Francesco Guicciardini
RICORDI
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SERIE PRIMA1
Se bene lo ozio solo non fa ghiribizzi,
pure male si fanno e' ghiribizzi sanza ozio.
1. Quelli cittadini che appetiscono onore e gloria nella cittá sono
laudabili e utili, pure che non la cerchino per via di sètte e di
usurpazione, ma con lo ingegnarsi di essere tenuti buoni e prudenti,
e fare buone opere per la patria; e Dio volessi che la republica
nostra fussi prima di questa ambizione. Ma perniziosi sono quelli
che appetiscono per fine suo la grandezza, perché chi la piglia per
idolo non ha freno alcuno, né di giustizia, né di onestá, e farebbe
uno piano di ogni cosa per condurvisi.
2. Chi non è in veritá buono cittadino non può lungamente essere
tenuto per buono; però ancora che non desiderano piú presto parere
buoni che essere, bisogna che si sforzino di essere; altrimenti alla
fine non possono parere.
3. Gli uomini sono naturalmente inclinati al bene; in modo che a
tutti, quando non cavano piacere o utilitá dal male, piace piú el
bene che el male; ma perché la natura loro è fragile, e le occasione
che gli invitano al male sono infinite, si partono facilmente per
interesse proprio dalla inclinazione naturale. Però non per
violentargli, ma per ritenergli in sul naturale suo, fu trovato da'
savi legislatori lo sprone e la briglia, cioè el premio e la pena;
e' quali quando non si usano in una republica, rarissimi cittadini
di quella si truovano buoni; e noi ne veggiamo in Firenze tutto dí
la esperienzia.
4. Se di alcuno si intende o legge che sanza alcuno suo commodo o
interesse ami piú el male che el bene, si debbe chiamare bestia e
non uomo; poi che manca di quello appetito che naturalmente è
commune a tutti gli uomini.
5. Grandi difetti e disordini sono in uno vivere populare, e
nondimeno nella nostra cittá e savi e buoni cittadini lo appruovono
per meno male.
6. Dunche si può conchiudere che in Firenze chi è savio è anche
buono cittadino, perché se non fussi buono cittadino non sarebbe
savio.
7. Quella generositá che piace a' populi si truova rarissime volte
negli uomini veramente savi; però non è cosí laudabile chi pare che
abbia del generoso, come chi ha del maturo.
8. Amano e' popoli nelle repubbliche uno cittadino che faccia
giustizia; a' savi portano piú reverenzia che amore.
9. O Dio, quante sono piú le ragione che mostrano che la repubblica
nostra abbia in breve a venire meno, che quelle che persuadono che
la si abbi a conservare molto tempo!
10. Assai si vale chi ha buono giudicio di chi ha buono ingegno;
molto piú che pel contrario.
11. Non repugna alla equalitá del vivere populare che uno cittadino
abbia piú riputazione che l'altro, pure che la proceda da amore o
reverenzia universale, e sia in facultá del popolo levargliene a sua
posta; anzi, sanza simili puntelli male si sostengono le
repubbliche; e buono per la cittá nostra se gli sciocchi da Firenze
intendessino bene questa parte!
12. Chi ha a comandare a altri non debbe avere troppa discrezione o
rispetto nel comandare; non dico che debba essere sanza essa, ma la
molta è nociva.
13. È molto utile el governare le cose sue segretamente, ma piú
utile in chi si ingegna quanto può di non parere con gli amici;
perché molti, come poco stimati, si sdegnono quando veggono che uno
recusa di conferirgli le cose sue.
14. Tre cose desidero vedere innanzi alla mia morte; ma dubito,
ancora che io vivessi molto, non ne vedere alcuna; uno vivere di
repubblica bene ordinato nella cittá nostra, Italia liberata da
tutti e' Barbari, e liberato el mondo dalla tirannide di questi
scelerati preti.
15. Chi non è bene sicuro o per convenzione o per sentirsi sí
potente che non abbia in caso alcuno da temere, fa pazzia nelle
guerre di altri a starsi neutrale, perché non satisfá al vinto e
rimane preda del vincitore; e chi non crede alla ragione, guardi
allo esemplo della cittá nostra, e a quello che gli intervenne dello
stare neutrale nella guerra che papa Iulio e el re cattolico
d'Aragona ebbono con Luigi re di Francia.
16. Se pure vuoi stare neutrale, capitola almanco la neutralitá con
quella parte che la desidera, perché è uno modo di aderirsi; e se
questa vincerá, ará pure forse qualche freno o vergogna a
offenderti.
17. Molto maggiore piacere si truova nel tenersi le voglie [non]
oneste che nel cavarsele, perché questo è breve, e del corpo;
quello, raffreddo che sia un poco lo appetito, è durabile, e
dell'animo e conscienzia.
18. È da desiderare piú l'onore e la riputazione che le ricchezze;
ma perché oggidí sanza quelle male si ha e conserva la riputazione,
debbono gli uomini virtuosi cercare non d'averne immoderatamente, ma
tante che basti allo effetto di avere o conservare la riputazione e
autoritá.
19. El popolo di Firenze è communemente povero, e per la qualitá del
vivere nostro ognuno desidera assai le ricchezze; però è male capace
di sostenere la libertá della cittá, perché questo appetito gli fa
seguitare l'utile suo privato sanza rispetto o considerazione alcuna
della gloria e onore publico.
20. La calcina con che si murano gli stati de' tiranni è el sangue
de' cittadini; però doverebbe sforzarsi ognuno che nella cittá sua
non s'avessino a murare tali palazzi.
21. E' cittadini che vivono nelle repubbliche, quando la cittá ha
uno stato tollerabile benché con qualche difetto, non cerchino
mutarlo per averne uno migliore, perché quasi sempre si peggiora;
non essendo in potestá di chi lo muta fare che el governo nuovo sia
apunto secondo el disegno e pensiero suo.
22. La piú parte de' mali che fanno e grandi nelle cittá nasce da
sospetto; però quando uno è fatto grande, la cittá non ha da avere
obligo a chi gli tenta contro cose nuove sanza buone occasione,
perché si accresce el sospetto, e da quello e mali della tirannide.
23. La malignitá ne' poveri può facilmente procedere per accidente,
ne' ricchi è piú spesso per natura; però ordinariamente è da
biasimare piú in uno ricco che in uno povero.
24. Chi o principe o privato vuole persuadere a uno altro el falso
per mezzo di uno suo imbasciatore, o di altri, debbe prima ingannare
lo imbasciatore; perché opera e parla con piú efficacia, credendo
che cosí sia la mente del suo principe, che non farebbe, se sapessi
essere simulazione.
25. Dal fare o non fare una cosa che pare minima dipendono spesso
momenti di cose importantissime; però si debbe etiam nelle cose
piccole essere avvertito e considerato.
26. Facile cosa è guastarsi uno bello essere, difficile è
acquistarlo; perché chi si truova in buono grado debbe fare ogni
sforzo per non se lo lasciare uscire di mano.
27. È pazzia sdegnarsi con quelle persone, con le quali per la
grandezza loro tu non puoi sperare di poterti vendicare; però se
bene ti senti ingiuriato da questi, bisogna patire e simulare.
28. Nella guerra nascono da un'ora a un'altra infinite varietá; però
non si debbe pigliare troppo animo delle nuove prospere, né viltá
delle avverse; perché spesso nasce qualche mutazione; e questo anche
insegni a chi se gli presentano le occasione nella guerra, che non
le perda, perché le durano poco.
29. Come el fine de' mercatanti el piú delle volte è el fallire,
quello de' naviganti annegare, cosí spesso di chi lungamente governa
terre di Chiesa el fine è capitare male.
30. Mi disse giá el marchese di Pescara, che le cose che sono
universalmente desiderate, rare volte riescono; se è vero, la
ragione è che pochi sono quelli che communemente danno el moto alle
cose, e e' fini de' pochi sono quasi sempre contrari a' fini e
appetiti di molti.
31. Non combattete mai con la religione, né con le cose che pare che
dependono da Dio; perché questo obietto ha troppa forza nella mente
degli sciocchi.
32. Fu detto veramente che la troppa religione guasta el mondo,
perché effemmina gli animi, aviluppa gli uomini in mille errori, e
divertisceli da molte imprese generose e virile; né voglio per
questo derogare alla fede cristiana e al culto divino, anzi
confermarlo e augumentarlo, discernendo el troppo da quello che
basta, e eccitando gli ingegni a bene considerare quello di che si
debbe tenere conto, e quello che sicuramente si può sprezzare.
33. Tutte le sicurtá che si possono avere dallo inimico sono buone,
di fede, di amici, di promesse, e di altre assicurazione; ma per la
mala condizione degli uomini e variazione de' tempi, nessuna ne è
migliore e piú ferma che lo acconciare le cose in modo che el
fondamento della sicurtá tua consista piú in sul non potere lo
inimico tuo offenderti che in sul non volere.
34. Non puoi secondo el vivere del mondo avere maggiore felicitá che
vederti lo inimico tuo prostrato innanzi in terra, e a tua
discrezione; e però per avere questo effetto non si debbe
pretermettere niente. La felicitá grande consiste in questo: ma
maggiore ancora è la gloria in usare tanta fortuna laudabilmente,
cioè essere clemente e perdonare; cosa propria degli animi generosi
e eccelsi.
35. Questi ricordi sono regole che si possono scrivere in su' libri;
ma e' casi particulari, che per avere diversa ragione s'hanno a
governare altrimenti, si possono male scrivere altrove che nel libro
della discrezione.
36. È molto laudato apresso agli antichi el proverbio: Magistratus
virum ostendit; perché non solo fa cognoscere per el peso che s'ha,
se l'uomo è d'assai o da poco, ma ancora perché per la potestá e
licenzia si scuoprono le affezione dello animo, cioè di che natura
l'uomo sia; atteso che quanto l'uomo è piú grande, tanto manco freno
e rispetto ha a lasciarsi guidare da quello che gli è naturale.
37. Ingegnatevi di non venire in malo concetto apresso a chi è
superiore nella patria vostra, né vi fidate che el modo o traino del
vostro vivere sia tale che non pensiate avergli a capitare alle
mani; perché nascono infiniti e non pensati casi, che è forza avere
bisogno di lui. Ed e converso, el superiore se ha voglia di punirti
o vendicarsi di te, non lo faccia precipitatamente, ma aspetti el
tempo e la occasione; perché sanza dubio a lungo andare gli verrá di
sorte, che sanza scoprirsi maligno o passionato, potrá o in tutto o
in parte satisfare al suo desiderio.
38. Chi ha governo di cittá o di popoli, se gli vuole tenere
corretti, bisogna che sia severo in punire tutti e delitti, ma può
usare misericordia nella qualitá delle pene; perché da' casi atroci
e quelli che hanno bisogno di esemplo in fuora, assai è
ordinariamente se gli altri delitti sono puniti a quindici soldi per
lira.
39. Se e' servidori fussino discreti o grati, sarebbe onesto e
debito che el padrone gli beneficassi quanto potessi: ma perché sono
el piú delle volte di altra natura, e quando sono pieni o ti
lasciano o ti straccano, però è piú utile andare con loro con la
mano stretta; e trattenendoli con speranza, dare loro di effetti
tanto che basti a fare che non si disperino.
40. El ricordo di sopra bisogna usarlo in modo, che lo acquistare
nome di non essere benefattore non faccia che gli uomini ti
fugghino, e a questo si provvede facilmente col beneficarne qualcuno
fuora della regola; perché naturalmente la speranza ha tanta
signoria negli uomini, che piú ti giova e piú esemplo ti fa apresso
agli altri uno che tu n'abbia beneficato, che cento che non abbino
avuto da te remunerazione.
41. Piú tengono a memoria gli uomini le ingiurie che e' benefici;
anzi quando pure si ricordano del beneficio, lo reputano minore che
in fatto non fu, persuadendosi meritare piú che non meritano; el
contrario si fa della ingiuria, che duole a ognuno piú che
ragionevolmente non doverria dolere; però, dove gli altri termini
sono pari, guardatevi da fare piacere a uno, che di necessitá faccia
a uno altro dispiacere equale, perché per la ragione detta di sopra
si perde in grosso piú che non si guadagna.
42. Piú fondamento potete fare in uno che abbia bisogno di voi, o
che nel caso che corre abbia lo interesse commune, che in uno
beneficato da voi, perché gli uomini communemente non sono grati;
però se non volete ingannarvi, fate e calculi con questa misura.
43. Ho posto e' ricordi prossimi perché sappiate vivere e cognoscere
quello che le cose pesano, non per farvi ritirare dal beneficare:
perché oltre che è cosa generosa e che procede da bello animo, si
vede pure che talvolta è remunerato qualche beneficio, e anche di
sorte che ne paga molti; ed è credibile che a quella potestá che è
sopra gli uomini piaccino le azione nobile, e però non consenta che
sempre siano sanza frutto.
44. Ingegnatevi avere degli amici, perché sono buoni in tempi,
luoghi e casi che tu non penseresti; questo ricordo è vulgato, ma
non può considerare profondamente quanto vaglia colui a chi non è
accaduto in qualche sua importanza sentirne la esperienzia.
45. Piace universalmente chi è di natura vera e libera, ed è cosa
generosa, ma talvolta nuoce; da altro canto la simulazione è utile,
e anche spesso necessaria per le male nature degli altri, ma è
odiata, e ha del brutto; donde non so quale sia da eleggere.
Crederrei che si potessi usare l'una ordinariamente, non
abbandonando però l'altra; cioè nel caso tuo ordinario e commune di
vivere, usare la prima in modo che acquisti el nome di persona
libera; e nondimeno in certi casi importanti e rari usare la
simulazione, la quale a chi vive cosí è tanto piú utile e succede
meglio, quanto per avere nome del contrario ti è piú facilmente
creduto.
46. Per la ragione di sopra non laudo chi vive sempre con
simulazione e con arte, ma escuso chi qualche volta la usa.
47. Sia certo che se tu desideri che non si sappia che tu abbia
fatto o tentato qualche cosa, che, ancora che sia quasi scoperto e
publico, è sempre in proposito el negarla; perché la negazione
efficace, quando bene non persuada a chi ha indizi o creda el
contrario, gli mette almanco el cervello a partito.
48. È incredibile quanto giovi a chi ha amministrazione che le cose
sua siano secrete; perché non solo e' disegni tuoi quando si sanno
possono essere prevenuti o interrotti, ma etiam lo ignorarsi e' tuoi
pensieri fa che gli uomini stanno sempre attoniti e sospesi a
osservare le tue azione, e in su ogni tuo minimo moto si fanno mille
commenti; il che ti fa grandissima riputazione. Però chi è in tale
grado doverrebbe avvezzare sé e suoi ministri non solo a tacere le
cose che è male che si sappino, ma ancora tutte quelle che non è
utile che si publichino.
49. Conviene a ognuno el ricordo di non comunicare e' secreti suoi
se non per necessitá, perché si fanno schiavi di coloro a chi gli
comunicano, oltre a tutti gli altri mali che el sapersi può portare;
e se pure la necessitá vi strigne a dirgli, metteteli in altri per
manco tempo potete, perché nel tempo assai nascono mille pensamenti
cattivi.
50. Lo sfogarsi qualche volta de' piaceri o dispiaceri suoi è cosa
di grande conforto, ma è nociva; però è saviezza lo astenersene, se
bene è molto difficile.
51. Osservai quando ero imbasciadore in Spagna apresso al re don
Ferrando d'Aragona, principe savio e glorioso, che lui quando voleva
fare una impresa nuova, o altra cosa di importanza, non prima la
publicava e poi la giustificava, ma si governava pel contrario;
procurando artificiosamente in modo che innanzi che si intendessi
quello lui aveva in animo, si divulgava che el re per le tali
ragione doverrebbe fare questo; e però publicandosi poi, lui volere
fare quello che giá prima pareva a ognuno giusto e necessario, è
incredibile con quanto favore e con quanta laude fussino ricevute le
sue deliberazione.
52. Ancora quelli che attribuendo el tutto alla prudenzia e virtú si
ingegnano escludere la fortuna non possono negare che almanco sia
grandissimo beneficio di fortuna che al tempo tuo corrino occasione
che abbino a essere in prezzo quelle parte o virtú in che tu vali; e
si vede per esperienzia che le medesime virtú sono stimate piú o
manco a uno tempo che all'altro, e le medesime cose fatte da uno in
uno tempo saranno grate, fatte a un altro tempo saranno ingrate.
53. Non voglio giá ritirare coloro che infiammati dallo amore della
patria si metteriano in pericolo per ridurcela in libertá; ma dico
bene che chi nella cittá nostra cerca mutazione di stato per
interesse suo non è savio, perché è cosa pericolosa; e si vede con
effetto che pochissimi trattati sono quelli che riescono. E di poi
quando bene è successo, si vede quasi sempre che tu non conseguisci
nella mutazione di gran lunga a quello che tu hai disegnato; e
inoltre ti oblighi a uno perpetuo travaglio, perché sempre hai da
dubitare che non tornino quelli che tu hai cacciati e che ti
ruinino.
54. Non vi affaticate nelle mutazione che non partoriscono altro che
mutare e' visi degli uomini; perché, che beneficio ti reca se quello
medesimo male o dispetto che ti faceva Piero, ti fará Martino?
verbigrazia, che piacere puoi tu avere di vedere andarsene messer
Goro, se in luogo suo entrerrá un altro di simile sorte?
55. Chi pure vuole attendere a trattati, si ricordi che niente gli
rovina piú che el desiderio di volergli conducere troppo sicuri;
perché per questo si interpone piú tempo, implicansi piú uomini e
mescolansi piú cose, che è causa di fare scoprire simili pratiche.
Ed anche è da credere che la fortuna, sotto dominio di chi sono
queste cose, si sdegni con chi vuole tanto liberarsi dalla potestá
sua e assicurarsi: però conchiudo che è piú sicuro volergli eseguire
con qualche pericolo che con molta sicurtá.
56. Non disegnate in su quello che non avete, né spendete in su'
guadagni futuri, perché molte volte non succedono. Vedesi che e'
mercatanti grossi falliscono el piú delle volte per questo, quando
per speranza di uno maggiore guadagno futuro, entrano in su' cambi,
la multiplicazione de' quali è certa e ha tempo determinato; ma e'
guadagni molte volte o non vengono o si allungano piú che el
disegno; in modo che quella impresa che avevi cominciata come utile,
ti riesce dannosissima.
57. Non crediate a questi che predicano d'avere lasciato le faccende
per amore della quiete, e di essere stracchi dalla ambizione; perché
quasi sempre hanno nel cuore el contrario; e si sono ridotti a vita
appartata o per sdegno o per necessitá o per pazzia. Lo esemplo se
ne vede tutto dí; perché a questi tali subito si rappresenta qualche
spiraglio di grandezza, abbandonata la tanto lodata quiete, vi si
gettano con quello impeto che fa el fuoco a una cosa secca o unta.
58. Se avete fallato, pensatela e misuratela bene innanzi che
entriate in prigione; perché ancora che el caso fussi molto
difficile a scoprire, è incredibile a quante cose pensa el giudice
diligente e desideroso di ritrovarlo; e ogni minimo spiraglio è
bastante a fare venire tutto in luce.
59. Io ho desiderato come gli altri uomini l'onore e l'utile, e
insino a qui per grazia di Dio e buona sorte mi è succeduto sopra el
disegno; ma non vi ho poi ritrovato drento alcuna di quelle cose e
satisfazione che m'avevo immaginato; ragione che, chi bene la
considerassi, doverria bastare a estinguere assai della sete degli
uomini.
60. La grandezza di stato è desiderata universalmente, perché tutto
el bene che è in lei apparisce di fuora, el male sta drento occulto;
el quale chi vedessi non arebbe forse tanta voglia, perché è piena
sanza dubio di pericoli, di sospetti, di mille travagli e fatiche;
ma quello che per avventura la fa desiderabile anche agli animi
purgati, è lo appetito che ognuno ha di essere superiore agli altri
uomini, atteso massime che in nessuna altra cosa ci possiamo
assomigliare a Dio.
61. Le cose non premeditate muovono sanza comparazione piú che le
previste; però chiamo io animo grande e interrito quello che regge e
non si sbigottisce per e' pericoli e accidenti repentini; cosa che a
giudicio mio è rarissima.
62. Quando si fa una cosa, se si potessi sapere quello che sarebbe
seguito se non fussi fatta questa, o se si fussi fatto el contrario,
molte cose sono biasimate e laudate dagli uomini che si
cognoscerebbe meritano contraria sentenzia.
63. Non è dubbio che quanto l'uomo piú invecchia, piú cresce la
avarizia; si dice communemente esserne causa perché è bene ignorante
quello vecchio che non cognosce che sempre con la etá si diminuisce
el bisogno. E inoltre veggo che ne' vecchi si augumenta al continuo,
cioè in molti, la lussuria, dico lo appetito, non le forze, la
crudeltá e gli altri vizi; però credo che la ragione possi essere
che l'uomo quanto piú vive tanto piú si abitua alle cose del mondo,
e ex consequenti piú le ama.
64. La medesima ragione fa che quanto piú l'uomo invecchia, tanto
piú gli pare fatica di morire, e sempre piú vive con le azione e co'
pensieri, come se fussi certo la vita sua avere a essere perpetua.
65. Si crede e anche spesso si vede per esperienzia, che le
ricchezze male acquistate non passano la terza generazione. Santo
Augustino dice, che Dio permette che chi l'ha acquistate le goda in
remunerazione di qualche bene che ha fatto in vita; ma poi non
passano troppo innanzi, perché è giudicio cosí ordinato da Dio alla
roba male acquistata. Io dissi giá a mio padre, che a me occorreva
una altra ragione; perché communemente chi guadagna la roba è
allevato da povero, la ama, e sa la arte del conservarla; ma e'
figliuoli poi e nipoti che sono allevati da ricchi né sanno che cosa
sia guadagnare roba, non avendo arte o modo di conservarla,
facilmente la dissipano.
