da

Dominique Grisoni, Robert Maggiori
Guida a Gramsci
BUR, Milano 1975


  FOLKLORE

Nell'accezione gramsciana, la definizione di folklore rinvia immancabilmente a quella di senso comune perché è una delle sue espressioni più specifiche; una delle sue forme, ma anche uno dei suoi elementi costitutivi. Se ne distingue non per una o più differenze minori, ma per la sua complementarità con esso. Sono intimamente legati e dalla loro unione sorge ciò che si chiama comunemente la cultura popolare.

Gramsci si è interessato al folklore perché per lui rappresentava una via d'accesso alla conoscenza popolare, visto che, fino allora, tutti i tentativi per conseguire questa conoscenza erano falliti. Due ragioni essenzialmente giustificano questo fallimento: una di ordine metodologico, l'altra concettuale. D'altra parte, le sue «osservazioni sul folklore» sono una serie di rilievi critico-metodologici a proposito dei diversi studi sul fenomeno che, nel corso della loro analisi, spostano i termini del problema della realtà che il folklore costituisce. Tanto più quando pensano di farlo rientrare in categorie precostituite, vaghe e imprecise come «la letteratura, l'arte, la scienza, la morale popolare» (LVN, EI p. 215, ER p. 267) o di degradarlo a «elemento pittoresco» o, infine, di catalogarne le particolarità senza riuscire a organizzarle, classificarle o selezionarle. Metodi dunque insufficienti ma anche erronei perché fondati su una falsa concezione del folklore. Esso «non dev'essere concepito come una bizzarria, una stranezza o un elemento pittoresco, ma come una cosa che è molto seria e da prendere sul serio» (LVN, EI p. 218, ER p. 270).

In realtà il folklore «è» una concezione del mondo e della vita in larga misura implicita di strati (determinati nel tempo e nello spazio) della società in contrapposizione con le concezioni del mondo «ufficiali» (LVN, EI p. 215, ER p. 267). Questa formulazione riveste una grande importanza perché le classi subalterne, che non hanno ancora preso coscienza di sé, sono incapaci di elaborare la loro concezione del mondo, cioè una filosofia coerente in grado di opporsi alle «altre». Il folklore ha appunto questa funzione di contrapposizione: grazie ad esso gli «strati inferiori» della piramide sociale si rendono parzialmente in grado di resistere alle influenze delle filosofie «superiori» e di formularne una critica «rozza». Attraverso il folklore si esprime ciò che potremmo chiamare una pre-coscienza o una coscienza «diffusa» degli elementi incolti della società, costituita da strati sovrapposti formatisi nel corso della storia e dalla giustapposizione di elementi di attualità (ogni strato è una resistenza che viene opposta alle diverse filosofie che si sono succedute nel corso dello sviluppo storico). Di qui, la fisionomia spuria, arcaica e incoerente con cui il folklore si presenta e con la quale gli studiosi si scontrano.

Ma il folklore costituisce una via d'accesso alla «conoscenza del popolo», se si ammette che il popolo in se stesso «non è una collettività omogenea di cultura, ma presenta stratificazioni culturali numerose, variamente combinate, che nella loro purezza non sempre possono essere identificate in determinate collettività storiche» (LVN, EI p. 221, ER p. 274), e che il folklore, in quanto produzione del popolo, ne costituisce la più fedele immagine.