Chi prenda a leggere con attenzione il libro del professor Stammler1
si avvede presto che in esso non si tratta già del
materialismo storico in quanto utile canone per interpretare la
storia concreta, ma del materialismo storico considerato in quanto
scienza o filosofia della società.
Sta di fatto che sopra le primitive osservazioni del Marx si sono
venuti accumulando molteplici tentativi di una teoria generale della
storia e della società; ai quali, e non ai meno arrischiati
di essi, si riferisce lo Stammler, prendendoli come punto di
partenza del suo lavoro di critica e di costruzione. E forse appunto
per questa ragione gli piace discutere il materialismo storico nella
forma datagli dall'Engels, che chiama la più perfetta.
!'«autentica» (!) esposizione dei principi del
materialismo sociale, anziché in quella del Marx, che gli
sembra troppo frammentaria, e, in verità, meno facilmente si
riduce a schematica teoria. L'Engels, invece, fu dei primi a dare al
materialismo storico significato superiore all'originario; e
all'Engels si deve, com'è noto, la denominazione stessa di
«materialismo storico».
Non potendosi perciò negare che il materialismo storico si
sia efifettivamente manifestato in questi due modi, logicamente se
non praticamente distinti, ossia 1°) come movimento
storiografico, e 2°) come scienza e filosofia della
società, non v'ha niente da opporre allo Stammler, quando
egli si restringe a questo secondo problema e lo ripiglia dal punto
al quale gli pare che i teorici l'abbiano condotto. Ma importa
avvertire, ch'egli di storia e di questioni storiologiche non
tratta; ossia, che lascia fuori di considerazione ciò che per
parecchi (e per me tra questi) è la parte viva e
scientificamente interessante di quella dottrina.
Il prof. Stammler nota come nelle proposizioni di cui si valgono i
materialisti storici: «il fattore economico domina sugli altri
della vita sociale»; «il fattore economico è
fondamentale e gli altri sono dipendenti», e simili, il
concetta di « economico» non sia stato mai definito. E a
buon diritto fu questa obiezione, e le dà somma importanza,
posto ch'egli considera e intende quelle sentenze come affermazioni
di leggi, come rigorose proposizioni di scienza sociale. Mettere a
fondamento della scienza un concetto che non si saprebbe poi
né definire né chiarire, e che resta perciò un
semplice vocabolo, sarebbe, in verità, alquanto strano. Ma la
sua obiezione perde importanza quando quelle proposizioni vengano
intese come «riassunti di osservazioni empiriche a sussidio di
chi si volga a interpretare i fatti sociali concreti». Non
credo che nessuna persona di buon senso abbia pensato mai sul serio
a cercare in quelle parole una determinazione rigorosa e filosofica
di concetti, sebbene ogni persona di buon senso comprenda
agevolmente a quali ordini di fatti esse accennino. La parola
« economico» corrisponde ivi, come nel linguaggio
corrente, non a un concetto, ma a un gruppo di rappresentazioni
alquanto disparate, alcune delle quali anche di contenuto non
qualitativo ma quantitativo. Quando si afferma che,
nell'interpetrare la storia, bisogna guardare principalmente al
fattore economico, la mente corre subito alle condizioni della
tecnica, alla distribuzione della ricchezza, alle classi e
sottoclassi legate da determinati interessi comuni, e così
via. Di certo, queste varie rappresentazioni non sono riducibili a
concetto unico; ma non si tratta di ciò, perché qui
siamo in sedo affatto diversa da quella in cui si dibattono
questioni di natura rigorosamente concettuale.