66. Non si può biasimare lo appetito di avere figliuoli, perché è
naturale, ma dico bene che è spezie di felicitá el non ne avere;
perché eziandio chi gli ha buoni e savi, ha sanza dubio molto piú
dispiacere da loro che consolazione. Lo esemplo n'ho veduto io in
mio padre, che a' dí suoi era esemplo in Firenze di padre bene
dotato di figliuoli; però pensate come stia chi gli ha di mala
sorte.
67. Non biasimo interamente la giustizia civile del Turco, che è piú
presto precipitosa che sommaria; perché chi giudica a occhi serrati
espedisce verisimilmente la metá delle cause giustamente, e libera
le parte della spesa e perdita di tempo; ma e' nostri giudici
procedono in modo, che spesso farebbe piú, per chi ha ragione, avere
avuto el primo dí la sentenzia contro, che conseguirla doppo tanto
dispendio e tanti travagli; sanza che, per la malignitá o ignoranzia
de' giudici, e ancora la oscuritá delle legge, si fa anche a noi
troppo spesso del bianco nero.
68. Erra chi crede che e' casi rimessi dalla legge a arbitrio del
giudice siano rimessi a sua voluntá, e a suo beneplacito, perché la
legge non gli ha voluto dare potestá di farne grazia; ma non potendo
in tutti e' casi particulari per la diversitá delle circumstanzie
dare precisa determinazione, si rimette per necessitá allo arbitrio
del giudice, cioè alla sua sinderesi, alla sua coscienzia, che
considerato tutto faccia quello che gli pare piú giusto. E questa
larghezza della legge lo assolve d'averne a dare conto pe' palazzi;
perché non avendo el caso determinato, si può sempre escusare; ma
non gli dá giá facultá di dare dono della roba di altri.
69. Si vede per esperienzia che e' padroni tengono poco conto de'
servidori, e per ogni suo interesse o appetito gli mettono da parte,
o gli strascinano sanza rispetto; però sono savi e' servidori che
fanno el medesimo verso e' padroni, conservando però sempre la fede
sua e l'onore.
70. Credino e' giovani che la esperienzia insegna molto, e piú ne'
cervelli grandi che ne' piccoli; e chi lo considerassi ne troverebbe
facilmente la ragione.
71. Non si può benché con naturale perfettissimo intendere bene, e
aggiungere a certi particulari sanza la esperienzia che sola gli
insegna; e questo ricordo lo gusterá meglio chi ha maneggiato
faccende assai, perché con la esperienzia medesima ha imparato
quanto vaglia e sia buona la esperienzia.
72. Piace sanza dubio piú uno principe che abbia del prodigo che uno
che abbia dello stretto; e pure doverrebbe essere le contrario,
perché el prodigo è necessitato fare estorsione e rapine, lo stretto
non toglie a nessuno; piú sono quelli che patiscono dalle gravezze
del prodigo, che quelli che hanno beneficio dalla sua larghezza. La
ragione adunche a mio giudicio è che nelli uomini può piú la
speranza che el timore, e piú sono quelli che sperano conseguire
qualche cosa da lui, che quelli che temono di essere oppressi.
73. Lo intendersi bene co' fratelli e co' parenti ti fa infiniti
benefici che tu non cognosci, perché non appariscono a uno per uno,
ma in infinite cose ti profitta e fàtti avere in rispetto; però
debbi conservare questa opinione e questo amore etiam con qualche
tua incommoditá. E in questo si ingannono spesso gli uomini; perché
si muovono da quello poco danno che apparisce, e non considerano
quanto siano grandi e' beni che non si veggono.
74. Chi ha autoritá e superioritá in altri può spingersi et
estenderla ancora sopra le forze sue, perché e' sudditi non veggono
e non misurano apunto quello che tu puoi o [non] puoi fare; anzi,
immaginandosi spesso la potestá tua maggiore che la non è, cedono a
quelle cose che tu non gli potresti costringere.
75. Io fui giá di opinione di non vedere, col pensare assai, piú di
quello che io vedessi presto; ma con la esperienzia ho cognosciuto
essere falsissimo; per che fatevi beffe di chi dice altrimenti.
Quanto piú si pensano le cose, tanto piú si intendono e fanno
meglio.
76. Quando ti viene la occasione di cosa tu desideri, pigliala sanza
perdere tempo; perché le cose del mondo si variano tanto spesso che
non si può dire d'avere la cosa insino non l'hai in mano. E per la
medesima ragione quando ti è proposto qualche cosa che ti dispiace,
cerca differire el piú che puoi, perché a ogni ora si vede che el
tempo porta accidenti che ti cavano di queste difficultá: e cosí
s'ha intendere quello proverbio che si dice avere in bocca e' savi:
che si debbe godere el beneficio del tempo.
77. Sono alcuni uomini facili a sperare quello che desiderano, altri
che mai lo cedono insino non ne sono bene sicuri; è sanza dubio
meglio sperare poco che molto, perché la troppa speranza ti fa
mancare di diligenzia, e ti dá piú dispiacere quando la cosa non
succede.
78. Se vuoi cognoscere quali sono e' pensieri de' tiranni, leggi
Cornelio Tacito, dove fa menzione degli ultimi ragionamenti che ebbe
Augusto con Tiberio.
79. El medesimo Cornelio Tacito, a chi bene lo considera, insegna
per eccellenzia, come s'ha a governare chi vive sotto e' tiranni.
80. Quanto bene disse colui: Ducunt volentes fata, nolentes trahunt!
Se ne vede ogni dí tante esperienzie, che a me non pare che mai cosa
alcuna si dicessi meglio.
81. El tiranno fa estrema diligenzia di scoprire lo animo tuo, cioè
se ti contenti del suo stato, con considerare gli andamenti tuoi,
con cercare di intenderlo da chi conversa teco, e col ragionare teco
di varie cose, e proporre partiti, e dimandarti parere. Però se vuoi
che non ti intenda, bisogna ti guardi con grandissima diligenzia da'
mezzi che lui usa, cioè non usando termini che gli possono dare
sospetto; guardando come tu parli etiam cogli intimi tuoi, e seco
ragionando e intendendo di sorte che non ti possa carcare; il che ti
riuscirá se arai sempre fisso nell'animo, che lui quanto può ti
circunviene per scoprirti.
82. A chi ha condizione nella patria e sia sotto uno tiranno
sanguinoso e bestiale, si possono dare poche regole che siano buone,
eccetto el tôrsi lo esilio. Ma quando el tiranno, o per prudenzia, o
per necessitá per le condizione del suo stato, si governa con
rispetto, uno uomo bene qualificato debbe cercare di essere tenuto
d'assai e animoso, ma di natura quieto, né cupido di alterare se non
è sforzato; perché in tal caso el tiranno ti carezza e cerca di non
ti dare causa di pensare a fare novitá, il che non farebbe se ti
cognoscessi inquieto; perché allora pensando che a ogni modo tu non
sia per stare fermo, è necessitato a pensare sempre la occasione di
spegnerti.
83. Nel caso di sopra è meglio non essere de' piú confidenti del
tiranno, perché non solo ti carezza, ma in molte cose fa manco a
sicurtá teco che con li suoi. Cosí tu godi la sua grandezza, e nella
rovina sua diventi grande: ma non è buono questo ricordo per chi non
ha condizione grande nella sua patria.
84. È differenzia da avere e' sudditi disperati a avergli
malcontenti, perché quegli non pensano mai a altro che a mutazione,
e le cercano ancora con suo pericolo; questi, se bene desiderano
cose nuove, non invitano le occasione, ma le aspettano.
85. Non si possono governare e' sudditi bene sanza severitá, perché
la malignitá degli uomini ricerca cosí; ma si vuole mescolare
destrezza, e fare ogni dimostrazione perché si creda che la crudeltá
non ti piaccia, ma che tu la usi per necessitá, e per salute
publica.
86. Si doverria attendere agli effetti, non alle dimostrazione e
superficie; nondimanco è incredibile quanta grazia ti concilia
apresso agli uomini le varie carezze ed umanitá di parole; la
ragione credo che sia, perché a ognuno pare meritare piú che non
vale, e però si sdegna quanto vede che tu non tieni di lui quello
conto che gli pare che si convenga.
87. È cosa onorevole e da uomo, non promettere se non quanto vuoi
attendere; ma communemente ognuno a chi tu nieghi, benché
giustamente, resta male satisfatto perché gli uomini non si
governano con la ragione. El contrario interviene a chi promette
assai, perché intervengono spesso casi che fanno che non accade fare
esperienzia di quello che tu hai promesso, e cosí hai satisfatto con
niente e se pure s'ha a venire allo atto, non mancano spesso scuse:
e molti sono sí grossi, che si lasciano aggirare con le parole.
Nondimanco è sí brutto mancare della parola sua, che propendere a
ogni utilitá che si tragga del contrario; e però l'uomo si debbe
ingegnare di intrattenersi quanto può con le risposte generale e
piene di speranza, fuggendo quanto si può el promettere
precisamente.
88. Guardatevi da tutto quello che vi può nuocere e non giovare;
però né in assenzia né in presenzia di altri non dite mai sanza
profitto o necessitá cose che gli dispiacciono; perché è pazzia
farsi inimici sanza proposito; e ve lo ricordo, perché quasi ognuno
erra in questa leggerezza.
89. Chi entra ne' pericoli sanza considerare quello che importino si
chiama bestiale; ma animoso è chi cognoscendo e' pericoli vi entra
francamente, o per necessitá o per onorevole cagione.
90. Credono molti che uno savio, perché vede tutti e' pericoli, non
possa essere animoso; io sono di opinione contraria, che non possa
essere savio chi è timido, perché giá manca di giudicio chi stima el
pericolo piú che non si debbe. Ma, per dichiarare bene questo passo
che è confuso, dico, che non tutti e' pericoli hanno effetto; perché
alcuni ne schifa l'uomo con la diligenzia, industria o franchezza
sua; altri, gli porta via el caso, e mille accidenti che nascono.
Però chi cognosce e' pericoli non gli debbe presupporre tutti certi;
ma discorrendo con prudenzia quello in che lui può sperare di
aiutarsi, e dove el caso verisimilmente gli può fare favore, farsi
animo, né si ritirare dalle imprese virili e onorevole per paura di
tutti e' pericoli che cognosce aversi a correre.
91. Erra chi dice che le lettere guastano e' cervelli degli uomini,
perché è forse vero in chi l'ha debole; ma dove lo truovano buono,
lo fanno perfetto; perché el buono naturale congiunto col buono
accidentale fa nobilissima composizione.
92. Non furono trovati e' príncipi per fare beneficio a loro, perché
nessuno si sarebbe messo in servitú gratis; ma per interesse de'
populi, perché fussino bene governati; però come uno principe ha piú
rispetto [a sé che] a' populi, non è piú principe, ma tiranno.
93. È sanza comparazione piú detestabile la avarizia in uno principe
che in uno privato, non solo perché avendo piú facultá da
distribuire priva gli uomini di tanto piú, ma ancora perché quello
che ha uno privato è tutto suo e per uso suo, e ne può disporre
sanza querela giusta di alcuno; ma quanto ha el principe, gli è dato
per uso e beneficio di altri, e però ritenendolo in sé frauda gli
uomini di quello che debbe loro.
94. Dico che el duca di Ferrara che fa mercantanzia non solo fa cosa
vergognosa, ma è tiranno, faccendo quello che è officio de' privati
e non suo; e pecca tanto verso e' populi, quanto peccherebbono e'
popoli verso lui, intromettendosi in quello che è officio solum del
principe.
95. Tutti gli stati, chi bene considera la loro origine, sono
violenti; né ci è potestá che sia legittima, dalle repubbliche in
fuora, nella loro patria e non piú oltre; né anche quella dello
imperadore, che è fondata in sulla autoritá de' romani, che fu
maggiore usurpazione che nessuna altra; né eccettuo da questa regola
e' preti, la violenzia de' quali è doppia, perché a tenerci sotto
usano le arme temporali e le spirituali.
96. Le cose del mondo sono sí varie e dependono da tanti accidenti,
che difficilmente si può fare giudicio del futuro; e si vede per
esperienzia che quasi sempre le conietture de' savi sono fallace:
però non laudo el consiglio di coloro che lasciano la commoditá di
uno bene presente, benché minore, per paura di uno male futuro,
benché maggiore, se non è molto propinquo o molto certo; perché non
succedendo poi spesso quello di che temevi, ti truovi per una paura
vana avere lasciato quello che ti piaceva; e però è savio proverbio:
di cosa nasce cosa.
97. Ne' discorsi dello stato ho veduto spesso errare chi fa
giudicio; perché si esamina quello che ragionevolmente doverrebbe
fare questo e quello principe, e non quello che fará secondo la
natura e cervello suo; però chi vuole giudicare che fará,
verbigrazia, el re di Francia, debbe avere piú rispetto a quale sia
la natura e costume di uno franzese, che a quello che doverrebbe
fare uno prudente.
98. Io ho detto molte volte, e lo dico di nuovo, che uno ingegno
capace e che sa fare capitale del tempo, non debbe lamentarsi che la
vita sia breve: perché può attendere a infinite cose; e sapendo
spendere utilmente el tempo, gli avanza tempo.
99. Chi vuole travagliare non si lasci cavare di possessione delle
faccende, perché dall'una nasce l'altra, sí per lo adito che dá la
prima alla seconda, come per la riputazione che ti porta el trovarti
in negocio; e però si può anche a questo adattare el proverbio: di
cosa nasce cosa.
100. Non è facile el trovare questi ricordi, ma è piú difficile a
eseguirli; perché spesso l'uomo cognosce, ma non mette in atto; però
volendo usargli, sforzate la natura e fatevi uno buono abito, col
mezzo del quale non solo farete questo, ma vi verrá fatto sanza
fatica quanto vi comanderá la ragione.
101. Non si maraviglierá dell'animo servile de' nostri cittadini chi
leggerá in Cornelio Tacito che e' Romani, soliti a dominare el mondo
e vivere in tanta gloria, servivano sí vilmente sotto li imperadori,
che Tiberio, uomo tirannico e superbo, aveva nausea di tanta
dapocaggine.
102. Se avete mala satisfazione di uno, ingegnatevi quanto potete
non se ne accorga, perché si aliena tutto da voi; e vengono spesso
occasione che vi può servire e vi servirebbe, se col dimostrare
d'averlo in male concetto non ve l'avessi giocato. E io con mia
utilitá n'ho fatto esperienzia, che in qualche tempo ho avuto malo
animo verso uno, che, non se ne accorgendo, m'ha poi in qualche
occasione servito bene, e mi è stato buono amico.
103. Le cose che hanno a cadere, non per impeto ma per consumarsi,
vanno piú a lungo che non si credeva da principio; e perché e' moti
sono piú lenti che non si crede, e perché gli uomini, quando si
ostinano a patire, fanno e sopportano molto piú che non si sarebbe
creduto; però veggiamo che una guerra s'abbia a finire per fame, per
incommoditá, per mancamento di danari e modi simili, ha tratto piú
lungo che non si credeva. Cosí la vita di uno tisico si prolunga
sempre oltre alla opinione che n'hanno avuta e' medici e gli
astanti; e uno mercatante innanzi fallisca per essere consumato
dagli interessi, si regge piú tempo che non era creduto.
104. Chi conversa con grandi non si lasci levare a cavallo dalle
carezze e demostrazione superficiale, con le quali loro fanno
communemente balzare gli uomini come vogliono e affoganli nel
favore; e quanto è piú difficile a difendersene, tanto piú debbi
strignerti, e col tenere el capo fermo non ti lasciare levare
leggiermente.
105. Non potete avere maggiore virtú che tenere conto dell'onore;
perché chi fa questo non teme e' pericoli, né fa mai cosa che sia
brutta; però tenete fermo questo capo, e sará quasi impossibile che
tutto non vi succeda bene: expertus loquor.
106. Fatevi beffe di questi che predicano la libertá: non dico di
tutti, ma ne eccettuo bene pochi; perché se sperassino avere meglio
in uno stato stretto, vi correrebbono per le poste; perché in quasi
tutti prepondera el rispetto dello interesse suo, e sono pochissimi
quegli che cognoscono quanto vaglia la gloria e l'onore.
107. Mi è stato sempre difficile a credere che Dio abbia a
promettere che e' figliuoli del duca Ludovico abbino a godere lo
stato di Milano, non tanto perché lui lo usurpò sceleratamente,
quanto che per fare questo fu causa della servitú e ruina di tutta
Italia, e di tanti travagli seguiti in tutta la cristianitá.
108. Dico, che uno buono cittadino e amatore della patria non solo
debbe trattenersi col tiranno per sua sicurtá, perché è in pericolo
quando è avuto a sospetto, ma ancora per beneficio della patria,
perché governandosi cosí, gli viene occasione co' consigli e con le
opere di favorire molti beni e disfavorire molti mali: e questi che
gli biasimano sono pazzi, perché starebbe fresca la cittá e loro se
el tiranno non avessi intorno altro che tristi!
109. Fa a proposito nostro che in Siena sia uno stato savio, quando
noi siamo in termini che non possiamo sperare di soggiogarla; perché
uno savio si intratterrá sempre volentieri con noi, né mai ará caro
che in Toscana venga guerra, lasciandosi piú governare dalla ragione
che trasportare dallo odio naturale che ci hanno. Ma ora co' papi
farebbe piú per noi che vi fussi uno stato disordinato, perché piú
facilmente ci salterebbe in bocca.
110. Chi non sa che se el papa piglia Ferrara, sará sempre obietto
de' futuri pontefici lo insignirorsi di Toscana? perché el regno di
Napoli ha troppa difficultá essendo in mano di potenti.
111. In uno stato populare è a proposito delle Case simile alla
nostra, che le Case che si chiamano di famiglia si conservino;
perché essendo esose al popolo, ne riceviamo favore da tutti; ma se
quelle si annichilassino, lo odio che el popolo ha a loro lo
volterebbe a' nostri pari.
112. Fu bellissimo consiglio quello di mio padre a Piero Soderini di
rimettere e' Medici da noi medesimi come privati cittadini; perché
si levavano e fuoriusciti, che non può essere cosa peggiore a uno
stato, e a loro si toglieva la riputazione drento e di fuora:
drento, perché tornandovi e vedendosi equali alli altri, loro
medesimi non v'arebbono abitato volentieri; fuora, perché e'
principi che si persuadevano che avessino drento grande parte,
vedendogli tornare e non essere grandi, non ne terrebbono piú conto;
ma questo consiglio non so se poteva riuscire buono, non avendo
gonfaloniere piú vivo e piú animoso che Piero Soderini.
113. La natura de' popoli è, come ancora è de' privati, volere
sempre augumentare el grado in che si truovano, però è prudenzia
negare loro le prime domande: perché, concedendole, non gli fermi;
anzi, gli inciti a domandare piú e con maggiore instanzia che non
facevano da principio; perché quanto piú se gli dá bere, piú se gli
accresce la sete.
114. Le cose passate fanno lume alle future, perché el mondo fu
sempre di una medesima sorte; e tutto quello che è e sará, è stato
in altro tempo, e le cose medesime ritornano, ma sotto diversi nomi
e colori; però ognuno non le ricognosce, ma solo chi è savio, e le
osserva e considera diligentemente.
115. Sanza dubio ha migliore tempo nel mondo, piú lunga vita, ed è
in uno certo modo piú felice chi è di ingegno piú positivo, che
questi intelletti elevati; perché lo ingegno nobile serve piú presto
a travaglio e cruciato di chi l'ha; ma l'uno participa piú di
animale bruto che di uomo, l'altro trascende el grado umano e si
accosta alle nature celeste.
116. Se osservate bene, troverete che di etá in etá si mutano non
solo e' vocabuli ed e' modi del vestire ed e' costumi; ma, quello
che è piú, i gusti e le inclinazione degli animi: e questa diversitá
si vede ancora in una etá medesima di paese in paese. Non dico de'
costumi perché può procedere dalla diversitá delle instituzione, ma
de' gusti, de' cibi e degli appetiti vari degli uomini.
117. Le medesime imprese, che fatte fuora di tempo sono
difficilissime o impossibile, quando sono accompagnate dal tempo o
dalle occasioni sono facillime: e a chi le tenta fuori del tempo
suo, non solo non succedono, ma si porta pericolo che l'averle
tentate non le guasti per a quello tempo che facilmente sarebbono
riuscite; però sono tenuti e' savi pazienti.
118. Ho osservato io ne' miei governi, che quanto mi è venuta
innanzi una causa che per qualche rispetto ho avuto desiderio di
accordarla, non ho parlato di accordo, ma col mettere varie
dilazione e stracchezze ho causato che le parte medesime l'hanno
cerche. Cosí quello che nel principio, se io l'avessi proposto,
sarebbe stato ributtato, si è ridotto in termini, che quando è
venuto el tempo suo, io sono stato pregato di esserne mediatore.
119. Non è gran cosa che uno governatore usando spesso asprezza e
effetti di severitá si faccia temere, perché e' sudditi facilmente
hanno paura di chi può sforzare e rovinare, e viene facilmente alle
esecuzione. Ma laudo io quelli governatori che con fare poche
severitá ed esecuzione sanno acquistare e conservare el nome del
terribile.
120. Non dico che chi tiene gli stati non sia sforzato a mettere
qualche volta mano nel sangue, ma dico bene che non si debbe fare
sanza grande necessitá, e che el piú delle volte se ne perde piú che
non si guadagna: perché non solo si offende quelli che sono tocchi,
ma si dispiace a molti altri; e se bene ti levi quello inimico e
quello ostaculo, non però se ne spegne el seme, cum sit che in luogo
di quello sottentrano degli altri, e spesso interviene, come si dice
della idra, che per ognuno ne nasce sette.
