da
Gramsci
le sue idee nel nostro tempo
Editrice l'Unità, Roma 1987
Lorianismo
Nel maggio 1895, Antonio Labriola scriveva ad Engels: «Ora
abbiamo anche una Loria in veste spagnuola... E così abbiamo
la scala completa di Löria, Lória, Loría,
Lorií». Almeno tra gli studiosi di scienze sociali,
questo nome circolava all'epoca in diversi paesi. E tuttavia, anche
dopo aver provato l'intera gamma di spostamenti d'accento, esso
potrebbe oggi risultare oscuro a parecchi.
Di Achille Loria, economista e sociologo di scuola positivistica,
verrebbe da dire, adottando il gergo giornalistico tipico dei
recensori di spettacoli, che ottenne un buon successo di pubblico,
ma collezionò secche stroncature da parte della critica
più autorevole. In Italia, ricorda Benedetto Croce, egli
godeva di «universale reputazione d'ingegno originale».
Ma chi era poi Loria? L'accademico dei Lincei o un apprezzato
teorico del socialismo? Il confutatore di Marx o un suo semplice
epigono? L'intellettuale antiborghese o un cacciatore di cavalierati
e onorificenze varie? Per Croce, come del resto per Labriola,
nient'altro che un dissimulatore e un plagiario di Marx. Anche una
indubbia autorità in materia di marxismo come Engels, nella
sua prefazione del 1894 al terzo libro del Capitale, ne mette in
risalto la ciarlataneria, accomunandolo a due maschere del teatro
buffo, Sganarello e Dulcamara: «La loro classica unità
noi la troviamo impersonata nel nostro illustre Loria».
Eppure, malgrado il misero credito scientifico concessogli da
prestigiose personalità della cultura, il professor Loria
poteva vantare un lusinghiero seguito presso la gente comune: i
suoi testi avevano una certa diffusione, le sue conferenze pubbliche
erano sempre affollate. Questa patente contraddizione non doveva
sfuggire ad Antonio Gramsci, acutissimo osservatore di piccoli e
grandi fenomeni della cultura e del costume.
Appena agli esordi giornalistici, Gramsci pubblica sull’Avanti! del
16 dicembre 1915 «Pietà per la scienza del prof.
Loria», un articolo denso di sarcasmo sulle teorie e gli
atteggiamenti esteriori di colui che si avviava a diventare uno dei
suoi più frequenti bersagli polemici. Certo era agevole
ironizzare su un sussiegoso pensatore impegnato a stabilire
«le fatali interdipendenze tra il misticismo e la
sifilide», a sostenere che «il più perfetto tipo
d'umanità, l'ideale dell'eugenia è il professore
universitario», o addirittura che il vincolo che incatena il
proletariato al capitale sarebbe stato spezzato dallo sviluppo
dell'aviazione: in un prossimo avvenire, l'operaio disoccupato
o licenziato avrebbe potuto volteggiare per gli spazi celesti a
bordo di un aereo, nutrendosi lautamente di uccelli catturati con
fronde e vischio. Ma Gramsci non si limita a irridere le stravaganze
di un tale «pagliaccio del pensiero», «re degli
zingari della scienza». La sua riflessione si
accentrerà progressivamente sulle ragioni nascoste che
consentivano a un Loria di acquistare «spontaneamente»
numerosi proseliti, di erigersi a «pilastro della
cultura», a «maestro».
Nel 1935, Gramsci intitola il Quaderno speciale 28 al
«Lorianismo», inteso come categoria paradigmatica che,
pur seguitando a comprendere le eccentricità di Loria (le
principali sono anzi elencate all' inizio del quaderno), trascende
oramai l'etimo originario. Sotto la voce «Lorianismo»,
Gramsci si propone di trattare «alcuni aspetti deteriori e
bizzarri della mentalità di un gruppo di intellettuali
italiani e quindi della cultura nazionale (disorganicità,
assenza di spirito critico sistematico, trascuratezza nello
svolgimento dell'attività scientifica, assenza di
centralizzazione culturale, mollezza e indulgenza etica nel
campo dell'attività scientifico-culturale ecc.)».
Il caso di Loria induce a meditare sulla debolezza degli
«argini critici» anche in tempi normali. Allora,
«è da pensare come, in tempi anormali, di passioni
scatenate, sia facile a dei Loria, appoggiati da forze interessate,
di traboccare da ogni argine e di impaludare per decenni un ambiente
di civiltà ancora debole e gracile». Valga per tutti
l'esempio dell'hitlerismo, che ha svelato il «lorianismo
mostruoso» che covava in un paese dominato in apparenza
da un ceto intellettuale di estrema serietà.
Con la polemica gramsciana contro il dilettantismo,
l'opportunismo, la originalità intellettuale ad ogni
costo, personaggi quali Enrico Ferri, Arturo Labriola, Filippo
Turati e tanti altri hanno trovato un posto nella galleria dei
«loriani». Una galleria capiente, destinata anche dopo
Gramsci ad accogliere ospiti rinomati, ma soprattutto a mantenere
costantemente aperte le sue porte.
Antonio A. Santucci
ricercatore dell'Istituto Gramsci di Roma