da

Dominique Grisoni, Robert Maggiori
Guida a Gramsci
BUR, Milano 1975


MATERIA

Gramsci stabilisce il concetto di materia in opposizione a quello ereditato dalla concezione greco-cristiana (aristotelico-tomistica) che riviveva nell'oggettivismo assoluto del positivismo, e dai vari miti scientistici. Ma la sua concezione si pone come critica anche nei confronti delle tesi marxiste cosiddette «ortodosse» (cfr. ortodossia) come quella da Bucharin esposta nel suo Manuale popolare, che sono anch'esse inficiate di «materialismo metafisico»: «è evidente che per la filosofia della prassi la "materia" non deve essere intesa né nel significato quale risulta dalle scienze naturali... né nei significati quali risultano dalle diverse metafisiche materialistiche» (MS, EI p. 160, ER p. 189).

La «materia» non rappresenta per Gramsci il «sostrato» comune a tutta la realtà, né la «realtà» che le scienze fisiche hanno per oggetto e nemmeno un «quid» posto indipendentemente dall'uomo quale lo postula il materialismo metafisico (e anche Lenin che afferma, in Materialismo ed empiriocriticismo, che la sola proprietà che vada riconosciuta alla materia è la «possibilità di essere una realtà oggettiva, di esistere al di fuori della nostra coscienza»). Per Gramsci la materia è ciò che è. Ma questo «ciò» non è qualcosa di dato, da sempre posto di fronte all'uomo. Dipende dal suo lavoro e, più in generale, dalla sua attività: è un risultato della sua prassi sociale, è «ciò» che ogni nuovo moto dell'attività pratico-teorica si trova davanti. La materia è un prodotto della storia, dello sviluppo dell'antagonismo fra uomo e mondo o, come scrive Gramsci: «la materia non è... da considerarsi come tale ma come socialmente e storicamente organizzata per la produzione» (MS, EI p. 160, ER p. 189). Poiché non può trovarsi fuori dal campo della prassi umana, la materia andrà dunque definita in funzione dei rapporti sociali di produzione e di scambio, cioè ridotta alla dimensione economica: diventa quindi una realtà storica, un prodotto umano la cui «oggettività» può essere praticamente dimostrata solo dall'uomo nella misura in cui questi organizza il «lavoro» della sua trasformazione.

Così si dilegua il concetto generale astratto di materia intesa come pura oggettività: la materia è l'insieme delle forze naturali nella misura in cui queste vengono «integrate» nel processo produttivo. Gramsci, citando l'esempio della macchina, scrive: «la filosofia della prassi non studia una macchina per conoscerne e stabilirne la struttura atomica del materiale, le proprietà fisico-meccaniche dei suoi componenti naturali (oggetto di studio delle scienze esatte e della tecnologia) ma in quanto è un momento delle forze materiali di produzione, in quanto è oggetto di proprietà di determinate forze sociali, in quanto esso esprime un rapporto sociale e questo corrisponde a un determinato periodo storico» (MS, EI pp. 160-61, ER p. 190).

Anche la materia quale la intendono le scienze perde il suo carattere di genericità: spetta a ogni scienza (a ogni pratica scientifica) definire la sua «materia», cioè l'oggetto che viene colto dalla sua ricerca enunciando in termini meccanici, fisici ecc., le manifestazioni della natura e studiandole nella loro genesi storica. Anche la scienza naturale diventa una categoria storica, un rapporto umano: scissa da tale rapporto, cioè compresa all'esterno del campo in cui agiscono i rapporti fra uomo e natura, la «materia» delle scienze non è «nulla». Gramsci fa l'esempio dell'elettricità: «l'elettricità è storicamente attiva, ma non come mera forza naturale (come scarica elettrica che provoca incendi, per esempio), ma come elemento di produzione dominato dall'uomo e incorporato nell'insieme delle forze materiali di produzione, oggetto di proprietà privata. Come forza naturale astratta, l'elettricità esisteva anche prima della sua riduzione a forza produttiva, ma non operava nella storia, ed era un argomento di ipotesi nella storia naturale (e prima era il "nulla" storico, perché nessuno se ne occupava e anzi tutti la ignoravano)» (MS, EI p. 161, ER p. 191).

La critica del materialismo metafisico, che postulava una materia avente una realtà extra-umana ed extra-storica indurrà allora Gramsci a postulare un uomo definibile come spirito creatore, ad affermare il primato dello spirito sul reale, a una posizione idealistica? Certamente no. Gramsci parla infatti di un nulla storico e non di un nulla assoluto o di un inconoscibile assoluto nel senso del noumeno kantiano. In Gramsci non c'è posto per nessuna forma di agnosticismo, l'ignoto non è mai l'inconoscibile noumenico ma semplicemente ciò che non è ancora noto che, dice Gramsci, «potrà essere un giorno conosciuto quando gli strumenti "fisici" e intellettuali degli uomini saranno più perfetti, cioè quando saranno mutate, in senso progressivo le condizioni sociali e tecniche dell'umanità» (MS, EI p. 41, ER p. 48). Ciò definisce chiaramente il carattere storico della conoscenza: la «materia» si basa sui fenomeni che la nostra pratica coglie in un incessante movimento a spirale che essa trasforma in «elemento economico» produttivo nella misura in cui si sviluppano i suoi strumenti di ricerca e di verifica: in altri termini, nessuna materia può essere postulata al di là o al di sopra dell'uomo che opera per la sua trasformazione: «noi conosciamo la realtà solo in rapporto all'uomo e siccome l'uomo è divenire storico anche la conoscenza e la realtà sono un divenire, anche l'oggettività è un divenire ecc.» (MS, EI p. 143, ER p 168).

Gramsci evita dunque di cadere in qualsiasi forma di «misticismo», non separa «l'essere dal pensiero, l'uomo dalla natura, l'attività dalla materia, il soggetto dall'oggetto» (MS, EI pp. 55-56, ER p. 66), postulando, come i materialisti «volgari», un qualsiasi primato e in questo si conserva fedele a Marx che affermava, nella prima tesi su Feuerbach: «il difetto principale di ogni materialismo fino ad oggi... è che l'oggetto, il reale, il sensibile è concepito solo sotto la forma di oggetto, o di intuizione, ma non come attività umana sensibile, come attività pratica, non soggettivamente» (appendice a F. Engels: Ludovico Feuerbach, Edizioni Rinascita, Roma, 1950, p. 77).