121. Ricordatevi di quello che altra volta ho detto, che questi
ricordi non s'hanno a osservare indistintamente; ma in qualche caso
particulare che ha ragione diversa, non sono buoni; e quali siano
questi casi non si può comprendere con regola alcuna, né si truova
libro che lo insegni, ma è necessario che questo lume ti dia prima
la natura e poi la esperienzia.
122. Tengo per certo che in nessun grado o autoritá si ricerca piú
prudenzia e qualitá eccellente che in uno capitano di uno esercito,
perché sono infinite le cose a che ha a provedere e comandare,
infiniti gli accidenti e casi vari che d'ora in ora se gli
presentano, in modo che veramente bisogna che abbia piú che gli
occhi d'Argo; né solo per la importanza sua, ma ancora per la
prudenzia che gli bisogna, reputo io che a comparazione di questo
ogni altro peso sia leggiere.
123. Chi disse uno populo, disse veramente uno pazzo; perché è uno
mostro pieno di confusione e di errori, e le sue vane opinione sono
tanto lontane dalla veritá, quanto è, secondo Ptolomeo, la Spagna
dalla India.
124. Io ho sempre desiderato naturalmente la ruina dello stato
Ecclesiastico, e la fortuna ha voluto che sono stati dua pontefici
tali, che sono stato sforzato desiderare e affaticarmi per la
grandezza loro; se non fussi questo rispetto, amerei piú Martino
Luther che me medesimo, perché spererei che la sua setta potessi
ruinare o almanco tarpare le ale a questa scelerata tirannide de'
preti.
125. È differenzia da essere animoso, a non fuggire e' pericoli per
rispetto dell'onore. L'uno e l'altro cognosce e' pericoli, ma quello
si confida potersene difendere, e se non fussi questa confidenzia
non gli aspetterebbe; questo può essere che gli tema piú che el
debito, né sta saldo perché si risolve a volere piú presto el danno
che la vergogna.
126. Suole communemente intervenire nella nostra cittá, che chi è
de' principali a fare che uno acquisti lo stato, gli diventa presto
inimico. La causa si dice essere, perché essendo tali communemente
persone di qualitá e di ingegno, e forse inquieti, chi ha lo stato
in mano gli piglia a sospetto. Un'altra se ne può aggiugnere: perché
parendo loro avere meritato molto, vogliono spesso piú che non se
gli conviene, e non l'avendo si sdegnano; da che di poi tra l'uno e
l'altro nasce l'inimicizia ed el sospetto.
127. Come colui che ha aiutato o è stato causa che uno salga in uno
grado, lo vuole governare a suo modo, giá comincia a cancellare el
beneficio che gli ha fatto, volendo usare lui la autoritá che ha
operato che sia data a quell'altro; e lui ha giusta causa di non lo
comportare, né per questo merita essere chiamato ingrato.
128. Non si attribuisca a laude chi fa o non fa quelle cose, le
quali se omettessi o facessi meriterebbe biasimo.
129. Dice el proverbio castigliano: el filo si rompe dal lato piú
debole. Sempre quando si viene in concorrenzia o in comparazione di
chi è piú potente o piú rispettato, succumbe el piú debole, non
ostante che la ragione o l'onestá o la gratitudine volessi el
contrario; perché communemente s'ha piú rispetto allo interesse suo
che al debito.
130. Non posso io, né so farmi bello, né darmi riputazione di quelle
cose che in veritá non sono e tamen sarebbe piú utile fare el
contrario; perché è incredibile quanto giova la riputazione e la
opinione che hanno gli uomini che tu sia grande, perché con questo
romore solo ti corrono drieto sanza che tu n'abbia a venire a
cimento.
131. Sono solito a dire, che piú di ammirazione è che e' Fiorentini
abbino acquistato quello poco dominio che hanno, che e' Viniziani o
altro principe di Italia el suo grande; perché in ogni piccolo luogo
di Toscana era radicata la libertá in modo, che tutti sono stati
inimici a questa grandezza. Il che non accade a chi è situato tra
popoli usi a servire, a' quali non importa tanto lo essere dominati
piú da uno che da un altro, che gli faccino ostinata o perpetua
resistenzia. Di poi la vicinitá della Chiesa è stata ed è
grandissimo ostaculo; la quale per avere le barbe tanto fondato
quanto ha, ha impedito assai el corso del dominio nostro.
132. Concludono tutti essere migliore lo stato di uno quando è
buono, che di pochi o di molti etiam buoni; e le ragione sono
manifeste. Cosí concludono, che quello di uno diventa di buono piú
facilmente cattivo che gli altri, e quando è cattivo è peggiore di
tutti, e tanto piú quanto va per successione; perché rare volte a
uno padre buono o savio succede uno figliuolo simile. Però vorrei
che questi politici m'avessino dichiarato, considerato tutte queste
condizione e pericoli, che abbia a desiderare piú una cittá che
nasce, o di essere ordinata nel governo di uno, o di molti, o di
pochi.
133. Nessuno cognosce peggio e' servitori suoi che el padrone, e
proporzionatamente el superiore e' sudditi; perché non se gli
apresentano innanzi tali quali si apresentano agli altri: anzi
cercano coprirsi a lui, e parergli di altra sorte che in veritá non
sono.
134. Tu che stai in corte o séguiti uno grande, e desideri essere
adoperato da lui in faccende, ingegnati di stargli al continuo
innanzi agli occhi, perché d'ora in ora nascono occasione che lui
commette a chi vede o a chi gli è piú propinquo; che se t'avessi a
cercare o espettare, non te le commetterebbe; e chi perde uno
principio benché piccolo, perde spesso la introduzione e adito a
cose grande.
135. Mi paiono pazzi questi frati che prèdicono la predestinazione e
gli articuli difficili della fede; perché meglio è non dare causa a'
populi di pensare alle cose di che difficilmente si fanno capaci,
che destare loro nella mente dubitazione, per aversi a riducere a
fargli acquietare con dire: cosí dice la fede nostra, cosí bisogna
credere.
136. Ancora che uno sia buono cittadino e non usurpatore, tamen
intrinsicandosi in Firenze con uno stato come è questo de' Medici,
viene in mala opinione e in mala grazia apresso al popolo, la quale
è da fuggire quanto si può, per tutti e' casi che possono occorrere.
Ma dico, che per questo non ti debbi ritirare e perdere e' beni che
ti darebbe questo intrinsicarsi; perché ogni volta che tu non
acquisti nome di rapace, o che non offendi qualche particulare di
importanza o molti, mutato che sia poi lo stato e levatosi el popolo
d'addosso quella causa che ti faceva esoso, gli altri carichi si
purgano, e la mala grazia alla fine passa, né resti in quella ruina
o depressione di che prima dubitavi. Pure sono cose che pesano, e
anche qualche volta ingannano, né si può negare che almanco non si
perda di quello fiore, che si conserva chi giuoca piú largo.
137. Io ve lo dico di nuovo; e' padroni fanno poco conto de'
servitori e per ogni suo interesse gli strascinerebbono sanza
rispetto; però sono savi e' servitori che fanno el medesimo verso e'
padroni, non faccendo però cosa che sia contro alla fede e
all'onore.
138. Chi si cognosce avere buona fortuna, può tentare le imprese con
maggiore animo; ma è da avvertire che la fortuna non solo può essere
varia di tempo in tempo, ma ancora in uno tempo medesimo può essere
varia nelle cose; perché chi osserva, vedrá qualche volta uno
medesimo essere fortunato in una spezie di cose e in un'altra essere
infortunato. E io in mio particulare ho avuto insino a questi dí 3
di febbraio 1523 in molte cose bonissima fortuna, ma non l'ho avuto
simile nelle mercatanzie, né anche negli onori che ho cercati di
avere; perché quegli che non ho cercati mi sono corsi da loro
medesimi drieto; ma quelli che ho cercati, è paruto che si
discostino.
139. Non ha maggiore inimico l'uomo che sé medesimo; perché quasi
tutti e' mali, pericoli e travagli superflui che ha, non procedono
da altro che dalla sua troppa cupiditá.
140. Le cose del mondo non stanno ferme, anzi hanno sempre progresso
al cammino a che ragionevolmente per sua natura hanno a andare a
finire, ma tardano piú che non è la opinione nostra; perché noi le
misuriamo seconda la vita nostra che è breve, e non secondo el tempo
loro che è lungo; e però sono e' passi suoi piú tardi che non sono
e' nostri, e sí tardi per sua natura che, ancora che si muovino, non
ci accorgiamo spesso de' suoi moti; e per questo sono spesso falsi
e' giudíci che noi facciamo.
141. Lo appetito della roba nascerebbe da animo basso o male
composto, se non si desiderassi per altro che per poterla godere; ma
essendo corrotto el vivere del mondo come è, chi desidera
riputazione è necessitato a desiderare roba; perché con essa
rilucono le virtú e sono in prezzo, le quali in uno povero sono poco
stimate, e manco cognosciute.
142. Non so se si debbono chiamare fortunati quelli a chi una volta
si presenta una grande occasione; perché chi non è bene prudente,
non la sa bene usare: ma sanza dubio sono fortunatissimi a chi una
medesima grande occasione si presenta due volte, perché è bene
dapoco chi la seconda volta non la sa usare: e cosí in questo caso
secondo s'ha a avere tutta la obligazione con la fortuna, dove nel
primo ha ancora parte la prudenzia.
143. La libertá delle republiche è ministra della iustizia, perché
non è ordinata a altro fine, che per defensione che l'uno non sia
oppresso dall'altro; però chi potessi essere sicuro che in uno stato
di uno o di pochi si osservassi la giustizia, non arebbe causa di
desiderare molto la libertá. E questa è la ragione che gli antichi
savi e filosofi non laudorono piú che gli altri e' governi liberi;
ma preposono quelli, ne' quali era meglio provisto alla
conservazione delle legge e della giustizia.
144. Quando le nuove s'hanno da autore incerto e siano nuove
verisimile o espettate, io gli presto poca fede, perché gli uomini
facilmente fanno invenzione di quelli che si aspetta o si crede. Piú
orecchi vi presto, se sono estravaganti o inespettate; perché manco
soccorre agli uomini el fare invenzione o persuadersi quello che non
è in alcuna considerazione; e di questo ho veduto in molte volte
esperienzia.
145. Grande sorte è quella degli astrologi, che se bene la loro è
una vanitá, o per difetto della arte o per difetto suo, piú fede gli
dá una veritá che pronosticano che non gli toglie cento falsitá. E
nondimeno negli altri uomini una bugia che sia reprovata a uno, fa
che si sta sospeso a crederli tutte le altre veritá. Procede questo
dal desiderio grande che hanno gli uomini di sapere el futuro; di
che non avendo altro modo, credono facilmente a chi fa professione
di saperlo loro dire, come lo infermo al medico che gli promette la
salute.
146. Pregate Dio di non vi trovare dove si perde, perché ancora che
sia sanza colpa vostra n'arete sempre carico; né si può andare su
per tutte le piazze e banche a giustificarsi: cosí chi si truova
dove si vince riporta sempre laude etiam sanza suo merito.
147. È vantaggio, come ognuno sa, nelle cose private trovarsi in
possessione, ancora che la ragione non si muta, ed e' modi de'
giudici e del conseguire el suo sono ordinari e fermi: ma sanza
comparazione è molto minore vantaggio nelle cose che dependono dagli
accidenti degli stati, o dalla voluntá di quelli che dominano;
perché non s'avendo a combattere con ragione immutabile, o con
giudíci stabili, nascono ogni dí mille casi, che facilmente si
sullevano da chi può pretendere di levarti dal possesso.
148. Chi desidera di essere amato da' superiori di sé, bisogna
mostri d'avere loro rispetto e riverenzia, e in questo piú presto
essere abondante che scarso; perché nessuna cosa offende piú lo
animo di uno superiore, che el parergli che non gli sia avuto el
rispetto o reverenzia che giudica convenirsegli.
149. Fu crudele el decreto de' Siracusani, di che fa menzione Livio,
che insino alle donne nate de' tiranni fussino ammazzate, ma non
però al tutto sanza ragione; perché mancato el tiranno, quelli che
vivevano volentieri sotto lui, se potessino, ne farebbono un altro
di cera, e non essendo cosí facile voltare la riputazione a uno uomo
nuovo, si ritirano sotto ogni reliquia che resti di quello. Però una
cittá che nuovamente esca della tirannide, non ha mai bene sicura la
sua libertá, se non spegne tutta la razza e progenie de' tiranni.
Dicolo in quanto a' maschi assolutamente, ma in quanto alle femmine
distinguo secondo e' casi, e secondo le qualitá loro e delle cittá.
150. Ho detto di sopra che non si assicurano gli stati per tagliare
capi, perché piú presto multiplicano gli inimici, come si dice della
idra; pure sono molti casi ne' quali cosí si legano gli stati col
sangue, come gli edifici con la calcina. Ma la distinzione di questi
contrari non si può dare per regola: bisogna gli distingua la
prudenzia e discrezione di chi l'ha a fare.
151. Non è in potestá di ognuno eleggersi el grado e le faccende che
l'uomo vuole, ma bisogna spesso fare quelle che ti apresenta la tua
sorte e che sono conforme allo stato in che sei nato; però tutta la
laude consiste nel fare bene e congruamente le sue. Come in una
commedia non è manco laudato chi bene rapresenta la persona di uno
servo che quelli a chi sono stati messi in dosso e' panni del re; in
effetto ognuno può nel grado suo farsi laude e onore.
152. Ognuno, e sia chi vuole, fa in questo mondo degli errori, da'
quali nasce maggiore o minore danno, secondo li accidenti e casi che
ne seguitano; ma buona sorte hanno quelli che si abbattono a errare
in cose di minore importanza, o dalle quali ne seguita minore
disordine.
153. È gran felicitá potere vivere in modo che non si riceva, né si
faccia ingiuria a altri; ma chi si riduce in grado che sia
necessitato o gravare o patire, debbe pigliare el tratto a
vantaggio; perché è cosí giusta difesa quella che si fa per non
essere offeso, come quella che si fa doppo la offesa ricevuta. È
vero che bisogna bene distinguere e' casi, né per superflua paura
darsi ad intendere di essere necessitato a prevenire; né per
cupiditá o malignitá, dove in vero non hai sospetto, volere con
allegare questo timore, giustificare la violenzia che tu fai.
154. Piú difficultá ha ora la casa de' Medici con tutta la grandezza
sua a conservare lo stato in Firenze, che non ebbono gli antichi
suoi, privati cittadini, a acquistarlo. La ragione è che allora la
cittá non aveva gustato la libertá ed el vivere largo, anzi, era
sempre in mano di pochi, e però chi reggeva lo stato non aveva lo
universale per inimico; perché a lui importava poco vedere lo stato
piú in mano di questi, che di quelli. Ma la memoria del vivere
populare continuata dal 1494 al 1512 si è appiccata tanto nel
popolo, che eccetto quelli pochi che in uno stato stretto confidano
di potere soprafare gli altri, el resto è inimico di chi è padrone
dello stato, parendogli sia stato tolto a sé medesimo.
155. Non disegni alcuno in Firenze potersi fare capo di stato se non
è della linea di Cosimo, la quale anche a mantenervisi ha bisogno
de' papati. Nessuno altro, e sia chi vuole, ha tante barbe o tanto
séguito che vi possa pensare, se giá non vi fussi portato da uno
vivere populare, che ha bisogno di capi publici; come fu fatto a
Piero Soderini: però chi aspira a questi gradi, e non sia della
linea de' Medici, ami el vivere del populo.
156. Le inclinazione e deliberazione de' populi sono tanto fallace,
e menate piú spesso dal caso che dalla ragione, che chi regola el
traino del vivere suo non in altro che in sulla speranza d'avere a
essere grande col popolo, ha poco giudicio; perché a opporsi è piú
ventura che senno.
157. Chi non ha in Firenze qualitá da farsi capo di stato, è pazzo a
ingolfarsi tanto in uno stato, che corra tutta la fortuna sua con la
fortuna di quello; perché è sanza comparazione maggiore la perdita
che el guadagno. Né si metta alcuno a pericolo di diventare
fuoruscito, perché non essendo noi capi di parte come sono gli
Adorni e Fregosi di Genova, nessuno ci si fa incontro per
intrattenerci; in modo che restiamo fuora sanza riputazione e sanza
roba, e ci bisogna mendicare la vita. Esempio abundante è a chi se
ne ricorda Bernardo Rucellai; e la medesima ragione ci debbe
consigliare a temporeggiarci, e intrattenersi in modo con chi è capo
di stato, che non abbia causa di averci per inimici o sospetti.
158. Io sarei pronto a cercare le mutazione degli stati che non mi
piacessino, se potessi sperare mutargli da me solo; ma quando mi
ricordo che bisogna fare compagnia con altri, ed el piú delle volte
con pazzi e con maligni, e' quali né sanno tacere, né sanno fare,
non è cosa che io aborrisca piú che el pensare a questo.
159. Dua papi sono di natura diversissima, Julio e Clemente: l'uno
di animo grande, e forse vasto, impaziente, precipitoso, aperto e
libero; l'altro di mediocre animo, e forse timido, pazientissimo,
moderato, simulatore. E pure gli uomini da nature tanto contrarie si
aspettano gli effetti medesimi di grande azione. La ragione è, che
ne' gran maestri è atta a partorire cose grande e la pazienzia e lo
impeto; perché l'uno opera con lo urtare gli uomini e sforzare le
cose; l'altro con lo stracciarli, e vincerle col tempo e con le
occasione. Però in quello che nuoce l'uno, giova l'altro, ed e
converso; e chi potessi congiugnerli e usare ciascuno al tempo suo,
sarebbe divino; ma perché questo è quasi impossibile, credo che,
omnibus computatis, sia per conducere maggiore cose la pazienzia e
moderazione che lo impeto e la precipitazione.
160. Se bene gli uomini deliberano con buono consiglio, gli effetti
però sono spesso contrari; tanto è incerto el futuro. Nondimanco non
è da darsi come bestia in preda della fortuna, ma come uomo andare
con la ragione; e chi è bene savio ha da contentarsi piú di essersi
mosso con buono consiglio, ancora che lo effetto sia stato malo, che
se in uno consiglio cattivo avessi avuto lo effetto buono.
161. Chi vuole vivere a Firenze con favore del popolo, bisogna che
fugga el nome di ambizioso, e tutte le dimostrazione di volere
parere, etiam nelle cose minime e nel vivere quotidiano, maggiore o
piú pomposo o delicato che gli altri; perché a una cittá, che è
fondata tutta in sulla equalitá ed è piena di invidia, bisogna per
forza che sia esoso ognuno che viene in opinione di non volere
essere equale agli altri, o che si spicca dal modo del vivere
commune.
162. Nelle cose della economica el verbo principale è resecare tutte
le spese superflue; ma quello in che mi pare consista la industria è
el fare le medesime spese con piú vantaggio che non fanno gli altri;
e, come si dice vulgarmente, spendere el quattrino per cinque
denari.
163. Tenete a mente, che chi guadagna, se bene può spendere qualcosa
piú che chi non guadagna, pure è pazzia spendere largamente in sul
fondamento de' guadagni, se prima non hai fatto buono capitale;
perché la occasione del guadagnare non dura sempre. E se mentre che
la dura non ti sei acconcio, passata che la è ti truovi povero come
prima, e di piú hai perduto el tempo e l'onore; perché alla fine è
tenuto di poco cervello chi ha avuto la occasione bella e non l'ha
saputa bene usare; e questo ricordo tenetelo bene a mente, perché ho
visto a' miei dí infiniti errarci.
164. Diceva mio padre, che piú onore ti fa uno ducato che tu hai in
borsa, che dieci che n'hai spesi; parola molto da notare, non per
diventare sordido, né per mancare nelle cose onorevole e
ragionevole, ma perché ti sia freno a fuggire le spese superflue.
165. Rarissimi sono gli instrumenti che da principio si fabricano
falsi; ma da poi secondo che gli uomini pensano la malizia, o che
nel maneggiare le cose si accorgano di quello che arebbono bisogno,
si cerca fare dire agli instrumenti quello che l'uomo vorrebbe che
avessino detto; però quando sono fatti instrumenti di cose vostre
che importano, abbiate per usanza di farvegli levare subito, e
avergli in casa in forma autentica.
166. È grandissimo peso in Firenze avere figliuole femmine, perché
con grandissima difficultá si collocano bene, e a non errare nel
pigliarne partito, bisognerebbe misurare molto bene sé e la natura
delle cose; el che diminuirebbe la difficultá, la quale spesso
accresce el presummersi troppo di sé, o discorrere male la natura
del caso. E io ho veduto molte volte padri savi recusare nel
principio de' parentadi, che poi in ultimo hanno invano desiderati;
né per questo anche debbe l'uomo avilirsi in modo che, come
Francesco Vettori, si diano al primo che le dimanda. È cosa in
effetto che oltre alla sorte ricerca prudenzia grande; e io cognosco
piú quello che bisognerebbe, che non so come, quando verrò alla
pratica, saprò governarla.
167. È certo che non si tiene conto de' servizi fatti a' populi e
agli universali, come di quegli che si fanno in particulare, perché
toccando al commune, nessuno si tiene servito in proprio; però chi
si affatica per e' populi e universitá, non speri che loro si
affatichino per lui in uno suo pericolo o bisogno, o che per memoria
del servizio lascino una sua commoditá. Nondimanco non sprezzate
tanto el fare beneficio a' popoli, che quando vi si presenta la
occasione di farlo la perdiate, perché se ne viene in buono nome e
in buono concetto, che è frutto assai della fatica tua. Sanza che,
pure in qualche caso ti giova quella memoria, e muove chi è
beneficato, se non sí caldamente come e' benefici fatti in proprio,
almanco dove non si sconciano; e sono tanti quelli a chi tocca
questa leggiere impressione, che pure alcuna volta mettendo insieme
la gratitudine che si sente di tutti, è notabile.
