Questi saggi sono stati sparsamente pubblicati, nel corso degli
ultimi quattro anni, in riviste scientifiche e in atti accademici1;
e io m'induco a raccoglierli in volume non solo per la ragione
libraria, che le prime ristrette edizioni ne sono esaurite, e
intanto accade che essi siano molto discussi e di continuo
richiamati nelle controversie che si agitano sul marxismo; ma anche
perché, riuniti, si chiariscono a vicenda e, se non
m'inganno, offrono nel loro giro un esame abbastanza compiuto dei
problemi teorici fondamentali di quella dottrina.
E stato affermato, da più d'uno, che io, da rigido marxista
ortodosso, mi sia venuto via via mutando e abbia assunto, in fine,
atteggiamento di critico e di oppositore. Non avrei, naturalmente,
nessuna difficoltà ad ammettere il fatto, se fosse vero; ma
che non sia vero, non debbo spendervi parole intorno : i saggi qui
raccolti, e che sono tutto ciò che ho mai pubblicato in
materia, bastano a provarlo. Si vedrà che già in
quello sul Campanella (pubblicato nel 1895) si criticavano le
stravaganze filosofiche e storiche di uno dei più autorevoli
marxisti ortodossi, del Lafargue; che nel secondo (messo come primo
nel volume) sono tutte le idee, riaffermate poi negli altri, sui
limiti entro i quali il materialismo storico è da accogliere,
e vi si discutono i punti a mio credere non accettabili della
rielaborazione fattane dal prof. Labriola; che nel terzo, sul Loria,
pubblicato sul finire del 1896, è brevemente formolata la
poco ortodossa interpretazione della teoria marxistica del valore,
svolta negli scritti seguenti e che ha porto argomento alla recente
polemica col mio sempre ottimo amico Antonio Labriola. Dunque, per
quanto io cerchi ed altri cerchi, non si riesce a determinare il
tempo in cui sarei stato «marxista ortodosso», e il
momento in cui sarebbe avvenuta la mia «conversione».
Un disaccordo e una varietà è, di certo, in questi
scritti; ma non già nella sostanza del pensiero, sibbene nel
tono o nel colorito che si voglia dire. Composti in tempi diversi,
sotto diverse impressioni e con diversi sentimenti, — da quello di
entusiasmo, che desta la prima lettura dell'opera geniale di uno
scrittore come il Marx, a quello di disgusto per le pedanterie, i
sofismi e le vacuità dei suoi prossimi scolari, — è
naturale che, di tutto ciò, questi scritti si risentano. Ma
spero, che non si vorrà confondere il variar del pathos col
variar del logos. Nel raccoglierli, non ho voluto farvi se non poche
e piccole correzioni; e la sola soppressione notevole è
quella della lunga appendice bibliografica, che accompagnava il
primo saggio del volume: bibliografìa, che sarebbe ora
superflua, tanto più che si è intrapresa in Italia, a
cura del prof, decotti, un'edizione delle opere maggiori e minori
del Marx, dell'Engels e del Lassalle, tradotte nella nostra lingua.
Mi sembra opportuno far notare che i miei scritti, benché
condotti con altra forma di esposizione e, direi, con altri abiti
mentali, e con maggiore interessamento per la pura filosofia,
rappresentano in Italia, nella interpretrazione e critica delle
dottrine marxistiche, la medesima tendenza, che si è venuta
svolgendo quasi contemporaneamente in Francia per opera del Sorel, e
che procura di liberare il nòcciolo sano e realistico del
pensiero del Marx dai ghirigori metafisici e letterari del suo
autore, e dalle poco caute esegesi e deduzioni della scuola. Mi
auguro che i saggi del Sorel, cosi importanti, vengano presto
anch'essi raccolti in volume. Avvertirò anche che. per quel
che concerne la prima fase del pensiero del Marx e la sua
costruzione filosofica e metafisica (la quale resta come strascico,
e talvolta come semplice fraseologia, nei suoi scritti posteriori),
io non ho avuto occasione di farvi se non qualche accenno, piuttosto
per indicare le questioni di genesi storica e di critica teorica da
risolvere, che non per risolverle io stesso. Ma l'argomento è
stato ora tolto a considerare di proposito dal valente prof.
Giovanni Gentile (La filosofia di Marx, studi critici, Pisa,
Spoerri, 1899), e io rimando per questa parte al suo ottimo lavoro.
Napoli, luglio 1899.
1 Il primo, col titolo: Sulla concezione materialistica della
storia, in Atti dell'Accad. Pontaniana di Napoli, vol. XXVI, 1896, 3
maggio; il secondo, in francese, nel Devenir social, a. II, fasc. di
novembre 1896, e in italiano, Napoli, Giannini, 1897; il terzo,
anche negli Atti della Pontaniana, vol. XXVII, 21 novembre, e poi in
francese nel Devenir social, fasc. di febbraio e marzo 1898,
estratto col titolo : Essai d'interprétation et de critique
de quelques concepts du marxisme, Paris, Giard et Brière,
1898; il quarto, in francese, nel Devenir social del novembre 1898;
il quinto, nella Riforma sociale di Torino, a. VI, fasc. V, maggio
1899 ; il sesto, in Atti della Pontaniana vol. XXIX, 1899, 7 maggio.
