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Gramsci
le sue idee nel nostro tempo
Editrice l'Unità, Roma 1987

Ideologia e fanatismo

Gramsci conosce bene tutte le accezioni negative del concetto di «ideologia»: falsa coscienza, costruzione mentale arbitraria, puro riflesso della struttura economica etc. Ma, in una breve nota di uno dei primi Quaderni, una volta analizzato «il senso deteriore della parola», ricorda che, «presso a poco» — non ha di fronte testi da verificare — «il Marx» ha usato espressioni del tipo «quando questo modo di concepire avrà la forza delle credenze popolari ecc.»... La forza delle credenze popolari.

Gramsci è uno studioso della «credenza» fondamentale dotata di «forza»: la religione. «La forza delle religioni e specialmente della chiesa cattolica — scrive — è consistita e consiste in ciò che esse sentono energicamente la necessità dell'unione dottrinale di tutta la massa "religiosa" e lottano perché gli strati intellettualmente supe­riori non si stacchino da quelli inferiori». L'ideologia è dunque un aspetto di massa delle concezioni filosofiche. La filosofia ha una dimensione organica, si mostra con caratteri di universalità, esprime la visione «alta» di una classe, di blocco storico, di una egemonia. L'ideologia è la forma in cui essa diventa azione concreta, trasforma­zione della realtà, forza reale. Anzi, una vera e propria «fase intermedia tra la filosofia e la pratica quotidiana».

Gramsci è un marxista nemico dell'economicismo. Respinge la vulgata secondo la quale è la «struttura» che «determina» diretta­mente. Studia la complessità della società, l'articolazione delle funzioni, gli elementi che interagiscono e le diverse combinazioni in cui si presentano; la sopravvivenza di una fase storica nell'altra, o il «gioco» degli spostamenti ideologici da una classe ad un'altra, da un'area ad un'altra, da una nazione ad un'altra. In un passo dei Quaderni avanza l'esempio del «diritto di natura» che, «se è tramon­tato per le classi colte, è conservato dalla religione cattolica ed è vivace nel popolo, più di quanto si creda».

Strutture materiali e strutture ideali si compenetrano. E ciascu­na di esse si dispone su strati diversi. Ci sono i «grandi sistemi» (e Gramsci si trovava di fronte in Italia innanzitutto quello di Benedet­to Croce) e le idee diffuse che vanno a comporre il «senso comune». La battaglia egemonica obbliga dunque a misurarsi tanto sul livello della filosofia, quanto su quello della ideologia. Cioè impegna alla costruzione di un «sistema» più «alto», più comprensivo di realtà e di scienza, e insieme alla penetrazione di massa, là dove un «nuovo modo di concepire» può assumere «forza materiale».

Ma, nella battaglia egemonica, che cosa è dominante: la politica, l'economia o la filosofia?

«Se queste tre attività — scrive Gramsci — sono gli elementi costitutivi necessari di una stessa concezione del mondo, necessaria­mente deve esserci, nei loro principi teorici, convertibilità da una all'altra, traduzione reciproca nel proprio specifico linguaggio di ogni elemento costitutivo: uno è implicito nell'altro, e tutti insieme formano un circolo omogeneo».

Gramsci introduce qui un tema che gli è molto caro: il tema della traducibilità dei linguaggi. Si vedrà tra poco in quale relazione stia con la questione del «fanatismo».

Negli anni '20 Gramsci non aveva sottovalutato la funzione dell'utopismo, della credenza religiosa e mitologica, del fanatismo. Tanto nella continuità storica delle ideologie, quanto — per le classi subalterne in combattimento — per i periodi di ripiegamento e di sconfitta politica (e tale era il momento che si era trovato a vivere: il fascismo). Comunque il «fanatismo» gli era apparso come un elemento di subalternità: «Per le grandi masse della popolazione governata e diretta, la filosofia o religione del gruppo dirigente e dei suoi intellettuali si presenta sempre come fanatismo e superstizione, come motivo ideologico proprio di una massa servile». Se tali masse dunque vogliono liberarsi dal loro stato servile devono liberarsi dal fanatismo. Come? «Comprendere e valutare realisticamente la posi­zione e le ragioni dell'avversario (e talvolta è avversario tutto il pensiero passato) significa appunto essersi liberato dalla prigione delle ideologie (nel senso deteriore, di cieco fanatismo ideologico), cioè porsi da un punto di vista critico, l'unico fecondo nella ricerca scientifica».

