, 23 febbraio-5 marzo 1686.
    
    (651) Barillon, 26 aprile-6 maggio, 3-13 maggio 1656; Citters 7-17
    maggio; Evelyn, Diario, 5 maggio; Luttrell, Diario della stessa
    data; Libro del Consiglio Privato, 2 maggio.
    
    (652) Lady Russel al dottore Fitzwilliams, 22 gennaio 1686;
    Barillon, 15-25 febbraio, 22 febbraio-4 marzo 1686. "Ce prince
    témoigne" dice Barillon "une grande aversion pour eux, et auroit
    bien voulu se dispenser de la collecte, qui est ordonnée en leur
    faveur; mais il n'a pas cru que cela fût possible."
    
    (653) Barillon, 22 febbraio-4 marzo 1686.
    
    (654) Relazione della Commissione, in data del 15 marzo 1688.
    
    (655) Nell'originale "ubbidenza". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (656) "Le roi d'Angleterre connoît bien que les gens mal
    intentionnés pour lui sont les plus prompts et les plus disposés à
    donner considérablement... Sa Majesté Britannique connoît bien qu'il
    auroit été à propos de ne point ordonner de colecte, et que les gens
    mal intentionnés contre la religion catholique et contre lui, se
    servent de cette occasion pour témoigner leur zèle." Barillon. 19-29
    aprile 1686.
    
    (657) Barillon, 15-25 febbraio, 22 febbraio-4 marzo, 19-29 aprile
    1686; Luigi a Barillon, 5-15 marzo. Barillon, 19-29 aprile; Lady
    Russell al dottore Fitzwilliams, 14 aprile. "Ne mandò via molti"
    ella dice "co' cuori contristati."
    
    (658) Gazzetta di Londra del 13 maggio 1686.
    
    (659) Nell'originale "prefissse". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (660) Nell'originale "Vestminster". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (661) Nell'originale "potrebbbe". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (662) Raresby, Memorie; Eachard, III, 797; Kennet, III, 451.
    
    (663) Gazzetta di Londra, 22 e 29 aprile 1686; Barillon, 19-29
    aprile; Evelyn, Diario, 2 giugno; Luttrell, 8 giugno; Dodd, Storia
    della Chiesa.
    
    (664) North, Vita di Guildford, 288.
    
    (665) Raresby, Memorie.
    
    (666) Vedi la relazione di questo caso nella Collezione de' Processi
    di Stato; Citters, 4-14 maggio, 22 giugno 2 luglio 1686; Evelyn,
    Diario, 27 giugno; Luttrell, Diario, 21 giugno. In quanto a Street,
    vedi il Diario di Clarendon, 27 dicembre 1688.
    
    (667) Gazzetta di Londra, 19 luglio 1686.
    
    (668) Vedi le lettere patenti presso Gutch, Collectanea curiosa. La
    loro data è del 3 maggio 1686. Sclater, Consensus Veterum; Gee,
    Veteres Vindicati, che è una risposta al libro di Sclater; il
    dottore Antonio Horneck, Relazione dell'abjura di Sclater degli
    errori del papismo, il dì 5 maggio 1689; Dodd, Storia della Chiesa,
    Parte VIII, libro II, articolo 3.
    
    (669) Gutch, Collectanea curiosa; Dodd, VIII, II, 3; Wood, Athenæ
    Oxonienses; Ellis, Carteggio, 27 febbraio 1686; Giornali de' Comuni,
    26 ottobre 1689.
    
    (670) Gutch, Collectanea curiosa; Wood, Athenæ Oxonienses; Dialogo
    tra uno della Chiesa Anglicana e un Dissenziente, 1689.
    
    (671) Adda, 9-19 luglio 1686.
    
    (672) Adda, 30 luglio-9 agosto 1686.
    
    (673) "Ce prince m'a dit que Dieu avoit permis que toutes les loix
    qui ont été faites pour établir la religion protestante, et détruire
    la religion catholique, servent présentement de fondement à ce qu'il
    veut faire pour l'établissement de la vraie religion, et le mettent
    en droit d'exercer un pouvoir encore plus grand que celui qu'ont les
    rois catholiques sur les affaires ecclésiastiques dans les autres
    pays." Barillon, 12-22 luglio 1686. - Ad Adda, Sua Maestà, pochi
    giorni dopo, disse: "Che l'autorità concessale dal Parlamento sopra
    l'ecclesiastico senza alcun limite, con fine contrario, fosse adesso
    per servire al vantaggio de' medesimi Cattolici." 23 luglio-2
    agosto.
    
    (674) Tutta la questione è lucidamente e vittoriosamente discussa in
    un breve trattato di que' tempi, che ha per titolo: La potestà del
    Re nelle materie ecclesiastiche, chiaramente esposta. Vedi anche il
    conciso ma forte ragionamento dell'Arcivescovo Sancroft. Doyly, Vita
    di Sancroft, I, 229.
    
    (675) Lettera di Giacomo a Clarendon, 18 febbraio 1685-86.
    
    (676) La migliore narrazione di questi fatti trovasi nella Vita di
    Sharp, scritta da suo figlio. Citters, 29 giugno-9 luglio 1686.
    
    (677) Barillon, 21 luglio-1 agosto 1686; Citters, 16-26 luglio;
    Libro del Consiglio Privato, 17 luglio; Ellis, Carteggio, 17 luglio;
    Evelyn, Diario, 14 luglio; Luttrell, Diario, 5-6 agosto.
    
    (678) Il segno era una rosa ed una corona. Innanzi il segno erano le
    lettere iniziali del nome del sovrano, e dopo esso la lettera R.
    Attorno il suggello leggevasi questa epigrafe: Sigillum
    commissariorum regiæ majestatis ad causas ecclesiasticas.
    
    (679) Appendice al Diario di Clarendon; Citters, 8-18 ottobre;
    Barillon, 11-21 ottobre; Doyly, Vita di Sancroft.
    
    (680) Burnet, I, 676.
    
    (681) Burnet, I, 675, II, 629; Sprat, Lettere a Dorset.
    
    (682) Burnet, I, 677; Barillon, 6-16 settembre 1686. Gli atti
    pubblici si trovano nella Collezione de' Processi di Stato.
    
    (683) 27. Elisab, c. 2; 2. Giac, I, c. 4; 3. Giac. I, c. 5.
    
    (684) Clarke, Vita di Giacomo II, vol. II, 79, 80; Mem. Orig.
    
    (685) De Augumentis, I, VI, 4.
    
    (686) Citters, 14-24 maggio 1686.
    
    (687) Citters, 18-28 maggio 1656; Adda, 19-29 maggio.
    
    (688) Ellis, Carteggio, 27 aprile 1686; Barillon, 19-29 aprile;
    Citters, 20-30 aprile; Libro del Consiglio Privato, 27 marzo;
    Luttrel, Diario; Adda, 26 febbraio-8 marzo, 26 marzo-5 aprile, 2-12
    aprile, 23 aprile-3 maggio.
    
    (689) Burnet, Viaggi.
    
    (690) Barillon, 27 maggio-6 giugno 1686.
    
    (691) Citters, 25 maggio-4 giugno 1686.
    
    (692) Ellis, Carteggio, 25 giugno 1686; Citters, 2-12 luglio;
    Luttrell, Diario, 19 luglio.
    
    (693) Vedi le poesie di que' tempi intitolate: Hounslow Heath, e Lo
    Spettro di Cesare; Evelyn, Diario, 2 giugno 1686. Una ballata, nella
    Biblioteca di Pepys, contiene il tratto seguente:
    
    "Io amava il luogo oltre ogni credere: non vidi mai un campo così
    bello: nessuna donna che non fosse convenevolmente vestita, poteva
    gustare un bicchiere di vino."
    
    (694) Luttrell, Diario, 18 giugno 1686.
    
    (695) Vedi le Memorie di Johnson premesse alla edizione in folio
    della sua vita, il suo Giuliano, e le risposte ai suoi avversari.
    Vedi anche il Gioviano d'Hickes.
    
    (696) Vita di Johnson, premessa alle sue opere; Storia segreta della
    felice Rivoluzione di Ugo Speke; Processi di Stato; Citters, 23
    novembre-3 dicembre 1686. Il miglior racconto del processo di
    Johnson è quello di Citters. Ho veduto un foglio volante che lo
    conferma.
    
    (697) Vedi la prefazione ai Sermoni postumi d'Enrico Wharton.
    
    (698) Lo affermo per esperienza. Ve n'è un'insigne raccolta nel
    Museo Britannico. Birch dice, nella Vita di Tillotson, che lo
    Arcivescovo Wake[Nell'originale "Wakes"] non potè formare un esatto
    catalogo di tutti gli scritti pubblicati intorno a questa
    controversia.
    
    (699) Il cardinale Howard parlò fortemente a Burnet in Roma intorno
    a ciò. Burnet, I, 662. Vi è anche un curioso tratto, che si
    riferisce a tale subietto, in un dispaccio di Barillon: ma ho
    smarrita la citazione.
    
    Uno de' Cattolici Romani disputanti in questa controversia, cioè il
    gesuita Andrea Patton[Nell'originale "Pulton"], che Oliver, nella
    Biografia della Società di Gesù, giudica uomo d'insigne abilità,
    confessa francamente i propri difetti. "A. P. avendo dimorato per lo
    spazio di anni diciotto fuori della terra natia, non pretende ancora
    di sapere parlare e scrivere perfettamente la lingua inglese." La
    sua ortografia veramente fa pietà. In una lettera scrive wright
    invece di write, woed invece di would. Sfidò Tenison a disputare in
    latino, perchè potessero combattere con armi uguali. In una satira
    di quel tempo, intitolata il Consiglio, si leggono le seguenti
    parole: "Manda Pulton ad essere sferzato alla scuola di Bushy,
    acciocchè, stampando, non più si mostri sciocco." Un altro Cattolico
    Romano, chiamato Guglielmo Clench, scrisse un trattato intorno alla
    Supremazia del Papa, e vi appose una dedica italiana alla Regina. Ad
    esempio del suo stile serva il seguente saggio: "O del sagro marito
    fortunata consorte! O dolce alleviamento d'affari alti! O grato
    ristoro di pensieri noiosi, nel cui petto latteo, lucente specchio
    d'illibata matronal pudicizia, nel cui seno odorato, come in porto
    d'amor si ritira il Giacomo! O beata regia coppia! O felice inserto
    tra l'invincibil leone e le candide aquile!"
    
    Lo stile inglese di Clench è dello stesso conio del suo toscano. A
    modo d'esempio: "Pietro significa una rocca inespugnabile, che può
    evacuare tutte le congiure del divano dell'inferno, e naufragare
    tutti i luridi disegni degl'inveleniti eretici."
    
    Un altro trattato cattolico romano, che ha per titolo La Chiesa
    d'Inghilterra fedelmente descritta, incomincia dicendo: "Il fuoco
    fatuo della Riforma, che è diventato una cometa per molti atti di
    spoliazioni e di rapine, è stato introdotto in Inghilterra,
    purificato delle lordure che aveva contratte fra i laghi delle
    Alpi."]
    
    (700) Barillon, 19-29 luglio 1686.
    
    (701) Att. Parlam., 24 agosto 1560; 15 dicembre 1567.
    
    (702) Att. Parlam., 8 maggio 1685.
    
    (703) Att. Parlam., 31 agosto 1681.
    
    (704) Nell'originale "Misfort". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (705) Burnet, I, 584.
    
    (706) Burnet, I, 652, 653.
    
    (707) Ibid., I, 678.
    
    (708) Ibid., I, 653.
    
    (709) Fountainhall, 28 gennaio 1685-86.
    
    (710) Fountainhall, 11 gennaio 1685-86.
    
    (711) Nell'originale" che che". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (712) Fountainhall, 31 gennaio e 1 febbraio 1685-86; Burnet, I, 678;
    Processi di David Mowbray ed Alessandro Keith, nella Collezione de'
    Processi di Stato: Bonrepaux, 11-21 febbraio.
    
    (713) Nell'originale "Rochester". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (714) Luigi a Barillon, 18-28 febbraio 1686.
    
    (715) Fountainhall, 16 febbraio; Woodrow, libro III, cap. X, sez. 4.
    "Vogliamo" scriveva graziosamente Sua Maestà "che non risparmiate
    nessun mezzo legale di prova, infliggendo anche la tortura ec."
    
    (716) Bonrepaux, 18-28 febbraio 1686.
    
    (717) Nell'origionale "soccesse". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (718) Fountainhall, 11 marzo 1686; Adda, 1-11 marzo.
    
    (719) Questa lettera ha la data del 4 marzo 1686.
    
    (720) Barillon, 19-29 aprile 1686; Burnet, I, 370.
    
    (721) Queste parole si trovano in una lettera di Johnstone di
    Waristoun.
    
    (722) Alcune parole di Barillon meritano d'essere qui riferite.
    Basterebbero esse sole a sciogliere una questione che l'ignoranza e
    lo spirito di parte hanno grandemente resa dubbiosa. "Cette liberté
    accordée aux Non-Conformistes a fait une grande difficulté, et a été
    débattue pendant plusieurs jours. Le Roy d'Angleterre avoit fort
    envie que les Catholiques eussent seuls la liberté de l'exercice de
    leur religion." 19-29 aprile 1686.
    
    (723) Barillon, 19-29 aprile 1686; Citters, 13-23, 20-30 aprile,
    9-19 maggio.
    
    (724) Fountainhall, 6 maggio 1686.
    
    (725) Ibid., 15 giugno 1656.
    
    (726) Citters, 11-21 maggio 1686. Citters scrisse agli Stati, che lo
    sapeva da buona fonte. Ricopio una parte della sua narrazione. È un
    piacevole saggio dello impasticciato dialetto che usavano a que'
    tempi i Diplomatici Olandesi.
    
    "Des Konigs missive, boven en behalven den Hoog Commissaris
    aensprake, aen et parlement afgesonden, gelyck dat altoos
    gebruyckebyck is, waerby Syne Majestayt nu in genere versocht hieft
    de mitigatie der rigoureuse ofte sanglante wetten van het Ryck
    jegens het Pausdom, in het Generale Comitée des Articles (500 men
    het daer naemt) na ordre gestelt en gelesen synde in't voteren, der
    Hertog van Hamilton onder anderen Klaer nyt seyde dat hy daertoe
    nient sonde verstaen, dat hy anders genegen was den konig in allen
    voorval getroou te dienen volgens het dictamen syner conscientie: 't
    gene reden gof aen de Lord Cancellier de Grave Perts te seggen dat
    hei woort conscientie niets en beduyde, en alleen een, individuum
    vagum was, waerop dev Cavalier Locquard dan verder gingh; wit man
    niet verstaen de betyckenis van het woordt conscientie, soo sal ik
    in fortioribus seggen dat wy meynen volgens de fondamentale wetten
    van het ryck."
    
    Nel Villano sfrenato vi è un tratto curioso, al quale, senza il
    riferito dispaccio di Citters, non avrei prestata fede. "Non possono
    sentire a nominare la coscienza. Uno che, rispetto a ciò, conosceva
    bene gli umori del Consiglio, disse ad un gentiluomo che vi andava:
    Vi scongiuro, in qualunque cosa facciate, a non parlar mai di
    coscienza innanzi ai Lordi, perocchè non possono patire nè anche di
    udirne il nome."
    
    (727) Fountainhall, 17 maggio 1686.
    
    (728) Woodrow, III, X, 3.
    
    (729) Citters, 28 maggio-7 giugno, 1-11 giugno, 4-14 giugno 1686;
    Fountainhall, 15 giugno; Luttrell, Diario, 2-16 giugno.
    
    (730) Fountainhall, 21 giugno 1686.
    
    (731) Ibid., 16 settembre 1686.
    
    (732) Fountainhall, 16 settembre; Woodrow, III, X, 3.
    