168. Del fare una opera laudabile non si vede sempre el frutto,
perché spesso chi non si satisfá del fare bene solo per sé stesso,
lascia di farlo, parendogli perdere el tempo; ma questo in chi la
intende cosí, è inganno non piccolo; perché el fare laudabilmente,
se bene non ti portassi altro frutto evidente, sparge buono nome e
buona opinione di te, la quale in molti tempi e casi ti reca utilitá
incredibile.
169. Chi ha la cura di una terra che abbia a essere combattuta o
assediata, debbe fare potissimo fondamento in tutti e' remedi che
allungano; e ancora che non abbia certa speranza, stimare assai ogni
cosa che tolga tempo etiam piccolo allo inimico; perché spesso uno
dí piú, una ora di piú, importa qualche accidente che la libera.
170. Chi facessi in su qualche accidente giudicare a uno uomo savio
gli effetti che nasceranno, e scrivessi el giudicio suo, troverebbe,
tornandolo, a vedere in progresso di tempo, sí poche cose
verificate, come si truova a capo d'anno nel giudicio degli
astrologi; perché le cose nel mondo sono troppo varie.
171. Nelle cose importante non può fare buono giudicio chi non sa
bene tutti e' particulari, perché spesso una circumstanzia, benché
minima, varia tutto el caso: ma ho visto spesso giudicare bene uno
che non ha notizia di altro che de' generali, e el medesimo
giudicare peggio, intesi che ha e' particulari; perché chi non ha el
cervello molto perfetto, e molto netto dalle passione, intendendo
molti particulari, facilmente si confonde o varia.
Aggiunta cominciata d'aprile nel 1528
172. Ne' discorsi del futuro è pericoloso risolversi in sul
distinguere: e sará o questo caso o questo altro, e se fia questo,
io farò cosí; se questo altro, farò cosí; perché spesso viene uno
terzo o uno quarto caso che è fuora di quegli che tu t'hai
presupposti, e resti ingannato perché manca el fondamento della tua
resoluzione.
173. A' mali che soprastanno, e massime nelle cose della guerra, non
recusate o mancate di fare e' rimedi, per parervi che non possono
essere a tempo; perché per camminare spesso le cose piú tardi che
non si credeva, e per natura sua e per vari impedimenti che hanno,
sarebbe molte volte a tempo quello rimedio che tu hai pretermesso,
per giudicare che non possa essere se non tardi; e io n'ho visto piú
volte la esperienzia.
174. Non mancate di fare le cose che vi diano riputazione, per
desiderio di fare piacere e acquistare amici; perché a chi si
mantiene o accresce la riputazione, corrono gli amici e le
benivolenzie drieto; ma chi pretermette di fare quello che debbe, ne
è stimato manco; e a chi manca la riputazione, mancano poi gli amici
e la grazia.
175. Tanto piú si cade in quello estremo che tu fuggi, quanto piú
per discostartene ti ritiri in verso l'altro estremo, non ti sapendo
fermare in sul mezzo; però e' governi populari, quanto piú per
fuggire la tirannide si accostano alla licenzia, tanto piú vi
caggiono drento; ma e' nostri di Firenze non intendono questa
grammatica.
176. È nostra antica usanza quando vogliamo provedere a una legge o
altra cosa che ci dispiace, medicarvi col fare o ordinare tutto el
contrario; dove trovando poi altri difetti, perché tutti gli estremi
sono viziosi, ci bisogna fare altre legge e altri ordini; e questo è
una delle cause che tutto dí facciamo nuove legge, perché attendiamo
piú a fuggire e' mali che ci si presentano, che a trovare el rimedio
verso di essi.
177. Quanto è fallace el commune ragionare degli uomini che tutto il
dí dicono: se fussi stata la tale cosa o se non fussi stata la tale,
sarebbe seguito o non sarebbe seguito el tale effetto; perché se si
potessi sapere el vero, el piú delle volte gli effetti sarebbono
seguiti e' medesimi, ancora che quelle cose, che si presuppone che
gli arebbono potuti variare, fussino state di altra sorte.
178. Quando e' maligni e gli ignoranti governano, non è maraviglia
che la virtú e la bontá non sia in prezzo; perché e' primi l'hanno
in odio, e' secondi non la cognoscono.
179. Assai è buono cittadino chi è zelante del bene della patria, e
alieno da tutte le cose che pregiudicano al terzo; pure che non sia
disprezzatore della religione e de' buoni costumi. Questa bontá
superflua de' nostri di San Marco, o è spesso ipocrisia, o, quando
pure non sia simulata, non è giá troppa a uno cristiano, ma non
giova niente al buono essere della cittá.
180. Errarono e' Medici a volere governare lo stato loro in molte
cose secondo gli ordini della libertá, verbigrazia nel fare gli
squittini larghi, in dare parte a ognuno, e simili cose; perché non
si potendo piú tenere uno stato stretto in Firenze se non col favore
caldo di pochi, questi modi non feciono loro lo universale amico, né
e' pochi partigiani. Errerá la libertá a volere governarsi in molte
cose secondo gli ordini di uno stato stretto, massime in escludere
una parte della cittá, perché la libertá non si può mantenere, se
non con la satisfazione universale; perché uno governo populare non
può imitare in ogni cosa uno stato stretto, ed è pazzia imitarlo in
quelle che lo fanno odioso e non in quelle che lo fanno gagliardo.
181. O ingenia magis acria quam matura, disse el Petrarca, e
veramente, degli ingegni fiorentini; perché è loro naturale
proprietá avere piú el vivo e lo acuto, che el maturo e el grave.
SERIE SECONDA
1. Quello che dicono le persone spirituali che chi ha fede conduce
cose grandi; e come dice lo Evangelo, chi ha fede può comandare a'
monti ecc., procede perché la fede fa ostinazione. Fede non è altro
che credere con opinione ferma, e quasi certezza le cose che non
sono ragionevole; o, se sono ragionevole, crederle con piú
resoluzione che non persuadono le ragione. Chi adunque ha fede
diventa ostinato in quello che crede, e procede al cammino suo
intrepido e resoluto, sprezzando le difficultá e pericoli, e
mettendosi a sopportare ogni estremitá. Donde nasce che essendo le
cose del mondo sottoposte a mille casi e accidenti, può nascere per
molti versi nella lunghezza del tempo aiuto insperato a chi ha
perseverato nella ostinazione; la quale essendo causata dalla fede,
si dice meritamente: chi ha fede ecc. Esemplo a' dí nostri ne è
grandissimo questa ostinazione de' Fiorentini, che essendosi contro
a ogni ragione del mondo messi a aspettare la guerra del papa ed
imperadore, sanza speranza di alcuno soccorso di altri, disuniti e
con mille difficultá, hanno sostenuto in sulle mura giá sette mesi
gli eserciti, e' quali non si sarebbe creduto che avessino sostenuto
sette dí; e condotte le cose in luogo che se vincessino, nessuno piú
se ne maraviglierebbe, dove prima da tutti erano giudicati perduti;
e questa ostinazione ha causata in gran parte la fede di non potere
perire secondo le predizioni di Fra Ieronimo da Ferrara
2. Sono alcuni príncipi che agli imbasciadori loro comunicano
interamente tutto el segreto suo, ed a che fine vogliono condurre la
negoziazione che hanno a trattare con l'altro principe al quale sono
mandati. Altri giudicano essere meglio non aprire loro se non quello
che vogliono si persuada all'altro principe; el quale se vogliono
ingannare, pare loro quasi necessario ingannare prima lo
imbasciadore proprio, che è el mezzo e instrumento che l'ha a
trattare e persuadere all'altro principe. L'una e l'altra opinione
ha le ragione sue; perché da un canto pare difficile che lo
imbasciadore, che sa che el principe suo vuole ingannare
quell'altro, parli e tratti con quello ardire e con quella efficacia
e fermezza che farebbe se credessi la negoziazione trattarsi
sinceramente e sanza simulazione; sanza che, può per leggerezza o
malignitá fare penetrare la mente del suo principe; il che, se non
la sapessi, non potrebbe fare. Da altro canto accade molte volte che
quando la pratica è simulata, lo imbasciadore che crede che la sia
vera, trasanda molte volte piú che non ricerca el bisogno della
cosa; nella quale, se crede veramente el principe suo desideri
pervenire a quello fine, non usa molta moderazione e considerazione
a proposito del negozio, quali potrebbe usare se sapessi lo
intrinseco. E non essendo quasi possibile dare le instruzione agli
imbasciadori suoi sí particulari che l'indirizzino in tutti e'
particulari, se non in quanto la discrezione gli insegni accomodarsi
a quello fine che ha in generale, chi non ne ha notizia non può fare
questo; e però facilmente può errarvi in mille modi. La openione mia
è, che chi ha imbasciadori prudenti ed integri, e che siano
affezionati a sé, e dipendenti in modo che non abbino obietto di
dependere da altri, faccia meglio acconciare la mente sua; ma quando
el principe non si risolve che siano totalmente di questa qualitá, è
manco pericoloso non si lasciare sempre intendere da loro, e fare
che el fondamento di persuadere una cosa e altri sia el fare
persuasione del medesimo nel proprio imbasciadore.
3. Vedesi per esperienzia che e' príncipi, ancora che grandi, hanno
carestia grandissima di ministri bene qualificati; di questo nessuno
si maraviglierá quando e' príncipi non hanno tanto giudicio che
sappino cognoscere gli uomini, o quando sono sí avari che non gli
vogliono premiare; ma pare bene da maravigliarsene ne' principi che
mancano di questi dua difetti; perché si vede quanto gli uomini di
ogni sorte desiderano servirgli, e quanta comoditá loro abbino di
beneficargli. Nondimeno non debbe parere sí maraviglioso a chi
considera la cosa in sé piú profondamente; perché uno ministro di
uno principe, io parlo di chi ha a servire di cose grande, bisogna
che sia di estraordinaria sufficienza, e di questi si truovano
rarissimi; e oltre a questo è necessario sia di grandissima fede e
integritá, e questa è forse piú rara che la prima. In modo che se
non facilmente si truovano uomini che abbino alcuna di queste dua
parte, quanto piú rari si troveranno quegli che l'abbino dua? Questa
difficultá modererebbe assai uno principe prudente, e che non si
riducessi a pensare giornalmente a quello che gli bisogna; ma
anticipando col pensiere, scegliessi ministri non ancora fatti, e'
quali esperimentando di cosa in cosa e beneficando, si
assuefacessino alle faccende e si mettessino nella servitú sua;
perché è difficile trovare in uno tratto uomini fatti della qualitá
detta di sopra, ma si può bene sperare col tempo di fargli. Vedrassi
bene che più copia hanno di ministri e' principi seculari che e'
papi, quando ne fanno la debita diligenzia; perché piú rispetto s'ha
al principe seculare e piú speranza di potere perpetuare nella sua
servitú, vivendo lui per lo ordinario piú lungamente che el papa, e
succedendogli uno che è quasi el medesimo che lui; e potendo el
successore fidarsi facilmente di quegli che sono stati adoperati o
cominciati a adoperare dallo antecessore. Aggiugnesi che per essere
e' ministri del principe seculare o sudditi suoi o almeno beneficati
di cose che sono nel suo dominio sono necessitati avergli sempre
rispetto, o temergli e' loro ed e' successori; le quali ragione
cessano ne' pontefici, perché, essendo communemente di brieve vita,
non hanno molto tempo a fare uomini nuovi; non concorrono le ragione
medesime di potersi fidare di quelli che sono stati apresso allo
antecessore; sono e' ministri uomini di diversi paesi, non
dependenti dal pontificato; sono beneficati di cose che sono fuori
delle mani del principe e successori; non temono del nuovo
pontefice, né hanno speranza di continuare el servizio suo con lui;
in modo che è pericolo non siano piú infedeli e manco affezionati al
servizio del padrone, che quelli che servono uno principe seculare.
4. Se e' príncipi, quando viene loro bene, tengono poco conto de'
servidori, per ogni suo piccolo interesse gli disprezzano o mettono
da canto; che può sdegnarsi o lamentarsi uno padrone se e' ministri,
pure che non manchino al debito della fede e dell'onore, gli
abandonano o pigliano quelli partiti che siano piú a loro beneficio?
5. Se gli uomini fussino discreti o grati abastanza, dovrebbe uno
padrone, in ogni occasione che n'ha, beneficare quanto potessi e'
suoi servitori; ma perché la esperienzia mostra, e io l'ho sentito
da' miei servitori in me medesimo, che spesso come sono pieni, o
come al padrone manca occasione di potergli trattare bene come ha
fatto per el passato, lo piantano, chi pensa al profitto suo debbe
procedere con larghezza, intrattenendogli piú con la speranza che
con gli effetti; la quale perché gli possa ingannare, è necessario
beneficarne talvolta qualcuno largamente, e questo basta; perché è
naturale degli uomini, che in loro possa ordinariamente tanto piú la
speranza che el timore, che piú gli conforta e intrattiene lo
esemplo di uno che veggono beneficato, che non gli spaventa el
vedersene innanzi agli occhi molti che non sono stati bene trattati.
6. È grande errore parlare delle cose del mondo indistintamente e
assolutamente, e per dire cosí, per regola; perché quasi tutte hanno
distinzione ed eccezione per la varietá delle circunstanzie, in le
quali non si possono fermare con una medesima misura; e queste
distinzione ed eccezione non si truovano scritte in su' libri, ma
bisogna le insegni la discrezione.
7. Advertite bene nel parlare vostro di non dire mai sanza necessitá
cose che riferite possino dispiacere a altri; perché spesso in tempi
e modi non pensati nuocono grandemente a voi medesimi: advertitevi,
vi dico, bene; perché molti etiam prudenti vi errano, ed è difficile
lo astenersene; ma se la difficultá è grande, è molto maggiore el
frutto che ne risulta a chi lo sa fare.
8. Quando pure o la necessitá o lo sdegno vi induce a dire ingiuria
a altri, advertite almanco a dire cose che non offendono se non lui;
verbigrazia, se volete ingiuriare una persona propria, non dite male
della patria, della famiglia o parentado suo; perché è pazzia grande
volendo offendere uno uomo solo, ingiurarne molti.
9. Leggete spesso e considerate bene questi ricordi, perché è piú
facile a cognoscergli e intendergli che osservargli; e questo si
facilita col farsene tale abito che s'abbino freschi nella memoria.
10. Non si confidi alcuno tanto nella prudenzia naturale che si
persuada quella piú bastare sanza l'accidentale della esperienzia;
perché ognuno che ha maneggiato faccende, benché prudentissimo, ha
potuto cognoscere che con la esperienzia si aggiugne a molte cose,
alle quali è impossibile che el naturale solo possa aggiugnere.
11. Non vi spaventi dal beneficare gli uomini la ingratitudine di
molti; perché oltre che el beneficare per sé medesimo sanza altro
obietto è cosa generosa e quasi divina, si riscontra pure
beneficando talvolta in qualcuno sí grato, che ricompensa tutte le
ingratitudini degli altri.
12. Quasi tutti e' medesimi proverbi, o simili benché con diverse
parole, si truovono in ogni nazione; e la ragione è che e' proverbi
nascono dalla esperienzia overo osservazione delle cose, le quali in
ogni luogo sono le medesime o simili.
13. Chi vuole vedere quali sieno e' pensieri de' tiranni, legga
Cornelio Tacito, quando riferisce gli ultimi ragionamenti che
Augusto morendo ebbe con Tiberio.
14. Non è la piú preziosa cosa degli amici, però, quando potete, non
perdete la occasione del farne; perché gli uomini si riscontrano
spesso, e gli amici giovano, e gli inimici nuocono in tempi e luoghi
che non aresti mai aspettato.
15. Io ho desiderato, come fanno tutti gli uomini, onore e utile; e
n'ho conseguito molte volte sopra quello che ho desiderato o
sperato; e nondimeno non v'ho mai trovato drento quella satisfazione
che io mi ero immaginato; ragione, chi bene la considerassi,
potentissima a tagliare assai delle vane cupiditá degli uomini.
16. Le grandezze e gli onori sono comunemente desiderati perché
tutto quello che vi è di bello e di buono apparisce di fuora, ed è
scolpito nella superficie; ma le molestie, le fatiche, e' fastidi ed
e' pericoli sono nascosti e non si veggono; e' quali se apparissino
come apparisce el bene, non ci sarebbe ragione nessuna da dovergli
desiderare, eccetto una sola, che quanto piú gli uomini sono
onorati, reveriti e adorati, tanto piú pare che si accostino e
diventino quasi simili a Dio; al quale chi è quello che non volessi
assomigliarsi?
17. Non crediate a coloro che fanno professione d'avere lasciato le
faccende e le grandezze volontariamente e per amore della quiete,
perché quasi sempre ne è stata cagione o leggerezza o necessitá;
però si vede per esperienzia che quasi tutti, come se gli offerisce
uno spiraglio di potere tornare alla vita di prima, lasciata la
tanto lodata quiete, vi si gettano con quella furia che fa el fuoco
alle cose bene unte e secche.
18. Insegna molto bene Cornelio Tacito a chi vive sotto e' tiranni
el modo di vivere e governarsi prudentemente, cosí come insegna a'
tiranni e' modi di fondare la tirannide.
19. Non si possono fare le congiure sanza compagnia di altri, e però
sono pericolosissime; perché essendo la piú parte degli uomini o
imprudenti o cattivi, si corre troppo pericolo a accompagnarsi con
persone di simile sorte.
20. Non è cosa piú contraria a chi vuole che le sue congiure abbino
felice fine, che volerle fondare molto sicure, e quasi certe da
riuscire; perché chi vuole fare questo, bisogna che implichi piú
uomini, piú tempo e piú opportunitá, le quali sono tutte la via da
farle scoprire. E però vedete quanto le congiure sono pericolose,
poi che le cose che arrecano sicurtá negli altri casi, in questa
arrecono pericolo; il che credo sia anche perché la fortuna, che in
quelle ha gran forza, si sdegni contro a chi fa tanta diligenzia di
cavarle dalla sua potestá.
21. Io ho detto e scritto altre volte, che e' Medici perderono lo
stato nel '27 per averlo governato in molte cose a uso di libertá, e
che dubitavo che el popolo perderebbe la libertá per governarla in
molte cose a uso di stato. La ragione di queste due conclusione è
che lo stato de' Medici, che era esoso allo universale della cittá,
volendo mantenervisi, bisognava si facessi uno fondamento di amici
partigiani, cioè d'uomini che da uno canto cavassino beneficio assai
dello stato, dall'altro si cognoscessino perduti e non potere
restare a Firenze, se e' Medici ne fussino cacciati. E questo non
poteva essere, distribuendosi largamente come si faceva gli onori ed
utili della cittá, non volendo dare quasi punto di favore
estraordinario agli amici nel fare e' parentadi, e ingegnandosi
mostrare equalitá verso ognuno; le quali cose se si riducessino allo
estremo contrario sarebbono da biasimare assai, ma anche tenerle in
su questo estremo non facevano fondamento di amici allo stato de'
Medici; e se bene piacevano allo universale, questo non bastava,
perché da altro canto era sí fisso ne' cuori degli uomini el
desiderio di tornare al Consiglio Grande, che nessuna mansuetudine,
nessuna dolcezza, nessuno piacere che si facessi al popolo bastava a
eradicarlo. E gli amici, se bene piacessi loro quello stato, non vi
avevano però tanta satisfazione, che per questo volessino correre
pericolo; e sperando che se si governavano onestamente potersi
salvare in sullo esemplo del '94, erano disposti in uno frangente
piú presto a lasciare correre che a sostenere una grossa piena. Per
el contrario totalmente bisogna che proceda uno governo populare;
perché essendo communemente amato in Firenze, né essendo una machina
che si regga con fine certo indirizzato da uno o da pochi, ma
faccendo ogni dí per la moltitudine e ignoranzia di quelli che vi
intervengono variazione nel procedere, ha bisogno volendo mantenersi
di conservarsi grato allo universale, fuggire quanto può le
discordie de' cittadini; le quali non potendo o non sapendo lui
calpestare, aprono la via alla mutazione de' governi; e in effetto
camminare tutto con giustizia e equalitá; donde nascendo la sicurtá
di tutti, ne séguita in gran parte la satisfazione universale, ed el
fondamento di conservare el governo populare, non con pochi
partigiani, e' quali lui non è capace di reggere, ma con infiniti
amici; perché continuare a tenerlo a uso di stato non è possibile,
se da reggimento populare non si trasmuta in un'altra spezie; e
questo non conserva la libertá, ma la distrugge.
22. Quante volte si dice: se si fussi fatto o non fatto cosí, saria
succeduta o non succeduta la tale cosa! che se fussi possibile
vederne el paragone, si cognoscerebbe simile openione essere false.
23. Le cose future sono tanto fallace e sottoposte a tanti
accidenti, che el piú delle volte coloro ancora che sono bene savi
se ne ingannano; e chi notassi e' giudíci loro, massime ne'
particulari delle cose, perché ne' generali piú spesso s'appongono,
sarebbe in questo poca differenzia da loro agli altri che sono
tenuti manco savi. Però lasciare uno bene presente per paura di uno
male futuro è el piú delle volte pazzia, quando el male non sia
molto certo o propinquo, o molto grande a comparazione del bene;
altrimenti bene spesso per paura di una cosa che poi riesce vana, ti
perdi el bene che tu potevi avere.
24. Non è la piú labile cosa che la memoria de' benefíci ricevuti:
però fate piú fondamento in su quegli che sono condizionati in modo
che non vi possino mancare, che in su coloro quali avete beneficati;
perché spesso o non se ne ricordano, o presuppongono e' benefici
minori che non sono, o reputano che siano fatti quasi per obligo.
