da

Dominique Grisoni, Robert Maggiori
Guida a Gramsci
BUR, Milano 1975

SPONTANEITÀ - SPONTANEISMO

In generale, la «spontaneità» nel pensiero di Gramsci è ciò che non deriva da un'attività educativa sistematica, ma che si è «formata attraverso l'esperienza quotidiana illuminata dal "senso comune" ... che si chiama "istinto", e non è anch'esso che un'acquisizione storica primitiva ed elementare» (PP, EI p. 57, ER p. 87). Nel Che fare Lenin afferma che la spontaneità delle masse può essere pericolosa se non permette loro di conquistare la coscienza di classe, confermando invece il loro «asservimento ideologico alla borghesia».

Gramsci riprende questa posizione e la sviluppa secondo due punti di vista: distingue prima di tutto quella che potremmo chiamare una «spontaneità naturale», cioè un moto di ribellione che risponde a un avvenimento immediato, la cui portata generale è limitata, e che quindi non mette in causa le strutture economico-sociali dello Stato; e una «spontaneità artificiale» che è, per Gramsci, lo schema ideologico di una concezione errata del divenire storico, secondo la quale la storia è costituita dal concatenarsi dei movimenti spontanei delle masse. La seconda accezione del termine aderisce più strettamente alla valutazione di Lenin, in quanto Gramsci ritiene che un'azione spontanea di massa deve necessariamente collegarsi con il «senso comune» o con la «mentalità popolare» che rappresenta l'estrema semplificazione della concezione del mondo borghese. In questo senso, secondo Gramsci, lo spontaneismo non può generare una trasformazione totale del mondo perché non ne possiede i mezzi ideologici e materiali e nemmeno costituire le premesse di una futura organizzazione che possa conseguire tale finalità, perché la spontaneità non produce «elementi coscienti» suscettibili di raggiungere la «coscienza di classe» «per sé» (PP, EI p. 55, ER p. 84). Analogamente, Gramsci ritiene che le insufficienze dello spontaneismo possono trasformarsi in elementi positivi obbiettivamente favorevoli alla «destra della classe dominante» perché indeboliscono il governo e rendono possibili «complotti... per tentare colpi di Stato» (PP, EI p. 58, ER p. 87).

Ma la spontaneità, che è la caratteristica principale delle classi subalterne, non deve essere rifiutata; al contrario, la «teoria moderna, il marxismo, deve educarla, dirigerla, purificarla da tutto ciò che di estraneo (può) inquinarla per renderla omogenea, ma in modo vivente, storicamente efficiente» (PP, EI p. 57, ER p. 86). Perciò, «l'azione politica reale delle classi subalterne, in quanto politica di massa e non semplice avventura di gruppi che si richiamano alla massa» (PP, EI p. 57, ER p. 86) deve sorgere dalla stretta e intima unione della «spontaneità» con la «direzione cosciente», cioè con la disciplina.

Per Gramsci, dunque, contro le dottrine volontaristiche e soreliane, lo spontaneismo deve essere utilizzato dialetticamente (dialettizzato), in una logica i cui termini sono spontaneità e disciplina, da una direzione cosciente che lo innalzi a un «piano superiore inserendolo nella politica» (PP, EI p. 58, ER p. 86).