da
Gramsci
le sue idee nel nostro tempo
Editrice l'Unità, Roma 1987
Filosofia della praxis
Il concetto di 'prassi', come agire individuale e sociale, è
al centro di tutta la filosofia inaugurata da Karl Marx e del suo
modo di affrontare i problemi della produzione e della scienza. Nei
cosiddetti Manoscritti economico-filosofici del 1844, che Gramsci
non ebbe la possibilità di conoscere, Marx scriveva:
«... come la società... produce l’uomo in quanto uomo,
così essa è prodotta da lui» (K. Marx,
Manoscritti economico-filosofici del 1844 in Marx-Engels, Opere,
III, Roma 1976, pp. 324-325). Questa idea per cui la 'produzione' o
'prassi umana' è comprensiva non solo del lavoro ma anche di
tutte le attività che si oggettivano in rapporti sociali,
istituzioni, bisogni, scienza, arte ecc., traversa tutto il pensiero
di Marx e costituisce il suo principio fondamentale.
Antonio Labriola ha sviluppato questo aspetto, sostenendo che il
materialismo storico «parte dalla praxis, cioè dallo
sviluppo della operosità e, come è la teoria dell'uomo
che lavora, così considera la scienza stessa come un
lavoro» (A. Labriola, La concezione materialistica della
storia, Bari 1965, p. 233). Per Labriola «ogni atto di
pensiero è uno sforzo; cioè un lavoro nuovo»,
mentre «il lavoro compiuto, ossia il pensiero prodotto,
agevola i nuovi sforzi diretti alla produzione di novello
pensiero» (ivi, p. 215).
Questa premessa serve a dimostrare che il termine 'filosofia della
prassi', di cui parla Gramsci, non è un espediente
linguistico, ma una concezione che egli recepisce come unità
tra teoria e pratica. Discutendo la Tesi XI di Marx, che propone di
cambiare il mondo e non più di interpretarlo, Gramsci scrive
che tale tesi «non può essere interpretata come un
gesto di ripudio di ogni sorta di filosofia», ma come
«l'egemonica affermazione di unità tra teoria e
pratica... Se ne deduce anche che il carattere della filosofia della
praxis è specialmente di essere una concezione di massa,
una cultura di masse» (A. Gramsci, Quaderni del carcere,
Torino 1975, pp. 1270-71). E altrove ripete: «per la filosofia
della praxis, l'essere non può essere disgiunto dal pensare,
l'uomo dalla natura, l'attività dalla materia, il soggetto
dall'oggetto; se si fa questo distacco si cade in una delle tante
forme di religione o nell'astrazione senza senso» (ivi, p.
1224).
L'unità di teoria e di pratica serve a Gramsci per delineare
una serie di concetti scientifici in grado di interpretare il mondo
a lui contemporaneo (egemonia, blocco storico, nuovo senso comune,
conformismo di massa nel suo nesso con nuove forme di libertà
individuali e collettive, rivoluzione passiva, ecc.). Qui, in sede
generale, in relazione alla filosofia della prassi ci limiteremo
alle seguenti considerazioni:
Né la filosofia della prassi né alcuna scienza a essa
collegata ci consentono di fare previsioni che abbiano carattere
deterministico. C'è un unico modo possibile di prevedere, ed
è quello per cui esso è un atto pratico che implica la
formazione e la organizzazione di una volontà collettiva. Da
questa tesi Gramsci ricava la sua critica a Croce, in quanto la sua
religione della libertà non contribuisce a creare risultati
prevedibili, evitando di formulare un disegno di trasformazione e
una volontà politica che a esso corrisponda. Questa stessa
teoria della 'previsione' mette in crisi le concezioni
deterministiche tipiche dello scientismo della II
Internazionale, che sono anch'esse fonte di passività.