Se (per spiegarci meglio su questo punto, che merita dilucidazione)
«economico» si prende in senso rigoroso, per esempio nel
senso in cui è usato nella pura economia, ossia se per esso
s'intende il principio conforme al quale si cerca la massima
soddisfazione col minore sforzo possibile, è evidente che,
col dire che questo fattore ha parte (fondamentale, preponderante o
eguale a quella di altri) nella vita sociale, non si direbbe nulla
di preciso e di pensabile. L'economicità è un
principio generalissimo, e puramente formale, di condotta; e non
è concepibile che si operi poco o molto, in un modo o in un
altro, senza seguire bene o male, il principio stesso di qualsiasi
azione, ch'è il principio economico. Peggio ancora se
«economico» si assume nel senso che, come vedremo, gli
assegna il prof. Stammler, e se con esso si abbracciano «tutti
i fatti sociali concreti»; nel qual senso sarebbe addirittura
assurdo affermare che il fatto economico, ossia tutti i fatti
sociali nella loro concretezza, dominino sopra... una parte di essi
fatti. Per ritrovare, dunque, nella parola « economico»,
quale si usa in quelle proposizioni, un particolare significato,
bisogna uscire dall'astratto e dal formale, concepire azioni umane
con certi fini determinati, aver presente l'uomo storico, e anzi
l'uomo medio della storia o di un'epoca storica più o meno
lunga; pensare, per esempio, ai bisogni del pane, delle vesti, delle
relazioni sessuali, delle cosiddette soddisfazioni morali, di stima,
di vanità, di dominio, e via. L'enunciazione del fattore
economico accenna allora a gruppi di fatti particolari, che si sono
costituiti nel linguaggio corrente e che sono più
particolarmente determinati nella storiografia e nei programmi
pratici del Marx e del marxismo.
In fondo, lo stesso prof. Stammler riconosce ciò, quando
chiarisce il senso corrente delle espressioni «fatti
economici» e - «fatti politici», rivoluzione
«più politica che economica», e simili. Queste
distinzioni (egli dice) non possono concepirsi se non in concreto,
rispetto agii scopi che sono proseguiti dai singoli componenti della
società e ai problemi particolari della vita sociale. — Ma,
per lui, nell'opera del Marx non si tratta di simili «piccole
considerazioni»: che la cosidetta vita economica eserciti
un'efficacia sulle idee, sulle scienze, sulle arti, e simili: roba
vecchia, di poca conseguenza. Come il materialismo filosofico non
consiste nell'affermare che i fatti corporali abbiano efficacia
sugli spirituali, ma nel far di questi una mera apparenza, irreale,
di quelli; così il materialismo storico deve consistere
nell'affermare che l'economia è la vera realtà e il
diritto è l'ingannevole apparenza.
Senonchè, con buona pace del prof. Stammler, noi crediamo che
nelle proposizioni del Marx valgano appunto quelle «piccole
considerazioni» da lui accennate sprezzantemente; le quali,
per altro, non sono forse ne tanto piccole né di lievi
conseguenze. E perciò il suo libro non ci pare una critica
del materialismo storico nella sua parte più viva, come
movimento o scuola storiografica. La critica della storia si fa con
la storia; e il materialismo storico è, a nostro avviso,
storia fatta o in fieri.
E non costituisce nemmeno il principio di una critica del
socialismo, in quanto disegno di un particolare movimento sociale.
Lo Stammler s'inganna nel credere che il socialismo si fondi sulla
filosofia materialistica della storia, quale egli l'espone: su
quella filosofia si fondano piuttosto le illusioni e le
fantasticherie di alcuni o di molti socialisti. Il socialismo non
può appoggiarsi sopra un'astratta teoria sociologica,
perché la base sarebbe insufficiente appunto perché
astratta ; non può appoggiarsi sopra una filosofia della
storia a ritmo o piano prestabilito, perché la base sarebbe
fallace. Esso invece è un fatto complesso e risulta da
elementi svariati; e, per quel che concerne la storia, il
presupposto del socialismo non è una filosofia della storia,
ma una concezione storica determinata dalle condizioni presenti
della società e del modo in cui questa vi è pervenuta.