25. Guardatevi da fare quelli piaceri agli uomini che non si possono
fare sanza fare equale dispiacere a altri; perché chi è ingiuriato
non dimentica, anzi reputa la ingiuria maggiore; chi è beneficato
non se ne ricorda, o gli pare essere beneficato manco che non è;
però presupposte le altre cose pari, se ne disavanza piú di gran
lunga che non si avanza.
26. Gli uomini doverebbono tenere molto piú conto delle sustanzie ed
effetti che delle cerimonie, e nondimeno è incredibile quanto la
umanitá e gratitudine di parole leghi communemente ognuno; il che
nasce che a ognuno pare meritare di essere stimato assai, e però si
sdegna come gli pare che tu non ne tenga quello conto che si
persuade meritare.
27. La vera e fondata sicurtá di chi tu dubiti, è che le cose stiano
in modo che benché voglia non ti possa nuocere; perché quelle
sicurtá che sono fondate in sulla voluntá e discrezione di altri
sono fallace, atteso quanto poca bontá e fede si truova negli
uomini.
28. Io non so a chi dispiaccia piú che a me la ambizione, la
avarizia e le mollizie de' preti; sí perché ognuno di questi vizi in
sé è odioso, sí perché ciascuno e tutti insieme si convengono poco a
chi fa professione di vita dipendente da Dio; e ancora perché sono
vizi sí contrari che non possono stare insieme se non in uno
subietto molto strano. Nondimeno el grado che ho avuto con piú
pontefici, m'ha necessitato a amare per el particulare mio la
grandezza loro; e se non fussi questo rispetto, arei amato Martino
Luther quanto me medesimo, non per liberarmi dalle legge indotte
dalla religione cristiana nel modo che è interpretata e intesa
communemente, ma per vedere ridurre questa caterva di scelerati a'
termini debiti, cioè a restare o sanza vizi o sanza autoritá.
29. Ho detto molte volte, ed è verissimo, che piú è stato difficile
a' fiorentini a fare quello poco dominio che hanno, che a' viniziani
el loro grande; perché e' fiorentini sono in una provincia che era
piena di libertá, le quali è difficillimo a estinguere; però si
vincono con grandissima fatica, e vinte si conservano con non
minore. Hanno di poi la Chiesa vicina, che è potente e non muore
mai, in modo che, se qualche volta travaglia, risurge alla fine el
suo diritto piú fresco che prima. E' viniziani hanno avuto a
pigliare terre use a servire, le quali non hanno ostinazione né nel
difendersi né nel ribellarsi; e per vicini hanno avuto príncipi
secolari, la vita e la memoria de' quali non è perpetua.
30. Chi considera bene non può negare che nelle cose umane la
fortuna ha grandissima potestá, perché si vede che a ogn'ora
ricevono grandissimi moti da accidenti fortuiti, e che non è in
potestá degli uomini né a prevedergli né a schifargli; e benché lo
accorgimento e sollecitudine degli uomini possa moderare molte cose,
nondimeno sola non basta, ma gli bisogna ancora la buona fortuna.
31. Coloro ancora, che attribuendo el tutto alla prudenza e virtú,
escludono quanto possono la potestá della fortuna, bisogna almanco
confessino che importa assai abattersi o nascere in tempo che le
virtú o qualitá per le quali tu ti stimi siano in prezzo: come si
può porre lo esemplo di Fabio Massimo, al quale lo essere di natura
cunctabundo dette tanta riputazione, perché si riscontrò in una
spezie di guerra, nella quale la caldezza era perniziosa, la tarditá
utile; in uno altro tempo sarebbe potuto essere el contrario. Però
la fortuna sua consisté in questo, che e' tempi suoi avessino
bisogno di quella qualitá che era in lui; ma chi potessi variare la
natura sua secondo le condizione de' tempi, il che è difficillimo e
forse impossibile, sarebbe tanto manco dominato dalla fortuna
32. La ambizione non è dannabile, né da vituperare quello ambizioso
che ha appetito d'avere gloria co' mezzi onesti e onorevoli; anzi
sono questi tali che operano cose grande ed eccelse, e chi manca di
questo desiderio, è spirito freddo e inclinato piú allo ozio che
alle faccende. Quella è ambizione perniziosa e detestabile che ha
per unico fine la grandezza, come hanno communemente e' principi; e'
quali quando la propongono per idolo, per conseguire ciò che gli
conduce a quella, fanno uno piano della conscienzia, dell'onore,
della umanitá e di ogni altra cosa.
33. È in proverbio, che delle riccheze male acquistate non gode el
terzo erede; e se questo nasce per essere cosa infetta, pare che
molto manco ne dovessi godere quello che l'ha male acquistate.
Dissemi giá mio padre che santo Augustino diceva, la ragione essere
perché non si truova nessuno sí scelerato che non faccia qualche
bene; e che Dio che non lascia alcuno bene irremunerato, né alcuno
male impunito, dargli in satisfazione de' suoi beni questo contento
nel mondo, per punirlo poi pienamente del male nell'altro; e
nondimeno perché le ricchezze male acquistate s'hanno a purgare, non
si perpetuare nel terzo erede. Io gli risposi, che non sapevo se el
detto in sé era vero, potendosene allegare in contrario molte
esperienzie; ma quando fussi vero, potersi considerare altra
ragione; perché la variazione naturale delle cose del mondo fa che
dove è la ricchezza venga la povertá, e piú negli eredi che nel
principale; perché quanto el tempo è piú lungo, tanto è piú facile
la mutazione. Dipoi el principale, cioè quello che l'ha acquistate,
v'ha piú amore; e avendo saputo guadagnarle, sa anche la arte del
conservarle; ed usato vivere da povero non le dissipa; ma gli eredi,
non avendo tanto amore a quello che sanza loro fatica si hanno
trovato in casa, allevati da ricchi e non avendo imparato le arte
del guadagnare, che maraviglia è che o per troppo spendere o per
poco governo se le lascino uscire di mano?
34. Tutte le cose che hanno a finire non per impeto di violenzia, ma
di consunzione, hanno piú lunga vita assai che l'uomo da principio
non si immagina. Vedesi lo esemplo in uno etico, che quando è
giudicato essere allo estremo, vive ancora non solo dí, ma talvolta
settimane e mesi; in una cittá che s'ha da vincere per assedio, dove
le reliquie delle vettovaglie ingannano sempre la opinione di
ognuno.
35. Quanto è diversa la pratica dalla teorica! quanti sono che
intendono le cose bene, che o non si ricordano o non sanno metterle
in atto! Ed a chi fa cosí, questa intelligenzia è inutile; perché è
come avere uno tesoro in una arca con obbligo di non potere mai
trarlo fuora.
36. Chi attende a acquistare la grazia degli uomini, avvertisca,
quando è richiesto, a non negare mai precisamente, ma dare risposte
generale; perché a chi richiede, talvolta non gli accade poi l'opera
tua, o sopravengono anche impedimenti che fanno la scusa tua
capacissima. Sanza che molti uomini sono grossi, e facilmente si
lasciano aggirare con le parole in modo, che etiam non faccendo tu
quello che non volevi o non potevi fare, s'ha spesso, con quella
finezza di rispondere, occasione di lasciare bene satisfatto colui,
al quale se da principio avessi negato, restava in ogni caso mal
contento di te.
37. Nega pure sempre quello che tu non vuoi che si sappia, o afferma
quello tu vuoi che si creda; perché ancora che in contrario siano
molti riscontri e quasi certezza, lo affermare o negare
gagliardamente mette spesso a partito el cervello di chi ti ode.
38. È difficile alla casa de' Medici potentissima e con dua papati
conservare lo stato di Firenze molto piú che non fu a Cosimo privato
cittadino; perché, oltre alla potenzia che fu in lui eccessiva, vi
concorse la condizione de' tempi, avendo Cosimo avuto a combattere
lo stato con la potenzia di pochi, sanza displicenzia dello
universale, el quale non cognosceva la libertá; anzi in ogni
quistione tra potenti, e in ogni mutazione, gli uomini mediocri e
piú bassi acquistavano condizione. Ma oggi essendo stato gustato el
Consiglio Grande, non si ragiona piú di tôrre o tenere usurpato el
governo a quattro, sei, dieci o venti cittadini, ma al popolo tutto;
el quale ha tanto lo obietto a quella libertá, che non si può
sperare di fargliene dimenticare con tutte le dolcezze, con tutti e'
buoni governi e esaltazione del publico che e' Medici o altri
potenti usino.
39. Nostro padre ebbe figliuoli sí bene qualificati, che a tempo suo
fu communemente tenuto el piú felice padre di Firenze; e nondimeno
io considerai molte volte che, calculato tutto, era maggiore el
dispiacere che aveva di noi che la consolazione; pensa quello che
interviene a chi ha figliuoli pazzi, cattivi o scelerati.
40. Gran cosa è avere potestá sopra altri; la quale chi sa usare
bene, spaventa con essa gli uomini piú ancora che non sono le forze
sue; perché el suddito non sapendo bene insino dove le si
distendino, bisogna si risolva piú presto a cedere, che a volere far
cimento se tu puoi fare o no quello di che tu minacci.
41. Se gli uomini fussino buoni o prudenti, chi è preposto a altri
legittimamente arebbe a usare piú la dolcezza che la severitá; ma
essendo la piú parte o poco buoni o poco prudenti, bisogna fondarsi
piú in sulla severitá e chi la intende altrimenti, si inganna.
Confesso bene che chi potessi mescolare e condire bene l'una con
l'altra, farebbe quello ammirabile concento e quella armonia della
quale nessuna è piú suave; ma sono grazie che a pochi el cielo largo
destina, e forse a nessuno.
42. Non fare piú conto d'avere grazia che d'avere riputazione;
perché perduta la riputazione si perde la benivolenzia, e in luogo
di quella succede lo essere disprezzato; ma a chi mantiene la
riputazione non mancano amici, grazia e benivolenzia.
43. Ho osservato io ne' miei governi, che molte cose che ho voluto
condurre, come pace, accordi civili e cose simili, innanzi che io mi
vi introduca lasciole bene dibattere ed andare a lungo; perché alla
fine per stracchezza le parte ti pregano che tu le acconci; cosí
pregato, con riputazione e sanza nota alcuna di cupiditá, conduci
quello a che da principio invano saresti corso drieto.
44. Fate ogni cosa per parere buoni, ché serve a infinite cose; ma
perché le opinione false non durano, difficilmente vi riuscirá el
parere lungamente buoni, se in veritá non sarete; cosí mi ricordò
giá mio padre.
45. El medesimo, lodando la parsimonia, usava dire, che piú onore ti
fa uno ducato che tu hai in borsa, che dieci che tu n'hai spesi.
46. Non mi piacque mai ne' miei governi la crudeltá e le pene
eccessive, ed anche non sono necessarie; perché da certi casi
esemplari in fuora, basta, a mantenere el terrore, el punire e'
delitti a 15 soldi per lira, pure che si pigli regola di punirgli
tutti.
47. La dottrina accompagnata co' cervelli deboli, o non gli megliora
o gli guasta; ma quando lo accidentale si riscontra col naturale
buono, fa gli uomini perfetti e quasi divini.
48. Non si può tenere stati secondo coscienzia; perché chi considera
la origine loro, tutti sono violenti; da quelli delle repubbliche
nella patria propria in fuora, e non altrove: e da questa regola non
eccettuo lo imperadore e manco e' preti, la violenzia de' quali è
doppia, perché ci sforzano con le armi temporale e con le
spirituale.
49. Non dire a alcuno le cose che tu non vuoi che si sappino, perché
sono varie le cose che muovono gli uomini a cicalare, chi per
stultizia, chi per profitto, chi vanamente per parere di sapere; e
se tu sanza bisogno hai detto uno tuo segreto a un altro, non ti
debbi punto maravigliare se colui, a chi importa el sapersi manco
che a te, fa el medesimo.
50. Non vi affaticate in quelle mutazione, le quali non mutano gli
effetti che vi dispiacciono, ma solo e' visi degli uomini; perché si
resta con la medesima mala satisfazione. Verbigrazia, che rileva
cavare di casa e' Medici ser Giovanni da Poppi, se in luogo suo
entrerrá ser Bernardo da San Miniato, uomo della medesima qualitá e
condizione?
51. Chi si travaglia in Firenze di mutare stati, se non lo fa per
necessitá, o che a lui tocchi diventare capo del nuovo governo, è
poco prudente: perché mette a pericolo sé e tutto el suo, se la cosa
non succede; succedendo, non ha apena una piccola parte di quello
che aveva disegnato. E quanta pazzia è giucare a uno giuoco che si
possa perdere piú sanza comparazione che guadagnare; e quello che
non importa forse manco, mutato che sia lo stato, ti oblighi a uno
perpetuo tormento d'avere sempre a temere di nuova mutazione.
52. Si vede per esperienzia che quasi tutti quelli che sono stati
ministri a acquistare grandezza a altri, in progresso di tempo
restano seco in poco grado; la ragione si dice essere, perché avendo
cognosciuto la sufficienzia sua, teme non possa uno giorno tôrgli
quello che gli ha dato. Ma non è forse manco perché quello tale,
parendogli avere meritato assai, vuole piú che non se gli conviene;
il che non gli sendo concesso, diventa mal contento; donde tra lui
ed el principe nascono gli sdegni e le suspizione.
53. Ogni volta che tu, che sei stato causa o m'hai aiutato diventare
principe, vuoi che io mi governi a tuo modo, o ti conceda cose che
siano in diminuzione della mia autoritá, giá scancelli quello
beneficio che tu m'hai fatto; poiché cerchi o in tutto o in parte
tôrmi lo effetto di quello che m'hai aiutato a acquistare.
54. Chi ha carico di difendere terre, abbi per principale obietto
allungare quanto può, perché come dice el proverbio, chi ha tempo ha
vita; la dilazione reca infiniti favori da principio non sperati e
non cognosciuti.
55. Non spendere in sullo assegnamento de' guadagni futuri, perché
molte volte o ti mancano o riescono minori del disegno, ma pel
contrario le spese sempre moltiplicano; e questo è lo inganno che fa
fallire molti mercatanti, che togliendo a cambio per potersi valere
di quello mobile a fare maggiori guadagni, ogni volta che quegli o
non riescono o si allungano, entrano in pericolo di essere
sopraffatti da' cambi, e' quali non si fermono o diminuiscono mai,
ma sempre camminano e mangiano.
56. Non consiste tanto la prudenzia della economica in sapersi
guardare dalle spese, perché sono molte volte necessarie, quanto in
sapere spendere con vantaggio, cioè uno grosso per 24 quattrini.
57. Quanto sono piú felici gli astrologi che gli altri uomini!
Quelli dicendo tra cento bugie una veritá, acquistano fede in modo
che è creduto loro el falso; questi dicendo tra molte veritá una
bugia, la perdono in modo che non è piú creduto loro el vero.
Procede dalla curiositá degli uomini, che desiderosi sapere el
futuro, né avendo altro modo, sono inclinati a correre dietro a chi
promette loro saperlo dire.
58. Quanto disse bene el Filosofo: de futuris contingentibus non est
determinata veritas! Aggirati quanto tu vuoi, che quanto piú ti
aggiri, tanto piú truovi questo detto verissimo.
59. Dissi giá io a papa Clemente che si spaventava di ogni pericolo,
che buona medicina a non temere cosí di leggiere era ricordarsi di
quante cose simili aveva temuto invano; la quale parola non voglio
che serva a fare che gli uomini non temino mai, ma che gli
assuefaccia a non temere sempre.
60. Lo ingegno piú che mediocre è dato agli uomini per la loro
infelicitá e tormento; perché non serve loro a altro che a tenergli
con molte piú fatiche e ansietá che non hanno quegli che sono piú
positivi.
61. Sono varie le nature degli uomini: certi sperano tanto, che
mettono per certo quello che non hanno; altri temono tanto, che mai
sperano se non hanno in mano. Io mi accosto piú a questi secondi che
a' primi e chi è di questa natura si inganna manco, ma vive con piú
tormento.
62. E' popoli communemente e tutti gli uomini si lasciano piú tirare
quando è proposta loro la speranza dello acquistare, che quando si
mostra loro el pericolo di perdere; e nondimeno doverrebbe essere el
contrario, perché è piú naturale lo appetito del conservare che del
guadagnare. La ragione di questa fallacia è, che negli uomini può
ordinariamente molto piú la speranza che el timore; però facilmente
non temono di quello che dovrebbero temere, e sperano quello che non
doverebbono sperare.
63. Vedesi che e' vecchi sono piú avari che e' giovani, e doverrebbe
essere el contrario; perché avendo a vivere meno, basta loro manco.
La ragione si dice essere perché sono piú timidi; non credo sia
vera, perché ne veggo anche molti piú crudeli, piú libidinosi, se
non di atto, di desiderio, dolere loro piú la morte che a' giovani;
la ragione credo sia che quanto piú si vive piú si fa abito, e piú
si appiccano gli uomini alle cose del mondo; però vi hanno piú
affezione e piú se ne muovono.
64. Innanzi al 1494 erano le guerre lunghe, le giornate non
sanguinose, e' modi dello espugnare terre, lenti e difficili; e se
bene erano giá in uso le artiglierie, si maneggiavano con sí poca
attitudine che non offendevano molto; in modo che chi aveva uno
stato era quasi impossibile lo perdessi. Vennono e' franzesi in
Italia e introdussono nelle guerre tanta vivezza, in modo che insino
al '21, perduta la campagna, era perduto lo stato; primo el signor
Prospero, cacciandosi a difesa di Milano, insegnò frustrare gli
impeti degli eserciti, in modo che da questo esemplo è tornata a chi
è padrone degli stati la medesima sicurtá che era innanzi al '94, ma
per diverse ragione: procedeva allora da non avere bene gli uomini
l'arte dell'offendere, ora procede dall'avere bene l'arte del
difendere.
65. Chi chiamò e' carriaggi «impedimenti», non poteva dire meglio;
chi messe in proverbio «gli è piú fatica a muovere uno campo, che a
fare la tale cosa», disse benissimo; perché è cosa quasi infinita
accozzare in uno campo tante cose, che abbia el moto suo.
66. Non crediate a costoro che predicano sí efficacemente la
libertá, perché quasi tutti, anzi non è forse nessuno che non abbia
l'obietto agli interessi peculiari, e la esperienzia mostra spesso,
ed è certissimo, che se credessimo trovare in uno stato stretto
migliore condizione, vi correrebbono per le poste.
67. Non è faccenda, o amministrazione del mondo nella quale bisogni
piú virtú che in uno capitano di eserciti, sí per la importanza del
caso, come perché bisogna che pensi e ponga ordine a infinite cose e
variissime; in modo è necessario e prevegga assai da discosto e
sappia riparare subito.
68. La neutralitá nelle guerre d'altri è buona a chi è potente in
modo che non ha da temere di quello di loro che resterá superiore;
perché si conserva senza travaglio, e può sperare guadagno de'
disordini d'altri; fuora di questo è inconsiderata e dannosa, perché
si resta in preda del vincitore e del vinto. E piggiore di tutte è
quella che si fa non per giudicio, ma per irresoluzione; cioè quando
non si risolvendo se vuoi essere neutrale o no, ti governi in modo
che non satisfai anche a chi per allora si contenterebbe che tu lo
assicurassi di essere neutrale. E in questa ultima spezie caggiono
piú le republiche che e' príncipi, perché procede molte volte da
essere divisi quelli che hanno a deliberare; in modo che,
consigliando l'uno questo, l'altro quello, non se ne accordano mai
tanti insieme che bastino a fare deliberare piú l'una opinione che
l'altra; e questo fu proprio lo stato del '12.
69. Se voi osservate bene vedrete che di etá in etá non solo si
mutano e' modi del parlare degli uomini ed e' vocaboli, gli abiti
del vestire, gli ordini dello edificare, della cultura e cose
simili; ma, quello che è piú, e' gusti ancora, in modo che uno cibo
che è stato in prezzo in una etá è spesso stimato manco nell'altra.
70. El vero paragone dello animo degli uomini è quando viene loro
addosso uno periculo improvviso; chi regge a questo, che se ne
truova pochissimi, si può veramente chiamare animoso e imperterrito.
71. Se vedete andare a cammino la declinazione di una cittá, la
mutazione di uno governo, lo augumento di uno imperio nuovo ed altre
cose simili, che qualche volta si veggono innanzi quasi certe,
avvertite a non vi ingannare ne' tempi, perché e' moti delle cose
sono per sua natura e per diversi impedimenti molto piú tardi che
gli uomini non si immaginano, e lo ingannarti in questo ti può fare
grandissimo danno; avvertiteci bene, che è uno passo dove spesso si
inciampa. Interviene anche el medesimo nelle cose private e
particulari, ma molto piú in queste publiche ed universali; perché
hanno, per essere maggiore mole, el moto suo piú lento, ed anche
sono sottoposte a piú accidenti.
72. Non è cosa che gli uomini nel vivere del mondo debbino piú
desiderare e che sia piú gloriosa, che vedersi el suo inimico
prostrato in terra ed a sua discrezione; e questa gloria la
raddoppia chi la usa bene, cioè con lo adoperare la clemenzia, e col
bastargli d'avere vinto.
73. Né Alessandro Magno, né Cesare, né gli altri che sono stati
celebrati in questa laude, usarono mai clemenzia per la quale
cognoscessino guastare o mettere in pericolo lo effetto della sua
vittoria, perché sarebbe forse piú presto demenza, ma solo in quegli
casi ne' quali lo usarla non diminuiva loro sicurtá, e gli faceva
piú ammirabili.
74. Non procede sempre el vendicarsi da odio o da mala natura, ma è
talvolta necessario perché con questo esempio gli altri imparino a
non ti offendere; e sta molto bene questo che uno si vendichi, e
tamen non abbia rancore di animo contro a colui di chi fa vendetta.
75. Referiva papa Lione, Lorenzo de' Medici suo padre essere solito
dire: sappiate che chi dice male di noi non ci vuole bene.