    (733) Le provvisioni dell'Atto Irlandese di Supremazia, 2 Elis.,
    cap. 1, sono sostanzialmente le stesse dell'Atto Inglese di
    Supremazia, 1 Elis., cap. 1; ma l'Atto Inglese tosto fu trovato
    difettivo: al che fu provveduto con altro alto più vigoroso, 5
    Elis., cap. 1. In Irlanda non si fece mai un somigliante atto
    supplementare. L'arcivescovo King, Stato dell'Irlanda, cap. II, sez.
    9, riferisce che la costruzione usata in quel testo fu messa
    nell'Atto Irlandese di Supremazia. Egli chiama siffatta costruzione
    gesuitica; ma a me non sembra tale.
    
    (734) Anatomia politica dell'Irlanda.
    
    (735) Anatomia politica dell'Irlanda, 1672; Hudibras Irlandese,
    1689; Giovanni Dunton, Relazione dell'Irlanda, 1699.
    
    (736) Clarendon a Rochester, 4 maggio 1686.
    
    (737) Lettera del vescovo Malony al vescovo Tyrrel, 8 marzo 1689.
    
    (738) Statuto 10 e 11 di Carlo II, cap. 16; King, Condizioni de'
    Protestanti d'Irlanda, cap. II, sez. 8.
    
    (739) King, cap. II, sez. 8. Il King Corny di Miss Edgeworth
    appartiene ad una più tarda e più incivilita generazione; ma chi
    abbia studiato quella mirabile pittura, può farsi un'idea di ciò che
    il bisavo di King Corny doveva essere.
    
    (740) King, cap. III, sez. 2.
    
    (741) MS. Sheridan; Prefazione al volume 1 della Hibernia Anglicana,
    1690. Consulte secrete del Partito papista in Irlanda. 1689.
    
    (742) "Eravi libertà di coscienza per connivenza, quantunque non vi
    fosse per legge." King, cap. III, sez. 1.
    
    (743) In una lettera a Giacomo, trovatasi tra le carte del vescovo
    Tyrrel[Nell'originale "Tirrel"], e che ha la data del 14 agosto
    1686, s'incontrano alcune notevoli espressioni: "Pochi o nessuni
    sono i Protestanti in quel paese, i quali non siano collegati coi
    Whig contro il nemico comune." E più sotto: "Coloro che qui (cioè in
    Inghilterra; passavano per Tory, pubblicamente parteggiano pei Whig
    in Irlanda." Swift diceva le medesime cose pochi anni dopo al re
    Guglielmo: "Mi rammento d'aver detto al re, trovandomi in
    Inghilterra, che i più rigorosi Tory che siano tra noi, ivi
    sarebbero Whig moderati." - Lettera intorno alla Prova Sacramentale.
    
    (744) La ricchezza e la negligenza del clero anglicano d'Irlanda
    sono ricordate con fortissime parole dal Lord Luogotenente
    Clarendon, testimone degno di tutta fede.
    
    (745) Clarendon rammenta ciò al re in una lettera in data del 14
    marzo 1685-86, ed aggiunge ch'era cosa verissima.
    
    (746) Clarendon propose caldamente questa misura, ed opinava che il
    Parlamento Irlandese avrebbe fatta la parte sua. Vedi la lettera di
    lui ad Ormond, 28 agosto 1686.
    
    (747) Fu un O'Neill, uomo di grande importanza, colui che disse non
    essere convenevole per lui storcere la bocca a balbettare l'inglese.
    Prefazione al vol. I della Hibernia Anglicana.
    
    (748) Nell'originale "invertere". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (749) Ms. Sheridan, tra le carte degli Stuardi. Debbo confessarmi
    grato alla cortesia con cui il sig. Glover mi ha aiutato a cercare
    quel pregevole manoscritto. Dagli ammonimenti che Giacomo, nel 1692,
    scrisse per suo figlio, pare ch'egli sempre pensasse che la Irlanda
    non si potesse senza pericolo affidare ad un Lord Luogotenente
    Irlandese.
    
    (750) Ms. Sheridan.
    
    (751) Clarendon a Rochester, 17 gennaio 1685-86; Consulte segrete
    del Partito papista in Irlanda, 1690.
    
    (752) Clarendon a Rochester, 27 febbraio 1685-86.
    
    (753) Clarendon a Rochester e a Sunderland, 2 marzo 1685-86; ed a
    Rochester, 14 marzo.
    
    (754) Clarendon a Sunderland, 26 febbraio 1685-86.
    
    (755) Sunderland a Clarendon, 11 marzo 1685-86
    
    (756) Clarendon a Rochester, 14 marzo 1685-86.
    
    (757) Clarendon a Giacomo, 4 marzo 1685-86.
    
    (758) Giacomo a Clarendon, 6 aprile 1685-86.
    
    (759) Sunderland a Clarendon, Clarendon a Sunderland, 6-11 luglio-22
    maggio 1686; Clarendon ad Ormond, 30 maggio.
    
    (760) Clarendon a Rochester e a Sunderland, 1 giugno 1686; a
    Rochester, 12 giugno; King, Condizioni de' Protestanti d'Irlanda,
    cap. II, sez. 6 e 7; Apologia dei Protestanti d'Irlanda, 1689.
    
    (761) Clarendon a Rochester, 15 maggio 1686.
    
    (762) Clarendon a Rochester, 11 maggio 1686.
    
    (763) Ibid., 8 giugno 1686.
    
    (764) Consulte secrete del Partito papista in Irlanda.
    
    (765) Clarendon a Rochester, 26 giugno, e 4 luglio 1686; Apologia
    de' Protestanti d'Irlanda, 1689.
    
    (766) Clarendon a Rochester, 4-22 luglio 1686; a Sunderland, 6
    luglio; al re, 14 agosto.
    
    (767) Clarendon a Rochester, 19 giugno 1686.
    
    (768) Ibid., 22 giugno 1686.
    
    (769) MS. Sheridan; King, Condizioni de' Protestanti d'Irlanda, cap.
    III, sezione 3 e 8. Un notabilissimo saggio della impudente
    mendacità di Tyrconnel trovasi nella lettera di Clarendon a
    Rochester, 22 luglio 1686.
    
    (770) Clarendon a Rochester, 8 giugno 1686.
    
    (771) Nell'originale "calnnnie". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (772) Clarendon a Rochester, 23 settembre e 2 ottobre 1686; Consulte
    secrete del Partito papista in Irlanda, 1690.
    
    (773) Clarendon a Rochester, 6 ottobre 1686.
    
    (774) Clarendon al re, ed a Rochester, 23 ottobre 1686.
    
    (775) Clarendon a Rochester, 29, 30 ottobre 1686.
    
    (776) Ibid, 27 novembre 1686.
    
    (777) Barillon, 13-23 settembre 1686: Clarke, Vita di Giacomo II,
    vol. II, 99.
    
    (778) Ms. Sheridan.
    
    (779) Clarke, Vita di Giacomo II, vol. II, 100.
    
    (780) Barillon, 13-23 settembre 1686; Bonrepaux, 4 giugno 1687.
    
    (781) Nell'originale "cunsumare". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (782) Barillon, 2-12 dicembre 1686; Burnet, I, 684; Clarke, Vita di
    Giacomo II, vol. II, 100; Dodd, Storia della Chiesa. Mi sono
    studiato d'intessere un racconto schietto da cotesti materiali che
    lottano tra loro. Mi par chiaro, dagli stessi scritti di Rochester,
    che in questa occasione egli non si mostrasse così tenace come è
    stato asserito da Burnet, e dal biografo di Giacomo.
    
    (783) Dalle carte di Rochester, in data del dì 3 dicembre 1686.
    
    (784) Dalle carte di Rochester, 4 dicembre 1686.
    
    (785) Barillon, 20-30 dicembre 1686.
    
    (786) Burnet, I, 684.
    
    (787) Bonrepaux, 25 maggio-4 giugno 1687.
    
    (788) Carte di Rochester, 19 dicembre 1686; Barillon, 30 dicembre-9
    gennaio 1686-87; Burnet, I, 685; Clarke, Vita di Giacomo II, II,
    102. Libro del Tesoro, 29 dicembre 1686.
    
    (789) Il Vescovo Malony, in una lettera al vescovo Tyrrel, dice:
    "Nessun Cattolico o qualunque altro Inglese penserà mai, o farà mai
    un passo, o lascerà mai fare al re un passo pel vostro risorgimento;
    ma vi lascerà quali siete stati finora; lascerà i vostri nemici
    pesare sulle vostre teste: nè vi è Inglese, sia cattolico o no, di
    qualsivoglia grado o qualità, che abborrisca di sacrificare tutta la
    Irlanda a fine di salvare il suo più lieve interesse in Inghilterra:
    ei la vedrebbe più volentieri abitata tutta quanta dagli Inglesi di
    qualunque religione, che dagli Irlandesi."
    
    (790) Nell'originale "Tirconnel"
    
    (791) Il migliore racconto di questi fatti trovasi nel Ms. Sheridan.
    
    (792) Ms. Sheridan; Oldmixon, Memorie sopra la Irlanda; King,
    Condizioni dei Protestanti dell'Irlanda, e segnatamente il cap. III;
    Apologia de' Protestanti dell'Irlanda, 1689.
    
    (793) Consulte segrete del Partito papale in Irlanda, 1690.
    
    (794) Nell'originale "Arundel". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (795) Gazzetta di Londra, 6 gennaio e 14 marzo 1686-87; Evelyn,
    Diario, 10 marzo; Etherege, Lettera a Dover, nel Museo Britannico.
    
    (796) "Pare che gli animi sono inaspriti dalla voce che corre per il
    popolo, d'esser cacciato il detto ministro per non essere Cattolico:
    perciò tirarsi all'esterminio de' Protestanti." Adda, 31 dicembre-10
    gennaio 1687.
    
    (797) Nell'originale "Gulgiemo". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (798) Nell'originale "Disseziente". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (799) Nell'originale "s'accrcesce". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (800) Le fonti principali da cui ho ricavata la materia a ritrarre
    il Principe d'Orange, sono la Storia di Burnet, le Memorie di Temple
    e Gourville, le Legazioni de' Conti d'Estrade e d'Avaux, le Lettere
    di Sir Giorgio Downing al Lord Cancelliere Clarendon, la voluminosa
    Storia di Wagenaar, l'opera di Kamper intitolata Karakterkunde der
    Vaderlandsche Geschiedenis[Nell'originale "Geschiendenis"]; e sopra
    tutto lo Epistolario familiare di Guglielmo, del quale carteggio il
    Duca di Portland concesse a Sir Giacomo Mackintosh d'estrarre una
    copia.]
    
    (801) Nell'originale "fisonomia". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (802) Dopo la pace di Ryswick, Guglielmo fu caldamente pregato dagli
    amici suoi a parlare severamente allo ambasciadore francese intorno
    alle trame d'assassinio che i Giacomiti di Saint-Germains meditavano
    sempre. La fredda magnanimità ond'egli accolse tali annunzi di
    pericolo è singolarmente caratteristica. A Bentinck, che da Parigi
    aveva trasmesso avvisi di grande sospetto, Guglielmo rispose in fine
    ad una lunga lettera d'affari queste semplici parole: - "Pour les
    assassins, je ne luy en ay pas voulu parler, croiant que c'étoit au
    dessous de moy;" 2-12 maggio 1698. Citando la riferita lettera, ho
    conservata[Nell'originale "coservata"] la ortografia originale,
    seppure meriti tal nome.
    
    (803) Da Windsor scriveva a Bentinck, allora ambasciatore a Parigi:
    "J'ay pris avant hier un cerf dans la foreste avec les
    chains[Nell'originale "chiains"]du Pr. de Denm., et ay fait un assez
    jolie chasse, autant que ce vilain paiis le permest;" 20 marzo-1
    Aprile 1698. L'ortografia è cattiva, ma non peggiore di quella di
    Napoleone. Guglielmo da Loo scrisse con più buon umore:"Nous avons
    pris deux gros cerfs, le premier dans Dorewaert, qui est des plus
    gros que je sache avoir jamais pris. Il porte seize." 25 ottobre-4
    novembre 1697.
    
    (804) Marzo 1679.
    
    (805) "Voilà en peu de mot le detail de nostre St. Hubert. Et j'ay
    eu soin que M. Woodstoc (era figlio maggiore di Bentinck) n'a point
    esté à la chasse, bien moin au soupèsoupé; quoyqu'il fut icy. Vous
    pouvez pourtant croire que de n'avoir pas chassè l'a un peu
    mortifièmortifié, mais je ne l'ay pas ausé prendre sur moy, puisque
    vous m'aviez dit que vous ne le souhaitiez pas." Da Loo, 4 novembre
    1697.
    
    (806) 15 giugno 1688.
    
    (807) 6 settembre 1679.
    
    (808) Nell'originale "Villerse". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (809) Vedi ciò che di lei scrive Swift, nel Giornale a Stella.
    
    (810) Enrico Sidney, Diario, 31 marzo 1680, nella interessante
    collezione di Blencowe.
    
    (811) Il Presidente Onslow, Annotazione a Burnet, I, 596. Johnson,
    Vita di Spraf.
    
    (812) Niuno ha contraddetto a Burnet con maggior frequenza ed
    asprezza di Dartmouth. Nondimeno Dartmouth scrisse: "Non credo
    ch'egli a disegno abbia mai pubblicato cosa ch'egli credesse falsa."
    Più tardi Dartmouth, provocato da alcune osservazioni che lo
    concernevano nel secondo volume della Storia di Burnet, disdisse la
    riferita lode: il che non merita conto d'occuparsene. Anche Swift
    ebbe la giustizia di dire: "Al postutto, egli era un uomo generoso e
    di buona indole." Brevi osservazioni intorno la Storia del Vescovo
    Burnet.
    
    Suole riprendersi Burnet come storico molto trascurato; ma io reputo
    affatto ingiusto cotale addebito. Ei pare singolarmente trascurato,
    solo perchè la sua narrazione è stata sottoposta ad uno scrutinio
    singolarmente severo ed ostile. Se qualcuno de' Whig avesse
    giudicato valere lo incomodo di sottoporre le Memorie di Reresby, lo
    Esame di North, il Racconto della Rivoluzione fatto da Mulgrave, o
    la Vita di Giacomo II pubblicata da Clarke, ad un simile scrutinio,
    chiaro si vedrebbe che Burnet è ben lungi dall'essere il più
    inesatto scrittore de' suoi tempi.
    
    (813) Nell'originale "Russel".[Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio] 
    
    (814) Nell'originale "Russel".[Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (815) Nell'originale "Montmouth". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (816) Vedi la Narrazione ms. del Dr. Hooper, pubblicata
    nell'Appendice alla Vita di Guglielmo, scritta da Dungannon.
    
    (817) Avaux, Negoziazioni, 10-20 Agosto, 14-24 Settembre-8 Ottobre,
    7-17 dicembre 1682.
    
    (818) Non posso ricusare a me stesso il piacere di citare la
    descrizione che Massillon, con modo ostile, quantunque giudizioso e
    nobile, fa di Guglielmo. "Un prince profond dans ses vues; habile à
    former des ligues et a réunir les esprits; plus heureux à exciter
    les guerres qu'à combattre; plus à craindre encore dans le secret du
    cabinet qu'à lfa tête des armées; un ennemi que la haine du nom
    français avoit rendu capable d'imaginer de grandes choses et de les
    exécuter; un de ces génies qui semblent être[Nell'originale "étre"]
    nés pour mouvoir à leur gré les peuples et les souverains; un grand
    homme, s'il n'avoit jamais voulu être[Nell'originale "étre"] roi."
    Oraison funèbre de M. le Dauphin.]
    
    (819) Nell'originale "rispettto"
    
    (820) Per esempio: "Je crois M. Feversham un très brave et honeste
    homme. Mais je doute s'il a assez d'expérience à diriger une si
    grande affaire qu'il a sur les bras. Dieu lui donne un succès prompt
    et heureux. Mais je ne suis pas hors d'inquiétude." 7-17 luglio
    1685. Inoltre, dopo d'aver ricevuta la nuova della battaglia di
    Sedgemoor, egli scrive: "Dieu soit loué du bon succès que les
    troupes du Roy ont eu contre les rebelles. Je ne doute pas que cette
    affaire ne soit entièrement assoupie, et que le règne du Roy soit
    heureux: ce que Dieu veuille." 10-20 luglio.
    