Il saggio sul Comunismo di T. Campanella fu pubblicato nell'Archivio
storico per le provincie napoletane, a. XX, 1895, fasc. IV.
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La terza edizione ha ricevuto solo lievi ritocchi, perché,
sebbene in altri miei lavori io abbia ripreso alcuni degli argomenti
discorsi in questi saggi, considerandoli sotto nuovi aspetti, e
abbia svolto, e anche qua e là corretto, alcune delle teorie
che vi sono proposte, ho voluto lasciare inalterata la fisionomia
generale di un libro nel quale non poco del mio posteriore
filosofare è come in germe e in abbozzo.
Nei venti anni e più, passati dal tempo in cui la maggior
parte di esso fu scritta, il mondo, al suo solito, è andato
innanzi; e sono andato innanzi anch'io. E se ora ricerco le cagioni
oggettive dell'interessamento onde già fui preso pel marxismo
e pel suo materialismo storico, vedo che ciò accadde
perché, attraverso quel sistema, io risentivo il fascino
della grande filosofia storica del periodo romantico, e venivo come
scoprendo un hegelismo assai più concreto e vivo di quello
che ero solito d'incontrare presso scolari ed espositori, che
riducevano Hegel a una sorta di teologo o di metafisico
platonizzante. Nella concezione politica poi, il marxismo mi
riportava alle migliori tradizioni della scienza politica italiana,
mercè la ferma asserzione del principio della forza, della
lotta, della potenza, e la satirica e caustica opposizione alle
insipidezze giusnaturalistiche, antistoriche e democratiche, ai
cosiddetti ideali dell'89. Per queste stesse ragioni, mi attraeva la
figura del Marx, del quale testé i più dei suoi
seguaci italiani e francesi hanno appreso con maraviglia che
caldeggiava le guerre, ammirava i Bismarck e i Moltke, e giubilava
delle vittorie tedesche contro la Francia: maraviglia assai ingenua.
Molteplici testimonianze di coloro che lo conobbero da presso
già ce l'avevano descritto imperatorio di temperamento e
sprezzante, estimatore della sola aristocrazia, alla quale si
argomentava di ergere contro, non già i poverelli o il
«buon popolo», ma la sua nuova società
lavoratrice, concepita anch'essa come una sorta di aristocrazia.
Chi tornerà col pensiero sulla storia della cultura italiana
degli ultimi decenni non potrà, a mio avviso, non avvertire
la larga e benefica efficacia esercitata dal marxismo sugli
intelletti italiani tra il 1890 e il 1900. Per quella dottrina,
penetrata nelle università insieme col giovanile socialismo,
gli studi storici furono, dopo lunga decadenza, ritolti alla
incompetenza dei puri filologi e letterati, e dettero buoni frutti
di storia economica, giuridica e sociale; e il pensiero filosofico
ne venne assai stimolato per la ripresa di operosità alla
quale si andava allora preparando.
Ma ora, dopo più di venti anni, il Marx ha perduto in gran
parte l'ufficio di maestro, che allora tenne; perché, nel
frattempo, la filosofia storica e la dialettica sono risalite alle
loro proprie fonti e vi si sono rinfrescate e rinnovate per trarne
lena e vigore a più ardito viaggio, e, quanto alla teoria
politica, il concetto di potenza e di lotta, che il Marx aveva dagli
Stati trasportato alle classi sociali, sembra ora tornato, dalle
classi agli Stati, come mostrano nel modo più chiaro teoria e
pratica, idea e fatto, quel che si medita e quel che si vede e
tocca. La qual cosa non deve impedire di ammirare pur sempre il
vecchio pensatore rivoluzionario (per molti rispetti assai
più moderno del Mazzini, che gli si suole presso di noi
contrapporre): il socialista, che intese come anche ciò che
si chiama rivoluzione, per diventare cosa politica ed effettuale,
debba fondarsi sulla storia, armandosi di forza o potenza (mentale,
culturale, etica, economica), e non già confidare nei sermoni
moralistici e nelle ideologie e ciarle illuministiche. E, oltre
l'ammirazione, gli serberemo, — noi che allora eravamo giovani, noi
da lui ammaestrati, — altresì la nostra gratitudine, per aver
conferito a renderci insensibili alle alcinesche seduzioni (Alcina,
la decrepita maga sdentata, che mentiva le sembianze di florida
giovane) della Dea Giustizia e della Dea Umanità.
Viù (Torino), settembre 1917.
B. C.