76. Tutto quello che è stato per el passato ed è al presente, sará
ancora in futuro; ma si mutano e' nomi e le superficie delle cose in
modo, che chi non ha buono occhio non le ricognosce, né sa pigliare
regola, o fare giudicio per mezzo di quella osservazione.
77. Osservai quando ero imbasciadore in Spagna, che el re Catolico
don Ferrando d'Aragona, principe potentissimo e prudentissimo,
quando voleva fare impresa nuova o deliberazione di grande
importanza, procedeva spesso di sorte, che innanzi si sapessi la
mente sua, giá procedeva spesso di sorte, che innanzi si sapessi la
mente sua, giá tutta la corte e i popoli desideravano ed
esclamavano: el re doverrebbe fare questo; in modo che scoprendosi
la sua deliberazione in tempo che giá era desiderata e chiamata, è
incredibile con quanta giustificazione e favore procedesse apresso
a' sudditi e ne' regni suoi.
78. Le cose medesime che tentate in tempo sono facili a riuscire
anzi caggiono quasi per loro medesime, tentate innanzi al tempo, non
solo non riescono allora, ma ti tolgono ancora spesso quella
facilitá che avevano di riuscire al tempo suo; però non correte
furiosi alle cose, non le precipitate, aspettate la sua maturitá, la
sua stagione.
79. Sarebbe periculoso proverbio, se non fussi bene inteso, quello
che si dice: el savio debbe godere el beneficio del tempo; perché
quando ti viene quello che tu desideri, chi perde la occasione non
la ritruova a sua posta, e anche in molte cose è necessaria la
celeritá del risolversi e del fare; ma quando sei in partiti
difficili, o in cose che ti sono moleste, allunga e aspetta tempo
quanto puoi, perché quello spesso ti illumina o ti libera. Usando
cosí questo proverbio, è sempre salutifero; ma inteso altrimenti,
sarebbe pernizioso.
80. Felici veramente sono coloro a chi una medesima occasione torna
piú che una volta perché la prima lo può perdere o male usare uno
ancora che sia prudente; ma chi non lo sa cognoscere o usare la
seconda volta è imprudentissimo.
81. Non abbiate mai una cosa futura tanto per certa, ancora che la
paia certissima, che potendo sanza guastare el vostro traino
riservarvi in mano qualche cosa a proposito del contrario se pure
venissi, non lo facciate; perché le cose riescono bene spesso tanto
fuora delle opinione commune, che la esperienzia mostra essere stata
prudenzia a fare cosí.
82. Piccoli princípi e a pena considerabili sono spesso cagione di
grandi ruine o di felicitá; però è grandissima prudenzia avvertire e
pesare bene ogni cosa benché minima.
83. Fui io giá d'opinione, che quello che non mi si rapresentava in
un tratto, non occorressi anche poi; pensandovi, ho visto in fatti
in me e in altri el contrario; che quanto piú e meglio si pensa alle
cose, tanto meglio si intendono e si fanno.
84. Non vi lasciate cavare di possessione delle faccende se
desiderate farne, perché non vi si torna a sua posta; ma se vi ti
truovi drento, l'una s'avvia doppo l'altra sanza adoperare tu
diligenzia o industria per averne.
85. La sorte degli uomini non solo è diversa tra uomo e uomo, ma
etiam in sé medesimo, perché sará uno fortunato in una cosa e
infortunato in un'altra. Sono stato felice io in quelli guadagni che
si fanno sanza capitale con la industria sola della persona, negli
altri infelice: con difficultá ho avuto le cose quando l'ho cercate;
le medesime non le cercando, mi sono corse drieto.
86. Chi è in maneggi grandi o tende a grandezza, cuopra sempre le
cose che gli dispiacciono, amplifichi quelle che gli sono
favorevole. È una spezie di ciurmeria, e assai contro alla natura
mia; ma dependendo el traino di costoro piú spesso dalla openione
degli uomini che dagli effetti, el farsi fama che le cose ti vadino
prospere ti giova, el contrario ti nuoce.
87. Molti piú sono e' benefici che tu cavi da' parenti e dagli
amici, de' quali né tu né loro si accorgono, che quelli che si
cognosce procedere da loro; perché rade volte accaggiono cose nelle
quali t'abbia a servire dello aiuto loro, a comparazione di quelle
che quotidianamente ti arreca el credersi che tu possa valerti a tua
posta di loro.
88. Uno principe o chi è in faccende grande non solo debbe tenere
segrete le cose che è bene che non si sappino, ma ancora avezzare sé
e e' suoi ministri a tacere tutte le cose etiam minime e che pare
che non importino, da quelle in fuora che è bene che siano note.
Cosí, non si sapendo da chi ti è intorno né da' sudditi e' fatti
tuoi, stanno sempre gli uomini sospesi e quasi attoniti, ed ogni tuo
piccolo moto e passo è osservato.
89. Credo adagio, insino non ho autore certo, le nuove verisimile,
perché essendo giá nel concetto degli uomini, si truova facilmente
chi le finge; non si fingono cosí spesso quelle che non sono
verisimile, o non sono aspettate, e però quando ne sento qualcuna
sanza autore certo, vi sto piú sospeso che a quell'altre.
90. Chi depende dal favore de' príncipi sta appiccato a ogni gesto,
a ogni minimo cenno loro, in modo che facilmente salta a ogni
piacere loro, il che è stato spesso cagione agli uomini di danni
grandi. Bisogna tenere bene el capo fermo a non si lasciare levare
leggermente da loro a cavallo, né si muovere se non per le
sustanzialitá.
91. Difficilmente mi è potuto entrare mai nel capo che la giustizia
di Dio comporti che e' figliuoli di Ludovico Sforza abbino a godere
lo stato di Milano, el quale acquistò sceleratamente, e per
acquistarlo fu causa della ruina del mondo.
92. Non dire: Dio ha aiutato el tale perché era buono: el tale è
capitato male perché era cattivo; perché spesso si vede el
contrario. Né per questo dobbiamo dire che manchi la giustizia di
Dio, essendo e' consigli suoi sí profondi che meritamente sono detti
abyssus multa.
93. Quanto uno privato erra verso el principe e committe crimen
laesae maiestatis, volendo fare quello che appartiene al principe,
tanto erra uno principe e commette crimen laesi populi, faccendo
quello che appartiene a fare al popolo e a' privati: però merita
grandissima riprensione el duca di Ferrara faccendo mercantanzie,
monopoli e altre cose meccaniche che aspettano a fare a' privati.
94. Chi sta in corte de' principi e aspira a essere adoperato da
loro, stia quanto può loro innanzi agli occhi; perché nascono spesso
faccende, che vedendoti, si ricorda di te, e spesso le commette a
te; le quali, se non ti vedessi, commetterebbe a un altro.
95. Bestiale è quello che non cognoscendo e' pericoli, vi entra
drento inconsideratamente; animoso quello che gli cognosce, ma non
gli teme piú che si bisogni.
96. È antico proverbio, che tutti e' savi sono timidi, perché
cognoscono tutti e' pericoli, e però temono assai. Io credo che
questo proverbio sia falso, perché non può piú essere chiamato savio
chi stima uno pericolo piú che non merita essere stimato; savio
chiamerò quello che cognosce quanto pesi el pericolo e lo teme
appunto quanto si debbe. Però piú presto si può chiamare savio uno
animoso che uno timido; e presupposto che tutt'a dua vegghino assai,
la discordia dall'uno all'altro nasce perché el timido mette a
entrata tutti e' pericoli che cognosce che possono essere, e
presuppone sempre el peggio de' peggi; l'animoso che ancora lui
cognosce tutti, considerando quanti se ne possino schifare dalla
industria degli uomini, quanti ne fa smarrire el caso per sé stesso,
non si lascia confondere da tutti, ma entra nelle imprese con
fondamento e con speranza, che non tutto quello che può essere abbia
a essere.
97. Dissemi el marchese di Pescara, quando fu fatto papa Clemente,
che forse non mai piú vedde riuscire cosa che fussi desiderata
universalmente. La ragione di questo detto può essere, che e' pochi
e non e' molti danno communemente el moto alle cose del mondo, ed e'
fini di questi sono quasi sempre diversi da' fini de' molti, e però
partoriscono diversi effetti da quello che molti desiderano.
98. Uno tiranno prudente, benché abbia caro e' savi timidi, non gli
dispiacciono anche gli animosi quando gli cognosce di cervello
quieto, perché gli dá el cuore di contentargli. Sono gli animosi ed
inquieti quelli che sopra tutto gli dispiacciono; perché non può
presupporre di potergli contentare, e però è sforzato a pensare di
spegnergli.
99. Apresso a uno tiranno prudente, quando non m'ha per inimico,
vorrei più presto essere in concetto di animoso inquieto, che di
timido; perché cerca di contentarti, e con quell'altro fa più a
sicurtá.
100. Sotto a uno tiranno è meglio essere amico insino a uno certo
termine, che partecipare degli ultimi intrinsechi suoi; perché cosí,
se sei uomo stimato, godi anche tu della sua grandezza, e qualche
volta piú che quell'altro con chi fa piú a sicurtá, e nella ruina
sua puoi sperare di salvarti.
101. A salvarsi da uno tiranno bestiale e crudele non è regola o
medicina che vaglia, eccetto quella che si dá alla peste: fuggire da
lui el piú discosto, ed el piú presto che si può.
102. Uno assediato che aspetta soccorso, publica sempre le necessitá
sue molto maggiori che non sono; quello che non lo aspetta, non gli
restando altro disegno che lo straccare lo inimico, e a
quest'effetto torgli ogni speranza, le cuopre sempre e publica
minore.
103. Fa el tiranno ogni possibile diligenzia per scoprire el segreto
del cuore tuo, con farti carezze, con ragionare teco lungamente, col
farti osservare da altri che per ordine suo si intrinsecano teco,
dalle quali rete tutte è difficile guardarsi; e però se tu vuoi che
non ti intenda, pensavi diligentemente, e guardati con somma
industria da tutte le cose che ti possono scoprire, usando tanta
diligenzia a non ti lasciare intendere quanta usa lui a intenderti.
104. È lodato assai negli uomini, ed è grato a ognuno lo essere di
natura liberi e reali, e come si dice in Firenze, schietti; è
biasimata da altro canto ed è odiosa la simulazione, ma è molto piú
utile a sé medesimo; e quella realitá giova piú presto a altri che a
sé. Ma perché non si può negare che la non sia bella, io loderei chi
ordinariamente avessi el traino suo del vivere libero e schietto,
usando la simulazione solamente in qualche cosa molto importante, le
quali accaggiono rare volte. Cosí acquisteresti nome di essere
libero e reale, e ti tireresti drieto quella grazia che ha chi è
tenuto di tale natura: e nondimeno nelle cose che importassino piú,
caveresti utilitá della simulazione, e tanto maggiore quanto, avendo
fama di non essere simulatore, sarebbe piú facilmente creduto alle
arti tue.
105. Ancora che uno abbia nome di simulatore o di ingannatore, si
vede che pure qualche volta gli inganni suoi truovano fede. Pare
strano a dirlo, ma è verissimo, e io mi ricordo el re Catolico piú
che tutti gli altri uomini essere in questo concetto; e nondimeno
ne' suoi maneggi non gli mancava mai chi gli credessi piú che el
debito; e questo bisogna che proceda o dalla semplicitá o dalla
cupiditá degli uomini: questi per credere facilmente quello che
desiderano, quelli per non cognoscere.
106. Non è cosa nel vivere nostro civile che abbia piú difficultá
che el maritare convenientemente le sue figliuole; il che procede
perché tutti gli uomini, tenendo piú conto di sé che non tengono gli
altri, pensano da principio poter capere ne' luoghi che non gli
riescono. Però ho veduto molti rifiutare spesso partiti che quando
si sono molto aggirati arebbono accettato di grazia. È dunche
necessario misurare bene le condizioni sue e degli altri, né si
lasciare portare da maggiore opinione che si convenga; questo io lo
cognosco bene; non so poi come saprò usarlo, né se cadrò nello
errore quasi commune di presummere piú che el debito; ma non serva
però questo ricordo a avvilirsi tanto, che, come Francesco Vettori,
si diano al primo che le dimanda.
107. È da desiderare non nascere suddito; e pure avendo a essere, è
meglio essere di principe che di republica; perché la republica
deprime tutti e' sudditi; e non fa parte alcuna della sua grandezza
se non a' suoi cittadini; el principe è piú commune a tutti, ed ha
equalmente per suddito l'uno come l'altro; però ognuno può sperare
di essere e beneficato e adoperato da lui.
108. Non è uomo sí savio che non pigli qualche volta degli errori;
ma la buona sorte degli uomini consiste in questo: abattersi a
pigliargli minori, o in cose che non importano molto.
109. Non è el frutto delle libertá, né el fine al quale le furono
trovate, che ognuno governi, perché non debbe governare se non chi è
atto e lo merita; ma la osservanzia delle buone legge e buoni
ordini, le quali sono piú sicure nel vivere libero che sotto la
potestá di uno o pochi. E questo è lo inganno che fa tanto
travagliare la cittá nostra, perché non basta agli uomini essere
liberi e sicuri, ma non si fermano se ancora non governano.
110. Quanto si ingannono coloro che a ogni parola allegano e'
romani! Bisognerebbe avere una cittá condizionata come era loro, e
poi governarsi secondo quello esemplo; el quale a chi ha le qualitá
disproporzionate è tanto disproporzionato, quanto sarebbe volere che
uno asino facessi el corso di uno cavallo.
111. E' vulgari riprendono e' iurisconsulti per la varietá delle
opinione che sono tra loro, e non considerano che la non procede da
difetto degli uomini, ma dalla natura della cosa in sé; la quale non
sendo possibile che abbia compreso con regole generali tutti e' casi
particulari, spesso e' casi non si truovano decisi appunto dalla
legge, ma bisogna conietturarli con le opinione degli uomini, le
quali non sono tutte a uno modo. Vediamo el medesimo ne' medici, ne'
filosofi, ne' giudici mercantili, ne' discorsi di quelli che
governano lo stato, tra' quali non è manco varietá di giudicio che
sia tra' legisti.
112. Diceva messer Antonio da Venafra, e dice bene: metti sei o otto
savi insieme, diventano tanti pazzi; perché non si accordando
mettono le cose piú presto in disputa che in resoluzione.
113. Erra chi crede che la legge rimetta mai cosa alcuna in
arbitrio, cioè in libera voluntá del giudice, perché la non lo fa
mai padrone di dare e tôrre; ma perché sono alcuni casi che è stato
impossibile che la legge determini con regola certa, gli rimette in
arbitrio del giudice; cioè che el giudice, considerate le
circunstanzie e qualitá tutte del caso, ne determini quello che gli
pare secondo la sinderesi e conscienzia sua. Di che nasce che benché
el giudice non possa della sentenzia sua starne a sindacato degli
uomini, ne ha a stare a sindacato di Dio, el quale cognosce se gli
ha o giudicato o donato.
114. Sono alcuni che sopra le cose che occorsono fanno in scriptis
discorsi del futuro, e' quali quando sono fatti da chi sa, paiono a
chi gli legge molto belli; nondimeno sono fallacissimi, perché
dependendo di mano in mano l'una conclusione dell'altra, una che ne
manchi, riescono vane tutte quelle che se ne deducono; e ogni minimo
particulare che vari, è atto a fare variare una conclusione; però
non si possono giudicare le cose del mondo sí da discosto, ma
bisogna giudicarle e resolverle giornata per giornata.
115. Truovo in certi quadernacci scritti insino nel 1457, che uno
savio cittadino disse giá: o Firenze disfará el Monte o el Monte
disfará Firenze. Considerò benissimo essere necessario o che la
cittá gli togliessi la riputazione, o che farebbe tanta
multiplicazione che sarebbe impossibile reggerla; ma questa materia
innanzi partorissi el disordine, ha avuto piú vita, e in effetto el
moto suo piú lento, che lui forse non immaginò.
116. Chi governa gli stati non si spaventi per e' pericoli che si
mostrono, ancora che paino grandi, propinqui e quasi in essere;
perché, come dice el proverbio, non è sí brutto el diavolo come si
dipigne. Spesso per vari accidenti e' pericoli si risolvono, e
quando pure e' mali vengono, vi si truova drento qualche rimedio e
qualche alleggerimento, piú che non si immaginava; e questo ricordo
consideratelo bene, ché tuttodí viene in fatto.
117. È fallacissimo il giudicare per gli esempli; perché se non sono
simili in tutto e per tutto non servono, conciosiaché ogni minima
varietá nel caso può essere causa di grandissima variazione nello
effetto, ed el discernere queste varietá, quando sono piccole, vuole
buono e perspicace occhio.
118. A chi stima l'onore assai, succede ogni cosa, perché non cura
fatiche, non pericoli, non danari. Io l'ho provato in me medesimo,
però lo posso dire e scrivere; sono morte e vane le azione degli
uomini che non hanno questo stimulo ardente.
119. Le falsitá delle scritture rade volte si fabricano da
principio; ma dipoi in progresso di tempo, secondo che conducono le
occasione o la necessitá; e però è buono espediente a difendersene,
subito che è fatto lo instrumento o la scrittura, farsi fare copia
autentica per tenerla presso di sé.
120. La piú parte de' mali che si fanno nelle terre di parte,
procedono dal sospetto, perché gli uomini dubitando della fede l'uno
dell'altro sono necessitati a prevenire; però chi le governa debbe
avere el primo intento, ed essere sollecito a levare via le
suspizione.
121. Non fate novitá in sulla speranza di essere seguitati dal
popolo, perché è pericoloso fondamento, non avendo lui animo a
seguitare, e anche spesso avendo fantasia diversa da quello che tu
credi. Vedete lo esemplo di Bruto e Cassio che amazzato Cesare, non
solo non ebbono el séguito del popolo come si erano presupposti, ma
per paura di esso furono forzati a ritirarsi in Capitolio.
122. Guardate quanto gli uomini ingannano loro medesimi: ciascuno
reputa brutti e' peccati che lui non fa, leggieri quegli che fa; e
con questa regola si misura spesso el male ed el bene piú che col
considerare e' gradi e qualitá delle cose.
123. Io credo facilmente che in ogni tempo siano stati tenuti dagli
uomini per miracoli molte cose che non vi si appressavano; ma questo
è certissimo che ogni religione ha avuto e' suoi miracoli; in modo
che della veritá di una fede piú che di un'altra è debole pruova el
miracolo. Mostrano bene forse e' miracoli la potestá di Dio, ma non
piú di quello de' gentili che di quello de' cristiani; e anche non
sarebbe forse peccato dire, che questi, cosí come anche e' vaticini,
sono secreti della natura, alla ragione de' quali non possono gli
intelletti degli uomini aggiugnere.
124. Io ho osservato che in ogni nazione e quasi in ogni cittá sono
divozione che fanno e' medesimi effetti: a Firenze Santa Maria
Impruneta fa piova e bel tempo; in altri luoghi, ho visto Vergene
Marie o Santi fare el medesimo; segno manifesto che la grazia di Dio
soccorre ognuno; e forse che queste cose sono piú causate dalle
opinione degli uomini, che perché in veritá se ne vegga lo effetto.
125. E' filosofi ed e' teologi e tutti gli altri che scrivono le
cose sopra natura o che non si veggono, dicono mille pazzie; perché
in effetto gli uomini sono al bujo delle cose, e questa indagazione
ha servito e serve piú a esercitare gli ingegni che a trovare la
veritá.
126. Sarebbe da desiderare el potere fare o condurre le cose sue a
punto, cioè in modo che fussino sanza uno minimo disordine o
scrupolo; ma è difficile el fare questo, in modo che è errore lo
occuparsi troppo in limbiccarle, perché spesso le occasione fuggono,
mentre che tu perdi tempo a condurre quello a punto; e anche quando
credi averlo trovato e fermo, ti accorgi spesso non essere niente,
perché la natura delle cose del mondo è in modo, che è quasi
impossibile trovarne alcuna che in ogni parte non vi sia qualche
disordine e inconveniente; bisogna risolversi a tôrle come sono e
pigliare per buono quello che ha in sé manco male.
127. Ho veduto nella guerra bene spesso venire nuove per le quali
giudichi avere la impresa in mal luogo; in uno tratto venire altre
che pare ti promettino la vittoria, e cosí per contrario; e questa
variazione accadere spessisime volte; però uno capitano buono non
facilmente si invilisce o esalta.
128. Nelle cose degli stati non bisogna tanto considerare quello che
la ragione mostra che dovessi fare uno principe, quanto quello che
secondo la sua natura o consuetudine si può credere che faccia;
perché e' principi fanno spesso non quello che doverebbono fare, ma
quello che sanno o pare loro di fare; e chi si risolve con altra
regola può pigliare grandissimi granchi.
129. Quello che, se si facessi, sarebbe maleficio o ingiuria, se non
si fa non ha però a essere chiamato né buona opera né beneficio;
perché tra lo offendere ed el beneficare, tra le opere laudabile e
biasimevole è mezzo, come lo astenere dal male, lo astenersi da
offendere. Non dichino adunche gli uomini: io non feci, io non
dissi; perché communemente la vera laude è potere dire: io feci, io
dissi.
130. Guardinsi e' principi sopra tutto da coloro che sono di natura
incontentabili; perché non possono beneficargli ed empiergli tanto
che basti a rendersene sicuri.
131. Grande differenzia è da avere e' sudditi malcontenti a avergli
disperati. El malcontento se bene desidera di nuocerti, non si mette
leggiermente in pericolo, ma aspetta le occasione, le quali talvolta
non vengono mai; el disperato le va cercando e sollecitando, ed
entra precipitosamente in speranza e pratiche di fare novitá; e però
da quello t'hai a guardare di rado, da questo è necessario guardarti
sempre.
