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Gramsci
le sue idee nel nostro tempo
Editrice l'Unità, Roma 1987

Partito come «moderno Principe»

Il «Principe» del Machiavelli non viene visto da Gramsci solo come prima compiuta espressione della scienza della politica. Egli sottoli­nea, naturalmente, la originale funzione del Machiavelli: colui che, per primo, distacca la trattazione della politica da quella della religione e della morale e si sforza di individuare le leggi universali e generali dell'opera di tutti i grandi che hanno fatto politica. Ma Gramsci sottolinea anche che il «Principe» va letto non solo come un trattato di scienza della politica (sia pure come il trattato fondativo) ma anche come un testo politico storicamente concreto, destinato — nell'intenzione dell'autore — ad un intento concreto: e, cioè, al concreto scopo di rivolgersi alla «classe rivoluzionaria del tempo, il "popolo", la "nazione italiana", la democrazia cittadina che esprime dal suo seno i Savonarola e i Pier Soderini...» (Quaderno XIII, 20). Un testo, dunque, dal «carattere essenzialmente rivoluzionario», come lo è la «filosofìa della praxis» destinata anch'essa a parlare alla nuova classe sorta nel seno dei nuovi rapporti di produzione per indirizzarne e guidarne gli sforzi.

Questi sforzi non potrebbero essere coronati di alcun risultato se un «moderno Principe» (in quanto nuova teoria della politica) non fosse scritto, e un «moderno Principe» (in quanto attore della storia) non fosse costituito e non prendesse il suo posto dentro la realtà concreta del tempo presente: un «moderno Principe», che non può essere altro che il nuovo soggetto collettivo già storicamente afferma­tosi e cioè il partito politico.

La teoria da scrivere deve riguardare la nascita stessa e la possibilità, a partire da un riesame storico che vada alle radici della vicenda nazionale, del costituirsi di una «volontà collettiva» (la volontà intesa come «coscienza operosa della necessità storica, come protagonista di un reale ed effettuale dramma storico»), le ragioni dei suoi fallimenti, le condizioni del suo possibile affermarsi nello scontro concreto tra le classi. E di questa teoria del «moderno Principe» la seconda parte dovrà riguardare la «questione di una riforma intellettuale e morale» di cui il nuovo protagonista della storia dovrà farsi protagonista (Q. XIII, 2).

Così il partito di cui Gramsci traccia l'idea ha un compito altissimo, politicamente e moralmente. Viene di qui una concezione che tende a fare del «moderno Principe» un soggetto che può porsi come assoluto: «Il "moderno Principe", sviluppandosi, sconvolge tutto il sistema di rapporti intellettuali e morali in quanto il suo svilupparsi significa appunto che ogni atto viene concepito come utile o dannoso, come virtuoso o scellerato, solo in quanto ha come punto di riferimento il "moderno Principe" stesso, e serve a incre­mentare il suo potere o a contrastarlo» (Q. XIII, 1).

Questo atteggiamento di Gramsci non può essere separato dal contesto storico in cui egli vive e lotta, essendo nel fondo di un carcere, dopo una drammatica sconfitta del movimento operaio e della democrazia. La sua riflessione si svolge nella opposizione ad una forza totalitaria e che totalitariamente esprime una dura e spietata tirannide di classe ammantata di ideologia: il nuovo e «moderno Principe» — e cioè il partito della trasformazione sociali­sta — non poteva presentarsi sull'arena di quella terribile lotta con minori certezze. Tanto più che esso parlava unicamente in nome di una speranza.

Ma per una valutazione corretta di questa accentuazione tota­lizzante bisogna anche ricordare che, in Gramsci, questa visione del partito non è quella di una organizzazione burocratica o di uno strumento di potere, ma quella di una potenza ideale destinata a compiere quella «riforma intellettuale e morale» che ha nella riforma economica della società soltanto il «modo concreto di manifestarsi». Il «moderno Principe», anzi, proprio perché compie quella riforma intellettuale e morale storicizzando la realtà e i valori — e storiciz­zando anche se stesso — diventa la base di «un laicismo moderno e di una completa laicizzazione di tutta la vita e di tutti i rapporti di costume» (ibidem).

Questa concezione del partito in Gramsci non può dunque essere ridotta e banalizzata — come è stato fatto — quasi che essa costituisse l'imitazione o l'eco di quel che intanto andava accadendo nell'Urss e del ruolo che vi acquistava il partito. Era una concezione che, tuttavia, andava superata; e così è già in Togliatti con l'idea del «partito nuovo», cui si aderisce su base programmatica. Il laicismo moderno e la laicizzazione integrale che Gramsci considerava come finalità essenziale avrà bisogno di un partito comunista che, senza nulla perdere del proprio impegno ideale e morale, sappia conside­rarsi come un soggetto tra gli altri: capace di battersi per i propri convincimenti e per i propri programmi senza ignorare le ragioni degli altri.

Aldo Tortorella

membro della Segreteria del Pei - deputato

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da

Dominique Grisoni, Robert Maggiori
Guida a Gramsci
BUR, Milano 1975

PARTITO

Un partito è una formazione burocratica, ideologica e talvolta anche militare di una classe, di cui costituisce l'espressione e il momento organizzativo, e al quale essa si lega organicamente, che essa si dà come guida alla presa del potere e alla sua conservazione, che contribuisce a diffondere la sua concezione del mondo.

Gramsci distingue due forme di partito: il partito «politico» e il partito «ideologico». Il partito politico è «l'organizzazione pratica (o tendenza pratica), cioè (lo) strumento per la soluzione di un problema o di un gruppo di problemi della vita nazionale e internazionale» (MS, EI p. 172, ER p. 204). Nel caso della borghesia, per esempio, Gramsci dimostra che ci possono essere molti partiti politici che rappresentano la stessa classe sociale o il suo sistema di alleanze con un'altra classe o con un gruppo ausiliario o con le classi subalterne. Ma i dissensi che distinguono tali «frazioni» di una stessa classe, riguardano solo problemi parziali e nei momenti decisivi, cioè quando sono in gioco le questioni principali, cioè la difesa della proprietà privata, la «concezione del mondo» borghese, universalistica e astratta, e la conservazione dello Stato nella sua forma attuale, ricostituiscono la loro unità e formano un «blocco unico». Tale molteplicità di elementi fra loro complementari, che è caratteristica dei partiti riformistici, si risolve e si unifica nel partito «ideologico» che è «il partito come ideologia generale, superiore ai vari aggruppamenti più immediati» (MS, EI p. 172, ER p. 205). Sotto la definizione di «partito ideologico» Gramsci raccoglie l'insieme degli apparati e delle organizzazioni intellettuali (stampa, case editrici, circoli, clubs ecc.) legati alla o alle classi alleate, mettendo in evidenza come essi non siano subordinati a un determinato partito politico. Questo «stato maggiore intellettuale», costituito da «una élite di uomini di cultura che hanno la funzione di dirigere dal punto di vista della cultura, dell'ideologia generale, un grande movimento di partiti affini» (Mach, EI p. 21, ER pp. 39-40) è organicamente legato alla o alle classi sociali di cui è emanazione al di là delle critiche che può formulare nei riguardi delle diverse frazioni che la rappresentano (o le rappresentano). Per Gramsci, il partito «organico» di una classe è rappresentato dalla unificazione concreta del partito politico con quello ideologico. Questa unificazione si può realizzare nei fatti solo con la costituzione del partito della classe operaia: il partito rivoluzionario.