ENIMMA DI DAVID
Io sono, e chi egli sia nol so, ma sono
Colui che essere dovrò chi ero in prima.
Ma prima me non conoscevo me stesso,
Ma or che conosco me, non so chi egli ero,
E colui ch'era in me, non è più meco.
Perchè or son Seco a chi con me prim'era,
Ed essendo Seco, opro con Seco,
Ed egli opra con me, come opro in lui,
E lui opra con me come in sè stesso,
Per cui me stesso opro in voler di lui.
IL MESSAGGERO CELESTE
Arrivato in maremma mio padre mi confidò due giumenti da
soma e m'incaricò di trasportare il legname in un dato
sito, detto Macchia Peschi. Io allora appena sapevo leggere. La
sera andavo ad alloggiare in una capanna di mandriani. Mio padre e
mio fratello maggiore erano in altro luogo, distante circa nove
miglia da me, occupati al medesimo lavoro.
Un giorno, era la mattina del 25 aprile 1848, cadeva una leggera
pioggia e vi era una nebbia così fitta che non si vedeva un
uomo a dieci passi di distanza. Me ne stavo assiso sotto un'elce
aspettando che la nebbia si dissipasse per caricare i miei
giumenti e potermi dirigere sicuramente attraverso la macchia. In
questo stato mi misi a considerare le mie deluse speranze. Subito
il mio cuore provò sì gran dolore che cominciai a
singhiozzare e un diluvio di lagrime inondò il mio viso e
amaramente compiangevo il mio infelice stato. Mentre mi ero
abbandonato al mio dolore, intesi uno strepito poco lontano
venendo dalla parte della macchia. Colpito dallo strepito, subito
mi alzai: io temevo qualche lupo, poichè mi avevano detto
che in quel luogo vi erano. A traverso la nebbia mi misi ad
esaminare da qual parte della macchia venisse il rumore, e vidi
avanzarsi verso di me un religioso che conduceva a mano un muletto
bianco. Lo salutai ed egli gentilmente corrispose al saluto e
cominciò a parlare in tal guisa: «Il vostro incontro,
o giovinetto, mi è piacevolissimo; oggi siamo fra le
tenebre». Poi mi domandò, se lì vicino eravi
una strada che conduceva a Montepò, dominio dei signori
Saccardi di Siena. Io gli indicai un piccolo sentiero, dicendogli
che poteva sicuramente seguirlo senza pericoli di perdersi. Questo
religioso aveva una statura media: portava una tonaca grigia e un
cappuccio gli copriva la testa: la sua barba era nera e riccia
come i capelli.
Era di color bruno e gli occhi erano sì vivi che gli davano
l'aria di un gran personaggio. Egli si mise a considerarmi dalla
testa fino ai piedi, e vedendo che mi riguardava in tal modo,
rimasi immobile di stupore senza proferir parola; io pensai che si
era accorto delle lagrime da me versate, ed infatti non si era
ingannato. Dopo avermi bene osservato in silenzio, mi
domandò che cosa facevo da solo in quel deserto. Gli
mostrai i miei giumenti da soma e gli raccontai tutte le mie
occupazioni giornaliere.
Egli ascoltò con benevolenza la storta dei miei guai e mi
disse: «Povero fanciullo, sì giovane ancora e
già sottoposto a lavori sì gravi! Voi mi fate
pietà, ma ditemi, avete voi pianto?» A queste parole
il mio cuore si sentì commosso; non potei rispondergli,
mentre le lagrime cadevano dai miei occhi. Il frate vedendo che
non gli rispondevo, soggiunse: «Coraggio, mio figlio, non vi
date in preda a coteste afflizioni, vi compatisco. Dovete sapere
che questo mondo è pieno di dolori e di lagrime. Felici
coloro che si rassegnano alla volontà di Dio». O buon
religioso, così mi diceva una volta un eccellente maestro
che ho avuto la disgrazia di lasciare. Egli allora mi pregò
di raccontargli minutamente tutta la mia vita: Egli mi
ascoltò con molta attenzione dimostrandomi tenera
compassione. Egli rimase qualche tempo pensoso e muto: poi cavando
da una tasca del suo abito una medaglia usata di ottone con un
nastro verde a tre cordoni, me la fece baciare e me la mise al
collo. Poi cominciò a raccontarmi quanto è potente
la devozione alla SS.ma Vergine Maria, dicendomi in fine:
«Pregate sempre con grande confidenza la madre di Dio e
sappiatevi rassegnare alle pene della vita. La santa Vergine vi
aiuterà nel corso della vita e nell'ora della morte. Siate
fedele a santificare il sabato, giorno dedicato a Lei e più
tardi vedrete i felici effetti». Allora prendendo la mia
destra mano, mi disse ancora: «O giovane, mettete in pratica
tutto ciò che vi ho detto. Se noi non c'incontreremo
più in questo deserto, ci ritroveremo altrove; addio. La
vostra vita è un mistero; un giorno lo saprete.
Verrà un tempo che voi sarete l'ammirazione dei grandi
della terra. Non racconterete ad alcuna persona vivente il nostro
incontro, altrimenti non potreste vedere gli ammirabili risultati.
Di nuovo, addio». Sì dicendo mi strinse sì
fortemente la mano, che mi costrinse a mandare un grido.
All'istesso istante mi lasciò, conducendo a mano il suo
muletto, prendendo la strada indicatagli. Mi disparve subito dagli
occhi fra la nebbia, e nulla più vidi.
Partito il Frate, sentii i brividi in tutte le parti del corpo.
Ciò era, io credo, l'effetto della paura che ebbi, quando
esso mi strinse sì fortemente che rimasi tutto sbalordito e
pieno di confusione. Dopo un quarto d'ora cessarono i brividi, ma
provai dei mali alla testa molto violenti e mi venne una febbre
sì forte, che mi fu impossibile di muovermi. Mi coricai al
piede dell'albero indicato e mi coprii con una cappotta che avevo.
Ma di tempo in tempo fui costretto ad alzarmi per bere dell'acqua
onde smorzare la sete che mi dava la febbre, e andavo presso un
piccolo ruscello poco distante. Grazie a Dio, la febbre
calmò un poco, la nebbia si dissipò, ed io caricai i
miei giumenti e andai alla capanna dei mandriani e quì
alloggiai.
Appena quì giunto, una buona vecchia che ivi dimorava,
vedendomi il viso pallido e abbattuto, mi domandò cosa
avevo. Risposi che mi sentivo poco bene, ma non azzardai di dire
ciò che mi era accaduto; e mi gettai sul letticciolo
estenuato dalla febbre che non era del tutto cessata.
Il giorno appresso un'ora più tardi di sera sentii i
medesimi brividi, poi il calore alla testa e quindi una febbre
più forte. La vecchia vedendomi in questo stato, a mia
insaputa, fece chiamare mio padre, il quale la mattina seguente
venne alla capanna. Vedendomi sì contraffatto per le febbri
avute, molto si afflisse e mi domandò la causa del male.
Gli dissi come mi era ammalato, ma tacqui su ciò che mi era
avvenuto col frate.
Appena che la febbre mi lasciò, mio padre mi condusse a
Polveraia, un villaggio distante 5 o 6 miglia dalla mia capanna.
Là mi riprese per la terza volta la febbre e fu l'ultima.
Era il 27 aprile. Dopo avermi raccomandato alla padrona
dell'albergo e al medico del Villaggio, mio padre mi
lasciò: pochi giorni appresso ripresi il mio lavoro che
terminai il 24 giugno.
Ritornai in montagna con mio padre e con mio fratello maggiore, ma
mi ero talmente dimagrito che mia madre e il mio buon maestro non
mi riconoscevano più. Nell'estate ebbi una lunga e seria
malattia della quale non guarii che nella seguente primavera.
Appena fui guarito, mio padre mi condusse di nuovo a lavorare in
maremma e per più anni dovetti rassegnarmi a menare
sì misera vita, cosicchè abbandonai l'idea di farmi
religioso.
LA TERRA DEI GRANDI
La mattina del 25 Aprile 1868, ritornato da Siena, dove ero andato
pe' miei interessi, fui assalito, appena entrato in casa, da un
brivido che poco mi durò, ma mi venne un calore alla testa
che si calmò e appresso risentii un violento accesso di
febbre che mi durò fino alle sei di sera. Per
l'abbattimento patito mi addormentai d'un profondo sonno, nel
quale ebbi la seguente visione:
Mi sembrava di essere sulla riva del mare a poca distanza di una
folta foresta. Le onde del mare erano sì furenti che
sembrava volessero sommergere tutta la terra. Le acque agitate
dalla tempesta erano sì torbide come quelle di un fiume
dopo una lunga pioggia. Io osservava con spavento questo maestoso
spettacolo, allorchè in mezzo delle onde furiose mi accorsi
che veniva verso la sponda una piccola barca agitata dai cavalloni
che da un momento all'altro pareva che la volessero inghiottire.
Io pregavo il cielo per questa povera barca, poichè temevo
che qualche passeggero si trovasse dentro. Io non m'ingannavo.
Allorchè la barca fu giunta alla sponda, mi accorsi che in
essa stava a sedere un vecchio che teneva tra le mani un solo
remo. Pertanto egli era tranquillo e pieno di maestà come
se fosse stato seduto sopra ad un trono.
Benchè il vento la respingeva in alto mare, pure la barca
giunse alla riva. Mi appressai per vedere chi era quest'uomo e
vidi che la barca e il remo erano di bronzo. A questa vista il mio
stupore si raddoppiò. Io salutai il vecchio nocchiere che
rispose al saluto con profondo inchino, ma senza parlare. Esso era
vestito da una lunga tonaca nera con una cintura di cuoio bianco,
ed aveva i sandali legati al collo del piede con una striscia di
cuoio del medesimo colore. Le gambe erano nere, ed aveva la testa
coperta da un berretto di color rossastro, sembrava un turbante.
Portava una lunga barba nera e riccia come i suoi capelli. Aveva
il colore abbronzato; e i suoi occhi vivi, mi richiamavano a
memoria la fisonomia del frate che vent'anni avanti mi aveva
parlato nel deserto.
D'un salto si slancia fuori della navicella, e pianta sulla sabbia
il suo pesante remo di bronzo che profonda più di mezzo
braccio. Poi prende una corda di color celeste fissata alla parte
di prua, e l'attacca al remo. Cosa sorprendente, per me! ogni
volta che la barca si moveva galleggiando per le onde agitate,
questa corda produceva un suono simile a quello di un'arpa.
Allorchè il vecchio ebbe legata la corda al remo mi
parlò in questi termini essendo stati ambedue in silenzio –
Oggi l'Inferno è tutto in commozione, ma la sua collera si
frangerà contro la forza di colui che regna. – Sì,
sì, mio buon vecchio gli dissi, Dio solo ha potuto salvarvi
da questa spaventosa tempesta. Si direbbe che realmente l'inferno
si è scatenato.– L'inferno sarà scatenato, mio buon
giovane, mi rispose, ma invano ruggisce contro la potenza di Colui
che regna.
L'uomo che confida in Lui, non perisce giammai. –
Egli pronunziò queste parole con tanta forza e
maestà che la sua voce rimbombò per tutta la
spiaggia del mare, e fece l'eco del deserto. Io rimasi sì
sorpreso, e stupefatto, che non seppi dire più nulla. Egli
pronunciò ancora qualche parola a voce bassa di cui non
potei comprendere il senso.
Intanto riprendendo un po' di coraggio, gli domandai da dove
veniva. Egli rispose: Io vengo dalla terra dei grandi; io
quì son venuto per illuminare coloro che sono caduti nelle
tenebre, e sono mandato da Colui che presiede alla forza di tutto
il mondo. Rammentati che io un giorno ti trovai tra le tenebre del
deserto, e ti dissi che la tua vita era un mistero. Tu mi potrai
riconoscere, come io stesso conobbi te. –
– Ah sì, mio buon vecchio, dissi, appena vi ho scorto nella
navicella, ho riconosciuto la vostra fisonomia; io solamente sono
rimasto dubbioso pel cangiamento della vostra veste. – Sappi,
riprese, che l'abito non cangia persona. Ora come ti promisi, ci
siamo ritrovati; tu mi hai creduto; la tua fede merita la mia
amicizia. – E per darmi una testimonianza mi prese la mano destra
dicendomi: – Osserva tutto e non temer di nulla. – Appena egli
ebbe pronuziato queste parole, si fece sentire un grido terribile.
Preso da spavento, strinsi tra le braccia il buon vecchio, che mi
esortò ad aver coraggio e a nulla temere: ma egli
ciò fece in tal modo, che le sue parole sembravano
piuttosto un ordine che preghiera.
Alzai gli occhi e vidi venire verso di noi, sulle onde del mare un
mostro marino a tre teste. Quella di mezzo aveva tre corna, le
altre ne avevano due, e queste corna erano sì brillanti che
abbagliavano gli occhi. Il mostro si avanza presso la barca, e il
timore maggiormente m'invade. Il vecchio che se ne accorge, m'
incoraggia dicendomi che il di lui furore sarebbe tosto abbattuto.
Questo mostro era di una grandezza enorme; aveva quattro piedi
come quelli di un elefante, e il corpo come quello del porco.
Dalla schiena in giù prendeva la forma di un serpente di
smisurata grandezza colla coda piegata sul dorso.
Mentre il mostro si avvicinava alla spiaggia, si ode un ruggito
dalla parte della foresta. Volgo i miei sguardi verso questa
parte, e vedo un leone che si avanza a passi lenti andando
incontro al mostro marino. Questo, scorto il leone, si slancia dal
mezzo delle acque spumanti, e si trova in faccia al formidabile
avversario. Allora comincia una lotta terribile: il mostro manda
fuori latrati assordanti, ma il leone resta calmo, lo combatte con
valore, fino che l'orribile mostro cade atterrato sulla spiaggia
del mare. Era appena abbattuto l'orrido mostro che si vede uscire
dalla foresta una tigre che viene ruggendo per gettarsi sopra il
leone. Il Re dei deserti senza timore e senza collera attacca la
tigre che combatte lungamente ma infine cade morta, vicino al
mostro marino.
Nell'istesso istante si vede uscire nuovamente dalle onde furiose
del mare un orso marino i di cui muggiti acuti rassomigliano al
rumore del tuono quando ripercuote il suono delle foreste e sulle
spiagge dell'oceano. Si scaglia sul leone e combatte con furore,
ma ben tosto esso ancora cade vittima del suo pacifico nemico.
Mentre l'orso marino spirava sulla sabbia, una pantera piena di
rabbia e di furore esce dalla foresta e si scaglia egualmente
sull'invincibile leone. Questo si mette in guardia, e attacca
questo nuovo nemico e dopo un combattimento lungo ed accanito, la
feroce pantera cade parimente stramazzata al suolo.
Allora si vede nuovamente uscire dai flutti del mare un orribile
lupo marino la cui enorme bocca lasciava vedere due file di lunghi
denti, i di cui muggiti facevano fremere fino alle ossa. Esso pure
osa misurarsi col leone, ma esso prova la stessa sorte che le
altre.
Quando il lupo marino cadeva in questa lotta gigantesca, si vide
uscire dalla foresta una iena terribile. Essa comincia a mandar
fuori urli acuti e a girare intorno al leone, che si guarda da
ogni parte per non farsi sorprendere. Improvvisamente balza sopra
il leonee lo prende pel collo.
L'invincibile animale scuotendosi con forza, si svelle dalla sua
stretta e la getta a rovescio sulla sabbia distante da lui sei o
sette piedi. La iena si rialza, e resa più feroce per
questa disfatta, si slancia alla faccia del leone, ma questi le
dà una zampata sulla testa e la stende cadavere accanto
delle altre bestie feroci. La lunga durata del combattimento mi
aveva fatto dubitare dell'esito finale dell'invincibile leone il
quale in fine rimase vittorioso di questi sei suoi terribili
nemici.
Stanco per questa lunga lotta il leone, si sdraia sulla sabbia
accanto alle sei vittime e si addormenta. Allora vidi distaccarsi
dalla volta del cielo un raggio di luce simile all'arcobaleno: io
la vidi risplendere sulla testa del Leone addormentato, e formarvi
un'abbagliante nuvola della sua chiarezza divina. Nello stesso
momento dalle quattro parti principali del mondo si alza un vento
così impetuoso che sembra voglia schiantare tutta la vicina
foresta: alla fine questo vento si cangia in un uragano
devastatore: esso comincia a sollevare la sabbia e si precipita
là dove sono i sei cadaveri delle bestie feroci: in un
colpo d'occhio li disperde traverso le acque e la sabbia. Cessa
l'uragano, il leone si sveglia si alza sopra la sabbia, e manda
quattro ruggiti volgendosi verso i quattro punti cardinali, e
manda l'ultimo verso la parte d'Oriente. Una folta nuvola si alza
dal mare e cadendo sopra il leone lo ricopre e lo fa sparire ai
nostri occhi. Poi spira da Ponente un venticello che dissipa la
nuvola e il leone non si vede più.
Cessa ancora la tempesta del mare e in un momento le acque
ritornano pure e limpide, e il cielo si mostra azzurro e calmo
come un bel giorno di primavera.
Il vegliardo ed io che avevamo ammirato in silenzio questa
terribile scena, ci guardammo ambedue, come se fossimo due statue
immobili. Il vegliardo per primo ruppe il silenzio e mi disse
queste parole: «Hai tu osservato le diverse fasi di questa
scena, e come il pacifico leone sia invincibile? Le sei bestie
feroci piene di rabbia e di furore sono state vinte in una sola
volta, e la luce divina ha voluto coronare la sua vittoria. Questo
pure è un mistero, di cui più tardi avrai la
rivelazione. Intanto seguimi nella mia navicella: ora il mare
è tranquillo; quindi nulla evvi da temere». E
prendendomi per mano mi aiuta a salire. Poi ritira il remo dalla
sabbia, e sale anche lui nella barca. Si pose a sedere in mezzo,
come per lo innanzi tenendo nella destra il pesante remo col quale
di tempo in tempo faceva camminare la fragile imbarcazione.
Noi rimanemmo l'uno e l'altro qualche istante senza parlare ma mi
feci coraggio e gli dissi «Ascoltatemi, mio buon vecchio, se
la mia vita è un mistero, io non voglio domandarmi la
rivelazione di cose sì grandi, ma desidererei sapere dove
mi conducete, chi siete, e come è che questa barca e questo
remo sono di bronzo, mentre tutte le altre sono di legno».
«Tu saprai ch'io sono, mi rispose, quando avrai eseguito una
missione. Seguimi nella mia navicella e non temere. È vero
che questa è di bronzo, e tutte le altre sono di fragile
legno. Sappi che invano il mare rugge contro di essa, mentre il
suo urto contro tutte le altre barche più piccole o grandi
è irresistibile. Colui che l'ha fabbricata, è il
più abile architetto dell'universo e sappi che mai è
stata fatta una simile a questa. Innumerevoli sono coloro che
hanno tentato di farle uguali, ma sempre invano. Si sono fatte e
si fanno ancora ma appena gettate sulla superficie delle acque, o
sono state sommerse alla prima tempesta, o sono state distrutte al
primo urto della mia».
Durante questo discorso del vecchio, noi avevamo percorso una
grande estensione di mare e da ogni parte che volgevo gli sguardi,
non vedevo che cielo e acqua.
«Quì, disse il buon vecchio, bisogna esaminare da
qual parte dobbiamo andare. Noi siamo venuti dalla parte di
ponente, dunque bisogna dirigersi dalla parte di levante». E
la barca che era volta verso mezzogiorno, fu diretta verso
levante. Dopo aver navigato lungamente, scorgemmo vicino a noi una
penisola.
Il vecchio indicandomela col dito, mi disse: «Là
dobbiamo sbarcare». Io gli domandai come si chiamava questa
terra ed egli rispose: «Questa è la terra dei
grandi».
«Il suo nome?»soggiunsi io. «Il suo nome era
quello del Lazio, io non saprei dirti come si chiama ora,
perchè le false dottrine che la infestano sono
innumerevoli». Non volli più forzarlo a rispondere,
perchè vidi che appena rispondeva.
Poco tempo dopo approdammo nella penisola all'imboccatura di un
fiume che discendeva dalla parte di levante. Sopra a ciascuna riva
del fiume si alzavano ridenti colline coperte dai più belli
frutti della terra e da fiori di ogni specie. Il vecchio
rivolgendosi verso di me disse: «Noi siamo giunti», e
prendendo la corda di color celeste esce dalla barca e l'attacca
al tronco diuno dei cedri che bagnavano le acque del fiume.