132. Io sono stato di natura molto libero e inimico assai degli
stiracchiamenti, però ha avuto facilitá grande chi ha avuto a
convenire meco; nondimeno ho cognosciuto che in tutte le cose è di
somma utilitá el negociare con vantaggio; la somma del quale
consiste in questo, non venire subito agli ultimi partiti, ma
ponendosi da discosto, lasciarsi tirare di passo in passo e con
difficultá; chi fa cosí ha bene spesso piú di quello di che si
sarebbe contentato; chi negocia come ho fatto io, non ha mai se non
quello sanza che non arebbe concluso.
133. È grandissima prudenzia e da molti poca osservata, sapere
dissimulare le male satisfazione che hai di altri, quando el fare
cosí non sia con tuo danno ed infamia; perché accade spesso che in
futuro viene occasione di averti a valere di quello. Il che
difficilmente ti riesce, se lui giá sa che tu sia male satisfatto di
lui. Ed a me è intervenuto molte volte che io ho avuto a ricercare
persone, contro alle quali ero malissimo disposto; e loro credendo
el contrario, o almeno non si persuadendo questo, m'hanno servito
prontissimamente.
134. Gli uomini tutti per natura sono inclinati piú al bene che al
male; né è alcuno el quale, dove altro rispetto non lo tiri in
contrario, non facessi piú volentieri bene che male; ma è tanto
fragile la natura degli uomini, e sí spesse nel mondo le occasione
che invitano al male, che gli uomini si lasciano facilmente deviare
dal bene. E però e' savi legislatori trovorono e' premi e le pene;
che non fu altro che con la speranza e col timore volere tenere
fermi gli uomini nella inclinazione loro naturale.
135. Se alcuno si truova che per natura sia inclinato a fare piú
volentieri male che bene, dite sicuramente che non è uomo, ma bestia
o mostro, poi che manca di quella inclinazione che è naturale a
tutti gli uomini.
136. Accade che qualche volta e' pazzi fanno maggiore cose che e'
savi; procede perché el savio dove non è necessitato si rimette
assai alla ragione e poco alla fortuna; el pazzo assai alla fortuna
e poco alla ragione; e le cose portate dalla fortuna hanno tal volta
fini incredibili. E' savi di Firenze arebbono creduto alla tempesta
presente; e' pazzi avendo contro a ogni ragione voluto opporsi,
hanno fatto insino a ora quello che non si sarebbe creduto che la
cittá nostra potessi in modo alcuno fare; e questo è che dice el
proverbio: Audaces fortuna iuvat.
137. Se el danno che risulta delle cose male governate, si scorgessi
cosa per cosa, chi non sa, o si ingegnerebbe di imparare, o
volontariamente lascerebbe governarsi a chi sapessi piú; ma el male
è che gli uomini, ed e' popoli massime, per la ignoranzia loro, non
intendono la cagione de' disordini, non le attribuiscono a quello
errore che gli ha prodotti; e cosí non ricognoscendo di quanto male
sia causa lo essere governati da chi non sa governare, perseverano
nello errore, o di fare loro quello che non sanno, o di lasciarsi
governare dagli imperiti; donde nasce spesso la ruina ultima della
cittá.
138. Né e' pazzi né e' savi non possono finalmente resistere a
quello che ha a essere; però io non lessi mai cosa che mi paressi
meglio detta che quella che disse colui: Ducunt volentes fata,
nolentes trahunt.
139. È vero che le cittá sono mortale come gli uomini; ma è
differenzia, ché gli uomini per essere di materia corrutibile,
ancora che mai facessino disordini, bisogna manchino; le cittá non
mancano per difetto della materia, la quale sempre si rinnova, ma o
per mala fortuna o per malo reggimento, cioè per e' partiti
imprudenti presi da chi governa. El capitare male per mala fortuna
schiettamente è rarissimo, perché essendo una cittá corpo gagliardo
o di grande resistenzia, bisogna bene che la violenzia sia
estraordinaria ed impetuosissima a atterrarla. Sono adunche gli
errori di chi governa quasi sempre causa delle ruine delle cittá; e
se una cittá si governassi sempre bene, saria possibile che la fussi
perpetua, o almanco arebbe vita piú lunga sanza comparazione di
quello che non ha.
140. Chi disse uno popolo disse veramente uno animale pazzo, pieno
di mille errori, di mille confusione, sanza gusto, sanza diletto,
sanza stabilitá.
141. Non vi maravigliate che non si sappino le cose delle etá
passate, non quelle che si fanno nelle provincie o luoghi lontani;
perché se considerate bene, non s'ha vera notizia delle presenti,
non di quelle che giornalmente si fanno in una medesima cittá; e
spesso tra il palazzo e la piazza è una nebbia sí folta, o uno muro
sí grosso, che non vi penetrando l'occhio degli uomini, tanto sa el
popolo di quello che fa chi governa, o della ragione perché lo fa,
quanto delle cose che fanno in India; e però si empie facilmente el
mondo di opinione erronee e vane.
142. Una delle maggiori fortune che possino avere gli uomini è avere
occasione di potere mostrare che a quelle cose che loro fanno per
interesse proprio, siano stati mossi per causa di pubblico bene.
Questa fece gloriose le imprese del re Catolico, le quali, fatte
sempre per sicurtá o grandezza sua, parvono spesso fatte o per
augumento della fede cristiana, o per difesa della Chiesa.
143. Parmi che tutti gli istorici abbino, non eccettuando alcuno,
errato in questo, che hanno lasciato di scrivere molte cose che a
tempo loro erano note, presupponendole come note; donde nasce che
nelle istorie de' Romani, de' Greci e di tutti gli altri, si
desidera oggi la notizia in molti capi; verbigrazia, delle autoritá
e diversitá de' magistrati, degli ordini del governo, de' modi della
milizia, della grandezza delle cittá e molte cose simili, che a'
tempi di chi scrisse erano notissime, e però pretermesse da loro. Ma
se avessino considerato che con la lunghezza del tempo si spengono
le cittá, e si perdono le memorie delle cose, e che non per altro
sono scritte le istorie che per conservarle in perpetuo, sarebbono
stati piú diligenti a scriverle in modo che cosí avessi tutte le
cose innanzi agli occhi chi nasce in una etá lontana, come coloro
che sono stati presenti, che è proprio el fine della istoria.
144. Dissemi in Spagna Almazano secretario del re Catolico, essendo
venuta nuova che e' viniziani avevano fatto col re di Francia
accordo contro al suo re, che in Castiglia è uno proverbio che in
lingua nostra significa, che el filo si rompe dal capo piú debole:
vuole dire in sustanzia, che le cose al fine si scaricano sopra e'
piú deboli, perché non si misurano né con la ragione, né con la
discrezione; ma cercando ognuno el suo vantaggio, si accordano a
fare patire chi ha manco forze perché gli è avuto minore rispetto; e
però chi ha a negociare con piú potenti di sé, abbia sempre l'occhio
a questo proverbio che a ogn'ora viene in fatto.
145. Abbiate per certo che, benché la vita degli uomini sia breve,
pure a chi sa fare capitale del tempo e non lo consumare vanamente,
avanza tempo assai; perché la natura dell'uomo è capace, e chi è
sollecito e risoluto gli comparisce mirabilmente el fare.
146. Infelicitá grande è essere in grado di non potere avere el
bene, se prima non s'ha el male.
147. Erra chi crede che la vittoria delle imprese consista nello
essere giuste o ingiuste, perché tuttodí si vede el contrario, che
non la ragione, ma la prudenzia, le forze e la buona fortuna danno
vinte le imprese. È ben vero, che in chi ha ragione nasce una certa
confidenza, fondata in sulla opinione che Dio dia vittoria alle
imprese giuste, la quale fa gli uomini arditi e ostinati, dalle
quali due condizione nascono talvolta le vittorie. Cosí l'avere la
causa giusta può per indiretto giovare, ma è falso che lo faccia
direttamente.
148. Chi vuole espedire troppo presto le guerre, le allunga spesso;
perché non avendo a aspettare o le provisione che gli bisogna, o la
debita maturitá della impresa, fa difficile quello che sarebbe stato
facile; in modo che per ogni dí di tempo che ha voluto avanzare
perde spesso piú di uno mese; sanza che questo può essere causa di
maggiore disordine.
149. Nelle guerre chi vuole manco spendere, piú spende; perché
nessuna cosa vuole maggiore e piú inconsiderata effusione di danari;
e quanto le provisione sono piú gagliarde, tanto piú presto si
espediscono le imprese; alle quali cose chi manca per risparmiare
danari allunga le imprese, tanto piú che ne risulta senza
comparazione maggiore spesa. Però nessuna cosa è piú perniziosa che
entrare in guerre con gli assegnamenti di tempo in tempo, se non ha
numerato grosso; perché è el modo non a finire la guerra, ma a
nutrirla.
150. Non basti a farvi fidare o rimettere in uomini ingiuriati da
voi el cognoscere che di quello negocio medesimo risulterebbe,
conducendolo bene, anche utilitá ed onore a loro; perché può in
certi uomini per natura tanto la memoria delle ingiurie, che gli
tira a vendicarsi contro al proprio commodo; o perché stimino piú
quella satisfazione, o perché la passione gli acciechi in modo che
non vi discernino drento quello che sarebbe l'onore e utile suo, e
tenete a mente questo ricordo, perché molti ci errano.
151. Abbiate sempre la mira, come è anche detto sopra de' príncipi,
non tanto a quello che gli uomini con chi avete a negociare
doverrebbono fare per ragione, quanto quello che si può credere che
faccino, considerata bene la natura e costumi loro.
152. Abbiate grandissima circumspezione innanzi entriate in imprese
o faccende nuove, perché doppo el principio bisogna andare per
necessitá; e però interviene spesso che gli uomini si conducono a
camminare per difficultá, che se prima n'avessino immaginato la
ottava parte, se ne sarebbono alienati mille miglia; ma come sono
imbarcati, non è in potestá loro ritirarsi. Accade questo massime
nelle inimicizie, nelle parzialitá, nelle guerre; nelle quali cose e
in tutte l'altre, innanzi si piglino, non è considerazione o
diligenzia sí esatta che sia superflua.
153. Pare che gli imbasciadori spesso piglino la parte di quello
principe apresso al quale sono; il che gli fa sospetti o di
corruttela o di speranza di premi, o almanco che le carezze e
umanitá usategli gli abbino fatti diventare loro partigiani; ma può
anche procedere che avendo al continuo innanzi agli occhi le cose di
quello principe dove sono, e non cosí particularmente le altre, paia
loro da tenerne piú conto che in veritá non è; la quale ragione non
militando nel suo principe che parimente ha noto el tutto, scuopre
con facilitá la fallacia del suo ministro, e attribuisce spesso a
malignitá quello che piú presto è causato da qualche imprudenzia; e
però chi va imbasciadore ci avvertisca bene, perché è cosa che
importa assai.
154. Sono infiniti e' segreti di uno principe, infinite le cose a
che bisogna consideri; però è temeritá essere pronto a fare giudicio
delle azione loro, accadendo spesso che quello tu credi che lui
faccia per uno rispetto sia fatto per un altro; quello che ti pare
fatto a caso o imprudentemente, sia fatto a arte e
prudentissimamente.
155. Dicesi che chi non sa bene tutti e' particulari non può
giudicare bene; e nondimeno io ho visto molte volte, che chi non ha
el giudicio molto buono giudica meglio se ha solo notizia della
generalità, che quando gli sono mostri tutti e' particulari; perché
in sul generale se gli appresenterá spesso la buona risoluzione, ma
come ode tutti e' particulari, si confonde.
156. Io sono stato di natura molto resoluto e fermo nelle azioni
mie, e nondimeno come ho fatto una resoluzione importante, mi accade
spesso una certa quasi penitenzia del partito che ho preso; il che
procede non perché io creda che se io avessi di nuovo a deliberare
io deliberassi altrimenti, ma perché innanzi alla deliberazione
avevo piú presente agli occhi le difficultá dell'una e l'altra
parte; dove preso el partito, né temendo piú quelle che col
deliberare ho fuggite, mi si appresentono solamente quelle con chi
mi resta a combattere, le quali considerate per se stesse paiono
maggiore che non parevano quando erano paragonate con l'altre; donde
seguita che a liberarsi da questo tormento bisogna con diligenzia
rimettersi innanzi agli occhi anche le altre difficultá che avevi
poste da canto.
157. Non è bene vendicarsi nome di essere sospettoso, di essere
sfiducciato: nondimeno l'uomo è tanto fallace, tanto insidioso;
procede con tante arte sí indirette, sí profonde, è tanto cupido
dello interesse suo, tanto poco respettivo a quello di altri, che
non si può errare a credere poco, a fidarsi poco.
158. Veggonsi a ogn'ora e' benefici che ti fa l'avere buono nome,
l'avere buona fama; ma sono pochi a comparazione di quelli che non
si veggono, che vengono da per sé e sanza che tu ne sappia la causa,
condotti da quella buona opinione che è di te: però disse
prudentissimamente colui che piú valeva el buono nome che molte
ricchezze.
159. Non biasimo e' digiuni, le orazione e simili opere pie che ci
sono ordinate dalla Chiesa o ricordate da' frati; ma el bene de'
beni è, ed a comparazione di questo tutti gli altri sono leggieri,
non nuocere a alcuno, giovare in quanto tu puoi a ciascuno.
160. È certo gran cosa che tutti sappiamo avere a morire, tutti
viviamo come se fussimo certi avere sempre a vivere; non credo sia
la ragione di questo perché ci muova piú quello che è innanzi agli
occhi e che apparisce al senso, che le cose piú lontane e che non si
veggono; perché la morte è propinqua, e si può dire che per la
esperienzia quotidiana ci apparisca a ogni ora; credo proceda perché
la natura ha voluto che noi viviamo secondo che ricerca el corso o
vero ordine di questa machina mondana, la quale non volendo resti
come morta e sanza senso, ci ha dato proprietá di non pensare alla
morte, alla quale se pensassimo sarebbe pieno el mondo di ignavia e
di torpore.
161. Quando io considero a quanti accidenti e pericoli di infirmitá,
di caso, di violenzia ed in modi infiniti, è sottoposta la vita
dell'uomo; quante cose bisogna concorrino nello anno a volere che la
ricolta sia buona; non è cosa di che io mi maravigli piú, che vedere
uno uomo vecchio, uno anno fertile.
162. E nelle guerre e in molte cose importante ho veduto spesso
lasciare di fare la provisione per giudicare che le sarebbono tarde;
e nondimanco si è visto poi, che le sarebbono state in tempo, e che
el pretermetterle ha fatto grandissimo danno; e tutto procede, che
communemente el moto delle cose è molto piú lento che non si
disegna, in modo che spesso non è fatto in tre o quattro mesi quello
che tu giudicavi doversi fare in uno; e questo è ricordo importante
e da avvertire.
163. Quanto fu accomodato quello detto degli antichi: Magistratus
virum ostendit! Non è cosa che scuopra piú la qualitá degli uomini
che dare loro faccende e autoritá. Quanti dicono bene, che non sanno
fare! Quanti in sulle panche e sulle piazze paiono uomini eccellenti
che adoperati riescono ombre!
164. La buona fortuna degli uomini è spesso el maggiore inimico che
abbino, perché gli fa diventare spesso cattivi, leggieri, insolenti;
però è maggiore paragone di uno uomo el resistere a questa che alle
avversitá.
165. Da uno canto pare che uno principe, uno padrone debba
cognoscere meglio la natura de' sudditi e servidori suoi che alcuno
altro; perché per necessitá bisogna gli venghino per le mani molte
voglie, disegni e andamenti loro; da altro, è tutto el contrario,
perché con ogni altro negociano piú apertamente, ma con questi usano
ogni diligenzia, ogni arte per palliare la natura e le fantasie
loro.
166. Non pensate che chi assalta altri, verbigrazia chi si accampa a
una terra, possi prevedere tutte le difese che fará lo inimico;
perché per natura allo attore che è perito, occorrono e' rimedi
ordinari che fará el reo; ma el pericolo e la necessitá in che è
quello altro gli fa trovare degli estraordinari quali è impossibile
che pensi chi non è nel termine di quella necessitá.
167. Non credo sia piggiore cosa la mondo che la leggerezza, perché
gli uomini leggieri sono instrumenti atti a pigliare ogni partito
per tristo, pericoloso e pernizioso che sia; però fuggitegli come el
fuoco.
168. Che mi rilieva me, che colui che mi offende lo facci per
ignoranzia e non per malignitá? Anzi, è spesso molto peggio, perché
la malignitá ha e' fini suoi determinati e procede con le sue
regole, e però non sempre offende quanto può; ma la ignoranzia non
avendo né fine, né regola, né misura, procede furiosamente e dá
mazzate da ciechi.
169. Abbiate per una massima, che o in cittá libera o in governo
stretto, o sotto uno principe che voi siete, è impossibile coloriate
tutti e' vostri disegni; però quando qualcuno ve ne manca, non vi
adirate, non cominciate a volere rompere, pure che abbiate tale
parte che dobbiate contentarvi; altrimenti faccendo, sturbate voi
medesimi e qualche volta la cittá, ed alla fine vi trovate avere
quasi sempre peggiorato le vostre condizione.
170. Grande sorte è quella de' principi, che e' carichi che meritano
essere suoi, facilmente scaricano addosso a altri, perché pare che
quasi sempre intervenga che gli errori e le offese che loro fanno,
ancora che naschino da loro propri, siano attribuiti a consiglio o
istigazione di chi è loro apresso. Credo proceda non tanto per
industria che usino in fare nascere questa opinione, quanto perché
gli uomini volentieri voltano lo odio o le detrazione a chi è manco
distante da loro, e contro a chi sperano potersi piú facilmente
valere.
171. Diceva el duca Lodovico Sforza che una medesima regola serve a
fare cognoscere e' principi e le balestre. Se la balestra è buona o
no, si cognosce dalle frecce che tira; cosí el valore de' principi
si cognosce dalla qualitá degli uomini mandano fuora. Dunche si può
arguire che governo fussi quello di Firenze, quando in uno tempo
medesimo adoperò per imbasciadori el Carduccio in Francia, el
Gualterotto a Vinegia, messer Bardo a Siena, e messer Galetto Giugni
a Ferrara.
172. Furono ordinati e' principi non per interesse proprio, ma per
beneficio commune, e gli furono date le entrate e le utilitá, perché
le distribuissi a conservazione del dominio e de' sudditi; e però in
lui è piú detestabile la parsimonia, che in uno privato, perché
accumulando piú che el debito appropria a sé solo quello di che è
stato fatto, a parlare propriamente, non padrone ma esattore e
dispensatore a beneficio di molti.
173. Piú detestabile e piú perniziosa è in uno principe la
prodigalitá che la parsimonia; perché non potendo quella essere
sanza tôrre a molti, è piú ingiurioso a' sudditi el tôrre che el non
dare; e nondimeno pare che a' popoli piaccia piú el principe prodigo
che lo avaro. La ragione è che ancora che pochi siano quegli a chi
dá el prodigo a comparazione di coloro a chi toglie, che di
necessitá sono molti, pure, come è detto altre volte, può tanto piú
negli uomini la speranza che el timore, che facilmente si spera
essere piú presto di quegli pochi a chi è dato, che di quegli molti
a chi è tolto.
174. Fate ogni cosa per intrattenervi bene co' principi e con gli
stati che reggono; perché ancora che siate innocenti, abbiate
condizioni quiete ed ordinate, e siate disposti di non vi
travagliare, nondimeno a ogn'ora vengono cose per le quali di
necessitá vi bisogna capitare alle mani di chi governa; sanza che,
la opinione di non essere accetti vi offende in infiniti modi.
175. Uno governatore di popoli, cioè magistrato, debbe guardarsi
quanto può di non mostrare odio con alcuno, né di pigliare vendetta
di dispiacere che gli sia fatto, perché gli dá troppo carico
adoperare el braccio pubblico contro alle ingiurie private; abbia
pure pazienzia ed aspetti tempo, perché è impossibile che spesso non
gli venga occasione di potere fare lo effetto medesimo
giustificatamente e sanza nota di rancore.
176. Pregate Dio sempre di trovarvi dove si vince, perché vi è data
laude di quelle cose ancora di che non avete parte alcuna; come per
el contrario chi si truova dove si perde, è imputato di infinite
cose delle quali è inculpabilissimo.
177. Quasi sempre in Firenze, per la dapocaggine degli uomini,
quando uno ha fatto con violenzia uno scandolo publico, non si è
fatto pruova di punirlo, ma cercato a gara di deliberargli la
impunitá, pure che deponga l'arme, e non ne faccia piú; modi non da
reprimere gli insolenti, ma da fare diventare lioni gli agnelli.
178. Allora sono ottime le industrie e le arte de' guadagni, quando
per lo universale non sono ancora cognosciute buone; ma come vengano
in questa opinione, declinano; perché voltandovisi molti, el
concorso fa che non sono piú sí buone; però el levarsi a buon'ora è
vantaggio grande in tutte le cose.
179. Io mi feci beffe da giovane del sapere sonare, ballare, cantare
e simili leggiadrie: dello scrivere ancora bene, del sapere
cavalcare, del sapere vestire accomodato, e di tutte quelle cose che
pare che diano agli uomini piú presto ornamento che sustanzia; ma
arei poi desiderato el contrario, perché se bene è inconveniente
perdervi troppo tempo e però forse nutrirvi e' giovani, perché non
vi si deviino, nondimeno ho visto per esperienza che questi
ornamenti ed el sapere fare bene ogni cosa danno degnitá e
riputazione agli uomini etiam bene qualificati, ed in modo che si
può dire che a chi ne manca, manchi qualche cosa; sanza che lo
abondare di tutti gli intrattenimenti apre la via a' favori de'
príncipi, e in chi ne abonda è talvolta principio o cagione di
grande profitto e esaltazione, non essendo piú el mondo ed e'
príncipi fatti come doverebbono, ma come sono.