    (821) Questo trattato trovasi nel Recueil des Traités, IV, N° 209.
    
    (822) Nell'originale "po-potesse". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (823) Burnet, I, 762.
    
    (824) Temple, Memorie.
    
    (825) Vedi le poesie intitolate: I Convertiti, e L'Inganno.
    
    (826) Trovasi nella Collezione delle Poesie Politiche
    
    (827) Le notizie che abbiamo intorno a Wycherley, sono pochissime;
    ma due cose sono certe: cioè, che negli ultimi anni di sua vita egli
    si chiamava papista, e che ricevè danari da Giacomo. Dubito poco la
    sua conversione non gli sia stata pagata.
    
    (828) Vedi lo articolo intorno a lui nella Biographia Britannica.
    
    (829) Vedi ciò che intorno a lui dice Giacomo Quin, nella
    Miscellanea di Davies; Tommaso Brown, Opere; Vite degli Scrocconi;
    Dryden, nell'Epilogo del Secular Masque.
    
    (830) Questo fatto, che sfuggì alle minute ricerche di Malone, si
    raccoglie dal Copia-Lettere del Tesoro 1685.
    
    (831) Nell'originale "degi"
    
    (832) Nell'originale "gentilumini"
    
    (833) Leenwen, 25 dicembre-4 gennaio 1685-86.
    
    (834) Barillon, 31 gennaio-10 febbraio 1686-87: "Je crois que, dans
    le fond, si on ne pouvoit laisser que la Religion Anglicane et la
    Catholique établies par les loix, le Roy d'Angleterre en seroit bien
    plus content."
    
    (835) Trovasi nell'opera di Wodrow, Appendice, vol. II. N° 129.
    
    (836) Wodrow, Appendice, vol. II, N° 128, 129, 132.
    
    (837) Barillon, 28 febbraio-10 marzo 1686-87; Citters, 15-25
    febbraio; Reresby, Memorie; Bonrepaux, 25 maggio-4 giugno 1687.
    
    (838) Barillon, 14-24 marzo 1687[Nell'originale "1587"]; Lady
    Russell al Dottore Fitzwilliam, 1 aprile; Burnet, I, 671, 772.
    Questo colloquio è riferito con qualche differenza da Clarke nella
    Vita di Giacomo, II, 204. Ma quel brano non è parte delle Memorie
    originali del Re.
    
    (839) Gazzetta di Londra, 21 marzo 1686-87.
    
    (840) Gazzetta di Londra, 7 aprile 1687.
    
    (841) Libro del tesoro. Vedi, in ispecie, le istruzioni in data del
    dì 8 marzo 1687-88; Burnet, I, 715; Riflessioni intorno al Proclama
    di sua Maestà sopra la Tolleranza in Iscozia; Lettere contenenti
    alcune riflessioni sopra la Dichiarazione fatta da sua Maestà per la
    Libertà di Coscienza; Apologia della Chiesa Anglicana rispetto allo
    spirito di persecuzione del quale è accusata, 1687-88. Mi riesce
    impossibile citare tutti gli scritti da cui ho tratto i materiali
    per descrivere le condizioni de' partiti a quel tempo.
    
    (842) Lettera ad un Dissenziente.
    
    (843) Wodrow, Appendice, vol. II, N° 132, 134.
    
    (844) Gazzetta di Londra, 21 aprile 1687; Critica d'uno scritto di
    recente pubblicato col titolo: Lettera ad un Dissenziente, per E. C.
    (Enrico Care), 1687.
    
    (845) Lestrange, Risposta alla Lettera ad un Dissenziente; Care,
    Critica della Lettera ad un Dissenziente; Dialogo tra Enrico e
    Ruggiero, cioè tra Enrico Care e Ruggiero Lestrange.
    
    (846) La Lettera era firmata T. W. Care nella sua Critica, dice:
    "Questo Messer Politico T. W., o W. T.; perocchè alcuni critici
    pensano doversi leggere a questo modo."
    
    (847) Ellis, Carteggio, 15 marzo, 27 luglio 1686; Barillon, 28
    febbraio-10 marzo, 3-13 marzo, 6-16 marzo; Ronquillo, 9-19 marzo
    1687, nella collezione di Mackintosh.
    
    (848) Wood, Athenæ Oxonienses; l'Osservatore; Eraclitus Ridens,
    passim. Gli scritti di Care apprestano i migliori argomenti a
    conoscere il suo carattere.
    
    (849) Calamy, Relazione intorno ai Ministri cacciati o fatti tacere
    dopo la Restaurazione, Contea di Northampton; Wood, Athenæ
    Oxonienses; Biographia Britannica.
    
    (850) Processi di Stato; Samuele Rosewell, Vita di Tommaso Rosewell,
    1718; Calamy, Relazione ec.
    
    (851) Gazzetta di Londra, 15 marzo 1685-86; Nichols, Difesa della
    Chiesa Anglicana; Pierce, Difesa dei Dissenzienti.
    
    (852) Questi indirizzi si trovano in vari numeri della Gazzetta di
    Londra.
    
    (853) Calamy, Vita di Baxter.
    
    (854) Calamy, Vita di Howe. La parte che la famiglia Hampden ebbe in
    quella faccenda, si conosce da una lettera di Johnstone a Waristoun,
    in data del 13 giugno 1688.
    
    (855) Nell'originale "Bunyam". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (856) Bunyan[Nell'originale "Bunyam"], La Grazia Abbondante.
    
    (857) Nell'originale "Bunyam". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (858) Nell'originale "Shakspeare". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (859) Young mette al pari la prosa di Bunyan[Nell'originale
    "Bunyam"] con la poesia di Durfey. Le classi elevate, nel Don
    Chisciotte Spirituale, pongono il Viaggio del Pellegrino (Pilgrim's
    Progress) con Jack lo Ammazza-giganti. Sul declinare del secolo
    decimottavo, Cooper appena si rischiò ad alludere al grande
    allegorista, dicendo: "Io non ti nomino, perocchè un nome così
    spregiato potrebbe muovere l'altrui scherno contro la fama che ben
    meriti."
    
    (860) Nell'originale "Bunyam". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (861) Vedi la Continuazione della Vita di Bunyan[Nell'originale
    "Bunyam"], aggiunta alla sua Grazia Abbondante.
    
    (862) Nell'originale "Bunyam". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (863) Kiffin, Memorie; Luson, Lettera a Brooke, 11 maggio 1773, nel
    Carteggio di Hugues.
    
    (864) Vedi, fra tutti gli altri libercoli di quei tempi, uno scritto
    col titolo di Esposizione de' Pericoli imminenti ai Protestanti.
    
    (865) Burnet, I. 693, 694.
    
    (866) "Le prince d'Orange, qui avoit éludé jusqu'alors de faire une
    réponse positive, dit..... qu'il ne consentira jamais à la
    suppression de ces loix qui avoient été établies pour le maintien et
    la sûreté surete de la Religion protestante; et que sa conscience ne
    le lui permettoit point, non seulement pour la succession du royaume
    d'Angleterre, mais même pour l'empire du monde: en sorte que le Roi
    d'Angleterre est plus aigri contre lui qu'il n'a jamais été." -
    Bonrepaux, 11-21 giugno 1687.
    
    (867) Burnet, I, 710; Bonrepaux, 24 maggio-4 giugno 1687.
    
    (868) Nell'originale "spece". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (869) Johnstone, 13 gennaio 1689; Halifax, Anatomia d'un
    Equivalente.
    
    (870) Nell'originale "avrebe". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (871) Burnet, I, 726-731; Risposta alle Lettere d'Accusa emanate
    contro il Dott. Burnet; Avaux, Negoziazioni, 7-17, 14-24 luglio, 28
    luglio-7 Agosto 1687, 19-29 gennaio 1688; Luigi a Barillon, 30
    dicembre-9 gennaio 1687-88; Johnstone di Waristoun, 21 febbraio
    1688; Lady Russell al Dott. Fitzwilliam, 5 ottobre 1687. Poichè
    taluni hanno sospettato che Burnet, il quale certo non aveva costume
    di far poco valere la propria importanza, esagerasse il pericolo al
    quale trovavasi esposto, riferirò le parole di Luigi e quelle di
    Johnstone: "Qui que ce soit, dice Luigi, qui entreprenne de
    l'enlever en Hollande trouvera non seulement une retraite assurée et
    une entière protection dans mes états, mais aussi toute l'assistance
    qu'il pourra désirer pour faire conduire sûrement ce scélérat en
    Angleterre." - "La faccenda di Bamfield (Burnet) è certamente vera,
    dice Johnstone. Nessuno ne dubita qui, e alcuni che vi sono
    mescolati non la negano. I suoi amici dicono di sapere ch'egli si dà
    poco pensiero di sè, ma mosso da vanità, a fine di mostrare il suo
    coraggio, mostra la sua follia; di guisa che, se male gl'incorra, la
    gente ne farà le risate. Vi prego, ditegli queste cose da parte di
    Jones (Johnstone). Se si potesse metter le mani addosso a qualcuno
    nell'atto di fare il coup d'essai, servirebbe ad atterrire gli altri
    perchè non attentino ad Ogle (al Principe)."
    
    (872) Burnet, I, 708; Avaux, Negoziazioni, 3-13 gennaio, 6-16
    febbraio 1687; Van Kampen, Karakterkunde ec.
    
    (873) Burnet, I, 711. I dispacci di Dykvelt agli Stati Generali non
    contengono, per quanto io abbia veduto o possa sapere, una sola
    parola allusiva al vero scopo della sua legazione. Il suo carteggio
    col Principe di Orange era strettamente privato.
    
    (874) Bonrepaux, 12-22 settembre 1687.
    
    (875) Vedi la Vita che ne scrisse Campbell.
    
    (876) Johnstone, Carteggio; Mackay, Memorie; Arbuthnot, John Bull.
    Vedi anche gli scritti di Swift, passim, dal 1710 al 1714; Whiston,
    Lettera al Conte di Nottingham, e la risposta del Conte.
    
    (877) Nell'originale "Povis"
    
    (878) Kennet, Orazione funebre del Duca di Devonshire, e Memorie
    della famiglia di Cavendish; Processi di Stato; Libro del Consiglio
    Privato, 5 marzo 1685-86; Barillon 30 giugno-10 luglio 1687;
    Johnstone, 8-18 dicembre 1687; Giornali de' Lordi, 6 maggio 1689.
    "Ses amis et ses proches, dice Barillon, lui conseillent de prendre
    le bon parti, mais il persiste jusqu'à prèsent à ne se point
    soumettre. S'il vouloit se bien conduire et renoncer a être
    populaire, il ne payeroit pas l'amende; mais s'il s'opiniâtre, il
    lui en coûtera trente mille pièces, et il demeurera prisonnier
    jusqu'à l'actuel payement."
    
    (879) La ragione della condotta di Churchill trovasi con chiarezza e
    brevità dimostrata nella Difesa della Duchessa di Marlborough: "Era
    manifesto a tutto il mondo, che nel modo onde Re Giacomo conduceva
    le cose, ciascuno, o presto o tardi, sarebbe stato rovinato
    ricusando di farsi Cattolico Romano. Ciò mi indusse a plaudire al
    Principe d'Orange, che imprese a liberarci da tanto servaggio."
    
    (880) Grammont, Memorie; Pepys, 21 febbraio 1684-85.
    
    (881) Sarebbe infinito enumerare tutti i libri dai quali ho tratto
    le materie a giudicare il carattere della Duchessa. Le lettere sue,
    la difesa, le risposte che provocò, sono state le mie fonti
    precipue.
    
    (882) La epistola formale che Dykvelt recò agli Stati, trovasi negli
    Archivi dell'Aja. Le altre lettere sopra rammentate sono state
    pubblicate da Dalrymple, Appendice al Libro V.
    
    (883) Nell'originale "Dikvelt". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (884) Sunderland a Guglielmo, 24 agosto 1686; Guglielmo a
    Sunderland, 2-12 settembre 1686; Barillon, 6-16 maggio, 26 maggio-5
    giugno, 3-13 ottobre, 28 novembre-8 dicembre 1687; Luigi a Barillon,
    14-24 ottobre 1687; Memoriale d'Albeville, 15-25 dicembre 1687;
    Giacomo a Guglielmo, 17 gennaio, 16 febbraio, 2, 13 marzo 1688;
    Avaux, Negoz., 1-11, 6-16, 8-18 marzo, 22 marzo-1 aprile 1688.
    
    (885) Nell'originale "goveno". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (886) Adda, 9-19 novembre 1686.
    
    (887) Il Professore di lingua greca nel Collegio di Propaganda
    espresse la sua ammirazione in certi detestabili distici, de' quali
    ecco un esempio:
    
    Rôgheriou dê skepsomenos lamproio thriambon,
    
    ôka mal'êissen kai theen ochlos apas.
    
    Thaumazousa de tên pompên pagchrusea t'autou
    
    armata, tous d'ippous, toiade Rhômê efê....]
    
    I versi latini sono poco migliori.
    
    Nahum Tate rispose in inglese:
    
    His glorious train and passing pomp to view,
    
    A pomp that even to Rome itself was new,
    
    Each age, each sex, the latian turrets filled,
    
    Each age and sex in tears of joy distilled
    
    (888) Nell'originale "applaosi". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (889) Carteggio di Giacomo e d'Innocenzo nel Museo Britannico;
    Burnet, I, 703-705; Welwood Memorie; Giornali de' Comuni, 28 ottobre
    1689; Relazione delta legazione di Sua Eccellenza Ruggiero Conte di
    Castelmaine per Michele Wright, maestro di casa di Sua Eccellenza in
    Roma, 1685.
    
    (890) Barillon, 2-12 maggio 1687.
    
    (891) Memorie del Duca di Somerset; Citters, 5-15 luglio 1687;
    Eachard, Storia della Rivoluzione; Clarke, Vita di Giacomo II, ii,
    116, 117, 118; Lord Lonsdale, Memorie.
    
    (892) Gazzetta di Londra, 7 luglio 1687; Citters, 7-17 luglio; Vedi
    la Relazione della Ceremonia stampata fra gli scritti di Somers.
    
    (893) Gazzetta di Londra, 4 luglio 1687.
    
    (894) Vedi gli Statuti 18 Enr. 6, c. 19; 2 e 3, Ed. 6, c. 2;
    Eachard, Storia della Rivoluzione; Kennet, III, 468; North, Vita di
    Guildford, 247; Gazzetta di Londra, 18 aprile; 23 maggio 1687;
    Difesa del C. di R. (Conte di Rochester[Nell'originale Rocester])
    
    (895) I Prologhi di Dryden e le Memorie di Cibber contengono
    abbondevoli prove della stima che i più grandi poeti ed attori
    facevano del gusto degli Oxfordiani.
    
    (896) Vedi la poesia intitolata: Consiglio al Pittore intorno la
    Sconfitta de' ribelli nelle Contrade Occidentali. Vedi anche
    un'altra poesia detestabilissima sul medesimo subietto, dettata da
    Stepney, che allora era studente nel Collegio della Trinità.
    
    (897) Nell'originale "giurase". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (898) Vedi il carattere di Sheffield come lo descrive Mackay, e la
    nota di Swift; la Satira sopra i Deponenti, 1688; Vita di Giovanni
    Duca della Contea di Buckingham, 1729; Barillon, 30 agosto 1687.
    Serbo una satira manoscritta contro Mulgrave con la data del 1690.
    Non è priva di spirito; i più notevoli versi dicono così:
    
    "Pietro (Petre) oggi e Burnet domani, egli (Mulgrave) lusinga i
    farabutti di tutti i partiti e di tutte le religioni."
    
    (899) Vedi il processo contro la Università di Cambridge nella
    Collezione dei Processi di Stato.
    
    (900) Nell'originale "subuglio". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (901) Wood, Athenæ Oxonienses; Apologia della vita di Colley Cibber;
    Citters, 2-12 marzo 1686.
    
