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Gramsci
le sue idee nel nostro tempo
Editrice l'Unità, Roma 1987

Intellettuali

La questione degli intellettuali ha un rilievo fondamentale così nella teoria politica di Gramsci come nella sua analisi della storia d'Italia. Per lui l'intellettuale non è soltanto il produttore di cultura: cioè l'artista, lo scrittore, lo scienziato, il filosofo, eccetera. Gramsci è, infatti, uno dei primi studiosi della società contemporanea che ha una visione ben più ampia delle funzioni e del lavoro intellettuale: mentre guarda con interesse al ruolo che particolarmente in una realtà come quella italiana hanno esercitato anche in passato le categorie intellettuali (per esempio il clero), egli concentra la sua attenzione sul fatto che con lo sviluppo del capitalismo moderno, con l'avvento delle società di massa, con l'intreccio crescente tra Stato e società civile, sono destinate a crescere enormemente l'importanza e l'estensione delle attività che sono riconducibili a una professione intellettuale.

In un passo del celebre saggio Alcuni temi della questione meridionale Gramsci sottolinea in modo molto limpido il mutamento nella collocazione e nella funzione degli intellettuali che avviene con la crescita del capitalismo e con lo sviluppo di una società industrializ­zata. «In ogni paese lo strato degli intellettuali è stato radicalmente modificato — egli scrive — dallo sviluppo del capitalismo. L'indu­stria ha introdotto un nuovo tipo di intellettuale: l'organizzatore tecnico, lo specialista della scienza applicata. Nelle società dove le forze economiche si sono sviluppate nel senso capitalistico, fino ad assorbire la maggior parte dell'attività nazionale, è questo secondo tipo di intellettuale che ha prevalso. Nei paesi invece dove l'agricol­tura esercita un ruolo ancora notevole o addirittura preponderante, è rimasto in prevalenza il vecchio tipo, che dà la massima parte del personale statale ed esercita la funzione di intermediario tra il contadino e l'amministrazione in generale».

Ma così nell'uno come nell'altro caso, sia che si tratti degli intellettuali tecnici e scientifici direttamente inseriti nella produzione oppure di quelli più collegati alle attività tradizionali o alle funzioni amministrative dello Stato, per Gramsci la funzione di questi strati è decisiva nel rapporto tra le classi fondamentali, cioè tra la borghesia, il proletariato, i contadini. La questione degli intellettuali si salda così strettamente, nella sua teoria politica, con quella dell'egemonia e del consenso.

A più riprese, nelle Lettere e nei Quaderni, Gramsci sottolinea infatti la distinzione fra una società politica (o un partito, una classe) che eserciti il dominio soltanto attraverso l'apparato coercitivo dello Stato, e una società politica che aggregando a sé gli intellettuali e le organizzazioni della società civile sia capace di esercitare il potere attraverso il consenso. È proprio se dimostra la capacità di guada­gnarsi l'adesione non solamente dei suoi «intellettuali organici» (quelli, cioè, che sono l'espressione diretta di una determinata classe e dei suoi interessi), ma di strati assai più vasti di lavoratori intellettuali, che una classe di governo dimostra di essere non soltanto «dominante», ma «dirigente»: cioè di svolgere un ruolo «realmente progressivo, che fa avanzare realmente l'intera società».

È evidente l'importanza di questa analisi della questione degli intellettuali, sia al fine di porre le basi per una specifica riflessione sugli autonomi problemi riguardanti la vita e l'organizzazione della cultura (problemi ai quali l'opera di Gramsci dedica, infatti, il massimo rilievo), sia al fine di sottolineare la necessità di ricercare e promuovere (tanto più in società complesse come quelle dell'Occi­dente) uno schieramento di alleanze assai più ampio ed articolato di quello realizzatosi, nell'Ottobre sovietico, attorno ai soviet degli operai, dei contadini, dei soldati.