Le volontà di cui parla Gramsci e, quindi, la prassi, non
sono allo stato puro, ma contengono gli elementi materiali che
l'uomo stesso ha oggettivato. Ciò significa in primo luogo
che la filosofia della prassi è per Gramsci la coscienza
piena delle contraddizioni della società a lui
contemporanea, sicché «lo stesso filosofo, inteso
individualmente o inteso come intero gruppo sociale, non solo
comprende le contraddizioni, ma pone se stesso come elemento della
contraddizione, eleva questo elemento a principio di conoscenza e
quindi di azione» (ivi, p. 1487).
Scienze dell'uomo, tra loro distinte, e anche scienze della natura
trovano al di là della loro indipendenza un momento di
unità, diventando politica. Gramsci sintetizza ciò nei
termini che seguono: «La filosofia della prassi è lo
'storicismo' assoluto, la mondanizzazio ne e terrestrità
assoluta del pensiero, un umanesimo assoluto della storia»
(ivi, p. 1437). Per intendere questa ultima affermazione, il lettore
dovrà richiamare la tesi sopra riportata sulla verità
come corrispondenza a una realtà dall'uomo stesso
oggettivata.
3) Gramsci definisce «l'uomo come una serie di rapporti attivi
(un processo)», tali che esso «non entra in rapporto
colla natura semplicemente per il fatto di essere egli stesso
natura, ma attivamente, per mezzo del lavoro e della
tecnica» (ivi, p. 1345). In altre parole ogni individuo
«non solo è la sintesi dei rapporti esistenti, ma anche
della storia di questi rapporti, cioè è il riassunto
di tutto il passato» (ivi, p. 1346). Come è possibile
cambiare il mondo se il singolo dipende in tal modo dal suo passato?
La risposta di Gramsci è che «il singolo può
associarsi con tutti quelli che vogliono lo stesso cambiamento, e se
questo cambiamento è razionale, il singolo può...
ottenere un cambiamento ben più radicale di quello che, a
prima vista, può sembrare possibile» (ibidem).
In conclusione, la filosofia della prassi è per Gramsci
costruzione di volontà collettive corrispondenti ai
bisogni che emergono dalle forze produttive oggettivate o in via di
oggettivazione e dalla contraddizione tra queste e il grado di
cultura e di civiltà espresso dalle relazioni sociali. Sono
implicite in questa, che appare come una concezione filosofica, una
serie di scienze della natura e dell'uomo. Prese isolatamente, esse
possono essere ritenute indipendenti; considerate come
espressione della possibile contraddizione tra attività
creative e rapporti comunicativi di tipo sociale, entrano a far
parte della filosofia della prassi e possono in tal modo influire
sulla politica, cioè su quei cambiamenti che ci fanno
intravedere un nuovo modo di vivere a superiori livelli di
civiltà.
Nicola Badaloni
docente di storia della filosofia all'Università di Pisa
*
da
Dominique Grisoni, Robert Maggiori
Guida a Gramsci
BUR, Milano 1975
FILOSOFIA DELLA PRASSI1
Secondo Gramsci, la filosofia della prassi non ha ancora assunto una
forma propriamente «filosofica», nel senso di un
discorso e di un'azione coerenti e organizzati. «La filosofia
della prassi» osserva Gramsci «è nata sotto forma
di aforismi e di criteri pratici per un puro caso, perché il
suo fondatore ha dedicato le sue forze intellettuali ad altri
problemi, specialmente economici (in forma sistematica); ma in
questi criteri pratici e in questi aforismi è implicita tutta
una concezione del mondo, una filosofia.» (MS, EI p. 125, ER
p. 147.)
Questa presa di posizione che individua una filosofia implicita nei
testi di Marx (specialmente nelle Tesi su Feuerbach, nella
Introduzione del '57 e nella Prefazione a Per la critica
dell'economia politica, a cui spesso Gramsci si richiama) presuppone
non solo il rifiuto della posizione crociana che interpretava
l'assenza di sistematicità come assenza di una costruzione
filosofica marxista, negando quindi la formazione di una concezione
del mondo proletaria e definendo il marxismo una mera metodologia
storica, ma un importante fondamento teorico: la filosofia della
prassi è ancora da elaborare, ma ciò non significa che
non esista potenzialmente; al contrario, spetta ai successori di
Marx e di Engels di sviluppare ciò di cui essi hanno lasciato
il nucleo iniziale.