180. Le guerre non hanno el maggiore inimico che el parere a chi le
comincia che le siano vinte; perché ancora che le si mostrino
facillime e sicurissime, sono sottoposte a mille accidenti, e' quali
si disordinano piú se a chi le apartengono non si trova preparato
con l'animo e con le forze, come sarebbe se da principio vi si fussi
ordinato drento come se le fussino difficile.
181. Sono stato undici anni continui ne' governi della Chiesa e con
tanto favore apresso a' superiori ed e' popoli, che ero per durarvi
lungamente se non fussino venuti e' casi che nel '27 vennono in Roma
e in Firenze; né trovai cosa alcuna che mi vi conficcassi drento piú
che el procedere come se non mi curassi di starvi; perché con questo
fondamento facevo sanza rispetto e summissione quello che si
conveniva al carico che io tenevo; il che mi dava tanta riputazione,
che questa sola mi favoriva piú e con piú degnitá che ogni
intrattenimento, amicizia e industria che io avessi usata.
182. Io ho visto quasi sempre gli uomini bene savi, quando hanno a
risolvere qualche cosa importante procedere con distinzione,
considerando dua o tre casi che verisimilmente possono accadere, ed
in su quegli fondare la deliberazione loro come se fussi necessario
venire uno di quegli casi. Avvertite che è cosa pericolosa, perché
spesso o forse el piú delle volte viene uno terzo o quarto caso non
considerato, ed al quale non è accomodata la deliberazione che tu
hai fatta; però risolvetevi piú al sicuro che potete, considerando
che ancora possi facilmente essere quello che si crede non abbia a
essere, né vi ristrignendo mai se non per necessitá.
183. Non è savio uno capitano che faccia giornate se non lo muove o
la necessitá o el cognoscere d'avere vantaggio molto grande; perché
è cosa troppo sottoposta alla fortuna, e troppo importante el
perderle.
184. Io non voglio escludere gli uomini da' ragionamenti communi, né
da conversare insieme con grata e amorevole dimestichezza; ma dico
bene che è prudenzia non parlare se non per necessitá delle cose
proprie; e quando se ne parla, non ne dare conto se non quanto è
necessario al ragionamento o intento che allora si ha; riservando
sempre in sé medesimo tutto quello che si può fare, sanza dire; piú
grato è fare altrimenti, piú utile el fare cosí.
185. Sempre gli uomini lodano in altri lo spendere largamente, el
procedere nelle azioni sue co' modi generosi e magnifichi, e
nondimeno i piú osservano in sé medesimi el contrario; però misurate
le cose vostre con la possibilitá, con la utilitá che sia onesta e
ragionevole; ma non vi lasciate levare a cavallo a fare altrimenti
dalle opinione e parole del vulgo, dal darvi a credere di acquistare
laude e riputazione apresso a chi poi allo stretto non lauda in
altri quello che non osserva in sé.
186. Non si può in effetto procedere sempre con una regola
indistinta e ferma. Se è molte volte inutile lo allargarsi nel
parlare, etiam cogli amici, dico di cose che meritino essere tenute
segrete, da altro canto el fare che gli amici si accorghino che tu
stai riservato con loro è la via a fare che anche loro faccino el
medesimo teco; perché nessuna cosa fa altrui confidarsi di te, che
el presupporsi che tu ti confidi di lui, e cosí, non dicendo a
altri, ti togli la facultá di sapere da altri. Però ed in questo ed
in molte altre cose bisogna procedere distinguendo la qualitá delle
persone, de' casi e de' tempi, ed a questo è necessaria la
discrezione, la quale se la natura non t'ha data, rade volte si
impara tanto che basti con la esperienzia; co' libri non mai.
187. Sappiate che chi governa a caso si ritruova alla fine a caso;
la diritta è pensare, esaminare, considerare bene ogni cosa etiam
minima; e vivendo ancora cosí, si conducono con fatica bene le cose;
pensate come vanno a chi si lascia portare dal corso della acqua.
188. Quanto piú ti discosti dal mezzo per fuggire uno degli estremi,
tanto piú cadi in quello estremo di che tu temi, o in uno altro che
ha el male pari a quello; e quanto piú vuoi cavare frutto di quella
cosa che tu godi, tanto piú presto finisce el goderla e trarne
frutto; verbigrazia uno che popolo che goda la libertá, quanto piú
la vuole usare tanto manco la gode, e tanto piú cade o nella
tirannide, o in uno vivere che non è migliore che la tirannide.
189. Tutte le cittá, tutti gli stati, tutti e' regni sono mortali;
ogni cosa o per natura o per accidente termina e finisce qualche
volta; però uno cittadino che si truova al fine della sua patria,
non può tanto dolersi della disgrazia di quella e chiamarla mal
fortunata, quanto della sua propria; perché alla patria è accaduto
quello che a ogni modo aveva a accadere, ma disgrazia è stata di
colui abattersi a nascere a quella etá che aveva a essere tale
infortunio.
190. Suolsi dire per ricordo, in conforto degli uomini che non sono
nello stato desiderano: guardatevi drieto e non innanzi, cioè
guardate quanti piú sono quegli che stanno peggio di voi, che quelli
che stanno meglio. È detto verissimo, e che doverebbe valere a fare
che gli uomini si contentassino del grado loro, ma è difficile a
farlo, perché la natura ci ha posto el viso in modo che non possiamo
senza sforzarci guardarci se non innanzi.
191. Non si può biasimare gli uomini che siano lunghi nel
risolversi, perché se bene accaggiono delle cose nelle quali è
necessario deliberare presto, pure per lo ordinario erra piú chi
delibera presto che chi delibera tardi; ma da riprendere è
sommamente la tarditá dello esequire, poi che si è fatta la
resoluzione, la quale si può dire che nuoca sempre e non giovi mai
se non per accidente; e ve lo dico perché ve ne guardiate, atteso
che in questo molti errano, o per ignavia, o per fuggire molestia, o
per altra cagione.
192. Pigliate nelle faccende questa massima: che non basti dare loro
el principio, lo indirizzo, el moto, ma bisogna seguitarle e non le
staccare mai insino al fine, e chi le accompagna cosí non fa anche
poco a conducerle a perfezione. Ma chi negozia altrimenti le
presuppone talvolta finite, che a pena sono cominciate o
difficultate; tanta è la negligenzia, la dapocaggine, la tristizia
degli uomini, tanti gli impedimenti e le difficultá che di sua
natura hanno le cose. Usate questo ricordo: m'ha fatto talvolta
grande onore, come fa vergogna grande a chi usa el contrario.
193. Avvertisca sopra tutto chi tiene pratiche contro agli stati a
non le tenere con lettere, perché spesso sono intercette e fanno
testimonio che non si può negare; e benché ci siano oggi molti modi
cauti di scrivere, sono anche molto in luce le arte del ritrovargli.
Piú sicuro assai è a adoperare uomini propri che lettere, e però è
troppo difficile e pericoloso agli uomini privati entrare in queste
pratiche, perché non hanno copia d'uomini a chi commettere, e di
quelli pochi non si possono molto fidare, perché è troppo guadagno e
poca perdita ingannare privati per fare piacere a' príncipi.
194. Se bene bisogna procedere alle cose pesatamente, non si vuole
però proporsi nelle faccende tanta difficultá che l'uomo, pensando
non possino riuscire, si fermi; anzi, bisogna ricordarsi che nel
maneggiare si scuopre piú facilitá, e che faccendo, le difficultá
per sé medesime si sgruppano. E questo è verissimo, e chi negocia lo
vede tuttodí in fatto; e se papa Clemente se ne ricordassi,
conducerebbe spesso le cose sue e piú in tempo con piú riputazione.
195. Chi è apresso a' principi e desidera ottenere grazie o favori
per sé o per amici, ingegnisi quanto può di non avere a dimandare
spesso direttamente, ma cerchi o aspetti occasione di proporle e
introdurle con qualche destrezza, le quali quando vengono bisogna
pigliarle subito e non le lasciare passare. Chi fa cosí, conduce le
cose con molto maggiore facilitá, e con molto minore fastidio del
principe; e ottenuta che n'ha una, resta piú fresco e piú libero
potere ottenerne un'altra.
196. Come gli uomini si accorgono che tu se' in grado che la
necessitá ti conduca a quello vogliono, fanno poca stima di te, e ne
fanno buono mercato; perché in loro communemente può piú el rispetto
del suo interesse o la sua mala natura, che non può la ragione, e'
meriti tuoi, o le obligazione che avessino teco, o el considerare
che tu sia forse caduto per causa loro o per satisfare a loro, in
queste male condizione; però guardatevi dal venire in questo essere
quanto dal fuoco. E se gli uomini avessino bene nel cuore questo
ricordo, molti sono fuorusciti che non sarebbono; perché non giova
loro tanto che siano cacciati da casa per inclinazione a questo o
quello principe, quanto nuoce che poi che el principe gli vede fuora
dice: costoro non possono piú fare sanza me; e però con poca
discrezione gli tratta a suo modo.
197. Chi ha a conducere co' popoli cose che abbino difficultá grande
o contradizione, avvertisca, se el caso lo comporte, a separarle, e
non parlare della seconda insino non sia condotta la prima; perché
cosí faccendo, può accadere che quelli si opponghino all'una, non
contradichino all'altra; dove se fussino tutte insieme, bisognerebbe
che a tutte contradicessi ciascuno a chi dispiacessi qualunque di
quelle. E se cosí avessi saputo fare Piero Soderini quando volle
riordinare la legge della quarantia, l'arebbe ottenuta e stabilito
forse con essa el governo populare; e questo ricordo di fare
inghiottire le vivande amare, quando si può, in piú di uno boccone,
serve spesso non manco alle cose private che alle publiche.
198. Crediate che in tutte le faccende e publiche e private la
importanza dello espedirle consiste in sapere pigliare el verso; e
però in una medesima cosa, el maneggiarla in uno modo a maneggiarla
in uno altro, importa el conducerla a non la conducere.
199. Sempre, quando con altri volete simulare o dissimulare una
vostra inclinazione, affaticatevi a mostrargli con piú potente e
efficace ragione che voi potete, che voi avete in animo el
contrario, perché quando agli uomini pare che voi cognosciate che la
ragione voglia cosí, facilmente si persuadono che le resoluzione
vostre siano secondo quello che detta la ragione.
200. Uno de' modi a fare fautore di qualche vostro disegno qualcuno
che ne sarebbe stato alieno, è farne capo a lui, e farnelo, come
dire, autore o principale. Guadagnansi con questa via massime gli
uomini leggieri, perché in molti questa vanitá solo può tanto, che
gli conduce a tenerne piú conto che de' rispetti sustanziali che si
doverrebbono avere nelle cose.
201. Parrá forse parola maligna o sospettosa, ma Dio volessi non
fussi vera: sono piú e' cattivi uomini che e' buoni, massime dove va
interesse di roba o di stato; però da quelli in fuora, e' quali per
esperienzia o relazione degnissime di fede cognoscete buoni, non si
può errare a negociare con tutti cogli occhi bene aperti; è bene
destrezza farlo in modo che non vi vendichiate nome di sfiduciati,
ma sustanziale è non vi fidate, se non vedete poterlo fare.
202. Chi si vendica in modo che lo offeso non si accorga che el male
proceda da lui, non si può dire lo faccia se non per satisfare allo
odio o al rancore; piú generoso è farla scopertamente, ed in modo
che ognuno sappia donde nasca; e si può interpretare lo faccia non
tanto per odio e desiderio di vendetta, quanto per onore, cioè per
essere cognosciuto per uomo di natura da non sopportare le ingiurie.
203. Avvertino e' principi a non conducere e sudditi in grado
prossimo alla libertá; perché gli uomini naturalmente desiderano
essere liberi, e lo ordinario di ciascuno è non stare contenti al
grado suo, ma cercare sempre di avanzare di quello in che si
truovano; e questi appetiti possono piú che la memoria della buona
compagnia che gli fa el principe, e de' benefici ricevuti da lui.
204. Non è possibile fare tanto che e' ministri non rubino: io sono
stato nettissimo, ed ho avuto governatori e altri ministri sotto di
me, e con tutta la diligenzia che io abbia usata, e lo esemplo che
ho dato loro, non ho potuto provedere tanto che basti. Ènne cagione
che el danaio serve a ogni cosa, e che al vivere d'oggi è stimato
piú uno ricco che uno buono; e lo causa tanto piú la ignoranzia o
ingratitudine de' principi che sopportano e' tristi, ed a chi ha
servito bene non fanno migliore trattamento che a chi ha fatto el
contrario.
205. Io sono stato dua volte con grandissima autoritá negli eserciti
in su imprese importantissime, ed in effetto n'ho cavato questo
construtto, che se sono vere, come in gran parte io credo, le cose
che si scrivono della milizia antica, questa a comparazione di
quella è una ombra. Non hanno e' capitani moderni virtú, non hanno
industria; procedesi sanza arte, sanza stratagemmi, come camminare a
lento passo per una strada maestra; in modo che non fuora di
proposito io dissi al signor Prospero Colonna capitano della prima
impresa, che mi diceva che io non ero stato piú in guerra alcuna;
che mi doleva anche in questa non avere imparato niente.
206. Non voglio disputare quale fussi piú utile a' corpi nostri, o
governarsi co' medici o non ne avere, come lungamente feciono e'
romani; ma dico bene, che o sia per la difficultá della cosa in sé,
o per la negligenzia de' medici, e' quali bisognerebbe fussino
diligentissimi e osservassino bene ogni minimo accidente dello
infermo, che e' medici de' tempi nostri non sanno medicare altro che
e' mali ordinari, ed el piú che si distenda la scienzia loro è
insino a curare due terzane, ma come la infermitá ha niente di
estraordinario, mendicano al buio e a caso; sanza che, el medico per
la sua ambizione e per le emulazione che sono tra loro, è uno
animale pessimo, sanza conscienzia e sanza rispetto, ed avendo la
sicurtá che gli errori loro si possino male reprovare, pure che
esalti sé o deprima el compagno, fa ogni dí notomia de' corpi
nostri.
207. Della astrologia, cioè di quella che giudica le cose future, è
pazzia parlare; o la scienza non è vera, o tutte le cose necessarie
a quella non si possono sapere, o la capacitá degli uomini non vi
arriva; ma la conclusione è, che pensare di sapere el futuro per
quella via è uno sogno. Non sanno gli astrologi quello dicono, non
si appongono se non a caso; in modo che se tu pigli uno pronostico
di qualunque astrologo, e di uno di un altro uomo fatto a ventura,
non si verificherá manco di questo che di quello.
208. La scienzia delle legge è ridotta oggi in luogo, che se nella
decisione di una causa è da uno canto qualche viva ragione,
dall'altro la autoritá di uno dottore che abbia scritto, piú si
attende nel giudicare la autoritá; però e' dottori che praticano
sono necessitati volere vedere ognuno che scrive; e cosí quello
tempo che s'arebbe a mettere in speculare, si consuma in leggere
libri con stracchezza di animo e di corpo, in modo che l'ha quasi
piú similitudine a una fatica di facchini che di dotti.
209. Io credo siano manco male le sentenzie de' turchi, le quali si
espediscono presto e quasi a caso, che el modo de' giudíci che si
usano communemente tra' cristiani; perché la lunghezza di questi
importa tanto e per le spese e per e' disturbi che si danno a'
litiganti, che non nuoce forse manco che facessi la sentenzia che
s'avessi contro el primo dí; sanza che, se noi presuppogniamo le
sentenzie de' turchi darsi al buio, ne séguita che, ragguagliato, la
metá ne sia giusta; sanza che, non forse minore parte ne sono
ingiuste di quella date tra noi, o per la ignoranzia o per la
malizia de' giudici.
210. Poco e buono, dice el proverbio; è impossibile che chi dice o
scrive molte cose non vi metta di molta borra, ma le poche possono
essere tutte bene digeste e stringate; però sarebbe forse stato
meglio scerre di questi ricordi uno fiore che accumulare tanta
materia.
211. Io credo potere affermare che gli spiriti siano; dico quella
cosa che noi chiamiamo spiriti, cioè di quelli aerei che
dimesticamente parlano con le persone, perché n'ho visto esperienzia
tale che mi pare esserne certissimo; ma quello che siano e quali,
credo lo sappia sí poco chi si persuade saperlo, quanto chi non vi
ha punto di pensiero. Questo, ed el predire el futuro, come si vede
fare talvolta a qualcuno o per arte o per furore, sono potenzie
occulte della natura, overo di quella virtú superiore che muove
tutto; palesi a lui, segreti a noi, e talmente, che e' cervelli
degli uomini non vi aggiungono.
212. Delle tre spezie di governi, di uno, di pochi o di molti, credo
che in Firenze quello degli ottimati sarebbe el peggiore di tutti,
perché non vi è naturale, né vi può essere accetto, come non è anche
la tirannide; e per la ambizione e discordie loro farebbono tutti
quelli mali che fa la tirannide, e forse piú dividerebbono presto la
cittá, e de' beni che fa el tiranno non ne farebbono nessuno.
213. In tutte le resoluzione e esecuzione che l'uomo fa, s'ha
ostaculo di ragione in contrario; perché nessuna cosa è sí ordinata
che non abbia in compagnia qualche disordine, nessuna cosa sí trista
che non abbia del buono, nessuna cosa sí buona che non abbia del
tristo; donde nasce che molti stanno sospesi perché ogni piccola
difficultá dispiace loro; e questi sono quelli che di natura si
chiamano rispettivi, perché a ogni cosa hanno rispetto. Non bisogna
fare cosí, ma pesati gli inconvenienti di ciascuna parte, resolversi
a quelli che pesano manco; ricordandosi non poter pigliare partito
che sia netto e perfetto da ogni parte.
214. Ognuno ha de' difetti, chi piú e chi manco, però non può durare
né amicizia, né servitú, né compagnia, se l'uno non comporta
l'altro. Bisogna cognoscere l'uno l'altro e, ricordandosi che col
mutare non si fuggono tutti e' difetti, ma si riscontra o ne'
medesimi o forse in maggiori, disporsi a comportare, pure che tu ti
abbatta a cose che si possino tollerare, o non siano di molta
importanza.
215. Quante cose fatte sono biasimate, che, se si potessi vedere
quello che sarebbe se non fussino fatte, si loderebbono! quante pel
contrario sono lodate che si biasimerebbono! Però non correte a
riprendere o commendare secondo la superficie delle cose; e quello
che vi apparisce innanzi agli occhi, bisogna considerare piú a
drento, se volete che el giudicio vostro sia vero e pesato.
216. Non si può in questo mondo eleggere el grado in che l'uomo ha a
nascere, non le faccende e la sorte con che l'uomo ha a vivere; però
a laudare o riprendere gli uomini s'ha a guardare non la fortuna in
che sono, ma come vi si maneggiano drento, perché la laude o biasimo
degli uomini ha a nascere da' comportamenti loro, non dallo stato in
che si truovano; come in una commedia o tragedia non è piú in prezzo
chi porta la persona del padrone e del re, che chi porta quella di
uno servo, ma solamente si attende chi la porta meglio.
217. Non vi guardate tanto di farvi inimici o di fare dispiacere a
altri, che per questo lasciate di fare quello che vi si appartiene;
perché el fare l'uomo el debito suo gli dá riputazione, e questa
giova piú, che non nuoce el farsi qualche inimico. Bisogna o essere
morto in questo mondo, o fare talvolta cose che offendono altri; ma
la medesima virtú che è di sapere collocare bene e' piaceri, si
truova in sapere cognoscere quando s'hanno a fare e' dispiaceri;
cioè fargli con ragione, con tempo, con modestia e per cagione e con
modi onorevoli.
218. Quegli uomini conducono bene le cose loro in questo mondo, che
hanno sempre innanzi agli occhi lo interesse proprio, e tutte le
azione sue misurano con questo fine, ma la fallacia è in quegli che
non cognoscono bene quale sia lo interesse suo, cioè che reputano
che sempre consista in qualche commodo pecuniario piú che
nell'onore, nel sapere mantenersi la riputazione ed el buono nome.
219. È ingenuitá, chi è stato autore di una deliberazione, o
affermata una opinione, se innanzi ne vegga l'esito muta per qualche
segno sentenzia, confessarlo liberamente; pure quando non è in sua
potestá, o non appartiene a lui el correggerla, si conserva piú la
riputazione a fare el contrario; perché ridicendosi non può piú se
non perdere di riputazione, perché sempre succederá el contrario di
quello che ha detto o nel principio o innanzi al fine; dove stando
in sulla opinione prima, riuscirá pure veridico in caso che quella
succedessi, la quale può ancora succedere.
[220]. Credo sia uficio di buoni cittadini, quando la patria viene
in mano di tiranni, cercare d'avere luogo con loro per potere
persuadere el bene e detestare el male; e certo è interesse della
cittá che in qualunque tempo gli uomini da bene abbino autoritá; ed
ancora che gli ignoranti e passionati di Firenze l'abbino sempre
inteso altrimenti, si accorgerebbono quanto pestifero sarebbe el
governo de' Medici, se non avessi intorno altri che pazzi e cattivi.
[221]. Quando piú inimici, che insieme ti solevano essere uniti
contro, sono venuti tra loro alle mani, lo assaltarne uno in sulla
occasione di potergli opprimere separatamente è spesso causa che di
nuovo si riunischino insieme; però bisogna bene considerare la
qualitá dello odio che è nato tra loro, e le altre condizione e
circumstanzie per poterti bene risolvere quale sia meglio, o
assaltarne uno, o pure stando a vedere, lasciargli combattere tra
loro.
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1 Precede di mano dell'autore: Scritti innanzi al 1525 ma in altri
quaderni che in questo, ma ridotti qui nel principio dell'anno 1528,
nel grandissimo ozio che avevo, insieme con la parte di quelli che
sono indietro (corr. su innanzi) in questo quaderno.