Non a caso è questo uno degli aspetti della riflessione di Gramsci che ha avuto il più ampio sviluppo non solo nella successiva elaborazione dei comunisti italiani, ma nel dibattito e nella ricerca di tutta la sinistra occidentale, così in Europa come nelle due Americhe.

Giuseppe Chiarante

membro della segreteria del Pci - senatore

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Dominique Grisoni, Robert Maggiori
Guida a Gramsci
BUR, Milano 1975


 INTELLETTUALI

Costituiscono una nozione centrale della teoria gramsciana.

Alla ricerca del «criterio unitario» caratterizzante o-gni attività intellettuale, che permetta di distinguerla dalle attività degli altri gruppi sociali, Gramsci abolisce la distinzione fra homo faber e homo sapiens (sulla quale Marx aveva significativamente insistito nell'Ideologia tedesca), perché «in qualsiasi lavoro fisico, anche il più meccanico e degradato, esiste un minimo di qualifica tecnica, cioè un minimo di attività intellettuale creativa wmrsrzfx(I, EI p. 6, ER p. 17). Si potrebbe dunque dire che «tutti gli uomini sono intellettuali» (ibid.), ma, aggiunge Gramsci, «non tutti gli uomini hanno nella società la funzione di intellettuali» (ivi; sottolineatura degli autori). Come arriva Gramsci a determinare tale funzione e di conseguenza il ruolo che l'intellettuale riveste nell'ambito della società?

«Ogni gruppo sociale, nascendo sul terreno originario di una funzione essenziale nel mondo della produzione economica, si crea insieme, organicamente, uno o più ceti di intellettuali che gli danno omogeneità e consapevolezza della propria funzione non solo nel campo economico, ma anche in quello sociale e politico» (I, EI p. 3, ER p. 13).

Gramsci precisa che categorie specializzate nell'esercizio della funzione di intellettuali si formano in collegamento con le classi sociali, ma soprattutto con i gruppi sociali più importanti, con la classe dominante o con quella che tende a diventarlo. Attraverso la società civile e la società politica la classe dominante esercita sulle classi subalterne una duplice funzione, egemonica e coercitiva, ma in maniera mediata: questa mediazione caratterizza appunto la funzione degli intellettuali organici nella misura in cui essi sono gli «specialisti» di tale funzione, «i "commessi" del gruppo dominante per l'esercizio delle funzioni subalterne dell'egemonia sociale e del governo politico» (I, EI p. 9, ER p. 21). L'intellettuale, in una accezione notevolmente estesa, che coincide alla fine con quella di funzionario della sovrastruttura, ha dunque quattro funzioni:

a) organizza le funzioni economiche (quadri tecnici, economisti, tecnocrati...);

b) organizza le varie e disperse concezioni della classe dominante e del corpo sociale in «visione del mondo» coerente e omogenea;

c) fa coincidere tale «visione del mondo» con la direzione che il gruppo sociale dominante imprime alla vita sociale e favorisce dunque il consenso «spontaneo» delle grandi masse popolari alla classe egemone;

d) come «funzionario» della società politica (quella dei ministri, giudici, militari, deputati ecc.) cerca di ottenere «legalmente» la disciplina sociale.

La classe dominante, per esempio l'aristocrazia nel modo di produzione feudale, crea, nel corso del suo sviluppo, gruppi di intellettuali, i chierici che, nell'ambito della loro organizzazione, la chiesa, adempiono a queste specifiche funzioni. Gli intellettuali possono essere detti «organici» nella misura in cui appartengono a una organizzazione che li lega intimamente a una classe essenziale (in questo senso, il partito è l'intellettuale collettivo, organico per eccellenza). Gli intellettuali naturalmente non costituiscono una classe, ma uno strato sociale, un ceto che dispone, nei confronti della classe sociale alla quale è legato, di una relativa autonomia. L'intellettuale non mette in causa il potere egemonico della classe di cui è «funzionario» ma può anzi trovarsi con essa in conflitto. Anche in questo caso «gli intellettuali si staccano dalla classe dominante per unirsi a lei più intimamente» (Mach, EI p. 352, ER p. 454), perché proprio presentandosi come «autocoscienza culturale, autocritica della classe dominante» (ibid.) lo strato intellettuale può mostrare meglio la sua indipendenza, la sua autonomia, la sua «universalità» e esercitare meglio, quindi, le sue funzioni, essere maggiormente in grado di realizzare l'egemonia della classe alla quale è legato sull'insieme della società. In periodo di crisi organica (cfr. crisi) l'autonomia può tuttavia presentarsi anche come autentica rottura del legame organico.

