da 
    
    Dominique Grisoni, Robert Maggiori
    Guida a Gramsci
    BUR, Milano 1975
    
     UOMO
    
    Con Gramsci, si potrebbe dire che finora «tutte le filosofie
    esistite... riproducono questa posizione del cattolicesimo
    cioè concepiscono l'uomo come individuo limitato alla sua
    individualità e lo spirito come tale individualità.
    È su questo punto che occorre riformare il concetto
    dell'uomo» (MS, EI p. 28, ER pp. 32-33). Gramsci rifiuta
    dunque la concezione di uomo come individuo singolare puro e,
    seguendo l'insegnamento di Marx, rifiuta anche l'uomo in generale,
    concepito metafisicamente come essenza universale. Abbiamo a che
    fare con individui: dovremo sperare di individuare un
    «uomo» dietro l'individuo? Gramsci risolve la
    difficoltà rilevando che: «l'umanità che si
    riflette in ogni individualità è composta di diversi
    elementi: 1. l'individuo; 2. gli altri uomini; 3. la natura»
    (MS, EI p. 28, ER pp. 32-33, sottolineatura degli autori).
    
    Il legame dell'uomo con gli altri uomini e con il mondo crea un
    problema in costante evoluzione, un «uomo problematico»,
    in continua trasformazione, che rifiuta qualsiasi posizione
    monadica, estraneo a qualsiasi essenza primordiale che non è
    mai spiritualmente, biologicamente o psicologicamente determinato
    sub specie aeternitatis. Gramsci afferma anche che «l'uomo
    è un processo e precisamente è il processo dei suoi
    atti» (MS, EI p. 27, ER p. 31): «atti» indicano
    qui evidentemente la natura del legame che avvince l'uomo agli altri
    e al mondo, un legame che è il luogo stesso della prassi.
    Come intende Gramsci questo rapporto?
    
    1. Uomo-Uomini: gli uomini che vivono in una stessa struttura
    sociale sono inseriti nello stesso processo di produzione, legati da
    determinati rapporti di produzione (che fissano le classi e la
    struttura obbiettiva della società civile da esse sottesa).
    Ma questo insieme strutturato non costituisce una societas hominum
    sovrapposta meccanicamente alla societas rerum obbiettiva. Secondo
    Gramsci, bisogna insistere sulla mobilità e sul carattere
    attivo che questi rapporti rivestono, affermando chiaramente che
    «sede di questa attività è la coscienza
    dell'uomo singolo che conosce, vuole, ammira, crea in quanto non
    già conosce, vuole, ammira, crea ecc. e si concepisce non
    isolato ma ricco di possibilità offertegli dagli altri uomini
    e dalla società delle cose di cui non può non avere
    una certa conoscenza (come ogni uomo è filosofo, ogni uomo
    è scienziato ecc.)» (MS, EI pp. 29-30, ER p. 34).
    
    In altri termini, questi rapporti socio-economici che gli uomini
    intrecciano a livello del processo di produzione non determinano una
    giustapposizione o una coesistenza pacifica di individualità:
    creano un «organismo», un uomo collettivo capace di far
    sentire la forza della propria volontà collettiva sulla
    realtà, per trasformarla. L'uomo-individuo conquista la sua
    soggettività e anche la sua umanità nella misura in
    cui si approfondisce la sua coscienza riflessa di tali rapporti e
    della «potenziale» libertà che ne potrebbe
    derivare, concepita come presa di coscienza della necessità
    (strutturale) e come passaggio dal momento oggettivo a quello
    soggettivo.
    