Ma l'unico fecondo anche nella lotta politica, sociale, di classe. La questione qui si fa per Gramsci scottante. In Urss, la rivoluzione socialista ha preso la forma dello stalinismo. Il marxismo europeo corrente, e dominante nel movimento operaio, è un marxismo dogmatico, carico cioè di pesi religiosi e di movenze fanatiche. Egli avverte che il «filosofo della prassi» (il marxista), che vive sul terreno delle contraddizioni storiche, e prospetta un mondo senza contraddi­zioni, rischia subito di creare una utopia. Avverte anche l'incomben­za di un'altra contraddizione: una concezione storicistica, che mostra le origini pratiche di ogni «verità» creduta eterna, e il suo valore provvisorio, non può negare che ciò sia valido anche per se stessa. Ma in questo modo, non si scuotono «quei convincimenti che sono necessari per l'azione»?

In definitiva però Gramsci vede il pericolo maggiore in questo: «che la stessa filosofia della prassi tende a diventare una ideologia nel senso deteriore, cioè un sistema dogmatico di verità assolute ed eterne».

È un giudizio netto, una previsione chiara. Il dogmatismo («tradotto» naturalmente in un sistema politico ed economico) ha segnato tutta una stagione storica del marxismo. Gramsci cominciò a combatterlo dal fondo di un carcere fascista. Solo dopo molti decenni, tale critica si è potuta rispecchiare in un movimento politico di portata mondiale.

Fabio Mussi

giornalista - condirettore dell' Unità

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da

Dominique Grisoni, Robert Maggiori
Guida a Gramsci
BUR, Milano 1975


 IDEOLOGIA

L'ideologia è stata e rimane uno dei problemi fondamentali del marxismo. Consapevole di questa importanza, Gramsci vi ha dedicato numerosi testi che continuano e approfondiscono le ricerche già realizzate da Marx.

In realtà, è nell'ideologia e attraverso di essa che il proletariato conquista la sua coscienza di «classe per sé» e proprio in forza dell'ideologia potrà esercitare l'egemonia. Gramsci articola il suo studio sull'ideologia intorno a tre momenti: come riprendere e utilizzare le acquisizioni critiche di Marx? Qual è la composizione interna dell'ideologia? Quale la sua funzione?

Secondo Marx le ideologie erano, con le istituzioni, gli elementi costitutivi della sovrastruttura, dialetticamente collegata alla struttura, cioè alla base economica. Secondo alcuni, fra ideologia ed economia sussiste una relazione causale che in Marx può presentarsi ambigua e la cui interpretazione meccanica ha determinato molti errori: ogni modificazione della struttura determina una trasformazione immediata e necessaria delle ideologie. È vero che Marx, per difficoltà inerenti alla natura di tale concetto, non ne dà una definizione che ne faciliti la comprensione e l'uso, ma in molti testi egli precisa alcune fondamentali caratteristiche dell'ideologia. A livello delle masse, l'ideologia è un «riflesso» della realtà, che si radica nell'apparenza delle cose e ne restituisce un'immagine deformata e ingannevole ma conforme agli interessi della classe dominante, elaborata e resa sistematica dagli intellettuali di questa classe, per giustificare specificamente la realtà costituita dal modo di produzione. Per questo, in linea generale, l'ideologia non si presenta mai come tale, ma come una sfera autonoma e indipendente senza legami diretti o indiretti con una base materiale, cioè, soprattutto, senza legami diretti con la struttura.

La riflessione di Gramsci parte dunque dall'acquisizione che esiste un rapporto fra struttura e sovrastruttura e le sue ricerche si orientano verso l'individuazione di tali rapporti. In altri termini, si chiede Gramsci, come può l'ideologia diventare strumento della liberazione del proletariato e della sua egemonia?

Il concetto di ideologia è mutuato dalla terminologia dei filosofi sensisti del XVIII secolo. In origine, osserva Gramsci, significava «scienza delle idee» o «ricerca sulle origini delle idee». Sorge così la domanda: qual è l'origine del senso di «scienza delle idee»? Come ha assunto i significati di «superstruttura necessaria di una determinata struttura» e insieme di «elucubrazioni arbitrarie di determinati individui»? (MS, EI p. 48, ER p. 57).

Tutti gli errori di interpretazione sono dovuti al fatto che la costituzione interna di questo concetto non è mai stata formalmente stabilita. «Una ideologia... (è) una "concezione del mondo" che si manifesta implicitamente nell'arte, nel diritto, nell'attività economica, in tutte le manifestazioni della vita individuali e collettive» (MS, EI p. 7, ER p. 8). In altri termini, l'ideologia non costituisce una totalità astratta connessa a una totalità concreta, un rapporto ideale fra teoria e pratica, una catena invisibile che collega la coscienza al reale, ma è il processo dialettico della manifestazione di una «filosofia» determinata, attraverso strutture storiche materiali di cui modifica forma e contenuto, «realizzandosi». Questa definizione «estensiva» del concetto permette di distinguere le «ideologie storicamente organiche», legate a u-na classe fondamentale e necessarie al mantenimento di una certa struttura, dalle «ideologie arbitrarie» che sono le autogiustificazioni «volute» di una struttura, che apparentemente razionalizzano, ma il cui effetto reale è di generare «movimenti individuali» o comunque polemici. Un'altra conseguenza di questa definizione è di far rientrare nella «categoria» di ideologia pratiche della classe dominante che apparentemente ne sono estranee, soprattutto le pratiche scientifiche che Gramsci chiama anche «ideologie scientifiche» separando, nel concetto di scienza, ciò che è propriamente oggettivo e pratico ', il metodo di ricerca e di indagine, da ciò che appartiene al campo dell'ideologia: le teorie scientifiche.

