da

Gramsci
le sue idee nel nostro tempo
Editrice l'Unità, Roma 1987

Rivoluzione passiva

Il concetto di rivoluzione passiva consente di cogliere in modo esempla­re tanto il metodo di lavoro, quanto il rapporto tra paradigma interpretativo ed esemplificazioni storiche in Gramsci. Esso nasce, innanzi tutto, dalla messa a fuoco di un periodo preciso, il Risorgi­mento italiano. Nel 1° Quaderno, databile al 1929-30, Gramsci osserva che l'analisi della politica dei moderati permette di individuare nel Risorgimento un caso specifico di «rivoluzione senza rivoluzione», cioè, come precisa in una aggiunta posteriore, di «rivoluzione passiva» (p. 41). Successivamente questo criterio storico-politico viene verificato ed esteso come possibile interpretazione della cosid­detta età della Restaurazione, ma con l'avvertenza che si tratta di questione storicamente complessa, non risolvibile «in base ad astratti schemi sociologici» (p. 134).

In questa fase il concetto di rivoluzione passiva si delinea più analiticamente in base ai seguenti passaggi: 1) Rivoluzione francese e trasformazione violenta dei rapporti sociali e politici in Francia; 2) opposizione europea; 3) guerra della Francia contro l'Europa; 4) riscosse nazionali e costituirsi degli Stati moderni europei per piccole ondate riformistiche caratterizzate dalla combinazione di lotte socia­li, interventi dall'alto e guerre nazionali. È quest'ultimo passaggio che fissa l'età della Restaurazione come età della rivoluzione passiva, cioè di quella «forma politica in cui le lotte sociali trovano quadri abbastanza elastici da permettere alla borghesia di giungere al potere senza rotture clamorose» (p. 134).

Tra il 1930 e il 1933 l'ipotesi di lavoro rivela ulteriori potenziali­tà esplicative in relazione al quesito se sussistano analogie tra il periodo storico successivo alla caduta di Napoleone e quello successi­vo alla guerra 1914-18, se cioè l'idea di rivoluzione passiva possa avere anche un significato «attuale», possa essere, ad esempio, un possibile criterio di interpretazione storica del fascismo (p. 1209). Nel 1933 il concetto di rivoluzione passiva viene ipoteticamente indicato come chiave di interpretazione di «ogni epoca complessa di rivolgimenti storici» (p. 1827).

I passaggi interni al ragionamento seguito da Gramsci, la cautela espositiva che privilegia ipotesi interpretative rispetto a schemi generalizzanti, inducono a individuare un procedimento circolare: da un fenomeno definito a un paradigma interpretativo più generale, a sua volta da verificare concretamente alla luce di specifiche esemplificazioni storiche. Questo metodo di lavoro com­porta una progressiva articolazione della stessa ipotesi iniziale.

Premesso che il caso esemplare di rivoluzione passiva è quello in cui si ha «una combinazione di forze progressive scarse e insufficienti di per sé... con una situazione internazionale favorevole alla loro espansione e vittoria» (p. 1360), ne derivano alcune rilevanti conse­guenze. Così la complessa realtà politica che va sotto l'«espressione metaforica» di Restaurazione non può essere letta come puro proces­so di conservazione, dal momento che dietro l'apparente immobili­smo di un «involucro politico» avviene in realtà una trasformazione molecolare dei «rapporti sociali fondamentali» (p. 1818). Sono evidenti le implicazioni di un'analisi di questo tipo nell'interpretazio­ne del fascismo, e non solo di esso.

Inoltre, e conseguentemente, Gramsci sottolinea il pericolo di trasformare la rivoluzione passiva in programma «perché l'impostazio­ne generale del problema può far credere a un fatalismo» (p. 1827): la dialettica conservazione-innovazione, che «nel linguaggio moderno si chiama riformismo» (p. 1325), una volta assunta come programma può anche determinare una sorta di «disfattismo storico» e quindi il «venir meno di un'antitesi vigorosa» (p. 1827). Formule come quelle ad esempio usate da Croce — «il mondo va verso...» — contribuisco­no appunto a convincere della ineluttabilità di un processo storico, ad aggregare intorno ad esso un consenso passivo, a determinare una sorta di fatalistica rinuncia alla lotta. , .

Luisa Mangoni

docente di storia d'Italia del secolo XX all'Università di Venezia