    (902) Burnet, I, 697; Lettera di Lord Ailesbury, pubblicata nel
    Magazzino Europeo, aprile 1795.
    
    (903) Wood, Athenæ Oxonienses; Walker, Patimenti del Clero.
    
    (904) Burnet, I, 697; Tanner, Notitia Monastica. Dalla visita o
    ispezione fatta nel ventesimosesto anno di Enrico VIII risultò che
    l'annua rendita del Collegio del Re era lire sterline 751, del
    Collegio Nuovo 487, e di quello della Maddalena 1076.
    
    (905) Relazione del Processo del Charterhouse, 1689.
    
    (906) Vedi la Gazzetta di Londra, dal 18 agosto fino al 1° settembre
    1687; Barillon, 19-29 settembre.
    
    (907) "Penn chef des Quakers, qu'on sait être dans les intérêts du
    Roi d'Angleterre, est si fort décrié parmi ceux de son parti, qu'ils
    n'ont plus aucune confiance en lui." Bonrepaux a Seignelay, 12-22
    settembre 1687. A queste parole risponde la testimonianza di
    Gherardo Croese: Etiam Quakeri Pennum non amplius, ut ante, ita
    amabant ac magnifaciebant, quidam aversabantur ac fugiebant."
    Historia Quakeriana, lib. II, 1695.
    
    (908) Cartwright, Diario, 30 agosto 1687. Clarkson, Vita di
    Guglielmo[Nell'originale "Gugliemo"] Penn.
    
    (909) Gazzetta di Londra, 5 settembre; Ms. Sheridan; Barillon, 6-16
    settembre
    
    1687. "Le Roi son maître, dice Barillon, a témoigné une grande
    satisfaction
    
    des mesures qu'il a prises, et a autorisé ce qu'il a fait en faveur
    des Catholiques.
    
    Il les établit dans les emplois et les charges, en sorte que
    l'autorité
    
    se trouvera bientôt entre leurs mains. Il reste encore beaucoup de
    choses à faire
    
    en ce pays-là pour retirer les biens injustement ôtés aux
    Catholiques; mais
    
    cela ne peut s'exécuter qu'avec le temps et dans l'assemblée d'un
    parlement en
    
    Irlande."
    
    (910) Gazzetta di Londra, 5 e 8 settembre 1687.
    
    (911) Nell'originale "diriti". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (912) Nell'originale "Commisari". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (913) Nell'originale "profiitto". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (914) Vedi il Processo contro il Collegio della Maddalena in Oxford,
    per non avere eletto Antonio Farmer a Presidente del detto Collegio,
    nella Collezione dei Processi di Stato, edizione di Howell;
    Luttrell, Diario, 15, 17, giugno, 24 ottobre, 10 dicembre 1687;
    Smith, Narrazione; Lettera del dott. Riccardo Rawlinson in data del
    31 ottobre 1687; Reresby, Memorie; Burnet, I, 699; Cartwright,
    Diario; Citters, 23 ottobre-4 novembre, 28 ottobre-7 novembre, 8-18
    novembre 1687.
    
    (915) "Quand on connoit le dedans de cette cour aussi intimement que
    je la connois, on peut croire que sa Majesté Britannique donnera
    volontiers dans ces sortes de projets." Bonrepaux a Seignelay, 18-28
    marzo 1686.
    
    (916) "Que, quand pour établir la religion catholique, et pour la
    confirmer icy, il (Giacomo) devroit se rendre en quelque façon
    dépendant de la France, et mettre la décision de la succession à la
    couronne entre les mains de ce monarque là, qu'il seroit obligé de
    le faire, parce qu'il vaudroit mieux pour ses sujets qu'ils
    devinssent vassaux du Roy de France, étant catholique, que de
    demeurer comme esclaves du Diable." Questo documento esiste e negli
    Archivi di Francia e in quelli d'Olanda.
    
    (917) Citters, 6-16, 17-27 agosto 1686; Barillon, 19-29 agosto.
    
    (918) Barillon, 13-23 settembre 1686. "La succession est une matière
    fort délicatedélicate à traiter. Je sais pourtant qu'on en parle au
    Roy d'Angleterre, et qu'on ne désespère pas avec le temps de trouver
    des moyens pour faire passer la couronne sur la tête d'un héritier
    catholique."
    
    (919) Bonrepaux, 11-21 luglio 1687.
    
    (920) Bonrepaux a Seignelay, 25 agosto-4 settembre 1687. Riferirò
    poche parole di questo notevolissimo documento: "Je sais bien
    certainement que l'intention du Roy d'Angleterre est de faire perdre
    ce royaume (la Irlanda) à son successeur, et de le fortifier en
    sorte que tous ses sujets catholiques y puissent avoir un asyle
    assuré. Son projet est de mettre les choses en cet estat dans le
    cours de cinq années." Nelle Consulte Secrete del Partito Papale in
    Irlanda, stampate nel 1690, è un luogo che mostra come siffatte
    pratiche non fossero tenute strettamente secrete. "Quantunque il Re
    tenesse questo disegno celato alla più parte de' suoi Consiglieri,
    nondimeno è certo ch'egli aveva promesso al Re di Francia la facoltà
    di disporre di quel governo e di quel Regno quando le cose fossero
    apparecchiate in modo da potere far ciò impunemente."
    
    (921) Citters, 28 ottobre-7 novembre, 22 novembre-2 dicembre 1687;
    la Principessa Anna alla Principessa d'Orange, 14 e 20 marzo
    1687-88; Barillon, 1-11 dicembre 1687; Politica della Rivoluzione;
    la Canzone intitolata: Two Toms and a Nat; Johnstone, 4 aprile 1688;
    Consulte secrete del partito Papale in Irlanda, 1690.
    
    (922) Le inquietudini del Re intorno a questo negozio sono riferite
    da Ronquillo, 12-22 dicembre 1687: "Un Principe de Vales y un Duque
    de York y otro de Lochaosterna (credo voglia dire Lancastro) no
    bastan a redimir la gente; porque el Rey tiene 54 annos, y vendráà
    aà morir, dejando los hijos pequeños, y que entonces el reyno se
    apoderaráà dellos, y les nambraráà tutor, y los educaráà en la
    religion protestante, contra la disposicion que dejare el Rey, y la
    autoritad de la Reyna."
    
    (923) Esistono tre liste di quel tempo; una negli Archivi francesi
    due altre in quelli della famiglia Portland. In tali liste i Pari
    sono classificati con le seguenti categorie: Per l'abrogazione
    dell'Atto di Prova. - Contro l'abrogazione - Dubbi. Secondo una
    delle predette liste 31 sono pro, 86 contra, 20 dubbi; secondo
    l'altra 33 pro, 87 contra, 19 dubbi; secondo la terza 35 pro, 92
    contra, e 10 dubbi. Di questi documenti trovansi le copie nei Mss.
    Mackintosh.
    
    (924) Nel Museo Britannico esiste una lettera di Dryden ad Etherege
    in data di febbraio 1688. Non mi ricordo d'averla veduta mai
    stampata "Voglia il cielo, dice Dryden, che il nostro sovrano
    promuova con lo esempio gli ozi beati, siccome fece il suo fratello
    di benedetta memoria: imperocchè il cuore mi dice ch'egli non
    vantaggerà punto le sue faccende col darsi moto."
    
    (925) Barillon, 20 agosto-8 settembre 1687.
    
    (926) Lo riferì Lord Bradford, che vi si trovava presente, a
    Dartmouth; Annotazione a Burnet, I, 755.
    
    (927) Gazzetta di Londra, 12 dicembre 1687.
    
    (928) Bonrepaux a Seignelay, 14-24 novembre; Citters, 15-25
    novembre; Giornali dei Lordi, 10 dicembre 1689.
    
    (929) Citters, 28 ottobre-7 novembre 1687.
    
    (930) Nell'originale "Poictiers". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (931) Nell'originale "Maestricht"
    
    (932) Halstead, Breve Genealogia della Famiglia De Vere, 1685;
    Collins, Collezioni storiche. Vedi ne' Giornali de' Lordi, e nelle
    Relazioni di Jones i processi rispetto alla Contea di Oxford, marzo
    e aprile 1625-26. Lo esordio del discorso del Lord Capo Giudice Crew
    si annovera fra i più squisiti esempi dell'antica eloquenza inglese.
    Citters, 7-17 febbraio 1688.
    
    (933) Coxe, Carteggio di Shrewsbury; Mackay, Memorie; Vita di Carlo
    Duca di Shrewsbury, 1718; Burnet, I, 762; Birch, Vita di Tillotson,
    dove il lettore troverà una lettera di Tillotson a Shrewsbury, la
    quale mi sembra esempio di grave, amichevole e cortesissimo
    rimprovero.
    
    (934) Norina chiamava Re Carlo il suo Carlo III. Si disputa se
    Dorset o il Maggiore Hart fosse per lei il Carlo I. Ma a me sembra
    che in favore di Dorset siano maggiori le testimonianze. Vedi il
    passo soppresso di Burnet, I, 263, e Pepys, Diario, 26 ottobre 1667.
    
    (935) Nell'originale "buon tempone". [Nota per l'edizione
    elettronica Manuzio]
    
    (936) Pepys, Diario; la dedica delle poesie di Prior al Duca di
    Dorset; Johnson, Vita di Dorset; Dryden, Saggio sopra la Satira, e
    la dedica del Saggio sopra la Poesia Drammatica. Lo affetto che
    Dorset sentiva per la sua moglie e la rigorosa fedeltà che le serbò,
    sono sprezzantemente rammentate dal dissoluto Sir Giorgio Etherege
    nelle sue lettere da Ratisbona, 9-19 dicembre 1687, e 16-26 gennaio
    1688; Shadwell, dedica dello Scudiero d'Alsazia; Burnet, I, 264;
    Mackay, Caratteri. Alcune delle specialità di Dorset sono ben
    descritte nello epitaffio che di lui scrisse Pope: "Dolce era la sua
    indole, quantunque fosse severo il suo canto." E appresso:
    "Benedetto cortigiano, il quale potè rendersi gradito al Re ed al
    paese, e nondimeno tener sacre le sue amicizie e le sue agiatezze."
    
    (937) Barillon, 9-19 gennaio 1688; Citters, 31 gennaio-10 febbraio.
    
    (938) Adda, 3-13, 10-20 febbraio 1688.
    
    (939) Barillon, 5-15, 8-18, 12-22 dicembre 1687; Citters, 29
    novembre-9 dicembre, 2-12 dicembre.
    
    (940) Citters, 28 ottobre-7 novembre 1687; Lonsdale, Memorie.
    
    (941) Citters, 22 novembre-2 dicembre 1687.
    
    (942) Ibid., 27 dicembre-6 gennaio 1687-88.
    
    (943) Ibid.
    
    (944) Johnstone nota due volte la collera di Rochester in questa
    occasione, 25 novembre, e 8 dicembre 1687. Della sua poca riuscita
    fa menzione Citters, 6-16 dicembre.
    
    (945) Citters, 6-16 dicembre 1687.
    
    (946) Ibid., 20-30 dicembre 1687.
    
    (947) Ibid., 30 marzo-9 aprile 1687.
    
    (948) Ibid., 22 novembre-2 dicembre 1687.
    
    (949) Citters, 15-25 novembre 1687.
    
    (950) Nell'originale "Westmorland". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (951) Citters, 10-20 aprile 1688.
    
    (952) De' timori che si avevano intorno alla Contea di Lancastro
    parla Citters in un dispaccio in data del 18-28 novembre 1687; e del
    risultato in un dispaccio scritto quattro giorni dopo.
    
    (953) Bonrepaux, 11-21 luglio 1687.
    
    (954) Nell'originale "Porthsmouth". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (955) Citters, 3-13 febbraio 1688.
    
    (956) Citters, 5-15 aprile 1688.
    
    (957) Gazzetta di Londra, 5 dicembre 1687; Citters, 6-16 dicembre.
    
    (958) Nell'originale "Coleman". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (959) Nell'originale "Langorne". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (960) Circa venti anni innanzi questa epoca un Gesuita aveva notato
    la vita ritirata che menavano in Inghilterra i gentiluomini delle
    campagne. "La nobiltà inglese, se non se legata in servigio di
    Corte, o in opera di maestrato, vive, e gode il più dell'anno alla
    campagna, ne' suoi palagi e poderi, dove son liberi e padroni; e ciò
    tanto più sollecitamente i Cattolici, quanto più utilmente, sì come
    meno osservati colà." L'Inghilterra descritta dal P. Daniello
    Bartoli, Roma 1667.
    
    "Molti degli Sceriffi papisti, scriveva Johnstone, hanno possessioni
    e dichiarano che chiunque s'aspetti ch'essi falsino le elezioni, si
    troverà ingannato.[Ho eliminato le" dopo consultazione del testo
    inglese] I gentiluomini papisti che vivono nelle loro case di
    campagna sono molto diversi da coloro che abitano qui in città.
    Parecchi di loro hanno ricusata la nomina di Sceriffi e Luogotenenti
    Deputati." 8 dicembre 1687.
    
    Ronquillo dice le stesse cose: Algunos Catolicos que fueron
    nombrados por sherifez se han excusado." 9-19 gennaio 1688. Alcuni
    mesi dopo scrisse alla sua Corte che i gentiluomini cattolici delle
    campagne avrebbero acconsentito a un accomodamento le cui condizioni
    sarebbero state l'abolizione delle leggi penali, e la conservazione
    dell'Atto di Prova. "Estoy informado, dice egli que los Catolicos de
    las provincias no lo repruebon; pues non pretendiendo oficios, y
    siendo solo algunos de la Corte los provechosos, les parece que
    mejoran su estado, quedando seguros ellos y sus descendientes en la
    religion, en la quietad, y en la securitad de sus haciendas." 23
    luglio-2 agosto 1688.
    
    (961) Nell'originale "Diachazione". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (962) Libro del Consiglio Privato, 25 settembre 1687; 21 febbraio
    1687-88.
    
    (963) Ricordi del Corpo Municipale, citati da Brand nella Storia di
    Newcastle; Johnstone, 21 febbraio 1687-88.
    
    (964) Johnstone, 21 febbraio 1687-88.
    
    (965) Citters, 14-24 febbraio 1687-88.
    
    (966) Ibid. 1-11 maggio 1688.
    
    (967) Nel margine del libro del Consiglio Privato sono notate le
    parole "Seconda Regolazione, e Terza Regolazione" sempre che un
    Corpo Municipale era stato[Nell'originale "tato"] riformato più
    volte.
    
    (968) Johnstone, 23 maggio 1688.
    
    (969) Ibid., 21 febbraio 1688.
    
    (970) Nell'originale "siffato". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (971) Johnstone, 21 febbraio 1688.
    
    (972) Citters, 20-30 marzo 1688.
    
    (973) Ibid., 1-11 maggio 1688.
    
    (974) Citters, 22 maggio-1 giugno 1688.
    
    (975) Ibid., 1-11 maggio 1688.
    
    (976) Ibid., 18-28 maggio 1688.
    
    (977) Citters, 6-16 aprile 1688; Copialettere del Tesoro, 24 marzo
    1687-88; Ronquillo, 16-26 aprile.
    
    (978) Citters, 18-28 maggio 1688.
    
    (979) Nell'originale "renza". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (980) Citters, 18-28 maggio 1688.
    
    (981) Gazzetta di Londra, 1688. Vedi processo contro Williams nella
    Collezione dei Processi di Stato. "Ha hecho, dice Ronquillo, grande
    susto el haber nombrado el abogado Williams que fue el orador y el
    mas arrabiado de toda la casa de los comunes en los ultimos
    terribles parlamentos del Rey difunto." 27 novembre-7 dicembre 1687.
    
    (982) Gazzetta di Londra, 30 aprile 1688; Barillon, 26 aprile-6
    maggio.
    
    (983) Citters, 1-11 maggio 1688.
    
    (984) Gazzetta di Londra, 7 maggio 1688.
    
    (985) Johnstone, 27 maggio 1688.
    