Mettiamo da parte le sovrapposizioni dottrinarie posteriori; e,
rileggendo senza preconcetti le pagine del Marx, si vedrà
com'egli non abbia sostanzialmente inteso altro nel riferirsi alla
storia come a elemento giustificativo del socialismo.
«Non è provata scientificamente la necessità
della socializzazione dei mezzi di produzione». Lo Stammler
vuol dire che il concetto di necessità è qui malamente
introdotto dai marxisti, che la teleologia è arbitrariamente
negata, e che perciò la tesi della socializzazione dei mezzi
di produzione, come programma sociale, non è motivata
logicamente. Ciò non impedisce che quell'affermazione possa
essere verissima, sia perché accanto alla logica
dimostrazione vi ha la felice intuizione, sia perché un
risultamento può esser vero anche quando parta da una
premessa falsa: basta (e ciò è ovvio) che si abbiano
due errori i quali si elidano a vicenda. E sarebbe il caso nostro.
Negazione della teleologia; accettazione tacita di questa stessa
teleologia: ecco un procedere scientificamente scorretto, con
risultamento che può essere giusto. Rimane da esaminare tutto
il tessuto di esperienze, deduzioni, aspirazioni e previsioni, in
cui consiste davvero il socialismo; ma, innanzi a cose siffatte,lo
Stammler passa indifferente, pago di aver messo in chiaro un
erroreformola nella filosofica di un presupposto lontano,
errore nel quale incorrono alcuni, o molti che siano, tra i
propugnatori e pubblicisti del socialismo.
Tutte codeste restrizioni sono necessarie per determinare l'ambito
in cui si aggira la ricerca dello Stammler, senza voler già
concludere da ciò, che il punto di partenza della ricerca
stessa sia da rigettare. Il materialismo storico (dice il prof.
Stammler) non è riuscito a darci una valida scienza della
società; e quantunque questo sembra non fosse il suo intento,
praticamente si può essere d'accordo, che la scienza della
società non c'è in quella letteratura. Il professor
Stammler soggiunge che, se il materialismo storico non ha dato una
teoria sociale accettabile, contiene per altro un «eccitamento
di somma intensità alla costruzione di simile teoria».
E codesto è forse, più che altro, aneddoto di
psicologia individuale, perché le suggestioni e gli
eccitamenti sono diversi secondo gli animi che li ricevono. A noi la
letteratura del materialismo storico ha suscitato invece sempre il
desiderio di riconsiderare la storia in concreto e di iavestigarne
il processo effettivo.
Ci è ora la tendenza a dilatare eccessivamente i confini
degli studi sociali. Ma lo Stammler ragionevolmente rivendica a
quella che deve portare il titolo di Scienza sociale un oggetto
determinato e proprio, ch'è il fatto sociale. Ciò che
non abbia per principio determinante la socialità non
può far parte della scienza sociale. Come può essere
mai scienza sociale la Morale, la quale ha per fondamento casi di
coscienza, che sfuggono alle regole sociali? Fatto sociale
sarà il costume, non la moralità. Come può
essere scienza sociale l'Economia pura o la Tecnologia, i cui
concetti si estendono del pari all'individuo isohito calle
società? Prendendo, duntue, a studiare il fatto sociale, si
vedrà ch'esso, considerato in generale, dà luogo a due
teorie distinte, l'una delle quali tratta il concetto di
società sotto l'aspetto causale, l'altra sotto l'aspetto
teleologico. Causalità e teleologia non possono sostituirsi
l'una all'altra, ma l'una serve di complemento all'altra.
