da
Gramsci
le sue idee nel nostro tempo
Editrice l'Unità, Roma 1987
Nazional-Popolare
Letteratura nazional-popolare è per Gramsci quella che sa
soddisfare il gusto estetico non solo di élites ristrette ma
del maggior numero di lettori, operando una mediazione attiva tra le
esigenze di lettura più qualificata e le richieste,
più elementari ma non meno autentiche, dei ceti subalterni.
Lo scrittore, in quanto membro della categoria degli intellettuali,
promuove una unificazione del pubblico, intesa come allargamento
dell'area di consenso goduta dalla concezione dell'arte, e quindi
della vita, di cui la classe al potere è portatrice storica.
In questa capacità di interpretare personalmente, con le sue
creazioni espressive, un sistema di valori teso a espandersi a tutti
i livelli della collettività, il letterato dà misura
del suo rapporto organico con una classe dirigente, a sua volta
capace di farsi interprete di stati d'animo e aspettative diffuse
nell'intera collettività: cioè di esercitare non un
«dominio», basato soltanto sulla forza repressiva degli
apparati di governo, ma una «egemonia» che si esplichi
in una influenza generale indiretta sulle varie manifestazioni della
società civile.
La definizione di questo modello teorico è sorretta da esempi
storici elevatissimi: i tragici greci, Shakespeare, i grandi
romanzieri dell'Ottocento come Tolstoj e Dostoevskj. Proiettato su
un orizzonte così ampio, il concetto di nazional-popolare
serve a Gramsci anzitutto per sottoporre a revisione
complessiva la tradizione culturale italiana, dando risalto ai suoi
due vizi opposti e complementari: il provincialismo asfittico,
tipico di quello che egli chiama "l'italiano meschino", con la sua
cortezza di vedute e mancanza di rigore mentale; e il
cosmopolitismo, ossia l'atteggiamento del letterato che si sente
estraneo alle contingenze pratiche della sua gente e del suo paese,
e mentre si proclama sacerdote disinteressato del Bello è
sempre disposto a metter la sua arte al servizio d'ogni padrone.
Entrambi i vizi rimandano a un dato di fondo nella storia
dell'Italia moderna: la mancata formazione di una borghesia degna
del nome, in grado di crearsi un ceto intellettuale dotato del
dinamismo necessario per collegarsi alla mentalità e alle
attese della popolazione e assieme trasvalutarle, portandole a quel
livello di universalità che per Gramsci è il livello
nazionale. Qui infatti una determinata collettività prende
coscienza di sé e delle proprie contraddizioni, alimentando
un confronto con le altre esperienze di civiltà presenti
sulla scena internazionale.
Applicata alle vicende della cultura italiana, questa
impostazione porta però, in concreto, a risultati sempre
illuminanti ma alquanto unilaterali, se non antistorici: vale la
pena di rilevarlo, a contrasto con le frequenti accuse di
relativismo storicistico mosse al gramscismo. I letterati italiani
passati e presenti appaiono posti quasi sotto processo, imputando a
loro colpa ciò che non sono stati e non hanno saputo fare. Il
punto è che a Gramsci il concetto di nazional-popolare
interessava soprattutto come strumento operativo per suscitare un
rinnovamento profondo della nostra letteratura, ampliandone le
risorse e irrobustendone il respiro attraverso un'immersione
salutare nella realtà sociale del mondo moderno. Su questa
linea, egli poteva assumere come antesignano un esponente geniale
della borghesia illuminata ottocentesca, quale fu Francesco De
Sanctis. Ma la premessa decisiva era costituita da un mutamento
delle forze storiche protagoniste: il proletariato avrebbe dato
prova della sua maturità rivoluzionaria anche nel promuovere
una rinascita letteraria, tale da abbattere lo steccato
secolare tra il corporativismo dei dotti e l'arretratezza delle
plebi, tenute lontane dalle serre in cui la classe dirigente
coltivava i suoi ideali estetici.
Naturalmente, Gramsci sapeva bene che una nuova arte non nasce a
comando: ciò che occorreva realizzare erano le condizioni
culturali opportune perché si affacciasse sulla scena una
leva di scrittori nutriti di una consapevolezza nuova del fatto
artistico. D'altronde, per Gramsci ogni scrittore tende a entrare in
colloquio con un pubblico socialmente e culturalmente determinato.