Dopo aver dimostrato che l'ideologia occupa l'intero campo dell'attività pratica di una classe dominante, Gramsci analizza come, nell'ambito stesso dell'ideologia, coesistano una serie di livelli gerarchizzati di cui la filosofia è il più elaborato e cui seguono, a livello inferiore, il senso comune e infine, al livello più basso, il folklore. Questi tre «stadi» costituiscono non solo forme ideologiche che procedono dalla più semplice alla più «raffinata», ma modi di realizzazione dell'ideologia, cioè espressioni o strutturazioni che essa riceve da ogni classe sociale. Per questo, come esiste un'ideologia dominante direttamente e organicamente legata alla classe dominante di cui maschera, giustificandola, l'egemonia fondata sulla base economica, esistono anche ideologie diffuse nell'ambito di o-gni strato della formazione sociale, prodotte dall'ideologia dominante ma «adattate», «semplificate» per essere meglio assimilate e provocare più facilmente il consenso.

L'insieme dei mezzi realizzati per l'«adattamento» e dunque l'organizzazione materiale della diffusione dell'ideologia è definita da Gramsci «struttura ideologica» destinata a «mantenere, a difendere e a sviluppare il "fronte" teorico e ideologico» (PP, EI p. 172, ER p. 226). In primo luogo, incontriamo «la stampa, in generale: case editrici (...), giornali politici, riviste di ogni genere, scientifiche, letterarie, filologiche, di volgarizzazione ecc.» (PP, EI p. 172, ER p. 226) e la religione in quanto organizzazione, cioè la chiesa. Ma conta anche «tutto ciò che influisce o può influire sull'opinione pubblica direttamente o indirettamente: le biblioteche, le scuole, i circoli e clubs di vario genere, fino all'architettura, alla disposizione delle vie e ai nomi di queste» (ibid.). Di qui il potere egemonico di tale struttura ideologica che dispone di mezzi vari ed efficaci, tanto più in quanto «non confessano» la loro reale finalità, celandosi dietro una funzione dichiaratamente obbiettiva e neutra: l'informazione, l'espressione «libera», l'educazione ecc. È chiaro quindi che sarà difficile per il proletariato conseguire la coscienza «di sé» necessaria per organizzarsi e realizzare i fini storici del suo «programma politico».

E tuttavia, come indica Gramsci, l'ideologia è il luogo di tale presa di coscienza, che si realizza attraverso, e in forza della costituzione di un legame organico fra intellettuali e masse, quando il proletariato, esprimendo i propri intellettuali organici, riesce ad arricchire qualitativamente e quantitativamente questo nuovo «strato» facendo progredire la propria coscienza di sé. Ma per presa di coscienza nell'ideologia, bisogna anche intendere lo «spirito di scissione» che secondo Gramsci costituisce «l'acquisto progressivo della coscienza della propria personalità storica» (PP, EI pp. 172-173, ER p. 227), e che è un «travaglio ideologico» complesso la cui condizione principale è costituita dall'«esatta conoscenza del campo da svuotare del suo elemento di massa umano» (ibid.). Ciò significa che nell'ideologia ci sono «germi» sufficienti, cioè sufficiente materiale concettuale, utilizzabile attraverso mediazioni, che non ha ancora raggiunto lo «spirito di scissione», l'esperienza storica del proletariato e il suo posto nell'ambito del modo di produzione, o il suo «buon senso» e che, sottoposto a un preventivo lavoro critico, può diventare un elemento di conoscenza e quindi di emancipazione.

La nuova definizione di ideologia proposta da Gramsci (concezione del mondo implicita), precisando i contenuti che compongono la società civile, l'insieme degli organi di diffusione dell'ideologia, conferisce uno statuto concreto alla sovrastruttura che essa «libera» dalla relazione causale con la struttura, cui la riducono le deformazioni meccanicistiche, stabilendo fra i due termini un legame organico.

1 Sarà opportuno riferire le limitazioni che Gramsci introduce: la metodologia scientifica nella misura in cui usa strumenti intellettuali è dipendente e legata alla sovrastruttura, cioè all'ideologia.