Se poi dal generale e dall'astratto si passa al concreto, ci si
trova innanzi alle società storicamente esistenti. Lo studio
dei fatti, che si svolgono nelle società concrete, è
assegnato dallo Stammler a una scienza, che egli chiama l'Economia
sociale (l'Economia politica o nazionale); e poiché è
dato astrarre da quei fatti la semplice forma, ossia il complesso di
regole storicamente date cui sono sottoposti, e considerarla
indipendentemente dalla materia, si ottiene così l'altra
scienza, la Giurisprudenza o scienza tecnica del diritto, la quale
è sempre indissolubilmente legata a una determinata materia
positiva e storica, che essa viene elaborando con procedere
scientifico per darle unità e coerenza. In ultimo, rientrano
anche negli studi sociali le ricerche che hanno per fine di
giudicare e di determinare se dati ordinamenti sociali sono quali
dovrebbero essere, e se gli sforzi per la conservazione o pel
mutamento di essi sono obiettivamente giustificati. Questa categoria
si potrebbe chiamare dei Problemi pratici sociali. Il pi'of.
Stammler esaurisce, a suo avviso, ogni possibilità di studi
sociali con siffatte definizioni e partizioni, che si possono
riassumere nel seguente prospetto:
Crediamo di avere, con questa tabella, esattamente interpetrato il
suo pensiero, pure rendendolo a modo nostro, e con parole alquanto
diverse da quelle da lui adoperate. E, poiché una nuova
costruzione delle scienze sociali, dovuta a un ingegno serio e acuto
quale si dimostra lo Stammler, non può non esser accolta con
premura da tutti gli studiosi di un argomento ch' è ancora
così incerto e controverso, giova esaminarla a parte a parte.
La prima ricerca intorno alla società, la ricerca causale,
sarebbe diretta a determinare la natura della società, della
quale si sono date finora molte definizioni, ma nessuna generalmente
accettata o che goda almeno di qualche sèguito. Lo Stammler,
infatti, scarta, dopo averle sottoposte acritica, le definizioni
dello Spencer e del Rümelin, che gli vengono innanzi come
preminenti e rappresentanti di tutte le altre: la società non
è un organismo (Spencer), né è semplicemente
qualcosa di opposto alla società giuridica (Rümelin);
perché la società, egli dice, è «la
convivenza di uomini sottomessi a regole esteriormente
obbligatorie». Regole da intendere in senso larghissimo, come
tutto ciò che leghi gli uomini conviventi a (jualche cosa che
si soddisfi con esterno adempimento: ma che si distinguono poi in
due grandi classi, di regole propriamente giuridiche, e regole di
convenzione, le prime obbligatorie senza che si richieda il consenso
dei sottoposti, le seconde (nelle quali rientrano i precetti del
decoro e del costume, le forme del galateo, della moda, il codice
dell'onor cavalleresco, e simili), solo ipotetiche. Il complesso
delle regole, giuridiche e convenzionali, è chiamato dallo
Stammler forma sociale; e sotto queste regole, eseguendole e
determinandole, o anche violandole, agiscono gli uomini per
soddisfai'e i loro bisogni; e in ciò, e solo in ciò,
consiste la vita umana. Il complesso dei fatti concreti, che attuano
gli uomini operando insieme in società, ossia sotto il
presupposto di regole sociali, è chiamato dallo Stammler
materia o economia sociale.
Regole, e azioni sotto le regole; ecco i due elementi nei quali
consiste ogni fatto sociale. Se mancassero le regole, si sarebbe
fuori della società: si sarebbe animali o Dei, secondo il
detto dell'antico; se mancassero le azioni, si avrebbe solo una
forma vuota, congegnata dal pensiero per ipotesi e non attuata in
nessun luogo. Perciò la vita sociale si presenta come un
tutto unico: separarne i due elementi costitutivi varrebbe
annullarla o ridurla a forma vuota. La legge di movimento delle
società, non può essere in un fatto extrasociale: non
nella tecnica e nelle scoperte, non nell'azione di pretese leggi
naturali, non nell'opera di grandi uomini, di misteriosi spiriti
etnici e nazionali; ma deve cercarsi nel seno stesso del fatto
sociale. E erroneo perciò parlare di legame causale del
diritto con l'economia, e all'inverso: la relazione di diritto ed
economia è quella di regola e di regolato, non di causa e di
effetto; e la ragione determinante dei movimenti e cangiamenti
sociali è, in ultima linea, nella precedente esecuzione
concreta delle regole sociali.
