da

Dominique Grisoni, Robert Maggiori
Guida a Gramsci
BUR, Milano 1975

 SCIENZA

Gramsci ha dedicato molte riflessioni ai celebri passi della Prefazione a Per la critica dell'economia politica, in cui Marx annota come gli uomini acquistino coscienza (del conflitto fra forze produttive e rapporti di produzione) a livello dell'ideologia, chiedendosi se tale coscienza sia limitata alla realtà socio-economica come il testo marxiano, letteralmente interpretato, sembra indicare, o se esso «si riferisce a ogni conoscenza consapevole» (MS, EI p. 44, ER p. 52). Gramsci sostiene la seconda ipotesi, in nome dell'«integralità» della filosofia della prassi; osserva quindi che anche la conoscenza scientifica viene elaborata a livello sovrastrutturale: «in realtà anche la scienza è una superstruttura, un'ideologia» (MS, EI p. 56, ER p. 66), una «categoria storica» (MS, EI p. 55, ER p. 65), afferma Gramsci. Dobbiamo chiarire il significato di un'affermazione di questa portata.

Osserviamo prima di tutto che questa concezione contiene anche il nucleo della critica a un certo tipo di scienza concepita come «la concezione del mondo per eccellenza, quella che snebbia gli occhi da ogni illusione ideologica, che pone l'uomo dinanzi alla realtà così come essa è» (MS, EI p. 56, ER p. 66), la critica a quella sorta di infatuazione superficiale ingenerata dal dogmatismo scientistico (bisogna anche collocare Gramsci nel suo contesto culturale, che è ancora dominato dal positivismo).

Ma questa «messa in guardia» contro il dogmatismo scientistico non basta a spiegare la reazione gramsciana. Il vero problema è di sapere se la scienza possa fornire la «certezza» dell'esistenza oggettiva della «realtà esterna». Gramsci osserva prima di tutto che per il senso comune il problema non sussiste, perché esso è imbevuto della concezione del mondo religiosa che presuppone una realtà creata indipendentemente dall'uomo, che la scienza a stento arriva a «sfiorare». Questo «contatto», questo «aggiustamento» fra l'intelletto scientifico e la «cosa» costituirebbe, una volta per tutte, la verità. La scienza, depurata da ogni residuo teologico, può fornire conoscenze oggettivamente «vere», verità scientifiche? Fortunatamente per la scienza, no; infatti, osserva Gramsci, ciò significherebbe negarle il suo carattere di «ricerca», di instancabile investigazione e fare dell'attività scientifica una sorta di «divulgazione del già scoperto» (MS, EI p. 55, ER p. 65).

Una teoria scientifica è vera, secondo Gramsci, finché un'altra teoria più comprensiva non ne dimostra la caducità e l'insufficienza. Quindi le «verità» scientifiche non sono affatto definitive ma dipendono dal livello dello sviluppo storico degli strumenti fisici e intellettuali di cui dispongono gli uomini. In questo senso, la scienza è un movimento in continuo sviluppo, una categoria storica. La scienza è legata allo sviluppo degli strumenti tecnici, quindi alla storia della tecnologia, ma la sua storicità non è solo legata a questo aspetto: l'indagine che precede l'individuazione di una serie di fatti da esaminare presuppone un criterio di scelta, un «concetto», un'intuizione, un insight, insomma, come osserva Gramsci, «una intuizione, una concezione, la cui storia è da ritenersi complessa, un processo di sviluppo della cultura...» (MS, EI p. 156, ER p. 185). Per confermare questo carattere ideologico e storico della scienza, Gramsci cita Engels che, giustamente, scrisse che gli «strumenti intellettuali» non sono nati dal nulla, non sono innati nell'uomo, ma sono acquisiti, si sono sviluppati e si sviluppano storicamente (MS, EI p. 153, ER p. 181).