Lo strato intellettuale rappresenta dunque la «coscienza» della classe alla quale serve: come operatori delle sovrastrutture gli intellettuali forniscono alla classe da cui provengono una visione chiara del proprio orientamento socio-economico, politico, culturale, che le permette di garantirsi e di gestire il proprio potere egemonico. In questo senso, gli intellettuali organici della classe progressiva devono confrontarsi con le ideologie degli altri gruppi sociali, già dominanti, che devono integrare alla concezione del mondo nuova ora dominante «assimilando» lo strato di intellettuali che Gramsci definisce intellettuali tradizionali.

«Ogni gruppo sociale "essenziale" emergendo alla storia dalla precedente struttura economica e come espressione di un suo sviluppo (di questa struttura) ha trovato, almeno nella storia finora svoltasi, categorie di intellettuali preesistenti e che anzi apparivano come rappresentanti di una continuità storica ininterrotta anche dai più complicati e radicali mutamenti delle forme sociali e politiche» (I, EI p. 4, ER p. 15). Gli intellettuali tradizionali rappresentano lo strato sociale che sopravvive al vecchio sistema di produzione. Sono tradizionali nella misura in cui nel nuovo modo di produzione non si trovano più organicamente legati alla nuova classe dirigente. Un intellettuale può dunque essere «tradizionale» solo nei confronti di una nuova classe egemone. Per esempio, i chierici, intellettuali organici dell'aristocrazia, nel nuovo modo di produzione in cui la classe aristocratica è classe subalterna e decadente, diventano intellettuali tradizionali nei confronti della classe borghese.

Poiché non sono uniti da un vincolo organico alla classe progressiva, gli intellettuali tradizionali si presentano come assolutamente «casti», prestigiosi, indipendenti dalla struttura, e come rappresentanti della continuità storica (pensiamo alla storia della filosofia come la concepiscono gli idealisti, che «va» da Platone a Croce). Uno degli aspetti della lotta per l'egemonia, che il proletariato conduce, come la borghesia quando era una classe progressiva, consiste nell'assimilare questi intellettuali tradizionali al fine di estendere il proprio potere egemonico alle classi alle quali questi erano legati organicamente, e quindi all'insieme della società. Ciò significa, tra l'altro, che il proletariato, dopo la presa del potere, dovrà assimilare gli intellettuali, divenuti tradizionali, della borghesia, continuare la sua lotta ideologica, realizzare una «rivoluzione culturale».

Questa concezione dell'intellettuale, che Gramsci applicherà all'analisi del Meridione (il proletariato del Nord, per estendere la sua egemonia sull'Italia intera dovrà legare a sé gli intellettuali del Sud, di estrazione contadina) completa, ma differenziandosene, quelle di Marx, Lenin e Kautsky: egli non definisce l'intellettuale opponendolo al lavoratore manuale, non ne fa un puro «ideologo» ma gli attribuisce importanti funzioni di organizzazione (economica, politica, culturale), di diffusione e di ricerca. Gli intellettuali costituiscono uno strato legato a una determinata classe sociale e ciò permette di non assimilarli alla borghesia ed evita la posizione leniniana che li esclude tanto dal proletariato quanto dalla borghesia (tranne gli intellettuali del partito). Questa concezione costituisce un apporto comunque originale di Gramsci al marxismo.