Questa esecuzione concreta, queste azioni compiute sotto regole,
possono, infatti, produrre: 1°) mutamenti sociali soltanto
quantitativi (nella quantità dei fatti sociali, di una o di
altra specie); 2°) mutamenti anche qualitativi, consistenti,
cioè, nel cangiamento delle regole stesse. Onde si ha il
circolo della vita sociale: regole; fatti sociali nati sotto di
esse; idee, opinioni, desideri, sforzi nati da questi fatti ;
mutazione delle regole. Quando e come abbia avuto cominciamento
questo circolo, ch'è a dire quando e come sia sorta la vita
sociale sulla terra, è questione storica, che non interessa
il teorico. Da vita non sociale a vita sociale non si passa per
gradazioni, essendo le due diverse condizioni, teoricamente, divise
da un abisso; ma, finche si abbia vita sociale, non si può
uscire dal circolo sopraindicato.
Forma e materia della vita sociale entrano, dunque, in conflitto, e
dal conflitto sorge il mutamento. Qual ò il criterio per
determinare come il conflitto vada risoluto?
Appellarsi ai fatti, inventare una necessità causale che sia
tutt'uno con quella ideale, è assurdo. Accanto alla legge di
causalità sociale, che si è esposta, deve esservi una
legge di fini e di ideali, ossia una teleologia sociale. Il
materialismo storico identifica, secondo lo Stammler, (né
sarebbe la sola dottrina a tentare codesta identificazione),
causalità e teleologia; ma non può neanche esso
liberarsi dalle contraddizioni logiche, che così introduce o
suscita. È stata molto lodata questa parte dell'opera dello
Stammler, nella quale si mostra come il tcleologismo sta
continuamente sottinteso dal materialismo storico in tutte le
affermazioni di natura pratica. Ma noi dovremmo confessare che la
scoperta non ci sembra peregrina, e ripetere ancora una volta che il
centro di gravitazione delia dottrina marxistica è il
problema pratico, e non l'astratta teoria; e che la negazione, che
il materialismo storico fa della finalità, è la
negazione della finalità meramente subiettiva e cervellotica.
Tuttavia anche qui, quantunque non ci sembrino del tutto esatte le
critiche al materialismo storico, siamo d'accordo con lo Stammler
nella conclusione, ossia nella necessità di costruire, o
meglio di ricostruire, con nuovo metodo, una dottrina del
teleologismo sociale.
Lasciamo per questa volta da banda l'esame della costruzione
teleologica dello Stammler. che contiene parti assai ben condotte
(per esempio, la critica della dottrina dell'anarchismo), e
domandiamo invece ; — Che cosa ò codesta scienza sociale
dello Stammler, per la quale egli si vanta di creare un quissimile
della Critica della ragion pura kantiana, e di cui abbiamo riferito
i tratti salienti e caratteristici? — Il lettore non durerà
fatica a scorgere che la seconda delle ricerche, quella della
teleologia sociale, non è altro che una ammodernata Filosofia
del diritto o Diritto naturale. E la prima? È forse la tanto
desiderata, e finora invano ricercata. Sociologia generale? Ci
fornisce un concetto di società, nuovo e accettabile? A noi
par chiaro che la prima ricerca non dia altro se non una Scienza
formale del diritto, o Dottrina generale del Diritto. Il prof.
Stammler studia in essa il diritto come realtà, e non
può quindi ritrovarlo se non nella società sottomessa
a regole esteriormente obbliganti. Studia, nella seconda, il diritto
come ideale, e costituisce la filosofia (imperativa) del diritto.