Quest'albero era di una sì smisurata grandezza che, secondo
me, non esiste uno simile in tutto l'universo. Esso era talmente
carico di frutti, che era una meraviglia a vederlo.
Discesi ambedue dalla navicella, prendemmo un viale dalla parte di
Nord. Là vi era un giardino, che nulla aveva di terrestre.
Infatti rimasi incantato nel vedere un luogo sì bello,
sì pieno di frutti e di fiori, che esalavano un odore
così soave da non paragonarsi a tutti i profumi della
terra. Giunto in fondo di questo viale, vidi un bellissimo prato
in mezzo al quale zampillavano tre fontane, formando un triangolo,
e lontane l'una dall'altra da dodici a quindici metri. In mezzo al
triangolo era un gran masso di pietra, simile a un deposito
formato dalle acque. Mi ci misi a sedere, e vidi che le tre
fontane facevano tre limpidi ruscelli che si riunivano e formavano
una sola corrente. Il vecchio rimase ritto avanti a me. Allora mi
misi a considerare lo scoglio e vidi che erano scritte queste
parole – Iudicium Dei. Hic vir pulvis est. – Mentre leggevo questa
iscrizione, il vecchio poco a poco si era allontanato da me.
Ritornò al posto dopo un momento, portando nelle sue mani
due pomi grossissimi. Sedette vicino a me alla destra, e mi diede
uno di quei pomi, dicendomi di mangiarlo, come lui pure lo
mangiò. Il sapore di questo pomo era tutto differente da
quello dei pomi della terra. Era veramente squisito. Questo pomo
aveva la forma di un granato, e i grani che conteneva erano come
piccoli confetti di varii colori. Allorchè ne ebbi
mangiato, provai una sete incredibile. Mi alzai e andai a bere
alla fontana che era alla mia destra, la di cui acqua aveva un
sapore squisitissimo. Questo pomo e quest'acqua mi avevano, per
così dire, fatto rinascere a novella vita. Il vecchio aveva
fatto come me. Ritornai a sedere sullo scoglio, e il vecchio si
mise di nuovo avanti a me, e così mi parlò. – Ti
ripeto ancora, la tua vita è un mistero, un dì ti
sarà rivelato. Ora conviene che tu compia la tua missione.
– Io sono pronto a far tutto ciò che vorrete, gli risposi.
All'opra dunque, – aggiunse. Mi fece alzare e pronunciò una
parola che non potei comprendere. Nello stesso tempo una specie di
coperchio si alza sopra lo scoglio, e il vecchio mettendo la mano
destra, tira fuori un grosso volume. Egli pronuncia un'altra
parola, lo scoglio si richiude, e riprende la stessa posizione di
prima.
A questo spettacolo, rimango stupefatto, credendo di essere in
qualche luogo d'incanto. Preso da timore, seggo una terza volta
sullo scoglio, e il vecchio si mette ritto davanti a me, ma in
un'attitudine e maestà, che io non potei riguardarlo senza
tremare. Egli aprì il libro, il di cui colore era turchino,
e nel dorso erano scritte in lettere di fuoco le due prime parole
incise sullo scoglio e cominciò a parlare in questi
termini.
– Da venti anni io veglio sopra di te, ed ho appreso da questo
volume che ti sei reso degno di una sì grande Missione.
Ciò che ti ha fatto grande avanti agli occhi della
Giustizia, è la devozione verso Maria Vergine, prima guida
di sapienza al cielo e sulla terra. Rammentati di ciò che
ti dissi nel deserto, e ascolta ciò che ora ti dico.
– Vedi tu queste tre sorgenti? Qui è racchiusa la giustizia
del cielo e della terra. Qui sono stati fabbricati la barca, il
remo e la corda che li sostiene. Qui abita il pacifico e
l'invincibile leone. Qui in fine è racchiusa la bellezza
del mondo. Sappi che tutta la razza dei mostri del mare, e tutta
la ferocia delle bestie crudeli della terra soccomberanno sotto la
forza dell'invincibile leone. L'inferno unito con essi non
potrà prevalere contro la potenza di Colui che regna. –
Egli stette qualche momento pensoso, poi fissando gli occhi sul
libro continuò così.
– Per seguire la volontà di Colui che regna, e di me che ti
parlo, tu andrai a Roma e rivelerai tutte queste cose a Colui che
presiede sulla terra alla giustizia del cielo e della terra. Non
ti arrestare per timore, nè per rifiuto degli uomini,
nè della sua Corte, perchè essi dipendono da me. Non
temere alla loro voce perchè tu comprenderai risuonare in
essa l'eco della mia: parla francamente, e in atto naturale. Io
sarò con te. In mezzo alla Corte cerca Colui che presiede
al mio posto, tu lo saluterai col nome di Grande. Parlandogli,
guarda che nessuno ti ascolti. Gettati ai suoi piedi, e domandagli
di esporre la tua missione. Se tu non sei ascoltato, ritirati in
un Convento della provincia di Roma, presso Montorio Romano, e
ricorri alla preghiera e all'astinenza. Fuggi tutte le
società degli uomini, eccetto il religioso che dimora
presso questo convento, e che ti farò conoscere per
differenti segni. In questo convento tu attenderai al compimento
della tua missione. Allorchè tu sarai ascoltato, ecco
ciò che tu dirai al religioso. Io sono il mandato di Colui
che regna in tutti i luoghi, e vengo per ordine di Colui, di cui
tenete il posto.
Raccontagli le nostre conferenze. Se t'interroga, rispondi alle
sue domande, ma non dare alle tue parole l'aria di mistero. Taci
se egli vuole. Sii dolce e obbediente... Non pensare ad altra
cosa; ti dico – la tua vita è un mistero, che un giorno ti
sarà rivelato. –
Dicendo queste parole egli contemplava il cielo, dove non si
vedeva alcuna nube. In questo momento intesi il rumore di un tuono
sì forte che io mandai un grido di spavento, e subito mi
svegliai. Era l'ora dell'Ave Maria del mattino che intesi suonare
alla mia parrocchia, mentre il rumore del tuono sembrava
risuonarmi alle orecchie. Rivolsi nella mente le diverse
circostanze del sogno fatto, e pensando al frate che mi aveva
trovato venti anni avanti nel deserto, credetti tanto più
volentieri alle di lui parole, poichè tutto ciò che
avevo veduto ed inteso, mi sembrava di averlo veduto ed inteso,
tutto svegliato.
Riconobbi tuttociò un mistero, ma non sapevo a qual partito
appigliarmi. Nello stato di commozione non potei riposare
nè giorno, nè notte. Infine mi decisi di andare a
Roma.
IL FIUME DEL MONDO
Mi sembrava di essere sul lido di un fiume, sì pieno che
traboccava da ogni parte, formando altrettante piccole correnti.
Le acque di questo fiume erano chiare e limpide come il cristallo.
Siccome mi sembrava di essere costretto a traversarlo, così
rimasi tutto meravigliato; quando mi accorsi che dall'altra riva
un giovane mi guardava e di tempo in tempo mi faceva segno di
passare il fiume senza timore. Gli feci comprendere che io temevo
di essere trascinato dalla corrente, benchè le acque erano
limpide. Subito il giovane si slanciò sul fiume e sano e
salvo arriva all'altra sponda. Lo guardo, ed oh meraviglia ! non
era affatto bagnato. Egli portava una veste color di porpora con
un cordone bianco alla cintura. Aveva i sandali uniti al collo del
piede con un nastro turchino: il resto delle sue gambe erano nude;
la sua testa era coperta da un berretto giallo con una penna
bianca che gli cadeva sulla spalla destra. Teneva nella mano
destra una canna color turchino lunga circa due metri. Aveva la
barba bionda, divisa in due parti del mento, i capelli e i baffi
lunghi, ma bene accomodati, gli occhi castagni, il colore naturale
e di alta statura. La sua fisonomia era sì maestosa che lo
credetti il più bello degli uomini. Dopo averlo considerato
attentamente gli dissi: – Come avete potuto passare questo fiume
ed uscire senza essere bagnato affatto? – Come! mi rispose, tu
devi sapere che l'acqua di questo fiume non si attacca che alla
carne e alle vesti immonde. Tu temi passarlo, perchè non
sei perfettamente puro. – Che cosa volete intendere, replicai io?
– Nota bene, mi rispose, tu temi ciò che è limpido e
non temi ciò che è torbido. Le acque chiare mai
depositano immondezze; le torbide insudiciano tutto ciò che
toccano. Tu sei passato tra le acque torbide ed ora temi quelle
che sono limpide. Questo fiume è formato solamente dalle
acque di sorgenti purissime; mai la pioggia e l'uragano lo
intorbidarono.– Io non posso credere ciò che mi dite, gli
replicai di nuovo, perchè tutti i fiumi della terra
s'intorbidano, e come può essere altrimenti? – Questo
succede, mi rispose, perchè le sue acque scaturiscono da
sorgenti del cielo e traversano sempre le spiagge risplendenti e
pure, ove le tempeste sono impotenti, dove mai le acque putrefatte
si mischiano colle acque pure. Questo fiume che mai cangia,
è quello che tu avevi promesso di passare senza timore: ora
perchè ti lasci dominare da viltà, tutta di questo
mondo? Vieni, io te lo farò passare sano e salvo. –
Ciò dicendo, prende la mia destra, si precipita nel fiume
ed io lo seguo. Però io credetti di morire dalla paura, ma
quando mi trovai in mezzo alla corrente, sentii crescere in me il
coraggio, talmente che non mi riconoscevo più, e giunto
all'altra riva mi sembrava essere agile come il giovane.
Lasciandomi la mano egli pronunciò queste parole:
«L'ostacolo è vinto: pensa tu ora a compiere la tua
missione».
Mentre che egli così parla, vidi davanti a me una colonna
di fuoco: sento tremare il suolo sotto i miei piedi, come fosse
agitato dal terremoto e mi sveglio. Era circa a tre ore della
mattina. Fra le tenebre della notte mi sembrava sempre avere
davanti agli occhi questa abbagliante colonna di fuoco. Questa
nuova visione m'immerse più che mai nella riflessione. Per
più giorni indirizzai preghiere alla Santa Madre di Dio per
ottenere la grazia di essere illuminato in qualche modo, ma io
sentivo sempre più rattristarsi il mio spirito. In fine mi
decisi di tornare in Roma.
LA DIVINA PASTORELLA
Tre giorni dopo del mio ritorno da Roma cominciai a provare
qualche malessere. I medici dicevano che avevo una malattia di
cuore: essi non erano lontani dalla verità; poichè
il mio male era la conseguenza della mia passione. Intanto la mia
malattia si aggravava di giorno in giorno, perchè a nessuno
potevo comunicare i miei pensieri, e da nessuno prendere
consiglio.
In misera condizione di nuovo ricorsi alla Madre di Dio, per
ottenere qualche lume, benchè io fossi già persuaso
che mi era impossibile di eseguire la mia Missione, poichè,
se anche avessi potuto penetrare fino al Papa, egli non avrebbe
creduto alle mie parole, come io stesso avevo creduto a ciò
che mi aveva detto il vecchio nel deserto e il giovane nel mio
sogno. Queste riflessioni mi calmarono un poco. Dopo due mesi e
ventun giorno dal mio secondo ritorno da Roma, il giorno 8
settembre alle 8 di sera, sentii i brividi e il calore alla testa
provati altre volte, e subito una febbre mi colpì, che mi
fece delirare.
A mezza notte mi lasciò la febbre e come le altre volte mi
addormentai di un profondo sonno, nel quale ebbi questa terza
visione.
Mi sembrava di essere in un vasto prato, e per tutto, dove volgevo
gli occhi, non vedevo che verdura e cielo calmo e sereno. Il sole
che mi stava sopra alla testa, sembrava essere immobile in mezzo
alla volta del cielo. Da parte di levante giungeva una brezza
leggiera sì soavemente intiepidita dai raggi temperati del
sole, che al mondo non sarebbe cosa più piacevole e
inebriante. Ciò che mi fece provare un sommo stupore, era
che mi trovavo solo in mezzo a questo incantevole prato. Lo
scandagliai da ogni parte cercando scoprire qualche anima vivente
in questo ridente soggiorno, allorchè mi accorsi venire
verso di me dall'Oriente una giovane Pastorella, accompagnata da
un infinito numero di pecore, bianche come la neve.
Tutte queste innocenti bestie avevano coronata la testa di fiori,
e due che camminavano accanto all'amabile Pastorella, portavano un
giglio sulla fronte. Io la guardai con stupore di un incantesimo.
La loro ineffabile bellezza mi rapiva e le contemplavo senza poter
saziare la mia curiosità. Queste pecore avevano piuttosto
la figura umana che di bestie. Giunte a una trentina di passi
vicino a me, si fermarono per guardarmi come io guardavo loro che
ero immobile come una roccia. I fiori che adornavano le loro
corone, esalavano un profumo simile a quello del giardino delle
tre fontane. Una sola veste di più colori copriva la
Pastorella la quale al più piccolo movimento che faceva,
mostrava le diverse ombreggiature dell'arco baleno. Questa veste
era fermata alla vita da un nastro colore azzurro annodato
all'anca destra. Ella portava ai suoi piedi, bianchi come la neve,
i sandali turchini, fermati al collo dei piedi per mezzo di un
piccolo nastro scarlatto. Sopra la sua spalla sinistra aveva un
manto di porpora annodato sulla spalla destra, e sulla testa una
corona di fiori meravigliosissimi e brillanti come le stelle. Una
bionda capellatura lunga e folta, divisa in mezzo alla testa, le
cadeva liberamente fin sotto il petto. Nella destra teneva un
lungo gambo di giglio, sul quale era posata una piccola colomba
del colore della di lei veste. In una parola la di lei bellezza e
l'eleganza delle sue vesti erano sovranaturali, ed è per
questo che non mi stancavo di contemplarla. La salutai come un
essere divino, ed ella mi rese il saluto, abbassando leggermente
la testa e mi fece segno di avvicinarmi. Allora come colui che si
getta nelle braccia di una persona che ama, mi slanciai verso di
essa, ma vano fu il mio sforzo. Mi sentii fermato al mio posto da
una forza misteriosa senza poter conoscere la causa.
La nobile Pastorella vedendo che con tutti i miei sforzi non
potevo avvicinarmi, mi disse queste parole: – Perchè non ti
avvicini, o Giovane, che cosa temi dunque? – Amabile Pastorella,
le dissi, io sento una forza che mi trattiene e invano lotto
contro di essa. – Sì, buon giovane, mi rispose, voi non
v'ingannate, una forza vi trattiene. Voi non scorgete la presenza
del vostro nemico, rivolgetevi e vedrete colui che vi tende
insidie e vi perseguita impedendovi di fare ciò che vi
rende grande davanti a Dio e agli uomini. – A queste parole mi
volto e mi vedo in faccia un orribile serpente: – Gesù e
Maria, gridai, facendo tre passi indietro. – Non temete, disse la
Pastorella. – Ed essa si precipitò come una folgore davanti
al rettile. Questo da sua parte si slancia contro la sua nemica
mandando fuori un sibilo terribile, simile al rumore di un
fulmine. La intrepida Pastorella gli si avvicina e gli conficca
nella spalancata bocca il gambo del suo giglio, mentre la piccola
colomba se ne vola sulla di lei testa. Io volevo afferrare il
serpente e schiacciarlo fra le mie mani, ma essa mi prega di
tenermi indietro, dicendomi che da sola può schiacciare
l'orribile mostro. Infatti lo attacca vigorosamente, pone il piede
destro sul suo collo e il sinistro sul dorso.
La iniqua bestia manda dei gridi spaventevoli, e si dibatte sotto
i piedi della Pastorella, ma quasi subito spira tra convulsioni
spaventose.
Dopo che il mostro ha reso l'ultimo respiro, la mia liberatrice
ritira dalla di lui bocca lo stelo del giglio, e divenne
vittoriosa del mio e del suo nemico. Nello stesso tempo la colomba
ritorna a posarsi sul giglio, e le bianche pecore, che durante la
lotta erano rimaste in distanza tremanti e timorose, accorsero
intorno alla Pastorella per dimostrarle la loro gioia per la
vittoria sì gloriosa. Dopo un momento di silenzio la
Pastorella parlò così: – Mie amabile pecore,
allontanatevi un poco, affinchè colui che mi ha cercato
là ove io era, possa avvicinarsi a me – A queste parole le
pecore si allontanarono subito di trenta passi almeno e formarono
un cerchio. – Avvicinatevi o Giovane, riprese l'amabile
Pastorella; di nulla temete; il passaggio è libero, colui
che vi tendeva insidie e vi impediva di avvicinarsi, è
steso al suolo. – Durante la lotta e il discorso della Pastorella
io rimasi al mio posto tutto rapito e come incantato. Udendo che
io era libero, mi approssimai fermandomi tre passi distante da Lei
e le dissi: – O valorosa Pastorella, il vostro coraggio, la vostra
bellezza, l'eleganza dell'abbigliamento, come la natura e la
bellezza di queste bianche pecore non hanno del terreno. Tutto
ciò mi fa credere che voi siete piuttosto un essere divino
che mortale. Sarei molto contento di sapere chi voi siete, e
qual'è la vostra dimora, poichè qui in questo prato
non scorgo che il cielo azzurro e la verdura. – La mia dimora,
essa rispose, è là, dove regna il Padre mio.– E
vostro padre dove regna – Sopra e sotto questo prato. – Non
comprendo questo linguaggio sì misterioso. Ma ditemi di
grazia chi vi ha confidato questo meraviglioso gregge? – È
il mio stesso Padre. – E come è che queste pecore sono
sì bianche che non hanno alcuna macchia nel loro corpo? –
Questo è perchè sono state nutrite nei pascoli
eccellenti, i quali hanno donato loro queste bellezze. Mai le
passioni della terra hanno arrecato danno alla loro natura. – E
che cosa significa la corona che portano sulla testa come voi? –
Che mio Padre le ama, come io stessa le amo. – Perchè
quelle che stanno al vostro fianco portano un giglio sulla fronte?
– Perchè esse mi hanno amato più delle altre e per
ricompensarle ho voluto distinguerle dando loro un giglio
ch'è il mio fiore prediletto. –
Alzando gli occhi al cielo fece tre passi indietro e disse: –
Allontaniamoci da questo cadavere immondo. Vedo in cielo un
uccello. Ci allontaniamo venti passi e le bianche pecore ci
seguono. – Frattanto l'uccello si precipita sul cadavere del
serpente, lo prende co' suoi artigli, lo solleva tanto alto in
aria che subito disparve davanti ai miei occhi. Meravigliato di
vedere un uccello sì enorme, domandai di quale specie
fosse. – Voi dovete sapere, mi rispose essa, che questo uccello
è quello che porta la gloria all'Italia. – Ma come,
interruppi pieno di confusione, dove siamo noi dunque? Voi non mi
trattate nella stessa maniera di quelli che già mi sono
apparsi, come chiamate dunque questo luogo? – Esso si chiama il
campo della gloria. – A quale nazione appartiene il campo della
gloria? – Alla Nazione del Padre mio, e sappiate che qui non
possono entrare che coloro che si rendono degni della sua e della
mia amicizia. – Per me mi ci sono trovato senza sapere da quale
parte sono venuto.
– Voi avete pregato e la vostra voce è stata esaudita. Il
vostro nemico non vi perseguita più. Ora potete eseguire la
vostra Missione. – O Santa Maria! gridai. A queste parole un
raggio di luce mi abbagliò gli occhi e mi piombò
nell'oscurità. Le tenebre si dissiparono; ma io non ero
più nell'immenso prato; mi trovavo in una vasta sala del
Vaticano ai piedi di Pio IX. A questa vista mandai un grido di
gioia e mi svegliai.