    2. Uomo-Natura: questa seconda connessione è indissociabile
    dalla prima e si confonde sempre con la terza: uomo-uomini-natura.
    L'uomo si collega «organicamente» agli altri uomini e
    può anche, come abbiamo detto, realizzare, attuare la
    trasformazione della natura oggettiva, con la mediazione del lavoro
    e della tecnica (intesa da Gramsci non solo nella comune accezione
    di «insieme di nozioni scientifiche applicate
    all'industria», ma anche come «strumenti "mentali",
    conoscenza filosofica»). I rapporti fra uomo e natura si
    situano a tutti i livelli dell'«umanizzazione della
    natura», i livelli in cui l'uomo organizza l'attività
    economica secondo i suoi bisogni attraverso una continua
    modificazione-appropriazione dell'ambiente naturale attraverso il
    processo pratico e conoscitivo del lavoro in senso generale. Questo
    rapporto permette il passaggio dall'obbiettivo al soggettivo e dalla
    necessità alla libertà, dalla struttura alla
    sovrastruttura: «la struttura, da forza esteriore che
    schiaccia l'uomo, lo assimila a sé, lo rende passivo, si
    trasforma in mezzo di libertà, in strumento per creare una
    nuova forma etico-politica, in origine di nuove iniziative»
    (MS, EI p. 40, ER p. 47; cfr. catarsi). I rapporti fra uomo, uomini
    e mondo, concretizzati sotto forma di prassi, costituiscono la
    «natura umana» (cioè, secondo Gramsci, il
    complesso dei rapporti sociali) nella quale l'uomo-individuo non si
    perde ma si realizza: «se l'individualità è
    l'insieme di questi rapporti, farsi una personalità significa
    acquistare coscienza di tali rapporti, modificare la propria
    personalità significa modificare l'insieme di questi
    rapporti» (MS, EI p. 29, ER p. 33). Avere coscienza di questo
    tessuto di relazioni (cioè «conoscere più o meno
    il modo con cui si possono modificare» [ivi]) non consiste
    nello scattarne la fotografia istantanea, ma ciò che importa
    è «conoscerli geneticamente, nel loro modo di
    formazione, poiché ogni individuo non solo è la
    sintesi dei rapporti esistenti, ma anche della storia di questi
    rapporti, cioè è il riassunto di tutto il
    passato» (ivi, sottolineatura degli autori).
    
    La nozione gramsciana dell'uomo tende dunque a distruggerne ogni
    immagine individualistica, per configurare quella di una coscienza
    personale che è coscienza dei rapporti con l'altro e con il
    mondo: si diventa una persona in senso pieno imponendo una direzione
    razionale al proprio impulso individuale (arbitrario per essenza) e
    contribuendo alla realizzazione di una volontà pluralistica,
    «collettiva», in grado di «fare» il mondo.
    L'uomo gramsciano è un momento del divenire storico: è
    il protagonista della storia e, nello stesso tempo, la storia lo
    costruisce, come elemento costitutivo. Gli uomini fanno la storia,
    ma facendola, costituiscono se stessi, divengono «fabbri di se
    stessi» (MS, EI p. 27, ER p. 31).
    
    L'uomo è l'insieme e la storia dei suoi rapporti sociali: non
    dei rapporti meccanici ma di quelli «attivi e coscienti»
    che «corrispondono a un grado maggiore o minore di
    intelligenza che di essi ha il singolo uomo» (MS, EI p. 28, ER
    p. 32). L'uomo stesso è questo insieme realizzato e reso
    attivo, e la coscienza di questi rapporti: è l'unione
    dialettica della teoria e della pratica; è il soggetto
    politico, sintesi attiva dell'«individuo» e del
    «genere umano»: «l'uomo è da concepire come
    un blocco storico di elementi puramente individuali e soggettivi e
    di elementi di massa e oggettivi o materiali coi quali l'individuo
    è in rapporto attivo». Trasformare il mondo esterno, i
    rapporti generali, significa potenziare se stessi, sviluppare se
    stessi. Che il «miglioramento etico» possa essere
    puramente individuale è un'illusione e un errore: la sintesi
    degli elementi costitutivi dell'individualità è
    «individuale» ma essa non si realizza e sviluppa senza
    un'attività verso l'esterno, modificatrice dei rapporti
    e-sterni, da quelli verso la natura a quelli verso gli altri uomini
    in vari gradi, nelle diverse cerchie sociali in cui si vive, fino al
    rapporto massimo, che abbraccia tutto il genere umano. Perciò
    si può dire che l'uomo è essenzialmente
    «politico», poiché l'attività per
    trasformare e dirigere coscientemente gli altri uomini realizza la
    sua «umanità», la sua «natura umana»
    (MS, EI p. 35, ER p. 41).