Chi scrive queste linee è d'avviso che i fatti della
società non possano dar luogo a una scienza autonoma,
perché il complesso concreto delle convivenze, i fatti
sociali, appartengono alla storia, che li descrive. Ma è ben
possibile studiare questa convivenza sotto assai diversi aspetti,
per esempio sotto quello giuridico, o, in generale, delle regole,
giuridiche e non giuridiche, cui può esser sottoposta; e
ciò ha fatto lo Stammler. E, ciò facendo, ha indagato
la natura del diritto, prescindendo dai singoli diritti concreti e
dal tipo ideale del diritto, che ha preso poi in esame da parte.
Ecco per quali ragioni la ricerca dello Stammler ci sembra,
sì, ricerca assai ben condotta, ma non punto scienza pura e
universale della società. Una tale scienza non è
concepibile, se non come sinonimo di scienza formale del diritto.
Quanto alla seconda ricerca, che è di teleologia, qualche
difficoltà si oppone a includerla nel novero delle scienze,
ove si ammetta che gli ideali non sono oggetto di scienza. Ma in
ciò ci viene in aiuto il medesimo prof. Stammler, il quale
attribuisce lo stabilimento della teleologia sociale a quella che
chiama Filosofia e che definisce scienza del Vero e del Bene,
scienza dell'Assoluto: alla Filosofia come una volta si intendeva,
la quale stava regina sulle scienze, proponendo ideali e paradigmi,
additando alla terra l'inattingibile Paradiso.
Il prof. Stammler parla volentieri di monismo della vita sociale, e
accetta come buona ed esatta la denominazione di materialismo, data
alla concezione storica del Marx, e pone questo materialismo in
relazione col materialismo metafìsico, applicando anche ad
esso il giudizio del Lange; che, cioè, « il
materialismo sia il grado primo e più basso, ma anche il
più solido e fermo, della filosofia». Per lui, il
materialismo storico ha detto la verità, ma non tutta la
verità, quando ha considerato come reale solo la materia, e
non anche la forma della vita sociale; onde la necessità
d'integrarlo col restituire il suo posto alla forma e determinare la
relazione tra forma e materia, congiungendole nell'unità
della vita sociale. Dubitiamo che l'Engels ed i suoi seguaci abbiano
mai intesa la parola «materialismo sociale» nel senso
che vi ritrova lo Stammler; e il parallelismo col materialismo
metafisico ci sembra alquanto arbitrario.
Quanto al gruppo delle scienze concrete, ossia di quelle che hanno
per oggetto le società storicamente date, nessuno che abbia
avuto occasione di occuparsi del problema della classificazione
delle scienze sarà disposto a riconoscere carattere di
scienze indipendenti ed autonome agli studi dei problemi pratici di
questa o di quella società, e alla giurisprudenza o studio
tecnico del diritto. Questa ultima non è altro che
interpretazione o dilucidazione di un particolare diritto esistente,
fatta o per bisogni pratici o per semplice intento storico. Ma,
più che tali questioni di terminologia e di classificazione,
ci pare che meriti attenzione il concetto dell'Economia sociale,
presentato dallo Stammler: della seconda, cioè, delle scienze
sociali concrete, entimerate di sopra. Le obiezioni, che questa
suscita, sono pili gravi e volgono sui seguenti punti: se si ablua
innanzi davvero una concezione nuova, o si debba ridurla a qualcosa
di già noto, o, infine, se non sia addirittura erronea.
Lo Stammler polemizza a lungo contro l'Economia considerata come
scienza a sé, che possegga leggi proprie e metta capo a un
principio originale e irriducibile. È errore (egli dico)
quello di coloro che pongono una scienza economica in astratto e la
suddividono poi in scienza economica individuale e sociale. Tra
queste due scienze non c'è possibilità di
unificazione, perché l'economia dell'uomo isolato ci presenta
solamento concetti tratti dalle scienze naturali e dalla tecnologia,
e non è altro se non una raccolta di semplici osservazioni
naturali, spiegate per mezzo della fisiologia e psicologia
individuale: l'economia sociale presenta, invece, la condizione
propria e caratteristica delle regole esterne, sotto cui si svolgono
le azioni. E che cosa può essere un principio economico se
non una massima ipotetica: se l'uomo vuol raggiungere il tale o tal
altro scopo di soggettiva soddisfazione, deve ricorrere a tali o
tali altri mezzi, «massima, ch'è osservata più o
meno generalmente, e talora violata»? Il dilemma è,
dunque, tra la considerazione tecnologico-naturale e quella sociale:
non vi ha una terza cosa. «Ein Drittes ist nicht da!».