    (986) Io sospetto che Alessandro Knox, uomo insigne, del quale lo
    eloquente conversare e le elaborate lettere ebbero grande influenza
    sulle menti de' suoi coetanei, imparasse gran parte del suo sistema
    teologico negli scritti di Fowler. Il libro di Fowler intorno allo
    Intendimento del Cristianesimo fu assalito da Giovanni Bunyam con
    ferocia da non potersi giustificare, ma che può alquanto essere
    scusata dalla nascita e dalla educazione dell'onesto calderaio.
    
    (987) Johnstone, 23 maggio 1688. Vi è una poesia satirica su questa
    ragunanza, ed ha titolo La Cabala Clericale.
    
    (988) Clarendon, Diario, 22 maggio 1688.
    
    (989) Estratti dal Ms. Tanner ne' Processi di Stato di Howell; Vita
    di Prideaux; Clarendon, Diario, 16 maggio 1688.
    
    (990) Clarendon, Diario, 16 e 17 maggio 1688.
    
    (991) Nell'originale "Vhitehall". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (992) Sancroft, Relazione del fatto, tratta dal Ms. di Tanner.
    Citters, 22 maggio-1 giugno 1688.
    
    (993) Burnet, I, 741; Politica della Rivoluzione.
    
    (994) Clarke, Vita di Giacomo II, ii, 155.
    
    (995) Citters, 22 maggio-1 giugno 1688; Burnet, I, 740; e
    l'annotazione di Lord Dartmouth; Southey, Vita di Wesley.
    
    (996) Citters, 22 maggio-1 giugno 1688.
    
    (997) Nell'originale "invece". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (998) Citters, 29 maggio-8 giugno 1688.
    
    (999) Citters, 29 maggio-8 giugno 1688[Nell'originale "1588"].
    
    (1000) Barillon, 24 maggio-3 giugno, 31 maggio-10 giugno 1688;
    Citters, 1-11 luglio; Adda, 25 maggio-4 giugno, 30 maggio-9 giugno,
    1-11 giugno; Clarke, Vita di Giacomo II, ii, 158.
    
    (1001) Burnet, I, 740; Vita di Prideaux; Citters, 12-22, 15-25
    giugno 1688, MS. Tanner; Vita e Carteggio di Pepys.
    
    (1002) Vedi la Relazione di Sancroft, stampata, e tratta dal MS.
    Tanner.
    
    (1003) aggiunto "che" rispetto all'originale. [Nota per l'edizione
    elettronica Manuzio]
    
    (1004) Burnet, I, 741; Citters, 8-18, 12-22 giugno 1688; Luttrell,
    Diario, 8 giugno; Evelyn, Diario; Lettera del dottore Nalson a sua
    moglie, in data del 14 giugno, e tratta dal MS. Tanner; Reresby,
    Memorie.
    
    (1005) Reresby, Memorie.
    
    (1006) Carteggio tra Anna e Maria in Darlymple; Clarendon, Diario,
    31 ottobre 1688.
    
    (1007) Ciò chiaro si deduce dal Diario di Clarendon, 31 ottobre
    1688.
    
    (1008) Clarke, Vita di Giacomo II, ii, 159, 160.
    
    (1009) Clarendon, Diario, 10 giugno 1688.
    
    (1010) Johnstone in poche parole narra squisitamente il caso:
    "Generalmente il popolo crede che tutto sia un inganno; perocchè
    dicono: i calcoli sono cangiati, la principessa allontanata, la
    famiglia Clarendon e lo Ambasciatore Olandese non invitati, la
    instantaneità della cosa, le prediche, le assicurazioni de' preti,
    la furia." 13 giugno 1688.
    
    (1011) Ronquillo, 26 luglio-5 agosto. Ronquillo aggiunge che le cose
    dette da Zulestein circa la pubblica opinione in Inghilterra, erano
    esattamente vere.
    
    (1012) Citters, 12-22 giugno 1688; Luttrell, Diario, 18 giugno.
    
    (1013) Per le cose eseguite in questo giorno vedi i Processi di
    Stato; Clarendon, Diario; Luttrell, Diario; Citters, 15-25 giugno;
    Johnstone, 19 giugno; Politica della Rivoluzione.
    
    (1014) Johnstone, 18 giugno 1688; Evelyn, Diario, 29 giugno.
    
    (1015) Ms. Tanner.
    
    (1016) Questo fatto mi fu comunicato cortesissimamente dal Reverendo
    R. S. Hawker di Morwenstow in Cornwall.
    
    (1017) Johnstone, 18 giugno 1688.
    
    (1018) Adda, 29 giugno-9 luglio 1688.
    
    (1019) Non è da fidarsi - già s'intende - in ciò che lo stesso
    Sunderland racconta. Ma egli chiama in testimonio Godolphin di ciò
    che seguì rispetto all'Atto di Stabilimento in Irlanda.
    
    (1020) Barillon, 24 giugno-1 luglio 1688; Adda, 29 giugno-9 luglio;
    Citters, 26 giugno-6 luglio; Johnstone, 2 luglio 1688; I Convertiti,
    poesia.
    
    (1021) Clarendon, Diario, 21 giugno 1688.
    
    (1022) Citters, 26 giugno-6 luglio 1688.
    
    (1023) Johnstone, 2 luglio 1688.
    
    (1024) Johnstone, 2 luglio 1688[Nell'originale "1588"].
    
    (1025) Johnstone, 2 luglio 1688. Lo editore delle relazioni di
    Levinz grandemente si maraviglia che, dopo la Rivoluzione, Levinz
    non fosse rimesso nel suo ufficio. I fatti narrati da Johnstone
    varranno forse a spiegare questa apparente ingiustizia.
    
    (1026) Lo deduco da una lettera di Compton a Sancroft, in data del
    12 giugno.
    
    (1027) Politica della Rivoluzione.
    
    (1028) Nell'originale "Middlessex". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (1029) Nell'originale "frantendere". [Nota per l'edizione
    elettronica Manuzio]
    
    (1030) Sono le precise parole d'un testimone oculare, e trovansi in
    una lettera nella Collezione di Mackintosh.
    
    (1031) Nell'originale "Middlessex". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (1032) Vedi il processo nella Collezione dei Processi di Stato. Ho
    tratto alcuni particolari da Johnstone ed alcuni altri da Van
    Citters.
    
    (1033) Johnstone, 2 luglio 1688; Lettera del signor Ince allo
    Arcivescovo, in data delle ore sei antimeridiane; Ms. Tanner;
    Politica della Rivoluzione.
    
    (1034) Johnstone, 2 luglio 1688.
    
    (1035) Processi di Stato; Oldmixon, 739; Clarendon, Diario, 25
    giugno 1688; Johnstone, 2 luglio; Citters, 3-13 luglio; Adda, 6-16
    luglio; Luttrell, Diario; Barillon, 2-12 luglio.
    
    (1036) Citters 3-13 luglio. La gravità con cui egli racconta il
    fatto produce un effetto comico: "Den Bisschop van Chester, wie seer
    de partie van het hof houdt, om te voldoen aan syne gewoone
    nieusgierigheit, hem op dien tyt in Westminster Hall mede hebbende
    laten vinden, in het uitgaan doorgaans was nitgekreten voor een
    grypende wolf in schaaps kleederen; en hy synde een heer van hooge
    stature en vollyvig, spotsgewyse alomme geroepen was dat men woor
    hem plaats moeste maken, om te laten passen, gelyck ook geschiede,
    om dat soo sy uitschreouwden en hem in het aansigt seyden, hy deh
    Paas in syn buych hadde."
    
    (1037) Luttrell; Citters, 3-13 luglio 1688. "Soo syn integendeet
    gedagtejurys met de uyterste acclamatie en alle teyckenen van
    genegenheyt in danckbaarbeyt in het door passeren van de gemeente
    ontvangen. Honderden vielen haar om den hals met alle bedenckelycke
    wewensch van segen en geluck over hare persoonen on familien, om dat
    sy haar so husch en eerlyck buyten verwagtinge als het ware in desen
    gedragen hadden. Veele van de grouten en cleynen adel wierpen in het
    wegryden handen vol gelt onder de armen luyden om op de gesontheyt
    van den Coning, der Heeren Prelaten, en de Jurys te drincken."
    
    (1038) "Mi trovava con Milord Sunderland la stessa mattina, quando
    venne l'Avvocato Generale a rendergli conto del successo, e disse
    che mai più a memoria d'uomini si era sentito un applauso, mescolato
    di voci e lacrime di giubilo, eguale a quello che veniva egli di
    vedere in quest'occasione." Adda, 6-16 luglio 1688".
    
    (1039) Burnet, I, 74; Citters, 3-13 luglio 1688.
    
    (1040) Vedi una assai curiosa Relazione, pubblicata nel 1710 fra
    altre scritture da Danby, allora Duca di Leeds. Un piacevole
    racconto di cotesta cerimonia trovasi nello Esame di North, 570.
    Vedi anche l'annotazione allo Epilogo dell'Edipo nelle Opere di
    Dryden, edizione di Gualtiero Scott.
    
    (1041) Nell'originale "Middlessex". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    
    
    (1042) Reresby, Memorie; Citters, 3-13 luglio 1688; Adda, 6-16
    luglio; Barillon, 2-12 luglio; Luttrell, Diario; Lettera di notizie,
    4 luglio; Oldmixon, 739, Carteggio di Ellis.
    
    (1043) Nell'originale "ulimo". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (1044) Nell'originale "Wigh". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (1045) Il Fur Prædestinatus.
    
    (1046) Questo documento trovasi nella prima delle dodici Collezioni
    degli scritti relativi agli affari d'Inghilterra, stampati verso la
    fine del 1688 e il principio del 1689. Fu pubblicato il dì 26
    luglio, poco meno d'un mese dopo il processo. Lloyd di Santo Asaph
    intorno al medesimo tempo disse ad Enrico Wharton che i Vescovi si
    proponevano di adottare una politica affatto nuova verso i
    Protestanti Dissenzienti. "Omni modo curaturos ut ecclesia sordibus
    et corruptelis penitus exueretur; ut sectariis reformatis reditus in
    ecclesiæ sinum exoptati occasio ac ratio concederetur, si qui sobrii
    et pii essent; ut pertinacibus interim jugum levaretur, extinctis
    penitus legibus mulctatoriis." - Excerpta ex Vita H. Wharton.
    
    (1047) Nell'originale "dirito".[Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (1048) Nell'originale "auche". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (1049) Nell'originale "interdirebbbe". [Nota per l'edizione
    elettronica Manuzio]
    
    (1050) Questo variare d'opinioni nel partito Tory è assai bene
    esposto in un libretto pubblicato nel principio del 1689, col
    titolo: Dialogo tra due Amici, nel quale la Chiesa Anglicana si
    difende d'essersi collegata col Principe d'Orange.
    
    (1051) "Aut nunc, aut nunquam." Ms. Witsen citato da Wagenaar, lib.
    LX.
    
    (1052) Burnet, I, 763.
    
    (1053) Nell'originale "Agernon"
    
    (1054) Sidney, Diario e Carteggio, pubblicati da Blencowe; Mackay,
    Memorie, e la nota di Swift: Burnet, I, 763.
    
    (1055) Burnet, I, 763; Lettera in cifra a Guglielmo in data del 18
    giugno 1688 in Dalrymple.
    
    (1056) Burnet, I, 764; Lettera in cifra a Guglielmo, in data del 18
    giugno 1688.
    
    (1057) Intorno a Montaigne, vedi la lettera di Halifax a Cotton.
    Credo che la testa di Halifax che si vede nell'Abbadia di
    Westminster porga di lui migliore idea di quel che facciano tutte le
    pitture e incisioni da me vedute.
    
    (1058) 
    
    (1059) Burnet, I, 764; Sidney al principe d'Orange, 30 giugno 1688,
    in Dalrymple[Nell'originale "Dariymple"].
    
    (1060) Burnet, I, 763; Lumley a Guglielmo, 31 maggio 1688, in
    Dalrymple.
    
    (1061) Vedi cotesto invito distesamente riportato da Dalrymple.
    
    (1062) Nell'originale "leggese". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (1063) Lettera di Sidney a Guglielmo, 30 giugno 1688; Avaux, Negoz.,
    10-20, 12-22 luglio.
    
    (1064) Bonrepaux, 18-28 luglio 1687.
    
    (1065) Estratti di Birch, nel Museo Britannico.
    
    (1066) Avaux, Negoz., 28 ottobre-8 novembre 1683.
    
    (1067) Quanto alle relazioni che passavano tra lo Statoldero e la
    città di Amsterdam, vedi Avaux, passim.
    
    (1068) Adda, 6-16 luglio 1688.
    
    (1069) Reresby, Memorie.
    
    (1070) Barillon, 2-12 luglio 1688.
    
    (1071) Gazzetta di Londra del 16 luglio 1688. L'ordine ha la data
    del 14 luglio.
    
    (1072) Sono parole di Barillon, 6-16 luglio 1688.
    
    (1073) Vedi una delle numerose ballate di quel tempo dove si fa
    allusione a' due Bretoni, che sono Jeffreys e Williams, entrambi
    naturali del paese di Galles.
    
    (1074) Gazzetta di Londra, 9 luglio 1688.
    
    (1075) Ellis, Carteggio, 10 luglio 1688; Clarendon, Diario, 3 agosto
    1688.
    
    (1076) Gazzetta di Londra, 9 luglio 1688; Adda, 13-23 luglio;
    Evelyn, Diario, 12 luglio; Johnstone, 8-18 dicembre 1687, 6-16
    febbraio 1688.
    
    (1077) Lettere di Sprat al Conte di Dorset; Gazzetta di Londra, 23
    agosto 1688.
    
    (1078) Gazzetta di Londra, 26 luglio 1688; Adda, 27 luglio-6 agosto;
    Lettera di Notizie nella Collezione Mackintosh, 25 luglio; Ellis,
    Carteggio, 28-31 luglio; Wood, Fasti Oxonienses.
    
    (1079) Wood, Athenæ Oxonienses; Luttrell, Diario, 23 agosto 1688.
    
    (1080) Ronquillo, 17-27 settembre 1688; Luttrell, Diario, 6
    settembre.
    
    (1081) Ellis, Carteggio, 4, 7 agosto 1688; Sprat, Relazione della
    Conferenza del 6 di novembre 1688[Nell'originale 1588].
    
    (1082) Luttrell, Diario, 8 agosto 1688.
    
    (1083) Ciò è riferito da tre scrittori, che potevano ben ricordarsi
    delle cose seguite in que' tempi, Kennet, Eachard, e Oldmixon. Vedi
    parimente l'Avvertimento contro i Whig.
    
    (1084) Barillon, 23 agosto-2 settembre 1688, 3-13, 6-16, 8-18
    settembre.
    
    (1085) Luttrell[Nell'originale "Luttrel"], Diario, 27 agosto 1688.
    
    (1086) Nell'originale "ambascitari"
    
    (1087) King; Condizioni dei Protestanti Irlandesi; Consulte secrete
    del Partito Papale in Irlanda.
    
    (1088) Consulte secrete del partito Papale in Irlanda.
    
    (1089) Storia della Diserzione, 1689 (raffronta la prima con la
    seconda edizione); Barillon, 8-18 settembre 1688; Citters, alla
    stessa data; Clarke Vita di Giacomo II, ii, 168. Il compilatore di
    questa opera afferma che Churchill mosse la Corte Marziale a
    condannare i sei ufficiali a morte. Non sembra che tale storiella
    sia stata ricavata dalle carte del re, io quindi la considero come
    una delle tante menzogne inventate a San Germano a fine di denigrare
    un carattere già bastevolmente nero. Che Churchill in questa
    occasione avesse potuto simulare grande sdegno, onde nascondere il
    tradimento ch'ei meditava, è molto probabile. Ma è impossibile a
    credersi che un uomo sensato come lui avesse spinto il Consiglio di
    Guerra ad infliggere una pena che era al di là della sua competenza.
    