LO SPIRITO DELLE OSSA
Me ne stavo facendo le mie solite orazioni in ginocchio dentro la
Grotta; in tempo di due minuti mi vidi la Grotta illuminata a
giorno, e alla distanza di trenta passi circa, si vede un buio
come di folta nebbia. Io vedendo questo, rimasi sbalordito dallo
stupore, e non sapevo come pensarla di questo fatto
soprannaturale. Vedo entrare nella Grotta un giovane di alta
statura vestito all'antica con capelli lunghi che gli cadevano
sopra gli omeri e tagliati tutti a un paro; senza far parola
prende una pietra in un muricciolo e si mette a sedere dalla parte
sinistra entrando nella Grotta. Dietro di lui vedo entrare una
donna, tutta vestita a bruno, che teneva un velo, fissato in mezzo
alla testa, ma pendeva dietro le spalle, i capelli erano ravvolti
in un nodo dietro il collo. Questa pure senza far parola si mise a
sedere in una pietra che vi era; appena entrati nella Grotta a
sinistra. Essa rimaneva di fronte a me; mi fissa gli occhi addosso
con uno sguardo sì benefico che ne rimasi come incantato,
sentendo una emozione soprannaturale che non so nemmeno
descrivere. Appena messa a sedere la donna, entra un uomo di alta
statura, tutto ravvolto in un mantello nero con cappello tondo
contenente una lunga penna nera, con stivali corti con rovescini
di cuoio bianco. Questo pure si mette a sedere senza far parola
dalla parte destra sopra una pietra che vi era. Appena messo a
sedere l'uomo del mantello nero, entra un frate con tonaca di
color cenere, con cordone bianco, con sandali e senza niente in
testa. Dà uno sguardo a coloro che vi erano, e senza far
parola passa fra mezzo e viene a mettersi a sedere sopra una
pietra poco distante da me dalla parte destra entrando nella
Grotta. Io guardo questa scena fermo al mio posto, come fossi
stato una pietra, incantato dallo sguardo benefico della donna che
mi stava davanti. Il frate dopo avermi osservato ben bene si alza
in piedi e così prese a dire: «Mi riconosci? Vedi che
io non ti abbandono, dovunque tu vada». A queste parole mi
sentii un brivido per tutte le ossa, ma non feci parola, e se
anche avessi voluto parlare, conosco che non avrei potuto. Il
frate continuò: «Qui era d'uopo che tu venissi. Ora
ti sarà rivelato il mistero di tua vita dallo spirito di
quelle poche ossa che tu hai scavato di sotto terra». Quando
guardo, le ossa che avevo scavato fuori della Grotta, stavano
davanti al suo spirito, ossia dell'uomo del mantello nero.
«Ora, seguitò il frate, con senno ascolta quello che
ti dirà il tuo sedicesimo Avo», colla mano mi
accennava lo spirito delle ossa, e cessa di parlare.
Alzandosi in piedi lo spirito delle ossa, (e svoltosi il mantello
gli si vedeva un busto di diversi colori) così prese a
dire: «Fu volere dell'Altissimo e della sua divina Madre,
quì presente, che quì tu venissi».
A queste parole tutti si alzarono, e fecero un inchino alla donna,
e mi parve di essere inchinato, ed allora mi accorsi che quella
era la Madonna, perchè a quel nome mi sentii come un colpo
nel cuore. Ella pure inchinandosi si alza e pronuncia queste
parole: «Il Padre mio che regna nell'alto de' cieli,
acconsente con amore ad ogni mia domanda». E così
dicendo alzò la testa accennando colla destra in alto. A
quest'atto si spalancò la Grotta in un baleno, e vidi una
corona di Angeli, che si partivano sopra il suo capo e arrivavano
fino alle stelle. In cima vidi l'Eterno che teneva una palla
grande in mano, tutta scintillante di fuoco e stava in atto di
gettarla sopra la terra: dalla sua destra vidi Gesù che
approvava a braccia aperte, e colla mano destra accennava
giù in terra la sua divina Madre. E potei ben riconoscerlo
dalle sue sacratissime piaghe, che mostrava scolpite nelle mani,
nei piedi e nel costato. La beatissima Vergine stava colla testa
alzata e colle mani aperte in atto di preghiera, e alquanto
abbassandole, tutta mesta e addolorata così soggiunse:
«È infinita la misericordia del Padre mio, ma le
iniquità degli uomini l'hanno provocato a sdegno e chi lo
trattiene è la presenza di me e dell'amato figlio».
Qui resta di parlare e la Grotta ritorna nella sua naturalezza e
di nuovo si rimise a sedere sulla pietra. Lo spirito delle ossa
prosegue il suo discorso.
«Era d’uopo che il mio 16.° rampollo risorgesse fra i
popoli, come parlarono le scritture fin da secoli sopra secoli. Io
fin dalla sua prima infanzia supplicai nella Corte celeste,
acciò fosse preparato e protetto dall'Altissimo. Fui
esaudito. Fu guardato con occhio di pietà giù nel
deserto fra le tenebre, motivo per cui fece scendere il suo servo
sotto sembianza di religioso mortale a dotarlo di quelle
virtù che gli hanno fatto strada alla grazia. Fu messa a
prova la sua fede per il corso di venti anni; fra mezzo alla
corruzione degli uomini è vissuto secondo gli ordini, e
secondo come parlano le scritture. Il suo sangue fu sconosciuto da
tutti. Fu privo di titoli e tenui sono stati i suoi mezzi, ma
grande ed abbondante è stata la sua fede. Dalle tre
rivelazioni e dai tre viaggi fatti a Roma ha dimostrato la sua
obbedienza senza adombrarsi di un minimo sospetto. Anzi si
è fortificata sempre più la sua fede colle ripulse
degli uomini. Qui si è ritirato obbediente ai comandi del
servo di Dio».
A queste parole si alzarono tutti e fecero un inchino profondo al
Frate.
«Qui si è assoggettato all'ultimo limite della
preghiera e dell'astinenza; quì l'ho potuto riscontrare
degno del merito che deve. Il suo spirito fu incrollabile alla mia
prima voce in ombra. Esso mi ascoltò con fede, e con fede
eseguì il mio comando. Ha tratto il mio caduco corpo dalla
dimenticanza dei mortali. Ora la fama che ravviva di me sopra le
mie ossa, sarà moltiplicata in lui fra i popoli di tutta la
terra. Io sono discendente del più nobile sangue
deiPrincipi d'Europa, ma non ebbi dritto alla stirpe perchè
nacqui da donna di altro uomo. Colui che fu appellato agli occhi
del mondo, mio Padre, era dei più rinomati nobili d'Italia
di... Io fui appellato suo figlio di seconde nozze. Della sua
prima moglie, quando io era sul mondo, teneva tre figli maschi, ma
essi furono nemici mortali della mia fama. Quando cadde la mia
patria in mano dei Galli, ebbi avversa la fortuna, e mi
toccò abbandonarla, e andare emigrando fra i popoli
d'Italia. Mi ritirai per diverso tempo in Parma. Qui diedi origine
al mio sangue, ma senza legame di matrimonio, con certa Massimina,
figlia di un rinomato negoziante di tela. Il bambino che nacque da
lei fu battezzato in nome mio, e fu chiamato Lazzaro,
perchè nacque il dì di S. Lazzaro. Mi partii da
Parma e andai a Roma. Fui accolto nella Corte di Leone X con molta
stima, e qui fra l'armonia dei suoni e al brio delle Muse,
essendovi i più rinomati personaggi di Europa, trovai la
mia rovina, perchè qui mi feci strada al delitto. Fui
ferito da una nobile incantatrice femmina. Oh misero! che tuttora
ne sento ribrezzo, mi feci assassino del di Lei marito, il Conte
di Pitigliano, e dopo che fui mostro di tanta iniquità,
infine la ottenni per sposa. Ma l'orrore del mio delitto mi fece
cambiare le di lei magiche attrattive in ribrezzo e spavento. Ma
con tutto ciò io seppi sacrificare me stesso, simulando il
tutto con arte di vero sicario. Sappi però che il motivo
principale che mi aprì la strada al delitto fu il troppo
amore alla fede e alla mia patria natia. Per mezzo di questa
femmina mi feci Signore di diverse città e Castelli e per
questa strada impugnai nuovamente le armi in riscatto della mia
patria natia. Mi fu la fortuna avversa e crudele al sommo. In
tempo della mia assenza da lei, rimasi un'altra volta misero sulla
terra; poichè ebbi le nuove che era morta e non potei
sapere la ragione di sua morte. Mi risolvei di portarmi in
Germania a trovare l'altro bersaglio della fortuna il Signor... di
Milano, cacciato dai Galli. Quì un colpo inaspettato mi
fece legare in matrimonio nuovamente colla Signora... stata un
dì moglie dell'empio Signore di Perugia, e aiutato da Lei e
dal Signor... di Milano mi misi nuovamente alla testa di non pochi
valorosi lombardi e prussiani e venni a tentare l'ultima fortuna
della mia patria. Oh misero! fui tradito e in fine rimasi in preda
dell'avverso destino colla perdita di tutti i miei più
valorosi lombardi. Fui preso prigioniero nelle vicinanze di Como,
e fui portato a Milano, dove mi fu decretata la sentenza di morte.
Un miracolo del cielo volle salvarmi l'anima e la vita. Avendo
saputo il sig... di Francia della mia condanna di morte, ne
trattava una sera insieme colla sua famiglia. A questo suo parlare
sortì fuori un giovanetto suo figlio di sette, o otto anni,
che così gli disse: – Ah Papà! ti prego salvare la
vita a quel giovane italiano, perchè stanotte mi sono
sognato che stava genuflesso ai tuoi piedi chiedendoti la vita e
ti chiamava col nome di Padre.
A queste parole il sig... di Francia si arrestò, e gli
sovvenne delle antiche pratiche con mia madre. Così subito
fece revocare la mia sentenza di morte, mi fece chiamare a
sè, e nello stesso tempo fece spargere la voce che io fossi
stato giustiziato. Mi narrò il fatto accadutogli, e mi fece
intendere le antiche sofferenze avute con mia madre. Mi
ordinò però che non mi facessi più vedere in
Italia, pregandomi che glielo giurassi, e tanto caldamente mi
pregò, che in fine glielo giurai. Anzi di più gli
giurai, che non avrei più impugnate le armi in tutto il
tempo di mia vita. Mi diè una somma considerevole di
denaro, onde poter vivere in terra straniera, e di nuovo gli
promisi di non farmi conoscere al mondo. Ed infatti come gli
promisi, così feci. Da Francia sconosciuto da tutti, mi
portai a Parma a ritrovare la donna che riteneva il sangue mio. Le
narrai tutta la mia vita, e tutto quello che mi era accaduto. La
pregai che il mio figlio non più si chiamasse a nome mio,
ma Lazzaro Lazzaretti, perchè temei che i miei fratelli un
dì per gelosia di sangue non si dovessero vendicare sopra
l'innocente fanciullo. Le consegnai tutta la somma che mi avea
data il sig... di Francia. La pregai che lo avesse educato nel
santo timore di Dio e nel sacro amore della patria e della fede, e
dandogli un ultimo amplesso mi partii per sempre da loro. Presi la
strada di Roma, ma sempre traversando le foreste per non essere
conosciuto da nessuno, e qui infine mi ritirai sconosciuto da
tutti, come penitente. Vi sono vissuto quarantacinque anni, e qui
sotto questa grotta furono seppellite le mie ossa. Dopo diverso
tempo furono levate, e messe sopra quella volta, e dalla volta, da
poco tempo, un benefico pastore di questa terra, il quale sono
pochi anni che è morto, le sotterrò, dove tu le hai
scavate. Quì sotto questa grotta piansi amaramente il mio
assassinio, chiesi di tutte le mie colpe perdono a Dio, e
caldamente pregai il cielo che il sangue mio un dì fosse
riconosciuto fra i popoli.
Lungo è stato il tempo, ma infine per mercè della
Gran Madre di Dio, che a noi sta presente, furono esaudite le mie
preghiere. (Nuovamente a queste parole si alzarono tutti
inchinandosi a Lei). Sì, questo è quel preservato
del sangue mio, che dev'essere riconosciuto fra i popoli, e
rivoltosi a me, mi dice: – Ora per ultimo mio comando prendi
queste ossa, mettile dentro una cassa di legno, chiudile bene, e
mettici quattro sigilli, lasciaci un pegno riconoscente della tua
persona, e imprimi sopra il coperchio queste lettere. M. P. Tutto
questo farai avanti ai testimoni, e portala nella Chiesa antica di
Montorio, ove farai celebrare una Messa solenne a tue spese. Ti
sia d'avviso di non manifestare a nessuno il mio nome».
Qui cessò di parlare, e principiò il Frate
così dicendo:
– Egli non farà nè più, nè meno di
quello che esige la sua Missione, – e rivoltosi a me, dice –
quando sarai chiamato, portati da chi ti vuole, e digli a nome di
me che il tempo passa e l'inferno si avanza nelle sue intraprese;
digli che non sia tardo alla voce di chi regna su tutti; digli che
ti giudichi col cuore, e non col senno, da grande. Digli che molti
sono che lo corteggiano, ma che tra essi vi è chi lo
insidia. Digli che non sia freddo in porti fede, se non vuole che
tardi sorga il pentimento. Digli che tu sei stato fatto nobile da
chi è più ponente dei potenti. Digli finalmente che
da te i popoli attendono la loro salute. E se ei non ascoltasse la
tua voce, ritirati che io farò conoscere la forza di tua
Missione. Guai, guai, se Ei ti prendesse a scherno. Ascolta questo
che or ti narro, e mettilo in pratica per sorvegliare i popoli. –
Qui resta di parlare il Frate, e prese a parlare la donna, che mi
aveva incantato col suo sguardo. Alzandosi in piedi Ella, si
alzarono pure gli altri, che le s'inchinarono riverenti; solo io
stavo immobile come una statua, però mi sentivo una gioia
internamente, che non saprei descrivere. La donna alzando la testa
(si apre la Grotta nel modo sopradetto, e vidi le solite immagini)
così prese a dire:
– È infinito l'amore e la confidenza che io tengo
coll'eterno mio Padre, e coll'amato mio Figlio, e perciò da
me si dirigono le vicende di tutti i viventi della terra, e ad un
sol mio cenno stanno pronte tutte le milizie celesti, e tremano
tutti i demoni d'averno.
Tutto il creato da me in pari tempo dipende, sta riverente ai miei
ordini ed attende la mia parola. Tu, rivolgendoti a me, che fra
tutti i figli degli uomini viventi sulla terra, fosti prescelto a
tanta Missione; tu che per più secoli fosti raccomandato al
Padre mio con perenni preci dal grande M. P. (accennando all'uomo
delle ossa) che rinunziò alla grandezza della terra per
farsi servo del Padre mio; restò muto il suo nome per
più secoli; ma ora per decreto del cielo risorgerà
fra i popoli della terra, tu verrai rivestito dell'illustre suo
sangue. Io ti benedico in questa Santa Grotta sotto gli occhi del
Padre mio, dell'amato mio Figlio, e di tutta questa milizia
celeste che mi sta di sopra, e di questi tre fedeli miei servi.
Per parte mia ti dono virtù sopranaturale, e questa
sarà sapienza e protezione dei grandi della terra.
Come pure in virtù mia sarà benedetta tutta la tua
progenie. –
Qui cessa di parlare e la Grotta ritorna nella sua naturalezza.
Il giovane che non aveva mai parlato, si alza da sedere, fa un
inchino alla donna e un atto come per chiedere il permesso della
parola, ed Ella fece cenno di approvazione, e allora il giovane
rivolgendosi a me così dice:
– Io che sono il primo dei militi dell'Altissimo, ed ho
virtù di essere invincibile contro tutti i demoni d'averno,
mi sarà grato in mercè della mia Signora (accennando
la donna) il farti dono di essere invincibile contro coloro che
verranno contro la religione del vero Dio. –
Qui tacque e prese la parola l'uomo delle ossa così
dicendo:
– Ora in attestato di quello che da me gli è stato
rivelato, per ultimo faccio dono della nobiltà del sangue
mio, e gli dono in parte il santo amore della fede e quello della
patria. – Quì cessa di parlare e per ultimo riprese la
parola il Frate, che a me rivolto disse:
– Tutto ciò che fin quì ti è stato concesso,
è in mercè della tua buona fede, e di Colei
(accennando la donna) che tutto il creato ha ad ogni minimo cenno
obbediente. Ora io pure in mercè sua posso ultimare
sì alto mistero, testificando col farti in nome di Colui
che regna, mio cavaliere e di più col metterti una marca in
fronte per essere riconosciuto fra i popoli. –
Così dicendo fa due passi avanti, mi mette la mano sinistra
dietro il collo, e colla destra mi dà una grossa manata fra
lo stomaco ed il corpo; poi portandosi la palma della stessa
destra alla bocca, vi dà una grande fiatata, e quindi me la
imprime sulla fronte, sicchè mi sentii morire di dolore, e
credei che mi avesse fracassato il cranio, e quando mi
lasciò disse: – Se vinci questa delle battaglie, sei
vincitore. –
In quest'istante tornò buio come prima e non vidi uscire
dalla Grotta che il Frate e l'uomo delle ossa. Tentai seguirli, ma
in quest'istante si levò un vento così forte, che mi
rovesciò per terra e mi trasportò di tutto peso da
un canto all'altro, della Grotta. Insomma la tempesta era
infernale e gridai – Gesù e Maria aiutatemi e mi gettai
sopra le ossa pregando. In tale stato fui fino a giorno,
giacchè la tempesta sarà durata sette ore. E se io
non morii, fu tutta opera divina. A Dio spetta darne relazione.
LA GROTTA MURATA
Il 12 novembre ebbi avviso dal Cursore di Montorio Romano, che il
giorno appresso mi fossi portato dal Governatore di Palombara.
Obbedii agli ordini e vi andai. Fui interrogato pochissimo dal
Governatore, che mi trattò con parole di avvilimento,
considerandomi come un mentecatto e di peggio, e mi ordinò
che in termine di ventiquattro ore fossi uscito dai confini dello
Stato Pontificio. Non risposi agli scherni, e promisi però
di eseguire gli ordini, che mi disse erano venuti da Roma stessa.
Il giorno 14 insieme al Romito di S. Barbara per riverenza del
luogo, ove accadde la celeste Conferenza, volli chiudere
l'ingresso, e così ambedue ci mettemmo a fare un muro a
secco chiudendo l'entrata della Grotta. La mattina del 15 partii
da Montorio, e mi fermai al convento di S. Maria e dopo mezzo
giorno presi la strada che va diretta a Corese. Quando vi fui
vicino, era già buio, e all'improvviso sul mezzo della
strada mi si fecero innanzi il solito Frate, e il giovane che mi
era apparso nella Grotta. A tale incontro rimasi come di pietra,
ritto e fermo al mio posto senza parlare. Essi così mi
dissero «Uomo, ferma i tuoi passi, non senti che il tuo
cuore ti chiama a retrocedere?» Veramente mi sentivo un gran
dolore al cuore e non sapevo conoscere da che derivasse, tanto
più che avendo trovato due lettere a Montorio della mia
famiglia, ove mi si pregava di tornare in patria, me ne andavo
volentieri per rivedere dopo lungo tempo la moglie e i figli. Il
Frate così seguitò: «Ma basta: la tua
obbedienza non merita rimprovero; ma devi sapere che devi tornare
ad abitare la tua Grotta, perchè questo è il volere
di chi ti comanda. Sono queste tutte insidie dei demoni miste alla
poca fede degli uomini che tentano su di te. Essi tenterebbero di
mettere in favola il tuo e il nome di Colui che regna, ed è
perciò che per altro indeterminato tempo devi tornare ad
abitare nella tua Grotta, poichè tante gravi ed importanti
ragioni ti ci chiamano». E il giovane disse:
«Sì, è divino l'annunzio che ti reca lui ed
io. Sappi che innumerevoli sono le schiere che sono sortite
dall'inferno per impedire la tua intrapresa. Ma ad onta delle loro
insidiate brame, cadranno infine vinte dal mio braccio
onnipotente». Ed il Frate soggiunse: «Tanti saranno i
tentativi che faranno i demoni su di te. Ma guarda bene che da ora
in avanti la tua fede non venga meno. Fino a qui la tua Missione
non è stata rappresentata come si doveva, e non tanto di
retto senno a motivo della troppa famigliarità che hai
avuto cogli uomini. Ma d'ora in avanti poco avrai da conferire con
loro».
Nel tempo che essi ragionavano, mi pareva di rifare la strada che
avevo fatto, ma, senza accorgermi in un momento mi trovai davanti
a una piccola Chiesetta, da dove sentivo uscire un ruscello di
acqua. Io rimasi tutto meravigliato, e tanto più
stupefatto, perchè nel mio ritorno e dove ci fermammo, ci
circondava un chiarore che non sapevo da dove provenisse. Fermati
davanti alla Chiesetta, il Frate mi disse: «Vedi, questa
è l'abitazione di quel buon eremita che hai conosciuto
nella tua Grotta, come colui che da me ti era stato predetto.