Ciò lo Stammler ripete molte volte, e sempre con le stesse
parole.
Ma il dilemma (pel quale egli si è malamente ispirato al
Kant) non regge, ed è il caso di un trilemma: oltre i fatti
concreti sociali, oltre le cognizioni tecnologiche, vi ha una terza
cosa, ch'è il principio economico, o postulato edonistico che
sì voglia chiamare. Lo Stammler afferma che questa terza cosa
non è di egual valore delle due prime, che viene
secondariamente; e noi dichiariamo di non comprendere bene che cosa
questo significhi. Ciò ch'egli doveva dimostrare è,
che quel principio si riduca ai due primi, alla tecnica cioè,
o alla società regolata; il che non ha fatto, e non sappiamo
davvero come si potrebbe fare. Che l'Economia, così intesa,
non sia scienza sociale, siamo tanto più disposti a concedere
inquantochè essa stessa ciò afferma, denominandosi
Economia pura, ossia tale che per costituirsi prescinde da ipotesi
particolari, e quindi anche dall'ipotesi della molteplicità
degli individui, che è fondamento del concetto di
società. Ma ciò non vuol dire che essa non si estenda
alle società, e non possa dar luogo a deduzioni di economia
sociale. L'elemento sociale viene allora assunto come un medio
attraverso il quale il principio economico attua la sua efficacia e
produce determinati effetti.
Posto il principio economico, e posto, per esempio, l'ordinamento
giuridico della proprietà privata della terra, e l'esistenza
di terre di diversa qualità, e poste altre condizioni, sorge
di necessità il caso della rendita fondiaria. In questi ed
altri esempì simili, che sarebbe facile recare, si hanno
leggi di economia sociale e politica, ossia deduzioni dal principio
economico operante in condizioni giuridiche date. Certo, in un'altra
condizione giuridica, le conseguenze sarebbero diverse; ma tutte
quelle conseguenze non avrebbero luogo senza la natura economica
dell'uomo, ch' è presupposto necessario ed originale, e non
può identificarsi col presupposto delle conoscenze tecniche,
o con l'altro delle regole sociali. Conoscere non è volere; e
volere secondo regole oggettive, ossia etiche, non è volere
secondo ideali meramente soggettivi o individuali (economici).
Lo Stammler potrebbe dire che, se questa scienza dell'Economia,
così intesa, non è proprio una scienza sociale, egli
la lascia da parte, perché sua intenzione e di costruire una
scienza che meriti a buon diritto il nome di Economia sociale. Ma
(facciamo anche noi un dilemma!) codesta Economia sociale, da lui
vagheggiata, o sarà per l'appunto la scienza economica
applicata a determinate condizioni sociali nel senso che ora si
è detto; o sarà una forma di conoscenza storica. Una
terza cosa non esiste. Ein Drittes ist nicht da!