    (1090) La canzone di Lilliburello si trova nella Raccolta delle
    Poesie politiche. La prima parte si trova nei Resti di Percy, ma non
    la seconda parte, la quale vi fu aggiunta dopo lo sbarco di
    Guglielmo. Nello Esaminatore, e in varii libercoli del 1712 si
    afferma che Wharton ne è l'autore.
    
    (1091) Vedi le Negoziazioni del Conte d'Avaux. Mi sarebbe quasi
    impossibile citare tutti i luoghi da' quali ho attinto le materie
    per questa parte del mio racconto. I più importanti si trovano sotto
    le seguenti date: 1685, 20, 24 settembre, 5 ottobre, 20 dicembre;
    1686, 3 gennaio, 22 novembre; 1687, 2 ottobre, 6, 19 novembre; 1688,
    29 luglio, 20 agosto. Lord Lonsdale nelle sue Memorie giustamente
    nota che, se Luigi fosse stato più savio, la città d'Amsterdam
    avrebbe impedita la Rivoluzione.
    
    (1092) Ranke, Die Römischen Päpste, lib. VIII; Burnet, I, 759.
    
    (1093) Burnet, I, 758. Lo scritto di Luigi ha la data del 28
    agosto-6 settembre 1688, e trovasi nel Recueil de Traités, vol. IV,
    n. 219.
    
    (1094) Per la profonda destrezza con cui egli mostrò sotto due
    diversi aspetti la sua politica a due diversi partiti fu acremente
    rimproverato poscia nella Corte di San Germano: "Licet Fderatis
    publicus ille prædo haud aliud aperte proponat nisi ut Gallici
    Imperii exuberans amputetur potestas, verumtamen sibi et suis ex
    hæretica fæce complicibus, ut pro comperto habemus, longe aliud
    promittit, nempe ut, exciso vel enervato Francorum regno, ubi
    Catholicarum partium summum jam robur situm est, hæretica ipsorum
    pravitas per orbem Christianum universum prævaleat." - Lettera di
    Giacomo al Papa, evidentemente scritta nel 1689.
    
    (1095) Avaux, Negoz., 2-12, 10-20, 11-21, 14-24, 16-26, 17-27
    agosto, 23 agosto-2 settembre 1688.
    
    (1096) Nell'originale "Schevering". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (1097) Avaux, Negoz., 4-14 settembre 1688.
    
    (1098) Burnet, I, 765. La lettera di Churchill ha la data del 4
    agosto 1688.
    
    (1099) Guglielmo a Bentinck, 17-27 agosto 1688.
    
    (1100) Memorie del Duca di Shrewsbury, 1718.
    
    (1101) Gazzetta di Londra, 25, 28 aprile 1687.
    
    (1102) Consulte secrete del partito Papale in Irlanda. Le cose
    sopradette sono confermate da ciò che Bonrepaux scriveva a
    Seignelay, 12-22 settembre 1687. "Il (Sunderland) amassera beaucoup
    d'argent, le roi son maître lui donnant la plus grande partie de
    celui qui provient des confiscations ou des accommodemens que ceux
    qui ont encouru des peines font pour obtenir leur grace."
    
    (1103) Adda, dice che il terrore gli si leggeva chiaramente in viso;
    26 ottobre - 5 novembre 1688.
    
    (1104) Raffronta ciò che ne dice Evelyn con ciò che intorno a lei
    scrisse all'Aja la principessa di Danimarca, e con le sue stesse
    lettere ad Enrico Sidney.
    
    (1105) Bonrepaux a Seignelay, 11-21 luglio 1688.
    
    (1106) Vedi le sue lettere nel Diario e Carteggio di Sidney di
    recente pubblicati. Fox, nella sua copia de' Dispacci di Barillon,
    nota il dì 30 agosto N. S. 1688, come data del tempo in cui è certo
    che Sunderland praticasse il tradimento.
    
    (1107) 19-29 agosto 1688.
    
    (1108) 4-14 settembre 1688.
    
    (1109) Avaux, 19-29 luglio, 31 luglio-10 agosto, 11-21 agosto 1688;
    Luigi a Barillon, 2-12, 16-26 agosto.
    
    (1110) Barillon, 20-30 agosto. 23 agosto-2 settembre 1688; Adda, 24
    agosto-3 settembre; Clarke, Vita di Giacomo, ii, 177. Mem. Orig.
    
    (1111) Luigi a Barillon, 3-13, 8-18, 11-21 settembre 1688.
    
    (1112) Avaux, 23 agosto-2 settembre, 30 agosto-9 settembre 1688.
    
    (1113) "Che l'adulazione e la vanità gli avevano tornato il capo"
    Adda, 31 agosto-10 settembre 1688.[Nell'originale "1788"]
    
    (1114) Citters, 11-21 settembre 1688; Avaux, 17-27 settembre, 27
    settembre-7 ottobre; Barillon, 23 settembre-3 ottobre; Wagenaar,
    libro LX; Sunderland, Apologia. Spesso è stato asserito che Giacomo
    ricusò lo aiuto d'un esercito francese. Vero è che tale offerta non
    fu mai fatta. Le truppe francesi sarebbero state più utili a Giacomo
    minacciando le frontiere dell'Olanda, che traversando il Canale.
    
    (1115) Luigi a Barillon, 20-30 settembre 1688.
    
    (1116) Avaux, 27 settembre-7 ottobre, 4-14 ottobre 1688.
    
    (1117) Madame de Sévigné, 24 ottobre-3 novembre 1688.
    
    (1118) Ms Witsen citato da Wagenaar; lord Lonsdale, Memorie; Avaux,
    4-14, 5-15 ottobre 1688. La dichiarazione formale degli Stati
    Generali, in data del 18-28 ottobre, trovasi nel Recueil des
    Traités, vol. IV, n° 225.
    
    (1119) Abrégé de la Vie de Frédéric Duc de Schomberg, 1690; Sidney a
    Guglielmo, 30 giugno 1688; Burnet, I, 677.
    
    (1120) Burnet, I, 584; Mackay, Memorie.
    
    (1121) Burnet, I, 775, 780.
    
    (1122) Eachard, Storia della Rivoluzione, II, 2.
    
    (1123) Pepys, Memorie relative alla Real Marina, 1690; Clarke, Vita
    di Giacomo II, ii, 186, Memorie originali; Adda, 21 settembre-1
    ottobre; Citters, 21 settembre-4 ottobre.
    
    (1124) Clarke, Vita di Giacomo II, ii, 186, Memorie originali; Adda,
    24 settembre-1 ottobre; Citters, 21 settembre-1 ottobre.
    
    (1125) Adda, 28 settembre-8 ottobre 1688. Da questo dispaccio si
    raccoglie come Giacomo forte temesse una defezione universale ne'
    suoi sudditi.
    
    (1126) La poca luce che ci resta intorno a queste pratiche è
    derivata dagli scritti di Reresby, il quale ne fu informato da una
    donna ch'egli non nomina, e alla quale non potevasi prestare cieca
    credenza.
    
    (1127) Gazzetta di Londra, 24, 27 settembre, 1 ottobre 1688.
    
    (1128) Mss. Tanner; Burnet, I, 784. Credo che Burnet abbia confusa
    questa udienza con un'altra che ebbe luogo parecchie settimane dopo.
    
    (1129) Gazzetta di Londra, 8 ottobre 1688.
    
    (1130) Gazzetta di Londra, 8 ottobre 1688.
    
    (1131) Gazzetta di Londra, 15 ottobre 1688; Adda, 12-22 ottobre.
    Sembra che il Nunzio, comechè generalmente abborrisse dalle misure
    violente, si fosse opposto alla riabilitazione di Hough,
    probabilmente per favorire gl'interessi di Giffard e degli altri
    Cattolici romani che stanziavano nel Collegio della Maddalena.
    Leyburn disse d'essere "nel sentimento che fosse stato uno sbaglio,
    e che il possesso in cui si trovano ora li Cattolici fosse violento
    ed illegale, onde non era privar questi di un dritto acquisito, ma
    rendere agli altri quello che era stato levato con violenza."
    
    (1132) Gazzetta di Londra, 18 ottobre 1688.
    
    (1133) "Vento papista," dice Adda, 24 ottobre-3 novembre 1688.
    Sembra che il vocabolo protestante sia stato primamente applicato a
    quel vento, che per qualche tempo impedì a Tyrconnel di prendere
    possesso del governo d'Irlanda. Vedi la prima parte del
    Lillibullero.
    
    (1134) Nell'originale "apettazione". [Nota per l'edizione
    elettronica Manuzio]
    
    (1135) Tutte le prove di questo fatto sono raccolte ne' Processi di
    Stato, edizione di Howell.
    
    (1136) Si trovano con molti altri particolari ne' Processi di Stato,
    edizione di Howell.
    
    (1137) Barillon. 8-18, 15-25, 18-28 ottobre, 23 ottobre-1 novembre,
    27 ottobre-6 novembre, 29 ottobre-8 novembre 1688; Adda, 26
    ottobre-5 novembre.
    
    (1138) Gazzetta di Londra, 29 ottobre 1688.
    
    (1139) Registro degli Atti degli Stati d'Olanda e della Frisia
    Occidentale; Burnet, I, 782.
    
    (1140) Gazzetta di Londra, 29 ottobre 1688; Burnet, I, 782; Bentinck
    a sua moglie, 21-31 ottobre, 22 ottobre-1 novembre, 24 ottobre-3
    novembre, 27 ottobre-6 novembre 1688.
    
    (1141) Citters, 2-12 novembre 1688; Adda; 2-12 novembre.
    
    (1142) Ronquillo, 12-22 novembre 1688. "Estas respuestas" dice
    Ronquillo "son ciertas, aunque mas las encubrian en la corte."
    
    (1143) Gazzetta di Londra, 5 novembre 1688. Il Proclama ha la data
    del dì 2 novembre.
    
    (1144) Mss. Tanner.
    
    (1145) Burnet, I, 787; Rapin, Whittle, Diario esatto; Spedizione del
    principe d'Orange in Inghilterra, 1688; Storia della Diserzione,
    1688; Dartmouth a Giacomo, 5 novembre 1688, in Dalrymple.
    
    (1146) Avaux, 12-22 luglio, 14-24 agosto 1688. Intorno a questo
    soggetto il sig. De Jonge, il quale è parente de' discendenti dello
    Ammiraglio olandese Evertsen, mi ha cortesemente comunicate alcune
    interessanti notizie, tratte dalle carte di famiglia. In una lettera
    a Bentinck, in data del 6-16 settembre 1688, Guglielmo insiste sulla
    importanza d'evitare un conflitto, e chiede che lo dica a Herbert:
    "Ce n'est pas le tems de faire voir sa bravoure ni de se battre si
    on le peut éviter. Je le luy ai déjà dit; mais il sera nécessaire
    que vous le répétiez, et que vous le luy fassiez bien comprendre."
    
    (1147) Rapin, Storia; Whittle, Diario esatto. Io ho veduto una carta
    di que' tempi nella quale è disegnato l'ordine con cui veleggiava la
    flotta olandese.
    
    (1148) Nell'originale "Park"
    
    (1149) Adda, 5-15 novembre 1688; Lettera di Notizie nella Collezione
    di Mackintosh; Citters, 6-16 novembre.
    
    (1150) Burnet, I, 788; Estratti dalle Carte di Legge nella
    Collezione di Mackintosh.
    
    (1151) Credo che nessuno, il quale paragoni il racconto che fa
    Burnet di questo colloquio con ciò che ne dice Dartmouth, possa
    dubitare ch'io abbia fedelmente riferito lo accaduto.
    
    (1152) Ho veduta una incisione, fatta a que' tempi in Olanda,
    rappresentante lo sbarco. Vi si vedono alcuni uomini che portano il
    letto del Principe nella trabacca in cima alla quale sventola la sua
    bandiera.
    
    (1153) Burnet, I, 789. Legge, Carte.
    
    (1154) Il 9 novembre 1688, Giacomo scrisse a Dartmouth queste
    parole: "Nessuno avrebbe potuto fare altrimenti da quello che avete
    fatto voi. Io sono sicuro che tutti i più esperti uomini di mare
    debbono essere di questa opinione." Ma vedi Clarke, Vita di Giacomo
    II, 207, Memorie Originali.
    
    (1155) Burnet, I, 790.
    
    (1156) Nell'originale "Maestricht". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (1157) Vedi Whittle, Diario, la Spedizione di Sua Altezza, e la
    Lettera da Exon pubblicata in quel tempo. Io ho veduto manoscritte
    due Lettere di notizie, dove e descritta la pompa dello ingresso del
    Principe in Exeter. Pochi mesi dopo un cattivo poeta scrisse un
    dramma, intitolato: L'ultima Rivoluzione. Una delle scene è in
    Exeter. Si vedono i battaglioni dell'armata del Principe marciare
    verso la città con bandiere spiegate e tamburo battente, fra il
    plauso de' cittadini. Un nobile chiamato Misopapa dice: "Potete voi,
    o mio Signore, indovinare in quali terribili sembianti la colpa e la
    paura hanno rappresentato la vostra armata alla Corte? Si esagera il
    numero e la statura de' vostri soldati; si dice che ciascuno di loro
    sia alto per lo meno sei piedi, tutti vestiti di pelle d'orso,
    Svizzeri, Svedesi e Brandenburgesi." In una canzone composta subito
    dopo lo ingresso in Exeter, gl'Irlandesi sono descritti come nani in
    paragone de' giganti comandati da Guglielmo. "Povero Berwich, come
    le tue care gioie potranno opporsi al famoso viaggio? I tuoi più
    alti giovani sono fantocci dinanzi ai guerrieri di Brandenburgo e di
    Svezia. Coraggio! Coraggio!" Addison nel Freeholder allude allo
    effetto straordinario che producevano queste romanzesche storielle.
    
    (1158) Nell'originale "Pincipe"
    
    (1159) Spedizione del principe d'Orange; Oldmixon, 755; Whittle,
    Diario; Eachard, III, 911; Gazzetta di Londra, 15 novembre 1688.
    
    (1160) Gazzetta di Londra, 15 novembre 1688; Spedizione del Principe
    d'Orange.
    
    (1161) Clarke, Vita di Giacomo, II, 210, Memor. Orig.; Sprat,
    Narrazione; Citters, 6-16 novembre 1688.
    
    (1162) Luttrell, Diario; Lettera di notizie nella Collezione di
    Mackintosh; Adda, 16-26 novembre 1688.
    
    (1163) Nell'originale "escalmò". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (1164) Johnstone, 27 febbraio 1688; Citters, alla medesima data.
    
    (1165) Lysons, Magna Britannia, Berkshire.
    
    (1166) Gazzetta di Londra, 15 novembre 1688; Luttrell, Diario.
    
    (1167) Burnet, I, 790; Vita di Guglielmo, 1703.
    
    (1168) Nell'originale "autorità". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (1169) Clarke, Vita di Giacomo, ii, 215; Memor. Orig.; Burnet, I,
    790; Clarendon, Diario, 15 novembre 1688; Gazzetta di Londra, 17
    novembre.
    
    (1170) Clarke, Vita di Giacomo, ii, 218; Clarendon, Diario, 15
    novembre 1688; Citters, 16-26 novembre.
    
    (1171) Clarendon, Diario, 15,16, 17, 20 novembre 1688.
    
    (1172) Clarke, Vita di Giacomo, ii, 219, Memorie Originali.
    
    (1173) Nell'originale "Streeet". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (1174) Clarendon, Diario, dall'8 al 17 novembre 1688.
    
    (1175) Clarke, Vita di Giacomo, ii, 212, Memorie Originali;
    Clarendon, Diario, 17 novembre 1688; Citters, 20-30 novembre;
    Burnet, I, 791; Alcune riflessioni sopra la Umilissima Petizione
    presentata all'Augusta Maestà del Re, 1688; Modesta difesa della
    Petizione; Prima Collezione delle Scritture concernenti gli Affari
    d'Inghilterra, 1688.
    
    (1176) Adda, 19, 29 novembre 1688.
    