Per questo, il primo compito che Gramsci si è posto è
stato di determinare che cosa sia la filosofia (cfr. filosofia) per
delineare intorno a questo nucleo fondamentale l'abbozzo di
ciò che avrebbe dovuto essere la nuova filosofia, la
filosofia integrale o filosofia della prassi. (Gramsci non la
sistematizzerà, ma ne darà le linee di forza
indicandone la direzione di sviluppo.) Per cogliere appieno il senso
e le dimensioni di questa filosofia è prima di tutto
necessario individuarne il luogo di nascita, il terreno culturale.
Secondo Gramsci «la filosofia della prassi è nata sul
terreno del massimo sviluppo della cultura della prima metà
del XIX secolo, rappresentata dalla filosofia classica tedesca,
dall'economia classica inglese e dalla letteratura e pratica
politica francese» (MS, EI p. 90, ER p. 104). La filosofia
della prassi è sorta nel luogo di congiunzione di queste tre
correnti culturali e ciò legittima, in certo senso, i
«prestiti» che ne assunse per costituirsi ma spiega
anche il lavoro critico che intraprese per adattare i concetti
«mutuati» dalle altre filosofie che le servivano da
fondamento. Perciò, ogni tentativo di spiegare il contenuto
dell'espressione «filosofia della prassi» deve prima di
tutto individuare il rapporto che intercorre fra filosofia e prassi.
Gramsci precisa (cfr. filosofia) come una filosofia sia sempre,
implicitamente, sottesa a ogni azione umana, sia in quanto progetto
sia in quanto conoscenza, sia anche in quanto etica. Questi tre
elementi si possono articolare fra loro in un ordine e secondo
modalità apparentemente diverse. Ma bisogna distinguere
quanto vi è di implicito, cioè non chiaramente
enunciato, anche se esistente, non ancora organizzato all'interno di
un discorso, da ciò che è invece esplicito, o meglio
da ciò che costituisce già una concezione del mondo
espressa coerentemente. Gramsci, in effetti, mostra che il senso
comune non può essere considerato la «vera»
filosofia delle masse (e nemmeno una filosofia vera e propria),
perché è disorganico, incoerente e composito. Il senso
comune assume talvolta atteggiamenti filosofici facendo sorgere,
ogni tanto, frammenti di una concezione del mondo ereditata dal
passato o dall'attuale Weltanschauung dominante, ma per la sua
natura disorganica, inautentica, non può pretendere di
assumere lo statuto di filosofia né, a maggior ragione,
quello di filosofia dominante, quindi di costituire l'asse portante
dell'egemonia proletaria. Tuttavia una filosofia è anche una
concezione del mondo (non la esaurisce: è una delle parti che
costituiscono una concezione del mondo); e l'azione porta con
sé una concezione del mondo implicita.
La filosofia sorge quindi dalla riflessione sull'azione, sulla
prassi o, in altri termini, sorge dal moto retroattivo che
però, in certe condizioni, può verificarsi anche prima
dell'azione ed è in questo caso pre-attivo. Ma Gramsci
privilegia il primo caso. Esso consiste in una
«sistematizzazione» della concezione del mondo contenuta
nell'azione realizzata. Gramsci fa questa constatazione rilevando
che «l'uomo attivo di massa» ha due tipi di
«coscienza teorica»: «una implicita nel suo
operare e che realmente lo unisce a tutti i suoi collaboratori nella
trasformazione pratica della realtà e una superficialmente
esplicita o verbale che ha ereditato dal passato e accolto senza
critica» (MS, EI p. 11, ER p. 14). Queste «due
coscienze» possono entrare fra loro in contraddizione e
impedire, in questo senso, che l'azione rifletta le convinzioni di
chi agisce. In questo caso, secondo Gramsci, la concezione del mondo
dell'uomo di massa è quella contenuta nella sua azione. Si
tratta di assumerla e farne il fondamento della filosofia della
prassi. Perciò «una filosofia della prassi non
può che presentarsi inizialmente in atteggiamento polemico e
critico, come superamento del modo di pensare precedente e del
concreto pensiero esistente (o mondo culturale esistente). Quindi,
innanzitutto, come critica del "senso comune"...» (MS, EI p.