Avverti però che non voglio che gli faccia conoscere che
egli è tale, perchè così voglio. È
d'uopo che ti porti nell'uscio di quella piccola casa, e avvisalo
a nome tuo che domani venga a trovarti dove vi siete lasciati. Ma
ti avverto di non farti vedere in nessun modo, e se volesse aprire
la porta, pregalo che non l'apra, perchè così
voglio, perchè fino ad un dato tempo non devi vedere alcun
uomo in viso».
Udito ciò, feci la commissione, e quindi andai dietro ai
conduttori, e non avevo fatto ancora dieci passi, che mi trovai
davanti la Grotta. Di questo pure rimasi stupefatto. Allora il
Frate mi disse: «Tu l'hai murata, ed hai fatto bene,
così volevo, perchè d'ora in avanti non sia abitata
più dai bruti, come è stato per molti anni a motivo
dell'alterigia ed infedeltà degli uomini; mentre doveva
essere restaurata, come luogo sacro e santo; e tale sempre
più si è resa dopo la tua Conferenza che hai avuto
in modo soprannaturale. Noi siamo al tuo fianco, ogni qual volta
sia d'uopo».
Pregai e ripregai tutta la notte. Infine mi decisi di fare un
tentativo per uscire dalla Grotta, facendo fra me questa
riflessione, che cioè, se l'affare era veramente di Dio mi
dovea togliere da questo intrico, giacchè sentivo dire in
quella lettera che immediatamente partissi, se volevo evitare
qualche grosso dispiacere. Finalmente mi decisi di andarmene,
almeno per assicurarmi del fatto della mia famiglia. E quando non
fosse stato vero, anche a costo di qualunque sacrificio,
nuovamente sarei tornato alla mia Grotta.
La mattina del 27 novembre mi alzai tre ore avanti giorno, e vado
al muro della Grotta al buio, per guardare dove dovevo
manometterlo per uscire.
Appena avevo levato due o tre sassi, un lampo m'illuminò
tutta la Grotta.
Io vedendo questo, lo presi per un qualche segno celeste; dismisi
subitamente il pensiero di uscire, e mentre me ne tornavo al
posto, dove dormivo, che era un angolo della Grotta in terra, dopo
fatto il primo passo, cominciai a vedere un chiarore, come avessi
veduto un lume dietro a me, al terzo passo sento una voce che mi
dice: – Voltati uomo ed ascoltami. – A tale voce mi voltai con
tutta la persona, e in questo mentre ripete il lampo, che mi
abbagliò la vista di quel poco di chiarore che vi era e
rimasi al buio perfetto.
Cessato l'abbaglio, veggo la Grotta tutta illuminata e distante da
me davanti due passi il Frate delle mie visioni che se ne stava
ritto ed immobile, e così mi disse: – Tu dunque tentavi la
tua disobbedienza aizzato da quegl'insidiatori, dei quali tu non
ignoravi gli astuti ritrovati, e pure ti avevo avvertito che non
ci avessi prestato fede. Sappi che il risoluto tuo consiglio nel
commoverti alla pietà della moglie e dei figli, altro non
era che una finta apparenza per cimentarti e metterti alla prova.
Io ti dico che non devi uscire di quì, finchè non
avrai da me l'ordine, e la tua dimora in questa Grotta non
sarà meno di quaranta giorni, e sappi che questi giorni di
dimora in essa sono il riscatto di tanto sangue che si dovea
versare per decreto di chi regna.
Un'altra volta avrai la rivelazione di tutto. Dunque avverti di
non più tentare te stesso. In quanto alla famiglia vivi
tranquillo, che per essa vi è chi pensa. E di nuovo ti dico
che non ti faccia vincere dalle lusinghe degli uomini ispirati
dalla malizia de' demonii.
Ti tentano tutto questo non solo per danno di te, ma per danno di
tutto il tuo popolo. Dunque ubbidisci e vinci te stesso. –
Così dicendo mi disparve dagli occhi, e un'altra volta
rimasi al buio nella mia Grotta.
Ora veniamo a quello che m'accadde la notte del 19 dicembre.
Sarà stata la mezzanotte circa e me ne stavo in un canto
della mia grotta leggendo con piccolo lume che avevo. In questo
frattempo sento un tuono così forte che credei qualche cosa
fosse caduta nella mia Grotta. Nel medesimo tempo tirava un vento
terribile; dopo il primo tuono ne tirarono altri cinque, e come
dico, sembrava che fossero diretti nella mia Grotta. Quindi sento
un settimo tuono (dall'uno all'altro ci passava l'intervallo di
circa dieci minuti) e questo fu così forte, che io credei
che il fulmine fosse proprio caduto dentro la Grotta,
perchè vidi una striscia di fuoco in forma di razzo che
percorse tutta la volta della Grotta. Mi coprii il viso con una
piccola coperta che avevo sulle spalle esclamando:– Gesù e
Maria aiutatemi. – Appena tirato il tuono, sento un colpo dentro
la Grotta, come quando scoppia una mina. Io allora sempre
più mi tiravo a nascondere, tutto rannicchiato dentro una
buca che vi era. Dopo questo colpo sento un rombo come quando si
ode il rumore di un divorante incendio, e non mi davo il coraggio
di scoprirmi il capo per vedere che cosa fosse. Finalmente mi feci
coraggio, e mi levai la coperta dalla faccia. Ahimè che
veggo! Una fiamma di fuoco in mezzo alla Grotta, (esclamai di
nuovo, Gesù e Maria aiutatemi) che sembrava una voragine e
tutto pareva che andasse a fuoco. Alla mia esclamazione rispose
una voce, che non potei conoscere da dove sortiva che diceva:
«Uomo non temer di nulla, chè questo fuoco non
è disceso dall'alto per assorbirti, ma solo per darti quel
calore e virtù che contiene. Alzati dal tuo giaciglio, dove
tu stai impaurito e rannicchiato. Obbedisci alla voce che ti
comanda, come obbedisti finora a chi ti ha rivelato per parte mia.
Tu fosti guardato dall'alto fin dal tuo nascere e preci sono state
a me dirette per l'adempimento del tuo mistero. Ora Colui che ha
fatto tanto per te, ha bisogno dell'opera tua. Ma prima di
principiarla, tu hai bisogno di Me, ma non Mi vedrai e non Mi
potrai vedere, se non in Te, e da Te stesso poi saprai Chi sono. E
quando Io sarò in Te, Tu non sarai più Te; non
più troverai Te in Te; ma in Te troverai Me, e Me con Te.
Farà il voler di Te chi in Te con Me farà il voler
di Me, e il voler di Te con Me farai il voler di Me, che
sarà il voler di Me, che sarà il voler di Te, ed il
voler di Te sarà il voler di Te con il voler di Me, e Te
non sarai più Te, perchè Tu sarai Me, quando Io
sarò con Te, chè Te sarai con Me, che Tu con Me
sarai Me con Te. E questo enimma scioglier non potrai, se non con
Me, chè allora non sarai Te, perchè Io sarò
con Te, Te. Or via fatti coraggio senza timore; vinci la
viltà mondana, chè essa non è che un'ombra di
sospetto. Da questa face avrai quella virtù che essa
contiene. Avanzati dunque senza timore».
A questo strano fatto rimasi come confuso, e nello stesso tempo
compresi che questo era il mistero più grande. Mi alzai dal
mio posto e facendomi coraggio, fo tre passi in avanti e mi getto
dentro senza pensare a guardare ad altro, facendo conto
d'immolarmi vittima di quella voce che me lo comandava. Appena fui
dentro la face, non sentii altro che salirmi un gran calore dalla
pianta dei piedi fino alla testa, e nel medesimo tempo sento un so
che in tutta la vita, come quando viene tirato addosso un liquido
all'improvviso alle reni. Nell'atto stesso sparisce la face,ma la
grotta restò illuminata, come se la face vi fosse ancora, e
non si vedeva da dove venisse questa luce. Dopo lo scrollo nella
vita sentii in me uno spirito, e subito compresi il mistero di
quelle parole enimmatiche, che non capii affatto, quando la voce
invisibile me le pronunziò. Oh potenza di Dio! esclamai.
Voi vi dimostrate a me con questi terribili segni! Ah no! non mi
arresterò mai nel darvi fede sotto qualunque forma mi vi
manifesterete. Sì, in tutto vi riconosco, in tutto vi
adoro. Sì, parlate pure, potentissimo Iddio, a me misero
mortale e peccatore indegno, chè io vi ascolterò, vi
obbedirò, farò tutto quello che vorrete, vi
darò anche la vita; vi darò... ma che vi
darò, mio Dio? Sempre vi darò tutto quello che mi
avete dato. Ah! sì parlate, chè la mia obbedienza
sarà cieca per voi; anzi ogni vostro piccolo rumore
sarà per me un volgare linguaggio. Sì, sì
farò tutta la vostra volontà. Sì, vi
obbedirò, mio Dio. Ora conosco il mistero delle vostre
parole. Ora comprendo la virtù di quella face; ora conosco
quello che da me non era conosciuto, e che mai potevo conoscere.
Oh santa face che mi hai dissipato le tenebre ove dormivo nel
sonno del peccato e dell'ignoranza! Ma che dico, mio Dio?
Sì, sono un peccatore; perdonate i miei falli, perdonatemi
per pietà, parlate una sola parola che tranquillizzi il mio
povero cuore. Mi basta un sol cenno del vostro perdono. Ma quella
voce, quella face chi era? Chi sono? Ah misero me! che sogno? No,
no, non sogno. Sono; chi? sono un misero, mio Dio, perdonatemi.
Mentre io stavo ginocchioni sforzandomi con queste espressioni,
sembrandomi di essere in delirio, perchè non sapevo
più conoscere me stesso, sento al tergo una voce che
così mi dice: – Alzati uomo, sono stati rimessi i tuoi
peccati; e quando colla tua cieca obbedienza ti sei gettato in
mezzo alla face, non solo sono stati rimessi i tuoi peccati, ma
hai ricevuto virtù soprannaturale. Da questo istante tu sei
rinato al mondo a nuova vita, perchè da quella divina face
sono state purificate le tue membra e il tuo senno. –
A queste parole subito mi alzai in piedi e mi voltai. Quando
guardo, era il solito frate delle mie conferenze, vestito del
medesimo abito di quando mi comparve sulla riva del mare nella
barca, e teneva in mano quel volume che cavò dal masso
delle tre fontane. Lo guardai stupito e pieno di terrore senza far
parola. Esso seguita il suo discorso:
– Sappi che pur io sono sceso a te per farti noto l'ultimo mio
comando. Fin da questo istante. sarai guidato e sorretto dal
calore che ha infuso in te quella face divina che ti ha penetrato
dalle piante al cervello. La tua dimora è stata trasferita
ad altri sette giorni e quattordici ore. I quaranta giorni ti
erano stati assegnati per due misteri. Uno per gli anni che ti
rimangono di vita e l'altro per risarcimento delle vittime che
dovevano perire. La lista che riguardo su questo libro oltrepassa
i quarantamila. Ora ti sovvengo di quello che altra volta ti
accennai. – (aprendo il grosso volume) disse: – I giorni che hai
dimorato qui all'obbedienza divina, sono stati, come ti ho detto,
il risarcimento di tanto sangue che sparger si dovea sul tuo
popolo. Fu revocabile questa sentenza orribile fra i decreti
irrevocabili dell'Altissimo per mercè della gran Madre
dell'Incarnato Uomo-Dio, e per le preci incessantissime di me, di
tutta la mia Innumerabile schiera celeste e del tuo illustre
sangue. In questo libro sono registrate le vittime e tutto quello
che doveva avvenire in sì orribile scempio.– Apre
nuovamente il grosso volume e soggiunse:
– Quarantatremila erano le vittime che dovevano cadere.
Quattromila i feriti mal condotti; trentanove i templi distrutti e
debellati con buona parte dei religiosi. Quattordici le
città messe a sacco dalla prevaricazione dei demonii
aiutati dalla ferocia degli uomini, e fra paesi, castelli e
villaggi ascendono alla cifra di quarantaquattro. Questo scempio
dovea seguire sul tuo popolo, e non fu eseguito. Già i
demonii principiavano le loro conquiste. Ma ad un sol cenno di
Colei che ti protegge, si ritrassero pieni di furore e d'ira nel
loro averno. L'Eterno si trova obbligato ad ogni suo volere, per
cui in mercè di Lei fu revocabile l'orribile sentenza; ma
è sempre in riserbo la sua vendetta sugli uomini
profanatori del suo nome e del suo santuario. Di ciò da te
stesso d'ora in avanti ne sarai convinto. Andiamo alla
conclusione. Hanno arrecato altri vantaggi i giorni che tu hai
dimorato in questa santa Grotta. Quelle quattordici ore di
più dei quarantasette giorni hanno prodotto in te la
massima delle opere di misericordia. E queste saranno una delle
più belle conquiste che farai in onore di te e di Colui che
ti protegge. Qui per ora non si tratta di esecuzione alcuna. Solo
però sono stati trasferiti i tuoi mille discepoli ad altro
tempo indeterminato a motivo che la fede degli uomini è
ancora fredda. Ma per nuovi metodi infine sarà eseguito
tutto quello che da me ti è stato riferito nel prato delle
tre fontane. Per ora è d'uopo che ti ritiri colla tua
famiglia e in seguito quello che dovrai fare, da te stesso lo
conoscerai. Riferisci per ultimo in scritto tutto il rimanente del
tuo accaduto a Colui che succede al mio posto, e manifestagli pure
il pensiero che d'ora in avanti ti verrà su di lui e su
tutti quelli che può concepire il tuo pensiero
dell'avvenuto e dell'avvenire. E di quello che scrivi, danne
sentore, agli uomini, e non pensare alle difficoltà
dell'eseguimento. Ti sia di avvertimento che il tuo corpo non sia
dominante del tuo spirito, che i tuoi sensi non abbiano altro fine
che di adempire alla tua Missione; che il tuo udito ascolti sempre
la voce della giustizia, che le tue pupille non guardino altro che
la grandezza e la magnificenza di Dio: che i tuoi passi siano
sempre diretti all'adempimento dei santi doveri di chi ti guida;
che il tuo cibo sia parco a seconda la complessione del corpo, che
il tuo sonno sia breve; che le tue preghiere siano incessanti, e
nell'insieme che il tuo tenor di vita sia ritiratissimo dalla
Società degli uomini. Cerca di essere doveroso verso la tua
famiglia. Guarda, per quanto potrai, di studiare sulle cose di
Dio. Ed infine sii rassegnato a tutto quello che ti avverrà
in disagio di te e della tua famiglia, e la tua fede sia sempre
viva. Guarda bene che in te sono accresciute quelle doti che non
si ottengono dall'alto che per grazia speciale; ma ti sono
accresciuti in proporzione gl'insidiatori coi quali e coi tuoi tre
nemici avrai da combattere non poco. Ora ti lascio in balìa
del calore che ti ha infuso quella santa face, ma però
sempre su te saranno rivolte le mie pupille. Dunque hai inteso? Ci
rivedremo al tuo ritorno nella terra dei grandi.
Detto ciò mi sparisce e nuovamente rimasi al buio nella mia
Grotta.
IL CAMPO DI CRISTO
Miei buoni patriotti Amiatini, non havvi memoria nelle antiche e
moderne storie, che narrino un fatto come questo che segue ed
è per seguire su di me e su di voi. Oh, sì! miei
cari, tal fatto, per non dir prodigio, non è che opera
divina, e se tale ne sia, da voi stessi lo dovete conoscere; ma
solo però in mercè di Dio e di Maria Vergine.
Io, miei cari, vi parlo un linguaggio poco confacente al secolo in
cui siamo perchè questo mio linguaggio, anzi parlare, non
pronunzia accento che non sia di un forte rimprovero al vizio e al
peccato, ed in pari tempio ad esaltamento e gloria di Dio, e colla
stessa parola dimostro l'aborrimento di Satana e degli empii e
maligni spiriti di averno. Questo è propriamente il mio
linguaggio.
Chi io ero, e chi ora sono mi conoscete, un peccatore, un
perverso, un nemico di Dio: ora oserò dirvi che peccatore
purtroppo lo sarò, come fragil creatura di questo misero
mondo; ma non più, non più avverso e nemico di Colui
nella cui mercè cammino e vivo sul mondo.
Il mistero del mio cangiamento non evvi del tutto oscuro: chi
più chi meno tutti sapete in buona parte qualche cosa.
Sicuro che il dover pretendere che tutto quello che si racconta
del mio successo, debba essere creduto non intendo, ed il
pretenderlo sarebbe una stoltezza; anzi una vera e propria
temerità ma però vi prego che questo non lo
prendiate per favola, come tanti lo prendono; questo, miei cari,
ve lo dico seriamente. Statevene in guardia di tutto quello che vi
prevengo, che mal non farete; l'esecuzione lasciatela regolare
dalla provvidenza e dal tempo; ma però vi prego che
vogliate perseverare per quanto sia possibile in quella buona fede
che ha commosso il mio e il vostro cuore, e che ci ha riscattati
alla giustizia degli uomini e di Dio. Io non voglio credere e
nemmeno supporre che questo amore ed affezione che dimostrate voi
tutti su di me non venga prodotto da fanatismo, come tanti lo
vogliono, e non come il credo e lo voglio io, che solo il bramo
per effetto di spirito religioso, di amore, di fede, di
attaccamento, di amicizia fraterna ed animo di carità
cristiana. Di questo non ne dubito neppure per ombra; ma
però bisogna che io vi dica che ve ne sono taluni fra di
voi che non sono ancora del tutto convinti del mio modo di dire e
di operare, per cui tengono il loro pensiero indeciso e sospeso in
due punti, e non sanno di questi a quali possono apprendersi. No,
miei cari, non spetta a me il dover dire che prendiate quello del
credere, ma dico che spetta a voi a ponderar bene la cosa e
decidere. Ah, no! non voglio credere che sia spenta nei vostri
cuori quella Religione che tutti gli uomini hanno per istinto di
natura e per insegnamento dei loro padri antichi. Dunque se
ciò non sia, perchè vi fate vincere da quello
spirito malefico e maligno d'incredulità? Oh sì! se
voi volete vincere questo dubbio, fissate lo sguardo in Dio e
pensate che esso ha sottratto dal nulla tutto quello che si vede
nel cerchio del cielo e della terra.
Rispondetemi, e ditemi, se questo Onnipotente Iddio ha sempre il
dritto e potestà di operare e fare operare prodigi da
chiunque gli aggrada? Questo, io credo non potrete obbiettarlo,
perchè cadreste in eresia, anzi per meglio dire in ateismo.
Dunque da qual parte vi rimane il dubbio? Non lo conoscete, e lo
vedo che da voi stessi non lo potete conoscere; ma io lo conosco,
miei cari ed amati amici, sì lo conosco che esso proviene
dalla parte della poca fede; perchè da questa parte vi
predomina abbondantemente il peccato, e dove predomina questo, non
regna che invidia e malizia la più fine di Satana; ed
è appunto che per questa parte vi porta per la testa tanti
pensieri cattivi e tante false immaginazioni. Ma io vi farò
intendere che la falsità non produce mai degli effetti che
destino l'ammirazione ed attenzione dei popoli; e se di primo
slancio mostrasse in qualche modo un qualche progresso, sarebbe
questo di pochissima durata; ma la verità all'opposto si
è sempre veduta in ogni tempo principiar col poco, e fra lo
scherno degli uomini e degli increduli (che in ogni tempo ci sono
stati) con più che viene perseguitata e vilipesa, tanto
più maggiormente ingigantisce e si attrae la simpatia e la
stima dei popoli e di Dio. Con ciò non voglio dire che tal
ne sia di me nel tempo in cui parlo; ma desidero fermamente che
sia per l'avvenire.
No, non diffido del vostro buon cuore; che fin qui mi avete dato
prove di attaccamento degne di ammirazione, degne non solo di me,
ma di persone di senno e perite in lettere, di consiglio e di
matura esperienza. Non crediate, amici cari, che io vi riferisca
questo per farvene una benchè minima adulazione, come
taluni lo crederanno; no; di questo siatene convinti e non
dubitatene, perchè io vi parlo chiaro; questo ve lo
assicuro sulla mia parola evangelica. Oh sì! quello che a
voi riferisco, non è che la pura verità di Dio, e
nel mio procedere mai mi partirò dalla sua giustizia. Io vi
dirò che i meriti miei non sarebbero tali da dover essere
ammirati e considerati nel mio procedere e nel mio fare; questo me
lo riconosco purtroppo; ma pensate, miei cari, che sono un essere
misterioso, e misterioso io credo che debba essere il mio
avvertimento, il quale vi riferisco in detto profetico, quanto in
detto apostolico e popolare.