    (1177) Clarke, Vita di Giacomo, ii, 220, 221.
    
    (1178) Eachard, Storia della Rivoluzione.
    
    (1179) La risposta che Seymour diede al Principe è riferita da molti
    scrittori. Somiglia molto a ciò che si racconta della famiglia
    Manriquez. Dicesi che essa avesse per epigrafe nell'armi gentilizie
    queste parole: "Nos no descendemos de los Reyes, sino los Reyes
    descienden de nos." - Carpentariana.
    
    (1180) Quarta Collezione di Scritture, 1688; Lettera scritta da
    Exon; Burnet, I, 792.
    
    (1181) Burnet, I, 792; Storia della Diserzione; Seconda Collezione
    di Scritture, 1688.
    
    (1182) Lettera di Bath al Principe d'Orange, 18 novembre 1688;
    Dalrymple.
    
    (1183) Prima Collezione di Scritture, 1688; Gazzetta di Londra, 22
    novembre.
    
    (1184) Reresby, Memorie; Clarke, Vita di Giacomo, ii, 231, Memorie
    Originali.
    
    (1185) Cibber, Apologia; Storia della Diserzione; Lutrell, Diario;
    Seconda Collezione di Scritture, 1688.
    
    (1186) Nell'originale "combattitimenti". [Nota per l'edizione
    elettronica Manuzio]
    
    (1187) Whittle, Diario; Storia della Diserzione; Luttrell, Diario.
    
    (1188) Clarke, Vita di Giacomo, ii, 222, Memorie Originali;
    Barillon, 21 novembre-1 dicembre 1688; Ms. Sheridan.
    
    (1189) Prima Collezione di Scritture, 1688.
    
    (1190) Lettera di Middleton a Preston, in data di Salisbury, 25
    novembre. "Scelleraggine sopra scelleragine" dice Middleton, "e
    l'ultima anche maggiore della prima." Clarke, Vita di Giacomo, ii,
    224, 225, Memorie Originali.
    
    (1191) Storia della Diserzione; Luttrell, Diario.
    
    (1192) Dartmouth, Annotazione a Burnet, I, 643.
    
    (1193) Clarendon, Diario, 26 novembre; Clarke, Vita di Giacomo, ii,
    224. La lettera del Principe Giorgio al Re è stata più volte
    stampata.
    
    (1194) Questa lettera, in data del 18 novembre, trovasi in
    Dalrymple.
    
    (1195) Clarendon, Diario, 25, 26 novembre 1688; Citters, 26 novembre
    - 6 dicembre; Ellis, Carteggio, 19 dicembre; Difesa della Duchessa
    di Marlborough; [Nell'originale "Marlbourgh"] Burnet, 1, 792;
    Compton al Principe d'Orange, 2 dicembre 1688 in Dalrymple. L'abito
    militare del Vescovo è rammentato in innumerevoli scritti e satire
    di que' tempi.
    
    (1196) Dartmouth, Annotazione a Burnet, I, 792; Citters, 26
    novembre-6 dicembre 1688; Clarke, Vita di Giacomo, ii, 226, Memorie
    Originali; Clarendon Diario, 26 novembre, Politica della
    Rivoluzione.
    
    (1197) Clarke, Vita di Giacomo, ii, 236, Mem. Orig.; Burnet, I, 794;
    Luttrell, Diario; Clarendon, Diario, 27 novembre 1688; Citters, 27
    novembre-7 dicembre, e 30 novembre-10 dicembre.
    
    Citters evidentemente ne fu informato da uno de' Lordi che si
    trovarono presenti. E poichè la cosa è importante, addurrò due brani
    de' suoi dispacci. Il Re disse: "Dat het by na voor hem unmogelyck
    was te pardoneren persoonen wie so hoog in syn reguarde schuldig
    stonden, vooral seer nytvarende jegens den Lord Churchill, wien hy
    hadde groot gemaakt en nogtans meyude de eenigste oorsake van alle
    dese desertie en van de retraite van bare Coninglycke Hoogheden te
    wesen" (uno dei Lordi, probabilmente Halifax o Nottingham) "Seer
    hadde geurgeet op de securiteyt van de lords die nu met syn Hoogheyt
    geengageert staan. Soo hoor ick" dice Citters "dat syn Majesteyt
    onder anderen soude gesegt hebben; - Men sprekt al voor de
    securiteyt voor andere, en nient voor de myne. - Waar op een der
    Pairs resolut dan met groot respect soude geantwoordt hebben dat,
    soo syne Majesteyt's wapenen in staat waren on hem te connen
    mainteneren, dat dan sulk syne securiteyte koude wesen; son niet, en
    soo de difficulteyt dan nog te surmonteren was, dat het den moeste
    geschieden door de meeste condescendance, en hoe meer die was, en hy
    genegen orn aan de natie contentement de geven, dat syne securiteyt
    ook des te grooter soude wesen."
    
    (1198) Lettera del Vescovo di Santo Asaph al Principe d'Orange, 17
    dicembre 1688.
    
    (1199) Gazzetta di Londra, 29 novembre, 3 dicembre 1688; Clarendon,
    Diario, 29, 30 novembre.
    
    (1200) Barillon, 1-11 dicembre 1688.
    
    (1201) Giacomo a Dartmouth, 25 novembre 1688. Le lettere si trovano
    in Dalrymple.
    
    (1202) Giacomo a Dartmouth, 1 dicembre 1688.
    
    (1203) Luttrell, Diario.
    
    (1204) Seconda Collezione di Scritture, 1688; la lettera di
    Dartmouth in data del dì 3 dicembre 1688, trovasi in Dalrymple;
    Clarke, Vita di Giacomo, ii, 233, Memorie Originali. Giacomo accusa
    Dartmouth di avere indotto la flotta a fare un indirizzo per
    chiedere la convocazione del Parlamento. Ed è pretta calunnia.
    L'indirizzo contiene solo ringraziamenti al Re per avere convocato
    il Parlamento, e fu scritto prima che Dartmouth avesse il più lieve
    sospetto che Sua Maestà stesse ingannando la nazione.
    
    (1205) Nell'originale "Middlessex". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (1206) Luttrell, Diario.
    
    (1207) Adda, 7-17 dicembre 1688.
    
    (1208) Il Nunzio dice: "Se lo avesse fatto prima di ora, per il Re
    ne sarebbe
    
    stato meglio."
    
    (1209) Vedi la Storia secreta della Rivoluzione di Ugo Speke, 1715.
    Nella Biblioteca di Londra è un esemplare di questa opera rara, ed
    ha una nota manoscritta che sembra di mano dello autore.
    
    (1210) Brand, Storia di Newcastle; Tickell, Storia di Hull.
    
    (1211) Il racconto di ciò che seguì in Norwich trovasi in un foglio
    di quei tempi inserito in varie collezioni. Vedi anco la Quarta
    Collezione di Scritture, 1688.
    
    (1212) Clarke, Vita di Giacomo, ii, 233; Memoria ms. della famiglia
    Harley nella Collezione di Mackintosh.
    
    (1213) Citters, 9-19 dicembre 1688. Lettera del Vescovo di Bristol
    al Principe d'Orange, 5 dicembre 1688, in Dalrymple.
    
    (1214) Citters, 27 novembre-7 dicembre 1688; Clarendon, Diario, 11
    dicembre; Canzone sopra lo ingresso di Lord Lovelace in Oxford,
    1688; Burnet, I, 793.
    
    (1215) Clarendon, Diario, 2, 3, 4, 5 dicembre 1688.
    
    (1216) Whittle, Diario Esatto; Eachard, Storia della Rivoluzione.
    
    (1217) Citters, 20-30 novembre, 9-19 dicembre 1688.
    
    (1218) Clarendon, Diario, 6, 7 dicembre 1688.
    
    (1219) Clarendon, Diario, 7 dicembre 1688.
    
    (1220) Storia della Diserzione; Citters, 9-19 dicembre 1688; Diario
    Esatto; Oldmixon, 760.
    
    (1221) Vedi una interessantissima nota al canto V del Rokeby di
    Gualtiero Scott.
    
    (1222) Nell'originale "Wihg". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (1223) La narrazione che ho fatta di ciò che successe in Hungerford
    è presa dal Diario di Clarendon, 8, 9 dicembre 1688; Burnet, I, 794;
    Proposta consegnata al Principe dai Commissarii, e Risposta del
    Principe; Sir Patrizio Hume, Diario; Citters, 9-19 dicembre.
    
    (1224) Clarke, Vita di Giacomo, ii, 237. Burnet - strano a dirsi! -
    non aveva udito, o dimenticò di notare, che il Principe era stato
    ricondotto a Londra; I, 796.
    
    (1225) Clarke, Vita di Giacomo, ii, 246; Père d'Orleans, Révolutions
    d'Angleterre; Madame de Sévigné, 14-24 dicembre; Dangeau, Memorie,
    13-23 dicembre. Quanto a Lauzun vedi le Memorie di Madamigella e del
    Duca di Saint-Simon, e i Caratteri di Labruyère.
    
    (1226) Nell'originale "riconciliaziane". [Nota per l'edizione
    elettronica Manuzio]
    
    (1227) Storia della Diserzione; Clarke, Vita di Giacomo, ii, 251,
    Memorie Originali; Mulgrave, Racconto della Rivoluzione; Burnet, I,
    795.
    
    (1228) Storia della Diserzione; Mulgrave, Racconto della
    Rivoluzione; Eachard, Storia della Rivoluzione.
    
    (1229) Gazzetta di Londra, 13 dicembre 1688.
    
    (1230) Clarke, Vita di Giacomo, ii, 259; Mulgrave, Racconto della
    Rivoluzione; Legge, Scritture, nella Collezione di Mackintosh.
    
    (1231) Gazzetta di Londra, 13 dicembre 1688; Barillon, 14-24
    dicembre; Citters, alla medesima data; Luttrell, Diario; Clarke,
    Vita di Giacomo, ii, 256, Memorie Originali; Ellis, Carteggio, 13
    dicembre; Consulta del Consiglio di Stato di Spagna, 19-29 gennaio
    1689. E' sembra che Ronquillo amaramente si querelasse presso il suo
    Governo per le perdite fatte; "sirviendole solo de consuelo el haber
    tenido prevencion de poder consumir el Santissimo."
    
    (1232) Gazzetta di Londra, 13 dicembre 1688; Luttrell, Diario;
    Mulgrave, Racconto della Rivoluzione; Consulta del Consiglio di
    Stato di Spagna, 19-29 gennaio 1689. Nel Consiglio fu accennato a
    rappresaglie, ma tale suggerimento fu trattato con dispregio.
    "Habiendo sido este echo por un furor de pueblo, sin consentimiento
    dei gobierno, y antes contra su voluntad, como lo ha mostrado la
    satisfaction che le han dado y le han prometido, parece que no hay
    juicio humano que puede acconsejar que se pase a semejante remedio."
    
    (1233) North, Vita di Guildford, 220; Elegia di Jeffreys; Luttrell,
    Diario; Oldmixon, 762. Oldmixon trovavasi tra la folla, e non dubito
    che fosse uno de' più furibondi. Egli racconta bene la cosa. Ellis,
    Carteggio; Burnet, I, 797, e la annotazione di Onslou.
    
    (1234) Adda, 9-19 dicembre; Citters, 18-28 dicembre.
    
    (1235) Citters, 14-24 dicembre; Luttrell, Diario; Ellis, Carteggio;
    Oldmizon, 761; Speke, Storia Secreta della Rivoluzione; Clarke, Vita
    di Giacomo, ii, 257; Eachard, Storia della Rivoluzione; Storia della
    Diserzione.
    
    (1236) Clarke, Vita di Giacomo, ii, 258.
    
    (1237) Storia Secreta della Rivoluzione.
    
    (1238) Clarendon, Diario, 13 dicembre 1688; Citters, 14-24 dicembre;
    Eachard, Storia della Rivoluzione.
    
    (1239) Citters, 14-24 dicembre; Luttrell, Diario.
    
    (1240) Mulgrave, Racconto della Rivoluzione; Clarendon, Diario, 16
    dicembre 1688.
    
    (1241) A Reresby fu detto da una dama, ch'egli non nomina, il Re non
    avere avuta intenzione di fuggire finchè non ricevè una lettera
    scrittagli da Halifax che allora trovavasi in Hungerford, la quale
    lettera annunziava a Giacomo che rimanendo correva pericolo di vita.
    Questa, senza dubbio, è pretta favola. Il Re, innanzi che i
    Commissarii partissero da Londra, aveva detto a Barillon che la loro
    ambasceria altro non era che finzione, e s'era mostrato
    deliberatissimo a lasciare l'Inghilterra. Chiaro si raccoglie dalla
    narrazione di Reresby che Halifax si reputò trattato
    vergognosamente.
    
    (1242) Ms. Harl., 255.
    
    (1243) Ms. Halifax; Citters, 18-28 dicembre, 1688.
    
    (1244) Mulgrave, Racconto della Rivoluzione.
    
    (1245) Vedi il suo Proclama colla data di Saint-Germain, 20 aprile
    1692.
    
    (1246) Clarke, Vita di Giacomo, ii, 261, Mem. Orig.
    
    (1247) Clarendon, Diario, 16 dicembre 1688; Burnet, I, 800.
    
    (1248) Clarke, Vita di Giacomo, ii, 262, Mem. Orig.; Burnet, I, 799.
    Nella Storia della Diserzione (1689) si afferma che le acclamazioni
    vennero da alcuni sfaccendati ragazzi, e che la maggior parte del
    popolo guardava in silenzio. Oldmixon, che trovavasi nella folla,
    dice lo stesso; e Ralph, i cui pregiudizi erano diversissimi da quei
    di Oldmixon, afferma la medesima cosa, e dice d'averlo saputo da un
    testimonio oculare. Forse la verità si è che le dimostrazioni di
    gioia furono piccolissime, ma sembrarono straordinarie perchè
    aspettavasi uno scoppio di sdegno nel pubblico. Barillon parla di
    acclamazioni e fuochi di gioia, ma aggiunge: "Le peuple dans le fond
    est pour le Prince d'Orange." 17-27 dicembre 1688.
    
    (1249) Gazzetta di Londra, 16 dicembre 1688; Mulgrave, Racconto
    della Rivoluzione; Storia della Diserzione; Burnet, I, 799; Evelyn,
    Diario, 13, 17 dicembre 1688
    
    (1250) Clarke, Vita di Giacomo, ii, 262, Mem. Orig.
    
    (1251) Barillon, 17-27 dicembre 1688; Clarke, Vita di Giacomo, ii,
    271.
    
    (1252) Mulgrave, Racconto della Rivoluzione; Clarendon, Diario, 16
    dicembre 1688.
    
    (1253) Burnet, I, 800; Clarendon, Diario, 17 dicembre 1688; Citters,
    18-28 dicembre 1688.
    
    (1254) Burnet, I, 800; Condotta della Duchessa di Marlborough,
    Mulgrave, Racconto della Rivoluzione. Clarendon non dice nulla sotto
    questa data; ma vedi il suo Diario, 19 agosto 1689.
    
    (1255) Harte, Vita di Gustavo Adolfo.
    
    (1256) Nell'originale "impossesarsi". [Nota per l'edizione
    elettronica Manuzio]
    
    (1257) Clarke, Vita di Giacomo, ii, 264, e segnatamente le Memorie
    Originali; Mulgrave, Racconto della Rivoluzione; Rapin de Thoyras. È
    d'uopo rammentare che Rapin fu parte in questi avvenimenti.
    
    (1258) Clarke, Vita di Giacomo, ii, 265; Mem. Orig.; Mulgrave,
    Racconto della Rivoluzione; Burnet, I, 801; Citters, 18-28 dicembre
    1688.
    
    (1259) Citters, 18-28 dicembre 1688; Evelyn, Diario, alla medesima
    data; Clarke, Vita di Giacomo, ii, 266, 267, Memorie Originali.
    
    (1260) Citters, 18-28 dicembre 1688.
    
    (1261) Luttrell, Diario; Evelyn, Diario; Clarendon, Diario, 18
    dicembre 1688; Politica della Rivoluzione.
    