Questa storicità condanna la scienza all'agnosticismo, al relativismo? No, la mette solo in guardia dalla pretesa di conseguire un'oggettività assoluta cioè, secondo Gramsci, scissa dalla prassi umana. La scienza può raggiungere l'oggettività, ma un'oggettività relativa, non riferita a un non meno inconoscibile, ma a un «non-ancora-noto», e conosce i fenomeni che coglie nella sua pratica teorico-sperimentale. Questi fenomeni non esauriscono una pretesa «cosa in sé», che esiste invece solo come cosa non ancora conosciuta, ma la loro conoscenza è «oggettiva» perché la scienza stabilisce e isola ciò che è arbitrario, individuale, transitorio (MS, EI p. 54, ER p. 64) e fissa ciò che è durevole, costante, superiore alle condizioni specifiche individuali; cioè oggettiva la realtà nel senso in cui Gramsci usa il termine «oggettivo»: «ciò che è comune a tutti gli uomini, ciò che tutti gli uomini possono controllare allo stesso modo, indipendentemente gli uni dagli altri, purché abbiano osservato ugualmente le condizioni tecniche di accertamento» (ivi).

Gramsci non condanna la scienza al relativismo: le verità da essa colte sono «oggettive», ma costituiscono solo un «momento» dello sviluppo storico. La scienza sarebbe dunque «ideologica» nel senso marxiano di «mistificata-mistificante» se pretendesse dogmaticamente di essere in contatto con l'Oggettività e con la Verità in sé e pretendesse di renderle trasparenti; è invece un'ideologia nel senso in cui Gramsci usa il termine, cioè una sovrastruttura legata alla struttura nella misura in cui la teoria scientifica è indissociabile da una pratica sperimentale storica, quindi essa stessa storica e relativa.

Come sovrastruttura, la scienza è legata alle attività culturali umane ed è, precisa Gramsci, «legata ai bisogni, alla vita, all'attività dell'uomo» (MS, EI p. 55, EI p. 65), (e ciò ne accentua la storicità). È soprattutto questo aspetto della scienza come «rapporto fra l'uomo e la realtà con la mediazione della tecnologia» (ivi), che interessa Gramsci come uomo politico e come filosofo: «ciò che interessa la scienza, non è tanto... l'oggettività del reale, ma l'uomo che elabora i suoi metodi di ricerca, che rettifica continuamente i suoi strumenti materiali che rafforzano gli organi sensori e gli strumenti logici (incluse le matematiche) di discriminazione e di accertamento, cioè la cultura, la concezione del mondo, il rapporto fra l'uomo e la realtà con la mediazione della tecnologia» (ivi).

La scienza è un'ideologia, ma con uno statuto affatto particolare. La lotta per l'oggettività (cfr. oggettività) consiste nel liberarsi delle ideologie parziali e fallaci. L'uomo conosce oggettivamente in quanto la conoscenza, dice Gramsci, «è reale per tutto il genere umano storicamente unificato in un sistema culturale unitario» (MS, EI p. 142, ER, p. 168); la scienza contribuisce a elaborare un'ideologia universale (in senso oggettivo, cioè «universale-umano») e in questo senso partecipa all'unificazione del genere umano: «la scienza sperimentale ha offerto finora il terreno in cui una tale unità culturale ha raggiunto il massimo di estensione: essa è stata l'elemento di conoscenza che ha più contribuito a unificare lo "spirito", a farlo diventare più universale; essa è la soggettività più oggettivata e universalizzata concretamente» (ivi).

Fare della scienza una ideologia, secondo Gramsci, non è quindi farne una illusione ingannevole. La scienza, concepita da Gramsci come unità dialettica di attività teorica e di attività pratico-sperimentale, ha un ruolo essenziale nel processo unitario del reale, perché l'attività sperimentale è il «primo modello di mediazione dialettica fra l'uomo e la natura, la cellula storica elementare per cui l'uomo, ponendosi in rapporto con la natura attraverso la tecnologia, la conosce e la domina» (MS, EI p. 143, ER p. 160). E questo rapporto fra uomo e natura è proprio il nucleo a partire dal quale si costituirà, autarchicamente secondo Gramsci, la filosofia della prassi.le.