Che devo dirvi di più? di più non posso come misera
ed insensata creatura. Oh sì! vedo che alcuno sogghigna, e
sento esclamare con atto di scherno e disprezzo, che il mio dire
non è che una sorgente di spirito alienato con una
espressione troppo presuntuosa ed esagerata; arrogandomi quello
che a loro sembra troppo, per cui dicono che non può
tornare in nessun modo, e su ciò prendono disputa
insistendo nella loro pretesa opinione e vanno dicendo che non
sono un essere da prendermi in considerazione; e nè tampoco
è da prestar fede a quello che io dico.
Oh, per carità, fratelli, per carità non vi lasciate
vincere da questi falsi credenti; fidatevi vi prego, della mia
parola, e per quanto sia possibile mettetela in pratica, e poi
vedrete, se io erro nel mio insegnamento. Io non ho da farvi
vedere di prodigioso, miei cari, ma in attestato della mia
misteriosa Missione (se tal la volete), lo avete veduto e lo
vedete da voi stessi, tanto nei vostri segni esterni, quanto negli
interni.
Ma io dico che voi non potrete negare di non sentire nei vostri
cuori una certa emozione che vi tiene agitato in buona parte il
pensiero, e più d'ogni altro, codesta emozione vi fa
sentire una rimembranza del male operato e richiama la vostra
coscienza al pentimento e all'emenda di tutte le offese che
abbiamo fatte alla santità celeste e alle nostre creature
umane. Questo risentimento bisogna che io vi dica che addivenire
non può che per divina misericordia. E che ciò sia
così ve lo testificherò colle prove, anzi me ne
darete voi stessi una chiarezza la più singolare. Quel
cangiamento di vita di quelle persone le più intrise nel
peccato, nel vizio, nella bestemmia ed eresia, che cosa ne dite?
Rispondete.
Questi cangiamenti (come vogliamo dire) nel tempo in cui siamo,
sono meravigliosi e dànno da pensare, ancor non volendo,
che qui v'influisca una grazia speciale; non dico però che
da me si producano tali effetti; ma dirò che su di me e su
di voi opera la providenza; e molti non vorrebbero che ciò
fosse. Queste non sono obbiezioni che degradano la mia stima,
presso di voi, anzi taluni accrescono maggiormente di credenza, e
concepiscono di me più alta stima e mi favoriscono sempre
più il loro cuore alla buona fede, e con zelo e coraggio
perseverano nella loro intrapresa strada; conciosiacchè in
essa conoscano esserci da sormontare scabrosità le
più grandi. Ma discerno in buona parte di loro che altro
non hanno di mira che la gloria di Dio, la redenzione dei popoli e
l'accrescimento della vera e Santa Religione di Cristo.
Miei cari fratelli e patriotti Amiatini, quale cosa di più
grande, di più nobile, deve augurare un uomo di questo
mondo di quello che augura il vostro cuore?
Oh quanto è grande e santo questo principio che abbiamo
intrapreso, calcando l'ordine di giustizia del cielo e della
terra, guidati da quel santo lume della Religione fondata col
sangue dell'Uomo Dio. Perseveriamo, miei cari, nella strada
intrapresa; che l'Onnipotente Iddio ci riguarda, ci assiste e ci
benedice dall'alto dei cieli. Io vi assicuro, e credetemi, che un
dì saremo rimunerati di quel merito che deve ognuno che ama
Iddio, e raffida nella sua infinita Misericordia. Dunque siamo
concordi per amor di Esso nella nostra fratellanza, e preghiamo
unanimi che ravveda tutti coloro che traviano dal seno della S.
Chiesa e dal suo insegnamento; che esso, come sapete, non si
diparte che dalla sede apostolica di Pietro. Preghiamo, dunque,
miei cari, e preghiamo incessantemente, affinchè nella
nostra bella e santa Penisola non vi sia più nemmeno un
solo italiano che non creda alla Chiesa Apostolica di Roma; ma che
diciamo tutti ad una voce che solo essa è la giusta, la
vera e perfetta nel suo ministero, e che fuori di essa non vi
è che scismi ed eresia. Questo lo desidero, anzi mi lusingo
che lo desideriate pur voi. Io anelo con tutto il cuore di sentir
declamare da ogni lingua d'Italia:
Evviva Iddio – Evviva Cristo – Evviva Maria – Evviva la chiesa
Romana.
Taluni sentendomi dir questo, crederanno che io sia un partitante
dei preti: no, miei cari, sbagliereste se così pensaste.
Io vi dico in verità che non sono partitante di nessuno, io
non ho chi mi protegga nel mio operato, solo che Dio. Io vi dico
nuovamente in verità che nessuno mi imbocca. La mia penna
scrive la verità e dal senno con cui essa vien diretta,
credo senza dubbio che non vengano decifrati, o per meglio dire,
espressi errori e falsità. E se qualcuno credesse di
trovarli, me ne diano sentore, che io mi chiamerò (se a
caso ci fossero) alla ragione.
Questo mio ragionamento, miei cari patriotti Amiatini, racchiude
seco il mistero il più grande, e questo mistero si
racchiude in me ed in voi, e che ciò sia, un di voi stessi
lo conoscerete, e saprete interpretarlo, ben inteso però
che non traligniate dal punto di mira che avete preso.
In me potete conoscere bene che non evvi fine indiretto, e se
ciò vi dico, ve lo dico solo per il vostro e per il mio
bene, anzi per meglio dire, pel bene di tutti. Io prendo da voi
quest'opera di carità sol per gratuire il vostro buon
cuore, e me ne approfitto al solo scopo d'anticipare maggior tempo
per poter più a lungo propagare la mia parola ed i miei
scritti.
Ecco, miei cari, il fine per cui accondiscesi ad approfittare del
vostro buon cuore; però non basta qui lo scopo di tale
attaccamento; di più bello si racchiude nel suo mistero e
sarà quello di aver sempre viva la rimembranza di voi, come
voi l'avrete di me. Questo campo dove voi mi avete dato
testimonianza del vostro buon cuore, d'ora innanzi sarà
chiamato il Campo di Cristo. Oh beati quelli che ne raccoglieranno
la mèsse! Voi qui in questo campo avete lavorato per me, ed
io coll'aiuto del Cielo per altre parti cercherò di
faticare per voi. Iddio sia quello che un giorno vi benedica in
seno alla vostra bella Patria, ammirati da tutti i popoli della
terra. Io non so, miei cari patriotti e fratelli, quando
sarà il tempo che mi sarà concesso di dimorare fra
voi, ma se pure vi dovessi abbandonare quanto prima, non vi
arrechi disturbo, nè dolore, perchè così
vuole Iddio.
E quando lo vuole Lui, bisogna ubbidire alla cieca e non
transigere un solo attimo. Ma vivetene tranquilli che se pure me
ne vado lungi, non mi scorderò di voi e terrò sempre
nel mio cuore viva la rimembranza della vostra buona memoria, e se
andrò pellegrinando il mondo fra nazioni straniere e
barbare non temerò, perchè solo mi fido in Dio e
nelle vostre preci. Oh sì! ovunque io vada, ovunque io mi
trovi, avrò sempre rimembranza di questo beato luogo, e
dolce mi sarà la memoria di questo felice giorno. Oh! come
giubilo nel vedervi tutti riuniti a me come tanti cari figli che
ansiosi ascoltano gli ordini e gli ammaestramenti del loro padre.
E come allora in mezzo a questo amato circolo non mi sarà
concesso di versare una lacrima di tenerezza?
Oh sì! concedetemelo, miei cari fratelli, che ne ho ben
d'onde. Se pure mi trovassi nelle parti più remote della
terra, sarò sempre col pensiero vicino a voi, e guardando
altri popoli, mi consolerò con loro, perchè
crederò di ragionare con voi stessi, e le loro voci
risoneranno al mio orecchio come il dolce suono del vostro
bell'italico linguaggio, ed allora, tutto gioia e contento
indirizzerò una preghiera a Dio che me benedica e assista e
consoli lungi da voi.
Per dimostrare maggiormente ai posteri il mio e il vostro
attaccamento, vi contenterete che i vostri nomi siano fregiati fra
i miei scritti per tener più viva la memoria di questo
giorno, tanto in voi che nella discendenza dei nostri nipoti fino
che il sole riscalderà la terra.
I CELESTI FIORI
Stanco dalla fatica dopo una lunga preghiera io mi gettai sopra un
banco, dove il sonno mi assopì; un'ora dopo mezza notte
nell'Oratorio di S. Brunone ebbi in sogno la seguente visione.
Mi sembrava di essere in questo Oratorio leggendo alcune
lamentazioni che io avevo scritto alcuni giorni indietro per
esprimere la mia contrizione a Dio. Mentre io leggevo il mio
scritto, io vedevo dal foglio che tenevo in mano uscire dei fiori
di diverse specie e di diversi colori. Trasportato dalla gioia
raccoglievo questi fiori che esalavano un profumo indescrivibile,
e ne formavo diversi mazzetti. Inginocchiato pregavo il Signore,
affinchè mi facesse conoscere il significato di questo
prodigio. Mentre pregavo con fervore vidi venire nell'oratorio S.
Michele Arcangelo, vestito come i 7 angeli apparsimi nella Grotta
di S. Angelo in Sabina, e la SS.ma Vergine Maria vestita a bruno.
Essa approssimandosi a me disse: – Mio... servo, alzati e dammi
cotesti fiori che tu hai ricevuto dal mio Figlio Gesù, ed
è per questo che mi sono tanto preziosi, ed io stessa li
darò in dono a tutti quelli che sapranno con fede, colla
preghiera e col sacrificio amare il mio figlio Gesù, come
tu servo fedele lo fai... per gli uomini, i quali al presente ti
giudicano tutt'altro... e credono tutto al contrario di ciò
che tu dici e fai in nome di Dio.
In qualunque modo essi ti tratteranno, osserva, mio... che tu non
devi allontanarti dalla fede de' tuoi... Non ti affliggere;
perché tutto alla fine tornerà a tuo vantaggio.
Niuno può... davanti a me e al mio Figlio Gesù. Egli
ti ha parlato al cuore, e ti ha ispirato vivi sentimenti di dolore
e di contrizione della tua passata vita. E questo dolore e
contrizione hai espresso scrivendo queste lamentazioni, dalle
quali ti sono apparsi questi fiori celesti. Questi scritti sono
prova che il Signore è con te. Mio... tu non comprendi il
prodigio, il mistero e le meraviglie di questi fiori celesti, che
i tuoi scritti hanno fatto apparire sotto i tuoi occhi, e
perciò hai domandato la spiegazione, pregando umilmente.
Per questo motivo io sono venuta espressamente da te accompagnata
dal mio Principe celeste, tuo. Tu hai ottenuto la grazia che hai
dimandato umilmente, e nello stesso tempo sono venuta per farti
conoscere i segni terribili dell'irata giustizia divina. Sappi,
mio... che questi scritti, come quelli che farai d'ora in avanti a
lode dell'Altissimo e Clementissimo Iddio, saranno gli uni e gli
altri un vaso di divina eloquenza, e il medesimo effetto si
produrrà in quelli che li leggeranno con fede ed
umiltà, poichè io infonderò nei loro cuori la
verità e la santa fiamma della fede, dell'amore, della
carità e della giustizia... Rammentati, mio... che io nella
Santa Grotta ti diedi il dono della sapienza, non di quella che
rende l'uomo vano, ma di quella che perfeziona nelle vie della
virtù e lo rende umile e santo. È mia
volontà, come quella del mio eletto Gesù, che le tue
lamentazioni e le tue lodi al Signore che scriverai, siano
propagate tra i cristiani credenti nella miglior maniera
possibile, affinchè io possa donare agli altri questi fiori
che hai ricevuti dal mio caro Gesù, ed affinchè essi
producano abbondanti frutti per la salute eterna dell'anima loro e
per la gloria di Dio.
ESORTAZIONE AI CONFRATELLI EREMITI
Iddio nella pienezza dei tempi coll'esaltamento di un uomo il
più misero, ha voluto architettare da per sè stesso
un'opera misteriosa e sublime di un connesso procedimento dalla
Redenzione di nostro Signore Gesù Cristo coll'Aspettato
delle nazioni, il Liberatore dei popoli, il rigeneratore
dell'ordine morale e politico, il quale rappresenta una parte fra
i popoli traviati e corrotti molto simile e fraternizzante a
quella di nostro Signore Gesù Cristo, quando comparve nella
pienezza dei tempi, come uomo fra gli uomini a dare il compimento
alla sua divina Missione coll'adempimento di tante profezie che lo
annunziavano fin da secoli più remoti, e così
soddisfare l'assoluto volere di sua divina giustizia, onde placare
lo sdegno suo, cagionato dalla molteplicità dei peccati
degli uomini.
Eccoci, miei cari, ai tempi designati da Dio. Io sono qua sorto
fra i popoli annunziando cose,tutte coincidenti ai tanti vaticini
che additano vicino il tempo della venuta del celeste Liberatore,
il Gran Monarca, il prediletto, il favorito di Dio, il terrore
delle genti, il folgore della divina giustizia, il culmine della
carità cristiana, l'amoroso padre di tutti.
Cosa pensano i buoni e religiosi credenti di me? Credono che io
sia un uomo, designato da Dio per la maturezza dei tempi? Io non
parlo di me, opero in me stesso, e dico di aver detto assai, e
sufficiente parmi di far comprendere chi io mi sia, senza che il
dica.
I disegni della providenza divina sono sempre condizionati
all'esecuzione del comando e della Missione che impone Iddio a
ciascuna delle sue ragionevoli creature, quali meno, quali
più importanti; e ogni uomo può farsi degno di lui
in essere cooperatore a qualunque suo preordinato disegno.
E se tutto questo è di fede, nessun uomo può dire:
Io sono un mandato di Dio, io sono l'uomo che coincido ai segni di
tanti vaticinii, ed altri esser non può, se non io. E dice:
Ho sicura la mia missione e certa. E superbamente crede che Iddio
da lui non possa dipartirsi volendo ed in altro trasferire la sua
Missione.
Lo può, se il vuole, e dal superbo che si arroga il potere,
si discioglie dai patti e dai legami, e lo disperde come polve al
vento, e più non è quello ch'esser dovea dai segni
vaticinati. Tutto questo esser potrebbe, se di noi non abbiamo
bassa stima, conoscendoci un nulla avanti a Dio.
Torno a dirvi di me; ch'io mi sia, mi vedete e a suo tempo saprete
chi io sia: ma necessita prima che vi uniate con me a pregare, che
i nostri cuori siano umiliati avanti a Dio, e che facciamo
perfetta contrizione dei nostri falli.
Io sono il più misero figlio tra i figli della colpa e sono
colui che devo tra voi rappresentare le veci di Padre e di Maestro
di educamento tutto morale e religioso. Per cui quanto maggiore
è in me la Missione che non è in voi, altrettanto
è la cura e il dovere in me di essere umile, prudente,
operativo e pio, saggio e fervoroso nel santo servizio di Dio,
vigile al sacrosanto dovere di carità, di amore e di
giustizia. E se maggiore alla vostra è la mia Missione,
altrettanto ho bisogno di voi, di essere da voi raccomandato
caldamente nelle vostre e nelle mie preghiere a Dio,
affinchè mi mantenga salda nella fede, non abbia timore de'
miei nemici, non curi lo biasimo dei tristi, sappia sopportare con
pazienza ogni amarezza interna ed esterna e insomma affronti ogni
periglio della vita; e rassegnato in tutto al santo volere di Dio.
Miei cari, chi io mi sia, non vi è bisogno di dirlo:
seguitemi nella mia intrapresa; armatevi unitamente a me di fede,
di speranza, di carità e di quella carità
fondamentale io dico, che se pospone, al ben comune, quella che il
cuore umano impera in tutto, quella che al sacrificio è
volontaria, che pure al male porge pietosa la mano amica, e ogni
periglio affronta valorosa, tenace e indivisibile suora d'ella
giustizia, e prediletta figlia del santo amor di Dio. Questa nel
mio e nel vostro cuore abbia il suo impero, e poi voi mi seguite
ed io vi seguo; ma prima necessita che addiveniate a me simili con
distaccarvi da quei lacci che legano al sozzo e al tristo mondo
del piacere del bello e dell'infame spirito di avarizia e di
superbia.
La venalità dal vostro cuore sia sempre bandita. L'ozio e
il vizio siano calpestati come il fango della terra, e l'iniquo e
barbaro linguaggio della bestemmia e della maldicenza mai
più si oda risuonare nelle vostre labbra, se di me volete
essere amici e seguaci.
Io nulla vi promisi, nè vi prometto ora, nè per
l'avvenire di grandezze e felicità terrene. Là,
là vi dissi è quel tesoro immenso, quel regno
eterno, ove avremo il trono, la corona e la palma, che ci è
dovuta dalle nostre sante fatiche, e dei sudori di vivo sangue che
versato avremo per la causa della giustizia, e per aver fra i
popoli ravvivata la fede, e inalberato per ogni parte della terra
il santo vessillo di nostro Signore Gesù Cristo e riformato
i popoli, e la Chiesa fiorente per tutto il mondo in un sol rito e
in una sola fede, trionfanti degli idoli abbattuti, delle vinte
eresie, dai falsi riti purgato il culto, e la corrotta Chiesa da
un lucro infame e da un abuso indegno di prostitute e barbare
dottrine, attinte dalla cattedra iniqua di Satana.
Eccovi, miei cari, il premio che io prometto ai miei seguaci. Il
cielo è la nostra patria; Iddio è il nostro Re. La
terra quaggiù fra noi miseri mortali non è che
un'infima e povera laguna, pasto di vermi e di miserie piena.
L'uomo in essa è un impasto di poca ed infeconda polve, e
più che polve non è la sua grandezza. I troni, i
regni della terra non sono che atomi di quella stessa polve, i
quali svaniscono in un momento sulla faccia dei secoli.
Miei cari, se tutto quello che vediamo quaggiù di bello, di
grande e di maestoso svanisce avanti a Dio, che cosa rimane di
noi? La gloria sola rimane conseguita dal merito. E questa, mi
direte, dove acquistare si può? Nelle fatiche di un'operosa
vita, nel distacco delle umane passioni, e nel seguire
l'insegnamento delle morali e religiose virtù
coll'operativa carità cristiana.
Questa è la dottrina che io tramando a voi, e che io
attinsi là sovra quel santo legno, che vi additai della
Croce, dov'è morto l'Uomo-Dio per la gloria dei giusti, e
dove ha impresso a vivi caratteri di sangue i segni certi di ogni
redenzione, di ogni scienza e virtù, di ogni giustizia e
verità di fede. Chi mi vuol seguire, giuri su quella di
essere servo di Dio, nemico del mondo, del demonio e della carne e
campione di Cristo e della fede, e fedeli seguaci delle mie non
poche sventure che mi avverranno, finchè vivrò nel
mondo, e che retaggio saranno ai figli e seguaci miei,
perchè io come essi siamo consacrati a consumar la vita
sotto i disagi di sudor di sangue e di martirio per la causa
comune di tutto il mondo.
Un cuor vile, un cuore freddo non può seguirmi: è
d'uopo si ritiri da me chi non è degno di sì alta
Missione, e poi per questi l'Egida santa non ha alcuna
virtù, e al primo attacco del nemico ei convien che pera.
Meglio fia per loro restar nel loro silenzio pria che perir da
vili via facendo nella nostra intrapresa.
No, no, vi prego, se voi non siete ripieni di fede, di speranza e
di carità, come vi ho detto, non vi esponete a un tal
periglio. Prima pregate e perseverate nella dura prova della mia
scuola. Da voi altro non chiedo che un assoluto distacco di tutte
le vostre passioni, e un disinteresse totale dell'illecito lucro
che a voi fu caro un tempo delle fallaci avidità terrene.
Le mie milizie sono ordinate là nei vasti campi della pace
e della concordia sotto il santo vessillo della verità e
della giustizia. È un grave delitto del mio codice di
disciplina il disertare dai doveri della prudenza e del rispetto.
È reità di dimissione assoluta dai ruoli delle mie
milizie l'insubordinazione e l'incuranza ai doveri del proprio
ufficio. La gente di malumore è rigettata dal mio servizio,
e ritenuta indegna di militare sotto la mia bandiera. Io sono
amico di chi ama la pace, teme Iddio ed ama il suo prossimo.
Oggi che mi presento a voi, chi io mi sia, mi vedete, e non
è d'uopo chiedere a me quello che non avete dritto di
chiedere, cioè il prodigio, il miracolo, il veggente ed
altre vili curiosità, tutte parto d'infedeltà,
d'indiscretezza e di studiata malizia di Satana.