9, ER p. 11).
La filosofia della prassi si oppone a ciò che si propone di
sostituire, e si costituisce quindi secondo un processo opposto a
quello «logico» tradizionale, di elaborazione dei
sistemi filosofici: non si pone a priori, non si organizza in
sistema filosofico (nel senso forte del termine) prima
dell'attività nel reale, ma si costituisce a posteriori,
quando l'azione si è già concretizzata. Ecco
perché si chiama filosofia della prassi. Il termine della
sotto linea il legame dialettico fra la filosofia, la prassi e il
movimento che determina la loro connessione. L'azione rivela una
filosofia implicita, la riflessione sviluppa e
«sistematizza» questa filosofia, cioè le
conferisce uno statuto filosofico organizzandola e rendendola
esplicita.
Ma forse bisogna superare anche questo livello di lettura per
comprendere con maggior precisione la profondità della
ricerca gramsciana. Abbiamo visto come egli stabilisce il legame fra
teoria e prassi conferendo al nesso dialettico che le unisce il
carattere materiale di un movimento di compenetrazione dell'una
nell'altra, realizzato attraverso l'insorgere di un discorso-azione
filosofico. In questo modo, ripropone l'elaborazione e lo sviluppo
del concetto di dialettica che ha avuto varia fortuna, sia presso
Croce e gli idealisti europei di questo periodo, sia presso i
marxisti come Bucharin, perché «la funzione e il
significato della dialettica possono essere concepiti nella loro
fondamentalità solo se la filosofia della prassi è
concepita come una filosofia integrale e originale, che inizia una
nuova fase della storia, e nello sviluppo mondiale del pensiero in
quanto supera (e superando include in sé gli elementi vitali)
sia l'idealismo che il materialismo tradizionali, espressioni delle
vecchie società. Se la filosofia della prassi non è
pensata che subordinatamente a un'altra filosofia, non si può
concepire la nuova dialettica nella quale, appunto, quel superamento
si effettua e si e-sprime» (MS, EI p. 132, ER p. 156).
Gettando le basi della filosofia della prassi, Gramsci riprende i
principali concetti già in parte elaborati da Marx e cerca di
individuare il legame dialettico necessario alla loro
riunificazione. Perciò in questa sola linea di sviluppo non
potremo «sistematizzare» esaustivamente tutti gli
orientamenti che egli propone per la filosofia del proletariato;
dovremmo in tal caso ripetere quanto abbiamo detto in altre parti di
questo glossario. Gramsci dichiara semplicemente l'esigenza di
costituire questa filosofia in un prossimo futuro perché essa
è un elemento indispensabile alla liberazione del
proletariato che passa, secondo Gramsci, attraverso ciò che
egli definisce (con espressione singolare) catarsi, cioè
attraverso «l'elaborazione superiore della struttura in
superstruttura nella coscienza degli uomini». Negli anni in
cui Gramsci era in carcere, il processo era in una fase di
«discussione», una fase preliminare che doveva
svilupparsi necessariamente verso una fase successiva di
«elaborazione superiore». La fase che dovrebbe segnare
il passaggio dal regno della necessità al regno della
libertà.
1 In linea generale, si ritiene che Gramsci abbia usato
l'espressione «filosofia della prassi» per eludere la
censura. Questa espressione sostituirebbe «marxismo»,
cioè «materialismo dialettico» e
«materialismo storico». Pensiamo che, se anche questa
è stata l'intenzione di Gramsci, in certe occasioni la
metafora possiede una sua autonomia proprio nella misura in cui
permette di superare la separazione fra i due materialismi. In
questo senso useremo tale espressione e la legittimeremo con una
spiegazione.