E valga il vero. Fatto economico non è per lo Stammler un
qualunque singolo fatto sociale, ma un gruppo di fatti omogenei, che
presentino caratteri di necessità. La quantità di
fatti omogenei occorrenti per costituire il gruppo e dar luogo a un
fenomeno economico, non può determinarsi in generale, ma
è da vedere caso per caso. Con la formazione di questi gruppi
(egli dice) l'Economia sociale non discende al grado di registro di
dati di fatto, né si converte in una statistica puramente
meccanica di un materiale bello e dato, ch'essa debba solo
enumerare. L'Economia sociale non deve soltanto investigare il
cangiamento nella esecuzione concreta di uno e medesimo ordinamento
sociale, ma le resta, ora come prima, il compito tutto proprio di
disegnare, in primo luogo, la pianta per ogni conoscenza di una vita
sociale reale. Essa deve partire dalla conoscenza di una determinata
esistenza sociale, così rispetto alla sua forma come rispetto
al suo contenuto; e allargarla e approfondirla tino alle più.
minute singolarità dell'esecuzione reale, con l'esattezza di
una scienza tecnica, di cui siano chiaramente segnate le condizioni
e i fini concreti; e con ciò liberare la realtà delia
vita sociale da ogni oscurità. Le sarà perciò
necessario foggiarsi da sé stessa una serie di concetti che
le serviranno al fine di tale spiegazione.
Ora il concetto dell'Economia sociale, così proposto,
è suscettibile di due interpetrazioni. La prima è, che
s'intenda parlare di una scienza, che abbia davvero per oggetto
(come è proprio delle scienze) rapporti necessari, nel senso
rigoroso della parola. Ma come si stabilirà codesta
necessità? come si foggeranno i concetti propri della
Economia sociale? Certo, lasciandosi guidare da un principio,
distinguendo nella realtà concreta un aspetto o forma; ed il
principio non potrà essere, per l'Economia, se non il
principio economico, e l'Economia sociale guarderà il solo,
aspetto economico di una determinata vita sociale. Il profitto, la
rendita, l'interesse, il valore-lavoro, l'usura, il salario, le
crisi appariranno allora fenomeni economici necessari in determinate
condizioni di ordinamento sociale, attraverso le quali si eserciti
l'efficacia del principio economico.
L'altra interpretazione è, che l'Economia sociale dello
Stammler non debba far già lavoro d'analisi concettuale, ma
guardare tale o tal'altra vita sociale in concreto; in questo caso,
essa non potrà se non descrivere una data società.
Descrivere non significa descrivere esteriormente e
superficialmente; ma, appunto, liberare quel gruppo di fatti da ogni
oscurità, mostrando qual esso è realmente,
descriverlo, per quanto è possibile, nella sua schietta
realtà. Ma questo, per l'appunto, è conoscenza
storica; la quale può assumere forme svariate, o meglio,
delimitare variamente il proprio oggetto, prendendo una
società in tutte le sue manifestazioni per un dato periodo di
tempo, ovvero in un dato momento della sua esistenza, o anche
assumendo una o più manifestazioni della vita sociale e
studiandole nel loro apparire presso varie societù e in vari
tempi; e così via. Storia sempre, anche quando si valga della
comparazione per istrumento di ricerca. E tale disciplina non
avrà da foggiare concetti, ma li prenderà, secondo le
sue occorrenze, dalle scienze, le quali, appunto, elaborano
concetti.
Sarebbe stato, dunque, assai interessante vedere un po' meglio
all'opera questa nuova Economia sociale dello Stammler, per poter
determinare con sicurezza in quale delle predette due categorie
debba venire collocata: se cioè sia semplicemente l'Economia
politica nel senso corrente, o lo studio concreto delle singole
società e dei gruppi di esse. In questo secondo caso, ai
tanti nomi di cui è stata camuffata di recente la vecchia
Storia (Storia sociale. Storia della civiltà, Sociologia
concreta, Sociologia comparata, Psicologia dei popoli e delle
classi, ecc.), lo Stammler avrebbe aggiunto un altro, anzi altri
due: Scienza della materia della vita sociale, ed Economia sociale.
E il guadagno, ci si consenta notare, non sarebbe stato grande.
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1 Wirtschaft uncl Rechi nach der materialistischen
Gestchichfsauffassung, Eine socialphilosophische Untersuchng von dr.
Rudolf Stammler, Professor an der Uuiversität Halle a S.
(Leipzig, Veit u. C, 1896).