Le opere sono gli attestati che confermano la mia Missione e mi
autorizzano a dover seminare frutti di ogni buon principio.
Le avversioni che fin qui ho avute, e mi prepara per l'avvenire il
mondo, sono cose di poco rilievo di fronte a quel potere immenso,
che io dissi più volte nei miei scritti, essere a me
favorevole.
Io, miei cari, sono come un albero in cima a un monte, combattuto
dai venti, e imperversato dalle tempeste, ma barbicato in forte e
profondo terreno, che altro danno non risente dall'infuriare e
imperversare dei venti, che maggiormente profondarsi nelle sue
radici e dilatarsi colla vegetazione dei suoi frondosi rami. Tale
sono io nell'avversione che a me fa il mondo.
La mia base è profonda, la mia sommità è
elevatissima, e le mie fronde si spandono immensamente di giorno
in giorno nella sua vegetazione, che l'ombra delle medesime fra
poco sovrasta a tutte le altre piccole fronde che sotto di esse
rimangono.
Da questo mio simbolico linguaggio potrete chiaramente comprendere
che io non temo quello che temer dovrei, come uomo misero e
tapino, il quale sono io. Il perchè non temo, il saprete a
suo tempo e vedrete che io sono per voi quello che sono per Iddio.
Tirate un velo sulle vostre fronti e non osate levarvelo,
finchè degni non sarete di sì grande missione.
Più volte vi ho parlato in simil guisa, e a questo tuono di
mia voce tremate, il veggio, ma bisogna che io vi dica che altro
non è che un tremore di un timor che poco io stimo,
perchè temete me e non temete Iddio, e chi Iddio teme, non
ha timor di nulla, e nulla paventa colui che teme Iddio,
perchè in Esso confida. Io temo immensamente Iddio, per cui
di nulla io temo.
Ditemi voi: son le armi mie guerresche? hanno punta, hanno taglio,
fanno fragore? sono micidiali forse e avide di sangue, come tutte
le armi degli uomini? No: le mie armi sono armi, è vero, ma
armi pietose, e terribili a un tempo, micidiali e distruggitrici
anzi sono fòlgore, son fuoco divoratore di ogni
empietà, d'ogni nequizia umana. Io altre armi non ho che la
inesorabil verga della giustizia, altro fragor non porto fra i
popoli che quello della pace e della concordia.
Là torno a ripetervi per la terza volta, ho spiegato il mio
campo sotto la triplice insegna della fede, della speranza e della
carità colla giustizia insieme.
Chimi vuol seguir, mi segua, ma valoroso sempre fino alla morte. E
chi di tali virtù non è munito e pronto, si divida
da me, lasci il mio campo, e non osi di entrare, io non cel
voglio; ve lo impongo con assoluto comando a nome di Gesù.
Io sono colui che a voi parlo in sua vece.
PROFEZIA SU LA VITA DI DAVID
Io (per mio conto) sarò oscuro al mondo
Fino che Italia non sarà in gran lutto.
E allor mi vedran dall'Appennino
Calar come Mosè dal Sinai Monte,
E mischiarmi fra i popoli agguerriti,
E portar pace e riformar le leggi.
E chi io mi sia, lo conoscerete
Da un marchio che ne porto sulla fronte.
Dopo che la pace in voi avrò portata,
Passerò pellegrino al suolo santo
A consultar gli oracoli di Dio.
E a fin di un lustro tornerovvi appresso
A tripudiar la causa di Europa,
Quindi il giro farò di mezzo mondo.
E sui quindici lustri di mia vita
In seno a Roma morirò compianto
Da tutta Italia.
UNA PARABOLA
Vi era un Re che aveva posto a ben governare il suo regno tanti
amministratori, i quali, con esattezza dovessero amministrare la
Legge e la Giustizia, perchè egli volle andare a fare una
gita in terra straniera. Gli amministratori della Legge da
principio mandarono avanti le cose con precisione, come il Re
aveva lasciato l'ordine. Ma il Re tardò a venire per molto
tempo, ed allora essi deliberarono di dividersi le ricchezze del
regno, dicendo che il Re era morto e più non tornava. E
così mandarono avanti l'amministrazione a modo loro con
discipline e leggi tutte a lor capriccio. Dopo passato molto tempo
il Re volle tornare nel suo Regno, e manda gli ambasciatori ai
suoi ministri, perchè mettano in punto le loro partite,
poichè il Re voleva tornare. Si trovarono confusi i
ministri a tale avviso, e siccome avevano defraudato la Legge, si
turbarono e decisero di far morire gli Ambasciatori,
affinchè non portassero indietro altre notizie. Così
fecero. Vedendo il Re non tornarli, mandò un Figliolo, il
quale si presentò ai ministri dicendo loro: – Io sono il
Figlio del Re; ha detto mio padre che mettiate in ordine le
partite del Regno, perchè vuol venire a riguardarvi
l'amministrazione;– ed essi tutti sconcertati deliberarono di
farlo morire e così caricandolo di mille improperii, lo
misero a morte. Vedendo il Padre perduto il Figlio, manda dodici
altri ambasciatori, e questi pure li misero a pezzi e li
straziarono in tante guise. Il Padre vedendo questo, manda
un'altro Figliuolo suo, assai più furbo degli altri. Ei
venne a fidarsi coi contadini e a rimproverare la grande
malignità degli amministratori, e loro getta in faccia
tutti i loro delitti, ma a questo pure destinano la morte: ma
questo non si ammazza, ma se anche venisse ammazzato dalla ferocia
di questa gente, conviene allora farsi avanti al Padre.
CANTO PROFETICO
Ah sì! tutto è voler di chi mi guida
Esser tra pazzi declamato il pazzo:
Ma quando il pazzo avrà ripreso senno,
I pazzi sempre ne saranno pazzi.
Chi si ride di me, ride a suo conto,
E forse un dì riconoscendo il pazzo,
Come stupiti rimarran dicendo:
Oh quanto stolto fui, quando di lui
Mi feci burla e non ne tenni in conto!
E si uniformeranno in me pentiti,
E cercheranno far la mia amicizia;
Ma allora amico non avrò che Dio.
Bene inteso però che nell'insieme
Tutti amici saranno e miei fratelli.
Questo modo di dir da me imparato
Venne, quando di Dio mi feci Messo.
Con questo mio profetico trattare
Molto vi dico e poco sono inteso;
D'ora in avanti così uso parlare.
Chi mi vorrà capir, poco capisce,
E chi poco mi capisce, molto intende.
Se con del tempo ne farete conto,
A chiare note vi sarà spiegato
Questo mio profetico parlare.
Qui lascio il punto.
SENTENZE DI SAN PIETRO AL PROFETA
1. Rinunzia al mondo e fàtti servo e campione di Dio.
2. La vita menerai da penitente ritirato dalla società
degli uomini.
3. Perenni a Dio rivolgerai le tue preghiere.
4. Limitato sarai nel vitto e nel sonno.
5. Guàrdati di non far pompa di te stesso.
6. Ascolta le querele di chi geme e langue.
7. Raccogli con pietà e con amore chi a te ricorre.
8. Con voce di umiltà soccorri ed implora il ravvedimento
dei traviati.
9. Vigila con occhio ripieno di carità e di giustizia sulle
sentenze che or ti narro sull'andamento dei popoli.
MASSIME PER LA SORTE DEI POPOLI
1. Chi non presta fede alla verità rivelata, dubita
dell'esistenza di Dio.
2. Sinchè gli uomini sono apprezzatori del mondo, poco
apprezzano Dio.
3. Il pensar troppo alle cose terrene fa dimenticare le cose
celesti.
4. Il bene del corpo è la rovina dell'anima.
5. Il lusso e il bel tempo sono la rovina dei popoli.
6. Chi non ama Dio e la patria è peggiore dei bruti.
7. Dove si teme Iddio, regna la pace.
8. I popoli irreligiosi saranno sempre miseri.
9. Il vero Monarca della terra è quello che rappresenta
Iddio.
10. Le armi irreligiose sono armi misere e vane.
11. Le armi invincibili sono quelle che combattono per la causa
del vero Dio e per la giustizia dei popoli.
12. Gli uomini ambiziosi e libertini sono per lo più empii
e crudeli.
13. Chi brama sedizioni ed è avido del danaro, è
nemico dei popoli.
14. L'uomo crudele in sè è vile.
15. Nell'uomo in cui regna la pace, regna umanità ed
eroismo.
16. Colui che grida, viva la libertà dei popoli, è
un traditore della patria.
17. Chiudete la bocca a quelli che gridano libertà,
libertà; e trattateli da stupidi.
18. Il buon cittadino è quello che brama la pace ed onora
Iddio.
19. I più bravi guerrieri della patria sono i più
attaccati alla fede.
20. L'uomo infingardo e vizioso, è nocivo al suo prossimo e
nemico di Dio.
21. In colui che ti promette assai speraci poco.
22. Spera assai in quello che in se stesso si stima poco.
23. Colla perseveranza e fede in Dio si ottiene ogni vittoria.
24. Chi è amante della virtù, è amante di
Dio.
25. Chi ama il bel tempo, è servo del demonio.
26. Le gioie e i godimenti di questo mondo son fuoco di paglia.
27. I travagli della vita sono i tesori dell'anima.
28. La voce dei popoli è la voce di Dio.
29. La lingua dei giusti è un dardo che ferisce il cuore
degli empii.
30. Colui che vive in peccato, sarà impossibile che viva
tranquillo.
31. La tranquillità del corpo sta nella coscienza
dell'anima.
32. La superbia è il seme d'ogni vizio.
33. L'onestà e la mansuetudine sono le grandi virtù
dell'uomo.
34. Da un padre scorretto viene perfido un figlio.
35. Un perfido signore tiene spietato un suddito.
36. Una lingua bugiarda contiene un'anima viziosa.
37. Chi dice male di uno, può dire male di tutti.
38. Chi ruba un pollo, è capace di rubare un bue.
39. Guardati da colui che simula, giacchè è un vero
traditore.
40. La donna ambiziosa porta seco ogni vizio.
41. Il vero sacerdote è quello che disprezza il mondo.
42. Il vero cristiano è quello che ama Dio e il suo
prossimo.
43. Il vero padre è quello che vigila sui figli.
44. La buona madre sta raccolta nella famiglia.
45. Il vero figlio è quello che onora i genitori dopo Dio.
46. Il buon padrone è quello che rispetta il suo servo e
paga puntualmente le mercedi.
47. Il buon servo è quello ch'è riverente e
ubbidiente al suo padrone.
LETTERA AI POPOLI D'ITALIA
Stanotte tre maggio mi pareva di essere col mio buon Eremita
pregando entro la Grotta qui di Monte Labaro al piè di un
piccolo Altare ove è l'imagine della Madonna della
Conferenza, quando vedo venire a noi un venerando vecchio vestito
tutto di bianco; giunto davanti a detta Imagine s'inginocchia
profondamente mettendo i ginocchi a terra, dopo un breve silenzio
si alza in piedi e si rivolge a noi dicendo: – Le vostre preci
davanti al trono di Dio sono tenui e fievoli suppliche che non
possono placare la tanto irata giustizia divina, più
fervorose siano da ora in avanti; con maggior fede e sollecitudine
proseguite fra le persecuzioni e i dileggi del mondo l'opera
vostra. Questo edificio si erga nell'oscurità dei pochi
credenti, come l'Arca della Giustizia. Troppo osi allungarti, o
uomo, nel secreto di tua Missione (a me rivolto), rammentati che
altra volta ti dissi che io sarei teco, ovunque tu fossi: sono 27
mesi, giorni 27, 7 ore e 27 minuti da che io mi divisi da te sulla
Santa Rupe da una natural Conferenza. Ti dico che per la grave
necessità a te mi manda la mia e la tua signora a farti
noto ciò che devi eseguire come ultimo sforzo della tua
Missione. Vuolsi che del mistero di tua vita siano informate le
maggioranze dei popoli; su di ciò a modo loro si
conterranno. I segni saranno troppo bastanti a mostrargli la
verità dei fatti e delle parole; nè nessuno di essi
potrà dire scusandosi che non seppe, non vide, non
udì.
Questi sono i noti segni che Dio comparte agli uomini. Uomo,
avanzati meco al cielo aperto; qui solo lascia il tuo buon
eremita, a te or farò vedere quanto è doloroso il
cammino che ti resta da fare per giungere al fine della tua
misteriosa vita.– Esso s'incammina per sortire della grotta ed io
lo seguo dietro. Cosa maravigliosa e sorprendente, io così
camminando dietro il santo vecchio, senza avvedermene, mi ritrovai
in una grande valle framezzo una oscura tenebrosa e folta selva,
solo e smarrito; altro non vedevo e non udivo che tenebre ed un
gran rumore per l'aere dal gran vento che soffiava sì forte
che dava segno d'una vicina tempesta in ispaventevole luogo. Udivo
fra mezzo alla foresta una moltitudine di urli, di strilli e di
latrati, sembrava che in questa selva si fossero riunite tutte le
fiere dei deserti della terra e vedevo da ogni parte venir contro
di me immense turbe di animali feroci e rapaci, che io in
verità non vi saprei descrivere nè le forme,
nè le specie, nè il numero. A questa orribile scena
m'intimorii, ma non poi tanto quanto umanamente avrei dovuto
temere. Venni fra me pensando che altro campo non potevo trovare
in dovermi salvare da quelle feroci fiere, che ricorrere all'aiuto
divino, e così venni dicendo: – Mio Dio, salvatemi dalle
crudeli zanne di queste terribili ed arrabbiate fiere che a me
tutte vengono incontro. Dio mio, salvatemi dalla loro ferocia,
nonostante che non meriti da Voi il dono della vita ch'ora in
procinto mi trovo di doverla perdere. –
Ciò detto, vidi sortire di framezzo alla selva sette grandi
guerrieri armati di spada e di lancia. Essi si precipitano sopra
queste terribili fiere, ora colla lancia ed or colla spada, ed
erano così veloci e destri nel loro corso, che pareva
avessero le ali ai piedi e alle mani. In pochi minuti queste
orribili fiere furono uccise e ridotte in polvere dai loro
fulminei brandi, chè nemmeno una vestigia rimase di esse in
questa oscura e tenebrosa selva: e senza che a me si facessero
noti questi miei celesti difensori, me li vidi sparire per la
selva. Di ciò rimasi alquanto sorpreso e meravigliato al
successo di questa prodigiosa scena, e fra me non sapevo come
pensarla. Indegno ne resi lode a Dio; e via proseguo il mio
periglioso cammino per sortir fuori di questa folta ed oscurissima
selva.
Il rumor dell'aere sempre più cresceva: pareva che a me si
avvicinasse la tempesta che procedeva alla lontana, il vento
più impetuoso soffiava. Il cielo era coperto di dense nubi;
sicchè l'apparato era così terribile che altro io
non andavo aspettando che una improvvisa e divoratrice tempesta.
Contuttociò fiducente in Dio senza alcun timore proseguo il
mio cammino per questa tenebrosa selva, e di quando in quando mi
trovavo sperso e intricato fra pruni, roveri e boscaglie,
chè dubitavo di non più doverne sortire. A un tratto
mi armavo di fede e di coraggio, e ogni sforzo ogni ingegno
adoperavo, chè finalmente mi trovavo libero e franco nel
mio intrapreso cammino.
Prendo la salita di un colle, poi scendo al basso in un'altra
più oscura valle di quella dove avevo trovato le già
dette fiere. Qui lo stupore, la paura e lo spavento mi
assalì all'estremo in vedere questa oscura valle ricoperta
aggremita di piccoli e grossi serpenti che contro a me tutti
venivano facendo un sibilìo d' inferno. Io a così
orribile vista rimasi atterrito e vinto in tal modo che altro
scampo non credei trovare che quello di raccomandarmi altra volta
a Dio dicendo: – Dio mio, così mi ritrovo, per le mie
malvagità. Voi mi avete salvato dalle crudeli zanne delle
rapaci fiere, ora mi divoreranno questi velenosi e maligni
serpenti; Dio mio, salvate l'anima mia. – E così dicendo mi
copersi il capo con un mantello che avevo, e per non vedere lo
spettacolo di me stesso mi gettai per terra, dandomi preda di
questi arrabbiati e velenosi serpenti, che da ogni parte a me
venivano contro. Appena che io mi fui gettato per terra, odo una
voce che mi dice: – Alzati uomo dal tuo avvilimento e noi
riconosci che qui siamo venuti in tua difesa a cavarti da questa
oscurissima selva e liberarti dal pericolo in cui ti trovi di
essere divorato da questi serpenti. –
All'udir questa voce subito mi alzai da terra e mi riebbi del mio
avvilimento, mi scopersi il capo: che vedo? Altro prodigio: i
sette gran personaggi che mi erano apparsi altra volta in sogno
nella grotta di Sabina descritto nella prima lettera ai Romani;
unitamente ad essi vi era il venerando vecchio che mi era
scomparso uscendo dalla Grotta come avete inteso. Esso era montato
su di una gran mula candida come neve parimente i sette gran
personaggi erano montati ciascheduno in cavalli candidi e grandi e
ben fatti, ugualmente alla mula. Tre di questi gran personaggi
menavano un cavallo, ciascheduno di essi per mano, fuori di quello
che cavalcavano, bardati in tutto da potersi cavalcare, ed erano
detti cavalli uno rosso, uno nero ed uno bianco. Facendosi avanti
a me quello che conduceva il cavallo rosso, il venerando vecchio
mi prese a dire: – Uomo, monta su cotesto cavallo, (io subito vi
montai colla velocità di un baleno) tieni questa verga per
virtù della quale ti libererai dalle morsicature di questi
velenosi serpenti e d'altri animali feroci e rapaci che a te e a
noi vengono contro frapponendosi ai nostri passi, insidiandoci la
vita. Uomo, segui le nostre orme e non ti dilungare da noi un sol
passo; altrimenti questa verga perderebbe la sua virtù e
verresti divorato da questi velenosi e maligni serpenti, o d'altri
animali feroci e rapaci che troveremo lungo il nostro cammino. –
Sì dicendo, il vecchio in mezzo ai sette gran personaggi ed
io dietro, proseguiamo il cammino per la folta boscaglia,
aprendosi essi il passo colle loro spade, tagliando ed atterrando
al suolo tutto ciò che dava ostacolo al loro cammino, ed in
pari tempo dove essi passavano, i serpenti rimanevano calpestati e
franti dalle zampe dei nostri cavalli, e uccisi e messi in pezzi
dalle ultrici spade. Camminato che ebbimo un lungo tratto per la
folta e tenebrosa selva dei serpenti, il mio cavallo cominciava a
rimanere dal suo corso, e me lo sentivo mancare sotto a poco a
poco, perchè in gran copia il sangue perdeva da tutte
quattro le gambe per le tante morsicature di quelli arrabbiati e
avvelenati serpenti. A un tratto me lo vedo morir sotto con un
gran disturbo, spavento e timore della vita, perchè contro
di me pareva venissero quei maligni velenosi e feroci serpenti.