    (1262) Quarta Collezione di Scritture concernenti gli affari
    presenti dell'Inghilterra, 1688; Burnet, I, 802, 803; Calamy, Vita e
    Tempi di Baxter, cap. XIV.
    
    (1263) Burnet, I, 803.
    
    (1264) Nell'originale "inadequate"
    
    (1265) Gazzetta di Francia, 26 gennaio-5 febbraio 1689.
    
    (1266) Storia della Diserzione; Clarendon, Diario, 21 dicembre 1688;
    Burnet, I, 803, e la nota d'Onslou.
    
    (1267) Clarendon, Diario, 21 dicembre 1688; Citters, alla medesima
    data.
    
    (1268) Clarendon, Diario, 21, 22 dicembre 1688; Clarke, Vita di
    Giacomo, II, 268, 270, Memorie Originali.
    
    (1269) Nell'originale "imperoccchè". [Nota per l'edizione
    elettronica Manuzio]
    
    (1270) Nell'originale "sufficenti"
    
    (1271) Clarendon, 23 dicembre 1688; Clarke, Vita di Giacomo, II,
    271, 273, 275, Mem. Orig.
    
    (1272) Citters, 1-11 gennaio 1689; Ms. Witsen citato da Wagenaar,
    libro LX.
    
    (1273) Halifax, Appunti; Ms. Lansdowne, 255; Clarendon, Diario, 24
    dicembre 1688; Gazzetta di Londra, 31 dicembre.
    
    (1274) Citters, 25 dicembre-4 gennaio 1688-89.
    
    (1275) Nell'originale "Saweyer". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (1276) Colui che fece la obiezione riferita nel testo, ne' libri e
    nelle scritture di que' tempi si trova indicato con le sole
    iniziali. Eachard attribuisce il cavillo a Sir Roberto Southwell. Ma
    io non dubito che Oldmixon dica il vero ponendolo nella bocca di
    Sawyer.
    
    (1277) Storia della Diserzione; Vita di Guglielmo, 1703; Citters, 28
    dicembre-7 gennaio 1688-89.
    
    (1278) Gazzetta di Londra, 3, 7 gennaio 1689
    
    (1279) Gazzetta di Londra, 10, 17 gennaio 1689; Luttrell, Diario;
    Legge, Scritti; Citters, 1-11, 4-14, 11-21 gennaio 1689; Ronquillo,
    15-25 gennaio, 23 febbraio-5 Marzo; Consulta del Consiglio di Stato
    di Spagna, 26 marzo-5 aprile.
    
    (1280) Burnet, I, 802; Ronquillo, 2-12 gennaio, 8-18 febbraio 1689.
    Gli originali di questi dispacci mi furono affidati dalla cortesia
    della defunta Lady Holland e dal vivente Lord Holland. Dell'ultimo
    dispaccio citerò poche parole: "La tema de S. M. Britanica à seguir
    imprudentes consejos perdió á los Catolicos aquella quietud en que
    les dexó Carlos Segundo. V. E. asegure à su Santidad que mas sacaré
    del Principe para los Catolicos que pudiera sacar del Rey."
    
    (1281) Il dì 13-23 dicembre 1688 lo Ammiraglio di Castiglia in
    questa guisa espresse la propria opinione: "Esta materia es de
    calidad que non puede dexar de padecer nuestra sagrada religion ó el
    servicio de V. M.; porque si el Principe de Orange tiene buenos
    succesos, nos aseguraremos de Franceses, pero peligrarà la
    religion." Il Consiglio il dì 16-26 febbraio si mostrò assai
    soddisfatto d'una lettera del Principe, nella quale questi
    prometteva "que los Catolicos que se portaren con prudencia no sean
    molestados, y gocen libertad de conscientia, por ser contra su
    dictamen el forzar, ni castigár por esta razon a nadie..."
    
    (1282) Nel capitolo di La Bruyère intitolato "Sur les Jugemens"
    trovasi un luogo che è degno di essere letto, come quello che mostra
    il modo onde un Francese di merito insigne ravvisava la nostra
    Rivoluzione.
    
    (1283) La narrazione che ho fatta delle accoglienze ch'ebbero in
    Francia Giacomo e sua moglie, è desunta principalmente dalle lettere
    di Madama di Sévigné, e dalle Memorie di Dangeau.
    
    (1284) Albeville a Preston, 23 novembre-3 dicembre 1688, nella
    Collezione di Mackintosh.
    
    (1285) "Tishier un Hosanna: maar 't zal veelligt haast Kruist hem
    Kruist hem zin." Ms. Witsen presso Wagenaar, lib. LXI. È pure strana
    coincidenza che pochissimi anni avanti, Riccardo Duke, poeta Tory,
    un tempo rinomato, ma adesso appena rammentato tranne nello schizzo
    biografico fattone da Johnson, aveva, rispetto a Giacomo, adoperata
    la medesima immagine. "Il grido della plebaglia giudaica de' tempi
    antichi non era prima Osanna e poi Crucifige?" La Rivista. Dispaccio
    degli Ambasciatori straordinarii Olandesi, 8-18 gennaio 1689;
    Citters, alla stessa data.
    
    (1286) Gazzetta di Londra, 7 gennaio 1688-89.
    
    (1287) Nell'originale "Holxrood". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (1288) Sesta Collezione di Scritture, 1689; Wodrow, III, xii, 4,
    App. 150, 151; Burnet, I, 801.
    
    (1289) Perth a Lady Errol, 29 dicembre 1688; a Melfort, 21 dicembre
    1688; Sesta Collezione di Scritture, 1689.
    
    (1290) Burnet, I, 805; Sesta Collezione di Scritture, 1689.
    
    (1291) Nell'originale "Wihg". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (1292) Albeville, 9-19 novembre 1688.
    
    (1293) Vedi lo scritto intitolato: Lettera ad un membro della
    Convenzione, e la Risposta, 1689, Burnet, I, 809.
    
    (1294) Lettera ai Lordi del Consiglio, 4-14 gennaio 1688-89;
    Clarendon, Diario, 9-19 gennaio.
    
    (1295) E' pare incredibile che alcuno si potesse lasciare sedurre da
    codeste stramberie. Però reputo opportuno citare le stesse parole di
    Sancroft che sono fino a noi pervenute, scritte di sua propria mano.
    
    "La capacità ed autorità politica del Re, e il suo nome nel Governo,
    sono perfetti e non possono errare; ma la sua persona essendo umana
    e mortale, e non privilegiata sopra le altre creature, è soggetta a
    tutti i difetti e gli errori di quelle. Egli può quindi essere
    inetto a dirigere il Governo, e spendere la pubblica pecunia ec., o
    per assenza, infanzia, demenza, delirio, apatia, infermità casuale o
    naturale, o da ultimo per invincibili pregiudicii di mente,
    contratti e raffermi dalla educazione e dall'abitudine, aggiuntovi
    inalterabili risoluzioni, in materie affatto incompatibili con le
    leggi, la religione, la pace, e la vera politica del Regno. In tutti
    questi casi - io dico - bisogna che esistano uno o più individui
    deputati a supplire a tale difetto, e come vicarii del Re, e per suo
    potere ed autorità dirigano la cosa pubblica. Fatto questo,
    soggiungo che tutte le procedure, le autorizzazioni, le commissioni,
    le concessioni ec., pubblicate come per lo innanzi, sono legali e
    valide ad ogni effetto, e il debito di fedeltà nel popolo rimane lo
    stesso, i suoi giuramenti ed obblighi non sono in nulla
    impediti..... Finchè il Governo procede per autorità e in nome del
    Re, tutti quei sacri vincoli e quelle forme di procedura stabilite
    sono mantenute, e la coscienza di nessuno non sarà gravata di cosa
    alcuna ch'egli avesse scrupolo ad intraprendere." - MS Tanner;
    Doyly, Vita di Sancroft. Non era al tutto irragionevole che lo stile
    del buon Arcivescovo facesse ridere i cortigiani di Giacomo.
    
    (1296) Evelyn, 15 gennaio 1688-89.
    
    (1297) Clarendon, Diario, 24 dicembre 1688; Burnet, I, 819; Proposte
    umilmente offerte a pro della Principessa d'Orange, 28 gennaio,
    1688-89.
    
    (1298) Burnet, I, 389, e le annotazioni del Presidente Onslow.
    
    (1299) Evelyn, Diario, 26 settembre 1672, 12 ottobre 1679, 13 luglio
    1700; Seymour, Sguardo su Londra.
    
    (1300) Burnet, I, 388, e le annotazioni del Presidente Onslow.
    
    (1301) Citters, 22 gennaio-1 febbraio 1689; Dibattimenti di Grey.
    
    (1302) Giornali dei Comuni, e dei Lordi, 22 gennaio 1688-89;
    Citters, e Clarendon, Diario, alla medesima data.
    
    (1303) Giornali dei Lordi, 25 gennaio 1688-89; Clarendon, Diario,
    23, 25 gennaio.
    
    (1304) Nell'originale "franteso". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (1305) Giornali de' Comuni, 28 gennaio 1688-89; Grey, Dibattimenti;
    Citters, 29 gennaio-8 febbraio. Se la relazione che si vede nei
    Dibattimenti di Grey è esatta, bisogna che Citters fosse male
    informato rispetto al Discorso di Sawyer.
    
    (1306) Giornali de' Lordi e de' Comuni, 29 gennaio 1688-89.
    
    (1307) Clarendon, Diario, 21 gennaio 1688-89; Burnet, I, 810; Doyly,
    Vita di Sancroft.
    
    (1308) Vedi l'Atto di Uniformità.
    
    (1309) Stat. 2 Hen. 7, c. 1: Lord Coke, Instituta, parte III, cap.
    1; Processo di Cook accusato d'alto tradimento, nella Collezione dei
    Processi di Stato; Burnet, I, 813, e l'annotazione di Swift.
    
    (1310) Giornali dei Lordi, 29 gennaio 1688-89; Clarendon, Diario;
    Evelyn, Diario; Citters; Eachard, Storia della Rivoluzione; Burnet,
    I, 813; Storia del ristabilimento del Governo, 1689. Il numero de'
    votanti pro e contra non è notato ne' Giornali ed è variamente
    riferito da varii scrittori. Ho seguito Clarendon il quale si diede
    lo incomodo di fare le liste della maggioranza e della minoranza.
    
    (1311) Grey, Dibattimenti; Evelyn, Diario; Vita dell'Arcivescovo
    Sharp scritta
    
    da suo figlio; Apologia per la Nuova Separazione, lettera al Dottore
    Giovanni
    
    Sharp Arcivescovo di York, 1691.
    
    (1312) Giornali dei Lordi, 30 gennaio 1688-89; Clarendon, Diario.
    
    (1313) Dartmouth, annotazione a Burnet, I, 393. Dartmouth dice che
    l'Olandese rammentato nel testo era Fagel. È uno sbaglio di penna
    perdonabilissimo in una postilla marginale notata in fretta; ma
    Dalrymple ed altri non avrebbero dovuto ricopiare un errore così
    palpabile. Fagel morì in Olanda il dì 5 dicembre 1688 mentre
    Guglielmo era a Salisbury e Giacomo a Whitehall. Suppongo che
    l'Olandese fosse o Dykvelt, o Bentink, o Zulestein, e più
    probabilmente Dykvelt.
    
    (1314) Sì la preghiera che il sermone di Burnet si trovano tuttora
    nelle nostre grandi Biblioteche, e compensano lo incomodo di
    leggerli.
    
    (1315) Giornali dei Lordi, 31 gennaio 1688-89.
    
    (1316) Citters, 5-15 febbraio 1689; Clarendon, Diario, 2 febbraio.
    Questo fatto è grandemente esagerato nell'opera intitolata: Politica
    della Rivoluzione, libro assurdissimo, ma di qualche utilità come
    ricordo delle stolte dicerie di que' tempi. Grey, Dibattimenti.
    
    (1317) La lettera di Giacomo in data del 24 gennaio-3 febbraio 1689,
    si trova in Kennet. Clarke nella Vita di Giacomo di malissima fede
    l'ha smozzicata. Vedi Clarendon, Diario, 2, 4 febbraio; Grey,
    Dibattimenti; Giornali dei Lordi, 2, 4 febbraio 1688-89.
    
    (1318) È stato asserito da varii scrittori, e fra gli altri da Ralph
    e da M. Mazure che Danby firmò la protesta. Ciò è un errore.
    Probabilmente alcuno che consultò i Giornali prima che fossero
    stampati lesse Danby invece di Derby; Giornali dei Lordi, 4 febbraio
    1688-89. Evelyn, pochi giorni innanzi, scrisse per isbaglio Derby
    invece di Danby. Diario, 29 gennaio 1688-89.
    
    (1319) Burnet, I, 819.
    
    (1320) Clarendon, Diario, 1, 4, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14 gennaio
    1688-89. Burnet, I, 807.
    
    (1321) Clarendon, Diario, 5 febbraio 1688-89; Difesa della Duchessa
    di Marlborough; Mulgrave, Racconto della Rivoluzione.
    
    (1322) Burnet, I, 820. Burnet afferma di non avere raccontati gli
    eventi di questi torbidi tempi secondo l'ordine cronologico. Sono
    stato quindi costretto a riordinarli indovinando; ma penso di male
    non m'apporre supponendo che la lettera della Principessa d'Orange a
    Danby arrivasse, e il Principe dichiarasse il proprio intendimento,
    tra il giovedì 31 gennaio, e il mercoledì 6 febbraio.
    
    (1323) Mulgrave, Racconto della Rivoluzione. Nelle tre prime
    edizioni questo fatto fu da me narrato inesattamente. In gran parte
    la colpa fu mia, ma in parte fu anche di Burnet, il quale usando
    trascuratamente la parola egli m'indusse in inganno. Burnet, I, 818.
    
    (1324) Giornali dei Comuni, 6 febbraio 1688-89.
    
    (1325) Nell'originale "appplicarsi"
    
    (1326) Vedi i Giornali de' Lordi, e quei de' Comuni, 6 febbraio
    1688-89, e la Relazione della Conferenza.
    
    (1327) Giornali de' Lordi, 6 febbraio 1688-89; Clarendon, Diario;
    Burnet, I, 822, e l'annotazione di Darmouth; Citters, 8-18 febbraio.
    Quanto al numero mi sono attenuto a Clarendon. Alcuni scrittori
    dicono la maggioranza essere stata più piccola, altri più grande.
    
    (1328) Giornali de' Lordi, 6, 7 febbraio 1688-89; Clarendon, Diario.
    
    (1329) Giornali dei Comuni, 29 gennaio, 2 febbraio 1688-89.
    
    (1330) Giornali de' Comuni, 2 febbraio 1688-89.
    
    (1331) Grey, Dibattimenti; Burnet, I, 822.
    
    (1332) Giornali de' Comuni, 4, 8, 11, 12 febbraio; Giornali dei
    Lordi, 9, 11, 12 febbraio 1688-89.
    
    (1333) Gazzetta di Londra, 14 febbraio 1688-89; Citters, 12-22
    febbraio.
    
    (1334) Difesa della Duchessa di Marlborough; Rivista della Difesa;
    Burnet, I, 781, 825, e l'annotazione di Dartmouth; Evelyn, Diario,
    21 febbraio 1688-89.
    
    (1335) Giornali dei Lordi, e dei Comuni, 14 febbraio 1688-89;
    Citters, 15-26 febbraio. Citters pone in bocca a Guglielmo più forti
    espressioni di rispetto per l'autorità del Parlamento di quelle che
    si leggono nei Giornali; ma dal detto di Powle risulta che la
    relazione contenuta nei Giornali non era rigorosamente esatta.
    
    (1336) Nell'originale "Cros". [Nota per l'edizione elettronica
    Manuzio]
    
    (1337) Gazzetta di Londra, 14 febbraio 1688-89; Giornali dei Lordi e
    dei Comuni, 13 febbraio; Citters, 15-26 febbraio; Evelyn, 21
    febbraio.