Ciò implica la necessità di fare i conti con il
condizionamento oggettivo rappresentato dalla conformazione
particolare del gusto, delle attitudini critiche, delle
pulsioni fantastiche cui quei lettori si richiamano. Il processo di
elaborazione artistica consiste nel rovesciare tale condizionamento
in una autodisciplina responsabilmente assunta dallo scrittore, e
proprio perciò capace di un effetto liberatorio sui suoi
interlocutori, prospettando loro esperienze inedite sì, ma di
cui siano in grado di intendere la suggestione.
È questo il punto più avanzato del pensiero gramsciano
sui problemi letterari. In effetti, il tema del rapporto fra arte e
pubblico, letteratura e lettura ha assunto un rilievo sempre
maggiore sull'orizzonte culturale europeo degli ultimi decenni,
da Sartre a Mukarovskij, da Auerbach a Jauss. Sul piano storico,
è naturalmente discutibile l'utilità attuale del
concetto di nazional-popolare ai fini dell'impegno militante sulla
letteratura odierna, in un contesto epocale così cambiato. Ma
sul piano teorico e istituzionale, le indicazioni di metodo fornite
da Gramsci mantengono una vitalità che il tempo trascorso
consente di apprezzare oggi meglio di ieri.
Vittorio Spinazzola
docente di letteratura italiana all'Università di Milano
*
da
Dominique Grisoni, Robert Maggiori
Guida a Gramsci
BUR, Milano 1975
NAZIONAL-POPOLARE
Il concetto di «nazional-popolare» si applica a
formazioni che sono sorte dal popolo, che gli appartengono e che ne
rappresentano l'espressione oggettiva e reale. In questo senso
Gramsci utilizza le espressioni di «cultura
nazional-popolare», «letteratura
nazional-popolare», «volontà collettiva
nazional-popolare» ecc., per mostrare come tali
«forme» della realtà storico-sociale siano create
e riconosciute da e per il popolo e si distinguono da quelle che
sono sorte dalla borghesia o dalla classe dominante. Il concetto di
«nazional-popolare» pone praticamente il problema del
legame fra intellettuali e masse. L'analisi stessa dei termini di
questa espressione sottolinea la posizione occupata nella struttura
sociale dallo strato degli intellettuali in rapporto alla classe
dominante e alle classi subalterne. Gramsci nota che «in molte
lingue, "nazionale" e "popolare" sono sinonimi o quasi (così
in russo, così in tedesco in cui volkisch ha un significato
ancora più intimo, di razza, così nelle lingue slave
in genere; in francese "nazionale" ha un significato in cui il
termine "popolare" è già più elaborato
politicamente perché legato al concetto di
"sovranità": sovranità nazionale e sovranità
popolare hanno uguale valore o l'hanno avuto» (LVN, EI p. 105,
ER p. 137). Ma in Italia, il termine «nazionale», che ha
un «significato molto ristretto ideologicamente», non
coincide affatto con «popolare» perché «in
Italia gli intellettuali sono lontani dal popolo, cioè dalla
"nazione"» (ibid.) e occupano una sfera autonoma costituendo
una casta assai più legata a una tradizione libresca e
astratta che «a un contadino pugliese o siciliano».
Così si spiega l'interesse degli italiani per gli autori
stranieri. Gli intellettuali italiani, che non sono mai stati scossi
da «un forte movimento politico-popolare o nazionale dal
basso», costituiscono un corpo staccato, «campato in
aria», sono lontani dal popolo di cui non conoscono le
aspirazioni e di cui sono incapaci di esprimere i bisogni o i
sentimenti. L'egemonia della cultura straniera si spiega con questa
assenza di una cultura nazional-popolare italiana.
Creare questa nuova cultura implica prima di tutto l'esigenza di
affidare agli intellettuali la missione di farsi «educatori ed
elaboratori della intellettualità e della coscienza morale
del popolo-nazione,... di dare una soddisfazione alle esigenze
intellettuali del popolo... di elaborare un moderno "umanesimo"
capace di diffondersi fino agli strati più rozzi e
incolti» (LVN, EI p. 107, ER p. 140).
«Nazional-popolare» è un termine che indica
dunque uno spostamento degli strati degli intellettuali verso il
popolo, la costituzione di un legame organico fra intellettuali e
masse, il formarsi di un nuovo processo di conoscenza che si
articola intorno alla «comprensione» cioè
all'educazione reciproca. «Nazional-popolare» significa
insomma: espressione coerente e organizzata di un popolo.
1 Spirito va inteso nel senso di pensiero-coscienza, cioè di
attività teorica inseparabile da una prassi trasformatrice
della «materia» secondo la coscienza che l'uomo ne ha
(nota degli autori).