Vedendomi così morto il cavallo, subito gridai: – Mio Dio,
aiutatemi, io son perduto, il mio cavallo è morto. –
Il venerando vecchio si rivolse a me dicendo: – Uomo, temi tu
forse al nostro fianco e dubiti della virtù della verga che
ti ho donato? Qual dubbio, qual viltà ti tiene? Ti dico, o
uomo, più valore sia in te, più fede d'ora in
avanti; il dubbio, il timore sia lungi dal tuo cuore. Altra volta
tel dissi, ultimo avviso sia questo. – Ciò detto, subito
accorse a me colui che teneva il cavallo nero, e senza arrestarmi
di un sol passo, vi montai sopra, e via proseguimmo il nostro
cammino fra il sibilìo dei serpenti, il rumore della vicina
tempesta, e lo imperversar dei venti che soffiavano impetuosi per
l'aere, che rivolgendosi a terra sembrava che volessero schiantare
o subissare tutta la selva per cui noi camminavamo. Giunti che
siamo quasi al fine dell'oscura e tenebrosa valle dei serpenti che
incominciavano a uscir fuori dal bosco, altra volta il mio cavallo
me lo vidi arrestare nel suo corso, ed era tutto grondante di
sangue in maggior copia dell'altro, perchè non solo gli
usciva dalle gambe, ma da diverse parti della vita, dal petto e
dalla testa, perchè più in moltitudine e più
grossi e feroci avevamo trovati i serpenti nel finir dell'oscura e
tenebrosa valle. Altra volta mi vidi morire improvvisamente il
cavallo sotto. Io non mi intimorii, come l'altra volta, ma subito
al venerando vecchio gridai: – Il mio cavallo è morto.– Il
vecchio mi rispose: – Tieni viva la fede. – Ciò detto, fu
subito a me l'altro personaggio che conduceva il cavallo bianco;
vi montai sopra, senza restare d'un solo passo, e in breve
giungemmo fuori dell'oscurissima valle dei serpenti e ci trovammo
alle falde d'un altissimo e maestoso monte, in cima del quale era
una bellissima e sontuosa Piramide. Noi salendo per le falde di
detto monte, ove si vedeva dalle basse pianure avanzarsi a noi la
tempesta, avevamo il rumor del tuono, il forte soffiar dei venti,
il balenío, del folgore, lo strillo ed il sibilo che
facevano immense turbe di uccelli che volando dalle basse pianure
tiravano a scansare la precedente tempesta venendo alla volta di
detto monte, dove noi con gran velocità sui nostri candidi
destrieri venivamo salendo. Io vedendo ed udendo da ogni parte un
apparato così terribile, che da per tutto ove io volgevo lo
sguardo, pareva che a fuoco andasse sottosopra questa oscurissima
selva, io in verità fra di me dubitai che questa fosse la
fine del mondo. Il venerando vecchio voltandosi alla pianura e
riguardando le innumerevoli schiere di volatili che verso di noi
con gran furore venivano, esso battendosi la palma della mano
destra tre volte nella fronte, così venne dicendo:
– Misera umanità, due terzi estinta! dei rossi uno
resterà fra i dieci. Dei neri di dieci ne resteranno tre.
Dei bianchi, sei resteranno di dieci. Misera umanità! Dei
rossi uno per ogni cento si salverà. Dei neri dieci si
salveranno per ogni cento. Dei bianchi uno per cento perderanno il
cielo. Misera umanità! Dei grandi ogni dieci due
resteranno. Dei candidati tre resteranno per ogni dieci, e dei
comuni resteranno per ogni dieci cinque.–
Così dicendo rivoltosi alla cima del monte tirò tre
grossissimi sospiri e borbottando a voce bassa disse queste parole
– Le malvagità commesse sulla terra costano care al cielo:
l'abuso di pochi è una corruzione in genere. I figli della
menzogna e dell'adulazione saranno tolti dal mondo. Oh miseri!
troppo, sì troppo il loro cuore è indurito alla
carità e pietà cristiana, ma severa e terribile
sarà per loro la mia giustizia. Io non ho perduto il mio
poter su di essi, lo vedranno i superbi, sì lo vedranno.
Io che attentamente ascoltavo queste lugubri parole, vidi che
sì dicendo gli cadevano alquante lagrime dagli occhi. Uno
dei gran personaggi gli dimandò: – Mio rege, hai tu
pietà di coloro che pietà non hanno? – A questo si
rivolse dicendo: – No; vedi qual terribile apparato a lor si
appresta? Di lor non gemo, sol di altri pur gemo che con essi
periranno, e periranno per sempre: di questo io gemo. – A questo
dire si turbarono i gran personaggi e l'uno più non
parlò; io pure sentii un certo dolore interno, che tuttora
sento.
Tiriamo alla volta del monte: ecco sopra di noi le turbe dei
volatili, una parte di essi si fogano, stridendo a noi così
impetuosi, con più rabbia e ferocia delle fiere e dei
serpenti, ma essi ci stavano un poco alla lontana, perchè
coi loro brandi si difendevano i gran personaggi, e al venerando
vecchio e a me non si accostarono in virtù della verga che
esso mi aveva donato.
Cosa sorprendente, meravigliosa e terribile era il veder tutti
questi volatili far guerra fra di loro, divisi in tre partiti gli
uni dagli altri. Quelli che avevano il capo rosso davano contro a
quelli che avevano il capo bianco; essi benchè in minor
numero vincevano i rossi: questi perdendo dai bianchi conducevano
contro quelli che avevano il capo nero, e così fra i rossi
e i neri nasceva un'accanita e sanguinosa guerra, che più
di mezzi si vedevano cader morti sul suolo. Accorrevano i bianchi
a questo terribile combattimento, e in un momento si vedevano di
nuovo divisi fra loro, ma di nuovo i rossi andavano contro i
bianchi, sicchè questo modo di micidiali combattimenti lo
vidi replicare più e più volte fra quelli
innumerevoli volatili e divisi in tre partiti fra loro in
grossissime ciurme che volando per l'aria annebbiavano tutto il
suolo della terra per dove passavano, e lasciavano ingombra la
medesima di ammassati cadaveri che di essi così
combattendosi cadevano a terra morendo.
Noi camminavamo alla volta della cima del monte dov'era la
maestosa Piramide, in cima della quale v'era una certa insegna che
recava spavento e terrore ai rossi e ai neri, ed in pari tempo
incoraggiava ed animava i bianchi. I rossi ed i neri spaventati
alla vista di detta insegna, si precipitavano stridendo e
dibattcndo le ali a noi si fogavano col rostro e cogli artigli,
che alcune volte ci trattenevano il passo, e allora i bianchi
venivano contro in nostra difesa e ci rendevano libero il passo e
così principiava un accanito combattimento fra loro, e la
vittoria era sempre dei bianchi, conciosiacchè fossero di
due terzi meno in confronto dei rossi e dei neri.
Viemaggiormente fra questo strano combattimento cresce il vento, e
la tempesta era quasi sopra di noi. Raddoppia il rumor del tuono,
il cielo si copre di dense nubi, comincia a cader la pioggia;
sicchè tutto era spavento, tutto era terrore, apparato di
morte.
Quasi eravamo giunti alla cima del monte dov'era la sontuosa
Piramide: la pioggia si converte in un turbine di grandine, anzi
pezzi di ghiaccio grossi più o meno come la breccia dei
fiumi. I volatili rossi e neri incalzati al tergo dal turbine di
così fiera e micidiale tempesta si precipitano alla volta
della cima del monte (dove la pioggia non procedeva nè
poco, nè punto) ma appena che vedevano ad una certa
distanza la inalberata insegna ch'era sopra a detta Piramide,
rimanevano spaventati in modo che retrocedevano pieni di
confusione e d'ira, sì precipitavano su di noi, e come
disperati si davano in preda alla tempesta, al foro, alla morte.
Sicchè appena siamo giunti nel recinto della cima del
monte, il mio cavallo, come gli altri due, me lo vidi morir sotto,
tutto percosso nella testa e al davanti nel petto, dalle tante
pizzicature, graffiature velenose e feroci di questi fuggitivi e
furibondi volatili.
Io nulla ebbi da temere, conciosiacchè fossi rimasto a
piedi, perchè ormai ero fuori d'ogni pericolo dalla ferocia
dei volatili e dal furore della tempesta. Il venerando vecchio ed
i sette gran personaggi si volsero a me dicendomi: – Uomo, non
temere, chè abbiamo vinto. La vittoria è nostra,
conciossiacchè molto sangue ne costi. –
Il vecchio prosegue dicendo: – Sì, molto sangue è
costata la vittoria dei bianchi. Il cielo così
placherà l'ira sua sul mondo. È d'uopo far
così: questa delle tue vittorie è una piccola parte.
I segni saranno esecuzioni, avvertimenti non solo a te, ma
all'universo intero. – Ciò detto, come un'ombra si diparte
fra mezzo ai sette gran personaggi, e va sulla cima della
Piramide, sempre stante a cavallo sulla candida mula. Io ammirai
questo prodigio, pieno di meraviglia e di stupore.
In sull'istante cessa il turbine e la tempesta: torna l'aere
sereno placido e tranquillo: vedo che quei pochi di volatili rossi
e neri restati semivivi dopo passato il turbine e la tempesta, gli
andavano sopra i bianchi e con il loro rostro a guisa di forbici
taglienti, gli radevano le penne dalle ali e dalla coda,
acciò non si potessero più sollevare da terra,
staccando altro volo per non più andarli contro, e
così i rossi ed i neri rimasero prigionieri e vinti dai
bianchi.
Il venerando vecchio dall'alto della sontuosa Piramide muove una
sonora ed imponente voce dicendo: – Principi delle sante milizie,
andate sulla faccia della terra; battetevi per la divina
giustizia; contro di voi invano rugghiano le fiere del deserto; i
serpenti più velenosi maligni e feroci invano sibilano
contro di voi. I volatili più rapaci e crudeli invano
aguzzano il loro rostro e i loro artigli. Niun mostro, dico,
nessuna insidia ed inganno, o forza umana potrà prevalere
alla vostra possanza.–
Così dicendo il venerando vecchio si vide trasportato in
aria al disopra della Piramide (ugualmente alla sua mula) su di
una grossa nube tutta risplendente come i raggi del sole.
A questo prodigio muta la scena. I sette gran personaggi li vidi
alla testa di sì grandi eserciti armati a piedi e a
cavallo, ed ognuno di essi aveva schierato il suo campo in sette
amene valli che si dividevano fra la pendice di diverse colline di
questo montuoso monte. Al piè di detta Piramide vi erano
altri sette grandi personaggi armati di spada e di lancia, in
ugual modo dei sette guerrieri che avevano ucciso ed impolverito
le innumerevoli fiere della oscurissima selva. Detta Piramide era
costruita in tre ordini di gradinate che formano come tre recinti
di mura, chè uno era sollevato di un terzo dall'altro dalla
sua totale altezza. In queste gradinate vi si vedevano intorno
come in balaustrati tanti piissimi sommi e santi sacerdoti del
primo, secondo e terzo ordine francescano. In cima di detta
Piramide come in altro balaustrato vi si vedevano tre venerandi
personaggi vestiti uno differente dall'altro. Quello che stava in
mezzo ai due era vestito di una lunga cappa color di cenere e
sugli omeri portava una clamide color celeste, e dalla mano destra
portava il pastorale, nella cima del quale vi era una Colomba che
teneva nel rostro due rami di olivo. L'altro personaggio che a
questo stava alla destra, era vestito di porpora, tenendo uno
scettro dalla mano destra. Il terzo ch'era dalla sinistra, era
vestito di un modo così straordinario, quasi simile ai
sette guerrieri che stavano al piè della Piramide. Le sue
divise erano di diverso colore, come esso diverso era nell'aspetto
guerriero ed energico dagli altri due gran personaggi, e dalla
destra mano teneva una verga simile a quella che a me aveva donato
il venerando vecchio.
Fra tutto questo mutamento di cose non sapevo riconoscere in me se
ero quello che sono, o quello che a me sembrava di essere:
comunque fosse, per me tutto era prodigio e nulla dubitavo di
essere ingannato da altre imaginazioni, senonchè reale e
naturale successo di quello che più volte ho annunziato in
altri miei scritti.
Vedo per la seconda volta il venerando vecchio sospeso per l'aere
entro la risplendente nube, ma sopra d'ogni altro avevo ardente
desiderio di sapere se nella verga che egli mi aveva donato si
conservasse sempre la virtù di rendere invulnerabile la mia
persona da ogni qualunque colpo o insidia mortale. Grande era il
mio desiderio su ciò, ma Egli al mio pensier si avanza
dicendo: – La tua verga sarà sagrata al sangue tuo. La vita
di molti costerà. Le turbe al solo alzarla tremeranno e al
poter suo si renderanno vinte. Ma pensa che ad altri potrei
passarla in dono. –
Sì dicendo, spiegò al vento una piccola bandiera di
color giallo, in essa si vedeva dipinta l'imagine di Gesù
profeta, di Maria Vergine, con una croce in mezzo di essi, ed in
mezzo alla croce vi era una Colomba simile a quella del pastorale
del detto personaggio, e vi erano pure diverse cifre scritte
all'intorno del campo giallo di detta bandiera. Voltandosi il
venerando vecchio alle schierate milizie, venne dicendo: – Eccovi,
figli della fede, campioni di Cristo; questa è la
prodigiosa insegna, con la quale riunirete tutti i popoli della
terra ad una sola fede. Chi militerà sotto di essa
sarà benedetto in eterno. –
Detto ciò, cala alquanto dalla sua nube al disopra della
Piramide e consegna questa piccola bandiera all'uomo venerando che
teneva in mano il pastorale. Poi elevandosi per l'aere (unitamente
alla sua candida mula) entro la risplendente nube, in un momento
si sollevò ad una grande altezza, che male appena la vedevo
cogli occhi, e così sparendo lasciava l'aere nuvoloso e
denso. E ad un tratto al disopra della Piramide scoppiano sette
grandi folgori, uno dei medesimi mi sembrò che mi colpisse
nella testa rovesciandomi come morto a terra. Nell'atto mi desto;
e mi trovai essere fuori dal posto ove io dormivo, ed il rumore
della testa non mi è ancora passato. Forse dipenderà
dalla prevenzione della percussione improvvisa di dette folgori.
Quest'effetto non saprei come si producesse in me, se non che per
la viva immaginazione del sogno. In altro modo io non saprei come
pensarla. Ai moralisti lascio di studiare su ciò, se sotto
tali fenomeni di un ordine morale e sopranaturale esistano o no
tali cose. Io solo, vi dico (come altre volte ho ridetto) che per
me tutto è mistero, tutto è opra della mano divina
che col pennello del sogno e della visione vuol dipingere agli
uomini l'orribile quadro della inesorabile sua irata giustizia.
Questo misterioso sogno di più mi ha portato alla memoria
altri sei sogni, fatti in diverse epoche nella mia vita giovanile
fino ad oggi, e tutti contengono, secondo il mio poco conoscere,
il medesimo mistero, ed abbracciano su per giù la medesima
sostanza: pure di questi voglio fare una descrizione a tempo
debito per poi farne un confronto, se questi sette sogni sono un
tessuto, o no, della mia vita passata presente e futura, col
contenuto di tutto l'avvenire delle vicende umane.
Le epoche di detti sogni sono. Il primo lo feci il 1848, il 3 di
maggio, lungo la riva di un piccolo fiume, detto Trisubbie, nel
territorio del Comune di Scansano, dormendo sotto una quercia. Il
secondo lo feci il 15 agosto 1855 sulla montagna di Montebono,
territorio del Comune di Sarano, di giorno, dormendo sotto di un
faggio. Il terzo lo feci il 23 luglio 1862, in un'amena collina
sul Monte Labaro, sotto uno spino (di giorno, ove è la mia
dimora). Il quarto lo feci il 7 febbraio del 1869, nell'isola di
Montecristo. Il quinto lo feci il 23 luglio 1870, dentro la
vôlta della torre che or vengo costruendo qui sul Monte
Labaro. Il sesto lo feci il 4 aprile 1871 a Roma. Del settimo vi
ho fatta alla meglio la narrativa, ed a voi la trasmetto, miei
buoni fratelli Italiani, perchè così devo per
comando espresso della mia missione. Ora a voi tocca lo studiarvi
sopra ed apprezzarne il contenuto, il quale è molto utile
alla salvezza dell'anima e della vita.
A voi tutti mi umilio, miei fratelli Italiani, segnandomi vostro
fratello in Cristo, peccatore indegnissimo.
LETTERA ANONIMA
DI PROFETICI AVVENIMENTI
Miei amatissimi fratelli in Cristo, conciosiacosachè me ne
viva ritirato da voi, dalla mia solitaria, aspra e montuosa
dimora, io non ignoro le tante miserie che vi opprimono e che
quasi vi hanno ridotto ad un disperato furore; per cui a voi per
ispirazione divina invio questa mia lunghissima lettera, onde
evitare per quanto sia possibile, la malafede che di giorno in
giorno vie maggiormente cresce fra i popoli.
A me fa pietà tanta povera gente, per cui mi frappongo a
tanto male con questi miei avvertimenti, onde far riflettere
seriamente ai mali che sono per avvenire sopra di noi a motivo dei
tanti peccati che hanno provocato Iddio a prevalersi della sua
terribile giustizia.
Per carità, fratelli, date ascolto alla mia parola e non
vogliate darvi in preda a voi stessi arbitri della passione e del
furore che vi potrebbe trascinare a commettere ogni e qualunque
delitto. A Dio solo spetta il giudizio delle nostre colpe e il
provvedere alle nostre miserie. Sopportiamo con pazienza il giogo
dell'oppressione e della miseria, che a suo tempo Iddio ci
provvederà, e quando meno aspettiamo.
Io conosco troppo bene, miei cari, il mal ordinato desiderio dei
rivoltosi, e dei popoli malamente trattati dai loro governi, come
pure conosco la miseria dei governi pessimamente corrisposti dai
popoli. Insomma, miei cari, il male è generale, e l'origine
primitiva di sì tanto male è germinata più
che mai dal maledettissimo spirito di egoismo e di avarizia, e gli
egoisti e gli avari son gente che vivono a carico della
società, e per questi non vi è onore, non vi
è carità, non vi è giustizia, solo si
occupano al comodo e all'amore di sè medesimi. Chiaro si
vede nel loro modo di vivere che non credono a Dio, perchè
non osservano i di lui precetti, non credono all'anima
perchè non pensano che alla felicità del corpo: non
hanno religione, perchè il loro Dio è se stessi; non
hanno fede e non credono all'Immortalità; perchè
solo s'intendono della materia, la quale solo amano ed adorano.
Gli egoisti e gli avari sono tanto nocivi alla società,
quanto è nocivo nel buon grano il loglio per cui con
spirito di carità, ma con severa giustizia bisogna
necessariamente fare una scelta di questa pessima gente e gettarla
da parte ma questa scelta conviene farla a Dio; e troppo bene si
conosce essere necessaria una Riforma in tutti i costumi degli
uomini, ma maggiormente, come avete inteso, nello spirito di
egoismo e di avarizia. Ci è pure un altro male non minore
del primo, che porta immenso danno alle famiglie, fra i popoli,
fra le nazioni, e questo è il mostro terribile dell'invidia
e della superbia. Dio mio, quanto è terribile questo mostro
d'inferno! La storia ce lo addita dei tempi passati e dei tempi
recenti.
Io ho creduto d'inviare a voi, miei fratelli in Cristo, questa mia
lettera, onde far noto a questa povera gente (dico povera gente
perchè mancante di tutte le virtù morali e civili)
che non è lungi il dì d'una grande rivolta fra i
popoli. Allora un grido di disperato furore si udrà:
«Sangue, sangue, sangue a chi ha succhiato il sangue».
I momenti, miei cari, saranno terribili, vedrete le falangi dei
popoli agguerriti inoltrarsi nelle ville, paesi e città, e
come un divorante incendio tutto distruggeranno e ridurranno in
cenere i più sontuosi edifizii di questo mondo. Voi allora
che farete, o egoisti, o avari, o invidiosi, o superbi, o
oppressori, o assassini dei popoli? V'inoltrerete forse fra la
mischia mostrandovi per quello che non siete? Vi gioverà?
Vi ascolteranno forse? No, fratelli, in verità non sarete
in tempo; anzi vi dirò che quei che poco prima erano a voi
soggetti come timidi agnelli, vi verranno incontro così
furenti, avidi del vostro sangue come leoni feroci e rapaci, e vi
uccideranno senza pietà, come voi non l'aveste di loro,
allorchè da voi venivano oppressi.
Pensateci bene, miei cari; la condizione di queste classi è
misera. Male avverrà per tutti, è vero, ma per
questi avverrà tanto male che io fremo, inorridisco in
pensarci. Dice lo spirito del Signore: «Io punirò gli
empii per man degli empii».
Fratelli, non date retta ai tristi, se vi volessero indurre a
partite di ribellione, di sommossa qualunque. Statevene al vostro
posto e non desiderate che sia versato il sangue del vostro
fratello, se non volete che del vostro si versi. No, non vi muova
lo spirito di vendetta contro di chicchessia che a voi avesse
fatto del male. Rammentatevi che la vendetta spetta solo a Dio; e
poi comunque forse, la vendetta non è la giustificazione
delle proprie offese, ma è barbarismo. Il perdono solo
è quello che giustifica le proprie offese e porta pace e
concordia. L'eroismo non consiste nell'essere barbari contro i
barbari, ma verso i barbari stessi essere clementi.
Oggi che il mondo è civile, non solo si grida vendetta,
sangue e morte ai tiranni, ma morte ai Papi, ai ministri di Dio,
ai Re, ai suoi reggenti, e rappresentanti di essi. Ah miseri! essi
non sanno quello che dicono e nè quello che fanno. Si
medica forse col sangue altra ferita che versa sangue? Col
sacrificio di una vita si rimedia forse ad un'altra vita? No, miei
cari; Iddio solo ha diritto versare sangue e toglierci la vita,
che a Lui solo appartiene: altri non può senza offendere
mortalmente la sua divina giustizia.
Fra le tante miserie che vi sono fra i popoli traviati e corrotti,
una delle maggiori è il barbarismo del civile progresso del
secolo. Esso di primo slancio si è dichiarato nemico
mortale della Religione del Cristo, ed ha rinnegato affatto la
fede degli avi suoi, e come un matto furioso s'indigna con insulti
e minacce contro il suo medico, che amoroso e paziente si affatica
a guarirlo da sì orribile e crudel malattia.
Così son tutti gl'infelici e i disgraziati figli del civile
progresso, caduti nel delirio delle loro sfrenate passioni, e
nulla di ben si può fare, anche volendo, a questi miseri,
perchè infuriano contro chiunque osasse riprenderli e
richiamarli alla ragione dei loro traviamenti. Mio Dio, come
rimediare a tanto male?
La Chiesa che è l'amorosa madre di tutti i fedeli, che con
imparziale amore ama tutti i suoi figli, pietosa accoglie in suo
seno tutti quelli che a lei si umiliano, di qualunque rito, di
qualunque nazione dei miseri figli discendenti di Adamo, e li
benedice a nome del Padre, del Figlio e dello Spirito santo, e con
assoluto perdono rimette la colpa e coll'emenda li invita alla
gloria dei giusti nel suo celeste regno, e pietosa coi lumi della
fede ci addita la strada del bene dell'anima e della vita,
mostrandoci i tesori delle sue grazie con l'insegnamento della
dottrina del Cristo. In essa si conoscono tutte le verità,
e vi si attinge la sapienza di tutte le cose, e vi si apprendono
le pratiche di umiltà, di amore, di carità e di
giustizia. E tutto questo di fronte al secolo del progresso
è delitto. Dio mio, abbiate pietà della loro
stoltezza; dissipate le tenebre, nelle quali sono caduti, e
mostrate loro i lumi del vero coll'efficacia della vostra infinita
misericordia, che avete sempre usata per i miseri peccatori.
Quanti, oh! quanti di questi disgraziati figli della corruzione si
sono distaccati dal seno della Chiesa protestandosi contro di
essa, dicendo che il civile progresso è culto libero, e che
il culto altro non dev'essere che il civile educamento.
Io non voglio, no, miei cari, entrare a trattarvi di sì
dolorose vicende di questo iniquo e scellerato progresso del
secolo. Solo mi urge il farvi intendere che i giorni passano e le
ore si avvicinano d'una spaventevole rivoluzione fra i popoli, che
in tutte le cose muterà la faccia al mondo: allora guai a
noi se avremo reati presso Iddio e presso gli uomini. Saremo
colpiti improvvisamente, quanto meno ce lo aspettiamo, dalla irata
giustizia divina: allora non gioveranno scuse, non gioveranno
pentimenti, periremo e forse periremo in eterno.
Fratelli, rammentiamoci delle tante volte che Iddio ha punito i
popoli con simili ed altri castighi, annunziati, come io li
annunzio a voi, per bocca degli uomini. Ebbero di che lagnarsi
della sua misericordia, allorchè perirono nel furore del
suo sdegno? No, miei cari, non ebbero di che lagnarsi; da
pentirsi, ma tardi.
Oh per pietà! fratelli, non voglia essere tale di noi;
prepariamoci per tempo a questo imminente castigo: facciamo come i
Niniviti all'avviso di Giona, che allora vi assicuro che non
avremo da pentirci. No, non date retta a quelli spiriti forti, ma
in sè stessi vili e miserabili, perché privi del
lume della fede, che vi dicono che sono chimere questi
avvertimenti; rispondete loro che chimere sono i loro delirii.
L'esempio della storia de' tempi ci fa veder troppo chiaro che io
vi parlo il vero, e che essi mentono così dicendovi. Non
date retta a chi v'insinua al male, altrimenti male vi troverete.
Mirate là fra la moltitudine dei popoli i facinorosi e
seduttori politici che aspettano il cenno della rivolta per
dissetar l'infernal sete che hanno di sangue umano. Ah miseri e
disgraziati che sono! Essi non sanno che saranno le prime vittime
immolate all'ara del liberalismo e del civile progresso del
secolo?
I brandi sono già affilati per recider le più
sublimi ed alte teste che baldanzose si ergono fra la mischia dei
popoli. Quei che si credono sicuri, perchè potenti e forti,
saranno i primi a cadere nella polvere involti nel proprio sangue,
ed insepolti taluni saranno divorati dai cani e dalle fiere, e
squartati in pezzi dal furor delle turbe, come per tirannico
spregio per le loro barbare e temerarie vendette. Quelli che
avranno ammassato ed accumulato ricchezze sopra l'oppressione dei
popoli, avendoli gettati in sì estrema calamità,
saranno èsca al fuoco divoratore della guerra e della
rivoluzione. Coloro che di armi si muniscono per difendersi ed
uccidere i loro nemici, si troveranno vinti inaspettatamente, e
colle armi in pugno e senza colpo ferire rimarranno immobili al
loro posto come pietra, e quelle loro stesse armi tolteli di mano
dai loro sudditi, faranno l'ufficio della scimitarra dei due
superbi giganti Golia ed Oloferne, e saranno il trofeo delle loro
vittorie.
Tutte queste orribili vicende tenetele per certe, miei cari, che
fra poco avverranno, e vi prevengo che nessuno di voi confidi
nelle proprie forze e voi ed io rammentiamoci che siamo un nulla
avanti a Dio, per cui in Dio solo dobbiamo riporre tutta la nostra
fiducia, che Egli ci sarà scudo e difesa nella
calamità, nel castigo e nel periglio.
Miei cari, voi vedete molto bene che il male dell'ordine morale e
civile è giunto all'estremo, e per porvi un rimedio non ci
vuole che un miracolo della onnipotenza divina. Solo essa ci
può sottrarre da sì tanta miseria. E allora, mi
direte voi, come avverrà così tanto miracolo?
Avverrà in tal modo. Iddio manderà a noi un celeste
liberatore, il quale vedremo improvviso comparire mischiandosi fra
la ribellione dei popoli, tenente in mano una verga, ed una gemma
nel dito medio della sinistra mano, ed in virtù di questi
doni, donatigli da Cristo stesso, opererà miracoli e
meraviglie da far stupire il mondo, e coll'eloquenza della sua
divina parola spariranno i nemici di Dio davanti a lui come fumo
al vento. La di lui verga sarà la spada di fuoco maneggiata
dall'irata mano divina e lo scettro col quale saranno governati
nella nuova legge tutti i popoli della terra. La gemma è la
pietra della nuova alleanza della Chiesa con Cristo, e siccome la
Chiesa è la vera Sposa di Cristo, così, l'uomo sposa
Cristo e la Chiesa per la divina virtù di questa gemma, per
cui la Chiesa sarà tutto un corpo collo stato civile e
morale dell'uomo.
Intendete bene, o fratelli, questo mio misterioso e profetico
linguaggio. La verga è il simbolo della Riforma dello Stato
politico, e la gemma è la pietra angolare di una nuova
Religione, la quale riformerà la Chiesa stessa, e
distruggerà tutte le altre religioni degli uomini, e questa
unica rimarrà sul mondo fino alla consumazione dei secoli.
Tutto questo mutamento di cose porterà fra noi questo
celeste Liberatore. Di più vi avverto che verrà
improvviso come ho ridetto, a precipitarsi sugli empii, come
l'Angelo sterminatore di Egitto, che in una sola notte farà
tante stragi che il sangue si vedrà correre a rivi nelle
pubbliche strade, dalla tanta gente che per ordine suo e fra se
stessi si uccideranno.
Fratelli, non vogliate disprezzare questi miei avvertimenti, se
non volete che il disprezzo cada sopra di voi. I giorni camminano
e le ore si avvicinano, come vi ho detto: pensiamo che la mano di
Dio più tarda a punire e più è pesante se
vedeste allungare il tempo, e non vedendosi l'accennato castigo,
non dite come altre volte avete detto: non è vero il
vaticinio, è invenzione d'uomo, sono spauracchi che ci
dànno a credere per tenerci in timore e null'altro. No,
miei cari, non dite così: siate certi che il castigo
è inevitabile, e tutte queste cose che vi ho annunziate,
devono avvenire dentro il corso di anni 19 da che il nostro
immortal Pio IX spirò i 25 anni del suo Ponteficato. Questa
è la data precisa del nuovo riordinamento di tutto il
mondo; ma bene inteso che il castigo potrebbe avvenire oggi come
domani.
Vi sia pur questo di avvertimento. Dovete sapere che il trionfo
dei popoli e della Chiesa deve avvenire colla distruzione totale
dei nemici della patria e della fede. Di più per darvi
un'idea quali possono essere davanti agli occhi di Dio i suddetti
nemici della patria e della fede, vi aggiungo i sette guai
seguenti, onde vi regoliate in voi stessi sui terribili disegni di
Dio. 1. Guai ai superbi di spirito. 2. Guai ai rinnegati alla
fede. 3. Guai a chi ha il cuore finto e maligno. 4. Guai agli
oppressori dei popoli. 5. Guai ai libertini. 6. Guai ai cabalisti
ed abusatori delle cose sacre. 7. Guai agli oppressori
dell'innocenza.
Miei cari, comprenderete bene che in questi sette guai è
designata tutta la classe dei peccatori che Iddio ha deliberato
estirpare fino ad uno fra il numero dei viventi.
Dice lo spirito del Signore: Allorchè verrò nel
furore del mio sdegno, sarò clemente e benigno per quelli
che avranno peccato per semplicità e fragilità; ma
severo e terribile per coloro che avranno peccato per malizia e
cattività di cuore.
Tutto questo vi prevengo, miei cari, non per mia arbitra
volontà, ma per volere e comando di Dio. Dunque vogliate
per amore di esso far conto di questi miei celesti e santi
avvertimenti, se desiderate il bene e la salute dell'anima vostra,
e il salvamento della vita da sì terribile e imminente
castigo. Vi saluto nel nome del Signore, augurandovi pace, salute
e felicità eterna. Sempre sia fatta la volontà di
Dio in cielo, in terra e in ogni luogo.
UNA LAMENTAZIONE
1. Signore, i martirii che il mio cuore sopporta a causa della mia
misera posizione sono sì grandi, che io sono diventato al
punto di rassomigliare ad un albero posto sopra un'alta montagna,
esposto a tutti i venti,e alle tempeste degli uragani devastatori.
2. No, Signore, non mi avvilisco e non mi dilungo dalla strada che
mi avete indicata; benchè veda davanti a me un mondo di
fuoco, io sono disposto ad entrarvi senza timore di essere
bruciato, perchè mi avete detto che servendovi niun male mi
potrebbe nuocere.
3. Voi mi avete detto anche, o Signore, che servendovi fedelmente,
ed obbediente ai vostri ordini, ogni avvenimento pericoloso che
incontrerò si cambierà in una felice fortuna. Che ho
dunque a temere, mio Dio, mentre mi avete promesso tutto
ciò?
4. No, no, Signore, nessun uomo di questo mondo potrà
impedirmi di seguire la strada che mi avete indicato per le mie
conquiste alla gloria vostra: mai, mai mi arresterò nella
strada presa, fino a che mi diciate: fèrmati, non andare
più oltre.
5. E se qualche potente della terra mi dicesse: – Alto là,
pellegrino straniero, non seguire le tue intraprese, noi ti
proibiamo di andare più oltre; – io risponderei loro: – Chi
siete voi che osate proibirmi di andare dove il mio Dio mi chiama?
– Io non lo temerei, e andrei avanti senza nulla temere.
6. No, io non temerei nulla, Signore, perchè vi chiamerei
in mia difesa; poi sfiderei chi volesse opporsi a me, sicuro di
vincere in un colpo d'occhio. Nessuna forza umana potrà
resistere alla mia intrapresa, perchè voi sarete con me
colla vostra potenza infinita.
7. No, no, Signore, nessuno potrà impedirmi d'andare da per
tutto ove mi chiamate pel vostro servizio. Anche mi mandaste in un
deserto popolato di bestie feroci crudeli e rapaci, io vi andrei
senza temere la loro ferocia.
8. No, non vi sarà in questo mondo alcun sito, se voi mi ci
chiamate, dove io non oserò adempiere la mia intrapresa.
Sì, sì, io andrò da per tutto dove mi volete,
o mio Dio; io sono diventato per voi uguale ad un cane fedele al
suo padrone, sempre pronto ad ogni più piccolo cenno, non
vedendo alcun ostacolo.
9. Signore, nella mia miseria mi avete reso atto a fare tutto
ciò che vi piacerà; servitevi di me come un semplice
strumento; datemi voi le abitudini, adattatemi secondo il bisogno,
il caso e le circostanze; io sono vostro schiavo, voi avete sopra
di me il diritto e il potere di disporre di me come vi aggrada.
10. Se per voi sono un miserabile riscattato dalla Morte alla
vita, io non posso opporre a ciò che voi disponete sulla
mia nullità, poichè non ha più sicuro diritto
di dire: voglio... e non potrei dirlo, quand'anche lo volessi.
11. Voi mi avete fatto conoscere lo stipite della mia famiglia,
che data da più secoli; essa possiede molti trofei delle
sue numerose vittorie. Io vedo ora il suo sangue disceso dal trono
nella polvere, e i discendenti di questa progenie mendicare la
loro vita. Dio mio, non è anche questo un martirio crudele
al mio cuore?
12. Ma come non dovrei, mio Dio, sopportare in questo mondo pene
strazianti, mentre m'avete palesato che da per tutto
incontrerò la miseria, la tribolazione, il martirio? Voi mi
avete intrecciato, e messa sul capo una corona di spine
acutissime.
13. Signore, voi mi vedete: il mio cuore è diventato una
fornace d'amore che brucia per voi, per la fede, per la
carità e per la giustizia. Io non amo e non desidero altro
in questo mondo, che possedere il vostro cuore, l'acquisto della
fede, l'adempimento dei doveri di carità e giustizia.
14. Ecco i soli tesori del mio cuore, e non potrei farne un dono
ad altri che a voi, che per un eccesso della vostra bontà,
me li avete dati; e privarmene sarebbe lo stesso che togliermi la
vita.
15. Tutti i tesori della terra io non li stimo, anzi li ho in
orrore, perchè sono nemici giurati dell'anima mia. Desidero
essere il più povero e il più miserabile degli
uomini come sono, anzi che il principe più potente della
terra, come volete che io sia.
16. Io so, mio Dio, che tutti quelli che desiderano il potere del
mondo per godere a bell'agio le comodità della vita, sono
nemici mortali della vostra giustizia. Voi date, mio Dio, la
potenza agli uomini sulla terra, affinchè ne usino
solamente pel bene di tutti.
17. Mio Dio, voi vedete che tutti i miei lamenti e suppliche non
procedono che dal desiderio del mio cuore afflitto e sospinto
dall'amore della fede, della carità e della giustizia. I
miei lamenti non sono che un continuo rimprovero che faccio a me
stesso, e a quelli che profanano questi santi principii.
18. Per causa di questo amore sono divenuto un astro focoso, che
da per tutto sparge i suoi raggi di fuoco. Non sono al mondo
nocivo, perchè sto da lui lontano; io non faccio altro che
comunicargli la mia luce e il mio splendore girando intorno a lui;
poi ritorno al mio centro, di dove fui mosso dal vostro volere,
mio Dio.
19. Gli uomini avranno un bel dire e un bel fare calcoli sopra di
me; nulla comprenderanno, se in voi, mio Dio, non fissano i loro
sguardi e i loro pensieri. Io sarò per essi un mistero
incomprensibile; e non potranno comprenderlo se non coi lumi della
fede che procede dalla vostra grazia. Il giorno non è
lontano in cui essi tutto comprenderanno, cioè quando
vedranno l'adempimento di tutto ciò che io ho loro
annunziato di verità, di carità e di giustizia per
vostro divino comando.
DALL'ALTARE Dl MONTE LABBRO
Ecco il giorno dell'universale Giudizio tanto desiderato dalle
anime che vivono nel regno della Speranza da cui un infinito
numero di esse vanno in Paradiso a godere nei loro posti di gloria
e di beatitudine che si acquistarono sulla terra, e fra queste vi
sono i gentili, gl'idolatri, gli ebrei, gli eretici che o morirono
nell'innocenza, o menarono una vita penitente e santa,
poichè Iddio è giusto e irreprensibile nei suoi
giudizii, e premia la virtù secondo il merito e punisce il
vizio secondo la qualità e gravità della colpa.
Stamane ancora sono uscite dall'Inferno tante anime dannate ed
angeli prevaricatori che sono stati liberati in virtù della
Redenzione di Gesù Cristo ch'è morto per tutti. Oggi
si è compiuta la nuova Redenzione. Stamane ho scagliato la
pietra in fronte a quel terribile gigante che col capo e colle
gambe arriva dall'uno all'altro polo della terra, e colle braccia
stese arriva da ponente a levante. Sì, oggi ho schiacciato
la testa a quella terribile bestia dell'Idra infernale
dell'eresia. Io sono la piccola pietra che cadendo dal monte va a
distruggere la grande statua dell'Idolatria papale. Ecco formata
l'Arca della nuova Alleanza: è là nel Tabernacolo
dell'Altare. Io ho piantato la pietra della nuova Chiesa, dove
tutti gli uomini troveranno salute. Ecco il Giudizio universale in
cui Iddio sceglierà i capretti dai becchi, gli agnelli dai
montoni, gli eletti dai reprobi, e per farvi conoscere quali sono
i veri eletti, vi dico che Gesù Cristo dice, che gli eletti
saranno, quelli che avranno usato misericordia verso di lui,
cioè verso i poveri, avendo loro dato da mangiare quando
avevano fame, dato da bere quando avevano sete e li avevano
rivestiti, visitati, ammoniti, consigliati con vero e sincero
amore, e questi saranno premiati e scritti nel libro della vita.
Vi dico ancora che tutti i peccati saranno perdonati, gli
adulterii, le fornicazioni, i furti, i sacrilegii, le bestemmie;
ma non saranno perdonati quelli contro lo Spirito Santo; che anzi
saranno castigati quelli che si opporranno alla mia Missione con
cuore maligno e superbo. E non verranno nel regno del Padre mio
quelli che diranno Padre, Padre, ma verranno quelli che faranno la
volontà del Padre mio. Figuratevi che io sia una gran
fiamma che abbia incendiato un bosco. Accorre molta gente per
smorzarlo e tirano addosso a quello acqua e terra, e dopo molto
lavoro sembra a tutti di averlo smorzato e se ne vanno contenti e
soddisfatti. Però alcune scintille rimaste sepolte
cominciano a lavorare pian piano. Allora si riaccende un incendio
più potente che si dilaga per tutta la terra e più
non si smorza e rende i suoi effetti.
L'ULTIMO INSEGNAMENTO
Io sento anticipatamente la felicità della gloria celeste
del Paradiso. Voi tutti morti, ma non morrete, no; io solo oggi
sarò quella vittima immolata per la Redenzione copiosa
degli uomini. Guardate questo manto; è tinto di sangue, ma
di sangue del secondo Abele. Voi, siete tanti Maccabei e Cristi
Duci e Giudici. Nulla vi spaventi; armatevi di fede e coraggio;
pensate che io solo basto e faccio per tutti. Non abbiate dunque
alcun risentimento di vendetta con quelli che ancor cercassero
farvi del male; perchè guai a colui che osasse alzare una
mano contro il suo fratello; guai a quello che togliesse un sol
centesimo al suo fratello; commetterebbe un grave reato di colpa.
Figliuoli e fratelli miei carissimi, oggi si va alla mia e alla
vostra infelice patria natia, la quale si è messa in
temenza che io quest'oggi debba andare con una comitiva di
masnadieri per saccheggiarla, per cui alcuni si sono rinserrati,
ed hanno sbarrato le porte e le finestre. Voi non temete.
La vittima è già fatta. Io solo sarò questa
prima vittima consacrata all'amor della patria e della fede, come
altra volta vi dissi. Ecco i miei cannoni, sono queste dodici
fanciulle vestite di bianco, che precederanno la carovana. Le
nostre armi saranno solo la tolleranza, il perdono, la pazienza.
Andiamo dunque, non temete di nulla. Io vado alla mia patria a
portare la pace ai miei patriotti e a tutti figli degli uomini. Se
vogliono la pace, avranno la pace; se vogliono la misericordia, la
misericordia avranno, se il sangue, ecco il mio petto pronto a
versarlo per amore di Cristo.